Die Verlobte von der Mitbewohnerin

di Mizar19
(/viewuser.php?uid=83718)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


II CLASSIFICATA AL LADIES’ CONTEST INDETTO DA SIGNORINO_ (IFHEAVENFALLSAPART)


Autore: Mizar19
Titolo:
Die Verlobte von der Mitbewohnerin – La fidanzata della coinquilina
Genere: Romantico, Commedia
Avvertimenti: Femslash
Rating: arancione

Personaggi:
Le nostre eroine: Vera Baudino e Amaryllis Keller
Genitori di Amaryllis: Edwig Schindler e Konstantin Keller (deceduto)
Genitori di Vera: Giampaolo Baudino e Mariangela Rosso
Fratelli: Sara Baudino e Gabriele Baudino
Nonni paterni: Luciano Baudino e Teresa Casetta
Nonni materni: Dante Rosso (deceduto) e Catterina Grimaldi

Zio paterno e consorte: Piero Baudino e Renata Delle Noci
Cugini paterni: Giovanni Baudino, Cecilia Baudino ed Elisa Baudino
Zia materna e compagno: Marisa Rosso e Carmelo Martorana (non presente fisicamente)

Zio materno e compagna: Giuseppe Rosso e Vita Spadaro
Cugini materni: Maria Vittoria Rosso e Vincenzo Rosso

Note d’autore:

Anzitutto, ci tengo a sottolineare che tengo moltissimo a questa storia: è nata quasi casualmente da un’idea balzana campata in aria e che poi, come al solito, mi è sfuggita di mano ed è diventata tutto ciò che stai per leggere. Vera Baudino e Amaryllis Keller sono personaggi assolutamente originali, scaturiti dalla mia mente malata e i casi di omonimia sono puramente casuali. I luoghi, invece, sono reali (essendo ambientata a Torino, non potevo inventarmi nulla), così come i vari cibi e vini che vengono nominati come tipici piemontesi, confermo che sono tradizionali della zona.

Spendo ancora due parole per quanto riguarda le note: per conferire maggiore realismo alla storia, alcune parti sono riportate in tedesco, altre in piemontese (di Torino e dintorni) e altre ancora in siciliano (di Palermo), mentre una piccolissima parte in inglese. Per quanto riguarda tedesco, inglese e piemontese ho attinto alla mia conoscenza personale di queste lingue, mentre per il siciliano ho chiesto ad un’amica palermitana. Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori di scrittura in piemontese e siciliano, ma non sono eccessivamente ferrata sulla scrittura del piemontese, mentre per il siciliano proprio zero, mi sono fidata di come mi scriveva lei le frasi! Il tedesco, invece, è correttissimo.

Talvolta, invece, Amaryllis parla in italiano e parla “sgrammaticato”, le frasi con errori volontari sono segnalate dal corsivo.

Infine, questa storia si configura come il sequel della storia che ho scritto per l’Only yuri contest di Volk, anche se cronologicamente l’idea per questa mi è venuta prima (te lo dico solo per farti capire il motivo del titolo!), dunque “Die Mitbewohnerin – La coinquilina” non va letta per comprendere questa, in quanto “Die Verlobte von der Mitbewohnerin” è completa in se stessa.

Mi sembra di aver detto fin troppo, buona lettura!


Battuta/e scelta/e:

9. “Che cosa c’è?”
“Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si tolgano da soli”.

11. “Senti, non è che vorrai portarmi da tuo padre e chiedergli la benedizione, vero?”
“Sarebbe una cosa tanto terrificante?”
“Per me, non molto. È di tuo padre che mi preoccupo”.

Prima di lasciarvi tranquilli alla lettura, devo ringraziare calorosamente due persone: Kabubi e Calypso che mi hanno seguita in ogni sclero che ha accompagnato la stesura di questa storia.

Die Verlobte von der Mitbewohnerin è dedicata interamente a Nessie che non solo mi ha aiutata con il dialetto palermitano, ma più di tutte ha seguito con entusiasmo la stesura e mi ha supportata in quest'eroica impresa!

***

DIE VERLOBTE VOR DER MITBEWOHNERIN

PARTE 1

Seduta a gambe incrociate sulla scrivania, Vera mordicchiava assorta il retro di una matita HB, la schiena contro il muro. Contraeva ritmicamente le dita dei piedi nudi, le unghie laccate di blu. Aggiunse qualche linea allo schizzo che reggeva contro le ginocchia su un supporto rigido.

Fuori nevicava. Anzi, sarebbe stato più corretto dire che fuori una bufera di neve si stava riversando impietosa su Berlino. All’interno dell’appartamento, però, il caldo era quasi eccessivo. Tutta colpa del riscaldamento centralizzato. Così lei indossava un paio di calzoncini grigi e una maglietta sformata bianca, ricordo di un torneo calcistico disputato nemmeno troppi anni prima.

Si tamponò il sudore sulla fronte con il dorso dell’avambraccio, osservando indecisa quelle confuse linee che si accumulavano sul foglio bianco: non era per nulla convinta.

Afferrò di scatto la gomma e cancellò furiosamente quei segni di grafite, infondendo nel gesto una tale foga da stropicciare il foglio. Imprecò fra i denti e ridusse il pezzo di carta ad una pallina, che lanciò nel cestino dall’altra parte della stanza, centrandolo. Ormai era allenata.

Lasciò cadere il supporto rigido e si stropicciò gli occhi doloranti con le mani. Stava tentando di portarsi avanti con quel progetto d’illustrazioni per un libro per bambini: doveva essere completato per il rientro dalle vacanze natalizie, che sarebbero iniziate di lì ad una settimana. Vera si coricò sulla scrivania, inarcando la schiena per distendere la spina dorsale, poi allungò le gambe e le braccia. Rilassò infine i muscoli sbuffando.

Si era trasferita a Berlino quattro anni prima per frequentare l’Universität der Künste di Berlino, ovvero la versione tedesca dell’Accademia di belle arti. Amava la Germania, i suoi abitanti, i luoghi e, soprattutto, amava Berlino, dove voleva trascorrere il resto della sua esistenza.

Vera piegò la testa all’indietro, osservando al contrario le lancette dell’orologio: erano quasi le sette, Amaryllis sarebbe rientrata a momenti.

Si ricompose rapidamente. Sciolse il nodo disordinato in cui aveva stretto i folti e lunghi capelli castani, per poi riannodarli in una coda di cavallo più ordinata. Dopo averle raccolte, impilò le carte sparse sulla scrivania, sulle quali si era seduta senza farsi troppi scrupoli.

Scese la ripida scala a chiocciola di legno, rischiando di scivolare come al solito, poi si diresse verso il frigorifero alla ricerca di un po’ d’acqua fresca.

L’appartamento in cui vivevano non era molto grande, ma loro lo amavano. La porta d’ingresso dava direttamente nel salotto cucina, dove era incastrato un piano cottura e in un angolo un piccolo tavolo con due sole sedie. Dalla parte opposta, invece, stavano un divano a due posti, foderato da una vecchia coperta patchwork, e una televisione nera, molto simile ad un grosso scatolone. Lì accanto si apriva anche la porta del bagno. Tramite la scala a chiocciola invece si accedeva al soppalco mansardato, dove trovavano spazio il letto matrimoniale, appoggiato contro una parete nella parte bassa del soffitto, un ampio cassettone e la scrivania sulla quale Vera era seduta fino a poco prima. Il resto delle loro cose era stipato su una serie di scaffali che avevano inchiodato personalmente anni prima.

Si sedette sul bancone della cucina. Aveva quest’abitudine di sedersi su ogni mobile o superficie piana disponibile, come una scimmia che trova spazio in ogni nicchia. Non era molto alta, anzi, arrivava appena al metro e sessantacinque. Se c’era bisogno di raggiungere il ripiano più alto dei mobili della cucina doveva per forza salire in piedi su una sedia e questo le bastava appena. Per fortuna Amaryllis era di quindici centimetri più alta di lei. Una perfetta donna tedesca: capelli fulvi, occhi azzurri, zigomi alti, spalle larghe e gambe lunghe.

Vera la trovava terribilmente affascinante e non riusciva a non associare a lei la parola sessualmente attraente. Certamente non era pura passione carnale: amavano discorrere a lungo, abbracciate sul divano, o distese sotto le spesse coperte color sangue, dopo aver fatto l’amore. Era anzitutto un’intesa a livello intellettuale che, fortunatamente, coincideva anche sul piano fisico.

Amaryllis era uscita quattro ore prima con Jutte, sua cugina, per il rituale shopping natalizio dell’ultimo minuto, durante il quale avrebbero comprato regali pacchiani per le loro prozie e altri vecchi parenti. Vera, da sola, era nervosa. La mano con cui reggeva il bicchiere tremava leggermente. Mandò giù l’ultimo sorso.

Proprio mentre sospirava profondamente, udì la chiave girare nella toppa. Balzò in piedi, animata da nuovo ardore, attendendo pazientemente che il naso della compagna sbucasse oltre lo stipite. Amava prenderla adorabilmente in giro per quel naso che definiva importante e che era l’unica nota stonata nel suo bellissimo viso. A parere di Vera, contrariamente a ciò che Amaryllis pensava, le conferiva una bellezza ancora più marcata.

- Scheisse[1] – imprecò Amaryllis, sbattendo una borsa contro lo stipite.

Vera rise silenziosamente, le natiche poggiate contro il bancone e le braccia incrociate, osservando divertita la compagna.

La giacca beige era ricoperta di neve, così come il morbido berretto di lana. Le guance e il naso erano più rossi dei suoi capelli, nascosti quasi interamente dal berretto. Gli occhi chiari erano ridotti a fessure e le tremavano impercettibilmente le labbra, screpolate per il freddo pungente.

- Amore! – trillò Vera non appena Amaryllis ebbe posato al suolo le due borse che reggeva, una per mano. Le saltò letteralmente in braccio, incurante della neve che si incollava alla sua pelle nuda.

- Ehi, cucciola – mormorò Amaryllis, stringendola con forza a sé, impedendole di scivolare al suolo.

- Ho voglia di mangiarti di baci – mormorò Vera al suo orecchio, concretizzando in maniera limitata ciò che aveva appena espresso a parole. L’altra ragazza rise di gusto, mentre la costringeva a scendere a terra.

- Lascia almeno che mi tolga la giacca –

Vera la osservò con occhi languidi mentre si sfilava l’indumento, rivelando una spessa felpa verde acido. Spostò in un angolo le due borse e dal modo in cui le trattava pareva le procurassero molto fastidio. Toltasi i moon boot e quella felpa, rimase in t-shirt e jeans.

Allungò le mani fredde e indolenzite verso il viso della compagna, posandogliele dolcemente ai lati del capo. Poi la baciò. Vera si abbandonò completamente fra le sue braccia, gli occhi serrati, lo stomaco in subbuglio.

- Te-soro... – mormorò Amaryllis. Parlavano principalmente in tedesco (dato che ormai Vera lo padroneggiava fluentemente), talvolta preferivano discorrere in inglese, ma sempre più spesso Amaryllis utilizzava frasi o intercalari italiani perché stava cercando di avvicinarsi, anche se con alcune difficoltà, alla lingua natia della compagna.

