Red Poison

di csgiovanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 45 minuti ***
Capitolo 2: *** Something wrong ***
Capitolo 3: *** Requiem for a dream ***
Capitolo 4: *** Truth revealed ***
Capitolo 5: *** Rewind & Forward ***
Capitolo 6: *** Ray of light ***
Capitolo 7: *** A perfect circle ***



Capitolo 1
*** 45 minuti ***


Ciao a tutti! Rieccomi con una nuova storia di The Mentalist. Spero vi piaccia!!

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Le porte a vetri del Mercy Hospital si spalancarono permettendo alla barella e ai 3 paramedici di entrare di corsa all'interno del prontosoccorso.

“Uomo, caucasico, 41 anni. Sospetto avvelenamento” - urlò senza rallentare il passo il paramedico alla giovane donna in camice bianco che gli andava incontro.

“Convulsioni, perdita di conoscenza, crisi respiratoria seguita da arresto cardiaco. Siamo riusciti a stabilizzarlo...Almeno per ora”.

“In sala emergenze tre presto! Che cosa ha preso?” - chiese la donna seguendo la barella.

“La sua collega ha parlato di sonnifero.”- disse l'uomo facendo cenno ad una donna bruna poco distante.

Il medico si fermò sulla porta chiudendole il passaggio.

“Cosa ha preso? Quante pillole? “- le chiese senza perdere tempo.

La donna la fissò senza vederla, era agitata, confusa e cercava disperatamente di entrare nella sala emergenze. La giovane la bloccò con fermezza.

“Non può entrare qui. Lasci fare a noi.” le disse - “QUANTE pillole ha preso?” - ripetè

“Non lo so...” riuscì a sussurrare, poi scosse la testa.

“Si calmi...Come si chiama?”

“L..Lisbon...Teresa. - fiatò.

“Ok Teresa. Il flacone, ricorda il nome e se era vuoto?” - insistette.

“Diazepam...No, no. C'erano pillole ovunque e uno strano odore...di mandorla, credo” - rispose ritrovando un attimo di lucidità.

“Cianuro!” - urlo il medico è corse dentro.

Lisbon rimase immobile davanti alla porta della sala emergenze tre. Le mancava il respiro, la testa le girava e non riusciva a muoversi. Avrebbe voluto urlare ma non riusciva a fare nulla. Si sentiva annientata, tutto le sembrava ovattato, distante.

“Jane...” - pensò disperatamente - “Jane non puoi averlo fatto...” si disse riuscendo soltanto a fissare la porta.

“Non può stare qui. Venga” - uno dei paramedici le si era avvicinato e dolcemente la stava guidando verso la sala d'aspetto.

“Aspetti qui” - le sussurrò.

“Grazie...” - riuscì a balbettare e si sedette.

Lisbon respirava a fatica, non riusciva a ragionare lucidamente, si sentiva smarrita. Avrebbe dovuto fare qualcosa ma i suoi pensieri non avevano un filo logico, era letteralmente terrorizzata.

“Come quando..” - bloccò il pensiero prima che fosse troppo tardi, perchè ricordare quella notte di oltre 20 anni prima era ancora troppo doloroso.

In 45 minuti tutto era cambiato. In 45 minuti era ripiombata in un incubo.

“Oh Jane...” riusciva solo a pensare a lui e a quello che aveva visto entrando in ufficio.

Sospirò. Non poteva lasciarsi andare, doveva chiamare la squadra e capire cos'era successo.

Prese il telefono con le mani tremanti.

“Cho...sono al Mercy Hospital”- sospirò, la voce incerta – “ No, io sto bene... è per Jane”.

 

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45 minuti prima

“Ancora qui?”- lo salutò Lisbon facendo capolino in saletta mensa mentre stava uscendo. Come sempre erano rimasti solo loro due al CBI.

“Un'ultima tazza di tea”- le rispose sollevando la tazza come per fare un brindisi -“Un regalo di un ammiratore?” - le chiese poi facendo cenno al cestino di dolcetti riccamente confezionato che portava sottobraccio.

Lei alzò gli occhi al cielo “Hum...non sono affari tuoi, Jane! Comunque no, me li manda un'amica” .

“Bugiarda!” - sussurrò Jane facendole l'occhiolino “Lo sai che mi accorgo sempre quando menti, Lisbon”.

Lei sbuffò - “Dovresti andare a casa Jane, e dormire!”

Lui fece spallucce “ Ok, Mum...” scherzò illuminando il viso con il suo impertinente sorriso.

Lisbon roteò gli occhi -“Dico sul serio...Oggi sei stato più irritabile del solito. Ne deduco che tu non abbia dormito. Perciò, per il bene di tutti, prendi un po' di sonnifero, fatti una dormita e domani magari non avrò la tentazione di spararti!” - disse con tono vagamente minaccioso, sollevando un soppracciglio.

“Oh Lisbon, lo sai che non posso farlo. Altrimenti rischierei di non vedere più quella deliziosa rughetta che ti viene quando metti il broncio” - rispose sorridendo malizioso ed indicando con il dito un punto nel centro della fronte.

“E' un ordine”

“Ok” - Jane si alzò, aprì un'anta difronte a lui e ne estrasse una confezione di pillole.

“Contenta mammina?” - la prese in giro agitando il flacone.

“Buonanotte Jane” - lo salutò mentre raggiungeva l'ascensore, un sorrisetto soddisfatto sul volto.

Sorrideva ancora tra sé quando l'ascensore arrivò al piano terra.

Jane era Jane: arrogante, presuntuoso, imprevedibile, irritante e... terribilmente sexy.

“Lisbon...” - si rimproverò

Arrivata alla sua auto aprì la borsa per prendere le chiavi e - “Acc...” - a forza di pensare al suo affascinante e incorreggibile consulente aveva dimenticato di prendere le chiavi.

Sospirò, adesso sarebbe dovuta tornare di sopra e giustificarsi con Jane. L'avrebbe presa in giro chissà per quanto. Anzi, prima avrebbe cercato di studiarla per capire come mai si era scordata le chiavi e poi l'avrebbe presa in giro!

Le porte dell'ascensore si aprirono e lei si precipitò fuori sperando di riuscire ad evitare Jane.

“Lo so, lo so...sono ancora qui! “ - disse schernendosi mentre attraversava l'atrio a testa bassa.

Si bloccò di colpo.

Jane era riverso sul pavimento, la tazza in frantumi, il flacone di pillole a terra.

“J..Jane?”-

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Dopo ore d'interminabile attesa in cui aveva rischiato di andare in pezzi, aveva sperato, poi temuto e infine ricordato ogni singolo istante da quando Patrick Jane era entrato nella sua vita, finalmente un medico uscì dalla sala emergenza.

Non era la giovane che aveva incontrato al suo arrivo ma un uomo sulla cinquantina, dall'aria rassicurante. Lisbon si alzò.

“Sig.ra Jane?”

“Si...No...Sono un'amica. Come sta?”- era agitata.

“Beh...siamo riusciti a stabilizzarlo e ad intervenire prima che il veleno facesse danni irreparabili. Grazie a Dio aveva lo stomaco pieno e il veleno non è stato assorbito completamente...è arrivata giusto in tempo”

Era vivo. Patrick Jane era vivo, urlò tra sé.

“Ma...”- continuò il medico.

C'era un “ma”, si disse. Il suo cuore perse un battito. Perchè doveva esserci sempre un “ma”?

“Ha avuto un paio di arresti cardiaci... E per quanto riguarda le possibili conseguenze...dovremmo aspettare che si risvegli...”

“Oh” - riuscì solo a dire.

“Sa come possiamo contattare i familiari... la moglie?”

Lisbon scosse la testa senza alzare lo sguardo.

“Ha perso la sua famglia anni fa...” - disse asciutta - “In un certo senso il CBI è la sua famiglia”.

“Capisco...Dovrei farle alcune domande... Recentemente ha dato segni di irritabilità, stanchezza, problemi del sonno, depressione?” - chiese.

Lisbon trasalì - “Non capisco... che intende dire?”

L'uomo la fissò intensamente senza aggiungere altro.

“No...no...No! Lui non ha...lui non può...! “ - urlò Lisbon.

“Ok. Certo. Capisco, si calmi...” - il medico le mise una mano sulla spalla.

“Venga...”- le disse guidandola con dolcezza.

“Questa è la sua stanza. Può restare con lui se desidera”

Lisbon annuì, sbirciando tra le tendine.

“Quando pensa si risveglierà? - Lisbon aveva le lacrime agli occhi.

“Non lo sappiamo” - le strinse nuovamente la spalla e si allontanò.

Lisbon varcò la soglia, si avvicinò al letto con timore. Non riusciva a staccare gli occhi dal suo volto. Era pallido, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, i capelli biondi appiccicati alla fronte.

Non era intubato ma aveva una flebo al braccio destro ed una macchina monitorava i suoi segni vitali.

Lisbon rimase davanti al letto senza il coraggio di fare altro se non guardarlo.

Patrick Jane poteva davvero aver tentato il suicidio? Si chiese, ma non volle darsi una risposta.

Era semplicemente assurdo. Perchè ora? Perchè in quel modo?

Ultimamente era spesso irritabile, era vero, non dormiva regolarmente da chissà quanto tempo, stava troppo spesso solo nella soffitta del CBI, ma...non riusciva a pensare che potesse averlo fatto davvero.

“Perchè?” - si domandò per l'ennesima volta.

Il suo telefono iniziò a vibrare.

“Lisbon” - sussurrò - “Si.” - disse dopo un po' - “E' privo di conoscenza. I medici non sanno dire quali conseguenze potrebbero esserci” - la voce le tremava.

“Ok” - sussurrò chiudendo la conversazione.

Si sedette sulla poltroncina accanto al letto. Sospirò esausta.

Cho le aveva detto che avevano esaminato il bullpen, raccolto e imbustato le pillole e la tazza e spedito il tutto alla scientifica. Stavano facendo un controllo sul personale che aveva avuto accesso al CBI nelle ore precedenti l'incidente.

L'incidente, lo aveva definito Cho. Era veramente così?

“Jane” - sussurrò avvicinando il volto a quello del consulente - “Hai promesso che mi avresti salvata sempre, ricordi?” - una lacrima le rigò il volto.

Gli accarezzò i capelli e posò la testa sulla sua spalla.

“Devi mantenere quella promessa” - sussurrò disperata asciugando le lacrime con il dorso della mano - “Altrimenti giuro che ti sparo!” -

Sospirò e si resse la testa con le mani. Si rese conto solo allora che in grembo aveva ancora la giacca di Jane. L'aveva tenuta tutto il tempo tra le braccia come fosse un'ancora di salvezza. L'avvicinò al volto per sentire il suo odore e illudersi per un momento di essere al sicuro, lontana da quell'incubo.

Sentì qualcosa nella tasca destra, era un foglio di carta piegato. Non se n'era accorta prima.

L'estrasse e l'aprì delicatamente. Rabbrividì.

“Caro Sig. Jane,
il tempo scorre e il nostro gioco continua. Anno dopo anno.
Divertente non trovi?
Sono sempre un passo avanti a te. So chi sei, dove sei...
Vuoi essere Tigre o Agnello Sig. Jane?
Buon 7° anniversario”

Come firma l'inconfondibile smile.

“Oh mio Dio...” - aveva trovato un perchè.

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Capitolo 2
*** Something wrong ***


Sarà stato Red John ad avvelenare Patrick Jane o si tratta di un tentato suicidio? Un nuovo tassello in questa intricata vicenda
Ecco il secondo capitolo di questa long-fic su The Mentalist. Spero vi piaccia! Buona lettura!

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“Tieni” - Van Pelt era tornata con una tazza di caffè bollente.
Lisbon la fissò e le rivolse un sorriso di gratitudine, prese la tazza e la tenne tra le mani. Si augurava che un po’ di quel calore le arrivasse fino al cuore e scacciasse via il gelo che l’attanagliava.
“Non si è ancora svegliato?” - chiese guardando il volto terreo di Jane.
Lisbon scosse la testa. Non si era allontanata dal suo letto nemmeno un minuto nelle ultime 4 ore. Lui era rimasto immobile, privo di sensi, il respiro lento.
“Credi che Jane...” Van Pelt non riuscì a terminare la frase.
Lisbon si incupì. Aveva passato la notte a chiedersi la stessa cosa e non era riuscita a darsi una risposta.

Se qualcuno prima di quella terribile notte le avesse detto che Jane si sarebbe tolto la vita gli avrebbe dato del folle e avrebbe riso, ma dopo aver letto il messaggio di Red John non sapeva più in cosa credere.
Messaggio di cui Jane non aveva fatto parola con nessuno, nemmeno con lei.
Perché si rifiutava di credere che avesse deciso di togliersi la vita? Infondo lei conosceva veramente Jane? Cosa sapeva di lui?

