Caccia al tesoro.

di Betrayed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Cominciamo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Quello che non hai perso. (prima parte) ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Cominciamo. ***


-Caccia al tesoro-

Come vi sentireste se il vostro peggior nemico vi portasse via ciò che di più caro avete al mondo e lo mettesse all’asta ponendo come prezzo di base la vostra vita?

Come vi sentireste se vi dicessero che in realtà la vita è un gioco, in cui si muore troppo facilmente? 
E se improvvisamente un vecchio manicomio abbandonato divenisse la scacchiera di una partita ?


Reclusa, un'altra volta.
Tra le pareti buie si consuma il suo dolore soffocato nelle lacrime;  talmente sofferente è il suo cuore di fronte ad una speranza morta tanto velocemente quanto nata, da riflettere, come un crudele specchio, gli effetti di quel male sul suo corpo.
Le ossa sporgono sotto la pelle tirata e grigia, le guance incavate e nere di un livido del quale non ricorda nemmeno la provenienza, sono striate del rosso delle sue unghie che le hanno graffiate quasi a voler scavarci dei solchi.
I suoi occhi blu sono profondi, grandi e colmi di paura, sempre spalancati quasi avessero paura di chiudersi, di cedere all'invitante abbraccio di Morfeo che le offre l'incoscienza di un sonno troppo agitato. 
La monotonia delle sue giornate si svolge sempre in quella stanza -necessità primarie escluse- ed è scandita da uno spostarsi dal piccolo letto alla finestra chiusa e sbarrata che da su un altro edificio altrettanto grigio; ma ormai ha smesso anche di contare i giorni trascorsi in quell'umido ambiente,  al freddo.
Winry si rigira ancora nel letto improvvisato al centro della stanza, stringendosi più stretta su se stessa. All’improvviso la porta si apre, facendola sobbalzare. 
La ragazza solleva appena il capo , con lo sguardo appannato scorge una figura snella slanciata dai capelli talmente lunghi da arrivargli alla coscia. 
Quando riesce a metterlo a fuoco rabbrividisce, rintanandosi nell’angolo del letto. 
I capelli verdi oscillano come le fronde di un albero, così scuri da sembrare  neri e in contrasto con la pelle diafana. 
Winry geme debolmente come un animale braccato che sa di non avere scampo, ma nonostante ciò continua a sperare di poter sfuggire al predatore. 
Envy si avvicina, il ghigno che ha dipinto in volto non se ne va, anzi, sembra diventare sempre più evidente man mano che l’homunculus  avanza. 
Winry si rannicchia ancora di più contro il muro, nel disperato tentativo di sfuggire all’ago della siringa che il suo rapitore tiene nascosto dietro la schiena e che la ragazza ha intravisto. 
-No, ti prego…- biascica, senza smettere di schiacciarsi contro il muro, graffiandosi così la schiena. 
-Oh ma dai, quante storie per una punturina… Ti farà passare tutto.- 
La bionda solleva lo sguardo incontrando quello ametista di Envy, sgrana gli occhi sorpresa. 
Per un attimo ci crede; sorride, quasi. Ma dopo qualche secondo passato ad osservare i movimenti dell’altro si rende conto che le intenzioni dell’homunuculus non possono essere buone. 
Ma è troppo tardi: in un attimo Envy l’ha bloccata sul letto, fa pressione sulle sue braccia con le ginocchia, tenendole spalancate e, curvandosi sul suo avambraccio infila l’ago per intero, svuotando la siringa. 
La ragazza spalanca ancora di più gli occhi azzurri, le pupille si dilatano –un buco nero nel cielo- e lei si spegne. 
In tutti i sensi, il suo corpo si abbandona sul giaciglio, la testa crolla di lato, la bocca semi aperta e gli occhi ancora spalancati. 
Il suo respiro è debole, seppur regolare. 
Envy si china su quelle labbra color pesca, sfiorandole con le sue, per poi sollevare il capo e mostrare l’espressione soddisfatta, mentre gli occhi –fissando un punto indefinito- si riempiono di crudeltà.