Vera strofinò prima uno dei piedi nudi contro i jeans dell’altra ragazza, utilizzando a poco a poco tutta la gamba. Amaryllis le afferrò saldamente una coscia con la mano sinistra, spostando poi la mano sul gluteo nascosto dai calzoncini color asfalto, massaggiandolo.

- Fammi... fammi cambiare – balbettò Amaryllis, chiamandosi lentamente fuori da quell’erotico amoreggiare.

- Sì, poi dobbiamo parlare un attimo... – squittì Vera, riprendendo fiato e appollaiandosi sullo schienale del divano. Amaryllis salì sul soppalco con tutte le sue cose per andare ad appenderle ai ganci a parete o per riporle nel cassettone.

- Hai sentito i tuoi? – domandò cauta Amaryllis dall’alto, mentre si spogliava.

- Sì. Mamma ha detto che sarebbe meglio partissimo la mattina, in modo da essere là per l’ora di pranzo. Per loro è più comodo –

Amaryllis non rispose: era terrorizzata. Si stava prestando a quella pagliacciata solo per far felice la sua ragazza, ma l’idea di conoscere i suoi genitori e di essere presentata come la compagna ufficiale della loro primogenita non la riempiva di entusiasmo.

- Mya, ti prego. Lo so che sarà... imbarazzante, ma ci tengo molto... –

Amaryllis continuò a restare chiusa nel suo silenzio. Scovò la sua sformata maglietta blu scuro e un paio di pantaloni a quadretti del pigiama.

- Per favore, rispondimi – sussurrò Vera preoccupata, la voce ridotta ad un tremolio. Avevano litigato furiosamente meno di due settimane prima perché Amaryllis si rifiutava categoricamente di trascorrere le vacanze natalizie in casa Baudino. La scusa era che non avrebbe potuto non trascorrere nemmeno un giorno con la sua famiglia ma la verità era che il padre di Vera la spaventava a morte.

Erano venuti a trovarla un paio di volte, soprattutto in primavera, e non le erano mai andati a genio, specialmente il signor Baudino, così severo e burbero, rigido. La madre, invece, era stata talmente apprensiva a soffocante che Amaryllis si era sentita mancare l’aria, nonostante non fosse lei l’oggetto delle sue attenzioni.

I signori Baudino non era al corrente del fatto che la loro primogenita fosse omosessuale, non l’avevano mai saputo, né sospettato, accecati dai numerosi traguardi tagliati dalla figlia e dal suo carisma, grazie al quale riusciva a convincerli di qualunque cosa.

Scese silenziosamente la scala a chiocciola, per poi andare ad abbracciare quella piagnucolona della sua ragazza.

- Tu sei un noia – le disse, baciandole la fronte. Vera ridacchiò, evitando di correggerla per non offendere la sua autostima.

- Non potrò dire ai miei che sono lesbica il giorno del nostro matrimonio, devo dar loro del tempo per metabolizzare la notizia – spiegò Vera lasciandosi cadere sul divano e trascinando Amaryllis con sé.

- Ah, ci sposeremo? – domandò ironica Amaryllis, sollevando un sopracciglio.

Vera annuì con un’espressione da cucciolo gioioso dipinta sul volto, osservando quello della compagna a pochi centimetri dal suo.

- E me lo dici così?! – s’indignò Amaryllis, iniziando a fare il solletico alla compagna, che si contorceva sotto di lei in preda al riso convulso. Quando smise, la bloccò con il peso del suo corpo, baciandole le spalle e il collo, carezzandole i fianchi e i capelli. Il petto di Vera si alzava e si abbassava rapidamente.

La ragazza supina mugugnò, aggrappandosi alla schiena della compagna con forza. Si strinsero l’una fra le braccia dell’altra, avvolgendosi completamente. Amaryllis posava a intervalli regolari delicati baci sulla gota arrossata di Vera, le cui labbra erano curvate in un impercettibile sorriso di soddisfazione.

- Ho voglia di coccole – mormorò Vera, lasciando che la compagna la stringesse con più intensità.

- Andiamo nel letto, staremo più comode – propose Amaryllis posando una dito sulla punta del suo naso.

Vera si alzò controvoglia precedendo la compagna sulla scala a chiocciola, per poi tuffarsi con grazia sul piumone. Amaryllis si coricò accanto a lei, abbracciandola.

- Profumi – mormorò la ragazza mora, chiudendo gli occhi e premendo il naso contro il collo della compagna.

- Credo sia sudore, sai? – ironizzò lei, grattandole delicatamente la schiena. Vera rabbrividì di piacere.

- Allora, sei così disperata? – domandò improvvisamente la ragazza italiana, coricandosi sopra la compagna, che replicò con un gran sospiro.

- Sì –

Vera rise in una maniera talmente genuina e spontanea che anche le labbra di Amaryllis s’incurvarono.

- Sei sciocca, lo sai? – sogghignò, baciandole la fronte, divertita dalla sua angoscia.

- Ti ho promesso che verrò, quindi non hai da temere. Ho solo una folle ed ingiustificata paura della tua famiglia. Perché devi dirgli che stiamo assieme? E se non gli andrà giù che la loro deliziosa figliola sprechi le doti che Madre Natura le ha concesso per una qualunque crucca dai capelli rossi? –

- Non sei una qualunque crucca dai capelli rossi, patata, sei la mia crucca dai capelli rossi. E ho intenzione di andare dai miei e dire esattamente questo: genitori adorati, lei è la donna della mia vita! –

- Oh! Senti, non è che vorrai portarmi da tuo padre e chiedergli la benedizione, vero? –

- Sarebbe una cosa tanto terrificante? –

- Per me non molto. È di tuo padre che mi preoccupo – si lagnò Amaryllis, mordendole con delicatezza una guancia.

- E’ tempo di affrontarlo. E non solo lui! Mia madre, mia sorella, mio fratello, la nonna... –

Amaryllis gemette, zittendo la sua ragazza con una mano premuta contro le sue labbra, per poi costringerla sotto di sé.

- Ora chiudi quel forno che ti ritrovi, perché voglio baciarti – mormorò, concretizzando le sue parole. Vera si lasciò sfuggire un risolino quando la mano di Amaryllis scostò l’elastico di quei pantaloncini color asfalto.

Amaryllis si svegliò per prima, stordita, i capelli arruffati. Era coricata trasversalmente nel letto, avvinghiata a Vera, che dormiva su un fianco con la bocca dischiusa, un rivolo di bava che bagnava il cuscino. La ragazza distese le gambe e i piedi nudi fecero capolino da sotto le coperte. Provò una spiacevole sensazione di gelo.

Sbirciando la sveglia si accorse che erano le tre di notte: si erano addormentate senza nemmeno cenare! In quel momento si rese conto di cosa l’avesse svegliata: l’insistente brontolio del suo stomaco esigente. Sgusciò dalla stretta di Vera, che protestò debolmente, borbottando qualche parola in italiano e, fortunatamente, chiudendo la bocca.

Scivolò fuori dal letto in deshabillé, rabbrividendo. Durante la notte i termosifoni venivano spenti e dunque si creava la situazione opposta a quella diurna: la casa si avvolgeva di un cupo gelo che le faceva tremare le gambe.

Afferrò rapida un pigiama lungo di pile, abbottonandosi la maglia il più velocemente possibile. Quando anche l’ultimo bottone trovò il suo posto nell’asola gemella, la sensazione di gelo che l’aveva afferrata parve attenuare sensibilmente la morsa. Si voltò dunque verso la compagna.

La stava osservando, vigile, i grandi occhi scuri spalancati, la sagoma del suo corpo visibile grazie alla luce dei lampioni che filtrava attraverso le tende. Non avevano nemmeno chiuso le persiane.

- Ciao – mormorò, la voce impastata di sonno.

- Ho fame – disse Amaryllis, avvicinandosi al letto e posandole una mano sulla guancia. Vera mugolò, strofinando il volto contro il palmo che l’altra ragazza le aveva offerto.

- Anch’io –

Vera allontanò con un calcio il piumone rosso porpora e rabbrividì violentemente quando la sua pelle bollente venne sfiorata dalla gelida aria notturna dell’appartamento. Amaryllis fu lesta a porgerle la vestaglia di pile e un paio di pantaloni della tuta. Senza scendere dal letto, Vera si rivestì per poi abbracciare Amaryllis stringendo le braccia attorno al suo collo.

- Cosa vorresti mangiare? – le domandò posandole un bacio sulla guancia.

- Penso siano avanzate delle scatolette di tonno... –

- Pasta con il pomodoro e il tonno alle tre di notte – sentenziò Vera allegra, lasciando la presa e precedendo la compagna giù per la scala a chiocciola.

Forse l’allegria della compagna, forse la forza di volontà che aveva sempre posseduto in abbondanza, ma l’idea così terrificante di presentarsi come fidanzata ufficiale di Vera ai suoi genitori non la spaventava più così tanto. Anzi, era felice di poter, in un certo senso, legittimare il loro rapporto.

*

- Dammi la cintura – disse Amaryllis, porgendo il palmo della mano aperta alla sua ragazza, che stava riponendo gli oggetti di metallo nelle abituali scatole di plastica per poter passare sotto al metal detector. Vera le porse la cintura di cuoio e passò indenne sotto lo strumento. Poco dopo la raggiunse anche Amaryllis.

Recuperarono i loro bagagli a mano e si avviarono verso la zona d’imbarco.

- Fa caldo – si lamentò Vera, strattonando il morbido collo del suo maglione di lana blu. Si era già tolta il cappotto e la sciarpa, che ora reggeva con un braccio.

- E’ perché ti sei vestita come se dovessi andare a scalare l’Everest – mormorò Amaryllis, baciandole un orecchio.

- Ma fuori fa freddo! – protestò la ragazza italiana ridendo, meritandosi un dolce spintone da parte della compagna, stufa delle sue lamentele.

- Allora, come ti senti? – domandò Vera all’altra, mentre si sedevano sulle morbide poltroncine, posando le giacche nel posto vuoto accanto a loro.

- Nervosa? No, il termine più corretto è angosciata – specificò Amaryllis, accompagnando la frase con un gesto rapido dell’indice, come a bacchettare l’aria.

- Ti piaceranno i miei genitori. Sono un po’... particolari, ma penso che non si scandalizzeranno tanto. In fondo sono la loro adorata figliuola – sogghignò Vera, gingillandosi del suo successo scolastico, che rendeva tanto fieri di lei i signori Baudino.

- Per quel poco che li ho visti ammetto di non poter avere un’opinione basata su concrete osservazioni. Irrazionalmente, però, me li immagino come due giaguari appostati fra dimenticate rovine azteche pronti a sbranarmi non appena metterò piede nel loro territorio – confessò Amaryllis, procurando una ridarella isterica alla sua compagna.

Vera si ricompose quando il suo telefono squillò. La parole “mamma” lampeggiò con insistenza sul display, mentre si diffondevano nella sala le note di Shiny happy people, una vecchia canzone dei REM che riusciva a metterla sempre di buon umore, anche nei momenti più tetri.

Amaryllis sgranò gli occhi e s’infossò nella poltrona, come se la madre di Vera potesse vederla attraverso il telefono cellulare.

- Pronto? – rispose Vera, osservando la reazione dell’altra con una luce divertita negli occhi.