Forse, si disse, aveva conosciuto Jane ma di Patrick cosa sapeva? L’aveva intravisto nei rari momenti in cui la maschera di straffottenza ed arroganza dietro cui si nascondeva aveva vacillato e le aveva rivelato una persona molto diversa. Patrick poteva aver scelto di morire?
Se invece ripensava allo sguardo terrorizzato di Jane, alla richiesta di aiuto che aveva letto nei suoi occhi prima che perdesse i sensi, allora avrebbe dovuto rispondere a Van Pelt che “no non poteva essere vero”.
“Non lo so” - disse soltanto con un filo di voce.
Van Pelt la fissò con tenerezza - “Io non ci crederò mai. Non è da Jane”.
Lisbon annuì solo perché non aveva più la forza di ribattere. La domanda era sempre la stessa, chi era Patrick Jane?
“Porta la lettera alla scientifica. Dubito però che oltre alle impronte mie e di Jane troveranno altro...” - disse sospirando.
“Certo. Vuoi che resti io con lui?Avresti bisogno di riposare un po’.” - le suggerì la rossa.
“No. Voglio essere qui quando si sveglia”.
“Ok Boss...Ci vediamo più tardi.”
Lisbon annuì e le regalò un sorriso stanco mentre usciva dalla stanza.
Doveva avere un aspetto terribile. Sorseggiò il caffè nel tentativo di ricaricarsi un po’.
“Forza Jane” - sussurrò - “Svegliati e parla con me”.
Sospirò, doveva fare qualcosa altrimenti sarebbe impazzita.
“Rifletti Teresa - si disse - “Perché scegliere un veleno come il cianuro e morire in quel modo, tutto solo nell’ufficio del CBI? Se tu fossi Jane non sceglieresti un modo più plateale per lasciare questo mondo?”
Era ufficiale, si disse, aveva perso la ragione.
Eppure, se seguiva il suo istinto di detective e non si lasciava coinvolgere dalle emozioni, se non pensava si trattasse del suo biondo e affascinante consulente, allora tutta la questione assumeva un’altra prospettiva.
Ma se non si trattava di tentato suicidio...allora chi aveva avvelenato Jane? Red John?
No, quello non era il suo modus operandi. Red John aveva uno spiccato senso teatrale, non avrebbe mai usato il veleno e tanto meno il cianuro. Un veleno da libro giallo vecchio stile.
Mentre rifletteva su questo le sembrava di sentire la voce di Jane che seguiva passo, passo il suo ragionamento.
E poi perché avrebbe dovuto uccidere Jane? Per lui il biondo consulente era un passatempo. Quel messaggio sembrava l’ennesima provocazione piuttosto che una minaccia.
Il suo cellulare vibrò interrompendo il filo dei suoi pensieri.
“Lisbon “ si affrettò a rispondere - Oh, grazie Cho. No. Imbustate tutto e che nessuno abbia accesso alla sala mensa. Controllate i vecchi casi su cui ha lavorato Jane, se c’è qualche connessione con l’uso di veleni e se qualcuno di loro è uscito di galera. Fate una verifica anche sui suoi ex clienti e fatevi dare i video delle telecamere di sicurezza”- chiuse di scatto il cellulare.  
“Accidenti!” -sbuffò.
Cho le aveva riferito i risultati della scientifica. Nessuna traccia di cianuro nel tea e nel flacone di sonnifero.
“Jane. Ho bisogno del tuo aiuto”.
Perché non si svegliava? Erano passate più di 10 ore da quando erano arrivati al Mercy.
Gli strinse la mano, era così fredda. Subito il suo sguardo corse al monitor, ma il battito era regolare.
Sospirò, poi sfiorò con una carezza la guancia di Jane. Era arrivata al limite.
L’Hitghtower la stava guardando dall’altra parte del vetro.

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Cho chiuse il telefono e cercò con lo sguardo Rigsby.
“Non lo mangerei se fossi in te” - disse accennando al panino che Wayne stava per addentare.
Rigsby alzò un sopracciglio.
“Il veleno potrebbe essere ovunque. Il capo ha detto di non toccare nulla di quello che proviene dalla sala mensa”.
Wayne deglutì a vuoto, quindi trasferì il panino in un sacchetto di plastica e lo aggiunse alle altre prove da mandare alla scientifica.
“Questo lo segno sul conto di Jane” - sbuffò rimpiangendo già il sandwich.
“Secondo te quando lo rivedremo in giro?” - chiese poi al collega.
Cho non si scompose “Non si risveglierà prima di due giorni”
“Naaah Due giorni? Tra 8 ore farà impazzire tutto il reparto!” - aggiunse Wayne ridacchiando.
“20 dollari?” - disse Cho senza cambiare tono.
“20 dollari? Facciamo 30!” poi divenne serio.
“Credi che Jane...” - chiese lasciando la frase in sospeso.
“No.” - rispose semplicemente il cinese.
Van Pelt entrò pochi minuti dopo, l’espressione seria.
“Ho portato qualcosa da mangiare” - disse mostrando ai colleghi un sacchetto di carta.
“Grace sei la mia salvezza!” - chiocciò Wayne aprendo il sacchetto.
Van Pelt lanciò uno guardo interrogativo a Cho.
“Il capo ha ordinato di mandare tutto il cibo della mensa alla scientifica” si giustificò.
“Oh” - commentò sedendosi alla sua scrivania in mano stringeva la busta contenente il messaggio di Red John.
“Dimmi che sono le ciambelle del Yum Yum Shop”- chiese Wayne.
“Hum...No, purtroppo è ancora chiuso.” - si giustificò la rossa.
“Bah...Non importa...” - e ne addentò una - “Tutto bene?” - le chiese Rigsby notando la sua faccia scura.
Van Pelt sospirò ed iniziò a tormentarsi l’anulare. Rigsby non potè fare a meno di fissare l’anello di diamanti che O’Loughlin le aveva regalato.
“Sono in pensiero per Jane e per il capo. - sussurrò.
“Andrà tutto bene”- cercò di rassicurarla.
Grance gli sorrise grata, poi cercò di concentrarsi sul messaggio di Red Jhon.
“Credi che c’entri qualcosa?” - chiese accennando alla lettera.
“Non lo so. Red John può aver modificato così tanto il suo modus operandi?” - chiese ai colleghi.
Cho la fissò - “Non avrebbe mai usato il veleno”.
“Jane direbbe la stessa cosa. In ogni caso è l’unico indizio che abbiamo per capire cosa è successo” - sussurrò mettendosi al computer.
Cho e Rigsby annuirono.
Dovevano trovare una pista, per Jane e per tutti loro.

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Madeline Hightower la stava osservando da quanto? Si chiese Lisbon mentre usciva dalla stanza di Jane per parlarle.
“Signora...” - la salutò.
“Agente Lisbon” - rispose la donna - “Novità?”
Lisbon scosse la testa “Non ha ancora ripreso conoscenza” - sussurrò.
“Ha un aspetto orribile, dovrebbe riposare un po’”- le disse - “Ma so che non lo farà” - aveva un tono stranamente comprensivo.
Lisbon si limitò ad annuire, sul volto un sorriso imbarazzato. Era così facile da leggere?
“Di cosa si incolpa agente Lisbon?”
Già di cosa ti incolpi Teresa? Si chiese.
Lisbon sospirò e si voltò a guardare Jane.
“Io sono il loro capo. Sono il responsabile della squadra, delle loro vite... Loro si fidano di me e io di loro. Siamo una famiglia, in un certo senso. Se qualcuno è in difficoltà...Io devo saperlo! Devo accorgermene!” - disse trattenendo a stento la rabbia.
“Perché non ho visto quello che stava succedendo?”- continuò puntando gli occhi verdi in quelli della donna.
Hightower la fissò seria -“Sembra aver deciso che si tratti di tentato suicidio, vedo.”
Lisbon aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito.
“Non mi sembra sia l’unica ipotesi al vaglio. Cho mi ha detto che state seguendo anche la pista del tentato omicidio”
Teresa annuì.
“E’ solo che se la verità fosse un altra...”
“Quello che dice è giusto. Ma stiamo parlando di Patrick Jane, non lo dimentichi...Mi sembra improbabile che abbia fatto un gesto così estremo.In ogni caso sappiamo entrambe che se lo desidera quell’uomo può nasconderle qualsiasi cosa.”.
“Già”  - esclamò.
“Mi tenga informata” - e la salutò con un cenno.
“Certo”.- guardò la donna allontanarsi.
“Se lo desidera può nasconderle qualsiasi cosa” - ripetè tra sé triste. Era la verità.
Sospirò. Non era stata completamente onesta con Hightower. Quello che aveva detto era vero, ma c’era qualcosa in più.
La cosa che la tormentava non era tanto non essersi accorta della sofferenza di Jane, ma al contrario di aver intuito che qualcosa non andava in lui e non aver fatto nulla. Per paura. Paura di superare quel limite che si era autoimposta. Tenere separata la sua vita privata da quella professionale. O era paura di qualcos'altro? Scacciò immediatamente quel pensiero.
Come aveva potuto dimenticare cosa significava quella data per Jane? Come aveva potuto voltarsi dall’altra parte?
In cuor suo sapeva di aver commesso un errore. Jane si fidava di lei. Sorrise suo malgrado ricordando quando le aveva fatto fare il gioco della “caduta di fiducia”. Le aveva confidato cose che non aveva mai detto a nessuno. E lei cosa aveva fatto? Lo aveva abbandonato.
Era arrabbiata con sé stessa oltre che con Jane. Se lui aveva veramente deciso di farla finita poteva perdonarlo? E poteva perdonare sé stessa per non aver tentato di aiutarlo?
Si avvicinò al letto, gli sfiorò il viso e sorrise triste.
“Non capiterà mai più. Te lo prometto”.

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Van Pelt era seduta alla scrivania,  la busta con la lettera di Red John tra le mani. Sbuffò.
“Che c’è?” - le chiese Rigsby.
“Uhm...questa lettera” - disse dubbiosa - “c’è qualcosa che ci sfugge”.
“Tipo?”
“Non so...è come se ci fosse un codice tra Red John e Jane”.
“Qui” - disse indicando un punto del messaggio ed attirando così l’attenzione di Cho.
“Vuoi essere Tigre o Agnello Sig. Jane?” - sussurrò.
“Che significa?” - chiese Cho.
“Appunto. Sembra un riferimento ad un codice. Come se Jane dovesse capire”.
“Sei un genio!” - esclamò Wayne.
Van Pelt sorrise, poi iniziò a digitare sul computer.
“Vediamo se inserendo la frase siamo fortunati” - “Hum...No, proviamo solo con Trigre e Agnello”
“William Blake?” - lesse Cho.
Van Pelt si alzò di scatto volando verso la scrivania di Jane.
Cho e Rigsby la fissarono perplessi.
La rossa rovistò sulla scrivania del consulente, poi prese un libro, fece scorrere le pagine per capire il punto in cui Jane si era soffermato più a lungo a leggere.
“Eureka” - esclamò mostrando una pagina ai colleghi.
Se Jane l’avesse vista sarebbe stato orgoglioso di lei, si disse.
“Tigre! Tigre! Ardente e Luminosa, nella foresta della notte quale immortale mano o occhio
potè dare forma alla tua terribile simmetria?” - recitò.
“Cosa dovrebbe significare?” - chiese Wayne.
“Non ne ho idea, ma è un collegamento. Jane ha sottolineato questo verso. E Red John nel messaggio parla di una Tigre” -
“Non può essere una coincidenza?” - chiese Rigsby.
“Se ho imparato una cosa lavorando con Jane, è che le coincidenze non esistono” - disse Van Pelt.
Il telefono di Cho iniziò a vibrare.
“Cho. Si capo...” - poi rimase in silenzio per un paio di minuti.
Chiuse la conversazione e fissò in silenzio i due colleghi.
Van Pelt sentì un brivido lungo la schiena “Che succede?”.
“Jane” - disse con un filo di voce - “ è in coma”.

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Capitolo 3
*** Requiem for a dream ***


L’amore può superare ogni confine? Teresa Lisbon e Patrick Jane lo scopriranno nel presente capitolo e nei successivi episodi di questa log-fic. Vi consiglio di leggerlo ascoltando l’hallelujah jeff buckley.
Buona lettura!

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Un vento lieve soffiava tra le fronde degli alberi creando un sussurro costante ma leggero. Non c’erano nuvole in cielo e tutto era sereno e tranquillo. Un gruppetto di persone camminava lungo il viale alberato, senza fretta.

Un raggio di sole gli illuminò il volto e lo svegliò. Si era addormentato all’ombra di un albero. L’aria era frizzantina, ma piacevole. Si alzò malvolentieri dal suo giaciglio di fortuna, si stiracchiò, sistemò il gilet e indossò la giacca. Attraversò il prato di fronte a lui accarezzando l’erba alta con la mano, ne raccolse uno stelo e se lo portò alla bocca. Si guardò in giro alla ricerca del resto della squadra. Camminava lentamente assaporando l’inusuale sensazione di benessere. Li vide poco distante e li raggiunse a grandi passi.
“Hey” - li salutò unendosi al gruppo.
Nessuno gli rispose.
“Oh avanti, Lisbon! Non vorrai tenermi il muso tutto il giorno! Stavo solo... pensando! - si giustificò, sul volto il suo solito sorriso impertinente.
Lei si voltò appena. Il volto scuro, gli occhi arrossati.
“Lisbon?”
Guardò gli altri. Van Pelt stava piangendo sorretta da O’Loughlin che le teneva la mano. Cho e Rigsby indossavano gli occhiali scuri ed entrambi fissavano un punto di fronte a sé. Lisbon tratteneva a stento le lacrime. Madeline Hightower era poco distante, accanto a lei Virgil Minelli. Entrambi erano silenziosi.
Si guardò intorno, a pochi metri da loro c’era una bara in mogano scuro coperta dalla Strares and stripes, un piccolo gruppo di poliziotti in divisa, una corona di fiori ed una sua foto.
Jane la riconobbe subito, era stata scattata un paio di mesi prima alla fine di un caso. Van Pelt aveva insistito tanto per immortalare in quel modo il successo della squadra. Quella foto l’aveva scattata Lisbon. Se lo ricordava perché ne era rimasto particolarmente colpito. Per lui una fotografia non parlava tanto del soggetto, ma piuttosto del fotografo che l’aveva scattata e quella foto gli aveva detto molto di Lisbon e di quello che provava per lui. Provò una strana sensazione al ricordo. Un’emozione che pensava di aver dimenticato.
“E così, è questa la morte?” - si chiese poi, quasi deluso.
Tornò a guardare Lisbon e gli si strinse il cuore, avrebbe voluto abbracciarla e dirle che andava tutto bene, che era lì con lei.
“Cos’è successo Lisbon?” - sussurrò.
Non sapeva come era morto. L’ultimo ricordo che aveva era Teresa che lo salutava una sera uscendo dal CBI, il suo sorriso e...la lettera di Red John.
Il prete stava recitando una preghiera per lui. Teresa piangeva in silenzio.
Cosa ci faceva lì? Se era morto perché stava assistendo al suo funerale e alla sofferenza dei suoi amici? Altro dolore su dolore? Altra colpa da aggiungere a quella che già portava nel cuore? Si era sempre immaginato che una volta morto non ci sarebbe stato più nulla. Niente più pena, niente più incubi, niente più rimorso. Solo il silenzio. Sospirò, sul volto un sorriso enigmatico. La morte si prendeva gioco di lui.
Mentre i poliziotti in divisa intonavano l’“Amazing Grace”, Minelli prese la bandiera e iniziò a piegarla, quindi la consegnò a Teresa che la strinse al petto. Jane distolse lo sguardo. A turno Van Pelt, Rigsby, Cho e Lisbon posarono una rosa rossa sulla sua bara, poi si allontanarono senza dire una parola. Patrick li seguì. Si voltò solo un attimo a guardare la sua tomba mentre calavano la cassa nella fossa.
Perché era lì? si chiese ancora una volta.

