Hater Like Me

di _ALE2_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Slip to the void ***
Capitolo 2: *** All Hope Is Gone ***



Capitolo 1
*** Slip to the void ***


Desclaimers: La serie appartiene interamente a Hidekazu Himaruya, l’album citato nelle fan fiction appartiene invece agli Alter Bridge, che ne detengono tutti i diritti.

Personaggi: Arthur Kirkland, Francis Bonnefoy.

Rating: Giallo

Avvertimenti: What if, Shonen ai, forse lieve OOC

 

 

Slip to the void

(The moment you let love go)

 

“Peel back the skin
Close your eyes
Hell is born
To the abyss, but be warned
You fear what you've become
My God what have you done?
You don't belong here

But it's all in the way
You touch and you will pay
Denial”

 

L’alcool che era riuscito a rigettare per qualche momento lo aveva preoccupato.
Non c’era niente di meglio che sentire la testa leggera, farfugliare senza senso e cantare qualcosa saldamente legati alla propria bottiglia di Rhum.
Era il capitano della sua splendida nave, non che questo gli avesse portato enormi privilegi, ma il solo poter assaporare l’ottimo Rhum senza che qualcuno dei suoi compagni ci mettesse le mani sopra, anche solo quello, poteva considerarsi una fortuna l
ì in mezzo al blu più profondo.

Quel giorno i suoi uomini avevano di cosa festeggiare, una grossa nave spagnola aveva sconvolto i piani del torrido pomeriggio, Arthur aveva sentito il sangue bollire nelle vene.
Avventura, azione, libert
à, erano solo quelle le cose che voleva veramente. Voleva dimenticarsi del resto, illudersi per un secondo soltanto che la vita che aveva davanti era la sua vita, lì tra quei delinquenti violenti e sporchi, lì tra quei volti bruciati dalla salsedine che gridavano libertà.
Assaltando navi quando possibile e delle volte anche senza criterio, aveva scoperto che il brivido della paura poteva scuotere anche le sue vene. La bandiera pirata aveva brillato sempre più maestosa giorno dopo giorno, assalto dopo assalto, ‘per la libertà, per il regno!”urlava qualcuno ogni volta.
Lui non si trovava a pensare a niente, se non ad andare avanti, insistere, godere appieno di ogni singolo istante della sua normalità. Si sentiva vuoto, tristemente e forzatamente vuoto, disperatamente perso nell’illusione di una forza che non aveva, di una libertà soltanto momentaneamente conquistata.

La scintilla vispa nei suoi occhi si era spenta.

Non era stanco di combattere, era la sua vita. Non era stanco dei morti, perché per quanto macabro, sapeva che uccidere era il suo modo di conquistarsi il posto su quella nave, lontano dai palazzi, lontano dalla corte, lontano dalla corona.
Arthur non era più Inghilterra, era il sanguinario, terribile e scurrile Capitano Kirkland.
La furfanteria sapeva di vita.

 

Eppure qualcosa era sbagliato.

Se ne rendeva conto quando vedeva che l’avventatezza, il desiderio dello scontro superavano qualsiasi logica razionale, superavano la coerenza e la prudenza, superavano la sua umanità, rendendolo un ammasso di sensazioni contrastanti, tutte troppo forti.
Si rendeva conto della bestia, annidata sotto stracci e carne, che si allargava nel suo cuore, se ne rendeva conto quando cominciava a domandarsi: era così necessario uccidere? Era così necessario eliminare tutti? Erano davvero tutti ostacoli alla sua libertà?
La risposta alle sue domande non aveva fatto nient’altro che far aumentare la follia. Ed ogni notte mentre si rigirava sull’amaca arrivava la frustrazione: Cosa ho fatto? Sono un mostro, ci dobbiamo fermare.

All’alba l’oceano si apriva ai suoi piedi e la creatura ruggiva per saziarsi ancora.

 

Una nave francese e la loro bandiera bianca.

