'Dobbiamo parlare di Jacqueline' (parte1)

di Jacqueline Crayle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luglio: Dove mi trovo? ***
Capitolo 2: *** Agosto: Riabilitazione ***
Capitolo 3: *** Settembre: Casa ***
Capitolo 4: *** Ottobre: Un po' di calore ***
Capitolo 5: *** Novembre: Amabile Dipendenza ***
Capitolo 6: *** Dicembre: Il più bel regalo ***
Capitolo 7: *** Gennaio: Léon ***
Capitolo 8: *** Febbraio: Sana gelosia ***
Capitolo 9: *** Marzo: 'Lullabye' ***
Capitolo 10: *** Aprile: Pozioni e Verità ***
Capitolo 11: *** Maggio: Sotto la pioggia ***
Capitolo 12: *** Giugno: Fidati di me ***



Capitolo 1
*** Luglio: Dove mi trovo? ***


CAPITOLO 1: Dove mi trovo?

 

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Premessa:
Questa è la continuazione di altre tre FF, scritte da me qualche anno fa e andate perse nei meandri del mio vecchio (e defunto!) hardware.
Ne riassumo brevemente il contenuto:
1. Jacqueline è una ragazza di 13 anni. 
    Si trova nel suo orfanotrofio in Spinner’s End quando viene chiamata a frequentare il primo anno ad Hogwarts da un uomo che le si presenta come il professor Piton.
    E’ lui ad accompagnarla a Londra a settembre, salvo poi sparire.
    Ad Hogwarts viene assegnata alla Casa di Corvonero (è coetanea di Harry Potter), e stringe subito amicizia con Fred e George, e con la compagna di classe Cho.
2. Durante il 3° anno scopre di essere sorella di Sirius Black (lo apprende spiando una conversazione tra Lupin, che le si affeziona, e Piton).
    Dopo la fuga del fratello, si troverà costretta a tornare in orfanotrofio, ma rimarranno in contatto via posta.
3. L’estate prima del 5° anno si trova alla Tana quando Fred le dichiara il suo amore. 
    Inizia una relazione felice, ostacolata solo dalla perfidia della Umbridge e dalla trionfale fuga dei gemelli. Con Cho e Ginny (sua nuova amica) partecipa all’ES.
    Sirius muore e Jacqueline dà la colpa a Harry.
    Lupin non vuole lasciarla sola ma non può occuparsi di lei, e chiede a Piton (che Jacqueline scopre abitare in Spinner’s End) di prenderla con sé per l’estate.
Il corso degli eventi è fedele a quello del sesto libro della saga salvo per 5 modifiche:
- Jacqueline! (E quindi i suoi rapporti con i personaggi originali)
- Gli alunni del primo anno a Hogwarts hanno 13 anni e non 11
- Piton dovrebbe essere diventato professore di Difesa contro le Arti Oscure e invece insegna ancora Pozioni
- Tonks dovrebbe essere depressa (vedi capelli grigio topo!) e invece è felice come una Pasqua
- Cho ha un anno in meno (è coetanea di Jacqueline e quindi anche di Harry e co.)

 

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Un lampo di luce tagliò il buio della stanza.
Gli occhi di Jacqueline si serrarono istintivamente, poi lentamente cominciarono a schiudersi sul nuovo giorno.
‘Dove mi trovo?’ fu il primo, spontaneo pensiero.
La porta della camera era aperta, e sulla soglia si stagliava imponente la nera figura dell’uomo che, da un mese a quella parte, arrivava a svegliarla.
L’immagine familiare la riportò alla consapevolezza.
- Sono le nove. Hai fame? -  chiese il professor Piton.
Per tutta risposta, Jacqueline ricacciò la testa nel cuscino di piume, girandosi dall’altra parte.
La porta della stanza si richiuse con uno schiocco secco.
Lo stesso rituale si ripeteva ogni mattina da quando, a metà giugno, Jacqueline era stata accompagnata in quella stessa stanza dal silenzioso padrone di casa.

Un doloroso flashback la strappò alla polverosa soffitta.
Tre parole:  < Sirius è morto >
Una fitta al petto.
Aveva scoperto di avere un fratello dopo tanti anni di solitudine e in quel modo orribile, veloce come era arrivato, le era stato portato via.
Sola, di nuovo.
L'abbraccio di Cho e di Ginny, le frasi vuote dell’anziano preside, l'ira cieca riversata su Harry, unico vero responsabile della morte di Sirius.
Il letto duro dell’infermeria in cui si era rifugiata, e le parole sussurrate da Lupin sulla soglia.
< Non voglio che faccia ritorno in orfanotrofio ma non posso tenerla con me… >
< Non sono la persona adatta >
< Severus non ti ho mai chiesto un favore, ma ora ho bisogno del tuo aiuto >
E poi ancora, il fischio acuto della locomotiva, la nuvola densa di vapore che galleggiava sul binario mentre lei lo attraversava in trance. Le spalle strette nella salda presa di quell'uomo silenzioso che la conduceva con sé, sotto lo sguardo muto e attonito di compagni e professori.
E Fred. Fred, che aveva abbandonato senza dare spiegazioni.
Era passato un mese.
Il dolore acuto era andato via via affievolendosi, e un tiepido e ovattato sonno dei sensi aveva preso il suo posto.
 
Con un colpo di reni si rigirò nuovamente nel letto sentendosi, una volta in più, grata a quell’uomo che le aveva offerto la pace desiderata.
Attese ancora una manciata di minuti e poi, di malavoglia, si alzò.
La stanza era buia e polverosa, ricavata da una bassa soffitta: c’erano il piccolo letto di ferro, un grosso baule di legno in cui aveva riposto i pochi effetti scolastici, uno specchio scheggiato, e un vecchio armadio contenente i suoi vestiti.
Vi si diresse a piedi nudi, sgranchendo le gambe e sbadigliando silenziosamente.
Lo aprì e ne estrasse svogliatamente una salopette di velluto verde marcio e una maglietta a maniche corte nera.
Infilò le pantofole di tela e iniziò a svestirsi della leggera camicia da notte, mentre contemplava la propria immagine allo specchio: i lunghi boccoli castani ricadevano morbidi su un corpo magro, troppo magro.
Nelle ultime settimane non aveva quasi toccato cibo.
Il viso era pallido, e l’espressione troppo cupa per una ragazza di soli diciotto anni.
Finì rapida di vestirsi, distogliendo lo sguardo da quell'immagine dolorosa, infilò la maglietta e assicurò le bretelle della salopette.
Diede da mangiare a Sullivan, la piccola salamandra che giaceva beata sul fondo del suo vassoio, appoggiato sopra al comodino, e uscì dalla stanza.
Iniziò a scendere le buie scale a chiocciola, tastando con la mano la parete alla sua sinistra per non perdere l’equilibrio.
Procedette il più piano possibile, cercando di non attirare l’attenzione del coinquilino, ma proprio quando credeva di aver concluso l'impresa con successo, il piede scivolò.
Ebbe appena il tempo di avvertire il dolore all’osso sacro, che Piton comparve davanti a lei.
- E’ successo qualcosa? - 
La casa era piccola, e l’uomo aveva il dono di ‘materializzarsi’ in un battito di ciglia. 
Ma Jacqueline era altrettanto veloce, e prima che Piton avesse avuto il tempo di finire la frase, si era già alzata e si dirigeva rapida verso il bagno.
Senza guardarsi alle spalle aprì la porta, entrò, e la richiuse dietro di sé, appoggiandovi la schiena.
La convivenza di quella strana coppia si era basata fin dal primo momento su un tacito accordo fatto di scarsi contatti.
Si rivolgevano la parola solo lo stretto necessario e non invadevano mai i reciproci spazi.
Vivere nella casa del proprio professore avrebbe dovuto disturbare Jacqueline, almeno per i primi giorni, ma era rimasta così assorta nei propri pensieri da non lasciare spazio ad altri.
Raramente gli parlava, gli unici momenti in cui l’uomo udiva la sua voce era quando la ragazza si lavava e, sotto la doccia, cantava sottovoce. 

Quella mattina, Jacqueline passò il tempo in camera sua a provare e riprovare i vecchi jeans, ormai quasi tutti troppo larghi.
Ancora una volta, ringraziò mentalmente l’inventore della salopette.
- Il pranzo - la voce veniva dalle scale.
Il momento dei pasti era il più imbarazzante della giornata.
Il rito silenzioso si svolgeva, fortunatamente, in pochi minuti: Piton mangiava e, di fronte a lui, Jacqueline fissava il piatto con gli occhi spenti che ormai la caratterizzavano.
Il pomeriggio passava lento come la mattinata finché, finalmente, quando la cena era consumata e i lampioni di Spinner's End accesi, Jacqueline si ritirava in camera.
Nel letto, aspettava con ansia il momento prima dell’arrivo del sonno, quando tutti i pensieri che di giorno le riempivano la testa e le annebbiavano la mente sparivano. 
L’attimo in cui poteva fingere di essere ancora la ragazza che, un anno prima, attendeva con impazienza l’inizio del quinto anno scolastico.
**
 
Il giorno dopo si svegliò abbastanza tardi, indugiando sotto le coperte.
Il calendario, inchiodato sul soffitto sopra al letto, sembrava più grande e più incombente del solito.
La scrutava con fare minaccioso, ma era soprattutto la data che quel giorno segnava, 18 luglio, a tenere impegnata la mente della ragazza.
O forse, pensò, erano gli insistenti ticchettii provenienti dalla finestra dall’altra parte della stanza: quattro gufi stavano appollaiati sul davanzale, picchiettando col becco sul vetro, e sembravano piuttosto risentiti.
Si alzò, scocciata quanto i quattro ambasciatori, e aprì la finestra per farli entrare.
Svolazzarono subito per la stanza, lasciando cadere le lettere sul pavimento e sparpagliando piume e penne ovunque.
‘Stupidi uccelli’
Li ricacciò fuori dalla finestra prima che avessero il tempo di adocchiare l'indifesa salamandra e tornò a sedersi sul letto, a gambe incrociate.
Tirò un sospiro profondo.
Sapeva già di chi erano le lettere, ma decise di dare comunque uno sguardo alle buste.
La prima scrittura era molto disordinata:  < Fred Weasley >.
La seconda era ampia e arzigogolata:  < Cho Chang >.
La terza era molto piccola:  < Ginny Weasley >.
L’ultima era precisa e curata:  < Remus Lupin >.
Trasse un profondo sospiro e si alzò di scatto.
Non avrebbe risposto a quelle lettere come non aveva risposto a quelle arrivate le settimane precedenti, la cui breve vita era tragicamente terminata nella spazzatura.
Tutto sommato, il giorno del suo diciannovesimo compleanno passò silenzioso e indolore come tutti gli altri. Piton non poteva saperlo, e lei non aveva motivo di metterlo al corrente. 
Il professore stava tutto il giorno chiuso nello studio, lo incontrava di rado al di fuori dei pasti, ma non ne era dispiaciuta.
Dopo la morte di Sirius cercava la solitudine ogni momento.
**
 
Una mattina di fine mese era a letto, assopita, quando sentì la porta al piano di sotto sbattere.
Poi delle voci concitate nell’ingresso.
- Mi faccia entrare -
- Sei in casa mia, ragazzo, non provare a dettare ordini -  la voce seccata di Piton.
- Devo vederla -
- Perché? -
- In primo luogo è la mia ragazza e in secondo luogo non risponde alle mie lettere-
- E questo non ti ha fatto pensare che non voglia avere a che fare con te - 
- Questo lo deciderà lei se permette -
- Fred… -  Jacqueline era in piedi sulle scale, in vestaglia.
Stringeva le braccia sottili intorno alla vita, mentre guardava il ragazzo dai capelli rossi con occhi addolorati.
- Jackie! -  gli occhi di lui si illuminarono mentre si dirigeva verso di lei.
- Vattene Fred -  lo sguardo era fermo, ma la voce tremò appena.
- Jacqueline, non mi importa di quello che dice Remus, devi tornare a casa con me -
- No, Fred. Non voglio vedere nessuno -
- Neanche me? -  il ragazzo fece un passo indietro, come scottato.
Cominciava a capire.
- Non me la sento di portare avanti alcuna relazione in questo momento -
Il silenzio era sceso nell’ingresso e tra le tre figure.
Fred guardava esterrefatto la ragazza, ritta immobile sull’ultimo scalino. Piton era un muto tutt’uno con la grigia tappezzeria.
- Come vuoi, Jacqueline - 
Furono le ultime parole di Fred prima di uscire dalla porta.
In un attimo era tutto finito.



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Capitolo n°1 concluso!
Premetto che è la prima FF che pubblico, quindi siate pietosi!
Ringrazio Mary per l'acuta recensione e chiunque altro vorrà dare il suo parere.. a presto,
Lily

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Capitolo 2
*** Agosto: Riabilitazione ***


CAPITOLO 2:  Riabilitazione                                                                                        

 

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Arrivò agosto, caldo e insopportabile.
Il sole batteva forte sui muri di mattone rossicci delle case in Spinner’s End, e l’afa era opprimente.
Jacqueline passava le ore più calde della giornata nella sua stanza, al riparo dai raggi insistenti, contemplando il soffitto e spostando i granelli di polvere sospesi sopra di lei a colpi di bacchetta.
Più della ragazza soffriva Sullivan, la salamandra, appiattita sul fondo della sua vaschetta e con la testolina nascosta sotto le felci sottratte al giardino.
Di tanto in tanto, Jacqueline estraeva svogliatamente dal baule di scuola il libro di Storia della Magia, o quello di Trasfigurazione, ma non passava molto tempo prima che tornassero a dormire con gli altri effetti.

Una mattina tardi, quando il sole era già alto, Piton bussò alla porta della soffitta.
Prima che Jacqueline, ancora sotto le coperte, avesse il tempo di svegliarsi del tutto, il professore aveva già aperto la porta.
- Devo parlarti -  si limitò a dire, richiudendola alle sue spalle.
La ragazza, ancora in camicia da notte, si tirò su a sedere, sistemandosi i capelli arruffati e coprendosi il petto con le lenzuola.
Dopodiché, come sempre, si limitò ad ascoltarlo.
- Questa mattina presto sono stato in Grimmauld Place per consultarmi con l’Ordine a proposito della tua collocazione -
Jacqueline si fece subito più attenta.
- In breve, non è il caso che tu rimanga ancora qui. La famiglia Tonks si è offerta volontaria per ospitarti… Dopotutto in qualche modo sono tuoi parenti -
- No... -  mormorò Jacqueline, fissando attonita il professore davanti a sé.
- Penseranno loro ad accompagnarti a Londra a settembre -  continuò lui, ignorando l’interruzione.
- No -  ripeté lei più decisa.
Piton prese atto della protesta in corso, ma non si scompose.
- Perché? -
Era la loro prima conversazione dopo due mesi di quasi totale silenzio.
- Mi lasci rimanere qui -  disse Jacqueline d’un solo fiato.
Piton scosse la testa, - Non è sicuro per te rimanere qui troppo a lungo -
- Non voglio vedere nessuno -  ribadì lei, allontanando con rabbia le lenzuola e fissando i propri occhi supplici in quelli freddi e neri dell’uomo in piedi in mezzo alla stanza.
- L’Ordine decide - 
- No! -  Jacqueline si alzò dal letto, vacillando verso di lui e inciampando.
Si aggrappò con le mani alla tunica nera del professore, mentre lui le afferrava i polsi impedendole di cadere ai suoi piedi.
Lasciò che quelle braccia gracili gli cingessero la vita. 
- Mi dispiace -
Jacqueline, inginocchiata sul pavimento, lo strinse più forte.
Sapeva che prima o poi si sarebbe dovuta preparare a lasciare il proprio rifugio sicuro, riparo dal mondo esterno, ma pensava che quel momento fosse ancora lontano.
Nascose il viso nella stoffa della tunica quando sentì le prime lacrime di rabbia rigarle le guancie.
Piton lasciò passare qualche minuto. Poi, piano, la scostò.
- Ti accompagnerò domani dopo colazione -
Fu tutto ciò che disse prima di uscire dalla porta, lasciando Jacqueline sola, immobile sul pavimento, i luminosi granelli di polvere sospesi intorno a lei.
**
 
Il mattino seguente, Jacqueline si alzò prima del solito.
Preferendo evitare la colazione, decise di dedicarsi direttamente alla valigia da preparare.
Non aveva molto con cui riempirla: i pochi vestiti, la divisa di Corvonero, i libri di scuola, la scacchiera magica, il set di pozioni e la bacchetta.
Dopo aver chiuso a chiave il lucchetto si guardò intorno, controllando di non aver dimenticato niente.
‘Sullivan!’  ricordò all’improvviso, portandosi una mano in fronte.
Come portarla con sé?
Scese in cucina per cercare un contenitore adatto, ma si fermò quasi subito vedendo il professore seduto al piccolo tavolo di legno, al centro della stanza.
- Buongiorno -  le disse.
Dopo averlo fissato qualche secondo, Jacqueline accennò un - buongiorno – di rimando e gli diede le spalle, cercando di ignorarne lo sguardo sulla propria schiena e concentrandosi sui ripiani della credenza.
Adocchiò una ciotola, ‘Troppo tonda’, una scatola di latta, ‘Troppo piccola’…
- Cerchi questa ? -
Si voltò di scatto.
Piton spingeva sul tavolo verso di lei una gabbietta di metallo con il fondo rinforzato.
Jacqueline arrossì appena: non erano molti i gesti di aperta gentilezza che le rivolgeva.
- Grazie -  l’afferrò veloce e tornò in soffitta.
 
Si vergognava del piagnisteo che aveva esibito davanti al coinquilino il giorno precedente.
Dopo tutto, pensò lasciandosi cadere sul letto, era il suo professore.
‘Il mio professore…’
Che cosa avrebbero pensato i suoi compagni se avessero assistito a quella scena?
Piton era l’insegnante più temuto della scuola, quello dal quale mantenere le distanze, con cui non è mai il caso di sbilanciarsi. Anche a Jacqueline incuteva molto rispetto.
Stare in casa sua, vedere il luogo in cui viveva, sedere allo stesso tavolo, usare il suo bagno, non aveva diminuito di molto il senso di timore che aveva sempre provato nei suoi riguardi.
E quello che era successo il giorno precedente… quell’atto le era uscito in modo incredibilmente spontaneo.
Ma ora che l’impeto di emozioni si era acquietato e le lacrime si erano asciugate, si sentiva incredibilmente sciocca.
Da parte sua Sullivan, la cui vita tranquilla di salamandra lo dispensava da patemi analoghi a quelli della padrona, apprezzò il regalo e si acciambellò in un angolo della nuova casa, mentre Jacqueline vi trasferiva il muschio.
Terminò, ammirò l’opera, e decise che era pronta per scendere.
Diede un ultimo sguardo a quella che per quasi due mesi era stata la sua isola di salvezza, e la porta si chiuse definitivamente.
Jacqueline tirò un sospiro e, mentre scendeva lentamente le scale a chiocciola, accolse con rassegnazione il senso di insicurezza e di abbandono che, ad ogni gradino, sempre più riniziava a crescere in lei.
**
 
Il viaggio fu breve e silenzioso.
Dopo aver camminato fino alla seconda traversa di Spinner’s End, si addentrarono in uno stretto vicolo cieco e, accertatisi che fosse effettivamente deserto, si smaterializzarono.
Poco mancò che Jacqueline vomitasse sul grazioso zerbino color malva sul quale erano ‘atterrati’. Dovette fare appello a tutto il suo orgoglio Corvonero per contenersi!
Piton le gettò un rapido sguardo, come a volersi accertare dell’effettiva tenuta del suo stomaco, e suonò il campanello.
Ted sono arrivati! -
Vai tu tesoro? -
La porta si spalancò, e Jacqueline sgranò gli occhi.
In piedi davanti a loro stava una donna di media statura, morbida, con una chioma di cespugliosi ricci color mogano e un sorriso caloroso. Profumava di miele e lievito.
- Piacere, sono Dromeda, tu devi essere Jacqueline -  la salutò gentilmente.
‘E tu devi essere mamma orsa’  pensò la ragazza di rimando, un po’ preoccupata.
- Piacere - strinse la mano della donna con un debole sorriso, tornando a sistemarsi nervosamente i capelli.
- Prego, prego, entrate -  li invitò la signora Tonks facendosi da parte.
 
