L'Ange et sa protégé

di Keyra93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ange ***
Capitolo 2: *** Protégé ***



Capitolo 1
*** Ange ***


Ange

Ed ecco qui un’altra fic sul Fantasma...

Due capitoli, questo col punto di vista della Chris, il secondo con quello di Erik. Due capitoli che ripercorrono un po’ il loro primo “incontro”, quando erano ancora piccini e innocenti... cioè quando lei era innocente, lui dubito... oddio non è che poi Christine non sia più innocente... Insomma da piccoli. Sinceramente è un modo di vedere il loro rapporto che, ora come ora, non condivido; o meglio, non condivido il punto di vista di lei. Il primo capitolo risale, del resto, a ere fa... in ogni caso, spero vi piaccia. Per qualsiasi cosa, dite pure tutto quel che vi passa per la mente. Grazie comunque per la lettura :)

Enjoy.

 

 

Ange

 

Prima che potesse essersene resa conto, le note le avevano cinto l’animo, impedendole di scappare a quel richiamo, rendendoglielo il suo cibo quotidiano, un bisogno più che un piacere tante volte. Ah, quanto tempo era passato da quando aveva sentito quelle parole, quella voce, per la prima volta... Le era sembrato veramente un Angelo, e il suo primo timore si era presto tramutato in certezza: la certezza che, finalmente, suo padre aveva adempiuto alla promessa fattale sul letto di morte.

Le aveva mandato il suo Angelo della Musica.

Era lì, e sembrava quasi un Angelo caduto per sbaglio: per i primi momenti, era esitante, e lei si era sempre chiesta se quello strano abitante dei Cieli non avesse timore. Le era quasi parso che quella voce stentasse a farsi sentire, quando lei chiedeva, tremante, “Chi c’è?”, nel buio della Cappella del Teatro; che provasse timore nel farsi scoprire, e sembrava la voce di uno che si sentisse in colpa, come per aver disturbato il sonno della bimba che era allora.

Disturbato il sonno? Se solo avesse saputo, povero Angelo, come lui glielo stesse restituendo!

Dalla morte del padre non aveva più dormito come una volta, era sempre stata presa dagli incubi e si svegliava, terrorizzata, nelle notti buie e oscure; poi si alzava, in silenzio, e una volta al sicuro piangeva, piangeva e piangeva, di fronte a quella sgualcita foto del padre, che mai aveva fatto giustizia a tutta la bellezza che ricordava in lui, mai aveva fatto giustizia al suo dolce sguardo affettuoso, alle sue carezze di buon padre. E le lacrime sembravano non finire mai, fino a che il sole non spuntava di nuovo, nelle sue maestose e splendenti albe, facendo capolino dalla vetrata dov’era illustrato un angelo; e guardando quei raggi, che illuminavano quella figura con una luce che le pareva ogni giorno un po’ diversa, un po’ nuova, riusciva ad avere la forza di asciugarsi le lacrime, alzarsi e tornare nella sua stanza.

Ma un giorno, chissà perché, si era trovata senza lacrime. Era rimasta in silenzio, davanti a quella foto, e aveva cominciato a riflettere; be’, piccola com’era, c’era ben poco da riflettere! Ma si era sempre ricordata di quel momento di silenzio tutt’intorno a lei, cornice della sua mente che non era affatto silente, nelle ombre della notte nella Cappella; e di come, all’improvviso, si era accorta di una voce. Oh, che voce! Ogni parola le era parsa una carezza, come se piccole gocce di rugiada lenissero tutte le sue ferite, lasciandola a bocca aperta e sorridente, come ormai da tanto tempo non riusciva più ad essere. Come un raggio d’una luce non vista, ma udita, quella voce si era insinuata tra le piaghe del suo cuore, e come acqua scrosciante da una fonte pura e buona sembrava darle una pace che non provava da quando il suo dolce padre era scomparso, da quando non lo sentiva cantare per lei.