***

 

Edward rientrava in quel momento da Quartier Generale, dopo un estenuante giornata passata alla ricerca dell'amica scomparsa da ormai quasi un mese.
Dove diavolo poteva essersi cacciata? Central City era grande, ma non gli era mai parsa così gigante come quel pomeriggio, trascorso per le vie della città nel tentativo di ritrovare l'amica.
Alphonse in quel momento si trovava a Resembool, per parlare con la zia Pinako.
Era la prima volta che i due si separavano ed Edward non aveva mai sentito così tanto la mancanza del fratello.
Quella sera le vie di Central City parevano vuote, quasi la città fosse disabitata. Persino il rumore dei suoi passi sul marciapiede sembrava insopportabile.
Le ombre delle case si stagliavano sulla strada minacciosamente distorte e allungate dalla luce della luna che splendeva in cielo perfettamente tonda. 
Eppure c'era qualcosa di strano quella sera.
All'improvviso il guizzo di un'ombra nel buio lo fa sobbalzare.
Una voce infantile distorta e acuta gli fa accapponare la pelle.
"Oh, ma guarda chi c'è qui! Piccoletto, le grandi città a quest'ora di notte non sono sicure! Non te l'ha mai detto tua mamma?" la voce ammutolisce per un attimo. "Oh no, giusto. Tua mamma non c'è più! L'hai trasmutata, non è vero piccoletto?"
Edward impallidisce e continua a guardarsi attorno, ma non riesce a scorgere nulla, a parte le ombre delle case.
"Chi sei?" chiede, senza smettere di guardarsi attorno.
Una risata graffiante rompe nuovamente il silenzio teso.
"Oh ma come? Non vuoi sapere dove si trova la tua amica?"
Di fronte all'alchimista compaiono due occhi ametista che lo fissano schernendolo divertiti e brillando crudelmente, per poi scomparire di nuovo.
"Suvvia, te lo ricordi quando giocavate a nascondino?" un'altra risata. "Vieni a trovarla! Giochiamo! Ma stai attento a scegliere bene le tue mosse, piccoletto! E' un gioco pericoloso, soprattutto per lei."
"Bastardo! Che le hai fatto?? Liberala!"
"Oh, mossa sbagliata, piccoletto. Essere avventati non è mai una buona cosa, nessuno te l'ha mai detto? Tuo padre? Oh, no giusto. Lui non c'è mai stato vero? Allora, giochiamo?"
"Non lo voglio fare il tuo stupido gioco! Ridammi Winry!!"
"Oh, piccoletto, hai sbagliato del tutto..." nel buio il tono fintamente dispiaciuto pareva quasi materializzarsi e persino Edward poteva immaginarsi il rapitore scuotere la testa sconsolato. "Ma io sono buono, vero? E infatti non la ucciderò, però tu giocherai, se la rivuoi indietro davvero"
Un colpo ben assestato sulla nuca e l'alchimista d'acciaio svenne.
"Il gioco è cominciato, piccoletto."


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Capitolo 2
*** Capitolo II - Quello che non hai perso. (prima parte) ***


Capitolo 2 saw fma

                                                                                            Capitolo II - Quello che non hai perso. (Prima parte)