Varcata la soglia, si trovarono in un piccolo salotto molto accogliente e ordinato, accuratamente ammobiliato in legno.
Da una sedia si alzò un uomo minuto e dall’espressione cordiale, che tese la mano ad entrambi.
- E questo è mio marito, Ted -  li presentò la padrona di casa.
- Caro - gli si rivolse poi, mentre con la bacchetta faceva comparire due sedie in più per Piton e Jacqueline, - Sai che fine ha fatto tua figlia? -
- Eccomi mamma! -  in quel momento comparve alle loro spalle una donna molto giovanile, simile in tutto al padre eccezion fatta per la corta chioma, di un acceso color rosa cicca!
Jacqueline l’aveva incrociata accidentalmente solo una volta, in compagnia di Sirius.
‘Sirius…’
Ora che la guardava bene, i suoi occhi le ricordavano quelli del fratello.
La stessa spensieratezza.
Per un istante le due figure si sovrapposero, e nella sua mente galleggiò un’immagine di Sirius con i capelli rosa, che le strappò il primo sorriso dell’estate.
 
Finite le presentazioni e dopo che la signora Tonks ebbe amorevolmente ingozzato Jacqueline di biscotti e puro affetto materno, Piton si congedò e le ragazza fu accompagnata da Ninfadora al piano superiore.
- Ehm, Ninfadora… - 
- Ti prego, chiamami Tonks! -  la interruppe prontamente, mentre la sua chioma si infiammava di un esplicito color fuoco, - Odio quel nome! -
- Tonks… - Jacqueline corresse rapida il tiro, - Non vorrei esservi di troppo disturbo -
- Non scherzare! Punto numero uno sei praticamente di famiglia, punto numero due mia madre non vede l’ora di coccolarti, e punto numero tre… non so come tu sia riuscita a convivere con ‘Mr. simpatia’ per due mesi, ma hai di sicuro bisogno di una pronta riabilitazione! A questo penserò io -  concluse girandosi verso di lei e facendole l’occhiolino.
**
 
Detto fatto. La famiglia Tonks prese molto seriamente il proprio ruolo.
In un mese, Jacqueline riacquistò l’appetito (a forza di zuccotti di zucca e dolcetti fatti in casa) ma soprattutto la parola.
La madre di Tonks le ricordava molto la signora Weasley: la stessa calorosa premura, lo stesso affetto spontaneo. Solo più pacata e con una vera ossessione per l’ordine!
Jacqueline passava la maggior parte delle giornata nella piccola camera che condivideva con Tonks, godendosi la riscoperta sensazione di appartenere a una famiglia.

- Materia preferita -  attaccò una sera Tonks, seduta al tavolo della cucina, scartando una cioccorana.
- Incantesimi -  rispose pronta Jacqueline, riponendo nel cassetto le forchette appena asciugate.
- Professore preferito - 
- Vitious! - 
- Voto peggiore preso fin’ora - 
- ‘S’ in Storia della Magia… ci tengo a specificare che era un test a sorpresa - 
- Compagna più simpatica - 
- Ginny Weasley, eravamo diventate molto amiche durante le estati passate alla Tana. E Cho Chang, del mio anno, può sembrare un po’ superficiale ma è una valente compagna di banco -
- Compagno più odioso -
- Blaise Zabini, è da un anno che mi sta addosso e non mi dà pace -  rispose alzando gli occhi al cielo. 
- Oooh, J. fa conquiste! -  la prese in giro Tonks, stampandosi in faccia un ghigno perfido. 
- Ma smettila! -  la rimproverò Jacqueline, scoppiando a ridere e cacciando la testa sotto la sedia per raccogliere un cucchiaino fuggiasco.
Da quando aveva lasciato la casa di Piton, pensava spesso alla scuola e ai suoi amici; con affetto e, allo stesso tempo, con preoccupazione.
Li aveva abbandonati senza dare spiegazioni, probabilmente suscitandone il risentimento.
Ne aveva nostalgia, ma allo stesso tempo desiderava poter rimanere lontana da tutti ancora un po’… 
Con Tonks, magari.
**
 
Quando arrivò l’ultimo giorno di vacanze, Jacqueline non riusciva a prendere sonno.
- Tonks, stai dormendo? -  bisbigliò dal suo letto.
- Non più -  rispose l’amica, sbadigliando sonoramente e voltandosi in direzione della sua voce.
- Mi scriverai quando sarò a Hogwarts? -  le chiese Jacqueline, dando voce ai suoi timori.
Tonks si mise a sedere.
- Ahi! -  esclamò Jacqueline quando il cuscino la colpì a tradimento.
- Certo che ti scriverò, ne dubitavi?! -  chiese l’amica con finta indignazione.
- Ma no, è che sarai impegnata con l’Ordine e tutto il resto… -  si giustificò.
- Tranquilla, non ti abbandono J. - 
- Ok… ma non chiamarmi Jay! -  la rimbeccò.
Chiuse gli occhi con il sorriso ancora sulle labbra.
A tradimento il suo pensiero andò a Piton.
Chissà dove si trovava in quel momento…
‘E' a casa sua, dove vuoi che sia?!’
Chissà se aveva sentito qualche differenza la mattina, facendo colazione da solo…
Jacqueline si diede della stupida per quel pensiero e, finalmente, si addormentò.
 

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Allora. Questo capitolo è di preparazione a quello più decisivo: l'arrivo a Hogwarts. 
Vorrei ringraziare i 60 gentilissimi che hanno letto il primo capitolo e scusarmi per eventuali errori di battuta (so di farne un sacco)...
Abbiate pazienza :)
A presto!
Lily

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Capitolo 3
*** Settembre: Casa ***


CAPITOLO 3 :  Casa



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La mattina seguente, Jacqueline fu svegliata dal rombo di un motore a scoppio nel vialetto sotto casa Tonks.
Svogliatamente, aprì gli occhi e si stiracchiò.
La stanza era debolmente illuminata dalla luce mattutina, che entrava fioca dalla finestra, filtrata dalle tendine di pizzo bianche. Il letto della sua compagna di stanza era vuoto e rifatto.
Mise un piede fuori dal letto e fece per raggiungere le pantofole, ma inciampò quasi subito in qualcosa di molto grosso… e molto, molto doloroso!
‘Merlino’
Il baule di scuola.
‘Merlino!!!’
In un lampo la sua mente associò, e un crampo allo stomaco (molto più doloroso della botta al piede!) l’attanagliò.
- SETTEMBRE! - Non lo aveva pensato, lo aveva urlato!
La porta si spalancò ed entrò Tonks, vestita di tutto punto.
- Allora, sei pronta? La macchina è sotto casa e… Jackie! Sei in pigiama!! -
- Scusa, scusa, scusa, mi sono completamente dimenticata che era oggi!! Fino a ieri sera tutto ok, ma nella notte devo aver resettato! -
Parlava e intanto saltellava su un piede solo da una parte all’altra della stanza, raccogliendo calze, provette e libri sparpagliati qua e là.
- Lo sapevo, avrei dovuto riempire ieri sera il baule! -  esclamò, scaraventandoci dentro un piccolo calderone in rame.
- Sbrigati o non farai in tempo a mangiare niente! -  la incitò Tonks, raccogliendo da terra una penna d’oca e partendo alla ricerca del calamaio.
- Mangerò sul treno -
Per fortuna le sue cose erano poche, e in una manciata di minuti fu pronta.
Si precipitò nell’ingresso, dove la signora Tonks l’aspettava, trascinando il baule dietro di sé a suon di tonfi sordi sulla moquette.
- Cara, hai dei capelli inguardabili! – esclamò la donna, scrutandola con materna apprensione e avvicinandosi, evidentemente decisa a sistemarglieli.
- Lo so ma sono in ritardo! -  si affrettò a rispondere Jacqueline, sottraendosi prontamente alle grinfie di mamma orsa, - Mi pettinerò in macchina -
- E va bene! - sospirò la donna, - A presto cara, passa un buon anno scolastico - disse, prendendole il viso tra le mani e dandole un bacio sonoro sulla fronte.
- Grazie, è stata davvero gentile e paziente con me, le sono debitrice. Mi saluti molto suo marito -
Un ultimo abbraccio e le due ragazze salirono in macchina.
 
Il baule fu sistemato sul sedile posteriore, mentre Jacqueline prese posto davanti.
L’automobile, che esibiva sul cofano l’effige in metallo del Ministero, era molto capiente e ben tenuta, con comodi sedili in pelle.
- Tonks sei sicura di saper guidare? - Jacqueline era decisamente preoccupata mentre osservava l’amica inserire le chiavi nel mangiacassette, nel tentativo di avviare il motore!
- L’ho già fatto tre volte, in un attimo saremo alla stazione! –  rispose eccitata Tonks, mentre Jacqueline le toglieva di mano le chiavi, infilandole al giusto posto.
‘Rassicurante…’  sospirò, aggrappandosi istintivamente alla cintura di sicurezza.
Il motore dell’auto si accese e partirono.
Jacqueline passò quasi tutto il viaggio a guardarsi nello specchietto retrovisore nel tentativo di sistemare i capelli i quali, da parte loro, sembravano non volerne sapere di appiattirsi.
- Piantala Jackie, stai bene! -  la rimproverò Tonks.
- Perché tutti mi chiamano Jackie?! -  esclamò Jacqueline estraendo le mani dalla folta chioma.
- Che problemi hai, non ti piacciono i Kennedy? -
- Devo ricordarti la fine che tendono a fare? -  puntualizzò Jacqueline sarcastica.
Tornò a concentrarsi sullo specchietto e (dopo lunga meditazione) decise di rinunciare, nello stesso istante in cui l’auto si faceva largo nel parcheggio di King’s Cross.
- Arrivati! -  Annunciò Tonks, aprendo allegra la portiera.
Aiutò l’amica a scaricare il baule e, insieme, raggiunsero il binario 9 e ¾ .
Facendosi largo tra la folla di babbani attraversarono la barriera magica, Tonks intenta a rivivere il momento e Jacqueline cercando di non pensare ai compagni di scuola che l’attendevano dall’altra parte, pronti ad additarla e memori della scena alla quale avevano assistito prima dell’estate.
‘L’ennesimo flashback’
Una nuvola di vapore avvolse le due ragazze, mentre un fischio acuto le salutava festoso.
L’Hogwarts Express, rosso e lucido, fremeva sul binario, impaziente di sfrecciare lontano da Londra.
- Non capisco perché non vieni in treno con me, tanto vai ad Hogwarts anche tu! -  ripeté Jacqueline all’amica per l’ennesima volta.
- Jackie te l’ho detto, sono solo di passaggio stasera… in più vengo al castello in qualità di Auror, con altri Auror! -
Jacqueline sbuffò e le fece cenno di passarle la valigia.
- Ti lascio? -  disse Tonks consegnandogliela.
- Prima o poi… –  rispose Jacqueline, che non aveva alcuna voglia di separarsi dall’amica.
Un secondo, persuasivo fischio della locomotiva la convinse ad affrettarsi.
- A presto Tonks, vienimi a trovare -
- Puoi contarci! -
Si abbracciarono forte, poi Tonks si incamminò in direzione opposta e, voltandosi a salutarla con la mano, sparì oltre la barriera.
 
Il sorriso sulle labbra di Jacqueline si spense mentre saliva rassegnata sul treno.
Come aveva temuto, al suo passaggio i ragazzi si zittivano e la osservavano, chi con fastidiosa compassione, chi con semplice curiosità.
Cercò di attraversare l’angusto corridoio il più in fretta possibile, stringendo la presa sulla gabbietta di Sullivan, e si fiondò nel primo scompartimento libero, chiudendo la porta scorrevole dietro di sé.
Sistemò il baule sulla reticella e sì accasciò sul sedile ringraziando, almeno, di essere sola.
Detto fatto. Un attimo dopo la porta si spalancò.
- Jackie! -
- Oh, ciao Cho… -
La compagna lasciò cadere a terra la propria valigia e corse ad abbracciarla.
- Cho, non respiro! -  si lamentò Jacqueline, tentando di divincolarsi.
- Scusa ma te lo meriti! -  ribatté lei, sciogliendo l’abbraccio e recuperando il proprio bagaglio,  - Non hai risposto a nessuna delle lettere che ti ho spedito, e il mio povero gufo è tornato a casa alquanto contrariato! -
- Scusa -  Jacqueline non aveva voglia di aggiungere giustificazioni.
- Senti, a proposito di Sirius Black… -  iniziò titubante l’amica, prendendo posto sul divanetto rosso.
Jacqueline se l’era aspettato.
- Non voglio parlarne -  tagliò corto.
- …mi dispiace tanto. Quando me l’hanno raccontato io… - 
- Non voglio parlarne Cho. Mi basta avere tutta la scuola che mi guarda come se fossi un cucciolo da compatire, la povera orfanella sorella di un ex galeotto morto -  concluse, girandosi a guardare la campagna che scorreva fuori dal finestrino.
Cho capì che l’argomento non era dei migliori, e per il resto del viaggio cercò di distrarla, facendo un resoconto delle proprie vacanze estive e della felicità provata nello scoprire di essere stata nominata Prefetto.
- Ma tu? A casa del professor Piton? -  chiese poi, guardandola con occhio indagatore.
Jacqueline se n’era quasi dimenticata…
- Dai, raccontami com’è fuori da scuola! -  insistette curiosa Cho, sporgendosi in avanti e sorridendole incoraggiante.
- E’ più o meno sempre lo stesso. Silenzioso e imperscrutabile -
Cho si sgonfiò sul posto, abbastanza delusa.
- Io non sarei resistita tutto quel tempo in sua compagnia -  commentò con una smorfia.
- E’ gentile in realtà… -  lo difese Jacqueline, sorprendendosi poi delle sue stesse parole.

Il verde sfrecciante dei prati aveva già lasciato spazio ad un paesaggio più aspro e roccioso quando la porta dello scompartimento si riaprì.
- Qualcosa dal carrello care? -
Una grossa e gentile signora stava sorridendo alle due ragazze, mostrando una manciata di cioccorane e di gelatine Tutti i gusti + 1.
- Tu Jackie vuoi qualcosa? -  chiese Cho.
- No, grazie -  la fame le stava decisamente passando, di nuovo.
- Io prendo due confezioni di gelatine -  non si poteva certo dire lo stesso della compagna.
- Arrivederci care! - La porta si richiuse con uno scatto.
- Facciamo un giro per il treno? Dovremmo essere a metà viaggio -
Cho aveva cacciato la testa fuori e l’allungava per sbirciare nello scompartimento a fianco.
- No, io resto qui - 
- Come vuoi, torno tra un po’! –
Jacqueline era abbastanza contenta di rivedere l’amica, ma avrebbe preferito che comprendesse la situazione senza fare troppe domande.
Guardando le montagne rincorrersi fuori dal finestrino, sempre più alte e scure, si perse nei suoi pensieri.
Pensò a Tonks, chiedendosi in cosa potesse consistesse la misteriosa visita a Hogwarts per conto del Ministero. A Ginny, che probabilmente non l’avrebbe perdonata con la stessa facilità di Cho. A Fred, con il quale, a differenza dell’anno passato, non avrebbe varcato l’ingresso della scuola. Alle altre persone con le quali aveva reciso ogni legame… George e Lupin, tra gli altri.
Solo quando la porta si riaprì fu costretta a tornare alla realtà.
- Siamo quasi arrivati -  annunciò Cho tirando giù la sua valigia dalla reticella, - Sarà meglio iniziare a cambiarsi -
Jacqueline la imitò: recuperò il pesante baule e ne estrasse la divisa, accuratamente riposta in cima.
La camicetta bianca le andava ancora bene, e il maglioncino grigio era solo un po’ abbondante. La gonna a pieghe, invece, era decisamente larga.
Cho la vide e scoppiò a ridere - Aspetta, ti presto una cintura! -
Le passò una sottile striscia di cuoio nera, che Jacqueline infilò nei passanti della gonna stringendola quasi al massimo.
Coprì il tutto con il mantello e lo fissò con la spilla di Corvonero.
- Bella! -  Cho le sorrideva.
Jacqueline, che si sentiva sempre più simile a un manico si scopa spelacchiato, ricambiò forzatamente e si voltò a richiudere il baule.

Quando il treno si arrestò, uscirono dallo scompartimento.
Fuori era quasi buio: il sole stava scendendo dietro l’amata sagoma del castello, che si stagliava contro il cielo in tutta la sua maestosa imponenza.
- Jackie non rimanere indietro! -  Cho procedeva a suon di spintoni in mezzo alla folla schiamazzante.
- Vai avanti, io ti raggiungo in Sala Grande -  le urlò Jacqueline di rimando, ancora sul predellino.
Non intendeva dare ai compagni un’occasione in più per stare a fissarla.
Decise di aspettare, e salì sull’ultima carrozza rimasta, in  modo da fare il viaggio da sola.
Tutto sommato non si rivelò una grande idea.
- Signorina Jacqueline Crayle! Ma che piacere! -
Jacqueline alzò gli occhi al cielo, ‘Zabini. Fantastico’
Il bel ragazzo moro si avvicinava a grandi passi e, con un sorriso strafottente (made in Serpeverde) stampato sulla faccia, saltò sulla sua stessa carrozza, che partì all’istante.
A quanto pare anche lui aveva tardato a scendere dal treno, ma stranamente era da solo.
‘Dove sarà l’altra serpe, Malfoy?’
- Non mi saluti carina? -  domandò ironico, piazzando gli occhi color cobalto sul viso di Jacqueline.
Lei lo guardò con sufficienza, decisa a ignorarlo, il suo spirito Corvonero elevato alla massima potenza! Molto meglio concentrarsi sugli alberi spettrali della Foresta Oscura.
Ma evidentemente Zabini non la pensava allo stesso modo.
- E così hai mollato il rosso! Ho sentito lenticchia che lo raccontava alla mezzosangue Granger -
‘Ci mancava’  Jacqueline maledisse mentalmente Ron Weasley.
- Beh, se hai bisogno di una spalla su cui piangere posso offrirtene due! -  ammiccò.
La ragazza si limitò a trarre un sospiro sconsolato e a lasciargli continuare il monologo.
- E a proposito di questo… -  proseguì Blaise, mettendole un braccio intorno alle spalle e avvicinandola pericolosamente a sé.
- … a proposito di questo sono 5 punti in meno per Serpeverde signor Zabini -
La carrozza si era fermata, davanti a loro un uomo avvolto di nero presiedeva l’ingresso.
- Professor Piton, lei non può! -  l’espressione spavalda dell’affascinante Serpeverde era rapidamente mutata in puro disgusto, per la gioia di Jacqueline!
- Sei in ritardo Zabini, il coprifuoco stava per terminare -  sentenziò il professore senza scomporsi.
- E lei?! -  ribatté il moro puntando il dito contro Jacqueline.
- Questo lo stabilirà il direttore della sua Casa. Svelto, sparisci -
Di malavoglia e sbuffando sonoramente, Zabini saltò giù dalla carrozza e varcò a grandi passi l’ingresso del castello.
Anche Jacqueline fece per scendere e, con suo grande stupore, Piton le porse la mano per aiutarla.
- Grazie –  balbettò incerta, atterrando sul terriccio umido e sottraendo rapida la sua mano a quella grande e fredda del professore.
- Non dovresti rimanere da sola -  disse questi scrutandola dall’alto.
Jacqueline annuì e varcò da sola la soglia dell’ingresso, mentre Piton tornava sui suoi passi.
 
Si voltò giusto in tempo per vedere il professore sparire oltre il cancello.
‘Chi stava aspettando?’
Di sicuro non lei. Chiunque fosse, evidentemente era rimasto indietro.
Si guardò ancora intorno, sperando invano di intravedere Tonks, poi entrò nella Sala d’Ingresso.
Percorse in fretta il liscio pavimento di marmo, sul quale si riflettevano le luci delle torce appese alle pareti, imboccò il corridoio a destra e fece il suo ingresso nella Sala Grande.
Come all’inizio di ogni anno, sopra i tavoli delle quattro Case sventolavano gli stendardi dei fondatori, e la tavola dei professori era addobbata con drappi argentei.
Le familiari candele fluttuanti illuminavano l’intera Sala, e il cielo magico che la sovrastava era trapuntato di stelle luccicanti.
Senza indugiare sulle splendide decorazioni allestite per il banchetto, Jacqueline si diresse verso il tavolo dei Corvonero, affrettandosi a sedersi di fianco a Cho: cominciava a sentire fin troppi sguardi su di sé.
- Che fine avevi fatto?! -  chiese preoccupata l’amica.
Din din din.
Il Preside si era alzato e schiarito la voce.
- Un nuovo anno sta per cominciare –
Il discorso di apertura iniziò, ma Jacqueline non gli prestava ascolto.
Vagava con lo sguardo tra i tavoli delle altre Case… vide Ginny tra i Grifondoro, intenta a conversare con Hermione Granger, e Zabini, che parlava concitatamente con la serpe del mistero, Malfoy.
Quest’ultimo, notò la ragazza, aveva un ghigno di soddisfazione stampato sul muso per niente rassicurante.
Il discorso era finito di un pezzo quando la porta dell’ingresso si spalancò, distogliendo l’attenzione di Jacqueline dall’orrido fantasma del Barone Sanguinario.
Harry Potter entrava, veloce e insanguinato, diretto verso il suo tavolo.
Passò di fianco a Jacqueline e i loro sguardi si incrociarono.
Lei lo fulminò e lui, da parte sua, si limitò a girare la testa dall’altra parte: nessuno dei due sembrava aver dimenticato la furiosa discussione avuta alla fine dell’anno precedente.
 