Estasiata, aveva quasi smesso di respirare, per non perdere nemmeno un istante di quelle parole prive di musica, ma che parevano formare una speciale melodia senza bisogno di alcun aiuto di strumenti; s’era fatto silenzio nella sua anima tormentata dai peggiori pensieri, e aveva trovato la pace perduta. Eppure, non era passato molto che si era resa conto del lato oscuro di quella dolce magia: quelle gocce di rugiada, d’acqua dolce e sorgiva, non erano altro che lacrime! Lacrime di un Angelo, però!, si era detta piena di rammarico. Allora si era alzata in piedi, e guardandosi intorno si rendeva conto di non riuscire a capire da dove provenisse il suono che tanto l’aveva ammaliata; così, senza fissare lo sguardo in un punto preciso, si era decisa ad arrischiare due paroline:

- Chi c’è?

Di punto in bianco, tutto era cessato. La voce aveva smesso di cantare, la musica che l’era sembrato di sentire sprigionata da quelle parole era terminata, e lei si era ritrovata con l’orribile sensazione addosso di essere sola, e di aver sognato tutto. Per un attimo, si era chiesta se non fosse impazzita, se non fosse andata fuori di sé... un piccolo raggio di sole aveva fatto allora capolino sul pavimento, rischiarando un poco l’aria che la circondava, e accarezzandole il volto, dove una lacrima solitaria si dirigeva leggiadra lungo la sua guancia. Correndo, era scappata via, nella sua stanza...

Per tutta la giornata seguente, non aveva fatto altro che ripensare alla notte appena passata. A quella voce, a quelle lacrime che le avevano portato la pace nel cuore per il loro semplice suono, indescrivibile con umane parole, e poi alla solitudine in cui si era ritrovata, dopo essersi arrischiata a parlare. Quando era arrivata la sera, s’era costretta ad entrare nel suo letto, e a nascondere con le coperte i suoi tremiti, all’idea di ritornare ad ascoltare quel prodigio, di sicuro di un altro Mondo. E quando era stata sicura che tutte le altre bimbe dormissero, s’era alzata e correndo era andata nella cappella, incespicando e chiedendosi cosa avrebbe potuto fare, e poi era arrivata: eccola lì, la foto di suo padre, la vetrata con l’angelo, la stanza buia era tutta lì, nella sua piccola semplicità, oscura come sempre, ad aspettarla. Si era seduta davanti all’immagine dell’angelo, quella volta; si era seduta e aveva aspettato, tentando di dominare tutta l’impazienza del suo piccolo cuore che sembrava impazzito nei suoi battiti frenetici, nell’attesa di quella voce sovrannaturale; e per tutta la notte aveva atteso, ma nulla era accaduto. E all’arrivo dei raggi del Sole, potenti e leggeri come sempre, non aveva visto in loro che un brutto augurio, e per la prima volta in vita sua aveva odiato il giorno. Il giorno che le toglieva la possibilità di sentire quella voce d’Angelo...

Tanti giorni erano passati, nella vana e impaziente attesa, ma nessuno si faceva più sentire. Una notte, era scesa piano, aveva deciso di smettere di correre, ed era arrivata nella Cappella con uno sguardo deciso sul delicato, piccolo volto: si era decisa a dimenticare quella voce, doveva essere stato un sogno, meraviglioso ma terribile, perché nessun Angelo le avrebbe mai permesso una gioia così grande per poi strappargliela, come geloso di un suo tesoro. Ma la decisione che aveva creduto ferma e sicura, quand’era giunta lì sotto, non si era rivelata poi così nella realtà: dopo pochi minuti, lacrime amare avevano cominciato a sgorgarle dai dolci occhi, e sul suo viso sembravano scendere fontane di dolore, piccole gocce che insieme formavano una tempesta nel suo cuore ferito. E presto aveva preso a singhiozzare rumorosamente, e si era presa il volto tra le mani, disperata, chiedendosi cos’avesse mai fatto di così terribile per meritarsi tanti dolori da parte di Qualcuno che avrebbe dovuto spedire i Suoi Angeli solo per il bene degli uomini...