- Nini[2], stai bene? – le domandò apprensiva la signora Baudino.

- Sì, mamma, tranquilla. Siamo in aeroporto, stiamo aspettando che ci chiamino per l’imbarco. Com’è il tempo a Torino? –

Amaryllis aveva afferrato qualcosa della conversazione e si era tranquillizzata. Era solo la madre apprensiva che telefonava alla figlia lontana. Tutto qui. Senz’altro.

- Papà am ha dime[3] che lì nevica, fate attenzione, ne! Qua ha smesso da poco –

- Mamma, tranquilla, qua nevica sempre! –

- E la tua amica, com’è che si chiama? Non riesco a ricordarmelo mai... –

- Amaryllis, ma tu limitati a chiamarla Mya. Andrà benissimo –

- Nini, ma doveva proprio venire? Non è per cattiveria... ma... –

- E allora se non è cattiveria non vedo quale sia il problema. Ci tengo a presentarvela, okay? – s’infervorò Vera, agitando una mano, mentre Amaryllis la osservava terrorizzata. Cogliere il suo nome era stato un trauma. Soprattutto a causa del tono di voce che usato da Vera subito dopo.

- Ma certo, nini, e siamo contenti che tu voglia conciliare la tua vita in Germania con noi, ma i parenti... sarà difficile comunicare. Nemmeno noi parliamo così bene l’inglese, ne. Figurati la nonna! –

- Mamma, Mya parla un po’ di italiano e poi ci sarò io. Per me è molto importante che la conosciate – s’accorò Vera, stringendo la mano chiusa e premendola contro il ventre.

- Oh Signur, cosa avrà mai di tanto speciale? L’abbiamo già vista altre volte... – continuò la signora Baudino, affannata. Proprio non riusciva a comprendere la testardaggine della figlia, ma non aveva potuto negarle una cosa a cui pareva tenere tanto.

- Non dire cavolate! Vi siete a malapena salutati! Viviamo insieme da tre anni, mi sembra ora che scambiate due parole con lei – s’infervorò Vera, il pugno sempre più chiuso. Amaryllis la osservava, notando la sfumatura porpora che stava iniziando a farsi strada sulle guance della compagna. Allungò una mano, carezzandole quella chiusa a morsa, insinuandovi l’indice e costringendola ad allentare la presa, mentre intrecciava le loro dita. Poi le posò la testa sulla spalla.

- Nini, non ti agitare. State venendo qua, va tutto bene. Ci saranno papà e Sara ad aspettarti, okay? -, Vera stava per rispondere, quando Amaryllis le indicò il soffitto, facendole intuire che stavano chiamando il loro volo.

- Sì, mamma devo andare. Ci imbarcano! Atterrerò nel giro di un’oretta, baci – staccò il telefono senza ascoltare la sua risposta. Poi lo spense, onde evitare di essere richiamata dalla madre offesa.

Amaryllis intuì che qualcosa non andava, ma il suo tatto le suggerì di non domandare. Si limitò ad abbracciare Vera non appena si furono sistemate in coda. Lei chiuse gli occhi, appoggiando con piacere il viso contro il seno dell’altra. La ragazza tedesca le carezzava i capelli lunghi con gesti lenti e dolci, posandole saltuariamente morbidi baci sul capo.

- Enschuldigung[4] – mormorò Vera, tirando su col naso e lasciando scivolare lentamente la stoffa della felpa di Amaryllis che aveva stretto fra le dita quando l’aveva abbracciata.

- Sh, stai sitta. Va tutto bene – tentennò Amaryllis, strappando un sorriso a Vera con il suo marcato accento tedesco.

- Mia madre ha paura che non riusciate a comunicare. Una scusa per dirmi che era meglio se non ti avessi invitata. Lo fa di proposito, ne sono convinta: quando glielo proposi, ne fu entusiasta, ringraziandomi perché ero stata così premurosa da volerti portare da loro. Forse non pensava che l’avrei fatto sul serio. Davvero, non lo so. E ora se ne esce con queste... queste... cazzate! -, Amaryllis non ebbe bisogno di traduzioni, le parolacce gliele aveva insegnate tutte, di modo da trovarsi preparata in caso sua sorella o suo fratello si fossero comportati scortesemente, approfittando del suo non capire la lingua.

- Magari è solo agitata... conosci tua madre meglio di me: è meticolosa, abitudinaria. Le scombussolerò la daily routine! – scherzò Amaryllis, grattandole la schiena per farla sorridere.

- Non vedo l’ora di farti assaggiare i budini della nonna... – mormorò Vera, che aveva ritrovato il buonumore.

- Io non vedo l’ora che questo Natale trascorra e che arrivi gennaio, così potrò rotolarmi di nuovo nel letto con te – mormorò Amaryllis, le labbra premute contro il padiglione auricolare dell’altra. Vera avvampò, sorridendo maliziosa.

- Chi ti ha detto che ho intenzione di aspettare il ritorno a Berlino? – sollevò un sopracciglio con aria interrogativa e scettica. Amaryllis non poté far altro che limitarsi ad udire il suo stomaco contorcersi. Un conto era andare a chiedere la benedizione, un conto era fare l’amore sotto il loro naso.

- Saremo discrete – aggiunse Vera, annuendo coraggiosamente.

- Certo, per come sei discreta tu anche l’Australia sa cosa combiniamo sotto a quel piumone –

*

La voce del comandante annunciò l’arrivo a Torino prima in italiano, poi in inglese e, infine, in tedesco. Informò i passeggeri delle condizione meteorologiche all’esterno e li invitò a restare seduti fino al completo arresto del velivolo.

Amaryllis si stava massaggiando le orecchie, che le provocavano un forte fastidio a causa della rapida discesa e il conseguente sbalzo di pressione. Il suo stomaco era sempre più chiuso e accartocciato, come uno qualunque dei tentativi fallimentari dei disegni della sua compagna, ridotto poi ad una pallina di carta straccia e gettato con precisione nel cestino. Si massaggiò le tempie, sbuffando. Era sudata, si sentiva più accaldata del solito e le mancava l’aria. Sperava di scendere rapidamente da quella trappola con le ali.

- Honey, everything’s going to be fine[5] – le ricordò per l’ennesima volta Vera, carezzandole un braccio come si farebbe con il delicato capo di un chihuahua e baciandole una spalla a intervalli regolari.

Amaryllis non rispose, continuava a fissare ostinatamente il segnale luminoso che perdurava l’obbligo d’indossare le cinture, pregando perché si spegnesse dato che ormai erano praticamente fermi. Quando finalmente fu esaudita, si liberò di scatto della costrizione e recuperò il suo bagaglio a mano.

Riuscirono ad uscire dall’aereo col primo gruppo di passeggeri.

Il cielo di Torino era grigio, spento, ma la luce che filtrava dalle nuvole era accecante. L’aria gelida e pungente. Rientrarono nell’aeroporto per ritirare i bagagli, avvicinandosi rapidamente al nastro trasportatore, attendendo le valigie come predatori in agguato fra le sterpaglie.

- Ti senti meglio? – domandò Vera ad Amaryllis, stringendole una mano. La ragazza tedesca annuì, scusandosi per il suo comportamento maleducato di poco prima.

- E’ che sono un po’... nervosa –

- Tranquilla, lo capisco. Anch’io ero nervosa quando mi hai presentato tua madre – la rassicurò Vera, che ora si era avvinghiata al suo braccio. Era quasi un’azione automatica quella di aggrapparsi, avvolgersi, stringersi alla compagna, che le fosse offerta una mano, una gamba o tutto il corpo.

Furono fortunate e la loro valigia comparì quasi subito sul nastro. Amaryllis si sporse per afferrarla e la trascinò a terra sbuffando per lo sforzo: l’avevano riempita ben oltre la capienza massima suggerita.

- Mi sta prendendo il panico. Mi tremano le mani – sussurrò Amaryllis, mentre si avviavano all’uscita, dove avrebbero dovuto attenderle il signor Baudino e la sorella di Vera, Sara.

Si ritrovarono in una sala gremita di persone che reggevano cartelli, foto, scritte, tutte ammassate attorno alla porta, pronte a recuperare la persona da cui tentavano di farsi notare. Vera e Amaryllis li oltrepassarono a spintoni perché quelli parevano essersi cementificati e saltellavano sventolando i loro fogli, preoccupati di non essere visti.

- C’è? Lo vedi? – domandò Amaryllis, che sperava irrazionalmente che si fossero scordati di loro.

- No, Mya, lasciami guardare – disse Vera. Si erano fermate circa al centro della sala, punto da cui godevano di ottima visuale e avrebbero potuto identificare più rapidamente il signor Baudino e Sara.

- Vera! – chiamò una voce acuta proveniente da sinistra. Le due ragazze si voltarono di scatto. Era stata Sara a chiamarle a gran voce.

Due figure, una bassa e tarchiata, una alta e slanciata, le attendevano, braccia conserte e gambe ben salde.

Sara aveva lunghi capelli scuri, simili a quelli di Vera, ma era evidente la cura con cui li aveva sottoposti alla tortura della piastra. Era molto più alta della sorella, il naso più appuntito, la bocca più grande, ma era innegabile la somiglianza fra le due. Sulle guance il fard eccedeva e gli occhi erano segnati da una spessa linea di eye-liner nero. Indossava una specie di bomber nero e un paio di jeans molto aderenti, ai piedi un paio di kawasaki fucsia. Masticava nervosamente una gomma.

Il signor Baudino era la prova evidente che Vera era sua figlia, dato che l’altezza doveva averla per forza ereditata da lui. Portava i capelli corti, brizzolati e un principio di calvizie avanzava dalla fronte. Se ne stava immobile, serio nel suo cappotto marrone, dal cui scollo si intravedeva una sciarpa di un colore neutro ed insignificante, le scarpe talmente lucide da potercisi specchiare dentro. Il volto contratto, forse per la concentrazione nella ricerca della figlia. Quando la vide parve rilassarsi e i suoi occhi si aprirono, rivelandosi simili a quelli grandi e scuri di Vera, il volto rasato con cura non sembrava però mostrare segni di gioia.

Amaryllis udì nuovamente il lamento del suo stomaco e dovette trattenersi dal portarsi una mano al ventre. Non voleva mostrar loro che si sentiva uno straccio cencioso.

- Ciao papà, ciao Sara! – esclamò Vera, salutando entrambi con un gesto della mano e un sorriso.

- Ciao tesoro, lei è la tua amica? – domandò immediatamente il signor Baudino, osservando diffidente la rossa.

- Allora – Vera si schiarì la gola, pronta a fare le presentazioni e parlando italiano molto lentamente, in modo da permettere alla sua ragazza di capire – Lei è Amaryllis, la mia coinquilina. Mya, loro sono mio papà Giampaolo e mia sorella Sara –

Amaryllis fece un cenno imbarazzato con il capo, per poi porgere la mano destra. Sara la strinse controvoglia, il signor Baudino le stritolò le falangi, facendola quasi sussultare.