Bastardo! -  aveva urlato lei davanti all'intera scuola, riunita nella Sala Grande.
- Era mio fratello! Saresti dovuto venire da me! Se pesavi che Voldemort lo stesse torturando saresti dovuto venire da ME! Avresti guardato nello specchio e capito che era in salvo! Sei un bastardo! Per colpa tua ora è morto! MORTO! –
Solo la presa salda del professor Piton le aveva impedito di strozzare il compagno. 
L’aveva sollevata di peso, mentre continuava a scalciare, e portata nel suo ufficio. Lì l’aveva fatta sedere di fronte alla scrivania, aspettando in silenzio che la rabbia defluisse dal suo corpo.
 
Quel ricordo le fece passare del tutto la fame.
Quando il banchetto finì Cho, da bravo Prefetto, si accinse a scortare le giovani reclute assegnate a Corvonero verso la Sala Comune.
Jacqueline decise saggiamente di prendere un passaggio segreto e tagliare loro la strada.
Scostò una delle armature di metallo lungo il corridoio al secondo piano e si infilò nell’angusto e umido passaggio dietro di essa. Lo percorse in salita, stando ben attenta a non scivolare sui piccoli gradini di pietra, finché non si trovò davanti un pannello di legno, che spinse in avanti.
Sbucata al quarto piano si diresse rapida su per le scale della torre Ovest e, risolto l’indovinello (‘Quando lo nomini non c'è più’), entrò nella circolare Sala Comune di Corvonero.
Senza degnare i compagni di uno sguardo, imboccò la strada per i dormitori e si chiuse tra le quattro tende blu del suo letto a baldacchino.
‘Casa’  pensò sedendosi sulla morbida trapunta.
Prese dal baule (già sistemato ai piedi del letto insieme agli altri effetti) la camicia da notte, si cambiò rapida, e si rannicchiò in posizione fetale sotto le coperte.
Il mondo le stava crollando addosso. Di nuovo.
**
 
Le settimane seguenti, il peso fin troppo familiare della depressione tornò a farsi sentire: le domande degli amici, gli sguardi curiosi dei compagni, le premure di Vitious e della McGranitt, e il dover incrociare Harry nei corridoi, la portarono a cercare nuovamente la solitudine.


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Ammetto che quando ho scritto questi primi capitoli ero un tantino depressa anch'io! 
Ma prometto che Jacqueline troverà presto il buon umore : )
Grazie mille per le recensioni, mi fa davvero piacere sapere che questo mio primo tentativo non è così tragico!
Domani un altro capitolo.
A presto quindi
Lily

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Capitolo 4
*** Ottobre: Un po' di calore ***


CAPITOLO 4: Un po' di calore                                               



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Mano a mano che i giorni passavano, gli sguardi di compagni e professori si fecero sempre più snervanti; Jacqueline li sentiva borbottare nei corridoi e un giorno, passando davanti all’aula insegnanti al primo piano, fu sicura di aver udito distintamente il proprio nome per bocca della professoressa Sprite.
Non era sicuramente d’aiuto l’insistenza con cui Cho sembrava volerla preservare da ogni possibile fonte di tristezza, arrivando a tenerle da parte una brioche ogni santa colazione, come se da quello dipendesse la sua felicità!
A lezione la sua mente si smarriva, innalzandosi oltre le alte torri di Hogwarts, perdendosi chissà dove, al di là del Lago Nero e della Foresta Oscura, e le parole dei professori erano solo mormorii indistinti.
 
Ben presto iniziarono le prime uscite al villaggio di Hogsmeade, durante il weekend.
Più di una volta Cho cercò di convincere Jacqueline ad unirsi a lei e al resto della scolaresca, ma ogni volta la ragazza riusciva a trovare una scusa per dare buca, finché Cho smise di tentare.
Jacqueline riusciva ad evitare di stare con la compagna al di fuori dell’orario di lezione, preferendo passare i pomeriggi in Biblioteca o sotto il grande salice piangente che si sporgeva sulla riva del Lago, china su qualche libro polveroso.
L’unica piacevole novità che ottobre portò con sé fu l’inizio delle prove del coro della scuola.
- Parteciperà anche quest’anno, vero signorina Crayle? -  le chiese allegro il professor Vitious una mattina a colazione, mentre distribuiva brochure sonore in Sala Grande.
Davanti allo sguardo speranzoso del piccolo professore, Jacqueline non aveva potuto rispondere che di sì.
D’altronde la musica era sempre stata il suo mantello dell’invisibilità.
Vi si avvolgeva, lasciando fuori il resto del mondo.
**

Una sera stava rientrando dalla Biblioteca, quando Ginny la intercettò.
Passeggiava sottobraccio con Dean Thomas, un Grifondoro del sesto anno che Jacqueline conosceva di vista, ma appena avvistò l’amica gli si scollò (lasciandolo, tra l’atro, abbastanza contrariato).
- Jackie, aspetta! – le corse in contro, ansimante, – Devo parlarti! –
Jacqueline se l’era aspettato: per tutto settembre non si erano rivolte la parola ma spesso, in Sala Grande, sentiva lo sguardo dell’amica su di sé.
- Senti, sono stata una stupida a non averti cercata prima, ma non sapevo bene cosa dirti e tu mi eviti come eviti Cho -  attaccò non appena l’ebbe raggiunta, con il fiato corto e le mani salde sui fianchi. - Non voglio certo farti pressioni, ma desidero che tu sappia che non mi interessa se hai lasciato Fred, io ti considero sempre mia amica, puoi contare su questo –  concluse tutto d’un fiato.
- Grazie Ginny, ma in questo momento preferisco stare sola -  ribatté Jacqueline, sperando che l’amica capisse. 
- Ok, lo rispetto. Ma se mai avessi bisogno cercami – si voltò, ripercorse a ritroso il corridoio, e scomparve dietro l’angolo.
Jacqueline trasse un sospiro profondo mentre entrava nella Sala Comune.
Voleva bene a Ginny, ma non desiderava parlare con nessuno… tranne che con una persona.
Entrata nel dormitorio (deserto, eccezion fatta per i canarini cinguettanti e svolazzanti chiusi in una gabbia sul comodino di Padma Patil) prese carta e penna e, seduta a gambe incrociate sul letto, iniziò a scrivere:
 
   Tonks, ti prego, portami via.
   Qui sto per impazzire, mi trattano tutti come se fossi una malata di peste.
   Ogni mattina mi alzo tardi per saltare la colazione e non dover incrociare le mie compagne di  
   stanza, ma poi sono costretta ad andare a lezione.
   L’aula mi sembra una gabbia, e io sono l’animale più interessante dello zoo.
   Cerco di concentrarmi su altro, e di non pensare ai loro sguardi, ma mi costa molto sforzo.
   E ho l’impressione che il professor Piton mi tenga d’occhio, forse per conto di Lupin.
   E’ un vero inferno insomma. Mi machi,     

   Jacqueline

**
 
Il giorno dopo fece la sua scelta: non sarebbe andata a lezione.
Restò in silenzio tra le tende chiuse del letto, le coperte tirate su fino al naso, cosicché nemmeno un respiro giungesse all’orecchio delle compagne che si erano alzate per prepararsi.
Quando sentì che anche l’ultima compagna era uscita dalla camera, sgattaiolò fuori dal letto, si lavò nel lavandino del piccolo bagno, infilò la divisa ed uscì.
Gli altri studenti erano a colazione, quindi non le fu difficile raggiungere in tutta tranquillità la torre di Astronomia, che a quell’ora del giorno era ancora deserta.
Alohomora -  pronunciò il semplice incantesimo puntando la bacchetta contro la serratura.
Entrò, spingendo la pesante porta di quercia, e la richiuse alle sue spalle, iniziando a salire la tortuosa scala a chiocciola fino a raggiungere la piattaforma superiore.
‘Sola’
Si sedette per terra, a gambe incrociate, sulla pedana di legno al centro della stanza circolare, e si guardò intorno.
Quel posto le era sempre piaciuto.
L’aula si trovava in cima alla torre, e di conseguenza non aveva pareti. Il perimetro della stanza era delimitato solo da un’elaborata balaustra in ferro battuto, oltre la quale si apriva il panorama del Lago Nero.
L’intera stanza era occupata da strani oggetti di metallo, tra cui un planetario in ottone (attorno al quale piccoli pianeti colorati giravano sospesi per magia) e un altro strumento d’argento che, Jacqueline ne era abbastanza sicura, serviva a calcolare la posizione delle stelle nel cielo notturno.
Aprì la borsa di stoffa che aveva portato con sé e ne rovesciò per terra il contenuto: un po’ di frutta, da bere, il suo libro di testo preferito (‘L'arte di preparare veleni e sonniferi’), la bacchetta, e un paio di cioccorane ‘prese in prestito’ dalla cartella di Cho.
Si guardò di nuovo intorno.
In un angolo giacevano ammonticchiati una dozzina di rettangolari tappetini imbottiti, di quelli su cui gli alunni solevano sdraiarsi per osservare le stelle durante la lezione di Astronomia.
Si alzò, ne prese tre, li sistemò una sopra all’altro al centro della pedana, e vi si sedette sopra.
‘Decisamente più comodi del pavimento di legno’
Jacqueline sorrise intimamente al pensiero che, ai piani di sotto, i suoi compagni avevano appena iniziato la lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Probabilmente ora stavano leggendo qualche noiosa trattazione teorica sulla legge di non-applicazione della magia proibita.
Un brivido le percorse la schiena.
Non aveva mai marinato la scuola, nemmeno con Fred e George, e quella sensazione aveva un non so che di intrigante.
Afferrò il libro da terra, lo aprì nel punto indicato dal segnalibro, e iniziò a leggere.
Passò quasi tutto il giorno nella torre, saltando il pranzo.
Fece ritorno nel dormitorio solo alle 7, quando il cielo cominciava a imbrunire e i primi alunni si recavano mesti e insonnoliti a lezione di Astronomia.
**
 
Il rito si ripeté un paio di giorni dopo, e poi di nuovo.
Ogni volta che Jacqueline si sentiva intrappolata o minacciata, si rifugiava nel suo personale nascondiglio. Ogni volta che Vitious o Piton o la McGranitt cercavano di avvicinarla a fine lezione per parlarle, lei riusciva in qualche modo a svincolarsi abilmente e a scappare lassù.
Ai professori che iniziavano a notare le sue periodiche assenze rispondeva che non si sentiva bene, sfruttando l’ingenua compassione che li portava a non osare ribattere.
 
Un pomeriggio, mentre era stesa sull’erba umida sotto il salice, sfruttando uno degli ultimi pomeriggi tiepidi, Cho le si parò davanti.
- Jacqueline April Crayle! –
La ragazza in questione si mise a sedere, abbastanza allarmata.
Cho era in piedi, le mani sui fianchi, un cipiglio minaccioso e le guance (dalla carnagione solitamente perlacea) tinte di una sfumatura color rosso fuoco!
- Cos’ho fatto? -  domandò Jacqueline chiudendo il libro che aveva in grembo.
- E me lo domandi per Merlino?! Nelle ultime due settimane non hai fatto altro che sparire! A lezione i professori mi chiedono dove diavolo ti vai a cacciare e non so mai cosa rispondere! Ti mostri al mondo solo quando ci sono le prove del coro, in Sala Grande non ti fai vedere, in Sala Comune nemmeno, apro le tende del tuo letto e lo trovo vuoto… Esigo una spiegazione! - 
Aveva parlato senza mai respirare, cosicché da rosse le guance erano diventate addirittura viola.
Sembrava uno schiopodo sparacoda sul punto di attaccare!
- Per favore, Cho, lascia perdere -  rispose Jacqueline ricacciando le sue cose nella borsa, - Quello che faccio non ti riguarda -
Si alzò, senza dare il tempo alla compagna di ribattere, e si allontanò in direzione del castello.
**
 
Una sera, verso fine mese, il professor Piton fu convocato nello studio del Preside.
- Chiudi la porta, Severus –  ordinò Silente con tono severo, seduto dietro la grande scrivania.
- Mi ha fatto chiamare signore? –  chiese Piton con voce atona.
- Sì, per parlare della signorina Crayle. Più di un membro del corpo docenti mi ha segnalato che, da diverse settimane, la ragazza non frequenta regolarmente le lezioni adducendo scuse poco credibili, come quella di essere malata. Ti risulta, Severus? –
- Sì signore –  confermò Piton.
- Non si è capito dove passi le giornate, dal momento che madama Chips non l’ha mai vista in infermeria. Se non prenderà una piega migliore sarò costretto ad espellerla dalla scuola –  concluse, assumendo (se possibile) un’espressione ancora più severa.
- Devo chiederle di chiudere un occhio -  asserì Piton dopo un minuto di silenzio.
- Severus -  il preside abbassò gli occhi con aria stanca e si passò una mano raggrinzita sulla fronte, - Dopo che l’anno scorso l’hai portata via con te, per rispetto e fiducia nei tuoi confronti ho preferito non interferire, ma… -
- Le parlerò io -  tagliò corto il professore, lo sguardo fisso sull’anziano preside.
- E’ una ragazza ostinata, credi di riuscire a farle cambiare atteggiamento? -  chiese questi, sollevando appena il sopracciglio e assumendo un’espressione scettica.
- Sì -  si limitò a rispondere Piton, impassibile.
- Molto bene. Vai allora, e fammi sapere -  concluse indicando la porta.
Piton uscì dallo studio, e senza perder tempo si diresse verso il luogo dove, ne era sicuro, l’avrebbe trovata.
 
Jacqueline si era assopita sui soliti tappetini, quando la porta di accesso alle scale sbatté, facendola sussultare.
- Subito nel mio studio -  sillabò Piton perentorio, comparendo sulla piattaforma e poi voltandosi con un rapido movimento del mantello.
Jacqueline, presa in contropiede e ancora abbastanza disorientata, decise che era meglio non fare domande né contraddirlo e, presa la borsa, gli si affrettò dietro.
Uscirono dalla torre, scendendo di diversi piani per la Torre Centrale e dirigendosi verso la scalinata che, dalla Sala d’Ingresso, conduceva ai sotterranei.
Entrati nello studio del professore, la porta si richiuse alle sue spalle.
Non era più stata nel freddo e umido ufficio dopo quel fatidico giorno di giugno, ma a prima vista nulla sembrava essere cambiato. Provette e bocce erano al loro posto sugli scaffali, e i volumi scuri rilegati in pelle posizionati nella libreria.
- Siediti -  le ordinò.
Jacqueline rimase in piedi.
- Il preside mi ha parlato. E’ necessario un cambio di atteggiamento -
Le sue parole non sorbivano alcun effetto sulla ragazza, che fissava il muro ammuffito dietro di lui.
Piton se ne accorse e le si avvicinò con un movimento rapido.
- Non mi stai ascoltando –  scandì le parole con fare minaccioso.
Lei non lo ascoltava.
- Guardami –  ordinò con tono glaciale.
Lei non lo guardava.
Inaspettatamente, lui le afferrò il mento con la mano, costringendola ad alzare la testa.
Poi fu lo stupore di lui.
Calore.
Erano le labbra di lei, serrate sulle sue.
Piton, con gli occhi 
ancora spalancati dalla sorpresa, poteva vederla piange, e sentire le sue lacrime bagnargli le guance pallide.
Poi fu lo stupore di lei.                                                                                     
Freddo.
Erano le mani di lui, che si posavano sulle sue spalle sottili.
Un bacio lungo, immobile, nel silenzio totale della stanza.  
Una muta richiesta di soccorso assecondata.
Le mani fredde scesero dalle spalle alle braccia e poi, piano, la scostarono.
Ebbe il tempo di guardarla negli occhi per un attimo, prima che lei gli voltasse le spalle e sparisse.
La porta sbatté, e Piton si lasciò cadere sulla sedia. Lo sguardo abbassato e le labbra ancora socchiuse.
**
 
Quella sera, nel letto, Jacqueline non riusciva  a prendere sonno.
Sfiorava con le dita le labbra e riviveva il bacio di qualche ora prima.
Nel tentativo di scacciare i pensieri che affollavano la sua testa afferrò la vestaglia e scese piano nella Sala Comune, lasciandosi cadere su una delle morbide poltroncine posizionate davanti al caminetto spento.
Trasse un respiro profondo, chinando la testa all’indietro e fissando il soffitto a cupola blu trapuntato di stelle bianche.
Con l’intento di distrarsi, iniziò a percorrere svogliatamente con lo sguardo il dorso dei libri, allineati sugli scaffali della libreria in mogano che ricopriva l’intero perimetro della stanza (interrotta solo dal camino, dalla porta d’ingresso, e dalla scala a chiocciola che conduceva ai dormitori).
Ma non riusciva a impedire alla propria mente di rievocare le sensazioni provate nel momento in cui aveva sentito, con stupore, le labbra del professor Piton rispondere (seppur quasi meccanicamente) al suo bacio.
‘E il calore…’
Quell’aspetto più di tutti l’agitava.
Uno dei tanti strati di ghiaccio di cui aveva ricoperto il suo cuore si era sciolto.
Solo uno.
Ma era bastato a far penetrare un po’ di calore.


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Ecco qua, ho preso il ritmo!
Un capitolo al giorno va bene no? :)
Spero che questo capitolo piaccia ai 150 fantastici di voi che hanno letto i 3 precedenti e spero che abbiate intuito che cerco di fare del mio meglio per non 'strafare' troppo con il personaggio di Piton, a cui non voglio assolutamente togliere i tratti fondamentali.
Detto questo, buona giornata a tutti!


ps. critiche / correzioni / precisazioni che possano aiutarmi a rendere migliore questo mio primo tentativo sono ben accette

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Capitolo 5
*** Novembre: Amabile Dipendenza ***


CAPITOLO 5:  Amabile dipendenza



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- Scandalosi. Semplicemente scandalosi -
Sulla classe regnava il silenzio più assoluto.
Nessun alunno osava alzare dal banco lo sguardo colpevole.
- Siamo a novembre e quasi nessuno di voi è ancora in grado di prepararmi una Pozione Restringente che sia appena passabile. Non so come abbiate tutti ottenuto un g.u.f.o. nella mia materia, ma quest’anno potete scordarvi di passarla liscia -
Era la prima settimana di novembre, e Piton sembrava particolarmente di buon umore.
Da ormai venti minuti camminava avanti e indietro lanciando occhiatacce nei calderoni degli alunni e provocando nei malcapitati dolorosi crampi allo stomaco.
Anche Jacqueline ne stava soffrendo, ma per tutt’altro motivo.
La sua pozione era quasi perfetta. La verità era che aveva serie difficoltà a stare nell’aula.
Continuava ad osservare di sfuggita il professore, tormentandosi le mani sotto il banco e chiedendosi se anche lui in quel momento stesse pensando al bacio che si erano scambiati la settimana precedente.
- Più succo di sanguisuga e meno bruchi tostati signor Steeval, non mi sembra complicato -
Quando arrivò davanti al calderone di Jacqueline e Cho si arrestò.
Come da protocollo, vi immerse il mestolo e face un paio di giri in senso orario.
Inspirò con il naso adunco le esalazioni che salivano a sbuffi e alzò lo sguardo su Cho.
- Bene -
Si limitò a commentare con sufficienza, senza degnare di uno sguardo Jacqueline (la vera artefice di due terzi del lavoro!), e passò oltre.
 
Quando suonò la campanella, Jacqueline radunò le proprie cose il più in fretta possibile, senza nemmeno ascoltare quello che Cho le bisbigliava ( - E’ incredibile come sappia essere scortese anche nei tuoi confronti, sei l’alunna più portata per questo corso! - ) ma quando si guardò intorno, Piton era già sparito.
‘Di nuovo’
Ormai non c’erano più dubbi che la evitasse.
Già il giorno precedente, Jacqueline si era recata in aula professori e poi fuori dal suo ufficio, due volte, ma non era riuscita a intercettarlo.
L’angoscia stava diventando opprimente.
Aveva bisogno di provarlo ancora.
Aveva bisogno di sentire ancora quel calore.
**
 
La settimana seguente, lunedì mattina, Jacqueline si recò in classe saltando la colazione, come sempre.
Frequentò due ore di Incantesimi, Erbologia, e Difesa contro le Arti Oscure.
Dopo di che, mentre i suoi compagni uscivano in cortile a godersi gli ultimi raggi di sole autunnali, lei girò all’angolo opposto, sperando che nessuno vi avesse fatto caso.
- Jacqueline! - 
Si bloccò dov’era, pietrificata.
‘Come non detto’  pensò sconsolata, voltandosi in direzione del richiamo.
- Padma! Che sorpresa -  disse, con un sorriso tirato stampato sul volto.
La compagna camminava verso di lei, con la gemella Grifondoro al fianco.
- Dove stai andando? Tra meno di 15 minuti abbiamo Trasfigurazione con i Tassorosso, se salti di nuovo la lezione la McGranitt ti ucciderà -  le fece notare la ragazza, estraendo dalla borsa la merenda.
- Sì ma… ho un impegno -  improvvisò Jacqueline, sperando di risultare il più credibile possibile.
- Un impegno? -  chiese scettica Padma, alzando il sopracciglio e staccando un morso alla sua mela.
- Già. Al coro Vitious vuole farci fare un brano nuovo per Natale, dobbiamo incontrarci tra qualche minuto per un problema di partiture -  per fortuna Jacqueline aveva l’abilità di mentire alla bisogna.
- Ah, ok -  capitolò Padma, interdetta, - Be’, ci si vede stasera in Sala Comune… -
- Già. Ora devo andare, ci vediamo -  Jacqueline salutò velocemente con la mano entrambe le ragazze, girò sui tacchi e sparì dietro al primo angolo.
‘Scampata’ pensò, tirando un sospiro di sollievo e pregando che le compagne non decidessero di seguirla.
 