- Chi c’è?

Una voce era risuonata nell’aria, tremante. Tremante di vergogna, come avesse urtato un momento di intimità della piccola stella caduta che giaceva lì in quella Cappella a piangere lacrime disperate.

Lei aveva alzato la testa, e si era guardata intorno, spaventata: che fosse lui?

- Tu sei... il mio Angelo della Musica?

Silenzio. Il silenzio sembrava prenderla di nuovo tra le sue spire, e aveva temuto di provare di nuovo quell’orribile tormento della solitudine, dopo la gioia di aver sentito quella voce ancora una volta.

- ...Sì.

Silenzio. Stavolta la bimba era meravigliata: poteva davvero crederlo? Davvero quell’Angelo era tutto suo, era disceso in terra per cantare per lei, e solo per lei, e davvero avrebbe potuto accompagnarla durante tutto il corso della sua vita, donandole ancora quella pace che aveva provato, giorni prima? Davvero poteva tornare a sperare in quei raggi di luce, in quell’angelo illuminato della vetrata che tanta speranza le tornava a dare ogni giorno, tanta da permetterle di asciugare le sue lacrime?

- Canta per me...

Avrebbe voluto avere quella voce, così limpida e dolce, che sembrava accarezzarla in tenerezze mai provate, e cingerla di sensazioni che mai aveva osato sperare in quei tempi di dolore. E invece quella richiesta le era venuta fuori come un lamento, aveva piagnucolato quelle tre parole come se avesse chiesto dell’acqua dopo giorni di sete incessante, e si era vergognata, e aveva temuto con apprensione mai provata che quell’Angelo l’avrebbe abbandonata di nuovo, troppo nobile per una creaturina indegna com’era lei. Ma poi quelle note erano tornate a posarsi, leggere e delicate, su ognuna delle ferite del suo animo, curandolo fino in fondo; e quelle lacrime erano tornate a pulire tutto ciò che v’era di sporco o indegno nel suo essere, e si era sentita come solo chi può ascoltare le parole del proprio Angelo può sentirsi.

E da quel giorno in poi, aveva imparato a conoscerlo, il suo Angelo, a riconoscere la sua presenza anche in altri luoghi, e a percepire il suo esserle accanto, se e quando lui voleva. E pian piano aveva imparato ad amarlo, in maniera del tutto speciale, come solo un Angelo può essere amato.

Si guardò nello specchio, Christine: non era più una bambina, lo sapeva, eppure quei suoi sedici anni non sembravano tanti, al suo animo umile. Non credeva di essere particolarmente grande, lei, ma era consapevole di essere ormai ragazza, e di avvicinarsi all’età in cui sarebbe potuta essere definita donna.

Ma, ancora, non poteva fare a meno di lui.

La sua voce tornò a farsi sentire nell’apparente vuoto delle pareti, che lei aveva imparato a riconoscere come nascondiglio per quell’essere che, lo sapeva, non era altro che aria e spirito. E lei chiuse gli occhi, e si lasciò andare all’estasi di sentirlo cantare per lei, solo per lei, e per un attimo provò ad immaginare le sue labbra, dovevano essere bellissime per poter sprigionare una magia del genere, perfette, delicate, belle; e poi le sue mani, che sembravano accarezzare un violino non fatto da mani d’uomo, per quel suono così perfetto che ne usciva; e immaginò il suo volto: senz’altro il suo Angelo aveva un volto bellissimo, privo d’imperfezioni e buono, e bello, e incantevole... angelico.

E provò a immaginare i suoi occhi.

