Saint Seiya New Dawn: Origini

di Darkshin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ragazzo difficile ***
Capitolo 2: *** Un nuovo cavaliere ***



Capitolo 1
*** Un ragazzo difficile ***


Saint Seiya Gunther  Un ragazzo difficile


Chicago non è un buon posto dove nascere.
Industrializzata fino al midollo, la sua skyline è una infinita selva di grattacieli e di ciminiere che instancabili come vulcani mai sopiti, vomitano sulla città il loro fumo denso e greve, puzzolente di olio e motori.
Laggiù, avvolti nelle sue spire grigie, osano vivere uomini che giorno dopo giorno continuano a perdere diritto a tale appellativo, immersi fino al collo in quella fabbrica a cielo aperto che un domani li avrebbe resi evanescenti come fantasmi e grigi come macchine spente e silenziose.
Non si scherzava mai, a Chicago. Non c'era tempo.
Nessuno lì, in effetti, aveva mai tempo per qualcosa che non fosse aumentare la produttività in una giornata scandita da impegni precisi e consuetudini ritmiche, definiti dal moment in cui aprivano gli occhi a quello in cui li chiudevano, quando, unico e vero istante di libertà della giornata, si chiedevano se l'indomani li avrebbero riaperti.
Perchè la grande metropoli era anche questo: nei palazzi, le macchine la facevano da padrone, ma le strade appartenevano ad ogni sorta di rifiuto della società: chi aveva perso il passo con i ritmi frenetici ed era stato "eliminato" dal sistema e chi nel sistema non aveva voluto avere a che fare, ora governava quel regno di immondizia e sudiciume, fango, sporco e lacrime; piccoli re che cercavano di mangiarsi l'uno con l'altro per accrescere quello che per loro era potere.
Accadeva anche, talvolta, che taluni di questi piccoli re crescesse fino al punto di rientrare nei palazzi dai quali erano stati cacciati; ma, se la crudeltà necessaria non mancava a nessuno, lo stesso non si poteva dire dell'intelligenza e della forza di volontà necessari ad arrivare in cima.
Gunther aveva sempre pensato, anzi, saputo, che lui sarebbe stato uno di quelli che ce la avrebbe fatta.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, poteva quasi assaggiare, estatico, la sensazione del potere su quela città di morti che magari sarebbe stato solo il primo passo verso ben altre mete.
Il sedicenne dai capelli blu, alto per la sua età, si concesse un sorriso ferino mentre si beava nelle sue fantasie all'ombra di un muretto dove aspettava il suo primo, vero incarico importante.
Certi tipi gli avevano proposto di portare una valigetta ad altri tipi. Non ci voleva un genio per capire quello che avrebbe dovuto fare, probabilmente sarebbe stata droga o al massimo armi.
Potendo scegliere, avrebbe preferito la prima: nel caso in cui avesse incontrato sbirri, con un pò di polvere si poteva sistemare tutto e magari il destinatario non si sarebbe accorto di nulla mentre con le armi sarebbe stato più difficile contrattare.
Sapere che stava per aiutare una persona ad ammazzarsi o ad ammazzarne altre non gli causava alcun problema: dal suo punto di vista, lui non si impicciava degli affari della gente e la gente non doveva fargli girare le scatole o avrebbe assaggiato la potenza dei suo pugni.
Assorto nei suoi pensieri, non si era reso conto dell'arrivo di un uomo, che ora lo sovrastava dall'alto. La pelle scura e l'abito di ottimo taglio lo denotavano immediatamente come straniero, ma quello che inquetava davvero era il volto fermo e inespressivo, non malvagio o particolarmente cattivo quasi un blocco di pietra dove solo gli occhi testimoniavano la vita.
Occhi che sembravano scavare a fondo in quel ragazzino che sedeva nella polvere, muto e con la bocca leggermente aperta in una espressione sorpresa.
Una delle regole fondamentali della strada era capire al volo chi potevi fottere e chi no.
Era bastato incrociare gli occhi per capire che non poteva fargli del male in alcun modo.
"E... Hey, amico! Tutto bene?" sorrise, un pò strafottente tanto per spezzare la cappa di silenzio che si era venuta a creare. "Ti sei perso, per caso?"
"... Così pare." ammise senza problemi l'altro senza smettere di fissarlo.
Quasi come se se lo fosse aspettato, la voce non trapelava nessun sentimento o intonazione particolare, se si escludeva il pesante accento che lo etichettava come prodotto non made in USA.
I minuti passavano lenti, ma l'uomo non si decideva ad aggiungere altro, mentre Gunther stava per perdere la poca pazienza che aveva: che quello fosse stato uno sbirro in incognito? Scartò immediatamente l'idea: il buonsenso gli diceva che un tipo così appariscente non sarebbe mai potuto passare in incognito.
Appariscente, poi? A guardarlo distrattamente, non sarebbe mai sembrata la parola giusta, ma quel tipo riempiva l'aria con la sua presenza.
Per la prima volta nella sua vita, Gunther sentì il cuore rallentare i battiti, come un lago increspato che finalmente sta tornando piatto e limpido come uno specchio.
Non c'era più spazio per la paura, solo per una assurda sensazione di pace e benessere.
"Non dovresti rilasciare così il tuo cosmo, Anil"
Un altro tipo strano si stava avvicinando.
Come l'uomo che aveva chiamato Anil, vestiva uno splendido completo, più chiaro rispetto all'altro.
I corti capelli biondo platino gli conferivano un aura dura, confermata dal volto freddo e spietato come il ghiaccio. Era anche più alto di Anil stesso, ma non era tanto questo a spaventare quanto il fatto che a prima vista si indovinava come il tipo capace di ucciderti con il semplice respiro.
"Io ho finito. Se non sbaglio, ti avevo chiesto di aspettare alla stazione."
Nemmeno lui era americano. Probabilmente europeo o giù di lì.
L'asiatico non sembrava particolarmente impressionato dal tono dell'altro, ma almeno sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi.
"Scusami. Volevo vedere come era fatta una vera città".
"Hm. Lasciamo perdere, abbiamo altri posti da controllare".
Un ultimo sguardo al ragazzino e finalmente Anil si decise ad andare, per seguire il suo compagno che nonostante i modi freddi, sembrava godere della sua fiducia.
Ad una certa distanza, il biondo si decise a parlare.
"E' successo qualcosa, Anil?"
"Quel ragazzino. Non hai notato niente di strano?"
"Nulla di particolare... se non che avrebbe bisogno di una bella doccia, perchè?"
"Nulla... solo una impressione" mormorò, più a sè stesso che all'altro.

