Remember Me!

di Evazick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trapped. ***
Capitolo 2: *** To find you. ***
Capitolo 3: *** Memories. ***
Capitolo 4: *** A beautiful lie. ***
Capitolo 5: *** Vendetta, that's so sweet. ***
Capitolo 6: *** Attacked. ***
Capitolo 7: *** If you can call this 'return'... ***
Capitolo 8: *** Boys can cry. ***
Capitolo 9: *** You treat me just like another stranger. ***
Capitolo 10: *** You don't remember anything, do you? ***
Capitolo 11: *** A new start. ***
Capitolo 12: *** Withdrawal symptoms ***
Capitolo 13: *** Alone? ***
Capitolo 14: *** Once we were lovers... do you remember? ***
Capitolo 15: *** Like water and fire. ***
Capitolo 16: *** Remember me! ***
Capitolo 17: *** Joshua. ***
Capitolo 18: *** 'Cause this is (not) just a game. ***
Capitolo 19: *** Infiltrate. ***
Capitolo 20: *** Not again! ***
Capitolo 21: *** The city is at war. ***
Capitolo 22: *** Yes, I will see you through the smoke and flames, on the front lines of war. ***
Capitolo 23: *** Make your choice. ***
Capitolo 24: *** I got a Bulletproof Heart. ***



Capitolo 1
*** Trapped. ***


Disclaimer: i My Chemical Romance, Grace, Korse, Airi Isoda, Dr. Death Defying e il personaggio di Showpony non mi appartengono, così come l'ambientazione della California del 2019 e di Battery City, ma tutti gli altri personaggi e la storia sì. I fatti sono completamente inventati dalla sottoscritta e non ricavo alcun guadagno scrivendo questa storia (a parte tante seghe mentali e minacce di morte nelle recensioni...)
Nota dell'autrice: E' L'ULTIMA. SERIAMENTE. Non penso ci sia bisogno di aggiungere altro. Ho già deciso tutto, non tornerò sui miei passi come ho fatto l'ultima volta. ("Sì, senti chi parla..." "Oh, stai zitta, Evelyn!")
Ringrazio un sacco le persone che hanno commentato i ringraziamenti di "I fell apart, but got back up again", e mi scuso se non vi ho risposto (tranne Dawn_) ma sono una pigrona. Dedico a tutte voi Sunshines quest'ultima storia. Perchè è solamente grazie a voi se sono arrivata fin qui.
Cercherò di pubblicare i capitoli un giorno sì e uno no, ma non so se riuscirò a rispettare la tabella di marcia, non ho molto tempo per scrivere e ho dei buchi nella storia che devo tappare il più velocemente possibile. Siate clementi con me, vi prego!
Il titolo di questa fanfiction è una frase tratta da "The Only Hope For Me Is You."
KEEP YOU UGLY.

Trapped.

 

“Ehi, qualcuno mi sente? Ehi? EHIII? C’è qualcuno che mi sente là fuori?!”

Nessuno rispose.

“Ehi, cazzo!” Mi dimenai sulla sedia dove ero legata per cercare di liberarmi, ma fu del tutto inutile: chi mi aveva legata sapeva il fatto suo, e quella non era la classica sedia da film della serie 'Oh-c’è-un-chiodo-sporgente-usiamolo-per-tagliare-la-corda'. Mi dondolai avanti e indietro un paio di volte, poi realizzai che sarei potuta cadere per terra e che la mia situazione non sarebbe assolutamente migliorata. Mi fermai e iniziai di nuovo a urlare: “Ehi, qualcuno vuole tirarmi fuori di qui?!
Era una richiesta disperata e altrettanto impossibile, la mia: insomma, di sicuro i Draculoidi non erano stati così sprovveduti da portarmi in un posto dove chiunque avrebbe potuto soccorrermi. Mi diedi dell’imbranata da sola: ero stata una perfetta idiota, se non fosse stato per la mia impudenza non sarei finita in quella situazione così pericolosa, così sfortunata, così di merda.

Erano passati tre mesi da quando avevo terminato di scrivere le ultime parole sul mio quaderno, e la situazione era rimasta più o meno stabile. E, meraviglia delle meraviglie, i My Chemical Romance erano rimasti con noi e non avevano più parlato di tornare a casa, e io e Joshua avevamo cercato di evitare il discorso più che potevamo: avevamo un tremendo bisogno di aiuto, del loro aiuto, ma eravamo entrambi troppo testardi e orgogliosi per ammetterlo. La mia ferita al petto, quella che aveva rischiato di uccidermi una volta per tutte, mi faceva ancora male certe volte, ed ero costretta a tenerla sempre bendata per evitare che peggiorasse. Inutile dire che anche le mie vecchie cicatrici sulle braccia non erano sparite, anche se ormai risalivano a circa otto o nove mesi prima. Ero stata marcata a vita dalle mie ferite, ed era impossibile che sparissero. Sarebbe stato come dimenticare come ero finita nella California del 2019, perché avevo deciso di rimanere lì, perché combattevo con i Killjoys e cosa mi aveva fatto la Better Living in un solo anno, quale dolori mi aveva causato: la trasformazione (temporanea, ma pur sempre dolorosa) di Joshua in Draculoide, la mia settimana passata da cavia dentro Battery City, lo sterminio dei Killjoys (ancora mi venivano le lacrime agli occhi quando pensavo a Bubble Tower, Amy e Taylor), il tradimento di Showpony e la mia quasi morte.

Come potevo scordare tutto quel dolore fisico e mentale?

Bè… a dire la verità, potevo.

I miei ricordi potevano sparire nel nulla, inghiottiti dal buio, e il mio amore poteva essere sostituito da un odio così forte che non avevo mai provato in vita mia.

Potevo rinnegare e arrivare a fare del male alle persone che mi avevano consolato e protetto in tutti quei mesi.

Potevo passare dall’altra sponda.

Ma io non lo sapevo ancora.

Qualcuno mi tiri fuori di qui!!” continuai ad urlare con tutta la voce che avevo in gola. Non era un comportamento da Killjoy, lo ammetto, ma capivo benissimo che da sola non sarei mai riuscita ad uscire da quella stanza: ero in una baracca in mezzo al deserto, simile al garage vicino al Diner, ma al contrario di quest’ultimo era completamente vuoto tranne che per un tavolo alle mie spalle e la sedia a cui ero legata io, rivolta verso la porta chiusa. Avevo bisogno di un aiuto dall’esterno, un aiuto parecchio tempestivo, prima che mi succedesse qualcosa, qualunque cosa. Non avevo nemmeno la mia pistola a raggi arancione, l’avevo persa quando mi avevano catturata. Sicuramente Joshua l’aveva presa con sé, e sapevo che era in buone mani: ma ce l’aveva pur sempre lui, e adesso ne avevo bisogno io.

Iniziai di nuovo a dimenarmi sulla sedia, dondolandomi avanti e indietro, ma fui costretta a fermarmi di nuovo quando la porta finalmente si aprì e una figura apparve sulla soglia, in controluce. Richiuse la porta dietro di sé, lasciando di nuovo fuori la luce, tranne quella che entrava dalla finestra alle mie spalle e allungava la mia ombra davanti a me. Non persi di vista nemmeno un attimo l’uomo, che mi passò accanto e raggiunse il tavolo alle mie spalle: feci uno sforzo enorme per cercare di vedere cosa stava facendo, ma la corda era talmente stretta che mi era impossibile voltarmi, e alla fine fui costretta a rinunciare e a tenere lo sguardo fisso davanti a me, col cuore che mi batteva a mille. Chi era? Che ci faceva lì dentro insieme a me? E che stava facendo alle mie spalle? Riuscivo solamente a sentire il rumore di plastica e di una boccetta con dentro un liquido che veniva agitata e poi appoggiata di nuovo sul tavolino. Mi imposi di mantenere la calma, ma i miei sforzi vennero interrotti dalla voce di Evelyn dentro di me.

Oddio, no.

Deglutii: era una delle poche volte che la sentivo spaventata non a causa mia, e la mia calma andò a farsi fottere. “Cosa? Cos’è successo?” le chiesi agitata dentro di me.

Dio, questo no… continuò come se non mi avesse sentito. Si riprese in fretta e mi disse, ancora più spaventata di prima: Eve, non lasciare che quell’uomo si avvicini a te. Non permetterglielo in alcuno modo!

“Perché? Evelyn, che sta succedendo?” chiesi ancora, sempre più agitata e confusa. Un rumore familiare arrivò alle mie spalle, ma non lo riconobbi subito. Dei passi si avvicinarono alle mie spalle, e la ragazza disse: Allontanati da lui, o siamo nella merda fino al collo!

Non appena finì di parlare l’uomo comparve alla mia destra, e io mi spostai con la sedia a sinistra. “Non mi toccare,” sibilai, come se questo potesse servire a qualcosa. Lui non fece una piega, e si limitò ad afferrarmi con violenza il braccio destro, legato, con una mano. Con l’altra mosse un oggetto verso la mia pelle: quello brillò alla luce che proveniva dalla finestra e mi fece scuotere dai brividi.

L’ago di una siringa riluceva splendente nella luce.

Col cavolo! pensai con la parte di cervello non ancora paralizzata dalla paura, e tentai di nuovo di allontanarmi, ma l’uomo mi trattenne saldamente per il braccio. Senza che potessi fare nulla per fermarlo, mi conficcò l’ago nel braccio, appena sotto la spalla, e vi iniettò il liquido contenuto nella siringa, fino all’ultima goccia. Fu un miracolo se le lacrime non mi scesero lungo le guance: tutto quello mi ricordava con violenza il laboratorio dove avevo passato quasi tutte le mie giornate quando ero prigioniera alla Better Living, e le siringhe e gli aghi mi facevano abbastanza paura, anche se non tanto quanto Gerard. Lui, al mio posto, probabilmente sarebbe svenuto.

L’uomo estrasse con una strana delicatezza l’ago dalla mia pelle, ripose la siringa sul tavolo e uscì altrettanto silenziosamente com’era entrato. Rimasi anch’io muta per qualche minuto: si sentiva soltanto il rumore del vento nel deserto e il mio respiro ancora affannato. Aspettai una reazione, un’allucinazione, una convulsione, qualunque cosa: ma non accadde niente, e rimasi immobile sulla sedia, confusa. “Mi hai fatto spaventare solamente per una puntura?” mormorai ad Evelyn, ma lei non mi rispose, impegnata a mormorare qualcosa in fondo alla mia testa. Feci un’espressione ancora più confusa e mi guardai intorno per la stanza, prima che la testa iniziasse a farmi male: all’inizio il dolore era sopportabile, ma a mano a mano che passava il tempo aumentava di intensità, come se qualcuno lo stesse regolando con una manopola. Nello stesso momento la mia vista iniziò ad offuscarsi, e i miei pensieri iniziarono a scorrere sempre più lentamente mentre la mia mente veniva coperta dall’oscurità. “Sto… sto morendo?” sussurrai a fatica ad Evelyn.

No. Non stai morendo. No, cazzo, questo non doveva succederti… NO, ASPETTA!

Fu l’ultima cosa che disse prima di sparire del tutto senza lasciare tracce.

“Evelyn? Evelyn!” mormorai in preda al panico: non era mai scomparsa così all’improvviso, e soprattutto non urlando in quel modo. Di sicuro era colpa della roba che mi avevano iniettato nel sangue. Tentai ancora un’ultima volta di liberarmi dalla sedia per poter uscire dalla baracca e raggiungere i ragazzi: loro… loro avrebbero saputo come aiutarmi, forse sapevano anche cosa mi stava succedendo… Ma il dolore alla testa non voleva diminuire, e mi riusciva sempre più difficile pensare qualcosa di logico e sensato.

Improvvisamente e lentamente allo stesso tempo, i miei ricordi iniziarono a disfarsi e a cadere nel buio che stava avvolgendo la mia mente, come le tessere di un puzzle quando vengono riposte nella loro scatola. Ma quelle immagini non cadevano in un posto da dove potessi recuperarle in seguito: finivano nel vuoto, nell’oblio, dove non sarei mai più riuscita a ritrovarle. Vidi sparire mia madre che mi abbracciava e mi scarruffava i capelli quando erano ancora lunghi, la mia amica JoJo che mi tirava un cuscino addosso, Simon che mi sovrastava con la sua pistola in mano, io in volo con le mie ali nere, Slay che si preparava ad uccidermi, Bubble Tower chino sulle sue apparecchiature, Grace che correva e rideva, Frank e Gee durante la ricognizione, Mikey e Ray che sparavano, Joshua che mi stringeva forte a sé per consolarmi…

Joshua.

No, no, non portatemi via anche lui, è l’unica cosa che mi rimane, per favore, NO! urlai dentro di me, ma fu del tutto inutile: i suoi capelli blu elettrico e i suoi occhi grigi sparirono nel buio insieme a tutti gli altri, senza darmi nemmeno la possibilità di aggrapparmi a loro per un’ultima volta. Trattenni con tutte le mie forze il mio ultimo ricordo rimasto, quello di lui che mi portava sulla sua schiena e pattinava mentre io ridevo, ma la testa mi faceva male e alla fine fui costretta a lasciare andare anche quell’ultimo frammento di memoria con un urlo di dolore disperato che riecheggiò nella stanza vuota. Una lacrima mi cadde lungo la guancia…

E poi il buio.

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Capitolo 2
*** To find you. ***


To find you.

 

“Dobbiamo trovarla, dobbiamo trovarla, dobbiamo trovarla…”

“Joshua, cazzo, non ci aiuti se continui a ripeterlo all’infinito!”

“Oh, scusami tanto se mi sto preoccupando da morire per Eve e sto cercando di trovarla prima che l’ammazzino!” Incontrò lo sguardo scioccato e confuso di Party Poison e sospirò. “Okay, scusa. Fammi vedere di nuovo la cartina.”

L’altro ragazzo gliela passò lentamente e gli mostrò la stessa cosa che stava facendo vedere agli altri qualche secondo prima, prima che Showpony iniziasse a dare di matto. Lo guardò mentre si concentrava sulle Zone disegnate sulla mappa: aveva una mano tra i capelli blu elettrico e ce la passava in continuazione, e gli occhi grigi, puntati verso il basso, non smettevano per un attimo di muoversi ansiosamente da una parte all’altra, e rappresentavano perfettamente l’ansia e la voglia di uscire fuori dal Diner del loro padrone.

Non era stata una giornata facile, per nessuno di loro: durante il primo giro di ricognizione avevano perso Eve, e c’era voluta un’ora prima che ritrovassero le tracce della macchina che l’aveva portata via. La loro meta era stata una baracca abbandonata e mezza sperduta sul confine tra le Zone 7 e 9, ma, quando erano arrivati e avevano sfondato la porta, l’unica stanza al suo interno era vuota. Si erano guardati intorno stupiti, ma tutto quello che erano riusciti a trovare erano una sedia, una corda e una siringa usata (alla vista dell’ago, Party Poison aveva rischiato di lanciare un urletto isterico e aveva chiesto al fratello di toglierla dalla sua vista). Mentre stavano uscendo, però, Jet Star aveva notato un luccichio per terra e aveva raccolto dal pavimento la collana di Eve, quella col sasso verde-azzurro che le aveva regalato Joshua. Se l’era infilata in tasca e non l’aveva ancora fatta vedere agli altri, consapevole che si sarebbero solamente allarmati di più. Doveva aspettare il momento giusto, e qualcosa gli diceva che quello, mentre tutti erano seduti in un tavolo del Diner a studiare un piano, era perfetto.

O quasi.

Fun Ghoul lasciò cadere sul tavolo i fogli che teneva in mano, esausto mentalmente e fisicamente. “Non possono averla portata tanto lontano, dove cazzo…”

“Frank, possono averla portata dove volevano. Avevano più di un’ora di vantaggio, se hanno guidato come Mikey possono anche già essere in un altro Stato,” disse Party.

“Sono stati in quella baracca, Gee. Anche se noi siamo arrivati tardi, quanto vantaggio potevano avere al massimo? Mezz’ora, tre quarti d’ora?” Il moro si stava incazzando sempre di più, e Joshua lo sapeva: per lui Eve era come una sorella, e non avrebbe avuto pietà per chiunque le avesse fatto del male. Continuò: “Abbiamo controllato tutti i dintorni, anche nelle altre Zone, ma non l’abbiamo trovata da nessuna parte! L’unica speranza è che stia bene…” Il tono in cui lo disse, però, non era molto convinto, e Jet Star quasi decise di non dire niente a proposito della collana, ma alla fine prese il coraggio a due mani e disse: “Bè, c’è una cosa che dovrei dirvi…”

Gli altri quattro ragazzi si voltarono a guardarlo incuriositi, e continuò: “Ho… ho trovato questa, dentro la baracca. Volevo farvela vedere prima, ma…” Si interruppe, si infilò una mano in tasca e lanciò sul tavolo la collana. Il sasso fece un rumore sordo a contatto col tavolo, e il tonfo rimbombò nel silenzio che era calato nella stanza; durò per qualche minuto prima che Kobra Kid mormorasse: “Merda.”

Nessuno replicò e il ragazzo continuò: “Eve non se la leva mai e andrebbe nel panico se si accorgesse di averla persa. Se non l’ha ripresa vuol dire che non se n’è accorta o…”

“… o non ha potuto.” Il respiro di Fun Ghoul accelerò e lui iniziò a tremare, come se stesse trattenendo una rabbia troppo grossa per poterla lasciar andare. “Se le hanno fatto del male giuro che li faccio a pezzi, loro e quella città di merda,” mormorò. “Come hanno fatto a portarla via di lì? Hanno usato la forza, o…”

“La siringa.” Tutti distolsero lo sguardo dalla collana e si voltarono di nuovo verso Jet Star, che stava ricambiando i loro sguardi. “C’era una siringa vuota nella baracca, ricordate?”

“E come farei a scordarmela?” borbottò Party Poison tra sé e sé, ma nessuno lo considerò. Kobra Kid si alzò velocemente dalla panca, prese il suo giacchetto di pelle da una sedia poco più in là, e raggiunse la porta del Diner. “Vado a prendere quella siringa, se c’è sempre. Ci vediamo dopo.” Due secondi ed era già sparito nel caldo del deserto. Il silenzio cadde di nuovo intorno al tavolo, poi Joshua si alzò improvvisamente, afferrò la collana dal tavolo e uscì anche lui. L’altro ragazzo era già partito con la macchina, e in giro sembrava non esserci nessuno tranne Grace, seduta per terra con la schiena al muro dietro di lei. Stava armeggiando con quell’apparecchio infernale che usava per svuotare i distributori della Better Living, ma non appena si accorse di Showpony alzò lo sguardo verso di lui. “L’avete trovata?” chiese speranzosa.

“Non ancora, Grace. Ma ci siamo quasi.” Al ragazzo non piaceva dover mentire, ma stavolta era molto meglio della verità: non sarebbe stato bello dire alla bambina che non avevano la minima idea di dove fosse finita Eve, e se fosse in buone o cattive mani. Con un sorriso malinconico le scarruffò i capelli ricci e poi svoltò l’angolo, ritrovandosi da solo. Si appoggiò con la schiena al muro e sospirò, stanco. Si accorse solo in quel momento che aveva la mano destra stretta ancora a pugno. La portò all’altezza del suo viso e l’aprì: il sasso della collana brillava alla luce del sole, e la cosa non fece altro che rattristire Joshua ancora di più.

Era impossibile che soltanto fino a poche ore prima stesse sfrecciando lungo la strada che attraversava la Zona 7 in compagnia di Eve. Era successo tutto così velocemente, talmente in fretta che adesso gli sembrava quasi un sogno, un’allucinazione. Si aspettava che da un momento all’altro la ragazza uscisse dalla porta del garage e gli chiedesse perché era così triste; e di sicuro alla sua risposta avrebbe riso e detto: “Sei un idiota paranoico. Secondo te riuscirebbero a prendermi così facilmente?”

Evidentemente sì.

Era così concentrato sui suoi pensieri che fece un salto quando sentì il rombo di una macchina che arrivava: alzò lo sguardo e vide Kobra Kid fermare la macchina lì vicino e scendere con un oggetto in mano. “Allora?” chiese speranzoso.

Il biondo sollevò la siringa, facendola risplendere al sole. “Completamente vuota, non ne è rimasta nemmeno una goccia. Sarà utile soltanto a spaventare mio fratello.” Seguito dalla risatina quasi forzata di Joshua, rientrò dentro il Diner insieme a Grace. Il ragazzo coi capelli blu rimase da solo fuori nel deserto, a fissare un punto imprecisato all’orizzonte: non ce la faceva più a rimanere lì fermo, senza fare niente. C’era soltanto una cosa che potesse fare per avere informazioni su Eve, e l’avrebbe fatta.

Entrò dentro il garage, si spogliò e si infilò la maglia bianca con la scritta NOISE, le calze e i pattini, afferrò il casco appoggiato su un tavolo e uscì di nuovo fuori. Fece un cenno a Fun Ghoul, dentro il Diner, poi si mise il casco in testa e sfrecciò via lungo la strada, senza smettere per un solo attimo di pattinare il più velocemente possibile. E, mentre pattinava, nella sua testa girava una sola e unica domanda.

Dove sei finita?

 

Joshua arrivò al rifugio del Dr. Death Defying mezz’ora dopo e ci si fiondò dentro: sapeva che il Dj non c’era, ma aveva bisogno delle sue apparecchiature, soprattutto della sua radio. Si fermò davanti al tavolino più ingombro di roba, si tolse il casco e iniziò a collegare e scollegare fili, a premere bottoni e a spengere e accendere lucine. Sapeva perfettamente cosa stava facendo, il Dr. D gli aveva insegnato come far funzionare tutta quell’ ‘ammucchio di roba tecnologica’ (come lo chiamava il Dj) in caso di necessità. Dopo un paio di minuti, Showpony collegò il microfono alla radio e inserì il filo che lo collegava al canale che desiderava. Le interferenze iniziali lo fecero preoccupare, ma poi una voce familiare e allegra risuonò nella stanza dall’altoparlante. “Dr D! Quale strana coincidenza ti ha fatto finire sulle mie frequenze? Sono mesi che non ci sentiamo!

“E mi sa che non vi sentirete ancora per un pò, Bob,” disse Joshua senza riuscire a reprimere un sorriso. “Sono Showpony.”

Bè, mi fa piacere sentire anche te, Mercurio,” replicò la voce con la stessa cordialità. Bob era un vecchio amico del Dr. Death Defying con una strana fissa per la mitologia, e chiamava sempre il ragazzo coi capelli blu ‘Mercurio’, come il messaggero degli dei romani. Era anche uno straordinario hacker, sempre infiltrato dentro la rete di notizie della Better Living, e talvolta Joshua si era chiesto se per caso fosse parente di Bubble Tower, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo: tra i Killjoys meno si sapeva delle famiglie dei propri compagni e meglio era, e in caso affermativo non voleva essere Showpony a dargli la notizia della morte del figlio. “Che posso fare per te?” continuò l’uomo.

Joshua deglutì, si schiarì la gola e si avvicinò ulteriormente al microfono: ora veniva la parte più difficile. “Ho bisogno di sapere se… se tra le frequenze di Battery City è passato il nome di una persona. In questi ultimi giorni, voglio dire.”

Chi?

Esitò. “Lethal Bloody Venom.”

Il silenzio dall’altra parte era interrotto soltanto dai rumori delle dita su una tastiera. Mentre cercava, Bob chiese: “È quella ragazzina arrivata un anno fa, vero?” Alla risposta affermativa di Showpony, continuò: “Grande ragazza, senza dubbio. Fino a qualche mese fa il suo nome girava continuamente sulle frequenze di Korse. Non ho mai conosciuto una Killjoy così giovane e così dotata. Mi piacerebbe incontrarla, una volta o l’altra.

Adesso non mi sembra decisamente il momento ideale, pensò amaro il ragazzo. Attese qualche altro minuto di silenzio prima di chiedere: “Allora?”

Sentì gli ultimi ticchettii, poi la voce dell’uomo disse, dispiaciuta: “Mi dispiace, ma non c’è.

Joshua deglutì e si impose di mantenere la calma. “E il nome Eve?”

Seguì qualche secondo di silenzio, poi dall’altoparlante uscì il ticchettio di una tastiera. “So che non dovrei chiederlo per tutta la faccenda dell’identità segreta, ma… è il suo vero nome?” chiese Bob mentre cercava di nuovo.

“Sì, ma stai tranquillo. Ormai lo conosce tutta la Better Living,” replicò l’altro acido.

Non così tanto come dici tu. Il suo nome non compare nelle ultime trasmissioni.

Showpony represse a fatica la preoccupazione e la delusione, e si limitò a salutare l’uomo e a chiudere la conversazione. Si mise a sedere su uno dei tavoli vicini, dondolando le gambe avanti e indietro. Li aveva visti, cazzo. Li aveva visti prendersi la sua Eve e caricarla nella loro macchina. Erano stati loro a prenderla, ma il nome della ragazza non compariva da nessuna parte. Dove diavolo l’avevano portata?

Si prese la testa tra le mani. Era tutto iniziato quella maledetta mattina, in mezzo al deserto…

*
Waaaah, è già passato un mese dal concerto, Sunshines. Che tristezza ç____ç Mi ricordo quella serata come se fosse ieri. *si butta nel suo angolino triste a piangere*
AnyWay, le recensioni prima di tutto ù.ù E lascio sfogare la vostra perversa fantasia su Bob.
Momoka chan: ehi, Angel!! Benvenuta a bordo di questa scassata ciurma, il capitano ti saluta! Hai ragione, questa storia è diventata anche un pò la mia droga, non riesco a smettere di scriverla... ma dai, se non trattasi male Eve probabilmente non saprei nemmeno cosa scrivere! è_é AHAH La cosa del film fa ridere anche me, è una cazzata assurda che puoi vedere solo nei film o nei fumetti... (trigonometria? La cosa non mi sembra per niente simpatica... mi dici che classe fai, così mi preparo psicologicamente se mai dovrò affrontarla? o_O)
LudusVenenum: *si fa piccola piccola* Ehm, ehm... Lascio scorrere via la tua incazzatura e spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Ma ti prego, non spararmi! D:
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
(Ehm... no, per ora non c'è un conto alla rovescia. Spero di farne uno nuovo quando sapremo la data di uscita di Sing It For The Japan.)

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Capitolo 3
*** Memories. ***


Memories.

 

Yes, I will see you through the smoke and flames, on the front lines of war…

“Come, scusa?”

“Sono gli Escape the Fate. This War Is Ours, The Guillotine Part II.”

“Se lo dici tu…” Joshua voltò lo sguardo alla sua destra e guardò il deserto poco distante da lui. La macchina continuava a sfrecciare lungo la strada durante il primo giro di ricognizione delle Zone della settimana. Si voltò di nuovo verso la ragazza accanto a lui. “Ma un titolo più corto gli faceva schifo?”

“Che ne so! Non ho mai ascoltato molte loro canzoni, solo questa e un altro paio…” Eve rallentò quasi bruscamente e poi accelerò di nuovo. Joshua guardò la sua espressione concentrata e scoppiò a ridere. “Ma sei sicura di saper guidare quest’auto?”

“Se ti fa schifo il modo in cui guido, signor Showpony, ti mollo sul ciglio della strada seduta stante,” replicò lei con un sorrisetto cattivo. “E non mi sembra che tu sia molto più bravo di me.”

“Sono più giovane di te, considerala un’attenuante.”

“Attenuante un corno! Hai soltanto un mese meno di me, e sedici anni li hai già compiuti. Non vedo perché non dovresti imparare a guidare.”

“Sinceramente mi fido molto di più dei miei pattini che di un ammasso di ferraglia come questo.”

Eve tamburellò le dita sul volante. “Ti ricordi che questo ammasso di ferraglia mi ha salvato la vita in un paio di occasioni, ed eri presente anche te, in te stesso o meno.” Si tappò al volo la bocca e distolse lo sguardo, imbarazzata, consapevole di cosa aveva appena detto: la seconda volta Joshua era accanto a lei, ma la prima era dietro la macchina in sella a un moto, vestito da Draculoide. Il ragazzo non replicò e guardò fisso davanti a sé, per poi sbirciare con la coda dell’occhio l’orlo della maglietta della ragazza, da dove la benda bianca che le fasciava il petto faceva capolino. Gli si strinse il cuore al ricordo di cosa era successo quella notte di quasi cinque mesi prima, ma poi fece sparire la sua espressione triste e sorrise a Eve. “Io penso che i pattini siano meglio.”

“Ma pensa un po’ cosa ti pare! Non mi metterò certo a litigare con un’idiota come te!” fu la replica, accompagnata da una linguaccia.

La radio dell’auto crepitò un paio di volte, poi la ragazza la sintonizzò sul canale che voleva parlare con loro. I rumori dall’altra parte aumentarono piano piano di volume, finchè una voce familiare disse: “La volete piantare di litigare come due cretini?”

“È lui che mi provoca!” protestò Eve.

“COSA? Ma sei te quella che guida male!” replicò Showpony.

“Piantatela. Abbiamo bisogno di aiuto nella Zona 4, ci sono delle nuove telecamere da sistemare,” disse Fun Ghoul, stanco di quel battibecco.

“Ricevuto, arriviamo tra due minuti.” Eve spense la comunicazione, spinse l’acceleratore a fondo e iniziò a sfrecciare sulla strada: se Kobra Kid fosse stato presente, sarebbe stato molto fiero di lei. La radio iniziò a crepitare di nuovo, ma il moro riuscì a dire “E comunque, è tutta colpa di Showpony” prima di interrompere la comunicazione. La ragazza sorrise soddisfatta e si voltò verso l’altro. “Visto?”

“Non vale, lui ti dà ragione sempre e comunque!” A quella protesta, Eve rise e continuò a sfrecciare lungo la strada.

Raggiunsero la Zona 4 in pochi minuti, e da lontano notarono subito il giacchetto rosso di Kobra Kid e il fumo della sigaretta che Fun Ghoul si era acceso. Parcheggiarono sulla strada e li raggiunsero in mezzo al deserto: appena li vide arrivare, il moro spense la sigaretta e sfoderò la sua pistola a raggi. “Dove sono gli altri?” chiese la ragazza mentre estraeva la sua e Joshua faceva altrettanto.

“Jet è andato dal Dr. D e Party è rimasto al Diner con Grace. Gli ho detto che potevamo cavarcela da soli,” rispose Kobra Kid, con la sua arma già in mano. Mise il primo colpo in canna e sorrise ai due nuovi arrivati.

Non ci volle molto tempo per distruggere le telecamere con un colpo secco, sicuro e fermo, e in meno di dieci minuti le avevano già sistemate tutte e sei. Pure troppo facile. “Mi chiedo perché si ostinino a mettere questo tipo di telecamere se sanno già che le faremo a pezzi,” commentò Joshua mentre si avviavano di nuovo verso la macchina.

“Prova a chiederlo a Korse la prossima…” Kobra Kid non riuscì a finire la frase: Fun Ghoul estrasse di nuovo come un fulmine la sua pistola, la puntò verso un punto imprecisato alle spalle del biondo e fece fuoco, sfiorando per un soffio la spalla dell’amico. Che lo guardò scioccato e esclamò: “MA SEI RINCOGLIONITO?!”

“Girati, idiota, abbiamo visite,” fu la secca risposta dell’altro. Kobra Kid si voltò e tirò fuori la sua pistola a raggi, imprecando mentre il gruppo di nuovi arrivati avanzava verso di loro. Eve fu la seconda ad aprire il fuoco e colpì in pieno petto uno dei Draculoidi più vicini a lei, facendogli sfuggire un urlo di dolore. Joshua le diede man forte e iniziarono a lavorare in coppia, sempre ben attenti a non allontanarsi troppo dagli altri due ragazzi.

Improvvisamente Showpony, Kobra Kid e Fun Ghoul si ritrovarono accerchiati. Il ragazzo coi capelli blu non smise per un solo attimo di fare fuoco, imitato dagli altri due, ma si bloccò non appena notò che Lethal Bloody Venom non era più accanto a lui. Si diede un’occhiata intorno, preoccupato, e poi la ritrovò qualche metro in là, impegnata a tenere a bada altri tre aggressori lontani da lei: si muoveva veloce ed agile, ma ogni volta che riusciva a colpirne uno doveva subito prepararsi al contrattacco di uno degli altri due. Il ragazzo non perse tempo, riuscì ad uscire dall’accerchiamento e sparò nella schiena del Draculoide che gli dava le spalle, facendolo crollare davanti a Eve. Lei guardò Showpony confusa e lui urlò per attirare l’attenzione degli altri due: “Ehi, facce di plastica! Sono qui, venite a prendermi!”

“Joshua, che ca…?” iniziò la ragazza, ma i Draculoidi lo avevano già raggiunto. Joshua non si fece problemi ad affrontarli entrambi contemporaneamente, e a un certo punto, con la coda dell’occhio, vide che Kobra Kid e Fun Ghoul erano riusciti a raggiungere la macchina: il biondo era entrato dentro e aveva acceso il motore, mentre l’altro teneva lontani gli ultimi Draculoidi che si aggiravano intorno a lui. “Avanti, salite! Non li tratterrò per molto!” urlò mentre sparava nella fronte di uno che gli si era avvicinato troppo.

Showpony finì di liberarsi dal suo ultimo aggressore, poi cercò di nuovo Eve con lo sguardo: era poco più in là, e sembrava che tutti i Draculoidi ancora vivi si fossero concentrati solamente su di lei. “Eve, andiamo!” le urlò, ma lei non lo sentì, concentrata com’era sui suoi nemici. Fece per avvicinarsi, ma la ragazza si voltò improvvisamente e gli urlò di rimando: “Vai tu, Joshua, io resto qui!”

Cosa? pensò il ragazzo incredulo. “Non sparare stronzate, lasciali perdere e raggiungi la macchina!”

“Se qualcuno non li trattiene qui, ci inseguiranno e ci prenderanno più facilmente!” continuò lei mentre controllava l’avanzata dei Draculoidi. Vedendolo non ancora del tutto convinto, urlò: “JOSHUA, SALVATI! LI TRATTENGO IO!”

Un Draculoide le si avvicinò e le strappò la pistola di mano, lanciandola verso Showpony, che la raccolse e rimase un attimo a guardare Eve. Puntò entrambe le pistole verso il Draculoide, ma si bloccò quando lui ne puntò un’altra al petto della ragazza. “Eve, non posso…” mormorò.

“Joshua.” La sua voce era stranamente calma, come se stesse accettando tutto questo. “Se spari a loro, lui sparerà a me. Non ne vale la pena.” Fece una pausa. “Voi tre scappate, a loro ci penso io.” Al silenzio del ragazzo urlò: “SCAPPATE!”

Il ragazzo rimase indeciso ancora un momento, poi fece dietrofront con le lacrime agli occhi e si infilò dentro l’auto, dentro la quale c’erano già Kobra Kid e Fun Ghoul, che avevano seguito tutto il discorso. Il biondo mise il piede sull’acceleratore e sfrecciò lungo la strada mentre Joshua fissava dal lunotto posteriore il pezzo di strada dietro di sé: vide Eve caricata sulla macchina nera della Better Living, e quando la portiera si chiuse non riuscì a trattenere un urlo. Si accasciò sul sedile e le lacrime iniziarono a scorrergli lungo le guance.

*
Allooooora, Sunshines. Vi comunico che dal prossimo capitolo si torna al punto di vista di Eve, quindi contenete la vostra curiosità fino a lunedì, se ci riuscite D: E qualcuna di voi sa mica quando dovrebbe uscire SING It For The Japan? (A proposito... il Director's Cut di SING. Sarò scema, ma con quei rumori di raggi laser in sottofondo ogni volta mi ci prendono le risate.)
Oh, e amo davvero "This War Is Ours, The Guillotine Part Two." Non ascolto molto gli Escape The Fate, ma ho un debole per quella canzone e The Situations.
Recensioni!
Maricuz_M: bentornata!! Eh sì, stavolta ho deciso di iniziare subito nel bel mezzo dei fatti (si dice 'in medias res'... colpa del mia ex prof di italiano, sorry -.-'), ma il prossimo capitolo soddisferà la tua curiosità, promesso!
LudusVenenum: AHAH Era impossibile non sfottere il Gerardo, mi è venuto a dir poco spontaneo XD E continua pure coi tuoi monologhi con la tua coscienza, mi consola sapere non essere l'unica :D
Momoka Chan: i capelli di Rayyyyy *esulta* SIII, ho anch'io quella maglia (anche se mi ispirava parecchio anche quella con su scritto BLind), più un altro paio non ufficiali, dovevo rifarmi il guardaroba XD Io il classico? Ma non farmi ridere, sono in una rispettabilissima 2 liceo linguistico, e il fatto di chiamare Joshua Mercurio mi è venuto così u_u Ehi, e grazie per i complimenti!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!

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Capitolo 4
*** A beautiful lie. ***


A beautiful lie.

 

Al mio risveglio ero consapevole che c’era qualcosa di strano. Lo capii da due cose: quel tremendo mal di testa mi era passato e avevo cambiato la posizione in cui ero. Mi ricordavo vagamente che prima del blackout (o qualunque cosa mi fosse successa) ero seduta su una sedia, ma adesso ero sdraiata su un materasso. Un materasso estremamente morbido e confortevole, di quelli che sembrano riempiti di nuvole, e mi dava l’impressione che ci sarei potuta affondare dentro da un momento all’altro. Mi rigirai nel dormiveglia per un paio di volte, poi mi sdraiai sul fianco sinistro e aprii gli occhi.

La stanza dove mi trovavo era immensa, considerando che la occupavo solo io: la parete opposta al letto dove ero sdraiata doveva distare almeno quattro metri. Lì campeggiava un altrettanto enorme armadio di un bianco abbagliante, quasi fuori posto contro la parete azzurra. A sinistra, sulla parete accanto, una scrivania di legno faceva mostra di sé insieme a un’immensa sedia girevole nera e con uno schienale alto persino più di me, e sul ripiano di legno un computer portatile aspettava soltanto di essere aperto e usato. L’ultima parete, quella alla mia destra, era quella che conteneva la porta, anch’essa bianca e lucida come l’armadio.

Mi sedetti lentamente sul letto e stirai le braccia, appoggiandomi con la schiena alla parete dietro di me. La luce entrava da una finestra alla mia sinistra, e riuscivo a vedere un enorme paesaggio di grattacieli che si stagliavano contro il cielo grigio e coperto di nuvole. Nonostante questo, il sole riusciva comunque a fare capolino e i suoi raggi riuscivano a penetrare dentro la camera, facendomi sentire meno sola. Anche se avrei voluto lo stesso che con me ci fosse… ci fosse…

Dio, come si chiamava era la persona di cui avevo bisogno in quel preciso istante?

Mi presi la testa tra le mani e cercai di concentrarmi: sapevo chi era, o meglio, sapevo che c’era qualcuno che volevo al mio fianco, ma il suo nome e il suo volto mi sfuggivano nella mente come il fumo tra le dita. Mi sforzai ulteriormente, ma una nuova e improvvisa fitta alla testa mi mozzarono il fiato e desistetti nel tentativo: come per magia, il dolore sparì.

Ho… ho perso la memoria? pensai impaurita. Sapevo che perdere la memoria non era affatto divertente, ma la cosa più importante adesso era mantenere la calma. Mi tolsi gli anfibi che portavo ai piedi, li poggiai sul pavimento e incrociai le gambe, facendo un respiro profondo. Okay, domanda semplice, mi dissi. Il mio nome.

Questa era una cazzata. Mi chiamavo Eve, Eve Blackshadow. Niente soprannomi, niente secondi nomi.

Età.

16 anni compiuti il 23 maggio.

Vengo da…

Aggrottai la fronte. Da dove venivo, dove ero nata? Mi concentrai di nuovo, ma una seconda fitta mi colpì la testa, facendomi uscire dalla bocca un gemito di dolore. Vagai nella mia testa a lungo per cercare altre informazioni, ma non c’era nient’altro. Solamente il buio, e gli unici ricordi che avevo iniziavano dal momento in cui mi ero svegliata, e avevo anche una vaga consapevolezza di essere stata seduta da qualche parte prima che mi svenissi o mi addormentassi. Basta.

Abbandonarmi alla disperazione mi sembrava un’ottima alternativa, ma capivo che non mi avrebbe portata a nulla. Mi alzai controvoglia dal letto e vagai per la stanza azzurra, raggiungendo l’armadio bianco. Un luccichio alla mia destra attirò la mia attenzione e mi voltai in quella direzione, incontrando il mio riflesso. Lo osservai attentamente: avevo la pelle bianca come un vampiro, i capelli corti e tinti di rosso fuoco, gli occhi castani ed ero vestita in un modo stranissimo. A parte gli anfibi che mi ero tolta, indossavo un paio di jeans che dovevano risalire a qualche anno prima tanto erano consumati, un giacchetto di pelle arancione e verde scuro su cui erano ricamate le iniziali L.B.V. (cosa significassero, era un mistero. Che fossero una decorazione?), un foulard amaranto legato al collo e una maglietta rossa e gialla. Guardai stranita un’ultima volta lo specchio, poi mi tolsi il giacchetto e il foulard per il caldo che avevo e li posai sulla sedia; quando mi voltai di nuovo verso il mio riflesso, trattenni un urlo di orrore.

La maglietta era a maniche corte, e mostrava le mie aggraziate braccia bianche, ricoperte di cicatrici rossi di diverse dimensioni. Sembravano molte vecchie, ma probabilmente sarebbero rimaste per sempre: ne toccai una impaurita, e la ritrassi quando il solo contatto del mio dito con la crosta mi fece rabbrividire. Deglutii, e mi accorsi che parte di una benda mi spuntava da sotto la maglia: tremando, mi levai la t-shirt e scoprii un’enorme benda che mi fasciava tutto il petto. C’era una minuscola macchia rossa sotto il mio seno sinistro: incuriosita, tolsi lentamente e dolorosamente la benda finchè non portai alla luce il foro di un proiettile, con ancora del sangue incrostato. Fissando quel buco nero mi si riempirono gli occhi di lacrime: che cazzo mi avevano fatto?

Stavo ancora fissando quel buco nero come ipnotizzata quando la porta si aprì e una voce femminile che non era la mia risuonò nella stanza. “Allora, dormito…” Si bloccò non appena notò che ero mezza nuda e senza benda, e si affrettò verso di me mormorando qualcosa tra sé e sé. Si mise a cercare qualcosa nell’armadio accanto a me, e ne approfittai per osservarla meglio: aveva i lineamenti tipici giapponesi, capelli neri a caschetto e indossava un tailleur grigio che mi metteva soggezione. La donna si avvicinò a me con un rotolo di garza in mano e, con gesti lenti e calcolati, fasciò di nuovo il mio petto, coprendo di nuovo la ferita. “Va meglio, ora?” mi chiese quando ebbe finito. Feci un cenno di assenso con la testa, incuriosita dal suo comportamento: per me era una perfetta sconosciuta, ma dai suoi gesti e dalle sue parole sembrava che mi conoscesse da sempre e si preoccupasse per me. Che mi fossi scordata anche di lei?

Rimise la garza dentro un cassetto dell’armadio e tirò fuori una maglia bianca a maniche corte, e me la porse. “Dai, mettitela. Non dovresti prendere freddo, potresti ammalarti,” continuò premurosa.

Titubante, presi la maglia e me la infilai, senza smettere per un solo secondo di fissare la donna. Quando fui pronta, mi rivolse un sorriso soddisfatto. “Come stai?”

“Bene… bene, credo,” dissi. Mi morsi il labbro inferiore. “So che può sembrare una domanda strana da fare, ma… cosa mi è successo?”

L’espressione di lei si fece confusa e allo stesso tempo allarmata. “Non te lo ricordi?”

Scossi la testa, quasi come se mi vergognassi. “Quando mi sono svegliata non ricordavo più niente. So solamente il mio nome e quanti anni ho, ma non so da dove vengo, non so chi sono i miei genitori…” Feci un sorriso imbarazzato. “Ad essere sincera, non so nemmeno dove sono e come ci sono finita.”

La donna adesso sembrava terribilmente a disagio, come se dovesse dirmi qualcosa ma non ne avesse voglia o non riuscisse a trovare il coraggio per farlo. L’unica cosa che riuscì a fare fu mormorare: “Penso che tutto sarà più facile se ti siedi.”

Deglutii. Col cuore che mi batteva all’impazzata come se dovesse scoppiare da un momento all’altro, mi sedetti lentamente sulla grande poltrona nera e fissai la donna, aspettando che iniziasse a parlare. Dopo qualche minuto di silenzio indicò le mie braccia e disse: “Immagino che non ti ricordi nemmeno come ti sei fatta quelle, vero?”

Annuii.

“Bè…” Afferrò uno sgabello che non avevo notato prima e si sedette davanti a me, senza smettere di fissarmi con i suoi occhi castani. Fece un respiro profondo prima di iniziare a parlare. “Hanno distrutto la tua casa, quattro giorni fa. Vi hanno piazzato dentro una carica di dinamite e l’hanno fatta esplodere, con dentro i tuoi genitori. A quanto pare tu sei riuscita a uscire dalle macerie, l’unica ancora viva, e hai provato a scappare, ma loro ti hanno sparato nel petto per fermarti e poterti prendere. Ti hanno portato in una baracca sperduta da qualche parte nel deserto, non lontano da dove abitavi, e ti hanno torturato per tre giorni. Sono loro che ti hanno lasciato quelle cicatrici sulle braccia, usando degli aghi e altre cose. Non so cosa volessero farti, ma alla fine ti hanno iniettato qualcosa nelle vene e sono scappati mentre arrivavamo noi. Ti abbiamo trovata legata ad una sedia, incosciente, e ti abbiamo portata qui per guarirti.”