Provò a chiedersi come la guardasse, se mai la guardava; si chiese se mai avesse fatto caso, lui, a quanto fosse cresciuta: non era più una bambina, e il corpo di donna che ormai la natura le aveva offerto le aveva dato più volte l’occasione di avere pensieri che la stupivano più di ogni altra cosa. Più volte si era ritrovata a sperare che lui, un Angelo!, potesse abbassare il suo sguardo su una creatura mortale com’era lei, sperando con tutta se stessa di poter essere bella davanti a lui e ai suoi occhi angelici. E ogni volta si rispondeva di non crearsi speranze assurde, senza senso e che non facevano altro che rovinare quei momenti perfetti passati insieme a lui e alla sua voce. E poi si trovava addirittura a sperare che potesse prendere forma d’uomo, con mani e braccia, e che potesse abbracciarla e farle sentire, con sensi che non fossero soltanto udito e parole, un affetto in cui sperava con tutto il cuore. E sperava, sperava, sperava maledettamente e intensamente, in quei momenti, sperava che lui potesse davvero prendere forma mortale, e anche se fosse stato brutto e deforme non avrebbe voluto che un suo abbraccio, una carezza, uno sguardo!

Ma si rispondeva che era impossibile... impossibile che un Angelo si innamorasse di una mortale, e lei era anche povera e normale, comune, non aveva nulla di speciale, si diceva; e cercava di convincersi che fosse vero, che doveva smetterla di cingersi di false e inutili speranze, che non potevano far altro che farla soffrire. Ma quando lui arrivava e la riempiva tutta con la sua voce, perdeva ogni lotta contro quelle speranze: non poteva far altro che essere innamorata di quell’Angelo, a cui doveva tutto, la sua voce, il suo canto, le sue lacrime, il suo sorriso e la sua gioia.

E ancora una volta, un sorriso felice e pieno sulle sue labbra di rosa, si abbandonò al suono di quella voce che ormai la sosteneva e la guidava in ogni passo, ogni decisione, in tutti i giorni della sua vita. Vita da povera e comune donna mortale, ma che aveva il privilegio di sentire la sua voce, la voce del suo Angelo della Musica.

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Capitolo 2
*** Protégé ***


Protegée

Protégé

 

Erik cantava, per lei, ancora una volta.

Tante volte, da quando non era che un bambino, aveva cantato; aveva sempre trovato nel dolce suono della musica un balsamo, effimero purificatore, per quelle sue ferite troppo profonde per guarire del tutto, e così s’era sempre dedicato a quell’arte che era la Musica. Ma allora cantava per se stesso. Non aveva pubblico né ascoltatori, non conosceva il sapore di un complimento o di un canto in coppia, tutto ciò di cui era a conoscenza erano la solitudine e l’oscurità.

Solitudine. Eppure... eppure da quel giorno, il vuoto non l’aveva più sopraffatto. Quel giorno...

Si abbandonò ai ricordi, mentre cantava per lei: c’era stato un giorno in cui aveva cantato per lei, ma inconsapevolmente, senza volerlo. Era salito, quella volta, uscito dai bui sotterranei che ormai gli facevano da casa, e si era recato nei pressi della cappella. Il luogo da cui era entrato, il primo luogo che aveva visto del Teatro dell’Opera quando la sua salvatrice l’aveva fatto fuggire da coloro che l’avevano torturato per anni, che da quel momento aveva considerato come una porta verso un nuovo mondo... verso una nuova prigione, aveva riflettuto amaramente alle volte. Sì, perché in fondo, cos’era quella se non l’ennesima prigionia? Se non un altro luogo dal quale non poteva uscire, nel quale era costretto a muoversi attraverso le ombre... come un insidioso serpente, un infido ragno, come un mostro. E ancora non poteva convincersi di esserlo sul serio! Ma, con gli anni, non aveva saputo far altro che cedere ai continui insulti del resto dell’umanità: sì, lui non era altro che mostruosità, orribile deformazione di quella specie che si definiva da sempre la più grande... e ne era stato convinto, finché non aveva conosciuto lei.

Lei, le sue lacrime, la sua voce... all’inizio così incerta, così debole e piccola; era una bambina, e nient’altro che una bambina... ma del resto, anche lui era nulla più che un ragazzo, e forse era segno del Destino che s’incontrassero...

