Stravolgimi la vita

di Nejiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una serata fra amici ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Amici ***



Capitolo 1
*** Una serata fra amici ***


Dedicata alle ragazze dell'Urd Café,
perché se sono tornata a scrivere
è solo merito vostro.











Non era una delle sue giornate migliori, non lo era mai stata. Nonostante il tempo passasse, non avrebbe mai dimenticato. E non lo voleva nemmeno fare. Sembrava quasi desiderasse essere tormentato da quei ricordi, come se quella sofferenza potesse lavar via le sue colpe.
Odiava quel periodo dell’anno, lo odiava con tutto se stesso perché non era ancora riuscito a perdonarsi.
E non l’avrebbe mai fatto.
 
 
 
Stravolgimi la vita
di Nejiko
 
 
 
 
Camminava svogliatamente, immerso nel fiume di persone che popolava il centro della città in quel movimentato sabato sera. Le insegne dei locali coloravano la via principale, piena nonostante l’ora tarda. La zona pedonale aveva permesso ai gestori di sistemare alcuni tavolini e le casse degli impianti audio all’aperto durante la bella stagione. Così, nascosti da piccole siepi ornamentali e ombrelloni aperti, se ne stavano seduti gruppetti d’amici pronti a far chiasso.
Il suo passo procedeva lento ma sicuro verso il solito locale, accompagnato dalla musica che animava a tratti la strada. Un groviglio di suoni vari e completamente diversi fra loro, che si mescolavano via via lungo il tragitto, ma che gli scivolavano addosso senza che se ne rendesse conto.
La leggera brezza serale gli solleticava il viso apparentemente annoiato. Anche se non era da lui sentirsi legato a certe tradizioni, non gli era possibile evitare quella che oramai era diventata una consuetudine. In fondo quella rimpatriata annuale era nata proprio per lui ed era certo che, se non si fosse fatto vivo, qualcuno di loro si sarebbe precipitato a prenderlo, per poi trascinarlo a peso morto sino al tavolino del pub.
Sospirò, alzando leggermente il capo per osservare l’insegna; era arrivato.
In ritardo, come al solito, ma s’era presentato. D’altra parte quello contava.
 
Ad attenderlo, oltre quella soglia, una serata fra soli uomini con poche regole: nessuna fidanzata o moglie, nessun muso lungo e fiumi di birra.
Birra…
Il sol pensare a quel liquido chiaro e dorato risvegliò in lui il ricordo della sbronza dell’anno precedente. Un brivido gli percorse la schiena.
Come dimenticarsi di una serata come quella…
Era rincasato in uno stato pietoso, sorretto da Tenzo che l’aveva abbandonato sul divano e coperto a casaccio con un piccolo plaid. Si era svegliato poi nel tardo pomeriggio seguente con un mal di testa atroce, incapace d’alzarsi e, come se non bastasse, gli ci era voluta una giornata intera per rimettersi vagamente in piedi e tornare a sembrare un essere umano.
Un altro sbuffo lasciò le sue labbra; non avrebbe fatto la stessa fine, questa volta non si sarebbe lasciato fregare.
 
Da fuori quel posto sembrava un buco. Probabilmente se non fosse stato un cliente abituale non ci sarebbe mai entrato.
Osservando l’intonaco vecchio della facciata e la porta logora non era difficile dedurre che quel bar non era certo in grado di reggere il paragone con i nuovi locali del centro, sicuramente più alla moda ed eleganti. Ma ciò che conta è il contenuto, non l’apparenza, e quel pub per lui era un posto speciale, diciamo pure che l’aveva visto crescere.
Entrò, sicuro che gli altri lo stessero aspettando imprecando contro quel suo dannato vizio. Osservò le lancette dell’orologio da polso; poco più di un’ora, non male come ritardo.
Mosse poi il suo sguardo tra i pesanti tavoli in legno, cercando fra i volti noti quelli degli amici. Non gli ci volle molto per trovarli.
I ragazzi erano seduti al solito posto, vicino a quel flipper che ormai faceva storia. Da come si agitavano era certo che non fossero alla prima pinta. Non avevano perso tempo, sorrise.
Si avvicinò, accolto poi dal più disastrato del gruppo.
“Kakashi!” esclamò una furia verde, travolgendolo in un abbraccio che lo mise a disagio.
“Era ora… Sei in ritardo di… di…” Maito Gai si sforzava di capire che ore fossero “un ora e sei minuti… Ti sembra il modo di fare?” proseguì dopo aver strizzato gli occhi diverse volte, in direzione del grande orologio di latta appeso sopra le loro teste.
“Mi spiace, sono stato trattenuto…” rispose sbrigativo mentre cercava di divincolarsi dalla stretta dell’altro.
“Immagino… Trattenuto da una bella donna come tuo solito…” Tenzo fece capolino da dietro, buttandogli un braccio al collo, lungo le spalle, per poi affiancarlo.
“Puzzi già d’alcool, lo sai?” replicò lui dopo aver notato i quattro boccali vuoti sul tavolo, proprio davanti alla sedia coperta dalla giacca dell’amico “Vedo che non avete perso tempo…” continuò poi allontanando con una mano il viso del ragazzo, decisamente troppo vicino al suo.
“Dovevamo pur far qualcosa mentre aspettavamo che sua altezza ci degnasse della sua presenza…” puntualizzò Tenzo rimettendosi a sedere con non poca difficoltà.
Non c’erano dubbi, quella birra stava già facendo effetto.
“Avanti Kakashi, siediti!” La voce di Asuma cancellò la sua voglia di ribattere e, accettando l’invito, si sedette accanto al più anziano del gruppo.
 Aveva sempre pensato che, nonostante avessero un solo anno di differenza, quella barba rendesse Sarutobi ancora più vecchio. O forse, a renderlo ai suoi occhi più vecchio era la fede che portava al dito.  Era sempre stato una persona seria, con i piedi piantati per terra e portato per un legame duraturo. Fra tutti era quello che conduceva una vita più “normale”. Diciamo pure che, come volevasi dimostrare dalla sua totale lucidità, poteva essere considerato il saggio del gruppo.
“Sei passato da lui, vero?” chiese prima di porgergli un boccale pieno.
Kakashi si limitò ad annuire con un gesto del capo, prima d’afferrare il bicchiere ed iniziare a bere.
Non aveva voglia di parlarne e non credeva nemmeno che l’alcool fosse la soluzione migliore al suo problema visti gli esiti precedenti, ma rifiutare l’invito di Gai sarebbe stato troppo sfiancante. Quando quell’uomo si fissava su qualcosa l’unica alternativa possibile allo sfinimento era accettare ed aver salva la vita.
 
