Dike&Themis

di esmeralda92
(/viewuser.php?uid=71176)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Erano anni che si era assentata all'Olimpo. Era stata a Efeso, dove si trovava il suo tempio. Aveva vissuto lì, dove aveva appreso le arti mediche e guerresche. E dove aveva scoperto la sua vera origine. Era figlia di Zeus e di una mortale, una certa Latona. Allontanata dalla Regina degli dei. Strappata alla madre che non aveva mai conosciuto per mano di una serpe. E suo padre che non l'aveva mai riconosciuta, mai cercata. E che considerava Marte, quel borioso principe senza alcun grano salis, unico erede al trono. Aveva lasciato che i suoi figli si burlassero di lei, che fosse considerata la figlia che nessuno avrebbe mai voluto, abbandonata da tutti. Nessuno aveva mai detto niente. Nessuno tra gli zii aveva mai intercesso per lei. E Zeus, con il potere che aveva, si era creato una corte di burattini che muoveva a proprio piacimento.

Fece un grande respiro. Calò sul capo il cappuccio e spalancò le porte che facevano accedere all' Olimpo. Il pavimento marmoreo, coperto da un sottile strato di cirri, fece riecheggiare il passo della divina. Zeus, seduto sul suo trono guardò la ragazza dall'alto della sua posizione.

“Chi sei? Cosa vuoi da me?” Sono tua figlia. E voglio la tua rovina. Pensò. Poi sorrise.

“Ti sembra questo il modo di accogliere un ospite, divino Zeus?” il sovrano sorrise, anche se il tono con cui gli si era appellato non gli iaceva per niente.

“Artemide!” fece sorridendo e andandole incontro con le braccia spalancate. Che ipocrita! E io non sono da meno. In questo ho preso da lui. Pensò. Gli andò incontro sorridendo e lo abbracciò. Fingendo felicità. Anche Era, che si trovava lì, le sorrise e la abbracciò come se avesse da poco ritrovato una cara amica. Artemide finse anche con lei.

“Fatti vedere!” fece la serpe travestita da dea. Lei la accontentò. Occhi color del mare. Capelli ricci castani. Pelle ambrata, denti bianchi come perle. Che lei non tardò a mostrare in uno dei suoi sorrisi più smaglianti.

“Sei davvero bellissima!” continuò la regina.

“Grazie, mia signora.” mormorò lei con una sottile velatura ironica nella voce.

“Chiamami pure Era, tesoro. Sono tanto felice che tu sia tornata. Ben tornata a casa.” in quel momento la porta si aprì.

“Oh, tesoro! Vieni a vedere chi ha fatto ritorno dopo tanto tempo.” fece il re andando incontro a suo figlio e alla dea dell'amore. Artemide si staccò dalla matrigna. E si voltò lentamente verso Marte.

“Salve Marte.” mormorò lei per poi sorridere. Un sorriso pieno di tutta la buona educazione e falsità che ci si poteva immaginare. E lui corrispose pienamente. Per rispettare le buone usanze.

“Salve a te, Artemide.” rispose altrettanto cordialmente. D'altronde tutti erano a conoscenza del buon sangue che NON scorreva tra i due.

“Afrodite!”

“Artemide! Visto? Ci siamo fidanzati!” disse lei mostrandole l'anello che portava al dito. La ragazza sorrise. Bene. Non potevo chiedere di meglio. Ecco svelato il punto debole di Marte. Afrodite è proprio una stupida.

“È meraviglioso! Sono tanto felice per voi due!” lei guardò il suo ragazzo con uno sguardo da innamorata persa. E lo baciò. Cui lui corrispose. Per poi staccarsi. Afrodite incontrò lo sguardo della regina che annuì. Afrodite le sorrise di rimando.

“Vieni! Ti mostro le tue stanze!” fece la giovane con entusiasmo prendendola per mano. Artemide sorrise e la seguì, non prima di aver lanciato uno sguardo agli altri tre nella sala.

“Stasera ci sarà un banchetto in tuo onore. Nostro padre ci tiene molto a te.”

“E io sono molto affezionata a lui, anche se non sono sua figlia.”

“Oh, tesoro scusa. È passato tanto temo da quando eravamo così immaturi, e ci sei mancata così tanto, che ormai ti consideriamo una di noi.” Non male la ragazza come attrice, ma io sono più brava. Fece mentre percorrevano ampi corridoii illuminati.

“Oh, tranquilla, sorella.. Posso chiamarti sorella vero? Ho dimenticato. È vero, ho sofferto molto, ma era anche mia la colpa. Ero stupida e immatura come tutti i ragazzi di quell' età. Credevo di essere superiore, e facendo così mi sono alieniata a voi. Che ne dici di ricominciare?” chiese.

“Certo, sorella.” fece sorridendo. E la abbracciò. Poi si fermò davanti a una porta. E la aprì con una chiave dorata. Che poi le consegnò. Aprì le porte e entrò. Seguita dall'ospite.

“Spero che siano di tuo gradimento. Ti abbiamo dato una camera che desse sull' Oriente, così da poter vedere casa tua ogni volta che lo desideri.” le disse fermandosi al centro della stanza e voltandosi verso di lei.

“Grazie, è molto gentile da parte vostra.”

“Pensavamo che potesse essere un modo per.. sancire la nostra pace.”

“Oh, è perfetto! Avete trovato un modo stupendo!” fece lei commossa.

“Ne sono felice. Il banchetto avrà luogo nella sala di oggi. Alle otto e mezza!”

“Bene! A dopo, allora.” fece sorridendo. E quando fu sola un ghigno le si dipinse sul volto. Sicuramente lei e Era le avrebbero reso la vita dura. Impossibile. Ma il piano che lei aveva in mente era ancora più crudele. Li avrebbe portati tutti alla rovina.

Senza alcuna via di scampo.

Era aveva già tentato una volta di rovesciare il regno di Zeus. E aveva fallito. Ora lei avrebbe fatto la stessa cosa, ma con una differenza. Lei ci sarebbe riuscita.

Le ampie stanze avevano il pavimento mamoreo bianco. Quasi immacolato se non per qualche venatura nera. Il letto era a baldaccino. Bianco. Le ampie finestre davano sul mare. E in lontananza, potendo vedere oltre, il suo mare, la sua città. Efeso. Il mobilio consisteva in un ampio cassettone nella parete di fronte a quella del letto. Vi era anche un bagno privato e un salotto. Con divani. Non era per niente male come camera, bella ampia. E molto luminosa. E per questo avrebbe apportato alcune modifiche. Tutto quel bianco la infastidiva. Era eccessivo. Iniziò a sistemare le proprie cose. Si fece un bel bagno. E poi si vestì. Un vestito blu notte. Lungo. E un velo che partiva dietro il vestito, blu chiaro, cosparso di polvere argentata. Una collana d'argento elaborata, orecchini pendenti. Chioma raccolta. E poi andò. Per gli ampi corridoi incontrò Apollo. Suo fratello.

“Ciao fratellino!”

“Artemide!” fece questo voltandosi e guardandola ammirato. “Sei stupenda.”

“Grazie!” rispose lei fingendosi un po' imbarazzata. Lui le porse il braccio.

“Posso avere l'onore di accompagnare mia sorella al banchetto?”
“Certamente, Apollo.” ribattè lei accettando il braccio. E lo guardò. “Sai, anche tu sei molto migliorato.” in effetti il fratello era il più bello, a detta sua, di tutti gli dei dell'Olimpo. Biondo con occhi scuri e un fisico molto prestante, aveva conquistato fin da piccolo il cuore di molte ninfe. E lei ne era andata sempre orgogliosa in cuor suo. Soprattutto quando aveva tentato di rovesciare il potere del tiranno, un po' di tempo fa, quando ancora era un ragazzino. Ora invece era diventato il protetto di Zeus, insieme a Marte, ovviamente.

Ormai era diventato uguale a loro.

Quando entrò nella sala, tutti rimasero grandemente sorpresi. Sia dalla beltà della divinità, sia dal fatto che ad accompagnarla fosse Apollo. Tutti si aspettavano che venisse da sola.

“A quanto pare, Era, ha già trovato i favori di qualcuno.” commentò Afrodite.

“Già. Non dobbiamo permetterle di ottenerne altri.”

“Consideralo già fatto.”fece la dea. Sorridendo. Poi le andò incontro e la abbracciò.

“Tesoro!” Artemide sorrise falsamente, come d'altronde stava facendo anche la dea dell'amore.

“Sorella!” fece fingendo di strigerla commossa. Gli occhi ritirarono velocemente le lacrime. E poi prese le mani di Zeus sorridendo.

“Non dovevi fare tanto per il mio arrivo. Mi lusinghi.”

“Sei la nostra ospite, meriti tutti gli onori. Oltre al fatto che è il nostro modo per dimostrarti il nostro affetto nei tuoi confronti.” lei sorrise.

“Grazie di cuore, Zeus.” poi sorrise a Era.

“E anche a te, grazie di cuore.”
“Oh, di niente, tesoro. Lo facciamo con molto piacere. Non è vero, Marte?” il figlio si riscosse sorridendo.

“Certo, con molto piacere.” ripetè. Cercando di sorriderle. C'era qualcosa nel suo modo di fare che non gli piaceva. Bella, era bella. Ma aveva qualcosa che non lo convinceva. Tuttavia non poteva mancarle di rispetto di fronte a Zeus, suo padre, proprio in quel giorno. Era una cattivissima idea. Che infatti non ascoltò.

“Marte.”

“Artemide.” fece Marte. Poi, vedendo lol sguardo ammonitore di suo padre, aggiunse. “Sono felice di riaverti con noi. Spero che il tuo soggiorno qui sull' Olimpo sia ottimo.” lei sorrise sapendo che quello era il solito discorso di circostanza che se avesse voluto, si sarebbe evitato di pronunciare.

“Lo sarà di sicuro. Non ne dubito.” fece lei. Sorridente. E prese posto tra Afrodite e Mercurio.

“Buona sera, Artemide.” fece egli sorridendo “Sono felice di riaverti a casa. Si è sentita la tua mancanza”

“Grazie, Mercurio. Mi siete mancati molto anche voi. Sul serio.” fece lei sorridendo. “E quali novità ci sono?”

“Oh, niente di che.. Marte e Afrodite si sono ufficialmente fidanzati l'anno scorso. Anche se sinceramente non capisco cosa ci trovi in lei.”
“I gusti..” commentò Artemide.

“Ma andate d'accordo ora.”
“Non per questo però mi trovo in disaccordo con te.” Mercurio sorrise.

“Sei sempre la stessa. Bentornata.” innalzando il suo calice. Lei lo imitò sorridendo. Non sai quanto ti sbagli, Mercurio. Non sai quanto ti sbagli. Ma non mi aspetto che tu capisca.

“Grazie, Mercurio.” rispose poi.


Le portate furono squisite e anche l'intrattenimento. Le ninfe danzarono e cantarono per lei. Artemide commossa davvero, al termine delle feste non sapeva più come ringraziarli. Ebbe modo di osservare durante il banchetto come Afrodite parlasse del suo fidanzamento e come se ne vantasse. Non era occhi innamorati i suoi, ma quelli di una vincitrice trionfante. Aveva portato per ciascuno dei regali, sorridendo vedendo che risultavano essere alquanto azzeccati.

