Aima

di alister_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 [Sangue succhiato] ***
Capitolo 2: *** 2 [Sangue rubato] ***
Capitolo 3: *** 3 [Sangue versato] ***



Capitolo 1
*** 1 [Sangue succhiato] ***


 

Nota introduttiva

Questa storia nasce per il contest "Vampires ain't gentle" indetto da LeftEye, a cui si è classificata seconda (o - dato che siamo rimaste solo in tre a partecipare - anche penultima, ma dire seconda fa molto più figo). La traccia presentava tre parametri da rispettare: ambientazione in Romania, vampiro davvero crudele e spietato, morte cruenta di almeno un personaggio.La storia è, ovviamente, già conclusa, perciò chi già conosce me e la lentezza esasperante dei miei aggiornamenti non ha di che preoccuparsi.

 

Disclaimer: è tutto frutto della mia testolina bacata, e vado molto fiera dei miei vampiri perversi e privi di senno, perciò giù le zampe!

 

 


Aima

 

1

 

Che cosa si prova a morire?

Se l'era chiesto spesso, negli anni, con l'ansia tipica di chi ha tutta la vita davanti e ha paura di perderla.

Sofferenza apatica: così si sarebbe risposto in quel momento, se solo avesse avuto la forza di parlare. O di pensare.

La prima volta, aveva avuto paura. Anzi, chiamarla così- paura- era un eufemismo. Era letteralmente terrorizzato: non riusciva a respirare, pensare o muoversi. I suoi sensi erano ottenebrati dal gelo e dal tremore che si diffondeva in tutto il corpo. L'unica sensazione che provava era il dolore lento e lancinante al collo, l'unico pensiero che riempiva la sua testa era la certezza di essere prossimo alla morte.

In quel momento, a distanza di tre interminabili giorni, riusciva a sopportare la tortura con un certo distacco. Aveva avuto tempo per capire che cosa gli stesse accadendo, e aveva avuto tempo anche per accettare l'idea che presto sarebbe morto.

Chiuse gli occhi, mentre il sangue fluiva lentamente via dal suo polso sinistro per posarsi sulla lingua di quella creatura diabolica.

La sua sarebbe stata una fine lenta.

Non aveva fretta, anzi. Si nutriva di lui con una lentezza esasperante, come una bambina che assapora lentamente un gelato al suo gusto preferito.

Le energie incominciavano ad abbandonarlo. Sentiva il suo corpo farsi leggero, inconsistente. La sua mente stava perdendo definitivamente ogni contatto con l'assurda realtà di quella lussuosa stanza d'albergo.

(Chi l'avrebbe mai detto che andando in vacanza in Romania- nella patria di Dracula- sarebbe finito preda di un vampiro...)

Succhiava, e altro sangue abbandonava il suo corpo.

(Chi avrebbe mai pensato che i vampiri esistessero davvero...)

Con la delicatezza di un lungo bacio, leccò i margini della ferita. Neppure una goccia doveva imbrattare il costoso copridivano.

Infine si alzò. Con un scatto rapido ed elegante raddrizzò la schiena e si stirò, soddisfatta. Sul suo viso non c'era neppure un rivolo di sangue e la sua espressione serena la faceva sembrare l'innocenza fatta a persona.

Non per niente l'aveva ingannato.

Lui era solo un turista disorientato e desideroso di fare amicizia- e, perché no, anche di scopare; del resto non ci si imbarca certo in un road trip nell'Est Europa senza un'adeguata scorta di profilattici- e lei, lei l'aveva abbordato in un bar con il più grazioso dei sorrisi. Tutto in lei era incredibilmente grazioso. Era piccola e minuta, con un viso pallido a forma di cuore su cui campeggiavano due occhi scuri e profondi; i lunghi boccoli color noce moscata che arrivavano a sfiorarle i fianchi sembravano provenire da un'altra epoca, e l'impressione era rafforzata dalla gonna a balze che indossava. Una graziosa gothic lolita, aveva pensato. I suoi lineamenti delicati, quasi infantili, in un primo momento l'avevano confuso: non era sicuro che fosse esattamente il suo tipo di donna e neppure che si potesse definire tale una creaturina così esile. Ma quando gli aveva rivolto la parola, tutti i suoi dubbi su gusti ed età avevano perso di significato. Tutto si era confuso, ed era rimasta solo lei, con i suoi occhi penetranti e la sua voce sottile e melodiosa. Non avrebbe saputo dire di cosa avessero parlato per più di un'ora. Il mondo attorno a lui sembrava ovattato ed aveva ripreso consistenza solo quando, tra le eleganti mura di uno degli alberghi più lussuosi di Bucarest, lei aveva trasformato un delicato bacio sul collo in un affondo privo di pietà.

Lentamente, la camera in cui si trovava da quella maledetta sera tornò a delinearsi dinanzi ai suoi occhi. In un fruscio di balze e merletti, la vide coprire con passi lunghi e leggiadri la distanza che la separava dal bagno. Sentì l'acqua scorrere e capì che si stava sciacquando la bocca- o forse lavando i denti- per eliminare ogni traccia del suo spuntino.

Bussarono alla porta. Non mosse neppure un muscolo, perché sapeva che anche quel giorno, come i precedenti, il servizio in camera avrebbe consegnato il pranzo senza neppure accorgersi che un uomo seminudo, incatenato e prossimo al dissanguamento giaceva inerme sul divano.

-Si mangia, Marcus!-, trillò invece il mostro, svolazzando dal bagno alla porta come una ballerina di danza classica.

Esibì il suo sorriso immacolato ad un'ignara cameriera, sfilandole dalle mani il vassoio. Riuscì a posarlo sul mobile più vicino senza dover aprire la porta più del necessario. Marcus rimase immobile sul suo divano, i muscoli rattrappiti che tornavano a dar segni di vita provocandogli fitte di dolore per la posizione forzata in cui si trovava da ore. Era inutile sforzarsi di muoversi o fare rumore: attraverso uno spiraglio così sottile, la donna di servizio non avrebbe potuto vederlo neppure torcendo il collo, e del resto, se anche l'avesse notato, Ivory sarebbe di certo riuscita a convincerla che tutto andava bene con un sorriso o una parola gentile, nello stesso modo in cui aveva convinto lui a seguirla.

Ivory. Così si chiamava il demonio.

“E' il nome che mi sono scelta io”, gli aveva detto lei, qualche sera prima. Sembrava che traesse una sorta di sadico divertimento dal chiacchierare amabilmente con lui dopo averlo ferito e torturato. “Quando devi passare l'eternità con un nome, è consigliabile che almeno sia raffinato. Vivere quattrocento anni con il mio nome di battesimo sarebbe stata una tortura insopportabile”.

-Tutto bene, grazie! Il servizio è davvero eccellente, lo riferisca a chi di dovere!-

Congedata con l'ennesimo sorriso diabolico la cameriera, Ivory tornò a concentrare la sua attenzione su di lui.

-Ecco qui!-

Si avvicinò al suo angolo di prigionia portandogli il vassoio con l'eleganza di una cameriera d'altri tempi- con tutte quelle balze nel vestito lo sembrava proprio- e lo posò sul piccolo tavolino vicino al divano.

Marcus non si mosse; a stento gettò un'occhiata a quella che avrebbe dovuto essere il suo pranzo.

-Avanti, non fare quella faccia da moribondo. Non ti ho mica succhiato via l'anima! Una bistecca al sangue è quello che fa per te: con un po' di ferro in più vedrai che ti sentirai già meglio-.

Con un piede, gli avvicinò ancor di più il tavolino.

-E adesso non contrariarmi e mangia-, sentenziò, gelida. -Non ho alcuna intenzione di imboccarti-.

A fatica, Marcus si mise seduto. Quel minimo spostamento gli provocò un fortissimo giramento di testa, tanto che per un istante pensò di essere sul punto di perdere i sensi. Sotto lo sguardo severo della sua aguzzina, si sforzò di impugnare le posate: non erano le catene a rendergli gravoso ogni piccolo movimento, ma la mancanza di energie. Ciononostante, si diede da fare per tagliare un pezzo di carne e portarselo alle labbra: anche masticare si rivelò uno sforzo sovrumano, e il tempo che gli servì per mandar giù un boccone gli sembrò infinito.

