Di che segno sei?

di redseapearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'anima gemella ***
Capitolo 2: *** Quello che l'oroscopo non dice ***
Capitolo 3: *** Tutta colpa di Miranda ***
Capitolo 4: *** La maledizione del topo mannaro ***



Capitolo 1
*** L'anima gemella ***


Di che segno sei?

 

 

L’anima gemella

 

 

 

Quando i numeri al led rossi della radiosveglia, posta sul comodino di fianco al letto, segnarono le 7:30, il ritornello di You spin me round dei Dead or Alive1 risuonò a tutto volume nel monolocale, tanto che il ragazzo addormentato saltò letteralmente dal letto finendo in terra con un sonoro tonfo.

You spin me right round, baby
Right round like a record, baby
Right round round round

Qualcun’altro al posto del giovane avrebbe bestemmiato all’infinito il disc jockey che aveva scelto di mettere a prima mattina una canzone tanto movimentata, ma non Lavi, al contrario.

Se aveva programmato la radio per farla accendere a quell’ora sulla frequenza di radio Noah’s Ark era proprio perché sapeva che avrebbero dato il buongiorno con un po’ di musica vivace e per lui, che si conosceva bene ed era consapevole di quanto amasse dormire, essere svegliato al ritmo di ‘All I know is that to me. You look like you're lots of fun’ era il miglior modo (nonché l’unico abbastanza efficace) per alzare il deretano dal materasso.

Si sollevò pigramente in piedi massaggiandosi la suddetta parte anatomica che aveva risentito della caduta appena fatta. Sbadigliò sonoramente stiracchiando le braccia e le gambe indolenzite, quando si sentì la voce di Tyki Mikk che salutava i suoi ‘affezionati’ (Lavi si era sempre domandato dove lo speaker vedesse tutto quell’affetto) ascoltatori.

Buongiorno sognatori, è ora di ritornare nel mondo reale: sono certo che 'You spin me round' vi abbia svegliato molto dolcemente” esordì in quel tono chiaramente ironico che era assolutamente tipico di lui.

Anche se Lavi non poteva vederlo in faccia, era certo che quell’uomo stesse sadicamente ghignando mentre immaginava gli infarti che gli provocava ogni mattina mandando in onda quel genere di canzoni, quasi lo facesse per dispetto a lui.

In effetti, perché mai essere svegliati da quella voce sorniona quando si poteva scegliere il classico ‘Drin drin’ dell’orologio? Molto semplicemente perché Lavi, ragazzo estremamente socievole e loquace (ai limiti del logorroico qualche volta, e anche più di qualche), reputava deprimente sentire al risveglio un suono banale come lo scampanio di una sveglia, a differenza di una voce – anche se senza volto – che gli avrebbe tenuto compagnia per quella mezz’ora  necessaria  a prepararsi.

Iniziamo subito scoprendo come sarà la nostra giornata ascoltando l’oroscopo di Wisely.

“Sì, Wisely” disse Lavi entrando in bagno per aprire la manopola dell’acqua calda della doccia. “Fammi sentire come non andrà la mia giornata.”

Erano circa tre mesi che Lavi ascoltava ogni mattina le previsioni di quell’astrologo e mai una volta si era avverato ciò questi prediceva. O meglio, se proprio si deve essere precisi, accadeva esattamente il contrario.

Wisely diceva che quel giorno sarebbe stato gravoso per il proprio portafogli? Ecco che una bella banconota da 10 dollari ti si adagiava sulla testa come un dono dal Cielo appena varcato il portone di casa.

Wisely diceva che quel giorno ci sarebbero stati grandi cambiamenti? L’unica cosa che cambiava era il canale della televisione alla disperata ricerca di qualcosa di interessante da vedere.

Wisely diceva che quel giorno sarebbe scoppiato di salute? Frase che Lavi pregava con tutto il cuore non dicesse mai, altrimenti avrebbe potuto scoprire di avere una strana e inguaribile malattia congenita.

Prima di arrivare al proprio segno, cioè Leone, Lavi aveva avuto il tempo sufficiente per farsi la doccia. Uscì dal box e si avvolse subito nell’accappatoio di spugna verde appeso al muro accanto, prendendo poi spazzolino e dentifricio.

Leone” sentì dalla radio lasciata al massimo volume per tutto il tempo. “Oggi è un grande giorno per voi single…

“Perfetto, anche oggi niente sesso” commentò Lavi afflitto, poco prima di portarsi lo spazzolino in bocca e iniziare a lavarsi i denti.

Arrivato alla rispettabile e attivissima (a livello ormonale, almeno) età di diciott’anni la propria verginità cominciava a dargli un leggero fastidio, eppure ci aveva provato più di una volta a sbarazzarsene, ma per una continua e sempre diversa serie di congiunzioni astrali (tanto per restare in tema di costellazioni e segni dello zodiaco) non era mai riuscito a concludere niente.

Vuoi che la prima ragazza di turno si era troppo ubriacata ed era finita per vomitargli addosso; vuoi che la seconda non si era accorta che la bistecca ordinata al ristorante era stata condita proprio con quella rarissima spezia a cui era allergica; vuoi che la terza all’ultimo secondo aveva perso il senso dell’orientamento sessuale e aveva imboccato la strada della omosessualità; e così via…

 “Le stelle dicono che conoscerete la vostra anima gemella, in tutti i sensi, perché sarà proprio una persona nata sotto il segno dei Gemelli. Sarà un vero e proprio colpo di fulmine. Mi raccomando, non lasciatevi ingannare dalla loro impenetrabile e fredda corazza esterna, perché sotto di essa sono persone molto sensibili e dolci: di fatti non dimentichiamoci che i Gemelli sono, per natura, persone con una doppia personalità.”

Questo era veramente esilarante! Secondo Lavi non era improbabile che il giorno prima Wisely avesse visto qualche puntata di Saint Seiya di troppo.

Si sciacquò la bocca per togliere ogni residuo di dentifricio, cimentandosi in un poco elegante concerto di gargarismi. Si vestì con un paio di pantaloni bianchi e una maglia a maniche lunghe verde, mentre Wisely continuava imperterrito a sciorinare il futuro di tutte le persone del mondo raggruppandole in dodici macrogruppi zodiacali.

Camminando nella confusione del suo appartamento, arrancando tra i libri sparsi sul pavimento come un avventuriero nella giungla, recuperò tutto ciò che gli occorreva prima di uscire di casa. Il portafogli era nella tasca dei jeans nel cesto dei panni sporchi; le chiavi di casa erano appese al ramo del bonsai che teneva vicino alla finestra, ovviamente chiusa; il cellulare era rimasto per tutta la notte nel frigorifero: lo aveva appoggiato solo due secondi per prendere con entrambe le mani il piatto della pizza avanzata il giorno prima e distrattamente aveva chiuso l’anta dell’elettrodomestico lasciando dentro il telefonino, dimenticandosi che dall’altra parte dell’apparecchio c’era suo nonno che lo sgridava per quanto ultimamente fosse distratto.

Eppure lui viveva bene nel suo disordine, perché sapeva esattamente dove si trovava ogni cosa: per lui il monolocale non era caotico, era personalizzato.

Si avvicinò alla radio per spegnerla prima di uscire di casa, sentendo che Wisely aveva finalmente concluso il suo oroscopo.

Lo so che me lo avete detto almeno un centinaio di volte, ma vorreste ripetermi perché ogni mattina dobbiamo sentire le cretinate di questo raccomandato di…

Tyki, sei in onda!

Grazie, Wisely! Come sempre le tue previsioni ci aiutano ad affrontare le nostre giornate altrimenti ignote. E ora passiamo alle telefonate da casa.

“Ma anche no” rispose Lavi, spingendo il tasto Off a lato della radiosveglia. “Dovrei farlo io lo speaker radiofonico.”

E così avrebbe conosciuto la sua anima gemella: detto da Wisely non era affatto rassicurante.

Scese le quattro rampe di scale che lo separavano dall’atrio con una certa flemma. Quella mattina non aveva molta voglia di andare a lavorare in biblioteca, cioè, ne aveva ancora meno del solito. Ma l’affitto non si pagava certo da solo e la padrona di casa (pur volendo sorvolare sul fatto che a stento si poteva distinguere da un uomo) non rientrava abbastanza nei suoi gusti - neanche con tutta la fantasia di cui disponeva - per poterle offrire, nel caso fosse rimasto al verde, un pagamento in natura.

Arrivato al portone, allungò il braccio per afferrare la maniglia e aprire la pesante anta di legno, ma questa decise di andargli incontro da sola, colpendolo di spigolo proprio sul naso così forte da farlo cadere in terra all’indietro: aprì l’occhio sinistro (l’unico che poteva aprire in effetti, essendo l’altro coperto da una benda nera stile pirata), ma non riuscì a vedere chiaramente davanti a sé, avendo la vista offuscata dalle lacrime per il dolore lancinante al setto nasale.

Si guardò le mani che aveva portato per istinto alla parte lesa, notando i polpastrelli colorati di rosso. Poi sollevò lo sguardo verso l’alto, notando una figura che lo sovrastava, probabilmente la persona che aveva aperto con così tanta violenza il portone.

Capelli neri, lunghi e fluenti raccolti in una coda alta; fisico snello e slanciato; lineamenti del viso orientali e armoniosi… era proprio il suo tipo!

“STRIKE!” esclamò, ricevendo un’occhiata perplessa da quella sconosciuta che lo aveva colpito… in tutti i sensi.

