Lo so che non si fa, ma ho postato
di nuovo questo capitolo appositamente per il LaviYuu
Day, come piccolo omaggio a questa coppia e
ovviamente per partecipare al LaviYuu Festival anche
quest’anno!
Quindi potete stare tranquilli: è
sempre il capitolo 4 questo, non è quello nuovo!
Di che segno sei?
La maledizione del topo mannaro
Tutto sommato Lavi non poteva lamentarsi troppo del nuovo inquilino del
piano superiore. Finito il trasloco, dopo essersi scollato d’addosso
l’appiccicoso patrigno, Kanda si era praticamente
rinchiuso in casa e non aveva più dato segni di vita. Sembrava che non ci
abitasse nessuno sopra: non si udiva neanche il rumore dei suoi passi e questo
fenomeno era particolarmente inquietante per Lavi, già piuttosto superstizioso
di suo.
Se poi si
aggiungeva la leggenda del fantasma che abitava nell’appartamento di Kanda, il giovane bibliotecario aveva un buon motivo per
reputare quel misterioso silenzio agghiacciante.
Probabilmente
si stava solo facendo suggestionare troppo e la testa si era riempita di
segatura a furia di farsi tante seghe mentali, ma quando poco dopo la
mezzanotte, udì degli strani rumori provenire da sopra si paralizzò nel letto
fin quasi a farsi venire un crampo alla gamba.
‘Se non mi
muovo non mi succederà niente’ era diventato praticamente il suo motto da quando
all’età di otto anni aveva visto per la prima volta ‘L’Esorcista’ e visto che
il metodo funzionava sempre non c’era ragione di cambiare strategia dopo tanti
anni di scampate possessioni demoniache, aggressioni di vampiri e licantropi,
apparizioni ectoplasmatiche da infarto e allegra compagnia.
Perché poi
continuava a guardare i film horror nonostante sapeva che poi avrebbe passato
tre notti (come minimo) immobile e insonne nell’attesa dell’alba? La risposta
era abbastanza semplice: non sarebbe stata una bella figura mostrarsi
riluttante a guardare una pellicola del terrore e quando gli dicevano ‘Tanto è
solo un film!’ che poteva fare lui? Era pur sempre un ragazzo di 1 e 80 di
altezza (in verità era 1 e 79, ma quel centimetro in più faceva sempre la sua
porca figura) per 62 kili e… le sue misure non c’entravano niente in
effetti, ma solitamente il coraggio era direttamente proporzionale al fisico;
ergo, più sei prestante più sei impavido (in teoria, almeno).
Alla fine si
convinceva che se non gli era mai accaduto nulla di brutto in diciotto anni di
vita era assurdo che dovesse succedere qualcosa proprio il giorno in cui aveva
visto un horror. Peccato che non sempre funzionava come ragionamento (anzi, non
funzionava mai).
E intanto di
sopra i rumori continuavano e di dormire quella notte non se ne parlò.
Non avrebbe
neanche avuto bisogno della solita sveglia coercitiva, ma all’ora programmata
la radio si attivò e, nonostante fosse più sveglio che mai, il mattutino infarto
corredato da salto carpiato giù dal letto non glielo tolse nessuno.
“Buongiorno
ascoltatori: cosa c’è meglio di svegliarsi la mattina con una rilassante canzone degli Iron Maiden?”
“Lo ammazzo,
lo ammazzo, lo ammazzo…” si ripeteva Lavi, massaggiandosi l’ormai incallito
sedere per tutte le cadute che aveva fatto per colpa di Tyki
Mikk.
Il ragazzo
avrebbe volentieri ballato sulla tomba dello speaker quando finalmente questi
sarebbe spirato (ed era anche ora che si decidesse, pensava Lavi), ma al contempo
sapeva che senza quel programma radiofonico non si sarebbe mai destato in tempo
per arrivare puntuale al lavoro: un conflitto interiore che affliggeva l’animo
di Lavi per dieci abbondantissimi secondi ogni giorno a quell’ora,
combattuto tra l’odio puro e la gratitudine più sincera.
Prima che si
rialzasse in piedi pronto per una nuova ed entusiasmante giornata alla
biblioteca, qualcuno suonò alla sua porta ed era anche piuttosto insistente,
tanto che nonostante il volume della radio fosse tenuto quasi al massimo, Lavi
riuscì ugualmente a sentire il campanello.