"Porca.... che gente!" sibilò Gunther, accorgendosi solo adesso che aveva praticamente trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui era stato sotto lo sguardo dell'indiano.
"Yoooooo... ? Gun! Bastardo, dove sei?"
"Non urlare, coglione! Sto qua!" gridò in risposta, decidendo all'istante di dimenticare quello che era appena successo.
"Yooo, Gun... lavato il collo? Cambiato le mutande? Sai, ti succedesse qualcosa e finissi in ospedale..."
"Fanculo, pagliaccio!"
"Brutta storia, affidare roba preziosa ai mocciosi... dove andremo a finire?"
Il rumore sordo di una pietra che si frantumava nella mano di Gunther fece capire a quel pesce piccolo che non era il caso di tirare troppo la corda: diversi prima di lui avevano osato prenderlo in giro e tutti erano finiti a fare compagnia al letto per molte, molte settimane.
"Calmo, bello" cercò di conciliare l'altro "Ecco la roba" gli lanciò una sorta di borsone da squadra di basket, verde e con una cinghia che permetteva di portarlo appeso su una spalla.
"Finalmente" ringhiò il ragazzino "Se mi dicono qualcosa dò la colpa e te e poi ti vengo a cercare!" urlò, mentre l'altro se ne andava agitando con strafottenza una mano.
"Tsk... bastardo".
Protestare non sarebbe servito a niente, quindi si risolse a mettersi all'opera. Giocando tutto il giorno per quei quartieri, aveva acquisito una conoscenza impareggiabile sulle strade migliori da percorrere, specie quando si vuole passare inosservati agli occhi della "legge". 
Eppure, anche passare per i vicoli bui e nascosti della città, cosa che lo faceva sentire sempre come se ne fosse stato il sovrano, non lo tranquillizzò del tutto nè gli diede un minimo barlime di gioia. Aveva ancora davanti a sè gli occhi dello straniero, neri e luccicanti come una piccola galassia.
"Psst... Gun!"
"Che ca... Leon!" sorrise il ragazzino sorpreso, riconoscendo un vecchio compagno di giochi, il vecchio Leon dai capelli castani e lo sguardo serio di chi è cresciuto troppo velocemente.
"Ohi, man... ci sono anche io, aspettate!" un altro tipo con cui aveva passato la vita, un ragazzino con un giubbino smanicato verde e una bandana rossa che copriva i lunghi capelli neri e arruffati.
"Ralf! Che fate da queste parti? Non stavate più su?"
"Lavoro, cretino" sorrisero, mostrando i diversi zaini che portavano a loro volta.
I ragazzini si concessero un rapido sorriso complice, che svanì nell'apprendere il fatto che avrebbero dovuto consegnare tutti la roba alla stessa persona.
"Ma a che gioco sta giocando, quello?"
Leon si passò la mano dietro la nuca, mentre rifletteva furiosamente.
"Chiedere rifornimenti a tre clan diversi... qui qualcosa puzza!"
"Scusate, colpa mia!"
"Ma che schifo, Ralf!"
Ancora preoccupati, raggiunsero finalmente la loro destinazione, un vecchio drive-in abbandonato.
Solo delle tenui luci riuscivano ad oltrepassare l'alta staccionata di legno, rinforzata da quando era stato eletto covo ufficiale del capoccia locale. All'ingresso, due gorilla facevano la guardia, fucili in pugno, ma senza fare storie e contrariamente alle loro aspettative lasciarono che i ragazzini entrassero.
Era una sua impressione o gli era sembrato che i due si scambiassero un sogghigno complice? Forse era solo paranoia...
-Anche volendo... che potrei fare?- si chiese, il cuore che andava a mille. Ralf sembrava spensierato, ma Leon doveva condividere più o meno i suoi stessi pensieri, a giudicare dal viso pù contratto del solito.
Il capo era più o meno identico a tanti altri che aveva incontrato, compreso il suo attuale datore di lavoro. La testa rasata e gli occhiali da sole erano una sorta di status symbol per tipi come quello: Gunther aveva deciso da tempo che non avrebbe mai toccato i suoi splendidi capelli blu che lo facevano spiccare al di sopra della massa.
Sorrise, quasi a volersi ingraziare i tre e invitarli a farsi avanti, ma il suo più che un sorriso sembrava un taglio netto e sottile come quello di un serpente.
"Prego, prego, non siate timidi" ghignò "Voi dovreste essere i corrieri, giusto?"
Ad uno schiocco delle sue dita, alcuni dei suoi uomini strapparono gli zainetti dai ragazzini che esplosero in versi di indignazione, per poi depositarli ai piedi del capo. Uno di loro, aprendo lo zaino di Gunther, saggiò la qualità della polvere contenuta in un sacchetto, per sputarla un attimo dopo disgustato.
"Un taglio di merda, non è nemmeno un terzo di roba, questo! Avevamo chiesto tre quarti, ci prendono per il culo!"
"Aha..." commentò il capo, conciliante, come se si aspettasse una cosa del genere, per poi voltarsi verso i ragazzini con aria dispiaciuta.
"Questa è una grave offesa, piccoli miei. I vostri capi ci vogliono fottere, e non è mica giusto, non trovate?"
"Non so di che parlate. Noi consegnamo la roba e basta" lo sfidò Gunther, prima di essere spedito la tappeto da un calcio arrivatogli da qualcuno alle sue spalle.
"Ambasciator non porta pena, eh? Mi spiace, piccoli miei, ma qui è una regola che non vale" sorrise, sadico "penso proprio che vi riconsegnerò a chi vi ha mandato... tagliati male come questo schifo, si intende".
"Rispediamoli a rate!" urlò qualcuno, acclamato dagli altri che risero come pazzi, mentre il loro capo tirava fuori un coltellaccio da uno degli stivali che indossava.
Inaspettatamente il primo a partire fu Ralf, che si lanciò urlando in una folle carica contro il capo a testa bassa. 
Come se se lo aspettasse, il capo arretrò di un passo per farlo andare a vuoto, inchiodandolo a terra con una mano per il collo, mentre Leon e Gunther venivano tenuti bloccati e tenuti in ginocchio. I due amici, immobili, furono costretti ad assistere allo spettacolino del capoccia che affilava il coltellaccio contro una cinghia e lo passava delicato sulla guancia di Ralf, quasi carezzandolo, prima di staccargli come se fosse stato di burro un orecchio.
Gunther non sentiva più niente: le voci dei delinquenti, le urla rabbiose di Leon, gli strilli acuti di Ralf... tutto stava sparendo pian piano, lasciando il posto ad una fitta oscurità: il lago del suo cuore cominciò ad agitarsi come mai prima d'ora, vorticando furiosamente; dentro di sè sentiva una rabbia mai provata, una sorta di esplosione, come un fiume di luce che gli scorreva in ogni singola fibra del corpo.
Fu un attimo, in cui la sua presenza riempì l'aria intorno a sè, rilucendo come una stella mentre alle voci divertite si sostituivano mormorii impauriti.
"LASCIALO!" ringhiò Gunther, facendo volare via i suoi aguzzini con la sola forza dell'aria. "STARE!!!"
Non ci fu il tempo di regire, che la testa di quel delinquente prese a ciondolare, il collo spezzato di netto.
Solo per un attimo, il malavitoso si resse ancora sulle ginocchia prima di crollare a terra dove il suo sangue si mescolò alla polvere formando una larga pozza.
La breve esplosione di rabbia aveva lasciato tutti intimoriti, ma furono lesti a riprendersi e a puntare le armi da fuoco contro il ragazzino.
"Non so che trucco tu abbia usato, bastardo" esclamò il tipo che aveva controllato la droga "Ma fa un solo passo e ti ritrovi con più piombo che carne"
"Avevo ragione, a quanto pare" mormorò una voce bassa, mentre fiocchi di neve cominciavano a cristallizzarsi nell'aria.
"Neve? A luglio? Ma che ca..."
Dove prima c'erano solo i ragazzini, ora si stagliavano due alte figure che fissavano con algido disprezzo i delinquenti.
Anil giunse le mani sull'orecchio ferito di Ralf, interrompendo la perdita di sangue: sembrava che dalle sue mani venisse proiettata una sorta di luce d'oro, quasi brillante come quella delle stelle, che mozzò il fiato a Leon e Gunther.
"Ecco fatto. Per l'orecchio perduto non posso fare nulla, ma almeno non perderai più sangue".
"Gr...grazie, signore"
Anil annuì, prima di riprendere il suo posto di fianco al biondo.
"E voi da dove cavolo spuntate? Fateli secchi, ragazzi!"
Ma il freddo, di colpo, si fece più pungente che mai: le armi si rivestivano in un lampo di una spessa coltre gelida per frantumarsi nelle mani dei possessori.
"A noi Santi di Atena è proibito usare il cosmo contro semplici esseri umani, per quanto questi possano rivelarsi infimi e disgustosi. Tuttavia, non sfidate troppo la sorte o ne pagherete il prezzo." affermò con fredda superiorità il biondo. Molti, cedendo più alle sue parole che alla sua tecnica, cominciarono a scappare, ma altri, incarogniti e sconvolti, si lanciarono in un disperato assalto.
"Arretra, Milan. Se continui potresti fare loro del male: penserò io a loro."
Senza scomporsi, Anil giunse le mani in preghiera, lasciando che il suo cosmo si raccogliesse intorno a sè. Diverso dal gelido vento del nord scatenato dal suo compagno, il suo cosmo era il sole sulle foglie in una giornata d'estate.
"Tenbu Horin. (Celeste Danza del Prezioso Circolo)" sussurrò.
Una luce accecante investì tutti i presenti: al suo dissiparsi, i ragazzini si accorsero che i delinquenti erano fermi, immobili come statue. Alcuni tremavano, agitando disorientati le mani innanzi e intorno, altri avevano la bocca aperta in un urlo completamente muto. Sembravano nulla più che burattini retti da fili invisibili.
"Avete riso della sofferenza, vi ho tolto la voce. Non avete udito le urla delle vittime, vi privo dell'udito. Vi siete deliziati delle torure, tatto e vista vi hanno abbandonato. Rimanete così, privi dei vostri sensi, finchè la Dea non decida altrimenti".
La condanna di Anil arrivò, implacabile ed esatta come la giustizia stessa.
"Penso avrebbero preferito una fine più clemente, Anil".
"Non sta a noi scegliere se spegnere le vite. Forse, anche per loro ci sarà speranza dopo l'espiazione".
"Scusate... "
A parlare era stato Gunther, che aveva lasciato Leon ad occuparsi di Ralf.
"Ma voi, chi siete?"
"Noi siamo Santi di Atena, ragazzo" gli spiegò Milan, altero. "E tu potresti essere uno di noi"
"I.. IO!?"
Anil annuì "Quando ci siamo incontrati, ero sicuro di avere sentito il cosmo agitarsi dentro di te: è evidente che deve avere reagito in risposta alla nostra presenza, per questo sei stato in grado di evocarlo, prima. La preoccupazione per i tuoi amici ha tirato fuori il tuo vero essere".
Il ragazzino arrossì leggermente di fronte ad una spiegazione così "da femminuccia"
"Ed è stata una vera fortuna: se non avessimo avvertito l'esplosione del tuo cosmo non saremmo mai potuti arrivare in tempo".
"Io... io non capisco niente... Cosmo? Santi?"
"Se vuoi una risposta, seguici. Ti porteremo in Grecia, al Grande Tempio" concesse Milan "Là, scoprirai se sei degno o meno di indossare una armatura e diventare anche tu un Santo".