Purtroppo, a causa della botta presa, non poteva vederle il volto con molta nitidezza, ma, a giudicare dal complesso, Lavi non aveva dubbi sul fatto che fosse bellissima.

Ripensò all’oroscopo che aveva sentito solo pochi minuti prima: possibile che quella ragazza fosse proprio la famosa anima gemella di cui parlava Wisely? Certo, il colpo che aveva avuto non era ‘di fulmine’ bensì ‘di portone’, ma non gli sembrava il caso di soffermarsi su una simile minuzia.

E, cosa ancora più sconvolgente, possibile che Wisely per una volta avesse indovinato (riferendosi ad un astrologo sarebbe stato più corretto dire ‘previsto’, ma attribuita a quel tipo alla radio era una parola troppo grossa) il futuro?

La bella sconosciuta emise un suono stizzito con le labbra e non si curò di aiutare il povero Lavi che era rimasto in terra con il naso grondante sangue. Anche questo Wisely lo aveva detto: non lasciarsi ingannare dal loro comportamento esteriore apparentemente scostante.

La ragazza si diresse verso le scale, ma Lavi non era intenzionato a lasciare andare via così facilmente la sua presunta anima gemella: però, prima di fare o dire qualcosa di azzardato, doveva accertarsi che lo fosse.

“Aspetta!” Lei si fermò, voltandosi verso di lui con evidente irritazione. “Di che segno sei?”

 

 

 

 

 

1.     La canzone potete ascoltarla qui: http://www.youtube.com/watch?v=zJv5qLsLYoo

Note dell’autrice

Quanto è brutto drogarsi! No, davvero queste cose non fanno proprio per me (le fic comiche intendo), e probabilmente anziché avervi strappato un sorriso vi avrò solo fatto contorcere le budella.

Dovrei dedicare questa fic a Yu_Kanda, ma non so quanto ne possa essere contenta (probabilmente farà finta di non conoscermi d’ora in avanti).

Ebbene, dopo tanto tempo ho trovato il coraggio di scrivere una long LaviYuu. Non so quanto sarà lunga al momento, dipende da come lavorerà la mia fantasia in fase di stesura. Ovviamente questo capitolo è solo il primo assaggio, gli altri saranno più lunghi.

Qualcos’altro da dire? No, direi che la fic è già abbastanza eloquente così.

Di solito alla fine dei commenti del primo chap dico “Come sempre ogni commento anche solo di un rigo è sempre ben accetto” ma per questa fic sono già rassegnata a non leggerne nemmeno uno. Oh , nella vita si deve provare (quasi) tutto, almeno una volta!

 

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Capitolo 2
*** Quello che l'oroscopo non dice ***


Di che segno sei?

 

 

Quello che l’oroscopo non dice

 

 

 

“Di che segno sei?”

Lo aveva chiesto veramente o era solo stato un fastidioso ronzio nelle orecchie? Forse la botta sul naso aveva fatto più danni di quanto non sembrasse per fargli dire una cosa simile.

Si poteva essere più idioti di così? E pensare che Lavi non si era mai reputato un imbranato con le donne, ma si sa, al mondo c’è sempre la prima volta per tutto, anche per rendersi ridicolo davanti ad una strafiga facendole una singola domanda.

Intanto, dopo essersi strofinato l’occhio con il dorso della mano per togliere quel fastidioso velo di lacrime che non gli permetteva di vedere niente, Lavi poté finalmente ammirare con più chiarezza la bella ragazza.

Lei aprì la bocca per rispondergli. Chissà, magari era una tipa a cui piacevano quelle cose un po’ mistiche, un po’ trascendentali, un po’… cretine (ma sì, diciamo le cose come stanno) e involontariamente aveva fatto colpo anche lui…

Già, magari fosse stato così!

Ma quando finalmente lei parlò, Lavi non udì la dolce vocina femminile tipica degli anime giapponese, ma un forte, tuonante e decisamente poco fraintendibile: “Che cazzo hai detto, idiota?”

Ok, aveva sbagliato, e il tipo non sembrava averla presa tanto bene. Comprensibile, pensò un delusissimo, e anche un po’ sconvolto, Lavi: non doveva essere piacevole essere scambiato per una ragazza. In effetti anche Lavi non l’aveva presa tanto bene nel constatare che: primo, lei in realtà era un lui con tutti gli attributi (a ben vedere, era anche un po’ troppo piatta di seno per i suoi gusti); secondo, non aveva incontrato l’anima gemella.

L’oroscopo di Wisely non si era smentito neanche questa volta: era accaduto l’esatto contrario. Lavi cominciò a pensare che collezionare una serie ininterrotta di previsioni sbagliate richiedesse un certo grado di impegno, e quindi che ci fosse addirittura un vero e proprio metodo scientifico dietro.

Restava da risolvere il problema del fraintendimento. Facile, si disse: bastava chiedere venia e il gioco era fatto.

No, sarebbe stata una soluzione troppo semplice!

Non ebbe neanche il tempo di articolare la S di ‘scusa’ che si ritrovò a pochi centimetri dalla pupilla la punta della lama di una spada… una lama molto affilata per inciso!

Ok, questa se l’era aspettata ancora meno della voce maschile, anzi… non se la sarebbe mai aspettata.

Un ragazzo pieno di risorse quello sconosciuto, non c’era che dire.

“Un momento: c’è stato uno sbaglio” provò a discolparsi Lavi per il torto fatto.

“Puoi giurarci che c’è stato uno sbaglio.” Lo spadaccino non sembrava molto propenso ad accettare le sue scuse, o per essere più precisi, non sembrava propenso neanche a sentirle le scuse di Lavi. Dal reato alla condanna, senza passare per avvocati, giudici e così via.

Avvicinò ancor di più la lama della spada (se Lavi fosse stato meno annichilito dal terrore avrebbe riconosciuto subito che era una katana, ma in quel momento era alquanto irrilevante il nome dell’arma che lo avrebbe trafitto) all’occhio verde di Lavi.

“Aspetta, calmati. Che intenzioni hai? È l’unico occhio che ho…”

“Tanto non funziona come dovrebbe.”

Per un attimo Lavi aveva persino pensato di usare uno dei suoi sorrisi disarmanti, nella speranza che funzionasse nel vero senso della parola (augurandosi che il tipo non fraintendesse il gesto credendo che ci stava ancora provando), ma i suoi muscoli facciali erano così paralizzati da non permettere agli angoli della bocca di sollevarsi. Cercò di elaborare la frase più convincete per chiedere perdono, ma non gli venne in mente niente di più di un ‘Non sono io ad essere cieco, sei tu che sei troppo ambiguo.’

No, a ben pensarci, Lavi aveva il vaghissimo sospetto che quella non fosse propriamente la cosa più indicata da dire.

Si dice che in punto di morte ciascuno veda tutta la propria vita scorrergli davanti agli occhi in un secondo. Per Lavi non fu così.

Ebbe la visione del suo cadavere sul letto di un obitorio e di un medico che compilava un modulo con i suoi dati tracciando una netta X sulla casella ‘Vergine’ (casella che non esiste in realtà, ma Lavi ormai stava delirando pensando alla sua imminente dipartita) e non era in riferimento al suo segno zodiacale.

No, non poteva morire così!

Doveva reagire, aveva uno scopo per cui vivere e non sarebbe morto prima di averlo portato a termine, altrimenti diciotto lunghi anni di tentativi sarebbero andati miseramente in fumo.

“Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa… avevo la vista annebbiata ma ora che ti vedo bene posso assicurarti che sei molto, ma molto virile. Anche più di me!”

Dopo quel piagnisteo lo sconosciuto non aveva dubbi sul fatto di essere più virile di quel coniglio, anzi, non ne aveva mai avuti.

“Oh Yuu-kun, vedo che stai già facendo conoscenza con gli altri inquilini.” Lavi si voltò di scatto verso l’uomo che aveva pronunciato quelle parole, intento già ad idolatrarlo mentalmente in quanto suo salvatore.

 “CHE” rispose l’altro giovane, riponendo la spada nel fodero, evidentemente irritato dall’essere stato interrotto proprio sul più bello, anche se non aveva mai avuto intenzione di uccidere realmente il ragazzo che lo aveva offeso: troppe rogne con avvocati, processi e accuse di omicidio poi. “Non chiamarmi a quel modo!”

“Non farci caso” disse l’uomo sorridente rivolto a Lavi, ancora seduto in terra, per rassicurarlo. “Lui fa sempre così.”

Lavi gli rivolse un sorriso tirato. “Non si offende se le dico che la cosa non è molto confortante?” Afferrò la mano che il signore gli porgeva per aiutarlo a rialzarsi e, adesso che era più rilassato e l’immagine del medico legale che segnava la sua verginità su di un foglio (con un’espressione di sufficienza, tra l’altro) era sparita, si rammentò di essere in mostruoso ritardo per il lavoro. “Grazie per avermi salvato la vita, ma adesso devo scappare. È stato un…” Si voltò verso il ragazzo di nome Yuu rivolgendogli un’occhiata incerta. “…piacere!” concluse, per poi fiondarsi in strada senza attendere risposta.

L’uomo sospirò, fissando il ragazzo davanti a sé con sguardo rassegnato ma bonario. “Yuu-kun…”

“Andiamocene!” ringhiò questi già avanzando di un passo per uscire dal palazzo.

“E’ la terza volta di seguito che succede: non puoi spaventare le persone così. Quanti altri posti dovrai girare?”

“Non è colpa mia se il mondo è pieno di idioti!”