Ignaro di
chi potesse essere, girò il pomello flemmaticamente, ritrovandosi a
fronteggiare un incazzatissimo Yuu
Kanda: aveva i lunghi capelli neri sciolti e
spettinati, segno evidente che si era alzato dal letto appositamente per andare
da Lavi (oh, che onore!), e non indossava nemmeno la maglietta.
Bene! pensò Lavi. Di buon umore a
prima mattina!
“Buongiorno,
Yuu: fa caldo, eh?” scherzò Lavi per stemperare la
tensione elettrica già palpabile tra loro.
“Hai idea
del volume indecente della tua radio?” sbraitò l’altro, non riuscendo però a
sovrastare il baccano della musica.
“Che hai
detto?”
Esasperato,
e con la testa che gli doleva, Kanda si avvicinò a
quell’aggeggio infernale, spegnendolo con un pugno vigoroso e senza troppa
delicatezza, fregandosene altamente del fatto che fosse di proprietà di qualcun
altro.
Quando si
voltò per guardare Lavi, nei suoi occhi era chiaramente visibile una scintilla
omicida.
Un attimo
prima Lavi voleva uccidere Tyki Mikk
e adesso Kanda voleva uccidere Lavi: sarebbe stato
persino buffo constatare come girava la ruota della vita se quello a rischiare
di morire non fosse stato Lavi.
“Ehm… mi
sembri nervoso” disse questi, tentando di temporeggiare il più possibile per
ritardare il momento della sua dipartita. Poi, si accorse che l’altro era
disarmato e si rilassò un po’. “Vuoi che ti offra qualcosa: una camomilla
magari?”
“Se domani
mattina sento ancora la tua fottuta radio, sappi che ti faccio a cubetti e
questa volta non ci sarà nessuno a salvarti.”
“Magari un
caffè.”
“CHE.” Kanda si incamminò verso la porta con passo marziale, ma
prima che potesse varcarne la soglia l’altro ragazzo lo fermò.
“Ehy aspetta: cosa erano quei rumori che ho sentito stanotte
su da te?” Visto che Lavi non aveva intenzione di passare un’altra nottata in
bianco per colpa di strani suoni provenienti dall’appartamento dell’altro,
aveva bellamente mandato alle ortiche la sacra legge del ‘se cent’anni vuoi
campare, i cazzi tuoi ti devi fare’: e chi se ne frega se moriva prima, tanto
superati i sessant’anni la vita era tutta in discesa.
“Fatti gli
affari tuoi.” Prevedibile.
“Per favore,
non lo sai della leggenda del fantasma che abita nel tuo appartamento?”
“Ma quale
fantasma, era un dannato topo!”
“Un topo?”
Qualche secondo di attesa e un salto nella mente di Lavi faranno capire meglio
gli astrusi meccanismi della sua fervida immaginazione. Più che altro si
trattava di una semplice e banale addizione. Una notte insonne per colpa di
rumori sinistri che non aiutava certo il suo povero cervello a connettere al
meglio, più la convinzione che l’appartamento di Kanda
era infestato dal fantasma di un pittore cieco, sordo, zoppo e morto di fame,
più la recente lettura di alcuni libri di Lovecraft (tra cui un racconto in cui
vi era un topo malefico di nome Brown Jenkins1):
risultato, il topo nell’appartamento di sopra era la reincarnazione del pittore
defunto.
Soluzione:
chiamare un esorcista.
“Sì, un
topo” ribadì Kanda, uscendo dal monolocale di Lavi
sbattendosi fragorosamente la porta alle spalle.
Dunque Yuu Kanda, l’irascibile inquilino
del piano di sopra, nonché suo possibile carnefice in un prossimo futuro, aveva
un problema da risolvere. Se Lavi avesse pensato ad una soluzione appropriata
magari si sarebbe fatto definitivamente perdonare per la gaffe del loro primo
incontro e avrebbe allungato così la sua prospettiva di vita (che al momento
non era lunghissima).
Magari ci
avrebbe pensato una volta uscito dal lavoro… magari ci avrebbe pensato durante
il lavoro. E a proposito di questo: “E’ TARDI!” urlò, rendendosi conto
dell’ora. Presentarsi due giorni di fila in ritardo alla biblioteca equivaleva
ad essere selvaggiamente picchiato con una mazza d’acero sotto le piante dei
piedi tenuti uniti con una corda di canapa blu…. come minimo!