Nel S.U.V c’era un’atmosfera triste, nessuno parlava. Cho guidava, affianco a lui Rigsby fissava la strada senza vederla. Lisbon era seduta dietro, lo sguardo perso nel vuoto. Van Pelt li seguiva nell’auto di O’Loughlin.
Jane era seduto accanto a Lisbon e la stava osservando. Lei fissava la strada, le lacrime agli occhi, un sorriso malinconico ogni tanto le appariva fugace sulle labbra.Stava pensando a lui e a quante ne avevano passate insieme, immaginò Jane.
Avrebbe tanto voluto toccarla e cancellare tutta quella sofferenza.
Invece si stiracchiò, incrociò le braccia dietro la testa ed iniziò a fischiettare, dapprima un motivetto a caso poi cercò di seguire la melodia dell’“Hallelujah” di Jeff Barkley. Non sapeva nemmeno perché gli fosse venuta in mente. Forse a causa dell’atmosfera triste. In fondo era stato al suo funerale, cercò di giustificarsi.
Era stata una cerimonia degna di un vero poliziotto, si disse, anche se lui era un semplice consulente, come amava ricordare spesso Lisbon. Sorrise, ci avrebbe scommesso la testa che era stata lei ad insistere perché il suo funerale fosse celebrato in quel modo.
“Teresa” - sussurrò.
Lisbon sospirò e, come se avesse potuto sentirlo, si voltò verso di lui ed iniziò a cantare con voce incerta - “Well there was a time when you let me know.What's really going on below. But now you never show that to me do you”.
Cho e Rigsby si unirono a lei - “But remember when i moved in you”. And the holy dove was moving too. And every breath we drew was hallelujah...Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah ....”.
Jane sorrise triste, poi scosse la testa per allontanare l’emozione. Avrebbe sentito la loro mancanza, ne era certo. E più di tutti gli sarebbe mancata Teresa.
“Credi che sia insieme alla sua famiglia ora?” - chiese dopo un po’ Wayne.
Lisbon sospirò “Lo spero.”
Jane fece una smorfia e scosse la testa - “Mi dispiace deludervi ragazzi, ma temo che il protocollo morte abbia un iter un po’ più complesso”.
“So che è un giorno duro per tutti “- intervenne poi Lisbon - “Ma devo chiedervi di rimanere in ufficio oggi” -
“Certo capo. Dobbiamo fare di tutto per catturare il colpevole”
Lisbon annuì - “Puoi scommetterci Cho. Troveremo il bastardo che ci ha fatto questo” .

Arrivati al CBI, Jane cercò di recuperare qualche informazione sulla sua morte. In breve tempo scoprì che, nel giorno del settimo anniversario dell’omicidio di sua moglie e sua figlia, era stato avvelenato con del cianuro. Scoprì anche che Lisbon era rientrata fortuitamente in ufficio e lo aveva soccorso. Inizialmente le sue condizioni non erano apparse gravi, ma improvvisamente aveva avuto un peggioramento e, dopo pochi giorni, il suo cuore si era fermato. Lisbon gli era rimasta accanto tutto il tempo.
All’inizio Teresa aveva pensato si fosse suicidato per via della lettera di John, non sapeva cosa le avesse fatto cambiare idea.
Naturalmente lui non lo aveva fatto. Era un po’ deluso dal fatto che Lisbon avesse potuto pensarlo.
La lettera l’aveva turbato, era vero, ma non si sarebbe mai tolto la vita.
Non prima di trovare Red John e vederlo morire per mano sua.
Quella lettera era una sfida, l’ennesimo suo giochetto. Lui voleva catturare Red John e lo avrebbe fatto se solo...
Aveva fallito, si disse. Aveva deluso la sua famiglia ancora una volta. Qualcuno lo aveva fermato prima di avere la sua vendetta.
Era ancora bloccato lì per scoprire chi era il responsabile?
Doveva trovare il suo assassino?
In quel momento avrebbe tanto voluto una tazza del suo tea preferito. La sua nuova condizione cominciava a stargli stretta. Niente tea, niente sudoku, niente scherzi a Rigsby, né tanto meno battibecchi con Lisbon.
“Passare a miglior vita. Un altro luogo comune da sfatare! - sbuffò annoiato.
Si stiracchiò, diede un ultimo sguardo alla macchia sul soffitto che lui chiamava Elvis e si avvicinò a Van Pelt, Cho e Rigsby. Stavano passando al setaccio tutti i suoi vecchi casi e l’elenco degli ex clienti, alla ricerca di un movente o di un possibile collegamento. La lettera di Red John al momento sembrava non centrare con la sua morte.
Era d’accordo con loro, non era stato Red John. La lista di potenziali assassini in ogni caso era piuttosto lunga. Inoltre non era ancora chiaro come fosse stato avvelenato. Non era stata trovata traccia di veleno al CBI e questo non aiutava di certo a capire chi potesse essere il colpevole.
“Hey capo. Forse ho trovato qualcosa”- esclamò Van Pelt.
Lisbon si avvicinò.
“Greg Hall” - disse mostrandole il monitor - “E’ il figlio di una ex cliente di Jane, morta suicida qualche anno fa. Poco dopo che Jane ha chiuso la sua attività di sensitivo. E’ arrivato a Sacramento quattro giorni fa.”.
Lisbon continuò - “Jennifer Hall, vedova con tre figli. Morta per avvelenamento da cianuro” - concluse per lei.  - “Ottimo lavoro Grace”.
“Cho. Tu e Rigsby andate a recuperare questo Greg Hall. Voglio interrogarlo subito. Van Pelt. Recupera tutte le informazioni che abbiamo su di lui”.
Avevano una pista, si disse Jane sorridendo. Anche se non ricordava per niente di aver avuto una cliente con quel nome, era pur sempre la prima pista concreta che avevano.
............................................................................

Lisbon entrò nella sala interrogatori due, un fascicolo in mano, il volto serio. Si sedette. Jane era al suo fianco ed osservava con attenzione il ragazzo che avevano di fronte.
Greg Hall era giovane, la testa rasata e un paio di occhi gelidi su un viso irregolare. Non era brutto ma aveva un’aria inquietante. Stava seduto con aria annoiata e fissava Lisbon con straffottenza. Accanto a lui sedeva una giovane donna bionda, piuttosto minuta e dall’aria vagamente famigliare, notò Jane.
“Furto con scasso, aggressione, detenzione di stupefacenti” - iniziò Lisbon sfogliando il fascicolo ed ignorando la ragazza - “Un curriculum di tutto rispetto, davvero sig. Hall” - disse.
Il giovane alzò un soppracciglio ma non disse nulla. La bionda fissava Lisbon con rabbia. Teresa non sembrava notarlo.
“Sappiamo perché è qui a Sacramento Sig. Hall. O dovrei chiamarla Sig. Williamson, o Curtney?” - continuò Lisbon mostrandogli le patenti false che Cho e Rigsby avevano rinvenuto nella sua auto.
Lui sembrò non esserne turbato, però Jane notò un piccolo fremito del labbro. Ed anche Teresa lo vide. Patrick, guardandola, sorrise compiaciuto.
“Conosce quest’uomo?” - incalzò lei mostrandogli la foto di Jane.
“No” - rispose
Era vero, non lo aveva riconosciuto, si disse Jane. La ragazza bionda invece spalancò gli occhi.
Lo stava fissando? si chiese Patrick.
“Lasci che le racconti una storia Sig. Hall” - sibilò Lisbon con aria minacciosa - “Sua madre era cliente di Patrick Jane” - disse indicando la foto - “Lui le ha fatto credere per anni di poter comunicare con suo padre nell’aldilà spillandole un bel po’ di denaro, non è così?”
“Oh avanti Lisbon, la fai passare peggio di quel che è..”- si giustificò Jane imbarazzato, il suo solito sorriso impertinente sul volto.
“Poi il Sig. Jane ha smesso di fare il finto sensitivo svelando al mondo la sua truffa...Sua madre non ha retto e si è suicidata... col cianuro, non è così? Un duro colpo per un ragazzino di pochi anni”
Il giovane la fissò con rabbia senza dire nulla, i pugni chiusi, la mascella contratta.
“Le dico io come sono andate le cose” - continuò lei incalzante - “Ha atteso. Ha coltivato la sua rabbia per anni, aspettando l’occasione giusta per vendicarsi dell’uomo che le ha portato via tutto! Con lo stesso veleno usato da sua madre! Lei ha ucciso Patrick Jane!”
“No!” - urlò lui - “Non ho ucciso nessuno! Non conosco quest’uomo! Non so chi sia Patrick Jane, non l’ho mai visto né mi interessa nulla di quello che ha fatto a mia madre. Perché…” - si interruppe respirando affannosamente “ Perché mia madre...Sì, mia madre...era una stupida, egocentrica puttana egoista che meritava la fine che ha fatto!”.
Lisbon sollevò un soppracciglio. Lui la guardò con rabbia.
“Capo...” - Cho aprì la porta della sala interrogatori.
Lisbon si voltò a guardarlo, poi si alzò portando con sé il fascicolo. Uscì e iniziò a discutere animatamente con Cho.
“Cosa ci fa qui Sig. Jane?” - chiese d’un tratto la ragazza al consulente.
Lui trasalì. Cosa stava succedendo?
“Sì, ti vedo. Come tu vedi me...Mentre tutti gli altri non possono, è ovvio” - stava sorridendo in maniera strana. Poi appoggiò la testa sulle mani e lo fissò incuriosita.
Ovviamente sono qui per smascherare il mio assassino” - rispose Jane sorridendo divertito dalla situazione - “Che non è il tuo amico, naturalmente.”
“Hum... Ne dubito” - rispose lei sorridendo.
“Cosa intendi dire?”
“Che non sei qui per questo. Non siamo mai qui per noi.” - fece una pausa - “Davvero nessuno ti ha spiegato come funziona?”- sembrava sorpresa.
“Vedi” - riprese - “ Io sono qui per lui” -  e accompagnò la frase con uno sguardo tenero rivolto al giovane accanto a lei -”Non è cattivo, ma si mette sempre nei guai.”
Lisbon entrò in quel momento - “Può andare sig. Hall” - il suo volto era serio.
Jane sorrise, non era per nulla sorpreso.
Greg Hall si alzò e la giovane donna con lui.
“Dunque lei è così importante per te, Patrick?” - sussurrò la bionda mentre usciva dalla stanza, accennando a Lisbon. Jane la fissò incerto.
“Oh certo che lo è.” - aggiunse lei, un sorriso malizioso sulle labbra - “Buona fortuna Sig. Jane”.
Lui la fissò turbato, poi si voltò a guardare Teresa.
Si ricordò che le aveva fatto una promessa.

“Andate a casa” - sussurrò triste Lisbon alla sua squadra - “per oggi abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.
“Lo troveremo” - disse Van Pelt salutandola.
“Certo Grace. Lo troveremo”.
“A domani capo” - salutarono Cho e Rigsby.
Lisbon entrò nel suo ufficio, si sedette alla scrivania e si prese la testa tra le mani.
Jane la seguì e si distese sul divano che le aveva regalato. Era annoiato ed aveva una gran voglia di un tea. Trovare il suo assassino si stava rivelando più complicato del previsto, l’unico sospettato che avevano era stato scagionato ed ora avrebbero dovuto ricominciare da capo. Greg Hall, alias Andrew Williamson, era stato arrestato per rissa poche ore dopo essere arrivato in città. Era uscito quello stesso pomeriggio. Non poteva essere l’assassino.
“Dannazione” - esclamò Lisbon.
“Già dannazione” - sussurrò Jane.
Lui però non si riferiva al caso, ma al fatto che avrebbe tanto voluto una tazza di tea.  Pensò a quanto gli aveva detto la ragazza. Era lì per Lisbon?
Si girò a guardala. Sorrise suo malgrado.
Era bella Teresa, anche in un momento come quello. I capelli arruffati, gli occhi arrossati e cerchiati da occhiaie. Fragile, tenace e combattiva Lisbon.
Chi stava prendendo in giro? Era ovvio che era rimasto per lei. Le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato, che l’avrebbe protetta sempre e lui era il tipo d’uomo che manteneva le promesse. E quindi... Sì! Anche da morto.

Teresa sospirò, aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse due bicchieri ed una bottiglia di Wiskey. Riempì i bicchieri, ne alzò uno al cielo e lo bevve in un sol sorso.
“Alla tua Jane. Riposa in pace” .
“Oh lo vorrei tanto Teresa. Ma a quanto pare anche da morto ho il mio daffare” - e le sorrise.
Lisbon bevve anche il secondo bicchiere, poi mise via la bottiglia e sospirò.
Lentamente spense il computer, prese la sua borsa e si incamminò verso l’ascensore. Erano andati via tutti.
Jane sbuffò, quindi si alzò dal divano e la seguì.




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Capitolo 4
*** Truth revealed ***


Rieccomi con un nuovo capitolo!! Ritroviamo i nostri tanto amati Teresa Lisbon e Patrick Jane....
Spero vi piaccia. Stavolta nessun suggerimento di soundtrack...Buona lettura!