“O forse sei tu che sei troppo rigido.”

“CHE.” La risposta che il giovane dava per tutto.

“Comunque lo sai, a me non possono che far piacere, in fondo, tutti questi inconveniente, perché così… così…” L’uomo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un grande fazzoletto bianco iniziando ad asciugarsi le prime lacrime che minacciavano di bagnargli il viso.

No! pensò Yuu. Tutto ma non quello: non una delle sue solite sceneggiate paterne! Prima il ragazzo che implora pietosamente perdono e ora questo. Per quanto il giovane si sforzasse di ricordare, proprio non riusciva a trovare nel suo passato una qualche azione maligna che aveva compiuto per meritarsi quel castigo divino: essere circondato da persone patetiche!

“Ho cambiato idea! Qui va benissimo” dichiarò al limite della sopportazione, ottenendo come unico risultato di far piangere ancora più forte il suo patrigno.

 

 

Lavi correva come se avesse alle costole il Diavolo in persona con tanto di forcone.

Accidenti alla vita sedentaria nella biblioteca! Ogni volta si riprometteva di iniziare a fare un po’ di sport, ma la televisione complottava puntualmente contro di lui trasmettendo programmi uno più interessante dell’altro, tenendolo incollato al divano e mandando alle ortiche ogni buon proposito di iniziare una vita più sana e salutare. Anche se, per Lavi, non c’era niente di più sano e salutare di un pacco di patatine divorate davanti alla tv beatamente spaparanzato sul suo comodissimo divano a due posti: questione di punti di vista, supponeva.

Ed eccolo ergersi in tutta la sua magnificenza il monumentale palazzo della biblioteca della città, come una lussureggiante oasi nel deserto, come una sensualissima sirena nel mare, come un golosissimo cono gelato in un’afosa giornata estiva… o magari come un cono gelato in mano ad una sirena in un’oasi nel deserto durante un’afosa giornata estiva.

Ok, meglio non esagerare adesso, si disse: doveva sbrigarsi se voleva sperare che il suo ritardo passasse inosservato.

Ancora pochi passi, pochi gradini e sarebbe entrato, ma quando vide in cima alla rampa di scale, proprio davanti la massiccia porta d’ingresso, il suo vecchio nonno, Bookman, guardarlo arcigno (e il Diavolo con tanto di forcone in quel momento sembrava un’alternativa più allettante), l’oasi andò a fuoco, il gelato si sciolse e la sirena morì.

“Sei in ritardo!” tuonò l’anziano bibliotecario.

“Ho… (anf)… avuto… (anf)… un…” provò a dire Lavi ansimando pesantemente.

“Vivi solo da tre mesi ormai e già arrivi in ritardo al lavoro. Voleva vivere da solo lui, voleva la sua indipendenza. Scommetto che c’è di mezzo una ragazza!”

“No!” protestò Lavi, rimettendosi ritto in piedi. “Ti assicuro che non c’è di mezzo nessuna ragazza.” Non era una bugia, dopo tutto; al massimo si poteva dire che non fosse tutta la verità, ma Lavi non stava mentendo e il nonno parve convincersi osservando la sua espressione sincera.

“Per questa volta ti credo: tanto non hai mai saputo mentire come si deve.” Entrò nell’edificio, seguito da Lavi.

Il giovane non aveva mai capito perché esattamente il nonno, nonché unico parente rimastogli, fosse tanto severo con lui sulla questione ‘ragazze’. Persino Guglielmo da Baskerville ne ‘Il nome della rosa’ era stato più permissivo con il suo apprendista Adso quando aveva scoperto che questi si era dato alla pazza gioia con una popolana nella cucina dell’abbazia… e loro erano frati che avevano fatto voto di castità, il che era tutto dire per Lavi, costretto invece a tenere segreti i propri appuntamenti per evitare il nonno inquisitore.

Insomma, se lui era una vecchia mummia perché Lavi doveva condurre una vita castigata? Mistero della fede: niente domande, si deve obbedire e basta.

“Sei distratto ultimamente.” La voce gracchiante del vecchio lo riportò alla realtà. “Ieri sera sono rimasto a parlare per quindici minuti al telefono prima di rendermi conto che tu non c’eri dall’altra parte.”

Il cellulare dimenticato nel frigorifero, ricordò Lavi. “Il latte ha molto gradito il tuo discorso.”

Un sonoro quanto doloroso ceffone in testa fu la risposta del nonno per rammentargli di non dire più stupidaggini simili. Spesso l’anziano Bookman si era chiesto cosa avesse sbagliato con lui quando era piccolo, cercando di capire se le botte erano state troppe o troppo poche: non era una risposta facile da trovare nonostante la sua grande erudizione.

“Mettiti al lavoro. Sono arrivati nuovi libri da catalogare!” ordinò, prima di lasciare il nipote ai suoi doveri.

Lavi si diresse verso la sua solita scrivani sperduta nel più remoto e polveroso angolo della biblioteca (probabilmente la culla di una nuova specie di acari non ancora scoperta), dove trovò pile e pile di libri che attendevano solo lui per essere risposti nei rispettivi scaffali.

“Lo fa apposta a caricarmi di lavoro come un mulo da soma!” si lamentò Lavi ad alta voce, guardando afflitto e sconsolato la mole di tomi che doveva archiviare per quel giorno.

“Che cosa hai detto, nipote degenere?” gridò Bookman da qualche anfratto nascosto e lontano.

Ma con l’avanzare dell’età di solito i vecchi non diventavano sordi? Perché era capitato proprio a lui un nonno ancora così arzillo alla veneranda età di… centoundici anni (anno più, anno meno)?

Si sedette alla scrivania e accese il computer, un reperto storico di valore non indifferente. Mentre attendeva che il sistema operativo si avviasse del tutto (operazione che richiedeva dai quindici ai venti minuti, in base a quanto si sentiva in forma l’aggeggio quel giorno), ripensò allo strano incontro fatto pochi minuti prima.

Quel ragazzo… Yuu-kun… Così lo aveva chiamato l’uomo che aveva salvato lui da una fine prematura e ingiusta.

Ridicolo, persino il suo nome poteva riferirsi sia a un maschio che a una femmina, visto che il suffisso kun indicava che era giapponese.

Eppure il suo volto non gli era nuovo, come se già lo avesse visto da qualche parte ma non riusciva a ricordare bene dove. Chissà, magari si stava sbagliando, a volte i giapponesi sembravano tutti uguali, anche se raramente Lavi ne aveva visti di così belli.

Che aveva pensato? Che quello Yuu-kun era bello? Era maschio, maschio, maschio, quindi non era minimamente concepibile o accettabile per Lavi formulare simili giudizi estetici su un altro ragazzo.

Intanto, il computer si era avviato completamente (aveva passato venti minuti a rimuginare su quel tipo?). Prese il primo libro per inserire tutti i dati relativi, quali titolo, autore, ecc… nell’archivio, ma l’icona di Internet in basso a sinistra sembrava ammiccare verso di lui, come se gli dicesse “Cliccamicliccamicliccamicliccami”.

No, era ora di lavorare, provò a convincersi Lavi, ma quella maledetta icona gli stava facendo letteralmente l’occhiolino.

E va bene, si disse. Tanto era già arrivato un po’ in ritardo quella mattina e i libri potevano aspettare anche cinque minuti in più: Torsten Krol1 (autore del romanzo che aveva accanto) non si sarebbe certo lamentato.

Chissà che Lavi non avesse trovato proprio su Google la risposta ai suoi quesiti riguardo quel ragazzo. Nell’era dei social network prima o poi tutti finivano per comparire in qualche foto sul web.

Lavi non aveva mai apprezzato quel tipo di mezzo di comunicazione, lo trovava freddo e distaccato, mentre lui preferiva il caro e vecchio dialogo faccia a faccia, sebbene, con certe persone, era sempre meglio stare un po’ lontani, quanto meno la distanza ideale per non essere trafitti da una katana.

Digitò il nome Yuu nella casella di testo con accanto il disegno di una lente d’ingrandimento, sebbene non nutrisse grandi speranze, visto che il mondo era certamente pieno di persone con quel nome.

La tua ricerca ha prodotto 148 risultati: come volevasi dimostrare.

Meglio inserire dei dati in più per restringere il campo, quali sesso e città. Pigiò il tasto d’invio.

Ed eccolo lì, incredibile ma vero lo aveva trovato: facile… forse troppo!

Yuu Kanda. Strano, pensò Lavi: un ragazzo così scorbutico non gli sembrava il tipo di persona da iscriversi in uno di quei siti.

Selezionò con il mouse il nome del giovane e, infatti, quella non era propriamente la pagina del suo profilo personale.

“Non posso crederci: ecco dove l’ho già visto!” esclamò Lavi ad alta voce.

“Che stai combinando?”

Come aveva fatto suo nonno a sorprenderlo alle spalle?

Lavi saltò letteralmente dalla sedia, cercando di nascondere lo schermo del computer con il proprio corpo, ma ormai era troppo tardi.

“Vecchio, da quando sei diventato così silenzioso?”

“Da quando tu sei diventato così imbecille da perdere tempo con simili stupidaggini! È peggio di quanto pensassi…”

“Non è come sembra!” provò a discolparsi Lavi, ma si rese conto lui stesso di aver detto la cosa più banale del mondo, come un carcerato che risponde alla domanda ‘Perché sei in prigione?’ con un ‘Io sono innocente: è l’avvocato che mi ha fregato!’2.