Senza ripensamenti, si diresse rapida verso la torre di Astronomia.
Arrivata in cima prese il suo solito posto, e lì aspettò.
Passarono dieci minuti… venti minuti… mezz’ora…
Poi, come aveva calcolato, la porta si aprì.
- Ancora qui? -  la voce del professore era atona come sempre, ma fece ugualmente sussultare Jacqueline.
Tuttavia rimase immobile dov’era, lo sguardo fisso in lontananza, oltre il Lago Nero.
Piton dovette aver capito che la ragazza non si sarebbe mossa, perché si avvicinò e la prese per le spalle, sollevandola di forza come fosse una piuma.
Jacqueline barcollò per un attimo sulle proprie gambe prima di riprendersi, stupita dalla facilità con cui il professore l’aveva messa in piedi.
- Devi andare a lezione -  le disse impassibile, guardandola negli occhi.
Lei lo guardò a sua volta, cercando di mantenere la calma e di non far trapelare la benché minima emozione dal proprio sguardo (al pari del suo interlocutore).
Ci vollero un paio di minuti affinché, senza distogliere da lui lo sguardo, raccogliesse la borsa e lo seguisse fuori dalla torre.
Camminarono in silenzio per i corridoi, Piton con passo deciso e incalzante e Jacqueline dietro di lui, fino a fermarsi davanti alla porta chiusa dell’aula di Trasfigurazione, al piano terra.
- Ora entra -  le ordinò, e con questo si voltò.
Ma dovette fermarsi quasi subito.
Senza dire una parola, Jacqueline gli aveva afferrato la manica della tunica, e lo tratteneva.
Sì voltò stupito, e negli occhi della ragazza che aveva innanzi lesse una richiesta inequivocabile.
- Non posso -  rispose perentorio.
Fece per andarsene, ma Jacqueline strinse ancora di più la presa.
Piton si girò di nuovo, e questa volta face un passo avanti.
- Che cosa vuoi da me? -  Non c’era rabbia né minaccia nella sua voce.
In risposta, Jacqueline chiuse gli occhi e, senza lasciargli il braccio, si alzò in punta di piedi.
Il bacio che ne seguì fu più rapido del precedente, ma anche questa volta Piton rispose, stupendola e procurandole una notevole dose di brividi alla schiena.
Le sue labbra si mossero con risolutezza su quelle della ragazza, ma durò poco.
- Ora vai -  disse, staccandosi, senza fissarla negli occhi.
Jacqueline lo guardò ancora una volta prima di entrare nell’aula, con un pallido sorriso sulle labbra e un piccolo barlume di calore nel petto.
**
 
La stessa scena si ripeté un paio di mattine dopo.
- Jackie, sveglia -  annunciò Cho con aria svogliata, aprendo le tende del letto dell’amica.
- Ieri sera non ti sei fatta vedere -  la rimproverò poi, infilando il libro di Incantesimi nella borsa,  - Ti ho aspettata fino a tardi - 
- Scusa, avevo bisogno di riflettere un po’ per conto mio -  Jacqueline si era messa a sedere, passando la mano nei morbidi ricci con un sonoro sbadiglio.
- Non scendi a colazione? -  le urlò Cho dal bagno.
- No -  rispose Jacqueline.
Scese dal letto, diede il buongiorno a Sullivan, si sistemò con le mani la camicia da notte spiegazzata e, rabbrividendo per lo spiffero freddo che filtrava dalla finestra, infilò le braccia in un golfino grigio.
- Scomparirai a furia di digiunare, sei più pallida del fantasma della Dama Grigia -  sospirò l’amica, stringendosi il nodo della cravatta.
Quando finalmente le compagne furono uscite, Jacqueline scese in Sala Comune, senza preoccuparsi di cambiarsi, afferrò un libro a caso dalla libreria e sprofondò in una delle poltroncine foderate di stoffa blu.
Cominciò a sfogliare le pagine con noncuranza, e alla fine di ogni paragrafo alzava lo sguardo sulla porta d’ingresso.
 
Non passò molto tempo prima che si spalancasse.
Quando la sentì, lo stomaco di Jacqueline fece un triplo salto carpiato, ma lei non si scompose: sapeva di chi si trattava.
- Devi scendere a colazione -  disse semplicemente Piton, chiudendo la porta dietro di sé.
Jacqueline alzò lo sguardo. Il professore, in piedi sull'ingresso, sembrava stranamente esitare.
Dopo una manciata di interminabili secondi, mosse i primi passi in direzione della poltrona su cui la ragazza era rannicchiata.
Appena fu abbastanza vicino, Jacqueline chiuse il libro e alzò lo sguardo sul suo viso.
Senza distoglierlo, a rallentatore, sollevò il braccio e pose la mano sul suo petto.
Piton chinò il mento, osservando la piccola mano chiudersi sulla pesante stoffa nera e tirarlo verso di sé.
Gli occhi neri si socchiusero quando la bocca della ragazza si posò sulla sua.
Questa volta, Jacqueline ebbe più tempo per sentire il calore scorrerle come linfa vitale nel petto.
Strinse più forte la presa sulla casacca, come a chiedere di più.
Rabbrividì appena quando sentì la mano fredda di Piton posarsi sulla sua schiena, sfiorando il velo della camicia da notte, mentre le labbra rispondevano alle sue.
Senza interrompere il bacio, aprì la mano che stringeva il lembo di stoffa e la tenne appoggiata sul petto dell’uomo, proprio mentre lo sentiva posare anche la seconda mano sulla sua schiena, e avvicinarla a sé.
Fu un bacio molto più bello e intenso rispetto a quello fuggente scambiato davanti all’aula di Trasfigurazione, ma dopo qualche minuto Piton si staccò, di nuovo, lasciando Jacqueline con gli occhi ancora chiusi e il viso proteso verso il suo.
- Forza, vai a cambiarti - 
In un attimo uscì, lasciandola sola e nuovamente serena.
**
 
Il giorno dopo ricevette una lettera da Tonks.
L’avvisava che sarebbe stata in missione per conto dell’Ordine fino alla fine del mese.
Ma Jacqueline aveva ormai trovato ciò di cui aveva bisogno.
Ogni volta che non voleva mangiare o andare a lezione, Piton riusciva a dissuaderla. Ogni volta che si chiudeva in bagno rifiutandosi di farsi vedere, lui le parlava con la sua voce bassa e lei usciva.
Ogni bacio che riusciva a strappargli la rasserenava e confortava. Perché solo in quello, nell’affetto caldo riversato su un uomo tanto freddo, trovava la forza necessaria a rialzarsi.
Settimana dopo settimana, Piton divenne per lei un supporto a cui aggrapparsi.
Un porto sicuro in mezzo alla tempesta.
Questo aspetto, più della gravità del fatto di avere quasi una relazione con un’alunna (per quanto adulta), preoccupava Piton.
Doveva fare qualcosa.
 
toc toc
- Entra -  Piton era seduto dietro la sua scrivania quando bussarono alla porta.
- Buonasera Severus -  un uomo alto e magro, dall’aspetto vagamente trasandato e l’espressione stanca, aveva appena varcato la soglia.
- Lupin -  Piton lo salutò con un semplice cenno della testa, e lui ricambiò.
Tra i due uomini non scorreva buon sangue, fin dai tempi della scuola.
- Come mai mi hai fatto venire qui? -  Lupin andò al sodo, sedendosi sula sedia vuota davanti alla scrivania.
- Si tratta di Jacqueline Crayle -  rispose Piton.
Il suo interlocutore si accigliò.
- E’ successo qualcosa? -
- Come sai meglio di me, dopo la morte di Black è rimasta profondamente turbata. A casa mia, come già ti riferii via gufo, si rifiutò di parlare e mangiare per quasi due mesi. Stare in casa Tonks sembrava averla un po’ rasserenata, ma arrivata a scuola la situazione è precipitata nuovamente -
Lo sguardo di Lupin si faceva sempre più cupo ad ogni parola.
- Cosa intendi dire? -  domandò.
- Da diverso tempo salta le lezioni senza fornire una valida giustificazione e passa le giornate nascosta, senza farsi vedere nemmeno ai pranzi. Silente pensava di espellerla dalla scuola -
Lupin si alzò in piedi di scatto.
- Questo non è possibile! Silente non capisce… -
- Allora le ho parlato -  proseguì Piton, ignorando l’interruzione.
Lupin si risedette.
- Racconta -
Piton fece una smorfia. Quella conversazione (con quell'interlocutore) gli costava non poco sforzo.
- L’ho convocata nel mio ufficio e l’ho messa di fronte alla gravità del fatto. Non mi ascoltava. Cercavo di farla reagire, e lei… mi ha baciato -
- Cosa?? -  Lupin si era alzato di nuovo e proteso verso il professore.
- Esattamente quello che ho detto -  ribadì questi, impassibile.
- Non si è trattato di un episodio isolato -  continuò,  - Successivamente il fatto si è ripetuto diverse volte - 
Lupin si era seduto, di nuovo, e aveva abbassato lo sguardo.
- Questa faccenda non mi piace -  disse, massaggiando con le dita la fronte corrucciata.
Piton proseguì.
- L’aspetto che più mi preoccupa è la dipendenza che sta sviluppando: non muove un passo senza che io glielo dica. Non so cosa succederebbe se tagliassi i fili che, per così dire, la tengono in piedi -
- Prova qualcosa per te? -  Lupin era addolorato.
- Credo più che altro che veda in me una figura di sostegno. Non conosco i suoi sentimenti -
- E i tuoi? Conosci i tuoi sentimenti Severus? -  nel dire questo, il tono di Lupin si era fatto era leggermente accusatorio.
Piton lo guardò accigliato.
- Spero, Remus, che tu non creda ch’io mi sia voluto approfittare di lei -
- No. Sei un uomo d’onore, l’ho sempre pensato. Ma a maggior ragione non mi sarei mai aspettato questo da te -  ora era decisamente accusatorio.
- Non intendo dare giustificazioni -  la voce di Piton era ferma.
- Ed io non voglio tentare di indovinarne -  concluse Lupin, alzando la testa.  - Durante le vacanze di Natale le parlerò, e vedremo di trovare una soluzione -
Fecero per stringersi la mano, ma poi entrambi la ritrassero.
Si guardarono brevemente negli occhi, e Lupin uscì dalla stanza.
Rimasto solo, Piton risedette alla scrivania e osservò il fuoco scoppiettare nel camino.
Le parole di Lupin echeggiavano nella sua mente.
- Non mi sarei mai aspettato questo da te -
‘Nemmeno io. Nemmeno io’
 

____________________________________________________________________________________________________________________________________________
 
Che dire, spero vi sia piaciuto e ringrazio tutti quelli che hanno recensito i capitoli precedenti, siete carinissimi : )
Domani il 6° capitolo, baci a tutti!
Lily

ps. chi non l'avesse ancora fatto si ricordi di leggere l'introduzione al primo capitolo, altrimenti la storia può sembrare un po' confusa

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Capitolo 6
*** Dicembre: Il più bel regalo ***


CAPITOLO 6:  Il più bel regalo

 

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Arrivò la prima mattina di dicembre, e il castello si svegliò sotto una soffice coltre bianca.
Era alta quasi un metro e ricopriva tutto il paesaggio, dall’orto di zucche al campo di Quidditch, mentre il Lago Nero era una spessa lastra di ghiaccio sul quale si specchiava il profilo delle montagne aguzze.
Mano a mano che i giorni passavano e le vacanze si avvicinavano, il castello iniziò a svuotarsi, dal momento che la maggior parte degli alunni tornava a casa per Natale.
Tra gli altri, partirono anche Cho e Ginny, ma per Jacqueline non faceva molta differenza: vedeva Cho solo di sfuggita e con Ginny non parlava da ottobre. Dopo tutto quello che era successo con Fred, pensò, quel Natale non sarebbe certo stata invitata a casa Weasley.
Ma, tutto sommato, la cosa non le dispiaceva: durante le feste natalizie il castello era quasi deserto, il consueto chiacchiericcio degli studenti era sostituito da un silenzio magico, e Jacqueline poteva avere la Torre di Corvonero tutta per sé.
Aveva quindi dato il proprio nome alla McGranitt (che faceva da una settimana il giro delle Case preparando l’elenco degli studenti che sarebbero rimasti al castello) tutt’altro che dispiaciuta, pensando che per una volta si sarebbe gustata quell’atmosfera in santa pace.
Aveva messo dell’agrifoglio perfino nella gabbietta di Sullivan!
E poi c’era Piton, il cui pensiero ogni notte l’accompagnava dolcemente nel sonno.
Anche durante le lezioni si scopriva a pensare a lui. Alla sua voce profonda, ai suoi baci, alle sue mani, alla sua espressione perennemente indecifrabile, a metà tra il senso di colpa e la tipica risolutezza…
Anche grazie a lui, gli ultimi due mesi erano volati, e settembre pareva solo un brutto ricordo lontano.
‘Due mesi. E’ già passato così tanto tempo?’
Spesso Jacqueline si stupiva della facilità con la quale aveva accettato quella strana situazione, e di come fosse in grado di accantonare e chiudere in un cassetto i dubbi che di tanto in tanto facevano capolino tra i suoi pensieri. Dubbi che rapidamente si dissolvevano dinnanzi alla dolcezza del calore che si era ormai annidato nel suo cuore.
Certo avrebbe preferito potersi confidare con qualcuno, riguardo a Piton.
Ma aprirsi con Cho o Ginny sarebbe stato impensabile, e Tonks era ancora lontana per conto dell’Ordine.
Più volte era stata sul punto di scriverle di lui, ma il pensiero di una sua possibile reazione negativa le fermava la mano.
**

Il primo giorno delle vacanze, il castello era definitivamente svuotato.
Tra i pochi alunni rimasti c’era anche Harry Potter (e il resto dell’inseparabile trio), come Jacqueline aveva potuto constatare una sera, mentre tornava al proprio dormitorio dopo aver trascorso un pomeriggio con Piton, in un anfratto della biblioteca deserta.
Aveva incrociato il ragazzo lungo il corridoio della Stanza delle Necessità, solo, e aveva rapidamente cambiato strada.
 
Il giorno di Natale si svegliò tardi, esitando sotto il morbido e caldo piumino, e gustandosi nell’intimità delle sue quattro tende l’atmosfera di festa che si avvertiva nell’aria.
Solo quando le lancette della sveglia segnarono le 11:15 si decise a scendere dal letto, spalancando le tende del baldacchino per ammirare i pacchetti regalo degli amici, ammonticchiati sul pavimento di legno.
‘Non vogliono proprio dimenticarsi di me!’ pensò, con un pizzico di compiacimento.
Inginocchiata per terra si mise all’opera.
Scartò con foga una mantellina nera ricamata (di blu) da parte Tonks, un libro sugli infusi da Ginny, una divisa nuova di zecca (della taglia giusta!) dai signori Tonks, una bella borsa di cuoio da Cho e, del tutto inaspettatamente, una scatola di dolciumi fatti in casa dalla signora Weasley e una confezione di fuochi d’artificio Filibuster da George.
‘Un buon bottino!’  pensò soddisfatta, scartando una caramella mou.
Era bello sapere che, nonostante ultimamente avesse fatto il possibile per evitare le persone a lei care, queste non le serbassero rancore.
 
Dopo aver indossato la divisa nuova (completa di calze pesanti, gonna, camicia e maglione), riposto i regali nel baule e dato da mangiare a Sullivan, uscì dalla Torre e iniziò a scendere le scale, pregustando il pranzo natalizio.
La Sala era, come sempre, uno splendore.
Il perimetro era addobbato con una dozzina di abeti coperti di ghiaccio scintillante e illuminati da centinaia di candeline, tra una vetrata e l'altra erano appesi grossi festoni di agrifoglio e di vischio, e dal soffitto incantato fioccava neve magica (tiepida e asciutta), che si dissolveva a contatto con i lunghi tavoli e i pochi alunni che li occupavano.
Al tavolo dei professori, anch’esso mezzo vuoto, Vitious indossava un buffo cappello a punta d’oro, e versava allegramente da bere alla McGranitt e alla Sprite, sedute accanto a lui.
Con il sorriso sulle labbra, Jacqueline si avviò lungo il corridoio centrale, sfilandosi il maglione.
Con grande sorpresa, scoprì di non essere la sola ad occupare il tavolo dei Corvonero.
- Lupin! -  esclamò stupita.
L’uomo, vestito con la consueta giacca rattoppata e avvolto in una sciarpa di lana, sedeva sulla panca di legno, un bicchiere di succo di zucca in mano.
- Ciao Jacqueline, auguri -  le rispose, con un sorriso cordiale, scrollando dal proprio mantello da viaggio la neve magica.
- Grazie! Sei qui per me? -  chiese la ragazza, sedendosi al suo fianco e abbracciandolo.
- Sì. Devo parlarti -  era diventato molto serio, e Jacqueline se ne accorse.
- Di cosa? -  chiese, titubante, afferrando il cucchiaio d’argento davanti a lei e servendosi dal piatto delle patate arrosto.
- Di te e del professor Piton -
Jacqueline si voltò a guardarlo, con la bocca serrata e gli occhi sgranati. L’espressione dell’uomo le chiuse lo stomaco. Si alzò di scatto dalla panca, rovesciando il piattino del roastbeef.
Non aveva intenzione di stare a sentire.
- Scusa, Lupin, non posso restare -  disse, cercando di tenere a bada l’agitazione.
- Jacqueline… - 
Lupin cercò di richiamarla, ma la ragazza aveva già lasciato la panca e si dirigeva a grandi passi verso il portone.
**
 
Attraversò con impeto il corridoio fino alla Sala d’Ingresso e imboccò le scale per i gelidi sotterranei, scendendo i gradini a due a due.
Rabbrividendo e maledicendosi per aver lasciato il maglione sulla panca, si diresse veloce verso la terza porta a sinistra e la spalancò.
- TU! -  esclamò, avvicinandosi minacciosa alla scrivania di Piton e puntandogli il dito contro.
- COME TI SEI PERMESSO DI PARLARE CON REMUS LUPIN? -  la gola le bruciava.
- Calmati -  cercò di tranquillizzarla il professore, alzandosi dalla sedia e raggiungendola, interdetto d’innanzi a tanta furia.
- MI HAI MESSA ALLO SCOPERTO - lo accusò lei, cominciando a picchiare i pugni sul suo petto.
Piton l’afferrò saldamente per i polsi, cercando di trattenere i colpi senza farle male, ma lei continuava a dibattersi.
- Non può continuare, lo capisci vero? -  le si rivolse con voce ferma, allentando la presa.
Quell’attimo di distrazione gli fu fatale: Jacqueline ne approfittò e gli si scaraventò addosso.
Finirono entrambi distesi per terra, e il silenzio calò all’istante.
 