L’appartamento di Lisbon era come lo ricordava: luminoso, semplice ed accogliente. Sorrise dolcemente ricordando la prima volta che era stato lì. Il volto impaurito di Teresa mentre si faceva ipnotizzare e la debolezza che aveva intravisto nei suoi occhi erano ancora impressi nella sua mente e nel suo cuore.
Si guardò intorno curioso cercando di conoscere qualcosa in più di lei dagli oggetti di cui si circondava. La foto dei suoi tre fratelli era ancora sul tavolino d’ingresso, ma nel frattempo Teresa ne aveva aggiunte delle altre. Jane posò lo sguardo su una bella foto di gruppo del team che avevano scattato la stessa sera in cui Lisbon aveva realizzato il suo ritratto.
L’autoscatto li aveva immortalati in una posa davvero esilarante: Rigsby e Cho portavano sulle braccia, in una specie di trono improvvisato, una divertita Van Pelt , mentre lui aveva caricato di peso Lisbon sulla sua spalla. Sorridevano entrambi, lei cercava di ribellarsi colpendolo debolmente sulla schiena.
Rabbrividì quando si accorse che Lisbon era accanto a lui e stava guardando la stessa foto, con un sorriso appena accennato sul viso.
“Ci siamo divertiti, vero Jane?” - sussurrò Teresa ricordando la serata.
“Meh...Almeno fino a quando non hai minacciato di spararmi!”- rispose Jane divertito.
“Anche se ho minacciato di sparati...” - concluse lei.
Improvvisamente, notò Jane, Teresa si incupì. Era immobile ed assorta, ora. Una lacrima le scese lungo la guancia e lei la lasciò andare. Patrick si protese verso di lei per fermarla con una carezza, senza però poterla toccare.
“Teresa - sussurrò impotente - andrà tutto bene, te lo prometto”.
Lei sospirò, prese la fotografia con mani tremanti, gettò indietro il capo nel tentativo di fermare le lacrime che ormai le rigavano le guance e, scendendo, le bagnavano la camicetta. Un debole tentativo di fermare il dolore che, una volta nella solitudine della sua casa, la stava assalendo togliendole il respiro. Si ranicchiò su sé stessa, la fotografia in grembo, le lacrime ormai senza più freno.
Come poteva proteggerla se nemmeno riusciva a sfiorarla?
La ragazza della sala interrogatori era rimasta sorpresa che nessuno gli avesse spiegato come funzionava il suo nuovo status.
“Esiste uno sportello informazioni per fantasmi principianti?” - sbottò.
Jane avrebbe voluto urlare, colpire qualcosa per sfogare la sua frustrazione e, invece, rimase immobile a fissarla sentendosi ancora una volta in colpa.
Poi pensò al percorso di rientro al CBI quella mattina e alla sensazione di estrema vicinanza che aveva provato quando Lisbon aveva intonato l’Halleluja dopo che lui l’aveva fischiettato, come se lo avesse potuto sentire.
Un modo per comunicare con lei doveva esserci e lui, Patrick Jane, l’avrebbe trovato.
Si inginocchiò accanto a Teresa e cominciò a sussurrarle frasi rassicuranti. La sua voce era profonda, lenta e tranquilla.
“Lisbon, ti senti calma e rilassata, ora. Sei in un posto sicuro, nessuno ti farà del male qui. Non devi avere paura... Pensa solo a respirare e a rilassarti...”
Erano così vicini che Patrick aveva la sensazione di poterla toccare. Poteva sentirne il profumo, il battito del cuore ed il suo respiro ancora irregolari.
“Teresa...Stai tranquilla io sono qui. Brava...pensa solo a respirare”- non potè fare a meno di sorridere, vedendo che in qualche modo Lisbon reagiva alle sue parole. Il suo respiro era più lento ora.
Lisbon si asciugò le lacrime con il dorso della mano, si alzò, sfiorò con un dito la foto prima di rimetterla a posto.
Anche Jane si era alzato, un’espressione soddisfatta sul volto.
“Ok Molly, troverò un modo più efficace di comunicare con te, ma tu promettimi che non inizierai a fare vasi di creta!”- esclamò ironico facendole l’occhiolino.
In realtà, pensò subito dopo, non gli sarebbe dispiaciuto vedere una Lisbon in versione Demi Moore con indosso solo una camicetta. Avrebbe volentieri evitato la parte della creta ma...
Scacciò quel pensiero e tutti quelli che seguivano. Troppo pericolosi anche adesso che era morto.
Teresa, come se avesse letto nella sua mente, cominciò lentamente a sbottonare la camicetta.
Patrick si bloccò, un sorriso appena accennato sul volto. Non riusciva a muovere un muscolo, continuava a fissare Lisbon e la sua mano che lentamente, bottone dopo bottone, continuava la sua danza sensuale.
“A che gioco stai giocando Lisbon?” - sussurrò, riuscendo finalmente a distogliere lo sguardo. Era imbarazzato.
Lei si fermò. La camicetta aperta sul seno nudo.
Niente reggiseno, solo la pelle nuda, registrò lui.
Teresa all’improvviso si voltò bruscamente, allontanandosi.
Jane la fissò perplesso, un’espressione indecifrabile sul volto. Lei stava camminando verso il bagno.
Patrick sollevò un sopracciglio e ridacchiò imbarazzato, quindi cominciò a camminare per la stanza irrequieto.
Sentì il rumore dell’acqua provenire dalla stanza vicina e si immaginò Teresa sotto la doccia.
Jane si tolse la giacca, slacciò il gilet e arrotolò le maniche della camicia, quindi prese possesso del divano.
Dopo alcuni minuti, che a Patrick sembrarono ore, Lisbon uscì dal bagno. Indossava la sua maglia preferita, una maxi t-shirt con la scritta Lisbon 99 sulla schiena. Jane le sorrise, era incredibilmente ed inconsapevolmente sexy.
Teresa sbadigliò, si diresse verso la cucina, prese un bicchiere, aprì il frigorigero e si versò un po’ di latte. Lui non smise di fissarla un attimo.
“Il mio regno per una tazza di tea!” - esclamò lui, quindi si alzò a sedere sul divano ed infine la seguì in camera da letto.
Teresa si distese sul letto ranicchiata su un fianco, lui era dietro di lei così vicino da sfiorarle i capelli.
“Jane? - chiamò, la voce era un poco più di un sussurro - se mi puoi sentire...io...”.
Patrick si fece ancora più vicino, con la mano le sfiorava la schiena.
“Troverò quel bastardo! Chiunque sia! Lo giuro, la pagherà!”
“Non mi fiderei di nessun altro” - rispose calmo.
Lei sospirò come se avesse sentito la sua risposta. Rimase immobile per un po’, tanto che Jane pensò si fosse addormentata. Invece, improvvisamente, si agitò.
“Jane? - chiamò - Io...Troverò Red John, te lo prometto!”
“No! Ti prego Lisbon, no” - gridò allarmato.
Patrick si sentì improvvisamente gelare. Perché con la sua morte aveva sperato che Lisbon rinunciasse al caso? Si era illuso. Ora non poteva proteggerla, non poteva impedire a Red John di farle del male. Tutti i suoi sforzi per tenerla lontana da lui, per proteggerla tenendole nascoste anche informazioni importanti, sarebbero stati vani.
“Jane? - sussurrò infine, con voce tremante - Io...io devo confessarti una cosa...ecco io..” - balbettò - Volevo dirti che... io... io... io ti a... ehm...mi mancherai Jane, ecco sì...volevo dirti questo!” - concluse agitata.
Lui rispose con un sorriso.
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“Sì Signora, certo - disse, mentre finiva di allacciare la cintura dei pantaloni. Dopo qualche minuto di silenzio chiuse la conversazione e sbuffò.
Jane la stava osservando, erano le 6 del mattino e Teresa era già in piedi pronta per un’altra giornata di lavoro. Aveva raccolto i capelli in una coda morbida e, per nascondere i segni del pianto, aveva messo dell’ombretto sugli occhi.
“La prima telefonata di una lunga, lunga giornata” - sospirò continuando a vestirsi. Indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e una giacca scura.
Jane la fissò. Lisbon non aveva dormito molto quella notte. Lui aveva cercato di calmarla come poteva ma senza riuscire ad evitarle un sonno inquieto. Sperava di riuscire a capire come comunicare con lei al più presto per aiutarla a superare questo momento.
“Frigo vuoto, Lisbon?” - esclamò poi osservando la sua espressione delusa mentre usciva dal cucinino.
Teresa sbuffò, quindi si fermò a fissare il cestino di dolcetti che le aveva mandato il senatore Robertson. Fissò la carta cangiante, la bella ciocca rossa e il logo dello Yum Yum Shop, il suo negozio preferito.
“Devo ancora ringraziarlo” - disse ad alta voce, mentre rigirava tra le mani il bigliettino.
Patrick si strinse nelle spalle - “Beh Lisbon, non mi preoccuperei, fossi in te - sul viso la sua consueta espressione ironica - Non erano poi un granché!” - continuò sollevando un sopracciglio e ricordando come era riuscito ad aprire la confezione, prendere un dolcetto e poi richiuderla senza che lei se ne accorgesse... quella sera.
“Se hai intenzione di corteggiare una donna...regola numero uno: non regalare cioccolatini dozzinali. E poi...odio le mandorle...” - esclamò e subito dopo si bloccò.
Ricordò improvvisamente tutto. Quella sera, prima che Teresa uscisse dal CBI, era entrato nel suo ufficio e, approfittando della sua momentanea assenza, aveva letto il biglietto, quindi aveva preso di nascosto un dolcetto. Si era sentito furbo allora, dannatamente furbo.
Deglutì a vuoto. Sentì una sensazione di gelo allo stomaco.
Ricordò tutto: la sensazione di oppressione al petto, l’aria che non arrivava ai polmoni, il dolore.
E poi il volto di Teresa, i suoi occhi spaventati.
E poi... più nulla.
Ecco perché aveva la sensazione che tutta questa storia non avesse senso. Che qualcosa gli stesse sfuggendo. Non era lui l’obiettivo, era semplicemente un effetto collaterale. Stavano cercando l’assassino sbagliato.
Si voltò a guardare Lisbon e si bloccò. Stava cercando di togliere il nastro.
“Teresa, no!” - urlò, cercando inutilmente di fermarla.
“Ne prenderò uno solo!”- si giustificò, stringendosi nelle spalle.
Jane rimase immobile, tutto si muoveva a rallentatore ora nella sua mente.
Vedeva cosa sarebbe successo.
Vedeva Teresa aprire la confezione, prendere un cioccolatino e morderlo...
E sapeva cosa le sarebbe successo.
La sensazione di oppressione al petto, l’aria che non arriva ai polmoni, il dolore.
“No, no, no!” - urlò, con quanto fiato aveva in gola.
Sarebbe morto centinaia di volte se avesse potuto fermala.
Lo squillo del cellulare lo fece sobbalzare.
“Lisbon - rispose, abbandonando il cestino dei dolci ancora intatto - Ok, arrivo!” - chiuse la conversazione, quindi prese la sua borsa.
“Sarà per un’altra volta!” - disse delusa.
Jane si appoggiò al muro e sospirò sollevato.
“Teresa è in pericolo” - sussurrò - Devo fare qualcosa!”.

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Capitolo 5
*** Rewind & Forward ***


Rieccomi con un nuovo capitolo... In cui la protagonista assoluta è Teresa Lisbon...Ma il buon Patrick Jane non manca mai... Tanti nuovi indizi ma anche nuove domande...


Flashback - 10 giorni prima


Era uno di quei pomeriggi noiosi in cui al CBI non si muoveva foglia e Lisbon pregava, disperatamente, che il telefono squillasse per salvarla dalla montagna di scartoffie che la circondava. Si augurava di poter abbandonare quell’attività al più presto, anche se questo poteva significare solamente una cosa: era stato commesso un omicidio. Non si augurava certamente che qualcuno venisse ucciso, ma odiava davvero la burocrazia.
Sospirò, quindi chiuse l’ennesimo dossier. Un lieve bussare attirò la sua attenzione: un uomo sulla quarantina, con i capelli scuri e gli occhi verdi, la stava fissando sorridente dalla soglia del suo ufficio.
“Senatore Robertson” - sussurrò lei ricambiando il sorriso.
“Agente Lisbon...non ci davamo del tu, Teresa?”- rispose allargando ancor più il sorriso e facendo un passo verso di lei.
Lisbon si alzò dalla scrivania e gli strinse la mano.
“Sono felice di rivederti Alec. Come stai?”
“Il piacere è mio, anche se avrei preferito rivederti in un’occasione diversa. E’ passato tanto tempo...”- disse abbassando lo sguardo.
Lisbon annuì, improvvisamente seria.
“Ho saputo. Mi dispiace tanto...”- si limitò a dire appoggiando la mano sulla sua spalla.
Il Senatore inclinò la testa e sorrise appena.
“Sapevo che poteva finire così, ma non ho mai perso la speranza”- si limitò a dire. Lisbon annuì.
“Quindi ora sei a capo di uno dei migliori team di Sacramento!”- esclamò poi, cambiando discorso.
“Così dicono” - commentò arrossendo lievemente. I complimenti la mettevano sempre in imbarazzo.
“Non c’è da stupirsi, Teresa! Sei sempre stato un ottimo poliziotto...e non solo” - gli occhi verdi scintillarono maliziosi.
Lei ridacchiò lievemente a disagio. Stava seduta sul bordo delle sua scrivania e accompagnava le parole con piccoli movimenti delle mani.
“Teresa sarai presente martedì?” - chiese, tornando improvvisamente serio.
“Farò il possibile, Alec.” - si limitò a dire.
“Se non ci sarai, non so se sarò in grado di restare...” - le confidò.
Lisbon annuì e cercò di confortarlo sfiorandogli con delicatezza il braccio. L’uomo le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle. Lei si irrigidì, il volto in fiamme.
Improvvisamente la porta si spalancò.
“Hey Lisbon, che ne dici di una pausa?” - Jane entrò senza bussare. Una tazza di caffè in una mano ed un sacchetto nell’altra, il solito sorriso sul viso. Si fermò di colpo notando Lisbon e Robertson. I due al suo ingresso si erano allontanati velocemente, imbarazzati.
“Diavolo Jane, ma non bussi mai?” - lo apostrofò lei strappandogli, letteralmente dalle mani, il caffè e i muffin. Era arrossita.
Lui la stava fissando con un’espressione indecifrabile sul volto.
“Hum... lei dev’essere il famoso consulente, Patrick Jane, giusto? - intervenne prontamente Robertson, allungando una mano.
“Così dicono.”- Patrick lo fissò, gli strinse la mano, poi tornò a guardare Lisbon.
Robertson sospirò, quindi si strinse nelle spalle e sorrise a Teresa, che continuava a borbottare rimproveri in direzione del consulente.
“Hem, forse e’ meglio che vada. Ti chiamo io, Teresa.” - si affrettò a dire - è stato un piacere sig. Jane”- e uscì dall’ufficio.
Patrick lo salutò con un cenno.
“Certo, Alec. Ciao.”
Lisbon si girò verso Jane con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono.
Perché aveva accettato di lavorare con lui? Si chiese per l’ennesima volta. Perché non risolveva il problema una volta per tutte e gli sparava? Ah certo, si disse, cercando di calmarsi... Perché LUI chiude i casi, Teresa. Ecco perché.
“Non mi dire che quel tipo ti stava chiedendo di uscire?” - le disse con il suo solito sorriso.
Lisbon alzò un sopracciglio - “Non sono affari tuoi Jane! - esclamò alzando leggermente la voce - e comunque, cosa ci sarebbe di tanto strano se un uomo affascinante ed intelligente come quel tipo mi chiedesse di uscire?”
Jane sorrise divertito - “Non ci sarebbe nulla di strano, mia cara Lisbon. Ma potresti avere di meglio. E comunque quello non è il tuo tipo” - concluse alzando le spalle.
“E da quando TU sapresti qual’è il mio genere d’uomo? No, non lo voglio sapere”- sbottò lei.
Patrick inclinò la testa, fece una smorfia come se le avesse chiesto una cosa ovvia, quindi sorrise.
“Comunque, non era qui per questo - si affrettò a dire Teresa - si tratta di un vecchio caso di cui mi sono occupata diversi anni fa. Prima che tu entrassi nel team.”
“Robertson non era ancora Senatore. E’ una storia davvero molto, molto brutta.” - in quel preciso momento Lisbon ricordò che Jane e Alec avevano davvero molto in comune.
“Robertson... mi dice qualcosa” - disse lui.
“E’ probabile. I giornali ne hanno parlato per mesi. Il figlio adottivo del più promettente procuratore distrettuale della California e di una stella del cinema, Jennifer Courtney Hall, uccide a sangue freddo la madre, incinta di sei mesi, e la fidanzatina. E poi tenta di uccidere il patrigno quando viene scoperto...”
“Greg è stato condannato a morte. Martedì eseguiranno la condanna.- sussurrò - così Alec perderà anche lui. Era tutto quello che gli restava della sua famiglia, nonostante tutto sperava nella grazia. Era qui per chiedermi di essere presente.”
“Oh... capisco. E’ davvero una brutta storia.” - Jane era serio, un’ombra fugace gli attraversò lo sguardo. Teresa lo fissò preoccupata.
“Comunque continua a non essere il tuo tipo!” - teneva le mani in tasca e la fissava con un sorrisetto ironico, ora.
“Ma davvero? Illuminami, perché non lo sarebbe?” - lo incalzò sarcastica.
“Beh, Lisbon...Tu non sei una preda, ma una cacciatrice - le disse sorridendo malizioso - ti piacciono i mascalzoni, non i bravi ragazzi. Un uomo per interessarti e sedurti deve essere sfuggente, misterioso, irraggiungibile. Il principe azzurro non fa per te.”
Lisbon aprì la bocca per ribattere ma la richiuse subito.
Era così trasparente?
“E poi - aggiunse sulla soglia del suo ufficio - tu preferisci i biondi!” - e uscì ridacchiando.
“Ti piacerebbe!” - sbuffò lanciandogli una matita.
Lisbon ridacchiò nervosa. Jane aveva la capacità di farle perdere la pazienza. Come poteva essere così, così...così Jane? Tutto quello che aveva detto sui suoi gusti in fatto di uomini era assurdo ed incredibilmente corretto. Era sempre stato così. Un ragazzo per piacerle doveva essere un bastardo egoista. Più era impossibile ed irraggiungibile e più lei si innamorava.
Sorrise suo malgrado. Jane la conosceva così bene. Salvo per un punto.
Non le piacevano affatto i biondi,  non gli erano mai piaciuti.
Non le piacevano i biondi, era vero, si disse riordinando nervosamente i fascicoli sulla sua scrivania.
Perché, in realtà, gliene piaceva solo uno.