“Dannata pallina!” tuonò la persona in questione alle prese con il flipper “si può sapere perché mi detesti tanto?” continuò battendo sempre più forte sui tasti laterali.
“Così lo romperai…” sentenziò rassegnato l’Hatake, poggiando il boccale quasi vuoto sul tavolo.
“Taci… batterò quel record o non mi chiamerò più Maito Gai!” esclamò perentorio, fissando i led rossi sul display “non lascerò che il tuo nome resti al primo posto ancora a lungo!”.
Kakashi sospirò, chiedendosi come potesse quell’uomo prendere seriamente ogni cavolata. Insomma, era solo il punteggio di uno stupido flipper. Possibile che tra loro ogni minima cosa dovesse tramutarsi in una sfida?
Da chi firmava prima il registro la mattina a chi raggiungeva per primo il bar della scuola per prendersi un caffè, da chi riusciva a correggere con maggior rapidità i compiti in classe al torneo interno di pallavolo, ogni scusa era buona per iniziare un nuovo confronto. E ciò che lo lasciava sgomento era che tenesse un punteggio di quelle insensate sfide.
Più che un uomo che aveva passato la trentina, a suo avviso, sembrava ancora un adolescente. La sua energia travolgeva ogni cosa; mai una volta che si perdesse d’animo o accettasse un no. Un ciclone di vitalità capace di distruggere tutto e, soprattutto, tutti.
A volte però, poche volte sia chiaro, per quanto quella competizione continua lo sfiancasse, aveva desiderato essere contagiato da quella sincera allegria. Lui, con quell’aria perennemente annoiata, aveva desiderato poter possedere anche solo un pizzico di quella spensieratezza.
 
“Che ne dite di un'altra birra?” la voce di Tenzo lo riportò alla realtà “magari doppio malto…” puntualizzò poi l’amico.
A guardarlo bene, stravaccato su quella sedia, a metà fra la sobrietà e la sbronza totale, l’uomo seduto alla sua destra non sembrava di certo il professore di disegno di una delle più prestigiose scuole della città. Diplomatosi a pieni voti alla facoltà di architettura, insegnava nel suo stesso liceo da un paio d’anni. Si erano ritrovati fianco a fianco dopo aver diviso per un po’ lo stesso squallido appartamento durante gli studi universitari. Tenzo aveva superato brillantemente il bando di concorso, entrando a sostituire il vecchio Sarutobi ormai in pensione. Così, oltre a vederlo praticamente tutte le sere in quel pub, se l’era trovato persino in sala professori.
“Molto volentieri!” lo sguardo di Kakashi fu attirato da Gai e dal suo smagliante sorriso, da quella bizzarra figura con il pollice alzato in segno d’assenso.
Scosse il capo, lasciandosi andare ad uno sbuffo divertito. Visto com’era iniziata, forse quella serata non sarebbe stata poi così male.
 
Erano ormai le due e mezza di notte, Kakashi aveva perso il conto di quanti bicchieri fossero passati su quel tavolo tra discorsi insensati e battute al limite dell’idiozia. L’alcool iniziava a farsi sentire per tutti.
L’Hatake se ne stava seduto malamente sulla lunga panca di legno, finemente intagliata da coltellini e penne varie, intento a capire perché il suo collega stesse esprimendo il suo profondo parere su ogni donna presente nel locale, quasi volesse affibbiargliene una. Come se non bastasse, Tenzo sembrava avere il pieno appoggio di Asuma, anch’egli caduto vittima del tasso alcolemico elevato. Era in netto svantaggio. Due contro uno. Uno che in quel momento poteva aver voglia di tutto tranne che d’attaccar bottone con il gentil sesso.
Fortunatamente almeno Gai era ancora impegnato con il flipper o, per meglio dire, ciò che ne restava, tanto da non badare minimamente ai loro discorsi.
La furia verde, soprannominata così a causa della sua proverbiale vitalità e del suo abbigliamento perennemente di quel colore, se ne stava lì, ancora intento a seguire quella dannata pallina metallica che rimbalzava da una parte all’altra, nonostante i riflessi non fossero dei migliori, e imprecando davanti al punteggio sul display dei record ancora invariato. Probabilmente se se ne fossero andati in quel preciso momento, nemmeno se ne sarebbe accorto. Anzi, sarebbe rimasto lì sino a quando il gestore non l’avesse sbattuto fuori o il flipper non fosse deceduto sotto i suoi colpi.
 
“Kakashi non fare lo spilorcio… questo giro tocca a te...” biascicò in qualche modo Asuma, indicando il bicchiere vuoto.
“Concordo” lo seguì Tenzo mentre con lo sguardo studiava una morettina appena entrata.
“Non credo che Anko sarebbe d’accordo.” Osservò l’Hatake, notando la causa della sua momentanea distrazione.
“D’accordo con che?” rispose l’interpellato senza staccare lo sguardo dalla ragazza diretta verso il bancone.
“Lascia perdere, è meglio…” terminò lui non avendo la minima voglia d’iniziare una spiegazione che l’altro non avrebbe sicuramente seguito e che, per di più, gli sarebbe costata non poca fatica mettere insieme in quello stato.
Rassegnato, fece poi un cenno con la mano chiamando la cameriera poco distante, pronto a saldare il suo debito con quello che sarebbe stato sicuramente il suo ultimo bicchiere della serata. Conosceva i suoi limiti, ed era certo che, per non fare la medesima fine dell’anno passato, fosse meglio fermarsi.
 
“Kakashi-sensei, mi dica. Che le porto?” la voce squillante della giovane, alta per poter superare la musica di sottofondo, infastidì i suoi sensi intorpiditi.
“Ino… quante volte devo ripeterlo? Non sono più il tuo sensei da almeno due anni” replicò guardando il volto sorridente della ragazza in piedi accanto a lui “Non puoi chiamarmi semplicemente Kakashi e darmi del tu?”
“Ok, Kakashi” esclamò prontamente la cameriera prendendo dalla tasca del grembiule il blocco delle ordinazioni “che ti porto?”
“Tre, anzi no, quattro rum scuri.” la voce di Tenzo anticipò quella dell’Hatake, che rimase leggermente spiazzato.
Non replicò, si limitò a fissare quella figura che, rapidamente, spariva tra i clienti.
Ino Yamanaka, si ricordava bene di lei. Una promettente studentessa del liceo in cui insegnava fisica, diplomatasi un paio d’anni prima. Il corpo magro, la figura sottile e slanciata, i lunghi capelli dorati e quei grandi occhi azzurri, l’avevano resa una delle ragazze più popolari della scuola. Al primo sguardo poteva sembrare un tipo superficiale ma, nei cinque anni passati fra i banchi, aveva dimostrato che l’apparenza inganna. Per quanto, proprio l’apparenza, sembrava essere tutto ciò che le importasse.
 
“Non ti sembra troppo giovane?” La domanda fuori luogo del solito seccatore lo irritò leggermente.
Troppo svogliato per strangolarlo, si limitò ad un più semplice “Tenzo, sei un idiota…”.
E detto questo si alzò, rendendosi conto di quanto fosse difficile mantenere un perfetto equilibrio in quelle condizioni.
“Ti offendi per poco, sai?” La replica dell’amico non si fece attendere seguita da un “te ne vai già?”.
“Posso andare in bagno o devo chiederti il permesso?” il tono infastidito dell’Hatake fece desistere il giovane da ogni altra pungente battuta.
Non era stata la domanda ad innervosirlo, bensì la sedia vuota davanti a lui.
 