Francis che chiedeva di parlare con lui, sembrava fuori posto sulle navi, con i suoi completi eleganti e le piume del cappello.
Era bello Francis e sembrava dannatamente troppo regale per stare lì, in mezzo al loro.
Gli occhi color del cielo erano cupi, quando entrarono nella sua cabina, uno dei pochi privilegi che si era ritagliato. Francis si era guardato attorno, le labbra leggermente increspate in una smorfia di disgusto, si era seduto al tavolo in silenzio, cominciando a parlare soltanto quando rimasero da soli.

“Ho sempre pensato che fossi una persona dallo scarso gusto chérie, ma fino a questo punto… ”l’inglese non batté ciglio, lo fissava vuoto, mentre si versava il Rhum dentro un bicchiere impolverato. “Cosa sei venuto a fare qui Francis? Deve essere importante se ti ha scomodato dalla tua Paris” il francese non si negò uno sbuffo quando sentì il nome della sua capitale pronunciato dall’altro. “Sono venuto per te mon petit, non credi sia un motivo abbastanza importante?” chiese ed il suo accento troppo francese fece irritare più Arthur, che buttò giù d’un fiato il bicchiere che si era messo davanti. “Preoccupato di cosa frog, non sono io quello che se la passa male, fosse in te riserverei più attenzioni al tuo prezioso Antonio…” ed un ghigno gli si aprì sulla bocca sottile, mentre Francis lo osservava impietoso.

“Antonio non passa in mare la sua vita Arthur, non lascia la sua nazione, non si diverte a massacrare tutte le navi che gli passano di fianco” cominciò sottovoce, mentre l’inglese si versava un altro bicchiere. “Arthur, sappiamo entrambi che la tua missione è  finita da tempo, la tua regina non vuole che tu torni a casa? Guardati un po’, sarai anche stupendo in questa divisa da pirata, ma sei più lercio dei tuoi sottoposti” l’inglese sbuffò una risata, capendo che non si stesse davvero riferendo al suo odore, ne tantomeno alla sua igiene. “Sono commosso dal tuo interesse, ma non mi serve l’interesse di uno stupido francese, tornerò a casa quando…” ma Francis non lo stette a sentire, si alzò, avvicinandosi all’oblò della nave. “Lo sai vero che non morirai tu, ma soltanto loro, che tu continuerai ad esistere, che i tuoi doveri ti schiacceranno prima o poi, non sei libero Arthur, qui dentro sei più in gabbia che mai” prese una pausa, mentre un’onda più forte fece dondolare la nave. “La tua nazione ahimè, sta crescendo, sei più utile lì, non qui a tingerti di rosso le mani, l’era dei corsari è finita e lo sai bene, torna a casa Arthur” e si voltò a guardarlo, mentre l’inglese ancora una volta si riempiva il bicchiere e lo fissava semplicemente vuoto. “Morire tra le onde o vivere strisciando” disse all’improvviso, l’espressione così vacua da farlo sembrare già ubriaco. “Tu dici che non è libertà, io ne ho bisogno”il Francese negò con la testa, appoggiando le mani sul tavolo con un piccolo tonfo. “Tu hai bisogno di ricominciare a sentire qualcosa Arthur, hai bisogno di un senso, io ti conosco da sempre, noi ci siamo sempre stati” il sorrisetto seducente del francese non fece breccia nelle sue mura, ma Arthur si rese conto che Francis lo aveva capito anche troppo, fastidiosamente troppo. “C’è vita oltre questo, la tua vita, ci sono io” l’inglese per poco non scoppiò a ridere. “Shut up stupid frog e non credere di essere così importante” il francese sospirò, mentre alzava le spalle ridacchiando. “Sono sempre io ed almeno ci provo…” Arthur annuì, mentre si alzava. “Ho perso tempo a parlare con te, va via e sia ben chiaro, non fare più una cosa simile, la prossima volta ti affondo” disse il corsaro, mentre il francese rideva, una risata così femminea da fare imbarazzare il capitano. “Se poi mi fai anche prigioniero potrei pensarci…” ed Arthur lo fissò scioccato per poco. “Scendi da questa nave maniaco, prima che decida di accontentare le tue richieste” Francis rise ancora, mentre usciva dalla cabina. “TI Aspetto a Dover mon chérie, Calais non è mai stata tanto accogliente”e mentre i soldati smettevano di puntare le armi contro dei corsari fin troppo divertiti, Francis si imbarcò, continuando ad urlare qualcosa sulle celle, la prigionia e del buon vino, mentre Arthur guardava la nave allontanarsi, seguendo soltanto la sua scia bianca.

