Carpe diem.

di Annavi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


A ben guardare l’amore nella maggior parte dei suoi effetti somiglia più all’odio che all’amicizia.

- François De La Rochefoucauld.

Questa storia è scritta da due ragazze.
Ma voi fate pure finta che ce ne sia una sola.
Buona lettura,
V. e Z.


Toc. Toc.
Un piccione mi picchietta sulla scarpa destra.
Con un gesto della mano lo scaccio e mi metto a gambe incrociate, silenziosamente.
La piazza si sta affollando e devo solo aspettare il momento giusto.
Un signore sulla quarantina mi lancia un'occhiata fugace, probabilmente domandandosi cosa io ci faccia seduta al centro del foro.
Accarezzo la custodia della mia amata e arrivo alla conclusione che il momento sia quasi arrivato.
Gli spartiti sono sparsi qua e là davanti alle mie Converse e riportano diverse annotazioni e arrangiamenti da me personalmente modificati.
Faccio scivolare lo sguardo sulla folla che mi circonda.
Apparentamente nessuno mi nota davvero, ma non è una novità.
Ormai la piazzola è abbastanza piena.
Tiro fuori la chitarra dalla mia preziosa custodia - comprata con i risparmi di tre mesi - e comincio a suonare.
Suono e basta, giusto per attirare l'attenzione.
Molti cominciano ad avvicinarsi e ben presto vengo accerchiata da una piccola èlite di persone.
La cosa che più mi colpisce ogni volta è che fra il mio 'pubblico' non ci sono distinzioni di età.
Appena ho addosso abbastanza sguardi, comincio a cantare.
Chitarra e canto.
Canzoni scritte personalmente da me, sentimenti misti ad altri.
Il cappello è fisso davanti a me, non mi aspetto che nessuno venga a regalarmi monete prima della fine dell'esebizione.
Gente che passa, gente che va': nessuno si ferma più di troppo, ma per mia fortuna viene quasi subito rimpiazzata.
E' un ciclo continuo, senza stop.
Sorrido.
Benvenuti nel mio mondo.
Il mio nome è Andrea, ho diciassette anni e suono per strada.
Ma ormai, penso che l'abbiate già intuito.


Scambio di narratore.


Italiano.
'Sono le tue origini, devi imparare la lingua da cui discendi ed è molto importante per tutti noi che tu lo faccia.'
Penso che l'italiano sia una delle lingue più difficili del mondo.
- Ripeti dopo di me: Antonio è andato a fare la spesa. - il mio insegnante interrompe il filo dei miei pensieri bruscamente.
Sospiro.
Un'occhiata veloce all'orologio, senza farmi notare.
Non ho voglia di studiare, soprattutto non questa lingua.
Non mi servirà mai e l'inglese è ormai diventato universale.
Mi sforzo di ripetere le parole del professore con scarsi risultati e il mio sguardo si trasferisce direttamente verso la luce del sole che filtra dalla finestra.
'Fino a quando non avrai imparato bene la tua lingua originaria, non potrai tornare in America.' 
Chiudo gli occhi per un secondo, lasciandomi trasportare dalla voce di mia madre. 
Lei mi manca.
'Niente concerti, niente feste, niente amici. Coraggio, più in fretta impari, più in fretta potrai andartene dall'Italia.'
Ingoio la saliva rumorosamente, non c'era pensiero più amaro.
- Concentrati, per favore! - il mio insegnante lancia un urlo esasperato. Deve aver cercato di svegliarmi dai miei pensieri più volte. - Non possiamo lavorare così. Per oggi prenditi una giornata libera, sei troppo distratto. - conclude, raccogliendo i libri di fronte a me.
Inarco un sopracciglio e un sorriso si accende immediatamente sul mio viso.
- Posso fare quello che voglio? -
Il professore borbotta un 'sì' seccato e senza nemmeno dargli il tempo di finire, raccolgo la giacca buttata malamente sul divano e mi precipito giu dalle scale.
Dopo tutto, era impossibile, tenere in gabbia Nicholas Jerry Jonas.

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Capitolo 2
*** Primo capitolo. ***


L'amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo. 

- Arthur Schopenhauer.