Una volta giunto a destinazione, Kakashi si lavo il viso con acqua gelata prima di fissare la sua immagine allo specchio. Si sentiva intorpidito e iniziava ad avvertire pesanti giramenti di testa. Ma non era per quello che il suo umore era cambiato così, apparentemente senza motivo. Sebbene l’acqua fresca gli avesse donato un poco di sollievo, era consapevole che non sarebbe durato ancora per molto. Perché anche quella volta, dopo le risate, si era ritrovato a fissare il posto vuoto davanti a sé chiedendosi come sarebbe stata quella serata se ci fosse stato anche lui con loro e come sarebbe stata la sua vita se quel dannato incidente non fosse successo.
Nel pensarlo si passò inconsciamente l’indice lungo la vecchia cicatrice che segnava in verticale il suo volto. Un tratto marcato, al centro dell’occhio sinistro, che partiva poco più in alto del sopraciglio e scendeva lungo la palpebra, terminando circa tre centimetri sotto l’occhio.
Avrebbe potuto cancellarla, l’avrebbero fatto in molti al posto suo, ricorrendo alla chirurgia. Lui, invece, voleva che quel segno restasse lì dov’era, a testimoniare la sua colpa. Affinché ogni volta che si fosse guardato allo specchio potesse pensare a chi non c’era più.
Si asciugò mani e volto con i foglietti di carta presi dal distributore e uscì. L’ultimo bicchiere e poi sarebbe tornato a casa a farsi sommergere dai ricordi, sul solito divano blu.





Continua...




Disclaimers:

Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non c’è lucro.


Un ringraziamento particolare ad Aya88 per essersi presa l'impegno di betare questa fic. Sei stata davvero velocissima, grazie di cuore.
Grazie a tutti quelli che recensiranno osemplicemente spenderanno il loro tempo leggendo questa storia.


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Capitolo 2
*** Incontro ***



Capitolo 2
Incontro




Appena uscito dal bagno la penombra e la musica alta del locale lo inghiottirono di nuovo. In un primo momento ne fu infastidito, tanto da socchiudere gli occhi nel vano tentativo di riabituarsi al clima buio e festoso dal quale si era estraniato per un po’.  
Guardandosi attorno si rese conto che quel posto non era poi così vuoto come gli era parso. Gruppi d’amici se ne stavano ancora seduti ai tavoli, sorseggiando cocktails colorati e chiacchierando a voce alta, intenti a scontrare i loro bicchieri in chissà quali festosi brindisi. Alla sua destra alcuni ragazzi avevano persino avuto la brillante idea di mettersi a giocare a freccette nonostante la pessima mira e qualche bicchiere di troppo. Risultato: gli oggetti appuntiti avevano terminato la loro corsa conficcandosi nelle perline di legno che rivestivano le pareti, senza nemmeno sfiorare il bersaglio. Fori che si aggiungevano ad altri fori, un circolo vizioso che si ripeteva sera dopo sera e che, prima o poi, avrebbero costretto i gestori a sostituire parte del rivestimento.
Gli risultò impossibile non pensare al fatto che alcune di quelle fessure fossero merito suo e dei suoi compagni di serata, ma la cosa gli strappò solamente un sorriso striminzito.
Non aveva più voglia di divertirsi. Quella sedia vuota era sempre nei suoi pensieri, e ci sarebbe rimasta.
Quindici anni erano trascorsi. Quindici lunghi anni, esattamente quel giorno. Eppure non gli sembrava passato così tanto tempo. Forse perché il dolore e il senso di colpa, in quei giorni, si faceva sentire ancor più del solito. Per questo, in quel preciso istante, tutto ciò che gli interessava era raggiungere gli altri, bere il suo ultimo bicchiere, saldare il suo debito e tornarsene a casa.

S’incamminò cauto, ormai conscio di quanto fossero imprecisi i suoi movimenti. Non voleva di certo regalare al suo caro collega Tenzo l’occasione per sfotterlo adeguatamente per un intera settimana a causa d’una rovinosa caduta pubblica.
Nonostante si sforzasse di fare attenzione, però, non gli fu possibile schivare quella figura alzatasi di scatto, qualche passo dinnanzi a lui. Rassegnato all’inevitabile, la sentì chiaramente sbattere contro il suo petto e poi allontanarsi perdendo l’equilibrio. Sarebbe finita sicuramente a terra insieme al boccale che reggeva in mano se, senza sapere come, in un gesto repentino e istintivo da attribuire unicamente ai rimasugli dei suoi riflessi, non fosse riuscito ad afferrarla. Purtroppo per entrambi, non aveva avuto il tempo d’occuparsi anche del bicchiere.
Kakashi avvertì distintamente la sensazione di bagnato espandersi lungo il suo addome ed imprecò mentalmente, riuscendo a mantenere intatta la sua apparente calma grazie alla proverbiale dose d’autocontrollo che lo caratterizzava. Levare quella macchia scura dalla sua camicia bianca sarebbe stata una vera impresa.