Quando il silenzio calò di nuovo nella stanza, mi sembrò che un immenso macigno mi stesse schiacciando con tutto il suo peso. I miei genitori, morti. La mia casa, distrutta. Il mio corpo, torturato. Le lacrime mi salirono agli occhi: perché mi ero dimenticata tutto questo? Volevo che tutto mi ritornasse in mente, volevo vedere per un’ultima volta il volto di mia madre e mio padre, il luogo dove ero cresciuta, i visi di chi mi aveva fatto tutto questo per potermi vendicare. Toccai la benda sotto la mia maglietta e rabbrividii. La donna notò il mio tocco e disse: “Ti hanno curato e fasciato loro la ferita. Non so perché l’abbiano fatto, ma di sicuro volevano tenerti in vita.”

“Che gesto nobile,” mormorai sarcastica. Al solo pensiero che qualcuno mi avesse guarita per potermi torturare non riuscii a fermare le lacrime e loro iniziarono a scorrermi lungo le guance inesorabilmente, senza che io potessi fare niente per fermarle. La donna si alzò velocemente dallo sgabello e mi raggiunse, abbracciandomi stretta come una madre. “Ssh, tranquilla, va tutto bene. Sei al sicuro adesso.”

Affondai il viso nel suo petto e piansi senza ritegno, desiderosa soltanto di un poco di affetto e consolazione. Quando mi fui un po’ calmata mi staccai da lei, e notai con imbarazzo che aveva bagnato la sua camicia bianca con le mie lacrime. Le mie guance divamparono e le sentii diventare rosse come il fuoco. “Mi… mi scusi, non volevo sporcargliela,” mi scusai a bassa voce. Lei, per tutta risposta, rise. “Dammi del tu, non mi sento ancora così vecchia. E figurati, farei di tutto per la figlia di un’amica, Eve.”

La guardai scioccata. “Come fa… come fai a conoscere il mio nome?”

“Io e tua madre eravamo amiche da sempre, Eve. Aiutarti dopo la sua morte è il minimo che possa fare.” Si avvicinò di più al mio volto. “E ti aiuterò a vendicarti, se è quello che vuoi.”

Sgranai gli occhi di fronte a quella proposta. “Dici sul serio?”

“Certo.” Sorrise. “Anch’io vorrei vendicare la morte dei tuoi genitori, ma penso che tu abbia più bisogno di questa vendetta rispetto a me. Hanno distrutto la tua famiglia e la tua casa e ti hanno torturata come se fossi un pupazzetto che non sente dolore. Posso aiutarti a far in modo che loro provino lo stesso dolore che hanno inflitto a te, se non uno ancora più grande.”

Riflettei su quella proposta: in corpo avevo un fuoco che mi bruciava inesorabilmente, e le mani mi prudevano da tanta voglia avevo di sistemare questa faccenda. Volevo vedere le facce di quegli assassini davanti a me, volevo ucciderli uno per uno da sola, volevo vendicarmi per ogni singola ferita che avevo sul mio corpo e nella mia anima. Questo non avrebbe riportato indietro i miei genitori e non mi avrebbe ridato indietro la mia vecchia vita, ma di sicuro mi avrebbe fatta stare meglio. Molto, molto meglio. Guardai la donna con sicurezza. “Dimmi come fare.”

Fu allora che accade una cosa strana: nei suoi occhi passò un guizzo, un lampo veloce, che sparì veloce come era arrivato. Aggrottai le sopracciglia, confusa, poi mi rilassai di nuovo: insomma, quella donna voleva aiutarmi, voleva lenire il dolore che mi avevano inferto. Come poteva essere passato un lampo di soddisfazione nei suoi occhi, come se fosse stata sicura che avrei scelto la via della vendetta, come se un suo piano avesse funzionato? Lasciai perdere e mi alzai lentamente dalla sedia mentre lei si avviava verso la porta e la apriva su un corridoio bianco. “Scusa, non mi sono ancora presentata. Sono Airi Isoda,” mi disse con sorriso.

“Sei giapponese?” le chiesi ingenuamente.

Si lasciò scappare una risata. “Di nome e di fatto. Forza, vieni con me.” La seguii fuori dalla stanza e dentro un labirinto di corridoi bianchi che a me sembravano tutti uguali. Pensavo che ci saremmo perse, ma Airi mi condusse fino all’ascensore senza problemi. Entrammo dentro e ci dirigemmo verso il quindicesimo piano, un po’ più in basso. Quando le chiesi dove stessimo andando, rispose: “All’archivio. Ci sono tutte le informazioni su tutti i tuoi rapitori, e hai bisogno di più informazioni possibili per quello che devi fare.”

Annuii, poi dissi: “Non mi hai ancora detto chi sono.”

“È un gruppo di ribelli che vive lontano dalla città, nella Zona 5, in pieno deserto,” disse disgustata, come se stesse parlando di insetti invece che di esseri umani. “Si fanno chiamare The Fabulous Killjoys. Che nome idiota,” commentò con una risata acida.

“E… io dove sono adesso?” chiesi cauta.

“Tranquilla, sei molto lontana da loro, al sicuro. Sei a Battery City, in un grattacielo nel pieno centro della città. Anzi, lascia che ti dica…” disse mentre le porte si aprivano su un corridoio, dove in fondo, sul muro, campeggiava il disegno di una faccina nera sorridente.

“Benvenuta alla Better Living, Eve.”

*
Stasera mi girano, Sunshines. Ho fatto casino col mio account su fanfiction.net e non riesco più a entrarci. E avevo mandato una mail a una ragazza per chiederle se potevo tradurre la sua storia sui Killjoys e postarla qui su EFP. Qualcuno mi uccida, vi pregooooo ç_________ç
AnyWay, ora sapete che fine ha fatto Eve. Spero siate contente ù.ù
Il titolo del capitolo è ispirato alla canzone "A Beautiful Lie" dei 30 Seconds To Mars ("Davvero? Non l'avrei mai detto ù.ù" "Piantala di rompere, Evelyn!") e Airi Isoda è la (stronza) giapponese del video di SING, ma nei ringraziamenti di Danger Days è indicata come NewsAGoGo, la vocina che sclera durante Party Poison.
Kumiko_Chan, scusa se non ti rispondo, ma sono un pò di fretta D: Sono contenta che tu sia tornata, mi sei mancata, Sunshine ^_^
LudusVenenum: ooh, l'overdose di nesquik *va a farsela anche lei* Happy Gee-day in ritardo!
Maricuz_M: grazie mille per i complimenti e sì, anch'io adoro quei due deficienti quando sono insieme *-*
Vampire_Zombie: GIOOORNO!! Benvenuta in questo manicomio, spero che la permanenza ti sia gradita! Grazie per i complimenti, sono contenta di 'averti ispirata' *si sente inutilmente potente*
Momoka chan: boh, ormai ho perso il conto anch'io o_O AHAH A dire la verità non ricordo cosa stavo ascoltando mentre scrivevo il capitolo precedente, ma sono sicura che non fosse Save Yourself. Però sì, l'influenza c'è, soprattutto in quel "JOSHUA, SALVATI! LI TRATTENGO IO!" Eh sì, sono solamente in seconda... grazie per i complimenti, però! :D
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!

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Capitolo 5
*** Vendetta, that's so sweet. ***


Vendetta, that’s so sweet.

 

Qualche ora più tardi ero di nuovo nella ‘mia’ (se potevo definirla in questo modo) stanza. Ero seduta sul letto a gambe incrociate, con una maglia bianca e un paio di jeans puliti, e mi sentivo più pulita anche sul corpo: la doccia che avevo fatto nel mio bagno privato aveva aiutato decisamente anche il mio umore. Non che il fatto di aver perso la memoria fosse divertente, ma il pensiero di avere uno scopo da portare a termine mi rallegrava, in qualche modo. Avevo qualcosa in cima alla lista delle mie priorità, qualcosa che dovevo completare: al resto avrei pensato in seguito.

Fissai un attimo impaurita la pila di sei cartelle accanto a me: ero davvero sicura di volerle aprire, di voler vedere i volti di chi aveva distrutto la mia vita? Chiusi gli occhi e mi feci forza, afferrando la prima della pila e aprendola.

Le foto che vi trovai dentro era due: una era in bianco e nero, con una croce rossa e la scritta EXTERMINATE sopra. La lasciai perdere e mi limitai ad osservare l’altra, che sembrava tratta da un video di sorveglianza: in primo piano c’era un ragazzo di trent’anni con addosso un giacchetto di pelle blu e un paio di pantaloni bianchi, sporchi per la polvere del deserto. Osservai il suo volto con attenzione e feci una risatina: era pallido come me, aveva gli occhi verdi più belli che avessi mai visto e i capelli di un insolito rosso fuoco come il mio. Ma la cosa che mi faceva ridere era la ridicola mascherina gialla che portava appesa al collo: dove pensava di essere, a Carnevale? Lessi velocemente la scheda allegata per trovare il suo nome. O meglio, il suo soprannome: Party Poison, il Veleno della Festa. Aggrottai le sopracciglia davanti a quello strano nome, poi chiusi la cartella di scatto e passai alla successiva.

La scheda successiva apparteneva a un ragazzo di età simile al primo, con gli stessi occhi e pelle, ma con dei capelli di un biondo accecante. Il giacchetto rosso e l’espressione da duro lo facevano sembrare quasi temibile, ma mi chiesi se fosse davvero così in realtà. Il suo nome era Kobra Kid, il Ragazzo Cobra, e a quanto pareva era il fratello del rosso. Ed effettivamente, confrontando le loro foto, notavo una certa somiglianza: non solo nel colore degli occhi e nella pelle pallida, ma anche nei tratti del viso e nella loro espressione.

Il turno successivo fu quello di un altro ragazzo con un paio di occhiali da sole in faccia e un giacchetto di pelle nero. Non fu tanto il suo abbigliamento a colpirmi, quanto la massa di ricci castani che aveva in testa: sembrava che avessero vita propria e scorazzassero da tutte le parti a loro piacimento. Fu la cosa che mi impressionò di più in Jet Star, la Stella Jet.

Mi aspettai che la prossima cartella fosse quella di un altro ragazzo ancora, ma mi stupii quando davanti mi comparve la foto di una bambina di dieci anni, con la stessa pelle scura e la matassa di ricci di Jet Star. Che sia sua figlia? mi chiesi, incuriosita: non trovavo altra spiegazione per cui una bambina di quell’età fosse finita in mezzo a un gruppo di ribelli. L’ipotesi che l’avessero rapita mi sembrava poco plausibile, anche perché nella foto sorrideva in braccio a un altrettanto sorridente Party Poison. E in quella foto per la prima volta lo vidi come un ragazzo normale, non come un nemico che dovevo affrontare: ma bastò il pensiero dei miei genitori e della mia casa distrutta a farmi chiudere di scatto la cartella e passare alla penultima.

Il nuovo ragazzo aveva ancora una volta gli occhi verdi, ma i capelli neri e lisci gli arrivavano fino alle spalle. Dalla foto sembrava un tappo rispetto agli altri, ma il sorrisetto malefico che aveva in faccia non lo rendeva meno pericoloso. Anzi, quel suo modo di sorridere me lo rese leggermente simpatico. Avrei potuto ucciderlo per ultimo, forse: perché era escluso che uno solo di loro rimanesse in vita. Neanche Fun Ghoul, il Diavolo del Divertimento.

Chiusi la cartella e afferrai l’ultima, quella che Airi mi aveva pregato di leggere dopo tutte le altre. Avevo seguito il suo consiglio senza nemmeno chiedermi il perché di quella strana richiesta, e mi affrettai ad aprire l’ultima cartella, quella con su scritto Showpony, Cavallino da Spettacolo : non c’era nessuna foto con la croce rossa, ma erano entrambe prese da dei filmati. Nella prima una ragazza con delle calze bianche a pois azzurri, un casco azzurro a pois bianchi e una maglia bianca con su scritto NOISE pattinava su una strada nel deserto. Tirai fuori l’altra foto e rimasi sorpresa nel vedere che la ragazza si era tolta il casco: non era una femmina, come avevo pensato, ma un ragazzo! Un ragazzo con quelli che mi sembravano due occhi grigi e degli improbabili capelli tinti di blu! Non riuscii a trattenere le risate mentre chiudevo anche quella cartella e la impilavo insieme alle altre: più che un gruppo di ribelli, sembravano una massa di idioti allo sbaraglio.

Eppure come erano riusciti a farmi così male?

Stavo ancora pensando a questa cosa quando la porta si aprì improvvisamente. Mi voltai di scatto: Airi entrò quasi timidamente nella stanza con un sorriso in volto e un bicchierino trasparente in mano. Al suo interno sembrava che ci fosse qualcosa, ma non riuscii a capire cosa. “Tutto okay?” mi chiese.

Annuii. “Ho dato un’occhiata alle cartelle che mi hai dato.”

“E che ne pensi?”

“Sinceramente?” Sospirai. “Non so… non sembrano così pericolosi come mi hai detto. Sono…” Stavo per dire Ragazzi come tutti gli altri, ma mi trattenni e dissi: “… normali.”

“Non farti ingannare dalle apparenze, Eve,” mi avvisò Airi mentre si sedeva accanto a me sul letto, stando attenta a non schiacciare le cartelle. “Ricorda cosa ti hanno fatto.”

“E come potrei scordarmelo?” borbottai tra me e me. L’atmosfera si era fatta decisamente più pesante e non riuscivo a sostenerla. Indicai il bicchierino trasparente per cambiare argomento. “Che c’è lì dentro?”

“Oh, giusto. Sono per te,” rispose, porgendomelo. Lo presi in mano e osservai il contenuto: cinque pillole della stessa forma, per metà bianche e per metà gialle o bianche o azzurre. Le guardai con aria interrogativa e poi mi rivolsi di nuovo verso la donna, con uno sguardo che chiedeva esplicitamente: E allora?

“Le prendiamo tutti, qui. dammi retta, ti serviranno per concentrarti meglio su quello che devi fare e per lenire un po’ il dolore,” mi spronò. Riportai lo sguardo sulle pillole, ancora non del tutto convinta: c’era qualcosa in fondo alla mia testa, come un presentimento, che mi diceva di lanciarle dalla finestra, di liberarmene… ma Airi era la persona che mi stava aiutando a riprendere la mia vita, che bisogno avrebbe avuto di mentirmi?

Alzai lentamente il bicchierino, portandomelo all’altezza degli occhi, poi lo portai alla bocca e ingoiai tutte e cinque le pillole in un colpo solo, sperando che non mi rimanessero incastrate da qualche parte nella gola o nello stomaco. Ma loro scivolarono giù perfettamente, e restituiti il bicchierino vuoto alla donna, che mi guardò soddisfatta e se lo infilò in una tasca del tailleur. Si alzò dal letto. “Okay. Vieni, devo farti conoscere una persona.”

“Chi?” le chiesi mentre mi infilavo le scarpe, uscivamo ancora una volta dalla stanza e raggiungevamo l’ascensore, per poi raggiungere il settimo piano.

“Non avrai mica pensato di arrivare allo scontro con i ribelli allo sbaraglio?” Rise. “Non so se prima di perdere la memoria sapevi usare una pistola a raggi o combattere, ma è meglio se qualcuno ti insegna a fare queste cose.” Si rifiutò di aggiungere altro e continuammo la nostra discesa in silenzio. Al settimo piano, le porte dell’ascensore si spalancarono direttamente su un’enorme palestra, che doveva occupare tutto il piano. Rimasi impressionata dalle dimensioni e dalla quantità di armi appese ai muri o sul pavimento: pistole e fucili a raggi, spade… sembrava che ogni tipo di arma esistente sulla Terra fosse stato radunato in quella singola palestra. Mi stavo ancora guardando intorno stupefatta quando una voce uscì da una porta nel muro. “Signorina Isoda.”

Mi voltai: alla mia sinistra, sulla soglia di una porta nel muro, c’era un uomo. Gli diedi almeno trentacinque anni, ma il suo fisico da sotto la maglia e i pantaloni bianchi sembrava quello di un ventenne. Un ventenne molto in forma, tra l’altro. Anche i corti capelli neri e gli occhi di uno strano colore tra il verde e il marrone contribuirono ad impressionarmi, e fu un miracolo se non crollai svenuta per terra con la bava alla bocca. Mi indicò con un dito. “È lei la ragazza?”

Airi annuì, poi si rivolse a me. “Eve, lui è Raphael. Sarà il tuo istruttore e lavorerete insieme in questa palestra.” Mi voltai verso l’uomo e gli rivolsi un timido cenno di saluto che tuttavia soddisfò la donna. Mi salutò prima di rientrare dentro l’ascensore e sparire.

Il silenzio che calò nella palestra era assolutamente imbarazzato. Non smisi per un solo secondo di rigirarmi le mani tra di loro, come se questo avesse potuto risolvere qualcosa, ma Raphael fu più abile di me a sciogliere il ghiaccio, afferrando una pistola a raggi bianca da una rastrelliera al muro e avvicinandosi a me. “Sai usarla?” mi chiese deciso ma gentile allo stesso tempo.

Devo proprio dirglielo? “Forse…” mormorai imbarazzata. “Forse la sapevo usare, ma… ma…” Sbuffai. “Okay, non so come spiegartelo.”

Sorrise per troncare il mio patetico tentativo di spiegazione. “Tranquilla, mi hanno già spiegato la tua situazione. Credo che, se tu hai già imparato come si usa una pistola a raggi, il tuo corpo sappia già e il tuo cervello sappiano già cosa devi fare, anche se non ricordi niente. Dovrebbe venirti naturale.”

Alzai un sopracciglio, scettica, ma non aggiunsi niente. Raphael mi avvicinò a un bersaglio concentrico sul muro accanto a noi e mi mise la pistola in mano. “Spara tre volte, e possibilmente cerca di fare centro.”

Fissai un’ultima volta la pistola nella mia mano, poi la impugnai con la destra e mi concentrai al massimo, cancellando dalla mia mente qualunque altro pensiero (che battutona, eh?). Chiusi un occhio e con l’altro mirai, poi feci fuoco.

Tre colpi dritti, precisi e sicuri.

Quando l’eco degli spari si fu diradato, osai guardare il bersaglio. Rimasi stupefatta: non avevo sbagliato un colpo, tutti e tre avevano fatto centro nella parte più piccola del bersaglio. Perfino Raphael era impressionato, ma non commentò. Si limitò a un veloce ‘Te l’avevo detto’ prima di riprendere la pistola e rimetterla al suo posto nella rastrelliera. Mentre tornava verso di me, l’unica cosa che aggiunse fu: “Vediamo come te la cavi col corpo a corpo.”

Prima ancora che potessi capire cosa aveva detto, vidi un pugno che si dirigeva a tutta velocità verso il mio volto. Mi scansai appena in tempo per evitare che mi colpisse in pieno e, senza nemmeno pensarci due volte, allungai la gamba per tirare un calcio nel petto di Raphael. Lui, però, era altrettanto se non più veloce di me, e evitò il colpo così come avevo fatto io.

Continuammo così per quelle che mi sembrarono ore, finchè alla fine lui non abbassò drasticamente la guardia. Approfittai della situazione favorevole e con un calcio lo mandai giù disteso per terra. Gemette per un attimo mentre cadeva a peso morto, e rimase diversi secondi immobile sul pavimento della palestra. Il panico iniziò ad assalirmi, e mi avvicinai lentamente per essere sicura che non lo avessi ammazzato. Gli smossi un braccio col piede, e lui riaprì immediatamente gli occhi. “Ehm, tutto okay?” gli chiesi imbarazzata.

“Ne ho viste di peggio,” fu il suo unico commento mentre si rimetteva faticosamente in piedi. Si diede una veloce sistemata e mi fissò con quei suoi strani occhi. “Sei molto ben preparata fisicamente e sai usare una pistola a raggi, anche se ovviamente dobbiamo ancora sistemare qualcosa. Penso che tra una settimana o due potrai essere pronta per scontrarti con i ribelli.”

Sorrisi di felicità dentro di me. Due settimane non mi sembravano poi così lunghe, in confronto a quello che sarebbe successo dopo.

In quel momento, la vendetta non ebbe mai un sapore così dolce.

 

*
Oggi è uscito il video di #SingItForJapan. Sinceramente ne sono rimasta profondamente sconvolta, e ero sull'orlo delle lacrime.
Non sapete quanto mi senta orgogliosa di tutte noi, di loro. Perchè ho visto quante persone hanno tenuto a far sapere a tutto il mondo e soprattutto al Giappone la loro solidarietà e la loro voglia di aiutarli. E anch'io, nel mio piccolo, voglio esprimere tutta la mia solidarietà per quello che è successo e se potessi correrei in Giappone a dare una mano.
Maricuz_M: a me non sembra che tu non dica niente, mi dici un sacco di cose invece ^_^ E tutti odiano i lavaggi del cervello >.< (La liberazione? Eh... dovremo aspettare ancora un bel pò...)
Momoka chan: *legge incredula gli insulti* Ehm, 'sera -.-' Accetto pure le scommesse, sono curiosa di sentire le vostre opinioni ù.ù Daiii, continua a sclerare, non mi dai alcuna noia! (Evazick... sinceramente mi sembra un pò 'formale', chiamami semplicemente Eva :D)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine
#SingItForJapan <3

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Capitolo 6
*** Attacked. ***


Attacked.

 

Due settimane passarono più in fretta di quanto mi aspettassi. Ogni giorno mi sembrava allo stesso tempo più lungo e più corto del precedente: cinque ore passavano in un batter d’occhio e cinque minuti sembravano durare in eterno. Erano rare le volte che non rivolgevo un’occhiata stupita all’orologio quando mi accorgevo che il tempo era trascorso in modo diverso da come me lo ero immaginato.

Già a metà della prima settimana, Raphael si era dichiarato (o almeno, così mi sembrò di capire dalla sua imperturbabile espressione) molto soddisfatto dei miei miglioramenti, soprattutto nel combattimento corpo a corpo. Non che prima finissi continuamente a terra, no: ma, in qualche modo, i miei riflessi avevano raggiunto livelli impossibili, quasi da fumetto, e riuscivo a schivare qualsiasi colpo e a attaccare con una velocità impensabile per una ragazzina di sedici anni. Immaginai che fosse merito del mio corpo che, a quanto pareva, sembrava già allenato, e delle pillole che ormai dovevo prendere ogni giorno.

Oltre alla palestra, però, passavo anche lunghe ore chiusa nella mia stanza, a leggere, rileggere e imparare a memoria le schede dei Killjoys, impilate in ordine sulla mia scrivania. Avevo guardato così tante volte quelle foto che se chiudevo gli occhi riuscivo a vederle davanti a me, e mi sembrava di conoscere quei ribelli meglio di chiunque altro, anche di loro stessi, tante erano le volte che avevo scorso le cartelle con le loro informazioni. E la sera, in quel limbo in cui si cade prima di addormentarsi, quando si è sulla via del sonno ma ancora abbastanza lucidi, mi immaginavo come sarebbe stato il nostro scontro, cosa sarebbe successo, chi sarebbe morto per primo; mi chiedevo se avrebbero implorato pietà o se avrebbero affrontato la mia vendetta impassibili. Riuscivo a creare nella mia testa delle immagini macabre e talmente vivide e reali che a volte sconvolgevano anche me, colei che le creava.

Vedevo raramente Airi: il grattacielo della Better Living era immenso ed era alto venti piani, era parecchio difficile che riuscissimo ad incontrarci. Inoltre, avevamo entrambe dei compiti da svolgere e da portare a termine, quindi era chiaro che non ci rimanesse molto tempo libero. Dopo quel primo giorno con Raphael, la rividi solamente quando mancavano un paio di giorni alla fine delle due settimane: entrò nella mia stanza mentre mi infilavo una maglia pulita dopo aver fatto una doccia, dopo l’ennesima lezione massacrante insieme all’istruttore. “Come va?” mi chiese la donna.

“Bene,” risposi mentre cercavo una giacca tra i tanti vestiti contenuti nell’armadio. “Diciamo che se Raphael smettesse di spaccarmi le ossa ogni volta che ci incontriamo andrebbe ancora meglio.”

Lei sorrise. “Lo fa solamente per tirare fuori il meglio da te, e per prepararti a quello che dovrai affrontare. A proposito…” Si appoggiò allo stipite della porta, senza smettere di fissarmi. “È tra due giorni.”

Lasciai cadere per terra la giacca che avevo appena preso in mano. “Co… cosa?” balbettai incredula. “C-così presto?”

“È l’unico momento favorevole che abbiamo, non possiamo aspettare oltre.” Incontrò il mio sguardo scioccato e aggiunse: “Potremmo rimandare la cosa, ma non so a quando. E immagino che tu abbia bisogno di questa vendetta il più presto possibile, vero?”
“Ma…” Mi interruppi prima che mi lasciassi scappare le parole che non avrei mai voluto dire.

Non mi sento pronta.

Dio, potevano dire cosa volevano, potevano continuare a dire che il mio corpo era allenato, che avevo una mira impeccabile, che ero veloce, che avevo bisogno di questa vendetta, ma le cose stavano così: non mi sentivo pronta per farlo, non ancora. Sentivo che dovevo aspettare ancora, dovevo riuscire a prendere tempo… ma Airi si accorse della mia indecisione, si avvicinò a me e mi afferrò per un braccio, raccogliendo con l’altra mano la giacca ancora per terra. “Mettitela,” mi disse brusca, in un tono che non aveva mai usato con me fino a quel momento. Mi lasciò andare e io me la infilai, tremante. Quando me la fui messa, la donna mi prese di nuovo per il braccio e mi trascinò con forza fuori dalla stanza. “Dove andiamo?” chiesi impaurita.

“Da qualcuno che ti farà cambiare idea,” mi disse, spingendomi dentro l’ascensore e senza aggiungere altro.

Il viaggio fu silenzioso. Non il tipo di silenzio che c’era stato a volte, quello rilassante, ma era un silenzio teso, carico di cose non dette e pensieri e paure non espressi. Non riuscivo a smettere di tremare leggermente: dove stavamo andando? Perché Airi non me lo voleva dire? Il pensiero che mi volessero fare del male mi sfiorò la testa, ma lo cacciai subito via: perché avrebbero dovuto farlo? Era soltanto per il fatto che mi ero dimostrata indecisa su una cosa che avrei dovuto fare senza esitazione?

E poi, perché ero così indecisa?

Perché non mi sento pronta. È inutile cercare un’altra spiegazione, pensai mentre le porte dell’ascensore si spalancavano di nuovo. La donna mi trascinò con sé lungo il corridoio bianco, tenendomi ancora per un braccio, e feci una fatica immensa a stare dietro al suo passo quasi militare. Raggiunse una delle tante porte contenute nel corridoio e la aprì, rivelando una stanza che a prima vista mi sembrò buia. Mi ci gettò dentro senza tanti complimenti e chiuse di nuovo la porta, lasciandomi da sola. Iniziai a tempestare di colpi il vetro oscurato, cercando di richiamare la sua attenzione. “Airi? Airi? Non puoi lasciarmi qui dentro da sola! Ti prego, fammi uscire!”

Niente, dall’altra parte non giungeva risposta.

Se n’era andata.

“Airi, ti prego!

“È andata via, non credo possa sentirti.”

Mi gelai non appena sentii una voce parlarmi alle mie spalle. Rischiai un infarto sul colpo ma, con molta calma e lentamente, mi voltai verso l’interno della stanza mentre le luci sul soffitto si accendevano: adesso la stanza non mi sembrava più così buia e le tapparelle della finestra, ora alzate, mostravano un paesaggio di grattacieli simile a quello che vedevo dalla mia stanza. Dietro la scrivania davanti a me era seduto un uomo, che mi guardava con penetranti occhi neri, come se un pezzo di oscurità si fosse incastrato lì dentro. Mi fece segno di mettermi seduta su una sedia di metallo poco distante da me, dall’altro capo della scrivania, e obbedii.

Non lo avevo mai visto di persona: decisamente non avevo né il tempo né la necessità di vagare a mio piacimento per tutto il grattacielo, e quel poco che sapevo di lui mi era stato detto da Airi. Non sapevo quanto fosse importante dentro la gerarchia della Better Living, ma l’unica cosa importante per me era sapere che molto probabilmente sarebbe stato lui a condurmi al rifugio dei Killjoys, e il suo nome era ben impresso nella mia mente.

“Immagino che tu sappia già chi sono,” disse Korse, senza nemmeno sforzarsi di farla sembrare una domanda. Annuii. “E immagino che anche tu sappia chi sono io.”

“Immagini bene.” Fece un sorriso che di amichevole aveva ben poco. “Eve, la ragazzina senza memoria che deve mettere in atto la sua vendetta. Sei già molto famosa, da queste parti,” disse, senza smettere di sorridere in quella maniera. Dal modo in cui lo disse, sembrava che le cose che aveva appena detto fossero totalmente false, e che sotto ci fosse qualcosa in più, qualcosa che solo lui conosceva.

La cosa non mi faceva sentire per niente a mio agio.

Mi limitai a replicare con un leggero movimento delle spalle che di per sé non significava proprio niente. Korse continuò: “Airi mi ha detto che sembravi un po’ indecisa sulla decisione di partire tra un paio di giorni.”

No!” dissi con troppo impeto. Cercai subito di rimediare: “Voglio dire, non in quel senso. Sono sicura di quello che voglio fare, ho davvero bisogno di farlo, ma…” Esitai brevemente. “… ecco, non mi sento pronta.”

Lo sguardo di lui divenne stupito, ma anche in quello scintillio di incredulità vidi lampeggiare qualcosa di malvagio, come se nessuno dei suoi gesti nei miei confronti fosse veramente reale. Di sicuro era un bravo attore, poco ma sicuro. “Sai quanta gente è morta per colpa dei ribelli, Eve?”

Grandioso. Adesso fa leva sul mio senso di colpa. Rimasi in silenzio -  di sicuro era la migliore risposta che potessi dargli in quel momento.

“Un sacco. Troppa. È per questo che dobbiamo fermarli.” Si sporse leggermente verso di me, e io altrettanto leggermente mi allontanai da lui e da quegli occhi neri in cui, ne ero sicura, sarei potuta cadere e annegare da un momento all’altro. “Se porterai a termine la tua vendetta e li ucciderai avrai aiutato anche noi. Quando loro cinque saranno morti, tutto tornerà come prima.”

“Sono solamente cinque?” chiesi incredula.

“A quanto pare sì, ma è probabile che abbiano degli alleati anche in altre Zone, forse perfino qui a Battery City. Ma anche se sono pochi sono alquanto fastidiosi.” Fece una pausa. “Cosa pensi di fare adesso?”

Sentii il bisogno di uscire da quella stanza, di allontanarmi da Korse, e da quegli occhi che avrebbero finito per farmi perdere nella loro oscurità. Mi alzai in tutta fretta dalla sedia e indietreggiai. “C-Ci penserò su,” balbettai in fretta prima di aprire la porta e guadagnare il corridoio. Quando me la chiusi alle spalle mi ci appoggiai contro con la schiena e tirai un sospiro di sollievo: nessuno mi stava chiamando, nessuno stava aprendo la porta da dentro la stanza per concludere il discorso. Lontana da quegli occhi neri, riuscivo anche a pensare più chiaramente. E anche questa è fatta.

Mi staccai lentamente dalla porta e imboccai il corridoio verso l’ascensore. Stavo per premere il pulsante di chiamata quando mi voltai e guardai l’altra parte del corridoio, quella che svoltava a destra e conduceva da qualche altra parte. Un sorriso mi si formò spontaneo sulle labbra: e se fossi andata a fare un giro? Ero da qualche parte al primo piano, sapevo come tornare all’ascensore, perché non vedere un po’ com’era il resto del grattacielo? Se qualcuno mi avesse fermato, avrei sempre potuto dirgli che mi ero persa e stavo cercando le scale. E così mi allontanai dall’ascensore e svoltai la curva.

La parte seguente del corridoio era esattamente uguale alla prima, con le stesse porte e lo stesso pavimento: dopo un altro paio di curve, capii che era tutto uguale e simmetrico, e che avrei anche potuto tornarmene nella mia stanza. Quando feci dietrofront, però, le pareti si tinsero di rosso e un allarme iniziò a suonare da qualche parte. In un’altra parte del corridoio dei passi si affrettavano insieme a delle voci concitate, mentre una voce elettronica ripeteva: “Attacco in corso. Sistemi di sicurezza violati. Raggiungere l’atrio il più presto possibile.

Aspettai che i passi svanissero prima di imboccare una direzione a caso e mettermi a correre: adesso sì che avrei fatto meglio a nascondermi nella mia stanza, senza alcun pericolo… ma il corridoio in cui sbucai aveva una parete di vetro che dava sull’atrio, e la curiosità fu più forte di me.

Per i primi attimi non riuscii a pensare a niente di sensato, poi mi riscossi e osservai meglio la scena.

Erano lì. Erano tutti lì. Bè, a dir la verità mancava la bambina, ma immaginai che non fossero così stupidi da portarla con loro in una missione del genere, in cui sarebbero potuti morire in qualunque momento. Eppure, vedendoli dall’alto, sembrava che fossero quasi immortali: si muovevano veloci da una parte all’altra del grande atrio, sparando colpi senza mancare mai il bersaglio, e muovendosi con un’agilità pari alla mia. I due fratelli lavoravano quasi sempre in coppia, ma gli altri due, da soli, non erano da meno: il moro sparava colpi con la sua pistola a raggi verde a tutto spiano, e sembrava che il suo sorriso non sparisse mai, mentre il riccioluto si muoveva tra i Draculoidi che cercavano di prenderlo con una velocità incredibile. In un angolo, infine, vidi l’ultimo ragazzo, quello coi capelli blu: indossava il completo che aveva nelle foto, con tanto di casco e pattini a rotelle, e colpiva chiunque gli si avvicinasse troppo. Piroettava e si spostava sui suoi pattini con una grazia e una leggerezza tale che sembrava volasse, e non potei fare a meno di fissarlo incantata. Poi un pensiero mi colpì più forte di tutti gli altri.

Che ci fanno qui?

Già, cosa ci facevano lì? Era improbabile che si fossero lanciati in una missione suicida per noia o per fare casino dentro la Better Living, e l’espressione seria e concentrata sulle loro facce non faceva che aumentare la mia impressione: sembrava che volessero entrare ancora più in profondità dentro il grattacielo, per cercare qualcosa o qualcuno. Chi o cosa fosse, non ne avevo idea, ma non mi sarei lasciata scappare l’occasione di vedere i miei nemici più da vicino.

Correndo, arrivai fino in fondo al corridoio, dove c’era la porta delle scale, accostata. Spinsi la sbarra rossa e mi precipitai giù per i gradini, senza nemmeno controllare che si fosse richiusa alle mie spalle. Rischiai di fare gli ultimi dieci scalini in volo, ma riuscii a riprendere l’equilibrio e arrivai alla porta di metallo in fondo alle scale. La aprii con tutta la mia forza e mi ritrovai vicino agli ascensori, quasi nel pieno centro del combattimento. Mi nascosi dietro un angolo e osservai la scena, ipnotizzata.

C’erano diversi corpi di Draculoidi distesi per terra, ma ne continuavano ad arrivare da tutte le parti. I ribelli adesso sembravano leggermente in difficoltà, ma continuavano a sparare per sopravvivere e portare a termine il loro compito. Improvvisamente il ragazzo coi capelli biondi urlò: “Party, non ce la possiamo fare, dobbiamo andarcene!”

Vidi il fratello esitare per un istante, poi fece un cenno con la testa. Quello coi capelli lunghi neri, accanto a lui, fece per replicare, ma l’altro lo bloccò. “È inutile, non riusciamo ad andare avanti, non possiamo trovarla in questo modo. Torneremo quando saremo più pronti.” Il moro annuì, poco convinto, poi sparò gli ultimi colpi e si diresse verso la porta. Il rosso si diede un’ultima occhiata intorno, poi urlò al ragazzo sui pattini: “Showpony! Dobbiamo andarcene, torneremo un’altra volta!”

Lui sparò un’ultima volta, poi si voltò nella mia direzione.

Si bloccò per un secondo, mentre probabilmente i suoi occhi grigi mi fissavano da dietro la visiera del casco.

Fece un passo verso di me, ma un Draculoide ancora vivo gli sparò contro, mancandolo per un soffio. Il ragazzo si riscosse e colpì il suo aggressore in piena fronte col gomito; ne approfittai per abbassarmi e nascondermi alla sua vista. Quando finì, riuscii a vedere con la coda dell’occhio che si voltava di nuovo verso la mia direzione: non trovandomi, si voltò e abbandonò anche lui l’atrio. Gli ultimi colpi riempirono l’aria, poi tornò il silenzio.

‘Trovarla’… chi?

*
Oh,oh, Sunshines, a quanto pare lo scorso capitolo vi ha fatto andare parecchio su di giri! Spero che questo vi faccia lo stesso effetto v.v
E, a proposito: non so se fino a giovedì continuerò a pubblicare un giorno sì e uno no, perchè mi hanno chiesto di pubblicare meno capitoli possibili fino a quel giorno (e devo anche scrivere buona parte di quei capitoli. Eheh -.-')
AnyWay!
Dawn_: perchè le tue recensioni mi fanno sempre quasi piangere? Voglio dire, mi fai sempre un sacco di complimenti.. *le ripara l'ego* Capisco cosa intendevi con 'essere arrabbiata', anch'io ero indecisa se pubblicare quest'ultima storia perchè avevo paura rovinasse tutta la serie... in compenso, ripeto ancora, il finale di questa fanfiction non accetta seguiti. E cavolo, ho altre storie che stanno aspettando!
Maricuz_M: AHAH Immagino che Showpony non andrebbe così fiero della sua Eve se sapesse che gli sembrava una ragazza XD
LudusVenenum: grazie per i complimenti! E sì... io ho quest'idea che tutti quelli della Better Living siano dei fighi straordinari per via delle pillole (vedi Simon e Gavin *ç*)
Momoka chan: allora, sono arrabbiata con te perchè hai detto a Kumiko_Chan che in questo capitolo Eve è sadica. Non va bene, questo si chiama SPOILER >.<
Magari fossi un piccolo folletto... piuttosto sono un grande gigante (sono 1 metro e 77... -.-') "ma comunque, è inquietante pensare che consideriamo anormale chi vuole riprendersi la propria libertà... combattere è avere coraggio, ma è fissare il vuoto senza fare nulla che è da folli.  Non ce ne accorgiamo ma nel mondo ci sono migliaia di BLind e noi non le vediamo...brrr" Come non darti ragione? Grazie per i complimenti ("Ma scusa, vogliamo mettere Joshua con Raphael? E' evidente che il secondo è molto meglio ù.ù" "Evelyn, tutto okay? o_O")
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 7
*** If you can call this 'return'... ***


If you can call this ‘return’…

 

Corsero.

Corsero come se li stessero ancora inseguendo, come se avessero davvero portato a termine la loro missione e stessero scappando trionfanti, come se ne andasse delle loro vite.

Corsero anche se avevano le gambe indolenzite e i polmoni senza più aria, anche se la stanchezza stava crollando sulle loro spalle come un macigno.

Corsero più veloce che potevano, anche se l’unica cosa che volevano veramente fare era tornare indietro e provare di nuovo a entrare dentro il grattacielo.

Perché si sentivano delle merde ad aver abbandonato Eve, se lei era davvero lì dentro.

Joshua, che di solito stava qualche metro più avanti rispetto a loro, pattinò lentamente per restare al loro passo di corsa mentre raggiungevano la macchina di Fun Ghoul, parcheggiata più in là. Non spiccò una parola, come gli altri, del resto: nessuno era dell’umore giusto per farlo. Non si erano mai sentiti così… così…

Inutili.

Una parte di loro era convinta che Eve non fosse dentro la Better Living, che l’avessero portata in qualche altro posto, forse nella stessa prigione dove aveva rischiato di morire. Un’altra, più grande, pensava che invece lei fosse in quel grattacielo, ma semplicemente loro non erano riusciti ad entrare e non l’avevano trovata. E una terza e ultima parte, quella più piccola di tutte ma con la voce più rumorosa, azzardava un’altra ipotesi.

Nessuno la diceva, ma le sue parole venivano sussurrate nei loro cervelli in maniera quasi incessante.

E se l’avessero uccisa?

Raggiunsero la macchina giusto in tempo, prima che Joshua facesse dietrofront e si gettasse di nuovo in mezzo ai Draculoidi e agli S/C/A/R/E/C/R/O/W per cercare la ragazza da solo. Kobra Kid si gettò sul sedile del guidatore e Jet Star su quello del passeggero, mentre gli altri tre si strizzarono sui sedili posteriori. Il biondo accese il motore, che rombò, e poi sfrecciò lungo le strade di Battery City.

Joshua si tolse il casco che aveva ancora addosso, appoggiandolo sulle gambe. Si passò una mano tra i capelli blu, arruffandoseli: stava ancora ripensando all’ultima cosa che aveva visto prima di uscire dalla Better Living. Non sapeva ancora se considerarla la realtà o un sogno, ma…

“Dove pensate che sia?” La voce di Jet Star ruppe il filo dei suoi pensieri, spargendoli liberi per il suo cervello come le perle di una collana che si rompe. Si riscosse e ascoltò il resto della conversazione, senza però intervenire.

“Io sono ancora dell’idea che sia lì dentro.”

Party Poison sospirò. “Ti prego, piantala…”

“Che c’è, non mi è più concesso esprimere la mia opinione? Per me Eve è dentro quel cazzo di grattacielo, e saremmo dovuti andare avanti!”

“Per finire tutti ammazzati dai Draculoidi?” Il rosso lanciò un’occhiataccia a Fun Ghoul. “Certo, da morti saremmo proprio utili per Eve, non trovi? Magari i nostri fantasmi potrebbero aiutarla a scappare, che ne dici?”

Non prendermi per il culo!!” Il moro tirò un pugno al compagno, che ricambiò il colpo. Si picchiarono per nemmeno un minuto sul sedile posteriore dell’auto, finchè Fun Ghoul non lanciò un ultimo debole colpo e poi crollò sul petto di Party Poison, scosso dai singhiozzi. L’altro lo abbracciò stretto tra le sue braccia, passandogli una mano tra i capelli neri, mentre mormorava: “Shh, sta’ tranquillo, va tutto bene. La troveremo, fosse l’ultima cosa che faccio.”

Il ragazzo si lasciò sfuggire gli ultimi singhiozzi, poi tornò in posizione eretta, asciugandosi le lacrime dalle guance. Fece un respiro profondo e poi si rivolse a Joshua, con gli occhi ancora rossi per il pianto: “Ehi, tu non hai ancora detto niente. Hai per caso visto qualcosa dentro l’atrio mentre combattevamo?”

Showpony lo guardò per un attimo, poi si mise a fissare il deserto fuori dal finestrino. Sì, lui aveva visto qualcosa.

O meglio, qualcuno.

Quando Party Poison aveva indetto la ritirata, Joshua si era voltato per un attimo verso gli ascensori e, con la coda dell’occhio, aveva visto una macchia rossa vicino al muro. Si era voltato per osservarla meglio, e il suo cuore aveva smesso di battere quando i suoi occhi grigi, da dietro la visiera del casco, avevano incontrato due occhi castani che avrebbe potuto riconoscere tra mille.

Eve era , viva e vegeta.

Il suo primo impulso era stato quello di correrle incontro e abbracciarla forte, per poter affondare la sua mano nei suoi corti capelli tinti di rosso e portarla fuori di lì. Ma lo strano comportamento della ragazza lo aveva spiazzato: non gli era corsa incontro, non aveva urlato il suo nome, nei suoi occhi non era brillata alcuna luce che gli indicava che l’avesse riconosciuto… più che altro, sembrava incuriosita da lui, come uno scienziato che osserva un animale. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei per poterle parlare, ma un Draculoide gli era arrivato alle spalle. Dopo averlo messo fuori combattimento, si era voltato di nuovo verso gli ascensori, ma lei non era più lì.

Cosa l’aveva trattenuta dall’andargli incontro? Non gli sembrava che fosse legata da qualche parte, e di sicuro non c’era nessuno che la stesse tenendo d’occhio. Ma quell’espressione, quell’espressione vacua e completamente incuriosita, continuava a rigirargli nella testa senza sosta. Che le avevano fatto?
“No,” mentì, senza smettere di fissare il deserto. “Non ho visto nulla.”

 

Quando arrivarono al Diner, Joshua uscì dalla macchina senza parlare con nessuno, con l’unico desiderio di stendersi sul letto e cadere in un sonno profondo. Anche se sapeva benissimo che dormire, adesso, era l’ultima cosa che sarebbe riuscito a fare.

Gli altri Killjoys lo lasciarono andare: sapevano che per lui quello era un periodo difficile. Almeno, quando era toccato a lui scomparire, Eve era riuscita a trovare qualche informazione su Showpony infiltrandosi dentro la Better Living, ma il ragazzo coi capelli blu non aveva nemmeno quelle. Solamente una siringa vuota, qualche vaga supposizione e una collana. Non molto per ritrovare Venom.

Ma quello che non sapevano era che il pensiero che tormentava Joshua era del tutto diverso.

Il ragazzo salì al primo piano e aprì la porta della camera dove di solito dormivano Eve, Jet Star e Grace. La bambina quella notte era al sicuro dal Dr. D, e l’altro Killjoy si era adattato a dormire per terra nell’altra camera: capiva che Showpony aveva bisogno di stare da solo e che la sua presenza lo avrebbe solamente infastidito.

Joshua si mise a sedere su uno sgabello e si tolse lentamente i pattini, le calze e tutto il resto, appoggiandoli poi insieme al casco per terra. Si infilò un vecchio paio di pantaloni grigi e nient’altro; infilò la mano in una piccola tasca che aveva nelle calze e tirò fuori un filo a cui era appeso un sasso azzurro e verde. Si strinse la pietra nel pugno e si sdraiò sul letto di Eve, senza smettere di rigirarsi e osservare la collana nella sua mano. Di solito dormiva in una brandina nel rifugio del Dr. Death Defying, ma da quando Eve si era trasferita in pianta stabile nella California del 2019 anche Showpony aveva iniziato a dormire dentro il Diner, accanto all’unica ragazza che avesse mai amato. E adesso che lei non c’era, dormire nel suo letto gli dava l’illusione che lei fosse ancora accanto a lui e che potesse sentire il suo profumo ancora una volta.