Cammino felice d’essermi liberato del mio insegnante e, all’improvviso, sento una voce cantare.
E’ come se gli altri suoni sparissero, solo una voce  e una chitarra: corro verso il punto dal quale proviene questa melodia e vedo una ragazza seduta a terra con gli occhi chiusi.
Davanti a lei sono sparsi degli spartiti, ma non ha neanche il bisogno di guardarli.
Alcune persone la guardano, altre la ignorano e altre ancora si allontanano dopo poco; ma nessuno di loro sembra sentire quello che sento io.
La sua voce mi riempie la testa e le note della chitarra sono semplicemente perfette, mi affascina e mi cattura con il suo splendido canto.
Sembra non notare le persone che la circondano -  come avvolta in una trance - dondola leggermente la testa e fa muovere i capelli legati in modo disordinato.
Lentamente sento il brano che sta suonando finire e la vedo riaprire gli occhi con uno strano sorriso sulle labbra;
il cappellino poggiato a terra viene riempito da monete di ogni valore e qualche banconota.
Mi avvicino per ultimo mettendo nel berretto 50 euro e mi chino per aiutarla, mentre lei mi guarda sorpresa a causa della banconota.
-Ehi.- Dico sorridendo.
-Ehi a te.- Mi guarda stranita mentre inizia a raccogliere gli spartiti, probabilmente senza capire cosa io voglia da lei.
-Posso aiutarti?- Domando, iniziando a sollevarne alcuni a mia volta.
-Cos’è, è comparso il primo ragazzo gentile?- Ride leggermente, sempre parecchio diffidente.
-Non siamo tutti delle bestie, sai?- Sembra non crederci, la ragazza, e alza un sopracciglio come a chiedermi se la sto prendendo in giro.
-Se lo dici tu. Ti va d’accompagnarmi alla prossima tappa del mio ‘tour’?- Mi chiede come se improvvisamente credesse alle mie parole di pochi istanti prima e, alzandosi, solleva la chitarra con una cura sorprendente.

Scambio di narratore.

-Senti io non voglio approfittare della tua già scarsa fiducia ma vorrei portarti a casa mia, prometto di darti molto più di quel che guadagneresti in tutta una settimana di lavoro.-
Mentre camminiamo verso il parco, lo strano ragazzo con il quale sto parlando mi rivolge queste parole e io subito mi irrigidisco.
Che diamine vuole da me?
- Non sono una prostituta. -
Dico, scandendo bene ogni lettera con voce offesa; non è la prima volta che mi offrono soldi in cambio di favori personali e è una cosa che mi manda in bestia!
- No! Non volevo dire questo! - Si da' una leggera botta in testa e io sorrido più tranquilla capendo che questo ragazzo non potrebbe fare male a una mosca.
E poi è così carino che sicuramente non ha bisogno di pagare.
-Prometti di non approfittarti di una giovane indifesa?- Lo guardo fingendomi un’attrice drammatica, con finta diffidenza.
-Potrò giurarlo solo una volta conosciuto il vostro nome.- Mi regge il gioco, non è per nulla male il ragazzo e inizia a starmi proprio simpatico!
-Mi chiamo Andrea, Andrea Nicolson e tu?-
Sorrido in modo amichevole domandandomi se per una volta sono riuscita a trovare una persona veramente carina.
Lo posso definire carino?
-John, John Smith; a questo punto posso invitarti a casa mia? Mi piace da morire come canti e suoni e non mi spiacerebbe presentarti a qualche caro amico, ovviamente solo dopo averti fatto fare una doccia, fatto mangiare e vestire in modo radicalmente diverso.-
Mi sorride, sembra sincero e finisco per accettare, che male c’è infondo?
Anche se qualcosa mi insospettisce, sarà che si guarda intorno in continuazione come se temesse d'essere riconosciuto;
probabilmente è puro egocentrismo, nessuno è perfetto.

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo. ***


Le bugie più crudeli sono spesso dette in silenzio.

- Robert Louis Stevenson.