-Bravo Marcus, così mi piaci-, commentò Ivory guardandolo di sottecchi: aveva perso interesse per il suo pasto ed era passata con disinvoltura al suo guardaroba. Con le dita esili accarezzò il bordo di un vestito rosso e bianco, composto da uno stretto corpetto e da una vaporosa gonna a balze.

Mentre era concentrata sui suoi abiti, Marcus cercò di mettere da parte il dolore fisico e la spossatezza mentale per assaporare il suo pasto: avrebbe potuto essere l'ultimo.

-Perchè lo fai?-

Le parole gli sfuggirono dalle labbra senza che neppure se ne rendesse conto. Fu un sussurro, ma le orecchie sensibili del vampiro non ebbero difficoltà a coglierlo.

-Che intendi, Marcus?- chiese, e tornò a prestargli attenzione con rinnovato interesse. Il fatto che le rivolgesse la parola doveva essere per lei un'interessante novità, una nuova possibilità di appagare il suo ego sostituendo i monologhi che era solita tenere con una vera e propria conversazione.

Perchè mi dai da mangiare? Perchè mi tieni incatenato al tubo del lavandino in modo che non possa fare più strada che quella che separa il divano dal cesso? Perchè mi parli, perchè mi guardi? Perchè semplicemente non mi squarci la gola e mi dissangui una volta per tutte, come fanno i vampiri nei film, anziché torturarmi pian piano ogni giorno?

Si era fatto quelle domande più di una volta durante quei giorni di prigionia, eppure non aveva mai avuto né il coraggio né la forza di pronunciarle ad alta voce. Così fu anche in quell'occasione: spossato e impaurito, riuscì solo a indicare il suo piatto con un lieve cenno del capo. Ma a Ivory bastò quello per intuire l'intero discorso, e rise.

-Ah, Marcus-, sospirò, gettando all'indietro la chioma folta ed elegante. Marcus, Marcus, Marcus: continuava a ripetere ossessivamente il suo nome ad ogni frase, come se volesse insinuarsi sotto la sua pelle e prendere possesso del suo corpo e della sua anima. Sei il mio schiavo: era questo che in realtà gli sussurrava all'orecchio ogni qualvolta pronunciava il suo nome.

-In poche parole, tu vuoi sapere perchè ho cura di tenerti in vita, dico bene?-

La forchetta scricchiolò fastidiosamente contro la superficie liscia del piatto mentre mancava un boccone e annuiva, cercando di celare il disagio che lo paralizzava.

Lei rise, ancora.

-Hai visto troppi film, Marcus. Non tutti i vampiri sono dei pazzi assetati di sangue che saltano alla giugulare del primo malcapitato che incontrano, sai? All'inizio è così. I vampiri appena trasformati sono così bramosi di sangue che dissanguano chiunque capiti loro a tiro. E non sono mai sazi, mai. Ma io, caro Marcus, io sono in giro da parecchio tempo e non ho più queste turbe giovanili-.

Lo fissò, con occhio critico, e lui cercò in ogni modo di sottrarsi a quel contatto, pentendosi e maledendosi per essersi lasciato sfuggire quella domanda: si ostinò a fissare il suo piatto, ormai quasi vuoto, ma Ivory continuò a scrutarlo imperterrita.

-Cercherò di spiegartela in maniera più comprensibile-, riprese, senza sembrare minimamente intenzionata a lasciar cadere l'argomento. -Sia i vampiri che gli umani si nutrono, okay? Soltanto mangiano cose diverse: i vampiri il sangue, e gli uomini... La carne. Mangiano anche dell'altro, ma la carne è essenziale, ne convieni?- Marcus, ancora una volta, fu forzato e si forzò ad annuire, e lei riprese subito il suo discorso. -Bene, quindi gli uomini mangiano carne, carne che comprano al supermercato o dal macellaio. La comprano, Marcus, la mettono in frigo, e quando hanno voglia di mangiare li basta tirarla fuori e buttarla qualche minuto in una padella. Facile, no? Pensa un po' se ogni volta che ti viene fame dovessi uscire e andare a cacciare una vacca, Marcus: non sarebbe una gran rottura? Sei lì, con i crampi allo stomaco, e invece di avere la cena in frigo devi andare a procacciartela con le tue sole forze. Ecco, per me è la stessa cosa: perchè mai dovrei darmi da fare per adescare qualche ben giovanotto ogni volta che sono affamata quando posso avere uno spuntino sempre a portata di mano?-

Uno spuntino. Ecco che cos'era lui, il turista incatenato pieno di lividi e morsi, privo di energie e forze: la merenda di un vampiro.

-Sai, Marcus, di solito c'è chi pensa a procurarmi il cibo prima ancora che senta l'esigenza di nutrirmi. A casa, nel mio palazzo a Praga, ho sempre a portata di mano tutto ciò di cui ho bisogno. Ma ora che sono in trasferta in terra straniera mi devo arrangiare, e questa è la soluzione più pratica.-

Quindi finchè fosse rimasta a Bucarest, lui sarebbe rimasto vivo. Come spuntino, come soluzione più pratica, ma comunque vivo. La domanda che sorgeva spontanea era dunque questa: quanto si sarebbe fermata ancora? Quanto gli restava da vivere? Perchè fosse ancora così attaccato alla vita in una situazione tanto disperata, non sapeva spiegarselo.

-Ma ora, Marcus-, riprese lei, e volteggiò di nuovo fino al suo guardaroba. Prese in mano il vestito bianco e rosso di poco e prima e subito dopo ne afferrò un altro di un cupo blu notte. -Aiutami a scegliere. Ho un appuntamento con un vecchio amico, e ho proprio bisogno di un parere maschile-.



 

 

 

 

 

 

Postilla conclusiva:

Tengo molto a questi personaggi, quindi è altamente probabile che il mio Livejournal sia presto infestato da post che riguardano loro e più in generale la trama di questa storia.

Sulla mia pagina Facebook trovate invece aggiornamenti e varie!

 

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Capitolo 2
*** 2 [Sangue rubato] ***


 

Aima

 

 

2

 

 

Uno dei vantaggi di avere più di quattrocento anni? Difficilmente si devono chiedere indicazioni stradali, anche se ci si trova a muoversi per le ampie e caotiche strade di Bucarest in cerca di un'imprecisata scuola superiore.

Si muoveva agile e leggiadra tra i passanti, guardandosi attorno con sguardo vispo. Era così bello trovarsi lontana da casa, per una volta, fuori da quella sontuosa reggia in cui era prigioniera, assoggettata alle rigide gerarchie della sua famiglia. Ad un estraneo- ad uno come Marcus- poteva sembrare un paradosso che una creatura come lei avesse il permesso di allontanarsi da Praga solo in determinate circostanze; eppure, per quanto le dolesse ammetterlo, il suo stesso status di vampiro plurisecolare, proprio perchè le conferiva l'onore e il privilegio di essere annoverata tra i pochi Nobili della Repubblica Ceca, segnava anche la sua condanna ad un'esistenza di dolorose rinunce e odi a stento repressi. Non importava quanto fosse forte, veloce e letale in confronto agli umani e a gran parte degli stessi vampiri; se paragonati ai settecento anni di giochi di potere e di sangue di Damien, i suoi quattro secoli non valevano nulla. Oltre l'alto portone di legno della loro reggia, era lui a comandare, e lei non poteva farci niente, almeno fintanto che non fosse riuscita ad eliminarlo e ad impossessarsi del potere, nello stesso modo in cui lui aveva fatto fuori suo fratello per prendere il suo posto di capo.

Il cielo di Bucarest risplendeva di un tenue chiarore diffuso e quella tonalità chiara e discreta d'azzurro era una piacevole distrazione dalle nuvole plumbee e gonfie di pioggia che erano solite infestare Praga per gran parte dell'anno. Una lieve brezza sfiorava il suo braccio lasciato parzialmente scoperto dalla camicia a mezza manica, ma quel primo segno autunnale non intaccava in alcun modo la sua pelle abituata a un freddo eterno e profondo.