E lui era davvero fregato. Ci mancava solo che suo nonno pensasse che aveva deciso di nuotare verso l’altra sponda.

“A me sembra che tu abbia bisogno di ricordare cosa sia il lavoro manuale.” Lavi cominciò a pensare a che genere di lavoro manuale si riferisse Bookman. “Catalogherai questi libri manualmente, come facevo io quando avevo la tua età. E vedi di darti una mossa!” ordinò il vecchio, accompagnando la frase con un immancabile schiaffo.

Questo l’oroscopo del mattino non glielo aveva detto a Lavi... e pensare che lui neanche voleva farlo quel mestiere: da piccolo aveva sempre sognato di diventare un pompiere!

 

 

 

 

 

1: Scrittore australiano, pescato a caso da Wikipedia

2: Se non ricordo male, ho sentito questo scambio di battute nel film ‘Le ali della libertà’

Note dell’autrice

Lo spacciatore mi ringrazia per avergli fornito nuove clienti XD Mi ha fatto anche lo sconto per questo chap!

Wow, ce l’ho fatta!! Incredibile ma vero, sono riuscita a scrivere questo secondo capitolo. Questa storia mi risulta più difficile da scrivere rispetto ad altre, perché essendo abbastanza frivola ho bisogno di essere quanto più serena possibile per calarmi nel giusto spirito della fic e in questo periodo non sono affatto serena! Mi scuso per il ritardo con cui ho postato, ma tra feste, raffreddore ed esame come già detto non ero nello spirito migliore per scrivere!

Cercherò di essere più regolare d’ora in avanti!

Emi: ti ho già fatto il discorso per questa fic, quindi sai cosa ne penso riguardo le tue recensioni su questa storia, ma visto che proprio non vuoi capirlo ti risponderò con un freddo e scostante ‘Grazie’ u.u Così impari a recensirmi le storie senza conoscere il fandom!

AllAloneInSpaceAndTime: prima di tutto grazie per aver inserito la storia tra le preferite, siamo solo all’inizio spero che continui a meritare questo posto nella tua lista ^^ , direi che Lavi ha decisamene avuto paura dopo aver scoperto chi era in realtà la sconosciuta. Spero che la fic continui a piacerti e che vorrai farmi sapere ancora il tuo parere!

Rebychan: ciao ^^ felice di sapere che l’inizio ti è piaciuto, spero tanto che il seguito possa continuare ad allietarti. Sono contenta che hai trovato IC la domanda di Lavi a fine capitolo scorso, temevo che fosse un po’ troppo azzardata nonché stupida, ma il tuo commento mia ha decisamente rincuorata. Spero a presto!

Lirin Lawliet: sono felice di sapere che trovi che il genere comico mi si addice, anche se io continuo a nutrire dei fortissimi dubbi, ma vedrò un po’ dove la fantasia riuscirà a portarmi. Comunque, non è voglio che continui a seguire questa storia, perché non conosci il fandom e quindi non mi voglio che tu debba leggerla solo perché l’ho scritta io. Mi basta del regalo che mi hai fatto al primo chap ^^ Ci leggeremo su fandom noti ad entrambe!

WindAngel: sono contenta che l’inizio ti abbia incuriosita e fatto ridere, sperando ovviamente che questo secondo chap sia stato all’altezza delle tue aspettative. Di solito io non apprezzo il fatto che Yuu venga scambiato per femmina, ma in una commedia degli equivoci è un clichè che non può mancare assolutamente, per cui mi sono concessa questo piccolo sfizio. Spero a presto!

Ermellino: che entusiasmo travolgente X3 Spero che questo secondo capitolo sia degno di tanta aspettativa da parte tua. La canzone è stata in parte richiesta, ma anche io l’adoro ed era perfettamente calzante con l’intento di far saltare Lavi dal letto. Grazie mille per la recensione ^^

Yu_Kanda: oh, veniamo alla festeggiata! Lo sai che mi hai fatto piangere di commozione quando ho letto la prime frasi della recensione? Sono indecisa se chiederti di smetterla o di continuare! È un dilemma! Ormai, affibbiare a Wisely ogni possibile mestiere truffaldino è diventato uno sport vero e proprio! Ovviamente conoscevo già la canzone ‘You spin me round’ così come il video, molto inerente in effetti, e il ritmo era perfetto per le mie intenzioni! Nello scorso capitolo era facile fare pochi errori, visto come era corto, mi sa che in questo invece arriveranno delle mazzolate belle forti! Le tue aspettative per questo secondo chap mi sono suonate più come delle minacce e alla fine mi mandi sempre in ansia da prestazione! Povera me! , spero che ti sia piaciuto almeno un pochino!

mago666: wow, ti ringrazio per la fiducia datami con il primo chap, spero vivamente che anche questo secondo ti sia piaciuto! ^^ Grazie per il commento! X3

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Capitolo 3
*** Tutta colpa di Miranda ***


Di che segno sei?

 

 

Tutta colpa di Miranda

 

 

 

Ci sono persone sparse in tutto il mondo che collezionano farfalle, altre francobolli, oppure cartoline o qualsiasi altra cosa (solitamente più è inutile ed ingombrante e meglio è), ma Miranda Lotto collezionava qualcosa di unico nel suo genere: colloqui di lavoro.

Nel suo curriculum spiccava subito la laurea in lettere e filosofia, un titolo di studio dalla sensazionale capacità di permetterle di fare tutto e niente allo stesso tempo, nonché una miriade di esperienze lavorative dei più svariati generi: dalla segretaria alla cameriera, dalla centralinista alla maestra, e via discorrendo…

Per Miranda il problema non era ottenere il posto di lavoro (ormai era talmente esperta nei colloqui che sapeva esattamente cosa dire, come dirlo e che espressione assumere nel dirlo); più che altro era riuscire a mantenerlo questo lavoro. A causa della sua sbadataggine finiva sempre per combinare qualche pasticcio in meno di una giornata lavorativa, così da venire licenziata giusto in tempo per presentarsi ad un colloquio per cui aveva già preso appuntamento il giorno stesso, ben consapevole che non avrebbe mantenuto il posto per più di qualche ora anche lì.

Di fatti, nella sua routine quotidiana rientrava l’acquisto del giornale degli annunci e la ricerca di ogni tipo di offerta lavorativa a lei idonea.

Quella volta non era andata diversamente. Teneva in mano la sua personale agenda in cui aveva segnato almeno un appuntamento al giorno. Purtroppo, Miranda non era dotata della capacità di guardare in due direzioni contemporaneamente, per cui avendo gli occhi fissi sull’agendina viola non poteva vedere il gigantesco camion dei traslochi parcheggiato davanti al palazzo dove abitava.

Lo vide solo quando vi sbatté la fronte, e sì che non passava inosservato con il suo sgargiante color giallo evidenziatore.

“Ma cosa…?” Si massaggiò la fronte dolorante su cui stava già sbocciando un livido, mentre aggirava l’ingombrante ostacolo per entrare nell’edificio. Si rese conto che era davvero tardi e (come era accaduto poco prima) per guardare l’orologio che aveva al polso non si avvide dei tre gradini davanti al portone.

Li vide solo quando vi inciampò sbattendo l’altro lato della fronte sul terzo di essi.

Nel frattempo, un Lavi stanco e con un visibile callo alla mano per via del lavoro manuale che gli era stato propinato dal diabolico nonno si domandava da quando avessero messo uno zerbino viola davanti al portone del palazzo.

Solo quando notò che il suddetto zerbino respirava, e si muoveva persino, capì che in realtà era Miranda, la sua vicina di casa, tanto imbranata quanto gentile.

“Ciao, Miranda!” la salutò con un sorriso smagliante porgendole la mano per alzarsi: ormai era inutile chiederle cosa ci facesse lì in terra, la sua goffaggine era ben nota a tutti coloro che la conoscevano.

“Buon pomeriggio, Lavi. Scusami, sono inciampata.” Ecco un’altra particolarità di Miranda: si scusava sempre, anche quando non aveva colpa, tanto che Lavi aveva dedotto che la parola ‘Scusa’ per lei fosse solo un semplice intercalare come ‘cioè’, ‘allora’, ‘dunque’ et simila. E se si provava a dirle qualcosa come ‘Non occorre che ti scusi, Miranda’, lei rispondeva con un puntuale ‘Scusa’ per poi accorgersi della gaffe e dire ‘Mi dispiace’ o qualsiasi altro sinonimo.

“Ti sei fatta male?” le chiese lui, notando l’ematoma violaceo che si stava espandendo a chiazza d’olio sulla fronte, anche se in parte coperto dalla frangia bruna.

“Oh no, andrà via subito.” Ormai il suo corpo era così abituato a subire cadute, botte e oggetti in testa che sembrava aver sviluppato una capacità di guarigione accelerata rispetto al normale.

Intanto, due omoni dell’azienda dei traslochi, nelle loro appariscenti tutine giallo limone, si fecero largo tra i due per entrare nel palazzo.

La curiosità di Lavi emerse all’istante: dopo aver passato tutto il giorno solo in biblioteca aveva il fisiologico bisogno di parlare con qualcuno. “Sembra che l’appartamento sopra il nostro piano sia stato affittato. Mi domando chi sia tanto pazzo da decidere di abitare in quella casa, viste tutte le storie che si raccontano. Oh, a proposito di pazzi: non immaginerai mai cosa mi è successo questa mattina…”

Miranda ascoltava il racconto di Lavi annuendo come un automa di tanto in tanto per fargli capire che stava seguendo il suo logorroico monologo, ma intanto pensava ai minuti che inesorabili scorrevano e al suo ennesimo colloquio di lavoro a cui avrebbe rischiato di arrivare tardi se la lingua del ragazzo non si fosse seccata il prima possibile. Certo, avrebbe potuto fargli notare che aveva un impegno (per non parlare del fatto che doveva comprare il giornale e cercare altri annuncio lavorativi per il giorno seguente), ma la sua educazione le impediva di stopparlo, sebbene non riusciva a captare ogni singola parola del discorso.