Molte divinità le si fecero intorno e lei rispose con entusiasmo raccontando la sua vita a Efeso.

“Ti ha voluta qualcuna?” chiese una delle grazie.

“Oh sì, ma non ho mai ceduto totalmente.”
“Perché?” chiese la voce di Marte dietro di lei.

“Perché non me la sono sentita. Tu perché sei tanto interessato?”

“Niente, se non curiosità.” fece lui.

“Effettivamente non c'è da stupirsi se sei interessato a quel tipo di aspetto.” ribattè provocando il riso delle altre.

“Non ci penso da un anno.” fece guardando Afrodite negli occhi che sorrise. E lo baciò.

Artemide sorrise. Dei quanto li odiava. Falsi e stronzi come loro ne aveva incontrati pochi ed effettivamente formavano una coppia splendida.

“Meglio per te. Non vorrei essere nei tuoi panni se dovesse essere diversamente.”

“Non accadrà mai, tranquilla.” fece lui. “So quanto ti piaccio, ma..”
“Sempre meno, stanne certo.” fece lei sorridendo. Poi si rivolse a Afrodite. “Tutto tuo, tranquilla. Non ho alcuna intenzione di soffiartelo. Lascio questo privilegio a altre, sempre che qualcun'altra ci riesca.” fece sorridendo.

“Spero proprio di no. Ma è vero che non accadrà mai?” fece lei.

“Mai, amore. Mai.” fece baciandolo. Era innamorato di lei. Davvero molto. E lei se ne stava servendo per chissà quale scopo. Calcolatrice quanto lei. Sarebbe stata una bella sfida. Molto presto tutto quello che essi conoscevano, sarebbe finito. Non ci sarebbe stato più un monte Olimpo, Zeus non avrebbe regnato più su niente se non su una landa deserta. Il tiranno sarebbe caduto. Lui, lui che non riconosceva la figlia. Che fingeva di aver avuto da Latona soltanto Apollo. Che l'aveva trattata come una straniera, come qualcuno estraneo alla famiglia. Aveva lasciato che l'erede al trono si gioisse delle sue sofferenze. Che la trattassero a loro piacimento soltanto perché era diversa da loro. O almeno credevano ciò. Zeus aveva salvato il regno dell'Olimpo dalla tirannia di Crono, suo padre. Ma non si era dimostrato molto migliore di lui. E se nessuno era in grado di accorgersene, beh, l'avrebbe fatto lei. Suo fratello da quando aveva provato non aveva più osato contraddirlo, e di certo lei non poteva ormai più contare sul suo aiuto. Avrebbe tentennato, avrebbe avuto paura. E lei aveva bisogno di alleati veri, senza scupoli, per riuscire nel suo intento.


Verso la fine della terza veglia, la dea si scusò e si avviò verso le sue stanze. Sotto lo sguardo di suo padre, Marte si propose di accompagnarla.

“Non è necessario.” fece lei garbatamente.

“Sì che lo è.” la divinità notò lo sguardo del dio che le stava di fronte. E poi quello del padre.

“D'accordo.” e prese il braccio che lui le offrì. Quando furono lontani dalla sala, lei delicatamente tolse la mano. Lui la guardò sorpreso.

“Perché?”

“Credevo l'avessi fatto solo perché tuo padre ci stava guardando.”

“No... Non l'ho fatto per questo, ma perché lo volevo.” rispose lui. Questa volta a essere sorpresa fu Artemide, che si ricompose subito. “Sbaglio o quello era uno sguardo sorpreso?”
“Non sbagli. Ma la motivazione non è quella che credi.”
“E quale sarebbe allora la “motivazione”?”

“Mi sembrava di aver capito che tu amassi Afrodite.”

“La amo infatti.”
“Già, ma non perdi occasione di soffermare il tuo sguardo sulle gonnelle troppo corte delle ninfe, o le loro scollature troppo profonde?”
“Gelosa perché nessuno ti ha ancora avuta o desiderata davvero?”

“Non sono gelosa di nessuno. Se sono arrivata a quest'età vergine è solo ed esclusivamente per la mia volontà.” lui scoppiò a ridere.

“Cos'è' ti brucia il fatto che sarei potuta andare a letto con altri e non con te?”
“Oh, ci verrai.”
“Non credo proprio: per ora tutto ciò che provo per te è disprezzo e disgusto, come è sempre stato.” lui sorrse arrogantemente.

“Hai detto bene, Artemide: per ora.” e se ne andò. Lei rimase davanti alla porta della sua camera imponendosi do calmarsi. Aveva dimenticato quanto Marte sapesse essere dannatamente irritante.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Il mattino seguente si svegliò poco dopo l'alba. I raggi del sole filtravano dalle tende bianche illuminando ancora di più la stanza. Si alzò e dopo essersi preparata, iniziò a preparare le proprie cose, donando un tocco personale alla stanza. E sorrise. Ora si sentiva molto più a suo agio. Attraversò i corridoi diretta fuori dagli appartamenti. Doveva andare a fare una bella cavalcata. Lontana da lì. Lontana da loro. Lontana da tutta quell'ipocrisia. Era appena uscita quando una voce la fermò.

“Dove vai?”
“Lontano da qui per un po'”

“Non è un po' presto per essersi annoiata.” ribattè Marte.

“Non sai neanche riconoscere un tono ironico? Stavo semplicemente andando a fare una cavalcata, se permetti.” Lui sorrise.

“Ricordati della nostra scommessa.”
“Oh, stai certo che me ne ricorderò. Preparati a perderla.” fece sorridendo.

“Vedremo.”

“Oh, sì..” e lo superò. E andò alle stalle. Prese il primo cavallo che trovò e lo montò. Poi spronò. E cavalcò per buona parte della giornata. Studiando ogni luogo. Cercando di memorizzarli. E pensò. Di sicuro avrebbe dovuto far passare qualche mese prima di agire. Doveva agire in quel periodo di tempo in modo tale che nessuno potesse sospettare di lei, in modo da poter passare inosservata.

Era da poco iniziata la primavera. Gli alberi erano tutti in fiore, i ruscelli zampillavano di acqua limpida e fresca. Gli uccellini cinguettavano. Il sole splendeva. Era una bellissima giornata, e lei sorrise. Peccato fosse sola pensò con una piccola fitta al cuore. Poi le tornò alla memoria tutto il dolore che aveva provato in tutti quegli anni. E scosse la testa come per rimuovere dalla testa quel pensiero. Nessuno di loro si meritava il suo amore. Né pietà o compassione. Nessuno era mai entrato in sua difesa, in tutti quegli anni. E per questo avrebbero pagato. Dal primo all'ultimo.


Quando tornò alla reggia, Athena la raggiunse nelle stalle.

“È stata una bella cavalcata?” le domandò.

“Sì, grazie.” rispose. “Mi ha aiutata a pensare.” rispose lei.

“Ne sono lieta.” ribattè lei sorridendo.

“Tu invece come hai passato la giornata?”

“Oh, niente di che, mi sono un po' allenata..”

“Zeus ti permette di allenarti?”

“Certo! Da un po' di anni a questa parte posso allenarmi anche io, anche se non con i ragazzi.”

“Posso allenarmi qualche volta con te?” chiese allora fingendosi entusiasta. Qualcuno aveva detto che per sconfiggere un nemico bisogna conoscerlo a fondo. Ed ella concordava.

“Certo! Anche subito se vuoi!”

“Magnifico!” ribattè. Aveva ormai imparato a fingere, si era preparata a quell' evenienza talmente bene, che ora le risultava quasi naturale. E con la stratega si diresse verso il campo di allenamento.

Quando arrivarono si allenarono fino al tramonto. Artemide sorrise e la osservò attentamente mentre combattevano. Aveva una buona tecnica. Ma utilizzava sempre la stessa.

“Tra un po' si cena, tesoro.” pronunciò Afrodite una volta arrivata al campo.

“Arriviamo subito.” rispose Athena. Sospirando. E poi si diresse verso l'uscita imitata dalla dea.


Quella sera al banchetto la ragazza si annoiò da morire. Quell'euforia che aveva mostrato durante il banchetto per il suo arrivo ora era finto. Afrodite non faceva altro che sparlare di chiunque. In tutti quegli anni non era cambiata di una virgola. Invece di risponderle, questa volta la assecondava, fingendosi ammaliata dalle sue parole, quando in realtà era lei a condurre il gioco. E quella ragazzina che voleva improvvisarsi grande attrice, si stava lasciando condurre senza neanche accorgersene. Artemide era in grado di fingere con lei così tanto bene che Afrodite, così tanto esaltata, non si rendeva neanche conto di star giocando a un gioco che non era il suo. Raccontandole qualsiasi cosa riguardo a chiunque, stava fornendo così tante informazioni alla divinità per le quali, altrimenti, avrebbe dovuto impiegare mesi per raccogliere.

Marte, ben presto, raggiunse le due “amiche”. E si sedette vicino a Afrodite.

“Un po' di nettare, tesoro?” le chiese dolcemente porgendole una coppa.

“Sei magnifico tesoro.” rispose lei prendendola e dare un bacio al dio che la tenne stretta a sé. “Allora, tesoro, nessun amore in vista?” chiese poi rivolta alla ragazza.

“Non ancora.”

“Oh, beh.. Allora bisogna provvedere all'istante!”

“No, grazie.. non è il caso.”
“Concordo con la tua amica, amore.. Non è il caso che spendi tante energie in questo modo.. Per lei non ne vale la pena.”
“Non dire così.”
“E poi... Chi mai la vorrebbe una come lei? Il fatto che non abbia avuto nessuno dovrebbe esserti da aiuto.”
“Se non ho avuto nessuno è solo perché non ho voluto.”
“Difficile da dimostrare, visto che non mi pare ci sia la coda per averti.”

“Non tutte hanno la fortuna di essere belle come la tua ragazza, ma non per questo valgono meno.”

“Non ho detto questo.”
“No, lo so. Ma non è mia intenzione avere la schiera di ragazzi fuori dalla mia porta.”
“Non è neanche tua intenzione avere un ragazzo.”

“E anche se avessi questa intenzione, stai certo che non saresti tu il mio obiettivo.”
“Tanto meglio, dato che le tue parole risuonano insopportabili.”

“Allora non rivolgermi la parola.”
“E come faresti poi senza di me?”
“Oh non è il caso che ti preoccupi per me. Tranquillo.. Sopravviverò.” lui sorrise.

“Se ne sei sicura..” e si allontanò. Afrodite lo seguì. Raggiungendolo. E lo baciò una volta constatato che non se ne era andato a causa sua.

In quel momento alla divinità che era rimasta a osservarli, venne in mente un'idea. Doveva conquistarsi la fiducia di Afrodite, diventare sua intima amica. Doveva usarla per arrivare a Marte. E farlo cadere nelle sue mani. Con ogni mezzo. Allora Marte si sarebbe opposto al padre e l'impero che Zeus si era creato si sarebbe sgretolato. E lei avrebbe avuto la sua

vendetta. E sarebbe riuscita nel suo intento. Dopo un bel po' di tempo sentì una voce dietro di sé.