Quelli erano stati tempi duri; si era ormai convinto che il suo futuro sarebbe stato quello di infestare il Teatro, che come una matrigna lo aveva accolto come casa, ma era pieno di persone che lo odiavano con tutte le proprie forze. La sua vita consisteva in ruberie e scherzi a quei personaggi indegni, che si credevano divinità per i loro soldi ereditati da altri; però aveva la Musica. Ah, sì, questo era vero, la Musica non l’aveva mai abbandonato... da tempo immemore - non avrebbe potuto dire quando essa era entrata nella sua vita - ogni giorno era scandito dalle sue ispirazioni, dai suoi colpi di genio che non riuscivano a staccarlo da un pezzo di carta per appuntare parole e note... e quando era riuscito a terminare il suo organo, tutto, tutto era stato più bello... lo strumento era la prova che lui avesse il potere di fare ciò che voleva: chi altri avrebbe mai potuto costruirne uno di quel genere, così maestoso e tecnicamente perfetto, nelle sue stesse condizioni? Chi avrebbe potuto adornarlo di mille decorazioni, quando egli stesso non aveva mai visto quasi null’altro che le orribili tende di quegli zingari che lo tenevano prigioniero? Chi avrebbe potuto creare note d’infinita bellezza - potenti, passionali, vere - dal prodigioso nulla che costituiva la sua vita fin dal primo respiro di quel piccolo corpo deforme?

L’ironia della sorte era la lama di un coltello fin troppo affilato, sottile e terribile: il suo cuore impregnato di melodie celestiali, la sua voce capace di raggiungere le più alte vette, la sua anima pronta ad aprirsi per accogliere interi mondi, tutto ciò era rinchiuso in un corpo che... in un maledetto, misero, orrendo corpo, che nulla aveva a che vedere con ciò che lui era davvero, nulla! E come l’avevano fatto diventare! Costretto ad uccidere! Sì, sì, costretto! Aveva avuto forse scelta, lui, per cercare di trovare una vita più degna? Non era forse un essere umano anche lui?

Ma quella era una domanda alla quale non poteva ancora rispondere. Perché anche adesso, quando sembrava aver raggiunto un momento in cui la sua vita aveva aspetti... positivi... poteva forse essere chiamato uomo, da lei?

Eccola lì, bella come una dea: un singolo, scuro ricciolo scendeva - morbido - sul suo collo, la pelle - morbida... - era bianca come latte e dall’aspetto di seta, la linea dolce del collo che non formava alcuno spigolo col viso... quelle labbra rosse, carnose, così desiderabili! Come poteva starsene chiuso lì dietro, quando lei faceva sfoggio di una bellezza così divina, ancora non se lo spiegava; evidentemente, un po’ di umanità c’era in quel mostro, se riusciva a renderle questo rispetto e non prenderla tra le braccia ogni volta che la vedeva. Quelle labbra, ah, quelle labbra!..

Distolse lo sguardo dal riflesso di quelle dolci labbra, per evitare di smascherare il suo ardore nella dolce musica che le stava cantando: lei chiuse gli occhi, e lui tornò ad abbassare i suoi su quelle labbra così invitanti, che si levarono in un leggero sorriso adorante. E anche lui sorrise, e cantò con più tenerezza, guardandola oscillare un poco al suono delle sue note. Ecco che ritornava quel ricordo, quel ricordo di lei bambina che lo sentiva piangere... che lo udiva quando nessuno, nessuno aveva mai udito nulla.

Rimembrò ancora quella sera, quando aveva voluto uscire dalle buie mura della sua dimora sotterranea, non per vedere la luce del sole ma per trovare un po’ di pace in una notte più aperta; si era diretto su, sempre più su, e un’inspiegabile malinconia aveva preso il suo cuore. In quel momento, aveva provato il desiderio di una compagnia, magari anche non umana, ma l’aveva provato con tutto il suo cuore: di solito impediva al suo cuore di indugiare troppo in certi pensieri, perché quel dolore infinito era inutile, dannoso fino a renderlo nient’altro che una larva piagnucolante, se avesse davvero guardato in faccia la totale mancanza di umanità della sua vita. Eppure, quella notte, l’idea delle stelle che scintillavano oltre quelle mura che lo circondavano l’aveva spinto a piangere; e col pianto, certo non potevano mancare note di straziante tristezza.