Si preparò
nel tempo record di due minuti e uscì di casa come un tappo di sughero sparato
da una bottiglia di spumante ben agitata.
Oh, che
peccato: si era perso il fantastico oroscopo di Wisely
per quella mattina!
Fortunatamente il vecch… ehm suo nonno non aveva
detto niente su quell’unico minuto e ventiquattro secondi di ritardo. Lavi
pensò che fosse di buon umore, tanto che per poco non gli disse per scherzare
‘Che è successo vecchio? Hai scopato ieri sera?’, ma alla fine si trattenne,
scoprendo che Bookman aveva ben altri problemi a cui
pensare piuttosto che rimproverare quella testa calda del nipote.
“Oggi starai
alla reception, quindi a contatto con il pubblico: mi raccomando, non fare
casini!”
Affidare
quel delicato compito a Lavi era un vero e proprio terno al lotto: la figura
del bibliotecario doveva ispirare intelligenza, serietà e tante altre
caratteristiche che non trasparivano molto dall’aspetto di Lavi.
Non che Lavi
non ne le avesse, ma erano sepolte parecchio in fondo al suo animo e occorreva
scavare un bel po’ per trovarle.
“Che fine ha
fatto la signora Back?” Ovvero colei che da sempre era preposta a quel compito.
“E’ andata.”
“E’ morta?!”
domandò inorridito Lavi, agghiacciato dalla freddezza con cui Bookman aveva dichiarato una notizia tanto sconvolgente: e
pensare che il ragazzo aveva sempre creduto che ci fosse del tenero tra di
loro.
“No, idiota!
Ha vinto un milione di dollari con un gratta e vinci e ha deciso di prendersi
una vacanza permanente alle Hawaii… senza preavviso. Quindi adesso sono
costretto a mettere te al pubblico. So già che me ne pentirò!”
“Grazie per
la fiducia, come sempre!”
“Mettiti al
lavoro. Sei già in ritardo: lo scalerò dal tuo stipendio mensile.”
“Che è già
una miseria!” si lamentò il giovane a voce bassa, incamminandosi verso la sua
nuova postazione lavorativa.
“Scalerò
anche le tue lamentele dallo stipendio se non imparerai ad avere più rispetto!”
A quel
punto, vedendo che ogni alito di vento emesso causava una detrazione sulla sua
busta paga, Lavi pensò che per una volta stare zitto sarebbe stato quantomeno
saggio.
Maschio. Alto un metro e settantacinque circa. Capelli e occhi castani.
Sguardo indeciso e perso di chi si ritrova in un posto senza sapere come ci è
arrivato, neanche avesse camminato nel sonno: eppure la parola ‘B I B L I O T E
C A’ era scritta a caratteri cubitali sopra la grande porta d’ingresso.
Questo era il
tipico esemplare umano che si presentava lì e che vedeva nel ragazzo della
reception il suo personale Gesù Cristo sceso in terra.
“Buongiorno:
vorrei prendere un libro!”
No, ma
davvero? pensava
Lavi. Era l’ultima cosa che ci si potrebbe aspettare di sentire in una
biblioteca. “Sai già quale?”
“Ehm… no.
Cioè, in verità cercavo un romanzo che non fosse né troppo breve e né troppo
corto. Divertente ma con momenti drammatici. Magari con un protagonista
maschile o anche femminile. Deve essere realistico, ma non mi dispiacerebbe se
ci fossero anche vampiri, pirati, viaggiatori del tempo, astronauti e avvocati.
Ah, e mi piacerebbe se fosse ambientato nel medioevo, con qualche scena
descritta nell’Antico Egitto e nell’anno 3000. Oddio, forse sto chiedendo troppo!”
Era sicuro
che fosse semplicemente un ‘forse’?
“Devi uscire
da lì” Lavi indicò la porta d’ingresso. “Vai sempre dritto e gira alla seconda
a destra. Poco dopo c’è una rotonda, girà a sinistra e al bivio di nuovo a
destra. Quarto portone sempre sulla destra.”
“E’ per caso
una succursale della biblioteca?”