Idiota.
John Smith? 
Ma cos'è, pensi davvero che lei non abbia visto Pocahontas da piccola?!
Dopotutto, è stato il primo nome che mi è venuto in mente.
Possibile che lei non abbia davvero idea di chi sono?
Al pensiero un brivido mi percorre: evidentemente mi da' fastidio come cosa.
Però un rapporto normale di amicizia, fra ragazzi normali, in una città normale: mi alletta come idea.
Ringrazio solo il cielo che lei sappia parlare benissimo l'inglese, o fra noi non ci sarebbe stata molta comunicazione:
causa i miei scarsi risultati in italiano.
Le ho offerto di venire nella casa che mi hanno comprato per questo periodo di 'studio', in modo da poterla rimettere a nuovo e presentare a qualche produttore.
Non so nemmeno io il motivo per cui lo faccio.
Riemergo dalle mie riflessioni e le lancio un'occhiata.
La custodia della chitarra legata sulla schiena, i capelli raccolti in malo modo, le ciocche che volano sfiorandole il viso, i vestiti molto usati e sicuramente sporchi.
- Perchè fai tutto questo per me? - chiede ad un tratto lei.
Le sorrido.
- Potresti avere un futuro. -
- E chi sei tu, per potermelo dire? - chiede lei scherzosa, prendendomi in giro.
Rido anch'io, ma un po' mi pento di non averle detto la verità.
- Allora Romeo, dove abiti? -
- Romeo? - ripeto perplesso, ma col sorriso.
Lei alza le spalle e mi strizza un occhio.
Mi passo una mano fra i capelli, cosa che faccio quando sono nervoso.
Si va' in scena.
Fermo con una mano in taxi, come se fossi ancora nella mia amata America.
Dopo aver informato il conducente della destinazione - per fortuna so l'indirizzo in italiano a memoria - lui mette in moto.
- Parlami di te. -
Inarco un sopracciglio, che domanda strana.
- Come avrai intuito, non sono italiano. Vengo dall'America e sono qui per studiare la vostra lingua. -
Massì, più o meno, questa poteva considerarsi una 'verità'.

- Potrei darti una mano io. - dice con noncuranza. - dopotutto, devo pur sdebitarmi in qualche modo! -
- Accetto. -
Ci stringiamo le mani e la vettura si ferma, così siamo costretti a scendere.
Pago il taxista ignorando le occhiatacce di Andrea, che sembra non essere d'accordo.
- Mi ripagherai più avanti. - concludo indifferente, anche se spero vivamente che non lo faccia.
A quel punto lei sembra mettersi il cuore in pace.
La mia casa non è grande, una villa dotata di ogni comfort per le mie necessità.
- Questa è casa tua?! - 
Evidentemente per lei deve essere abbastanza grande, come casa.
Annuisco e apro la porta con le chiavi, facendola passare avanti.
Le indico un posto dove posare la chitarra e gli spartiti.
Lei si guarda intorno leggermente spaesata.
- Allora: prima cosa da fare, darti una ripulita. -
Una smorfia compare sul suo viso, per ripicca.
- Non fare storie, coraggio! -
Le appoggio una mano sulla schiena e la conduco verso il bagno.
Andrea Nicolson.
Già mi piace, come nome.

Scambio di narratore.

Il mio 'rapitore' apre l'acqua dei rubinetti e io - mentre aspetto che si riempa la vasca - do' un'occhiata qua e là.
Accipicchia, che bella casa che ha!
Deve essere straricco.
Se non fosse contro i miei prìncipi, probabilmente non si accorgerebbe neppure della mancanza di qualche oggettino.
Ma io non rubo: tantomeno a John.
E' stato solo gentile da quando ci siamo incontrati.
Ha un chè di già visto, di familiare: mi fa sentire al sicuro.
- Vagabonda, è pronto il bagno! -
Una voce mi chiama dall'altra stanza e io, abbandono i miei pensieri, per recarmi da lui.
- Sono stata nella stanza accanto. Hai una bellissima casa. -
John si sposta un ricciolo dalla fronte, mentre fa cadere dolcemente del sapone nella vasca, e mi sorride, per ringraziamento.
- Ora io esco, tu fai con comodo, okay? -
Annuisco leggera e appena lui è fuori dalla stanza, mi libero facilmente dei miei vecchi vestiti e sprofondo nel tepore dell'acqua calda.
Da quanto era che non facevo un bagno del genere?
Da quando ero scappata di casa, suppongo.
Lascio scivolare la mia mano sulla cresta dell'acqua, giocando con le bolle di sapone.
Io, dei produttori, John.
Poteva rivelarsi una fantastica avventura?
Con il sapone comincio a lavare diverse parti del mio corpo e un'ora dopo, sono soddisfatta del risultato.
Esco dalla vasca, posando i piedi bagnati sul pavimento freddo.
Brr.
Una volta essermi avvolta nell'asciugamano, esco dal bagno e chiamo John.
- ROOOOOOOOOMEOOOOOOOOO, Giulietta ha bisogno dei vestiti! -
Ridacchio.
E' strano quanto sia già entrata in confidenza con lui.
Lui mi raggiunge con dei sacchetti in mano: deve aver fatto spese per me.
E ancora quel peso sullo stomaco si fa sentire.
Non volevo che mi pagasse tutto lui, mi dava fastidio e non potevo accettarlo.
- Ti ho preso qualcosa da mettere e ho fissato l'appuntamento con il mio amico produttore per Venerdì, prima non poteva. - sussulto. Oggi è Lunedì! Dove starò tutto questo tempo? Io non ho nemmeno una casa. Lui sembra leggere nei miei pensieri e riprende il discorso. - Ovviamente, resterai da me: non vorrei che mi scappassi. -
Sorrido e prendo i sacchetti dalle sue mani, facendogli cenno di uscire per lasciarmi da sola a cambiare.
Era riuscito a trasformare un argomento scottante in una battuta leggera.
Okay, John Smith.
Ti daro' una possibilità.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo. ***