"Nessuno qui, nessuno ti salverà"
La vocina acuta gli perforò la testa come una lama, inducendolo a spalancare gli occhi.
Per un attimo credette di essere cieco, tale era il buio che lo circondava, ma non appena i suoi occhi abituarono all'assenza di luce cominciò a distinguere i contorni sfumati delle pareti.
"Lo sai dove ti trovi piccoletto?"
Edward cominciò a prendere coscienza degli arti lentamente, come se il sangue avesse cominciato a scorrere solo in quel momento, come se fosse stato attivato dalla voce dell'homunculus.
Percepì il polso avvampare improvvisamente, costretto contro l'altro da una corda che gli penetrava la carne. La fitta di dolore che si propagò lungo il braccio gli provocò un gemito soffocato a denti stretti.
All'improvviso la luce invase la stanza, sfarfallante e debole, ma per i suoi occhi, ormai rassegnati alle tenebre, accecante. Strinse le palpebre, urtato dal bagliore.
"Suvvia, Elric, apri gli occhi."
Il biondo sobbalzò appena avvertendo la voce vicina e obbedì con lentezza, ma quando lo fece non vide nessuno accanto a lui. Spostò lo sguardo davanti a sé, incontrando l'impedimento di una grigia parete in cemento.
Poi all'improvviso qualcosa di piccolo, freddo e umido cadde sulla sua testa, scivolando con densità giù per i capelli color grano, provocandogli un brivido lungo la schiena quando incontrò la pelle scoperta del collo, gocciolando anche sulla maglia.
L'odore ferroso che cominciava ad impregnare l'aria lo spinse a reclinare il capo appena all'indietro, ma ciò che vide lo fece rabbrividire e si pentì subito di quella scelta.
Il soffitto s'interrompeva bruscamente proprio sopra la sua testa, lasciando spazio ad un enorme grata di ferro arrugginita, attraverso la quale si potevano intravedere i corpi mutilati di uomini, ammassati probabilmente l'uno sopra l'altro. Li scorse lentamente, mentre il suo respiro accelerava facendosi pesante e i suoi battiti aumentavano in proporzione al suo orrore, fino ad incontrare lo sguardo vitreo di uno dei cadaveri, il cui volto spingeva tra le sbarre schiacciato dal peso sovrastante, gli occhi cerchiati di nero e spalancati, bianchi; la pelle cerulea metteva in risalto le guance incavate e i capelli corvini, in particolare sulla carnagione spiccava particolarmente il sangue, rappreso appena sotto gli occhi e agli angoli della bocca.
Il biondo rabbrividì, distogliendo immediatamente lo sguardo e puntandolo al terreno, mentre l'ennesima goccia di sangue gli macchiava la maglietta con la consistenza reale di un piccolo ago, ma che si rifletteva con la potenza di mille pugnali nel suo animo scosso.
"Quello che devi fare è semplice. Liberati e trova la chiave per uscire da qui. La tua salvezza è in ciò che non hai perso. La scelta è semplice, lei o te? Attento a non affogare nella tua impotenza, Sai, anche se a te non sembra, ad ogni minuto che passa la stanza viene invasa dall'acqua."
La risata che seguì gli fece accapponare la pelle, e si spense lentamente lasciando dietro di sé un eco inquietante.
L'ansia iniziò a serpeggiare tra i suoi pensieri, mentre si guardava attorno cercando di non far caso a ciò che aveva appena sopra la sua testa, il cui odore di decomposizione andava infettando la stanza.
Si agitò sulla sedia, con l'unico risultato di provocarsi ancora più dolore al polso, ma fu proprio nel tentativo di calmarsi che i suoi occhi incontrarono la sagoma scura di un oggetto acuminato sul muro.
Vi si avvicinò, stringendo i denti per soffocare il dolore all'arto, trascinando la sedia facendo leva sui piedi e tirandosi avanti con la sola forza delle gambe giunse fino alla sporgenza, che era in effetti la sezione di un tubo in metallo, tagliata trasversalmente.
Si girò, posizionando la corda sul bordo tagliente, attento a non peggiorare ancora di più la situazione del polso e, con lentezza esasperante, iniziò a logorarla fino a spezzarla.
Portò le braccia davanti a sé, massaggiando la parte dolente dell'arto che gli rimaneva con il metallo freddo dell'automail, mentre si guardava attorno ancora, alla ricerca di qualcosa che lo traesse in salvo.
Si sollevò dalla sedia e i suoi pantaloni si bagnarono immediatamente.
Colto dall'ansia non aveva dato troppo peso alle parole del suo sequestratore, e solo in quel momento si rese conto che, effettivamente, il livello dell'acqua stava salendo.
Da dove provenisse il liquido gli fu preso chiaro; in parte gocciolava dal soffitto, mescolandosi al sangue dei cadaveri sulla grata, ma la maggior parte filtrava da sotto la porta in acciaio massiccio, alla quale si avvicinò.
Tentò di usare l'alchimia, ma capì quasi subito l'inutilità di quel gesto.
Evidentemente non funzionava, in quel luogo, per chissà quale motivo.
Si voltò, dando le spalle alla sua salvezza per osservare la stanza, senza trovarvi però nulla di utile.
Il suo cervello iniziò a vagliare le varie possibilità scartandole però tutte, e all'improvviso il discorso dell'homunculus riaffiorò nella sua mente.
"Quello che devi fare è semplice. Liberati e trova la chiave per uscire da qui. La tua salvezza è in ciò che non hai perso."

... La tua salvezza è in ciò che non hai perso.

E capì.
Si osservò il braccio, e vi scorse una sagoma, come un tatuaggio sulla pelle bianca, che prima non aveva visto.
Lo ripercorse lentamente con le dita.
Il disegno di una chiave.
Il biondo rabbrividì, premendo e incontrando una consistenza troppo metallica per essere umana.
La chiave era lì.
Dentro il suo braccio.

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