“No,
l’indirizzo di uno che vende marijuana. E’ roba buona, fidati: ti fa vedere
tutto ciò che hai sempre desiderato e anche di più!” Sfoderò il suo sorriso più
amichevole e convincente, che (come sempre) si dimostrò infallibile. Il giovane
maschio dalle idee confuse si allontanò un po’ perplesso, ma Lavi era certo che
avrebbe seguito il suo consiglio.
Che poi lo
aveva mandato chissà dove, visto che non esisteva nessuno spacciatore di
marijuana, era un altro discorso.
Passarono
una decina di minuti, ed ecco che il vero Gesù Cristo sceso in terra dall’alto
dei Cieli varcò la soglia del portone: Allen (Jesus) Walker.
Lui non era
alto un metro e una brioche morsicata: era semplicemente minuto e, per questo,
più adorabile che mai.
I suoi
capelli non erano bianchi come quelli di un vecchio bicentenario: erano colore
‘latte appena munto addolcito con raffinatissimo zucchero brillante come
polvere di diamante’.
I suoi occhi
non erano color grigio-topo: erano due perle luminose e splendenti come le
stelle che si riflettono sul mare di notte.
Non aveva
una cicatrice rossa a forma di stella sull’occhio sinistro, stile ‘sfregiato a
vita’: aveva su di sé il dolore di un passato angosciante rimasto impresso sul
viso delicato, conferendogli così un fascino che trascendeva il tempo e lo
spazio rendendolo più maturo della sua vera età.
E questo era
solo l’aspetto esteriore. Allen (Jesus Christ
Superstar) Walker aveva mille e una doti non propriamente
nascoste.
Sapeva
suonare il pianoforte meglio di Beethoven, Mozart e Chopin fusi insieme e senza
aver preso mai una lezione in vita sua, solo perché il suo era un ‘dono di
natura’. Da piccolo era stato la piccola stella emergente in un circo come
giocoliere (in pratica, come faceva girare le palle lui non le faceva girare
nessuno). Era uno spadaccino formidabile, ma questo non si era capito da dove
gli derivava.
In sostanza,
era bravissimo in tutte le cose più inutili di questo mondo.
Inoltre, era
un ragazzo gentile, sempre sorridente, molto altruista e amato dalle ragazze
(aveva ben tre pretendenti) senza che lui facesse assolutamente niente per
sedurle, mentre queste gli cascavano ai piedi come pere cotte.
E cosa più
importante, Allen era in grado di mangiare e bere come pochi porci al mondo
sanno fare2 e non ingrassare mai di un microgrammo.
E
probabilmente la lista delle sue qualità era ancora più lunga, solo che Lavi
non aveva ancora avuto il piacere di scoprirle tutte… e in verità non gli
importava molto farlo: era una delle rare volte in cui non si dimostrava
curioso per qualcosa.
Dunque, dopo
tutto questo, era logico pensare che Allen fosse veramente il figlio del
Signore: altrimenti non si sarebbe potuto spiegare in altro modo perché a lui
fossero stati elargiti così tanti pregi rispetto agli altri comuni e patetici
mortali che arrancavano sulla Terra.
“Che ci fai
qui?” chiese Jesus, cioè Allen, una volta giunto al
bancone della reception.
“Sai, ci
lavoro” rispose Lavi.
“Volevo
dire, che ci fai qui alla reception: di solito sei confinato come un eremita
nel magazzino.”
“E’ una
lunga storia. Piuttosto tu che ci fai qui, non avevi lezione oggi?”
Tanto Allen
era anche intelligente, quindi poteva permettersi di saltare qualche giorno di
scuola. “Ho un problema e volevo parlarne con te.”
Questa poi:
Allen che non sapeva risolvere un problema. Se lo avesse detto Wisely all’oroscopo Lavi non ci avrebbe creduto neanche
davanti all’evidenza dei fatti.
“Di che si
tratta?”
“Mi serve un
cane.”
“Non ne
abbiamo.”
“Lo so”
rispose stizzito Allen. Ecco, forse un suo minuscolo difetto era che in alcune
occasioni gli saltava subito la mosca al naso: ovviamente, la mosca era
rigorosamente bianca, perché non sia mai che ad Allen Walker
saltasse una comunissima e banalissima mosca nera. “C’è un gatto che di notte
si aggira sui balconi del mio quartiere e ha deciso che Timcampy
diventerà presto la sua cena. Non so per quanto ancora sarò in grado di
proteggerlo. Ormai Tim è sull’orlo di una crisi di nervi. Non mangia più, non
beve più, non dorme più. Ho pensato che se prendessi un cane, quel gatto se ne
starà alla larga.”