Gunther alzò lo sguardo, fissando stupefatto in cielo. Il potente sole del Mediterraneo faceva risplendere i marmi bianchi dei templi e  faceva sembrare roventi le alte rocce brune che racchiudevano il capo di addestramento dei futuri Santi di Atena
Davvero era quella, la Grecia? Anche se erano passati alcuni mesi da quando era arrivato, comparato a Chicago sembrava sempre un posto ultraterreno, quasi un altro pianeta.
Aveva scoperto al suo arrivo che nei dintorni del luogo si trovavano diversi villaggi, i cui abitanti riverivano da tempo immemorabile Atena e i suoi cavalieri conservando nelle linde e sobrie case ricordi di un epoca passata; da uno di questi, era stato condotto lungo una lunga e stretta scalinata, quasi infinita, che li avevano portati nel cuore delle montagne.
Nè Anil nè Milan avevano parlato molto con lui, dopo il loro incontro, men che meno per dargli ragguagli sulla vita di un cavaliere aggiungendo che non sembrava loro corretto; almeno, questo fu Anil ad aggiungerlo, perchè Milan era più il tipo da fissarlo sprezzante.
Ora si trovava il mezzo ad un ampio spiazzale rotondo, ricoperto di marmo, aspettando come di consueto il momento di cominciare con malcelata inpazienza.
Il semplice abito di lino bianco che indossava era abbastanza fresco per il clima e non gli spiaceva affatto; tuttavia, quello che di più apprezzava di quella divisa era la sommaria armatura in cuoio, semplici sandali e un giustacuore in cuoio che copriva solo la parte sinistra del torace assieme a lunghi bendaggi dello stesso materiale avvolti intorno alle braccia.
Portandosi i pugni davanti al volto, sentì l'odore acre del cuoio che gli andava dritto nel cervello, esaltandolo come non mai, quasi come tornare a respirare profumo di casa dopo una lunga assenza.
Da diversi sentieri che conducevano a spartane casette disseminate lungo il pendio del monte, glli altri allievi stavano arrivando alla spicciolata, ragazzi di età compresa dai dodici ai diciotto anni; non c'era un periodo preciso di anni da dedicare all'allenamento, come gli era stato spiegato: i cavalieri combattono con il cosmo e prima questo viene risvegliato appieno, prima si potrà ottenere un armatura e cominciare a fare sul serio. Non erano un esercito, per niente: era il valore individuale a sabilire chi andava avanti e chi pasteggiava a pane e polvere.
Il ragazzo aguzzò lo sguardo: su una alta rupe gli era parso di distinguere un tipo alto dalla testa rasata, scomparso appena aveva provato a guardarlo direttamente.
"Dove stai guardando, Gunther?"
La voce bassa lo colse di sorpresa: Anil era improvvisamente comparso al suo fianco quando meno di un secondo prima avrebbe giurato che fosse distante più degli altri in fondo al viale.
"Gh".
"Non essere in collera, non ne hai motivo. Nessun allievo cavaliere può avere la pretesa di percepire al primo tentativo i movimenti di un cavaliere d'oro".
"Grande Anil!"
Gli altri ragazzi del corso li avevano finalmente raggiunti: tra questi spiccava un rosso che aveva praticamente instaurato un rapporto di cordiale antipatia con Gunther dal primo momento che si erano visti.
"Grande Anil, cosa ci fate, qui?"
"Sono in partenza per una piccola missione, ma prima volevo vedere la nostra prima leva di aspiranti cavalieri".
Non lo dava mai a vedere e nessuno, non conoscendolo, ci avrebbe mai scommesso; ma il saggio Anil amava osservare da vicino la loro crescita, non con l'occhio affettuoso del padre e del fratello quanto di quello del giardiniere, che vuole che le sue piante crescano dritte e sane per portare ombra e frutti.
Gunther, al contrario degli altri, non lo ascoltava minimamente, essendo piuttosto impegnato a girargli intorno per osservare e ammirare a suo piacimento il grande cubo d'oro massiccio che Anil indossva a mo' di zaino sulle spalle. Non aveva la minima idea di cosa rappresentasse la figura scolpita sopra, ma sapeva che l'oro contraddistingueva il grado più alto tra i cavalieri e che davvero pochi potevano ambire a tale onore e potere.
-Uhm... Sembra davvero oro, oro vero... magari quando avrò anche io una armatura così mi rivendo la scatola, chissà se mi ci compro una moto... o due, se sono fortunato. Ma che cavolo c'è sopra, una donna? Un armatura hentai?-
Niente di meglio che chiedere spiegazioni ad Anil stesso, anche se la cosa lo infastidiva.
"Anil, questa è la tua amatura?"
"Grande, Anil, idiota! Non mancargli di rispetto!"
"Arceus, rivoglimi ancora la parola e il massimo che potrai fare è annaffiare i fiori" ringhiò il giovane.
Anil, per evitare che si azzuffassero, cosa molto sgradita al tempio, decise di frapporsi ai due: un semplice dito sulla fronte bastò per scagliarli via a qualche metro di distanza.
"Non si litiga tra compagni".
"Ow... è un dito o una barra d'acciaio?" piagnucolò Arceus, mentre Gunther tornava alla carica.
Il Santo guardò gli allievi, pensandoci su. Poi, lasciando cadere a terra lo scrigno, decise che avrebbe dato loro quello che stavano anelando silenziosamente: pochi secondi dopo, Anil indossava la sua armatura d'oro completa, splendente come una gemma fatta di pura luce.
"Quando ci conoscemmo, tempo fa" si rivolse a Gunther, che sembrava paralizzato "Ho omesso di presentarmi in maniera adeguata. Perdona tale scortesia. Io sono Anil, cavaliere di Virgo, Santo d'oro protettore della sesta casa".
Un sospiro strozzato sfuggì dalla gola di tutti i presenti: mai, in tutta la loro vita, avevano immaginato potesse esistere qualcosa di simile; un cavaliere d'oro era qualcosa che trascendeva i loro sogni più folli.
"Se volete, questo è anche un ulteriore motivo della mia visita: il cammino di un uomo è come un ponte sospeso nel vuoto, che per reggersi ha bisogno di essere saldamete ancorato a due rive, l'inizio e la fine. Voi, apprendisti cavalieri, cominciate ora ad attraversare questo sentiero periglioso; io e i miei compagni siamo sull'altra riva, rappresentiamo quello che sarete se avrete la forza e la volontà di perseverare. Ce la farete a raggiungerci, o vi perderete nelle nebbie a metà strada?"
"... tsk. Esibizionista. Vuole solo mettersi in mostra, il cavaliere della donna" borbottò a bassa voce l'americano; tutti lo udirono, ringhiando la loro disapprovazione per quella mancanza di rispetto, ma Anil sorrise.
"Se per te è un incentivo migliore, così sia, Gunther. Questo è il potere di un cavaliere d'oro, a cui non puoi per ora nemmeno aspirare".
"Argh! Anil di Virgo" fece, scimmiottando il modo in cui si era presentato "Non cullarti troppo! Dammi un paio d'anni e ti costringerò ad ammettere che sono diventato un cavaliere migliore di te!"
"Aspetto con ansia tale momento" concluse accondiscendente il cavaliere, quasi lasciandosi scappare un breve sorriso.
Le menti che cedevano facilmente all'ira e all'orgoglio erano così facili da manipolare....