Ricordava quelle note... certo, lui ricordava ogni nota mai creata, e quelle non facevano eccezione; sembrava quasi che potessero davvero farlo sentire meglio, quelle note sempre più ardite e dolci, che potessero lenire le sue ferite; la sua Musica, ancora una volta, lo cullava in un abbraccio di cui non conosceva il corrispondente umano. E poi l’aveva sentita.

- Chi c’è?

Aveva smesso immediatamente di cantare. E cos’altro ci si poteva aspettare? Lui, un essere così mostruoso e schivo, solitario, non era mai stato ascoltato da nessuno; l’unica persona che mai lo avesse aiutato era stata Madame Giry, e nessun altro dopo di lei aveva sentito la sua voce. Nessuno aveva mai osato origliare... nessuno aveva mai potuto, del resto: solitamente viveva a tali profondità sotto il teatro che nemmeno nei momenti di maggiore furia o passione si poteva sentire la sua voce, da sopra. Eppure adesso c’era qualcuno che l’aveva sentito.

Chinandosi su una fessura tra le travi del pavimento, aveva guardato sotto di sé: nella cappella c’era una bambina. Non l’aveva mai vista, e sembrava avere una voce così dolce... sembrava incuriosita e preoccupata al contempo. Da quanto tempo lo stava ascoltando? Aveva sentito la sua voce per molto? Aveva solo goduto del suo canto meraviglioso, o forse si era resa conto anche lei della tristezza che lo stava attanagliando in quel momento, essere solo al mondo? Le guance della bimba sembravano rigate di lacrime - non poteva esserne sicuro, da quella distanza - e i suoi occhi sembravano tristi quanto quelli di Erik stesso. Possibile mai?

Ed ecco, una lacrima fresca era scesa sulla sua rosea guancia, e il giovane musicista si era sentito il cuore stretto in una breve morsa: l’aveva fatta piangere! Ancora non la conosceva, ancora non sapeva della sua esistenza, e già era riuscito a farla piangere! Oh sì, se lo meritava davvero l’appellativo di mostro... ma mentre la bimba scappava via piangendo, mentre il sole illuminava dei suoi primi raggi la cappella, mentre un nuovo giorno iniziava, Erik era ridisceso nel suo eterno buio, nelle profondità dell’Opéra. E intanto si era chiesto se davvero dovesse preoccuparsi di quella bambina; del resto, non l’aveva mai vista prima. Non la conosceva. Non sapeva chi fosse, né perché avesse il volto rigato di lacrime. E oltretutto, l’aveva ascoltato quando lui non le aveva né chiesto di farlo, né tantomeno gliene aveva concesso la possibilità!

In un moto di stizza, il ragazzo s’era imbronciato, assumendo un’andatura più veloce e scalciando l’aria vuota attorno a lui. Come si è permessa... ma qualcosa sembrava dirgli che quell’orgoglio altro non era che un tentativo di nascondere la sua curiosità per quella bambina, l’unica che l’avesse sentito piangere. E non solo sentito, rifletteva, ma proprio ascoltato. O almeno credeva. Ma del resto, importava? Certo che no; lui avrebbe continuato la sua vita di tutti i giorni, lì in fondo al teatro, nel buio, nel silenzio riempito solo dalla sua musica. Non voleva essere disturbato, lui, da stupide bambine frignone... a malapena si concedeva il tempo per mangiare e dormire, e avrebbe dovuto perdere tempo con una bambina? No, non faceva per lui.

E del resto era fuori discussione: se lei l’avesse visto, sarebbe fuggita a gambe levate in un battibaleno, dimenticando quella curiosità che sembrava aver mostrato in quel primo momento.