Definire è limitare. 
Oscar Wilde
 

-E ora, cara la mia bambina, a fare la nanna che domani ti porto un po’ in giro.- Sorrido leggermente.
-Non mi chiamare bambina, abbiamo pressoché la stessa età!- Dice lei con uno stupendo broncio.
-Ne sei proprio certa?- Le domando con fare malizioso.
-Perché, quanti anni hai?- Mi chiede mordendosi un labbro.
-Diciotto e se ci provo con te finisco in carcere quindi fila a letto, bambina.- Scoppio a ridere e lei dopo pochi secondi mi segue.
-E ti credi così grande? Ora me la paghi!- Tutto accade in pochissimi istanti, lei si avvicina e inizia a farmi il solletico sul collo per poi passare alla pancia.
-Noooo, ti prego, nooo.- Dico con la voce spezzata dalle risate mentre cado a terra cercando di sfuggire alle sue mani che mi provocano così tanto divertimento.
-Tu mi chiami bambina e io ti faccio il solletico.- Dice per poi staccarsi e sedersi a terra accanto a me con il fiatone ma un grande sorriso sulle labbra. –Hai ragione, è ora d’andare a dormire. Dov’è la mia camera?- Domanda rialzandosi e porgendomi una mano per aiutarmi a fare lo stesso.
-Vieni, è al piano di sopra proprio accanto alla mia.- Sorrido e afferro la sua mano conducendola verso la stanza degli ospiti.
Apro la porta della stanza e lei sorride come una bambina guardando il letto a una piazza e mezzo come se fosse l’uovo di pasqua.
-Io, posso, dormire, qui?- Mi guarda incredula.
-Se vuoi la stanza accanto è la mia..- Dico sorridendo malizioso.
-Scemo!- Si butta sul letto mettendo la testa nel cuscino.
-Ho messo una mia camicia e il cambio per domani nell’armadio, in bagno troverai tutto il necessario per ‘prepararti’ sia questa sera che domani mattina.- Lei balza giù dal letto e corre in bagno per poi riuscire portando con se spazzolino e dentifricio.
-Se è un sogno ti prego, ti scongiuro, non svegliarmi!- Sembra che stia per piangere dalla felicità e mi si lancia addosso intrecciando le braccia dietro il mio collo.
Ricambio l’abbraccio. –Fai la nanna da brava che sono stanco anche io, domani non ti sveglio ma di pomeriggio si va a fare compere!-
-Ok ma poi iniziamo con le lezioni che già mi sento in debito!- Mi dice tranquilla per poi infilarsi nel letto.
 
Scambio narratore.
 