“Una dracma per i tuoi pensieri.” 
“Oh, non valgono così tanto. Sono futili.”
“Credevo non volessi più rivolgermi la parola.”
“Sei stato tu a iniziare. E non sia mai che una bastarda come me osi negare il saluto e la parola al figlio di Zeus, all'erede al trono.” fece lei sorridendo. Lui sorrise.
“Quindi l'hai fatto per educazione.”
“Certamente.” lui annuì fingendo di crederci.
“Se solo fossi brava a mentire..” fece con un ghigno. A lei venne freddo. Temette che lui sapesse.
“Cosa intendi?”
“Semplicemente che non sei affatto brava a mentire. Non con me. Puoi ammetterlo.”
“Cosa?”
“Che ti piaccio. È evidente.”
“Sempre meno stanne certo.” ribattè lei guardandolo finalmente. lui rise.
“È già qualcosa. Ma puoi fare di meglio.”

“Lo stesso vale per te. A Efeso ho tanto sentito parlare di te e della tua bravura nel sedurre le ragazze povere e indifese. Ma se questo è tutto ciò che riesci a fare, ahimè, temo non ne valga neanche la pena.” fece lei sorridendo fingendosi dispiaciuta. E fece come per allontanarsi. Ma il dio, ferito nell'orgoglio la fermò prendendola per un polso. Senza farle male.

“Non ho neanche iniziato. Sicura di voler vedere fino a che punto posso spingermi?”

“Se non sapessi che tu sei fidanzato e prossimo alle nozze con una mia amica per di più, acconsentirei molto volentieri. E ti garantisco che la tua offerta mi interessi molto, mi vedo costretta a rifiutare. Sai.. amicizia.”

“Certo.. Se dovessi cambiare idea..”
“Sarai il primo a saperlo.” fece lei per poi allontanarsi. E andare in camera sua. E mettersi a dormire.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Passarono le settimane e l'idea che aveva avuto della vita sull'Olimpo e dei suoi abitanti andava mano a mano radicandosi sempre di più in lei. Infatti se nei primi giorni non vi aveva badato più di tanto, ora era inevitabile non accorgersi di ciò che stava accadendo. L'entusiasmo di avere una nuova ospite andò pian piano scemando, cosa molto gradita alla dea, poiché quell'essere sempre al centro dell'attenzione la metteva particolarmente a disagio, non essendoci abituata; oltre al fatto che ciò avrebbe portato al non interessarsi più di tanto delle sue faccende, e le avrebbe quindi consentito di agire da sola. Inoltre, stando alla reggia si era accorta che se le ragazze, eccetto Athena, si perdevano nei passatempi più oziosi, e in particolare Afrodite. Sembrava che vivesse di quello, che quello fosse la sua linfa vitale.

Un giorno, trovando una scusa qualsiasi, si allontanò dall'Olimpo e iniziò a cavalcare verso il Peloponneso. Vivere la vita di corte le sembrava più arduo di quanto non avesse mai pensato. Come aveva potuto davvero credere di poter tornare lì, dove tutti l'avevano umiliata e presa in giro, e uscire vincitrice da quello scontro? Erano tutti cresciuti, questo era vero, ma ciò non significava che fossero anche maturati. La crescita purtroppo non sempre si accompagna alla maturità.

Cavalcò finché il cavallo non giunse alla riva del mare e si fermò, schiumante di sudore e stanco. La giovane smontò e lasciò che riposasse. Bagnandolo con l'acqua di mare, anche se forse non gli avrebbe fatto bene, ma almeno lo avrebbe sollevato un poco. Poi si sedette accanto al cavallo, in riva al mare.

“Ti ho fatto correre troppo, eh? Scusa, non accadrà più. Ero talmente bisognosa di allontanarmi da lì che non ho tenuto conto dei tuoi limiti.” fece carezzando il muso. Il destriero nitrì. “Comunque sei velocissimo, davvero. Strano che quegli sbruffoni dei miei coinquilini non ti abbiano mai cavalcato..”.

Il cavallo non disse niente. E come avrebbe potuto?

“È tuo il destriero?”

“No, l'ho preso in prestito da un mio fratellastro.” rispose.

“Non sei di queste parti... Ti sei persa?”

“Se siamo nei pressi di Sparta no.”

“Sì. Sei nei pressi di Sparta.”
“Bene.” ribattè lei dolcemente.

“Scusa, non mi sono ancora presentato. Ero da queste parti e ti ho vista montare questo destriero e... ti ho seguita.” ammise “Il mio nome è Orione.” lei inizialmente non rispose. Era incerta se dirgli il suo nome. Era pur sempre una divinità. Non poteva rivelarsi.

“Io non ho un nome.” mentì lei, ovvero fece ciò che da quattro settimane faceva con tutti.

“Perché?”

“Appena sono nata sono stata strappata a mia madre e abbandonata sui gradini del tempio di Efeso. Le sacerdotesse mi hanno tenuta con loro finché non mi dissero la verità sulle mie origini. E da allora non tornai più a Efeso.” fece lei con le lacrime agli occhi che però si affrettò ad asciugare.

“Mi.. dispiace. Davvero.”

“Anche a me dispiace.” rispose lei.

“Ti va di venire a fare un giro a Sparta?”

“No, grazie. È tardi. Devo tornare dal mio fratellastro. L'ho ritrovato da poco. E sarà preoccupato per me.”

“Capito. Ti rivedrò uno di questi giorni?”

“Non lo so. Se riesco torno, ma non è detto che riesca.”

“Nel caso io sarò qui ad aspettarti.” la fanciulla gli sorrise guardandolo negli occhi verdi smeraldo. I capelli mori ricci incorniciavano un volto dai tratti duri, da guerriero. Il fisico era stupendo. Era il fisico di un ragazzo che si allena tutta la vita per combattere una guerra che forse non vedrà mai.

Gli sorrise sincera e montò sul cavallo. Per poi spronare verso l'Olimpo. Marte si sarebbe incazzato non poco per aver cavalcato il suo cavallo. E aveva ragione. Ma cosa ci poteva fare? Aveva avuto bisogno di correre più veloce del vento e sapendo che i suoi cavalli erano i più veloci, non aveva resistito. Quando tornò sull'Olimpo andò alle stalle. E mise il cavallo al suo posto, vicino all'altro. La luce era fioca, la paglia era color dell'oro e soffice. Le immense scuderie terminavano con una scaletta di legno che portava a un piccolo soppalco in legno cosparso di paglia. Lei vi salì per posare il vestiario da cavallerizza e cambiarsi. E scese la scaletta. Quando toccò terra sentì due braccia possenti prenderla e voltarla, facendo appoggiare la schiena alla scaletta. E Artremide si ritrovò gli occhi scuri di Marte fissi nei suoi.

“Dannazione Marte! Vuoi farmi venire un attacco di cuore?”

“In effetti non sarebbe male.” fece ironico per poi tornare serio. “Si può sapere dove sei stata? Sei sparita prendendo il mio cavallo e te ne sei andata senza dire niente a nessuno!”

“Ora il tuo cavallo è tornato sano e salvo. Puoi anche smettere di preoccuparti per me.” fece lei dura. E liberandosi dalla presa che però si rivelò pronta a riprenderla.

“Non me ne importa del cavallo, voglio solo sapere dove sei stata.”
“Se non l'ho detto a nessuno evidentemente era perché non volevo lo sapeste.” fece lei.lui stava per ribattere ma lei lo anticipò. “E non venirmi a dire che siete stati in pensiero per me. Credi davvero che io ci sia cascata? So perfettamente che stavate meglio prima del mio arrivo, che per voi non è cambiato niente e che i primi giorni di entusiasmo era solo per farmi credere che foste cambiati e illudermi. Lo so perfettamente. L'unica cosa di cui tu eri preoccupato era di non rivedere più il tuo destriero. E ora che ce l'hai puoi anche togliere la presa dal mio braccio. Inizi a farmi male. Il teatrino ha continuato a esistere dopo la mia partenza e continuerà anche dopo questa. Non ti rendi conto che è diventato un tiranno e che voi non lo contestate per paura di far scatenare la sua ira? Non te ne rendi conto?”
“Non so di che cosa tu stia parlando. Mio padre non è un tiranno e se tu sei così differente da noi da crederlo, forse dovresti andartene.”

“Ti ha fatto persino il lavaggio del cervello. La situazione è più grave di quanto credessi.” fece lei.

“Ora smettila. Non è per niente divertente. Io rispetto mio padre. E anche tu dovresti farlo.”
“Come posso rispettare mio padre, se non so chi è? Sono una bastarda, ricordi? Quella che nessuno vorrebbe mai con sé. Non facevate altro che ripetermi questo da bambina. E avevate ragione. Sono nata bastarda e bastarda resterò. Ora lasciami andare. Per favore.”

“Ma... Come è possibile che tu non abbia..?”
“Dei genitori? Non tutti sono fortunati come te, al mondo. E non ti critico perché sei più fortunato di me, ma perché tu, esattamente come tutti gli altri, non hai mai fatto altro che rinfacciarmelo. Fin da quando eravamo piccoli. Tu non ti immagini nemmeno quanto faccia male non aver nessuno. Nessuno che ti consoli quando ti fai male, che ti incoraggia quando fai bene. Che ti rimprovera perché crede in te e sa che puoi dare di iù. Nessuno che ti rimbocchi le coperte la sera, che ti chiami “tesoro”...” poi si fermò. Perché gli stava dicendo tutte quelle cose? Incontrò i suoi occhi. La guardavano. Non più con rabbia. La stava ascoltando. Forse per la prima volta nella sua vita qualcuno la stava ascoltando. Distolse lo sguardo subito. “Ti sto annoiando con tutti queste storie strappalacrime di cui non ti importa niente.”

“Mi piace ascoltarti.”

“Anche se non parlo di guerre e battaglie?”
“Di certo ciò che dici è molto più interessante dei pettegolezzi che dice Afrodite.”
“Occhio a quello che dici, la tua ragazza potrebbe sentirti.” lui sorrise.

“Giusto. Ti sei divertita almeno oggi?”

“Sì.”

“Bene.” poi si tolse e lasciò la presa. “Libera.” fece sorridendo. Lei lo guardò un po' sorpresa, poi si diresse verso l'uscita della scuderia. E uscì. Tornò in camera.


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Il mattino seguente si svegliò con il sorriso. La giornata precedente era stata molto bella, in fin dei conti. Si era allontanata dall'Olimpo, aveva incontrato quel ragazzo, Orione, per altro gentilissimo con lei come non lo era mai stato nessun ragazzo, e per concludere aveva avuto un battibecco con Marte, cosa che la divertiva molto, in fin dei conti; battibecco che era terminato in modo alquanto bizzarro. Forse il fatto che lei si fosse aperta con lui aveva cambiato un po' le cose. Ora bisognava soltanto capire in che senso le avrebbe cambiate. E perché lei si fosse sfogata con lui. Perché tra tutte le divinità presenti si era andata a sfogare proprio con il dio più vicino ai suoi acerrimi nemici? Doveva rifletterci.