“Io ti ho vista,” sussurrò Joshua a nessuno in particolare. O forse a Eve, nella speranza che lo sentisse. “Io ti ho vista lì dentro, Eve. Perché non sei venuta via con noi? Che ti hanno fatto?”

Mentre finiva di pronunciare queste parole, la stanchezza lo colpì in pieno e cadde addormentato, senza smettere di tenere stretta la sua presa sulla collana.

 

“Joshua! Joshua, dove cazzo sei?!

L’urlo di Fun Ghoul risuonò per tutto il Diner, dal piano inferiore a quello superiore. Perfino Showpony, profondamente addormentato e con la porta della camera chiusa, si svegliò al suono di quella voce incazzata e, allo stesso tempo, preoccupata e spaventata. Si rizzò a sedere sul letto dove aveva dormito e si stirò le braccia: era passata una settimana da quella merda di attacco alla Better Living, che cazzo era successo adesso? Nel momento preciso in cui stava per alzarsi e andare a raggiungere gli altri, la porta si spalancò e Fun Ghoul gli apparve davanti, senza curarsi minimamente del fatto che Joshua avesse addosso solamente un paio di pantaloncini corti e stesse mostrando tutto il suo fisico femminino. “Bè?” chiese, ancora mezzo addormentato.

“Svegliati, idiota! È arrivata una macchina di ronda, e non credo che vogliano fare colazione con noi!” urlò l’altro in risposta, prima di tornare al piano di sotto continuando a sbraitare ordini come un sergente in una scuola militare. Showpony non perse tempo e si infilò la prima maglia che trovò, il casco e i pattini; recuperò anche la pistola a raggi fucsia e pattinò giù per le scale con tutt’altro che poche difficoltà. Gli altri Killjoys erano già fuori, con le pistole bene in vista e dei proiettili che vagavano di già nel primo mattino. Il ragazzo si unì a loro, e fu seriamente stupito (come il resto della compagnia) quando, dopo solamente pochi minuti di battaglia, i Draculoidi se ne andarono come se avessero terminato il loro compito. Guardarono la macchina nera sparire in lontananza, poi Kobra Kid esclamò: “Tutto qui?”

“In che senso ‘Tutto qui’? Preferivi che ci ammazzassero?” lo riprese Jet Star. Il biondo gli lanciò un’occhiata come per dire Ma non sparare cazzate prima di continuare: “No, ma di solito l’unico modo per liberarsi di un gruppo di Draculoidi è farli fuori tutti. E invece questi sono scappati quasi subito sulla loro macchina!”

“Macchina…” ripetè Fun Ghoul pensieroso, come se nel suo cervello stesse ribollendo qualche strana ipotesi. Improvvisamente, colpito da un colpo di genio, si voltò e corse a tutta birra verso il garage. Gli altri ragazzi lo seguirono con lo sguardo mentre svoltava l’angolo, perplessi e disorientati, e poi la voce incazzata del moro urlò: “Cazzo, NO!

Preoccupati, i Killjoys raggiunsero il chitarrista, che stava fissando la sua macchina come se gli avessero rotto il giocattolo preferito. “F-Frank… tutto okay?” chiese Party Poison preoccupato dopo qualche minuto di silenzio.

“Tutto okay una bella merda!” fu la replica secca e incazzata dell’altro. Fece un giro intorno al veicolo borbottando tra sé e sé prima di continuare: “I Draculoidi erano solo un diversivo, ci hanno bucato tutte e quattro le ruote!”

“Tutto qui?”

La vuoi piantare di ripeterlo, porca miseria?!” Kobra Kid fece un passo indietro davanti all’ennesima prova dell’incazzatura di Fun Ghoul e balbettò: “V-Volevo dire, basta prendere quelle nuove e cambiarle…”

“Certo, e ovviamente siamo pieni di gomme di scorta,” commentò il moro sarcastico. Sospirò. “Siamo fottuti, ammettiamolo. Non possiamo andare da nessuna parte senza gomme, e non sappiamo nemmeno dove trovarne di nuove.”

“E se chiamassimo il Dr. D? Potrei andarle a prendere io le gomme, non è un problema,” disse Joshua.

“Starà via per tutto il giorno e ha portato Grace con lui.” L’affermazione di Party Poison fece calare il silenzio tra i cinque ragazzi: avevano le gomme forate. Non potevano prenderne di nuove perché non sapevano dove prenderle. Senza gomme, niente macchina. Senza macchina, niente via di fuga sicura. E quindi…

“Siamo nella merda.”

 

Joshua rimase per tutta la notte sdraiato sul letto di Eve senza riuscire a chiudere occhio: se i Draculoidi avevano messo fuori uso l’unica via di fuga possibile dal Diner, voleva dire che avevano dei programmi per quella sera. E di sicuro non sarebbero stati molto pacifici. Si ripromise di rimanere sveglio finchè il sole non fosse sorto, ma a un certo punto il sonno lo raggiunse improvvisamente e in silenzio e il ragazzo si addormentò profondamente. Ci pensò un rumore a svegliarlo, qualche ora più tardi, nel bel mezzo della notte.

Crash.

Un rumore leggero di vetri spaccati, una voce che borbottava qualcosa incazzata con sé stessa. Tanto bastò a Showpony per svegliarsi, scattare a sedere sul letto e afferrare la sua pistola a raggi prima di alzarsi e uscire dalla camera. La porta dell’altra stanza era sempre chiusa, Party e gli altri non dovevano aver sentito il rumore oppure stavano dormendo. Il ragazzo si chiese se dovesse svegliarli o meno, ma poi decise di provare a scacciare l’intruso da solo. Se le cose si fossero messe male avrebbe urlato: con buone probabilità si sarebbero svegliati e l’avrebbero raggiunto.

Joshua scese silenziosamente i gradini uno per volta, facendo attenzione a non farli scricchiolare sotto il peso del suo corpo. Quando arrivò in fondo alla scala, raggiunse la porta che dava sulla stanza del pianteranno e rimase nascosto nell’ombra a fissare il nemico: anche lui stava nell’ombra, ma per un breve momento la manica bianca della sua giacca risplendette alla luce della luna che passava dal vetro spaccato della porta. Showpony sorrise tra sé e sé: avrebbe cercato di fare un lavoretto pulito, poi avrebbe portato il cadavere fuori dall’edificio. Uscì dall’ombra dov’era nascosto e puntò la pistola verso l’intruso. “Capolinea,” disse con un sorrisetto che somigliava più a un ghigno.

L’altro lo guardò per qualche secondo, poi puntò la sua pistola verso di lui con velocità impressionante e sparò.

Joshua fece appena in tempo ad abbassarsi dietro il bancone che il proiettile nemico gli passò sopra la testa e colpì il muro dietro di lui, lasciandoci un buco e facendo volare pezzi e polvere di intonaco dovunque. Quando il rumore del colpo svanì il ragazzo si rialzò, giusto in tempo per vedere che la porta si apriva e qualcuno scappava via correndo. Si rialzò in piedi e scattò dietro l’intruso, senza nemmeno prestare attenzione alla voce assonnata e allertata di Kobra Kid che gli urlava: “Joshua, che è successo?!

La figura correva veloce, come se avesse le ali ai piedi, ma Showpony era ancora più veloce di lei e la raggiunse dopo nemmeno dieci metri. Appena fu alla sua portata, allargò le braccia e le chiuse intorno all’intruso, in un abbraccio ferreo. “Preso!” disse trionfante.

“Col cavolo!” rispose l’altro. Mentre Joshua sbarrava gli occhi, stupito e confuso, la figura ne approfittò per lanciargli una gomitata nello stomaco: il ragazzo la lasciò subito andare e quella si preparò a correre di nuovo, ma lui le si lanciò addosso, facendo crollare entrambi sull’asfalto. La figura si voltò velocemente sulla schiena sotto il corpo di Showpony e iniziò a dimenarsi e a lanciare colpi per liberarsi. “Cazzo, lasciami andare, lasciami andare!!

Ma come poteva rendersi conto che il suo aggressore non la stava nemmeno ascoltando? O meglio, sentiva pure troppo bene la sua voce, e ogni parola piena di odio e rabbia che diceva gli incideva una nuova cicatrice nel suo cuore già troppo segnato e ferito. La teneva inchiodata sull’asfalto soltanto per evitare che scappasse via, che sparisse di nuovo, altrimenti l’avrebbe lasciata andare per la sorpresa e il dolore. Era ancora sotto shock quando arrivarono gli altri Killjoys, Fun Ghoul in prima linea con una torcia elettrica in mano. “Okay, chi abbiamo qui?” disse in tono sarcastico, ma quel tono e il sorrisetto che stava per formarsi sulla sua faccia sparirono in un batter d’occhio non appena la luce della torcia illuminò il volto della persona sotto Joshua.

“Ma si può sapere che vi ho fatto? Lasciatemi andare!!” urlò ancora una volta lei, con la voce vicina a spezzarsi. Party Poison, sconvolto, le si inginocchiò accanto e le piantò in volto i suoi occhi verdi. “Che ci fai qui? Chi ti ha mandato?” le sussurrò.

“Secondo voi cosa ci faccio qui?” urlò di nuovo la voce, un puro concentrato di odio. “Voi avete distrutto la mia famiglia, avete distrutto me stessa, mi avete fatto perdere i miei ricordi, l’unica cosa che voglio fare è uccidervi!” Finite di pronunciare queste parole, scoppiò in lacrime senza riuscire a contenersi, come se fosse troppo tempo che desiderasse farlo. E tra i singhiozzi disse: “Vi odio, vi odio tutti quanti!

I suoi singhiozzi erano l’unico rumore che risuonava nel deserto, circondati dal silenzio degli altri cinque ragazzi. Anche gli occhi di Joshua erano pieni di lacrime, e riuscì a dire solamente due parole.

“Dio, Eve…”

*
Eccomi tornata, Sunshines! Vi avviso, il prossimo aggiornamento sarà giovedì sera. Non cercate di uccidermi e limitatevi a morire dalla curiosità *risata malefica*
Qualcuna di voi ha ascoltato il nuovo disco dei Foo Fighters "Wasting Light?" E' STUPENDO. Ascoltarlo in macchina con la musica a tutto volume non ha prezzo u_u
AnyWay, mi sbrigo a rispondere alle recensioni perchè esco a comprarmi Band Hero per il DS (regalo anticipato di compleanno \o/)
Ah, e mi scuso per le intrusioni di Evelyn nelle recensioni. Da quando è sparita dalla testa di Eve si è trasferita dalle mie parti -.-'
Maricuz_M: tutto questo finirà tra molto, molto tempo... e la giapponesina dovrebbe smettere di farsi tazzate di caffè come Kobra Kid -.-'
Dawn_: AHAH Sai che non ci avevo pensato ai capelli di Airi? XD E comunque sì, ho i superpoteri perchè sono predestinata a conquistare il mondo a forza di fanfiction e bacchette di batteria u_u Naah, non è vero, è solo che la sera sto sempre al computer perchè alla televisione non c'è mai niente di decente. (E poi...tu sei stata a Berlino? Io ero a Monaco! \o/)
Momoka chan: mi fa piacere di essere l'argomento di conversazione tra te e Michela sul bus. E scleri quasi quanto lei XD Scherzi a parte... Joshua che piroetta nell'atrio è sublime, mi dà l'idea di un esserino veramente checcoso *-* Grazie per la recensione, in assenza di Kumiko_Chan c'è qualcuno che fa recensioni lunghe come le sue!
LudusVenenum: eh-no-mi-dispiace-dirti-che-non-è-così, sarebbe stato tutto troppo semplice, e io odio le cose semplici u_u Ti prego non dirmi che sbavi anche te su Simon, NOOO!! D: ("Colpa tua, hai creato un bel figone u_u" "Evelyn, tu mi preoccupi molto... O.O") AHAHAH Anch'io pensavo che Showpony fosse una ragazza all'inizio! Non che poi sia questo macho in realtà...
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 8
*** Boys can cry. ***


Boys can cry.

(Sometimes I cry so hard from pleading)

 

Silenzio.

Non si sentiva nient’altro al pianterreno del vecchio Diner.

Al pianterreno.

Perché al piano di sopra era tutta un’altra faccenda.

Li potevano sentire benissimo: i passi di Eve su e giù per la stanza dove l’avevano rinchiusa, i suoi sbuffi e i suoi mormorii, i suoi inutili colpi alla porta chiusa a chiave. Doveva sentirsi un animale in gabbia, di sicuro. Quella, per lei, non doveva essere una situazione facile.

Nemmeno per gli altri ragazzi, se per questo.

Erano tutti lì, seduti a uno dei tavoli: mancavano solo Jet Star e Grace, chiusi nel garage da circa dieci minuti. Party Poison si chiese dove il suo amico trovasse il coraggio di parlarle: come sarebbe riuscito a spiegarle che a Eve era successa la stessa cosa che era capitata a Joshua, solo che questa volta lei era perfettamente lucida e cosciente e aveva una voglia pazzesca di ucciderli tutti? I giri di parole sarebbero stati inutili, così come le bugie. Alla fine la verità era sempre l’ultima alternativa, quella più dura e difficile da accettare.

Il rosso si mise a osservare Showpony cercando di non farsi vedere. Cosa non difficile, visto che era da mezz’ora che continuava a osservare lo stesso punto fuori dalla finestra. Quella notte, quando era arrivata Eve e l’avevano rinchiusa (Dio, odiava anche solo pensare quella parola. Lei era una loro amica, una loro compagna, non andava ‘rinchiusa’… Ma lo era sempre?) dentro quella stanza, il ragazzo coi capelli blu si era ritirato nella sua camera senza parlare con nessuno. E anche quella mattina, quando si era svegliato ed era sceso al piano di sotto, non aveva aperto bocca nemmeno per salutare gli altri. E Party credeva di capire il suo stato d’animo, fino a un certo punto.

Lo osservò ancora meglio: aveva una mano sotto il mento e ci si appoggiava sopra, come se, senza un sostegno, potesse cadere da un momento all’altro. I suoi occhi grigi, di solito luminosi come il sole tra le nuvole, in quelle ultime settimane avevano perso un po’ il loro bagliore, ma adesso quella luce se ne era andata del tutto, come se si fosse rassegnata ai fatti. Nel suo volto non c’era traccia di quella spavalderia che aveva sempre addosso, quella che solamente Eve sapeva togliere: evidentemente se l’era portata via quando era sparita, e Showpony era rimasto privo della sua maschera. A vederlo così, sembrava quasi un ragazzo con una vita normale, come tutti gli altri: un ragazzo che ne aveva passate pure troppe e chiedeva solo un po’ di pace.

I pensieri di Party Poison furono interrotti dalla porta che comunicava col garage che si apriva: alzò lo sguardo e incontrò quello di Jet Star. “Come l’ha presa?” chiese.

Lo sguardo che l’altro gli ricambiò significava chiaramente Secondo te come l’ha presa?, ma tutto quello che il chitarrista fece fu scrollare le spalle e dire: “Non bene. Credo che non abbia ancora capito cosa è successo veramente, o forse si rifiuta di crederlo. L’ho lasciata nel garage, penso abbia bisogno di stare un po’ da sola,” terminò mentre si metteva a sedere accanto a Joshua, che non si accorse nemmeno che gli altri stavano parlando.

Kobra Kid fece un cenno con la testa. “Che facciamo con lei?”

“Penso sia meglio per tutti se la portiamo dal Dr. D per un po’, finchè non risolviamo… tutto.”

“No… io non parlavo di Grace.” Lo sguardo del biondo si spostò al soffitto, dove il rumore dei passi era tornato a farsi sentire, e tutti capirono a cosa si riferiva. Anzi, a chi.

Party guardò il fratello: aveva indosso i suoi occhiali da sole, anche se erano al chiuso e il sole non batteva così forte. Sapeva cosa voleva dire, era un gesto che faceva anche da adolescente: il ricordo di Mikey con i suoi occhiali da sole addosso al funerale di nonna Helena gli si era inchiodato nella memoria. Significava che non voleva mostrare a nessuno la tristezza nei suoi occhi: non voleva essere considerato un debole, cosa che non era affatto.

Jet Star appariva calmo e razionale come sempre, ma il rosso sapeva che era solamente un’ennesima maschera per non far vedere cosa pensava veramente di tutta quella situazione. Party si chiese se anche la sua scelta volontaria di andare a parlare con Grace non fosse una scusa per evitare di affrontare tutti loro e le loro reazioni.

Il suo sguardo, infine, si posò delicato come una farfalla sull’unica persona che non aveva ancora parlato oltre a Joshua: i capelli neri gli cadevano come un velo davanti al volto, ma Gerard sapeva che dietro di loro si celavano due occhi verdi e rossi per il pianto. Al cantante si strinse il cuore mentre ripensava a quella notte, dopo che erano tornati nella loro stanza: non appena Kobra Kid e Jet Star si erano addormentati, Fun Ghoul aveva abbandonato il suo letto e si era infilato in quello dell’amico, ancora perfettamente sveglio. Non appena si era infilato sotto le coperte le lacrime avevano iniziato a scorrergli lungo le guance pallide, come un fiume silenzioso. Party Poison lo aveva abbracciato e gli aveva sussurrato: “Non fare così, ti prego…”

“Gee, non puoi sapere cosa sta passando in questo momento nella mia testa,” aveva sussurrato l’altro tra le lacrime. “Me lo ricordo ancora, sai? Quel giorno in cui siamo andati a prenderla dentro la Better Living. Non riesco a scordarmi quanto era disperata e sconvolta mentre passavamo davanti alla porta del laboratorio, così come non riesco a dimenticarmi le sue urla mentre il Dr. D le curava la ferita, qualche mese fa…” Aveva tirato su col naso. “Come può essere successo, Gee? Come può essere passata dalla loro parte e aver iniziato a odiarci tutti quanti, quando siamo l’unica famiglia che le è rimasta?”

Il rosso era rimasto qualche momento in silenzio prima di replicare: “Non lo so, Frank. Ma ti prometto che la faremo tornare indietro, in qualunque modo. Ce la faremo, te lo prometto.”

Adesso, mentre Party fissava Fun Ghoul, si rendeva conto che non aveva sparato una cazzata, una promessa fatta sul momento che in realtà non sarebbe servita a nulla: l’avrebbero riportata indietro, a qualunque costo, anche se questo significava la loro morte.

Nel Diner il silenzio rimase in piedi per qualche altro minuto, interrotto solamente dai rumori dei passi di Eve, poi Joshua parlò per la prima volta. “Io l’ho vista.”

Tutto il tavolo si girò a guardarlo ad occhi spalancati e leggermente confuso. “Chi?” gli chiese Fun Ghoul, rivelando finalmente i suoi occhi, tinti solamente di una leggera tonalità rosata.

“Eve.” Fece una pausa e, prima che qualcuno lo potesse interrompere, continuò: “L’ho vista quando siamo entrati dentro la Better Living una settimana fa. Era nascosta vicino agli ascensori e ci stava guardando.”

Due attimi di silenzio, poi Kobra Kid disse: “Cosa stai… era nascosta?

Il ragazzo annuì. “Ho incrociato il suo sguardo per un attimo, ma non mi ha riconosciuto. Era… incuriosita, non so se mi capite. Era come se ci stesse osservando attentamente, come se volesse capire le nostre mosse. Mi sono distratto per un attimo e poi lei non c’era più.”

“Dio,” sussurrò Jet Star, infilandosi una mano tra i ricci. “Non va bene.”

“Per niente,” replicò Party Poison. “Non so cosa le abbiano fatto per farla cambiare così radicalmente, ma dobbiamo sapere cosa pensa adesso di noi. Penso che… che qualcuno debba andare a parlare con lei.”

Nessuno fiatò. Nessuno se la sentiva di affrontare di nuovo la furia della ragazza, di trovarsi faccia a faccia con una Eve totalmente diversa. E poi la scelta venne presa dalla persona meno adatta a quella prova.

“Vado io.”

Prima ancora che gli altri Killjoys potessero replicare qualcosa, Joshua si alzò dal tavolo, andò dietro il bancone e scomparve nel buio della porta, iniziando a salire le scale. Quando i suoi passi sparirono Fun Ghoul commentò: “Perché è andato lui? Si farà solamente del male a volerla vedere in quelle condizioni.”

“Perché Eve non ha potuto scegliere quando lui le è comparso davanti vestito da Draculoide e con una pistola puntata verso di lei,” gli rispose Party. “E credo che voglia parlarle faccia a faccia, dopo tre settimane.”

“Gee, ma è una cazzata!” esclamò l’altro. “Non servirà a niente comparirle davanti, non si ricorderà tutto improvvisamente! Per far recuperare la memoria a Joshua Eve ha dovuto sparargli a una gamba e dargli un pugno sul petto! Cosa gli fa credere che stavolta sia diverso?”

Perché la speranza non muore mai. Cazzo, Frank, io farei la stessa cosa per te! pensò il rosso senza lasciar trapelare nulla all’esterno. Si voltò verso la porta buia che portava alle scale e sospirò. Buona fortuna, Joshua.

 

Un gradino.

Due gradini.

Tre gradini.

Showpony avrebbe passato volentieri l’eternità a contare gradini pur di non vedere Eve.

O meglio, pur di non vederla in quello stato.

Ma Eve non aveva avuto scelta, e aveva visto lui come nemico in più di un’occasione, e aveva sempre chiuso gli occhi, strinto i denti ed era andata avanti. Era addirittura andata a cercarlo, per poterlo far tornare quello di prima.

E lui, invece… aveva così paura. Perché la ragazza, al contrario di lui, era cosciente, era lucida, pensava con la sua testa, anche se le cose sbagliate. Aveva paura che lei gli dicesse cose che avrebbero potuto ferirlo ancora di più. Aveva paura che le cose tornassero al periodo in cui si erano conosciuti, quando non potevano vedersi senza lanciarsi frecciatine o battutine sarcastiche.

Arrivato in cima alle scale, Joshua fece un respiro profondo e percorse fino in fondo il corridoio, oltre le camere da letto, oltre il bagno, fino a una porta chiusa a chiave che dava su una stanza inutilizzata da decenni. L’avevano rinchiusa lì dentro, per evitare che tentasse di scappare.

Deglutì. Rinchiusa, lei che amava la libertà.

Fece due passi verso la porta e si bloccò, a meno di venti centimetri. Riusciva a sentire i respiri, i mormorii e i passi della ragazza. A un certo punto i suoi passi si fermarono e qualcosa si adagiò sul pavimento, poi ci fu un colpo secco sul muro opposto alla porta: evidentemente si era messa a sedere, stanca per tutto quello che era successo.

Joshua non era meno stanco di lei.

Si infilò una mano nella tasca sinistra dei pantaloni e strinse forte la collana di Eve. Ormai la portava sempre con sé, per avere un piccolo pezzo di lei ovunque andasse.

Un pezzo di lei.

Della vecchia Eve.

Quella con gli anfibi neri e il giacchetto di pelle.

Quella con la pistola a raggi arancione.

Quella che si divertiva a sparare ai Draculoidi durante gli inseguimenti.

Quella che aveva gli incubi la notte, e che solo lui riusciva a consolare e calmare.

Quella che aveva rischiato così tanto per lui.

L’unica che lo amava.

Joshua strinse ancora più forte la pietra della collana. Due ennesime lacrime gli corsero lungo le guance già salate per il pianto di quella notte, e si lasciò sfuggire un breve singhiozzo. Si asciugò gli occhi in fretta, poi lasciò andare la collana e prese dall’altra tasca una chiave di metallo dorato. La infilò nel buco della serratura e girò.

E poi spinse la porta verso l’interno.

*
Hello, Sunshines! Vi do due belle notizie: 1) Torno ad aggiornare un giorno sì e uno no \o/ 2) Il prossimo capitolo sarà di nuovo dal punto di vista di Eve, ma diciamo che sarà un punto di vista abbastanza... particolare. Non vi rivelo niente di più, fidatevi di zia Eva ;)
E Band Hero è qualcosa di semplicemente stupendo *-*
La frase sotto il capitolo è di I Don't Love You.
LudusVenenum: "Chi sputerebbe sopra Simon?" Io, con tutti i casini che ha fatto! ("Guarda che è un tuo personaggio..." "Zitta, Evelyn!") Ma nemmeno la nostra checchina preferita è da buttar via u_u
Maricuz_M: Tempo? Sì, tempo è la parola giusta, ce ne vorrà anche troppo per far tornar normale quella povera disgraziata D:
Momoka chan: adoro le tue recensioni perchè sfotti ogni singolo fatto e personaggio del capitolo XD (E sì, i fratelli Way condividono il cervello. Come due gemelli siamesi, hanno un solo organo in due .-.) Non so come Showpony abbia fatto a scendere dalle scale coi pattini, ma sentivo che ci stava bene *se lo immagina che sbatte la faccia contro il muro*  *scoppia a ridere* *si ricompone* Ehm... poveri Killjoys, e povero Joshua, il peggio per lui deve ancora arrivare!
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Capitolo 9
*** You treat me just like another stranger. ***


You treat me just like another stranger.

(‘Cause I see you lying next to me, with words I thought I’d never speak)

 

Dovevo trovare un modo per uscire da quella stanza.

Un piano abbastanza semplice, no?

Già.

Il problema era che la porta era chiusa a chiave, e la finestra sprangata con delle assi di legno e dei chiodi talmente vecchi da avere una ruggine amaranto sopra. Se li avessi solamente sfiorati, mi sarebbe venuta un’infezione mortale che mi avrebbe mandato all’altro mondo in mezzo ai deliri più sfrenati.

Passeggiai ancora una volta su e giù per la stanza, osservandola ancora una volta: alla mia sinistra rispetto alla porta c’erano un sacco di mobili coperti da vecchi lenzuoli polverosi, e dalla parte opposta c’era un letto di ferro con le sbarre con sopra un materasso bianco abbastanza decente. Era accogliente, dopotutto, ma il mio unico desiderio era uscire da quella stanza, da quel Diner e tornare dentro Battery City. Però avevo una missione da compiere, una vendetta da terminare, non potevo abbandonare tutto. Frustrata, mi misi a sedere con la schiena al muro opposto alla porta chiusa a chiave. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi una chiave girò nella serratura e, miracolosamente, la porta della mia prigione si aprì.

 

Non sapevo cosa mi sarei dovuto aspettare dentro quella stanza. Era buffo: sapevo chi c’era dentro, ma non aveva la più pallida idea di quale sarebbe stata la sua reazione. Si sarebbe nascosta in un angolo per sfuggirmi? Sarebbe rimasta in silenzio, ignorandomi? Mi sarebbe saltata addosso per uccidermi?

Conoscendo la vecchia Eve, l’ultima opzione era quella più probabile.

Quando aprii la porta, lei era seduta per terra con la schiena contro la parete opposta a me. Vicino a lei la poca luce filtrava dalla finestra e illuminava la sua giacca e i pantaloni bianchi. Fu quasi uno shock vederla vestita così, lei che amava vestirsi di tutti i colori e con più vestiti possibili insieme. Ma immaginai che anche per lei era stato terribile vedermi con quella stessa divisa e una maschera da Draculoide sul mio volto.

Entrai dentro la stanza e mi chiusi la porta alle spalle: la luce che entrava dalla finestra era aumentata, e ci vedevo abbastanza bene. Eve mi stava fissando, come se si aspettasse qualcosa da me. Ma tutto quello che feci fu mormorare il suo nome.

“Eve?”

 

Sussultai quando la persona entrata dentro la stanza disse il mio nome. La guardai meglio: i capelli blu e gli occhi grigi mi saltarono subito agli occhi, e collegai subito il suo volto al nome sulla sua cartella. “Come fai a sapere il mio nome?” chiesi a Showpony, incrociando le gambe e sforzandomi di nascondere la paura che mi era montata addosso.

Fece qualche passo avanti. Non aveva addosso quella maglia bianca con su scritto NOISE e le calze, ma un normalissimo paio di jeans e una maglietta nera e rossa. Non staccava gli occhi da me per un solo istante, come se avesse paura che sparissi dalla sua vista non appena avesse distolto il suo sguardo. “Ci… ci sono molte cose che so di te,” balbettò, senza alcuna intenzione di voler apparire sicuro di sé per intimidirmi.

 

Mi diedi mentalmente dell’idiota per aver detto quelle parole. ‘Ci sono molte cose che so di te?’ Ma per favore! Nemmeno in un film d’azione di tipo D si sentivano frasi del genere. Ma ormai era andata, e non potei fare altro che aspettare la replica di lei. Che non tardò ad arrivare.

“Tipo?”

Ci pensai sopra un attimo: valeva la pena buttarmi, tirare il mio primo asso nella manica subito sul tavolo? Non vedevo altre scelte possibili, quindi mi lanciai.

“Tipo…che tu eri una Killjoy.”

Lei rimase sconcertata per qualche secondo, poi scoppiò a ridere. Non era la sua solita risata piena di gioia che le sentivo sempre fare: era una risata cattiva, piena di sarcasmo e derisione. Come se, oltre ai suoi pensieri e ricordi, la Better Living avesse cambiato anche quella e il suo senso dell’umorismo.

 

Mi asciugai le lacrime delle risate e fissai di nuovo Showpony, che non appariva per niente divertito dalla faccenda. “Davvero divertente. Hai altre barzellette con cui intrattenermi?” chiesi sarcastica.

Lui sembrò perdere per un attimo il controllo e lo vidi cadere addosso a me. Lanciai un urlo, chiusi gli occhi e mi coprii la testa con le braccia, ma l’unico colpo che sentii colpì il muro alle mie spalle. Aprii di nuovo gli occhi e alzai lo sguardo: il viso del ragazzo era a tre centimetri dal mio e nei suoi occhi brillava una luce fredda, un fuoco di ghiaccio. “Non dire mai più una cosa del genere,” sibilò. “Non so cosa ti abbiano fatto e che fine abbia fatto la vecchia Eve Blackshadow, ma non lascerò che tu mi prenda in giro.”

 

Mi resi improvvisamente conto di aver perso il controllo, e tornai in posizione eretta il più velocemente possibile, allontanandomi da Eve. Lei mi stava guardando ad occhi spalancati, ancora spaventata per il mio scatto d’ira, e mi diedi ancora una volta dell’idiota: dovevo farle capire che di me si poteva e doveva fidare, e invece continuavo a spaventarla e ad allontanarla da me. Mi levai della polvere immaginaria dalla maglietta e mormorai: “Scusa, non volevo farlo. È solo che…” Sospirai. “Dio. Tu non hai idea di quanto sia complicata e incasinata la situazione in cui sei, vero?”

 

Deglutii. Cazzo, quanto male ero messa? Dalle parole che aveva pronunciato Showpony, sembrava che da un momento all’altro mi avrebbero sparato e seppellita nel deserto. “Credimi, penso di capire quanto sia complicata,” mormorai in risposta.

“Davvero?” chiese il ragazzo. “Che intendi?”

Gli lanciai uno sguardo di fuoco. Era così difficile da capire? “Bè, vediamo… ho perso tutti i miei ricordi, i miei genitori sono morti e sono prigioniera dei loro assassini. Non la chiamerei la situazione più semplice del secolo, no?”



Assassini? pensai confuso e incredulo. Da quando in qua i Killjoys erano diventati assassini di civili? E da quando in qua i genitori di Eve erano morti? Loro erano al sicuro nel loro mondo, stando a quello che mi aveva detto lei quando ero tornata in California. Come potevano essere morti…?

Un lampo di genio mi attraversò la testa. Sperai che fosse un lampo di cazzata.

“Non ti ricordi… nulla?”

“Indovinato, genio!” mi sfottè lei. “È colpa vostra, e della roba che mi avete iniettato nel sangue!”

Adesso ci capivo ancora meno. Ma poi capii a cosa si riferiva: la siringa nel capanno… le avevano dato qualcosa, lei era svenuta e aveva perso la memoria.

E gliel’avevano riscritta.

Merda.

 

“Merda,” lo sentii mormorare a testa bassa. La alzò di scatto e mi puntò addosso i suoi occhi grigi, pieni di speranza. “Ti ricordi di me, almeno? Sai chi sono?”

Aggrottai le sopracciglia: decisamente quello non era il momento ideale per una crisi d’identità. Rimasi in silenzio e lui si abbassò sulle sue gambe, finchè i nostri occhi non furono alla stessa altezza. “Il mio soprannome è Showpony, ma il mio vero nome è Joshua. Ricordi?”

No, non ricordavo. Nella mia memoria non c’era alcuna traccia di un tizio di nome Joshua che sembrava una ragazza. Ma lui era convinto del contrario.

Mi brillarono gli occhi.

Sapevo come uscire da quel posto.

 

Gli occhi di Eve brillarono per una frazione di secondo, poi spalancò la bocca e boccheggiò. “J… Joshua?” balbettò mezza sconvolta.

Immaginai che i miei occhi si fossero accesi di quella luce scomparsa da così tanto tempo. “Sì,” le dissi con un sorriso.

Lo stesso sorriso si formò sul suo volto e la ragazza gettò le sue braccia al mio collo, stringendomi con tutta la forza che aveva. Mi alzai in piedi e la tirai su con me, mettendole le braccia intorno ai fianchi e abbracciandola come non facevo da giorni. “Finalmente sei qui.”

“Oddio, mi sei mancato così tanto!” la sentii sussurrare nel silenzio che era calato nella stanza. Aprii bocca per risponderle, ma un improvviso dolore alle mie parti basse interruppe il nostro abbraccio e mi fece crollare in ginocchio sul pavimento.

 

Non appena il mio ginocchio tornò nella sua posizione originaria, Showpony (o Joshua, come diceva di chiamarsi veramente) si staccò dal mio corpo e cadde in ginocchio per terra, con le mani sulle sue palle. Lo sentii lanciare un paio di insulti rivolti a qualche santo non ben preciso, ma non lo considerai e corsi verso la porta, chiusa non a chiave. Improvvisamente una mano mi afferrò la caviglia e rischiò di farmi cadere sul pavimento, ma io fui più veloce e mi liberai dalla sua stretta, puntando poi dritta verso la porta. Misi la mano sulla maniglia e la spalancai, per poi slanciarmi in avanti per fuggire dall’edificio…

… ma caddi dentro un altro paio di braccia, che mi strinsero in un ennesimo abbraccio ma, stavolta, per niente carino e coccoloso. Mi divincolai un paio di volte, ma le braccia che mi circondavano non cedettero di un millimetro. “Eve, stai ferma!” disse una voce familiare sopra di me.

Mi rifiutai di darle ascolto e continuai a divincolarmi. Improvvisamente un dolore secco mi colpì la testa e iniziai a crollare nel buio.

 

Mi tirai in piedi a fatica e raggiunsi la porta spalancata camminando lentamente e con una mano ancora sulle mie palle. “Dio, fa male!” mormorai a testa bassa mentre raggiungevo la soglia.

“Sbaglio o ti avevo detto di stare attento a tenere la porta chiusa?” Alzai lo sguardo nel sentire la voce davanti a me: Jet Star mi fissava con i suoi occhi castani, e tra le sue braccia, immobile, c’era Eve. “L’hai fermata tu?” gemetti con i testicoli che chiedevano pietà.

Lui annuì. “Penso che per adesso sia meglio chiuderla di nuovo nella stanza. Più tardi qualcuno dovrà tornarci a parlare, ma…”

“Tranquillo, non sarò io ad andarci,” gli dissi mentre procedevo a fatica lungo il corridoio. “Mi ha già fatto anche troppo male per oggi.”

“Ti ha tirato un calcio nelle palle?” mi chiese stupito.

Credimi, quello è stato il minimo.“Una ginocchiata, se vogliamo essere precisi.” Iniziai a scendere lentamente le scale, cercando di non ascoltare il rumore della porta che si chiudeva e della chiave che girava di nuovo nella serratura.

*
Tanti auguri a me, tanti auguri a me, tanti auguri a Evaziiick, tanti auguri a MEEE!!
(Lo so, è triste cantarsi tanti auguri da soli -.-')
Comunque, oggi (per chi non lo avesse ancora capito) compio ben 16 anni! Wow, in America potrei (come sto ricordando a mia mamma da una settimana) potrei prendere la patente e sfrecciare per il deserto della California con la Trans Am! (Commento di mia madre: ma se non hai preso nemmeno il patentino...)
In compenso oggi festeggio con tre mie amiche e ci guardiamo The Black Parade Is Dead! u_u
Ieri sera ho visto un video di My Sweet Sixteen (quel programma su MTV dove fanno vedere i compleanni della gente ricca e con soldi da buttare via) dove c'era Gerard che usciva da una torta di compleanno. Quasi quasi chiedo se lui e Franco sono disposti a uscire dalla MIA torta.
Oh, e il titolo del capitolo è un verso di Ignorance dei Paramore., e la frase sotto è di Famous Last Words.
Maricuz_M: come vedi per il dialogo non hai dovuto aspettare molto, eccolo qui :D Gee e Frank sono così dolci e teneri insieme *Frerard moment*
LudusVenenum: speVo che la sua cuViosità sia stata soddisfatta, mia caVa u_u E per la faccenda dei pattini... sono dell'idea che Showpony si sia lanciato dalle scale con un'acrobazia stile Indiana Jones. Quel ragazzo è pieno di risorse o_O
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 10
*** You don't remember anything, do you? ***


You don’t remember anything, do you?

 

Mi risvegliai qualche ora più tardi sul letto della stanza dov’ero rinchiusa, con una leggera emicrania e l’amara sensazione di essere stata di nuovo sconfitta. Affondai il volto nel cuscino, mi lasciai sfuggire un gemito di frustrazione e picchiai col pugno il materasso dove ero sdraiata: non era così che doveva andare, no! A quell’ora dovevano essere già tutti morti, nient’altro che polvere tra la sabbia del deserto, e io dovevo già essere tornata dentro Battery City, per iniziare una nuova vita. Per riniziare tutto da capo.

Chissà perché, ma quell’idea certe volte mi dava i brividi.

E invece adesso era in trappola, prigioniera dentro il rifugio dei miei nemici. Avevo tentato la fuga ed ero quasi riuscita a scappare, ma mi avevano beccato ancora prima che potessi raggiungere il piano inferiore e mi avevano rinchiusa di nuovo in quella stanza. Quando si sarebbero decisi a lasciarmi andare? E perché volevano tenermi lì con loro a qualunque costo?

Con uno scatto improvviso, mi misi a pancia in su e iniziai ad osservare il soffitto bianco e crepato sopra la mia testa, lasciando divagare i miei pensieri: non aveva senso, tutta quella situazione non aveva nessun senso. Ero prigioniera degli assassini della mia famiglia, ma non sapevo perché fossi importante per loro e perché mi impedissero di andarmene da quell’edificio e dal deserto.

Continuai a vagare tra i miei pensieri, lasciando che riempissero tutto il mio cervello e che le immagini di quegli ultimi giorni mi passassero davanti agli occhi in un caleidoscopio di colori e forme. A un certo momento, come fulminata da un’idea, chiusi di nuovo gli occhi e cercai di pensare ai volti dei miei genitori, nascosti da qualche parte nel profondo della mia mente. Mi immersi nel buio che avvolgeva tutti i miei ricordi, scendendo sempre più in profondità come se stessi scendendo nelle acque dell’oceano, sempre più scure mano a mano che mi allontanavo dalla superficie e da quello che sapevo già. Ma, non appena fui sicura di avere quello che cercavo a portata di mano, una fitta di dolore mi attraversò la testa e mi ritirò bruscamente alla realtà.

Aprii di scatto gli occhi. Con un sospiro mi misi a sedere sul materasso con le gambe al petto: cosa mi avevano fatto? Perché non riuscivo a riprendermi i ricordi che mi appartenevano di diritto?

Improvvisamente la porta si aprì di nuovo, e io mi sbrigai a portarmi le gambe ancora più vicine al petto, abbracciandole con le braccia. Dentro la stanza entrò uno degli altri ribelli, quello con la pelle pallida come un vampiro e i capelli rossi come fuoco. Si chiuse la porta alle spalle e ci si appoggiò sopra con la schiena, lasciandoci sfuggire un gemito, come se tutte quella situazione fosse troppo grande e stancante per lui. Rimase fermo per qualche minuto, e io con lui, poi si voltò verso di me e piantò il suo sguardo verde nei miei occhi, ricambiato. Rimanemmo fermi a osservarci per un po’, poi lui si staccò e mi raggiunse sul letto, sedendosi dalla parte opposta alla mia senza smettere per un solo istante di fissarmi. Mi strinsi le gambe al petto più che potei, e di sicuro i miei occhi si riempirono di paura, perché Party Poison mi disse: “Tranquilla, non voglio farti del male.”

Il mio sguardo non doveva essere molto convinto. Lentamente, il ragazzo si portò una mano all’orlo della giacca, dove c’era la fondina della sua pistola a raggi: lì per lì la paura s’impossessò di me, ma mi rilassai lievemente quando vidi che era vuota. “Vedi?” continuò lui. Non replicai, e sospirò. Allargò le braccia e si avvicinò ancora di più a me. “Perquisiscimi pure, se vuoi. Mettici tutto il tempo che ti pare, voglio che tu ti fidi di me.”

Spostai il mio sguardo sulla sua giacca blu, poi di nuovo nei suoi occhi verdi: mi stavano letteralmente implorando di dargli fiducia, e fu la vista di quei due occhi così tristi a farmi prendere un respiro profondo e a staccare le braccia dalle mie gambe. Mi avvicinai al ragazzo e gli posai le mani sul petto. Lo sentii trasalire al nostro contatto, e io non fui da meno, ma con gesti lenti e calcolati lo perquisii su tutto il petto. Alla fine allontanai velocemente le mie mani e le misi davanti a me, dentro le mie gambe che ora erano incrociate.

Party Poison mi fissò un’ultima volta prima di chiedermi: “Adesso ti fidi?”

Rimasi un attimo ferma, poi feci un cenno che poteva essere considerato un sì.

“Okay,” mormorò a nessuno in particolare. Spostò il suo sguardo dal mio volto e osservò la giacca e i pantaloni bianchi che avevo addosso: mi sembrava che i suoi occhi diventassero più tristi ogni secondo che passava. Fece una smorfia. “Fino a qualche settimana fa avere questi vestiti addosso ti avrebbe dato il voltastomaco.”

Aggrottai le sopracciglia. Ma di che sta parlando? “Che vuoi dire?”

Rimase sorpreso nel sentirmi finalmente parlare. Si ricompose alla svelta e disse: “Bè, fino a qualche settimana fa gli unici vestiti che indossavi erano colorati e uccidevi chiunque fosse vestito come te in questo momento.”

In faccia mi si dipinse l’espressione più incredula che avessi mai fatto. “Quindi io sarei stata…”

“… una Killjoy. Esatto,” terminò lui per me. Si lasciò scappare un sorrisetto che non aveva niente di felice. “Una delle migliori, devo ammetterlo.” Notò la mia faccia scettica e sospirò: “Non ti ricordi niente, vero? Di tutto quello che è successo fino a oggi?”

“No,” risposi ferma. Cosa si aspettava, che mi sarei ricordata tutto nel sentire una stronzata del genere?

“Bene. Immagino, allora, che sia meglio raccontarti tutto dall’inizio. Anche se…” Mi fissò e scoppiò a ridere. “Dio, probabilmente non crederai nemmeno a una parola di tutto quello che ti dirò!”

“E allora perché dirmela?” replicai.

Tornò serio. “Perché è vera. E perché dobbiamo fare di tutto per farti tornare la memoria.”

Per potermi uccidere meglio? chiesi sarcastica dentro di me, ma non dissi niente. Mi misi comoda. “Avanti, allora. Non sento una buona storia da settimane.”

Party Poison mi lanciò uno sguardo che diceva Non trattarmi così, ragazzina ma poi prese fiato e iniziò a parlare. “Allora, uhm… hai idea di cosa sia un mondo parallelo?”

“Cos’è, un racconto di fantascienza?” Al suo sguardo serio, sospirai e risposi: “No.”

“È una realtà parallela a quella in cui viviamo, e si può raggiungere… bè, credo solo in occasioni particolari. Questo – indicò la stanza – è un mondo parallelo. Noi non apparteniamo a questo posto, ma abbiamo deciso di rimanerci perché ormai la nostra vita è qui.”

“Aspetta…” lo interruppi. “Noi chi?”

“Io, Mi…Kobra Kid, Fun Ghoul, Jet Star… e anche tu.”

Spalancai la bocca, incredula. “Io?” Mi prendi per il culo?

“Sì.” Pensò per un attimo, poi andò avanti: “È iniziato tutto un anno fa, più o meno. Tu eri in camera tua ad ascoltare la musica, e… bè, un poster ti ha risucchiata e sei finita in un posto dove eravamo finiti anche noi. Avevi un paio di ali nere e una spada, e in pratica hai salvato il mondo da un demone. Poi siamo tornati a casa e… uhm… dopo qualche tempo ti sei lanciata da un palazzo per sfuggire a delle bulle e sei finita qui in California.”

“Cadendo da un palazzo,” ripetei scettica.

“Sssì.”

“E non mi sono sfracellata per terra.”

“No.” Stette un attimo in silenzio, poi aggiunse: “A dirla tutta, ti sei lanciata tre volte da quel palazzo, e solo l’ultima volta sei caduta per strada, sopra dei sacchi della spazzatura.”

“Okay…” mormorai, preoccupandomi seriamente per la sanità mentale di quel tizio. Che droghe assumeva prima di andare a letto? Ecstasy? Anfetamine? Gli feci un cenno per dirgli di andare avanti, e la situazione divenne più confusa che mai: Party Poison mi raccontò di patti, tradimenti, sparatorie e piani come in una storia d’avventura. Perché era questo che sembrava, una storia della buonanotte per bambini piccoli. Alla fine mi guardò di nuovo negli occhi. “Allora?”