Sono nel mio letto al buio ma non riesco a dormire; mi sembra passata un’eternità, guardo l’orologio al mio fianco 3.28, proprio come immaginavo, sono passate quasi quattro ore da quando sono qui.
Ho paura di chiudere gli occhi e svegliarmi sotto un ponte scoprendo che tutto questo è un sogno, uno splendido sogno nel quale esiste un cavaliere dai capelli ricci che invece di portarmi su un cavallo e farmi diventare una stupidissima principessa mi farà diventare una cantante.
Sento dei rumori venire dall’esterno della mia camera, neanche lui riesce a dormire?
Mi alzo piano e, camminando in punta di piedi, raggiungo la sua camera.
Inizia ad urlare, sembra terrorizzato, il mio cuore batte decisamente troppo velocemente nel mio petto.
Apro la porta cercando di non fare rumore e lo vedo disteso sul letto; si dimena come se cercasse di fuggire da qualcosa ma non riesco a capire da cosa e lui continua a farfugliare cose insensate.
Cosa devo fare? Lasciarlo stare o svegliarlo?
Alla fine opto per la seconda e mi avvicino lentamente sedendomi sul suo letto.
-Ehi, John, svegliati.- Mormoro non volendolo spaventare ma lui sembra non accorgersi neanche della mia presenza.
Mi armo di coraggio e cerco di svegliarlo scuotendolo un po’ ma non serve a nulla.
-Cazzo!- Ecco l’unica cosa che riesco a mormorare nel buio di quella
 Lui apre piano gli occhi e si mette a sedere improvvisamente riprendendo fiato mentre stringe il lenzuolo tanto forte da rischiare di bucarlo.
-Ehi, va tutto bene ora, ci sono io con te.- Lo abbraccio leggermente temendo la sua reazione ma lui, al contrario di ogni aspettativa, ricambia il mio abbraccio tornando disteso e appoggia la testa sul mio petto.
-Vuoi che vada?- Domando dopo un po’.
-No, resta qui, ti prego.- Sussurra stringendosi a me.
-Come vuoi tu, ora dormiamo e se fai altri incubi svegliami, ok?- lo abbraccio leggermente stringendolo come volerlo fare sentire protetto, ma non era il principe a proteggere la principessa?!
-Promesso.- Mi bacia leggermente la guancia e in poco si addormenta.
Questo ragazzo è strano, sembra che mi nasconda qualcosa come un bambino che ha rubato il vasetto di marmellata!
“Chissà, si vedrà domani.” Ecco il mio ultimo pensiero prima di cadere dolcemente tra le braccia sue e di Morfeo. 

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto. ***


L’umorismo è la prima qualità che va perduta in una lingua straniera.

-Virginia Woolf.


Un respiro caldo sui capelli.
Sento che sono sdraiata e delle braccia mi stringono.
La punta di un naso mi sfiora una tempia e l'unica cosa che riesco a percepire è il silenzio della mattina.
Scivolo fuori dal letto, calpestando il pavimento freddo.
Mi guardo indietro solo una volta e John ha aperto gli occhi.
Cosa fa, mi fissa?
- Smettila di guardarmi. -
Lui non dà segno di avermi sentito e per tutta risposta si alza.
- Le iniziamo queste lezioni di italiano o no? -
E con uno sbadiglio che considero un 'sì', lui si allontana, verso il bagno.

Salto temporale.

- Mi chiamo John e sono Americano. -
- Mi chiamu John i sssomo Amerrrrrichenou. -
Alzo gli occhi al cielo.
- Ma lo fai apposta? - chiedo divertita.
Lui si passa una mano tra i capelli e annuisce ironico.
Scoppio a ridere.
- Riproviamo. -
Gli lancio un'occhiataccia per metterlo in guardia.
- Il cane gioca con la palla. -
- Il chene ghioca con lai pelli. -
Gli tiro una pacca sul braccio.
- Stupido, lo fai apposta! -
Cominciamo a scherzare e lui mi scompiglia i capelli, affettuosamente.
- Sono un caso perso? - mi sussurra toccandosi la fronte.
- No, ma quando fai così ti salterei addosso. - mi lascio scappare, ma per fortuna in italiano.
Lui mi guarda con una faccia perplessa.
- Nulla di importante, una frase in italiano alla cavolo, tranquillo. -
Per evitare che lui mi faccia altre domande, gli piazzo un libro davanti e gli intimo di continuare a leggere.
Mi è andata bene, questa volta.

Scambio di narratore.

Ok, non so resistere alle tentazioni, lo ammetto.
Appena lei chiude la porta del bagno, approfitto dell'improvvisa sua urgenza e apro internet dal mio Blackberry.
Google traduttore sia benedetto.
Digito in fretta la frase.
Per fortuna che almeno quelle poche parole, le ho intese.
La traduzione esce un instante dopo.
''No, ma quando fai così, ti salterei addosso.'' [1]
Arrossisco di botto.
L'ha detto davvero?
Sento lei che si lava le mani e subito nascondo il cellulare.
Quanti anni ha detto di avere?
Nicholas, tu hai diciotto anni, è piccola.
E poi, che pensieri ti fai?
Non le hai nemmeno detto chi sei veramente.
- Allora, sei pronto per continuare la lezione? -
- Preferirei fare altro. -
Lei mi squadra in modo arrabbiato, ma poi termina con un sorriso, volendo intendere quelle parole con ironia.
Si siede nuovamente accanto a me.
Okay, Nicholas, non farti prendere dalle tentazioni, perfavore.
Troppo tardi.