 “Ma che ti è saltato in mente? La mia maglietta preferita… Non mi hai vista razza di…” La voce della persona sorretta dal suo braccio destro lo prese alla sprovvista. Non per l’affermazione, interrotta prima dell’insulto finale, ma per la familiarità.
Portò immediatamente il suo sguardo sul volto della ragazza, immobile fra le sue braccia, incrociandone gli occhi mentre un sussurrato “Kakashi sensei?” lo raggiunse.
“Haruno?” replicò incapace di nascondere totalmente il suo stupore, prima di aiutarla a rialzarsi.
“Kakashi sensei, è proprio lei. Che sorpresa!” esclamò la giovane regalandogli un caldo sorriso. “E’ passato parecchio tempo dall’ultima volta, anni per la precisione”.
In effetti Kakashi non l’aveva più vista dopo il diploma. In pochi, pochissimi, restavano in contatto con la vecchia scuola una volta superati gli esami, e come biasimarli visti i gravosi impegni universitari o lavorativi pronti ad attenderli una volta fuori da lì.
E quello era chiaramente il caso di Sakura Haruno, compagna di classe della giovane Yamanaka, ottima studentessa dalle grandi potenzialità e con il grande sogno di diventare medico. Una ragazza in gamba, sveglia e risoluta, così se la ricordava. Si era subito fatta notare, dimostrando ottime doti intellettive e un grande impegno; caratterialmente acerba, come tutte le ragazzine della sua età, ma capace di maturare molto dal punto di vista umano durante quei cinque lunghi anni, tanto da cancellare completamente l’immagine della bambina superficiale e piagnucolosa che gli si era presentata davanti al primo anno. Un lungo percorso, che aveva affrontato con responsabilità nonostante la giovane età, fino a diventare, oltre che (ad) un’eccellente studentessa, una ragazza sensibile ed altruista, in grado d’aiutare i suoi stessi compagni, facendo da collante, appianandone le divergenze, soprattutto fra quei due…
Difficile nasconderlo, la giovane Sakura era sempre stata una delle sue allieve preferite. A dire il vero, in quella classe un po’ strampalata, in tre avevano suscitato maggiormente la sua attenzione. Lei e quei due appunto. Tre giovani ragazzi completamente diversi fra loro quasi da renderne impossibile la convivenza, ma che, grazie al tempo, a modo loro erano riusciti a creare, a suo parere, un vincolo difficile da spezzare. La loro era un’amicizia unica, vera.
Proprio per questa sua congettura mentale, Kakashi cercò fra gli amici di Sakura la testa bionda di Naruto e il viso di Sasuke. Un tentativo inutile, visto che nessuno dei due era presente.
“Non so perché, ma credevo che voi tre non vi sareste mai separati…” Un pensiero espresso ad alta voce.
“Noi tre?” Il sorriso di Sakura si spense lentamente. “Intende io, Sasuke e Naruto?” continuò dopo una breve pausa che all’uomo non sfuggì.
L’Hatake si limitò ad un gesto del capo, evitando di chiedere altro, consapevole d’aver già messo Sakura in una situazione scomoda. Era evidente, tra loro era sicuramente successo qualcosa, qualcosa di grave che li aveva spinti a separarsi. Ma in quel momento, purtroppo, Kakashi non aveva né la forza né la voglia di accollarsi i problemi altrui.
Per questo s’accontentò della breve risposta della ragazza, un semplice “Sasuke è molto impegnato ultimamente, mentre Naruto… beh, sa com’è… come al solito è impegnato a correr dietro a Sasuke”.
Impossibile per lui non notare quel velo di tristezza nei suoi occhi, chiaro segnale di quanto la sua supposizione precedente fosse esatta, ma non andò oltre. Non se la sentì, per quanto potesse dispiacergli, non le sarebbe stato d’aiuto quella sera.
“Vedrai che tutto si sistemerà, ne sono sicuro” tentò di consolarla con un leggero sorriso, esattamente come faceva un tempo, prima di congedarsi “Scusami Sakura, devo andare… per quanto riguarda la maglietta…”
“Non si preoccupi, è solo una macchia” lo interruppe lei passandosi la mano su quella chiazza scura.
“Insisto, ti pagherò il conto della tintoria” proseguì lasciandole il suo numero di telefono. “Chiamami”.
“Grazie.” Un sussurro lo raggiunse prima di riprendere la proprio strada.

Mentre s’allontanava, lasciandosi Sakura alle spalle, Kakashi s’insultò mentalmente per quel gesto senza senso. Con tutto quello che gli passava per la testa in quei giorni, come aveva potuto lasciare il suo numero di telefono ad una ex alunna? E poi quella frase, ”insisto, ti pagherò il conto della tintoria.”, da dove gli era uscita?  Stava perdendo il senno? Va bene l’alcool, ma così sembrava davvero volerci provare…
Per un attimo pensò che, forse, Asuma avesse ragione e che fosse giunto il momento di smettere di leggere quei dannati libri se erano in grado di influenzarlo sino a quel punto dopo qualche bicchiere di troppo. O forse, in realtà, più che l’influenza dell’Icha Icha Paradise era stato l’evidente sconforto della giovane nel parlare dei compagni che l’aveva fatto reagire così, come se dentro di sé sentisse ancora il bisogno di aiutarla. Non quella sera, non in quel preciso istante, ma forse il giorno seguente.
 
“Non male, davvero non male. Devo ammettere che hai buon gusto… Ma non credi che anche quella sia troppo giovane?” L’osservazione di Tenzo non si fece attendere, giusto il tempo d’avvicinarsi quel tanto da poter sentire la sua voce.
“Non credi che dovresti imparare a farti i cazzi tuoi ogni tanto?” Kakashi rispose lasciandosi sfuggire uno sbuffo divertito, ignorando poi la successiva replica dell’amico.
Mentre Tenzo parlava, l’Hatake cercò Sakura con lo sguardo.
La trovo in piedi, accanto alla cassa; la sua figura snella e sensuale era messa in risalto dai jeans stretti a vita bassa e dalla leggera camicetta bianca a maniche corte, lasciata sbottonata quel tanto da formare una graziosa scollatura, ma senza risultare volgare. In un'altra occasione e soprattutto se non fosse stata una sua ex allieva, anche lui come Tenzo si sarebbe lasciato sfuggire  certamente qualche apprezzamento.
Quando la vide sparire oltre la porta del locale però, Kakashi realizzò quanto stupidi fossero i suoi pensieri. Si sentì un idiota per essersi soffermato ad osservare quel corpo. Perché per quanto Sakura fosse cresciuta, per quanto fosse diventata una donna molto affascinante, per lui sarebbe sempre rimasta una sua ex studentessa.
“Tutto bene Kakashi?” Ad Asuma, nonostante tutto, non era sfuggito la sua momentanea lontananza.
“Sì, inizio solo ad essere stanco…” rispose l’interessato che, spostando lo sguardo su quel poco di rum rimastogli nel bicchiere, si lasciò scappare un  “Tenzo… il tuo non ti bastava?”
“Si può sapere perché dai sempre la colpa a me?” Nulla sfuggiva all’Hatake, il suo spirito d’osservazione era  sempre stato molto acuto, e Tenzo lo sapeva bene.
“Lasciami pensare…” Kakashi sospirò prima di prendersi il mento fra pollice e indice e continuare. ”Gai è ancora impegnato con il flipper e Asuma, beh, il suo bicchiere è ancora pieno, a differenza del tuo.”
Una spiegazione semplice, quasi scolastica, che ottenne come risultato un irritato “Te l’hanno mai detto che sai essere noioso a volte?”.
“Credo che me ne tornerò a casa.” A sorpresa l’Hatake smorzò la discussione. “Finiscilo pure” continuò poi, porgendo ciò che restava del suo ultimo bicchiere all’amico.
“Eh? Sei sicuro di…” Ma l’Hatake  era già troppo lontano per poterlo sentire e Tenzo lasciò cadere nel vuoto quel “sentirti bene” prima di voltarsi preoccupato verso Asuma.
“Ma che gli è preso? Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese aggrottando un sopraciglio.
“Sai com’è fatto, a volte ha bisogno di star solo…” s’intromise Gai, abbandonando momentaneamente la sfida e attirando su di sé gli sguardi sorpresi dei due che oramai lo davano per disperso “Non è un chiacchierone, lo sapete. Credo sia meglio lasciarlo in pace ora.”