 

“Signori, cambiamo la rotta”
Disse un giorno, l’ennesima nave spagnola assaltata, l’elsa della spada sporca di sangue, il ghigno ferino affascinante, ma non folle.

 

Morire tra le onde o vivere strisciando.

Tu hai bisogno di ricominciare a sentire qualcosa Arthur, hai bisogno di un senso, io ti conosco da sempre, noi ci siamo sempre stati!

Non credere di essere così importante.

 

“Cosa facciamo dei prigionieri?”

“Li portiamo con noi”

“Dove stiamo andando capitano?”

“Ammainate il Jolly Roger ed issate la bandiera”

“Capitano?”

“Sì nostromo, si torna a casa”

 

Ed il soffio nel suo cuore cominciò a sparire, una strana leggerezza gli galleggiava nello stomaco. Sarebbero tirati dritti dalla regina a mostrare e donare i loro tesori. I suoi compagni avrebbero deciso se fermarsi per sempre, diventare marinai o riprendere le rotte inesplorate.

Lui aveva finito, sarebbe tornato di gran fretta a casa.

Certo, se avesse visto una stupida nave francese, con un damerino dal cappello piumato sopra, forse la gran fretta sarebbe venuta meno.

L’aveva detto Francis che voleva essere un prigioniero…

 

 

 

 

 

Commento:

Ciao a tutti, è la prima volta che mi trovo a scrivere sul Fandom di Hetalia e vi confesso che sono estremamente agitata. Dopo aver letto splendide fan fiction, unirmi a questo gruppo mi sembrava impresa ardua ed infatti l’unica cosa decente è stato questo centesimo tentativo di fan fiction.

Poche presentazioni, io adoro il FrXUk smodatamente, quindi tutto questo sarà un lavoro incentrato su di loro, qualche volta più storico, altre volte come in questo caso, con una lieve licenza d’autore, se mi permetterete. I capitoli sono tutti ispirati dall’album degli Alter bridge (ABIII) che consiglio a tutti di sentire, essendo che io adoro smodatamente anche loro.

Cosa dire, il lavoro mi sembra chiaro da solo, soltanto chiedo venia se i personaggi hanno sfiorato deliberatamente l’OOC, prometto che la prossima volta farò decisamente più attenzione.

Detto questo, spero vivamente in vostri commenti,non si smette mai di crescere e qualche linea guida e soprattutto critica è fondamentale.

Vi ringrazio tutti in anticipo, alla prossima!

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Capitolo 2
*** All Hope Is Gone ***


All Hope Is Gone

(I've been here too long)

 

 

“A tireless stream of indifference flows
through veins 'till the river runs dry
I no longer care, I have all but disposed
of dreams that I once held inside

Desire is gone after all of these years
the fight has been lost, I coincide
the apathy born a long time ago
has grown to what I can’t defeat

I've been here too long
I'm tired, longing for more
How long must I run
To find what I'm looking for
All hope is gone”

 

 

 

Il cielo nero si apriva minaccioso sulle loro teste.