Così, il giovane cominciò il suo periodo d'addestramento. Animato dallo spirito di rivalsa nei confronti del cavaliere della Vergine e di Milan, che aveva scoperto essere il cavaliere di Acquario, non interrompeva per un solo giorno gli allenamenti, costringendosi agli esercizi più massacranti, con il sole e con la pioggia.
Non si accorgeva, che contro la sua stessa volontà il modo di pensare, di agire dei Santi lo stava plasmando: un vero mondo di onore e rispetto, non di quello fasullo delle strade dove è solo una parola e un incrociarsi di pugni; una vita in cui dimostrarsi più forti, pronti e veloci era tutto, ma che non lasciava spazio a trucchi o scorciatoie di sorta.
Piano piano, il ragazzino che fumava nelle strade e si divertiva a fare casino con le moto veniva lasciato indietro, soppiantato dall'uomo che stava diventando.
Ma se Gunther faceva passi da gigante, gli altri non erano da meno: ogni giorno, ormai, uno o due dei suoi compagni venivano portati via per diventare cavalieri a tutti gli effetti e spediti a conquistarsi l'armatura, ma non si concedeva più di un istante per pensare a loro; i loro cosmi, paragonati a quello che sentiva proprio, erano risibili. Si sarebbe stupito che questi potessero ottenere più di una semplice armatura di bronzo.
Persino Arceus aveva conquistato una armatura, addirittura una d'argento, quella dell'Auriga, come si era premurato di fargli sapere presentandosi in pompa magna durante uno dei suoi allenamenti  per pavoneggiarsi; Gunther si era limitato a un ghigno leggermente sprezzante, così il ragazzo aveva deciso bene di attaccarlo.
Era la prima volta che combatteva contro un vero cavaliere e fu sorpreso da quanto indossare l'armatura o meno incidesse sulle capacità di un guerriero: era riuscito addirittura a tenergli testa per più di dieci minuti, prima che venisse sbattuto al tappeto come al suo solito sotto gli ochci vigili e nascosti di osservatori interessati.
"Maledizione, ancora lui" borbottò con disapprovazione Etiènne
"Non passa giorno che non litighi con qualcuno. Uno così può davvero essere degno di indossare una armatura?" inveì
"Se è la volontà delle stelle, nemmeno tu potrai opporti, Etiènne di Capricorn" mormorò la donna che lo accompagnava, assorta.
"Mi perdoni, mademoiselle. Un uomo così irascibile, rissoso, irrispettoso... A costui non importa nulla di servire la giustizia, combatte solo per se stesso".
La donna sembrò riflettere alle parole dell'uomo, ma alla fine scosse il capo.
"Ci sono molti modi di perseguire la giustizia, a questo mondo. Inoltre, ho sempre diffidato degli uomini che affermano a parole di volere difendere la giustizia. Costoro in genere sono i primi a ritirarsi quando le cose si fanno serie. Preferisco una persona come lui... e come te, per inciso: non vi nascondete e siete sempre sinceri con voi stessi".
Annichilito, l'altro chinò il capo, promettendosi che avrebbe comunque tenuto d'occhio quel giovane che gli era sempre sembrato tutto meno che un cavaliere.