- Piacere Amaryllis. Sei la benvenuta – sillabò lentamente il signor Baudino, per poi rivolgersi con tono sbrigativo alla figlia. – Andiamo che mamma ci aspetta. Non vorrai mica fare tardi –

- Certo che no, sbrighiamoci –

Amaryllis si occupò della valigia, sorda alle proteste di Vera. Sara le osservava in modo curioso quando parlavano in tedesco, pensando forse che le stessero nascondendo qualche misterioso segreto templare.

Durante il tragitto in macchina parlò principalmente il signor Baudino, che spiegava alla figlia il programma dettagliato non solo della giornata stessa, ma anche di quella a venire e dei giorni ancora successivi, elencando una sfilza di parenti da andare a trovare controvoglia. Inoltre, quel giorno a pranzo la nonna non sarebbe stata presente perché era con la famiglia del fratello della signora Baudino a godersi una bourghignon.

Amaryllis non capiva una parola: il signor Baudino non stava parlando italiano, ma il dialetto della regione e lei era atterrita, rigida, non pareva nemmeno lei. Solitamente era dinamica, forte, carismatica, prendeva l’iniziativa in ogni momento senza farsi scrupoli. Ora temeva solo che il padre della compagna la cacciasse, costringendola a prendere il primo aereo per Berlino.

Il signor Baudino si destreggiò con abilità nel traffico di Torino, costeggiando il Po lungo Via Fiocchetto e procedendo verso la periferia. Dopo non molto si arrestò di fronte ad un cancello, attendendo che esso scorresse lateralmente, permettendo l’accesso della Punto nera.

Era un alto palazzo di mattoni, anzi, per l’esattezza era un complesso di palazzi che facevano riferimento ad un unico cortile, nel quale vi era persino un giardino con alcune attrezzature per bambini. Sulle altalene si stavano dondolando, ridendo forte, una bambina araba e una riccia biondina. Amaryllis sorrise a quella visione che le ricordava la sua multietnica Germania.

Sara prese la valigia di Amaryllis, che era talmente agitata da non riuscire nemmeno a ricordare la formula per ringraziare italiana. Se ne uscì dunque con uno stentato thank you, suscitando notevole ilarità in Vera.

- Du bist so nervös[6]... – mormorò, prendendole una mano e sorridendo con fare rassicurante. Amaryllis però non riusciva a calmarsi. Sara era dietro di loro e si sentiva il suo sguardo fisso contro la nuca. Le formicolava la pelle del collo sentendosi tanto osservata. Sara intuiva qualcosa, ne era certa. La guardava in modo troppo strano per essere semplice diffidenza dettata dall’essere sconosciute.

- Vado a piedi – disse Sara davanti alle porte aperte dell’ascensore, lasciando la valigia di Amaryllis sul pianerottolo, poi iniziò a salire.

- Cos’ha Sara, papà? – domandò Vera, mentre mettevano le valigie nell’ascensore. Il signor Baudino le lanciò uno sguardo piuttosto duro.

- Non mi sembra il momento di discuterne, ti pare? –

- Sì – chiuse il discorso Vera, pigiando il numero sei sulla pulsantiera di metallo.

Stretta in quel piccolo ascensore, Vera si sentiva mancare l’aria. Non le era mai piaciuto, così soffocante e angusto. Ma era una buona scusa per potersi stringere ad Amaryllis senza destare troppi sospetti. Non aveva intenzione di affrontare l’argomento in quella gabbia claustrofobica. Abbandonò il capo sul seno della compagna, che rimase immobile. Normalmente l’avrebbe abbracciata e ricoperta di umidi baci. Amaryllis si trattenne a stento dal farlo.

Finalmente le porte si riaprirono con un cigolio sinistro sul pianerottolo del sesto piano. Il signor Baudino si occupò di portar fuori le valigie, seguito dalle due ragazze. Sulla soglia di un’anonima porta marrone stava una donna di mezza età. Era addirittura più bassa di Vera, magrolina, il volto tirato e segnato da rughe sottili. Sembrava più giovane dei cinquantasei anni che le attribuiva Vera.

Mariangela Rosso indossava un paio di pantaloni grigi e un maglione nero a collo alto, al polso destro luccicava un orologio d’argento. Attorno al collo, adagiata sul seno piuttosto pronunciato, una collana di perle faceva bella mostra di sé. I capelli castani tagliati sulle spalle erano stati sistemati con cura dietro alle orecchie. Sorrise quando incrociò lo sguardo di Amaryllis, spalancando la porta.

- Mamma! – esclamò Vera, andando ad abbracciarla. La ragazza tedesca fece per afferrare la maniglia della valigia, ma urtò la mano fredda del signor Baudino, trasalendo. Lui non disse nulla, si limitò ad osservarla. Il suo sguardo indecifrabile le fece tremare i polsi.

- Venite dentro – disse la signora Baudino, allontanandosi dalla soglia per permettere ai tre di entrare. Sara si era già tolta il giubbotto e lo stava riponendo nell’armadio, rimanendo con indosso una semplice felpa grigia con il cappuccio.

- Mamma, lei è Amaryllis, la mia coinquilina e amica – disse Vera lentamente, indicando l’imbarazzata ragazza tedesca, colta nell’attimo di sfilarsi il cappotto e dunque con entrambe le mani occupate. Con un certo impaccio si liberò dell’indumento e strinse la mano alla signora Baudino, gracchiando uno stentato “piacere mio”.

- Gabriele! – chiamò il signor Baudino alzando la voce. Un ragazzino nel pieno dello sviluppo puberale sbucò da una porta laterale del corridoio. Portava un grosso paio di occhiali neri, sotto i quali si allungava un naso un po’ schiacciato, le orecchie erano leggermente a sventola e camminava curvato in avanti dal peso dell’adolescenza. Li raggiunse strascicando i piedi e masticando una gomma.

- Sputa quell’affare e stai dritto! Diventerai un verme – lo minacciò il signor Baudino. Il ragazzo sbuffò, poi andò in cucina senza nemmeno salutare la sorella.

Solamente quando ritornò nell’ingresso parve notare l’alta ragazza dai capelli rossi che tentava di nascondersi con scarso successo dietro a Vera. Avvampò osservandola attentamente.

- Amaryllis, lui è il mio fratellino Gabriele. Gabri, lei è la mia amica Amaryllis, la ragazza con cui vivo – disse per l’ennesima volta la primogenita Baudino, invitandolo a stringerle la mano. Gabriele la osservò stralunato e la sorella notò in lui un improvviso disagio. Porse una mano tremante alla tedesca. Vera intuì cos’era successo nel momento esatto in cui Gabriele incrociò le gambe e tentò di abbassarsi la felpa il più possibile, tirandone il bordo inferiore.

- Sei disgustoso – sbuffò Sara, dandogli uno spintone.

- E tu sei una cretina! – strillò lui, la voce fattasi improvvisamente acuta.

- Ragazzi, smettetela. Abbiamo un ospite, comportatevi con decenza – li ammonì il signor Baudino con tono severo, indicando la porta dietro alla quale si nascondeva la sala da pranzo, come per invitarli ad oltrepassare la soglia. I due fratelli obbedirono senza protestare.

- Andate, vi raggiungiamo subito. Scambio due parole con lei – disse Vera sbrigativa, mentre il resto della famiglia andava a sedersi a tavola, sulla quale il pranzo era già stato servito.

- Wie geht’s[7]? – domandò premurosa Vera, stringendo le mani della compagna. Amaryllis fece una smorfia con il naso, poi le posò un bacio sulla fronte.

- Bah, più o meno... tuo padre mi terrorizza, con tua madre ci ho parlato troppo poco per capire cosa provo per lei. Penso non sia molto diverso dall’angoscia. I tuoi fratelli invece mi spaventano. Il maschietto – non pronunciò il nome per timore di essere udita – non ha per caso avuto... –

- Oh sì! – scoppiò a ridere Vera.

- Avevo giusto bisogno di un adolescente arrapato che mi osserva con occhi da triglia e diventa inabile alla parola quando gliela rivolgo io. Ci sono già io di imbarazzata qua dentro, è più che sufficiente –

- Es ist denn du bist wunderschön[8] – miagolò Vera stringendosi a lei e strofinando la guancia contro il suo seno. Amaryllis le sussurrò all’orecchio che, solamente perché i suoi non capivano una parola di quel che dicevano, non era però così stupidi da non saper interpretare il tono di voce.

- Ora andremo in cucina e tu sfodererai il tuo sorriso più affabile, loro saranno cordiali con te, tu ricambierai, poi io gli dirò che sei la mia fidanzata. Tutto chiaro? –

- Per nulla – sibilò Amaryllis, percependo nuovamente il suo stomaco contrarsi.

- Perfetto! –

Vera trotterellò allegramente in cucina, apparentemente immune all’ansia che stava nuovamente prendendo possesso del corpo di Amaryllis.

Il signor Baudino occupava il posto capotavola, alla sua destra sedeva con gli occhi bassi la moglie, accanto alla quale Gabriele stava smangiucchiando nervosamente la punta di un grissino. Sara, alla sinistra del padre, osservava annoiata le due ragazze fare il loro ingresso. Vera si sistemò accanto alla sorella, invitando Amaryllis ad occupare il posto capotavola di fronte a suo padre.

- Cara, come antipasto abbiamo carne cruda all’albese, ne vuoi? – domandò lentamente la signora Baudino, indicando un piatto su cui erano adagiate sottili fette di carne cruda, insaporite con olio e scaglie di parmigiano.

Amaryllis annuì, non del tutto certa di ciò che aveva detto la sua interlocutrice, ma abbastanza sicura di aver capito che stesse parlando di quel piatto. Lo allungò alla signora Baudino, che si occupò di servirla.

- Nini, com’è andato il volo? –

- Tutto bene, ma’, sono qui davanti a te! C’era molta gente che viaggiava, soprattutto famiglie. E il volo è stato tranquillo nonostante la neve –

- Ti piace Torino, Amaryllis? – domandò la madre di Vera scandendo lentamente le parole.

- Io ho visto poco, ma Vera parla tanto di Torino e sembra come se la conosco – tentò Amaryllis, monitorando il volto della sua ragazza, in cerca di segnali d’approvazione. Li trovò in un caldo sorriso.

- Parli abbastanza bene italiano. E’ stata mia figlia ad insegnartelo? – s’informò il signor Baudino.

- Sì, io lo ha chiesto. Io voleva di imparare prima di venire a Torino

Amaryllis era un po’ più tranquilla, ma le sue scorte di italiano stavano per terminare. Si riempì dunque la bocca di quella squisita carne cruda, sperando che ciò facesse desistere i coniugi Baudino dal porle altre domande. E così fu: la signora Baudino iniziò a parlare con la figlia minore, domandandole di alcuni amici con cui si era vista il giorno precedente.

Amaryllis sollevò gli occhi e incrociò lo sguardo di Gabriele. Il ragazzino arrossì furiosamente, abbassando la testa nel piatto e dimenandosi sulla sedia.

- Quanti anni hai? – gli domandò improvvisamente, presa da un’improvvisa tenerezza verso quel ragazzino imbarazzato.

- Q-quasi q-quattordici – balbettò, gli occhi fissi sulla tovaglia.