Si vestì e presentò nella sala dei banchetti dove al mattino si consumava la colazione.

“Sei di buon umore oggi.” notò Athena con il sorriso.

“Sì.”
“Posso sapere il perché se non sono troppo indiscreta?” artemide sorrise

“La verità è che non lo so neanche io. Oggi mi sembra una giornata positiva.”

“Oh, bene...” rispose lei a sua volta con un sorriso. Le due ragazze iniziarono a mangiare tranquillamente, finchè nella sala non entrò Marte seguito da altre due guardie.

“Mi dispiace.” le sussurrò mentre una guardia cercava di agguantarla per un braccio.

“Che cosa significa?” chiese lei.

“Ordine di Zeus, devi venire con noi nella sala del trono.”

“So dov'è. Posso andarci da sola.” fece lei in risposta. E furente si avviò verso la sala. Spalancò le porte e si diresse verso il padre di tutti gli dei.

“Si può sapere cosa significa?! Perché si presentano due guardie a dirmi che devo presentarmi qui, neanche fossi una criminale?”

“Non usare quel tono con me! Non hai alcun diritto di parlarmi così!”
“E tu non hai alcun diritto di mandarmi delle guardie per farmi venire fin qui. Non ho commesso alcuna colpa!”
“Non è ciò che mi è giunto. Mi è giunta voce che tu abbia idee ribelli che hai confidato a mio figlio Marte.” lei chinò la testa. Ecco. Sapeva di aver sbagliato a rispondergli a tono la sera prima. E a confidargli alcune cose. Non aveva fatto altro che prendersi gioco di lei, e ora doveva pagarne le conseguenze.

“Riguardo a cosa?”
“A ciò che pensi di noi.”
“Ah, sì. Del teatrino che avete allestito nei primi giorni del mio soggiorno per farmi credere che sarei stata bene, che non mi sarei pentita di essere tornata nel luogo in cui ho trascorso gli anni perggiori della mia infanzia. Sì perché voi non avete mai fatto altro che rinfacciarmi ciò che sono. Fin da quando ero bambina. Credevate che fossi così stupida da credervi, vero? Beh, miei cari, non ci siete riusciti. E non ci riuscirete mai. Perché ormai questa convinzione è troppo radicata in me.”
“Ti sei presa gioco di noi.”
“Vi ho fatti giocare al mio gioco senza neanche che voi ve ne accorgeste. E ci siete cascati. Volete davvero sapere ciò che penso? Che vostro padre non sia altro che un tiranno cui obbedite per paura di contrastarlo. Lo temete così tanto che assentite a ogni sua parola, incapaci di distinguere le vere da quelle false.”
“Ora basta! Sei pazza!”
“O forse chi mi accusa di pazzia è lui il folle.”

“Parli come una traditrice!”
“Solo un folle scambia la verità per tradimento. La verità è che le cose stanno come dico io, e tu, figlio di Crono non puoi permetterti di darmi ragione e mi accusi di follia e tradimento. Ma hai commesso un passo falso. E sai perché? Perché se tu non fossi davvero un tiranno non avresti fatto chiamare le guardie, non mi puniresti solo perché ho idee differenti dalle tue!”

“Guardie! Prendetela. E portatela nel posto più remoto della terra.” Artemide scosse la testa rassegnata.

“L'ira ti accecca, possente Zeus. Un giorno te ne renderai conto, e allora sarà troppo tardi. La verità verrà fuori un giorno o l'altro. E allora tutto ciò che conosci, sarà destinato a crollare.” pronunciò guardandolo negli occhi. Per poi lasciare che le guardie la prendessero e la conducessero dove era stato loro ordinato.

Fu portata sulla Terra. E dopo aver camminato a lungo, si avviarono nelle profondità di una grotta. Scesero le scale verdi che si disponevano a chiocciola e che scendevano lungo quel tunnel che sembrava non aver mai fine. A un tratto toccò finalmente il suolo, costeggiato da un fiume nero dove scorrevano le anime. E vide accanto a sé una folla di anime impaziente di essere traghettata sull'altra sponda.

Poi, dalle nebbie comparve una chiatta a fondo piatto. Lunga e stretta. Condotta da un uomo vecchio, la pelle tanto tirata che si potevano scorgere le ossa sotto di essa. Una delle due guardie lanciò un fischio e il vecchio si voltò dalla sua parte. “Da questa parte, vecchio. Ordine del signore che governa l'Olimpo.” disse.

“Io rendo conto solo al signore degli inferi. Ciò che governa il tuo padrone non lo valuto neanche mezza dracma.” rispose il vecchio scorbutico. Artemide notò la borsa piena di denari al fianco delle tue guadie.

“Abbiamo più soldi di quanto possano darti queste anime in una giornata. Traghettaci sull'altra riva del fiume.” egli allora si avvicinò con la barca e fece salire i tre più altre anime. Il fiume era stracolmo di anime che fluivano seguendo la corrente. Le pareti alte e rocciose, cavernose, nere incutevano ancora più terrore e umide contribuivano a rendere l'aria fredda e umida. Il fiume scorreva calmo, e le anime che si trovavano sull'imbarcazione con lei respingevano in malo modo le poche anime che tentavano in un gesto disperato di salire sulla barca. E con urla di dolore tornavano a fluire immobili nel fiume. Si giunse a un cancello immenso di ferro nero. Alto. L'inferriata permetteva all'acqua di scorrere attraverso di esso.Il vecchio Caronte battè una volta il remo sul fondo della barca e il cancello iniziò ad aprirsi con un romore stridente e dovette muovere molto la terra perché le acque torbide iniziarono ad agitarsi minacciando la barca del vecchio. Tutte le anime si tennero per non cadere. E Artemide e le due guardie fecero altrettanto. Poi il cancello fu aperto e le acque si distesero nuovamente. Come se niente fosse successo. La barca lentamente riprese il proprio corso e superò il cacello. A guardia del quale si trovava un cane gigantesco, più grande di quanto uno potesse immaginare. Ma la cosa che la colpì di più fu che aveva tre teste e fauci fameliche. Caronte lo superò mentre quello ringhiava. Il vecchio gli lanciò il pasto e continuò il percorso. Fece scendere su una riva le altre anime e andò a riscuotere da ciascuna anima la ricompensa. Poi risalì sulla barca e continuò ancora per un tratto di strada. Fino ad arrivare su un litorale dove si trovava un teschio gigantesco. E li fece scendere. Artemide prese da ciascuna borsa delle guardie due manciate di dracme.

“Sono sufficienti, mio vecchio amico?” chiese lei.

“Più che sufficienti.” poi si voltò verso le guardie. “Proviene davvero dall'Olimpo?”
“Il tuo compito è quello di traghettare le anime, non di fare domande, vecchio!”

“Sì.” rispose lei per loro. Caronte non rispose. Risalì sulla barca, infilò le ricompense in una sacca logora di pelle e ripartì. Le guardie la incatenarono per evitare che fuggisse e si diressero dentro il teschio dove trovarono due troni. Di ferro nero. Due troni regali su cui siedevano i Sovrani degli Inferi. Ade si alzò.

“Bene, cosa abbiamo qui?”
“Un dono da parte del signore dell'Olimpo.”
“Io non sono un dono.” ribattè la giovane pestando un piede alla guardia che aveva parlato.

“E che cosa sei, allora?”
“Solo una ragazza che la pensa in maniera differente da lui. Mi definisce ribelle, lui.”
“Sei la benvenuta, allora.”
“Ha dato ordine che venga rinchiusa nel luogo più profondo della terra.”
“Dite al vostro signore che non si preoccupi. Di lei mi occupo io. E ora via.” le guardie si inchinarono e sparirono. Ora lei era sola di fronte al signore dell'Oltretomba. E per quanto non fosse tanto facile da impressionare, la situazione la metteva a disagio un po'.

“Bene. E così mio fratello ti ha affidata a me.”
“Non è esatto. Mi devi rinchiudere. Non è proprio un affidamento.”
“Se sei così impaziente di essere rinchiusa, lo farò subito.” e chiamò una Erinne. “Alletto!”
“Sì, mio signore?” chiese lei arrivando. Era sicuramente una guardiana. Vestita da uomo aveva una catena in mano che probabilmente usava per punire i dannati. Aveva il viso e le parti scoperte del corpo sporche di cenere e aveva alcuni tagli sulle braccia, gambe e viso. I capelli erano una massa di ricci tra i quali v'erano serpenti.

“Accompagna la nostra ospite nei profondi recessi dell'Erebo. E fai in modo che non le venga a mancare niente.”

“Sarà fatto, mio signore.” rispose lei per poi guardarmi con un ghigno. Prese la dea per le catene e iniziò a trascinarla per dei corridoii buii. La giovane inciampò più volte.

“Non camminare come un peso morto. Non ho il tempo e la pazienza di raccoglierti.”

“Non ci vedo niente.” rispose lei. Non frignava. Il tono era quello di chi fa una semplice constatazione.

“Non è un mio problema, signorina.” disse marcando l'ultima parola di una forte nota di disprezzo.

“Ehi, guarda che non hai bisogno di trascinarmi come un cagnolino. So camminare da sola.” riprese la giovane senza demordere. La guardiana si voltò e la guardò dritta negli occhi. Neri fiammeggianti d'ira.

“Non osare questo tono con me. Non sono la tua servetta cui puoi dire tutto ciò che vuoi. Qui io sono il capo e tu la ribelle. Qui IO do gli ordini e tu ubbidisci. Qui io faccio le domande e tu rispondi. Tu non hai alcun diritto e hai solo il dovere di eseguire qualsiasi ordine io ti dica. Non hai alcun potere su di me. Sono stata chiara?”

“Cristallina.” rispose lei senza staccare gli occhi dai suoi. Alletto annuì. Poi si voltò e con uno strattone la fece camminare di nuovo lunghi cunicoli buie e scale ripide e strette. Finché non arrivò a un portone di bronzo molto pesante e tutto istoriato. Nonostante le mura fossero molto spesse, Artremide poteva distinguere benissimo le grida e urla di dolore dei dannati alzarsi sempre più in alto.

“Eccoci. Siamo arrvate.” sibilò. E poi con una mano aprì il pesante portone. All'improvviso si fece silenzio. Con un piccolo strattone alla catena portò la giovane al proprio fianco. Lo spettacolo che le si presentò fu orribile. Fiumi di lava bollente scorrevano per questa distesa immensa di cui si riuscivano a intravedere le pareti solo in lontananza. Le stesse che aveva visto all'entrata. L'umidità, la muffa si mischiavano al calore atroce che proveniva da quei corsi di lava. V'era della terra nera, costituita da braceri ardenti sulle quali si trovavano le anime che sembravano quasi danzare per evitare di scottarsi le piante dei piedi. E poi v'erano immense rocce che si stagliavano ai lati e una centrale. Alta in modo da avere una completa visuale di ciò che accadeva lì.