“… Insomma, ho rischiato davvero di morire questa mattina! È un’esperienza che non augurerei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico. Spero di non dover ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con quel Kanda, altrimenti non credo che sopravvivrei…”

“Hai detto Kanda?” domandò allarmata Miranda. “Oh, scusa, scusa, non volevo interromperti!”

“Sì, ho detto proprio Kanda. Perché?” Era chiaro che la sua vicina sembrava sapere qualcosa al riguardo di quello strano incontro avvenuto la mattina, e subito un brivido di paura percorse la schiena di Lavi facendogli rizzare i corti capelli sulla nuca.

“Ehm… bhè… ecco…”

“Miranda, sai forse qualcosa al riguardo? Perché se è così devi dirmelo subito!”

Intanto, il trasloco continuava alle loro spalle.

“Io sono mortificata, ma non pensavo che sarebbero andate così le cose. Scusami, è tutta colpa mia!” Che Miranda fosse una donna propensa al melodrammatico era cosa nota a Lavi, ma in quel momento e visto l’argomento su cui si discuteva, il giovane non era certo che quella fosse una delle sue solite esagerazioni… tutt’altro. Qualcosa dentro di lui gli suggeriva che invece era fin troppo poco il dispiacere della sua vicina.

“Va bene, calmati. Non è successo niente” provò a rincuorarla, sorridendole poi per farle credere che fosse tutto a posto. “Raccontami dall’inizio.”

“Tu conosci il mio fidanzato, Marie, giusto?”

“Sì.”

“Ecco, il suo fratellastro stava cercando urgentemente un appartamento in affitto ad un buon prezzo. Ne aveva trovati alcuni, ma pare che avesse avuto degli screzi con i proprietari o i vicini di casa prima ancora di andarci ad abitare. Così io gli ho suggerito l’appartamento sopra il nostro, pensando che visto che tu sei un ragazzo così socievole non avresti avuto problemi con lui come invece era accaduto con altri. Oh, mi sento così in colpa adesso!”

Lavi si prese qualche secondo per elaborare le informazioni che gli erano appena state fornite, guardando alternativamente Miranda e il camion dei traslochi dietro di lui.

No, calma, forse stava solo giungendo a delle conclusioni affrettate!

Stando a quanto gli era stato riferito dalla donna, Yuu Kanda, proprio quel Yuu Kanda, lo stesso che aveva incontrato-scontrato quella mattina e di cui aveva trovato notizie su internet, era andato lì per cercare casa. Fin qui era abbastanza chiaro, ma visto come era andata la loro prima conversazione (tra incomprensioni sulla sessualità di uno e scampata morte dell’altro) era impensabile, illogico, inconcepibile, inimmaginabile, insensato, inspiegabile, inammissibile che quel tale avesse comunque deciso di andare a vivere lì.

Sì, non poteva essere! Lavi si convinse di ciò, sperando con ogni fibra del suo corpo che non fosse così.

“Suvvia, Miranda, pensaci. Dopo quello che è capitato, dubito fortemente che lui…”

“E fate più attenzione con quei mobili!”

Quella voce! Nonostante Lavi l’avesse sentita solo una volta non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerla subito.

Non poteva essere lui. Ci doveva essere uno sbaglio. Non aveva alcun senso, eppure…

Si voltò per appurare che quella che aveva sentito non era la voce di Yuu Kanda, ma solo un parto, o meglio, un aborto della sua fantasia… e invece no.

Lui era lì, più accigliato che mai per come il trasloco procedeva a rilento e per la mancanza di cura con cui i suoi mobili venivano trasportati. Non certo un inizio promettente.

“Sono morto” disse solo Lavi, meditando di scrivere testamento una volta salito sopra a casa e magari di telefonare al vecchio e dispotico nonno per dirgli che, nonostante fosse una mummia bisbetica, nonostante fosse un rompiballe di prima categoria, nonostante lo picchiasse sempre, nonostante lo volesse costringere ad una vita di castità e devozione al solo lavoro della biblioteca, gli voleva bene lo stesso.

Kanda si girò verso di lui, lo fissò per qualche istante con aria di sfida e poi distolse lo sguardo per continuare ad inveire contro gli addetti al trasloco.

“Ehm, Lavi…” richiamò la sua attenzione una titubante Miranda, che comprendeva il suo terrore al momento. “Io dovrei andare adesso. Ci vediamo domani.”

Lavi la guardò allontanarsi senza riuscire a fermarla. Era rimasto solo con il suo carnefice.

Ci vediamo domani aveva detto Miranda, ma il giovane non era certo che sarebbe rimasto vivo per ancora molto tempo.

Strinse i pugni con forza. Dopotutto era pur sempre un suo coetaneo, anche se il fatto che l’altro era armato non era un dettaglio del tutto trascurabile. Gli avrebbe parlato, chiesto scusa per l’ennesima volta e magari avrebbe cercato di capire perché avesse deciso di trasferirsi lì (la sua curiosità non si arrestava neanche dinanzi la prospettiva di una morte lenta e dolorosa).

Gli si avvicinò a testa alta. “Ciao.”

“CHE.” Cos’era?

Lavi non lo capì, ma sempre meglio quello di un delicato ‘Sparisci’ o un più raffinato ‘Vaffanculo’.

“Non abbiamo iniziato nel modo giusto questa mattina e ci tengo a ribadire le mie scuse per il malinteso che tu ben sai. Ad ogni modo, pare che da adesso saremo vicini, quindi che ne dici di ricominciare tutto da capo?” Sfoggiò il sorriso più smagliante del suo repertorio (per ogni occasione ne aveva uno adatto, un po’ come un accessorio: quello per ammaliare una ragazza; quello per evitare una multa sul bus per mancanza di biglietto…).

Kanda lo guardò scettico dalla testa ai piedi, quasi gli stesse dando un punteggio da uno a dieci sul suo personale Idiotometro (rarissimo strumento di difficile utilizzo che permette di misurare la stupidità umana), ma non disse nulla.

Per Lavi un silenzio era più che incoraggiante. “Piacere di conoscerti: mi chiamo Lavi.” Allungò la mano verso di lui, sebbene sapesse che questi non gliel’avrebbe stretta.

Era forse un sorriso quello che si distese sul volto di Kanda? Se lo era, Lavi dovette ammettere che era il sorriso più inquietante che avesse mai visto. Fu tentato di ritrarre la mano prima di vederla volare via dal rispettivo polso con annessa fontanella di sangue: non era stata una grande idea vedere Kill Bill la settimana prima.

“Un coniglio di nome e di fatto” disse Kanda.

Perché coniglio? Si domandò Lavi, per poi cercare di darsi una risposta.

‘Di fatto’ perché non aveva certo dato prova di coraggio e sangue freddo quella mattina; ma perché anche ‘di nome’? Rifletté su quest’ultimo enigma, trovando la soluzione quasi immediatamente: probabilmente, essendo straniero, Kanda doveva aver frainteso il suo nome, capendo Rabi (ovvero Rabbit) anziché Lavi.

Dilemma esistenziale: fargli notare l’errore o fare finta di accettare quel nomignolo? Nel primo caso avrebbe rischiato il linciaggio.

In fondo i conigli sono animali dolci, teneri e coccolosi: chi mai al mondo sarebbe tanto crudele da far loro del male? Poteva essere una somiglianza che gli avrebbe giovato in futuro.

“Un coniglio: carino come soprannome. Tu invece sei Yuu Kanda…”

Kanda!” sottolineò questi, odiando l’idea di sentir pronunciare il proprio nome con tanta leggerezza, specialmente da un coniglio idiota come quello (in verità non c’era molta differenza tra Lavi e una qualsiasi altra persona).

“OK” confermò Lavi, tirandosi un po’ indietro e alzando le mani in segno di resa. Parlare con lui era come camminare su una strada cosparsa di chiodi arrugginiti, vetri rotti e qualsiasi altro oggetto tagliente: un solo errore e poteva dire addio a una qualunque parte del corpo.

Sembrava un tipo molto sicuro di sé: magari usando la tecnica dell’adulazione sarebbe riuscito ad ammorbidirlo un po’ (non tanto, giusto quel po’ che bastava per non rischiare di ritrovarsi nuovamente in un tête-à-tête con la sua katana). “Sai, non avrei mai pensato che un giorno sarebbe venuto un VIP ad abitare nel mio palazzo, ma…” Lavi non ebbe il tempo di finire la frase che si ritrovò il volto di Kanda praticamente a pochi millimetri dal viso e le mani di questi che gli tiravano la maglietta per tenerlo pericolosamente vicino a sé.

La tattica dell’adulazione si era rivelata un colossale fiasco!

“Ascoltami bene idiota: se non vuoi essere sminuzzato come una carota non parlare più del mio lavoro e non osare ripetere ancora una volta il mio nome. Anzi, se sei abbastanza intelligente vedi di non parlarmi, non guardarmi e non pensarmi neanche.”