La città era un piacevole contrasto di nuovo e vecchio, di verde e grigio, e pulsava di vita, nei veicoli che riempivano le ampie carreggiate, nei cittadini che si avvicendavano sui marciapiedi puliti e costeggiati da aiuole curate.

L'occhio le cadde su una vecchietta dall'aria spenta. Avvolta in uno scialle scuro, era curva dietro un banchetto pieno di ciambelle dalla forma irregolare. Covrigi, pensò, e per un attimo la mano fredda di suo fratello che gliene porgeva uno le sembrò vicina, viva, reale. Ricambiò con un sorriso e una manciata di monetine lo sguardo vacuo della vecchia, e il suo viso solcato da una ragnatela di rughe si raddolcì per un istante.

Ivory si portò lentamente la ciambella alle labbra. L'aveva già fatto, in un'altra vita, quando per la prima volta aveva calpestato il suolo di quella città, allora completamente diversa. Suo fratello le aveva comprato un covrig e gliel'aveva offerto senza dire una parola. Allora lei l'aveva morso timidamente, e quel sapore dolciastro le era sembrato il migliore che avesse mai assaggiato. Era stato il suo ultimo pasto da umana: quella sera stessa, suo fratello l'aveva strappata alla sua vita miserevole, vampirizzandola proprio nella terra dei vampiri. Forse per questo il ricordo di quel pasto frugale consumato per strada persisteva vivido a discapito dei secoli; o forse quella ciambella storta le era parsa tanto speciale solo perchè a porgergliela era stato suo fratello, quel fratello che le aveva dato la vita e che ora le era stato strappato via.

Chiamarlo fratello era improprio. Il sangue li aveva uniti, ma solo nell'atto del trapasso dalla vita alla vita dopo la morte.

Le piaceva inventare storie, da viva. Bugie, per la precisione, innocenti bugie per darsi un tono di fronte agli altri orfanelli che vivevano per le strade di Praga agli inizi del diciassettesimo secolo. Così un giorno, per rendere più credibile la leggenda sulle sue nobili origini agli occhi di quei quattro insulsi mocciosi, aveva additato lui, quell'ufficiale dell'esercito così giovane, bello e biondo da sembrare irreale, e aveva detto: “Lui è mio fratello, e un giorno di questi verrà a prendermi e mi porterà via con sé nella sua reggia”.

Nessuno le aveva creduto, ovviamente, almeno finchè lui non le si era avvicinato, in un'uggiosa mattina d'ottobre, ed aveva iniziato a parlarle come se fosse davvero sua sorella. I suoi occhi chiari avevano penetrato il suo sguardo e le avevano fatto intendere che lui sapeva tutto, conosceva tutte le sue frottole e capiva, la spalleggiava. Cominciò ad andarla a trovare di frequente, e lei, sporca e mal nutrita, si sentiva ogni volta sempre più inferiore alla sua bellezza sfavillante. E quando lui le aveva detto di dover partire alla volta della Romania, l'aveva seguito senza alcuna esitazione. Poco importava che la notte fosse solito intrattenersi con belle giovani dell'alta società che si rivelavano immancabilmente sparite nel nulla il mattino dopo: aveva capito che in lui c'era qualcosa di strano, di oscuro, ma non le importava, perchè finalmente qualcuno l'aveva degnata dell'attenzione che attendeva da sedici anni. E quando aveva condiviso con lei il suo segreto trascinandola con sé nel mondo delle tenebre, ne era stata felice: era finita la sua patetica vita di inutile orfanella, era cominciata la sua esistenza di creatura bellissima e letale. Ma, soprattutto, era al fianco di suo fratello e aveva l'opportunità di restarci per l'eternità: era questo che più l'aveva riempita di euforia.

Dopo quella breve tappa in Romania, avevano girato l'Europa in lungo in largo, mietendo vittime e proteggendosi a vicenda, come una vera famiglia. E poi, anni e anni dopo, erano tornati a Praga, e quello era stato l'inizio della fine.

Diede un piccolo morso alla sua ciambella e masticò con lentezza il boccone, per assaporarlo. Ma non c'era nulla da assaporare: non sentiva niente. Da secoli ormai le sue papille gustative non percepivano altro sapore che quello irresistibile del sangue.

-Stai cercando la tua umanità perduta?-

Una voce beffarda la sorprese alle sue spalle. Senza voltarsi, senza scomporsi, gettò il covrig quasi intatto in un cestino della spazzatura.

-Non mi manca la mia umanità. M'interessa il progresso, non il regresso-, replicò, asciutta. -E comunque non è molto carino prendere alle spalle una ragazza-.

Si voltò con uno scatto repentino del capo e si ritrovò davanti il sorrisetto sardonico che si aspettava di vedere. Biondo, pallido e slanciato come sempre, Lysander Von Rilken le si affiancò lungo l'ampio marciapiede. Indossava una lunga giacca grigia sotto la quale spuntava l'orlo arricciato di una camicia bianca d'altri tempi. I capelli chiari, che gli sfioravano morbidi le spalle, ondeggiavano elegantemente al ritmo del suo passo rilassato e splendevano come oro sotto i raggi di quel sole settembrino.

-Ero stufo di aspettarti. Ammettilo, ti sei persa-.

-Certo che no. Io non mi perdo mai, sei tu che mi dai appuntamento in luoghi insulsi. Mi spieghi che diavolo dobbiamo fare in una scuola?-

Si voltò per rivolgergli al meglio il suo sguardo inquisitorio, ma lui l'afferrò improvvisamente per un polso e la costrinse a fermarsi. Un autobus le passò davanti a meno di due centimetri dalla punta dei suoi piedi e fece svolazzare la gonna del suo scamiciato. Quando, subito dopo, una macchina quasi le sfiorò un ginocchio, si decise a fare un passo indietro. Alzò lo sguardo, e sbuffò: semaforo rosso.

-Attenta-, le sorrise mellifluo Lysander lasciandole andare con delicatezza il braccio.

-Si sarebbe spaccato l'autobus, non certo io-, commentò lei a bassa voce, seccata: odiava essere redarguita. Nonostante avesse quattrocentoventidue anni suonati, la gente si ostinava a trattarla come una bambina solo perchè aveva conservato il viso da bambola che aveva da adolescente.

-Certo, ma non sarebbe il miglior modo di passare inosservati, non credi? Se non vogliamo dare troppo nell'occhio, è bene uniformarsi alle abitudini della massa-.

-Parla quello che indossa ancora le stesse camicie che sfoggiava nel Settecento-.

-Touchè-, le concesse Lysander con le labbra distese in un altro sorriso, che però si spense non appena captò il pericolo. Ivory si era infatti allontanata furtiva per piazzarsi davanti alla vetrina di uno negozio di oggetti rari e antichità e i suoi occhi scuri già luccicavano di gioia.

-Che delizioso parasole!-, disse, raggiante, e Lysander si trovò costretto ad afferrarla di nuovo per un polso.

-Dopo. Ora non abbiamo tempo-, la liquidò, trascinandola via dal negozio. -E poi gli anni in cui dovevi proteggerti dalla luce del sole sono passati da un pezzo-.

-Il fatto che sia un vampiro plurisecolare e ben nutrito non significa che non sappia apprezzare e desiderare dei begli oggetti. Comunque sia, non mi hai ancora detto che abbiamo di tanto importante da fare!-

-Che impaziente-. Lysander alzò per un breve istante gli occhi al cielo. Più volte Ivory aveva cercato di capire di che colore fossero, ma senza successo. Nelle sue iridi si mescolavano l'azzurro cristallino di una fonte d'acqua e il cupo verde di un fondo di bottiglia, e dietro quelli che sembravano due gelidi pezzi di vetro splendeva, discreta e pericolosa, una scintilla rossa che sapeva di sangue.