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Ritorno al presente

Lisbon era chiusa nel suo ufficio da qualche ora con le veneziane completamente chiuse. Tamburellava nervosamente le dita sulla scrivania mentre tentava di mettere ordine ai suoi pensieri. Sentiva il rumore del team all’esterno e questo, in qualche modo, la confortava dandole una sensazione di normalità e sicurezza. Sospirò, se chiudeva gli occhi e non pensava, poteva illudersi che quella fosse una di quelle giornate in cui Jane stava disteso sul suo divano mentre lei compilava pile di rapporti. Invece, erano passati solo quattro giorni da quella terribile sera.
“Niente... - sussurrò rifugiando la testa tra le mani - non abbiamo ancora niente!”
Avevano passato al setaccio la vita di Jane, ma ogni pista che avevano percorso aveva portato ad un nulla di fatto.
Tutto era appeso ad un filo.
Si sentiva impotente e sconfitta. Sapeva che, se non avessero chiuso il caso entro poche ore, il colpevole sarebbe riuscito a farla franca. E lei non poteva permetterlo.
Strinse i pugni. Era stanca. Da quanto non dormiva?
Avrebbe tanto voluto che lui fosse lì, disteso sul divano che le aveva regalato fingendo di dormire. Si aspettava che da un momento all’altro sarebbe sbucato nel suo ufficio con quello sguardo malizioso e l’irresistibile sorriso.
Il cellulare iniziò a vibrare, lei guardò il numero con un sorriso appena accennato - “Alec... Ciao - ammutolì quando si rese conto che dall’altro capo del telefono non c’era il senatore Robertson - Si, certo agente Hudson. Arrivo subito” - chiuse il telefono e iniziò a riavviarsi nervosamente i capelli.
Cosa stava succedendo? Prima Jane ed ora... Alec era scomparso. Perché stava succedendo tutto questo? Si sentiva come se stesse per andare in mille pezzi.
Teresa non puoi arrenderti ora, si disse stringendo i pugni. Quindi si alzò e uscì dall’ufficio.
Van Pelt le sorrise, poteva leggere sul suo volto la preoccupazione. Rispose con un sorriso appena accennato, quindi si rivolse a Cho.
“Devo allontanarmi dall’ufficio per un po’. Il Senatore Roberston è scomparso e l’FBI ha chiesto di incontrarmi nella sua abitazione. Prendi tu il comando qui, e chiamami se ci sono novità. Qualsiasi novità”. - precisò.
L’uomo annuì senza chiedere ulteriori spiegazioni al suo capo, quindi Teresa si precipitò fuori dal CBI.

La residenza del Senatore si trovava poco fuori il centro città. Era un palazzo elegante ma piuttosto sobrio, con un ampio giardino ricco di fiori e piante. Entrando nel vialetto Lisbon ricordò che Alec era un appassionato di botanica e lo aveva curato personalmente. Teresa sorrise al ricordo.
Un uomo di colore sulla trentina, che scoprì essere l’agente Hudson, le venne incontro appena scese dall’auto. Le strinse la mano e le fece strada all’interno dell’edificio.
Gli uomini della scientifica stavano analizzando il salone, altri agenti si muovevano per le stanze alla ricerca di indizi.
“Non ci sono segni di efrazione o di lotta. Potrebbe trattarsi di allontanamento volontario, ma non escludiamo il rapimento. L’auto non c’è, ma non manca altro. Inoltre abbiamo trovato questo - e accennò al telefonino all’interno di una busta in plastica -  era abbandonato sul pavimento e l’ultimo messaggio che stava scrivendo era per lei.” - disse l’agente - Come mi hai detto tu tempo fa, i ricordi sono un dono immenso...E’ stato bello rivederti, che ne dici se...”- concluse Hudson guardandola negli occhi incuriosito.
Lisbon sorrise appena e sostenne il suo sguardo -“Non avevo una relazione con il Senatore, se è questo che sta pensando. Siamo stati ottimi amici per molto tempo...e lo siamo ancora.”
L’agente annuì e non fece commenti.
“Quando è scomparso?” - chiese lei.
L’agente sollevò un soppraciglio - “Le ultime persone che lo hanno visto sono stati gli agenti della sicurezza, tre giorni fa. Stando a quanto dice la segretaria - sbirciò i suoi appunti - Susan Breit, il Senatore voleva restare da solo un paio di giorni. Stamane la donna ha provato a contattarlo al cellulare per ore, quindi preoccupata è venuta qui...”
Lisbon aveva un brutto presentimento, ma si rifiutava di dar retta al suo istinto. Potevano esserci mille ragioni per cui Alec aveva abbandonato il cellulare, non doveva essere per forza successo qualcosa di grave. Poi ebbe un’illuminazione. Se voleva restare solo, dopo che Greg era stato giustiziato, c’era solo un posto dove Alec poteva andare.
“Forse so dov’è” - esclamò sorridendo - Andiamo”.

La villa del Senatore a Folsom Lake era in una posizione davvero suggestiva: nel cuore della riserva, circondata dal verde e con una vista mozzafiato sulle acque del lago. Teresa era stata lì una sola volta, una sera d’estate dopo la conclusione del caso, un ricordo dolce e malinconico che era impresso ancora nella sua mente e, probabilmente, anche in quella di Alec. Dopo quella lontana notte le loro strade si erano divise.
“Non è il tuo tipo” - improvvisamente ricordò la frase di Jane. Allontanò l’immagine sorridente del biondo consulente e si guardò intorno alla ricerca dell’auto o di un qualsiasi altro segnale che le indicasse la presenza del Senatore all’interno.
Lei e Houdson si scambiarono uno sguardo d’intesa quando finalmente notarono, dietro ad un gruppo di arbusti, il SUV nero. Insieme salirono le scale che portavano all’ingresso.
Teresa aveva il cuore in gola: il presentimento che aveva provato poco prima era di nuovo lì nella sua mente, e la implorava di ascoltarlo. Chiuse gli occhi per proteggersi dal sole e inspirò l’aria pulita, cercando di allontanare l’ansia.
“Entriamo - le disse l’agente dell’FBI, impugnando la pistola.
Lisbon annuì e sfilò dalla fondina la sua Glock. La serratura si aprì facilmente e i due entrarono all’interno con circospezione. L’ingresso era silenzioso e deserto, osservò Teresa, guardandosi intorno nervosa. Troppo silenzioso.
“Alec, sei qui?” - esclamò avanzando nell’atrio, Hudson la seguiva a poca distanza.
Entrarono in quello che era il salone principale, un’ampia vetrata dava su una splendida terrazza e degli ampi divani bianchi pieni di cuscini colorati disegnavano in maniera armonica lo spazio. Tutto era perfettamente in ordine. Di Alec però non c’era traccia.
“Proseguiamo” - le disse l’agente dando un’occhiata fuori dalla finestra e spostandosi verso le scale poco distanti.
Controllarono tutto l’edificio, ma del Senatore Robertson non v’era traccia.
“Nulla. E’ come se si fosse volatilizzato, eppure l’auto è qui” - le disse Hudson scuotendo la testa.
Teresa a quell’affermazione ebbe un sussulto, quindi si precipitò fuori dalla villa. L’agente dell’FBI la seguì a ruota arrivando alla sua stessa conclusione. Il SUV.
Come potevano essere stati così stupidi? Il SUV era ancora parcheggiato dietro gli arbusti e non era stato controllato. Teresa correva veloce verso il mezzo, la pistola ancora in pugno.
Un riflesso improvviso l’accecò bloccando la sua corsa, si voltò in direzione del bagliore. Proveniva da un punto in alto, sulla collina di fronte alla villa. Si accucciò temendo si trattasse del riflesso di un’arma. Un istinto che salvò la sua vita e quella dell’agente dell’FBI.
Vide l’esplosione prima ancora di sentirne il fragore. Lo spostamento d’aria la fece rotolare dietro ad un gruppo di cespugli, cercò di proteggersi il volto con le mani. Sentì Hudson urlarle qualcosa.
“Alec!” - riuscì ad gridare lei, sollevando appena la testa in direzione dei resti del SUV.
L’agente dell’FBI le fu presto accanto e si assicurò che lei stesse bene.
“Agente Lisbon, è tutto ok?”
Lei non rispose, fissava l’auto in fiamme senza riuscire a dire una parola.
“Si...sono ancora tutta intera, e lei? - rispose infine con voce incerta.
Lui la fece allontanare di qualche metro, quindi le controllò il taglio che le sanguinava dalla fronte.
“Merda!- esclamò lei rifugiando la testa tra le mani - chi diavolo ha potuto fare questo?”
L’agente di colore non rispose, afferrò il cellulare per chiamare rinforzi.
“Questo è proprio un gran casino...un gran casino” - ringhiò poi tra i denti.
Teresa non riusciva a crederci. Le sembrava di trovarsi in un incubo. Cosa stava accadendo?
La sua vita stava andando in pezzi, si disse trattenendo a stento la rabbia.

Era seduta su una barella fuori dell’ambulanza ed un paramedico le curava la ferita sulla fronte, mentre un giovanissimo agente dell’FBI stava raccogliendo la sua testimonianza.
“Quindi non avete controllato l’auto al vostro arrivo”- le stava dicendo il giovane - e non potete dire con certezza che Alec Robertson fosse all’interno”.
“E’ esatto” - rispose lei spostando di colpo la testa. La medicazione le bruciava un po’.
“Avete notato auto o altri mezzi al vostro arrivo?”
Lei scosse il capo poi ricordò - “Aspetti. Poco prima di arrivare alla villa, abbiamo incrociato un giovane motociclista. L’ho notato perché era completamente vestito di nero e con un casco integrale. Con questo caldo mi sono meravigliata dell’abbigliamento.”
“E’ vero l’ho notato anch’io, ma era una donna” - intervenne Hudson che l’aveva raggiunta in quel momento. Lei lo fissò, la corporatura del motociclista in effetti poteva far pensare ad una donna.
“Poco prima dell’esplosione sono stata abbagliata da qualcosa. Pensavo fosse un’arma, ma pensandoci meglio potrebbe essere stato il riflesso di uno specchietto.”
Il giovane agente prese nota, quindi si allontanò. Hudson le sorrise.
“Agente Lisbon, per ora è tutto. La faccio accompagnare a casa. So che è un momento molto difficile per lei e per la sua squadra e che vorrebbe essere con loro. Mi dispiace di averla coinvolta in tutto questo.”
Lisbon sorrise grata per le sue parole.- “Grazie agente Hudson.”
“Micheal” - disse lui stringendole la mano.
“Grazie Micheal...”.
Improvvisamente il cellulare di Teresa iniziò a vibrare, era Rigsby.
Trattenne il respiro, temeva potessero essere altre brutte notizie.
“Lisbon” - rispose con voce tremante - C..certo...- sorrise alla prima buona notizia che riceveva da quattro giorni a questa parte - Rigsby, tu non sai quantoavevo bisogno di ricevere questa notizia...Arrivo subito e...Grazie”- e chiuse la conversazione.
Guardò i resti del SUV, era travolta da emozioni contrastanti. Avrebbe voluto poter piangere per Alec, ma allo stesso tempo ringraziava Dio per quella telefonata.

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Capitolo 6
*** Ray of light ***


 Rieccomi con una piccola sorpresa... Spero vi piaccia!! Il W Jane & Lisbon!