Fuori dal locale, ad attenderlo, c’era solo il silenzio. Non c’erano più né tavolini né musica, tutto era scomparso all’interno dei locali che stavano ormai chiudendo. Gli unici rumori provenivano da un gruppetto di ragazzini alle prese con i loro motorini.
Testa bassa e mani che affondavano nelle tasche dei jeans scuri, Kakashi percorse la via principale del centro storico, la stessa dalla quale era arrivato, verso il lungolago.
Casa sua non era molto distante, per quello non aveva preso l’auto, convinto che una passeggiata non gli avrebbe di certo fatto male. Scelse il tragitto più lungo, preferendo alla monotonia delle strade interne la calma del percorso sulla riva del lago.
I lampioni accesi si alternavano agli alberi ad intervalli regolari, illuminando il bianco tratto pedonale. A separarlo dall’acqua, una semplice barriera metallica color antracite. Dal lago soffiava una leggera brezza, capace di solleticargli i capelli chiari e i rami dei salici cresciuti oltre la balaustra, proprio sulla riva. La quiete era rotta unicamente dalle rarissime macchine in transito.

Rivedere Sakura gli aveva fatto piacere, l’aveva persino distratto dai suoi pensieri. Quella conversazione però gli aveva lasciato un misto di curiosità e preoccupazione. Non poteva nascondere d’essere rimasto un po’ turbato per via di Sasuke e Naruto.
Aveva sempre pensato che quei ragazzi sarebbero rimasti amici per sempre… Lo aveva pensato anche di se stesso, Obito e Rin…
S’era affezionato in modo particolare a loro proprio per questo, perché ognuno di loro sembrava ridar vita ai suoi ricordi. Vederli discutere, sfidarsi, ridere, punzecchiarsi, l’aveva riportato indietro nel tempo,  quando ancora non v’era colpa sulle sue spalle.
In Sasuke, per esempio, aveva rivisto se stesso. Perché quel ragazzo era identico a lui, al Kakashi Hatake adolescente. Silenzioso, presuntuoso, a volte persino arrogante. Genio indiscusso, ma con grandi lacune emotive. Come lui, Sasuke, aveva perso presto entrambi i genitori ed aveva dovuto crescere solo e in fretta, troppo in fretta.
Come biasimarlo per quel carattere freddo e scostante. Certe cose lasciano un segno profondo, l’avevano lasciato anche a lui.
A sconvolgere la vita del giovane Uchiha ci aveva pensato Naruto. Quel ciclone di vitalità era riuscito a far breccia dove nessun altro aveva potuto e in pochissimo tempo. La loro competizione continua mascherava un profondo rispetto reciproco, un legame profondo, cresciuto lentamente. Entrambi orfani, entrambi con un’infanzia difficile, ma con un modo totalmente diverso d’affrontare la situazione. Se Sasuke aveva finito per chiudersi in se stesso, Naruto cercava continuamente l’approvazione degli altri, mascherando il suo dolore fra scherzi e risate. Probabilmente proprio per quel comune passato erano stati in grado di capire l’uno la sofferenza dell’altro.
Era innegabile, quel suo contagioso sorriso era riuscito ad arrivare lontano, più lontano dell’amore incondizionato di Sakura. Naruto era esattamente come Obito: la parte più emotiva, solare, testarda e(d) imprevedibile del gruppo.
Pensando a lui, Kakashi si lasciò sfuggire un sorriso sincero.  
Restava Sakura. Lei che, come la dolce Rin, sognava di diventare medico per poter aiutare il prossimo. Innamorata da sempre del bello e dannato, disposta a qualsiasi cosa pur di riuscire a(d) entrare nel suo mondo, persino ad annullarsi. Inizialmente infastidita dalle intromissioni di Naruto, aveva lentamente imparato ad apprezzare quella maldestra presenza. Perché dove c’era Sasuke, c’era Naruto. E dove c’erano loro, c’era lei.
Forte, decisa e a volte un po’ manesca, ma anche dolce, premurosa e fragile, molto fragile. Perché quando quei due litigavano, era lei a soffrirne di più. Come Rin, Sakura aveva sviluppato un forte senso di protezione verso entrambi. Perché sia Naruto che Sasuke avevano conquistato un posto speciale nel suo cuore.
Per questo era certo che doveva essere successo qualcosa di grave. Perché se il dolce sorriso di Sakura s’era spento così all’improvviso, parlando di loro, quei due dovevano essere finiti in qualche casino. Non era sicuramente uno dei soliti battibecchi.
Forse avrebbe fatto bene a mettere da parte i suoi problemi e provare ad ascoltarla, probabilmente non avrebbe dovuto liquidare l’argomento con un semplice vedrai che tutto si sistemerà. Ma ormai era troppo tardi per cambiare le cose, lentamente la chiave girò nella serratura dell’ingresso.
Entrò, lasciando le scarpe nell’ingresso, attraversando il soggiorno in penombra senza nemmeno accendere la luce.  Superò il divano, lanciando in malo modo le chiavi sul tavolino davanti ad esso. Il rumore metallico spezzò il totale silenzio dell’abitazione.
Lentamente Kakashi raggiunse la sua camera, sdraiandosi poi, ancora vestito, sul letto. Ad accoglierlo le fresche lenzuola di lino.
Era stanco e avrebbe davvero voluto dormire, ma in quella completa assenza di rumore, scandita dal ticchettio dell’orologio da parete della sala, i suoi pensieri non gli davano tregua.
Ricordi passati che si sovrapponevano a immagini recenti. Visi, sorrisi e sentimenti che si mescolavano  fra loro mentre, steso a occhi chiusi, si sentiva trascinare verso il basso da un vortice continuo.
Passato e presente.
Obito e Rin.
Naruto.
Sasuke.
E Sakura.
Mentre lentamente perdeva conoscenza, nel preciso istante in cui la razionalità lasciava il posto all’irrazionalità, l’ultima cosa che vide furono due brillanti occhi verdi.




Continua...





Disclaimers:

Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non c’è lucro.

Anche questo capitolo è stato betato da Aya88. Grazie tesoro, sei sempre un fulmine^^

Ringrazio chi ha inserito questa fic fra le seguite/preferite, chi ha recensito e recensirà, e chi la leggerà solamente.

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Capitolo 3
*** Amici ***


Capitolo 3
Amici






“Calmati Obito! Dobbiamo restare lucidi!”
Una schiena, a pochissimi passi dal crepaccio.
“Se scendiamo ora, moriremo tutti e tre. Dobbiamo raggiungere il rifugio e chiedere aiuto!”
Uno sguardo furioso. Due iridi nere traboccanti di rabbia.
“Come puoi chiedermi di abbandonarla laggiù? Come?”
Un silenzio imbarazzante, scandito solo dalla pioggia.
“Non sappiamo nemmeno se è ancora viva…”
Angoscia, mista a preoccupazione…
“Dobbiamo essere razionali. La tua emotività non potrà che peggiorare le cose, non essere sciocco.”
Una calma irritante.
“Se ci calassimo laggiù adesso, potremmo non riuscire a risalire. Senza contare la possibilità d’essere travolti da una frana.”
Una  mano, stretta a pugno.
“Raggiungendo il rifugio avremo maggiori…”
Il colletto della giacca improvvisamente stretto con forza.
“Sei solo un vigliacco. Uno sporco codardo! Come puoi abbandonare Rin? Proprio tu, che sei il suo eroe!”
Rabbia e sdegno, in quegli occhi fissi su di lui.
“E’ quello che dobbiamo fare se vogliamo avere qualche speranza.”
Di nuovo la calma, che alimenta l’ira.
“Al diavolo tu e  la tua razionalità Kakashi! Io vado a salvare Rin!”