“Sinceramente?” Feci un respiro profondo. “Non credo a una sola parola di quello che hai detto.”

I suoi occhi si rattristarono ancora di più. “Lo immaginavo.” Rimase un attimo in silenzio, poi esordì: “Secondo te come sei finita dentro la Better Living?”

“Me l’hanno raccontato,” dissi, con la voce che si stava caricando di nuovo di odio e rabbia. “Voi avete distrutto la mia casa, avete ucciso la mia famiglia e mi avete torturato fino a farmi perdere tutti i ricordi.” Lo fissai rabbiosa negli occhi. “Mi fate schifo.

Il rosso fece un leggero movimento indietro, come se gli avessi dato uno schiaffo. Quando tornò in sé, mormorò: “Chi ti ha raccontato queste cose, Eve?”

Mi morsi il labbro inferiore, indecisa: avrei dovuto dirglielo?

Perché no? Che poteva succedere se glielo dicevo? Presi fiato e dissi: “Airi Isoda.”

Il ragazzo mi fissò per qualche secondo, immerso nei suoi pensieri, ma all’improvviso sembrò capire di chi stavo parlando e si nascose il volto con le mani. Lo sentii mormorare appena lievemente “Dio”. A vederlo in quello stato, qualcosa dentro di me si ruppe: sembrava così… così… così fragile. Sembrava così sconvolto che mi diede l’impressione che sarebbe potuto crollare da un momento all’altro, e io sapevo che non avrei avuto la più pallida idea di cosa fare. Per fortuna dopo poco tornò in posizione eretta e mi guardò di nuovo. Fece un respiro profondo e mi chiese: “Hai detto Airi Isoda?”

Annuii.

“Perfetto,” borbottò sarcastico tra sé e sé. Avvicinò le sue mani a me, ma le appoggiò sul materasso a pochi centimetri dalle mie gambe incrociate. “Eve… hai mai avuto la sensazione che ti stesse mentendo?”

Lo guardai stranita. “Cosa?”

“Ascoltami, io conosco quella donna molto meglio di te. È una maestra dell’inganno e della falsità, e di sicuro il tuo bene è il suo ultimo pensiero. Non devi credere a tutto quello che ti racconta.”

“Perché non dovrei?” sbottai. “Almeno lei si è presa cura di me, ha curato le mie ferite ed è stata lei a portarmi in salvo dalla baracca dove mi avevate lasciato. Penso che crederle sia il minimo che possa fare!”

“Ma non capisci?!”

Cosa dovrei capire?

“Che è tutta colpa sua e della Better Living se sei finita in questa situazione! Sono stati loro a rinchiuderti in quella baracca e a iniettarti qualcosa nelle vene!” Aprii bocca per replicare, ma Party Poison fu più veloce e, con dei gesti fulminei, slacciò i bottoni della mia giacca e me la tolse, lasciandomi soltanto in reggiseno. Le cicatrici sulle mie braccia e la benda che mi circondava il petto mi fissavano come vecchie nemiche. Rabbrividii e il ragazzo continuò: “Loro ti hanno fatto anche questo! Hanno tentato di ucciderti sparandoti al petto, e ti hanno usato come cavia da laboratorio lasciandoti queste cicatrici!” Mi prese fermamente il braccio destro con la sua mano e con l’altra indicò i segni rossi sulla mia pelle bianca. “Come puoi fidarti di chi ti ha fatto tutto questo, Eve?”

Fissai le cicatrici. “Hai ragione,” mormorai. “Come ho potuto fidarmi di chi mi ha torturato?”

I suoi occhi verdi brillarono di felicità. “Capisci cosa voglio dire?”

“Sì.” Con uno scatto, tolsi il mio braccio dalla sua stretta. “Come ho potuto credere al tuo strano racconto, una pura bugia? È impossibile che le cose che mi hai raccontato siano successe veramente!”

“Tu dovresti essere la prima a crederci. Ormai hai imparato a fare i conti con le stranezze da un bel pezzo.”

“Bè, di sicuro ti stai sbagliando!” Gli appoggiai le mani sul petto e lo spinsi lontano da me. Mi guardò sorpreso e in qualche modo ferito, e urlai: “Tu vuoi allontanarmi dall’unica persona che mi ha aiutato in queste settimane, dall’unica che è stata sincera con me!”

“Stai allontanando tu stessa quella persona,” mi disse con la voce spezzata.

Non ti credo!” Mi portai di nuovo le gambe al petto e mi strinsi nell’angolo più lontano del letto per sfuggire agli occhi così fottutamente tristi di Party Poison. “Vattene! Vattene via da qui!

“Eve, ragiona per un attimo…” iniziò di nuovo, ma io urlai di nuovo: “Vattene da questa stanza, ora!

Mi rivolse un ultimo sguardo ferito, poi si alzò dal letto e si diresse verso la porta. Mise la mano sulla maniglia e si voltò di nuovo verso di me. “Per favore, pensa a cosa ti ho detto. Magari…”

VATTENE!!” urlai un’ultima volta. Lui non se lo fece ripetere, aprì la porta e se la chiuse di nuovo alle spalle. Sentii la chiave che girava nella toppa e mi intrappolava di nuovo. Rimasi immobile sul letto, senza nemmeno prendermi la briga di mettermi di nuovo addosso la giacca: lacrime fredde iniziarono a scorrermi lungo le guance, e non feci niente per fermarle. Volevo sfogarmi ancora, volevo piangere per tutte le cose che avevo perduto, per tutti i volti che non avrei mai più rivisto, per quella persona che volevo avere accanto ma di cui non ricordavo né il nome né la voce.

 

*

 

Gerard si chiuse la porta alle spalle, e fu quasi tentato di non chiuderla a chiave. Ma alla fine, cercando di fare il più velocemente e indolore possibile, tirò fuori la chiave di tasca e la infilò nella serratura, girandola tre volte. Non appena la tolse, da dentro la stanza iniziarono a uscire dei singhiozzi, all’inizio abbastanza trattenuti e poi sempre più liberi di vagare nell’aria. Per un momento il ragazzo pensò di riaprire la porta ed entrare a consolare Eve, ma sapeva che lei non l’avrebbe accettato. Un tempo sì, l’avrebbe fatto, ma adesso le cose erano cambiate.

Si infilò di nuovo la chiave in tasca e si avviò lungo il corridoio, senza nemmeno girarsi una volta indietro, anche se i suoi pensieri andavano sempre in direzione di quella stanza. Non c’era nessuno che potesse aiutare Eve, non c’era nessuno che potesse aiutarla a superare quello che provava: c’erano solamente lei e la sua testa.

Quando Gerard iniziò a scendere le scale la tristezza aveva lasciato spazio alla determinazione: di sicuro c’era un modo per riportare Venom indietro, alla ragazza spensierata che esisteva prima di quella specie di macchina da guerra caricata ad odio.

Al piano di sotto lo stavano aspettando tutti: l’unica persona che mancava era Joshua, probabilmente da qualche parte a leccarsi e curarsi le ferite che quell’unico incontro gli aveva lasciato. Il rosso osservò gli altri ragazzi: Frank sembrava abbastanza più calmo rispetto alla sera prima, Mikey si era finalmente tolto gli occhiali da sole e Ray aspettava soltanto che qualcuno iniziasse a parlare. Party Poison li fissò tutti un’ultima volta prima di dire: “Okay. Qualcuno ha una buona idea da usare?”

*
Ehi, Sunshines!! Anche se in ritardo, BUONA PASQUA E PASQUETTA A TUTTE QUANTE!!
(E no, Gerard non è sbucato fuori dalla mia torta di compleanno ç_______ç)
Momoka chan: sì, adoro sempre di più le tue recensioni. Voglio dire, non ho mai visto una recensione in cui Joshua viene sfottuto così palesemente e continuamente! Ti giuro che mi stavo pisciando addosso dalle risate XD Immagino che per il nostro povero cavallino però le cose continueranno a peggiorare... D:
Maricuz_M: ehssì, è un ragazzo tanto tanto innamorato, piccolo. E spero che il dialogo con Party ti abbia soddisfatto ;) (E la tua recensione è stupenda, non dire sempre che sono orribili :D)
LudusVenenum: *arrossisce* Oh bè, grazie per tutti gli auguri *-* Hai visto chi è andato a convincere Eve? Argh, povero tuo amico, che male devi avergli fatto... ma i My Chem non si toccano v.v A proposito, visto che tu sei esperta di manga... hai mai visto Kuroshitsuji? Ho comprato il primo manga oggi, e me ne sono letteralmente innamorata dopo che una mia amica mi ci ha fatto una testa così per due mesi *-*
Kumiko_Chan: SUNSHINE! SEI TORNATA!!!! *le salta addosso* E con una delle tue Odissee, per di più!! (E vedrai, devo recensire mezza fanfiction... -.-' NdKumiko) Ehm, comunque... ti ho fatto incavolare? Quanto, tanto? D: "Carino e coccoloso" lo dico in continuazione, io amo i pinguini di Madagascar XD E sei tornata fuori con la storia di Simon. Di nuovo. Guarda che te lo impacchetto e te lo spedisco a casa se continui così, almeno sei contenta e la smetti di rompere >.< "messaggio ufficiale per Joshua: sei un pirla." AHAH Sto ancora ridendo come una matta XD Bè, il compleanno l'ho passato bene, anche se la festa vera e propria è giovedì... intanto ho già ricevuto un bel paio di cuffione da dj blu, un paio di Ray Ban (*ç*) e un paio di magliette niente male. E so che da qualche parte mi sta aspettando anche Awesome As Fuck dei Green Day ù.ù
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 11
*** A new start. ***


A new start.

 

Passarono due lunghi giorni prima che la porta della mia stanza si aprisse di nuovo, lasciando entrare aria pulita e un po’ più di luce. Le ultime volte si erano limitati ad aprirla quanto bastava per far passare il cibo, e non mi era stato permesso di uscire. E per quanto riguardava i miei bisogni fisici…

Bè, meglio tralasciare.

Dico solamente che per fortuna avevo più lenzuola a mia disposizione.

Non appena entrò più luce del solito, mi coprii gli occhi con una mano e ci misi un paio di minuti ad abituarmi: avevo passato le ultime quarantotto ore in un buio crepuscolare, e l’ondata di luce che entrò di colpo nella stanza mi fece lo stesso effetto che avrebbe fatto a un vampiro. Gemetti lievemente e mi misi a sedere sul letto dove stavo dormendo fino a poco prima.

“Ehi, tutto okay?” mi chiese qualcuno entrato dentro la stanza. Ancora mezza stordita, mi voltai verso la voce: un ragazzo si era avvicinato alla finestra con un martello alla finestra coperta di assi e le stava levando una ad una staccando i chiodi e facendoli cadere a terra in un tintinnio metallico. Si voltò verso di me e mi sorrise. “Non ha senso lasciarti ancora al buio, non sei mica morta.”

“Uh… grazie,” mormorai quasi imbarazzata e confusa dall’allegria che emanava dalla sua faccia e da ogni suo singolo gesto. Lui si voltò di nuovo verso la finestra e levò l’ultima asse, impilandola sopra le altre: adesso la stanza era completamente illuminata e di sicuro era più accogliente di quel buco oscuro che era prima. Appoggiò il martello sopra la pila di assi e si avvicinò a me: quando arrivò a pochi centimetri dal letto, tese la mano destra. “Bentornata, Eve,” mi disse con un altro sorriso. Rimasi sconvolta dall’allegria e dalla vita che riusciva a scaturire da un gesto così piccolo, e tutto quello che potei fare fu stringergli la mano e pensare Anche lui con questa storia che ero una Killjoy? Ma si sono messi tutti d’accordo?

“Immagino che non ti ricordi nemmeno come mi chiamo,” continuò.

Frugai nella poca memoria che mi era rimasta. “Tu sei… uhm… com’era… il Diavolo del Divertimento? Fun Ghoul?” tirai ad indovinare.

Un lampo di tristezza passò velocemente nei suoi occhi verdi, ma ripresero quasi subito la loro vitalità. “Già, indovinato,” confermò con un sorrisetto a metà tra il soddisfatto e il malinconico. “Come facevi a saperlo?”

“C’era scritto sulla tua scheda. Alla Better Living.”

Mi guardò un attimo confuso, poi capì a cosa mi riferivo. “Oh, giusto.” Fece una mezza risata e borbottò tra sé e sé: “Dicono di essere tanto perfetti e poi sbagliano anche i nostri nomi…”

“Cosa?” gli chiesi confusa.

“Niente. Lo capirai se riuscirai a recuperare la memoria,” mi disse. Improvvisamente, come se se ne fosse ricordato soltanto adesso, si sedette con delicatezza accanto a me e iniziò a frugare nelle tasche del giacchetto di pelle mentre mi parlava senza guardarmi. “A proposito… dovrai restare con noi finchè non l’avrai recuperata.”

COSA?! Deglutii. “Stai scherzando.”

“Per niente,” replicò freddo senza smettere di cercare e senza degnarmi di uno sguardo. “Sai, anche il Diavolo del Divertimento può essere serio, qualche volta.”

“Ma…”

“Avevi altri progetti?” Si fermò per un attimo e lo sentii deglutire, come se stesse buttando giù le lacrime. “A parte ucciderci, intendo.”

“No, ma…”

“Perfetto. Allora rimanere qui con noi non ti farà male. Ah, eccolo.” Da una piccola tasca laterale estrasse un oggetto nero, poi si voltò di nuovo verso di me. Osservai cosa aveva in mano: era una fascetta di gomma nera, con un piccolo quadratino grigio che somigliava vagamente a un chip.

“È un trasmettitore,” mi disse Fun Ghoul come se mi avesse letto nel pensiero. Tese la mano sinistra. “Se mi dai il braccio te lo metto.”

Allontanai il mio braccio destro, quello più vicino a lui. “Perché dovrei?”

Sospirò. “Perché è tutto già abbastanza difficile, e se tu non collabori la situazione non migliorerà.”

“La mia o la vostra?”

Mi gelò con lo sguardo. “Entrambe.”

Rimanemmo immobili per qualche momento, poi, riluttante, tesi il mio braccio destro verso il ragazzo. Lui mi arrotolò delicatamente la manica della giacca bianca, diede un veloce sguardo triste e incazzato alle mie cicatrici, e mi infilò il trasmettitore come se fosse un braccialetto, facendolo salire sempre più su lungo il braccio finchè non arrivò dieci centimetri sotto la mia spalla. “A che serve?” chiesi al moro mentre finiva di sistemarlo.

“In pratica ci dice sempre dove sei e quanto sei lontana da noi. Più di mezzo chilometro e puoi considerarti nei guai.” Rimase un momento in silenzio e aggiunse: “Ah, e ti sconsiglio di provare a toglierlo. Ti ritroveresti sdraiata sull’asfalto con un paio di scariche elettriche che ti viaggiano sottopelle.” Srotolò la manica e la rimise al suo posto. “Perché mi fate tutto questo?” mormorai.

Mi guardò ferito con i suoi occhi verdi. “Noi non ti stiamo facendo niente, Eve.”

“E perché non posso andarmene, allora?”

“Perché se ci uccidi e te ne vai le cose non miglioreranno. Anzi, peggioreranno di giorno in giorno, e quando recupererai la memoria vorrai ucciderti per quello che hai fatto.”

“Non credo proprio.”

Sorrise amaro. “Le scommesse sono aperte.”

Il silenzio calò per qualche minuto, poi parlai di nuovo. “Fun Ghoul… cosa ci fate quaggiù nel deserto?”

Aggrottò le sopracciglia. “In che senso?”

Ci pensai su un attimo. “Se vivevate dentro Battery City… perché ve ne siete andati? Voglio dire, lì dentro si è al sicuro, senza problemi, senza malattie… è perfetta. Cosa vi ha spinti ad andarvene?”

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche minuto e pensai che mi avrebbe ignorata, poi disse: “Tu dovresti saperlo perfino meglio di me, ma non importa.” Sospirò. “Hai ragione, Eve: Battery City è perfetta, non ha neppure un minimo difetto all’esterno, per quanto ne stia cercando uno da anni. Ma il vero problema non è fuori, è dentro: tutta quest’ossessione sulla perfezione e sull’essere felici e tutto il pacchetto di cazzate… è, come dire, il male. Sono così ossessionati dalla perfezione che non si rendono conto che è l’imperfezione ad essere bella così com’è. La perfezione è solamente la maschera di un caos che non accetta di essere sé stesso, ma l’imperfezione è un caos che accetta i suoi difetti e limiti e ci convive, e questo la rende più bella che mai.” Si fermò per un attimo e mi fissò con gli occhi verdi. “Dimmi: distruggeresti qualcosa perfetto per renderlo bellissimo?”

Non capii cosa volesse dire e mi limitai a rimanere in silenzio a testa bassa. Sentii lo sguardo di Fun Ghoul addosso a me per qualche secondo, poi lui si alzò dal letto, andò verso la porta e la aprì, prendendo qualcosa sul pavimento. Quando tornò nella mia visuale chiuse la porta e tornò da me, porgendomi cos’aveva in mano. Presi esitante i vestiti colorati e me li misi in grembo, indecisa su cosa farne.

“Penso che sia meglio che ti lasci da sola mentre ti cambi. Quando hai finito puoi scendere giù,” mi disse. Mi fece un lieve sorriso. “A dopo.” Tornò verso la porta e uscì dalla stanza, chiudendosela alle spalle. Mi aspettai di sentire il familiare rumore della chiave che girava nella serratura, ma non sentii niente.

Drizzai le orecchie. Ancora niente.

La porta non era chiusa a chiave.

Un’ondata di energia mi passò nel corpo: potevo scappare! La porta era aperta, potevo correre nel corridoio e giù per le scale come il vento e non mi avrebbero mai più rivista. Mentre mi alzavo in piedi, però, mi ricordai di quel maledetto trasmettitore: non potevo andare lontano se ce l’avevo addosso, e non potevo nemmeno togliermelo. Mi avvicinai alla parete più vicina e ci appoggiai la fronte, disperata: cosa potevo fare?

E se stessi al loro gioco?

Ci pensai su un attimo: sì, potevo farlo. Potevo rimanere con i ribelli abbastanza a lungo finchè non si fossero fidati di me, poi li avrei convinti a togliermi il trasmettitore e a quel punto me ne sarei andata. Nel frattempo, dovevo anche trovare il modo per comunicare con Korse e dirgli qual’era la mia situazione attuale. Sorrisi tra me e me: era un piano perfetto.

Mi avvicinai di nuovo al letto e mi tolsi la giacca e i pantaloni bianchi, appoggiandoli sul materasso e rimanendo in mutande e reggiseno. Afferrai il paio di jeans e la maglia nera con un ragno verde fosforescente sul davanti, e me li infilai, insieme al paio di vecchie Converse viola che vidi vicino alla porta. Quando tornai al letto, vidi altri due oggetti che attirarono la mia attenzione: una cintura con una fondina e una pistola a raggi arancione sgargiante. Mi infilai la cintura e presi in mano l’arma: sull’impugnatura, oltre allo stesso ragno, c’erano incise le lettere che erano anche sul giubbotto di pelle che avevo addosso quando mi ero svegliata alla Better Living, L.B.V. Mi ripromisi di chiedere a qualcuno cosa significassero, e infilai la pistola nella sua fondina. Con un respiro profondo, mi avvicinai alla porta e la spalancai.

Il corridoio era completamente vuoto, e dalle altre stanze non giungeva alcun rumore. Mi chiusi la porta alle spalle e mi incamminai lentamente verso le scale. Passando davanti a una delle altre porte, però, sentii improvvisamente un rumore di passi. Spinta dalla curiosità, mi avvicinai e la aprii: la stanza su cui dava conteneva tre letti e un paio di vecchi armadi, chiusi ma sicuramente utilizzati spesso.

E davanti a me, a torso nudo, c’era Showpony.

Lanciai uno strillo e chiusi velocemente la porta, seguita dall’urlo del ragazzo. “Oddio, mi dispiace, mi dispiace tanto!” esclamai alla porta chiusa. Lo sentii mormorare “Tranquilla, è tutto okay…” e dopo poco la porta si aprì di nuovo, ma stavolta lui aveva addosso una vecchia maglietta azzurra. “Io… io… scusami, è solo che ho sentito un rumore e…”

“Ehi, va tutto bene, non è successo nulla,” mi disse inespressivo. Io non accennai nemmeno a calmarmi e continuai sull’onda dell’isteria, finchè non mi ricordai che, un paio di giorni prima, gli avevo tirato una sonora ginocchiata nei coglioni. Attenendomi al piano del conquistare la sua fiducia, misi da parte l’isterismo e gli chiesi: “E, uhm… mi dispiace anche per quella ginocchiata.”

Lui mi guardò un momento confuso, poi disse: “Stai mentendo.”

Sbarrai gli occhi. “Perché dovrei?”

“Ti conosco bene, Eve. L’unica cosa che volevi fare era uscire da quella stanza, e di sicuro il mio dolore era l’ultimo dei tuoi problemi.” Guardò la mia espressione e aggiunse: “Ma se vuoi, accetto le tue scuse.”

“O… okay.” Era davvero lui lo stesso ragazzo di due giorni prima, quello con gli occhi grigi sul punto di arrossarsi e che mi parlava lentamente e in modo dolce? Come aveva fatto a trasformarsi in quel duro a cui sembrava non importasse niente? Lo osservai meglio dentro gli occhi, e scoprii come c’era riuscito: era la sua armatura, il suo modo per non esternare il dolore che provava. La cosa mi colpì talmente tanto che gli chiesi: “Showpony… stai bene?”

Sussultò un attimo, poi disse: “Certo.”

Annuii e rimanemmo per un momento in silenzio. Mi voltai e feci per scendere giù dalle scale, poi lui mi chiamò. “Eve.”

Mi voltai di nuovo. “Sì?”

Uscì dalla stanza e mi raggiunse. “Potresti… potresti chiamarmi Joshua?”

Fui tentata di chiedergli il perché, ma per sbaglio incontrai i suoi occhi grigi, e lì dentro mi sembrò quasi di vedere scritte le parole Ti prego. Deglutii. “Va bene… Joshua.”

Showpony fece un sorrisetto e scendemmo insieme le scale, raggiungendo il piano di sotto e gli altri ragazzi. A dir la verità, le uniche persone presenti nel salone erano un ragazzo con i capelli di un biondo abbagliante e una bambina di dieci anni con gli stessi capelli matti di Jet Star: Kobra Kid e Grace. Non appena lei mi vide, sbarrò gli occhioni azzurri e si avvicinò al ragazzo, prendendogli la mano e stringendogliela forte come se avesse paura di me. Ci guardammo l’una negli occhi dell’altra finchè il biondo non le diede uno strattone e aprì la porta del Diner. “Forza, Grace, dobbiamo andare,” le disse mentre la portava fuori. Si chiusero la porta alle spalle, ma riuscii a sentire le ultime parole di Kobra Kid rivolte alla bambina.

“Non ti preoccupare, sarà solo per poco tempo. Dopo tornerà tutto come prima, te lo prometto.”

Aggrottai le sopracciglia a quelle strane parole, ma i miei pensieri vennero interrotti dalla voce di Joshua che mi chiamava. Mi voltai verso di lui e lo seguii verso un’altra porta, che dava su un garage caotico e pieno di cianfrusaglie. Mentre mi guardava intorno meravigliata e stupita allo stesso tempo, il ragazzo si infilò dietro un paravento: ne uscì dopo qualche minuto, con addosso la sua tenuta da Showpony e una pistola a raggi fucsia nel fodero della cintura. “Che vuoi fare?” gli chiesi spaventata.

“Tranquilla, non ti voglio uccidere. Voglio solamente vedere quanto sei ancora brava con la pistola,” mi rispose per tranquillizzarmi. Si diresse verso la porta che portava all’esterno e io lo seguii, ma improvvisamente le gambe iniziarono a tremarmi lievemente e fui costretta ad appoggiarmi a uno dei tanti tavoli per rimanere in piedi. Inoltre, avevo la vaga voglia di vomitare. Il ragazzo mi si avvicinò, preoccupato, e mi chiese: “E-Eve? Tutto okay?”

Chiusi gli occhi per un attimo, feci un respiro profondo e mi calmai: la sensazione sparì insieme al tremito. Mi staccai dal tavolo e sorrisi leggermente a Joshua. “Sì. Sì, tutto okay. Sto bene.”

Lui mi guardò non molto convinto, poi lasciò perdere e spalancò la porta, lasciando entrare nel garage il calore e la sabbia del deserto. Lo seguii fuori fino allo spiazzo dietro il Diner: lì si fermò e mi indicò un cespuglio qualche metro più in là. “Colpiscilo in pieno.”

Con un gesto veloce tirai fuori la mia pistola a raggi dalla fondina e la impugnai con tutte e due le mani, nel modo in cui mi aveva insegnato Raphael: chiusi un occhio e mirai con l’altro, facendo poi fuoco. Il colpo rimbombò nel deserto e colpì il cespuglio, ma non nel suo centro. Sparai un altro paio di proiettili, ma il risultato fu sempre lo stesso.

“Dio, come sei imbranata,” mormorò Showpony infastidito con uno sbuffo. “Dai qua.” Allungò le mani verso la pistola che stringevo tra le mani e la prese anche lui con le sue. “Devi tenerla così, vedi? Altrimenti non riuscirai mai a centrare il bersaglio.”

“Okay,” dissi.

“Riprova,” mi ordinò severo. Ma, mentre toglieva le mani dall’arma, la sua pelle sfiorò per sbaglio la mia. Lo vidi arrossire di colpo sotto il sole, e si voltò in modo che non potessi vedergli il volto. “Forza, prova,” disse con la voce che tremava.

Lo guardai perplessa, poi scrollai le spalle e mi concentrai di nuovo sulla pistola.

*
Okay. E' ufficiale, sono sfatta. E' da stamattina che sono alle prese con la lezione di latino e mezz'ora fa ho finito una versione e diciotto fottutissime frasi. Ho ancora un paio di esercizi e ho finito. Ma cavoli, otto versioni e quattro esercizi e più di trenta verbi da tradure per una settimana e mezzo di vacanza mi sembrano decisamente troppi (e a me il latino piace. Ho detto tutto .-.)
LudusVenenum: waaah, leggilo al più presto perchè è stupendo! Effettivamente la versione italiana si chiama "Black Butler" anche se io preferisco il titolo originale... Party Poison è pervertito nel DNA, non ci si può fare niente v.v
Maricuz_M: è quello che dico sempre anch'io, per questo l'ho fatto pensare a Eve XD Sono contenta che tu sia soddsifatta, grazie per i complimenti! :D
Momoka chan: la tua recensione mi ha decisamente risollevato il morale dopo una serata di merda :D Davvero ti è sembrata così profonda? Wow, mi sento una filosofa U.U AHAH Frank sarebbe stato di sicuro geloso XD No, non ho ancora visto Cappuccetto Rosso Sangue, ma è nella mia lista di film da vedere (pure troppo lunga... -.-') Io in colpa per tutto quello che è successo ad Eve? Quando mai! U.U Io fossi in te sceglierei la California del 2019... e io ti seguirei a ruota!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 12
*** Withdrawal symptoms ***


Withdrawal symptoms

(Drugs, gimme drugs, gimme drugs)

 

I giorni successivi furono normali e allo stesso tempo strani. Almeno, per me fu così. Dopotutto, ero l’ospite/ostaggio dei ribelli/assassini della mia famiglia, non potevo aspettarmi che fosse tutto rose e fiori.

Loro cercavano sempre di costruire un rapporto più profondo con me, ma io mi tenevo a debita distanza e limitavo i nostri contatti. Cosa parecchio difficile, visto che sarei dovuta rimanere lì finchè non avrei recuperato la memoria: e questo voleva dire settimane, mesi, forse anni. O forse mai più. L’unica persona con cui avevo un rapporto leggermente più ‘amichevole’ era Fun Ghoul. Non sapevo perché, ma c’era qualcosa nella sua espressione, nel suo sorriso e nella sua allegria costante che mi ispirava fiducia in quell’esserino alto un metro e uno sputo con due occhioni che sembravano usciti da un fumetto.

Oh, e poi… Joshua.

Essendo l’unico ad avere la mia stessa età era la persona con cui passavo la maggior parte del mio tempo, ma a volte avevo la strana sensazione che il ragazzo facesse di tutto per tenermi lontana, come se il nostro stare vicini avesse potuto causare un’esplosione di proporzioni gigantesche. La maggior parte delle volte ignoravo il suo comportamento, ma altre volte mi chiedevo il perché di quella maschera che portava addosso: era stato così dolce e triste la prima volta che ci eravamo parlati, come se tenesse tantissimo a me, ma ora… quel ragazzo comprensivo e distrutto aveva lasciato il posto a uno sconosciuto che non mostrava espressioni e sentimenti. Ma sapevo bene che, in alcuni momenti particolari, la sua maschera si incrinava e quel ragazzo riemergeva. E chissà perché, quando succedeva, io stavo meglio.

In realtà non stavo bene, per niente. Ogni giorno venivo colpita da forti tremori nelle gambe, le braccia mi si indolenzivano improvvisamente e la voglia di vomitare mi saliva fino in gola. Un paio di volte mi ritrovai addirittura con la pelle d’oca e i brividi, anche se nel deserto c’erano almeno trenta gradi. Davanti ai ribelli cercavo di nascondere tutti questi sintomi, ma quando ero da sola li lasciavo sfogare, e certe volte ero talmente debole che mi accasciavo sul pavimento della mia stanza senza fiato. Sapevo benissimo perché mi sentivo così, ma fingevo di non esserne sicura. E quando le mie condizioni peggiorarono, desiderai di non averlo mai fatto.

 

La prima cosa che mi colpì fu l’agitazione. Ogni singola particella del mio corpo si muoveva, come se fosse sulla linea di partenza di una corsa e stesse per partecipare alla gara. Cercai di respirare piano per calmarmi, ma non ci riuscii: anzi, l’agitazione aumentò. Mi misi a sedere lentamente sul letto con gli occhi cerchiati: non avevo dormito per un solo minuto in tutta la notte, ed ero ancora più impreparata a tutta la situazione. Mi alzai in piedi, ma le gambe non ressero il mio peso e crollai pesantemente a terra.

Il vomito mi salì ancora una volta fino in gola e stavolta non feci niente per trattenerlo: riuscii appena in tempo a spostare la testa per non macchiarmi i vestiti, e un fiotto giallo-verdognolo mi uscì dalla bocca, formando una chiazza molliccia dello stesso colore sul pavimento. Tossii un paio di volte e un altro fiotto mi sgorgò dalla bocca mentre non smettevo di tremare. Quando finì, feci un respiro profondo: soltanto un’altra volta ero stata così male, e la colpa era sempre loro.

 

“Aiuto…” ero riuscita a mormorare prima di iniziare di nuovo a vomitare dentro la tazza del cesso. Avevo tentato di tapparmi le orecchie per non sentire il rumore del vomito che cadeva dentro l’acqua, ma ero talmente debole che probabilmente non sarei riuscita nemmeno a tirare lo sciacquone, pochi centimetri più in là sul muro. Ero riuscita a malapena a sentire la porta della mia stanza che si apriva e la voce familiare di Airi che mi chiamava. “Eve? Eve, dove… Oddio!” Una figura nera era entrata dentro il bagno e si era inginocchiata accanto a me, tenendomi indietro i capelli in modo che non li sporcassi. “Che ti succede?” mi aveva chiesto.

“Non lo so,” avevo mormorato con la voce rotta. “È da stanotte che mi sento così, non sono riuscita nemmeno a dormire. Penso anche di avere la febbre…” Un altro conato. “Sto di merda.”

Airi non aveva commentato, e si era limitata a tenermi indietro i capelli e a darmi di tanto in tanto una strizzatina di conforto sulla spalla. Quando erano trascorsi almeno due minuti durante i quali non avevo vomitato, mi aveva chiesto: “Ora va meglio?”

Avevo annuito mentre continuavo a tremare. “Sai cos’è?” le avevo chiesto in un sussurro.

“È l’effetto delle pillole,” mi aveva spiegato. “Anche per me i primi tempi era così, ma tra un paio di giorni finirà tutto.”

“Io tra due giorni sarò morta!” avevo urlato, scoppiando poi a piangere. La donna mi aveva abbracciato stretta mentre le lacrime cadevano sulla mia pelle. “Ssh, tranquilla, non ti succederà niente. Ci sono io.”

 

Se soltanto ci fosse stata anche in quel momento…

Mi accasciai sul pavimento sfinita, a pochi centimetri dalla pozza di vomito. Non so per quanto tempo rimasi immobile e distesa in modo scomposto, come un burattino a cui il burattinaio ha tagliato i fili, ma dopo quella che mi sembrò un eternità finalmente qualcuno bussò alla porta. Sentendo che non rispondevo, la voce di Kobra Kid disse: “Eve? Eve, tutto okay?”

“K-Kobra…” sussurrai, ma sono sicura che non mi sentì. Lo sentii chiamarmi ancora un paio di volte, poi la chiave girò nella serratura della porta (la sera mi chiudevano sempre a chiave per evitare che scappassi o che facessi una strage, ma almeno la finestra non era bloccata) e quella si aprì. “Eve, che… oh, merda!” fu la prima cosa che esclamò non appena mi vide. Si precipitò e si inginocchiò accanto a me, ancora distesa per terra. “Che ti succede?”

“Io… io…” iniziai, ma un altro conato mi assalì e feci in tempo a girarmi di nuovo verso la chiazza sul pavimento per vomitare ancora, scossa dai brividi. Il ragazzo mi guardò preoccupato e balbettò: “N-Non ti muovere, vado a chiamare gli altri.”

In condizioni normali gli avrei detto Come diavolo faccio a muovermi se sono in queste condizioni?, ma ero talmente debole che mi limitai a un veloce cenno del capo. Il biondo corse a tutta velocità fuori dalla stanza e giù per le scale, gridando il nome del fratello. Sentii delle voci concitate al piano di sotto e poi di nuovo un rumore di passi, stavolta di più persone. Entrarono tutti dentro la stana tranne Joshua, che rimase sulla soglia a braccia incrociate. Lo fissai negli occhi grigi finchè Party Poison non si inginocchiò accanto a me. “Eve, che hai?” mi chiese preoccupato.

“H-Ho bisogno di…” Mi interruppi, scossa da un altro brivido.

“Di cosa?”

Deglutii e feci segno al ragazzo di avvicinarsi un po’ di più verso di me. Sussurrai quell’unica parola così flebilmente che fu una fortuna se lui riuscì a sentirmi.

“Pillole.”

Si ritrasse e mi fissò allarmato con i suoi occhi verdi. La sua espressione diceva chiaramente che eravamo tutti nella cacca fino al collo, me compresa. Anzi, probabilmente io la cacca ce l’avevo fino sopra i capelli. Deglutì e disse: “Cerca di tenere duro, okay? Ci sono passato anch’io dalle crisi di astinenza, durano un paio di giorni e poi è finita.”

“M-ma…” mormorai a malapena. Perché non me le date?

Come se mi avesse letto nel pensiero, Party Poison mi disse: “Eve, non possiamo dartele. Non saprei nemmeno dove trovarle, e anche se lo sapessi non te le darei comunque. È meglio per tutti se riesci a superare l’astinenza.” Mi guardò con gli occhi tristi. “Scusa.”

“N-Non puoi farmi questo…” mormorai di nuovo, ma non mi ascoltò e si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso la porta. Joshua fu il primo a lasciare la stanza, come se tutto quello spettacolo non lo riguardasse o fosse troppo disgustoso per lui. Uno per uno se ne andarono tutti, ma Fun Ghoul indugiò per un momento, e tanto mi bastò. Lo chiamai e gli feci cenno di avvicinarsi a me, e quando mi raggiunse lo implorai: “Aiutami.”

Mi guardò anche lui triste. “Eve, io non posso farci nulla, non so come aiutarti.”

“S-Sì che lo sai.”

Sbarrò gli occhi e mi guardò severo. “No.”

“T… ti prego, gli altri non lo sapranno nemmeno. Se vuoi ti dico dove puoi trovarle, s-so che ci sono dei posti anche fuori da Battery City dove le vendono. Me ne basta anche una…”

“Eve.” Il suo tono severo interruppe i miei farfugliamenti. “Ascoltami, non è la prima volta che vedo una persona con una crisi d’astinenza. Ge… Party Poison c’è passato più di una volta, ma alla fine si è sempre risolto tutto per il meglio, anche senza droga. Perché è questo che sono le pillole, Eve: pura e semplice droga, niente di più.”

“Q-Quindi non mi aiuterai?” chiesi un’ultima volta speranzosa.

“No.” Dopo la sua risposta secca, si alzò in piedi e raggiunse la porta senza mai voltarsi indietro, e io iniziai a mormorare “Ti prego” sempre più velocemente, come se questo potesse fargli cambiare idea. Se la chiuse alle spalle e sentii la chiave che girava nella serratura. Qualcuno lanciò un urlo agghiacciante e disumano e scoppiò a piangere, e rimasi incredula quando scoprii che le lacrime mi stavano bagnando il volto e la mia bocca era spalancata. Non potei fare altro che continuare a piangere, scossa dai tremiti e dai conati, e sussurrare: “Vi odio, vi odio tutti quanti…”

*
Sunshines, e se tipo vi dicessi che il prossimo singolo esce (forse) il 13 giugno ed è la canzone che io associo a Eve e Joshua, ovvero BULLETPROOF HEART? Waah, non vedo l'ora *-* Basta che ci facciano sapere se quei quattro idioti sono vivi o morti. Se fanno un altro video live come Planetary, vado a prenderli di persona in New Jersey e li costringo a girarlo come dico io. Cavoli.
La frase sotto il capitolo è di Na Na Na.
Maricuz_M: davvero per te SON SODDISFAZIONI? Anche per me lo è ricevere una recensione del genere. Grazie per i mille complimenti che mi fai sempre *arrossisce* e vogliamo tutti Showpony nudo perchè ci emoziona u_u
Momoka chan: tu sei una maledetta stalker, mi perseguiti il Cavallino D: *lo abbraccia protettiva* Scherzi a parte... purtroppo la nostra cara rompiscatole ("Guarda che ti sento >.<") Evelyn tornerà tra qualche capitolo, in una circostanza che credo tu riesca a immaginare... Joshua caro, rimani pure senza maglietta, che inizia a fare caldo! XD E' probabile che alla BLind li paghino con i punti della Coop, tanto sono così storditi dalle pillole che non si rendono nemmeno conto che li stanno fregando ._. Sììì, meno male che tra un mese è finita perchè non ce la faccio veramente più! L'ultimo giorno piglio l'aereo e me ne vado in California a fare la Killjoy e a spupazzarmi Frank e Joshua *li spupazza*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
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Capitolo 13
*** Alone? ***


Alone?

 

Quei due giorni, i due giorni della crisi d’astinenza, furono i due giorni più merdosi e dolorosi della mia vita. Bè, della vita che ricordavo fino a quel punto. Le cicatrici e il buco nel mio petto non dovevano essere state fatti in modo indolore.

Non mi alzai mai dal pavimento, e non mi mossi quasi mai. L’unica volta che lo feci fu in caso di necessità: la pozza di vomito sul pavimento si era ingrandita talmente tanto che mi aveva quasi raggiunta e rischiava di sporcarmi i capelli e i vestiti. Sarò stata anche quasi in trance, ma scema non lo ero di sicuro e mi rotolai sul pavimento un paio di volte per allontanarmi dalla chiazza giallo-verdognola e iniziare a farne un’altra un po’ più in là.

L’insonnia fu la cosa peggiore di tutte: trascorsi due notti in bianco, nel silenzio del Diner, con nient’altro se non la luce della luna e i rumori notturni del deserto a tenermi compagnia. Durante il giorno quell’edificio sperduto nel nulla era pieno di voci e vita, ma la notte il silenzio dirompeva potente e mi assaliva quando ero già al minimo delle mie forze. Un vantaggio però ci fu: riuscii ad elaborare una traccia di piano per poter parlare con Korse e poi fuggire dai ribelli e tornare a Battery City. Nonostante avessi un piede nella realtà e l’altro nei sogni, riuscii a ragionare abbastanza lucidamente per quel che mi bastava.

Nessuno mi si avvicinò in quei due giorni, nessuno aprì la porta della mia stanza per chiedermi se stavo bene o meno. Non che la cosa mi dispiacque, anzi: stare in pace da sola per un po’ di tempo mi serviva. Dovevo riordinare i miei pensieri, le informazioni che avevo ricevuto negli ultimi giorni, il casino nel mio cervello che rischiava di mandarmi fuori di testa. No, non furono per niente dei giorni piacevoli.

La mattina del terzo giorno, non appena il sole fece capolino da dietro l’orizzonte, crollai. Mi addormentai di botto sul pavimento, senza nemmeno il tempo di accorgermene. E quando mi svegliai, parecchie ore più tardi, mi sentivo quasi bene. A fatica, mi misi in ginocchio e poi in piedi, appoggiandomi con una mano alla parete davanti a me: le gambe erano ancora un po’ malferme, ma dopo qualche minuto riuscivo già a camminare da sola senza bisogno di tenermi appoggiata alla parete. La nausea, con mio grande sollievo, mi era passata e, afferrando uno dei lenzuoli gettati in un angolo insieme ai mobili vecchi, pulii le macchie di vomito che avevo lasciato per terra. Il suo odore alla fine faceva talmente schifo che lo nascosi in una vecchia cassettiera, sperando che nessuno se ne accorgesse. Feci un respiro profondo, mi diressi verso la porta e rimasi scioccata quando scoprii che era aperta. Incuriosita, la spalancai e mi incamminai lungo il corridoio, verso il piano di sotto.

Anche se sembrava strano, stavo… bene. Sul serio. Non sentivo più il bisogno delle pillole, anche se mi sembrava di essere molto meno agile e scattante di prima. Ma, in qualche modo, mi sembrava di essere più leggera, come se in quei due giorni un peso enorme se ne fosse andato dal mio corpo. Quando scesi le scale e raggiunsi il salone, non c’era nessuno tranne Jet Star, seduto a un tavolo che leggeva qualcosa. Non appena sentì il rumore dei miei passi, si voltò verso di me, lasciò perdere quello che stava facendo e mi venne incontro. “Come stai?” mi chiese.

“Bene… bene, credo,” risposi. Mi diedi un’occhiata intorno. “Dove sono tutti gli altri?”

“In giro con la macchina, ma credo che Joshua sia dentro il garage a lavorare a qualcosa.” Fece una pausa. “Sai, credo che dovresti raggiungerlo. Immagino che voglia parlarti.”

Ma davvero? Non replicai, limitandomi a un cenno veloce col capo, e mi diressi verso la porta comunicante col garage, ma il ragazzo mi fermò. “A proposito… dopo io e Kobra Kid dobbiamo andare in un posto e pensavamo di portare anche te. Per farti uscire dal Diner.”

Mi voltai incredula verso di lui. “Sul serio?”

Annuì.

“W…wow. Cioè, non pensavo…”

“Che ti avremmo lasciata uscire di nuovo?”

Feci una smorfia. “Più o meno. Sono pur sempre un vostro ostaggio, no?”

Fece un sorrisetto. “Ehi, non ti puoi allontanare se sei da sola, ma con noi puoi andare perfino dall’altra parte del mondo.” Si bloccò un attimo, poi continuò: “E… non considerarti un ostaggio, non siamo dei criminali. Piuttosto sei… un ospite a lungo termine.”

Scrollai le spalle, poco convinta, poi aprii la porta del garage, entrai e me la chiusi alle spalle. Il ragazzo coi capelli blu era seduto a un tavolo, dandomi le spalle, e si stava dando da fare con qualcosa sopra il piano di legno. Mi avvicinai lentamente alle sue spalle e gli chiesi: “Che stai facendo?”

Sussultò e si voltò rapido verso di me. Una luce fugace gli passò negli occhi, sparendo altrettanto rapidamente come era arrivata. “Oh! Uhm… come stai?”

“Bene, grazie.”

“Sì. Uhm…” Aprii la bocca per dire qualcos’altro, ma lui mi interruppe. “Senti, scusa se l’altro giorno ti sono sembrato un po’ freddo e distante, lì sulla soglia della tua stanza… ma, vedi, è che quella per me era una situazione un po’ difficile da affrontare.”

Emisi un verso di sorpresa. “È successa la stessa cosa anche a te?”

Mi guardò stupito e scoppiò a ridere. “Cosa? No, certo che no! È che…” Notò il mio sguardo confuso e smise di essere allegro. Un lampo triste gli passò veloce negli occhi grigi, che lui accompagnò con un’alzata di spalle. “Non importa.”

Lo guardai stranita, poi lasciai perdere e spostai lo sguardo sul tavolo di legno. “Che facevi prima che io arrivassi?” gli chiesi di nuovo.

“Niente di particolare, sistemavo una… una vecchia cosa,” mormorò malinconico. Non aggiunse altro e non fece niente per impedirmi di guardare ‘la vecchia cosa’, così osservai attentamente gli oggetti sul tavolo. C’erano una miriade di fili di tutti i materiali e colori: fili di lana rossa, fil di ferro grigi o neri, fili di plastica dei colori più diversi… e in mezzo a tutta questa baraonda di colori, accanto a un paio di forbici semi-arrugginite, c’era un sasso azzurro-verde con un foro nel mezzo. Lo osservai ammaliata, stupita da come un oggetto così piccolo potesse essere tanto bello, e Showpony se ne accorse. “Ti piace?”

“È bellissimo,” sussurrai. Spostai lo sguardo verso il ragazzo. “Dove l’hai trovato?”

“Nel deserto, qualche mese fa. Luccicava tra la sabbia, e ho pensato che sarebbe stato un pendente perfetto per una collana.” Fece un sorriso triste e spostò con la mano alcuni fili. “Il vecchio filo si è sfilacciato e devo sostituirlo. Quale ti piace di più tra questi?”