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Correva Lisbon, correva veloce tra i corridoi del Mercy Hospital, con il cuore che le batteva all’impazzata in petto e con un unico pensiero nella mente. Era talmente agitata che si aspettava che il cuore potesse scoppiarle da un momento all’altro.
Prese un profondo respiro, rallentò e sorrise a Rigsby che le stava venendo incontro lungo il corridoio, con un’espressione esasperata sul volto.
“Finalmente capo!” – sospirò lui alzando gli occhi al cielo – stavo rischiando di diventare matto!” – e accompagnò la frase con un gesto eloquente della mano. Poi notò il cerotto sulla fronte ed esitò.
“Tutto bene, Boss?” – chiese alzando un sopracciglio.
“Sì, è tutto a posto, ora. Non è nulla di grave” – si affrettò a rispondere con noncuranza, non aveva voglia di dare spiegazioni, adesso la sua priorità era un’altra.
“Come sta? Riesce a parlare?” –  lo incalzò poi.
“Se riesce a parlare?!? – ridacchiò lui – ho avuto la tentazione di sparagli, un paio di volte!”
“Ma non  mi dire …” – rise lei seguendolo all’interno della stanza.
“Eccola qua! Hai visto? E’ tutta intera!” – sbottò lui indicando Teresa – sei tranquillo ora, Jane?”
“Lisbon! – esclamò lui sorridendole appena la vide – stai … stai bene?”
Teresa sorrise dolcemente “Se IO sto bene?” – chiese fissandolo. Doveva avere un’espressione idiota, si disse, mentre si avvicinava al letto continuando a sorridere.
Era pallido Jane, con i capelli biondi spettinati e gli occhi cerchiati di scuro. Sul suo volto non c’era alcuna traccia della solita arroganza o malizia, ma semplicemente preoccupazione. Preoccupazione per cosa?
Teresa lo fissava in silenzio, mille domande le si affollavano nella testa mentre un nodo in gola le impediva di parlare. Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che era felice che stesse bene, ma rimase in silenzio ed immobile.
Ripensò alle ultime notti che aveva passato al suo capezzale sperando, ogni secondo, che lui si risvegliasse dal coma o le desse un minimo segno di speranza. Speranza che negli ultimi giorni si era talmente affievolita che aveva temuto concretamente di perderlo per sempre.
Rigsby fissò prima l’uno poi l’altro – “Ehm… vado a prendere un caffè” – esclamò imbarazzato lasciandoli finalmente soli.
“Lisbon, sei … sei in pericolo tu  devi - poi  s’interruppe quando si accorse della ferita  – cos’è … cos’è successo? Tu stai bene vero?” – chiese con ansia indicando la fronte.
Lei distolse lo sguardo imbarazzata – “Nulla di grave, sto bene  – minimizzò scuotendo la testa – Io in pericolo? Sei confuso Jane … Non sono io quella distesa su un letto d’ospedale.” – osservò ironicamente sollevando un sopracciglio.
“Teresa devi ascoltarmi!” – esclamò alzando la voce e sporgendosi verso di lei afferrandole il polso.
“Jane lasciami! Cosa diavolo ti prende? Non c’è nessun pericolo!” – lei cercò di divincolarsi ma lui la trattenne, nel suo sguardo lei lesse un’urgenza che gli aveva visto in rare occasioni e sempre quando c’era di mezzo Red John.
“Scommetto che non avete trovato dov’era il veleno, vero?” – si limitò a dire.
Lei lo fissò a bocca aperta. Rigsby poteva averglielo detto?
“No, Rigsby non mi ha detto nulla – rispose lasciandole il polso – vuoi sapere dov’è? Chi è il colpevole?”
Lisbon era confusa ma voleva una spiegazione. Aveva disperatamente bisogno di sentire da Jane che non aveva tentato il suicidio. Una parte di lei temeva, infondo, che quella potesse essere l’unica spiegazione possibile e ne era terrorizzata.
Lui sorrise stancamente. Sapeva a cosa stava pensando.
“Prima promettimi che non ti arrabbierai e che mi ascolterai fino alla fine”.
Teresa annuì, il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti. Cosa stava per dirle?
“Davvero credi che abbia tentato il suicidio? – le chiese guardandola intensamente – Prima di aver preso Red John e avergliela fatta pagare?”
Teresa non rispose, distolse lo sguardo. Avevano affrontato già altre volte questo discorso ed ogni volta sentire nella sua voce la stessa rabbia e la medesima voglia di vendetta la faceva stare male. Sapeva che il suo obiettivo era quello, uccidere Red John, ma in cuor suo sperava che con il tempo avrebbe capito che c’era un altro futuro per lui, un altro percorso possibile. Magari con lei? Scacciò subito quel pensiero.
Sentiva il suo sguardo su di lei, bruciarle la pelle tanto era intenso. Lui non aveva  mai voluto mentirle. Eppure avrebbe preferito che lo facesse. Perché se fosse riuscito nel suo intento e non fosse morto nel tentativo di vendicarsi, allora lei avrebbe dovuto arrestarlo e, nella migliore delle ipotesi, sarebbe finito in prigione o, peggio, condannato alla pena capitale.
“Il veleno è nei dolcetti che ti ha regalato Robertson” – disse senza distogliere lo sguardo.
Lei alzò di scatto la testa  - “Diavolo Jane, hai mangiato di nascosto i miei dolci? – sbottò – e hai anche letto il bigliettino! Che altro fai, mi spii nel bagno delle donne?
Jane si mosse a disagio sul letto, distogliendo finalmente lo sguardo – “Non direi … ero solo curioso di sapere chi ti mandava un regalo.”
“PATRICK JANE! Ma chi diavolo credi di essere per intrometterti nella mia vita privata? Non sono affari tuoi!!”
“Avevi promesso di non arrabbiarti e lasciarmi finire. Comunque – disse a sua difesa - mi sembra di averti salvato la vita!”
Lisbon ammutolì, quello che aveva appena detto era vero. Se Jane non si fosse comportato da Jane sarebbe sicuramente morta. Si arrabbiò ancora di più. Aveva passato gli ultimi quattro giorni a tormentarsi e disperarsi nel tentativo di dare una spiegazione a tutto questo. Sospirò esasperata.
Non si era suicidato, gridò una vocina nella sua testa.
“Tu non hai idea di quello che abbiamo passato Jane … tu non ne hai idea!” – ringhiò poi stringendo i pugni.
Jane annuì  -“Lo posso solo immaginare … ma lo rifarei se questo significasse salvare te. Te l’ho già detto Lisbon … io ti salverò sempre, che tu lo voglia o no”.
Teresa  alzò lo guardò puntandoglielo dritto negli occhi, in silenzio. Era sincero lo sapeva, era una delle rare occasioni in cui poteva credergli. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non riusciva ad aprir bocca. Se avesse parlato probabilmente avrebbe pianto. Rabbia, sollievo, gratitudine ed un altro sentimento a cui non voleva dare nome, perché ne aveva troppa paura, le affollavano il cuore e la mente lasciandola confusa ed indifesa.
“L’obiettivo non ero io, Teresa. Io sono stato l’imprevisto che ha rovinato i piani di chi ti voleva morta. Anzi di chi vuole eliminare te e il Senatore. Non te li ha mandati lui i dolcetti, naturalmente.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Meh … non è il tipo da dolci, è ovvio. Lui ti avrebbe mandato dei fiori, orchidee forse – disse semplicemente.
Lisbon annuì. Era vero. Quando aveva ricevuto il cestino di dolci era rimasta sorpresa che fosse un regalo di Alec, lui le avrebbe certamente mandato delle orchidee. Si morse il labbro nervosamente.
“Bisogna avvertirlo immediatamente, anche lui è in pericolo”.
Teresa tremò a quelle parole – “Credo … credo sia troppo tardi”.
Jane la guardò con aria interrogativa.
“Qualcuno ha fatto saltare in aria la sua auto” – si limitò a dire.
“Accidenti!”
“In realtà non siamo certi che fosse all’interno. La scientifica sta analizzando i resti – sospirò – Chi diavolo sta facendo tutto questo? L’unica persona che poteva avercela con entrambi è morta. Greg non può essere il responsabile!”
Jane sorrise. Come le era mancato quel sorriso, si disse Teresa sorridendo di rimando.
“Eleonor Norris” – esclamò.
“Chi? Eleonor Norris dovrebbe dirmi qualcosa?” – sbottò Teresa con un’espressione feroce.
“Oh, Lisbon, sei incredibile. L’hai incontrata ogni mattina negli ultimi 5 mesi – le disse rimproverandola affettuosamente – fai colazione ogni giorno allo Yum Yum Shop e non conosci nemmeno il nome della proprietaria?”
“E per quale motivo la proprietaria del mio caffè preferito dovrebbe voler far fuori me ed un Senatore degli Stati Uniti?” – chiese alzando il tono della voce.
Jane era impazzito? Forse avrebbe dovuto sparagli, si disse.
“Oh per un milione di motivi … tanto per cominciare non le lasci mai la mancia – ridacchiò lui, quindi fece una pausa teatrale – e poi controllerei la corrispondenza di Greg . Qualcosa mi dice che troverai sicuramente del materiale interessante.”
Teresa lo fissò a bocca aperta.  Eleonor Norris aveva una relazione con Greg? E Jane come poteva saperlo?
“Ah Lisbon, fossi in te controllerei anche il registro del CBI di 4 giorni fa. La nostra amica sarà sicuramente tra i visitatori”.
Teresa si sentiva confusa. Poteva aver risolto il caso anche in coma? Non sapeva se dar retta alle parole di Jane e chiamare Cho per avviare le verifiche del caso oppure, ancora una volta, optare per sparargli. Come poteva essere giunto a quelle conclusioni? Aveva sentito quello che lei gli raccontava mentre era in coma? Nelle notti in cui lo aveva vegliato non aveva fatto altro che parlare. Di tutto, non solo del caso.
Rabbrividì. Aveva sentito davvero tutto?
Prese il cellulare – “Cho! Dì a Van Pelt di controllare una certa Eleonor Norris … sì … esattamente, è la titolare dello Yum Yum Shop – guardò Jane che le sorrideva divertito – dille di contattare il penitenziario e di verificare se avesse contatti con Greg Courtney Hall, visite, lettere, qualsiasi cosa … Io e Rigsby nel frattempo dobbiamo passare al mio appartamento … forse abbiamo trovato  dov’era il veleno  – fece una  pausa – Sì lui sta bene … e sì, è un’idea sua.”
Jane sorrise e si appoggiò al cuscino.  Teresa chiuse la telefonata e si voltò a guardalo.
“Grazie” – le disse.
“E di cosa?” – chiese Teresa.
“Di avermi creduto”.
Lisbon sorrise arrossendo lievemente – “E’ una storia talmente assurda che dev’essere vera!” – si giustificò.
“Oh … certo – Patrick ridacchiò e poi cambiò discorso – Jeff Burckley, quindi …” – le disse mentre si stiracchiava.
Teresa arrossì violentemente – Ehm … dicono che quando una persona è in coma la musica aiuti a risvegliarla, quindi io …” – si giustificò muovendosi a disagio.
“Beh, poteva anche andarmi peggio … Potevi scegliere le Spice”.
Teresa alzò gli occhi al cielo – “Va al diavolo!” – rispose e si diresse verso la porta.
“Teresa “– la fermò lui sussurrando il suo nome con un’insolita dolcezza.
Lei si bloccò sulla soglia, girandosi appena.
“Stai attenta.”
Lisbon rispose con un lieve cenno del capo quindi uscì.

 

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Capitolo 7
*** A perfect circle ***


Eccomi con l'epilogo della nostra storia... c'è voluto un po'... Ringrazio tutti per le belle recensioni siete sempre fantastiche!!  Finalmente veniamo a capo del nostro mistero... Tutto troverà risposta...

Buona lettura e spero vi piaccia!!

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A sei giorni dal risveglio di Patrick e, dopo aver sorvegliato inutilmente l’appartamento di Eleonor Norris, fu chiaro a tutti che avevano a che fare con un osso duro. Nonostante il discreto vantaggio acquistato nelle indagini grazie alle deduzioni di Jane, in qualche modo la donna pur non sapendo di essere stata scoperta non aveva fatto ritorno alla sua abitazione. Lisbon e il resto del team brancolavano nel buio. Avevano passato al vaglio la vita della Norris e tutti i luoghi in qualche modo a lei collegati, ma non avevano idea di dove poterla scovare.