Per un attimo restarono fermi, senza riuscire a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.
Il petto di Jacqueline, pressato sotto quello del professore, si alzava e si abbassava veloce, al ritmo del suo respiro affannato.
Poi, piano, Piton staccò la mano destra da terra e l’appoggiò sul ventre piatto della ragazza, scostando i lembi della camicetta.
Sentiva il calore della sua pelle morbida sotto le dita.
Da parte sua, Jacqueline era rabbrividita al tocco della grande mano fredda dell’uomo.
E i brividi accrebbero quando la sentì risalire e slacciare uno a uno i bottoni della sottile camicia bianca.
Piano piano scoprì il ventre, poi gli addominali, fino a incontrare l’incavo dei seni, e lì si fermò.
Piton guardò intensamente gli occhi lucidi di Jacqueline, mentre con lentezza esasperante slacciava gli ultimi bottoni, aprendo la camicia e sfilando il reggiseno.
Le guance della ragazza si tinsero all’istante di rosso mentre lo sguardo dell’uomo scendeva dai suoi occhi azzurri al petto bianco.
Si alzava e si abbassava sempre più rapidamente, al ritmo crescente dei battiti del cuore.
Piton vi pose sopra la propria mano e scese col viso a baciare le labbra asciutte di Jacqueline.
Il bacio più intenso e mozzafiato che avesse mai ricevuto.
‘Soffoco’ pensò.
Mentre le labbra di lui stringevano quelle di lei, la mano si spostava sulle sue forme delicate, sul seno e sui fianchi.
Poi le labbra si staccarono da quelle di Jacqueline (per il sollievo dei suoi polmoni), e scesero a baciarne il collo e il petto candido, mentre le mani della ragazza, appoggiate sulla schiena di lui, lo trattenevano il più possibile vicino a sé.
Senza rallentare il ritmo dei baci, Piton spostò la mano dal fianco di Jacqueline, scendendo ad allentare la zip della gonna.
Le dita della ragazza ebbero un timido tremore mentre procedevano ad aprire la pesante casacca nera del professore.
In pochi minuti si ritrovarono completamente nudi, l’uno sopra l’altra, i corpi stretti in un abbraccio che non concedeva a un filo d’aria di dividerli.
Piton ora poteva sentire nettamente i brividi che percorrevano il corpo di Jacqueline, sdraiata con la schiena sul freddo pavimento di pietra.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma lei gli indicò con un dito di fare silenzio e lo baciò.
Mettendo a tacere i mille pensieri e facendo appello a tutto il coraggio che possedeva, prese le mani del professore e le accompagnò sul proprio bacino.
E la danza ebbe inizio.
Dapprima a ritmo lento, poi crescendo.
Le braccia forti di Piton stringevano e imprigionavano Jacqueline, mentre i due corpi caldi si avvolgevano l’uno sull’altro, perfettamente combinati, come se fossero nati per trovarsi e riconoscersi a vicenda.
Rotolarono sul pavimento, alternandosi in un gioco scambievole di amore fragile e forte, mentre i respiri si sincronizzavano: sembrava che l’anima di ognuno dovesse perdersi e rinascere nel respiro dell’altro.
 
Dopo un tempo che sembrò infinito si staccarono.
Fissavano entrambi il soffitto basso del sotterraneo, le schiene poggiate a terra.
Il respiro di Jacqueline era affannato, quello di Piton più regolare.
Dopo una manciata di minuti, quest’ultimo si mise a sedere, allungò un braccio per afferrare il proprio mantello e lo adagiò sul corpo nudo di Jacqueline, per proteggerla dal freddo.
- Hai fame? -  le chiese.
- Un po’ -  rispose lei, constatando quanto la gola le bruciasse. - Che ore sono? - 
Tra le altre cose, aveva completamente perso la cognizione del tempo.
- E’ quasi ora di cena -  rispose il professore, alzandosi da terra e dandole le spalle.
Jacqueline si mise su un fianco, girando la testa per guardarlo mentre si infilava i pantaloni neri, raccolti da terra.
Finì di stringere i lacci della casacca e tornò da lei, porgendole un grosso plaid (sottratto alla poltrona davanti al camino).
- Tieni, copriti -
Jacqueline se lo mise sulle spalle e vi si avvolse. Poi si alzò, vacillando appena sulle gambe, e si diresse verso la scrivania su cui Piton stava disponendo una manciata di biscotti secchi.
Si sedette sul bordo del tavolo e ne afferrò uno.
Aveva la gola secca e poca forza nelle mani, ma si sentiva bene.
Piton le si avvicinò.
- Avrei potuto consultarti prima di parlare con Lupin -
- Avresti dovuto -  ribatté lei.
Rimasero ancora un po’ in silenzio, poi Piton parlò di nuovo.
- Non credo che si ripeterà -  era molto serio, la fronte corrucciata.
Ma Jacqueline ormai aveva capito.
- Io credo di sì -
Piton la guardò.
La creatura vulnerabile che aveva preso con sé l’anno precedente si era dissolta.
Ora c’era una luce nuova nei suoi occhi.
- Vestiti, ti accompagno al dormitorio -
 
Lungo il tragitto per i corridoi non scambiarono una parola.
Arrivati in cima alle scale, davanti all’ingresso della Sala Comune, Piton la prese per il braccio facendola voltare.
- Buon Natale -
Jacqueline lo guardò.
Una volta in più, si stupì di come i suoi occhi neri riuscissero a rimanere sempre inespressivi.
Si alzò in punta di piedi a baciarlo un’ultima volta, e scomparve dietro il pesante portone di quercia.
Tirò un sospiro profondo, richiudendolo alle sue spalle e appoggiandovi contro la schiena.
Il mondo stava  precipitando.
E non addosso lei, bensì tutto intorno.
Lei era in piedi. Al centro del terremoto, ma in piedi.
Portava dentro il petto il regalo più bello di tutti.
La determinazione brillava e sfavillava come una fiammella.
Ed era stato lui a donargliela.


______________________________________________________________________________________________________________________________ 
 
Chiedo venia per il banale escamotage con cui i nostri graziosi amanti si sono ‘casualmente’ ritrovati a terra!
Ma d’altronde voi vi sareste mai immaginati Piton fare il primo passo? Naah.
Spero vi sia piaciuto comunque,
Al prossimo capitolo!
Lily

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Capitolo 7
*** Gennaio: Léon ***


CAPITOLO 7:  Léon                              



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   12/1/10:  La vita ricomincia. A pieno regime!

Seduta al tavolo della Sala Comune, Jacqueline finì di scrivere le ultime parole, poi ripose la penna nel calamaio, chiuse il diario e guardò fuori attraverso il vetro spesso e appannato della finestra.
Era la prima bella giornata del nuovo, gelido anno, e il sole si specchiava nel Lago Nero macchiandolo di piccole onde dorate.
Trasse un sospiro profondo, socchiudendo gli occhi e godendosi i raggi che filtravano dalla finestra scaldandole la pelle.
Dalla sua vaschetta, Sullivan faceva lo stesso!
‘Va tutto bene’ pensava.
Ed era vero.
Dopo Natale le lezioni erano ricominciate, e anche la sua vita.
Aveva riempito l’agenda di lezioni, riaperto i libri di scuola e inaugurato la borsa di pelle di Cho.
Il primo giorno di lezione era entrata nell’aula di Trasfigurazione in anticipo, si era seduta in prima fila di fianco a una stupefatta Cho, e aveva seguito con estremo interesse tutta la lezione (riempiendo ben due pergamene di appunti!).
Alla fine della settimana, Corvonero aveva guadagnato ben 40 punti grazie a lei, e i professori erano visibilmente contenti di riavere tra i banchi una delle studentesse più brillanti.
Aveva iniziato a tenere un diario che scriveva solitamente di sera, prima di andare a dormire, e si era fatta spedire via gufo dal Ghirigoro una confezione di carta da lettere nuova, tornando a far lavorare sodo i gufi della scuola.
La mattina si alzava presto, faceva la doccia, si infilava la divisa nuova, riempiva la borsa e andava a lezione con Cho.
Le ore buche le passava quasi tutte insieme a Piton: approfittavano di ogni momento libero per incontrarsi.
- Sta diventando una vera e propria dipendenza la tua -  le ripeteva lui quando, dopo ogni incontro, la riaccompagnava al Dormitorio.
Ma lei sapeva che, nonostante non lo ammettesse, ormai era lui a dipendere da lei.
‘O forse entrambi’
Ma questo “impegno a tempo pieno” non la sfibrava, anzi. 
Dopo le vacanze qualcosa era cambiato: la forza era tornata a circolarle nelle vene e Jacqueline la sfruttava al massimo, concentrandosi anima e corpo sullo studio e sulla sua relazione.
L’unico altro contatto umano che aveva era Tonks, che aveva ricominciato a scriverle ogni settimana.
 
  19/1/10
  Cara Jackie,
  Eccezionale in Incantesimi?? Però, il caro vecchio Vitious ti avrà dato come minimo un bacio in fronte!
  So che te l’ho già detto, ma sono tanto felice di sentirti così di buon umore!
  Qui nessuna novità.

  Ho seguito il tuo consiglio e ho provato a parlare a Remus dei miei sentimenti…
  Ma non ne vuole sapere.
  Dice che lui è un lupo mannaro, che è pericoloso, che mangia bistecche, bla bla bla.
  Non sai che nervoso mi fa venire!
  Tra l’altro (non ti arrabbiare) mi ha detto una cosa strana…
  In realtà non è che me ne abbia proprio parlato, mi ha solo accennato qualcosuccia.
  Su te e Severus Piton...
  Jackie, con me puoi confidarti, siamo amiche! E’ successo qualcosa?
  Baci, a presto   

  Tonks
 
  21/1/10
  Oh Tonks…
  Chiariamoci, non te l’ho tenuto nascosto perché non ti ritengo mia amica.
  Ma perché è una cosa davvero complicata, e capisco che da fuori sia difficile comprenderla.
  Quindi io te lo dico, ma tu prometti di non giudicarmi, ok?

  Allora.
  Diciamo che io e lui abbiamo una specie di relazione (se si può chiamarla così).
  E’ iniziato tutto a ottobre, nel periodo in cui non andavo a lezione, non mangiavo ecc.
  Io non sapevo cosa fare, a chi aggrapparmi, e… ho trovato lui.
  Avevo bisogno di aiuto, di qualcuno che mi accompagnasse in classe la mattina o che mi convincesse a mangiare.

  E lui l’ha fatto.
  C’è stato il primo bacio, gliel’ho dato di impulso, senza averci mai pensato prima.
  E lui ha risposto. Naturalmente non me lo aspettavo!
  Per i primi due mesi è continuata così, pianti e baci qua e là, poi a Natale la cosa è cambiata.
  Sono stata a letto con lui.
  Be’, in realtà era il pavimento del suo ufficio, ma il concetto è quello.
  Ed è cambiato tutto.
  Ho trovato la carica e l’energia di cui avevo bisogno, mi sono rimessa in carreggiata con la scuola…

  Certo, sai anche tu com’è fatto, non vuole ammettere quello che c’è tra di noi (qualunque cosa sia).
  Non ne parliamo mai.
  Ma per il momento preferisco non fare pressioni.
  Non mi uccidere!   
  Jacqueline
 
Finì di scrivere la lettera, la sigillò con la ceralacca e si alzò dallo scrittoio.
Si infilò il golf grigio e la mantella nuova di Tonks e uscì.
La Guferia era relativamente vicina alla Torre Ovest, in cima alla quale stava la Sala Comune di Corvonero, e Jacqueline la raggiunse in poco tempo.
Per le scale, che si arrotolavano a spirale sull’esterno della torretta, tirava un’aria gelida!
Entrata, si diresse spedita verso la rimessa dei gufi della scuola e iniziò a cercarne uno libero.
Ad un certo punto, senza preavviso, un barbagianni particolarmente grosso si alzò in volo, attirando l’attenzione di Jacqueline.
Qualcosa di marrone e molto piccolo giaceva al posto in cui prima stava appollaiato il barbagianni.
La ragazza si avvicinò.
Un minuscolo gufo con le penne tutte arruffate era riverso a pancia in su, e aveva tutta l’aria di essere stato schiacciato dal prepotente uccellaccio.
Jacqueline lo prese delicatamente per una zampa, sollevandolo dal giaciglio di piume e posandolo sul palmo della propria mano.
Da parte sua, il gufetto emise un gracchio stridulo.
Non sembrava affatto in buono stato!
Senza più curarsi della lettera per Tonks, iniziò a correre giù per le scale, con il gufetto al sicuro nelle mani.
Attraversò il cortile ovest, entrò nella torre dell’orologio, salì altre due rampe di scale e raggiunse l’Infermeria.
- Madama Chips, Madama Chips! -  chiamò a gran voce, facendovi irruzione.
- Cara, sei in un’Infermeria, un po’ di silenzio! -  la rimproverò l’infermiera della scuola venendole in contro.
- Ma qui non c’è nessuno! -  obiettò Jacqueline, riprendendo fiato.
- Sì, be’… cos’hai lì? -  chiese la donna, intravedendo la pallina marrone tra le mani della ragazza.
- E’ un piccolo gufo, deve avere pochi mesi. L’ho trovato nella guferia -  rispose lei, porgendoglielo.
Madama Chips lo prese in mano e iniziò a scrutarlo con occhio clinico.
– Sì –  commentò, – Si è rotto un’ala - 
Si diresse verso il suo studio, in fondo della grande stanza, e vi si chiuse dentro.
Jacqueline, rimasta immobile dov’era, si strofinava le mani sotto la mantella, nel tentativo di scaldarle.
Dopo qualche minuto, l’infermiera riemerse dallo stanzino.
- Ecco fatto. Una cosa da niente, gli ho dato un ricostituente magico e si è aggiustata in un attimo. Dovrai tenerlo al caldo per un po’ e dargli questi da mangiare -  porse a Jacqueline un sacchetto di mangime, - Sono della mia civetta, ma non credo faccia differenza -
- Grazie mille Madama Chips! -  la ragazza riprese tra le mani il gufetto e tornò verso la Sala Comune.
 
Sul davanzale della finestra, di fianco al suo letto, preparò amorevolmente un nido utilizzando una vecchia camicia di flanella di Cho e della bambagia, e di fianco mise in due ciotoline (un tempo calamai!) il mangime e l’acqua.
- Ti chiamerò Léon! -  concluse, arruffandogli le piume sulla testa.
**
 
Arrivò un pomeriggio di sole, l’ultima settimana del mese.
- JACKIE! -
La ragazza era sdraiata sotto un albero sulle sponde del Lago Nero a studiare, quando sentì qualcuno che la chiamava a gran voce.
- JACKIE!! -
Sì alzò e guardò meglio da dove proveniva.
Non sembrava la voce di Cho… e di sicuro non era Piton!
Una donna dai capelli rosa stava dall’altra parte del giardino, agitando una mano nella sua direzione.
- Tonks! -  esclamò Jacqueline, mentre l’amica le correva in contro.
- Jackie… woh… non ho più fiato! –  ansimò lei, raggiungendola sotto l’albero.
- Vieni, siediti! -  Jacqueline la prese per mano, facendola sedere con lei sull’erba.
- Il tuo strano gufetto ci ha messo un po’, ma sono venuta appena ho ricevuto la lettera - 
Si era parzialmente ripresa dalla corsa.
- Oh… -  il sorriso sulle labbra di Jacqueline si spense, - Per uccidermi? – chiese preoccupata!
- Ma va’, stupida, per parlarti! Allora. Innanzitutto sappi che sono contenta -
- Che?! -  Jacqueline era incredula.
Fissò Tonks con tanto d’occhi. La missione per conto dell’Ordine doveva averla sconvolta parecchio!
- Sono contenta. Perché sembravi spenta, e adesso non lo sembri più, e se il merito è suo io posso solo felicitarmene e mandargli subito una scatola di cioccolatini! Certo -  continuò,  - Avrei preferito che a farti tornare il sorriso fosse qualcuno di un po’ più… un po’ più… -
- Vivace? -  azzardò Jacqueline.
- Stavo per dire giovane, ma anche vivace va bene! Ma, al contrario di Remus, io sono contenta. E soprattutto sono dalla tua parte –
Jacqueline non la lasciò finire e le buttò le braccia al collo, stringendola forte.
- Grazie, grazie, grazie Tonks! Ho un bisogno infinito di avere qualcuno che mi capisca -
L’amica ricambiò l’abbraccio sorridendo.
- Sono contenta di essere io quel qualcuno. Le tue ‘altre amiche’ non le frequenti più? Ho intravisto Ginny durante le vacanze di Natale alla Tana, ma quando le ho chiesto di te non sapeva cosa rispondermi -
- Non ci parliamo molto. Studio quasi sempre con Cho, e quando non studio sono con lui, e la notte… –
- …stop, grazie! -  la interruppe l’amica iniziando a ridere.
- Però. Chi l’avrebbe mai detto che Piton… sempre così freddo e distaccato… inimmaginabile che possa attaccarsi a una persona. Hai sciolto il suo cuore di pietra! -  concluse, facendole l’occhiolino.
- E’ reciproco direi –
- Ma ne avete parlato di questa cosa? - 
- No -  rispose Jacqueline, incupendosi  - Io vorrei discuterne, vorrei sapere cosa pensa lui di questa situazione... Ma l’hai detto anche tu, lui è Piton! L’unica cosa che sa dire è che è un errore, che lui è troppo vecchio ecc. Anche se è evidente che nemmeno lui ci crede –
- Capisco… però, Jackie, devi avere pazienza. Ha bisogno dei suoi tempi, prima o poi  vedrai che troverete il modo di parlarne -  la rassicurò, prendendole le mani e facendole un gran sorriso.
- Speriamo. Al momento le nostre conversazioni sembrano scambi di incantesimi non verbali! -
- Immagino! -  Scoppiò a ridere l’amica. 
- Ora devo andare -  aggiunse poi, alzandosi in piedi e scrollandosi di dosso le foglie.
- Ho fatto una piccola deviazione ma stavo sbrigando l’ennesima faccenda per conto dell’Ordine. A presto Jackie! Ti scrivo -   
- A presto Tonks, ti voglio bene -
Le due amiche si abbracciarono un’ultima volta e poi si divisero.
Jacqueline era, se possibile, ancora più contenta.
Si era tolta un peso dal cuore.
‘Ne rimane solo uno’

Senza pensarci due volte afferrò la borsa, se la mise a tracolla e attraversò a grandi passi il cortile.
Percorso il corridoio della Sala d’Ingresso svoltò a sinistra e si fermò davanti alla porta aperta della Sala Insegnanti.
Era una stanza piuttosto grande, interamente rivestita in legno e piena di sedie.
Era deserta, eccezion fatta per una persona.
- Professore -  disse Jacqueline, entrando e lasciando cadere con un tonfo la borsa sul grande tavolo di mogano, al centro della stanza.
Piton, che le dava le spalle e guardava fuori dalla finestra, si voltò allarmato.
- Cosa ci fai qui? Potrebbe vederti qualcuno -  disse brusco, indicando le finestre della stanza che davano sul chiostro affollato di studenti.
- Sono un’alunna, ho tutto il diritto di venire qui a parlare con un mio insegnante -  rispose Jacqueline, ignorando le sue disapprovazioni.
- Questa mattina mi sono svegliata e non c’eri -  continuò, afferrando una sedia e sedendosi al tavolo, - Speravo che avremmo potuto parlare un po’ -
Piton, in piedi, le voltò nuovamente le spalle.
- Di cosa volevi parlarmi? -  chiese, senza far trapelare nessuna emozione dalla sua voce.
Jacqueline trasse un profondo sospiro - Questa situazione si è creata a causa mia, e tu hai tutto il diritto di volerti prendere i tuoi tempi per riflettere. Ma in questo momento io non so davvero… cosa stiamo facendo? -
Piton si voltò e alzò un sopracciglio in tono ironico.
- Quello che voglio dire -  continuò lei, alzandosi e avvicinandosi a lui,  - E’ che quello che abbiamo, qualsiasi cosa sia, mi riempie di piacere ma mi lascia anche perplessa. E prima o poi vorrò sapere da te qualcosa di più -  lo guardò negli occhi neri, ma di nuovo non riuscì a leggervi nulla di certo (se non una vaga sorpresa).
Senza distogliere lo sguardo, prese la borsa e uscì dalla stanza.