Erano ormai passati due anni da quando era stato salvato, quando tornando al tramonto dal consueto allenamento, incrociò sulla sua strada Anil e Milan, con indosso le rispettive armature.
Lo sguardo tagliente dei due gli ricacciò le parole sfrontate in gola: i due gli diedero le spalle, ordinandogli, sommessamente di seguirli.





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Capitolo 2
*** Un nuovo cavaliere ***


Saint Seiya Gunther 2  Un nuovo Cavaliere


Dall'alto di quella rupe, il panorama era stupendo.
Ormai era notte da un pezzo e tutti i villaggi della costa avevano acceso le loro luci, che illuminavano quel confine tra terra e mare come una piccola via lattea artificiale. a differenza di tanti paesini della Grecia, in quella zona i turisti erano ancora scarsi, quindi nessuna confusione creata da vocianti e casinari turisti veniva a turbare la quiete.
Saziatosi di tale vista, Gunther decise finalmente di voltarsi verso i suoi tre compagni per quella notte.
A metà strada, si era infatti unito Etiènne, che non aveva certo intenzione di lasciar correre.
"Ok, sicuramente è un bel panorama, ma spero che non abbiate intenzioni nascoste voi tre. So che le donne scarseggiano al santuario, però certe tendenze..."
"Taci, stupido!" esplose Etiènne, per una volta incrinando la sua proverbiale calma.
A quel tono, involontariamente il giovane incassò la testa tra le spalle.
"Possibile che tu non sappia stare due giorni lontano dai casini? Quante volte ti hanno ripetuto che è proibito combattere tra allievi, qui al santuario, al di fuori dell'allenamento?!"
"Cento volte" borbottò l'altro, contrariato.
"E con questa sono cento e uno! Sei talmente stupido da dover sentire più di cento volte la stessa cosa per comprenderla?"
"Ma non c'entro nulla! Stavolta, almeno!" si premurò di aggiungere.
"Mi allenavo per i fatti miei e questo viene a fare il gradasso... ho fatto un opera buona, gli ho impartito una lezione di umiltà!"
"Dea Atena, trattienimi tu, ti prego..." sibilò tra i denti il moro al limite della pazienza e molto propenso a scaraventarlo di sotto.
"Capricorn, ti prego di contenerti" mormorò Anil, serio ma non turbato nè dalle continue risse di Gunther nè dall'ira del cavaliere d'oro.
"E sia. Ti avverto, ragazzino, per te non ci saranno più richiami".
"Non credo che tu abbia l'autorità per cacciare alcuno dal santuario... nonostante tu sia un protetto di Atena"  osservò gelidamente Milan, per poi proseguire "non sei un nostro superiore e nemmeno il più forte, se è per questo...".
Freddo com'era, non si sarebbe mai detto, ma Milan di Acquarius sapeva dove colpire l'avversario, con i pugni e con le parole, all'occorrenza.
Indignato, il cavaliere di Capricorno decise di non dargli affatto corda, ma di ritirarsi in buon ordine con l'aria più sprezzante di cui fosse capace.
Era uno maturo, lui: non si sarebbe abbassato a minacciare a sua volta il collega di una fine precoce e dolorosa mediante Excalibur.
Rimasti soli, il santo di Virgo sospirò, sedendosi su una roccia vicina e facendo cenno al ragazzo di imitarlo.
Mentre tutti si accomodavano, da dentro l'armatura che proteggeva la zona sinistra del torace il ragazzo tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike e un accendino, accendendosi con aria soddisfatta una sigaretta: doveva tenere a mente quel posto, fumare con una vista del genere dava una sapore speciale alla nicotina; magari però la prossima volta ci veniva senza Anil, che stava arricciando il labbro in una piega ostile.
"Dovresti smettere con quel veleno, Gunther. Un cavaliere deve avere cura del proprio corpo e quella roba di certo non aiuta" affermò deciso l'indiano.
"Parole sante" concordò con serietà il cavaliere di Acquario, prima di ingollare una generosa sorsata di vodka da una bottiglia che chissà dove l'aveva tenuta nascosta fino a quel momento, guadagnandosi un occhiata di disapprovazione da parte del monaco che evidentemente considerava l'alcool alla stessa stregua della nicotina.
"Ehi, sono passato da due pacchetti a cinque sigarette al giorno! E' un record rispettabilissimo ma ho intenzione di fermarmi qui. Vuoi essere così crudele da togliere un piccolo sfizio a un giovane uomo che si è fatto il culo per un giorno intero?" ghignò, tirando una boccata soddisfatta.
"Lasciamo stare" sospirò l'indiano, massaggiandosi le tempie per poi proseguire con il suo tono più serio.
"Sono ormai passati due anni da quando hai intrapreso la strada per diventare cavaliere... e bisogna ammettere che hai fatto progressi in una maniera spaventosamente veloce"
Alle parole del Santo il ragazzo non potè fare a meno di ridacchiare soddisfatto.
"Pensiamo quindi sia giunto il momento di metterti alla prova. Domani, verrai condotto nel luogo in cui si trova un armatura. Un armatura d'oro, si intende".
Quanto tempo aveva aspettato prima di sentirsi dire quelle paroline magiche? Deglutì vistosamente, rischiando per lo stupore e l'eccitazione di far cadere la sigaretta dalle labbra e quasi perdendosi la seconda parte del discorso del Santo.
"Mi corre l'obbligo di avvertirti che non sarà la passeggiata che credi. Fallire non è una remota possibilità".
"Che succede, se fallisco?"
"Muori" rispose semplicemente Milan, intervenendo per la prima volta nella conversazione
"E' anche vero che potresti sopravvivere e fallire, ma a quel punto verrai costretto ad indossare il più basso rango delle armature e indovina un pò chi chiederà di essere il tuo diretto superiore?".
Ancora una volta in quella serata, Gunther trasalì, stavolta non proprio di gioia all'idea di diventare il subordinato di Milan.
"Fottiti, ghiacciolo. Non ti darò la soddisfazione di vedermi fallire! Ti piacerebbe che io ti portassi la colazione a letto, eh?"
"Bah. Muori" gli augurò l'altro alzandosi.
Anil lo guardò in tralice, sorpreso: mai avrebbe pensato che quello che lui considerava un pò un amico covasse pensieri tanto astiosi nei confronti di quel giovane che tutto sommato non gli aveva arrecato torto!
"Domani alle nove fatti trovare al porto. Puntuale. Lì ci sarà la tua guida, che ti condurrà nel luogo della tua prova".