L’unico dato positivo al momento era che nel SUV esploso non c’erano tracce biologiche di Alec Robertson. Il Senatore non era all’interno dell’auto. Questo non escludeva che potesse essere già morto, ma l’unico pensiero di Lisbon, al momento, era trovare quella donna. Ogni minuto era prezioso.
Teresa era nervosa. Non solo l’indagine sembrava essere ad un punto morto, ma lei doveva sopportare 24 ore su 24 la presenza di una scorta.
Lei, l’agente tutto d’un pezzo, Teresa Lisbon? Non poteva sopportarlo, ma Hightower era stata irremovibile. o accettava la scorta oppure era fuori dal caso. Dopo il ritrovamento del veleno nei fantomatici dolcetti, la donna non aveva voluto sentire ragioni: gli agenti federali Crowford e Miles erano diventati la sua ombra.
Sospirò. Dovevano risolvere in fretta il caso o sarebbe impazzita.
“Cho! Chiama la polizia di Davis, chiedi che mettano un paio di poliziotti a sorvegliare l’appartamento e ci chiamino se la Norris dovesse farvi ritorno. Stiamo perdendo tempo prezioso qui. - sbottò accendendo il motore - Rigsby, dì agli angeli custodi  lì dietro che ci muoviamo” - disse accennando alla berlina blu dell’FBI parcheggiata poco distante.
“Certo, Boss!” - Wayne aprì la porta e si diresse verso l’auto scura, rientrando poco dopo.
“Hey capo... Tornando al CBI, potremmo fare una breve deviazione al Mercy e salutare Jane?" - propose Van Pelt con tono supplichevole.
Lisbon la fissò dallo specchietto retrovisore e le fece un sorriso.
“Ok, ma solo un saluto. Abbiamo un caso da risolvere, e piuttosto velocemente. Non voglio avere Crowford e Miles tra i piedi ancora per molto!” - borbottò, ma in cuor suo non vedeva l’ora di rivedere Jane. Da quando si era risvegliato dal coma non aveva avuto molte occasioni di fargli visita.
Van Pelt annuì soddisfatta. Teresa ingranò la marcia e partì velocemente. Guidare la rilassava, il traffico a quell’ora era scorrevole e in breve tempo raggiunsero l’ospedale. Una volta arrivati riuscì anche a convincere la scorta che all’interno sarebbe stata al sicuro, così i due agenti rimasero ad aspettarla fuori.
All’ingresso Rigsby lamentò subito un languorino e si allontanò per recuperare del cibo, seguito da un silenzioso Cho. Van Pelt, invece, decise di acquistare qualcosa per Jane come augurio di pronta guarigione e si allontanò velocemente, lasciando Teresa da sola nella Hall del Mercy.
Lisbon sospirò, quindi borbottando tra sé s’incamminò verso l’ascensore per raggiungere il reparto dove Patrick era ricoverato.
Entrò nella stanza con un gran sorriso, che le morì immediatamente sulle labbra non appena si accorse che il letto di Jane era vuoto. Il cuore cominciò a battere all’impazzata, mentre una sensazione di panico si faceva rapidamente strada nella sua mente. Dov’era finito Jane? Si era sentito male? Aveva avuto una ricaduta?
“Hey Lisbon!” - una voce familiare interruppe il filo dei suoi pensieri.
Si voltò di scatto. Sul suo volto si poteva leggere chiaramente la paura.
Jane era seduto su una sedia a rotelle e le sorrideva. Il suo viso aveva ripreso un colorito normale, le occhiaie erano quasi del tutto sparite. Non indossava il solito completo tre pezzi, ma un maglione blu, che metteva in risalto i capelli e gli occhi chiari, ed un semplice paio di jeans. Stava bene.
“E’ tutto ok?” - le chiese Jane preoccupato, notando la sua espressione.
Lisbon ridacchiò imbarazzata - “Ehm ... tutto a posto, ho solo pensato che …" - e lasciò la frase a metà.
L’infermiere afro-americano, che accompagnava Jane, le sorrise - “Non si preoccupi Signora Jane, abbiamo portato suo marito a fare gli ultimi controlli prima di dimetterlo. E’ tutto a posto e domani torna a casa!”  
“Oh, ottimo... ma io non sono sua m...moglie… - provò a rispondere Lisbon, mentre le sue guance diventavano improvvisamente color porpora.
“Oh mi scusi … Comunque se la deve terner stretta, sa?  - disse poi l’infermiere rivolgendosi a Patrick, che lo fissava divertito - la sua fidanzata non l’ha lasciata un attimo. Tutte le notti è rimasta seduta qui a vegliarla. E’ davvero un uomo fortunato!” - concluse facendo l’occhiolino ad entrambi. Li salutò con un gran sorriso spingendo la sedia a rotelle fuori dalla camera.
Lisbon avrebbe tanto voluto che una voragine si aprisse nel pavimento e la risucchiasse evitando l’imbarazzo di quel momento. Non aveva più il coraggio di  alzare lo sguardo su Jane. Lui invece se ne stava tranquillo a guardarla con un sorrisetto ironico.
“Jane! - l’ingresso di Van Pelt e degli altri membri del team la salvò - Come stai?” - si abbracciarono e la rossa gli porse un sacchetto di carta ed una tazza di tea fumante.
Lisbon sospirò grata, per una volta, per il tempismo dei suoi uomini.
“Oh grazie Grace! - esclamò Patrick assaporando il tea - Hum … perfetto!”
Cho, Rigsby e Van Pelt chiaccherarono con Jane qualche minuto. Aggiornandolo sugli ultimi eventi, chiedendogli di svelargli come avesse potuto risolvere il caso anche in stato di coma. Lo fissavano stupiti, pendendo dalla sue labbra come dei bambini che stessero aspettando la loro favola preferita.
“Ehm... Jane, quand’eri in coma hai visto... qualcosa?” - chiese inaspettatamente Van Pelt.
“Qualcosa?” - chiesero in coro Teresa e Jane.
“Si. Molte persone quando escono dal coma raccontano di aver avuto strane visioni. Alcuni riferiscono di aver attraversato un tunnel di luce e alla fine di aver incontrato entità o parenti morti, altri di aver vissuto esperienze extracorporee...” - si giustificò la rossa leggermente imbarazzata.
Rigsby e Cho la fissarono con un sorrisetto sulle labbra. Lisbon, invece, sgranò gli occhi pensando alla moglie e alla figlia di Jane. Trattenne il respiro temendo per lui.
“Oh … - Jane sorrise - ora che ci penso… luce eh?- chiese.
Van Pelt annuì speranzosa.
“Si, in effetti c’era tanta luce … e ho visto qualcosa, sì… era, era..." -  fece una pausa d’effetto.
“Cos’era Jane?”- i tre agenti si avvicinarono incuriositi.
“Hum... un grande e comodo divano!” - rispose Jane stiracchiandosi.
“Ma certo! - rise Lisbon - Cos’altro poteva essere?”.
Van Pelt alzò gli occhi al cielo e ridacchiò.
“Lo so, lo so. Vi sono mancato, eh?”
“Già, come no... - sbottò Lisbon tra i denti - come un fastidio al culo”
“Comunque devi ancora dirci come hai fatto a risolvere il caso!”  - insistette Rigsby.
“Ho sentito un'interferenza nella forza...” - rispose Jane criptico.
“Certo, ho capito..." - sbuffò Wayne allungando 30 dollari a Cho.
“Ok, la festa è finita, dobbiamo andare abbiamo un caso da risolvere!” - intervenne Lisbon.
Van Pelt, Cho e Rigsby salutarono Jane e uscirono dalla stanza allontanandosi nel corridoio. Lisbon stava per seguirli, ma Patrick la trattenne.
“Teresa” - disse in un soffio.
Da quando la chiamava per nome? E con quel tono così tenero? Si domandò tremando.
“Volevo ringraziarti” - la stava guardando così intensamente che Lisbon sentì il cuore impazzire.
“Non è necessario, io…" - cercò di minimizzare. La voce le usciva strozzata.
“Grazie per essermi rimasta accanto.” - insistette lui, accarezzandole la mano. Un tocco lieve, appena accennato.
Lisbon arrossì - “Tu avresti fatto la stessa cosa per me…”-
Jane sorrise illuminando il volto. Lisbon non poteva fare a meno di sorridere a sua volta. Era così contaggioso. Avrebbe ucciso per poter continuare a vedere quel sorriso.
Distolse lo sguardo imbarazzata e uscì.
Per la fretta urtò contro una giovane infermiera che spingeva una sedia a rotelle vuota. Lisbon si scusò, ma la donna bionda non la degnò nemmeno di uno sguardo, proseguendo lungo il corridoio ed entrando nella stanza di Jane.
Lisbon s’incamminò verso l’ascensore. Una vocina nella testa le diceva che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ed una strana inquietudine l’assalì. Qualcosa le stava sfuggendo.
Si bloccò all’improvviso. Jane aveva finito i controlli, le era stato detto pochi minuti prima, allora perché quell’infermiera era entrata nella sua stanza? Dove aveva già visto quella donna?
Il sangue le si gelò nelle vene. Era lei... Indossava degli occhiali e i capelli erano acconciati diversamente, ma era sicuramente Eleonor Norris.
Non ci pensò un’attimo e fece dietro front. Cho e Rigsby, che la stavano aspettando in fondo al corridoio, la videro schizzare verso la stanza di Jane. Si scambiarono uno sguardo, quindi decisero di seguirla.
Fortunatamente aveva con sé la sua Glock, si disse Lisbon impugnando la pistola. Si affacciò con cautela all’interno della stanza.
Jane era seduto sulla sedia a rotelle, immobile, il volto teso. La donna stava dietro di lui con il corpo sottile così vicino a quello di Jane, che non riusciva a capire se impugnasse un’arma. Sicuramente aveva una pistola, si disse Teresa.
“Oh, è qui Agente Lisbon!” - la canzonò la giovane, spostando di lato la testa e spingendo Jane verso la porta.
“Lascialo andare subito! Non puoi scappare!” - ringhiò Teresa, puntandole l’arma contro.
La donna in tutta risposta ridacchiò, scostandosi appena dalla sedia per mostrarle la pistola. La stava puntando all’altezza della schiena di Patrick. Teresa s’immobilizzò: fissava Jane dritto negli occhi nel tentativo di tranquillizzarlo.
“Ora dimmi, agente Lisbon, quanto vale il tuo amico?”
“Prendi me…  - disse calma - lui non c’entra in tutto questo, non è vero? Tu vuoi me!”
Jane la fissò turbato ma non osò dire nulla.  
La donna rise - “Oh come sei dolce, davvero! Ma credo che lui verrà con me, comunque… Sai, ho già dei progetti per lui!” - e afferrò Jane per i capelli costringendolo a voltarsi a guardarla.
“E’ proprio carino… lo devo ammettere, in fatto di uomini hai davvero buon gusto, Teresa!”
Lisbon la fissò minacciosa. Doveva fare qualcosa, si disse. Con la coda dell’occhio vide Cho e Rigsby avvicinarsi ed allontanare medici e pazienti. Il corridoio era vuoto ora.
“Ascolta, manteniamo la calma … noi possiamo trovare il modo di aiutarti” - intervenne Lisbon indietreggiando lentamente, mentre la donna avanzava verso la porta.
“So che sei arrabbiata per la morte di Greg”  - continuò, lanciando occhiate furtive in direzione di Rigsby e Cho.
“No! - urlò in tutta risposta la bionda, premendo l’arma contro Jane - Non osare nominarlo! TU non puoi, TU non ti puoi permettere!” - sibilò, il volto livido per la rabbia.
“Lisbon per l’amor di Dio!” - piagnucolò Jane.
“Ok, ok..." - Teresa fece un altro passo indietro, la pistola sempre salda in pugno.
“Metti giù la pistola, Agente Lisbon … Non vorrai che mi parta un colpo, vero?”
Lisbon obbedì e lentamente abbassò l’arma, lasciandola scivolare sul pavimento.
“Hum … Sai una cosa? Ho avuto bel colpo di fortuna a trovarti qui. Ti piacerà lo spettacolo che ho in mente! - ridacchiò la donna - Cammina! Dì ai tuoi uomini di abbassare le armi... Se solo uno di loro fa un gesto, lui muore. Sono stata chiara?” - minacciò uscendo dalla stanza.
Lisbon annuì indietreggiando. Le cose le stavano sfuggendo di mano, doveva fermare quella pazza. Cosa aveva in mente? Come diavolo erano finiti in quella situazione? Una parte di lei continuava a ripeterle che se non fossero passati a salutare Jane non l’avrebbe più rivisto, l’altra cercava una via di uscita. Smettila Teresa, si rimproverò cercando di mettere ordine ai suoi pensieri. Doveva mantenere la calma se voleva salvare entrambi.
Rigsby e Cho, abbassarono le armi e rimasero immobili a fissare i tre che si allontanavano lungo il corridoio deserto. Ancora pochi passi e sarebbero arrivati all’ascensore. Teresa camminava accanto a Jane, cercando di trovare il momento più adatto per un’azione diversiva.
Cosa poteva fare senza rischiare di farli ammazzare entrambi?
Ad un tratto scorse Van Pelt appiattita dietro ad una porta. Avevano solo una possibilità, si disse Lisbon e si augurò che la Norris non avesse l’avesse notata.
La porta dell’ascensore si aprì all’improvviso, approffittando del momento di sorpresa, Van Pelt uscì dalla stanza e si gettò contro la donna. Lisbon reagì subito e coprì Jane con il suo corpo, gettando lui e la sedia rotelle a terra.
Van Pelt e la donna lottavano sul pavimento. L’agente la colpì un paio di volte al volto nel tentativo di stordirla e riuscire a strapparle di mano la pistola. Eleonor reagì e partì un colpo.
Rigsby e Cho corsero in aiuto di Van Pelt che, con fatica, era riuscita bloccare la giovane donna. Anche gli agenti Crowford e Miles, usciti dall’ascensore, accorsero in aiuto armi in pugno.
“No! - urlava la Norris dimenandosi salvaggiamente - No, no, noooooo!”
“Ferma! ‘Sta ferma accidenti!” - le urlò Rigsby riuscendo a bloccarla. La sollevò quasi di peso e l’ammanettò. La consegnò quindi all’agente Miles che la trascinò via.
“Tutto bene Grace? - chiese Wayne alla rossa, ancora seduta sul pavimento.
Lei annuì ansimante, quindi si rimise in piedi. Diede uno sguardo a Jane e Lisbon ancora a terra.
Una pozza di sangue intorno ai loro corpi immobili, la raggelò. Guardò prima Rigsby e poi Cho. Nessuno sembrava aver il coraggio di fare nulla.
“Beh … qualcuno vuole aiutarci o pensate di rimanere lì impalati per tutto il tempo?” - sbottò Lisbon, sollevando un braccio nel tentativo di rialzarsi. Era incastrata tra la sedia a rotelle e il corpo di Jane.
“Hum... sei una falsa magra ... te l’ha mai detto nessuno, Lisbon?" - sbuffò Patrick cercando di spostarla.
“Oh... stai zitto Jane!”
“State bene? Siete feriti?” - chiese preoccupata Van Pelt, aiutandoli a rialzarsi. C’era sangue ovunque.
“Io, sto bene …” - esclamò Teresa guardandosi alla ricerca di ferite, quindi si voltò preoccupata verso Jane.
“Anche io…” - sospirò Patrick tastandosi il corpo dolorante.
“Credo di aver trovato il ferito” - disse Cho con il suo consueto tono, indicando un flacone di sangue poco lontano.
Van Pelt si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