“Chi vi ha dato il permesso di sospendere? Forse io o una delle mie sorelle? Riprendete, sfaticati!!” urlò furibonda lei. Poi prese a costeggiare la parete rocciosa grazie a un passaggio stretto ma abbastanza largo da poter mettere un piede dietro l'altro e stare abbastanza in equilibrio. Poi aprì una porticina inferriata. E la rinchiuse.

“Goditi lo spettacolo. Spero che ti piaccia anche se non è quello cui siete abituati voi dell'Olimpo.” e detto ciò, senza lasciarle il tempo di rispondere, tornò ad assumere il suo ruolo di guardiana.

Artemide osservò tutto. Ma a un tratto quella violenza divenne troppa anche per lei. Si allontanò dall'inferriata e si sedette sul pagliericcio sporco a piangere. Per ciò che stava vedendo, per il non vedere la luce, per essere stata tradita. Tradita dall'unica persona cui non aveva mai mentito in tutto quel tempo, con la quale era sempre stata se stessa.

Le cose sarebbero cambiate, da allora. Avrebbe trovato validi alleati per la sua impresa al di fuori del palazzo, sarebbe riuscita nel proprio intento e poi si sarebbe vendicata. Sui due regnanti e sull'erede. Nulla oramai l'avrebbe fermata.

Una volta uscita da lì, avrebbe potuto farlo. Avrebbe raggiunto il proprio obiettivo, e non sarebbero state solo parole.

Vuoi la guerra, Zeus? E guerra sia! Vi distruggerò. Uno per uno. Vi priverò di ciò che vi è più caro. Vi farò cadere uno alla volta. Dal primo all'ultimo. Questa è una promessa.


Dopo ore di pianto e di rabbia, l'ira si trasformò in odio. Odio verso tutti e tutto. E si coricò. Addormentandosi all'istante.

Si risvegliò di soprassalto. Urlando. Si guardò intornò. Il buio più completo. Da fuori poteva scorgere il rosso della lava e il calore che si mischiava al freddo umido della roccia. Si toccò lafronte, imperlata di sudore. Ade, le torture imposte ai dannati, il sorriso che ogni volta si dipingeva sul volto di Alletto anche quando le sue sorelle chiudevanogli occhi per il terrore. E invece lei guardava. Soddisfatta. Come se la sofferenza altrui la facesse rinascere, le desse nuova energia. Quegli occhi mai sazi di agonia si godevano lo spettacolo di tortura ogni volta le venisse offerta la possibilità.

E tutto ciò le si era affollato nella mente. Tutto con una disperata voglia di andare via.

Notò vicino a sé dell'acqua e una pagnotta di pane raffermo. Fosse stata sull'Olimpo non avrebbe mai osato mangiare ciò. Ma lì non era il caso di atteggiarsi da schizzinosa. Le avevano sempre detto che il cibo da mortale non le avrebbe mai fatto bene, anzi, che l'avrebbe avvelenata a lungo andare. Perché l'unico cibo commestibile per gli dei era il nettare e il vino o l'acqua. Nient'altro. Sarebbe stata male, molto probabilmente, ma non poteva permettersi di non mangiare. Sarebbe stato ancora peggio.

Finì di mangiare e nelle prime ore non sentì niente. E si coricò. Cercando di non sentire ciò che avveniva al di fuori di quella porta. Ma ben presto sentì bruciori allo stomaco, e iniziò a contorcersi dal dolore. Sembrava non voler finire mai. Urlò, gridò ma nessuno accorse. Anzi, poteva immaginare il ghigno sorridente sulle labbra di Alletto prendere forma piano piano. Per poi scoppiare in una risata maligna.

Poi tutto si calmò. All'improvviso. E approfittò di quella pausa per prendere un po' di fiato.

Andò a guardare fuori dall'inferriata. E quando il suo sguardo si incontrò con quello di Alletto, non lo distolse ma le lanciò uno sguardo duro. Lei dapprima la guardò sorpresa, poi non si ritrasse dallo sguardo.

Artemide guardò di nuovo la scena pietosa che si svolgeva sotto i suoi occhi. Era peggiore di quanto già non ricordasse. Di nuovo sentì i bruciori di stomaco e conati di vomito salire. Che poi gettò fuori mentre sentiva la situazione peggiorava sempre più. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non dover sopportare tutto ciò.


Le Erinni instancabili giorno e notte svolgevano quella tortura, mai stanche e mai sazie. Soprattutto Alletto. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, settimana dopo settimana, mese dopo mese; loro erano sempre lì. E Artemide ogni giorno stava sempre peggio. Dopo aver vomitato l'anima, ora stava aveva la febbre alta, vomitava sangue e pur di non rischiare di morire di inedia mangiava ciò che poi le recava quei dolori lancinanti.

Ogni volta piangeva dal dolore. Quel dolore che si causava ogni giorno per rimanere in vita. Perché essendo mezzosangue, metà mortale e metà divina, poteva provare tutti i dolori dei mortali, eccetto la morte, tutte le malattie e i dolori che gli altri, essendo divinità, non potevano provare. Ma il lato peggiore era che l'unico alimento possibile per lei era l'ambrosia, il nettare degli dei. Così si mostrava la sua natura divina.



Ormai aveva perso il senso del tempo quando sentì le porte di bronzo pesanti aprirsi scaturendo l'ira delle Erinni.

“Non potete venire qui!”

“Questo non è il vostro territorio.”
“Aria, pivelli. Questo non è il posto per voi.” fece Alletto.

“Questo non sei tu a deciderlo, Alletto. Ordini del tuo sovrano. Siamo venuti a riprenderci la prigioniera.”

“Chi me lo garantisce.”
“Io.”
“Non mi fido.”
“Affari tuoi, non miei.” Mercurio le porse la carta sigillata. Lei gliela strappò di mano e la lesse. Per poi bruciarla.

“Bene.” fece lei per poi condurli davanti alla cella. Aprì la porta.

“Tuttta vostra.” affermò per poi scoppiare in una risata fragorosa che risuonò per tutto l'Erebo.

Le due divinità rabbrividirono al usono di quella voce. Poi Mercurio aprì leggermente la porta, provocando un rantolo di agonia a Artemide, ormai non più abituata alla luce. Entrarono con una fiaccola e e lo spettacolo che videro fu orribile. La paglia umida era sporca di tutto ciò che la povera ragazza aveva rigettato in quei mesi. Un lezzo di putridità si levava da quella stanza. Mercurio le si avvicnò con la torcia per individuarla. E l'altro lo seguiva. Ciò che videro fu una ragazza nelle peggiori condizioni che potessero mai pensare. Dimagrita a vista d'occhio ora sembrava un fuscello, pallida giallastra in viso, i capelli sporchi e scompigliati, i polsi e le caviglie piegate dai segni delle catene.

“Artemide..”

“M..Mar..”

“Non parlare.. ti riportiamo a casa.”
“Quella non è casa mia! Io non ci torno con te a 'casa mia'.. scordatelo..” lui le si avvicinò. “Stammi lontano lurido figlio di puttana! Lasciami!” Artemide stessa si sorprese di quanta energia avesse tirato fuori in quel momento. Ma in fin dei conti l'odio e l'ira erano due sentimenti incontrollabili, che davano alla persona che li possedeva un'energia incredibile. Marte aspettò che si calmasse. E poi le si avvicinò.

“Non ti voglio far del male..”

“Anche se volessi non sono nelle condizioni di opporre resistenza.” fece lei. Lui sorrise beffardo.

“Sono certo che se ti facessi del male, poi troveresti comunque il modo di farmela pagare.”
“Oh, beh.. su questo mi trovo in accordo con te.” rispose lei. Temendo che potesse farle del male chiuse gli occhi e si raggomitolò. Poi sentì degli scatti meccanici e quando sentì la sua pelle libera, seppur segnata, lo guardò con le lacrime agli occhi.

“Siamo venuti a liberarti.” rispose Mercurio per l'altro.

“Oh. Immagino mi vogliate riportare a casa a tutti i costi.” nessuno dei due rispose. Lei si alzò.

“Riesci a camminare?” le chiese Mercurio.

“Sì, grazie.” rispose con un sorriso che però si tramutò in una smorfia. Ma dopo aver fatto pochi passi dovette ricredersi. Inciampò e certamente sarebbe caduta se non ci fossero state le braccia di Marte a prenderla.

“Sì.. tu riesci a camminare quanto è vero che siamo a casa...” lei sorrise. E lo guardò negli occhi. Quegli stessi occhi che un po' di tempo fal'avevano guardata quasi con tenerezza, le braccia che la sostenevano ora erano le stesse che l'avevano tenuta salda contro la scala nella scuderia. Così vicina a lui; e quelle parole che ora cercavano di rassicurarla e farla sorridere di nuovo, provenivano dalla stessa bocca che qualche mese prima l'aveva denunciata a Zeus e che le avevano provocato tutte quelle sofferenze. In un momento di rabbia si alzò e lo allontanò da sé per poi uscire dalla porta. Con i due dietro che cercavano di aiutarla, arrivò fino all'ingresso. Guardò acora quella voragine. E vide Alletto che la guardava. E mostrò uno sguardo fiero, deciso determinato di sfida. Poi Mercurio la riscosse e la portò fuori da lì. Ripercorse le scale guidato dalla luce della torcia e lei si teneva per mano a lui per evitare di perdersi. Tornarono nella sala del trono. E poi da lì tornarono sul fime Stige, dove c'era Caronte ad aspettarli.

“Salite. Non ho tutta la giornata per voi.”

“Arriviamo Caronte.” fece Mercurio. Salirono e si sedettero. Artemide battè i denti dal freddo. E quando Marte le posò il mantello sulle spalle lei sorridendo lo ringraziò.

“Non rischi di subire una scenata di gelosia dalla tua fidanzata stasera se mi vede tornare con indosso il tuo mantello?” rise.

“Non credo proprio. È talmente innamorata quella ragazza che non si accorgerebbe di un tradimento neanche se la tradissi sotto gli occhi.”
“Io parlavo di gelosia, non di tradimento.”
“No.. non corriamo il rischio di scatenare la sua ira.” fece alzando le spalle.

“E tu? Nessuna avventura?” chiese lei a Mercurio.

“Per il momento no.” fece sorridendo.

“Peccato.”

“Se vuoi però sono libero.. ahi!” fece dopo essersi beccato una remata sulla testa da parte di Caronte e una pacca sulla nuca da Marte, provocando il riso di Artemide.

“Non si dicono queste cose a una ragazza!”

“E poi.. lei è occupata.” disse Marte.

“Ah sì? Non lo sapevo..” ribattè Artemide.

“Il nome Orione ti dice niente?”lei chinò il capo arrossendo.

“Perché le migliori se le prendono sempre gli altri?”
“Forse perché sei lento, nonostante i tuoi calzari alati!” fece ridendo il dio della guerra.

“In realtà, comunque, non mi sembra di aver detto che sono fidanzata. Io sono ancora libera.”

“Sentito, guastafeste?” disse lui facendo la linguaccia all'amico.

Arrivarono all'altra sponda. E sbarcarono. Prima Mercurio. Poi Marte che aiutò Artemide a scendere.

“Te la senti di tornare all'Olimpo?” le chiese. Lei negò.