Vera stava ascoltando la conversazione fra la madre e la sorella: a quanto pareva Chiara e Benedetta avevano litigato, mentre Jessica si era messa con Antonio. Vera ricordava vagamente quei nomi, erano amiche di Sara, una serie di ragazzine dai lunghi capelli lisci di piastra e gli occhi eccessivamente truccati. Per non parlare dell’orrenda musica che ascoltavano. La ragazza lanciò anche un’occhiata alla sorella, che tentava di parlare con Gabriele. Vera trattenne una risatina al pensiero di ciò che il fratellino provava vedendo Amaryllis.

- No, cioè, non te lo immagini: Mirko è proprio frocio! – esclamò Sara diretta alla madre, attirando l’attenzione di Vera.

- Che ha fatto? – domandò la maggiore delle Baudino, curiosa. Le idee politiche della sorella la divertivano sempre molto. Come la sua ignoranza.

- Ha toccato il sedere a Franco! E poi cioè lo vedi che è frocio da come cammina –

- Tu sapresti distinguere una persona omosessuale da una eterosessuale in base al modo di camminare? – domandò Vera scoppiando a ridere, divertita.

- Be’, se sculetta come una velina direi che è piuttosto semplice, non ti pare? – intervenne ridacchiando il signor Baudino. Vera non replicò, infastidita. Detestava la mentalità ristretta di suo padre ancor più di quella della sorella.

- Was passiert[9]? – domandò Amaryllis, insospettita dall’improvviso incupirsi dell’espressione di Vera.

- Mia sorella e mio padre sono omofobi e disgustosi, ecco cosa succede – rispose Vera con un largo sorriso gioviale, parlando il più rapidamente possibile. – Mi ha chiesto cosa c’è come primo e le ho risposto che hai preparato le lasagne – spiegò, mentendo, a beneficio della famiglia, che non capiva mezza parola di tedesco.

- Sì nini, ne vuole? – sorrise la madre.

- Oh no, non ancora. Deve finire la carne cruda –

- Comunque tu dovresti saperlo come camminano i froci – la pungolò Sara, ritornando sull’argomento con sadica consapevolezza.

- E perché mai? – chiese Vera senza scomporsi, sollevando il sopracciglio destro, abilità non comune a tutti.

- Sara, smettila con queste assurdità. L’università di tua sorella è frequentata da gente perbene e lei è una ragazza ammodo, non frequenta certa gente – l’ammonì il signor Baudino, per poi ordinare alla moglie di portare le lasagne.

- Mia sorella ha appena fatto un velato riferimento al mio appartenere al Partito Arcobaleno – spiegò Vera per Amaryllis, che non stava più capendo una parola e si era rassegnata a terminare quel delizioso antipasto. Questa volta non tradusse nemmeno una qualsiasi bugia per la sua famiglia.

Sapeva che c’era del buono in suo padre, l’avrebbe accettata senz’altro. Magari avrebbe fatto un po’ di fatica, ma alla fine avrebbe capito. Almeno lo sperava. Di sua sorella, invece, non le importava molto.

- Amaryllis, cosa stai studiando? Hai la stessa età di Vera, ne? – domandò la signora Baudino, servendole una porzione di lasagne decisamente consistente.

- Sì, io ho venti e tre anni. Io studio... Vera, hilf mir, bitte[10] - s’interruppe Amaryllis che proprio non aveva idea di come spiegare alla madre della sua ragazza la facoltà a cui era iscritta e il tipo di cose che studiava.

- Amaryllis studia biotecnologie, non ci capisco molto, ma è interessante. Lavora nel campo della ricerca – spiegò venendole in soccorso, mentre l’altra annuiva con foga.

- Mm, sembra utile – sorrise con una gentilezza di facciata la signora Baudino, mentre Vera udì chiaramente suo padre borbottare che i ricercatori erano una delle tante sanguisughe della società.

- Papà, ti prego. Non mi sembra il caso – lo redarguì la figlia, arrabbiata per la maleducazione che mostrava. Proprio perché Amaryllis non era in grado di capire e dunque di replicare era ancora più scorretto fare quelle affermazioni sentenziose senza darle la possibilità di difendersi.

- E’ lampante, Vera. E non sono solo loro! Pensa a tutti quei giornalisti e a quelle prostitute che si sono fatti i soldi inventandosi baggianate su Berlusconi e perseguitandolo con accuse pretestuose! –

- Oh mio Dio, ti prego! Io vivo a Berlino, leggo i giornali tedeschi: siamo lo zimbello dell’Europa – replicò pungente Vera, tagliando a cubetti regolari le sue lasagne e osservando le sottili volute di fumo attorcigliarsi su loro stesse e svanire lentamente.

- E cosa sta facendo la sinistra per il paese? Quel branco di incapaci è solo in grado di chiedere le dimissioni al Presidente del consiglio, ma fatti concreti non se ne vedono –

- Non mi pare che la destra abbia concretizzato molto... Preferisco di gran lunga la Germania. Non tornerò in Italia – decretò Vera, che aveva preso quella decisione già da molto tempo.

- Oh Signur! Vera, scherza mac[11]! - esclamò sua madre, impallidendo.

- No, mamma, là mi trovo bene. Ho tutto quello di cui ho bisogno. Un paese come l’Italia non mi offre un futuro –

- Oh sì, hai proprio tutto. E il surrogato di ciò che non puoi avere – ironizzò Sara, giocherellando con un avanzo di lasagne.

- Cosa intendi dire, Sara? – le domandò il signor Baudino deglutendo l’ultimo boccone.

- Io? Nulla. Ha tutto là, l’ha detto lei – si mise sulla difensiva la ragazzina, lasciando cadere la posata, che tintinnò contro il piatto.

Vera cambiò rapida argomento dimostrando un’abile tecnica oratoria e una padronanza eccezionale del proprio autocontrollo. Si complimentò con la madre per l’ottima qualità del pranzo, domandò a suo padre come procedesse il lavoro alla Fiat e s’interessò persino agli ultimi esperimenti di scienze eseguiti a scuola dal fratello, grande appassionato della materia.

I genitori di Vera si dimostrarono gentili e disponibili, tentando in tutti i modi di coinvolgere l’ospite nelle loro conversazioni, che si stavano mantenendo su una linea piuttosto vaga e banale, ma l’ostacolo linguistico impediva di trattare argomenti più seri e profondi, dato che Vera avrebbe dovuto prestarsi a fare da traduttrice a tempo pieno.

Fu dopo che la signora Baudino ebbe riportato in cucina la teglia di lasagne e posato sul tavolo un grilletto di insalata, che Amaryllis notò l’impazienza di Vera. Non doveva mancare molto alla confessione.

- Ma’, pensavo di portare Amaryllis a fare un giro per Torino dopo pranzo: è la vigilia, sarà pieno di luci e colori! Per non parlare della folla. Voglio farle respirare la nostra aria natalizia – la madre annuì approvando la scelta della figlia e osservandola con espressione fiera – Mi passi l’insalata? Grazie. Ah, fra l’altro, pensavo che sarebbe stato carino dirvi che sono omosessuale. Ma le lasagne erano davvero squisite... –

Il signor Baudino iniziò a tossire convulsamente a causa di una foglia d’insalata incastrata nella sua epiglottide. Si portò una mano al petto, percuotendosi con forza. La signora Baudino iniziò a bombardarlo di domande con tono isterico, porgendogli affannata un bicchiere d’acqua, con il solo risultato di versargliene metà sulla camicia.

- L’hai fatta grossa – ridacchiò Sara, infossata sulla sedia, rivolgendole un’occhiata obliqua.

Amaryllis era, come ormai da un paio di giorni, terrorizzata. Il signor Baudino stava soffocando e la moglie era in preda ad una crisi isterica. Si limitò ad osservare la scena con occhi sgranati, mentre Gabriele la osservava con la medesima espressione, ma le vibrazioni che emanavano erano totalmente diverse.

Ci vollero alcuni minuti prima che il signor Baudino tornasse a respirare normalmente e il volto riacquistasse un colorito salutare. La signora Baudino si stava facendo aria con il tovagliolo, le labbra serrate in una linea sottile. Vera attese ancora una manciata di secondi, poi esordì con la sua confessione ufficiale.

- Mamma, papà... devo dirvi una cosa – iniziò Vera con uno scintillio di sicurezza e orgoglio negli occhi. Sara assunse un’espressione di trionfo, Gabriele invece era ancora assorto ad osservare incantato la bella amica della sorella maggiore, di cui si era invaghito e il calore proveniente dalle sue mutande ne era la prova lampante.

- Vera, non farmi altri scherzi, ne – la pregò la madre portandosi una mano sul cuore. Vera scrollò le spalle, poi fissò intensamente il suo sguardo in quello del padre, la persona seduta a quel tavolo che temeva maggiormente.

- Amaryllis è la mia fidanzata, stiamo assieme da tre anni – disse ex abrupto. Voleva strappare quel dente con un solo strattone, sarebbe stato meno difficile e doloroso.

Il silenzio calò sulla tavola: il signor Baudino divenne rapidamente di un delicato color porpora, senza però scomporsi minimamente, l’unico segno della sua alterazione erano le dita della mano destra serrate convulsamente al tovagliolo di stoffa; la signora Baudino, al contrario, sbiancò, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedie e portandosi le mani al volto; Sara sogghignò entusiasta di aver fatto centro e di essere riuscita, per la prima volta, a mettere la sorella in una condizione di inferiorità agli occhi dei genitori; Gabriele, dal canto suo, rimase piuttosto indifferente, ancora troppo concentrato sull’ospite tedesca.

- Hai... è... ce lo dici così? – balbettò il signor Baudino, osservando con rabbia la ragazza seduta di fronte a lui, che era diventata dello stesso colore del ragù con cui erano state condite le lasagne e stava osservando il proprio piatto vuoto..

- Sì, non avevo altra scelta. Volevo farvela conoscere, per me significherebbe molto che voi siate cortesi con lei e la trattiate con rispetto –

La signora Baudino non diede segno di aver udito mezza parola, mentre il padre sibilò solamente che ne avrebbero parlato ancora, rimuginando qualcosa fra sé e sé.

Il pranzo continuò con un lungo ed imbarazzato silenzio, rotto saltuariamente dai sospiri della signora Baudino, dalla tosse di Gabriele e dal rumore delle posate nei piatti.

- Sistemiamo la valigia, poi usciamo – disse Vera, prima di alzarsi da tavola.

- Sistemala nella stanza degli ospiti, tu puoi dormire nel tuo vecchio letto – disse la madre con sguardo vacuo.

- No, io dormo con lei nella stanza degli ospiti –

- Vera... – ringhiò il signor Baudino, pugnalandola con lo sguardo. La ragazza rabbrividì ma non cedette.

- No, dormirò con lei nella stanza degli ospiti. Qual è il problema? Hai paura che possiamo fare certe cose? Viviamo assieme da tre anni: se c’era qualcosa da fare, l’abbiamo già fatto – ribadì alzandosi in piedi e afferrando Amaryllis per un gomito, facendole segno di alzarsi in piedi. La sua compagna era madida di imbarazzo e le sue guance parevano in fiamme. Si diresse verso l’ingresso per recuperare la valigia, che avevano abbandonato lì perché il pranzo era già pronto. L’ultima cosa che vide con la coda dell’occhio fu la signora Baudino che afferrava la bottiglia di Dolcetto d’Alba e se la portava alla bocca, rovesciando il capo all’indietro senza ritegno.