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Eleonor Norris se ne stava immobile a fissare il vuoto. Da quando era entrata nella sala interrogatori tre non aveva aperto bocca, né aveva cambiato espressione. Sembrava assente.
Dopo l’ennesima domanda a cui non avevano ricevuto risposta, Lisbon e Jane si scambiarono un rapido sguardo. Il consulente sorrise, prese una sorsata del suo tea preferito, quindi aprì il sacchettino che aveva davanti a sé. Lisbon lo osservò perplessa, un sorrisetto imbarazzato.
“Jane” - sussurrò con dolcezza.
Lui rispose con un sorriso e si sistemò il panciotto.
“Lo sai Lisbon che il segreto per un buon muffin è la pigrizia?” - le disse addentando un bluberry e porgendogliene uno.
La Norris spostò lo sguardo su di lui, ma non disse nulla.
“Beh ... chi meglio di te può saperlo” - rispose Lisbon un po’ acida, rifiutando il muffin.
“Il segreto è non mescolare troppo l’impasto” - sussurrò la donna, come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno.
“Visto? Che ti avevo detto Lisbon? Io l’ho scoperto su Internet!” - disse divertito.
“Su Internet si trova di tutto, ormai” - intervenne Lisbon asciutta.
“Hum, è vero! Si può imparate tutto sui veleni - disse Jane sempre sorridendo - o su come costruire una bomba!”
Eleonor sorrise. Patrick Jane le piaceva, dopo tutto.
“Immagino che ti chieda come ho fatto a capire che eri tu” - le disse all’improvviso.
“No” - si limitò a rispondere.
“Bugiarda - rise lui - ti dirò come ho fatto, se tu ci dirai dov’è il Senatore. Mi sembra un’equo scambio”.
“No” - ripetè, ma era stata meno risoluta nel rispondere questa volta.
Lisbon la fissò minacciosa, senza dire nulla. Avrebbe voluto prendere quella donna a calci per farsi rivelare dov’era Alec, ma fino a quel momento la sua linea d’interrogatorio non aveva portato a nulla di buono, quindi doveva lasciar fare a Patrick. Si morse il labbro per non parlare.
“Non lo vuoi sapere?” - le chiese.
“Tanto è già morto a quest’ora” - esclamò lei con un sorriso beffardo.
“Oh, no Eleonor - Jane era serio ora - avevi intenzione di ucciderci tutti insieme. Uno alla volta, in modo che soffrissimo. Come stai soffrendo tu, ora. Prima avresti ucciso me, poi Lisbon ed infine... Robertson! ”
Lei smise di ridere. Non lo trovava più così divertente.
“Quindi, no. Il Senatore Robertson non è morto. Forse era il tuo piano all’inizio. Uccidere Lisbon, facendo ricadere la colpa su Robertson, poi simularne il suicidio... Ma ho rovinato il tuo piano e hai dovuto improvvisare … Devi sapere che lo troveremo, in ogni caso, con o senza il tuo aiuto. A te la scelta.”
Eleonor non disse nulla, un lieve fremito alla palpebra però rivelò il suo nervosismo. Così come era riuscito a capire, aldilà di ogni logica, che c’era lei dietro al cianuro e al rapimento, così avrebbe ritrovato Robertson. Ma come aveva fatto a scoprirla? Era stata così cauta. Era curiosa, terribilmente curiosa.
Sospirò - “Avrei dovuto metterci una dose doppia” - si limitò a dire.
“La prossima volta... magari” - replicò Patrick.
“Dov’è?” - intervenne Lisbon, impaziente.
“Dove dovrebbe essere - le rispose lei quasi annoiata - al cimitero.”
“Ma certo! -  esclamò Jane balzando dalla sedia - Sicuramente Robertson ha una tomba di famiglia!”
Lisbon guardò il vetro dietro di lei e fece cenno a Wayne di controllare.
“Ora tocca a te - sibilò Eleonor - come mi hai scoperta?”.
“Oh, certo... Tre settimane fa allo Yum Yum Shop eri così triste. Tu, sempre allegra e solare, nascondevi a stento il tuo dolore. Mi sono chiesto perché mai avessi pianto. Chi ti avesse fatto piangere. Ho notato una lettera con il timbro di Corcoran. La prigione di stato è lì, non è così? Era una lettera di Greg. L’ultima in cui ti diceva della condanna a morte.”
Eleonor ebbe un fremito, ma non disse nulla.
“E poi lo Yum Yum Shop era chiuso da un paio di giorni, eppure i dolcetti sulla scrivania di Lisbon sono arrivati quella mattina. Così ho fatto due più due.”
Una lacrima scese lungo la guancia della giovane donna. Quella lettera l’aveva annientata.
“Lo hanno abbandonato. Hanno permesso che morisse” - sussurrò tra le lacrime puntando il dito contro Lisbon.
“Aveva ucciso a sangue freddo due persone innocenti - le rispose Jane - sua madre era incinta...”.
“Non era come dicevano. Era buono! Lui mi amava... lui mi ascoltava, mi capiva... lui" - singhiozzò.
“Certo! Lui amava te, e Linda e Vanessa ..." - intervenne Lisbon, gettando sul tavolo le lettere che Greg scriveva dal carcere.
Eleonor spalancò gli occhi, prese un paio di lettere, quindi scosse la testa incredula e confusa.
“Greg … lui...” - ammutolì.
Jane la guardò un’ultima volta, con pietà. In silenzio uscì dalla stanza.

…...............................

“Volevo complimentarmi con voi e dirvi che il Sindaco è molto soddisfatto di come avete risolto il caso” - Hightower aveva raggiunto Lisbon, Jane e il resto della squadra mentre stavano mangiando la pizza caso chiuso.
“Grazie Signora. Tutto è bene quel che finisce bene” - disse Teresa sorridendo un po’ imbarazzata, ricordando che, quello che per lei era stato il caso più difficile della sua carriera, si era concluso nel migliore dei modi: sia Jane che Alec erano sani e salvi ed il colpevole era sottochiave.
“Jane … - disse poi la donna rivolgendosi al biondo consulente - bentornato nella squadra!”.
“Grazie Madeleine” - rispose con uno dei suoi sorrisi.
Hightower si congedò dal gruppo e i cinque ripresero a mangiare allegramente.
“A Jane e al caso chiuso” - esclamò ad un certo punto, Rigsby alzando un bicchiere.
Tutti si unirono a lui.
“Anche se non ci dirà mai come ha fatto” - concluse Cho sorridendo compiaciuto.
“Ogni mago ha i suoi trucchi!” - rispose Jane addentando una fetta di pizza.
Teresa era silenziosa. Spostava il suo sguardo da Jane al resto del team.
Grace, ingenua, dolce e premurosa. Rigsby impacciato, onesto e spontaneo.
Cho, intelligente, acuto e intelliggibile.
E poi Jane.
Erano la sua famiglia. Doveva proteggerli.
Bevve un sorso di birra e si alzò.
“Hey Boss... vai già via?” - chiese Van Pelt.
“Ho del lavoro da finire...” - cercò di giustificarsi, con un sorriso imbarazzato.
In realtà il lavoro burocratico avrebbe potuto aspettare, ma aveva bisogno di stare sola.
Salutò tutti, evitando di incrociare lo sguardo curioso di Jane, quindi si chiuse nel suo ufficio.
Doveva pensare.
C’era una questione che fino a quel momento aveva volutamente evitato ma che ora, dal momento che tutto era finito per il meglio, doveva affrontare. Si sentiva confusa e terrorizzata.
Abbassò lo sguardo sul libro di poesie di William Blake.
Jane le aveva mentito.
Sospirò. Era arrabbiata, delusa e... triste.
Doveva aspettarselo, no? Jane mentiva e manipolava chiunque, da sempre.
Perché mai lei avrebbe dovuto costituire un’eccezione? Lei non era diversa, no?
Cosa doveva fare adesso?
Doveva proteggere  la sua squadra, si disse. Il comportamento di Jane rischiava di metterli tutti in pericolo.
Guardò per l’ennesima volta il libro come se potesse trovarvi la risposta che cercava.
Sentì bussare, ma non rispose.
La porta si aprì e una testa bionda fece capolino nel suo ufficio.
“Tutto bene, Lisbon?” - le chiese.
“No” - ripose sincera fissandolo triste.
Jane chiuse la porta e le si avvicinò. Abbassò lo sguardo verso il libro di Blake.
“Oh” - disse soltanto.
“Van Pelt l’ha trovato mentre cercava di interpretare il messaggio di Red John... Dammi una sola ragione perché non dovrei cacciarti su due piedi dal CBI! - lo implorò lei trattanendo a stento la rabbia - E non dirmi che chiudi i casi, perché non è più sufficiente, te lo giuro!”
“Lisbon... Io volevo solo proteggerti... volevo tenerti al sicuro” - si giustificò cercando i suoi occhi.
“Oh non prendermi per il culo, Patrick Jane! - sibilò dura - Credi che nascondermi informazioni sul caso possa salvarmi la vita? Davvero?”
“Vuoi sapere qual’è la verità? - sbottò poi con rabbia- Tu volevi solo essere un passo avanti a noi, per poter prendere Red John! Per poter raggiungere il tuo scopo! Per vendicarti! Questa è la verità, Jane!”
Lui non disse nulla. La fissava in silenzio con le mani in tasca.
Lisbon ansimava.
Perché non diceva nulla? Perché non provava a convincerla che non era così che stavano le cose?
Dì qualcosa Jane. Dì qualcosa, implorò.
“Hai ragione. - disse, la voce ridotta ad un sussurro - Quando Red John mi ha salvato e mi ha sussurrato quel brano di Blake, ho pensato che avrei potuto tenermelo per me. Che avrei potuto interpretarlo e poi scovarlo, Perché devo catturarlo Lisbon. Lo devo fare per mia moglie e mia figlia! Non ti ho mai mentito su questo, lo sai.”
Jane la fissò intensamente. Lei sentì salirle un nodo alla gola.
“Catturare Red John è stato l’unica cosa che mi ha permesso di resistere. Che mi ha dato una ragione per vivere... - le confidò.
Lei abbassò lo sguardo. Lei e il team non contavano davvero nulla per lui?
“Lo so....- rispose Teresa con voce tremante. Aveva sempre sperato che sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
“Era l’unico motivo, Lisbon... almeno fino a quando qualcuno non mi ha fatto capire che avevo una nuova famiglia, che non ero più solo...” - le disse avvicinandosi.
Lisbon si ritrasse confusa.
“Devo tenerti lontana da John. Finché non diventerai una minaccia per lui, allora sarai al sicuro! Non conosco altro modo per proteggerti!”
“Non ho bisogno che mi proteggi, sono in grado di cavarmela da sola! Sono un poliziotto!” - rispose lei stringendo i pugni.
“Cosa credi che succederebbe Lisbon, se dovessi perdere la mia famiglia un’altra volta?”
Lisbon lo fissò perplessa. Ma non aveva la forza di dire nulla.
“Quando ero in coma ho visto il mio funerale” - esclamò ad un tratto, come se non avessero parlato d’altro fino ad allora. Come se stessero discutendo del più e del meno.
“C’eravate tutti. Tu,  Minelli, Grace, Rigsby, Cho. Niente visioni del paradiso... Niente Angela o Charlotte. Sono rimasto qui con voi... con te.”
Lisbon lo fissò a bocca aperta. Stava tremando.
“Mi dispiace Lisbon, davvero.”
“Ci farai uccidere tutti, Jane.” - sussurrò lei con un nodo alla gola.
“Cosa vuoi che faccia?” - disse.
“Devi dirmi tutto. Niente più segreti, niente più bugie. Altrimenti sarò costretta a... - si interruppe non riusciva nemmeno a pensare al team senza Jane - sarò costretta a cacciarti dalla squadra.”
“Capisco.” - sospirò, mentre pensava alla pistola nascosta in soffitta e alla morte di Todd Johnson.
“Cosa significa quella poesia - iniziò lei indicando il libro - sei riuscito a capirci qualcosa?”
Lui si strinse nelle spalle “No, non molto in verità.”
“C’è dell’altro vero?”- non era una domanda.
Jane sorrise stancamente - “L’allieva supera il maestro... ci sono un paio si cose che non ti ho detto”
“Ti ascolto”- disse incrociando le braccia al petto.
E lui le raccontò tutto. Dapprima era stato incerto e titubante, poi le parole avevano iniziato a uscire sempre più facilmente, come se non stesse aspettando altro che confidarsi con lei. Lisbon ascoltava in silenzio, annuendo di tanto in tanto.
“Chi credi sia la talpa?” - disse una volta che Jane aveva terminato.
Non era arrabbiata ora, ma solo preoccupata.
“Hum... è difficile dirlo.”
“Incredibile! Patrick Jane è in difficoltà! Se non fosse una situazione drammatica ci sarebbe da riderne!” - esclamò Teresa sollevando un sopracciglio.
“Van Pelt ha scoperto qualcosa riguardo a Blake?” - chiese lui pensieroso.
“No, non abbiamo più seguito quella pista. Ha solo trovato il collegamento tra una frase del messaggio e la strofa che avevi sottolineato tu... niente di più.”
“Oh...”- rispose con un’espressione indecifrabile - Cho e Rigsby avranno scommesso anche su quello” - aggiunse con un sorriso
“Ci metterei la mano sul fuoco!”
Lui sorrise - “Pace?”- chiese guardandola intensamente.
“Non lo so...- rispose lei facendo il broncio - Prima devi consegnarmi la pistola.”
Lui annuì, quindi le si avvicinò e le sfiorò la guancia con un bacio. Un tocco leggero che la fece tremare.
“Non credere che un bacio possa sistemare tutto - esclamò poi imbarazzata - se mi nascondi ancora qualcosa ti sparo!”
Patrick annuì senza allontanarsi da lei. Le sfiorava il braccio con una mano e manteneva il contatto visivo.
“E’ stato bello parlare con te... - le disse con un tono di voce caldo e profondo - Mi ha fatto bene. Non ti senti meglio anche tu? Più rilassata e serena?”
Teresa annuì si sentiva meglio era vero, ma anche incredibilmente stanca. Sentiva Jane sussurrarle qualcosa ma non ne capiva il senso, sentiva solo le palpebre pesanti. Voleva così tanto dormire e dimenticare tutto.
Jane la fece sedere sul divano, continuando a parlarle con voce suadente e profonda.
“Perdonami Lisbon - le sussurrò dopo averla ipnotizzata - devo proteggerti e questo è l’unico modo che conosco...”
Le diede un leggero bacio sulla fronte, quindi si alzò dal divano avvicinandosi alla scrivania. Aprì il fascicolo del caso, lo sfogliò alla ricerca di riferimenti a Blake e non trovando nulla sorrise compiaciuto, quindi prese il libro e se lo mise in tasca.
Tornò da Lisbon, la fissò per un istante. Era così indifesa ora.
“Mi dispiace tanto... - sussurrò accarezzandole una guancia -  quando ti risveglierai ti sentirai serena e riposata, non avrai nessun dubbio, non ricorderai nulla di quello che ti ho detto... Questa discussione non c’è mai stata, Lisbon. Non c’è niente da scoprire, nessuna verità nascosta, è tutto a posto ora, Teresa. E’ tutto a posto...”
Sospirò, si alzò dal divano e le toccò la spalla.
“Che vuoi Jane?” - chiese lei un po’ confusa aprendo gli occhi.
Cosa ci faceva sul divano e perché Jane era così vicino? Doveva aver bevuto un goccio di troppo, si rimproverò arrossendo lievemente. Era andata nel suo ufficio per compilare i rapporti e... doveva essersi addormentata.
“Ehm Lisbon... scusami non volevo svegliarti - le sussurrò - ero venuto a cercare la giacca che indossavo quella sera... hai idea di che fine abbia fatto?” - le chiese con il suo consueto sorriso malizioso.
“La tua giacca? Perché mai dovrei saperlo?” - disse con un’alzata di spalle.
“Hum... non importa. Proverò a chiedere a Van Pelt e agli altri se l’hanno vista.”
“Buona fortuna allora... notte Jane” - disse sbadigliando.
“Buona notte mia cara” -  lui accennò un saluto con la mano.
Teresa lo fissò allontanarsi, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
Quando fu certa di essere nuovo sola, si lasciò cadere sul divano, spostò il cuscino e ne tirò fuori una giacca da uomo. La portò al viso ispirandone il profumo.
Dovresti ridargliela, si rimproverò. E lo sai che non sta bene dire le bugie, Teresa.
Aveva tenuto con sé la giacca di Jane da quella tragica sera. Una specie di ancora di salvezza nei giorni in cui lui era stato in coma. Ora che stava di nuovo bene avrebbe dovuto restituirgliela.
Lo sai che non puoi tenerla.... La sua coscenza si faceva sentire.
Sbuffò. Aspettiamo fino a domani, che male c’è...
Prometto domani gliela restituisco. Sì, sorrise, domani gliela restituisco.

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