“Non voglio tornare. Non è per voi. È che... Non ho cambiato idea su ciò che ho detto. Sarebbe inutile. E ora non voglio farmi vedere debole. Non da loro. Tornerò quando sarò più in forze. Per il momento...”
“Hai dove andare?”
“Credevo mi volessi portare a casa.”
“Sì lo voglio ma... non posso obbligarti. Se non vuoi tornare... libera di farlo per quanto mi riguarda.”
“Ma tuo padre..”
“Ci penso io a mio padre. Tu non preoccuparti. Va da lui. Passerò a prenderti quando ti sentirai pronta.” e distogliedo lo sguardo si voltò. “An...”

“Grazie.” fece lei. Lui sorrise.

“A presto.” e seguito da un Mercurio più che confuso, si allontanò tornando all'Olimpo.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Aprì gli occhi il giorno seguente, poco dopo il tramonto. Percepì un calore avvolgerla, come in un abbraccio. Un profumo di zuppa calda proveniente da un'altra stanza. Mura color pietra, una finestra alla sua sinistra era chiusa da due ante di legno. La stanza, ampia, era riscaldata da un camino acceso e da braceri di ferro disposti vicino al letto in modo che le giungesse meglio in calore. V'era una cassapanca di ciliegio semplice al termine del letto e qualche affresco sbiadito dal tempo che doveva rappresentare gesta eroiche di qualche antenato. Cosa abbastanza comune nelle famiglie altolocate greche. Poi vide la porta aprirsi un poco e un filo di luce penetrò in quell'ambiente chiuso e tenebroso. Lentamente voltò lo sguardo in quella direzione. E incontrò lo sguardò di Orione. Che le sorrise.
“Sono felice che tu ti sia svegliata.” susurrò. “Quando il tuo fratellastro ti ha portato da me eri in pessime condizioni.”
“Sì.. Ho avuto una vita abbastanza avventurosa in questi ultimi mesi. Ma non piacevoli.”
“L'importante è che tu ora stia bene.”
“Già.”
“Tranquilla, ci ha pensato tuo fratello a dirmi il tuo nome, Febe.” Artemide sorrise.
“Scusa... è che ho imparato dalla vita a non fidarmi troppo degli estranei, e non sapevo ancora se potevo fidarmi.”
“Come ti senti?”
“Ancora un po' debole.”
“È normale. Intanto bevi questo. Mi hanno raccomandato di farti bere questo e questo soltanto.” disse lui. E le porse un corno concavo con dentro la medicina. Era d'argento tutto intarsiato con la storia degli dei. V'erano rappresentate tutte le imprese di Zeus da giovane. E al centro era raffigurato assiso sul trono olimpio e con una folgore nella mano destra una folgore, simbolo del suo potere. E questo cos'è, uno scherzo? Volete farmi credere che questo mi aiuterà a guarire? Un corno con raffigurato mio padre? Quello s*****o che non vuole riconoscermi? Pensò lei. Aprì la boccetta e bevve quel contenuto dorato e dolce come il miele, almeno così si diceva. Anche se lei preferiva pensare all'ambrosia dolce come il succo di qualche frutto estivo. Bevve con sodisfazione e quando finì sorrise.
“Ho.. problemi con il cibo. Non posso mangiare quasi niente. Tranne questo.” spiegò poi.
“Capito.”poi, visto il caldo che faceva fuori, essendo già primavera inoltrata, tolse i braceri che erano vicini a lei.
“Oh tesoro ti sei svegliata!! eravamo tanto in pensiero!” fece una donna sui quarantacinque anni avvicinandosi al letto.
“Sì... signora.” rispose lei.
“Oh, chiamami pure ! Qual è il tuo nome, tesoro?”
“Febe.” rispose lei.
“Bene, Febe... te la senti di camminare un poco? Fino alla bacinella, che ti preparo un bel bagno fresco così ti puoi pulire e cambiare d'abito.”
“Grazie. Lo farei molto volentieri.” rispose con un sorriso. La donna uscì e andò a prendere dell'acqua fresca che poi versò nella vasca. Acqua fresca. La dea sorrise e tenendosi al braccio del ragazzo che la teneva salda, si diresse pian piano fino alla vasca.
“Ora puoi anche andare.” gli disse dolcemente Artemide.
“D'accordo.” ribattè lui con un sorriso. E uscì lasciando le due donne sole.
La donna la aiutò a spogliarsi e la fece entrare nell'acqua.
“Ora rilassati, cara. Mi prenderò io cura di te.” la dea chiuse gli occhi sorridendo. E si lasciò avvolgere da quella sensazione. Di fresco e di affetto, come una bambina felice di ricevere le cure e l'attenzione di una madre. Madre che non aveva mai avuto.
La donna la lavò con cura. E quando la fece uscire avvolgendola in un panno pulito l'acqua era nera come la pece.
“Tranquilla, cara. Ci penso io.”
“Oh no... lasci... le do una mano.”
“Ce la faccio, se ho bisogno di una mano te la chiederò.” rispose la donna con un sorriso. E uscì dalla stanza.
La dea prese il primo vestito che vide nella cassapanca e lo indossò. Poi uscì dalla stanza ritrovandosi in un ampio salone con affreschi su tutte le pareti. E si fermò a osservarli. Erano rappresentati gli dei dell'Olimpo al banchetto per la nascita di Athena. Marte aveva quattro o cinque anni, non di più. E chiunque fosse l'artista, era riuscito a dipingerlo abbastanza verosimilmente rispetto a quello reale.
“Abbastanza realistico, vero?” disse la voce di Orione dietro di lei facendola sussultare. “Scusa, non volevo spaventarti.”
“Non mi hai spaventata, è solo che non me l'aspettavo.” fece con voce flebile.
“Non hai ancora risposto alla domanda...”
“Sì... lo è. Come la rappresentazione di tutti gli altri.” fece lei allontanandosi dalla parete.
“Sai che.. puoi fermarti qui da noi tutto il tempo che desideri, vero?”
“Sì, lo so.. grazie... ma non mi fermerò più di qualche giorno... devo tornare a casa.”
“Sanno che sei qui.. se vogliono venire a trovarti possono farlo quando vogliono.”
“Grazie Orione, ma forse... è meglio che torni.” fece lei un po' spaventata. Lui chinò il capo.
“Scusa.. Io... Non pensare che voglia... tenerti qui... solo... sono preoccupato per te.. Stavi.. così male quando ti hanno portata qui.. E.. desidero solo che tu ti rimetta presto... Scusa.” Artemide sentì come se una freccia l'avesse scalfita. E provò tanta tenerezza e affetto verso quel ragazzo che si preoccupava tanto per lei. Nessuno prima d'ora si era comportato così nei suoi confronti. Come ho potuto davvero pensare che Orione mi volesse tenere con sé per altri fini che non fossero il prendersi cura di me? Sono stata così stupida a pensarlo... Lui.. è così gentile con me. E non ha motivo per fingere.. sapevo che prima o poi avrei trovato qualcuno che tenesse a me. Pensò. E fece apparire un sorriso sul suo viso.
“Non è colpa tua, Orione. È che.. non sono abituata a stare in compagnia di uomini... che non sia il mio fratellastro.”
“Capito. Non accadrà mai più. Promesso.” la divinità sorrise.
“D'accordo.. Eri venuto.. per qualcosa?” chiese poi ricordandosi di essere stata raggiunta da lui.
“Sì, scusa, quasi me ne dimenticavo: è pronta la cena... te la senti di mangiare con noi o preferisci restare in camera?”
“Cenerei volentieri in vostra compagnia.”
ò il giovane sorridendo. “Vuoi una mano per camminare?”
“No, grazie, faccio da sola.” rispose lei. Sorridendo.
Quando arrivaro“Bene!” esclamno, la cena era davvero pronta. E alla ragazza venne in mente che non poteva assumere cibo umano. Orione sorrise notando il suo sguardo.
“Tranquilla, me ne sono ricordato del tuo problema... per questo per te abbiamo preparato dei piatti speciali.” lei sorrise.
“Grazie.” fece sorridendo felice. Sedendosi a tavola.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Intanto Marte e Mercurio erano tornati all'Olimpo. Zeus di certo aspettava. Voleva rivedere Artemide, e di certo non perché gli fosse mancata. Semplicemente per ribadire la sua autorità e farle capire che aveva sbagliato.

Quando il re degli dei si avvicinò a loro, lo sguardo fu molto contrariato.

“Vi avevo detto di riportarla a casa.” disse duro guardando Marte negli occhi. “Mi hai disobbedito.”

“Non era in forze, padre. Non si reggeva neanche in piedi. Ha detto che sarebbe stata via giusto il tempo di riprendersi.”

“Ha detto altro?”
“Sì. Che quando tornerà sarà ben lieta di chiederti perdono. Implorarlo se è necessario. Si è resa conto di aver sbagliato. E vuole rimediare.” mentì lui. Mercurio, senza che il padre se ne accorgesse, guardò l'erede al trono meravigliato. Perché stava mentendo a suo padre? Per difendere lei? Non aveva mai fatto niente di simile neanche per Afrodite.

“Dice la verità?” chiese Zeus al messaggero. Lui si riscosse. Ecco... perché alla fine doveva essere sempre tirato in mezzo? Che aveva fatto lui di male? Non poteva mentire al signore di tutti gli dei, ma neanche smascherare Marte, il suo migliore amico. Sospirò e poi annuì.

“Sì, è la verità.” confermò.

“Bene, sia decretato allora che il giorno in cui Artemide tornerà, sia indetto un banchetto durante il quale chiederà perdono.” Marte annuì.

“Sarà fatto, padre.” fece per poi uscire dalla sala del trono ove erano stati ricevuti.

Mercurio lo seguì. E dato il passo veloce di Marte dovette servirsi dei suoi sandali alati per raggiungerlo. Lo prese per un braccio e lo fece voltare.

“Ora mi devi dire perché.”
“Cosa?”
“Perché hai mentito a tuo padre.”

“Tu perché l'hai fatto?”
“Non hai risposto.” lui alzò le spalle.

“Mi andava.”
“Non è vero. Non “ti andava”. Non hai mai mentito a tuo padre. Neanche per salvarti la pelle nelle situazioni più compromettenti. Perché l'hai fatto per salvare Artemide?”

“Non sono affari tuoi.”

“Sì che lo sono, dato che ho mentito anche io.”
“Nessuno te l'ha chiesto.”
“Vero. Ma per amicizia si fa.”

“Grazie.” fece per poi andarsene senza dirgli niente, lasciando Mercurio confuso più che mai.


Aveva trascorso con loro pochi giorni, poi era tornata sull'Olimpo. Erano stati tutti molto felici di rivederla. Si erano comportati come se non fosse successo niente, come se ignorassero i tre mesi che aveva trascorso nell'Erebo. Fingevano

che andasse tutto bene. E questo solo perché il re de

gli dei lo aveva ordinato.

“Artemide...”
“Vattene via.”
“Ti devo parlare.”
“Non voglio ascoltarti”

“E invece lo farai.” disse lui con voce ferma. Artemide cercò di trattenersi, ma l'ira, l'odio e il rancore nei suoi confronti era decisamente ancora troppo forte per starlo ad ascoltare. L'aveva tradita. L'aveva condannata a quell'Inferno. E ora aveva anche la presunzione che lei l'avrebbe ascoltato solo perché aveva qualcosa da dire?!