Le indicò con le dita lunghe e affusolate un edificio pochi metri più avanti. La famigerata scuola, pensò sarcastica, adattando la sua andatura al passo svelto che aveva adottato il suo accompagnatore.

Lysander aggirò la porta principale- sul quale scorse di sfuggita una locandina colorata su cui troneggiava la sigla di un'associazione che non conosceva- e si fermò di fronte alle ampie finestre che davano su un aula per le conferenze e gli incontri extra-scolastici. Una quarantina di ragazzi sedeva assorta in un silenzio annoiato, mentre un uomo sui trent'anni dall'aspetto elegante teneva il suo discorso. Lysander le indicò con il mento leggermente appuntito l'attrezzatura per il prelievo del sangue alle spalle del relatore e lei, incuriosita e accigliata, tese l'orecchio e prestò attenzione alle parole di quello strano individuo.

Sapete perchè è importante donare il sangue? Sapete quante malattie necessitano di continue trasfusioni?”

Spalancò gli occhi, perplessa, mentre Lysander scuoteva il capo con una smorfia di disgusto impressa sul viso. Restarono ancora qualche minuto in silenzio, sfruttando i loro sensi da vampiri per ascoltare senza alcun problema il discorso dall'esterno.

La Romania è uno degli ultimi paesi europei in quanto alla donazione del sangue e ciò significa che è necessario importare dall'estero un considerevole numero di sacche. Il che ci espone a rischi pericolosi, in quanto non possiamo essere certi della provenienza e dell'affidabilità di quel sangue. Per questo è particolarmente importante donare il sangue! Voi che siete giovani dovete essere sensibilizzati al problema della donazione del sangue, perchè voi siete il futuro! Quando i pochi attuali donatori saranno troppo vecchi per poter donare, come farà un Paese già in difficoltà come questo a coprire il suo fabbisogno interno, se nessun giovane prenderò il loro posto? Per questo sono qui, per farvi capire che il futuro è nelle vostre mani! Allora, chi si fa avanti?”

Un silenzio stagnante ed imbarazzante calò tra la platea mentre l'uomo scandagliava i presenti con un sguardo a metà tra l'indagatore e l'accusatore. Qualche ragazzo bisbigliava con il vicino di posto- sussurri impercettibili sul che schifo, non ci penso neanche che non sfuggirono alle orecchie fini di Ivory e Lysander- qualche altro puntò lo sguardo colpevole sul pavimento, nella speranza che qualcuno si facesse avanti o lo togliesse da quella difficile situazione. Al sensibilizzatore sfuggì un sospiro abilmente calcolato, e dal pubblico si alzò un giovanotto alto e aitante, che, tra lo sguardo ammirato e preoccupato dei presenti, si fece largo fino al lettino bianco.

L'uomo, prima di penetrargli la vena e succhiargli artificialmente via il sangue per immagazzinarlo in una sacca, gli pose le solite domande di routine- se avesse preso farmaci di recente, se avesse qualche malattia particolare...- con una nota di urgenza nella voce che acuì i sospetti di Ivory. Sospetti che trovarono una conferma quando il sangue iniziò a sgorgare da quel braccio giovane e pieno di vita e nello sguardo dell'uomo si accese una scintilla famelica che ben conosceva.

Si voltò incredula verso Lysander, con gli occhi spalancati e la bocca contratta in un'espressione che esprimeva tutta la sua indecisione tra una risata e una smorfia di disgusto.

-E' incredibile...- disse, sbattendo le lunghe ciglia scure. -Mai vista una cosa simile. Voglio dire, è decisamente... anticonformista. Ingegnoso, aggiungerei, in un modo abbastanza disperato, ma comunque ingegnoso. Ed è... terribilmente patetico-.

-Patetico, già-, le fece eco Lysander, continuando a fissare con disprezzo la creatura oltre il vetro che a stento reprimeva la sua vera natura.

-Perchè lo fa?-

-Non vuole fare del male alla gente, ma non è abbastanza forte da rinunciare al sangue umano. Così sfrutta tutta la sua intelligenza da scienziato per architettare questi fantasiosi stratagemmi-. Scosse la testa in un moto di stizza e le lanciò un rapido sguardo con la coda dell'occhio. -Mi stupisco che non vada a pregare le donne con il ciclo di lasciargli leccare il loro sangue mestruale-.

Ad Ivory sfuggì una risata per la battuta e un sonoro bleah all'idea.

-Che razza d'immagine dà al mondo di noi! La sua esistenza è un insulto per ogni vampiro-, proseguì imperterrito Lysander, e il suo sguardo questa volta si strinse attorno a quella figura che fissava con cupidigia le vene pulsanti di una ragazza che aveva coraggiosamente seguito l'esempio del suo compagno di classe. Le sue pupille si ridussero a due fessure, e Ivory riconobbe in quegli occhi inclassificabili l'istinto del cacciatore che si preparava a balzare sulla sua preda.

-Immagino tu sia qui per porre rimedio a un tuo sbaglio, vero?-, chiese, seria.

-Sì-, le rispose lui lentamente, prima di decidersi finalmente a riportare il suo sguardo su di lei -E dire che sembrava così promettente. John Harris, inglese, nato a Londra agli inizi del Novecento, scienziato di discreta fama con la passione per gli studi di geologia che allora andavano tanto di moda. Mi ricordo ancora dell'entusiasmo con cui mi parlò dei milioni di anni che ci mette una roccia a formarsi. Non era semplicemente appassionato al suo lavoro, ne era... ossessionato. Pensa, quando mi rivelai a lui per quello che ero, mi pregò di trasformarlo. Voleva vivere abbastanza a lungo da osservare con i suoi stessi occhi quei fenomeni che aveva passato la vita a studiare. L'idea che il mondo stesse continuando a trasformarsi ad una velocità troppo lenta perchè i suoi occhi umani potessero scorgerne i segni lo tormentava. Per questo mi chiese a gran voce l'immortalità, e io gliela diedi-.

Con quella conclusione, Lysander diede sfogo a tutta la sua innata teatralità e le strappò un sorriso: erano così simili, a volte.

-Trasformi sempre gente strana, Lysander-, gli disse, con il tono comprensivo che una mamma userebbe con un figlio che combina troppe marachelle.

Lui non ne sembrò affatto turbato, e, anzi, sfoggiò un sorriso smagliante che cancellò la luce assassina che brillava nei suoi occhi sostituendola con un lampo di assoluta compiacenza.

-Vedessi la mia ultima creatura-, disse, entusiasta. -Una studentessa di una di quelle odiose e rigide scuole femminili private di cui è piena zeppa la Germania. L'emarginata della situazione, con tutte le compagne di classe che la prendevano in giro dal mattino alla sera per il suo aspetto anonimo e la sua anemia. La prima cosa che ha fatto non appena si è risvegliata come vampiro è stata prendersi la soddisfazione di trucidare quel branco di puttanelle. Mi è così grata di averle concesso la possibilità di avere finalmente la sua rivincita che ora mi è più fedele di un cagnolino. Fa' qualsiasi cosa io le ordini, ed è così squisitamente... sanguinaria-.