Vera trascinò quella valigia sovraccarica con fatica nella stanza degli ospiti. Non era molto ampia, ma conteneva un letto matrimoniale dal design essenziale, acquistato all’Ikea molti anni prima, un piccolo mobile in legno dalle ante scorrevoli, una sedia e un ficus d’appartamento.

- L’hanno presa bene, che ne dici? – domandò Vera ridacchiando ad Amaryllis, stringendosi ai suoi fianchi. L’altra la osservò con aria dubbiosa, incerta se la stesse prendendo in giro o se fosse seria, effettivamente i signori Baudino avrebbero potuto reagire in modo più violento. Magari sua madre avrebbe spaccato un piatto e suo padre le avrebbe spaccato la testa.

- Mi senti? – rise Vera schioccando le dita davanti al naso di Amaryllis, assorta ad osservare il film che la sua mente stava proiettando. La primogenita Baudino salì in piedi sul letto per trovarsi ad un’altezza superiore a quella della compagna, poi la baciò con forza sulle labbra.

- Pensavo di portarti a passeggiare in Via Roma – mormorò Vera fra le labbra dischiuse della tedesca.

- Potresti anche portarmi in Finlandia, non noterei la differenza e soprattutto non chiedere consigli a me che non sono mai stata in Italia! –, rise posandole le mani sui glutei e premendo il proprio corpo contro il suo.

- Dai, usciamo! – sentenziò Vera, saltandole in braccio senza complimenti e azzannandole un’orecchia.



[1] “Merda”

[2] Vezzeggiativo tipico del dialetto piemontese usato indifferentemente al maschile o al femminile

[3] “Papà mi ha detto”

[4] “Scusa”

[5] “Tesoro, andrà tutto bene”

[6] “Sei così nervosa”

[7] “Come stai?”

[8] “E’ perché sei stupenda”

[9] “Cosa succede?”

[10] “Aiutami, per favore”

[11] “non scherzare”


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Bene, la storia è conclusa! Spero vi sia piaciuta questa commedia romantica senza pretese, se non quella di divertirvi un po' offrendovi una panoramica su una tipica e al contempo stravagante famiglia piemontese. 

Ringrazio tutti i lettori, sia quelli anonimi, sia chi ha inserito la storia tra le preferite o le seguite, e i recensitori!

***

PARTE 2

 

La notte di Natale l’avevano trascorso sotto al piumone, le gambe intrecciate, la schiena di Vera contro il ventre di Amaryllis, le loro mani aggrovigliate. Durante la cena della Vigilia, i signori Baudino si erano comportati con naturalezza, come se nulla fosse successo, nonostante Vera intuisse una certa rigidità nei movimenti del padre. Come quando si fece scivolare di mano l’aceto invocando una lunga serie di santi e beati che turbò ulteriormente la ormai fragile psiche di Amaryllis.

La mattina del venticinque si era risolta in uno strappare vivace di pacchetti, scambiandosi gli auguri in modo pacifico e nel pieno spirito natalizio. Vera aveva ricevuto dai suoi genitori una borsa di stoffa rossa e gialla e un elegante orologio, dai suoi fratelli una nuova tavolozza per i suoi colori. I signori Baudino avevano persino comprato qualcosa per Amaryllis: nell’indecisione, dato che volevano farle una sorpresa, si erano affidati puramente al loro intuito e si erano recati alla Feltrinelli dove avevano acquistato un libro di fiabe e favole tradizionali italiane.

- Grazie tanto – aveva balbettato Amaryllis, arrossendo. Lei gli aveva portato solamente del cibo, in particolare wurstel: Vera le aveva confidato che i suoi ne andavano matti, così ne aveva comprati di diversi tipi.

Gabriele aveva trascorso la mattina attaccato alla sua play station a provare il nuovo videogioco ricevuto, mentre Sara si pavoneggiava con un’elegante collana.

Si erano dunque vestiti e agghindati per il tradizionale pranzo in famiglia, che si svolgeva ritualmente a casa dello zio Piero, fratello del padre di Vera.

Vera aveva indossato un semplice paio di jeans chiari, una cintura di cuoio a stringerli in vita, e un maglioncino prugna; i capelli sciolti sulle spalle, sistemati senza particolare cura. Mentre Vera seduta sul cassettone si specchiava nell’ovale riflettente sovrastante, Amaryllis si allacciava le polacchine blu scuro. A lavoro terminato, si era alzata in piedi ed era strisciata alle spalle della compagna, per poi afferrarla bruscamente, ridendo, e scaraventarla sul letto. Vera era scoppiata a ridere, ma il riso si era trasformato in gemito quando Amaryllis si era distesa sopra di lei e le aveva baciato con trasporto le labbra, per poi affondare un altro intenso bacio sotto il suo ombelico.

- Mya, datti un contegno – le aveva poi bisbigliato, sistemandole la morbida maglietta color vinaccia, stropicciatasi all’altezza dei fianchi.

Si erano dunque divisi in due macchine, perché l’utilitaria del signor Baudino non avrebbe potuto contenere sei persone. Vera si era messa quindi al volante dell’altra automobile, una Panda bordeaux degli anni novanta, seguita da Amaryllis e da una riottosa Sara.

La casa dello zio Piero era poco fuori Torino, a Moncalieri: una piccola villetta con un modesto giardino, ma abbastanza grande per ospitare la famiglia al completo il giorno di Natale. Dato che sua moglie Renata era figlia unica, erano soliti invitare anche i fratelli della signora Baudino per vivacizzare l’atmosfera.

- Quanta gente ci sarà? – domandò Amaryllis, già nervosa.

- Prendi fiato un attimo! Ci saranno solamente il fratello di mio padre, con mia zia e i loro tre figli, poi i miei nonni paterni, la sorella di mia madre, una zitella acida che non te ne fai un’idea, il fratello di mia madre, sua moglie e i loro due figli. E la nonna materna, si capisce – elencò Vera sorridendo.

- Potreste degnarvi di includermi nella conversazione? – s’intromise Sara dal sedile posteriore, sbuffando come un mantice.

- Scusa Sà, le stavo solo dicendo chi verrà al pranzo. Non ho voglia di fare la traduttrice tutto il tempo, se parlo inglese capisci? – domandò alla sorella, che rispose affermativamente.

 - So, are you still nervous?[1] – domandò Vera, posando una mano sulla gamba di Amaryllis.

- Now, I feel worst than before! Why didn’t you tell me that there’s going to be all those people?[2]si indignò Amaryllis, incrociando le braccia.

- Oh, come on! I’ve just forgotten it: trust me, I didn’t mean to lie, especially to you…[3] - disse Vera, mentre il suo tono di voce si modulava su toni differenti man mano che procedeva nella frase, terminando con uno stucchevole miagolio.

- Shut up[4] – sussurrò Amaryllis, posandole un bacio su una guancia, incurante o forse addirittura dimentica della presenza di Sara.

Quando riuscirono a raggiungere la porta d’ingresso, lo zio si presentò sulla soglia con un gran sorriso allegro e le guance arrossate. Probabilmente aveva già buttato giù un paio di bicchieri.

Piero Baudino aveva quattro anni in meno del padre di Vera e molti capelli in più. Indossava un paio di pantaloni di velluto a coste color panna e un una camicia azzurra.

- Ben arrivati! Buon Natale! – esclamò sorridendo e ammiccando in direzione della signora Baudino. Sì, aveva decisamente bevuto.

- Prego, prego, entrate. Mia moglie è in cucina e i nonni sono di là con lei – spiegò Piero Baudino, aiutandoli con i giubbotti e portandoli nella stanza da letto, dove li accatastò sul letto matrimoniale.

- Giampaolo, Mariangela! – esclamò Renata Delle Noci andando salutarli con pacata cortesia e un sorriso di plastica.

Amaryllis si avvicinò automaticamente a Vera, stringendole un braccio con tanta forza da farla sobbalzare.

- Ah, vedo che hai compagnia! Non ci presenti la tua amica? – domandò cordiale la zia e Vera annuì, voltandosi a guardare la compagna, il cui volto era più rosso dei capelli.

- Certo, lei è Amaryllis, ma potete chiamarla Mya. Mya, sie ist tante Renata und er ist onkle Piero[5] - spiegò Vera e i suoi zii strinsero la mano a quella ragazza, che gli avevano anticipato essere la coinquilina tedesca della nipote.

- Giò, venite giù! – urlò la zia Renata, rivolta verso il piano superiore, mentre Vera, Sara e Gabriele andavano ad abbracciare i nonni paterni, Luciano Baudino e Teresa Casetta.

- Le mie bele matotine[6]! – esclamò la nonna, abbracciandoli tutti e tre contemporaneamente, cosa che le risultò abbastanza ostica. Ma nulla può frapporsi fra una nonna iperprotettiva e i suoi adorati nipotini.

Vera provvide a presentare Amaryllis anche ai suoi nonni, che la salutarono con una morbida stretta di mano e un buffetto sulla guancia.

Finalmente si affacciarono nella sala da pranzo i tre figli di Piero e Renata.

- Lui è Giovanni – Vera indicò ad Amaryllis un ragazzo sulla ventina con corti capelli scuri e un paio di occhiali senza montatura – Lei è Cecilia – procedette la ragazza, indicando una diciassettenne dai lunghi capelli castano chiaro, che scivolano con eleganza sulla maglietta nera – E lei è Elisa – una bionda bimbetta sorrise, agitando una mano in segno di saluto.

- Ragazzi, lei è la mia coinquilina tedesca, Amaryllis – ricambiò le presentazioni, poi salutò i cugini con un abbraccio.

La stanza pareva essersi improvvisamente ristretta a causa del numero di persone che la occupava dunque Piero Baudino si premurò di far accomodare a tavola i presenti, nonostante il pranzo non potesse essere ancora servito a causa della mancanza dei parenti di Mariangela Rosso.

- Dovrebbero arrivare a momenti – disse la signora Baudino, osservando l’orologio con aria di scusa.

- Tranquilla, non abbiamo fretta – sorrise leziosa Renata, nonostante i suoi occhi dicessero esattamente il contrario.

Vera si sedette fra Giovanni ed Amaryllis, la quale si trovava di fronte a Sara, che stava già puntando uno sguardo ostile contro la cugina Cecilia a capotavola. Non si erano mai sopportate: fin da piccole avevano sempre mostrato un’indole differente, addirittura opposta, entrambe dal carattere forte e dominante, tendevano a imporsi senza successo l’una sull’altra, finché desistettero e iniziarono ad odiarsi in maniera più subdola e meno violenta.

- Hai intenzione di dirlo anche a loro? – domandò Amaryllis a Vera, sottovoce. Nonostante non stesse parlando italiano, il terrore che potessero capire il tedesco non la abbandonava.

- Sì, certo. Voglio essere onesta, solo così mi sentirò meglio –

- Se tutto ciò ti renderà felice, allora ben venga: sono disposta a sopportare per amor tuo, Vera –

La ragazza italiana le sorrise con dolcezza, posandole la testa su una spalla e una mano sulla coscia.