Lavi deglutì visibilmente e rumorosamente. “V-v-va bene, d’ora in avanti sarai l’ultimo dei miei pensieri, non pronuncerò il tuo nome in vano e se ti vedrò per le scale del palazzo distoglierò lo sguardo.”

Come quella mattina, la voce di un uomo salvò Lavi: “Yuu-kun, allora hai proprio decido di andare a vivere per conto tuo?” Era il suo patrigno con tanto di fazzoletto bianco gigante che sbucava dalla tasca dei pantaloni pronto ad estrarlo come un’arma nel vano tentativo di far commuovere Kanda. “Sei ancora in tempo per ripensarci, sai?”

Ripensarci? Per Yuu Kanda non c’erano ripensamenti: se decideva di fare una cosa la faceva, anche se sbagliata e mai al mondo avrebbe ammesso di avere torto. Fortunatamente quello non era uno di questi casi.

“CHE.”

Lavi osservò la scena senza parlare, notando quanto tutto fosse bizzarro: un uomo di mezza età che mostrava una lacrimuccia all’angolo dell’occhio destro e un ragazzo a braccia conserte assolutamente indifferente alla cosa, anzi estremamente irritato. Forse Lavi aveva compreso perché Kanda avesse deciso nonostante tutto di traslocare in quella casa: era evidente che non sopportava i proprio parenti.

L’uomo gli si avvicinò sorridente, ma Lavi ebbe un brutto presentimento. “Tu sei il ragazzo di questa mattina, giusto? Purtroppo Yuu-kun non è mai stato un maestro di buone maniere, quindi mi sa che dovremmo presentarci per conto nostro: sono Froi Tiedoll, suo padre.”

“Patrigno!” rettificò Kanda alle loro spalle.

Consolante, pensò il ragazzo ribattezzato ‘coniglio’: Kanda aveva preferito vivere nello stesso palazzo con lui piuttosto che con il patrigno; davvero lusinghiera questa scelta!

“Molto lieto: Lavi” disse questi, stringendogli la mano, sentendo nel proprio palmo un pezzetto di carta.

In effetti si ritrovò in mano un biglietto scritto a mano, ma prima che potesse chiedere qualche spiegazione al patrigno di Kanda, questi si era già allontanato verso il figliastro per abbracciarlo, o quanto meno tentare di farlo.

Ma come poteva essere diventato così un ragazzo cresciuto con un uomo simile?

Lavi si allontanò dei due, attento a non farsi vedere dall’altro giovane mentre apriva il foglietto appallottolato e ne leggeva il contenuto.

 

 

Se Yuu-kun dovesse darti problemi o se dovesse avere lui problemi non esitare a contattarmi.

 

Firmato

Un padre premuroso

 

Lavi rilesse almeno tre volte la frase prima di afferrarne il significato recondito: era appena stato assunto per spiare Yuu Kanda!

 

 

 

 

Note dell’autrice

Non capisco perché ma con questa fic gli aggiornamenti vanno più a rilento rispetto ai miei soliti standard! Sigh, mi odio per questo!

Probabilmente è perché sto portando avanti un’impresa che va oltre le mie capacità: ovvero scrivere una fic che sia vagamente ironica, cosa che se nel primo chap ho ottenuto un effetto decente andando avanti scema sempre di più! Ma io non mollo: continuerò a scrivere questa commedia e vediamo dove finirò!

Scusate se non vi rispondo per questa volta alle singole recensioni come mio solito, ma già ho impiegato più tempo del necessario per scrivere questo chap, per cui d’ora in avanti per questioni di comodità vi risponderò tramite la nuova e comoda funzione di EFP di risposta alle recensioni! Santa cosa davvero!

Ringrazio infinitamente WindAngel, Rebychan, mago666, Myrose e AllAloneInSpaceAndTime per aver recensito lo scorso chap!! (ahimè purtroppo siete diminuite rispetto al primo capitolo, e la cosa è sicuramente indice di quanto detto sopra; doppio sigh).

 

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Capitolo 4
*** La maledizione del topo mannaro ***


Lo so che non si fa, ma ho postato di nuovo questo capitolo appositamente per il LaviYuu Day, come piccolo omaggio a questa coppia e ovviamente per partecipare al LaviYuu Festival anche quest’anno!

 

Quindi potete stare tranquilli: è sempre il capitolo 4 questo, non è quello nuovo!

 

 

Di che segno sei?

 

 

La maledizione del topo mannaro

 

 

 

Tutto sommato Lavi non poteva lamentarsi troppo del nuovo inquilino del piano superiore. Finito il trasloco, dopo essersi scollato d’addosso l’appiccicoso patrigno, Kanda si era praticamente rinchiuso in casa e non aveva più dato segni di vita. Sembrava che non ci abitasse nessuno sopra: non si udiva neanche il rumore dei suoi passi e questo fenomeno era particolarmente inquietante per Lavi, già piuttosto superstizioso di suo.

Se poi si aggiungeva la leggenda del fantasma che abitava nell’appartamento di Kanda, il giovane bibliotecario aveva un buon motivo per reputare quel misterioso silenzio agghiacciante.

Probabilmente si stava solo facendo suggestionare troppo e la testa si era riempita di segatura a furia di farsi tante seghe mentali, ma quando poco dopo la mezzanotte, udì degli strani rumori provenire da sopra si paralizzò nel letto fin quasi a farsi venire un crampo alla gamba.

‘Se non mi muovo non mi succederà niente’ era diventato praticamente il suo motto da quando all’età di otto anni aveva visto per la prima volta ‘L’Esorcista’ e visto che il metodo funzionava sempre non c’era ragione di cambiare strategia dopo tanti anni di scampate possessioni demoniache, aggressioni di vampiri e licantropi, apparizioni ectoplasmatiche da infarto e allegra compagnia.

Perché poi continuava a guardare i film horror nonostante sapeva che poi avrebbe passato tre notti (come minimo) immobile e insonne nell’attesa dell’alba? La risposta era abbastanza semplice: non sarebbe stata una bella figura mostrarsi riluttante a guardare una pellicola del terrore e quando gli dicevano ‘Tanto è solo un film!’ che poteva fare lui? Era pur sempre un ragazzo di 1 e 80 di altezza (in verità era 1 e 79, ma quel centimetro in più faceva sempre la sua porca figura)  per 62 kili e… le sue misure non c’entravano niente in effetti, ma solitamente il coraggio era direttamente proporzionale al fisico; ergo, più sei prestante più sei impavido (in teoria, almeno).

Alla fine si convinceva che se non gli era mai accaduto nulla di brutto in diciotto anni di vita era assurdo che dovesse succedere qualcosa proprio il giorno in cui aveva visto un horror. Peccato che non sempre funzionava come ragionamento (anzi, non funzionava mai).

E intanto di sopra i rumori continuavano e di dormire quella notte non se ne parlò.

Non avrebbe neanche avuto bisogno della solita sveglia coercitiva, ma all’ora programmata la radio si attivò e, nonostante fosse più sveglio che mai, il mattutino infarto corredato da salto carpiato giù dal letto non glielo tolse nessuno.

“Buongiorno ascoltatori: cosa c’è meglio di svegliarsi  la mattina con una rilassante canzone degli Iron Maiden?”

“Lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo…” si ripeteva Lavi, massaggiandosi l’ormai incallito sedere per tutte le cadute che aveva fatto per colpa di Tyki Mikk.

Il ragazzo avrebbe volentieri ballato sulla tomba dello speaker quando finalmente questi sarebbe spirato (ed era anche ora che si decidesse, pensava Lavi), ma al contempo sapeva che senza quel programma radiofonico non si sarebbe mai destato in tempo per arrivare puntuale al lavoro: un conflitto interiore che affliggeva l’animo di Lavi per dieci abbondantissimi secondi ogni giorno a quell’ora, combattuto tra l’odio puro e la gratitudine più sincera.

Prima che si rialzasse in piedi pronto per una nuova ed entusiasmante giornata alla biblioteca, qualcuno suonò alla sua porta ed era anche piuttosto insistente, tanto che nonostante il volume della radio fosse tenuto quasi al massimo, Lavi riuscì ugualmente a sentire il campanello.

Ignaro di chi potesse essere, girò il pomello flemmaticamente, ritrovandosi a fronteggiare un incazzatissimo Yuu Kanda: aveva i lunghi capelli neri sciolti e spettinati, segno evidente che si era alzato dal letto appositamente per andare da Lavi (oh, che onore!), e non indossava nemmeno la maglietta.

Bene! pensò Lavi. Di buon umore a prima mattina!

“Buongiorno, Yuu: fa caldo, eh?” scherzò Lavi per stemperare la tensione elettrica già palpabile tra loro.

“Hai idea del volume indecente della tua radio?” sbraitò l’altro, non riuscendo però a sovrastare il baccano della musica.

“Che hai detto?”

Esasperato, e con la testa che gli doleva, Kanda si avvicinò a quell’aggeggio infernale, spegnendolo con un pugno vigoroso e senza troppa delicatezza, fregandosene altamente del fatto che fosse di proprietà di qualcun altro.

Quando si voltò per guardare Lavi, nei suoi occhi era chiaramente visibile una scintilla omicida.

Un attimo prima Lavi voleva uccidere Tyki Mikk e adesso Kanda voleva uccidere Lavi: sarebbe stato persino buffo constatare come girava la ruota della vita se quello a rischiare di morire non fosse stato Lavi.

“Ehm… mi sembri nervoso” disse questi, tentando di temporeggiare il più possibile per ritardare il momento della sua dipartita. Poi, si accorse che l’altro era disarmato e si rilassò un po’. “Vuoi che ti offra qualcosa: una camomilla magari?”