[1] La frase è ovviamente in inglese.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto. ***


-Ti va di prenderci una pausa?- Le domando visto che la mia concentrazione è calata sotto zero quando ho scoperto cosa volevano dire le sue parole.
-Perchè no.- Mi sorride e ci avviamo verso il salotto dove metto su un po' di musica iniziando a ballare e a fare il coglione trascinandola con me.
Iniziamo a ballare ridendo e io mi avvicino sempre di più a lei che credendolo uno dei miei giochi mi asseconda ridendo leggermente.
-Scemo, ma che fai?!- Si volta verso di me guardandomi negli occhi tranquilla e va a sbattere contro il muro con la schiena.
-Chissà.- Sussurro al suo occhio e vedo che inizia ad essere perplessa per poi cercare di staccarsi ma io la trattengo contro il muro e fermo le sue mani con una delle mie.
Non capisco manco io cosa diamine sto facendo ma non voglio, non riesco e non voglio fermarmi.
-Lasciami andare dai, lo scherzo è già durato abbastanza.- La sua voce è quella di sempre, sicura e affascinante che mi porta ancora di più verso quel baratro nel quale non riuscirò a fermarmi.
-Non fingere di non volerlo, so cosa hai detto durante la lezione, inganna chi vuoi ma non me.- Le sussurro mordicchiandole leggermente l'orecchio sinistro per poi lasciarle piccoli baci sul collo e sulla gola risalendo lentamente.
-Erano solo parole, una delle tante cose che si dicono a un ragazzo carino! Ma perchè fai così?- Inizia a essere leggermente spaventata, la capisco infondo sono decisamente più forte di lei e non avrebbe via di scampo.
-Sei tu chi mi costringi a fare così, mi attrai in modo decisamente esagerato e io, quando voglio qualcosa, prima o poi la prendo.- Passo alle sue guance e le lascio un leggero bacio sull'orlo delle labbra, nonostante tutto non farò nulla senza il suo consenso.
Porto entrambe le mani sulla sua schiena lasciando libere le sue che fino a poco fa erano incastrate nella mia presa ferrea e lei, per un solo istante, mi segue in questa danza ma poi fa qualcosa che mai nessuno aveva osato fare.
 
Cambio narratore.
 
Ma che diamine sta facendo?!
Però non è poi così male, il suo tocco è maledettamente esperto.
Ma in tutti i casi non si parla neanche di scopare con lui, l'ultima volta m'ha provocato un senso di repellenza per i maschi e ora che finalmente iniziavo a fidarmi lui s'è rivelato uguale a tutti gli altri.
"I maschi sono bestie assetate di sesso, alla tua età!" 
Ecco cosa ripeteva mia madre in continuazione.
Lo spingo via e lui mi guarda sbigottito ma non è finita qui.
La deve pagare, mi ha offesa e non si dovrà permettere MAI più di fare una cosa simile.
Gli tiro uno schiaffo, la mia mano prende velocità e si avvicina sempre più alla sua faccia di cazzo fino a terminare tutto il teatrino con un sonoro "Sciaf".
Mi guarda perplesso.
Le sue labbra mi danno odio.
La sua bocca mi narra stupore.
La sua guancia mi fa notare il dolore.
Ma i suoi occhi mi insegnano rancore e dispiacere.
-Ma che cazzo fai?!- Mi domanda urlando.
-Ma che cazzo fai tu! Ti sei meritato questo e anche peggio, ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Ma certo che no! Infondo voi siete tutti uguali, tutti come lui, e la stupida sono stata io a illudermi che tu potessi essere diverso ma a chi la voglio dare a bere?! Sei sempre il solito tipo di stronzo: violento, affamato di sesso e compagnia bella!- Detto questo vado via; mi ha umiliata, presa in giro, usata ma più di tutto mi ha ferita e disillusa ma dovevo aspettarmelo, loro sono tutti uguali a lui.

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