“Dici a me?”

“Vedi altre persone qui dentro?” disse con un sorriso.

Spostai di nuovo lo sguardo su tutti i fili, cercando di capire quale sarebbe stato il migliore per una collana. Vagai con gli occhi da materiale a materiale, da colore a colore finchè non trovai il candidato perfetto. “Questo,” dissi sicura indicando un filo trasparente che al tocco era morbido come un filo di lana.

“Il più semplice, eh? Bene, anche a me piace la semplicità,” replicò Joshua, prendendolo e infilandolo dentro il buco del sasso. Prese le forbici e tagliò un pezzo di filo, poi fece un nodo unendo le due estremità e esaminò la collana finita. Soddisfatto, la sollevò e se la mise nella tasca dei jeans. “Fatto.”

“Non te la metti al collo?” gli chiesi.

Si voltò verso di me. “Come?”

“Non è tua?”

Ci mise un attimo prima di capire, poi disse: “Ah. No, non è mia, è…” Si bloccò, come se il resto della frase fosse troppo pesante da dire. Feci per chiedergli qualcos’altro, ma da fuori si sentì il rumore di un clacson e una voce che mi chiamava. Deglutii. “Penso… penso di dover andare,” mormorai. Il ragazzo non fece una piega e uscii dalla porta che dava sul deserto. Prima di richiuderla, guardai un ultima volta dentro il garage: Showpony non si era mosso e fissava un punto invisibile dentro la stanza, con l’aria di chi stava guardando dei ricordi belli e dolorosi allo stesso tempo. In quel momento sembrava così triste.

E così dannatamente bello.

Eve, no. Riprenditi. Questo non è il tuo posto, mi dissi, chiudendo definitivamente la porta. Fuori, dentro la macchina, Jet Star e Kobra Kid mi stavano già aspettando, e io li raggiunsi, sedendomi sui sedili posteriori. “Dove andiamo?” chiesi.

“Dal Dj della radio clandestina che ci trasmette informazioni. Si chiama Dr. Death Defying, ma per brevità lo chiamiamo tutti Dr. D,” mi spiegò Jet Star, voltandosi verso di me. Mi indicò la cintura di sicurezza alla mia destra. “Ti consiglio di mettertela. Il nostro caro Kobra Kid è in una relazione aperta con la velocità.”

“In che sen…” iniziai infilandomi la cintura, ma non appena il ragazzo si voltò di nuovo la macchina iniziò a filare lungo la strada come se avesse avuto un razzo acceso infilato nel tubo di scappamento. Fui costretta ad aggrapparmi alla maniglia della portiera e al sedile davanti a me per evitare di battere la testa da qualche parte e ritrovarmi un bernoccolo e un livido. Quando l’auto si fermò, parecchi chilometri e troppi minuti più in là, il guidatore folle si voltò verso di me. “Bè, che te ne pare?” mi chiese con un sorriso.

Per tutta risposta slacciai la cintura, spalancai la portiera e feci un respiro profondo. Mi voltai verso il biondo e sbottai: “Cazzo, ho appena finito di vomitare e sentirmi male, volete che inizi di nuovo?!” Per tutta risposta sentii le risate dei due ragazzi. Scesero tutti e due, e Jet Star mi disse: “Tu rimani qui dentro per qualche minuto, dobbiamo parlare velocemente col Dr. D e poi facciamo un altro giro, okay?”

Preferirei morire piuttosto che fare un altro giro con quel pazzo alla guida, pensai. Annuii e i due ribelli sparirono dentro il vecchio capanno accanto al tratto di strada dove ci eravamo fermati. Aspettai qualche minuto, assicurandomi che non sarebbero usciti, poi mi misi a fissare la strada dal lunotto posteriore: avevo un piano da portare a termine, dovevo solamente aspettare il momento favorevole per metterlo in atto. Prima, però, avevo bisogno di un’altra cosa.

Contorcendomi, raggiunsi il cassetto del cruscotto, davanti al sedile del passeggero. Lo aprii e iniziai a rovistarci dentro, quasi scavando tra i vari fogli e cartine che c’erano dentro. Afferrai un foglietto bianco e continuai a rovistare finchè non trovai una penna funzionante. Soddisfatta, chiusi il cassetto, ritornai composta sul sedile posteriore e, appoggiandomi al poggiatesta del sedile davanti a me, scrissi il mio messaggio sul foglietto: quando finii, lo piegai in quattro e scrissi a lettere cubitali su uno dei lati bianchi KORSE. Di sicuro se qualche Draculoide di ronda lo avesse visto, avrebbe saputo a chi portarlo. Aprii il finestrino e mi sporsi, guardando l’altro lato della strada: la telecamera che avevo adocchiato al nostro arrivo non era molto lontana, e con un tiro preciso l’avrei raggiunta. Feci un respiro profondo, tirai indietro il braccio col messaggio ben stretto nel mio pugno e lanciai: il foglietto volò fino ad atterrare davanti all’occhio della telecamera.

“Sì!” sussurrai, tornando dentro la macchina e chiudendo il finestrino. Potevo immaginarmi benissimo come sarebbero andate le cose: la persona che controllava i filmati delle varie telecamere dentro la Better Living avrebbe notato il foglietto e, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita a leggere il nome sopra esso. Avrebbe avvisato qualcuno ai piani superiori, forse Korse stesso, e avrebbero mandato qualcuno a prelevare il mio messaggio, e a quel punto a me sarebbe bastato aspettare che l’uomo si presentasse al mio appuntamento. Se le cose non fossero andate secondo il mio piano… bè, mi sarei inventata qualcos'altro.

Lanciai la penna, che avevo ancora in mano, sotto il sedile davanti a me mentre dalla baracca uscivano Jet Star e Kobra Kid in compagnia di un uomo con un paio di occhiali da sole e una barba nera. Sussultai quando mi accorsi che era su una sedia a rotelle e che dietro di lui c’era Grace, che guardava nella mia direzione spaventata. “Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?” chiese il ragazzo coi capelli ricci a quello che, presumibilmente, era il Dr. Death Defying. Lui scosse la testa, preoccupato. “Non lo so, Jet Star. Non ho la minima idea di come affrontare una situazione del genere, possiamo soltanto provare. Prima o poi qualcosa dovrà cambiare.”

L’altro Killjoy annuì, salutò il Dj e la bambina e tornò dentro la macchina insieme al compagno. Si voltò verso di me e mi chiese: “Tutto okay?”

Gli sorrisi. “Tutto perfetto.”

Rispose con un sorriso incerto mentre Kobra Kid accendeva il motore e iniziava a guidare molto più lentamente. “Senti… perché non ti riposi un po’ mentre torniamo al Diner? Immagino che tu non abbia dormito molto in queste notti.” continuò l’altro.

“Immagini bene,” risposi ironica prima di rilassarmi sul sedile e chiudere gli occhi. La mia intenzione era quella di riprendere un po’ le forze, ma dopo poco tempo mi addormentai, cadendo nel mondo dei sogni.

 

Nel dormiveglia, al mio risveglio, mi accorsi che c’era qualcosa che non andava.

Innanzitutto faceva troppo freddo, e anche la mia posizione era innaturale. Ero sdraiata su qualcosa di granuloso e duro: di sicuro non era il sedile dell’auto in cui ero fino a pochi secondi prima. Aprii gli occhi di scatto.

Davanti a me c’era il deserto.

Mi tirai velocemente a sedere: ero sdraiata sull’asfalto della strada, e quando mi guardai intorno non c’era nessun altro intorno a me, nemmeno una macchina.

“Kobra? Jet Star?” urlai, sperando che mi sentissero. “Se è uno scherzo, non è divertente!”

Ma nessuno mi rispose.

Frustrata, mi accorsi di un foglietto accanto a me. Lo presi, lo aprii e lo lessi: per ironia della sorte, era stato scritto con la stessa penna e la stessa carta del mio messaggio.

 

Scusaci se ti abbiamo lasciata qui, ma il Dr. D pensa che questo potrebbe aiutarti a far tornare la memoria. Non preoccuparti, per tornare al Diner devi solamente camminare nella direzione in cui stavamo procedendo in macchina, ci metterai poco.

Scusa.

 

Mi venne voglia di strappare quel foglietto, di ridurlo a pezzi, di fare il diavolo a quattro. Ma era inutile.

Ero da sola.

In mezzo al deserto.

E la notte stava calando sempre più velocemente.

*
Innanzitutto, Sunshines, mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento. Ieri sono tornata a casa alle dieci di sera e non ho avuto il tempo di postare il capitolo. (Tra parentesi, non avevo nemmeno finito di scriverlo.)
I hope you enjoyed it!
LudusVenenum: vabbè, se non recensisci una volta mica ti ammazzo u_u Vabbè, ma povero Joshua, comprendilo, guarda in che situazione si è ritrovato... il nostro piccolo Cavallino D: Waah, grazie per i complimenti ^_^ *esulta perchè sa come tenere il fiato sospeso*
Momoka chan: oddio, spero di non aver fatto vomitare anche te, per fortuna hai mangiato da un bel pezzo D: Fangirl di Mikey? Una delle mie migliori amiche lo è, sostenendo che è l'unico decente del gruppo >.< (Ultima prodezza -> guardando il poster della Black Parade: "Oh, ma chi è quel figone a destra?" "E' Mikey." "Ah, ecco perchè era così figo!" Una tragedia -.-') AHAH Ho pensato la stessa cosa anch'io quando ho sentito NA Na Na XD Incrociamo le dita, voglio che i Killjoys freghino la Better Living come si deve!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
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Capitolo 14
*** Once we were lovers... do you remember? ***


Once we were lovers… do you remember?

 

Mi tirai su in piedi: era inutile rimanere seduta a piangersi addosso, dovevo fare qualcosa prima che mi succedesse qualcosa di poco piacevole. Lasciai il messaggio per terra, non avevo bisogno di portarmelo dietro.

Mi diedi un’occhiata preoccupata intorno: qual’era la direzione in cui dovevo andare? I ribelli mi avevano detto di seguire la direzione in cui stavamo andando quando mi ero addormentata, ma qual’era? Fissai ancora una volta la strada che si diramava in due direzioni diverse, indecisa. Mi morsi il labbro, nervosa, poi scelsi quella che mi pareva più probabile e iniziai a camminare lungo il bordo della strada: anche se avessi sbagliato direzione, al massimo sarei tornata al rifugio del Dr. Death Defying, e avrei potuto chiedere a lui. Forse. Non sapevo cosa pensare di preciso di lui: sotto un certo aspetto mi veniva spontaneo portargli rispetto, ma sotto un altro mi faceva paura, come se avesse potuto perdere quella sua calma apparente da un momento all’altro.

E la bambina, Grace? Le uniche volte che mi aveva vista mi aveva osservata con gli occhioni azzurri spalancati in un’espressione spaventata. Come era possibile che avesse così tanta paura di me? Eppure nei suoi occhi avevo letto anche qualcos’altro: non voleva perdere una persona a lei cara.

Ma chi? pensai mentre camminavo con gli ultimi raggi del sole che illuminavano la strada. Forse aveva paura di perdere gli altri ragazzi, quelli che sembravano la sua unica famiglia. Eppure sembrava che quello sguardo riguardasse soltanto me. Ma come avrebbe potuto avere paura di perdermi se non ci conoscevamo nemmeno e stavamo nelle fazioni opposte della battaglia?

Mentre ero immersa in questi pensieri, il sole mi lanciò il suo ultimo raggio di luce e poi sparì dietro l’orizzonte, lasciando il posto alla notte, alla luna e alle stelle. La poca luce che mandavano mi bastava per poter individuare la strada su cui stavo camminando, e speravo di poter riconoscere la sagoma del Diner anche al buio. In quel silenzio, però, mi salirono i brividi e la paura e l’unica cosa che potei fare fu iniziare a canticchiare una vecchia canzone che avevo sentito alla radio che c’era nel Diner (i ribelli la chiamavano Boom Box).

I never tell I’d lie and wait forever… if I die we’d be together… I can’t always just forget her, but she could try…” Le parole erano state le prime a colpirmi. Era una canzone disperata, e le parole dure e piene di verità inaccettabili, ma in fondo c’era un pò di speranza. Una speranza dietro la morte, ma pur sempre una speranza.

Ever get the feeling that you’re never all alone, and I remember now… at the top of my lungs in my arms she dies, she dies…” Nonostante le parole tristi, iniziai a ondeggiare al ritmo della melodia che sentivo nella mia testa. Era una musica strana: le note mi ricordavano il dolce dondolio di una barca in mare, una barca che presto sarebbe sbarcata su un inferno in terra. Ma era il verso successivo che mi spaventava di più.

At the end of the world, or the last thing I see, you’re never coming home, never coming home. Could I? Should I? And all the things that you never ever told me, and all the smiles that are ever gonna haunt me…” Eccole lì, le parole più dure di tutte.

You’re never coming home.

Non tornerai mai a casa.

And all the wounds that are ever gonna scar me, for all the ghosts that are never gonna catch me… if I fall… if I fall down…” Chissà perchè, ma un pò mi rispecchiavo in quella canzone. Sapevo che c’erano delle cose che nessuno mi aveva detto, il sorriso triste di Joshua chissà perché vagava nella mia testa e mi tormentava offrendomi una possibilità che non potevo accettare, le cicatrici che portavo addosso sarebbero rimaste lì per sempre a fissarmi, e tutti i fantasmi che invadevano il mio passato erano così invisibili che non mi avrebbero mai preso se fossi caduta.

E io non sarei mai tornata a casa, così come i miei genitori.

Mi fermai un attimo, con le lacrime agli occhi: in quel momento, più che mai, sentii il bisogno di recuperare la memoria, di riprendermi tutti i ricordi che erano scomparsi da più di un mese. Chiusi gli occhi e mi immersi ancora una volta nelle profondità della mia mente, questa volta più velocemente e cercando subito il ricordo dei miei genitori. Questa volta riuscii ad afferrarne un lembo ma, quando feci per riportarlo in superficie, un’altra fitta alla testa me lo strappò di mano e mi riportò bruscamente alla realtà, costringendomi a inginocchiarmi sull’asfalto. Non appena la fitta scomparve, mi rimisi in piedi e continuai a camminare lungo la strada. Ormai era un’ora abbondante che ero in marcia, e chissà quanto ancora ci avrei messo ad arrivare al Diner. Iniziai a vagare dentro i miei pensieri così in profondità che sussultai quando vidi una luce dieci metri davanti a me. Mi preparai a metterla fuori gioco o a fare qualcos’altro, ma quella mi chiamò improvvisamente. “Eve!

“Ma cos…” mormorai mentre la persona si fermava accanto a me e mi illuminava con la torcia. “E tu che ci fai qui?”

“Bè… ero in giro a fare una commissione per il Dr. D, e mi ha detto che ti avevano lasciato nel deserto. Ero preo…” Si interruppe. “Volevo dire, non volevo che ti succedesse qualcosa di male e allora sono venuto a vedere dov’eri. Ma a quanto pare sei riuscita a trovare da sola la strada giusta,” concluse con un sorriso.

“Già.” Ci incamminammo, io a piedi e Joshua sui suoi pattini, verso il Diner, ancora un chilometro più in là. Mi morsi le labbra e presi fiato un paio di volte prima di voltarmi verso il ragazzo e chiedergli: “Hai per caso parlato con Grace?”

Mi guardò confuso. “Perché vuoi saperlo?”

“Niente,” mi affrettai a rispondere. Il silenzio si fece pieno di domande e continuai: “Vedi, stavo pensando alle due volte che ci siamo viste. Mi guardava spaventata, e anche come se… avesse paura di perdere qualcuno di caro.” Feci una smorfia. “Pensavo che foste tu e gli altri ragazzi, ma a ripensarci sembrava avesse paura di perdere me. Secondo te perché?”

Anche alla fievole luce della torcia, riuscii a vedere lo stesso sguardo che aveva nel garage prima che me ne andassi. “Non saprei,” mentì.

Non raccontarmi stronzate, pensai, ma non dissi niente. Camminammo in silenzio ancora per qualche minuto, poi Showpony si fermò e mi chiese: “Ti va di fermarci un po’ a sedere? Sono stanco, e penso che anche tu lo sia.”

Scrollai le spalle. “Okay.”

Il ragazzo si allontanò dalla strada entrando nel deserto, illuminando la sabbia davanti a sé e facendo attenzione che non mi perdessi. Si fermò quando ci eravamo inoltrati di un bel po’ e si mise a sedere, spengendo la torcia. Io lo seguii e mi sedetti accanto a lui: era arrivato il momento che parlassimo di tutto quello che stava succedendo, e soprattutto del suo comportamento che cambiava da un momento all’altro. Quel giorno e quella sera sembrava di nuovo il ragazzo fragile a cui avevo tirato un calcio nelle palle, non il cuore di pietra che mi aveva fissato senza battere ciglio mentre vomitavo. Sospirai. “Sai che noi due dobbiamo parlare, vero?”

Lo sentii fare un sorriso sarcastico. “Secondo te perché sono venuto a cercarti? È anche per questo.”

Annuii e aprii bocca per parlare, ma mi bloccò. “Prima che tu dica qualunque cosa… devo darti una cosa.” Si mise una mano nella tasca dei jeans (stranamente non aveva addosso il suo completo da Showpony, tranne i pattini) e tirò fuori un oggetto che luccicò alla poca luce notturna. Accese di nuovo la torcia per farmelo vedere, e rimasi sorpresa quando vidi che era la stessa collana di quel pomeriggio. “Cosa vuoi farci?” gli chiesi.

“Girati.” Obbedii e sentii le sue mani che mi sfioravano i capelli e il collo. Si ritrassero veloci, come se avessero potuto lasciarmi un’ennesima ferita. Mi portai la mano al collo e sentii il sasso verde-azzurro sotto le mie dita. Mi lasciai sfuggire una sola parola.

“Perché?”

“Perché era di una persona molto importante per me, ed ora voglio che lo tenga tu.”

Sorrisi amara. “Ora sono questo per te? Una persona importante?”

Rimase zitto. Il silenzio divenne ancora una volta troppo pesante da sopportare, così mi voltai verso di lui e parlai di nuovo. “Joshua… mi spieghi perché hai cambiato atteggiamento nei miei confronti?”

“Che vuoi dire?”

“Lo sai benissimo.”

Sorrise di nuovo sarcastico. “Forse per te è tutto facile, Eve. Non ti ricordi niente, non hai la più pallida idea di cosa ti sia successo in tutti i tuoi sedici anni di vita, hai un’idea di chi sei basandoti solamente su un mese di ricordi e su quello che ti hanno raccontato… ma per altri è diverso.” Fece una pausa. “Chi… chi sa meglio di te cosa ti è successo ti ha visto cambiare improvvisamente, e in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato. E quindi si è protetto dal tuo odio nel modo che credeva migliore.”

“E tu sei coinvolto più di tutti gli altri?”

“Sì.” Non c’erano né ironia né sarcasmo nel suo tono, era una affermazione rassegnata. Sospirò. “Forse adesso mi prenderai a calci, ma anch’io continuerò a dirti che era una Killjoy. Perché voglio che tu ti ricordi al più presto tutto, anche perché…” Perse completamente la sua parlantina svelta, mettendo insieme le parole a pezzi e con un tono alquanto imbarazzato. “Noi… tipo… bè, una volta… noi eravamo… eravamo innamorati.”

Lo guardai confusa e stranita per qualche secondo, poi scoppiai a ridere. Mi asciugai le lacrime dagli occhi mentre osservavo l’espressione seria, confusa e ferita del ragazzo accanto a me. “Scusa, forse per te non è divertente,” mi scusai con un’ultima risata. “Ma… io e te? Davvero?” Scossi la testa. “E poi… cosa vorrebbe dire essere innamorati?

Mi guardò ancora più confuso. “In che senso?”

Alzai le spalle. “Questo senso. Non so cosa vuol dire questa parola.”

Fissò il vuoto in lontananza per qualche secondo, poi si morse il labbro inferiore, cercando le parole giuste per iniziare. “È come… come quando… Dio, come posso spiegartelo? È una sensazione che devi provare.” Si voltò di nuovo verso di me. “È quando stai accanto a una persona e tutto il mondo attorno a te sparisce, perché lei è lì davanti a te. Se ti parla lo stomaco ti si attorciglia tutto, se ride sei contagiato dalla sua risata e il sole splende, se piange vorresti essere l’unico a poterla consolare e a vendicarla. E quando poi scopri che anche lei prova le stesse cose… ti senti la persona più felice del mondo.” Sorrise luminoso, come se avesse provato tutto questo. Avrei voluto provarlo anch’io: era possibile che qualcuno potesse essere felice senza bisogno delle pillole? “Dev’essere bello,” commentai.

“Sì.” Gli occhi grigi gli si oscurarono per un attimo mentre mi fissavano con malinconia. Quella tristezza sparì quasi di colpo, ma rimase leggermente visibile, come se, in fondo, non se ne andasse mai veramente. “Sì, lo è.”

“E di chi eri… innamorato?”

Mi guardò ancora con quella strana malinconia addosso, poi iniziò a parlare. “C’è… c’è stata una ragazza, qualche tempo fa. Tu sei… sei quasi uguale a lei, ma quando l’ho conosciuta aveva i capelli lunghi e color biondo cenere. Ma i vostri occhi sono gli stessi e anche l’espressione del viso, e credo… credo che anche il vostro carattere sia uguale, se il suo non è cambiato. La collana che ti ho dato era sua.” Mi guardò come se si aspettasse qualcosa da me, poi sospirò e continuò: “L’ho conosciuta poco meno di un anno fa, e all’inizio… bè, la odiavo. Letteralmente. Perché non sapevo da dove venisse, e dovevo ancora riprendermi da tutto quello che mi era successo due anni prima. Ogni occasione era buona per trattarla male, per farle piccoli scherzi, per mostrare agli altri quanto fosse imbranata e indegna della nostra fiducia. Ma alla fine ho capito che, in fondo, a lei ci tenevo. Che nessuno poteva farle del male, tranne me. Che ogni singola persona che provava a toccarla avrebbe dovuto fare i conti con me. E poi ci siamo… bè, innamorati.” Fece una pausa. “Ne abbiamo passate così tante insieme. Ci chiamavano gli Amanti della Demolizione, come una vecchia canzone, perché eravamo così imperfetti. Lei era perseguitata dalla sfiga ed era così incasinata dentro di sè, e io ero e sono anche ora continuamente inseguito dai sensi di colpa per aver permesso a loro di farle del male. E non sai cosa… cosa si prova ad essere impotenti quando la persona più importante del mondo per te viene ferita in qualunque modo e tu non la puoi aiutare a lenire il dolore.”

Seguì qualche minuto di silenzio, poi chiesi timidamente: “Che le è successo?”

“Un mese fa è scomparsa.” Perché mi sembrava che nei suoi occhi fosse comparsa una traccia di lacrime? “L’ho cercata dappertutto, ho chiesto a chiunque di avvisarmi se la vedeva… ma è stato tutto inutile. Lei non è ancora tornata qui, e ho paura che non lo farà mai.”

“… Bè, non è detto. Forse… forse tra poco tornerà. Qualcosa la trattiene e non riesce a raggiungerti,” provai a consolarlo.

Mi sorrise triste, di nuovo con quella malinconia negli occhi. “Già, forse hai ragione,” disse. “Ma sai… penso a lei ogni giorno, e ogni volta che guardo la direzione in cui è scomparsa mi chiedo se è più vicina o lontana da me. E oggi…” Nel buio, mi sembrò che una lacrima gli stesse scendendo lungo la guancia. “… oggi mi sembra più lontana che mai.”

*
Se vi siete fatta un'iniezione di Nutella vi capisco benissimo, lo avrei fatto anch'io leggendo un capitolo del genere.
Avrete capito, Sunshines, che la canzone è The Ghost Of You, e quel pensiero sulla barca si ispira un pò al video.. *coff, coff*
AnyWay.
Maricuz_M: so che sei fan della coppia, e spero che questo capitolo ti sia piaciuto. AHAH Riponi pure troppa fiducia in me, cara, ma spero di non deluderti comunque :D (E non preoccuparti per il capitolo precedente ;))
Momoka chan: oh sì, per una volta non mi sfotti Joshua XD Hai ragione, è così tenero e "carino e coccoloso" nel capitolo precedente, e gli altri quattro idioti così stronzi... (Più che a un cane, sembra che tu stia parlando al tuo fratellino o cuginetto di tre anni ._.) Come vedi, ho aggiornato subito dopo la tua recensione, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 15
*** Like water and fire. ***


Like water and fire.

 

Ancora una volta non riuscii a dormire.

Ma questa volta non era colpa delle pillole e della crisi d’astinenza.

La colpa era di una persona, una di quelle che avrei dovuto considerare mie nemiche.

Alla fine, dopo essermi rigirata per mezz’ora nel letto senza riuscire a prendere sonno, rinunciai del tutto ad addormentarmi e mi sdraiai sulla schiena a fissare il soffitto, illuminata dalla luce bianca della luna e delle stelle. Eravamo tornati al Diner in completo silenzio, senza dirci niente: lui era palesemente imbarazzato per quella confessione, e sotto sotto vedevo che era anche triste per la mia incredulità, ed io ero semplicemente scioccata.

Non avevo la più pallida idea di cosa pensare: le probabilità che avesse detto la verità erano altissime, eppure… c’erano dei particolari che non mi tornavano. Se eravamo davvero stati… ‘innamorati’, chi era quella ragazza di cui aveva parlato? Quell’unico piccolo particolare era quello che faceva cadere la sua credibilità, e quindi potevo essere sicura al centouno per cento che mi avesse raccontato una bugia.

E allora perché regalarmi la collana di quella ragazza?

Un ricordo mi attraversò rapido la mente: quando avevo detto sarcastica a Showpony ‘Ora sono questo per te? Una persona importante?’ era calato il silenzio, ma a me era sembrato che tra noi fossero vagate delle parole che non erano e non sarebbero mai state dette.

Lo sei sempre stata.

Mi portai una mano alla fronte e chiusi per un momento gli occhi, sospirando. Che casino, pensai. Mi sembrava che la realtà che stavo vivendo non fosse per niente uguale a quello che ogni persona, da un mese a quella parte, mi aveva raccontato. Ognuno aveva omesso alcune cose, e la maggior parte di loro probabilmente ne aveva aggiunte altre. Non potevo escludere alcuna possibilità, tutto era possibile.

Certo… tutto tranne la storia fantasy di Party Poison.

Un pensiero mi passò veloce per la testa. E se Airi mi avesse mentito?

E se tutto quello che mi aveva raccontato era una bugia? Forse i miei genitori non erano davvero morti, forse non erano stati assassinati, forse…

Troppi ‘forse’.

Pensai a tutto quello che la donna aveva fatto per me: mi aveva curata, mi aveva aiutata a preparare una vendetta, mi aveva consolata e aveva lasciato che mi sfogassi. Perché avrebbe dovuto mentirmi, che vantaggio ne avrebbe potuto trarre?

Con quest’ultima riflessione, tutti gli altri pensieri si acquietarono. Mi sdraiai su un fianco, mi sistemai in modo da stare comoda e poi mi lasciai abbandonare al sonno, le mie certezze intatte come prima.

In quel momento non me ne accorsi, troppo chiusa al sicuro nella mia piccola bolla di verità certe, ma fu in quel preciso istante che il buio nella mia mente iniziò ad incrinarsi, formando crepe da cui usciva una debole luce.

 

La mattina e tutto il giorno dopo Joshua si comportò come se la sera prima non avessimo mai parlato. All’inizio fui di nuovo sconcertata dal suo ennesimo cambio di carattere, ma alla fine lasciai perdere e affrontai a testa alta il suo comportamento lunatico. Per fortuna ci pensò Kobra Kid a distrarmi, facendo una cosa che non mi sarei mai aspettata da lui: da dietro il garage tirò fuori una moto gialla con un minuscolo adesivo col suo simbolo sul serbatoio. La prima cosa che mi disse fu: “Voglio che tu impari a guidarla.”

Lo guardai con gli occhi spalancati. “Cosa?”

“Dai, hai capito benissimo. Penso che una macchina non sarebbe l’ideale per te, ma mi sembri perfetta per cavalcare una moto.” Battè il palmo della mano sul sellino nero. “Forza, mia signora, il vostro cavallo la aspetta.”

“Idiota,” mormorai tra i denti, ma con un sorriso in faccia.

Passai l’intero pomeriggio in sella alla moto. Non avevo mai provato una sensazione così bella: mi sentivo davvero libera, solamente io e lei con il vento che ci accarezzava o ci frustava a seconda della nostra velocità. Qualche volta il ragazzo salì sulla moto dietro di me per insegnarmi a controllarla meglio, ma ci riuscivo benissimo anche senza di lui. Alla fine guidavo quasi decentemente, ma quando scesi dal sellino le gambe e le braccia mi facevano male ed ero tutta intorpidita. Kobra Kid si limitò a ridere. “Anche per me era così le prime volte, ma poi passa in fretta.”

“È per questo che hai deciso di guidare solo la macchina?” gli chiesi.

Ci pensò un attimo su. “A dir la verità, ho rinunciato alla moto solo qualche anno fa. Stavo fuggendo da dei Draculoidi di pattuglia in moto, e uno di loro mi sparò alla gamba prima di tornare indietro insieme agli altri. Dopo pochi metri, quando ero vicino al Diner, caddi dalla moto e finii sull’asfalto, mentre lei si fermava un po’ più in là. Io mi sono ripreso e anche lei, con l’aiuto di Fun Ghoul, e allora ho deciso che l’auto era più sicura. Però è stata dura abbandonare quella libertà che provavo mentre ero in sella.” Mi sorrise. “Penso che tu sarai più brava di me a guidarla.”

“Di sicuro non sarò veloce come te.”

“Bè, forse non così tanto, ma devi andare sempre veloce, in caso di necessità devi pigiare l’acceleratore a fondo e scappare via più velocemente che puoi. Non puoi permettermi di fermarti, se ti fermi mentre ti inseguono puoi considerare la partita finita.”

“E quindi cosa mi consigli?”

“Solo una cosa: keep running.

 

Quella sera mi sistemai dentro il letto con i miei vestiti ancora addosso, ma non mi addormentai: anzi, feci il possibile per rimanere sveglia. Ogni cinque minuti controllavo l’orologio che avevo preso dal piano di sotto, aspettando che arrivasse l’ora X: quella in cui avevo dato appuntamento a Korse.

A mezzanotte precisa, muovendomi veloce ma senza fare il minimo rumore, uscii dal letto e presi il grande lenzuolo bianco trascinandolo fino alla finestra aperta: i ribelli chiudevano ancora a chiave la porta della mia stanza, ma la finestra era sempre aperta. Evidentemente non pensavano che sarei potuta uscire o scappare da lì. Ridacchiai tra me e me. Quanto si sbagliano!

Mollai il lenzuolo per terra e, dal mucchio di mobili accatastati, presi una sedia di legno che sembrava resistente. Non avevo tempo per provare quanto, ma non avevo altra scelta. La sollevai e la portai fino alla finestra, appoggiando lo schienale contro il davanzale. Controllai che non si muovesse e vi legai un’estremità del lenzuolo, che gettai fuori dalla finestra. Mi affacciai: dall’altra estremità al terreno c’era circa un metro, potevo farcela a saltare per aggrapparmi e tornare di nuovo nella stanza. Mi diedi un’occhiata intorno, feci un respiro profondo e, il più lentamente possibile, mi misi a sedere sul davanzale con le gambe che penzolavano nel vuoto. Senza pensarci, afferrai con entrambe le mani il lenzuolo e mi lasciai cadere.

La sedia fece un rumore strano, ma rimase ferma e scivolai giù per il lenzuolo trattenendo i gemiti di dolore quando la pelle sfregava la stoffa. Atterrai in ginocchio sulla sabbia del deserto e mi rimisi in piedi velocemente, dando un’occhiata al Diner: nessuna luce accesa, nessun rumore. Dormivano ancora tutti. Feci un cenno soddisfatto con la testa e aspettai.

Non ci volle molto prima che una macchina mi raggiungesse coi fari accesi al minimo. Anche al buio, riuscii a vedere bene la carrozzeria nera e la persona che usci dall’auto e mi raggiunse. Deglutii e feci un altro respiro profondo: perché vederlo mi metteva sempre a disagio? “Hai ricevuto il mio messaggio,” dissi non appena fu a portata d’orecchio.

“Sei stata furba a lasciarlo davanti a una telecamera in modo che lo vedessimo. Ottima idea.” Il commento di Korse mi lasciò spiazzata: era la prima volta che si complimentava con me in quel modo, cosa c’era sotto? Lasciai perdere e lui continuò: “Perché sei ancora qui?”

Ed ecco il rimprovero. “C’è stato un problema quando sono arrivata per ucciderli. Uno di loro era sveglio, mi ha sparato e inseguita e mi hanno presa.”

“Mi stupisco che tu non abbia ancora trovato un modo per fuggire,” disse sprezzante. Le sue frecciatine erano talmente velenose e appuntite che, se fossero state frecce vere, mi avrebbero uccisa. Finsi di non accorgermi della sua acidità e replicai: “Ci ho provato una volta, ma mi hanno presa di nuovo e mi hanno infilato un trasmettitore. Se sono più lontana di mezzo chilometro, se ne accorgeranno.”

“Non puoi toglierlo?”

“No. Credo che soltanto loro sappiano come toglierlo senza farmi provare dolore.” Omisi completamente il piccolo incidente della crisi d’astinenza: chissà perché, qualcosa mi diceva che Korse non sarebbe stato contento di sapere che non ero più sotto l’effetto delle pillole.

Sospirò. “Cerca di andartene e scappare al più presto, non puoi restare qui ancora a lungo. Usa il metodo che vuoi, ma torna a Battery City entro domani sera.”

Domani sera. Non ce l’avrei mai fatta, avevo bisogno di più tempo. “Non credo di potercela fare.”

“Non ti concederò altro tempo. O domani o manderò una squadra di Draculoidi a ucciderli al posto tuo.”

“No!” Mi uscì così spontaneo che rimasi sorpresa anch’io. Feci in tempo a riprendermi per correggermi: “Cioè, è una cosa che voglio fare io da sola. Dammi solo tre giorni e giuro che tornerò.”

Il suo silenzio non mi faceva presagire niente di buono, ma poi disse: “Va bene. Tre giorni al massimo.”

Feci per ringraziarlo, ma lui se n’era già andato a bordo della macchina nera.

 

Il giorno successivo lo passai a cercare di organizzare la mia fuga: avevo intenzione di andarmene la sera successiva, mentre dormivano tutti. Ormai avevo trovato il modo per evadere dalla mia stanza, e avevo anche un mezzo con cui scappare. Inoltre, anche se la mia pistola bianca era finita chissà dove, avevo sempre quella arancione che mi aveva dato Fun Ghoul. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.

In quell’unico giorno riuscii ad imparare a guidare e controllare la moto in modo discreto, e Kobra Kid fu letteralmente sorpreso dalla mia velocità d’apprendimento. Si complimentò con me per le mie doti innate di motociclista e per un attimo gli brillarono gli occhi, come se fosse fiero di me. Non aveva ancora idea del brutto scherzo che stavo per giocare a lui e ai suoi compagni.

Era quasi tutto pronto: avevo un mezzo, avevo un’arma, avevo una via di fuga. L’unico problema rimasto era quel maledetto trasmettitore, non sarei andata lontano con quello addosso e non sarei mai riuscita a levarmelo da sola.

Da sola.

Sapevo chi poteva aiutarmi a toglierlo.

 

Eravamo seduti schiena contro schiena, nel bel mezzo del deserto. Fissavamo due direzioni opposte, ma i nostri pensieri probabilmente erano gli stessi: gli avevo chiesto di portarmi lì perché dovevamo finire di parlare. C’erano ancora dei punti oscuri, delle cose che volevo sapere, e sapevo che non avrei avuto altri momenti per potergli chiedere spiegazioni.

“Posso farti una domanda parecchio indiscreta?” gli chiesi senza voltarmi verso di lui.

“Dipende da quanto è indiscreta.” Riuscii quasi a sentire il sorriso nella sua voce. Presi fiato e feci la mia domanda. “Come sei finito qui tra i Killjoys? Hai più o meno la mia età, o sbaglio?”

Il silenzio cadde velocemente tra noi due e anche nel resto del deserto. Riuscivo a sentire la tensione che era calata, come se questa domanda avesse aperto nell’animo di Joshua delle ferite profonde che forse non si sarebbero mai rimarginate. Mi pentii di averglielo chiesto e feci per ritirare tutto, ma lui iniziò a parlare. “Vedi… tre anni fa vivevo ancora con la mia famiglia, in una casa poco fuori da Battery City. I miei genitori non erano molto ben visti da quelli della Better Living, e dopo poco tempo erano finiti sulla loro lista nera. I Draculoidi sono venuti a casa nostra e le hanno dato fuoco.” Fece una pausa. “Mia madre è corsa in camera mia a dirmi di scappare, di andarmene, e quando sono uscito da solo la casa è saltata in aria. E non c’era nessun’altro, solamente le ceneri.”

Il silenzio che cadde questa volta fu imbarazzato. Dirgli ‘Mi dispiace’ mi sembrava ipocrita, così decisi di cambiare discorso. “In fondo, non siamo così diversi.”

Si voltò verso di me. “Cosa?”

Mi voltai anch’io. “Ma sì, le nostre storie sono simili. Entrambi i nostri genitori sono morti, le nostre case e le nostre vecchie vite sono andate distrutte e siamo ripartiti da zero tutti e due. Però siamo anche molto diversi, non trovi? Siamo nelle fazioni opposte di una guerra, i nostri modi di pensare e caratteri sono completamente diversi e… anche i nostri capelli lo dimostrano.” Presi una sua ciocca blu e una mia rossa e le avvicinai. “Vedi? Come acqua e fuoco.”

Levò la sua ciocca dalla mia mano e sorrise triste. “Già.”

Mi morsi il labbro: adesso era il momento ideale. Presi fiato e dissi: “Joshua… devo chiederti un favore.”

“Dimmi pure.”

“Potresti… togliermi il trasmettitore?”

*
Vi dico solo una cosa, Sunshines.
PREPARATEVI.
Perchè il prossimo capitolo sarà veramente 'tanta roba'.
Maricuz_M: *gongola* Ti prego, tira fuori il gelato al cioccolato, farò io la regista della telenovela! D: Scherzi a parte, se questo capitolo ti è piaciuto così tanto, penso che il capitolo dopo il prossimo ti piacerà ancora di più...
LudusVenenum: i compiti non ti hanno impedito di pubblicare il nuovo capitolo dei Knights (oh yeah u_u) e ti incazzarti con Joshua, vedo XD Certo che i cogliones hanno un lato bastardo! A quanto pare Gee ha dichiarato che il video di BH non sarà il continuo della storia dei Killjoys perchè 'vuole prolungare l'attesa'... sadico di *imprecazioni censurate*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan

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Capitolo 16
*** Remember me! ***


Remember me!

 

Cosa?

Il suo sguardo, il tono della sua voce, i muscoli del suo viso, tutto in Joshua trasudava stupore e incredulità. Lo sapevo cosa stava pensando: davvero gliel’avevo chiesto? Davvero gli avevo chiesto una delle poche cose che non avrebbe mai potuto fare? “Cosa ti fa pensare che ti aiuterò a scappare?”

Gli lanciai uno sguardo ferito per nascondere il mio stupore. “Io non voglio scappare.”

Rise amaro. “Certo. Vuoi che io ti tolga il trasmettitore solamente perché ti dà fastidio, giusto?”

“Perché sei così prevenuto nei miei confronti?” gli chiesi. Rimase un attimo in silenzio, come per pensare a cosa rispondermi. Lo incalzai: “Non ti fidi di me?”

Si riscosse dai suoi pensieri. “Una parte di me vorrebbe fidarsi, ma le mie palle pensano l’esatto contrario.” Sospirò. “Non è che non… mi fido di te, ma non posso toglierti il trasmettitore. Non conosco le tue vere intenzioni, è un rischio che non posso correre.”

Feci una smorfia. “Pensavo che ormai avessi imparato a conoscermi.”

“No, non è così.” Il suo tono duro mi colpì e mi spaventò al tempo stesso. Anche perché non staccò i suoi occhi grigi dai miei, e il suo sguardo era duro quanto la sua voce. “Io ti conoscevo bene, Eve, ma un sacco di tempo fa. Sapevo cosa avresti fatto in ogni situazione, sapevo per cosa avresti rischiato la tua vita e per chi saresti morta, ma adesso no.” Fece una pausa. “Adesso so solamente che stare lontano da te è la cosa migliore da fare, per me.”

Quando finì di pronunciare queste parole, successe la cosa più strana del mondo.

Rischiai di scoppiare a piangere.

Ripresi subito il controllo di me stessa e lo fissai negli occhi. “Ti prego, ormai è più di una settimana che sto qui, e mi sembra che io abbia provato soltanto una volta a scappare. Avrei potuto provarci un sacco di volte, non credi? Invece sono ancora qui e non è mia intenzione andarmene, perché voglio recuperare la memoria il più presto possibile.”

Fece una smorfia. “E stare con noi potrebbe aiutarti a farlo?”

“Dite di conoscermi così tanto bene…” Allungai il mio braccio destro verso di lui: sotto la manica corta, il trasmettitore riluceva come un gioiello. “Ti prego?”

Joshua si morse il labbro inferiore, indeciso su cosa fare, poi allungò la mano verso di me e la avvicinò molto delicatamente al mio braccio. Toccò qualcosa sulla superficie del chip e poi mi sfilò lentamente il trasmettitore. Mano a mano che scendeva sempre più giù, sempre più vicino al mio polso, mi fu sempre più difficile trattenere un urlo di felicità e il sorriso che voleva allargarsi a dismisura sul mio viso. Quando il bracciale fu prima nella mano e poi nella tasca del ragazzo, nascosi più che potei quel sorriso enorme e ne feci uno timido a Showpony. “Grazie.”

Per risposta ricevetti una scrollata di spalle. Mi avvicinai a lui e allargai le braccia per abbracciarlo, ma lui si sottrasse al mio abbraccio, come se avesse capito che era stato tutto un trucco. Lo guardai confusa e lui disse: “Non ti ricordi? L’hai detto tu stessa, siamo come acqua e fuoco. Se ci tocchiamo ci distruggiamo.”

Si alzò in piedi e iniziò a camminare verso la strada, per poi tornare verso il Diner. Rimasi seduta un altro poco, poi mi alzai anch’io e lo raggiunsi.

 

Quella sera, sdraiata dentro il letto sotto le coperte, fu difficile contenere la mia felicità: non avevo più il trasmettitore! Potevo andarmene dal deserto e dal Diner senza che i ribelli se ne accorgessero! Potevo mettere a punto un nuovo piano e poi vendicarmi…

Ma era quello che volevo davvero?

Aggrottai la fronte a quel pensiero. Certo che è quello che voglio davvero. Sono degli assassini, hanno distrutto la mia vita e la mia famiglia, pensai in riposta per convincermi, ma non servì granché. Era strano dirlo, ma… io mi stavo affezionando a quei ragazzi. Sapevo che esisteva un nome per questa cosa: si chiamava ‘sindrome di Stoccolma’, ovvero quando un ostaggio si innamorava dei propri rapitori. Bè, io non mi ero innamorata di nessuno dei ribelli, ma avevo iniziato a considerarli quasi dei compagni, degli… amici.

Sorrisi tra me e me nel buio: anche se ero un loro ostaggio, mi avevano sempre trattata bene. A parte quella volta che avevo tentato di scappare, non mi avevano mai fatto del male, non mi avevano torturata, non mi avevano uccisa. Sembrava che volessero disperatamente che io recuperassi la memoria, per motivi che non mi erano chiari. Si comportavano con me come se io dovessi ripartire da zero e loro fossero le persone che dovevano aiutarmi in questo nuovo inizio. E Joshua… nonostante il suo carattere lunatico, era probabile che a me tenesse un sacco. Mi aveva raccontato una parte della sua vita, certe volte mi trattava come se ci conoscessimo da sempre e poi mi aveva regalato quella collana, che ormai portavo sempre al collo. La indossavo perfino in quel momento: afferrai il sasso verde-azzurro con la mano destra e lo intrappolai nel pugno.

Era per questo che avevo urlato ‘No!’ a Korse, la sera prima? Perché mi ero affezionata troppo a loro? Oppure perché non volevo che qualcuno uccidesse i ribelli e li vendicasse al posto mio, come gli avevo detto? E perché mi era venuta voglia di piangere quando Showpony aveva detto quelle parole dure nei miei confronti, quel pomeriggio? Perché si comportava in un modo così strano e lunatico con me?

Troppe, troppe domande. Non sapevo le risposte nemmeno della metà di loro, e non avevo la più pallida idea di come trovarle e di dove cercarle. Forse ritrovare i miei ricordi avrebbe potuto aiutarmi, ma non sapevo quando sarebbero tornati. Non provai nemmeno a immergermi nel buio della mia mente, come avevo già fatto: sapevo già che avrei provato delle fitte di dolore che mi avrebbero impedito di afferrare i volti seppelliti in fondo alla mia mente, e per quella notte non volevo provare nessun dolore. Volevo soltanto riposarmi, in vista della sera successiva.

Chiusi gli occhi e piano piano scivolai dentro un sonno senza sogni, e chissà perché il mio pugno non si aprì e non lasciai mai andare il ciondolo della collana.

 

La mattina dopo aprii gli occhi di scatto, già sveglia e con la tensione che mi pervadeva ogni singolo muscolo e osso del mio corpo. Quella sera, quella stessa notte sarei fuggita e me ne sarei andata per iniziare una nuova vita. Anche se avevo chiesto tre giorni a Korse, ero già pronta a partire con un giorno di anticipo.