___________________________________________________________________________________________________________________________________ 
 
Dai che ci siamo quasi!
I nostri insoliti piccioncini potrebbero riuscire presto a definire finalmente la loro storia.
Nel capitolo di domani, importanti svolte…
Buona Pasqua a tutti : )
Lily

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Capitolo 8
*** Febbraio: Sana gelosia ***


CAPITOLO 8:  Sana gelosia

 
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Una sera, Jacqueline si stava dirigendo nell’aula di pozioni dove, come ogni giovedì, aveva appuntamento con Piton. Ripensava a quello che si erano detti qualche settimana prima, in Aula Professori, e si chiedeva se questa volta avrebbe avuto più fortuna.
Era praticamente arrivata, stava per girare l’angolo, quando una snella figura le comparve davanti a tradimento, facendola sussultare.
- Signorina Crayle! Di nuovo soli! – ammiccò il bel moro Serpeverde.
- Zabini, che piacere -  ribatté Jacqueline sarcastica.
- Ah, noto che adesso mi parli eh! Non sei più musona – disse facendole l’occhiolino.
- Ho il dono dell’intelletto, Zabini, che a te disgraziatamente manca! -
- Ho altri doni Crayle.. – sussurrò malizioso avvicinandosi e intrappolandola con le spalle al muro.
- ..se acconsentissi ad appartarti con me lo scopriresti! – soffiò sul suo collo, posandole le mani sui fianchi e tirandola a sé.
- Oh, che terribile, terribile tentazione! -  lo prese in giro lei.
- Scherzi a parte, Crayle, avevamo avuto la nostra occasione, se solo il professor Piton non ci avesse interrotti.. -  sussurrò appoggiando le labbra umide sul suo collo.
- ..l’avrebbe fatto un mio pugno – concluse Jacqueline.
- Ah! Simpatica la piccola corvetta.. -
- ..disse la viscida serpe! -  
Jacqueline cercava di non darlo a vedere ma si stava divertendo!
- Ti propongo una scommessa Crayle -  le disse a un centimetro dal suo viso, guardandola negli occhi.
- Sentiamo -
- Un bacio -
- Un bacio? -  domandò scettica.
- Solo un bacio. Ma se non resisterai al mio fascino e ricambierai…. –
- Sii ? -
- Poi non potrò più lasciarti andare..! – concluse avvicinandosi ancora di più al suo viso.
- Ci stai? – le sussurrò all’orecchio continuando ad accarezzarle con le dite i fianchi scoperti.
- Ci sto -  rispose lei.
- Davvero? -  Zabini si era allontanato di una manciata di centimetri.
- Stupito? -  chiese lei sorridendo maliziosa.
- Piacevolmente stupito Crayle! -  il moretto era decisamente gasato!
Premette più intensamente il proprio corpo su quello della ragazza, avvolgendola con le braccia.
- Stai per conoscere la vera magia -  sussurrò protraendo le labbra per baciarla.
- Magari  un’altra  volta –
Zabini si staccò di scatto udendo la cupa voce alle sue spalle sillabare le parole in tono minaccioso.
Piton stava in piedi davanti a loro, lo sguardo truce.
- Pro-professore.. -  balbettò Blaise in seria difficoltà.
- Dicevi signor Zabini? -  Piton era un monolite: perfettamente immobile.
- Niente signore -  rispose il ragazzo tentando di mentirgli.
- Sentiamo, quale magia stavi per mostrare alla signorina Crayle? -
- Io.. –  iniziò intimidito.
- Signor Zabini, se ti becco una terza volta appartato con la signorina Crayle tenendo atteggiamenti non consoni a un ambiente scolastico, non solo toglierò altri 10 punti alla tua casa ma farò rapporto al preside. Sono stato chiaro? –
- S-sì signore -  Zabini era terrorizzato dal tono di crescente minaccia nella voce del professore.
- Ora vattene –  concluse lapidario Piton.
Blaise passò cauto davanti al professore e poi, con uno scatto, corse via per il corridoio.
- Che cosa stavi facendo? -  ora era a Jacqueline che si rivolgeva.
Ma lei sorrideva.
- Perché sorridi? Avresti lasciato che ti baciasse? Saresti andata a letto con quel bambino?-
Il sorriso il Jacqueline si allargava sempre di più.
- Mi prendi in giro? –  Piton era disarmato.
La ragazza decise che non era il caso di tirare troppo la corda e intervenne, scoppiando a ridere.
- Ti prego, pensavi davvero che l’avrei fatto? –
- Non l’avresti fatto? -  Piton manteneva l’espressione seria.
Ma il sorriso di Jacqueline era sincero, e non si spegneva.
- Ti ho visto! Ho visto quasi subito che eri lì dietro l’angolo! –
- … l’hai fatto apposta? –  chiese sbalordito il professore.
In risposta, Jacqueline emise un’altra risata cristallina e il broncio di Piton si sciolse.
- Perché l’hai fatto? –  chiese, senza capire.
Jacqueline si limitò di nuovo a sorridergli.
Piton insistette.
- Volevi vedere che reazione avrei avuto? -  concluse.
Jacqueline assentì con la testa senza smettere di sorridere.
- Ha funzionato, no? –  aggiunse maliziosa.

Lui le prese il braccio e la fece camminare per l’ultimo tratto di corridoio poi, senza mollarla, aprì la porta dell’aula di Pozioni e la richiuse dietro di sé, appoggiandovi di schiena Jacqueline.
Lei continuava a sorridere beandosi dell’errore di ingenuità commesso dall’uomo.
- Tu sei geloso! -  disse infine confermando a parole l’evidenza.
- Non sono geloso, ma non mi piace che tu vada in giro per i corridoi a baciare la gente –
- E questo tu come lo chiami? –  questa volta era un sorriso ironico.
- Io.. –
- ..Tu -  ora Jacqueline si era fatta seria.
- Sono quasi 5 mesi che sei tu. Per me -
Anche l’espressione di Piton cambiò. Guardava gli occhi della ragazza che aveva davanti e che, con ancora la schiena poggiata alla porta, lo guardava dolcemente a sua volta.
- Da cinque mesi per me sei sostanza e ossigeno, e tutto ciò che tiene in vita un essere umano; non ho bisogno di nient’altro che non sia la tua presenza. E non è dipendenza, no - 
Gli occhi le si erano inumiditi nel pronunciare queste ultime parole.
- Tu vuoi me? -  Piton la guardava a bocca aperta.
- Io voglio te –  rispose con decisione, ricacciando indietro le lacrime.
- Preferisci un professore cupo e solitario a uno spensierato giovane della tua età? –
Jacqueline scosse la testa,  - Preferisco te - .
Nel dirlo pose dolcemente la mano sulla guancia di lui e lo guardò intensamente negli occhi, come a volersi prendere carico della tristezza che li colmava.
E nel guardarli non lesse solo infelicità ma, e questo sembrava nuovo per lui, come una sorta di riconoscenza.
- Sei brava a parlare con il cuore, io no -  sussurrò a mezza voce lui distogliendo lo sguardo, così vicino al viso della ragazza che un soffio gli sarebbe bastato per farsi udire.
- E non pretendo che tu lo faccia. Quello che mi dai è già più di quanto avrei mai pensato di poter avere da te –  lo rassicurò Jacqueline.
- Cosa ti aspettavi? -  chiese lui tornando a guardarla.
- Che mi abbandonassi -  ora le lacrime che aveva cercato di trattenere iniziavano a rigarle le guance.
Lo guardò ancora più attentamente negli occhi cercando riscontro alle sue parole, poi, in risposta, li vide chiudersi e avvicinarsi.
Le labbra li seguirono per incontrare quelle di Jacqueline a metà strada e aprirsi in un tenero bacio.
- No -  fece in tempo a dire lui prima che si toccassero.
E mentre lei rispondeva al bacio, il suo cuore sorrideva.
Con la certezza che quell’uomo non l’avrebbe abbandonata.
**
 
La sera successiva stava uscendo dall’aula dove si svolgevano le prove del coro con Vitious, situata al terzo piano di fianco a quella dei trofei, quando decise di fare una deviazione.
Con ancora il cuore leggero per il passo avanti fatto la sera precedente con Piton, si diresse verso la Torre di Grifondoro; ‘Parlare risolve tante cose’, pensava salendo le scale.
Arrivata al settimo piano imboccò un corridoio stretto e si arrestò.
Il quadro era certamente quello giusto, rappresentava una signora corpulenta vestita di taffetà color porpora e appisolata su uno scranno dorato.
Quante volte l’anno precedente si era recata in quel luogo per incontrare i gemelli.
Decise che la cosa migliore era sedersi sul gradino e aspettare pazientemente.
 
Erano passati appena cinque minuti quando il ritratto si spostò.
Jacqueline riconobbe all’istante la chioma disordinata che ne sbucò.
- Harry -  disse con tono velatamente rancoroso senza guardarlo in faccia.
- Oh, Jacqueline -  rispose lui altrettanto imbarazzato.
- Sono qui per Ginny, è dentro? -  chiese saltando inutili (e inappropriati) convenevoli.
- Sì, posso chiamartela -  rispose Harry ben contento di avere una scusa per sottrarsi d’impiccio.
- Grazie.. che facevi fuori a quest’ora? -  chiese poi Jacqueline insospettita.
- Oh, niente di che, andavo nei sotterranei.. -  rispose con tono vago il ragazzo.
- Senti, Jacqueline -  aggiunse poi,  - Non siamo mai stati particolarmente amici, nonostante tu frequentassi Fred & George e l’ES ; e anche quando sei diventata amica di Ginny non ci siamo mai fatti grandi risate insieme. Ma questa situazione è ridicola. Sirius manca a entrambi, la colpa è di tutti e di nessuno, e in ogni caso le cose non possono cambiare.
Ma noi potremmo smettere di portarci rancore -  disse tutto d’un fiato guardando la ragazza.
Jacqueline smise di fissarsi i piedi e alzò a sua volta lo sguardo sul compagno,  - Sì -  rispose,  - Forse a questo punto potremmo - .
In quel momento anche Ginny sbucò dal ritratto.
- Jackie -  esclamò vedendola,  - Mi sembrava di aver sentito delle voci -  aggiunse guardando interrogativa Harry.
- Sì, stavamo discutendo. Ora vi lascio, a presto -  tagliò corto Harry imboccando le scale.
 
Le due amiche si avviarono lungo il corridoio e si sedettero in fondo ai gradini di una delle torrette d’angolo.
- Ginny, mi dispiace -  iniziò Jacqueline rompendo il silenzio.  – Eravamo buone amiche, e io con il mio malumore ho rovinato tutto. Volevo chiederti scusa -  disse sinceramente pentita guardandola negli occhi.
- No, Jackie, io devo chiedere scusa a te. Mi sono lasciata allontanare e non ho provato a fare nulla per aiutarti. Sono stata davvero un’amica pessima -  disse guardandola a sua volta.
- Non è stata colpa tua, io dovevo essere parecchio scontrosa! -  commentò Jacqueline.
- Neanche Cho è riuscita molto a tenerti d’occhio! Dice che ogni volta che cerca di beccarti dopo le lezioni tu sparisci nel nulla -  si giustificò Ginny scherzando.
- Già, so essere sfuggente! -  commentò Jacqueline guardando fuori dalla feritoia.
Dopo un po’ trovò il coraggio di farle la domanda che le scottava dentro dall’inizio dell’anno.
- Come sta Fred? -  chiese tornando a guardarla.
Ginny tirò un sospiro profondo fissando il muro davanti a sé.
- Ha sofferto parecchio ad essere sincera, soprattutto quest’estate dopo la sua visita a casa del professor Piton. Ho pensato che fosse quasi geloso, sai? Ma poi ha capito che stavi male, e dopo un po’ ha accettato la cosa, seppur con dolore -  rispose.
Jacqueline sospirò a sua volta e le due amiche, finalmente, si abbracciarono di nuovo.



Che dire.. mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo!
Spero vi piaccia ;)

ps. Scusate, ma non posso trattenermi..

IL 25 APRILE 
NON E' UNA RICORRENZA:
ORA E SEMPRE
RESISTENZA!!

Ok, sfogo fnito, buona liberazione a tutti!

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Capitolo 9
*** Marzo: 'Lullabye' ***


CAPITOLO 9 :  'Lullabye'


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- Léon stai buono! - 
Il piccolo gufetto marrone aveva preso a becchettare la mano di Jacqueline tubando allegro, evidentemente impaziente di volare e consegnare al più presto la lettera che la padroncina stava finendo di redarre.
- E lascia in pace Sullivan! -  aggiunse lei vedendolo spostare il proprio interesse sulla vaschetta dell’indifesa e sopita salamandra.
Tornò a concentrarsi sul foglio di pergamena che aveva davanti.
Aveva cercato di riassumere a Tonks la discussione avuta con Piton la settimana prima, il più brevemente e chiaramente possibile.
E ora era giunta al punto saliente: era il momento di sputare il rospo.
 
< …Oh Tonks che disastro! Io credo di amarlo >  riprese a scrivere inspirando a fondo e mordicchiandosi le labbra nervosamente.
< Ma non posso dirglielo e questa è una tortura! Devo vederlo ogni giorno a lezione e la sera, quando sono nel suo letto, ogni volta mi dico che è il momento gusto per dirglielo. Ma poi lo guardo, sdraiato di fianco a me, con la sua espressione perennemente calma e imperturbabile, e qualcosa mi frena! >
Staccò la penna dal foglio di pergamena e la intinse freneticamente nella boccetta di inchiostro.
< Non so cosa fare..   Tua disperata Jacqueline >
Finì di scrivere la lettera e ripose la penna nel calamaio.
La risposta arrivò in serata.
 
< Jackie calma!                                                                                                   6/3/10
La vostra conversazione NON è stata disastrosa.
Lui non ha detto di non volerti (e i fatti lo dimostrano!), ha detto che non sa parlare di sentimenti. Lui è Piton Jackie!  Sappiamo com’è fatto.
La tua paura dell’abbandono è naturale, e avvalorata dal fatto che lui è un uomo che, sebbene nei modi trasmetta sicurezza, non da molte certezze.
Ti ha risposto ‘no’! Questo è importante Jackie! Significa ‘No, non ti abbandonerò’. Poi cos’altro (oltre a questo) volesse dirti non lo so. Quindi devi parlarci ancora.
Ormai avete iniziato, tanto vale andare fino in fondo.
Lo so che hai pura di un suo allontanamento, e per questo ti consiglio di andarci piano con lui, però fallo. Perché potrebbe valerne la pena.
Tu PUOI dirgli che lo ami. Il resto sta a te.
Valuta bene e riferiscimi!
Baci, Tonks >
**
 
Nei giorni successivi la mente di Jacqueline rimase occupata da quel solo pensiero.
Ormai era certa dei suoi sentimenti e questo, se da una parte le dava una sorta di rasserenante sicurezza, dall’altra le attanagliava lo stomaco, impedendole di riuscire a guardarlo in faccia a lezione.
Quando stavano da soli cercava di non pensarci troppo (e di tenere a bada le gambe tremanti!), ma era sicura che ogni suo gesto tradisse i suoi pensieri.
Doveva riuscire a trovare un modo per distrarre la mente.
 
L’occasione arrivò una mattina di sole.
Si trovava con i Tassorosso a lezione di Incantesimi e l’imponente orologio dell’Ala Ovest aveva da poco scandito la fine della lezione. Cho si era diretta spedita verso la lezione di Divinazione e Jacqueline stava ancora riponendo i libri in borsa, quando il professor Vitious si avvicinò al suo banco.
- Signorina Crayle! -  la chiamò gentilmente.
- Ah, salve professore non l’avevo sentita avvicinarsi -  il direttore della sua Casa era forse il professore che le suscitava più simpatia.
- Oggi è stata molto brava a lezione, quell’incantesimo Confundus era perfetto! -
- Grazie professore! -  Jacqueline apprezzava molto che la sua abilità negli incantesimi fosse notata ma era sicura che il professore nascondesse qualcosa in più, dietro la schiena per l’esattezza.
- Ma volevo parlarle di un’altra cosa – aggiunse Vitious sistemandosi su una sedia lì vicino e confermando i sospetti di Jacqueline.
- Ieri – continuò – Ho pensato al nuovo repertorio per il coro, e avrei deciso di buttarmi sul contemporaneo: Berling, Joel, Heyman ecc. E’ un genere molto bello, facilmente adattabile a un coro di ragazzi, e lascia spazio a diverse parti solistiche femminili.. Per venire al dunque, sarei molto felice se considerasse di diventare la solista ufficiale del coro –  concluse, sorridendole speranzoso.
Jacqueline ci pensò un attimo, poi ricambiò il suo sorriso.
- Ma certo! In questo periodo il carico di studio non è eccessivo.. Quando sono le prove? -
Vitious era raggiante!
- Se può, questo pomeriggio stesso le farò la prova della voce, una formalità! –
- Non ho impegni.. cosa devo fare? –
- Oh è facile, deve solo preparare uno di questi pezzi -  rispose prontamente porgendole quattro partiture,  - Io ora mi informo se c’è un’aula libera nel pomeriggio e glielo faccio sapere! –
- D’accordo! – .
Il biglietto di Vitious le arrivò dopo l’ora di Trasfigurazione per mano di Ginny.
< L’aula di Pozioni è libera subito dopo la pausa pranzo. La aspetto lì! Professor Vitious >
**
 
Arrivò l’ora di pranzo e Jacqueline scese di corsa in Sala Grande con Cho, mangiarono il soufflé di patate e poi si divisero.
Jacqueline salì direttamente nel dormitorio, si sedette sul letto e controllò l’orologio: ‘Mezz’ora..’.
Iniziò immediatamente a provare i primi due pezzi in piedi davanti allo specchio.
‘Brava Jacqueline!’ si disse a prova finita, e scese nei sotterranei alla volta dell’aula di Pozioni.
 
Quando entrò vide subito Vitious, già seduto sullo sgabello davanti al pianoforte della scuola.
- Eccomi professore -  disse Jacqueline avvicinandosi.
- Mia cara! Si accomodi qua davanti, prego. Io suono la parte del coro e lei canta sopra.. Che brano ha scelto? –
- ‘Lullabye’ di Billy Joel -  rispose Jacqueline sistemando davanti a sé il leggio di metallo.
In quel momento la porta dell’aula si aprì di nuovo.
- Severus! – esclamò Vitious.
- Devo fare l’inventariato dell’armadio, Vitious, non ti accorgerai della mia presenza –  si giustificò il professore.
Poi vide Jacqueline e sgranò leggermente gli occhi.
- Non sapevo che si trattasse della signorina Crayle –
– Proprio lei! -  rispose allegro Vitious,  - Non vedo l’ora di sentirla.. forza cara, iniziamo –
Jacqueline gettò uno sguardo furtivo a Piton, poi sistemò lo spartito sul leggio davanti a sé e, appena il pianoforte suonò, incominciò a cantare.
 
- Goodnight my angel,it’s time to close your eyes -

Piton, che aveva aperto l’armadio, si era voltato all’istante e osservava Jacqueline a bocca aperta.
 
- And save these questions for another day-
 
Non riusciva a credere che quella voce angelica uscisse dalla Jacqueline che conosceva.
E quelle parole.. quelle erano per lui.
 
- I think you know what I've been trying to say–
 
Jacqueline concluse la sua frase, e Piton tornò un attimo in sé.
Il pianoforte suonò la strofa del coro, e poi la solista riattaccò.
 
- You promised that  you’d never leave me - 

Piton aveva rimesso la testa nell’armadio, ma le orecchie erano vigili e concentrate.
 
- Someday we'll all be gone –
 
La voce di Jacqueline non tremava, ed era rivolta all’uomo in fondo alla stanza.
 
- But you should always know - 
 
Jacqueline guardava di sbieco Piton, e quasi si dimenticò di attaccare!
 
- No matter where you are 
  I never will be far away-
 
Piton aveva alzato lo sguardo e contemplava commosso i suoi occhi lucidi.
 
- …And still so many things I want to say-
 
Suonò l’ultimo accordo e il brano terminò.
Nessuno parlava.
Poi Vitious si avvicinò saltellante a Jacqueline, in piena estasi.
- Giuro di non aver mai sentito una voce di donna più dolce in vita mia! –
Jacqueline gli sorrise a sua volta.
- Hai sentito Severus? Che emozione! – aggiunse rivolgendosi anche a Piton.
Il professore annuì piano con la testa. Aveva la gola secca, e non aggiunse altro.
- Signorina Crayle, lei è il mio nuovo gioiello! Accetta di essere la solista del coro? –
- Se lo desidera, professore – rispose lei con modestia.
- Perfetto, l’appuntamento è come sempre venerdì sera alle 7! Arrivederci – e, gongolando, uscì dall’aula.
Tra i due scese nuovamente il silenzio.
Jacqueline aveva gli occhi lucidi per l’emozione.
Diede le spalle a Piton e iniziò a radunare gli spartiti, cercando di contenersi (e di respirare!).
- Jacqueline - , la sua voce profonda la chiamò e ogni difesa cadde. Non erano molte le volte che gli sentiva pronunciare il proprio nome.  - Jacqueline voltati –
La ragazza si girò. Le guance erano rigate dalle lacrime che non era più riuscita a frenare.
Quando lo vide Piton si avvicinò e l’abbracciò forte, noncurante dei fogli che cadevano in terra.
Ora Jacqueline singhiozzava.
- Jacqueline.. – iniziò Piton, pronunciando una volta in più il suo nome.
- Scusa, non lo so cosa mi prende –  lo interruppe lei nascondendo più a fondo il viso nella sua veste nera.
- Jacqueline.. – riprovò l’uomo.
- Lo so, sono un disastro, io.. –
- Ti amo –
Le parole gli erano uscite dalla bocca senza che avesse avuto il bisogno di pensarci.
- Tu cosa? -  la ragazza aveva staccato la testa dal suo petto e lo guardava sconvolta.
Piton le asciugò le lacrime degli occhi con la propria mano e fece un sospiro profondo.
- Non te lo dico mai perché non è nel mio carattere esternare i sentimenti, ma voglio comunque che tu lo sappia –  era serio e la guardava negli occhi.
- Io.. -  ora che era arrivato il momento Jacqueline non sapeva più cosa dire.
- Lo so -  la interruppe Piton accarezzandole la guancia, - Me l’hai appena detto –
Poi la baciò.
Non c’era più bisogno di parlare.
 