“Se domani mattina sento ancora la tua fottuta radio, sappi che ti faccio a cubetti e questa volta non ci sarà nessuno a salvarti.”

“Magari un caffè.”

“CHE.” Kanda si incamminò verso la porta con passo marziale, ma prima che potesse varcarne la soglia l’altro ragazzo lo fermò.

Ehy aspetta: cosa erano quei rumori che ho sentito stanotte su da te?” Visto che Lavi non aveva intenzione di passare un’altra nottata in bianco per colpa di strani suoni provenienti dall’appartamento dell’altro, aveva bellamente mandato alle ortiche la sacra legge del ‘se cent’anni vuoi campare, i cazzi tuoi ti devi fare’: e chi se ne frega se moriva prima, tanto superati i sessant’anni la vita era tutta in discesa.

“Fatti gli affari tuoi.” Prevedibile.

“Per favore, non lo sai della leggenda del fantasma che abita nel tuo appartamento?”

“Ma quale fantasma, era un dannato topo!”

“Un topo?” Qualche secondo di attesa e un salto nella mente di Lavi faranno capire meglio gli astrusi meccanismi della sua fervida immaginazione. Più che altro si trattava di una semplice e banale addizione. Una notte insonne per colpa di rumori sinistri che non aiutava certo il suo povero cervello a connettere al meglio, più la convinzione che l’appartamento di Kanda era infestato dal fantasma di un pittore cieco, sordo, zoppo e morto di fame, più la recente lettura di alcuni libri di Lovecraft (tra cui un racconto in cui vi era un topo malefico di nome Brown Jenkins1): risultato, il topo nell’appartamento di sopra era la reincarnazione del pittore defunto.

Soluzione: chiamare un esorcista.

“Sì, un topo” ribadì Kanda, uscendo dal monolocale di Lavi sbattendosi fragorosamente la porta alle spalle.

Dunque Yuu Kanda, l’irascibile inquilino del piano di sopra, nonché suo possibile carnefice in un prossimo futuro, aveva un problema da risolvere. Se Lavi avesse pensato ad una soluzione appropriata magari si sarebbe fatto definitivamente perdonare per la gaffe del loro primo incontro e avrebbe allungato così la sua prospettiva di vita (che al momento non era lunghissima).

Magari ci avrebbe pensato una volta uscito dal lavoro… magari ci avrebbe pensato durante il lavoro. E a proposito di questo: “E’ TARDI!” urlò, rendendosi conto dell’ora. Presentarsi due giorni di fila in ritardo alla biblioteca equivaleva ad essere selvaggiamente picchiato con una mazza d’acero sotto le piante dei piedi tenuti uniti con una corda di canapa blu…. come minimo!

Si preparò nel tempo record di due minuti e uscì di casa come un tappo di sughero sparato da una bottiglia di spumante ben agitata.

Oh, che peccato: si era perso il fantastico oroscopo di Wisely per quella mattina!

 

Fortunatamente il vecch… ehm suo nonno non aveva detto niente su quell’unico minuto e ventiquattro secondi di ritardo. Lavi pensò che fosse di buon umore, tanto che per poco non gli disse per scherzare ‘Che è successo vecchio? Hai scopato ieri sera?’, ma alla fine si trattenne, scoprendo che Bookman aveva ben altri problemi a cui pensare piuttosto che rimproverare quella testa calda del nipote.

“Oggi starai alla reception, quindi a contatto con il pubblico: mi raccomando, non fare casini!”

Affidare quel delicato compito a Lavi era un vero e proprio terno al lotto: la figura del bibliotecario doveva ispirare intelligenza, serietà e tante altre caratteristiche che non trasparivano molto dall’aspetto di Lavi.

Non che Lavi non ne le avesse, ma erano sepolte parecchio in fondo al suo animo e occorreva scavare un bel po’ per trovarle.

“Che fine ha fatto la signora Back?” Ovvero colei che da sempre era preposta a quel compito.

“E’ andata.”

“E’ morta?!” domandò inorridito Lavi, agghiacciato dalla freddezza con cui Bookman aveva dichiarato una notizia tanto sconvolgente: e pensare che il ragazzo aveva sempre creduto che ci fosse del tenero tra di loro.

“No, idiota! Ha vinto un milione di dollari con un gratta  e vinci e ha deciso di prendersi una vacanza permanente alle Hawaii… senza preavviso. Quindi adesso sono costretto a mettere te al pubblico. So già che me ne pentirò!”

“Grazie per la fiducia, come sempre!”

“Mettiti al lavoro. Sei già in ritardo: lo scalerò dal tuo stipendio mensile.”

“Che è già una miseria!” si lamentò il giovane a voce bassa, incamminandosi verso la sua nuova postazione lavorativa.

“Scalerò anche le tue lamentele dallo stipendio se non imparerai ad avere più rispetto!”

A quel punto, vedendo che ogni alito di vento emesso causava una detrazione sulla sua busta paga, Lavi pensò che per una volta stare zitto sarebbe stato quantomeno saggio.

 

Maschio. Alto un metro e settantacinque circa. Capelli e occhi castani. Sguardo indeciso e perso di chi si ritrova in un posto senza sapere come ci è arrivato, neanche avesse camminato nel sonno: eppure la parola ‘B I B L I O T E C A’ era scritta a caratteri cubitali sopra la grande porta d’ingresso.

Questo era il tipico esemplare umano che si presentava lì e che vedeva nel ragazzo della reception il suo personale Gesù Cristo sceso in terra.

“Buongiorno: vorrei prendere un libro!”

No, ma davvero? pensava Lavi. Era l’ultima cosa che ci si potrebbe aspettare di sentire in una biblioteca. “Sai già quale?”

“Ehm… no. Cioè, in verità cercavo un romanzo che non fosse né troppo breve e né troppo corto. Divertente ma con momenti drammatici. Magari con un protagonista maschile o anche femminile. Deve essere realistico, ma non mi dispiacerebbe se ci fossero anche vampiri, pirati, viaggiatori del tempo, astronauti e avvocati. Ah, e mi piacerebbe se fosse ambientato nel medioevo, con qualche scena descritta nell’Antico Egitto e nell’anno 3000. Oddio, forse sto chiedendo troppo!”

Era sicuro che fosse semplicemente un ‘forse’?

“Devi uscire da lì” Lavi indicò la porta d’ingresso. “Vai sempre dritto e gira alla seconda a destra. Poco dopo c’è una rotonda, girà a sinistra e al bivio di nuovo a destra. Quarto portone sempre sulla destra.”

“E’ per caso una succursale della biblioteca?”

“No, l’indirizzo di uno che vende marijuana. E’ roba buona, fidati: ti fa vedere tutto ciò che hai sempre desiderato e anche di più!” Sfoderò il suo sorriso più amichevole e convincente, che (come sempre) si dimostrò infallibile. Il giovane maschio dalle idee confuse si allontanò un po’ perplesso, ma Lavi era certo che avrebbe seguito il suo consiglio.

Che poi lo aveva mandato chissà dove, visto che non esisteva nessuno spacciatore di marijuana, era un altro discorso.

Passarono una decina di minuti, ed ecco che il vero Gesù Cristo sceso in terra dall’alto dei Cieli varcò la soglia del portone: Allen (Jesus) Walker.

Lui non era alto un metro e una brioche morsicata: era semplicemente minuto e, per questo, più adorabile che mai.

I suoi capelli non erano bianchi come quelli di un vecchio bicentenario: erano colore ‘latte appena munto addolcito con raffinatissimo zucchero brillante come polvere di diamante’.

I suoi occhi non erano color grigio-topo: erano due perle luminose e splendenti come le stelle che si riflettono sul mare di notte.

Non aveva una cicatrice rossa a forma di stella sull’occhio sinistro, stile ‘sfregiato a vita’: aveva su di sé il dolore di un passato angosciante rimasto impresso sul viso delicato, conferendogli così un fascino che trascendeva il tempo e lo spazio rendendolo più maturo della sua vera età.

E questo era solo l’aspetto esteriore. Allen (Jesus Christ Superstar) Walker aveva mille e una doti non propriamente nascoste.

Sapeva suonare il pianoforte meglio di Beethoven, Mozart e Chopin fusi insieme e senza aver preso mai una lezione in vita sua, solo perché il suo era un ‘dono di natura’. Da piccolo era stato la piccola stella emergente in un circo come giocoliere (in pratica, come faceva girare le palle lui non le faceva girare nessuno). Era uno spadaccino formidabile, ma questo non si era capito da dove gli derivava.

In sostanza, era bravissimo in tutte le cose più inutili di questo mondo.

Inoltre, era un ragazzo gentile, sempre sorridente, molto altruista e amato dalle ragazze (aveva ben tre pretendenti) senza che lui facesse assolutamente niente per sedurle, mentre queste gli cascavano ai piedi come pere cotte.

E cosa più importante, Allen era in grado di mangiare e bere come pochi porci al mondo sanno fare2 e non ingrassare mai di un microgrammo.

E probabilmente la lista delle sue qualità era ancora più lunga, solo che Lavi non aveva ancora avuto il piacere di scoprirle tutte… e in verità non gli importava molto farlo: era una delle rare volte in cui non si dimostrava curioso per qualcosa.

Dunque, dopo tutto questo, era logico pensare che Allen fosse veramente il figlio del Signore: altrimenti non si sarebbe potuto spiegare in altro modo perché a lui fossero stati elargiti così tanti pregi rispetto agli altri comuni e patetici mortali che arrancavano sulla Terra.