Un brivido mi corse lungo la schiena, ma non ci feci caso e mi crogiolai per un paio di minuti dentro il letto, poi sentii dei passi affrettati lungo il corridoio e la chiave che girava velocemente nella serratura della mia porta. Mi misi velocemente a sedere mentre la porta si spalancava e il viso di Fun Ghoul faceva capolino, spaventato e con il fiatone per la corsa. “Eve! Per fortuna sei già sveglia!” esclamò sollevato.

“Che è successo?” chiesi preoccupata.

“È arrivata una macchina di pattuglia con dei Draculoidi dentro. Dobbiamo ammazzarli prima che loro ammazzino noi.”

Deglutii. Una macchina con dei Draculoidi? “Ma…”

“Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile, afferra la pistola e scendi giù!” Con questo, lasciò la porta aperta e si precipitò nel corridoio e giù per le scale. Mi infilai le scarpe e presi la pistola e la fondina il più lentamente possibile: era probabile che la macchina fosse stata mandata da Korse, e se gli avessero riferito che avevo combattuto contro i Draculoidi? Avrebbe potuto pensare che ero passata dalla parte dei Killjoys, e questo non era assolutamente vero.

Con un respiro profondo, uscii dalla stanza e percorsi il corridoio fino alle scale: in fondo, che finiva di infilarsi i pattini, c’era Joshua. Quando sentì i miei passi, si alzò in piedi e si voltò verso di me. “Che ci fai ancora lì sopra? Muoviti!” mi gridò afferrando il suo casco sistemato su un gradino e scappando via. Scesi lentamente le scale, percorsi il salone e uscii fuori dal Diner.

La battaglia era già in corso: contro i cinque ribelli c’erano almeno una decina di Draculoidi, e mi era facile capire chi sarebbe stato il vincitore. Sarebbe stato un bene se i ribelli fossero morti, no? Anche se doveva essere la mia vendetta, non cambiava niente: avrei potuto sparare loro mentre erano impegnati a salvarsi la vita, e non si sarebbero mai aspettati che la morte sarebbe arrivata dalle loro spalle. Alzai la pistola a raggi contro la schiena di Jet Star, poco davanti a me, ma qualcosa mi impedì di premere il grilletto. Comandai più di una volta al mio dito di muoversi, ma lui si rifiutò di farlo.

Perché non riesco a sparare?! Loro hanno ucciso i miei genitori, hanno distrutto la mia casa, hanno reso la mia vita un inferno, perché non riesco a premere un semplice grilletto?

Così immersa nei miei pensieri, mi accorsi troppo tardi che avevo abbassato la pistola. Ormai il danno era fatto: i Draculoidi avevano accerchiato i ribelli, e se avessi sparato a loro avrei ucciso anche le persone della Better Living. Mi morsi il labbro, indecisa su cosa fare: era la mia vendetta, ma non potevo rischiare…

Ebbi come un dejavù.

Un flash mi passò veloce davanti agli occhi.

 

I Killjoys, esattamente come adesso, erano accerchiati dai Draculoidi e riuscivo a malapena a vederli. Io ero sdraiata per terra, con qualcuno sopra di me, ma per un attimo riuscii ad incrociare lo sguardo di Party Poison, che mi urlò: “Eve!”

E io gli risposi.

“GEE!”

 

Ritornai alla realtà anche troppo velocemente, e iniziai ad ansimare, gli occhi sbarrati: che diavolo era stato?

E soprattutto, perché avevo chiamato il ragazzo coi capelli rossi ‘Gee’?

Io non conoscevo il suo vero nome, e sulla scheda che c’era alla Better Living non era riportato quel soprannome. Sapevo solamente che lui si chiamava…

Gerard Arthur Way.

Sbarrai ancora di più gli occhi. Da dove era saltato fuori quel nome? E perché mi sembrava così dannatamente familiare?

Delle fitte di dolore mi colpirono la testa, come se volessero farmi dimenticare di quello che era appena successo, e crollai in ginocchio, tenendomi la testa tra le mani. Sembrava che nel mio cervello si fosse scatenata una tempesta con tuoni e fulmini, e io non potevo fare altro che resistere. Quando il dejavù rischiò di scomparire di nuovo nel nulla, presi una decisione: lo afferrai e iniziai a tirarlo con tutte le mie forze, prima che tornasse dentro la crepa di luce che attraversava il buio.

La testa iniziò a farmi ancora più male e lanciai un urlo. Non sentivo più i rumori della battaglia intorno a me, c’eravamo solamente io, il dolore e il buio. Mi sdraiai sull’asfalto con la testa ancora tra le mani, senza mollare quel ricordo.

Sentii qualcuno che mi chiamava in lontananza, ma era molto confuso.

La crepa si allargò un po’ di più, e ne vidi un’altra formarsi non molto lontano. Strinsi i denti e affrontai il dolore, mentre una voce dentro di me diceva: Forza, Eve, ci sei quasi! Non mollare, ce l’hai quasi fatta!

Con un ultimo urlo di dolore, il più forte di tutti, la crepa si allargò del tutto e il buio iniziò a frantumarsi e a scheggiarsi in pezzi. Riuscivo a vedere tutta la luce che c’era dietro, tutto quello che voleva tornare al suo legittimo posto.

Un frammento di nero cadde.

E dopo di lui ne seguirono molti altri, mentre la luce prendeva il loro posto e tutto tornava al loro posto: Joshua, Grace, il Dr. D, il deserto, la California, le mie cicatrici…

E tutto il resto.

Tutta la mia memoria.

Ricordai ogni singola cosa: Slay, Simon, Gavin, le mie ali e la spada, il mio dolore, Lethal Bloody Venom, mia madre, Bubble Tower, Amy e Taylor, Evelyn…

Tutto.

Ricordavo tutto.

Quando anche l’ultimo ricordo tornò al suo posto, tolsi le mani dalla mia testa e mi accasciai sulla strada, sfinita. Ansimavo, ma mi venne quasi da piangere quando una voce dentro di me esultò: Ce l’hai fatta, ce l’hai fatta!

Deglutii e dissi dentro di me: “E… Evelyn?”

Sì, sono io, Eve! Sono io, sono tornata, e tu hai ricordato tutto!

Feci un sorriso che somigliava più a una smorfia stanca. “Mi… mi sei mancata, rompipalle.”

Anche tu, cosa credi? Rise, poi tornò di nuovo seria. È stato orribile stare dentro la tua testa e vederti fare del male a tutti senza poter fare niente per aiutarti…

Il mio cuore perse un colpo quando mi venne a mente tutto il male che avevo causato in così poco tempo e rischiai di scoppiare a piangere. Delle voci parlarono poco lontano da me, poi qualcuno si avvicinò e si inginocchiò accanto a me. “Eve? Tutto… tutto okay?”

Alzai lo sguardo, stanca: la figura di Fun Ghoul si stagliava contro il cielo azzurro e mi fissava. Presi fiato e mormorai: “F…Frankie?”

Lui spalancò gli occhi verdi e cadde a sedere al mio fianco, tanto era scioccato. “Come… come mi hai chiamato?”

“Frankie.” Lo fissai negli occhi verdi e sentii i miei inumidirsi. “Tu sei Frank Iero, non è vero?”

*
Presto, Sunshines, qualcuno tiri fuori lo champagne! Qualcuno prenda gli striscioni e metta la musica! *esulta*
Oh, e non OSATE pensare che, siccome Eve ha ritrovato la memoria, questa storia sia finita. Ho anche qualche sorpresa in serbo per voi, e la prima di voi che scrive qualcosa sul fatto che manca poco alla fine verrà uccisa dalla sottoscritta ._.
Maricuz_M: ma no, io volevo il gelato! D: Bè, spero che questo capitolo ti sia piaciuto (non sei l'unica a disprezzare Korse, tranquilla ._.) ma sono sicura che il prossimo ti piacerà ancora di più! ^_^
Momoka chan: ti capisco, la scuola sta uccidendo anche me in questo periodo, mi aspettano un paio di settimane piene di compiti e interrogazioni (e comunque... il patentino non l'ho preso, ma l'ho fatto due anni fa e non sono nemmeno interessata a rifarlo. Aspetto di avere diciotto anni o quanti ne servono e mi prendo direttamente la patente per la moto.) Mi sento molto potente a essere definita 'scrittrice malefica' se vuoi saperlo u_u Cavoli, tira fuori gli striscioni dalla naftalina, ora ne abbiamo bisogno!! Scusa se ti ho spaventato con la mia nota in fondo capitolo, non era mia intenzione farti spaventare D: (o forse sì? *risata malefica*)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
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Capitolo 17
*** Joshua. ***


Joshua.

 

Frank non mi rispose, ancora sotto shock. Nei suoi occhi leggevo che era combattuto: doveva credermi o meno? E se fosse stato un altro dei miei trucchi? Con un’ultima fitta alla testa, gli mormorai: “Chiedimi qualcosa. Qualunque cosa tu voglia, basta che la risposta la sappia soltanto io e nessun altro qui in California.”

Ci pensò su per qualche attimo con gli occhi verdi che gli brillavano e che stavano tendendo pericolosamente al rosso e mi chiese, con un groppo in gola: “Come ci siamo incontrati la prima volta?”

Mi lasciai sfuggire un sorriso e una risatina. “In pratica mi sono schiantata davanti a te mentre cercavo di atterrare con le ali nere che avevo appena scoperto di avere. Dio, non mi scorderò mai più di quella botta!” Mi tirai faticosamente su a sedere e rivolsi un altro sorriso al ragazzo che stava per crollare. “Ehi, la tua sorellina è tornata.”

Il moro allungò le braccia di slancio verso di me e mi circondò in quel forte abbraccio che mi era mancato così tanto. Le sue lacrime colavano sulla mia maglietta, inzuppandola, e le poche che versai anch’io caddero dentro i suoi lunghi capelli neri, che accarezzai con una mano. Rimanemmo fermi così per quella che ci parve un’eternità, poi un rumore di passi ci raggiunse. “Tutto okay?” chiese Party Poison quando ci vide in quella posizione e in quello stato quasi pietoso. Mi staccai dall’abbraccio di Frank e mi alzai di botta in piedi, rischiando di perdere l’equilibrio. Non ci feci caso e mi gettai addosso al rosso, urlando: “Gee!

Il silenzio crollò di nuovo e poi lui mi chiese, stupito e sotto shock: “E… Eve?”

“Sì. Sì, mi ricordo tutto, fottuto Gerard Arthur Way!” esclamai. Staccai il mio viso dal suo petto e guardai gli altri due ragazzi, impietriti. “Mi siete mancati anche voi, Michael James Way e Raymond Manuel Toro-Ortiz!”

Il silenzio si protrasse per qualche altro secondo, poi mi ritrovai accerchiata da tutti e quattro i ragazzi e venni quasi soffocata dai loro abbracci e dalle voci che parlavano tutte insieme. Mi abbandonai a un sorriso e un’espressione rilassate: era bello essere tornata quella di sempre, poter finalmente capire tutte le strane parole e saper distinguere le bugie dalla verità. Quando mi lasciarono andare, balbettai: “S-Scusate per tutto quello che è successo in questo periodo, i-io non volevo…”

“Ehi, guarda che lo sappiamo. Lo dici sempre a Joshua, e te lo ripeto anch’io: non eri te stessa,” mi zittì Ray, affondando una mano nei miei capelli rossi. Mi lasciai sfuggire una risata ma il pensiero di Showpony mi attraversò la mente e mi guardai intorno preoccupata. “J-Joshua sta bene, vero? Non l’hanno…” Deglutii. “Portato via?”

“Secondo te se fosse così staremmo qui a girarci i pollici?” mi chiese Mikey ironico. “È andato di sopra perché si era ferito a un braccio, niente di grave.”

Sollevata, mi voltai verso la porta del Diner e feci per entrare, ma qualcosa mi bloccò. Improvvisamente, avevo una tremenda e fottuta paura di rivedere Showpony. Era stupido da pensare: mi mancava tutto di lui, il suo carattere in perenne cambiamento, la delicatezza con cui mi baciava, i suoi capelli blu e la luce dei suoi occhi grigi… eppure avevo paura di trovarmi di nuovo di fronte a lui, specialmente dopo tutto quello che gli avevo fatto mentre non avevo memoria. Con un respiro profondo, mi voltai di nuovo verso gli altri ragazzi e dissi: “Qualcuno potrebbe portarmi dal Dr. D? Voglio che veda che ho recuperato la memoria e… voglio anche rivedere Grace.”

Loro si scambiarono un’occhiata stranita e confusa, poi Frank si offrì come volontario e salimmo sulla sua macchina, per poi partire verso il rifugio del Dj. Viaggiavamo in assoluto silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. I miei si tenevano il più lontano possibile da Joshua, e così mi concentrai su un’altra cosa, la sola che potesse attrarre tutta la mia concentrazione.

Ne avevo abbastanza.

Ne avevo abbastanza dei rapimenti, dei lavaggi del cervello, delle telecamere, delle pillole, dei Draculoidi, delle morti. Ne avevo le scatole piene, e c’era un solo modo per far finire tutto.

Pensai e ripensai a quel piano per quelle che mi sembrarono ore: era rischioso, la cosa più pericolosa che avrei mai potuto fare, ma era l’unica soluzione. Una soluzione non molto allettante, ma era la nostra ancora di salvezza.

“A che stai pensando?” La voce di Frank mi distrasse da tutti i miei piani e progetti. Mi voltai verso di lui e risposi: “Niente.”

Lui annuì e continuò a guidare guardando fisso davanti a sé, ma c’era qualcosa di strano nei suoi occhi. E stavolta fu il mio turno di chiedere: “A cosa stai pensando?”

Fece un sorriso strano, uno di quelli che mi piacevano tanto. “Niente, è solo che…” Fece una pausa e uno sbuffetto. “Dio, sono solamente così felice che tu sia tornata quella di sempre.”

Il viso mi si illuminò e sorrisi. Tornai seria e dissi: “Mi dispiace che siate stati tanto male a causa mia. Anzi, che io vi abbia fatto così tanto male.

“Ah, tranquilla. Non capiterà mai più, tranquilla.” Avrei potuto dargli ragione e lasciarmi cullare da quelle parole, ma invece aprii la bocca e continuai: “E se invece capitasse di nuovo, Frankie? Magari non a me, ma a qualcun altro di noi? Non possiamo rischiare, e possiamo fare una sola cosa per evitarlo…”

Il chitarrista decelerò e si voltò verso di me. “Che intendi?”

Gli spiegai il piano che avevo in mente per filo e per segno e lui rimase sempre attento e in silenzio. Arrivata alla fine, rimase qualche attimo in silenzio prima di dire: “Si potrebbe fare.”

“Ma?”

“È troppo pericoloso perfino per te. Ti rendi conto che sarai lì dentro da sola?”

“Per un paio di giorni soltanto.”

Scosse la testa. Poi si morse il labbro inferiore e sospirò: “Okay. Ti darò una mano e ti supporterò quando parlerai di questo piano a Gee e gli altri, ma se la situazione si farà troppo pericolosa verrò a riprenderti dentro Battery City contro la tua volontà o meno. Chiaro?”

“Perfettamente. Sei sicuro di riuscire a costruire quella cosa in un giorno soltanto?”

Rise. “Questa carretta di macchina va avanti solo grazie alle mie riparazioni, pensi che non sia in grado di costruire un aggeggio come quello che vuoi tu?”

Risi insieme a lui mentre parcheggiavamo davanti al rifugio del Dr Death Defying. Il Dj era già lì fuori che ci aspettava, e quando scendemmo mi sorrise e disse: “Allora sei tornata, Venom?”

Gli sorrisi di rimando. “A quanto pare sì.”

Improvvisamente qualcosa mi saltò addosso e si aggrappò con tutte le sue forze al mio collo, bagnandomi la maglietta e i capelli e urlando il mio nome con una voce stridula che avrei potuto riconoscere tra mille. “Mi sei mancata tanto!”

La abbracciai più stretta che potei, trattenendo a malapena le lacrime che minacciavano di cadermi giù per le guance. “Anche tu, Grace.”

Si staccò dalla mia spalla e mi fissò con i suoi grandi occhi azzurri. “Adesso posso tornare al Diner con te e i ragazzi?”

Mi scambiai un’occhiata complice con Frank e fui davvero dispiaciuta di dover dire alla bambina: “Non ancora. C’è una cosa che dobbiamo finire di sistemare.” Notando la sua espressione imbronciata, aggiunsi: “Ci vorranno pochi giorni, lo prometto.”

Borbottò un ‘Okay’ a mezza bocca e scese dal mio collo, per poi entrare nel rifugio. Non appena fummo soli, il Dr. D ci guardò e chiese: “Qual è la ‘cosa che dovete sistemare’?”

Gli spiegai il mio piano, con Fun Ghoul che mi dava man forte, e alla fine il Dj sentenziò: “Tu sei completamente fuori di testa, Venom. Sai cosa rischi ad andare lì dentro e a mettere in atto il tuo piano?”

Chinai la testa, quasi come se mi stessi vergognando. “Sì, ma sono pronta a farlo.”

“Lo sapevo.” Alzai lo sguardo sorpresa, incontrando il sorriso soddisfatto dell’uomo. “Sostengo anch’io le tue idee e il tuo piano, e farò il possibile per cercare di convincere Party Poison.”

“Credi che non sarà d’accordo?” chiese Frank.

“Sarà anche una brava persona e un ottimo capo per voi Killjoys, ma il solo pensiero di poter perdere uno di voi lo rende irrazionale e non lo fa pensare con lucidità. Non appena saprà del pericolo che corre Venom si opporrà al vostro piano con tutte le sue forze. Non voletegli male, è solo il suo carattere.”

“Un carattere di merda,” mormorò il chitarrista a voce bassa. Rientrammo in macchina, salutando il Dj, e facemmo retromarcia per tornare verso il Diner. Il silenzio stavolta era più peso, almeno per me: sapevo cosa mi aspettava non appena sarei tornata al nostro rifugio, e avevo paura di affrontarlo. Fun Ghoul non ci mise molto ad accorgersene e si limitò a dire solamente: “Preoccupata, vero?”

Annuii. “Ho paura di rivederlo.”

Rimase un attimo in silenzio, poi continuò: “Non dirai la stessa cosa quando vedrai la sua espressione non appena saprà che ti ricordi tutto.”

“Sì, ma…” Feci una pausa. “E se mi respingesse?”

Sbuffò. “Cos’è, le pillole ti hanno fatto venire il virus delle seghe mentali? Quando è successa la stessa cosa a Joshua ed è tornato normale tu l’hai respinto?”

“No, però…”

“E sarà la stessa cosa per lui.” Sospirò. “È stato parecchio difficile per lui affrontare tutta la situazione, molto più difficile rispetto a noi. Si è rimesso la sua maschera di indifferenza e durezza addosso, ed era da quanto sei arrivata tu per la prima volta in California che non gliela vedevo indosso. Gli hai fatto del male, è vero, ma sono sicuro che non appena saprà tutto quella maschera sparirà di nuovo.”

“E se ti sbagliassi?”

Fece una smorfia. “Allora hai il fottuto diritto di prendermi a calci in culo, okay?”

Scoppiai a ridere e poi rimanemmo in perfetto silenzio fino al Diner. Scesi veloce dalla macchina e entrai nell’edificio senza nemmeno salutare gli altri ragazzi. Corsi al piano di sopra e mi precipitai alla stanza dove un tempo dormivo io: dentro, la voce di Joshua canticchiava qualcosa. Feci per aprire la porta ed entrare dentro, ma qualcosa mi trattenne e mi fece scappare via, verso il bagno. Mi chiusi la porta alle spalle, appoggiandomi poi con le mani al lavandino e fissando il mio riflesso allo specchio incrinato. “Non posso farcela,” mormorai.

Certo che puoi. Piantala di farti seghe mentali ed esci da questa stanza! urlò Evelyn. Non l’ascoltai e osservai i miei capelli rossi fuoco: erano cresciuti parecchio negli ultimi mesi, avevano bisogno di una bella tagliata. Afferrai le forbici che erano in un cassetto e iniziai a tagliargli, le ciocche rosse che finivano nel lavandino grigiastro. Quando fui soddisfatta, presi un respiro profondo e uscii dal bagno, correndo verso l’altra stanza e spalancando la porta.

Joshua era seduto su quello che era il mio letto e si fissava una gamba. Quando sentì la porta aprirsi si voltò verso di me. “Ehi.”

“Ti sei fatto male?” gli chiesi chiudendomi la porta alle spalle e rimanendo ferma in piedi davanti ad essa, senza il coraggio di poter fare solo un passo.

“Nah, un colpo di quei Draculoidi mi ha preso di striscio. Niente di grave, solo una bella ustione.” Annuii e poi sputai fuori: “Devo chiederti una cosa.”

Mi fece un cenno con la testa che mi diceva ‘Continua’ e io sparai tutto d’un fiato: “Quella ragazza di cui mi parlavi qualche sera fa… ero io, non è vero?” L’avevo capito non appena mi era tornata la memoria, e mi ero data della stupida per aver anche solo pensato che mi avesse mentito.

Sorrise malinconico. “Vedo che almeno la tua perspicacia non è scomparsa.” Si tirò in piedi a fatica appoggiandosi con le mani al materasso. “Bè… se mi cerchi sono giù,” mi disse mentre mi passava accanto per uscire dalla stanza. Riuscii a vedere di sfuggita i suoi occhi, pervasi da una strana luce: come se fosse contento che avessi capito di cosa stava parlando, ma come se, in fondo, sapesse che era un particolare insignificante, che non avrei ritrovato i miei ricordi grazie a quello. E fu per questo che lo chiamai quando arrivò davanti alla porta.

“Joshua.”

Lo sentii voltarsi verso di me. “Dimmi.”

Mi voltai anch’io, fissandolo in quegli occhi grigi che mi erano mancati così tanto. “Ti chiami Joshua. Hai sedici anni, sei nato un mese e due giorni dopo di me.” Lui sbarrò gli occhi, ma non disse nulla e continuai: “Avevi una sorella di otto anni, Karen, morta con i tuoi genitori in quell’incendio. Simon era il tuo migliore amico, ed è stato lui a distruggere la tua vita. Ti piacciono le giornate di sole, i combattimenti coi Draculoidi, viaggiare per il deserto sui pattini con me sopra la tua schiena. Non riesci a guardare le mie ferite perché ti incolpi per tutto quello che mi è successo, nonostante io ti dica il contrario. Grace è come una sorella per te, e io… tu sei l’unica persona che abbia mai amato.” Al suo sguardo incredulo e speranzoso sorrisi. “Io… mi ricordo tutto.”

Mi fissò stupito per qualche secondo, poi sentii il suo corpo addosso al mio e le sue braccia che mi stringevano al suo petto per non lasciarmi mai più. Iniziò a sussurrare il mio nome incessantemente, mentre le mie e le sue lacrime bagnavano il mio volto. Quando ci fummo calmati per un momento, mi allontanò da lui e mi fissò con quegli occhi grigi. Quegli occhi grigi che avevano finalmente ritrovato la loro luce! “Pensavo… pensavo di averti persa per sempre,” mormorò.

“E invece no.” Allargai le braccia e sorrisi. “Baby, I’m still here!

Non feci nemmeno in tempo ad aggiungere altro che le nostre labbra si incontrarono. Si attrassero quasi da sole, come due calamite, e le mie preoccupazioni svanirono come neve al sole. Chiusi gli occhi e mi godetti quel bacio: quanto tempo era passato dall’ultima volta che ci eravamo baciati così? Pure troppo. Ma adesso non importava, perché eravamo di nuovo lì, insieme, noi stessi. Quando il bacio finì ci stringemmo in un abbraccio lunghissimo, e ci mettemmo a dondolare al ritmo di una canzone che non potevamo sentire. Improvvisamente un flash mi passò di nuovo davanti agli occhi: io e Showpony, dentro il Diner, di notte, e io che sparavo contro di lui.

“Oh,” mormorai.

Altro flash: io che gli tiravo un calcio nelle palle e scappavo via.

Oh.” Mi staccai dal petto del ragazzo e lo guardai imbarazzata. “Oddio, mi-mi dispiace per quel calcio e quando ti ho sparato e…”

“Ehi, tranquilla, non ce l’ho con te.” Sorpresa dal suo tono calmo, lasciai che le sue braccia mi gettassero di nuovo dentro il suo abbraccio. Mi rilassai: avevano ragione i ragazzi, non c’era motivo per cui lui non avesse dovuto odiarmi. Gli Amanti della Demolizione erano tornati.

Feci un lieve sorriso e chiesi a Joshua: “Prima stavi canticchiando la canzone che penso io?”

Mi sembrò di vederlo sorridere. “Adoro quella canzone, pensavo che tu lo sapessi.”

Ridacchiai. “Until the end of everything?

“Certo.” Mi diede un bacio lieve sulla fronte. “Fino alla fine di tutto questo.”

Rimasi un attimo in silenzio, poi dissi: “Potrebbe arrivare molto presto.”

Si irrigidì. “Come?”

Mi staccai da lui e lo fissai negli occhi grigi. “Non in un senso negativo. Ho un piano e devo spiegarlo agli altri, te compreso. Solamente Fun Ghoul e il Dr. D sanno cosa voglio fare e mi appoggiano, ma non so se…”

“Se ti appoggiano loro, allora ti appoggio anch’io,” mi interruppe Showpony.

“Ma se non ti ho nemmeno spiegato qual è il mio piano!” protestai.

“Non importa.” Sorrise. “Mi fido di te.”

 “Quindi se il mio piano consistesse nel gettarti giù dalla finestra tu saresti d’accordo comunque?”

“Soltanto se avessi istinti suicidi.” Mi prese per mano e mi guidò fuori dalla stanza e lungo il corridoio. Arrivati alle scale non potei fare a meno di chiedergli: “Joshua?”

“Sì?”

“…Tu non hai istinti suicidi, vero?”

*
Scusate per il capitolo estremamente dolciastro, Sunshines, ma non ho saputo resistere *-*
LudusVenenum: siiii, faccio anch'io la cheerleader dance *cheerleader dance* E sì, Joshua smetterà di fare il cretino e tornerà il solito di sempre. ("Per fortuna! Sennò chi la sopporta Eve? >.<" "In teoria dovresti farlo tu, Evelyn .-.") Sono sicura che farai in tempo a recensire :D
Maricuz_M: non so mai come ringraziarti abbastanza per tutti i complimenti che mi fai, mi farai arrossire o scoppiare a piangere un giorno di questi. E spero che questo capitolo ti sia piaciuto, mia cara fan della coppia... ;)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
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Capitolo 18
*** 'Cause this is (not) just a game. ***


‘Cause this is (not) just a game.

 

Quando arrivammo nel salone principale del Diner, gli altri ragazzi erano già seduti a uno dei tavoli, in attesa. Smisero di chiacchierare tra loro non appena ci videro entrare e voltarono gli sguardi verso di noi. Incontrai quello di Frank e lui mi fece segno di sedermi insieme a Joshua accanto a lui; non appena fui più vicina a lui mi chiese col labiale ‘È andata bene, vero?’ Al mio sorrisetto fece una smorfia divertita. ‘Ci avrei scommesso’ continuò.

“Allora, di cosa ci dovevi parlare?” mi chiese Mikey non appena mi fui seduta.

Guardai prima Showpony e poi Frank, feci un respiro profondo e parlai tutta d’un fiato, senza che nessuno osasse interrompermi. “Mentre stavamo andando dal Dr. D, ho pensato a questa situazione. Anzi, alla situazione che c’è stata per questo mese. E ho capito che dobbiamo fare qualcosa, qualcosa più grande e più potente delle solite sparatorie coi Draculoidi e delle telecamere distrutte. Dobbiamo far crollare la Better Living, in qualunque modo possibile. È per questo che i Killjoys esistono, giusto? Per combatterla e distruggerla anche a rischio della loro morte.” Feci una pausa. “So che ci abbiamo già provato – o meglio, io e quei ragazzi morti ci abbiamo provato – e che è finito tutto in un suicidio di massa, ma sento che stavolta può, anzi, andrà meglio. Stavolta non ci limiteremo a un lieve colpo, dobbiamo colpire con tutta la forza che abbiamo, con tutta la forza della nostra libertà e delle nostre idee. E potremo liberarci del nostro incubo una volta per tutte.”

Nessuno fiatò nemmeno quando finii di parlare. Joshua e Frank mi guardavano con un sorrisetto, ma gli altri tre erano completamente stravolti dal mio discorso: forse non si aspettavano che lo facessi io, anche se era ovvio. Dopo qualche minuto Ray mi chiese: “E quale sarebbe il piano?”

Sorrisi malefica. “Una bomba.”

Il ragazzo rimase un attimo sorpreso, poi fece un fischio. “Vogliamo fare le cose in grande, eh?” disse ironico. Tornò serio e continuò: “Bella idea. Semplice e drastica. Mi piace.”

“Anche a me,” confermò Mikey. Mi voltai verso i ragazzi accanto a me e Showpony mi fece l’occhiolino. “Sai cosa ne pensiamo io e il tizio accanto a me.”

Solamente Gerard era rimasto in silenzio e pensieroso. Riuscivo a leggere tutto quello che stava pensando sul suo viso e nei suoi occhi: quel ragazzo era come un libro aperto per me, ma certe volte avrei preferito non leggere le sue pagine. Quando alzò lo sguardo e lo puntò dentro il mio con i suoi occhi verdi ebbi quasi paura di quello che poteva dirmi. “Come pensi di trovare una bomba?”

“A questo ci penso io, Gee.” Frank alzò il pollice e fece l’occhiolino. “Sarà divertente costruire un giocattolino del genere.”

Il rosso lanciò un’occhiata a tutti noi, in attesa della sua decisione. E lui mormorò: “Siete tutti impazziti.” Si alzò in piedi e continuò, a voce più alta: “ Non avete pensato a come ficcare una bomba dentro quel grattacielo, controllato da telecamere e guardie in ogni istante? Non avete pensato a come entrare dentro a Battery City, visto che appena ci vedono ci sparano addosso? Non avete pensato a nemmeno una di queste cose?” Volse di nuovo il suo sguardo verso di me. “Oppure tu hai già pensato a tutto, Eve? Ho ragione?” disse sarcastico.

Deglutii: aveva capito benissimo, al contrario di tutti gli altri eccetto Frank, che ne era già a conoscenza. Mi morsi il labbro inferiore prima di dire: “Non c’è altro modo per poterlo fare, Gee, ci ho pensato anc…”

Stronzate!” Il suo urlo mi fece trasalire, e mi zittii immediatamente. “Tu non ci hai pensato, Eve, vero? Ti sei limitata a seguire per un’altra volta il tuo fottutissimo istinto e non hai pensato alle conseguenze!”

“Di che state parlando?” chiese Mikey, senza che nessuno lo considerasse. Mi alzai anch’io in piedi e affrontai Gerard, senza mollare il mio sguardo dal suo. “E se anche fosse? Ho seguito il mio istinto quando sono venuta a liberarvi da quel furgone, l’ho seguito quando sono tornata nel mio mondo a cercarvi, ti sembra una cosa così sbagliata da fare?”

“Bè, viste le conseguenze…” Gli tolsi immediatamente il sorrisetto sarcastico che si era formato sul suo volto.

Ti è sembrato sbagliato seguire il mio istinto quando sono venuta a cercarti dentro la Better Living?!

Il silenzio cadde troppo bruscamente in seguito al mio urlo, e Gee mi guardò scioccato dalla mia reazione. Dopo pochi secondi, fu il turno di Ray chiedere: “Okay, calma… ci spiegate di cosa state parlando?”

“Ma non l’hai ancora capito, Ray?” L’amico mi indicò col mento. “Ha intenzione di andare lei a piazzare la bomba dentro il grattacielo della Better Living.”

Tutti, tranne Frank, mi guardarono stupiti, e negli occhi di Joshua lessi anche paura, la paura più grande che avessi mai visto sul suo volto. “C… cosa?” balbettò. “Eve, non puoi…”

“Sì che posso. Non sanno che ho recuperato la memoria, mi considerano ancora una dei loro, posso attirare pochissimi sospetti. Sono la persona più adatta per poterlo fare, e anche l’unica.”

Ma non capisci?” continuò il rosso. “Metti sempre in rischio la tua vita, ti comporti come se fossi un’eroina dei fumetti, come se ogni colpo non ti facesse mai male e non ti ferisse… ma tu non sei fatta di inchiostro e carta, sei di carne e sangue! Ogni volta che ti colpiscono ti feriscono, se ti sparano al cuore muori! Non sei immortale!”

“Io lo faccio solamente per tutti voi.”

“Io… Dio, Eve…” Si mise la faccia tra le mani, poi riprese il controllo e alzò di nuovo lo sguardo su di me. “Fai sempre tutto per noi, ma la verità è che ci uccidi di più in questo modo.”

Lo guardai sbalordita. “Cosa…?”

“Ogni volta che metti in pericolo la tua vita, anche se lo fai per noi, se poi ti feriscono siamo noi quelli che provano dolore. Ti ho visto fin troppo volte in bilico tra la vita e la morte, oppure in condizioni pietose e disastrose, e non sono ricordi piacevoli. Se mi oppongo a tutto questo è solamente perché non voglio che tu muoia, okay? Mi dispiace, ma è così.”

Non appena smise di parlare, rimasi in silenzio per qualche secondo, poi ribattei: “Gee… se vogliamo cambiare questa situazione, dobbiamo fare qualcosa, non possiamo rimanere con le mani in mano. E se succedesse a qualcun altro la stessa cosa che è successa a me? È un rischio che non voglio e non possiamo correre, siamo in troppi pochi per rischiare. Rischierò io una volta per tutti, non c’è bisogno di altro.”

“E perché dovresti andare tu a rischiare? Sei la persona meno adatta tra tutti noi, cazzo, hai solo sedici anni!

Rimasi un attimo senza parole. Allora… “Allora è per questo? Perché io ho sedici anni e voi trenta?”

Sì! Noi abbiamo già fatto le nostre esperienze, potremmo anche morire, ma tu hai ancora così tanta vita davanti e vorresti sprecarla in un solo gesto.” Sospirò. “Per me, il discorso finisce qui. Tu non andrai dentro Battery City, punto.” Si alzò dalla panca e fece per andare al piano di sopra, ma io gli urlai: “Tu non sei mio padre, non hai il diritto di dirmi cosa devo o non devo fare!

“No, non lo sono, ma visto che viviamo tutti insieme e io sono il più grande devi darmi retta o sono guai grossi. I patti sono questi, se non ti stanno bene puoi anche andartene.” Sospirò di nuovo. “Dio, sei una bambina piccola. Prendi tutto come un fottuto gioco, vero? Game Over, vuoi continuare o no?” Mi rivolse uno sguardo duro. “Spiacente deluderti, ma hai solo una vita a disposizione e non esistono pozioni per curarti le ferite. E io non voglio perderti come se niente fosse.” Con questo, si voltò e si diresse verso il piano di sopra. Deglutii le lacrime e poi, non appena scomparve su per le scale, spalancai la porta del Diner e scappai fuori, via da tutti. Mi rifugiai nello spiazzo dietro l’edificio, sedendomi con la schiena al muro: le parole dure di Gee mi avevano colpita a fondo, e non volevano lasciare la mia testa.

“Eve?” Una voce si avvicinò e poi si sedette accanto a me. Non mi sfiorò, aspettando che parlassi io. Mi strofinai gli occhi e dissi: “Sei venuto a dirmi che ha ragione?”

“No. Volevo dirti che capisco il suo punto di vista.”

Mi voltai verso Frank. “Lo apprezzi? Apprezzi il suo comportamento pauroso?”

“Non essere dura con lui…”

“Lo sto ripagando con la sua stessa moneta.”

Sospirò. “Calmati un attimo, okay? Gee… Gee non pensa davvero la metà delle cose che ti ha detto. Anche lui ha sofferto molto per tutta questa storia, e anche per tutto quello che ti è successo prima. È come Joshua: tiene tutto dentro di sé, quando si preoccupa o ha paura sa solamente incazzarsi.” Fece una pausa. “Ha detto tutto questo solo perché ha paura di perderti un’altra volta, stavolta per sempre. Il tuo non è un piano facile.”

“Non ho mai detto che lo fosse.”

Mi lanciò uno sguardo di rimprovero, ma io lo ignorai e dissi: “Mentre eravamo in macchina ho ripensato a quello che mi hai detto, qualche giorno fa… mi hai chiesto ‘Distruggeresti qualcosa di perfetto per renderlo bellissimo?’. Io non sapevo la risposta, ricordi? Adesso so che c’è una sola risposta a questa domanda, ed è sì.” Lo fissai negli occhi verdi. “Sono scappata perché quando Gee ha detto che per me è tutto un gioco sapevo che era una bugia. Non ho mai considerato tutto questo un gioco, non ho mai pensato che lo fosse, nemmeno nel momento in cui mi sono ritrovata sbattuta in una landa desolata con un paio d’ali. E non voglio andare dentro Battery City perché la cosa mi diverte, lo faccio solamente per tutti noi. È così difficile da capire?”

Frank mi fissò per qualche minuto, pensieroso. Non riuscii a decifrare i suoi pensieri, poi lo vidi sorridere. “Te l’ho già detto più di una volta, Eve, ma… sei cambiata, in questo anno. Non sei più la stessa persona della Black Parade.”

Feci una smorfia. “È un bene o un male?”

“Forse è un bene. Ora hai un cuore a prova di proiettile.”

“Dici? A me sembra l’esatto contrario.”

Si lasciò sfuggire una risata. “Bè, allora sopravvivere a tutto quello che ti è successo dev’essere solamente questione di culo, no?” Si alzò in piedi e si diresse verso l’entrata del Diner. Mi lasciai sfuggire un sospiro e fissai l’orizzonte davanti a me: il sole stava iniziando a tramontare, un’altra giornata era passata. E pensare che io in quel momento avrei dovuto essere sulla strada per Battery City…

Un’altra persona si avvicinò silenziosamente e si sedette accanto a me. La riconobbi con la coda dell’occhio e non mi voltai, aspettando che dicesse qualcosa lui. Un comportamento piccoso? Forse sì. Ma ho sedici anni, non dimenticatelo, a quest’età vogliamo che il mondo giri solamente intorno a noi.

“Scusa.” Mi voltai verso di lui incredula: l’aveva detto? L’aveva detto sul serio e subito? Continuò: “Scusa se tutte le cose che ti ho detto ti hanno fatto male, ma la verità è che erano tutte scuse. La mia unica paura è quella di vederti rischiare un’altra volta la tua vita per tutti noi, e sinceramente mi sento un codardo a non poterti nemmeno dare una mano.”

“Credi che io non abbia pensato al tuo ego e al tuo orgoglio da Diva?” Stavolta fu Gerard a girarsi stupefatto verso di me, e risi. “Se mi avessi lasciato finire, forse avresti saputo che io avrei nascosto la bomba e poi l’avrei azionata qualche giorno dopo, quando voi avreste portato casino dentro la Better Living. Pensi che ti possa bastare come parte o vuoi un ruolo più adatto all’ego smisurato che ti ritrovi?”

“Non prendermi per il culo in questo modo, ragazzina, ricordati chi comanda tra noi due,” mi ammonì con un sorriso cattivo.

“Parli forse di me?” Gli feci una linguaccia e lui commentò: “Pensi di poterla passare liscia?” Non feci nemmeno in tempo a commentare che mi ritrovai distesa sulla sabbia e con Gee che mi faceva il solletico. Iniziai ad urlare e a ridere come una matta, e soltanto dopo qualche minuto di tortura fui lasciata libera. Tornai a respirare normalmente e il ragazzo mi diede una mano a rialzarmi da terra. “E comunque il mio ego non è tanto grande.”

“Certo, e io sono Babbo Natale.”

“Davvero?” Mi scrutò pensieroso. “Ecco perché avevi un’aria così familiare…”

“Idiota!” Gli tirai un pugno sul braccio e rientrammo ridendo dentro il Diner.

*
Oddio, non so più che scrivere in questo misero angolino dell'autrice che mi è concesso a fine pagina ç__ç Vi prego, suggeritemi un argomento qualsiasi, anche il più idiota, DEVO sclerare oppure questo angolo è inutile D:
Il titolo del capitolo è una rielaborazione del testo di A Beautiful Lie dei 30 Seconds To Mars.
Maricuz_M: *gongola di nuovo* Sapevo che ti sarebbe piaciuto, mon amour ^_^ Ti ringrazio ancora per tutti i complimenti che fai e ci risentiamo alla prossima scena carina e coccolosa!
LudusVenenum: "... e così scoprirono che Joshua si era buttato dalla finestra." Scherzo, non ucciderei mai il nostro Cavallino ("Dici? .-." "Evelyn, ma tu non eri tornata da Eve? Vai, sciò >.<") Comunque, Frankie non è stato preso a calci in culo e Gerard è quel che è. AHAH Ce la vedo benissimo Grace, avrà un'adolescenza prematura XD (Ah, e per i Knights... scusa se non recenscisco mai, ma non trovo mai niente di carino da dire, tranne che Axel e Chase sono puro aMMore non ancora del tutto dichiarato *-*)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 19
*** Infiltrate. ***


Infiltrate.

 

Quella sera stessa ero nella mia stanza mentre sbrigavo gli ultimi preparativi prima di ritirarmi a dormire. Ray era crollato nel suo letto già da mezz’ora, e io stavo facendo il più piano possibile per non svegliarlo: aprii l’armadio con delicatezza, mi tolsi la maglietta e i pantaloni e cercai una vecchia maglietta grigia di Gee con cui dormivo. Non appena me la misi e richiusi l’armadio, qualcuno bussò lievemente alla porta. “Avanti,” sussurrai.

“Scusa se ti disturbo,” mi sussurrò Joshua di rimando mentre entrava e si richiudeva la porta alle spalle, tutto in assoluto silenzio. Fece un cenno col capo verso il letto occupato. “Dorme?”

“Sì, e se provi a svegliarlo ti salta addosso e ti ammazza.” Non stavo scherzando: una volta avevo svegliato il ragazzo coi ricci per sbaglio, e lui non mi aveva più parlato per tre giorni di fila. Quando si trattava del suo riposo, bisognava andarci molto cauti. Mi rivolsi a Showpony: “Tu, piuttosto, che ci fai qui? Non dormivi dal Dr. D?”

“Prima. Adesso mi torna più comodo passare la notte qui.” In quelle due frasi c’erano così tante parole inespresse: parole che avrebbe voluto dirmi, ma che non avrebbe mai detto in mia presenza, e forse nemmeno in quella di altri. Io però le intuivo, ed era bello sapere che erano lì, anche se invisibili. Si morse il labbro inferiore. “A dirla tutta… ero venuto a chiederti un favore.”

Sorrisi. “Dimmi pure.”

Lo vidi arrossire alla poca luce che entrava dalla finestra. “Ti… ti dispiace se stanotte dormo con te?”

Adesso toccò a me arrossire: non era la prima volta che dormivamo insieme, lo avevamo fatto un sacco di volte, ma chissà perché adesso la situazione tra noi sembrava più delicata. Ogni passo che facevamo doveva essere leggero e insonoro, ogni richiesta di affetto chiesta con un po’ di imbarazzo. Sapevo perché: dopo quella settimana infernale era difficile tornare al nostro vecchio rapporto. Ma io lo volevo di nuovo, e lo volevo subito. Quindi non ci pensai due volte prima di rispondere “Sì.”

Entrai per prima sotto le coperte e Joshua mi seguì lentamente, come se avessi potuto rompermi in mille pezzi da un momento all’altro. I primi secondi li trascorremmo a distanza l’uno dall’altra, poi io feci il primo passo e accoccolai la mia testa sul suo petto, circondandolo con le braccia. Lo sentii irrigidirsi per un momento, poi rispose al mio abbraccio e mi diede un lieve bacio sulla fronte pallida. Iniziò a canticchiare un motivetto, una vecchia ninna nanna che a volte cantava a Grace quando la piccola non riusciva a dormire. E fece lo stesso effetto anche a me: sprofondai poco a poco nel sonno, cullata da quelle braccia forti che non mi stringevano da tempo e da quella voce che non avrei mai più potuto dimenticare.

 

La mattina dopo, quando scesi al piano di sotto dopo essermi svegliata, Frank era già al lavoro dentro il garage per costruire la bomba. Aprii la porta che comunicava con l’altra stanza e lo cercai con lo sguardo: era seduto a uno dei tanti tavoli di legno con indosso i suoi occhiali da saldatore e stava collegando dei fili dentro a una scatolina di metallo sul ripiano davanti a lui. Quando sentì il rumore della porta che si apriva e dei vecchi cardini che cigolavano, si voltò verso di me e mi rivolse un breve ma luminoso sorriso prima di ritornare al lavoro. Afferrai una sedia e lo raggiunsi al tavolo per guardarlo lavorare: mi aspettavo che mi avrebbe detto di lasciarlo da solo, ma invece non disse nulla e continuò a fare quello che stava facendo. Rimasi incantata da come le sue mani si muovessero veloci tra i cavi e le parti minuscole del congegno: aveva la stessa velocità, delicatezza e precisione di quando suonava la chitarra.

Rimanemmo per tre ore dentro il garage, in perfetto silenzio, senza scambiarci nemmeno una parola. Ogni tanto lui mi diceva ‘Passami il cacciavite’ oppure ‘Prendimi i cavi in quel cassetto’, ma le nostre conversazioni si limitavano a questo. Quando anche l’ultimo cavo fu collegato e l’ultima vite fu avvitata, si tolse gli occhiali da saldatore, lasciandoli penzolare al suo collo. Gli avevano lasciato un segno profondo intorno agli occhi, ma lui non se ne curò e sorrise. “Ecco fatto. Il nostro gioiellino è pronto.”

Osservai meglio la bomba: era un rettangolo di metallo lungo meno di venticinque centimetri e largo dieci centimetri, e sopra un display nero attendeva di poter iniziare il conto alla rovescia. Alzai lo sguardo verso Frank. “Funzionerà?”