Di nuovo, Ivory rise. Lysander era sempre stato decisamente perverso, anche per i canoni di un vampiro. Per nutrirsi seguiva l'esempio della maggior parte dei suoi simili e adescava con il suo fascino innato donne belle e giovani che seduceva e dissanguava nel giro di una notte. Ma ciò che gli procurava davvero piacere era cercare tra la folla la sua prossima vittima, osservarla discretamente da lontano per settimane, silenzioso come un'ombra, aspettare il momento adatto di agire e rivelarsi ai suoi occhi, e affondare finalmente i canini nel suo collo, succhiando via ogni goccia di sangue con esasperante lentezza. E poi, poco prima che gli occhi della preda si chiudessero per sempre, mordeva con i canini ancora sporchi di sangue il suo stesso polso e lasciava sgorgare nella gola del moribondo il suo sangue. Era quello il suo hobby: cercare soggetti interessanti da tormentare e trasformare, per poi vedere come si sarebbero comportati una volta rinati come vampiri. Nutrirsi era solo una piacevole necessità; era questa la sua vera passione, e lui la seguiva senza alcun freno, girando l'Europa da più di trecentocinquanta anni alla ricerca di individui che destassero la sua curiosità. Ivory gli invidiava tutta quella libertà: pur essendo annoverato tra i Nobili della Germania, Lysander era libero di fare ciò che preferiva spostandosi dove più gli aggradava. Anzi, nel castello in Westfalia che avrebbe dovuto essere la sua residenza primaria trascorreva ben poco tempo: questo perchè, in quanto unico rappresentante dei nobili di quella zona, non doveva rispondere a nessun altro all'infuori di sé stesso. Ecco i vantaggi di abitare in un Paese con più Casate di Nobili, pensò Ivory con invidia. In ogni caso, il suo essere così malsanamente deviato faceva sì che la maggior parte dei vampiri lo guardassero con un misto di sospetto e disappunto, proprio come guardavano lei, il vampiro con la faccia d'angelo che coltivava l'estetismo più che il culto del sangue. Probabilmente era per quel motivo che la loro amicizia durava da oltre tre secoli: il loro essere stravaganti, per così dire, li aveva fatti andare d'accordo sin dal primo momento.

-Invece il caro dottor Harris fu una vera delusione. Certo, all'inizio della sua nuova vita era smanioso di sangue come tutti i giovani vampiri, ma poi, col tempo, il suo lucido pragmatismo è tornato a farsi sentire e lui si è trasformato nel piagnone che vedi in quella sala. Ha dimostrato tutta la sua ingratitudine sparendo nel nulla senza neppure lasciarmi un messaggio d'addio. Che stupido maleducato. Si è illuso di poter sfuggire al suo creatore, e invece io non ho mai smesso di tenerlo d'occhio. Ora che si è messo a girare l'Est Europa fingendosi il promotore di un'associazione per la raccolta del sangue che cambia sigla ad ogni Paese non posso più lasciar correre. L'unico merito che gli rendo è quello di riuscire ad occultarsi abbastanza bene: stampa i volantini, si prepara il suo esilarante discorsetto su quanto sia importante il sangue, affascina presidi e insegnanti di turno perchè non pongano troppe domande e gli accordino il permesso di tenere i suoi stupidi incontri con la gioventù del luogo. E, una volta fatta scorta di sangue, taglia la corda e passa ad un'altra città, o ad un altro Paese, prima che le sue attività inizino a destare sospetto-.

-Tutto chiaro-, disse Ivory, mentre stringeva gli occhi per cogliere il suo pallido riflesso nel vetro della finestra e accertarsi che i suoi capelli fossero in ordine. -Tranne una cosa. Quale sarebbe il mio ruolo in tutto questo?-

Lysander sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, uno di quelli che elargiva con generosità alle donne che voleva prima portarsi a letto e poi uccidere, e le sistemò dietro l'orecchio un boccolo ribelle, sfiorandole in una carezza fredda e lasciva la pelle vellutata del collo.

-Neppure io voglio dare nell'occhio, Ivory. Il tuo ruolo è quello di tenermi compagnia mentre aspetto il momento adatto per smembrare quel rifiuto ambulante, liebe-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Postilla conclusiva:

Io ho una mia particolare idea della fisiologia dei vampiri, che credo abbiate dedotto dalla lettura.

In ogni caso, in fondo al prossimo capitolo pubblicherò una sorta di nota con tutte le specificazioni del caso!

L'idea dei covrigi mi è venuta leggendo il blog di LeftEye, Erasmus in Romania

Grazie a Carmilla e a Chiara per i commenti!

Ricordo a tutti (?) la mia pagina Facebook!


 

 

 

 

 

 


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Capitolo 3
*** 3 [Sangue versato] ***


 Aima

 

3

 

 

Fu un movimento del tutto casuale. Mentre l'ennesimo studente si sedeva sul lettino pronto a sottoporsi al prelievo, alzò lo sguardo. E li vide: due pezzi di vetro che lo fissavano senza dargli possibilità di scampo. Dentro quelle iridi fredde era racchiuso tutto ciò da cui era fuggito e continuava a fuggire. Il desiderio di uccidere, la soddisfazione di infliggere sofferenza, l'istinto di cacciare e braccare la preda: la natura del vampiro.

Si sentì gelare, come se gli occhi di ghiaccio che lo scrutavano senza pietà si fossero frantumati in mille schegge e l'avessero colpito e trapassato in ogni fibra del suo essere. Per la prima volta dopo molti anni, John Harris provò paura.

Impossibile che fosse lì per caso. Per tutti quegli anni si era illuso di essergli sfuggito, ma adesso capiva: era stata solo per sua gentile concessione che era sopravvissuto fino a quel momento. Gli aveva concesso l'immortalità ed ora era venuto a riprendersela.

Lo vide increspare le labbra in un sorriso crudele, e gli aghi di vetro ghiacciato che lo paralizzavano penetrarono più a fondo. Si concentrò per ascoltare le parole che gli vedeva articolare oltre la finestra.

Pare che il nostro beneamato scienziato abbia notato la nostra presenza”.

Era stato avventato. Si era creduto al sicuro e aveva abbassato la guardia. Era arrivato addirittura al punto di compiacersi per l'ingegnosità e meticolosità con la quale riusciva a procurarsi sangue fresco e umano senza dover fare del male a nessuno. Pensava d'aver vinto grazie alla sua intelligenza. Si sbagliava.

 


 

Era così soddisfacente vedere le persone tremare per causa propria. Un lampo di terrore saettava negli occhi di chi si scopriva vittima e si propagava velocemente per tutto il corpo, come un morbo contro il quale non esiste rimedio. La paura dilagava nel panico più assoluto quando capivano- povere prede- di non avere alcun scampo. Quando si rendevano conto che quella morte che avevano sempre considerata lontana era invece a pochi passi da loro, e li avrebbe raggiunti nel giro di pochi minuti. Il tentativo di fuga era tanto scontato quanto inutile: e quando si trovavano inchiodati al muro, iniziavano a piangere, e a chiedere pietà. Pur di evitare la morte, anche il più orgoglioso svendeva ogni brandello di dignità. E allora ucciderli era ancora più divertente.

Lysander si voltò sorridendo verso la sua compagna. Uno sguardo accigliato era già comparso sul suo viso di bambola, non appena aveva notato un calo della sua attenzione. Era orgogliosa, Ivory, e non digeriva il fatto di passare in secondo piano rispetto ad un insulso pseudo-vampiro di serie Z. Come darle torto.

-Perdonami. Stavi dicendo?-

Con un sospiro, Ivory si ravviò in capelli con una mano, e alzò le spalle magre con movimento quasi impercettibile. Ma il suo tentativo di mostrarsi risentita fu presto sconfitto dal desiderio di appagare il suo ego, e riprese subito a parlare:

-Stavo dicendo che, per quanto inutile, per questa sorta di riunione generale casca a fagiolo per farmi prendere un po' di respiro da quel bastardo di Damien. Credo che la mia antipatia sia reciproca, perchè è stato lui a propormi questo viaggetto in veste di rappresentante della nostra famiglia-, spuntando fuori quella parola, non poté evitarsi una smorfia eloquente. Non aveva bisogno di ribadirgli ancora una volta quanto si sentisse estranea a quell'ambiente ora che suo fratello era stato eliminato all'interno di quelle stesse mura.

-Perchè inutile?-, le chiese Lysander, mentre i suoi occhi tornavano a scrutare sornioni la sua preda oltre la sottile finestra. I segni della paura si stavano manifestando più velocemente di quanto si aspettasse: incurvò le labbra in un sorriso compiaciuto quando vide la mano di Harris tremare e mancare la vena della ragazza seduta sul lettino.

-Oh, andiamo- disse Ivory con sufficienza. -Credi davvero che sia necessaria tutta questa mobilitazione straordinaria solo perchè una decina di umani con manie di grandezza e tendenze suicide hanno fondato una sorta di comitato anti-vampiri? Pensano davvero che sia una minaccia? E poi, tutta questa sceneggiata di celebrare le tradizioni! Non ho nulla contro la Romania, ma che senso ha vedersi nella residenza estiva di Dracula?-

Era esilarante vedere la fronte di un vampiro imperlata di piccole goccioline di sudore. L'espressione sudare freddo era quanto mai azzeccata in quel momento.