Tuttavia, nonostante tutti i suoi nobili propositi di restarsene rintanato nei suoi sotterranei e di non perdere il suo prezioso tempo con “stupide femmine”, Erik aveva cominciato a vagare tra i corridoi del teatro più spesso. Ovviamente nessuno lo vedeva, se non come una fuggevole ombra; però lui vedeva tutti. Vedeva lei. L’aveva  osservata a lungo, per qualche settimana, sempre di più ogni giorno che passava. Ogni volta gli era sembrata più dolce, più sensibile, più buona. Aveva imparato ad amare quel nome, Christine, quando le sue amiche la chiamavano; e aveva scoperto con piacere che suonava perfettamente quando usciva dalle sue labbra di mostro. Gli era sembrata, quella bambina, sempre più una poesia vivente: così gentile e innocente con tutti, ogni notte tornava nella cappella a pregare l’immagine di suo padre, ogni notte una maggiore aspettativa nei suoi occhi. E aveva una voce così bella... Erik era certo che sarebbe stata una splendida cantante, se avesse avuto il giusto maestro.

Un giorno, mentre la osservava dall’alto giocare con le sue bambole, l’aveva sentita che raccontava loro delle favole: aveva scoperto in tal modo che Christine - dolce nome! - proveniva dalla lontana Scandinavia, paese che lui allora non conosceva ancora; e che la sua storia preferita era quella dell’Angelo della Musica. Era una storia semplice, quasi banale, però al tempo stesso affascinante... perché a uno come Erik, mostro dalla voce di Angelo, e infinitamente innamorato della musica, sembrava che la storia fosse fatta apposta per lui. Così, nella mente dell’allora giovane ragazzo si era andata formando un’idea... perché lui, che conosceva e amava la musica così tanto, non avrebbe potuto insegnarle quell’arte tanto meravigliosa? Ma certo, lui sarebbe stato il suo personale Angelo! Lui le avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva, lui avrebbe preso tra le mani quella piccola e inesperta colomba che era la voce di Christine e le avrebbe fatto spiccare il volo! E allora, forse, le si sarebbe potuto mostrare... e forse lei l’avrebbe accettato come amico, e forse, una volta cresciuti, magari...

Le guance di Erik erano arrossite al pensiero. Una così piccola bambina non meritava tali idee da parte sua! Maledicendo se stesso e quel rossore che sembrava non volersene andare, Erik si era deciso a dichiararsi il suo Angelo della Musica, e a insegnarle tutto ciò che poteva e conosceva. Che nuova vita avrebbe avuto, da quel momento in poi!

Ma il tempo passava, i giorni sembravano scivolare via più veloci che mai, e ogni notte la piccola Christine sembrava più delusa dal persistente silenzio che la circondava. Erik non riusciva a decidersi... doveva sul serio dichiararsi un angelo? Sarebbe significato ingannarla, quando ancora non si conoscevano! E sarebbe significato mettersi in gioco, e farlo sul serio, per una bambina che probabilmente non lo avrebbe mai compreso. Poteva comprendere davvero il mistero della sua voce, lei? E lui poteva permetterle di provarci?.. Mentre continuava a rimuginare, il tempo sembrava scorrere in fretta, più in fretta, troppo in fretta; i giorni e le notti passavano, e lui ancora non riusciva a raccogliere il coraggio di parlare, cantare, farsi sentire in alcun modo. E lei era sempre più triste...

Una notte, Christine non aveva più nessuna aspettativa nello sguardo. Un cipiglio indignato, che non le si confaceva affatto e la rendeva quasi divertente a vedersi, sostituiva il suo solito dolce sorriso; Erik si era chiesto, allora, cosa stesse pensando la bambina. E mentre egli ancora non riusciva a spiegarsi quel suo sguardo, Christine era improvvisamente scoppiata a piangere. Piangeva, ma non del solito pianto che accompagnava le sue preghiere per l’amato padre, bensì lacrime di rabbia, di delusione, una bruciante delusione e disillusione che la faceva singhiozzare in un modo che Erik non aveva mai visto prima. E in un attimo, egli si era reso conto di esserne l’unico responsabile. Era lui l’unica causa di quel pianto disperato! Lei aveva aspettato la sua voce per tanto tempo, e lui ancora non si era rivelato, e lei piangeva per colpa sua!