Il signor Baudino si schiarì la gola con eloquenza, per poi portarsi alle labbra un bicchiere colmo d’acqua frizzante. Dopo la rivelazione della figlia si era sentito prima arrabbiato, poi in colpa, infine sbalordito. Non riusciva a capacitarsi che la sua piccolina si accoppiasse con quella pertica crucca! Era assurdo! La signora Baudino, invece, era rimasta inerme dopo l’iniziale sconforto: il vino non l’aveva aiutata, anzi, aveva alimentato le sue fantasie sul rapporto di sua figlia e quella sconosciuta. Con quale diritto aveva messo le mani addosso (e dentro) la sua bambina? Solo a pensarci le si chiudeva lo stomaco. Eppure Vera sembrava felice.

Sara e Cecilia si fissavano in cagnesco, la prima disgustata dal collare di borchie dell’altra, la seconda stomacata dalla striminzita maglietta magenta di marca di sua cugina, come tutto ciò che la secondogenita Baudino possedeva. Ma Sara non pensava solamente a quella sciattona metallara di Cecilia: la maggior parte dei suoi pensieri andava alla sorella. Sperava che avesse il buongusto di chiudere la bocca e tenersi per sé il fatto che si scopasse una donna da tre anni circa. Cosa ne sarebbe stato della sua reputazione nel branco? Loro non tolleravano i finocchi: aveva impresso a fuoco nella mente il modo in cui trattavano Mirko ogni volta che lo incrociavano a scuola. Non voleva essere emarginata per colpa della sorella.

Gabriele, dal canto suo, fingeva di ascoltare la piccola Elisa, molto impegnata ad illustrargli le qualità del suo ultimo saggio di danza, mentre tutta la sua attenzione convergeva sulla ragazza di sua sorella. Non aveva propriamente afferrato la situazione, era ancora stordito e incantato dall’alta figura di Amaryllis, dai suoi occhi azzurri, gli zigomi alti e quel naso importante, stonato nel bel viso. Si era decisamente preso una cotta mostruosa per quella ragazza. Non avrebbe potuto spiegare in altro modo quel fastidioso alzabandiera ogniqualvolta lei sostasse nel raggio di due metri quadrati.

- Posso dirti una cosa? – mormorò Vera con voce maliziosa, sportasi sulla sua ragazza, il naso premuto contro il suo orecchio.

- Penso di non volerla sapere – si lamentò Amaryllis laconica.

- Mm, io penso di sì! Ho voglia di baciarti... – sussurrò Vera, strusciandosi in modo molto discreto contro il fianco dell’altra.

- Ah, bene – sospirò l’altra, che, conoscendola, si era aspettata ben altro.

- ... fra le gambe – completò Vera, causando nella compagna un isterico attacco di tosse secca. Gli sguardi degli adulti conversero su di loro all’unisono e si ritrovarono ad osservare Vera ridere di gusto e Amaryllis percuotersi il petto per placare gli spasmi.

- Enschuldigung -  borbottò Amaryllis arrossendo e allungando una mano tremante verso la bottiglia dell’acqua.

- Cara, tranquilla. Parli italiano? – le domandò la zia Renata, porgendole ciò di cui aveva bisogno.

- Ja... sì, un poco – balbettò Amaryllis riempiendosi il bicchiere.

- E’ timida, ne? – domandò lo zio Piero a Vera, che annuì sorridendo teneramente.

- Di solito no, ma questa è un’occasione particolare. Normalmente lei è solare, parla molto, a volte troppo, estroversa, le piace controllare la situazione... – elencò la ragazza, lo sguardo trasognato.

Sara borbottò qualcosa che sfuggì a Vera, ma non ad Amaryllis. Quattro parole talmente semplici che persino lei era riuscita a cogliere e capire: lei è l’uomo.

- Was sagt meine Schwester?[7] – domandò Vera, aggrottando le sopracciglia.

- Ich bin der Mensch[8] – ironizzò Amaryllis con tono pomposo, suscitando una genuina risata nella compagna.

- Amaryllis, cosa studi? – le domandò Giovanni. Evidentemente Gabriele non era l’unico ad avere ceduto al fascino nordico della rossa.

- Biotecnologie. Rispondo io perché lei non saprebbe ripeterlo – spiegò Vera affabilmente e la ragazza al suo fianco confermò annuendo.

- Mi piace... è interessante, io lavoro in uno laboratorio – balbettò Amaryllis, giocherellando con l’angolo del tovagliolo piegato cura accanto al suo piatto.

- Biotecnologie sarebbe stata la mia seconda scelta. Comunque io frequento da qualche mese la facoltà di farmacia – spiegò Giovanni, annuendo con serietà.

- Oh sì, Giò sta andando benissimo! Ha superato poco fa il primo esame di chimica con trenta! – trillò la zia Renata, orgogliosa del suo pargolo.

- Io sto lavorando ad un importante progetto: una serie di illustrazioni per un libro di favole tedesche. Mi pagheranno bene –

Anche Mariangela Rosso sorrise, fiera della propria primogenita. Forse non le importava poi molto dove mettesse le mani, era pur sempre il suo angioletto vincitore.

Il suono del campanello vibrò con forza attraverso la stanza, facendo sobbalzare i presenti.

- Eccoli, finalmente – disse sollevata la signora Baudino, alzandosi in piedi.

- Liebe[9], sono arrivati i miei parenti materni – spiegò Vera ad Amaryllis, prendendole una mano.

- Ciò significa che fra poco dirai a tutti di noi due? – inquisì la crucca improvvisamente affannata.

Il signor Baudino probabilmente intuì qualcosa dal tono di voce o dai gesti delle due e si alzò, facendo segno alla figlia di seguirlo un momento nell’altra stanza. Amaryllis lasciò a malincuore la mano della compagna e la osservò sparire nell’ingresso.

Il signor Baudino condusse la figlia fin nella camera matrimoniale di Piero e Renata, arredata con mobilio antico e prezioso.

- Cos’avete intenzione di fare? – domandò Giampaolo Baudino, le cui guance erano già rubizze.

- In gergo si dice “uscire dallo stanzino” – Vera mimò le virgolette flettendo l’indice e il medio di ambedue le mani.

- E in italiano corrente? – ringhiò l’uomo strattonandosi il colletto della camicia, troppo aderente al collo sudato.

- Intendo dire alla mia famiglia che sono omosessuale e che Amaryllis è la mia fidanzata. Ci sposeremo, papà –

Il signor Baudino rimase immobile, sconcertato, osservando con occhi vacui la tappezzeria barocca alle spalle di Vera.

- Vi sposerete? Dove? Quando?! – s’agitò poi repentinamente, afferrandola per le spalle e scuotendola.

- Papà, calmati! Ci sposeremo il prossimo inverno, a Berlino. La madre di Amaryllis è un pastore: si farà conferire l’autorità dal Comune per sposarci – spiegò Vera.

- Ah. E... ehm... noi siamo invitati? – balbettò il signor Baudino, imbarazzato. Nonostante tutta questa faccenda fosse piuttosto eccentrica per i suoi gusti e le sue abitudini grigie e monotone, desiderava la felicità della figlia.

- Certamente! – sorrise Vera che si sentiva davvero entusiasta di fronte alla reazione del padre, tanto da abbracciarlo. Lui ricambiò la stretta con una certa esitazione.

- Come sono i genitori della tua... ehm... fidanzata? – domandò il signor Baudino, ancora imbarazzato ma contento di aver appianato la situazione. Lui adorava la sua primogenita, stravedeva per lei e lei, in cambio, l’aveva sempre reso tanto orgoglioso.

- Sua madre, come ti dicevo, è un pastore in un piccolo paesino non molto lontano da Berlino. E’ una donna di mezza età molto piacevole e molto colta – spiegò Vera mentre tornavano nella sala da pranzo.

- E suo padre? –

- Oh, suo padre è morto quando lei aveva sette anni: aveva un negozio di articoli sportivi, sono entrati dei ladruncoli e gli hanno sparato per portarsi via quei quattro marchi che aveva in cassa. È stata una vicenda molto triste... –

- Mi dispiace molto per il signor... Vera, come si chiama di cognome? – domandò il padre, all’improvviso perplesso. Si era reso conto che c’erano davvero molte cose che ignorava della vita di sua figlia e se ne rammaricava.

- Keller, Amaryllis Keller. Suo padre era Konstantin Keller, la madre invece si chiama Hedwig Schindler – aggiunse Vera.

- Ah... come “Schindler’s list” – fu tutto ciò che riuscì a dire suo padre, ancora un po’ scosso.

L’altra stanza si era affollata ulteriormente: una donna alta e allampanata con lisci capelli scuri, che le ricadevano sulle spalle in modo ordinato, teneva a braccetto un’anziana signora vestita in modo elegante ma semplice, accanto a loro un uomo di mezza età dalle folte sopracciglia ma privo di capelli teneva un braccio attorno alle spalle di quella che doveva essere sua moglie, una rotonda signora dai lunghi e folti capelli neri e la pelle abbronzata. Seduti a tavola, due ragazzi sulla ventina erano già impegnati a discorrere con Giovanni, Cecilia e Sara.

- Vera, tesoro! – esclamò la donna, sottraendosi alle attenzioni del marito per stringere la nipote.

- Ciao zia – ricambiò lei felice.

Vita Spadaro aveva sposato Giuseppe, il fratello minore di sua madre: si erano conosciuti molto tempo addietro, durante una vacanza di Giuseppe Rosso a Palermo. Lì Vita lavorava in una gelateria per arrotondare. Aveva cominciato ad andarla a trovare almeno due volte al giorno per sette giorni prima di riuscire a trovare il coraggio di chiederle un appuntamento.

Maria Vittoria e Vincenzo erano nati non molti anni dopo: dal padre avevano ereditato gli occhi azzurri, mentre dalla madre i folti e spessi capelli neri.

- Mari, Vincè, guardate chi c’è! – esclamò gioviale la zia Vita mentre i due ragazzi si alzavano per salutarla: non si vedevano da almeno sei mesi.

- Ciao Vera, come stai? –

- Mm, non c’è male. Avete già conosciuto Amaryllis? –

- A picciotta con i capiddi rossi? Sì, ci ‘risse ca è tua amica[10] – rise Vita, indicando l’imbarazzatissima Amaryllis.

- Vedo che hai conosciuto gli altri miei parenti – rise Vera affiancando Amaryllis.

- Sì, sono un po’... ehm... molto cordiali. E affettuosi. Tua zia mi ha... toccata – mormorò la crucca, stupita e un po’ preoccupata per tutte quelle attenzioni.

- Tranquilla, è normale! Lo fanno sempre – le spiegò Vera, carezzandole un braccio – E mia zia Marisa e la nonna? Le hai conosciute? –

- Veramente no... –

- U parri buono u tedescu, Vera, brava! ‘Chi significa chiddu ca vi ricistivu[11]? –

- Che devo presentarle zia Marisa e la nonna! Vieni, Mya – la primogenita Baudino afferrò il polso della compagna e la trascinò accanto al divano, dove Marisa La Morte Rosso e Catterina Grimaldi attendevano silenziose: la prima con il solito sguardo funereo e tetro, la seconda con un gioviale sorriso tipico delle nonne che comprano il preparato per budini in attesa che i nipoti vadano a far loro visita.