Non si sarebbe mai aspettato che qualcosa così succedesse di nuovo, che Arthur ed Alfred si sarebbero dichiarati guerra ancora, che Arthur potesse effettivamente anche solo sopportare, di essere in guerra con il suo Alfred, ancora.
Francis ricordava bene gli effetti devastanti che aveva avuto la separazione della colonia su Inghilterra, se il suo regno si era ripreso, Arthur era rimasto irrimediabilmente scottato dalla vicenda, ferito al punto di non sembrare nemmeno più lui, sotto i cerchi neri delle notti insonni  passate a tracannare scotch per mantenere la mente leggera.
E poi erano arrivati a quello, Francis era ancora stupito da quanto il mondo fosse cambiato e quanto velocemente. Quella volta si era limitato a fare lo spettatore, aveva problemi decisamente più importanti a cui pensare, che immischiarsi nella guerra del suo vicino di casa e della sua ex colonia che proprio non ci stava ad abbassare la testa.
Accanto ad Alfred, il francese fissava il cielo nero così come se fosse un nemico da abbattere, mentre le navi salpavano dal porto, sotto lo sguardo severo dell’americano, che rigidissimo per la prima volta, fissava il mare contrariato.
“L’Inghilterra governa le onde” disse soltanto Alfred, girandosi a scrutare il profilo del francese, che sorrise blando, appoggiandosi con un gomito alla finestra.
“Lo dici proprio a me, Mon Chere? Lo sento ripetere da tutti i miei marinai…” sorrideva Francis mentre scrutava il mare e pensava alla  battaglia che stava per cominciare, sempre più incerto del risultato finale. “Arthur non sarebbe in grado di ferirmi” continuò Alfred ed il francese sentì l’irritazione salirgli nella gola, mentre alzava le spalle senza rispondere.
Arthur non avrebbe mai fatto fisicamente del male ad Alfred, non poteva esserne capace, Francis non ne capiva bene il motivo, ma immaginava che l’inglese rivedesse gli occhioni blu di un bambino sperduto, ogni volta che gli puntava la pistola contro. Francis ne era mortalmente geloso, ricordava ogni singola cicatrice che Arthur gli aveva inferto, ogni battaglia, ogni colpo basso, ogni atrocità che si erano regalati a vicenda. Era geloso di quel ragazzino, nonostante sapesse bene, che la natura de rapporto che avevano intrecciato entrambi con l’inglese, era troppo diversa per essere anche solo comparabile.
“Lo sai Alfred, lui è un po’ come una fiera selvaggia…con quegli occhi verdi che sembrano pronti a trapassarti” cominciò Francis, mentre si sedeva su di una misera poltrona, ed Alfred si spostò per guardarlo negli occhi, mentre parlava. “Oh, potrei raccontarti di quello in cui si trasformava se qualcuno provava a toccarti, a toccare uno qualsiasi di voi…” sospirava il francese mentre parlava. “E’ la creatura più odiosa che Dio mi abbia messo sulla strada, ma anche la più seducente, in un certo senso” e sorrise malizioso, mentre il ragazzino arrossiva e si innervosiva, stringendo i pugni sulle anche. “Si può sapere cosa vuoi dire!” ed il suo tono spazientito gli ricordo quello dell’inglese, dimostrazione ovvia dell’influenza che aveva avuto sull’americano. “Voglio dire che bisogna stare attenti Alfred” disse alzandosi dal divano, mettendoglisi di fronte con il solito sorrisino superficiale, ma con gli occhi carichi di una strana aspettativa. “Non si può mai sapere quando una belva ferita è pronta ad azzannarti al collo!” sussurrò mellifluo, fissando gli enormi occhi blu dell’americano, che scoppiò a ridere. “Sì…immagino sia un modo carino in cui voi vecchiacci vi rivedete, tanto io vincerò, nessuno mi farà del male, nemmeno Arthur!” e Francis alzò di nuovo le spalle, ridacchiando leggero, congedandosi appoggiando una rosa su di un vecchio piano impolverato. “Forse hai ragione Alfred, forse siamo davvero solo troppo vecchi” ed Alfred non rispose, per la prima volta stranito totalmente dalle parole di Francis.

 

La nube nera di fumo si alzava pesante nel cielo.