  
 
Woh.. sono agitata io per lei, povera cara!
(Che poi, ‘povera’ mica troppo)
La canzone in questione (ho impiegato più tempo a scegliere il brano che a scrivere il capitolo) è “Lullabye (Good night my angel)” del compositore e pianista statunitense William Martin Joel (Billy Joel per gli amici!) che ha scritto diversi brani poi riadattati per coro polifonico a cappella o per sestetti (Quanti paroloni!).
Oltre all’originale, un arrangiamento per coro molto famoso è quello dei King’s Singers (Già.. sono uomini!).
Se vi piace il genere, lo consiglio :)
(Altrimenti se cori e uomini che cantano in falsetto non sono il vostro forte, ascoltate l'originale che è molto più pop!)
A parte questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto :)

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Capitolo 10
*** Aprile: Pozioni e Verità ***


CAPITOLO 10:   Pozioni e Verità


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- Tutti gli studenti sono pregati di avvicinarsi. Quando chiamerò il vostro nome verrete qui e io vi consegnerò il foglio con gli orari delle visite –
La McGranitt stava in piedi all’ingresso dell’Ala Ovest, sotto la Torre dell’Orologio, e reggeva una lunga pergamena, chiamando uno a uno gli alunni.
- Crayle -  Jacqueline si avvicinò alla cattedra e ritirò il foglio.
Qualche sera prima aveva scritto una frettolosa lettera a Tonks in cui le diceva solo che doveva parlarle, e l’amica le aveva risposto assicurandole che sarebbe venuta a trovarla il primo giorno delle vacanze primaverili, approfittando della giornata di visita dei parenti.
‘Finalmente!’ pensò Jacqueline pregustando l’incontro e, infilato frettolosamente il foglio nella borsa, si diresse a lezione nei sotterranei.
 
Le faceva un certo effetto recarsi nell’aula e prendere parte alle lezioni di Pozioni da quando, in quello stesso luogo, Piton le aveva confessato il suo amore. Ogni banco, ogni centimetro di muro, ogni singola provetta le ricordava quel momento e le procurava una piacevole fitta allo stomaco.
Entrò e, tirato un profondo sospiro, si sedette in seconda fila di fianco a Cho a distanza di sicurezza dall’uomo che, in quel momento, si alzava dalla cattedra e si avvicinava alla lavagna.
- Seduti -  ordinò mentre con la bacchetta iniziava a scrivere alla lavagna.
‘Veritaserum: come distillare correttamente il composto basilare per il siero della verità’
Jacqueline, come di consuetudine, lo guardava smarrendosi nei gesti ampi ed eleganti.
- Signorina Crayle la vedo distratta -  disse all’improvviso il professore, continuando a dare le spalle alla classe e a scrivere alla lavagna,  - Vada nella dispensa e prenda il materiale per i suoi compagni –
Jacqueline arricciò le labbra in segno di disapprovazione, ma non osò protestare; si alzò dalla sedia e, camminando tra le file di banchi, si diresse verso la dispensa.
 
Quel posto le piaceva molto, adorava leggere i nomi degli strani ingredienti appoggiati sugli scaffali e guardare i liquidi colorati contenuti nelle boccette accuratamente disposte in fila.
Poi le venne un’idea. Socchiuse la porta e cacciò fuori la testa.
- Professore, qualcuno ha messo in disordine tutti gli ingredienti, non si riesce a rintracciarli –
- State tutti ai vostri posti -  sbottò scocciato Piton alzandosi dalla cattedra,  - Voglio che trascriviate 50 volte le istruzioni scritte alla lavagna  –
Un coro di lamenti si sollevò dalle file di banchi.
Piton entrò nella dispensa e socchiuse la porta.
- Fammi dare un’occhiata.. -  prese l’inventario dalle mani di Jacqueline e cominciò a confrontarlo con gli oggetti sugli scaffali, sotto lo sguardo divertito della ragazza.
- Non c’è niente fuori posto – disse girandosi verso di lei ma, vedendone il sorriso divertito, si bloccò.
Gli angoli della bocca di Piton si sollevarono appena in un sorrisetto.
- Jacqueline.. – le disse con un tono di rimprovero poco credibile.
Ma lei lo aveva già preso per mano e lo tirava verso di sé.
- Ci sono là fuori venti alunni.. – provò a dissuaderla il professore con scarsa convinzione.
- Che hai inchiodato alle sedie con un tema di almeno dieci pergamene –
L’opposizione di lui non impiegò troppo tempo a cedere!
La ragazza aveva appoggiato la schiena contro l’armadio e lo guardava divertita, la testa reclinata all’indietro.
Piton le si avvicinò piano, e appoggiò la bocca sul suo collo. Poi iniziò a salire sfiorando con le labbra ogni centimetro di pelle a disposizione
Le sue mani corsero dalle spalle alle braccia, per poi posarsi sui fianchi e stringerla a sé, sentendo la sua pelle morbida e calda sotto le dita.
Senza mollare la presa, si staccò di una manciata di centimetri dal suo corpo e la osservò.
La stoffa leggera della camicia, spiegazzata dallo strusciare dei loro corpi uno contro l’altro, rendeva Jacqueline sensuale, e la profonda scollatura a ‘V’ scopriva in parte il morbido petto.
Alzò il viso su quello di lei.
I suoi occhi, lucidi e carichi di desiderio, fecero cadere all’istante tutti i suoi buoni propositi.
Con premura, mosse le mani sui suoi fianchi, stringendola maggiormente a sé e intrappolandola contro il mobile, per poi cercare nuovamente le labbra e baciarle con foga.
Jacqueline chiuse felice gli occhi sentendo finalmente la bocca dell’uomo sulla sua.
Posò entrambe le mani sul suo viso e lo avvicinò al proprio, ricambiando altrettanto intensamente.
Si lasciò sfuggire un piccolo gemito, sentendo le dita dell’uomo sfiorarle i fianchi e un brivido di piacere percorrerle la schiena.
Spostò le mani dalle guance ruvide al collo, fino a congiungerle dietro la sua nuca, mentre quelle di Piton, dietro la schiena di lei, la stringevano contro suo corpo.
La passione raggiunse il culmine quando Piton fece scivolare una gamba in mezzo a quelle di lei, spingendola ancora di più contro il mobile. Jacqueline vi si era appoggiata e, spalle al muro, passava freneticamente le mani tra i suoi capelli neri e su tutto il suo corpo, stringendo e stropicciando tra le dita la stoffa pesante della sua casacca. La tentazione di sfilargliela fu forte, ma il suono della campana la persuase dal provarci.
Si staccarono in fretta e Piton uscì, mentre Jacqueline si risistemava i lunghi capelli e la camicia ansimando. ‘Quanto lo amo, quanto lo amo, quanto lo amo!’
**
 
Le vacanze primaverili iniziarono, e con esse le visite dei parenti.
Jacqueline ricevette quella di Tonks un pomeriggio grigio.
- Jackie! –
- Tonks! –
Le due amiche si abbracciarono forte nell’ingresso.
- Severus –
- Remus –
I due uomini si strinsero la mano.
Le ragazze si staccarono un attimo per assistere alla scena, e a Jacqueline venne un crampo allo stomaco pensando all’argomento dell’ultimo discorso che i due uomini avevano avuto.
- Ciao Jacqueline –
- Ciao Remus -  Jacqueline aveva deciso che non ce l’aveva con lui: non era stato Lupin a chiedere a Piton di raccontargli della loro storia. Solo si vergognava un po’.     
Dopo i saluti, lei e Tonks entrarono in Sala Grande (entrambe non avevano ancora pranzato), mentre i due uomini si diressero verso lo studio di Piton.
- Tu devi raccontarmi qualcosa!! – disse eccitata Tonks all’amica appena si furono sedute.
- Anche tu! Che ci fai qui con Lupin?! -  le sorrise maliziosa.
- Ma guarda che razza di insinuatrice! Gli ho casualmente accennato che venivo a trovarti e mi ha chiesto se poteva accompagnarmi, tutto qui! – si discolpò l’amica.
- Se se! Tu non me la racconti giusta! -  insistette Jacqueline.
- E tu non cambiare argomento! Ti avevo esplicitamente scritto di tenermi informata su quello che avresti deciso di dirgli e non mi hai più scritto niente – fece finta di metterle il broncio.
- Scusa ma era complicato, dovevo dirtelo a voce! – si discolpò Jacqueline.
- Forza racconta!– la incitò allora Tonks.
Jacqueline iniziò a raccontarle brevemente della prova di canto con Vitious alla presenza di Piton.
- Confessa, hai scelto quel brano apposta! -  insinuò l’amica divertita.
- Non dire scemenze, era nel repertorio di Vitious! –
Continuò raccontandole di come Piton l’avesse osservata a bocca aperta per tutto il tempo, e dell’intensa emozione percepita da entrambi nel punto clou del brano.
- E quando Vitious ci ha lasciati io ero distrutta. Il mio più grande desiderio era di dirgli che lo amavo e l’avevo appena fatto. Cantando. Gli ho dato le spalle sentendo che stavo per piangere, ma lui mi ha voltata, mi ha abbracciato e.. mi ha detto che mi ama – concluse in un sol fiato Jacqueline.
- CHE COSA? – Tonks era incredula.
Non poche teste si girarono ad osservarli e Jacqueline fece segno all’amica di abbassare la voce.
- Sì, ci siamo confessati a vicenda e poi… be’, i particolari del ‘dopo’ non li vuoi immagino! -
- E ora?? -  l’amica voleva sapere tutto.
- Beh, di fatto ci comportiamo come sempre, ma si sente che qualcosa tra noi è cambiato.. si lascia andare di più, sembra decisamente meno freddo rispetto ai primi tempi -
- Oh, Jackie, è bellissimo – disse Tonks abbracciandola forte.
- Sì – rispose Jacqueline sorridendo a sua volta. - Ma adesso dimmi di Lupin. Che ci fa qui? -  chiese sciogliendo l’abbraccio.
- Penso voglia parlare con Piton per sapere come ha provveduto con te – rispose l’amica.
- Quindi non ha saputo degli sviluppi della nostra relazione? -  chiese preoccupata Jacqueline.
- No di certo! -
- Chissà cosa si staranno dicendo.. –
**
 
In un’altra stanza, i due uomini stavano conversando.
- Sei qui per parlarmi? – chiese Piton mentre versava da bere, andando dritto al punto.
- Sì -  rispose Lupin prendendo in mano il suo bicchiere.
- Tonks è in contatto con Jacqueline, sono molto amiche, e le ho chiesto un paio di volte di dirmi qualcosa di lei.. di voi. Ma dice di non essere più informata di me -  concluse alzando scettico il sopracciglio.
- Quindi devo chiederlo a te, Severus – continuò guardandolo.
- Si è risolta la questione di cui abbiamo parlato a novembre? -
Piton finì di bere dal suo bicchiere e lo posò sul tavolo.
- Si è conclusa -  si limitò a rispondere, sedendosi davanti al suo ospite.
- Quello che intendo dire, Severus, è come -  persisté Lupin.
Piton era indeciso sulla versione da offrire all’insistente interlocutore.
- Si è conclusa e basta – si limitò a dire infine.
Lupin sospirò, - Ne sei sicuro Severus? -
- Perché me lo chiedi? -  Piton restava impassibile.
- Vedo Jacqueline molto più felice rispetto a quest’inverno -  iniziò Lupin.
- Lo è – confermò Piton annuendo.
- Se tu l’avessi respinta dubito che sarebbe così felice - 
Lupin scrutava gli occhi di Piton cercando di intravedervi una risposta.
- Severus, dimmi la verità -
Piton sospirò, leggermente irritato dall’insistenza di Lupin, ma rimase in silenzio.
-Ok- disse Lupin alzandosi dalla sedia -Tu credi che questo non mi riguardi in alcun modo giusto?-
Piton non rispose.
- Ti sbagli Severus. Jacqueline è la sorella del mio migliore amico e, come ben sai, da quando è nata ho sempre vegliato su di lei - 
Piton alzò il sopracciglio in tono scettico.
- Sì, Severus, sebbene io l’abbia dovuta affidare all’Orfanotrofio non ho mai smesso di vegliare su di lei, quindi devo insistere: come stanno ESATTAMENTE le cose tra te e Jacqueline? -
Piton fissò ancora per un po’ il suo bicchiere e poi parlò.
- Siediti -  gli disse indicando la sedia da cui prima si era alzato.
- L’argomento in discussione è una mia faccenda privata, e non sono tenuto in alcun modo a parlarne. Inoltre, comprendo la tua apprensione per Jacqueline, ma questa è anche una sua questione personale, e come tale non mi sento autorizzato a parlarne – disse.
E aggiunse,  - Se vorrai saperlo dovrai chiedere a lei –
- Ma io lo sto chiedendo a te, dannazione, parla! – Lupin iniziava a scaldarsi.
- Non senza il suo consenso -  la decisione di Piton era irrevocabile.
- Bene – rispose Lupin – Vai a chiamarla -
- Come? – Piton era vagamente incredulo.
- E’ in Sala Grande con Dora. Io aspetto qui -  non scherzava.
Piton uscì sbattendo la porta e Lupin si accasciò sulla sedia.
Ripensare a Sirius lo stancava e addolorava, e l’opposizione di Piton non aiutava.
 
I suoi pensieri volarono a quella notte burrascosa di 19 anni prima, quando il suo migliore amico aveva bussato alla sua porta, un piccolo fagotto in grembo.
- Non posso tenerla, Remus, devo lasciare il paese -  aveva detto Sirius, porgendogli la sorellina,  - Trovale una sistemazione, quella che ritieni più giusta, ma tienila lontana dalla famiglia Black -.
E così Lupin aveva fatto. Una volta consegnata all'orfanotrofio, dei Black non le era rimasto nemmeno il ricordo.
Poi Sirius era evaso da Azkaban, tornato per rivedere Harry... E aveva trovato Jacqueline. *
 
In quel momento la porta si riaprì, interrompendo il flusso di pensieri di Lupin.
Jacqueline si sedette sulla sedia indicatale da Piton, con aria abbastanza spaesata.
- Tu sai che qualche mese fa Severus mi ha confessato la vostra storia –  iniziò Lupin.
Jacqueline annuì iniziando a temere il peggio.
- Vorrei sapere cos’è successo fino ad oggi - concluse brevemente guardando la ragazza.
- Perché non l’hai chiesto a lui direttamente? – domandò lei indicando Piton, in piedi alle sue spalle.
- L’ho fatto, ma si è rifiutato di rispondermi per rispettare la tua riservatezza -
Jacqueline si girò a guardarlo, sorpresa, poi si rivolse nuovamente a Lupin.
- Perché hai bisogno di saperlo, Remus? – gli chiese.
- Ho giurato a tuo padre che avrei fatto il possibile per preservarti dai mali della vita – 
A Jacqueline venne quasi da ridere sentendo definire Piton un ‘male della vita’.
- Sono in grado di pensare per me stessa –  rispose.
Lupin emise una risatina sarcastica.
- Non direi visto quello che sei riuscita a combinare quest’estate –
A queste parole Piton scatto in avanti e si frappose tra Jacqueline e l’uomo.
- Non ti permettere Lupin, ti avverto –
Jacqueline non l’aveva mai sentito alzare la voce in tono tanto minaccioso.
- Severus non osare.. – provò a ribattere Lupin.
- No, TU non osare mai più rivolgerti a LEI in questo tono.
Vuoi essere sicuro che stia bene? Puoi dormire tranquillo: IO mi prendo cura di lei –
Nel dire questo poggiò la mano sulla sua spalla, e lei gliela strinse con la propria.
- Vieni, ti porto via di qui –
Piton aprì la porta e l’accompagnò fuori, cingendole le spalle con il braccio.
Il cuore di Jacqueline batteva forte nel petto mentre percorrevano il lungo corridoio.
Riuscì a calmarsi solo quando sentì Piton stringere più forte la presa.
 
 
* PRECISAZIONE!
Ricordo, come già detto all'inizio del primo capitolo, che questa storia è il seguito di altre due, che introducevano la storia di Jacqueline, spiegando la sua parentela con Sirius ecc.
Se ve lo siete persi, consiglio di tornare al primo capitolo e leggere l'introduzione: riassume il pezzo di storia mancante e potrebbe chiarirvi un po' le idee.
Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 11
*** Maggio: Sotto la pioggia ***


CAPITOLO 11:  Sotto la pioggia

 
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- Jackie sveglia! - 
Jacqueline si sentì colpire in testa da qualcosa di pesante e aprì gli occhi.
Una Ginny molto arrabbiata e con le mani ben piazzate sui fianchi la guardava dall’alto con espressione severa.
D’improvviso ricordò dov’era e, con uno scatto, si mise a sedere.
Per fortuna a quell’ora la biblioteca era semideserta, la sua figuraccia sarebbe passata quasi del tutto inosservata!
- Scusa Ginny mi ero un tantino appisolata -  si giustificò sistemandosi i capelli e prendendo in mano il libro di Erbologia che aveva davanti,  - Dove eravamo rimaste? - 
Ginny si sedette di fianco a lei e sbuffò.
- Niente Erbologia, ti stavo raccontando del Quidditch! -  la rimproverò.
- Ah già, scusa, ieri avevate la partita. E? –
- E.. Harry mi ha baciata! Stiamo insieme! –
Jacqueline sgranò gli occhi.
- Hai capito la rossa! -  scherzò sorridendole.
- Già -  rispose questa guardando fuori dalla finestra con aria raggiante.
- Adesso che non fa più occlumanzia con Piton poi, avremo più tempo libero da passare insieme - 
Jacqueline per poco non cadde dalla sedia.
- Occlu-che?! -  chiese stralunata.
- Non te l’avevo detto? Silente ha costretto Harry a farsi dare lezioni di occlumanzia da Piton.. Per proteggere i suoi pensieri da Tu-sai-chi, dice -  spiegò la Grifondoro. - Ma devono aver discusso, o qualcosa di simile - 
Jacqueline rimase in silenzio, pensierosa.
- Dev’essere un periodo di litigi, Harry mi ha raccontato di aver saputo che Piton ha discusso anche con Silente. Chissà se le due cose sono collegate.. -  rimuginò Ginny pensierosa.
Jacqueline si sentiva spaesata.
‘Ginny sa più cose sul suo conto di quante ne sappia io. Quanto poco lo conosco’ pensò amaramente.
Raccolse i libri, li ficcò con foga nella borsa, se la mise a tracolla e si diresse a gran passi verso l’uscita della biblioteca.
- Jackie dove vai? -  le urlò dietro Ginny.
- Scusa, mi sono ricordata di avere un impegno -  le rispose di rimando uscendo e chiudendo la porta.
Era quasi arrivata davanti allo studio del professore quando si arrestò all’istante.
‘No, Jacqueline, pessima idea’
Se gli avesse parlato in quello stato, confusa e spaesata com’era, non avrebbe concluso nulla di buono.
Decise di fare dietrofront, tornò velocemente sui propri passi fino al Dormitorio.
Per tutta la sera, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a fare a meno di pensare a quello che Ginny le aveva rivelato.
**
 
La mattina seguente fu svegliata dal picchiettare della pioggia sulla vetrata circolare al centro del soffitto del Dormitorio.
Cho, di fianco a lei, russava e questo le fece capire che doveva essere ancora presto.
Rimase rannicchiata nel calduccio del suo letto, pensierosa, aprendo le tende del baldacchino per osservare le gocce di pioggia rigare il vetro.
‘Ginny e Harry sono proprio una bella coppia’ si disse tra sé e sé.
Poi aggiunse ‘Che coppia siamo io e Piton?’.
Solo il definirsi una coppia suonava strano nella sua mente, e questo non era certo un buon segno.
‘Certo, abbiamo fatto passi avanti’. Piton era arrivato addirittura a dichiararsi, anche se una volta sola, e il suo atteggiamento nei suoi confronti non era più affettato come ai primi tempi.
Ora si lasciava andare a carezze dolci e ad abbracci così intensi da toglierle il fiato e da farle sussultare ancora il cuore nel petto.
Ripensò al loro primo bacio, così triste e distaccato.
‘DECISAMENTE abbiamo fatto passi avanti’
Ma potevano definirsi una ‘coppia’?
Nessuno tranne Tonks e Lupin sapeva di loro, non potevano tenersi per mano o lasciarsi andare in pubblico..
‘Ginny e Harry sono una coppia normale’ pensò, ‘Noi no’.
Ma sebbene il fatto le desse da pensare, si disse che non avrebbe cambiato quello che aveva con nient’altro al mondo.
Solo aveva bisogno di più sincerità: lui doveva sentirsi libero di confidarsi con lei.
Sì, doveva parlargli.
 