-Non svilire così il castello di Bran, liebe. E' elegante, suggestivo e immerso nel verde. Avresti preferito ci riunissimo in quel rudere dimenticato da Dio della fortezza di Poenari?-

La vena sul suo collo iniziava a pulsare. Il desiderio di sangue stava diventando incontrollabile. Anzi, era più di un desiderio: era un bisogno. Se voleva illudersi di sopravvivere anche solo un secondo, doveva nutrirsi. Questo lo sapeva anche un inetto come lui.

-Per carità, no! Non sto contestando il posto, lo so anch'io che Bran è un signor castello, ma tutto questo finto attaccamento a Dracula. Parliamoci chiaro, Vlad era un'idiota. Gran parte dei nostri problemi deriva dal fatto che era un deficiente che non sapeva controllarsi. Lui e tutte le sue stragi e le sue abitudini di farsi vedere troppo negli stessi posti. Certo, gli riconosco il merito di aver messo in giro tutte quelle false credenze sulle bare e la luce del sole che Stoker ha spacciato come oro colato, ma per colpa sua sono trapelate anche informazioni riservate come il fatto che i paletti di legno in effetti fanno male. Solo perchè era uno dei vampiri più vecchi e potenti dobbiamo onorarlo? In fondo è morto, e ciò avvalora la mia tesi sulla sua idiozia-.

Fremeva per porre fine alla messinscena che aveva organizzato, e allo stesso tempo prendeva tempo, cercando di trovare una scappatoia. Peccato non ce ne fosse alcuna.

-Non è detto che sia morto, Ivory. Nessuno ne ha notizia certa-.

Ogni suo gesto era diventato tremulo per il nervosismo accumulato. Osservarlo era un vero spasso.

-Dai, Lysander, lo sai anche tu che un tizio tanto esibizionista non sparisce nel nulla per più di cento cinquant'anni. Probabilmente i suoi cari familiari hanno trovato il modo di farlo fuori per prendere il suo posto. Dovresti saperlo che le lotte dentro le mura di casa sono frequenti, anche se proibite-.

Il desiderio di porre fine in fretta alla tortura aveva preso il sopravvento. A volte l'attesa è tanto snervante da far correre incontro alla morte.

-Sta congedando i suoi ospiti-, annunciò Lysander con l'espressione di chi già pregusta la vittoria. Vide attraverso il riflesso nel vetro il viso di Ivory farsi di nuovo corrucciato. Doveva dosare attentamente le parole, con un simile concentrato di protagonismo.

-Comunque secondo me non è così sciocco vedersi per discutere di questa nascente organizzazione-, tentò di rimediare, mostrandole che aveva tenuto il filo del discorso. -Con tutte queste nuove tecnologie alcuni stupidi umani possono rivelarsi delle rogne impreviste. E poi con internet le informazioni girano in fretta. Ti stupiresti di quanti siti riportano, non so se per finta o per davvero, istruzioni dettagliatissime su come combattere un vampiro. Il vecchio Abraham è superato-.

Gli studenti iniziarono a muoversi come un'unica entità viva e pulsante. Alcuni raccoglievano lo zaino, altri già s'incamminavano fuori dalla sala lanciando un saluto distratto a questo o quel compagno. Torcendosi le dita fin quasi a staccarle, John Harris seguiva nervosamente la folla, e nei suoi occhi una scintilla scarlatta manifestava chiaramente di rimanere solo per poter finalmente usufruire del nutrimento che aveva raccolto così pateticamente. Il chiacchierio energico di quel gruppo di adolescenti accompagnava i suoi ultimi pensieri- chissà cosa stava pensando una creatura tanto miserabile a un passo dalla fine- e rimbombando contro l'alto soffitto risuonava come un requiem portatore di morte.

-Stai per caso vagamente alludendo alla quella specie di cacciatrice di vampiri da cui sei ossessionato da un po' di tempo?-

Mentre i primi ragazzi varcavano il portone della scuola con la mente già proiettata al pomeriggio, chi con la tranquillità di una giornata finita, chi con la preoccupazione del compito in classe del giorno dopo, Lysander si voltò di scatto verso Ivory.

-No-, disse, secco. -Lei è diversa. Lei è speciale-.

L'immagine di ciò che desiderava possedere e piegare da anni lo investì con la potenza di una vampa di fuoco subitanea e distruttiva, e l'uccisione che aveva pregustato fino a quel momento e che stava finalmente per compiersi gli sembrò al confronto un gesto scialbo e privo di ogni attrattiva. Cos'era quell'invertebrato se paragonato all'unica donna che gli fosse mai sopravvissuta e che gli avesse mai tenuto testa?

-Speciale, eh?- gli fece eco Ivory con un sorrisino divertito. -E che le farai quando riuscirai a prenderla? La ucciderai? Ti nutrirai di lei? La violenterai?-

Il patetico reietto, non appena la sala si era svuotata la sala, era sparito nel bagno attiguo portando con sé qualche sacca di sangue. Nel frattempo, gli ultimi professori lasciavano l'edificio scambiandosi lamentele sulle proprie classi.

-Tutte e tre le cose, nell'ordine inverso. E' tempo di agire, Ivory. Vuoi l'onore di ammaliare il personale scolastico e convincerlo a levarsi dai piedi prima di diventare testimone di un feroce scontro tra vampiri?- chiese Lysander, e sfoderò un sorriso galante. Il suo orecchio percepiva la foga con cui Harris stava cercando di saziarsi, nella vana speranza di riuscire a tenergli testa, e questo riaccese la sua eccitazione.

Ivory scosse le spalle, e dal suo sguardo annoiato era chiaro che non vedeva l'ora che quel regolamento di conti tra uomini finisse per poter andare a fare compere.

-Perchè no?-, sospirò. -Almeno farò qualcosa anch'io-.

 



Ancora.

Il sangue scivola giù nella sua gola come un fiume in piena. Sacca dopo sacca, beveva senza mai dissetarsi, senza mai saziarsi.

Era la paura che lo rendeva quantomai vorace. Combattuto tra la consapevolezza che quello era il suo ultimo pasto e la speranza di assumere abbastanza sangue da riuscire a tener testa al suo carnefice, non riusciva a far altro che continuare a bere.

Strappò con un gesto frenetico un'altra sacca e se la portò alle labbra. La sua mano tremò e una macchia scarlatta si allargò a vista d'occhio sulla camicia inamidata. L'ansia aumentò: sentiva i suoi passi nel corridoio. Pochi secondi e avrebbe raggiunto l'aula conferenza. Quella stessa stanza in cui aveva messo in scena il suo spettacolo sarebbe diventata il palcoscenico della sua uccisione.

Leccò avidamente le gocce color cremisi rimaste sul fondo della busta, mentre sentiva il sangue appena assunto pompare nel suo organismo e infondergli nuova forza.

Il suono secco della tapparella che si chiudeva lo avvertì dell'arrivo di Lysander. Scattò in piedi. Il cuore batteva a velocità sovrumane, in un misto di terrore ed euforia.

A passi lenti, uscì dal bagno, gli angoli della bocca che ancora recavano le tracce del suo spuntino.

Lysander lo attendeva in piedi al centro della sala, accanto alla terza fila di sedie: le sue dita ancora giocavano con il cordino delle veneziane e, nella penombra della sala, la sua pelle chiara e i suoi capelli color grano risaltavano di uno splendore inquietante. In fondo all'aula, a poca distanza dalla porta, la sua accompagnatrice lo fissava con aria annoiata.

Il volto del suo creatore si aprì in un ghigno.

-John-, sibilò voltandosi verso di lui. -Da quanto tempo non ci vediamo-.

Quella voce, che non sentiva da quasi sessant'anni ma che non aveva mai smesso di tormentarlo nei suoi incubi, gli provocò una nuova ondata di brividi lungo la spina dorsale.