Washington bruciava per mano inglese.
La guerra si era abbattuta come un fulmine su di loro, Alfred aveva soltanto visto Arthur una volta, aveva visto gli occhi spenti, mentre fissava immobile le fiamme che divoravano la città.
Battaglie dopo battaglie stavano recuperando terreno, dopo l’inizio disastroso e le sconfitte che avevano subito dalla flotta del nemico.
Per la prima volta Alfred aveva visto i corsari, mentre agguantavano le navi inglesi e contro ogni legge le depredavano, in nome della sua bandiera. Lo spettacolo non gli era piaciuto, ma ancora meno piacevolmente aveva accolto l’immagine di Arthur sulla nave, pronto a colpirlo ancora mortalmente in una delle sue zone vitali, un attacco studiato e calibrato come se non ci fosse davvero lui, il bambino che aveva cresciuto, dall’altra parte. Alfred pensò di meritarselo, mentre scendeva dalla sua nave, ed incontrava il capitano Kirkland, a bordo di una delle prestigiose fregate della Royal Navy che tanto osannava.
Quando lo vide, capì che qualcosa in lui era cambiato davvero, oppure capì di vederlo per la prima volta in quei panni, con gli occhi che lo fissavano incolori, l’espressione indifferente, la divisa sporca e le labbra serrate che non intendevano cominciare la discussione.
“Siamo qui per discutere dell’armistizio” cominciò, mentre l’inglese lo fissava ancora incolore. “Credevo dovessimo parlarne in Belgio” gli rispose subito, forse per levarselo di torno. “Sono venuto per parlare con te, mi sono liberato, adesso basta” ed Alfred non vide più passare quella scossa di dolore nei suoi lineamenti, quella scossa che l’aveva sconvolto la prima volta che aveva detto quella frase, c’era soltanto una terribile statua indifferente davanti a lui.
“Non sono io che ho voluto cominciare questo conflitto, per quanto tu possa pensare  il contrario…io faccio solo gli interessi della mia nazione” ed Alfred parve abbassare gli occhi un istante, prima di rialzarli. “Avevi detto che non eri in grado di farmi del male” continuò teso, mentre Arthur rimaneva immobile di fronte a lui. “Infatti non credo di esserne in grado” rispose di nuovo l’inglese senza battere ciglio. “Hai bruciato Washington, hai ucciso i miei uomini senza mostrare pietà, così non mi fai del male?” e l’inglese per la prima volta gli rise in faccia, lasciandolo sbigottito. “Ma cosa credevi Alfred, che dopo quella prima guerra sarebbe stato tutto uguale? Che non saremo mai stati nemici? Tu sei un mio nemico Alfred” chiarì immediatamente Arthur, avvicinandosi all’americano come lui, sembrando di nuovo forte e fiero come sapeva di essere. “Ho cose più importanti che stare a pensare a te qui, me se fai qualcosa contro di me io risponderò, se la mia nazione mi chiederà di farti guerra, io la farò e lotterò per vincere” lo guardava fisso negli occhi verdi e non lo riconosceva, non riconosceva  il tono dolce che usava quando era bambino, non riconosceva il tono che aveva usato disperato nella sconfitta. “Sei davvero così, Arthur? Con me e Matt è tutta una recita per fare il bravo genitore?” gli chiese ancora l’americano colpito, deciso soltanto a capire. L’inglese accusò il colpo, fermandosi a riflettere, prima di rispondere sospirando forte. “Io sono sempre stato così Alfred, ho conquistato, combattuto e fatto guerra dal giorno in cui sono nato, questo è il mio mondo, tu sei stato l’eccezione, tu eri la casa in cui tornare in tempo di pace, eri il rifugio da tutto questo, il porto sicuro…il mio bambino da proteggere” Alfred ascoltava in silenzio, mentre il peso di quelle parole cominciava a schiacciargli il petto. “Poi ti ho rovinato con l’avidità, il potere, il bisogno di conquista e tu te ne sei andato, adesso devi essere come tutti gli altri, devi essere una nazione come tante altre, quindi se saremo nemici, se sarai a portata di sparo, sparerò, se potrò affondare la tua nave, lo farò, se dovrò farti guerra, la farò” Alfred guardava a terra, mentre Arthur si avvicinava a lui alzandogli il mento, per incatenare il suo sguardo. “Questo è il mio mondo Alfred e questa credo sia l’ultima cosa che posso insegnarti” lo guardò negli occhi chiari che sembravano non voler lasciarlo andare, prima che l’inglese si voltasse, dandogli le spalle. “Ci vediamo in Belgio, America” Alfred rilasciò un sospirò mentre annuiva da solo. “Lo sai Arthur, adesso sembri di nuovo così grande…” disse allora l’americano, sorridendo amaro mentre l’altro si fermava. “Soltanto che non mi piaci lo stesso, così come quando ti ho visto cadere” ed Arthur sorrise piano, riprendendo a camminare, mentre l’americano si faceva scortare sul porto.