"E' in ritardo" constatò il cavaliere di Virgo, osservando l'orologio.
Milan sembrava rilassato, nonostante tutto: il mare dell'Egeo in estate era splendido, una distesa di turchese fino dove l'occhio poteva arrivare con vento fresco proveniente dalle montagne che abbassava la temperatura di una giornata altrimenti di un calore insopportabile.
Il punto di partenza sarebbe stato uno dei più piccoli villaggi del sud della Grecia: il porto, piccolo e pittoresco, in quel momento era vuoto in quanto i pochi pescherecci erano salpati all'alba e non sarebbero tornati che molto dopo il tramonto; avevano scelto quell'ora apposta, per evitare la confusione del primo mattino ed essere lontani quando la vita avrebbe ripreso a scorrere nel sonnolento villaggio, ma l'aspirante Santo non sembrava molto affidabile da questo punto di vista.
"Credete sia scappato?" domandò con vaga apprensione il terzo cavaliere, la guida di Gunther. Slanciato e di aspetto non troppo robusto, come gli altri cavalieri sembrava piuttosto giovane: il suo aspetto tradiva l'origine greca al pari del nome, come chiunque poteva osservare dai corti ricci bruni e dal naso ben definito ma non sgraziato. Non fosse stato per l'aura potente che irradiava anche quando era calmo, poteva facilmente passare per uno dei tanti bei ragazzi che affollavano le spiagge greche in estate.
"Non credo, Kosta. Più facile che l'emozione lo abbia tenuto sveglio tutta la notte e che ora sia crollato..."
"Arriva" li interruppe il Santo di Acquarius, senza voltarsi.
Gli altri due lo guardarono interdetti: loro non avvertivano nessun cosmo in avvicinamento e uno dei due era il migliore dei sensitivi! Puntando un dito dietro di sè, Milan indicò un puntolino lontano che stava scendendo dalla strada che portava ai templi usata dai contadini per portare la merce; anche da quella distanza, nel completo silenzio giungeva fino alle loro orecchie un rumore che doveva essere poderoso.
Arrivato più vicino, i due si resero conto di quello che erano successo: ad Anil cascarono quasi le braccia, nel rendersi conto di fin dove potesse arrivare l'umana demenza, mentre Kosta, che non lo conosceva bene, lo guardava interdetto. Per l'occasione, il ragazzo aveva pensato bene di fare il suo trionfale ingresso...
"Cosa. E'. Quella?" scandì il cavaliere di Aries, appena il ragazzo fu a portata d'orecchio.
Evidentemente l'incoscenza della gioventù non lo aveva ancora abbandonato del tutto, quindi non percepì l'implicita minaccia nella voce del Santo, anzi: raggiante, scese dalla potente moto da corsa, dandole una affettuosa carezza.
"Una naked italiana, una Ducati! Bella bestia, vero? Non è una Harley, ma ha un caratteraccio che mi piace un sacco" sogghignò, felice come un bambino a Pasqua.
"E... perchè sei su una moto invece di venire all'appuntamento che ti era stato fissato?"
Ormai il povero uomo non sapeva a che Santo votarsi, aveva capito che quel tipo aveva una testaccia bacata fino in fondo.
"Beh... ieri non mi è riuscito di dormire, così stamattina mi sono alzato presto e chi incontro? Il figlio del sindaco con questa bella signora" accennò al mezzo "Così gli ho chiesto di farmi fare un giro... e il tempo è volato!"
"Kosta..."
"Lasciamo stare. In fondo, è un bene che tu sia carico: la prova che ti attende richiederà molto più di quanto tu possa essere in grado di dare" sbottò l'altro, scuotendo la testa.
"Ora: lascia quel mezzo, ci penserà Milan a restituirlo al suo legittimo propietario. Tempo di mettersi in viaggio".
"Come raggiungeremo il posto dove diventerò cavaliere?"
"Con questa" illustrò la guida, mostrando una anonima barchetta a remi dipinta di blu, come ce ne sono migliaia in qualunque porto del Mediterraneo.
"Una scialuppa?" fece perplesso. Probabilmente avrebbe dovuto remare fino ad una delle innumerevoli isole che costellavano l'Egeo, nulla di troppo complicato, pensò l'aspirante cavaliere sistemandosi alla meglio sulla stretta panca di legno e impugnando i remi, mentre Kosta, con una bussola in mano, era in piedi a prua.
"Saremo di ritorno il prima possibile".
"Che la Dea vi assista, Kosta e Gunther".
"Ti preparo i crisantemi, ragazzino?".
"Tienimi in fresco una bottglia di vodka per festeggiare quando torno!"
Mentre i due si allontanavano, a regolari colpi di remo la barchetta prese ad allontanarsi dalla costa, e appena fuori dal porto Gunther decise bene di portarsi avanti con il lavoro e di dirigere la prua della barca verso est, in modo da mettersi in direzione dell'arcipelago greco.
"Non mi pare di averti detto dove andare".
"Ma... l'est è da quella parte... "
"Non andiamo a est. Andiamo a ovest. Rema in quella direzione, finchè non avvisti terra e non perderti d'animo. Ci vorrà un pò di tempo".