 
L’uomo si svegliò di soprassalto; la fronte bagnata e il fiato corto. Si guardò attorno per qualche istante, quasi cercasse conforto, incapace di realizzare subito dove si trovasse. Ansimò, mettendosi a sedere.
Erano quindici anni che quel sogno lo tormentava. Con l’avvicinarsi di quella data diveniva sempre più frequente. Ed ogni volta portava con sé con gli stessi effetti.
Kakashi si passò la mano sul volto, indugiando con le dita sulla cicatrice. Cercò di respirare con maggior profondità, incamerando più aria possibile, mentre il cuore tornava lentamente a battere in modo regolare. Allungò la mano verso il bicchiere d’acqua appoggiato sul comodino, conscio che, anche bevendo, non sarebbe stato in grado di sciogliere quel groppo in gola.
Una luce calda illuminava parzialmente la semplice stanza, penetrando dall’infisso socchiuso. Kakashi si massaggiò le tempie, tentando inutilmente di scacciare il pesante cerchio alla testa che lo infastidiva, evidente postumo della serata precedente. La sua attenzione si spostò poi sulla radiosveglia: i led rossi confermarono che il sole era sorto da un bel po’.
L’uomo si lascio ricadere svogliatamente sul letto, sospirando pesantemente. Non si sarebbe alzato, non ne aveva la minima voglia. Restò così, la mano destra sulla fronte e l’altra lungo il fianco, immobile fissando il candido soffitto. A tenergli compagnia solo qualche sporadico cinguettio proveniente da fuori.
Kakashi rimase immobile per un po’, lo sguardo fisso e vuoto allo stesso tempo.
In quella totale assenza di rumore riusciva ancora ad avvertire il rumore della pioggia, accompagnato dal fragore dei tuoni. Ricordava ogni particolare di quell’escursione: dall’entusiasmo di Rin, alla discussione con Obito poco prima della partenza; dai sorrisi, ai battibecchi; dalla gioia alle lacrime. Aveva custodito ogni dettaglio, ogni minimo dettaglio. Nulla era sbiadito nonostante il tempo trascorso. Poteva sentire distintamente quelle fredde gocce battergli sulla fronte accaldata, scendere lungo il viso ed impregnargli i vestiti. Poteva avvertirlo ancora, quel freddo sotto le unghie. Già, esattamente come l’odore della terra bagnata, inzuppata d’acqua come i loro abiti. Come dimenticare le sue mani coperte di fango, abrasioni e tagli, incapaci di provare dolore, e tese nel disperato tentativo di scavare il più rapidamente possibile per rimediare al più grande errore della sua vita.
S’era tormentato per giorni, mesi, anni, obbligandosi a ripercorrere quegli attimi istante per istante, come se quel dolore che gli straziava il petto, impedendogli di respirare, fosse l’unico modo per tentare di espiare la sua colpa.
Perché era stato lui a voler proseguire nonostante il temporale che li sorprese. Lui, che non s’era accorto di quel dannato tratto di sentiero scavato dalla siccità e poi eroso dall’abbondante pioggia. Lui, che aveva lasciato Rin sola al suo destino, cercando di raggiungere il rifugio in cerca d’aiuto. Lui, che aveva abbandonato Obito sul ciglio di quel crepaccio. Lui, che gli aveva voltato le spalle mentre l’amico  preparava corde e imbragatura. Lui, che una volta tornato indietro, nel tentativo di rimediare al suo stupido errore, s’era quasi cavato un occhio scivolando mentre si calava verso di loro. E sempre lui, che, lasciandosi sorprendere dall’improvvisa frana, aveva obbligato il suo più caro amico a mettere in gioco la sua stessa vita per salvarlo.
Perché Obito era morto per lui. Lui, che li aveva abbandonati entrambi.
Non esistevano giustificazioni. Nessuna possibile scusa.
Solo un imperdonabile, enorme sbaglio.
Così grande da essere costato una vita.
 
L’improvviso trillo del cellulare lo riportò alla realtà, evitandogli di sprofondare ancor di più nei ricordi.  Kakashi ne fu sollevato ma pensò comunque di lasciarlo suonare, restando dov’era, sicuro che fosse la classica telefonata di uno dei suoi compagni di serata desiderosi di sincerarsi delle sue condizioni fisiche e mentali.
Si girò di fianco, afferrando il cuscino e poggiandoselo sopra la testa, nel tentativo di attenuare quel rumore molesto. Non appena lo scocciatore s’arrese, Kakashi si liberò del guanciale lasciandolo cadere a terra, riportando poi lo sguardo verso il soffitto. Forse sarebbe riuscito a riprendere il sonno…
La pace invece, durò poco. Il telefono riprese a suonare incessantemente solo alcuni istanti più tardi. Arrendendosi all’insistenza di quegli squilli, si alzò svogliatamente raggiungendo la scrivania sul lato opposto della stanza, afferrando l’apparecchio abbandonato lì la sera precedente.
“Pronto…” Difficile mascherare il tono leggermente seccato.
“Alla buon ora, Kakashi!” La voce chiara e vivace di Tenzo lo destò del tutto. “Si può sapere che ci fai ancora a letto? E’ una splendida giornata.”
“Non ero a letto” biascicò lasciandosi sfuggire un mezzo sbadiglio.
“Certo…” Tenzo fece una breve pausa giusto per sottolineare quanto credesse all’affermazione dell’amico. “E perché non hai risposto prima allora?”
“Semplice, ero impegnato. Stavo bagnando le piante”. O meglio, temevo che fossi tu e non avevo voglia di rispondere.
“Kakashi…” Un nuovo attimo di silenzio. “Tu non hai piante…”.
Le sue scuse erano pessime, una più assurda dell’altra, ma solitamente Tenzo fingeva di crederci. Kakashi lo sapeva bene, ormai quel ragazzo era un libro aperto per lui. Per questo conosceva già il motivo che l’aveva spinto a chiamarlo in quel caldo pomeriggio. S’immaginò così Anko, in piedi accanto al collega, intenta ad incenerirlo con lo sguardo perché colpevole d’abbandono domenicale nei confronti della propria ragazza, preferendole quattro chiacchiere e una birra in compagnia di un amico.
“Ti aspetto da me tra mezzora, ho un progetto da farti vedere”. La comunicazione s’interruppe prima che potesse replicare.
Mentre riappoggiava il cellulare sulla scrivania, Kakashi sorrise divertito; anche le scuse di Tenzo non erano un granché.
Dovette ammettere però che stava diventando davvero scaltro; ormai lo conosceva così bene da sapere che, se l’avesse lasciato parlare, avrebbe in qualche modo declinato l’invito.
Guardò l’orologio da polso. Mezzora… Sarebbe certamente arrivato in ritardo e necessitava di una scusa credibile, quella dell’anziana vicina bisognosa d’aiuto non avrebbe retto nuovamente.
 