 

Tutta l’Europa guardava Vienna, consapevole che la sorte del continente fosse nelle mani di pochi rappresentanti. Francis si sentiva soddisfatto di essere rientrato nelle trattative, mentre il compito che aspettava tutti loro sembrava più impervio e lungo che mai.

Arthur era arrivato in ritardo quella mattina, si era seduto al suo posto ed aveva ascoltato senza intervenire, sotto lo sguardo attento del suo superiore. Francis aveva trovato la cosa strana, ma era rimasto in silenzio, dopotutto lui faceva la parte del nobile spodestato e non avrebbe avuto senso per lui dire più di quello che già aveva detto.
Alla fine della riunione, sentito il suo Boss, era scappato a cercare la nazione sua vicina, desideroso di sapere di più su una vicenda che aveva tralasciato. Lo trovò nel salone da solo, che leggeva qualcosa, gustandosi il suo the inglese, lontano dai rumori e dal disturbo altrui.
“Oh Mon Cherie, eccoti qui, ti ho cercato tanto!” disse aprendo le braccia ed avvicinandosi a lui, sedendosi con grazia al suo fianco, usurpando lo spazio dell’altro, che nervoso aveva alzato un sopracciglio in maniera contrita. “Potevi girare dall’altro lato Stupid Frog, non sono in vena del tuo gracidare oggi” lo liquidò immediatamente, senza spostarsi quando la mano di Francis gli cinse le spalle, rischiando quasi di fargli cadere il The da mano. “Come sempre amico mio, dimmi un po’ ho saputo che la tua avventura americana si è conclusa con un nulla di fatto!” L’inglese lo guardò senza interesse, prima di annuire. “Quando il tuo Napoleone è caduto, non c’è stato troppo interesse di parlare ed abbiamo concluso” Francis annuì, storcendo il viso in una smorfia poco compiaciuta. “Dì la verità, non sei riuscito a combattere contro il tuo fratellino…” aggiunse incattivito, il tarlo della gelosia a rodergli lo stomaco, Arthur lo vide, scrollando le spalle mentre appoggiava la tazzina sul tavolo. “Non lo saprai mai” concluse guardandolo negli occhi. “Oh Arthur lo fai apposta per far penare il mio povero cuore ingelosito…” e la mano del francese scese sulla sua coscia in una carezza pesante e vogliosa. “Voglio capire perché devo vederti soltanto in queste vesti, era molto più divertente quando ci nascondevamo nelle stive delle navi e…” ma l’inglese gli spinse una mano sulle labbra, zittendolo. “Shut up stupid bastard! Vuoi che qualcuno ti senta?” il francese morse piano le dita affusolate, mentre l’inglese ritraeva la mano come scottato. “Non c’è nessuno Arthur, non preoccuparti, piuttosto…spiegami un po’ perché la mia mano è ancora sulla tua gamba” ed Arthur abbassò lo sguardo sulla mano del francese, per poi guardarlo fisso negli occhi. “So cosa credi, ma non sono in vena, Francis” il francese annuì, sbuffando piano, stringendo ancora l’inglese per le spalle. “Immaginavo, non sei nemmeno combattivo oggi, dimmi perché sei così giù? Dovresti festeggiare” l’inglese scosse le spalle ancora, abbandonandosi contro lo schienale del divano e quindi contro il braccio di Francis, che lo strinse prontamente. “Dovrei è vero” disse solo socchiudendo gli occhi, lasciandosi trascinare piano verso il corpo del francese. “Ahhh Arthur mi spezzi il cuore, ancora con quell’americano?” mormorò l’altro giocoso,  mentre l’inglese sbuffava annoiato, colto sul vivo. “E smettila di essere geloso razza di maniaco, sai benissimo che non ce n’è motivo, abbiamo già affrontato questa discussione…” Francia mugolò apertamente di piacere, socchiudendo gli occhi ed appoggiando la testa a quella dell’Inglese. “Oh C’est vrai, in una piacevolissima maniera oserei dire” la mano scese ad accarezzargli la schiena, mentre il corpo dell’inglese si irrigidiva. “Ma questo non mi spiega perché sei così giù di morale”  l’altro annuì, mentre il francese si raddrizzava, capendo che stava per confidarsi. L’espressione di Arthur pronto a confessare qualcosa, era sempre la stessa, tra il confuso e l’accigliato, con le sopracciglia aggrottate come sotto uno sforzo. “Gli ho detto che siamo nemici, che deve essere una nazione come le altre, che se dovrò gli farò del male” Francis sospirò forte, mentre continuava con la lenta carezza, anche se ormai i loro corpi erano più distanti. “Ma questa cosa  non è vera” continuò per lui il francese, mentre Inghilterra annuiva stranamente pacato. “L’ho cresciuto Francis, significa davvero tanto per me” e Francis rimase in silenzio, fissando il pavimento sotto di loro, l’atmosfera pregna di troppi significati. “Forse lo sa anche lui, sa anche lui che è significato tanto, un giorno vi riavvicinerete” Francis guardò il profilo di Arthur contrarsi, per poi rilassarsi dopo un sospiro pesante. “Non credo visto che sta diventando un idiota scalmanato…” ed il francese sorrise per poi rituffarsi sull’inglese, facendolo cadere sul divano, sotto di lui. “Mi spieghi come faccio a non ingelosirmi se tu ne parli così, mon amour?” Inghilterra si divincolò per poco, prima di sbuffare sonoramente, distogliendo lo sguardo da quello del francese. “Non vedo di cosa dovresti preoccuparti, lui è andato via, tu rimarrai sempre” disse a mezza voce, cogliendo di sorpresa Francis, che si ritrovò a sorridere intenerito, mentre gli passava una mano tra i capelli biondi. “Hai ragione mon petit Arthur” gli disse sorridendo piano, prima che l’inglese ricominciasse a fare resistenza per scappare. “Adesso lasciami idiota,siamo ad una congresso internazionale, non in un casino!” borbotto Arthur, mentre Francia lo teneva saldamente sotto di se, lasciando che le mani vagassero un po’ sulla divisa dell’altro.