- Chi c’è?

Aveva cercato di essere il più dolce e gentile possibile, con quelle due brevi parole; e il pianto di lei era cessato all’istante, nient’altro che lievi fremiti ancora a scuoterla. L’aveva vista allora guardarsi intorno, per cercare d’individuare da dove provenisse la sua voce... ma si era ben curato di donare a quelle parole una lieve eco, un leggero rimbombo che dava l’effetto di una voce incorporea.

- Tu sei... il mio Angelo della Musica?

Quel sussurro aveva colpito Erik come non si era aspettato. Sapeva che glielo avrebbe detto, alla fine; sapeva che non avrebbe potuto perdere quell’unica occasione che aveva, lui essere solitario e disprezzato dal mondo intero, per riuscire ad acquistare un po’ si stima... forse addirittura affetto... da quella creatura tanto dolce. Era rimasto zitto per un po’, non riuscendo a trovare il coraggio per risponderle, per legare definitivamente il suo destino a quello di lei, per darsi una possibilità... ma alla fine lo fece.

- ...Sì.

Aveva visto allora meraviglia e gioia dipingersi sul volto della bambina, felice di essere stata finalmente esaudita nelle sue preghiere; e dopo qualche attimo di reciproco silenzio, lei aveva mormorato una preghiera, la voce ancora rotta da un lieve singhiozzo, quasi una lamentela... e come avrebbe potuto biasimarla, dopo quell’interminabile silenzio che lui aveva così caparbiamente mantenuto?

- Canta per me...

Erik, un lieve sorriso - un vero sorriso! - sulle labbra, aveva cominciato a cantarle una dolce sinfonia, una ninna nanna che aveva sentito cantare una volta da una zingara alla sua figlioletta... quelle parole di un’altra lingua non avevano avuto nessun conto per la piccola Christine, che si beava di ogni nota della voce di quel suo Angelo della Musica, lui poteva leggerglielo negli occhi; e mentre lei si beava della sua voce, lui si beava di quel sorriso tenero, di un sorriso sincero che una bambina sconosciuta e conosciuta insieme gli offriva; un sorriso in cambio di un canto.

Erik aveva deciso, in quel momento, che se avesse potuto continuare a farla sorridere, quello soltanto gli sarebbe bastato per tutta la vita.

Eppure, l’uomo che era ormai diventato non poteva essere d’accordo... e mentre terminava l’ultima dolce nota del carezzevole canto per la sua musa, ancora una volta si trovò a sognare di poterla accarezzare davvero, con le dita, le mani, le labbra... ancora una volta, si maledì e benedì insieme per quella sua scelta di farle da maestro, per quella curiosità che aveva provato per lei all’inizio, per quel suo continuare a mettere ogni più piccola speranza in lei. Ancora una volta, si maledì e benedì per quanto follemente l’amava.

 

***

E dunque, eccoci qui.

Queste due one-shot le ho presentate come capitoli, ma in realtà sono semplicemente la stessa cosa vista dai due punti di vista dei nostri eroi... e non è che mi piacciano più di tanto... né l’una né l’altra. Non credo che Christine lo volesse umano, lei non lo amava in quel senso. E lui non mi piace uguale, non so nemmeno perché... forse è troppo superficiale, o forse il modo in cui scrivevo quando ho iniziato sta benedetta fic (l’anno scorso) mi è talmente estraneo da considerarlo insopportabile. Non so se ci siano differenze tra la prima e la seconda metà di questo capitolo, ma ho cercato di rimanere sullo stesso stile iniziale... del resto non mi andava proprio di riscrivere tutto...

In ogni caso, per qualsiasi cosa ogni più piccolo commento/recensione/critica è OVVIAMENTE benvenuto :)

Buon *insert day moment here* a tutti voi, e grazie per l’attenzione. :)

Key

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