“Ti ho detto di andartene!!! vattene via! Lasciami in pace!!! Non voglio più avere niente a che fare con te! VATTENE VIA!!!” disse lei quasi strillando, mentre sentiva lacrime di rabbia salirle agli occhi.

“Artemide io... mi dispiace!!”

“Vai a farti fottere! Te e le tue insulse scuse. Sparisci dalla mia vista, non ti voglio più vedere.” continuò lei interrompendolo. Con un tono più pacato, che si alzò nuovamente quando lo sentì avvicinarsi.

“Non ti avvicinare. Lasciami sola. Ho bisogno di stare da sola.”

“Come preferisci.” diss'egli chinando il capo. Le spalle di lei, ancora inginocchiata per terra con il viso appoggiata al letto, si muovevano a scatti veloci, ancora scosse dai singhiozzi silenziosi del pianto. Ce l'aveva con lui, questo era ovvio, ma ancora non sapeva il perché, ma non era quello il momento di indagare. Si avviò alla porta e si fermò. Quando si voltò verso di lei, ella lo guardava. Gli occhi azzurri, gonfi per il pianto e le guance rigate dalle lacrime strinsero il cuore di lui in una morsa. E la guardò con tenerezza.

“Vattene. Non ho bisogno della tua compassione e nemmeno della tua pietà. Sparisci. Sei l'ultima persona al mondo che voglio vedere in questo momento.”
“Già, ma l'unica di cui hai bisogno.”

“No. Non sei tu la persona di cui ho bisogno. Rasserenati pure. Va dalla tua bella. E restaci.” ribattè dura e acida.

“D'accordo, signorina nonhobisognodinessuno. Tolgo il disturbo.” fece uscendo e sbattendo la porta, con talmente tanta forza che si riaprì.

“È DI TE che non ho bisogno. È diverso.” Marte non rispose e si allontanò per poi recarsi nelle stanze della sua promessa sposa.

“Tesoro, cosa è successo?” chiese la fanciulla preoccupata quando lo vide entrare.

“Siamo sempre alle solite. Ero andato a scusarmi per quanto è successo e lei mi ha cacciato in malo modo senza neanche darmi la possibilità di parlare. Ha iniziato a urlare come una pazza dicendo che mi voleva fuori dalla sua vita. Che non vuole più vedermi.”Afrodite, che era rimasta sul suo triclinio intenta ad ascoltarlo, si alzò e lo raggiunse da dietro.
“Non mi sembra una grave perdita, dopotutto.” gli sussurrò all'orecchio. Lui sospirò.

“Sì, ho capito. Ma io non ho fatto niente. Non ha alcun motivo di prendersela con me.”

“E quindi oltre a essere una ribelle, è anche folle. Marte, lasciala perdere. Sinceramente non capisco il motivo di tutto questo attaccamento nei suoi confronti. Soprattutto considerando il fatto che hai tutto ciò che qualsiasi altro desidera.” fece lei per poi mettersi davanti a lui e tirargli su il viso con le mani.

“Sì.. hai ragione..” fece lui sorridendo. E lei, ricambiando lo baciò a fior di labbra. Lui la attrasse a sé e sorrise mentre approfondiva il bacio.


Artemide, intanto, nelle sue stanze, piangeva. Per rabbia. Rabbia nei propri confronti. Per essersi fidata di uno come lui. Per non aver dubitato della sua falsità. Per essere stata se stessa e aver trascurato i suoi doveri. Non aver pensato alla propria missione. Per aver fatto sì di essere rinchiusa per tre mesi negli inferi. Per aver perso tempo prezioso. Per aver dato alla tirannia di Zeus tre mesi di vita in più.

Doveva cambiare strategia. Se avesse continuato così non ci sarebbe mai riuscita.

La realtà era che però non aveva un piano. Sapeva solo che ciò che avrebbe causato la loro rovina sarebbe stato il chaos, ma non sapeva come arrvare lì. La sua titubanza, dovuta fino ad allora al sospetto che di lei a qualcuno importasse, dopo quei tre mesi confinata nell'Erebo era totalmente svanita. Ora voleva solo distruzione. E l'avrebbe ottenuta. E in tempi anche abbastanza brevi.

La dea si andò a lavare e rese presentabile al banchetto, ove si recò quando fu giunto il momento della cena. Indossando i suoi soliti abiti, si presentò puntuale. Tutti la guardarono non appena lei fece la sua comparsa. Ma non con sguardi severi. Con il timore che potesse dire qualcosa di compromettente o che le facesse guadagnare l'Erebo un'altra volta. Zeus le sorrideva. Mio padre può sorridere? Quante cose che si imparano...

“Artemide, ben tornata!!” le disse felice. Lei sorrise a sua volta non sapendo bene cosa dire.

“Grazie Zeus.” rispose comunque. “Sono felice di essere tornata a casa.” disse sentendosi venire il voltastomaco a quelle parole. Era tornata solo per la distruzione di quel luogo. Non per altro. Poi incrociò gli sguardi di Afrodite, Mercurio e Marte. Questi ultimi due la guardarono come se volessero dirle qualcosa. Il suo sguardo comunque tornò su Zeus.

“Ti trovo in forma..”
“Grazie. Scusa se non ti ho avvisato ma avevo bisogno di qualche giorno per riprendere un po' le forze.”

“Tranquilla, Marte mi ha detto tutto.” fece sorridendo. Lei guardò Marte sorpresa.

“Non me lo sarei mai aspettata..” disse lei.

“Dovere.” rispose lui. Lei sorrise. Un sorriso smagliante.

“Prego cara... accomodati..” disse il padre indicandoole un seggio accanto al suo. Lei sorrise e vi prese posto.

Ed ebbe inizio il banchetto.


“Allora, sei riuscita a riprenderti in questi cinque giorni?” lei, istintivamente, pensò a Orione. E sorrise.

“Sì. Ci sono riuscita.”
“Beh, non so se hai notato, padre. Ma la nostra ospite ha l'aria sognante...” la provocò Apollo.

“Beh, che c'è di male?”
“Ma sai.. questa è una grande famglia... non hai motivo di tenere segreti con noi.” Una Grande Famiglia, eh? Vedremo quanto lo sarete tra qualche mese.... pensò diabolicamente.
“Sono affari privati...”

“Proprio non vuoi renderci partecipi??” chiese lui.

“No.” fece rispondendo con lo stesso tono.

“”Perché?”

“Perchè la verità è che lei non ha alcun affare privato.” intervenne Marte con un sorriso sornione.
“O forse non ti include...” ribattè lei.

“Forse.”
“Di sicuro.”

“Non si cambiano le carte in tavola.”
“E tu devi pagare per la scommessa perduta.”
“E come vorresti che pagassi?”

“Niente di tutto ciò che sta passando per quella tua mente perversa.” Marte stava per ribattere quando Zeus li zittì.

“Ora basta, ragazzi. Godetevi questo banchetto e smettetela di litigare.” Artemide annuì.

“Chiedo perdono, divino Zeus.” disse lei pronunciando queste parole a capo chino.

“Per le scuse vi sarà tempo dopo, ora pensiamo a mangiare.” lei annuì poi guardò interrogativa Marte e Mercurio.

“Ti spiega tutto lui dopo.” fece quest'ultimo a bassa voce.

Il banchetto durò a lungo, più del solito, o fu così per la dea, che ogni istante voleva che il banchetto avesse fine per poter andare dal dio e chiedergli che cosa avesse inteso prima il tiranno.

I piatti, tutti a base di ambrosia, erano interminabili. Sembrava che non finissero più. Quando finalmente le portate furono terminate, gli dei ripresero i discorsi da in piedi, per far digerire meglio tutto il cibo ingerito. Ma proprio mentre lei stava raggiungendo il dio della guerra, Zeus richiese silenzio. E l'erede la guardò sogghignando.

“Miei cari adorati figli e figlie, ho indetto questo lussuoso banchetto per festeggiare il ritorno della nostra cara prediletta. Che come ci aveva già anticipato Marte, ha un discorso di scuse da farci.” lei lo fulminò. E lui sorrise con arroganza.

“Ne vedo delle belle..” sussurrò Apollo a Mercurio ridacchiando.

“Sì....” fece quest'ultimo un po' preoccupato. Aveva confermato la tesi dell'erede. E si prevedeva una bella ramanzina.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Artemide rimase qualche secondo a guardarlo. Poi si ricompose, e si voltò verso Zeus.

“Effettivamente, vostro figlio vi ha detto la verità. Io... Vi devo delle scuse per come mi sono comportata. Con te, mio signore, e con tutti voi.” fece riferendosi agli altri presenti. “Voi, mi avete accolta con amore e calore e io.... Come vi ho ripagato, ribellandomi e fingendo con tutti voi. Senza alcun motivo, oltretutto. So che le parole non possono sostituire il dolore che ho causato.... ma vi imploro comunque il perdono. Sperando che serva a qualcosa.” finì lei chinando la testa e bagnandosi le guance, come per far capire di essere davvero pentita. Zeus sorrise. E allargò le braccia.

“Per quanto mi riguarda, tesoro... sei perdonata.” la dea si gettò tra le braccia del signore di tutti gli dei, e le ragazze presenti tirarono un sospiro di sollievo credendo al pentimento tanto ottimamente messo in scena dalla dea della caccia. Artemide finse ancora qualche singhiozzo e Zeus cercò di consolarla.

“Stai meglio?” le chiese poi.

“Sì.... Grazie... Ora sto meglio...” fece sorridendo tra le false lacrime. Lo vide sorridente e lei sorrise. Ci sei cascato... come tutti gli altri... benissimo. Non potevo chiedere di meglio. Vedrai in quanto poco tempo tu e il tuo teatrino starete in piedi...

“Che le danze allora abbiano inizio!!” Artemide sorrise e iniziò a ballare con le altre ragazze. E poi come volevano le danze, i ragazzi iniziarono a ballare con le ragazze, a coppie. Athena ballò con Mercurio, Artemide con Apollo, Afrodite con Marte, Persefone con Ade, Era con Zeus, Demetra con Poseidone, Eos con Elios, Estia con Eolo.

“Sono contento che tu ci abbia ripensato, Artemide.” Come pensavo... ve la siete bevuta tutti.

“Ho capito in quei tre orribili mesi che avevo sbagliato, ed era mio dovere chiedervi perdono.” lui le sorrise.

“Bentornata a casa, allora.” le mormorò all'orecchio per poi baciarla sulla guancia. Artemide ringraziò di sapere chi fosse il ragazzo che aveva davanti, altrimenti come qualunque altra fanciulla sarebbe caduta ai suoi piedi. Suo fratello era davvero bellissimo; lui e Marte facevano a gara in quanto a bellezza, ma in carattere di sicuro il fratello era migliore. Lei gli sorrise.

“Grazie, Apollo.”

“Prego.” rispose lei.

Poi, come previsto dal ballo, ci fu il cambio coppie. Una, due, tre volte. Finchè lei non si ritrovò LUI di fronte.