“Certo che funzionerà, perché non dovrebbe?” mi rispose indignato dalla mia sfiducia.

“Non è che non mi fidi di te, ma… mi sembra piccola.

Sbuffò. “Pensavi che avrei costruito un mostro di ferro grosso quanto una cassa? Questa la puoi portare facilmente con te, e passerà quasi inosservata.”

“Okay, scusa,” borbottai. “Qual è il punto migliore per piazzarla?”

Il ragazzo prese da un tavolo vicino una pianta della Better Living, la stessa che avevo usato insieme a Jennifer per andare a vedere se la B.L.ind. sapeva qualcosa su Joshua. La srotolò e mi indicò un punto sotto il pianterreno. “Qua sotto c’è uno scantinato che probabilmente non usa più nessuno. È il punto più vicino alle fondamenta che puoi raggiungere: se la bomba scoppia lì, crolla tutto.” Mi fissò. “Sai come raggiungerlo senza farti vedere?”

“Ci proverò.”

“Ma non dicevano che si fidavano di te?”

“Bè, sì, ma non ho mai girovagato in quei corridoi come mi pareva. È probabile che non si accorgano di nulla, ma devo fare attenzione,” dissi carezzando la bomba come se fosse stata un gatto. Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso la porta per tornare dentro il Diner, ma Frank mi richiamò indietro. “Come stai?”

Mi voltai di nuovo verso di lui. “Bene. I miei ricordi sono dove devono essere, e…”

“Non intendevo quello.” Fece una pausa. “Sei pronta ad andare a Battery City?”

Deglutii, sorpresa da quella domanda. “Sì.”

“Non hai paura?”

“No. No, non ne ho, perché dovrei?” Con questo considerai chiuso il discorso e me ne andai, sbattendomi la porta alle spalle.

 

La giornata passò in fretta e la sera cadde anche troppo velocemente. Il tempo di un paio di respiri profondi ed era già ora che mi preparassi ad andare. Salii nella mia stanza e, a malincuore, mi sfilai i miei vestiti colorati da Killjoy per indossare l’anonima e bianca divisa della Better Living che avevo riposto in fondo all’armadio. Mi infilai i pantaloni e la cintura, infilai la pistola bianca nella fondina e mi infilai la giacca. Mentre finivo di agganciarmi i bottoni, bussarono alla porta. Mi voltai e dissi ‘Avanti!’ mentre mi agganciavo l’ultimo bottone. Fui stranita nel vedere Joshua entrare dentro e chiudersi la porta alle spalle per poi appoggiarcisi con la schiena. Tenne un attimo lo sguardo basso, poi lo rialzò e mi fissò con i suoi occhi grigi. “Devo parlarti.”

Annuii, preoccupata. La sua faccia e la sua espressione non mi piacevano per nulla: era preoccupato, questo lo vedevo bene, ma questa volta era preoccupato a morte. Non l’avevo mai visto così spaventato e pieno di preoccupazione, nemmeno quando avevo rivelato il mio piano. Si avvicinò a me finchè i nostri visi non furono a pochi centimetri l’uno dall’altro e poi parlò, con la voce che gli tremava leggermente. “Per favore, Eve, non andare. Non mi fido a mandarti di nuovo da sola là dentro.”

“Perché non dovrei, scusa?” gli chiesi incredula guardandolo negli occhi. “Sono rimasta in quel grattacielo per quasi un mese, due giorni in più non mi cambieranno la vita.”

“Non è per questo. È che…” Si morse il labbro inferiore. “… non voglio perderti.”

La mia espressione si fece scioccata e spalancai gli occhi a dismisura. Lui la notò e continuò: “Che succederà se le cose non vanno come ci aspettiamo, Eve? E se si accorgessero di tutto? E se ti uccidessero una volta per tutte? E se ti togliessero di nuovo tutti i tuoi ricordi, stavolta senza possibilità di tornare indietro?”

“E se esco da qui e mi cade un pianoforte in testa e mi ammazza?” lo sfottei sarcastica. Gli presi il volto tra le mani e lo costrinsi a fissare i miei occhi castani. “Joshua, io non ho alcuna intenzione di rimanere più del necessario lì dentro, lo sai. E tra pochi giorni sarai anche tu con me, che motivo hai di preoccuparti?”

“Perché finalmente ho capito quello che hai provato tu quando è successa la stessa cosa a me,” disse, togliendo delicatamente le mie mani dal suo volto. “E non voglio che questa situazione torni di nuovo, non voglio parlare di nuovo con te come se fossimo due estranei, due nemici. E non voglio nemmeno vederti morire uccisa dalla Better Living. Abbiamo già rischiato così tanto, voglio solo un po’ di pace…”

“È quello che voglio anch’io,” mormorai. Il silenzio tra noi due calò per qualche secondo, poi Joshua mi chiese: “Ma tu non hai paura?”

“Paura? Tantissima.”

“E allora come fai ad essere così tranquilla?”

Sospirai. “Perché so di essere l’unica persona a poterlo fare. Secondo te perché sto andando io dentro Battery City e non Party o Jet Star? Voglio distruggere quella città, quelle persone, tutto quello che ci ha fatto del male in questo anno. Voglio poter vivere finalmente alla luce del sole, voglio andare in giro per il deserto senza paura di venire presa o uccisa, voglio amarti con la certezza che non ti vedrò sparire da un momento all’altro, voglio che per Grace sia diverso quando avrà la nostra età.” Feci una pausa. “E voglio farla pagare a tutti quelli che mi hanno segnata a vita.”

Showpony aprì la bocca per replicare, poi capì che era inutile e la richiuse in fretta. Mi fece un sorriso sbilenco e poi mi strinse forte a sé in un abbraccio stretto, come se quel piccolo gesto potesse bastare a fermarmi, a non terminare il mio piano. Fu lui stesso a lasciarmi andare, dopo poco, ma non prima di avermi sussurrato all’orecchio: “Fagli vedere l’inferno, Lethal Bloody Venom.”

Sorrisi e uscimmo fuori dalla stanza e dal Diner: gli altri ragazzi ci aspettavano fuori dall’edificio, accanto alla moto di Mikey. Il biondo mi consegnò un casco e le chiavi della moto: quando voltai l’elmetto notai che era il suo, quello giallo con la scritta GOOD LUCK sulla visiera. Lo guardai con aria interrogativa e lui si limitò a dire: “Ti servirà, dammi retta.” Non seppi dire se si stava riferendo al casco o alla scritta, ma risposi con un cenno del capo.

“E questo ancora di più del casco di quest’idiota.” Frank mi mise in mano la bomba e io mi sbrigai a infilarla dentro la giacca bianca. Diedi un’ultima occhiata a tutti quei ragazzi, i miei ragazzi e sorrisi triste. “Allora… vado.”

“Buona fortuna, Eve,” mi disse Ray con un sorriso d’incoraggiamento. Gerard mi diede una pacca sulla spalla. “Torna tutta intera, non abbiamo colla per rimettere apposto i tuoi pezzi.”

Con un sorriso malinconico mi infilai il casco e saltai in sella alla moto, infilando e girando la chiave nel quadrante. Il veicolo rombò subito e iniziò a sfrecciare lungo la strada notturna, senza nemmeno darmi la possibilità di guardarmi indietro per un’ultima volta.

 

Arrivai in vista del tunnel circa un’ora dopo. Riconobbi la sua luce blu da lontano, e accelerai per raggiungerlo il più presto possibile. Entrata dentro, decelerai mentre raggiungevo il posto di blocco e Evelyn mi raccomandò: Sangue freddo, Eve, sangue freddo. Non tradirti proprio adesso.

Com’era prevedibile, lo S/C/A/R/E/C/R/O/W di guardia mi fece segno di fermarmi, e io ubbidii, fermandomi a pochi centimetri dalla sbarra. Mi levai il casco e misi in bella mostra il tesserino appuntato sulla giacca. Lui lo guardò attentamente e poi mi disse: “Questa moto non è una delle nostre.”

“L’ho rubata ai Killjoys, non avevo altro modo per tornare qui,” replicai secca e autoritaria, nello stesso modo che avrei fatto due giorni prima. La guardia mi guardò per un’ultima volta prima di entrare dentro il casotto ad avvertire qualcuno del mio arrivo e ad aprire la sbarra. Mi infilai di nuovo il casco e feci rombare il motore, in attesa della mia partenza: il cuore mi batteva come impazzito, sembrava che mi sarebbe potuto venire un infarto mentre ero in sella. Quando la sbarra fu sollevata quasi del tutto, diedi gas e corsi a tutta velocità dentro l’ultima parte del tunnel, diretta verso la città. Ero insensibile: non riuscivo a vedere la strada davanti a me, non sentivo il vento tra i capelli, non percepivo la velocità a cui stavo andando e l’adrenalina che mi circolava nel sangue. L’unica cosa che riuscivo a sentire era solamente il battito del mio cuore, più forte che mai.

 

Sfrecciai per le strade notturne in assoluto silenzio, incurante di quello che accadeva intorno a me. Non appena arrivai in vista del grattacielo della Better Living, i battiti del mio cuore aumentarono ancora una volta: cercai di calmarmi, ma era come chiedere alla moto di fermarsi di colpo e fare dietrofront da sola. Percorsi gli ultimi metri sullo spiazzo davanti all’edificio, lo stesso sul quale erano morti tutti i miei compagni, così poco tempo prima. Non potei fare a meno di rabbrividire e chiedermi come avevo potuto scordarmelo, ma i miei pensieri furono bruscamente interrotti dalle persone che mi aspettavano davanti all’entrata principale. Un comitato di benvenuto piuttosto macabro, pensai. Fermai e parcheggiai la moto, agganciando il casco al sellino con una corda, per poi dirigermi verso l’entrata. Le gambe mi tremavano così tanto che mi chiesi come diavolo avevo fatto a rimanere in sella così a lungo e come facevo adesso a camminare sicura di me.

Per la prima volta da un mese a questa parte (ovvero da quando l’avevo conosciuta) Airi mi venne incontro e mi abbracciò di sua spontanea volontà, lasciandomi a metà tra lo stupefatto e lo scioccato. Quando si staccò, un sorriso le brillava in volto, confondendomi ancora di più. “Ce l’hai fatta a tornare! Non sai quanto mi sono preoccupata quando ho saputo che i ribelli ti avevano presa, ma per fortuna sei riuscita a mandarci un messaggio…” Mi guardò negli occhi. “Come stai?”

“B… Bene. Cioè, non è stata una situazione facile, ma me la sono cavata,” dissi, a metà tra la verità e la menzogna.

Mi sorrise di nuovo. “Vieni, entriamo. Penso che tu abbia bisogno di riposarti nella tua stanza, vero?” Annuii educatamente, ma dentro di me bruciavo dall’odio: verso quella donna e anche verso me stessa. Airi mi aveva fatto credere che i Killjoys, l’unica famiglia che mi fosse rimasta, fossero degli assassini e dei torturatori, ma anch’io ero stata cieca. Come avevo fatto a non accorgermi di quegli sguardi soddisfatti, della sua insistenza affinché mi vendicassi e dei suoi sorrisi e parole false?

Mentre ci dirigevamo dentro il grattacielo, passammo accanto a Korse, che non distolse per un solo secondo lo sguardo da me. Deglutii: che avesse scoperto tutto e mi stesse per smascherare? Il mio cuore iniziò di nuovo a battere come un tamburo, ma l’uomo rimase in silenzio e io mi limitai a distogliere lo sguardo da lui. Entrata dentro l’atrio dissi ad Airi: “Credo di poter salire da sola, so dove sono gli ascensori.”

Fece un cenno d’assenso col capo. “Vai pure, ti raggiungo più tardi. Devo parlare di una faccenda con Korse.”

Quelle parole non mi rassicurarono per niente, ma feci finta di nulla e mi diressi verso gli ascensori. Mi voltai indietro: la donna e l’uomo stavano discutendo, e lo sguardo di lui si soffermò per qualche secondo su di me. Trattenni il respiro e, non appena distolse il suo sguardo nero, attaccai una corsa e mi inoltrai nei corridoi del pianterreno; a metà del terzo trovai la porta dello scantinato di cui mi aveva parlato Frank. La aprii senza fatica e guardai in basso: c’era una scala che scendeva nella stanza buia, illuminata solamente dalla luce che proveniva da dietro di me. Con un respiro profondo iniziai a scendere e dopo una ventina di gradini arrivai in fondo: davanti a me c’era una lunga cassa di legno, e appoggiate alle pareti, nell’oscurità, ne vedevo tante altre. Tirai la bomba fuori dalla mia giacca e la misi sulla cassa, facendo attenzione che rimanesse nascosta nell’ombra.

“Eve, sei qui?”

“Merda!” Tornai in tutta fretta su per le scale e chiusi la porta mentre Airi svoltava l’angolo del corridoio. “Dov’eri finita?” mi chiese.

“Ehm… mi sembrava di averti visto svoltare questo corridoio e ti ho seguita.”

Mi rivolse uno sguardo confuso e non del tutto convinto, poi sorrise falsamente. “Capisco.” Mi fece cenno di seguirla. “Ti accompagno nella tua stanza.”

*
Perdonatemi per il ritardo, Sunshines! Ma in questi giorni non sono riuscita a scrivere e ieri sera dovevo scrivere ancora metà capitolo. D:
E inoltre ho apportato alcuni cambiamenti alla trama. Niente di grave, tranquille, ma ho riorganizzato i capitoli, così adesso ce ne sono ben due in più. Contente? :D
Mi scuso anche per la melensaggine in alcuni punti di questo capitolo. Ne faremo a meno per un pò, promesso.
Il titolo del capitolo è ispirato a una di quelle frasi che appaiono nel trailer di SING.
Maricuz_M: anch'io mi immagino Frank nel modo in cui lo descrivo, un pazzo sul palco ma un peluche/fratellone nella vita di tutti i giorni ^-^ (NOOO, non me lo sarei mai aspettato *-* *CONGA PER L'MCRMY*)
LudusVenenum: mia cara Chuck Norris (u_u) per il video dovrei chiedere a Kobra, ma non so quando riuscirà a farmelo avere. Magari potrei provare a corromperlo con una tazzona di caffè o una fornitura a vita da Starbucks... E SBRIGATI A FAR RESUSCITARE CHASE. E' un ordine.
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
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Capitolo 20
*** Not again! ***


Not again!

 

Aspettavo con ansia il momento in cui sarei stata da sola nella mia stanza per poter sistemare i miei pensieri e prepararmi mentalmente ai due giorni successivi, ma Airi mi accompagnò fin dentro la mia stanza e rimase insieme a me per un sacco di tempo mentre io le raccontavo tutto quello che mi era successo. Bè, ovviamente con qualche piccola modifica. Non mi sembrava molto carino dirle che mi ero disintossicata dalle pillole e avevo recuperato la memoria. In compenso, mi scoprii ad odiarla sempre di più ad ogni minuto che passava: era tutta colpa sua, sicuramente aveva organizzato anche il mio rapimento e la mia amnesia. E io non avevo alcuna intenzione di perdonarla.

“Mi dispiace che tu sia dovuta rimanere così a lungo coi ribelli, Eve, ma se avessimo fatto irruzione dentro il loro rifugio probabilmente saresti morta,” mi disse dispiaciuta quando finii di raccontare. Le rivolsi un sorriso falso, uguale a quelli che faceva lei. “Non importa. Come vedi, sono riuscita a scappare lo stesso.” In verità non te ne fregava niente di quello che sarebbe potuto succedermi, vero? Per te ero solamente uno strumento, una marionetta da poter usare per uccidere i miei amici, ma non ero il tuo giocattolo preferito. Non appena fossi diventata un peso inutile mi avresti fatto recuperare la memoria e mi avresti fatta uccidere mentre ero piena di sensi di colpa. Sbaglio?

“Bè, comunque… tra qualche giorno inizieremo a pensare a un nuovo piano.”

“Perfetto.” Sempre che il mio piano non ti uccida prima.

Sorrise. “Sarai contenta di tornare alla tua routine, vero? Anche Raphael non vede l’ora di rivederti e poter iniziare di nuovo ad allenarti.”

“Uhm… sì. Sì, mi mancavano le mie giornate qui dentro.” Soprattutto quelle in cui venivo trasformata in una cavia da laboratorio.

“A proposito…” Airi si alzò dal letto dove era seduta accanto a me e si avvicinò alla scrivania. Aprì uno dei tanti cassetti e tirò fuori un bicchierino trasparente con dentro delle capsule familiari. Il cuore iniziò a battere a tutta manetta, e pensai che il rumore potesse rimbombare per tutta la stanza. Mi sforzai di apparire imperturbabile mentre la donna si sedeva di nuovo accanto a me e mi metteva il bicchierino in mano. “Dopo una settimana di astinenza ti faranno bene.” Deglutii. Qualcosa dovette trasparire per forza all’esterno, perché Airi mi chiese: “Tutto okay?”

“Sì! Sì, tutto a posto!” esclamai come un’esaltata e sembrando tutto tranne che ‘okay’.

“Non hai avuto problemi per le pillole, vero?”

Ci pensai un attimo su. A dire la verità sì, ho avuto dei problemi per quelle fottutissime pillole. Ho passato due giorni infernali e mi sono sentita decisamente una merda. Anzi, probabilmente una merda si sarebbe sentita molto meglio di me. “No. Avrei dovuto?”

La colsi alla sprovvista. “Certo che no! Ma è da poco che le prendi, non so quanto possa farti male stare una settimana senza prenderle.”

“Bè, non mi è capitato niente.” Appoggiai il bicchierino sul letto. “Le prenderò più tardi, non credo che qualche minuto in più possa farmi male, no?”

La donna mi guardò stranita, poi scrollò le spalle. “Fai come vuoi. Non scordarti di prenderle, però.” Si alzò dal letto e uscì dalla stanza salutandomi e richiudendosi la porta alle spalle. Aspettai che il rumore dei suoi tacchi sparisse in lontananza nel corridoio, poi mi lasciai scappare un lungo sospiro di sollievo: ce l’avevo fatta. Dovevo solamente aspettare altri due giorni e tutto sarebbe finito. Mi alzai in piedi e raggiunsi la finestra mentre Evelyn mi chiedeva: Come hai fatto a sopportare quella pazza per tre settimane?

“Bella domanda. Certe volte me lo chiedo anch’io,” le risposi in un sussurro. Mi lasciai sfuggire un sospiro. Sei preoccupata? mi chiese ancora.

“No. È solo che…” Feci una pausa e continuai dentro di me: “Ho l’adrenalina a mille e so che se mi scoprono sono fregata. Non posso comunicare coi ragazzi, se tutto fallisce e mi scoprono quando verranno qui li uccideranno tutti. E non voglio avere sull’anima il peso delle loro morti.”

Una pacca invisibile mi arrivò sulle spalle. Non succederà, Eve.

“E se succedesse?”

Rimase un momento in silenzio. Fai in modo che non accada. Sai che io non posso dirti quello che succederà, ma se eviti la causa eviterai anche le conseguenze.

Mi morsi il labbro inferiore mentre fissavo i grattacieli illuminati fuori dalla finestra. “Evelyn… davvero sai quello che succederà? Come hai fatto quella volta che Joshua…?”
Non vedo il futuro, se è questo che vuoi chiedermi. Sapevo di Joshua solamente perché era già accaduto, ma non so dirti di preciso cosa accadrà tra due giorni.

Feci un sorriso che sembrava più una smorfia. “Si scatenerà l’inferno.”

La sentii ridere. Sicuro.

Mi allontanai dalla finestra e tornai al letto. Dopo un attimo di esitazione, afferrai il bicchierino in mano e mi diressi senza esitazione verso il bagno. Tirai su il coperchio del cesso e, con un gesto sicuro e fermo, rovesciai il contenuto del bicchiere lì dentro: le pillole caddero una dietro l’altra, facendo un lieve plop quando raggiunsero l’acqua. Rimasi a fissarle per qualche momento, poi tirai lo sciacquone e le guardai vorticare per poi sparire nel nulla, come se non fossero mai state lì. Misi il bicchierino ormai vuoto sul lavandino e tornai nell’altra stanza, sedendomi sul letto. Mi portai le gambe al petto e le abbracciai: era fatta, ormai non potevo più tornare indietro. Dovevo arrivare fino alla fine, viva o morta. Mi voltai ancora una volta verso la finestra e osservai i grattacieli illuminati nella notte: le luci erano così brillanti che era impossibile vedere le stelle o il deserto fuori dalla città. Sospirai: che stavano facendo i ragazzi in quel momento? Stavano già dormendo o erano ancora svegli, preoccupati per me? E Grace era già nel mondo dei sogni? Quale canzone stava passando sulla radio del Dr. Death Defying? Dove avrebbe dormito quella notte Joshua? Avrei potuto rivedere tutti loro per un’ultima volta? Chiusi le mani a pugno.

Due giorni. Devo solo sopravvivere per due giorni.

 

Due giorni.

Due giorni lunghissimi, in cui le ore non sembravano passare mai e i minuti scorrevano uno dietro l’altro con la lentezza di una goccia d’acqua che cade.

Ripresi gli allenamenti con Raphael, anche se non avevo più l’entusiasmo delle prime lezioni, e poi passai il resto delle giornate nella mia camera a cercare di evitare il mondo al di fuori della stanza e all’interno del grattacielo. Ma, alla fine, Airi tornava sempre a trovarmi, e ogni volta portava con sé una nuova dose di pillole, che finiva regolarmente nel cesso. Ogni volta che lo facevo mi chiedevo se qualcuno lo sapesse: ma, poiché nella mia stanza non avevo notato telecamere, smisi di farmi paranoie e continuai indisturbata a farlo.

La cosa che mi preoccupava di più era la bomba: tutto dipendeva da lei. Se non l’avessero trovata, bene. Ma se qualcuno se ne fosse accorto e non ci avesse messo molto a fare due più due… ogni volta i miei pensieri si bloccavano qui, spaventati dal continuo della frase.

E ogni volta le mie cicatrici sembravano pulsare come se fossero vive.

Fu così che trascorsi quei due giorni. E quando arrivò il momento in cui non sarei stata più da sola…

Mi ritrovai a desiderare di essere morta.

 

Sapevo che i ragazzi sarebbero arrivati soltanto quando il sole fosse calato, ma non potei fare a meno di passare l’intera giornata con il panico e il nervosismo addosso. Ci pensò Evelyn a rassicurarmi e a tirarmi su di morale, anche se dentro di me avevo una bruttissima sensazione che non voleva abbandonarmi.

Quando finalmente calò la sera, corsi alla finestra e mi misi a fissare le strade piene di macchine che sfrecciavano. Il mio cuore aumentò i battiti: erano già entrati in città? Quale tra quelle auto che si affrettavano veloci nelle strade affollate era guidata da quel pirata della strada di Kobra Kid? Dentro quale vettura Frank stava caricando la sua pistola, Gerard si stava infilando la sua mascherina da Party Poison e Ray si stava preparando allo scontro? E dentro quell’auto c’era anche Joshua, con il suo casco in testa e i suoi pattini ai piedi, pronto a sfrecciare lungo l’atrio uccidendo più Draculoidi che poteva?

Chiusi per un attimo gli occhi, provando a rilassarmi.

E una sirena iniziò a suonare.

Sistemi di sicurezza violati.

ECCOLI!

Mi scostai dalla finestra e afferrai la pistola a raggi bianca appoggiata sulla scrivania: non sarebbe stato difficile, in tutta quella confusione, sgattaiolare fino al pianterreno e azionare la bomba per poi scappare via con i Killjoys. Con un sorriso in faccia infilai l’arma nella fondina, corsi verso la porta con la pistola in mano e la spalancai.

Il sorriso mi morì sulle labbra.

“Per fortuna sei già pronta! Vieni, dobbiamo andare!” Airi mi afferrò per il braccio nudo e iniziò a trascinarmi verso i corridoi. “Dove?” le chiesi col cuore che mi batteva a mille per la paura. Mi hanno scoperta?

“I ribelli sono riusciti a entrare di nuovo dentro Battery City. Abbiamo già preparato il contrattacco e siamo sicuri di riuscire a sconfiggerli, ma è più sicuro per te rimanere nascosta finchè non è finito tutto.”

“Ma…” protestai, ma la donna mi interruppe. “Niente ma, non posso permettere che ti succeda di nuovo qualcos’altro.”

Senza poter nemmeno oppormi, mi lasciai guidare lungo i corridoi mentre urlavo dentro di me: Non doveva andare così, non deve andare così!! Quando arrivammo agli ascensori, Airi svoltò in un’altra parte del corridoio e arrivò a una zona del piano in cui non ero mai stata prima. In fondo c’era un altro ascensore. “Perché prendiamo questo?” le chiesi mentre le porte si spalancavano.

“Ci porterà direttamente al luogo dove rimarrai fino alla fine della battaglia, gli altri è meglio lasciarli liberi per i Draculoidi,” mi spiegò mentre entravamo dentro. Premette un pulsante, le porte si chiusero e iniziammo a scendere, sempre più giù. Solamente in quel momento mi accorsi del fodero per una spada che teneva a tracolla sulla schiena: ripensai per un attimo alla mia spada e a quello che avevo combinato con quell’arma. Un breve ricordo mi attraversò la mente – quelle lezioni nel giardino insieme a Slay e il combattimento infinito che avevamo affrontato l’uno contro l’altra, ragazza contro uomo, umana contro demone – ma poi venne bruscamente interrotto dal nostro arrivo. L’ascensore si fermò lentamente e le porte si aprirono su uno dei tanti corridoi del piano terra. Airi mi prese di nuovo per il braccio e mi condusse in quel labirinto bianco, finchè non arrivammo a una zona meno bianca delle altre e che sembrava quasi in disuso. Aprì una porta e ci ritrovammo in un corridoio più largo degli altri, con miriadi di stanze ai lati. Scendemmo i cinque scalini davanti alla porta e mi lasciai condurre verso l’unica porta grigia mentre mi guardavo intorno: l’illuminazione era scarsa e la luce fioca, e ogni cosa era immersa in una penombra quasi totale. Mi spaventai per un attimo, ma non mi lasciai scoraggiare: avrei trovato il modo di tornare al ripostiglio, non sarebbe stato difficile.

La donna mi lasciò andare il braccio, aprì la porta grigia e mi fece segno di entrare. “Forza, entra.”

Mi impuntai. “Non voglio.”

Sospirò. “Ti prego, non fare la bambina piccola. È meglio per tutti se rimani al sicuro durante la battaglia.”

“Questa è anche la mia battaglia, se te lo sei scordato! Ho il diritto di decidere se combattere o meno!”

A quel punto le scappò la pazienza: mi afferrò ancora una volta per il braccio e mi lanciò dentro la stanza buia, illuminata solamente dalla luce lunare e dei grattacieli che penetrava da una finestrella sbarrata da delle grate. “Entra!” mi ordinò, lasciandomi andare improvvisamente e con una tale forza che caddi con la schiena sul pavimento duro. Non mi scoraggiai, mi tirai su sui gomiti e guardai la donna fissandola negli occhi. “No! Devo terminare la mia vendetta e voglio combattere per le persone che mi hanno aiutato quando ho perso la memoria, non voglio rimanere al si…” Mi bloccai improvvisamente, trattenendo il fiato.

La lama tremendamente affilata di una spada mi sfiorava la pelle del collo.

“Adesso puoi anche smetterla con questa commedia, Eve,” mi disse Airi con un sorriso cattivo e senza abbassare di un solo millimetro la spada. Nella sua voce non c’era più traccia di quella dolcezza e comprensione che mi aveva dimostrato all’inizio. Mormorai: “Ma cosa…”

“Avanti, sappiamo benissimo entrambe che è da due giorni che stai recitando solamente una parte. La ragazzina senza memoria, vero? ‘Chi vuoi che si accorga che mi sia ricordata tutto?’” disse cattiva imitando e distorcendo la mia voce. Rise in un modo così malvagio che mi venne la pelle d’oca e poi mi fissò di nuovo negli occhi. “Me ne sono accorta dopo poco tempo. Avevo già un presentimento, e anche Korse, e quando hai rifiutato le pillole ho avuto la certezza di tutto. Oh, e gettarle nel cesso è stato un vero tocco di classe, devo ammetterlo.” Spostò la spada leggermente a sinistra, ma per fortuna nessun taglio si formò sulla mia pelle. Non mi voleva ancora morta. “Che vuoi fare adesso?” le chiesi, lasciando calare il sipario sulla ‘ragazzina senza memoria’.

Sorrise. “Non so. Tu hai un piano, vero?”

Non le risposi, limitandomi a sostenere il suo sguardo. Sospirò. “Me lo immaginavo, non me lo dirai nemmeno sotto tortura. Oppure sì… sai, ci sono delle siringhe che ti stanno aspettando in laboratorio.”

Il mio cuore aumentò velocità come se stesse per scoppiare, e lievi tremiti mi scossero il corpo. Il solo sentire quella frase mi aveva resa debole, ma resistetti. Vedendo che non reagivo nemmeno in questo modo, continuò: “Orgogliosa. Non diresti una parola nemmeno se ti frustassero. Eppure sia tu che io sappiamo che c’è un motivo preciso per cui sei tornata. Ma visto che non me lo vuoi dire…” Sorrise lievemente, e io mi gelai. Che vuole fare?

“Ti lascerò qui dentro finchè la battaglia non sarà finita, e puoi star sicura che i tuoi amici moriranno tutti, dovessi occuparmene io personalmente. Potrei iniziare dal ragazzo sui pattini, che ne dici?”

Joshua! Quelle parole e le immagini che suscitarono nella mia mente riuscirono finalmente a farmi reagire e urlai: “No, non farlo!

Si lasciò sfuggire un suono soddisfatto. “Iniziamo a ragionare. C’è qualcosa in particolare che vuoi dirmi?”

Non dissi niente, con le lacrime che minacciavano di cadermi dagli occhi. Lei sospirò di nuovo, frustrata. “Odio quando le persone non collaborano. Vediamo se sarai altrettanto forte quando tornerò con i cadaveri dei tuoi compagni.” Levò la spada dal mio collo e uscì dalla stanza, chiudendo la porta a chiave. Non appena ripresi fiato, mi alzai in piedi e mi lanciai contro la porta, iniziando a tempestarla di pugni. Niente, quella non si spostò di un solo millimetro.

Iniziai a piangere e mi lasciai sfuggire un urlo disperato.

NOOOOOO!!!!!

*
Si, come avete notato ci godo tantissimo a lasciarvi col fiato sospeso, Sunshines. Ma questo capitolo mette angoscia anche me, potete scommetterci tutto quello che volete D:
E per la gioia di Ludo ho messo una spada ;)
Maricuz_M: per fortuna siete contente ^_^ Come vedi i tuoi sospetti si sono rivelati giusti... (e Joshua, è vero, è stato tremendamente dolce :3)
LudusVenenum: ho ascoltato Anywhere degli Evanescence, ho rischiato di piangere ç__ç Ecco qua il capitolo, spero che tu sia soddisfatta per quello che è accaduto! Cercherò di sollecitare Kobra Kid, ma non so quanto ci metterà a darmi quel fottuto video. Sarà anche bravo alla guida, ma è un disastro in tutto il resto -.-' (tranne che al basso :3)
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 21
*** The city is at war. ***


The city is at war.

(Let this world explode!)

 

No! No! No! No!

Ogni parola, un colpo sulla porta di metallo. Ogni urlo, un rimbombo cupo nella stanza e nel corridoio vuoto. Ogni secondo in più, una disperazione che mi trascinava sempre più a fondo con sé, come un’onda.

Tirai fuori dal fodero la pistola a raggi e sparai alla porta, ma il proiettile non scalfì nemmeno la superficie di metallo. Continuai a battere il mio pugno sulla porta e a urlare anche quando le forze sembrarono abbandonarmi, anche quando era chiaro che nessuno mi avrebbe tirato fuori da lì. Stanca, scivolai lentamente a terra finchè non rimasi in ginocchio sul pavimento freddo. Ma non smisi di colpire, non smisi di cercare di salvarmi.

Evelyn rimase in silenzio, senza nemmeno la forza di consolarmi o dirmi che sarebbe andato tutto bene. Lo sapeva anche lei, lo sapeva come lo sapevo io: era finita. Nessuno sarebbe venuto a salvarmi all’ultimo minuto, perché i miei salvatori stavano per essere uccisi. Dovevo rassegnarmi, non c’era più niente da fare. Questa volta la salvezza non faceva parte del mio destino.

Colpii per le ultime volte la porta, poi ci appoggiai sopra entrambi i pugni e abbassai la testa, iniziando a piangere silenziosamente: ancora una volta avevo voluto distruggere una cosa più grande di me, e ancora una volta i miei amici sarebbero morti per avermi seguita nella mia folle impresa. Piangevo ancora per Bubble Tower, Letter Bomb e Amy, ma… questa volta era diverso. Questa volta a morire sarebbero state le persone che mi avevano consolata così tante volte, che mi avevano protetto, che mi avevano amato.

I miei amici.

Gerard, con quel suo carattere un po’ duro ma in fondo divertente e dolce.

Ray, con le sue battute che riuscivano a risollevare anche la giornata più nera.

Mikey, con le sue folli corse che mi montavano l’adrenalina addosso.

Frank, con la sua allegria che riusciva sempre a strapparmi una risata.

Joshua, con il suo amore che non mi aveva mai abbandonata, nemmeno nella situazione più nera.

E poi sarebbe toccato anche a Grace e al Dr. Death Defying, poco ma sicuro. E con loro sarebbero scomparsi anche i giochi, i consigli, l’allegria e le canzoni alla radio.

Potevo quasi immaginare quello che sarebbe successo dopo pochi minuti, o che forse era già successo: i Killjoys che combattevano nell’atrio, fiduciosi nel mio piano e che aspettavano che arrivassi per potersene andare. Joshua, distante dagli altri, che combatteva con un gruppetto di Draculoidi. Una sagoma tagliente e luccicante che gli si avvicinava e gli trapassava la pelle… e in poco tempo l’atrio bianco sarebbe stato macchiato dal rosso del sangue dei miei compagni, dei miei amici. Un altro plotone di Draculoidi sarebbe stato mandato nel deserto al rifugio del Dr. D, e anche il Dj e Grace se ne sarebbero andati, soli e indifesi, un uomo su una sedia a rotelle e una bambina.

E poi… sarebbe toccato a me.

Chissà se Airi diceva sul serio, quando diceva che sarebbe tornata coi cadaveri dei ragazzi. Me li avrebbero fatti vedere davvero, anche se non erano più gli stessi, cambiati dal freddo che era sceso su di loro? Avrei potuto accarezzarli per un’ultima volta, affondare la mano nei ricci di Jet Star, guardare gli occhi grigi di Joshua e quelli verdi di Fun Ghoul, entrambi ormai spenti e vacui? Avrei potuto dire loro addio prima di ritrovarci tutti insieme in un altro luogo, che non era né nel mio mondo né in questo?

E di me cosa sarebbe stato?

Ero sicura che c’erano davvero delle siringhe che mi aspettavano da qualche parte dentro un laboratorio, pronte ad uscire dai miei incubi e a darmi la caccia di nuovo. Mi sarei dovuta di nuovo abituare a tutte quelle reazioni strane, al dolore, al sangue, a quelle ore passate immobile sul pavimento senza nemmeno la forza di muovere un muscolo. Oppure questa volta avrebbero usato la tortura, e non sarebbe stato meno doloroso. In ogni caso io, l’ultima Killjoy, l’ultima ribelle sopravvissuta ai suoi stessi compagni, sarebbe morta nel modo meno eroico possibile e senza possibilità di combattere. E io non volevo che succedesse.

Ero così immersa nei miei pensieri e singhiozzavo talmente forte che non sentii i passi che si fecero strada nel corridoio per poi fermarsi davanti alla mia porta. Lasciai andare un singhiozzo più forte degli altri e, quando mi zittii per prendere fiato, la sentii. Sentii una voce.

“Eve?”

Rimasi immobile, senza né parlare né muovere un muscolo. Lei, preoccupata e insicura, ripetè: “Eve? Sei qui?”

Mi lasciai sfuggire un gemito sorpreso e balbettai: “G… Che ci fai tu qui?”

“I ragazzi mi hanno portata con loro e quando siamo arrivati qui mi hanno detto di cercarti. Non sono riuscita a trovarti subito, poi ho visto quella donna con la spada che usciva da questo corridoio e ho pensato che tu potevi essere con lei.”

Trattenni a fatica il sorriso che si stava formando sul mio volto. “Come stanno?”

“Bene. Dovresti vedere come combatte Joshua, sembra che abbia le ali ai piedi.” La bambina rise, e io con lei: avevo già avuto modo di assistere alla scena del ragazzo che combatteva nell’atrio con i suoi pattini ai piedi, mi era sembrato immortale. Improvvisamente ripensai alle parole di Airi e dissi: “Grace, devi tirarmi fuori di qui, adesso!

“Dov’è la chiave?” mi chiese lei, altrettanto preoccupata.

“Dovrebbe essere qui vicino, cercala!”

Dei passi si allontanarono e vagarono per il corridoio. Passarono lunghi minuti di interminabili attesa, prima che un tintinnio metallico e un soddisfatto ‘Eccola!’ mi giungessero alle orecchie. I passi si avvicinarono di nuovo alla mia porta e la chiave entrò nella serratura, che iniziò a girare lentamente. “È dura, non ce la faccio!” esclamò Grace.

“Tranquilla, vai con calma. Nessuno sa che sei qui, non…”

“AAAHHH!!”

La chiave smise improvvisamente di girare nella serratura e l’urlo della bambina si fece strada anche dentro la mia cella. Riuscivo a sentire i suoi gemiti di sforzo e sentii che insieme a lei c’era qualcun altro, i rumori di passi erano troppi. “Grace!” urlai, infilai le dita di entrambe le mani nella fessura della porta e tirai: lei iniziò ad aprirsi, ma alla fine si bloccò di nuovo. Guardai la serratura: un pezzo era rimasto infilato nel buco, la bambina non era riuscita ad aprirla completamente. Con un movimento veloce tirai la pistola fuori dal fodero e sparai sulla serratura: con uno schianto secco e una luce improvvisa la porta si spalancò, mostrandomi un Draculoide che teneva ferma Grace tra le braccia. Senza pensarci due volte gli sparai al cuore, lasciandolo cadere a terra e liberando la bambina. La piccola mi saltò in collo e mi abbracciò forte, mentre le sussurravo: “Va tutto bene, ci sono io adesso. Va tutto bene.”

La posai per terra e insieme iniziammo a correre via dal corridoio, lontano dalla cella e avvicinandoci sempre di più al ripostiglio. Vagammo per i corridoi per un tempo interminabile e, quando ormai iniziai a dare tutto per perduto, ci imbattemmo nella porta del ripostiglio. Mi fermai e guardai la bambina negli occhi azzurri. “Ascoltami bene, Grace. Corri più veloce che puoi verso l’atrio, non ti devono acchiappare in alcun modo, e stai attenta alle pallottole. Appena arrivi corri da Party o da Fun Ghoul, e dì loro che tra cinque minuti devono uscire dal grattacielo. Okay?”

“E tu?”

Esitai. “Dì loro di uscire comunque, con o senza di me. Non preoccupatevi per me, me la caverò in qualche modo.”

Gli occhi le si inumidirono di lacrime. “Non voglio perderti un’altra volta.”
Oh, piccola... “Grace.” Fui colpita io stessa dalla fermezza nella mia voce. “Non abbiamo tempo da perdere, non pensare a queste cose. Non pensate a me, se lo fate saremo tutti morti. Capito? Tutti. E vedervi morti è l’ultima cosa che voglio. Urlalo forte se i ragazzi vogliono aspettarmi: keep running, se vi fermate siete spacciati.” Feci una pausa. “Vai, forza!

Mi guardò per un’ultima volta con gli occhi azzurri luccicanti, poi si voltò e iniziò a correre a tutta velocità nel corridoio. Non appena svoltò l’angolo, aprii la porta del ripostiglio e iniziai a scendere le scale più veloce che potevo.

Dimmi, distruggeresti qualcosa perfetto per renderlo bellissimo?

Adesso so la risposta, Frankie. C’è n’è sempre stata una soltanto.

Raggiunsi la cassa e cercai a tentoni la bomba. All’inizio mi preoccupai non trovandola, ma non appena sentii la scatola di metallo sotto le dita mi lasciai sfuggire un sorriso e la portai alla luce che proveniva dal corridoio sopra di me. Toccai un tasto sopra il display e delle figure rosse vi si accesero sopra. Ne toccai un altro e un 5:00 lampeggiò per poi rimanere immobile. Un ultimo tasto e, con un poco di incertezza, il numero cambiò velocemente in un 4:59, per poi diminuire sempre di più mano a mano che i secondi passavano. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo: era fatta, l’avevo innescata. Avevo abbastanza tempo per poter uscire dalla stanza e raggiungere i ragazzi, cosa sarebbe potuto andare storto?

Click.

Mi si gelò il sangue nelle vene quando sentii il rumore di un colpo messo in canna, e rimasi immobile senza osare fare nemmeno un passo. I passi, invece, li fece qualcun altro, che mi raggiunse e puntò la fredda canna di metallo di una pistola a raggi alla testa. “Sinceramente, cosa pensavi di fare?”

Deglutii e non risposi. I pensieri mi vorticavano in testa a una velocità pazzesca, valutando tutte le possibilità che avevo per levarmi da quella situazione e raggiungere i ragazzi prima dei quattro minuti e mezzo di tempo che restavano. L’unica che mi venne in mente, purtroppo, era anche la più rischiosa. Ma ormai stavo giocando il tutto per tutto, e anche se il mio asso nella manica era la carta peggiore di tutto il mazzo ero costretta a buttarla. Intanto la persona dietro di me spinse fortemente la pistola sulla mia testa. “Sarà un piacere ucciderti, sai?”

Con un movimento veloce mi voltai, allontanai il braccio che teneva la pistola dalla mia testa, tirai fuori la mia e mi nascosi nell’ombra, vicino alla cassa. Il colpo che doveva uccidermi si diresse verso l’alto e colpì il soffitto, lasciando cadere una nevicata di polvere d’intonaco. Sentii Korse imprecare tra sé e sé e infilare un altro colpo in canna. Anche se controluce, riuscii a vederlo che puntava la pistola nella mia direzione e premeva il grilletto: mi abbassai giusto in tempo e il proiettile mi oltrepassò la testa, colpendo il muro qualche metro più in là. L’uomo saprò un altro paio di colpi, e dovetti fare i salti mortali per evitare di venire colpita o anche solamente sfiorata. Non appena ebbi un minuto per respirare, misi un colpo in canna nella mia pistola e mi spostai silenziosamente vicino a Korse, il più vicino che potevo. Anche se la sua figura era quasi completamente al buio, alzai l’arma e feci fuoco.

Lui rimase in piedi e pensai di averlo mancato completamente, ma poi ondeggiò un paio di volte e infine cadde a peso morto per terra, con un rimbombo che echeggiò nella stanza. Rimasi in silenzio e scioccata, l’unico rumore che si sentiva era quello del timer della bomba. Lentamente, uscii dall’ombra e mi avvicinai al corpo: una pozza nerastra gli si stava allargando sulla camicia bianca, e quegli occhi neri che mi avevano sempre spaventata fissavano il vuoto. Non potei fare a meno di sentirmi soddisfatta e mormorai: “Questo era per Thomas.” Mi voltai verso la bomba e rimasi senza fiato: il timer segnava 1:00.

Senza perdere tempo, scavalcai il cadavere e corsi su per le scale finchè non mi ritrovai nel corridoio. Presi la strada verso l’atrio, ma nel svoltare l’angolo inciampai e caddi per terra. Rimasi un attimo immobile sul pavimento bianco, poi mi ripresi e tornai in piedi. Un altro paio di angoli, ed ecco l’atrio bianco. Per terra c’erano decine di cadaveri, ma nessuno di loro mi era familiare. Alzai lo sguardo verso la porta a vetri mentre correvo: là fuori c’erano i Killjoys, ancora vivi, che mi aspettavano. Joshua non aveva il casco e sbracciava verso di me. Stava dicendo qualcosa, e la parola che pronunciava era una sola.

Corri!

“Joshua, vattene! La bomba sta per…”

BUM!

 
*
No, stasera non sono dell'umore giusto per sclerare. Ho litigato con delle persone che mi stanno (o stavano? Non so ancora qual'è il tempo giusto da mettere) veramente a cuore, e... bè, non penso che vi interessi sapere in che stato ero oggi pomeriggio. Vi dico solamente che il titolo del capitolo è ispirato a una canzone dei Cobra Starship (chissà perchè mi immagino sempre Kobra Kid che canta o_O) e la frase sotto è di Na Na Na.
Scusate se questo capitolo vi sembra più corto del solito.
E LA SUNSHINE E' TORNATAAAAAAAAAAA!!
LudusVenenum: anche Field of the innocents è stupenda *-* Scusa, ma quando mai Eve può contare su quei cinque idioti? Il più delle volte è lei che salva le chiappe a loro -.-'
Maricuz_M: AHAH Da te mi aspettavo una reazione del genere XD Spero che la mia soluzione di stavolta ti sia piaciuta :D *si immagina Joshua in versione This Is Sparta*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 22
*** Yes, I will see you through the smoke and flames, on the front lines of war. ***


Yes, I will see you through the smoke and flames, on the front lines of war.

(Product of a white dream.)

 

“Mh…”

Mi mossi scomposta dentro il letto un paio di volte continuando a gemere. Emisi uno sbuffo, poi mi sistemai sul fianco sinistro e mi rilassai, sorridendo e pronta a scivolare di nuovo dentro il sonno. Ma qualcosa mi costrinse a rimanere sveglia, qualcosa che in un angolino della mia testa stava urlando Svegliati, ragazza! Ragiona per un momento!

Ma su cosa dovevo ragionare? Ero sdraiata in un letto e mi ero appena svegliata, che…

Smisi di colpo di respirare.