-Immagino tu sappia perchè sono qui-.

Dritto al punto. Non aveva voglia di giocare. Aveva già aspettato troppo per perdere altro tempo con i convenevoli: non riusciva a pensare ad altro che a come ucciderlo, John glielo leggeva negli occhi.

-Non puoi uccidere un vampiro, Lysander-. Si stupì lui stesso della fermezza con cui pronunciò quelle parole: la forza della disperazione, si disse, e si aggrappò con tutte le sue forze a quell'ultimo e ridicolo tentativo di salvarsi la vita. L'astuzia era l'unica arma che potesse utilizzare contro la crudeltà del suo nemico. -Va contro le regole-.

Era vero. Anche i vampiri avevano le loro leggi non scritte, la più importante delle quali vietava di uccidersi a vicenda: anche se erano più forti e pericolosi degli umani, numericamente erano molto inferiori. Per questo era necessario alla loro sopravvivenza che fossero discreti e non si ammazzassero a vicenda. Per questo, per i loro giochi di potere a palazzo, i vampiri più antichi e potenti si ammazzavano nel modo più discreto possibile.

In fondo alla sala, il viso di Ivory si incupì. La vera regola che vigeva tra di loro era ignorare le piccole infrazioni che si commettevano di tanto in tanto: era meglio lasciar correre un solo ed insignificante omicidio, piuttosto che puntare i piedi e provocare conseguenze ben più gravi. Nessuno, a parte lei, osava imputare a Damien l'omicidio di suo fratello, per quanto palese fosse. L'intera comunità di Nobili d'Europa era d'accordo nel riconoscere in Damien il legittimo successore di Andrè, morto per cause naturali, e Ivory aveva dovuto mettere da parte le sue accuse per salvarsi la vita e la faccia. Non poteva far altro che sopportare la tortura di trovarsi davanti ogni giorno l'assassino di suo fratello e di dover sottostare al suo volere, e aspettare il momento giusto per usare contro di lui la sua stessa arma. Prima o poi avrebbe trovato il modo di ucciderlo e di farlo passare inosservato: aveva l'eternità dalla sua parte.

In ogni caso Lysander se ne fregava delle regole, e non si premurava neppure di dissimularlo. Questo era un altro dei motivi per cui i Nobili lo guardavano da sempre con un certo sospetto: era troppo eccentrico per i loro gusti.

Una luce di sadica follia aveva ormai preso possesso dei suoi occhi cristallini. Il suo sguardo riusciva a sedurre e ad ammaliare come quello di un incantatore e, un momento dopo, a far ghiacciare il sangue nelle vene come quello del peggiore psicopatico.

-Ma tu non sei un vampiro-, disse, e la sua voce melliflua strisciò nell'ampia stanza come una serpe velenosa. -Tu sei...-

Era il momento.

Un secondo prima, Lysander era ancora accanto alla finestra, al centro della sala, a metà tra John- che fissava negli occhi- ed Ivory, a cui dava mostrava la schiena. Un istante dopo, era alle spalle della sua preda. Il suo sibilo gli accarezzò l'orecchio, paralizzandolo.

-...Un verme-.

John non si voltò. Non ne ebbe il tempo. La sua colonna vertebrale si spezzò con un suono sordo che si mescolò al suo urlo di dolore, e lui finì in ginocchio, la vista appannata, il respiro rotto.

Mentre ancora cercava di capire cosa fosse successo, Lysander gli sferrò un calcio al torace che lo fece volare dall'altra parte dell'aula e gli ruppe al contempo una quantità indefinita di costole. Il suo corpo privo di forze cadde a peso morto contro un armadio, rompendolo in mille schegge di legno che gli si conficcarono nel corpo provocandogli altri spasimi lancinanti di dolore. Fortunatamente, nessuna gli entrò tanto in profondità da trapassargli il cuore.

Le schegge bruciavano come aghi infuocati nella sua carne, ma il fatto che si fosse appena nutrito lo rendeva più forte del solito: il sangue pompava forte nel suo organismo e già sentiva la colonna vertebrale ricostruirsi a poco a poco e permettergli qualche piccolo movimento. Le sue dita si sforzarono di stringere un pezzo di legno lungo una decina di centimetri accanto a lui. Quando, una frazione di secondo dopo, vide gli eleganti pantaloni di Lysander davanti a lui, scattò. Diede fondo a tutte le sue energie per alzarsi, conficcare quel paletto improvvisato nel torace di Lysander e correre quanto più velocemente poteva verso l'uscita, mentre ancora il suo corpo pulsava di dolore per le ferite ricevute.

Una mano gli si piantò sul petto mettendo fine alla sua breve corsa. John abbassò lo sguardo sul viso a cuore di Ivory, che lo fissava con un'impassibilità che sfiorava la noia. Quando lui articolò con le labbra un muto ti prego- non trovava la forza di far uscire la voce dalla bocca- a lei sfuggì un risolino divertito. Era davvero stupido.

Un pezzo di legno che odorava di sangue gli si piantò nella schiena e di nuovo cadde in ginocchio, mentre la sua gamba destra si rompeva con l'ennesimo crack.

-Che pensavi di fare con quel pezzettino di legno?- rise Lysander, spingendolo con una pedata a terra. -Neppure ti sei avvicinato vagamente al cuore-.

John si ritrovò con il viso schiacciato contro il freddo pavimento, sul quale si andava allargando una macchia scarlatta. L'ironia della sorte: nel giro di mezz'ora era passato dal sottrarre con l'inganno il sangue ad un gruppo di adolescenti al sanguinare da ogni parte del corpo, con la carne lacerata da schegge di legno e di ossa. Il grido di dolore che gli uscì roco dalle labbra quando Lysander premette a fondo il tacco della sua scarpa elegante in pelle nera contro le sue vertebre, mandole in pezzi, andò a morire contro le piastrelle che gli studenti di quella scuola calpestavano ogni giorni. Avrebbero posato lì le suole delle loro scarpe anche l'indomani, proprio nel punto in cui lui stava sputando sangue, ignari della dolorosa fine in cui era incorso. Loro ci sarebbero stati, il giorno dopo come un mese dopo, mentre lui, che avrebbe dovuto resistere all'avvicendarsi dei secoli per scorgere ciò che mai l'occhio umano aveva notato, no. Era stato tutto vano: il dolore della morte, lo squallore di vivere succhiando il sangue del prossimo, la rinuncia a tutti i legami con una vita vera... In quel momento stava perdendo tutto.

-Striscia come l'invertebrato che sei!-

Non aveva via di scampo. Neppure riusciva a rialzarsi. Soltanto puntellandosi sui gomiti riusciva ad alzare il viso dal pavimento e a muoversi di qualche centimetro verso le sacche che ancora troneggiavano sul tavolo in fondo alla sala. La sua vista annebbiata riusciva a mettere a fuoco solo il cremisi intenso e il suo cervello anestetizzato dal dolore era in grado di formulare soltanto un pensiero: sangue.

Se solo fosse riuscito a nutrirsi ancora, forse avrebbe trovato al forza di reagire. Le sue ferite avrebbero ripreso a rimarginarsi rapidamente e magari avrebbe persino avuto le energie per correre e tentare la fuga...

-Mi hai stancato-.

Lysander pronunciò la sua sentenza di morte con freddo disprezzo. Se una persona fosse degna di vivere o no, questo lo decideva, nei suoi deliri di onnipotenza nati da secoli di carneficine, in base a quanto fosse interessante, e i suoi criteri di giudizio cambiavano di giorno in giorno: talvolta voleva essere compiaciuto, talvolta sorpreso, altre adulato. Il diritto a vivere di chi si trovava ad incrociare la sua strada dipendeva unicamente dal suo umore e dalle sue inclinazioni del momento. Quel giorno, John Harris aveva deluso Lysander Von Rilken con il suo comportamento pavido e l'aveva annoiato con uno scontro che neppure poteva definirsi tale: per questo moriva.