 
Il centro, in quel caldo primo pomeriggio, era stranamente affollato. Una lieve brezza soffiava dal lago, incapace però di sciogliere la calura. Ad attirare la gente nonostante l’elevata temperatura, un’apertura straordinaria con orario continuato dei negozi più in. Cosa che Ino non si sarebbe mai lasciata sfuggire.
Camminava da una vetrina all’altra da ore, trascinando con sé una Sakura ormai spazientita.
Scarpe, borse, accessori vari e vestiti… un’infinità di vestiti. La giovane Yamanaka aveva già fatto impazzire la maggior parte delle commesse del paese.  
“Hai almeno una vaga idea di quello che vuoi comprare?” chiese la giovane Haruno davanti all’ennesima parata di manichini, mentre il suo sguardo vagava alla disperata ricerca di una comoda, libera panchina dove sedersi e lasciare i pacchi che l’amica le aveva affibbiato. Non le era mai piaciuto fare il facchino e allo shopping avrebbe di gran lunga preferito un tuffo in piscina e un po’ di sole ma, nonostante sapesse che sarebbe finita così, non le andava di rinunciare ad un po’ di compagnia.
“Certo che no!“ replicò l’interessata intenta ad osservare un leggero abitino color pesca “Ci sono un sacco di cose carine, come posso scegliere?”
“Scegli e basta, non è così difficile!” si limitò rispondere Sakura alzando lo sguardo al cielo terso, nella vana speranza che la ragazza cogliesse il suo suggerimento.
“Non fare la guastafeste! E poi anche tu dovresti comprarti qualcosa di nuovo, non credi?” Lo sguardo divertito che Ino le rivolse le permisero di intuire esattamente dove l’amica stesse andando a parare. Riportò così l’attenzione sulla sua aguzzina, inarcando un sopraciglio. “Sapevo di non doverne parlare con te! E poi non mi serve un abito da sera per sistemare il conto della lavanderia.”
“Ne sei  sicura?” Un sorriso ancora più ampio si disegnò sul volto della giovane.
L’interesse di Ino per i pettegolezzi era risaputo; nulla le sfuggiva, soprattutto quando si trattava di appuntamenti vari e nuove coppie all’orizzonte. Più che un’aspirante futura dottoressa, sembrava un rotocalco di cronaca rosa vivente. Sakura, dal canto suo, credeva d’averci fatto il callo, ma non poté nascondere una leggera irritazione di fronte a tanta curiosità.
“Non fare quella faccia…” riprese la bionda notando la sua espressione infastidita “…è solo che credo ti farà bene uscire con qualcuno invece di startene in casa a deprimerti per quei due.”
“Non esco con nessuno! Come te lo devo dire? Ha solo insistito per pagare…”
“Certo, certo” Ino la interruppe, avvicinandosi più del dovuto prima di proseguire “ma magari… chi lo può dire, no? E poi Kakashi è davvero un bel uomo… anche se, in effetti, è un po’ troppo vecchio per te…”
Sakura osservava in silenzio l’amica intenta a farneticare qualcosa su una sua improbabile relazione con il loro ex sensei. Parlava e parlava, senza sosta. Avrebbe voluto strangolarla. O meglio, la vocina dentro la sua testa glielo stava caldamente consigliando. Perché Ino non era mai stata in grado di capire quand’era il momento di smettere e, a volte, le maniere forti erano l’unico modo per farla tacere.  
“Sei insopportabile!” sbottò ormai al limite della sopportazione, lasciando a terra le borse colorate e scrollandosi da dosso il braccio che la ragazza le aveva poggiato attorno alle spalle. “Possibile che tu debba vedere relazioni ovunque e fra chiunque?” continuò voltandosi verso l’unica panchina libera adocchiata poco prima, incamminandosi decisa prima che Ino potesse replicare in qualche modo.
“Ehi, dai… aspettami! Che ho detto di male?”.
Sakura la ignorò completamente, continuando dritta per la sua strada.
“Lo dicevo per te, perché hai bisogno di distrarti un po’!”
E come darle torto. In cuor suo Sakura sapeva quanto Ino avesse ragione; non poteva certamente restare perennemente chiusa in casa rimuginando sui problemi di quei due.
 
Già, quei due…
Sasuke e Naruto.
Naruto e Sasuke.
Loro, sempre loro nei suoi pensieri. E quella volta non si trattava di una futile sciocchezza come quelle che possono capitare fra i banchi di scuola. Sasuke s’era messo davvero nei casini e, sinceramente, non credeva che la sola testardaggine di Naruto avrebbe potuto aiutarlo ad uscirne.
Raggiunta la panchina, Sakura si lasciò quasi cadere su di essa. Era stanca, non poteva negarlo. Quella situazione la stava sfiancando, ed essere lasciata all’oscuro dei particolari la logorava più di ogni altra cosa. Si sentiva inutile. Inutile ed esclusa.
Credeva d’essere cresciuta abbastanza da non dover più essere protetta da Naruto. Si sentiva abbastanza matura e forte da poter aiutare Sasuke, qualunque fosse stato il suo problema, senza doversi appoggiare ad altri. Pensava anche di averlo dimostrato in qualche modo.
Eppure… eppure nulla era cambiato. Anche quella volta l’avevano lasciata in disparte.
Ormai erano trascorsi giorni dall’ultima telefonata di Naruto, e lei passava le sue giornate osservando in continuazione il cellulare, attendendo una chiamata o, quanto meno, uno stupido messaggio. Anche in quel preciso istante, senza rendersene conto, l’aveva tolto dalla borsetta.
Nessun messaggio, nessuna chiamata.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Ino. Forse chiamare Kakashi non le avrebbe fatto male. Uscire per un caffè non era di certo un reato, e non significava nemmeno non preoccuparsi per gli amici. Non aveva motivo per sentirsi in colpa.
In colpa per cosa poi, non lo sapeva nemmeno lei. D’altronde restare ad osservare il display del telefono come un’idiota non avrebbe comunque risolto i problemi di Sasuke.
Invece un caffè e una chiacchierata le sarebbero certamente servite a distrarsi. Kakashi poi, non era uno sconosciuto. Magari parlarne con lui l’avrebbe aiutata. In fondo le era stato vicino altre volte in passato, con lui aveva sempre potuto parlare liberamente. L’aveva sommerso più volte con i suoi problemi adolescenziali e Kakashi l’aveva sempre ascoltata, risollevandola a modo suo. Perché, nonostante fosse un uomo di poche parole, quel suo tono pacato e quell’imperturbabile tranquillità con cui riusciva sempre ad affrontare i problemi, avevano sempre avuto lo strano potere di riuscire a farla star meglio.
Sakura alzò lo sguardo dal display ormai oscurato, spostandolo verso il lago.
Sì, se ne era finalmente convinta, l’avrebbe chiamato.
 