“Dì un po’ Arthur, non è che per caso hai cambiato idea sull’ argomento ‘sentirsi in vena’?”

 

 

Prussia ed Austria camminavano verso la sala dell’incontro a passo spedito, quando l’immagine di un Francis ridacchiante li travolse, lasciandoli perplessi.
“Oh Mon Petit era solo un piccolo assaggio!”
“Io ti ammazzo razza di stupido vinofilo francese, corri più veloce che puoi, perché se ti prendo è la tua fine!”
I due si guardarono sospirando piano.
“Sempre la stessa storia quei due…”

 

 

 

 

Commento:

Poteva sembrare una UkXUSA ma ahimè non lo è, rimango fedele alla coppia io. Questo capitolo è stato un parto, ma sarete felici di sapere che ne ho altri tre iniziati, dato che non riuscivo a scegliere quale finire! Che dire, ringrazio Tifawow, red queen e Dark Amy per le splendide recensioni che hanno lasciato ed anche chi ha messo tra i seguiti ed i preferiti questa storia. Spero che vogliate commentare anche questo capitolo!

 

Note:

La guerra è quello anglo americana del 1812, conclusa nel 1814. Il congresso in cui si trovano Francis ed Arthur è ovviamenteil congresso di Vienna del 1815.

Mi sono presa qualche licenza storica anche qui, vogliate perdonarmi.

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