De… dentro un letto?

Aprii di scatto gli occhi e mi rizzai di colpo a sedere: era vero, non me l’ero immaginato, ero sdraiata sotto le coperte di un letto. O meglio, di quello che era un letto d’ospedale. Ero da sola nella stanza, non c’erano nemmeno altri lettini e gli unici altri mobili erano una cassettiera, un comodino alla mia destra e una poltrona e una sedia di plastica arancione alla mia sinistra. Davanti a me una porta conduceva probabilmente al bagno e un’altra, a destra, doveva immettere nel corridoio. Alla mia sinistra, invece, una grande finestra lasciava entrare la luce del primo pomeriggio che filtrava attraverso le foglie di un grande albero. Iniziai ad ansimare. Ma… a Battery City non ci sono alberi!

Mi misi seduta più comodamente e mi calmai prima di iniziare a pensare: di sicuro non ero più nella città californiana, poco ma sicuro. E allora dov’ero finita? Mi ricordavo solamente che avevo quasi raggiunto Joshua e gli altri quando la bomba era improvvisamente scoppiata e il grattacielo aveva iniziato a crollare. Un pezzo di cemento mi aveva colpita e io mi ero accasciata per terra, svenuta. Che i Killjoys mi avessero ritrovata sotto le macerie e mi avessero portata in un luogo sicuro? Era probabile, ma nel 2019 gli alberi non esistevano più in California! Stavo ancora pensando quando la porta del corridoio si spalancò: mi voltai e rimasi a bocca aperta quando vidi una persona che pensavo non avrei mai rivisto. Lei fece un enorme sorriso e mi si gettò quasi addosso, gettandomi le braccia al collo e iniziando a singhiozzare: “Oddio, Eve, sei di nuovo qui, sei sveglia!”

Rimasi immobile e dura come un pezzo di legno mentre la donna continuava a piangermi addosso. Solamente dopo qualche secondo riuscii a mormorare: “M… mamma?”

“Sì, tesoro, sono io. Va tutto bene, sei di nuovo sveglia,” disse lei, staccandosi da me e accarezzandomi il volto. La guardai attentamente: era lei, non c’erano dubbi. Riconoscevo la sua voce, il suo volto, i suoi gesti… ma che diavolo ci faceva nel 2019? “Dove siamo, mamma?”

“Come dove siamo, amore? A Manhattan!”

Manhattan? Ero rimasta così sconvolta che la sentii a malapena dire: “Sei tornata indietro, i dottori avevano ragione…”

“A-Aspetta!” esclamai. “Di che stai parlando?”

Mi guardò confusa. “Non ricordi?” Fece un gesto con la mano. “Già, che stupida, certo che non puoi.” Tornò seria, si sedette sul letto accanto a me e iniziò ad accarezzarmi una mano tenendo lo sguardo basso. “Vedi, è che…”

“C-Cosa?” la incalzai.

“Tu…” Alzò lo sguardo verso di me. “Hai passato gli ultimi cinque mesi dentro questo letto. In coma.”

Spalancai gli occhi e sembrò che un tuono mi rimbombasse nelle orecchie. La mia vista si fece per un momento sfuocata, poi ripresi il controllo e mormorai di nuovo: “C…Cosa? Com’è successo?”

“Oh, tesoro…” Gli occhi di mia madre si riempirono di nuovo di lacrime. “Un giorno sono tornata a casa mentre c’era un temporale. Quando sono entrata ti ho chiamato ma non mi hai risposto, così sono salita in camera tua e…” Tirò su col naso. “Eri distesa per terra, con il tuo iPod poco più in là, scarico. Non ti muovevi, allora ho chiamato un’ambulanza e… e…” Si bloccò per riprendere fiato e calmarsi, poi riprese: “I dottori pensano che un tuono sia caduto abbastanza vicino a casa nostra e che tu per lo spavento sia svenuta. Non sanno ancora spiegarsi come mai sei finita in coma, ma almeno adesso ti sei svegliata.” Era contenta, si vedeva: il viso e gli occhi le brillavano come stelle, il sorriso non spariva mai dal suo volto… ma io non potevo dire la stessa cosa. Tenevo lo sguardo basso e nella mia mente si ripetevano le stesse parole, la stessa frase: È stato tutto un sogno. È stato tutto un sogno. È stato tutto un sogno.

Mia madre mi accarezzò la spalla. “Sarà dura per te tornare alla normalità. Ti lascio un po’ da sola, okay?” Mi diede un bacio sulla fronte e si avviò verso la porta, ma io la fermai. “Mamma… e papà?”

Si voltò di nuovo verso di me. “Sta arrivando. Non appena ha saputo che ti sei svegliata ha lasciato l’ufficio di corsa per venire a trovarti.”

Deglutii. “Ma voi due non siete… ecco…”

“Cosa dovremmo essere?” La sua voce era completamente confusa, e non mi stava nascondendo niente. Le feci un cenno come a dire ‘Non importa’ e la seguii con lo sguardo mentre lasciava la stanza. Non appena la porta si richiuse e fui di nuovo da sola, abbassai la testa e mi misi una mano sulla bocca per non far sentire i miei singhiozzi; ma non potei fare niente per le lacrime che mi scendevano lungo le guance pallide.

Un sogno… era stato tutto un sogno. Il poster della Black Parade non mi aveva mai risucchiata, non avevo mai incontrato i My Chemical Romance, non avevo mai imparato a volare e a usare la spada, non avevo mai viaggiato dentro la Battery City notturna, non avevo mai guidato a tutta velocità nel deserto, non avevo mai parlato con Evelyn, non ero mai stata una cavia da laboratorio, non avevo mai…

Non avevo mai incontrato Joshua.

“Ma io ho le cicatrici!” Con un gesto rapido, mi guardai le braccia: bianche e lisce, senza nessun segno sopra. Tremando, sollevai il camice che avevo addosso fino al seno: sotto quello sinistro non c’era niente, non c’era il foro di quella pallottola che mi aveva quasi uccisa. “Non è possibile,” mormorai, negando la realtà evidente. Poteva essere stato tutto davvero un sogno? Non può esserlo, NO!

Ma perché non poteva esserlo? Dopotutto ero stata cinque mesi in coma, chissà quante cose potevo essermi immaginata. Ma io avevo provato dolore e avevo provato così tante emozioni, mi rifiutavo di credere che potesse essere stato tutto solo il prodotto di un mio sogno. Purtroppo la verità era schiacciante, però io mi rifiutavo di accettarla.

In un gesto di rabbia mi voltai verso la finestra e rimasi ancora una volta scioccata: l’albero non aveva più foglie verdi, ma quelle autunnali tipiche della fine di ottobre. Chiusi per un momento gli occhi e li riaprii: adesso le foglie non c’erano più e i rami erano carichi di neve. Ma cosa… pensai, poi la porta che dava sul corridoio si aprì, lasciandomi intravedere il mondo là fuori: varie persone passarono senza degnarmi di un’occhiata, perse nei loro pensieri. All’improvviso, una bambina di sette anni con i capelli biondi raccolti in due codine si fermò con la madre proprio davanti alla mia porta, aggrappandosi alla mano della donna. Si voltò nella mia direzione e mi sorrise, con gli occhi verdi che le brillavano, e anche la madre fece lo stesso gesto. Rimasi letteralmente a bocca aperta: io conoscevo quelle persone, ma non potevano essere lì.

Mia madre aveva una sorella più piccola di dieci anni, Christine, che era morta quando aveva solamente sette anni. E sua madre, mia nonna, l’aveva raggiunta pochi anni dopo. Io non le avevo mai conosciute, ma in casa nostra c’era una foto in cui erano ritratte solo loro due, e tutte le volte che ci passavo davanti pensavo a come mi sarebbe piaciuto conoscere quella bambina dagli occhi verdi e dal volto sorridente. La stessa bambina che mi stava facendo ‘ciao’ con la sua manina.

Adesso era tutto chiaro: le cicatrici sparite, mia madre, io di nuovo a Manhattan, mia nonna e mia zia che mi salutavano come se fossero state ancora vive… era questo il vero sogno. Probabilmente ero sempre sepolta sotto le macerie della Better Living, svenuta, e questo era quello che stavo ‘sognando’.

E se tutto questo era un sogno (o comunque, qualcosa che ci andava molto vicino) qual’era l’unico modo per poter tornare indietro?

Addormentarsi!

Mi misi comoda dentro il letto e chiusi gli occhi, iniziando a sprofondare sempre di più nel nero. E ogni metro in più che percorrevo in profondità, sentivo affievolirsi la luce dell’ospedale e salire sempre di più una stretta oppressiva al petto…

 

Tossii un paio di volte per la polvere che mi circondava. Provai a portarmi una mano alla bocca, ma era bloccata sotto tutte le macerie. Tossii ancora, poi riuscii a calmarmi. “Aiuto…” gemetti.

Era completamente sepolta sotto una montagna di macerie e polvere. Sentivo delle pietre che mi opprimevano sopra la schiena e delle altre che mi bucavano il petto, e poi tutta quella polvere mi rendeva difficile respirare e perfino parlare. Ma dovevo farlo se volevo uscire viva di lì. “Aiuto, qualcuno mi aiuti!” urlai di nuovo prima di essere interrotta da degli altri colpi di tosse. Provai a tirarmi su in piedi, ma fu inutile: il peso sopra di me era troppo, non ce l’avrei mai fatto a sollevarlo su da sola e in condizioni così debole.

Speriamo che almeno i ragazzi stiano bene… pensai. Quando la bomba era scoppiata loro erano vicino alle porte principali, e di sicuro non erano stati così stupidi da rimanere fermi come degli idioti: sicuramente erano scappati via dal grattacielo che stava crollando, e probabilmente adesso erano al sicuro da qualche parte.

Ma allora io ero da sola?

Il panico si impossessò di me non appena valutai una possibilità del genere, presi fiato e urlai ancora: “Aiuto, tiratemi fuori da qui!” Ma nessuno mi sentiva, nessuno poteva tirarmi fuori dalle macerie. Sarei soffocata lì sotto, uccisa da chi avevo ucciso io. E la Better Living avrebbe avuto la sua vendetta.

“Aiuto…” Tossii nuovamente: non avevo più la forza per urlare e ormai era chiaro che nessuno mi avrebbe aiutato. Quando rinunciai del tutto alla salvezza, un brusio incomprensibile si fece sentire sopra di me e quasi contemporaneamente il peso sopra la mia schiena iniziò a diminuire. Il rumore delle pietre che si spostavano si sovrappose e si fuse insieme a una voce che urlava qualcosa che non mi era ancora chiaro. All’improvviso il buio in cui ero immersa fu trapassato da un raggio di luce, facendomi chiudere per un momento gli occhi. “Eve? Eve, mi senti?” chiese qualcuno sopra di me, preoccupato. Aprii lentamente gli occhi e mi voltai nella sua direzione. “Sì…”

Sorrise sollevato. “Grazie al cielo. Vieni, ti aiuto a rimetterti in piedi.” Ray mi afferrò lentamente tra le sue braccia, mi tirò fuori dal mucchio di macerie in cui ero immersa e mi rimise a terra qualche metro più in là, lontano dal gruppo più grosso di pietre. Rimasi in piedi a fatica, e il mio equilibrio precario non fu certo aiutato da due persone che mi saltarono addosso quasi contemporaneamente: Grace dopo qualche secondo si staccò e andò via, richiamata da Ray, ma Joshua rimase attaccato a me per quello che mi parve un tempo infinito. Ricambiai il suo abbraccio e sussurrai: “Hai visto? Ce l’ho fatta.”

“Vedo.” Fece una pausa. “Quando è scoppiata la bomba e non ti ho vista uscire mi sono preoccupato da morire, pensavo tu fossi…”

“Morta?” Scoppiai a ridere e mi staccai dal suo abbraccio. “Nah, non penso che il Paradiso mi voglia, ora come ora. Anzi, probabilmente finirei dritta all’Inferno.”

Ridemmo tutti e due e poi raggiungemmo gli altri ragazzi e la bambina: erano coperti di polvere e delle lievi linee rosse di sangue percorrevano le loro braccia, ma tutto sommato stavano bene. Li guardai uno per uno, poi deglutii. “R-Ragazzi… dov’è Mikey?”

“Mikey? Era dietro di noi, e…” Gerard si voltò e diventò ancora più pallido del solito: del biondo non c’era traccia, né dietro né vicino a lui. Corse velocemente verso il mucchio di macerie e iniziò a scavare come un disperato. Noi lo raggiungemmo e fu doloroso sentire i suoi urli disperati: “Mikey? Mikey? Mikey, dove sei?!"

Frank gli si avvicinò e fece per consolarlo, ma il rosso lo allontanò con una mano e continuò la sua ricerca. All’improvviso, qualche metro più in là, si sentì improvvisamente il rumore di alcune pietre spostate: ci voltammo speranzosi e dalle macerie, come in un film horror, sbucò prima un braccio, poi l’altro e infine dei familiari capelli color biondo platino. Kobra Kid si tirò fuori dalle macerie coperto di polvere quanto me e con un taglio diagonale sulla fronte, ma nonostante tutto era ancora intatto, anche se mezzo stordito. Gerard gli corse incontro e gli si lanciò addosso, rischiando di farlo cadere sulle pietre appuntite. Che carini! commentò Evelyn mentre i due fratelli tornavano verso di noi, ammaccati ma vivi. Quando incontrò il mio sguardo, il minore mi guardò e sorrise. “Bel lavoro, Eve. Hai fatto crollare l’intero grattacielo.”

Sorrisi. “Allora adesso… è finita?”

Party Poison ci pensò su un momento, poi disse: “Sì. Direi di sì.”

“Ehm… scusate se interrompo il momento, ma abbiamo un problema;” Spaventati dalle parole di Frank ci voltammo: intorno a noi e alle macerie c’era una folla di persone svegliate dalla bomba e dal crollo del grattacielo. Si guardavano attorno spaventate, incapaci di credere ai propri occhi, come se non riuscissero ancora a capire bene cosa fosse successo. Non sapevo quanto ci avrebbero messo a capire che finalmente erano tutti liberi dall’influenza della Better Living, che potevano iniziare una nuova vita senza pillole, senza telecamere, senza Draculoidi.

“Grace?”

Non appena sentì il suo nome, la bambina si voltò verso il luogo di provenienza della voce. Gli occhi azzurri le si illuminarono e iniziò a correre in quella direzione prima ancora che potessimo fermarla. “Mamma! Papà!” urlò, saltando poi in collo a una donna con i suoi stessi capelli ricci che stava accanto a un uomo con gli stessi occhi azzurri. Noi Killjoys ci scambiammo un’occhiata sconvolta che poi divenne contenta: non sapevamo che Grace avesse dei genitori, ma eravamo felici che li avesse ritrovati. Frank fece per dire qualcosa, ma le sirene della polizia lo interruppero prima che potesse parlare. Ci scambiammo un’ultima occhiata piuttosto eloquente.

CORREREEEEE!!” All’urlo di Gerard scappammo via come fulmini verso la macchina dei Killjoys, ancora intatta, e accanto a lei c’era la moto di Mikey. I ragazzi si strinsero nell’auto mentre io montavo in sella all’altro veicolo senza nemmeno infilarmi il casco. Misi in moto e, con un rombo e una sgasata, mi misi a seguire Kobra Kid, già in mezzo alle strade stranamente vuote di Battery City.

*
Sinceramente questo capitolo non mi piace. Sarà perchè mi è presa un pò di tristezza per il fatto che ormai questa storia è quasi alla fine... mancano solamente due capitoli. E' strano, perchè dietro a questi personaggi ho passato otto mesi, e sarà strano pensare che la fine è già arrivata. Ma comunque, i ringraziamente verranno fatti solamente all'ultimo capitolo, e devo farne così tanti!
Il titolo del capitolo è un verso di This War Is Ours (The Guillotine Part II) degli Escape The Fate (sì, la canzone del terzo capitolo) mentre la frase sotto è di SING.
Maricuz_M: 'grandezza'? Ho letto bene, GRANDEZZA? I tuoi complimenti e la tua fiducia mi lasciano sempre a bocca aperta *piange felice* EVE NON E' MORTA, CAVOLI!! >.<
LudusVenenum: sono cucciolosamente idioti, sì :D *Korse-conga*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3

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Capitolo 23
*** Make your choice. ***


Make your choice.

 

Quando passammo dalla sbarra del posto di controllo nessuno ci fermò, e lei non si richiuse alle nostre spalle o tentò di impedirci di passare: rimase lì immobile, alzata, senza più qualcuno che potesse controllarla.

Fu un sollievo poter tornare nel buio notturno del deserto dopo un paio di notti passate dentro Battery City. Inspirai l’aria che mi sferzava il viso e la libertà che mi raggiungeva ogni singolo momento in cui ero in sella alla moto. Eravamo solamente io e la macchina con i ragazzi e viaggiavamo l’uno accanto all’altra, in silenzio: forse dovevamo metabolizzare ancora bene quello che era successo, quello che eravamo riusciti a fare.

Eravamo… eravamo liberi. Eravamo liberi da ogni cosa, liberi da ogni precauzione, liberi dalle taglie che pendevano sulle nostre teste. Liberi di correre e sfrecciare per il deserto quanto volevamo, liberi dai giri di ricognizione delle Zone, liberi di poter andare in giro senza una pistola a raggi infilata nella fondina della cintura. Liberi di poter ascoltare la musica a tutto volume, liberi dai Draculoidi, liberi da tutti gli ostacoli. Liberi di amare. E… “Ehi, ragazzi, devo darvi una bella notizia!” urlai a Mikey, che si voltò verso di me insieme agli altri, decelerando lievemente. “Ah, sì? E quale?” mi urlò il biondo in risposta, che ormai si era ripreso dal seppellimento.

“Ho sparato a Korse. È morto, è morto sul serio!”

La mia rivelazione causò un momento di silenzio incredulo, poi all’interno della macchina di Frank iniziò un mini party: i ragazzi urlavano, cantavano, mi dicevano cose che non riuscivo a capire per il vento che mi veniva incontro. Mi lasciai scappare un sorriso e, rombando, sfrecciai qualche metro più avanti sulla strada per poi farmi di nuovo raggiungere dalla macchina. Mi sentivo così euforica: era finita, era finita per davvero! Ce l’avevo fatta, ce l’avevamo fatta, i Killjoys avevano vinto e avevano fatto così tanto rumore!

“E Airi?”

Bastarono due semplici parole a far calare la mia felicità. Mi voltai di nuovo verso la macchina: dal finestrino posteriore, Gerard mi fissava con gli occhi verdi spalancati. “Cosa?” gli chiesi.

“È morta?”

Esitai. “Non… non che io sappia. Io non l’ho vista quando sono arrivata nell’atrio. Voi avete per caso visto il suo corpo?”

Il silenzio, rotto solo dal rombo dei motori, fu una risposta decisamente accettabile. Incazzata e disperata, tornai a fissare la strada davanti a me e gridai. Era ancora viva, era riuscita a scappare alla bomba e al crollo dell’edificio. E di sicuro non sarebbe rimasta senza fare niente…

Eve, dietro di noi!

L’urlo di Mikey mi riscosse dai miei pensieri e mi voltai velocemente alle mie spalle, dove i fanali di una macchina distavano appena pochi metri da noi. Non era difficile immaginare che macchina fosse e chi fosse la sua conducente. Il mio sguardo si fece di fuoco: non avrei permesso che lei mi portasse via la mia felicità, che mi togliesse la libertà adesso che l’avevo appena conquistata. C’era solamente una cosa che potevo fare e l’avrei fatta, anche se era rischioso. Ma io ero motivata dal futuro che mi aspettava, lei dalla vendetta: quale sarebbe stata la più forte?

Mi avvicinai ancora di più alla macchina di Frank e dissi a Mikey: “Voi andate avanti fino al Diner, io la tengo a bada.”

Eve, non provarci nemmeno per scherzo!” L’urlo incazzato di Fun Ghoul dal sedile del passeggero attirò totalmente la mia attenzione: il ragazzo mi stava fissando con gli occhi verdi che gli brillavano di una luce feroce. “Hai già fatto l’eroina troppe volte, non rischierai una sola volta di più!”

“Se qualcuno non la ferma ci seguirà fino al Diner, e Dio solo sa cosa succederà in quel momento! Siamo così vicini ad essere liberi, basta solo un ultimo sacrificio!”

“E perché dovresti essere tu a farlo?”

Perché questa è la mia battaglia, Frankie. Perché ho sempre dato me stessa per gli altri senza chiedere mai nulla in cambio, perché per me è normale pensare prima ai miei amici e poi a me. Perché è tutta colpa di quella donna se io vi ho fatto così tanto male, e adesso voglio riscattarmi. Perché voglio essere io a mettere la parola fine a questa storia, anche se dovessi morire. E ci sono così tanti altri motivi che adesso non saprei spiegarti… Mi limitai a pensare tutto questo, e dissi solamente: “Fidati di me, Frankie.”

Lui sembrò rassegnarsi e fece per aggiungere qualcos’altro, ma all’improvviso la moto iniziò a sbandare e dovetti allontanarmi dalla macchina per evitare di finirle addosso. La moto procedeva a zig-zag come se non avesse più equilibrio, e si stava inclinando sempre di più in maniera preoccupante. Quando fui vicina a cadere sull’asfalto, girai di colpo il manubrio e finii fuori strada: mi gettai giù dal veicolo, che avanzò per qualche altro metro e poi cadde sulla sabbia. Mi alzai in piedi e lo raggiunsi di corsa, illuminandolo con una torcia che stava accanto al sedile: la ruota posteriore aveva un enorme squarcio, era un miracolo che avesse resistito così a lungo. “Merda,” mormorai. Sarebbe stato difficile tornare al Diner senza un mezzo di trasporto e con una macchina che mi inseguiva, ma avrei di sicuro trovato un modo per…

Una luce si accese improvvisamente dietro di me, illuminando la carcassa metallica che avevo davanti. Non appena mi ripresi dal primo attimo di sorpresa, mi alzai in piedi e mi voltai verso l’auto con la pistola a raggi puntata in avanti, pronta a sparare a chiunque mi fossi ritrovata davanti.  Una figura uscì dal veicolo e mi raggiunse, sistemandosi nel cono di luce dei fanali: la sua spada riluceva nella luce giallastra e stranamente era rivolta verso il basso. “Non voglio combattere con te,” mi disse Airi.

“Davvero? Credevo che la spada fosse una decorazione,” replicai sarcastica.

“Dico sul serio.” Fece una pausa senza smettere di fissare la mia pistola arancione puntata verso di lei. “Potresti abbassarla? È difficile parlare con una roba del genere puntata addosso.”

“Dici? Pensa quanto è difficile essere sdraiati sul pavimento con una spada puntata alla gola.”

Prese un respiro profondo. “Okay, ha ragione. Va bene? Capisco il tuo punto di vista. Ma io non sono venuta qui per ucciderti, voglio solamente parlarti.”

“Per cosa? Per offrirmi un altro dei vostri maledetti patti?!” urlai con la pistola che tremava leggermente. “Io e te non dobbiamo più dirci niente, è successo quello che è successo e tu non mi porterai via quello che ho appena conquistato!”

“E cosa avresti conquistato? Cosa possono darti cinque ragazzi più grandi di te con cui vivi da sola in mezzo al deserto?” Fece un sorriso che mi spaventò. “Certo, è una cosa un po’ strana. Cosa potrebbe pensare qualcuno che vede la vostra situazione dall’esterno?”

Arrossii mentre pensavo a quello che stavo insinuando e caricai un colpo nella canna della pistola. “Possono darmi tutto. Possono farmi sentire la ragazza più fortunata del mondo, possono tirarmi su il morale, possono farmi piangere, arrabbiare, farmi sentire amata. Possono darmi ogni singola cosa di cui ho bisogno.”

“Ma li odi, non è vero?”

La guardai stupita. “Cosa…?”

“Sbaglio? Fai tutti questi discorsi su come ti facciano stare bene, ma ci sono anche tante volte in cui stai male per causa loro. Fino a poco tempo fa li volevi addirittura uccidere.”

Mi avevate cancellato i ricordi!” urlai con le lacrime agli occhi. “Mi avevate fatto credere che loro avessero ucciso i miei genitori, cosa pensavi che avrei fatto?!”

“Abbassare meno la guardia, ad esempio.”

Non capii subito quello che intendeva finchè un paio di braccia non afferrarono le mie e tentarono di disarmarmi. Lanciai un urlo e, con la velocità della luce, tirai una gomitata al mio aggressore, che mi lasciò subito. Gli lanciai un calcio e crollò sulla sabbia con un tonfo soffice, come se fosse morto. Ansimai per quello che era successo nel giro di nemmeno cinque secondi e la voce di Airi si fece di nuovo sentire. “Non ti interessa sapere chi era?”

“No.”

Rise. “Ti consiglierei di guardare il suo volto. Potresti avere una bella sorpresa.”

Qualcosa nel suo tono di voce mi diceva di non fidarmi di lei, ma la mia curiosità era decisamente troppa e portai il cadavere alla luce dei fanali. Non appena guardai il suo volto dovetti trattenere un altro urlo e mi tappai la bocca con le mani, cadendo in ginocchio accanto al corpo: due occhi blu tendenti al viola mi stavano fissando senza potermi vedere. “Bubble Tower…” mormorai sull’orlo delle lacrime. Mi voltai di scatto verso la donna. “Che gli avete fatto?!

“Non gli abbiamo cambiato i ricordi come a te, se è questo quello che vuoi sapere. Ma ho pensato che il suo corpo poteva essere utile anche da morto per farti vedere cosa posso ancora fare.”

Guardai di nuovo il volto di Thomas: mi era mancato così tanto, mi mancava così tanto! Aveva fatto così tanto per me, mi aveva fatto ridere e consigliato così tante volte e Dio solo sapeva quanto volessi il suo ritorno. Ma era morto mesi prima, non sarebbe mai più tornato.

“Ti manca, non è vero?” Airi mi distolse nuovamente dai miei pensieri. “Lo vedo nei tuoi gesti, nei tuoi sguardi, in tutto.”

“Era un amico,” mi lasciai scappare. Sibilai: “E voi lo avete ucciso.”

“Posso anche riportarlo in vita.”

La guardai incredula. Cos’ha detto?! esclamò Evelyn, ma io la zittii e feci segno alla donna di continuare. “Spiegati.”

“Posso farlo vivere di nuovo, con il suo vecchio carattere e tutto quello che ti è mancato di lui. Ma solo se tu deciderai di passare dalla mia parte, Eve.”

“E perché dovrei farlo?”

“Perché ti manca e faresti di tutto per farlo tornare indietro. O no?”

Mi morsi il labbro inferiore: sì, aveva ragione. Bubble Tower mi mancava. Mi mancavano le sue apparecchiature elettroniche, i nostri discorsi a volte senza senso, i suoi comportamenti palesemente effeminati, i suoi capelli biondi cenere, l’odore penetrante delle sue sigarette… ma lui era morto, e niente l’avrebbe fatto tornare in vita. Anche se Airi poteva farlo, sarebbe stato sempre un cadavere vivente, e non avrebbe mai avuto niente del vero Thomas. E fu per questo che dissi: “No.”

La donna sospirò. “Lo sospettavo.” Vidi un luccichio brillare verso di me e mi scansai velocemente: la spada colpì il vuoto, nel punto in cui poco prima c’era il mio petto. Continuammo così per qualche minuto: lei sferzava colpi con la spada e io facevo del mio meglio per evitarli, senza nemmeno riuscire ad afferrare la mia pistola, pochi metri più in là. A un certo punto vidi la spada volare verso di me attraverso l’aria. Deglutii: era troppo vicina, non ce l’avrei mai fatta a scansarmi in tempo. La lama si stava avvicinando sempre di più…

GIÙ!” Mi ritrovai improvvisamente sdraiata sulla sabbia con addosso un altro corpo. Sentii la spada atterrare qualche metro più in là, e il mio soccorritore gemette di dolore. “Che ti succede?” gli chiesi non appena sgusciai da sotto di lui.

“La… gamba…” Joshua riuscì a mormorare solamente questo mentre mi precipitavo a controllare la sua gamba destra: un rivolo di sangue gli correva lungo le calze bianche, ma per fortuna il taglio era poco profondo. Feci per rassicurarlo, ma improvvisamente venni scaraventata all’indietro. Quando tornai in piedi corsi a recuperare la mia pistola a raggi e la puntai di nuovo davanti a me, ma qualcosa mi impedì di premere il grilletto: alla luce dei fanali, con la schiena rivolta verso la strada, Airi teneva fermo Showpony con un braccio mentre con l’altro gli premeva la lama della spada sul collo. Non potevo spararle, probabilmente avrei colpito il ragazzo. Oppure lei sarebbe stata più rapida e gli avrebbe tagliato la gola con un taglio netto prima ancora che il mio proiettile l’avesse raggiunta.

“Sei disposta a sacrificare anche la vita del tuo amico per il tuo orgoglio?” Non risposi, scioccata, e la donna si spazientì quasi subito, premendo la spada sulla pelle di Joshua: una goccia di sangue uscì dalla piccola ferita e scivolò lentamente lungo la lama affilata. “NO!” mi lasciai sfuggire. “Farò quello che vuoi, ma non fargli del male!”

“Allora abbandonerai i ribelli e verrai con me?”

Deglutii, con gli occhi di nuovo pieni di lacrime. “Sì.”

“Anche se sai che non li rivedrai mai più e ti scorderai di nuovo di loro?”

Una lacrima mi corse lungo la guancia sinistra. “Eve…” mormorò Showpony, ma non lo ascoltai e dissi di nuovo: “Sì.”

La donna sorrise soddisfatta. “Bene.” Mosse lievemente la spada sul collo del ragazzo. “Allora non ti dispiace se lo uccido, vero?”

Spalancai gli occhi. “Avevi detto che non gli avresti fatto del male se io avessi accettato!”

“Pensavo ormai tu conoscessi i nostri patti: tutto è possibile e niente è quel che sembra.” Spostò ancora la lama sulla pelle mentre io osservavo impotente, senza poter fare niente.

E uno sparo si fece sentire nel deserto insieme a un lampo di luce.

Airi rimase per un attimo immobile, poi la sua spada cadde dal collo di Joshua senza ferirlo. Mi sbrigai ad afferrare il ragazzo prima che il corpo della donna cadesse per terra immobile. Sentii il respiro affannato di Showpony e gli chiesi con altre lacrime: “Come stai? Tutto okay?”

“Diciamo che non è stato carino avere una spada puntata alla gola,” mormorò con un sorriso. Mi rassicurai e gli chiesi: “Che ci facevi tu qui? Non eri andato al Diner con gli altri?”

“L’idea era quella, ma poi abbiamo pensato ‘Cavoli, se l’ammazzano siamo fottuti’ e così io e lui siamo tornati indietro a darti una mano,” disse una voce alle nostre spalle. Mi voltai: Frank mi sorrise e fece l’occhiolino, con la sua pistola a raggi verde ancora fumante. Si avvicinò a noi due e prese in braccio l’altro ragazzo tra le sue proteste. “Non sono una bambina!”

“Se vuoi ti faccio portare in braccio dalla tua ragazza, ma non te lo consiglio,” replicò l’altro iniziando ad avviarsi verso il Diner. Io gli andai dietro. “In che senso, scusa? Secondo te lo lascerei cadere per terra?”

“No, ma ci andresti molto vicina.” Notò il mio sguardo incazzato e disse a Joshua: “Tieniti forte, Eve è diventata un mostro!” E detto questo cominciò a correre nella notte.

“Ehi, dove credi di andare, nano malefico?!” Mi lanciai all’inseguimento dei due tra le loro risate, abbandonando la macchina e i due cadaveri accanto ad essa.

 
*
Wow, lo scorso capitolo vi è piaciuto un sacco, Sunshines :D Spero che anche questo sia stato di vostro gradimento.
Il prossimo è l'ultimo.
Ma l'ultimoultimoultimo ç_____ç *piange nel suo angolino*
Okay, pianto di sclerarla sennò faccio piangere anche voi *sniff*
LudusVenenum: (DUE SETTIMANE DI VITA? COME DUE SETTIMANE DI VITA?!?!) Okay, perdonami ma dovevo farlo -.-' Ma grazie per tutti i complimenti, I hope you enojoyed this ^_^ "ho sempre adorato le storie che trattano di perdita della memoria (Adhara *-*), poi se sai qual è la verità ti mette un sacco di nervosismo perchè sembra sempre che la realtà sia sotto gli occhi, quando basta calarsi un po' più nel personaggio per capire che non è facile per nulla" Sono d'accordissimo con te, le ho sempre adorate anch'io (Io delle Leggende del Mondo Emerso ho letto solo il primo libro .-.)
Maricuz_M: NOOO Piccola, non piangere D: *la consola* Ti ringrazio per l'ennesima volta per tutti i tuoi maledettissimimifannosemprepiangere complimenti. Nemmeno io voglio che arrivi la fine! TT_TT ("Eva... tutto okay? o_O" "Evelyn, mi mancherai anche te!" *le salta addosso* *crollano per terra*)
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Capitolo 24
*** I got a Bulletproof Heart. ***


I got a Bulletproof Heart.

 

E così, siamo arrivati alla fine.

Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe arrivata così in fretta, in modo così improvviso? Tutti ci immaginavamo che la nostra lotta sarebbe andata avanti per anni, invece in così poco tempo siamo riusciti a renderci tutti liberi, e siamo ancora tutti vivi. Tutti qui.

Joshua sta bene. Il suo taglio sulla gamba era molto superficiale e adesso, dopo poco più di una settimana, la ferita è già guarita. Se volete saperlo, non avevo dubbi: il ragazzo ha la pelle dura, niente e nessuno potrebbe ucciderlo. Tranne, bè, forse la sottoscritta.

Anche Grace è tornata da noi. Due giorni dopo il crollo della Better Living una macchina ci ha raggiunto qui al Diner e siamo rimasti increduli quando abbiamo visto la bambina e i suoi genitori scendere dal veicolo. Sua madre ci ha detto che alla piccola mancavamo tanto e che voleva tornare a vivere nel deserto con noi, e a lei e al marito andava bene. Non so dire se fossero contenti o tristi di quella scelta, ma è la felicità di Grace di cui mi importa: so che c’è un motivo preciso dietro questa decisione, ma non voglio indagare, aspetterò che sia lei a dirmelo. E di sicuro i suoi genitori hanno altro problemi a cui pensare: una nuova vita da ricostruire, castelli di bugie da far crollare, molte cose da ricostruire.

Battery City è un po’ in subbuglio adesso. Dopo che il grattacielo è crollato è diventato chiaro a tutti che la Better Living non aveva mai portato il bene e che alla fine erano diventati tutti come degli automi. Ma ora la vita – quella vera – sta iniziando a crescere di nuovo in quella città, dopo così tanti anni di falsa vita. Chissà, forse adesso ci saranno anche gli alberi.

Noi però non siamo ancora visti di buon’occhio, oh no. Dopotutto siamo i ribelli, quelli scappati per credere e combattere per le proprie idee anni fa: e come se non bastasse abbiamo ucciso un sacco di persone (se i Draculoidi e gli S/C/A/R/E/C/R/O/W si possono definire tali) e abbiamo pure piazzato una bomba e fatto crollare un grattacielo. Almeno non ci danno più la caccia e non abbiamo più delle taglie che pendono sulle nostre teste, ma chissà quanto tempo ci vorrà prima di poterci integrare di nuovo. Ma a noi per ora va bene rimanere qui, nel deserto, nel vecchio e scassato Diner, con una macchina rubata e un sacco di musica. Tornare a vivere in una città sarebbe impossibile per noi Guastafeste, noi che amiamo la libertà.

Ma chi può dirlo, forse tra qualche anno torneremo anche noi a vivere dentro Battery City, che probabilmente avrà un altro nome.

Forse.

O forse crescerà una nuova Better Living, più potente di quella vecchia: l’animo umano ha bisogno di potere per essere felice, e talvolta non gli basta nemmeno quello. E allora, se mai dovesse succedere, i Killjoys saranno pronti a tornare in azione, con i nostri Na Na Na e le pistole a raggi, pronti a tornare a fare casino.

Non so. So solamente che questo quaderno è arrivato all’ultima pagina, e adesso è arrivato il momento di bruciarlo. Perché posso dire che ‘vivrò felice e contenta’, almeno per adesso.

E quindi credo che questo sia il momento di mettere la parola…

Fine.

 

*

 

“Eve, sei pronta con quel quaderno? Qui va a fuoco il garage!”

“Arrivo, dammi solo un secondo!”

Finisco di scrivere la parola fine e poso la penna su uno dei tanti tavoli del Diner. Mi alzò in piedi afferrando il quaderno e raggiungo la porta comunicante col garage: attraverso la stanza e poi mi getto fuori nel deserto, raggiungendo lo spazio dietro l’edificio. C’è una pira che sta bruciando, come se qualcuno dovesse andare al rogo, e l’aria intorno è più calda del solito e respirare è difficile. Joshua sbuca da dietro il fuoco e mi guarda con gli occhi grigi mentre mi si avvicina. “Ci sei?”

Annuisco e gli mostro il quaderno. “È qui.”

Annuisce anche lui. “Bene. Allora…” Si fa da parte. “A te l’onore.”

Senza nemmeno un attimo di esitazione, guardo per un’ultima volta il quaderno nero che ho in mano e lo lancio tra le fiamme. Prende fuoco quasi subito, aprendosi, e riesco a vedere ogni singola pagina che si riduce in cenere, distruggendo l’inchiostro e le parole che ho inciso sulle pagine bianche. Dovrei essere triste perché sto distruggendo la storia di tutto quello che mi è successo in questo anno, ma non lo sono: è tutto nella mia testa, ogni singolo ricordo, e adesso non potrò mai più scordarmene. Perché voglio ricordarlo, quando sarò più vecchia, e anche perché dopo aver perso la memoria sono più attaccata che mai ai miei ricordi.

“Sembra quando abbiamo bruciato il camice, uh?” mi dice Joshua. Annuisco e sospiro. “Già.”

Rimaniamo in assoluto silenzio finchè il quaderno non è diventato altro che cenere tra la legna e il fuoco si estingue da solo. Alla fine, attorno a noi rimane solamente il silenzio penetrante del deserto e il rumore del leggero vento che sta soffiando adesso. Non so dire cosa provo in questo momento: dentro di me girano così tante emozioni che non so quale sia la più importante o la più presente. Ci sono così tante cose che vorrei dire, fare, provare… ma per ora ho solo bisogno di un’altra certezza. Piccola, ma fondamentale.

“Posso chiederti una cosa, Joshua?” chiedo a Showpony prendendogli la mano e stringendola forte, come se non volessi mai più lasciarla andare. Lo guardo di sottecchi, come se mi vergognassi a chiedere una cosa simile. Lui mi sprona con lo sguardo e dice: “Spara.”

“Posso… posso essere l’unica speranza per te?” Alzo timidamente gli occhi, incontrando il suo sguardo confuso, e faccio un sorriso altrettanto timido. “Perché, sai, tu sei l’unica speranza per me.”

Continua a fissarmi confuso finchè non scoppia a ridere: quando smette mi avvicina la mano al volto e mi toglie una ciocca rossa dagli occhi. “Siamo in vena di romanticherie, eh?”

“Non prendermi per il culo!” esclamo tirandogli un pugno sulla spalla. Lui protesta per un momento e poi mi abbraccia forte a sé. “Vuoi veramente una risposta?”

“Sì,” bofonchio nel suo petto.

Rimane per un momento in silenzio. “L’unica speranza per me… Dio, è una cosa un po’ difficile da dire. Significa che mi dovrei fidare cecamente di te, che dovrei confidarti tutto, che dovrei affidarti la mia vita in ogni singolo istante.” Fa una pausa. “ Posso consegnarti un simile fardello?”

Mi stacco dal suo petto e lo fisso negli occhi. “Non ho paura di farlo.”

Sorride lievemente. “Allora lo sei.”

Abbozzo un sorriso e mi metto a fissare l’orizzonte senza mai staccare la mia mano da quella di Joshua. Penso che il discorso sia finito lì, ma c’è ancora una cosa da dire. “Sai una cosa?”

Mi volto verso il ragazzo e gli faccio cenno di continuare.

“Una volta ho sentito che dicevi a Fun Ghoul che il tuo cuore era debole, pronto a cedere a ogni cosa… ma ti sbagliavi.” Mi fissa con i suoi occhi, quegli occhi grigi che mi hanno incantata dal primo momento che li ho visti, e sorride. “Perché tu hai un cuore a prova di proiettile.

Sorrido a mia volta. Perché io amo il suo sorriso, mi lascia senza fiato, senza parole, senza nemmeno l’aria per poter respirare. E ora posso dire soltanto una cosa.

“E tu hai un sorriso disarmante.

Penso per un momento al testo di Bulletproof Heart: è strano vedere come, in una canzone così piccola e forse insignificante, ci sia racchiusa tutta la mia storia, ogni singolo fatto che mi sia accaduto da un anno a questa parte. Il mio destino in una canzone: potrebbe essere il titolo di un film o di un libro.

Prendo Joshua per il braccio e lo trascino lontano dallo spazio vuoto dietro il Diner. “Andiamo! Gli altri ragazzi hanno detto che ci aspettano con Grace al rifugio del Dr. D, non possiamo arrivare in ritardo!”

“Okay, allora ti do un passaggio sui pattini.”

“Non c’è n’è bisogno.” Gli faccio l’occhiolino. “Stavolta il passaggio te lo do io.”

Il ragazzo mi guarda per un momento confuso, poi capisce non appena mi avvicino alla moto di Mikey, parcheggiata intatta davanti al Diner: l’abbiamo recuperata e riparata, dopo lo scontro con Airi, e adesso va ancora meglio di prima. “Te l’ha detto Party di raggiungerli dal Dr. D?” mi chiede Showpony mentre montiamo in sella.

Mi volto verso di lui e gli lancio uno sguardo severo. Sospira. “Okay, okay. Te l’ha detto Gee?”

Sorrido. “Così va meglio. Devi abituarti a chiamare i ragazzi con i loro nomi veri ora che è finito tutto,” dico mentre infilo la macchina nel quadrante.

“Allora non ti posso più chiamare Lethal Bloody Venom?” mi chiede con un ghigno. Rispondo con un’altra smorfia. “Anytime you want.

Prima che il ragazzo possa replicare la moto romba e iniziamo a sfrecciare lungo la strada immersa nel deserto e nel silenzio più assoluto. Sento il vento che mi sferza la faccia e sento ancora quella libertà che provo sempre quando vado in moto. Sono talmente euforica che attacco a cantare senza pensarci nemmeno su: “Gravity don’t mean too much to me, I’m who I’ve got to be…

Joshua capisce subito di che canzone si tratta e mi viene dietro, cantando in falsetto. Lo guardo con la coda dell’occhio: magari non è il Principe Azzurro, nonostante i capelli. Ha i suoi difetti, è testardo, ha una storia triste alle spalle e ha sofferto tanto. Ma nemmeno io sono una principessa: i miei capelli sono la cosa meno regale che conosca, le mie cicatrici mi hanno lasciato ricordi indelebili e la mia storia è strana. Come me. Come Showpony.

Ma siamo gli Amanti della Demolizione, e tanto ci basta.

Questo sono i miei pensieri mentre sfreccio a cento all’ora sotto il sole del primo pomeriggio verso i miei amici, cantando con tutto il fiato che ho e sentendomi più euforica che mai.

I giorni pericolosi sono finiti.

Adesso inizia la vita.

 

 The End.

*
E quindi... Siamo arrivati alla fine.
Cavoli, quasi non ci credo nemmeno io, non avete idea di quello che sto provando in questo momento. Eve, Joshua e tutti gli altri mi hanno accompagnato per tutti questi ultimi otto mesi, è davvero difficile scrivere la parola fine. Mi sembra di perdere una parte di me, quella che si è divertita a correre su e giù per le Zone con quei cazzoni. E per dirla con una frase filosofica (i diritti sono del signor Leto u_u) "It's the end here today, but I'll build a new beginning."
Comunque. Una volta LudusVenenum mi ha chiesto se avrei potuto scrivere una storia su Eve quando sarebbe uscito il prossimo disco, e l'idea non mi sembra brutta. Ma adesso è arrivato il momento di lasciare che gli Amanti della Demolizione abbiano un pò di pace, per ora. Se mai tra qualche tempo sentirò il bisogno di tornare in California nel vecchio e scassato Diner... bè, si vedrà. Tra molto tempo.
Mi mancheranno tutti. Mi mancheranno Eve e Joshua e tutta la banda dei Killjoys. Mi mancherà Slay. Mi mancherà Evelyn. Probabilmente mi mancheranno anche Korse, Simon e Gavin. ("Allora mi vuoi bene anche tu? *^*" "Sì, Simon, ora torna nell'Inferno e dovunque tu sia .-.")
Grazie a chiunque abbia messo tra preferite/ricordate/seguite questa storia, e chi ha recensito: Momoka chan, LudusVenenum, Maricuz_M, Kumiko_Chan, Dawn_, Like The Violence You Kill Me. I miei ringraziamenti speciali vanno a LudusVenenum, che mi segue da "I used to think a have a Bulletproof Heart... but I don't"; Maricuz_M, la mia sostenitrice numero 1 di Venom e Showpony; e, ultima ma non ultima, Kumiko_Chan, la Sunshine, che deve ancora finire di leggere questa storia ma che c'era dall'inizio, quando Joshua, Simon, Korse, Gavin, Grace, Airi e il Dr. D non giravano ancora nella mia testa, quando il Vichingo non aveva ancora questo nome e quando Slay voleva conquistare il mondo.
Non saprò mai ringraziarvi abbastanza per le vostre sclerate, i vostri lamenti, le vostre risate e lacrime e tutto quello che mi avete dato durante questa serie. VI VOGLIO BENE. <3
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!

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