In quel
momento a Lavi gli si accese la famosa lampadina nel cervello.
Allen aveva
un canarino in pericolo di vita e che voleva salvare.
Yuu aveva un topo pestifero fin troppo pieno di vita e
che voleva ammazzare.
In tutto
questo c’era un gatto notturno e affamato che aveva solo voglia di sfogare i
suoi istinti felini più selvaggi: se si spostava il ‘fattore felide’ da Allen a
Yuu, Lavi avrebbe risolto due e più problemi in uno.
Modestamente,
aveva avuto proprio un’idea geniale. Insomma, non doveva essere troppo
difficile catturare un gatto.
“Hai fatto
bene a rivolgerti a me” disse Lavi, gonfiando tronfio il petto. “Stanotte verrò
da te e cattureremo quel mangiatore di canarini insieme.”
“Ma
veramente…”
“Verrò alle
dieci di stasera!”
“Ma io…”
Quella sera Kanda era particolarmente agitato.
Neanche la sua seduta di meditazione zen era riuscita a fargli sbollire la
rabbia per la notte insonne e la sveglia chiassosa di quella mattina.
Per tutto il
giorno non aveva sentito il topo maledetto rosicchiare nei muri, come invece si
era allegramente divertito a fare durante la notte appena trascorsa per quasi
cinque ore di fila.
Il ragazzo
non era un illuso e sapeva che la bestiaccia non se n’era andata: semplicemente
ci godeva a rompergli le palle durante la notte, un po’ come le zanzare
d’estate.
Dopotutto,
anche gli animali avevano diritto ad un hobby, ma Kanda
non era intenzionato a diventare il passatempo di nessuno, men
che meno di un roditore dell’esatta misura della suola delle sue scarpe.
Eh sì, si
sarebbe abbinato bene il sangue di topo con il nero dei suoi stivali di pelle.
La soluzione
all’apparenza era piuttosto semplice, persino scontata: chiamare la
disinfestazione. Ma c’era un grosso, enorme problema che ciò avrebbe portato
con sé.
Come minimo
la procedura per ripulire l’appartamento avrebbe portato via due giorni (se era
fortunato, ma come sempre, quando serve, la dea bendata se ne va con un altro)
e quindi sarebbe stato costretto ad andare dal suo patrigno finché i lavori non
fossero terminati e, una volta entrato in quella casa, Kanda
non era tanto sicuro che Tiedoll lo avrebbe lasciato
uscire di nuovo, visto il suo morboso affetto paterno.
Era già un
miracolo che fosse riuscito a trovare casa per conto suo senza troppi
impedimenti e quei pochi che aveva affrontato gli erano bastati.
Il problema
era che non c’erano alternative e l’idea di andare ad elemosinare un appoggio
temporaneo a qualcun altro era fuori discussione. E poi, pur nell’ipotetico
quanto improbabile caso che avesse messo da parte l’orgoglio, da chi poteva
andare?
Si sentì
bussare alla porta: non bastava il ‘topo mannaro’ a tenerlo sveglio durante la
notte, ora c’erano pure gli scocciatori che gli facevano delle improvvisate
alle dieci di sera.
Finse di non
aver sentito, cercando di recuperare la concentrazione per la meditazione, ma
ormai era bella che andata.
Aprì la
porta con la delicatezza di un caterpillar, trovandosi davanti il sorriso ebete
del coniglio idiota del piano di sotto: dunque era vero che i topi e i conigli
erano grossomodo cugini, visto come entrambi avevano la tendenza a disintegrare
i marroni al prossimo.
“Hai avuto
ancora problemi con il topo?”
“Che cosa
vuoi?”
“Volevo
dirti che ho la soluzione al tuo problema, solo che non ce l’ho adesso. Dovrai
aspettare domani mattina.”
“Chiamerò la
disinfestazione” disse Kanda, facendo chiaramente
intendere che non voleva l’aiuto di nessuno, specialmente se si trattava di
lui.