“Che ci fai qui?” chiese Jesus, cioè Allen, una volta giunto al bancone della reception.

“Sai, ci lavoro” rispose Lavi.

“Volevo dire, che ci fai qui alla reception: di solito sei confinato come un eremita nel magazzino.”

“E’ una lunga storia. Piuttosto tu che ci fai qui, non avevi lezione oggi?”

Tanto Allen era anche intelligente, quindi poteva permettersi di saltare qualche giorno di scuola. “Ho un problema e volevo parlarne con te.”

Questa poi: Allen che non sapeva risolvere un problema. Se lo avesse detto Wisely all’oroscopo Lavi non ci avrebbe creduto neanche davanti all’evidenza dei fatti.

“Di che si tratta?”

“Mi serve un cane.”

“Non ne abbiamo.”

“Lo so” rispose stizzito Allen. Ecco, forse un suo minuscolo difetto era che in alcune occasioni gli saltava subito la mosca al naso: ovviamente, la mosca era rigorosamente bianca, perché non sia mai che ad Allen Walker saltasse una comunissima e banalissima mosca nera. “C’è un gatto che di notte si aggira sui balconi del mio quartiere e ha deciso che Timcampy diventerà presto la sua cena. Non so per quanto ancora sarò in grado di proteggerlo. Ormai Tim è sull’orlo di una crisi di nervi. Non mangia più, non beve più, non dorme più. Ho pensato che se prendessi un cane, quel gatto se ne starà alla larga.”

In quel momento a Lavi gli si accese la famosa lampadina nel cervello.

Allen aveva un canarino in pericolo di vita e che voleva salvare.

Yuu aveva un topo pestifero fin troppo pieno di vita e che voleva ammazzare.

In tutto questo c’era un gatto notturno e affamato che aveva solo voglia di sfogare i suoi istinti felini più selvaggi: se si spostava il ‘fattore felide’ da Allen a Yuu, Lavi avrebbe risolto due e più problemi in uno.

Modestamente, aveva avuto proprio un’idea geniale. Insomma, non doveva essere troppo difficile catturare un gatto.

“Hai fatto bene a rivolgerti a me” disse Lavi, gonfiando tronfio il petto. “Stanotte verrò da te e cattureremo quel mangiatore di canarini insieme.”

“Ma veramente…”

“Verrò alle dieci di stasera!”

“Ma io…”

 

 

Quella sera Kanda era particolarmente agitato. Neanche la sua seduta di meditazione zen era riuscita a fargli sbollire la rabbia per la notte insonne e la sveglia chiassosa di quella mattina.

Per tutto il giorno non aveva sentito il topo maledetto rosicchiare nei muri, come invece si era allegramente divertito a fare durante la notte appena trascorsa per quasi cinque ore di fila.

Il ragazzo non era un illuso e sapeva che la bestiaccia non se n’era andata: semplicemente ci godeva a rompergli le palle durante la notte, un po’ come le zanzare d’estate.

Dopotutto, anche gli animali avevano diritto ad un hobby, ma Kanda non era intenzionato a diventare il passatempo di nessuno, men che meno di un roditore dell’esatta misura della suola delle sue scarpe.

Eh sì, si sarebbe abbinato bene il sangue di topo con il nero dei suoi stivali di pelle.

La soluzione all’apparenza era piuttosto semplice, persino scontata: chiamare la disinfestazione. Ma c’era un grosso, enorme problema che ciò avrebbe portato con sé.

Come minimo la procedura per ripulire l’appartamento avrebbe portato via due giorni (se era fortunato, ma come sempre, quando serve, la dea bendata se ne va con un altro) e quindi sarebbe stato costretto ad andare dal suo patrigno finché i lavori non fossero terminati e, una volta entrato in quella casa, Kanda non era tanto sicuro che Tiedoll lo avrebbe lasciato uscire di nuovo, visto il suo morboso affetto paterno.

Era già un miracolo che fosse riuscito a trovare casa per conto suo senza troppi impedimenti e quei pochi che aveva affrontato gli erano bastati.

Il problema era che non c’erano alternative e l’idea di andare ad elemosinare un appoggio temporaneo a qualcun altro era fuori discussione. E poi, pur nell’ipotetico quanto improbabile caso che avesse messo da parte l’orgoglio, da chi poteva andare?

Si sentì bussare alla porta: non bastava il ‘topo mannaro’ a tenerlo sveglio durante la notte, ora c’erano pure gli scocciatori che gli facevano delle improvvisate alle dieci di sera.

Finse di non aver sentito, cercando di recuperare la concentrazione per la meditazione, ma ormai era bella che andata.

Aprì la porta con la delicatezza di un caterpillar, trovandosi davanti il sorriso ebete del coniglio idiota del piano di sotto: dunque era vero che i topi e i conigli erano grossomodo cugini, visto come entrambi avevano la tendenza a disintegrare i marroni al prossimo.

“Hai avuto ancora problemi con il topo?”

“Che cosa vuoi?”

“Volevo dirti che ho la soluzione al tuo problema, solo che non ce l’ho adesso. Dovrai aspettare domani mattina.”

“Chiamerò la disinfestazione” disse Kanda, facendo chiaramente intendere che non voleva l’aiuto di nessuno, specialmente se si trattava di lui.

“Oh, quindi andrai a stare per un paio di giorni dal tuo patrigno?” domandò Lavi, ricordandosi del biglietto che questi gli aveva lasciato per tenerlo informato su vita, morte e miracoli di Yuu.

Cazzo! pensò Kanda. La scusa non reggeva. Lavi si sarebbe accorto della bugia che aveva detto e Kanda non aveva intenzione di passare per l’imbecille di turno.

Lanciò un’occhiata al ragazzo dai capelli rossi… e lo sconforto si impadronì di lui più di prima.

“Farò da me, allora” disse sbrigativo ma deciso.

“Non te lo consiglio, sai? I ratticidi sono molto tossici e devono essere maneggiati con la dovuta attrezzatura. Inoltre quei prodotti vengono venduti solo a personale specializzato” sciorinò Lavi, facendo mostra della sua sapienza. Solo un secondo dopo realizzò che era la prima volta che non faceva la figura dell’idiota davanti all’altro, dimostrandogli che, in fondo, non era stupido come poteva apparire superficialmente.

Lo sguardo di Kanda alla sua trionfale uscita diceva chiaramente ‘E quindi?’.

Probabilmente voleva sapere la famosa soluzione al problema, ma non sembrava intenzionato a chiederla esplicitamente, così Lavi gli spiegò chiaramente cosa aveva pensato: “Che ne dici di un gatto?”

“Ti stai prendendo gioco di me?”

“No, no” rispose subito Lavi prima che la conversazione degenerasse per colpa di un malinteso. “Dico sul serio. Molte persone che vivono in campagna hanno il problema dei topi in casa e anziché chiamare la disinfestazione ogni tre mesi allevano gatti.”

Kanda sembrava visibilmente combattuto: da un lato c’era il metodo pratico, efficace e sicuro il cui unico neo era il dover andare dal suo patrigno; dall’altro c’era il metodo primitivo, incerto e cretino di un ragazzo idiota con seri problemi di vista (eh sì, non gli era ancora passata l’irritazione per l’incomprensione del loro primo incontro).

Inutile dire che snobbò l’offerta di Lavi reputandola solo uno scherzo di cattivo gusto e, come volevasi dimostrare, quella notte il topo mannaro si risvegliò dal suo nido di tenebre per compiere la sua crudele missione: fracassare gli zebedei a Yuu Kanda (non che ci volesse molto, comunque).

 

 

 

 

 

     1.Il libro di Lovecraft è più che altro un racconto: ‘I sogni nella casa stregata’

     2.“Ci siamo abbuffati come pochi porci sanno fare”: citazione del mitico Homer Simpson XD

Note dell’autrice

Lo so cosa state pensando, ovvero che sperava che mi fossi dimenticata questa storia e che non l’avrei mai più aggiornata, facendola così marcire nei meandri oscuri del fandom di D Gray Man. Mi spiace per voi, ma mi è ritornata la voglia di scrivere e ho fatto un po’ di chiarezza sulle idee che avevo al riguardo (stavo decidendo in che ordine mettere i vari eventi).

Come si sarà potuto capire i livelli di demenza sono arrivati alle stelle, quindi non aspettatevi una storia che abbia un qualcosa di realistico o con un nesso logico: l’illuminismo è lontano qui.

Scherzi a parte, sono spiacente di avervi fatto attendere ma come detto non ero dell’umore adatto per aggiornare questa storia e avevo anche le idee molto confuse la riguardo. Ma ora ho quasi tutto risolto. Francamente odio l’idea di lasciare una fic sospesa, specie se ho delle idee al riguardo. Al massimo mi prendo più tempo per aggiornarle.

Spero che l’attesa sia stata ben ricompensata e che non siate troppo crudeli da punirmi senza lasciare un commento.

Ringrazio immensamente: BlackRaven, Lirin Lawliet, mago666, MyoshiCross, Rebychan, Ermellino e Myrose per le bellissime recensioni al precedente chap. Scusate se non ho risposto singolarmente, ma vi ho già fatto aspettare tantissimo e non volevo ritardare ancora la pubblicazione, specie considerando che ho poco tempo in questi giorni dato gli esami ancora in corso. Spero che comprendiate: dal prossimo chap risponderò di volta in volta per praticità!

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