Quella mattina, a lezione, la sua mente vagava ancora su questi pensieri.
Guardava fuori dalla finestra, la guancia appoggiata sulla mano, sospirando a intervalli regolari di cinque minuti.
Alla fine dell’ora stava per dirigersi verso l’aula di Aritmanzia quando, a tradimento, si sentì afferrare per un braccio e trascinare dentro le scale strette e tortuose di una delle torrette laterali.
- Ma che?! -  esclamò.
- Ssh, seguimi -  
Continuando a camminare strizzò gli occhi, cercando di abituarsi al buio del vano scala, e vide Piton che la conduceva su per i gradini, senza lasciarle la mano.
Si fermarono davanti a una grande porta di quercia.      
- In che ala del castello siamo? -  chiese Jacqueline spaesata.
- Torre Nord, balconata -  rispose brevemente lui aprendo con un colpo di bacchetta il pesante portone e attraversandolo con Jacqueline.
- Ma piove! -  gli fece notare lei una volta fuori, rabbrividendo infreddolita.
Lui si fermò e si girò verso di lei, stringendola nel proprio mantello e guidandola in un punto del balcone coperto da una sporgenza della parete in pietra.
Si sedettero sull’alto gradino in pietra, finalmente al riparo dalla pioggia primaverile.
Jacqueline asciugò con una manica del golfino le gocce che le avevano bagnato il viso e guardò Piton,  - Come mai sono qui e non nell’aula di Aritmanzia? -  gli chiese.
- Preferivi essere a lezione? -  le chiese di rimando guardandola scettico.
Jacqueline sorrise.
Piton le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola forte a sé, e lei si strinse nel suo mantello abbracciandolo.
Davanti a loro si apriva lo spettacolo della Foresta Proibita sotto la cortina della pioggia.
Il silenzio era totale, interrotto solo dal ticchettio sonoro delle gocce su un tavolino di ferro battuto abbandonato in mezzo alla vasta terrazza.
Sotto l’ala protettiva di Piton, Jacqueline non sentiva freddo, anzi.
Le pietre su cui erano appoggiati trattenevano ancora il calore del sole, ma non era solo quello a scaldare Jacqueline.
Voltò appena il viso e gli diede un bacio bagnato sulla guancia ruvida.
Lui si voltò a sua volta e le sorrise, regalandole uno di quei suoi rari sorrisi sinceri.
- Non vorrei rovinare il momento.. -  iniziò titubante Jacqueline ricordandosi del proposito che si era fissata quella mattina.
- Devi dirmi qualcosa? -  le chiese lui senza smettere di stringerla nel proprio braccio.
- Parlavo con Ginny Weasley, ieri pomeriggio, e mi ha detto delle cose.. su di te -  lo guardò negli occhi allentando appena l’abbraccio ma senza togliere le mani dal suo petto.
- Sentiamo -  disse lui. Non sembrava seccato, e nemmeno turbato. Questo diede a Jacqueline il coraggio di continuare con il discorso che si era preparata durante l’ora di Trasfigurazione.
- E’ vero che davi lezioni di occlumanzia a Harry? -  decise di iniziare con la questione meno importante.
- Sì -  rispose lui, e aggrottò la fronte in segno di disapprovazione.
- Ma Potter è un ragazzino. Impossibile insegnargli qualcosa -  spiegò, e Jacqueline decise di non insistere oltre.
- E Silente? -  chiese invece osservando il viso dell’uomo e cercando di prevederne la reazione,  - Avete discusso? - .
Sperò di non essersi spinta troppo in là.
- Sì, per questioni riguardanti lui personalmente -  rispose, e un’altra ruga si aggiunse sulla sua fronte.
- Ah.. -  disse Jacqueline spostando lo sguardo davanti a sé,  - Non per una questione riguardante noi? -  trovò il coraggio di dire arrossendo appena. Non le piaceva interrogarlo.
Piton rimase in silenzio per un po’, poi si voltò a guardarla.
- In effetti.. -  iniziò, e Jacqueline si sentì mancare temendo il peggio.
- L’ha saputo -  concluse greve.  – Lupin gliel’ha detto, ma penso che comunque avesse dei sospetti - 
Jacqueline ritrasse le braccia dal corpo di Piton e iniziò a tormentarsi agitata le mani, sentendo la rabbia montare.  – E cosa vi siete detti? -  gli chiese preoccupata.
- Non ne abbiamo discusso. Mi ha solo detto di esserne a conoscenza a causa di Lupin -  rispose, dividendo le mani fredde della ragazza e prendendole tra le proprie.
- La cosa ti preoccupa? -  le chiese.
Jacqueline si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro , noncurante della pioggia che iniziava a inzupparle i capelli.
- Temo ripercussioni su di me, se qualcun’altro nel corpo docenti venisse a saperlo, o se qualche studente dovesse sospettare e mormorare.. -  disse agitata senza smettere di camminare.
- Andrò a parlargli -  la interruppe Piton.
Lei si fermò e lo guardò, stupita e grata.
Lui protese le braccia in avanti, come a volerle dire di tornare a sedersi.
Lei si sistemò tra le sue gambe e lasciò che le sue braccia l’avvolgessero nel mantello nero.
- Sei tutta bagnata – le disse, strofinandola con le mani nell’intento di scaldarla
Jacqueline, al sicuro nell’abbraccio dell’uomo, si tranquillizzò e reclinò la testa all’indietro, sulla sua spalla.
Lui immerse il naso adunco nei suoi boccoli castani inspirandone il profumo di frutta e prese di nuovo le piccole mani della ragazza nelle sue.
- Sei un po’ felice? -  le chiese senza preavviso, dandole un bacio sulla guancia e appoggiando la propria testa contro la sua, ancora infossata nella sua spalla.
Jacqueline inspirò a fondo.
- Sì -  rispose, dal profondo del cuore.
- Anche se sono vecchio e malinconico? –
Jacqueline sorrise e si spostò su un fianco, stringendolo con le proprie braccia fragili.
- Ti amo -  gli disse sfregando la guancia contro il suo petto.
- Anch’io - 
Piton infilò una mano nei suoi ricci morbidi, carezzandole teneramente il capo.
Jacqueline sorrise e iniziò a cantare piano, a mezza voce.
 
- Goodnight, my angel, now it's time to sleep
And still so many things I want to say -

Piton sorrise, una seconda volta, stringendola più forte tra le sue braccia.
 
- And like a boat out on the ocean, I'm rocking you to sleep –
 
Continuò Jacqueline chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare, ascoltando il suono della propria voce unirsi a quello delle gocce di pioggia.

- The water's dark and deep, inside this ancient heart, You'll always be a part of me -

Perché nulla avrebbe potuto rovinare quel momento.



..O forse sì?
Ah, il fatidico penultimo capitolo!
Giusto per ripetermi un po': spero vi sia piaciuto :)
(E di non aver fatto troppi errori di battitura!)

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Capitolo 12
*** Giugno: Fidati di me ***


CAPITOLO 12 :   Fidati di me                       

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Era una calda sera di metà giugno quando, in piena notte, avvenne il fatto.
Jacqueline stava dormendo abbracciata a Piton nel suo letto, quando la voce amplificata della McGranitt li svegliò di colpo.
- Tutti gli studenti e i professori si rechino al più presto nella Sala Grande -
Piton si mise a sedere e accese l’abatjour.
- Conviene alzarsi – disse poggiando una mano sulla spalla nuda di Jacqueline e scuotendola delicatamente.
- E’ ancora presto – si lamentò lei girandosi verso di lui con uno sbadiglio. La sera prima si era trattenuta nella stanza del professore oltre il coprifuoco e non era potuta tornare al Dormitorio.
Tutti i suoi vestiti, come quelli di Piton, giacevano appallottolati al piedi del letto.
- Ti passo la vestaglia – disse quest’ultimo uscendo dalle lenzuola e dandole le spalle.
- No, aspetta -  Jacqueline gli afferrò il polso e lo costrinse a risedersi sul letto, di fianco a lei.
- Restiamo qui -  lo supplicò cingendogli il torso nudo con le braccia.
Piton si voltò a guardarla, dandole una carezza sulla guancia,  - Dev’essere qualcosa di grave -  disse, e Jacqueline notò che nonostante tentasse di nasconderlo sembrava preoccupato.
Lo sguardo della ragazza fu catturato dal Marchio indelebile impresso sull’avambraccio dell’uomo.
Quanto lo odiava.
Quella sera aveva qualcosa di diverso, come se fosse più scuro e minaccioso, ma non fece in tempo ad accertarsene perché Piton, sentendo gli occhi della ragazza su di sé, si alzò dal letto.
 
Si vestirono frettolosamente e, quando entrambi furono pronti, uscirono nel corridoio buio, facendosi strada con la luce della bacchetta e dirigendosi verso la Sala Grande.
Una volta attraversato il portone si affrettarono a raggiungere rispettivamente il tavolo dei professori e quello di Corvonero.
Jacqueline si sedette, ma si spostò subito di qualche posto vedendo Cho sbracciarsi.
- Che fine avevi fatto?? Mi sono alzata e non eri nel letto – disse l’amica prendendola da parte.
Jacqueline si preparò a fornire una scusa credibile ma in quel momento la McGranitt si alzò in piedi e il silenzio calò nella stanza.
- Ragazzi, devo chiedervi di stare calmi. Il Marchio Nero è comparso sul castello e temo che i Mangiamorte stiano arrivando -
A quelle parole seguì il caos. I Prefetti urlavano ordini agli studenti, i professori si organizzavano per accompagnare al più presto i minorenni alla stazione oltre il lago.
Piton raggiunse la ragazza al tavolo, approfittando del disordine generale.
- So per certo che Silente non è nel castello, devi andartene subito -
- Ma io devo rimanere.. -  provò a protestare lei.
- Non si discute, non posso spiegarti di più, ma non voglio assolutamente che tu stia qui stanotte.
Fidati di me -  aggiunse guardandola preoccupato ma con ferma decisione.
Jacqueline annuì con la testa, poco convinta, e lui si allontanò.
Si alzò dal tavolo per raggiungere i Corvonero del suo anno rimasti a combattere, e Cho l’avvicinò.
- Tu resti vero? – le chiese guardandola negli occhi.
Jacqueline trasse un profondo sospiro.
- Sì, certo -  si sentiva sporca a disubbidire a Piton, ma aveva scelta?
- Bene! – esclamò Cho, - Anche tutti gli altri ex adepti dell’ES restano, andiamo da loro -
Si diressero verso un gruppetto che sostava all’ingresso, c’erano Ginny, Hermione, Ron, Neville, e quello che rimaneva della vecchia compagnia, per un totale di circa dieci persone.. solo Harry mancava. Jacqueline non parlava con la maggior parte di loro da quasi un anno.
Ron le rivolse un pallido sorriso, poi Hermione prese la parola.
- Ok, ci sarebbe dovuto essere Harry a coordinarci, ma purtroppo non sappiamo esattamente dove sia –
Jacqueline guardò i compagni: sembravano tutti molto in pensiero, ma Ginny più di tutti.
- Ho sentito la mcGranitt dire che i Mangiamorte sono già fuori dal castello, appena le difese cadranno saranno pronti a irrompere, e noi dovremo combattere -  concluse la riccia.
Proprio in quel momento si udì un urlo agghiacciante.
-  STANNO ENTRANDO!! -
Jacqueline, Cho, Ginny e gli altri si precipitarono in Sala Grande richiudendo il portone dietro di sé e si schierarono in posizione di combattimento insieme ai professori, ai pochi altri alunni rimasti e ai membri dell’Ordine della Fenice che li avevano raggiunti tra cui Jacqueline intravide Lupin e Tonks.
Stava per avvicinasi quando, con un colpo sonoro, il portone si spalancò e la battaglia ebbe inizio.
Una ventina di sagome nere incappucciate si riversarono nella stanza come un’onda malvagia, accompagnate da urla e da fasci di luce colorati che iniziarono a volare in tutte le direzioni.
Jacqueline respinse uno schiantesimo proveniente da un uomo molto alto e ne spedì uno a sua volta.
Intorno a lei i professori lanciavano incantesimi scudo in difesa degli alunni in difficoltà, ma tra di loro Piton non c’era.
Il panico l’assalì. ‘Dove sei?’
Un lampo verde la sfiorò per un pelo riportandola alla realtà: non poteva permettersi di distrarsi.
Ricominciò a combattere affiancata da Vitious.
- Tutto bene signorina Crayle?! -  le urlò da sopra al frastuono della lotta.
- Sì professore! – gli urlò di rimando lanciando una fattura al Mangiamorte più vicino.
Lo scontro andò avanti per un’altra ora, senza vinti né vincitori.
**
 
Successe all’improvviso e senza apparente motivo: si sentì un ordine gridato tra le fila dei Mangiamorte e tutti loro, contemporaneamente, si ritirano.
Alcuni professori provarono a inseguirli, altri rimasero in Sala Grande a controllare la situazione e ad aiutare Madama Chips a trasportare i feriti in infermeria.
Vitious rientrò dopo qualche minuto nella Sala, correndo.
- Se ne sono andati! -  gridò.
Dagli alunni si sollevarono urla di esultanza, ma Jacqueline non faceva altro che cercare Piton con lo sguardo, sempre più preoccupata per la sua assenza.
Cho la raggiunse. – Jackie, hai visto Ginny? – Jacqueline si guardò intorno.
Preoccupata com’era per Piton non si era accorta della sparizione della ragazza.
- Chiedi a Hermione o alla McGranitt o a qualcuno dell’Ordine – suggerì.
- Sono spariti tutti – rispose Cho.
Ora il panico aveva assalito Jacqueline, e il cuore sembrava doverle esplodere nel petto da un momento all’altro.
‘Stai calma, stai calma, stai calma’
Iniziò a correre come una disperata per i corridoi deserti, inciampando nelle armature cadute a terra durante lo scontro.
Temendo il peggio si precipitò direttamente in infermeria, ma la porta era sorvegliata da Madama Chips.
- Non puoi entrare cara, ci sono già delle persone dentro -  le disse la piccola donna.
- Tra di loro c’è anche il professor Piton? –  chiese agitata Jacqueline.
- No, non l’ho visto -
Senza dire altro Jacqueline si girò e ricominciò a correre, sempre più forte.
Cambiò direzione e si diresse verso lo studio di Piton.
Era quasi arrivata all’ingresso per i Sotterranei quando, passando davanti alle vetrate della Sala Professori, si accorse che la luce era accesa. Si precipitò dentro senza neanche bussare, con il cuore che batteva a mille, ma si fermò quasi subito colta dallo stupore.
Lo studio era affollato da persone sedute e in piedi, intente a parlare tra di loro.
C’erano la McGranitt, Lupin, Tonks, Kingsley, Hagrid e Moody, l’Ordine al completo esclusi i Weasley.
Jacqueline vide che avevano quasi tutti le lacrime agli occhi.
Non si accorsero di lei finché la porta pesante non si richiuse alle sue spalle.
La McGranitt si girò notandola per la prima volta.
- Che cosa ci fa qui, signorina Crayle? – le chiese, insieme stupita e addolorata.
Ma Jacqueline era troppo in ansia per rispondere a inutili domande.
- E’ successo qualcosa? -  chiese terrorizzata.
- Sì – rispose piano la McGranitt, con un tono di amarezza nella voce,  - Piton ha ucciso Silente -
Per una frazione di secondo fu il silenzio più totale, poi un urlo lo squarciò.
- NOOOO!! -
Jacqueline era trasfigurata dal terrore e si aggrappava alla sedia più vicina.
- Siamo tutti sconvolti, Crayle – iniziò la McGranitt, - Era il preside e.. -
- SEVERUS!! -
La McGranitt cambiò immediatamente espressione, e tutti i presenti con lei. Solo Lupin e Tonks si scambiarono uno sguardo allarmato e addolorato allo stesso tempo.
- Severus?.. -  mormorò stupefatta la professoressa.
- NON PUO’ ESSERE STATO LUI! -  continuò a urlare Jacqueline.
Fu Lupin a rispondere, senza guardarla negli occhi, limitandosi a scuotere la testa. 
- Harry l’ha visto con i suoi occhi, non ci sono dubbi -
- NO! E’ IMPOSSIBILE -
La McGranitt era sconvolta  - Perché?.. -  iniziò.
- PERCHE’ E’ IL PADRE DEL MIO BAMBINO -
Urlò Jacqueline, e le lacrime presero a sgorgare, bollenti, mentre cadeva a terra stringendosi la pancia.
Silenzio.
Nell’aula si potevano udire solo i singhiozzi convulsi della ragazza.
I presenti erano sconvolti.
Guardavano tutti quella piccola e inerme creatura che, accovacciata a terra, gemeva e piangeva scuotendo la testa come a voler mandar via un brutto pensiero.
L’unica a muoversi fu Tonks.
Si avvicinò piano a Jacqueline, le si inginocchiò accanto e, poggiandole cauta una mano sulla schiena, iniziò a piangere insieme a lei.
La McGranitt era di pietra.  – Piton? -
In risposta Jacqueline nascose ancora di più a fondo il viso fra le mani.
Lentamente anche Lupin le si avvicinò, la prese per un braccio e la fece alzare.
Poi si rivolse ai presenti.
- Inutile dire che ciò che avete sentito stasera rimarrà esclusivo dei presenti membri dell’Ordine -
Tutti annuirono piano.
In quel momento entrò Ginny ansimando.
- Ora potete fare visita a Bill -
Uscirono uno a uno dalla stanza mentre Jacqueline rimasta sola con Ginny, cercava di trattenere le lacrime.
- Cosa è successo? Cho non riusciva a trovarti -  disse all’amica con uno sforzo immane, facendo appello a tutte le sue forze.
- Tra i Mangiamorte c’era un lupo mannaro, Greyback, che ha aggredito mio fratello Bill.
E’ sfigurato in maniera evidente, ma Madama Chips dice che si rimetterà.
Non sappiamo se diventerà un lupo anche lui, speriamo che Lupin possa dirci qualcosa –
Era affranta, parlava con fatica.
- Harry mi ha detto che Silente è morto, era con lui -  aggiunse poi.
Le lacrime iniziarono a bagnare di nuovo le guance di Jacqueline, irrefrenabili come un torrente in piena.
- Jackie.. – iniziò Ginny mettendole una mano sulla spalla e guardandola preoccupata negli occhi.
- Lascia stare, ti accompagno in infermeria -
 
Arrivarono davanti alla porta a vetri, ma Jacqueline si bloccò.
Voleva spiegare a Ginny che stava male, che non se la sentiva di entrare e fingersi addolorata per suo fratello, ma la gola bruciava e le sembrava di non riuscire a prendere fiato.
Ginny le accarezzò la spalla ed entrò da sola. Non c’era bisogno di parlare.
‘Grazie’ pensò Jacqueline.
Stava per girarsi su sé stessa quando la porta dell’Infermeria si aprì di nuovo.
- Jacqueline –
Fred era in piedi davanti a lei, impolverato e ansimante.
Entrambi si guardarono silenziosamente negli occhi per una manciata di secondi.
Poi lui ruppe il silenzio, si avvicinò e l’abbracciò.
- Ti prego, perdonami -  le disse.
- Di cosa Fred? -  chiese lei, stupendosi di quanto roca e debole suonasse la sua voce.
- Tu avevi bisogno di me e io non ho saputo fare niente per aiutarti –
La stringeva forte.
- E ora aspetti un bambino -  concluse.
Gli occhi di Jacqueline si sgranarono appena per poi riempirsi nuovamente di lacrime.
- Ero fuori dalla porta, ero venuto a dirvi di Bill... urlavi -  le spiegò.
- Oh Fred.. -  Jacqueline non sapeva cosa dire.
- Lo amavi? -  le chiese lui sciogliendo l’abbraccio.
Lei rimase un attimo in silenzio, le lacrime che continuavano a rigarle le guance, - Sì – rispose.
- Capirò se non vorrai più avere a che fare con me -  aggiunse poi guardandolo attraverso il velo di lacrime che le copriva gli occhi.
- Non dirlo neanche per scherzo. Adesso ci sono io a prendermi cura di te - La guardava comprensivo.
- Fred io non ti amo più -  singhiozzò lei affranta.
- Lo so. Ma non lo faccio per questo -  rispose lui intuendo la sua preoccupazione,  - Eravamo amici prima di essere fidanzati e io non l’ho dimenticato - .
Poi la prese delicatamente per mano.
- Andiamo a casa –
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
Che dire, quando ho buttato giù la bozza di questa storia non pensavo che l’avrei mai fatta leggere a qualcuno.
L’avevo scritta per me, per passatempo!
Poi ho scoperto questo sito e mi sono detta ‘Ma sì, al massimo mi insultano’!
E invece ho trovato persone carinissime che di volta in volta hanno commentato e recensito dando un senso a questa cosa.
Soprattutto mi è venuta voglia di continuare!
Quindi, altro mese altra storia :)
Ci vediamo ad Aprile con il seguito..
A presto!

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