“Oh, quindi
andrai a stare per un paio di giorni dal tuo patrigno?” domandò Lavi,
ricordandosi del biglietto che questi gli aveva lasciato per tenerlo informato
su vita, morte e miracoli di Yuu.
Cazzo! pensò Kanda.
La scusa non reggeva. Lavi si sarebbe accorto della bugia che aveva detto e Kanda non aveva intenzione di passare per l’imbecille di
turno.
Lanciò
un’occhiata al ragazzo dai capelli rossi… e lo sconforto si impadronì di lui
più di prima.
“Farò da me,
allora” disse sbrigativo ma deciso.
“Non te lo
consiglio, sai? I ratticidi sono molto tossici e devono essere maneggiati con
la dovuta attrezzatura. Inoltre quei prodotti vengono venduti solo a personale
specializzato” sciorinò Lavi, facendo mostra della sua sapienza. Solo un secondo
dopo realizzò che era la prima volta che non faceva la figura dell’idiota
davanti all’altro, dimostrandogli che, in fondo, non era stupido come poteva
apparire superficialmente.
Lo sguardo
di Kanda alla sua trionfale uscita diceva chiaramente
‘E quindi?’.
Probabilmente
voleva sapere la famosa soluzione al problema, ma non sembrava intenzionato a
chiederla esplicitamente, così Lavi gli spiegò chiaramente cosa aveva pensato:
“Che ne dici di un gatto?”
“Ti stai
prendendo gioco di me?”
“No, no”
rispose subito Lavi prima che la conversazione degenerasse per colpa di un
malinteso. “Dico sul serio. Molte persone che vivono in campagna hanno il
problema dei topi in casa e anziché chiamare la disinfestazione ogni tre mesi
allevano gatti.”
Kanda sembrava visibilmente combattuto: da un lato c’era il
metodo pratico, efficace e sicuro il cui unico neo era il dover andare dal suo
patrigno; dall’altro c’era il metodo primitivo, incerto e cretino di un ragazzo
idiota con seri problemi di vista (eh sì, non gli era ancora passata
l’irritazione per l’incomprensione del loro primo incontro).
Inutile dire
che snobbò l’offerta di Lavi reputandola solo uno scherzo di cattivo gusto e,
come volevasi dimostrare, quella notte il topo mannaro si risvegliò dal suo
nido di tenebre per compiere la sua crudele missione: fracassare gli zebedei a Yuu Kanda
(non che ci volesse molto, comunque).
1.Il libro di Lovecraft è più che
altro un racconto: ‘I sogni nella casa stregata’
2.“Ci siamo abbuffati come pochi
porci sanno fare”: citazione del mitico Homer Simpson
XD
Note dell’autrice
Lo so cosa
state pensando, ovvero che sperava che mi fossi dimenticata questa storia e che
non l’avrei mai più aggiornata, facendola così marcire nei meandri oscuri del fandom di D Gray Man. Mi spiace
per voi, ma mi è ritornata la voglia di scrivere e ho fatto un po’ di chiarezza
sulle idee che avevo al riguardo (stavo decidendo in che ordine mettere i vari
eventi).
Come si sarà
potuto capire i livelli di demenza sono arrivati alle stelle, quindi non
aspettatevi una storia che abbia un qualcosa di realistico o con un nesso
logico: l’illuminismo è lontano qui.
Scherzi a
parte, sono spiacente di avervi fatto attendere ma come detto non ero
dell’umore adatto per aggiornare questa storia e avevo anche le idee molto
confuse la riguardo. Ma ora ho quasi tutto risolto. Francamente odio l’idea di
lasciare una fic sospesa, specie se ho delle idee al
riguardo. Al massimo mi prendo più tempo per aggiornarle.
Spero che
l’attesa sia stata ben ricompensata e che non siate troppo crudeli da punirmi
senza lasciare un commento.
Ringrazio
immensamente: BlackRaven, Lirin
Lawliet, mago666, MyoshiCross,
Rebychan, Ermellino e Myrose
per le bellissime recensioni al precedente chap.
Scusate se non ho risposto singolarmente, ma vi ho già fatto aspettare
tantissimo e non volevo ritardare ancora la pubblicazione, specie considerando
che ho poco tempo in questi giorni dato gli esami ancora in corso. Spero che
comprendiate: dal prossimo chap risponderò di volta
in volta per praticità!
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