Un pò di tempo? Aveva visto il sole tramontare e sorgere di nuovo, prima che all'orizzonte si delineasse una minima striscia di terra e aveva ormai le braccia a pezzi. La sua guida, invece, era rimasta per tutto il tempo a prua, immobile e in piedi, senza dire una minima parola, limtandosi ad alzare gli occhi al cielo per osservare le stelle quando queste cominciarono a mostrarsi sulla volta celeste.
Come che fosse, però, si accorse di essere arrivato quando vide la sua guida rilassarsi e muovere i muscoli leggermente intrizziti dal freddo notturno.
Potevano rompere le montagne a testate, ma l'umidità di notte sul mare è micidiale per chiunque!
La spiaggetta su cui sbarcarono era silenziosa almeno quanto il porto d acui erano partiti, se si faceva eccezione per il fruscio della brezza tra gli arbusti e le alte macchie di erbacce che crescevano incolte: per un istante, Gunther si sentì come l'unico personaggio storico di cui sapesse qualcosa e che ammirasse, ovvero Colombo nel momento in cui sbarca sul nuovo continente.
Kosta, senza esitazione, prese ad incamminarsi lungo un sentiero che si distingueva a malapena tra la vegetazione, aprendo bocca per la prima volta da quando erano partiti.
"Bene... siamo arrivati esattamente dove volevo" mormorò, fissando la piccola bussola per rivolgersi a voce più alta al ragazzo che accompagnava.
"Aspetta ad esultare, Gunther: abbiamo altra strada da fare, stavolta a piedi".
"Ancora strada? Argh..."
Il Santo annuì. "Ci troviamo in Italia, più precisamente in una regione chiamata Sicilia che da secoli custodisce l'armatura che dovrai conquistare nel cuore..." il giovane bruno lasciò scorrere l'indice sull'orizzonte, fermandolo in direzione della sommità di un monte piuttosto vicino "del vulcano chiamato Etna".
"UN VULCANO?! Devo recuperare la mia fottutissima armatura in uno strafottuto VULCANO?!"
"Già. Ah, nel caso in cui te lo stia chiedendo, è perfettamente attivo".
Voltandosi, non potè fare a meno di sorridere alla sua espressione.
"Te l'avevano detto che non sarebbe stato semplice, no?".
Le parole di risposta che in quel momento gli venivano alle labbra erano tutte assolutamente indegne di un Santo, anche di terz'ordine, così Gunther preferì tacere e risparmiare il fiato per la scarpinata, incamminandosi al seguito del cavaliere dell'Ariete che preferì non infierire.
Evitando le zone più trafficate grazie alla conoscenza del territorio, Kosta portò il ragazzo su per un sentiero scosceso, quasi una sorta di arrampicata a mani nude, resa infida dal pietrisco che al momento meno opportuno faceva perdere l'appoggio, rischiando di riportarti al punto di partenza o di farti scivolare in un crepaccio.
La lunga regata gli aveva indolenzito le braccia e doverle usare per tenersi in equilibrio non aiutava affatto; comunque, si fermarono a circa un terzo del pendio, dove una sorta di pianerottolo abbastanza ampio per dieci persone faceva da ingresso ad una scura caverna. I raggi del sole, ormai paralleli, facevano intuire la scarsa profondità così una volta dentro Gunther non ebbe problemi ad adattarsi facilmente al cambio di luminosità.
Il luogo era più rifinito di quanto ci si potesse attendere: il pavimento, così come le pareti, erano lisce e semplici, eccezzion fatta per le rientranze nei muri che permettevano di sostenere torce di legno e resina; in fondo alla grotta, era stato costruito una sorta di altare in pietra, una piccola meraviglia di scultura che recava raffigurato sulla parte frontale un enorme granchio. Lo stesso simbolo che adornava la cassa d'oro massiccio poggiata sopra.
All'avvicinarsi dei cavalieri, lo scrigno che custodiva l'armatura d'oro della costellazione del Cancro si aprì, rivelando il suo scintillante contenuto.
"Questa... questa è la mia armatura?" fece Gunther, incredulo, per poi sorridere selvaggiamente quando Kosta annuì.
Emozionato, l'aspirante cavaliere si fece avanti per reclamarla, ma l'armatura cominciò ad emanare un cosmo ostile, denso e quasi putrido come pile di cadaveri, che ricacciò indietro il ragazzo, spaventato.
"Ma che diavolo...?"
"Mi aspettavo qualcosa del genere" ammise Kosta. "Il gran sacerdote una volta mi parlò del precedente propietario dell'armatura, un uomo spietato e malvagio, tanto da meritarsi il soprannome di Death Mask. Costui era tanto crudele da uccidere chiunque gli si parasse innanzi, uomini, donne e bambini, adornando con i loro teschi la quarta casa. Tanta e tale fu la sua malvagità, che questa armatura decise di abbandonarlo, prima che venisse sconfitto da Shiryu del Dragone. Penso che parte del suo cosmo malvagio abbia infettato l'armatura, tanto che ora si rifiuta di essere indossata".
"Che stronzata!" esclamò Gunther.
"Credi di essere figa, eh, armatura? Tutti abbiamo problemi, cosa credi? Io per esempio devo fare i conti con una marea di stronzi giù al santuario che ti guardano dall'alto in basso solo perchè non sei fottutamente vestito d'oro! Ma che faccio, mi metto a piangere, per caso? No!"
Ormai Kosta, bellamente ignorato, decise bene di appoggiarsi al muro, osservando con aria divertita e interessata quel teatro improvvisato, mentre il ragazzo continuava a sproloquiare contro le perfettamente immobili vestigia del Cancro.
"Quindi, mettiti, l'anima, il cosmo o quello che è in pace, perchè senza di te non me ne vado! Capito?" terminò, sedendosi a gambe incrociate di fronte all'armatura, quel tanto di distanza che bastava a non subire quel suo cosmo disgustoso.
"Dovesse passare una settimana...."