 
La casa di Tenzo restava fuori dal centro, in periferia. Nonostante lavorasse da poco, era riuscito a sistemarsi veramente bene, almeno secondo Kakashi. Aveva trovato un appartamento appena ristrutturato, in una graziosa casetta indipendente su due piani e con un piccolo giardino ben curato. Niente a che vedere con il suo bilocale in quel grigio condominio del centro.
Davanti al cancello in ferro battuto, Kakashi suonò il campanello ripetutamente, ad intervalli regolari, quasi a voler pareggiare i conti per l’insistenza dell’amico al telefono.
Per sua sfortuna però, invece di Tenzo, sul balcone uscì Anko.
“Ne hai per molto, Kakashi?” Impossibile non notare il suo tono irritato.
Quella donna era sempre stata intrattabile, a suo avviso. Non sapeva spiegarsi come Tenzo riuscisse a sopportarla da più di un anno.
“Non credevo ci fossi anche tu in casa… “ si giustificò, incurvando le labbra in un lieve sorriso.
“Non preoccuparti, sto uscendo.” Replicò la donna prima di sparire all’interno dell’abitazione.
 
Kakashi entrò nel giardino, percorrendo il viottolo d’ingresso e incrociando Anko sul portone principale. Un saluto veloce, un semplice gesto della mano, per poi salire le scale fino al secondo piano dove, dalla porta semiaperta, la voce di Tenzo lo invitò ad entrare. Dedusse che, probabilmente, era di sopra, nella piccola mansarda adibita a studio. Da bravo stacanovista qual era si portava il lavoro anche a casa.
L’ingresso era semplice, piccolo e ordinato. Kakashi lo oltrepassò trovandosi nell’ampio soggiorno. I mobili, rigorosamente in legno massello, erano in stile classico, disposti ad arte come solo un buon progettista d’interni come Tenzo sapeva fare. Alla sua sinistra, l’ampia portafinestra in vetro rendeva l’ambiente molto luminoso. Come in ogni stanza di quella casa poi, il pavimento era in parquet chiaro d’ottima qualità. Anche quel particolare era dovuto alla fissazione che il giovane architetto aveva per il legno. Chissà poi da dove gli veniva. Kakashi sorrise ricordandosi quando la prima volta che Tenzo lo invitò, mentre l’amico mostrava orgoglioso il suo lavoro, gli aveva chiesto scherzosamente se pure il frigorifero e il materasso fossero in legno massello attirando su di sé lo sguardo perplesso e contrariato del collega.
 
“Sono di sopra.” La voce di Tenzo dalla mansarda lo invitò a salire. Kakashi raggiunse la scala a chiocciola sulla destra del soggiorno e salì. Ad attenderlo al piano superiore, l’amico impegnato al tecnigrafo.
“Te l’hanno mai detto che non si dovrebbe mai uscire con le ex degli amici?” punzecchiò scherzosamente l’architetto intento a terminare la sua tavola.
“Beh… forse non dovresti lasciarti dietro una schiera di ex.” Rispose lui mentre tracciava l’ennesima linea. “Oppure, più semplicemente, non dovresti presentarle ai tuoi amici”.
L’Hatake sorrise divertito, prendendo una sedia e accomodandosi accanto all’uomo. La battuta sempre pronta era una delle caratteristiche che apprezzava di più in Tenzo.
“Dammi un secondo e sono da te…”.
Kakashi lo osservava destreggiarsi fra rette e curve, mentre cercava di terminare la pianta di quella che ipotizzò essere un’abitazione. Tenzo era davvero un tipo molto scrupoloso nel suo lavoro, attento ad ogni minimo particolare. Da come stava curando quella tavola, sicuramente doveva trattarsi di un progetto importante.
“Sai… visto così non sembri proprio il tizio che quasi tutte le sere se ne sta stravaccato sulla sedia di un pub, ubriaco o semi ubriaco, a litigare con le scritte sul tavolo” puntualizzò, attirando l’attenzione dell’amico. “Un giorno mi spiegherai come fai a riprenderti così in fretta.”
Le labbra di Tenzo disegnarono un sorriso sornione.
 “A differenza di te, sono ancora giovane. E poi… il caffè di Anko fa miracoli.” Disse alzandosi e spostandosi verso la scala prima di proseguire “Che ne dici di una birra in terrazza? Così facciamo due chiacchiere. O forse, per te è meglio una camomilla?”.
Kakashi lo osservò sparire di sotto prima di replicare “Una birra andrà benissimo…”
E pensare che una volta l’aveva pure baciato quel dannato seccatore. Non aveva mai saputo se anche il diretto interessato si ricordasse o meno di quel minuscolo particolare. Magari, la mattina dopo, il caffè di Anko era stato in grado di cancellare anche quello, insieme alla sbronza. Uno stupidissimo errore di gioventù dovuto alla classica sbronza post-esame, lo definì, rimasto solo ad osservare il punto in cui la figura di Tenzo era scomparsa.

 
La brezza fresca che soffiò dal lago le solletico il voltò. Sakura alzò di nuovo gli occhi al cielo terso prima di sobbalzare sorpresa.
“Allora? Sei ancora arrabbiata?” Il viso sorridente di Ino e un cono fiordilatte e fragola apparvero improvvisamente a pochi centimetri dal suo volto facendola trasalire.
Sciolse così l’espressione corrucciata in un leggero sorriso, afferrando il gelato che la ragazza le stava porgendo. Doveva riconoscere che l’amica sapeva come farsi perdonare.
“Per stavolta passi, ma…” Fece una breve pausa, incurvando nuovamente un sopraciglio.
Ino, leggermente preoccupata, la invitò a proseguire “Ma?”.
“Ma Kakashi non è vecchio”.
Sakura sorrise di nuovo. Un sorriso sincero, divertito, che Ino non vedeva sul suo volto da diverse settimane. Per questo si sentì sollevata; perché nonostante la loro rivalità in amore, e non solo, fosse palese, Ino considerava Sakura come una sorella. Non riusciva più a sopportare passivamente quella situazione. Vederla restare in casa per giorni ad aspettare la telefonata di Naruto le faceva ribollire il sangue. Sicuramente un caffè con Kakashi non avrebbe cambiato le cose, ma era pur sempre qualcosa. Un inizio, un punto di svolta per uscire da quello stato di rassegnazione che non s’addiceva minimamente al carattere forte di Sakura.  O almeno così lo vedeva lei.
“Lo sapevo! Allora ti sei decisa. Lo chiamerai, vero?”
Sakura sospirò arrendendosi.
“Sì, lo chiamerò.”



Continua...





Disclaimers:
Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non c’è lucro.




Mi rendo conto che la cosa sta andando un po' per le lunghe e spero mi perdonerete.
Ci mancava giusto questa strana idea del bacio fra Kakashi e Tenzo , tutta colpa  di Urd,  delle ragazze dell'Urd café e di skype XD
Grazie, come sempre, ad Aya88  per il betaggio^^



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