La mano gelida del vampiro biondo si strinsero attorno al collo dell'uomo al quale, non troppo tempo prima, aveva donato l'immortalità, e lo lanciarono dall'altra parte della sala. La schiena rotto di Harris si schiantò contro il muro dell'aula lasciandovi sopra una grossa ragnatela di crepe e le sue ossa si frantumarono, se possibile, in pezzi ancora più piccoli. Gli occhi gli si riempirono di dolorose lacrime, il respirò gli morì nella trachea, la bocca arsa si riempì di sangue. E un grosso pezzo di legno gli si conficcò nel cuore.

 


 

-Cos'è che avevi detto di preciso sul non dare nell'occhio?-

Lysander, spolverandosi i costosi pantaloni attillati, rivolse ad Ivory un sorriso angelico, che nulla aveva a che spartire con la furia omicida di poco prima. Il sanguinoso assassinio appena compiuto sembrava aver esorcizzato ogni briciolo dell'ira e dello sdegno che l'avevano animato. I suoi occhi cristallini vagarono per l'aula: un paio di armadi rotti, schegge di legno dappertutto, diverse crepe sui muri, sangue a imbrattare il pavimento e un bel cadavere rinsecchito di vampiro proprio nel mezzo della sala. Si era davvero superato.

-Ti ho parlato di quanto la mia nuova pupilla odi per le scuole, no?-, rispose, passando ad aggiustarsi la camicia. -Quando calerà la sera, Annika sarà ben felice di spaccare qualche altro mobile e pasticciare con della vernice spray i bei muri immacolati dell'istituto, e domani gli studenti subiranno interrogatori su interrogatori per trovare il vandalo della situazione. Io mi occuperò di far sparire il cadavere e l'attrezzatura di questo povero imbecille, di cui nessuno si ricorderà-.

-Però-, le scarpe col tacco di Ivory produssero un ticchettio che riecheggiò per tutta la stanza mentre si avvicinava a Lysander. -Un piano geniale-.

Lui sorrise, e annuì.

-Questa sì che è vera intelligenza-, sentenziò, strappandole un sorriso. -E prima che sorga il giorno, ci sposteremo a Brasov. Ormai è ora di rispettare i nostri impegni pubblici. Vieni con noi?-

-Dipende. Avete una macchina?-.

Il sorriso di Lysander si allargò mentre si vantava: -Mercedes nera con vetri oscurati, cara-.

Soddisfatta della risposta, Ivory annuì. Il bagagliaio di una Mercedes era proprio ciò di cui avevano bisogno le sue valigie colme di abiti e scarpe, e, naturalmente, tutti i sacchetti che avrebbe portato con sé il albergo di lì a sera: dopo tutti quegli scontri carichi di testosterone, aveva più che mai bisogno di un gratificante pomeriggio di shopping.

-Lasciami fare le valigie e sistemare qualche faccenda...-, disse, e quell'ultima parola, pronunciata con voluta noncuranza, attirò invece l'interesse di Lysander, che mostrò i denti bianchi ed aguzzi in un sorriso accattivante.

-Immagino tu ti stia riferendo all'umano di cui ti nutri. Lo tieni chiuso nell'armadio nella tua camera d'albergo?-

Una malcelata e perversa curiosità traspariva nettamente dalle parole del vampiro, che pareva aver già trovato qualcos'altro su cui focalizzare la sua attenzione dopo l'uccisione di Harris, ed Ivory decise di assecondarlo.

-Incatenato al tubo del lavandino-, rispose, asciutta. -Nell'armadio non c'è posto-.

-Ci vai a letto?-

Credeva di metterla in imbarazzo andando dritto al punto? Si era forse dimenticato che aveva più di un secolo più di lui? Di sicuro non si lasciava turbare da certe domande, perciò il ghigno che ornava il volto bello e spigoloso di Lysander era quantomai fuori luogo.

-No-, disse, in tutta calma. -E' un tipo troppo furbo, sai. Ha già capito che niente di quello che dirà o farà potrà servirgli a qualcosa: sin dall'inizio si è rinchiuso in una sorta di rassegnata apatia. A dire il vero sta diventando noioso: non cerca neppure di compiacermi. Parlo e non mi ascolta. Per farlo mangiare, quasi devo minacciarlo di morte. Figurati se ci vado a letto: è così terrorizzato che dovrei stuprarlo e sai che non è nel mio stile-.

Si ritrovò a riflettere su Marcus, quel turista che aveva rimorchiato senza troppe difficoltà e che da giorni le forniva il nutrimento che le serviva. Se da una parte la irritava il suo modo di fare scostante, per non parlare di quanto le desse fastidio la sua totale mancanza di tentativi di compiacerla, dall'altra il fatto che avesse abbastanza intelligenza da rassegnarsi alla morte destava in lei un briciolo di ammirazione. Era un ragazzo intelligente, Marcus, non uno di quei finti uomini che, non appena fiutavano il pericolo di morire, si trasformavano in bambocci urlanti pronti a vendere anche la madre pur di salvarsi la pelle. Aveva scelto bene, non c'era dubbio: non era solo bello- la bellezza era certamente il fattore più importante- ma anche dotato di un certo acume.

-E come hai intenzione di sistemare la faccenda?-, le chiese Lysander, realmente interessato.

Le labbra di Ivory si stesero in un sorriso amaro. Per lei- per Marcus- non c'era scelta. Per natura non le piaceva concedere agli altri il privilegio dell'immortalità: ne era gelosa, la considerava una sua peculiarità, e non era ansiosa di condividere con altri ciò che era di sua proprietà. Tuttavia non si trattava soltanto di quello, di egoismo: se anche avesse desiderato trasformare un umano- magari proprio un tipo sveglio come Marcus- non avrebbe potuto far altro che abbandonarlo al suo destino, confuso e affamato. Lei non aveva né la pazienza né la libertà che servivano ad occuparsi di un nuovo vampiro, come aveva fatto suo fratello con lei e come Lysander, nel suo modo distorto, stava facendo con la sua studentessa anemica; il suo destino era quello di non conoscere mai l'altra faccia del rapporto creatore-vampiro e di restare per sempre agganciata al sentimento totalizzante che per secoli aveva provato per Andrè. Forse, se avesse vampirizzato Marcus o qualunque altro ragazzo e si fosse presa cura di lui, questo avrebbe sviluppato per lei una devozione simile a quella che aveva sperimentato in prima persona, e questa prospettiva la lusingava non poco. Avrebbe avuto al suo fianco qualcuno disposto a fare qualsiasi cosa desiderasse, qualcuno che la considerasse il centro del suo mondo: sì, quel pensiero era decisamente gratificante. Ma, semplicemente, non poteva né era in grado di prendersi cura di qualcuno al di fuori di sé stessa. Così, con un'alzata di spalle, rispose a Lysander:

-Nell'unico modo in cui può finire una storia simile. Ovviamente lo ucciderò-.

L'altro vampiro annuì, all'apparenza soddisfatto dalla risposta che aveva ricevuto, e il suo sguardo si spostò alle sacche di sangue che ancora giacevano intatte sul tavolo.

-Vuoi favorire, liebe? Dopotutto è un peccato non usufruire di sangue giovane e fresco-.

Lei annuì, e afferrò al volo la sacca che l'amico le lanciava. Con l'unghia laccata di rosso, l'aprì ad un'estremità, mentre l'altro faceva lo stesso servendosi dei canini appuntiti.

Lysander alzò in alto la sacca, come se fosse un calice colmo di vino.

-Alla vera astuzia-, disse, ammiccandole con un cenno del capo.

Ivory lo imitò e si prese un istante per riflettere sul brindisi da fare. Poi, con un sorriso, si portò la sacca alle labbra e disse:

-Al sangue, che tutto muove-.

E, con un sorriso, reclinò il capo lasciando ondeggiare i lunghi boccoli lungo la schiena, mentre il denso liquido scarlatto si riversava dolce nella sua bocca.

 

 

 

 

 

 

 

Postilla conclusiva

Ecco la fine! Come promesso, ho sblaterato un po' sul mio Livejournal; se vi interessa, QUI.

Come al solito, ricordo anche la mia pagina Facebook ;D

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