“Perché l'hai fatto?”

“Perché... devo ammettere che è stato molto divertente... vederti chiedere scusa. O meglio... vederti fingere. Puoi ingannare gli altri ma non me.”

“Sono alla tua mercé, puoi denunciarmi, che aspetti?”

“Il momento giusto, Febe.” lei lo guardò sorpresa per poi accennare a un lieve inchino quando la musica terminò.

“Eri... tu?” fece lei.

“A far cosa?” chiese lui.

“A... avermi portato da lui... a … avergli dato l'ambrosia per guarirmi... Eri tu...” lui sorrise ma poi scosse il capo.

“E cosa me ne veniva dal salvarti la vita?”
“E cosa te ne è venuto mentendo a tuo padre?” chiese lei quasi ferita di rimando. Cosa ti aspettavi? Che lui si preoccupasse per te, e sprecasse tempo e energie per salvarti invece di stare con la sua bella Afrodite? Che... Nonostante il vostro rapporto... Stesse in pena per te? Povera illusa!!! Nessuno ti ha mai voluta di loro... e nessuno ti vorrà mai. Disse tra sé e sé.

“Niente. Ma non devo sempre avere un secondo fine per agire. L'ho fatto... Perché lo ritenevo giusto in quel momento”. Poi si fermò. “Tutto bene?” domandò lui vedendola con lo sguardo perso nel vuoto. Probabilmente non aveva neanche sentito la risposta...

“Sì. Tutto bene.” rispose meccanicamente riscuotendosi dai suoi pensieri. E sorridendo. “Ora devo andare... sono stanca. A domani.” fece per poi allontanarsi, una volta che ebbe salutato gli altri presenti.


La risposta effettivamente non era stata udita dalla divinità, che in realtà, al termine del banchetto, si avviò alle stalle per andare a Sparta. Galoppò finché la Luna non sorse in cielo. I cavalli del dio della guerra erano assai più veloci del suo. Arrivò nella radura poco lontana dalla città dove il ragazzo sarebbe dovuto presentarsi. Era il luogo dove l'aveva portata appena lei aveva recuperato le forze, e dove l'aveva baciata.


***


Erano passati due giorni dal risveglio della ragazza e grazie alla misteriosa pozione che aveva bevuto, ora la ragazza era totalmente in grado di camminare da sola, senza il sostegno del bello spartano.

Quel mattino si sentiva particolarmente in forze. Si lavò, vestì e si presentò in sala per la colazione.

Oh, ti stavo aspettando... Come stai?” le aveva chiesto Orione sorridente.

Bene, grazie. Oggi mi sento in forze..” rispose chinando il capo un po' imbarazzata.

Fantastico!!! allora che ne diresti se ti portassi a fare un giro in città... O magari al fiume, così non ti stanchi troppo...”

Direi che sarebbe meraviglioso! Mi piace l'idea.” ribattè raggiante.

Vedi di non farla stancare troppo.” lo ammonì la madre di lui.

Tranquilla, madre. Non ci stancheremo...” rispose lui ancora.

Bene... Deve guarire. Quei tre mesi devono essere stati terribili, per averla ridotta in questo stato.” pronunciò la madre con compassione. Non ti immagini quanto,mortale. Pensò Artemide.

Beh, allora noi andiamo...” affermò lui.

D'accordo.” fece la madre per poi lasciarsi scappare un sorriso mentre li vedeva uscire.


Mai aveva avuto qualcuno che si preoccupasse così tanto per lei. Mai nella sua vita. Era cresciuta a Efeso, questo era vero. Ma nessuno per quanto si fosse comportato gentilmente nei suoi confronti, l'aveva fatta sentire parte di una famiglia. C'era sempre stato un velo, tanto trasparente quanto vero, che l'aveva sempre tenuta distante, qualcosa incapace di sentirsi totalmente a proprio agio con quelle persone, mortali o divine che fossero.

E con Orione sentiva quel velo piano piano perdere consistenza.

Solo Orione la faceva sentire amata, in un certo senso. O forse si sentiva così perché lei se ne era innamorata. O se non altro si era presa una gran bella cotta.

Arrivarono alla riva di un fiume. L'acqua limpida e cristallina zampillava allegramente, i sassi bianchi e la sabbia non facevano altro che risaltare la trasparenza dell'acqua. I prati verdi erano rigogliosi e cosparsi di fiori. Un salice faceva da tramite tra terra e acqua. E tutt'attorno si sentiva il cinguettìo degli usignoli. Eppure si sentiva un po' sorvegliata. Come se qualcuno la stesse osservando. Ma non voleva turbare Orione, così sorrise entusiasta, decisa a non far trapelare il suo umore.

È.. stupendo questo luogo... mi trasmette.. tantissima pace..”

Già... è stupenda...” fece guardandola e facendola arrossire. Poi distolse lo sguardo. E guardò il fiume. “Scusa non volevo... metterti in soggezione, Febe.”

No... tranquillo.. non fa.. niente..” rispose lei per poi guardarlo negli occhi. Scuri. Caldi. Orione la guardò. E sorrise. Per poi sporgersi e lasciarle un tenero bacio sulle labbra. Bacio cui lei corrispose.

Non stiamo.. correndo troppo?” chiese lei staccandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi. Con il respiro caldo, il corpo pervaso da brividi e calore.

Non so.. se vuoi... smetto.”fece lui.lei timidamente scosse la testa.

Non ho detto questo.” lui sorrise. E la baciò. E lei corrispose felice. Il cuore era come se esplodesse di gioia. Era una sensazione stupenda, mai provata prima. E sorrise.

Tutto... Bene?” le chiese lui dolcemente.

Sì.. magnificamente.” fece lei.

Bene.” fece per poi stringerla. E baciandole i capelli. Artemide felice si strinse a lui chiudendo gli occhi e sorridendo. Non le sembrava vero di poter essere innamorata e che qualcuno fosse innamorato di lei. Aveva alzato lo sguardo appena oltre la spalla poi e aveva incontrato un'ombra, poco lontano, che la guardava, senza però riuscire a identificarla. Appena i loro occhi si incontrarono l'ombra scomparve e per qualche istante lei credette di essersela solo immaginata.


***

“Una dracma per i tuoi pensieri.” disse una voce dietro di lei. La dea sorrise al ricordo di quella frase che mesi prima aveva sentito pronunciare dal dio della guerra e si voltò sorridente. Il suo sorriso non mutò quando vide Orione e non il dio, ma forse per la frase che era identica a quella dell'immortale, rimase un po' contrariata.

“Stavo pensando.. a questo luogo. A cosa... È successo qui...”

“Erano pensieri belli?” chiese lui.

“Oh sì..” rispose lei sorridendo anche se un po' imbarazzata.

“Che ne diresti allora se... ti proponessi di riconfermare il ricordo?” chiese lui con una luce negli occhi.

“Che sono d'accordo.” rispose lei, questa volta più sicura. Lui le carezzò il viso con dolcezza. E poi si sporse per baciarla. Lei sorrise e lo baciò contraccambiando serena e felice come non era mai stata.

“Come hai trascorso questi giorni senza di me? Ti sei trovata bene a casa?”

“Abbastanza bene, grazie. Tu? Tutto bene? Come sta tua madre?”

“Bene, grazie.. Stiamo tutti bene. Ci manchi. Ma per il resto stiamo bene.” rispose con un sorriso. E la strinse a sé.

“Sono solo due giorni che non ti vedo e mi sembra di impazzire..”

“Anche tu mi sei mancato molto..” rispose lei per poi abbandonarsi al suo abbraccio. Lui dolcemente si sedette all'ombra dell'albero. Tenendola sempre stretta a sé. E lei sorridendo si strinse a lui baciandolo.


Rimase stretta a lui tutta la notte, finchè i raggi rosei, tenui e pallidi dell'alba non illuminarono la radura. Lei alzò lo sguardo e sorrise vedendo che la guardava.

“Come stai?” le mormorò dolcemente all'orecchio.

“Benissimo. Credo però che ora io debba andare, prima che tutti si accorgano della mia assenza.”
“Non sapevo che non potessi uscire.”

“Infatti non è che non posso. Solo.. non sapevano uscissi ieri sera.”

“Ah..” fece per poi prenderla per i fianchi e baciarla con dolcezza. “Allora è meglio che tu vada..”

“Sì.. Immagino di sì.” fece baciandolo dolcemente. Poi si staccò.

“Allora.. vai.” fece lui.

“ci vediamo presto.” rispose ancora lei. Poi prese il cavallo e montò. Gli sorrise e poi partì alla volta del monte Olimpo. Quando arrivò alle porte smontò da cavallo prendendolo per le briglie. Aprì la porta giusto quanto bastava per far passare lei e il cavallo. E la richiuse silenziosamente dietro di sé. Cercando di non far rumore e raggiunse e stalle dove ripose il destriero. Uscì dall'uscita posteriore e si avviò ai propri appartamenti sn fare il minimo rumore.

Entrò in camera e si sdraiò sul letto. Giusto in tempo per sentir bussare alla porta. Aspettò qualche secondo e poi rispose.

“Chi è?”
“Sono Apollo!! Svegliati! È l'alba di un nuovo giorno!” e che giorno!! pensò sorridendo. Poi si vestì, o meglio.. fece finta, e andò ad aprire.

“Afferrato, grazie, Apollo.” sorrise lei. Fece una volta che ebbe aperto la porta.

“Sei... Stupenda...” lei chinò il capo e sorrise.

“Grazie.... Anche tu” fratello. Disse a sé.

“Andiamo a colazione?” le chiese lui.

“Sì. Con molto piacere.” rispose prendendo il braccio che lui le offriva.

“Bene.”

“Ma che carini che siete.” fece Marte vedendoli entrare. Lei lo guardò sfoderando uno dei più meravigliosi sorrisi che avevo.

“Vorrei poter dire lo stesso di te, ma non vedo la tua fidanzata, quindi temo che dovrò tenere questo complimento per quando la vedrò apparire al tuo fianco per illuminarti.”
“Ringrazia di essere una fanciulla.”
“Altrimenti?” chiese lei staccandosi dal fratello e andando di fronte a lui. Il suo viso a pochi centimetri da quello del dio.

“Ricordati la scommessa.”
“Oh, me la ricordo, tranquillo. E ho già la vittoria in mano.” lui aprì bocca per ribattere. Ma lei sorridendo gli pose l'indice sulle labbra. “Sht, non parlare. Sei molto più bello quando taci.” e continuando a sorridere, si allontanò da lui e raggiungendo Athena. Lasciando un Marte più che sorpreso.

“Ma... Come hai fatto?” le chiese Athena.

“Mi riesce.. naturale... spontaneo. È più forte di me..” rispose sorridendo.

“Beh.... ti riesce molto bene. Continua così.” ribattè la dea della sapienza.

“Lo farò.” fece alzando il calice sorridendo a Marte Apollo e Mercurio. Che le sorrisero.

“Attenta. Afrodite è tanto dolce quanto cattiva se gli tocchi il suo amore.”

“E io non sono da meno.” fece lei. Questo è solo l'inizio. Pensò.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=694416