Il giorno stava volgendo a termine e Gunther non era ancora uscito una sola volta dalla grotta, nè per mangiare o bere nè per fare due passi e cambiare aria. Testardamente fissava l'armatura, che in una qualche maniera aveva cominciato a dare a Kosta l'impressione di ricambiare.
Quando alcuni anni prima lui ottenne l'armatura dell'Ariete, non era assolutamente successo nulla di simile, nè aveva avuto pretesti per interrogarsi su una effettiva presenza di un anima nelle armature; ma il duello tra Gunther e le vestigia del Cancro lo lasciava perplesso.
Ormai il sole era completamente tramontato al di là dell'orizzonte, quando il Santo dell'Ariete si sentì prendere da uno strano presentimento di ansia: volgendo gli occhi alla cima del monte, si accorse che questo cominciava a illuminarsi di oro rosso e a cacciare fumo denso, segnali inequivocabili di quello che sarebbe successo di lì a poco. Era preoccupato, non tanto per loro perchè due cavalieri, ancorchè uno solo aspirante, potevano benissimo sopravvivere quanto per i paesi che erano stati costruito poco distanti dal monte.
Sarebbe stata una strage.
Era evidente che questo doveva essere il motivo per cui era stato scelto per accompagnare Gunther: il suo Crystal Wall sarebbe stato efficacissimo per deviare la lava ma prima che potesse fare anche un solo passo verso il suo obiettivo, sentì intorno a sè una presenza ostile ma non pericolosa; come qualcuno che lo stesse trattenendo.
Non fece in tempo a prendere una decisione che Gunther si fiondò fuori la grotta.
"Kosta! Che cavolo succede?!"
"Il vulcano! Il vulcano sta per eruttare!"
"Merda! Ti pareva!"
"Bisogna fermarlo a tutti i costi. Io cerco di creare uno sbarramento per deviare il flusso più a valle, tu vedi di guadagnare tempo!"
Prima che potesse replicare in alcun modo, il cavaliere era già scomparso oltre la sua visuale.
"Fermarla... ma come, cazzo? C'era una lezione su come fermare la lava a mani nude e me la sono persa?!"
"Ghi, hi, ih,ih"
Gunther si voltò in direzione di quella bassa risata: pensava di essere rimasto solo, invece, seduto su una roccia, un tipo incappucciato masticava qualcosa che prendeva da un sacchetto; indossava un logoro mantello blu notte, con il cappuccio che gli copriva parzialmente il volto e dei vecchi pantaloni di fustagno, consumati dal troppo uso ma quando alzò gli occhi, il ragazzo si stupì della limpidezza del suo sguardo.
"Fermare la lava a mani nude? I giovani d'oggi... guardate troppa televisione e non ascoltate gli anziani".
"Chi diavolo sei... che ci fai qui? Accidenti... vedi di scappare più in fretta che puoi, qui sta per scatenarsi l'inferno!"
"E tu, povero giovinastro che non sa niente, vorresti impedirlo?"
"Da solo no" ammise a denti stretti "Ma con il mio amico..."
L'uomo scosse il capo scosse il capo, quasi deluso.
"So che intenzioni ha, quel giovane coraggioso. Ha forza e ingegno, ma non è ancora esperto e i suoi occhi non sono ancora aperti". Tremolante, prese per il braccio Gunther, che non oppose resistenza. "Vedi quel piccolo villaggo laggiù? Quello era il mio paese, mille persone in un buco dimenticato da Dio. Sarà il primo a essere sommerso dalla lava, qualunque cosa decidiate di fare".
"Allora quella gente è condannata?"
Indeciso, l'uomo si grattò il mento "Non lo so, sul serio" fece come se stesse parlando del tempo "ma forse, una cosa si può fare. Entra nella grotta, chiudi lo scrigno e porta l'armatura in cima alla montagna. Ti aspetterò là. Non ti preoccupare, stavolta l'armatura non ti respingerà".
Perplesso, il ragazzo fece come gli era ststo detto, scoprendo che quell'uomo misterioso aveva ragione: poteva trasportare l'armatura nel suo contenitore senza problemi, anche se rispetto a prima aveva la sensazione di avere a che fare con un semplice pezzo di metallo. Più veloce che potè, il giovane raggiunse la cima: a breve, la lava che in quel momento bolliva a poche centinaia di metri sotto di loro si sarebbe liberata in una onda devastante, sommergendo tutto quello che incontrava sul suo cammino. Come promesso e chissà come, quel tipo era lì: se vicino la grotta era sembrato inoffesivo, ai bagliori rossastri ora aveva assunto una spetto quasi demoniaco.
"Da secoli, l'Etna custodisce l'armatura del Cancro: il suo calore la scalda, le sue viscere la nutrono in attesa del suo legittimo propietario. Si dice che tra queste fiamme sia stata forgiata in tempi immemorabili, per questo ha conservato con il vulcano una speciale affinità".
Non era la voce di un anziano, quella. Stentorea e potente, poteva appartenere di certo ad un uomo molto più giovane.
"Ora, Gunther dall'America, fai la tua scelta: puoi indossare l'armatura del Cancro e sopravvivere alla forza del vulcano, condannando mille misere persone a morire nella lava; o puoi restituire l'armatura alla bocca infernale dell'Etna, calmandolo ma rinunciando per sempre ad essere un cavaliere di Atena".
Il ragazzo strinse più forte le cinghie che assicuravano lo scrigno, insicuro sul da farsi.
"Per come la vedo io" proseguì il tipo "Questo mondo è fin troppo sovraffollato. Che saranno mai, mille anime in più o in meno? Prendi la tua ricompensa, figliolo, il frutto delle tue fatiche; dovessi sentirti in colpa, pensa che con quelle vestigia potrai salvarne miliardi".
"E' vero" articolò a fatica Gunther, ritrovando padronanza di sè stesso.
"E' vero che al mondo mile persone in meno o in più non cambiano niente... ma non posso fare una cosa del genere".
"Quando ho letto il tuo cuore non ho sentito tutto questo altruismo".
"Altruismo?" sogghignò "Quello lascialo ai deboli! Non è per una ragione così stupida che combatto!".
Concentrando il cosmo nelle mani, provò a indirizzarlo contro il fondo infernale del vulcano, cercando di respingere le alte ondate che si preparavano a scatenarsi, ma era utile quanto cercare di spegnere un incendio con un secchiello d'acqua. La sua energia, per quanto potente, si limitava a intaccare la superficie causando una piccola depressione che veniva immediatamente colmata.
"I tuoi sforzi sono inutili, a quanto sembra. Del resto, cosa ci si poteva mai aspettare da uno che non è nemmeno un cavaliere?" ghignò il tipo.
"Coraggio... prendi  l'armatura e vattene. Hai perso già fin troppo tempo in una cusa persa".
"Persa? Ti sbagli vecchio. Si può perdere solo quando ci si arrende!"
Come molto tempo fa, sentì il cosmo agitarsi dentro di sè, ribollente e feroce quanto e più della lava che aveva sotto di sè: era una sensazione che non aveva mai provato da allora, nemmeno negli allenamenti con i compagni più forti, quella della propria forza vitale che inonda il corpo come un fiume in piena.
"Forse per il mondo queste sono mille persone qualsiasi, ma per me, sono mille persone speciali... quelle... sono le prime mille persone che SPARGERANNO LA VOCE DELLA POTENZA DI GUNTHER, CAVALIERE DI CANCER!" ruggì in un crescendo, mentre espandeva il cosmo ai suoi limiti più estremi.
La cima dell'Etna venne interamente ricoperta di luce, che arrivò ad inondare la valle e il vicino villaggio per un breve momento.
In una delle case, una bimba si affacciò alla finestra.
"Guarda nonna! Il vulcano non trema più!"
"Santo cielo... è un miracolo..." tremolò la vecchina, stupefatta.
"Nonna, nonnina... cos'è quello?"
Il ditino della piccola puntava verso il monte, dove alle prime tenui luci dell'alba, una piccola stella brillava.
"Oh cara... quello deve essere lo spettro d'oro del vulcano, uno spirito buono che protegge la gente dalle eruzioni! Sembra che compaia ogni volta che l'Etna sia irrequieto, calmandolo con la sua presenza. Anche quando ero giovane comparve e tuo nonno scalò la montagna per andarlo a vedere".
Sorrise la vecchia nonna alla nipote che ascoltava attenta.
"E lo ha visto, lo ha visto?"
"Certo tesoro... anche se disse che era alto come un uomo e tutto vestito d'oro!"
"Un uomo vestito d'oro..."  sognò la bambina, ridendo assieme all'anziana.

In cima al monte, a braccia conserte, Gunther del Cancro si godeva il panorama, sorridedo compiaciuto nell'osservare la sua nuova armatura che lo rivestiva da capo a piedi.
"Oi! Hai visto, vecchio disfattista? E tu che..."
Si bloccò. Non c'era più nessuno ad ascoltare le sue parole, il tipo era scomparso nel nulla.
Il vento del mattino del mattino gli fece girare il capo, incrociando davanti a sè un uomo che gli assomigliava un sacco.
"Ben fatto" gli diede una piccola pacca sulla spalla "Porta in alto l'onore dei cavalieri del Cancro... anche se detta da me suona male, ti pare?"
"O... Oi..."
"A presto!" gli voltò le spalle sorridendo il fantasma, prima di svanire nell'aria del mattino lasciandolo perplesso.
-Un cavaliere prima di te è stato sopraffatto dal peso della morte che sempre accompagna le vestigia che indossi. Riuscirai con quella tua passione per la vita a contrastare quel dolore e a mantenere la via della verità e della giustizia?- si chiese il cavaliere dell'Ariete, poggiato all'ombra di un pino mentre osservava a braccia conserte la nascita di un nuovo, formidabile difensore di Atena e del mondo intero.

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