- Zia, nonna, lei è la mia amica Amaryllis, la ragazza con cui vivo a Berlino. Mya, loro sono zia Marisa e nonna Catterina –

- Oh, ma che bela matota! Com’ha ti dis che s’ciama[12]? – domandò la nonna, che era un po’ sorda.

- Tranquilla, nonna, puoi chiamarla Mya! –

- Ah, Mya. Oh, che bel nome! E chila capis l’italiano[13]? –

Nonna Catterina stringeva gli occhi scuri dietro alle spesse lenti, appoggiate su un piccolo naso all’insù. I capelli bianchi erano tagliati corti e pettinati all’indietro con cura.

- Sì, nonna, l’italiano, non il piemontese... ma non troppo – precisò Vera, baciando la nonna su una guancia.

- Mya, dimmi – la nonna si sforzò di non utilizzare il dialetto, cosa a cui era abituata – Tu ami mia nipote, vero? –

Nella sala da pranzo scese per un attimo il silenzio: Amaryllis avvampò, gli occhi di Vera si dilatarono a dismisura, zia Marisa (anche detta La Morte per quella sua attitudine a parere perennemente a lutto) ammonì la madre di non dire stupidaggini, Mariangela Rosso si lasciò quasi sfuggire il bicchiere di vino fra le dita, mentre suo marito si metteva a sedere, temendo che le gambe non avrebbero retto il suo peso.

- Mamma, non è carino fare queste insinuazioni – la ammonì Giuseppe Rosso, affiancandola e guidandola al tavolo.

- Tutti uguali! Niun c’ha vist niente![14] – borbottò nonna Catterina, prendendo posto capotavola, accanto a nonna Teresa. Poi le due anziane signore iniziarono a disquisire amorevolmente dei nipoti.

- Bonu, ci semu tutti! Putemu assittarci e accuminciare[15] – esclamò allegra zia Vita, prendendo posto fra suo marito e la cognata.

- Vera, tua nonna... scherzava, vero? Come diamine ha fatto a... non è umana! Lo sapevo, anche tu sei troppo strana per essere una terrestre – balbettò Amaryllis, sedendosi nuovamente a tavola.

Fra gli adulti la questione si era risolta con un “la nonna vede complotti ovunque, sono le manie di persecuzione degli anziani” e ora tutti ridevano e chiacchieravano come se nulla fosse successo.

- Certe volte tua nonna ha idee molto balzane – ridacchiò Giovanni, sistemandosi gli occhiali.

- Già, proprio... – ridacchiò Vera. Nonostante l’obiettivo del pranzo fosse quello di annunciare il suo matrimonio con quel bel pezzo di ragazza che si era portata dalla Germania, non desiderava certamente che l’intuitiva nonnina la precedesse insinuando il loro lesbismo con affermazioni profetiche.

- Secondo me è tutta questione di... occhio – sibilò Sara sistemandosi il tovagliolo sulle cosce.

- Che intendi? – domandò Vincenzo dubbioso. Il ventunenne studiava psicologia (sperando di non finire in mezzo alla strada dopo la laurea) e s’interessava ad ogni disquisizione di carattere sociale.

- Insomma, se uno si abitua a stare in mezzo alle checche, dopo un po’ le riconosce subito – spiegò la secondogenita Baudino con aria sera ed eloquente. Dentro Vera bruciava rovente la fiamma dell’ira e della vendetta, ma cercava di trattenersi e risparmiare alla lavatrice di dover ripulire la tovaglia candida dai globuli rossi della sorella.

- Oh, ecco la fascistella che impone la sua omofobia – ghignò Cecilia sistemandosi il collare borchiato.

- Taci, puntaspilli: non voglio che una bambola voodoo venga a farmi la morale! – ringhiò Sara sfoderando i canini.

- Buone ragazze, buone! – si lamentò Giovanni, stufo dei loro battibecchi, anche se la cugina gli dava decisamente sui nervi.

- Sembrate due mastini – sogghignò Maria Vittoria, seduta di fronte a Giovanni, con cui prese a ridacchiare. Amaryllis, dal canto suo, se ne stava zitta e immobile, desiderando che si dimenticassero della sua presenza o forse sperando di trasformarsi in un ficus d’appartamento. Eppure non le pareva di essere così mascolina: certo, rispetto a Vera lei era praticamente un camionista tedesco che sopravvive di sola birra e wurstel e ama esternare con piacere le conseguenze della propria digestione, ma le pareva di essersi comportata in modo impeccabile e per una volta si era sforzata di essere femminile. Non si era portata nemmeno un paio di boxer! Eppure la nonna di Vera, la vate Catterina Rosso, era riuscita a leggerle dentro come fosse una rivista di giardinaggio (ormai si sentiva in sintonia con i ficus). E mentre si spremeva le meningi per capire cosa l’avesse tradita, la zia Renata le servì un tortino di zucca appena sfornato.

- Grazie tanto – disse Amaryllis inclinando leggermente il capo e osservando quella specie di piccolo budino arancione.

- E’ buono, mangialo – le disse Vera con lo stesso tono che si userebbe per convincere i bambini ad assaggiare qualche verdura dal bizzarro colore.

- Du bist nich lustig[16] - replicò gelida Amaryllis, affondando la punta del coltello nel tortino.

- Amore... scherzavo – mormorò Vera, ferita dal modo in cui aveva pronunciato quelle parole.

- Scusa, scusami tanto. È che sono... agitata, nervosa, stressata, non lo so, scegli il sinonimo che preferisci ma il concetto rimane quello – con uno scatto del polso tranciò a metà il tortino di zucca, che si afflosciò verso il centro.

- Cerca di calmarti: non capiterà nulla di tremendo. Eri nervosa anche quando dovevamo dirlo ai miei, no? Eppure è andato tutto bene... –

- Sì, ma cerca di capire: è la prima volta che mi ritrovo con questa gabbia di matti, in senso buono, sia chiaro, che è la tua famiglia e di certo non inizierò con il piede giusto – sbuffò Amaryllis, osservando il fumo sollevarsi dal pezzo di tortino che aveva infilzato e si era portata all’altezza degli occhi.

- E’ difficile il tedesco? – domandò all’improvviso Cecilia, seduta alla sinistra di Amaryllis, che era stata intenta ad osservarle discutere nella lingua teutonica fino a quel momento.

- Bah... più o meno, una volta imparata la grammatica non è poi così tremendo – spiegò Vera facendo spallucce.

- Io penso che italiano è difficile più di tedesco per verbi – disse Amaryllis lentamente, mentre Maria Vittoria, di fronte a Vera, annuiva.

- Ma anche i verbi tedeschi sono difficili – brontolò Vera.

- Tu lo parli molto bene – annuì Vincenzo, supportato da Giovanni.

- Le lezioni che frequento all’Universität der Kunste sono in tedesco, quindi ho dovuto impararlo per forza –

- Tornerai in Italia? – domandò Maria Vittoria, la bocca piena di tortino.

- No, non credo proprio. Resterò a vivere a Berlino, mi piace la vita di quella città – sospirò Vera raccogliendo le ultime briciole del delizioso antipasto con la forchetta.

 

Mentre Renata e Cecilia, alzatasi per aiutare sua madre, servivano il tonno di coniglio (- Was ist das?[17] -, - Kaninchen![18] -, - Urgh! -), dall’altra parte del tavolo gli adulti discutevano animatamente.

- Pare ‘na brava picciotta l’amica di tua figlia. Comu si conoscieru?[19] – domandò Vita a Giampaolo, che tossicchiò qualcosa imbarazzato.

- Ehm... penso che avessero... amici in comune -, il signor Baudino si era appena reso conto di non sapere esattamente come le due fossero diventate amiche e, evidentemente, anche qualcos’altro.

- L’importante è che vadano d’accordo, ne: anch’io dividevo un appartamento all’università con un altro ragazzo. Mi ricordo che gli puzzavano i piedi in modo tremendo! – sghignazzò lo zio Piero, ammonito da un’occhiata severa della moglie.

- Io non amo la convivenza – disse la zia Marisa fra i denti, le labbra strette e lo sguardo infuocato. Un mormorio imbarazzato scorse fra i parenti: era sempre quella la loro reazione di fronte alle taglienti frasi di Marisa Rosso.

- Amunì Mari, tu hai u to poeta[20]! – esclamò Vita spontaneamente, sorridendole.

Marisa le lanciò un tagliente sguardo trasversale, fulminandola con gli occhi scuri.

Vera aveva orecchiato quell’ultima parte di conversazione ed era scoppiata a ridere silenziosamente, la bocca dischiusa in un’ilarità muta. Rischiò di soffocarsi con una forchettata di tajarin[21]al ragù.

- Ehi, respira! Tutto bene? – domandò agitata Amaryllis battendole alcune pacche spiacevoli sul dorso e facendo tossicchiare la fidanzata.

- Sì... sto bene... – sghignazzò Vera, immersa in una serie di ricordi che Amaryllis le vedeva sfilare dietro alle pupille ma dei quali lei ignorava l’esistenza. Doveva essere qualcosa di molto, molto esilarante.

- Cosa succede? – domandò nella sua lingua natia, ma Cecilia intuì la domanda e rispose al posto di Vera.

- La zia di Vera, Marisa, è fidanzata con un poeta – disse atteggiandosi con fare pomposo ma trattenendo a stento le risate. Anche gli altri cugini sghignazzavano senza ritegno.

- Sì, ma spiegale decentemente! – mormorò concitato Giovanni, sporgendosi in avanti sulla tavola, mentre Maria Vittoria rideva con le mani premute contro il volto.

- Si chiama Carmelo Martorana, è fidanzato con zia Marisa da quasi quindici anni e ha pubblicato un paio di libri di poesie – aggiunse Vincenzo sottovoce, mentre Gabriele si avvicinava a loro, incuriosito da quel mormorare concitato.

- E fin qui, apparentemente, sembra tutto normale. Il fatto è che scrive versi tremendi, è un poetastro da due soldi! Scrive componimenti di una banalità e uno squallore che trattano i soliti argomenti che piacciono tanto ai sociologi, come il disagio nell’età adolescenziale o la guerra in Jugoslavia –

- Ascolto il canto zuccherino degli uccelli la mattina presto: Vaffanculo! Mi alzo dal letto e mi accorgo di avere trentacinque anni perché mi duole il piede sinistro! Vaffanculo! – declamò Vera per l’ilarità generale.

Amaryllis la guardava con occhi allucinati: aveva capito solamente la metà di ciò che avevano detto i cugini di Vera, ma aveva abbastanza intuito da comprendere che questo tale Carmelo Martorana non era un poeta caro alle Muse.

- E’ questo il trend, Mya, non sto scherzando. Vuoi sentire qualcos’altro? – domandò Vera, afferrando il braccio di una terrorizzata crucca più pallida del solito. Quell’allegria che non comprendeva pienamente la metteva a disagio.

- Oh sì, ti prego – la supplicò Maria Vittoria congiungendo le mani e sbattendo le lunghe ciglia.

Vera rifletté qualche istante, poi il sorrise sulle sue labbra indicò agli altri che doveva avere in mente uno dei suoi (di Carmelo Martorana) pezzi forti.

- Luna! Massonerie e tecnicismo. Corpi come sospensione tecnologica. E’ quel vuoto esistenziale, quel solipsismo oltre gli argini. Fiume! Purulenza. Mortificazione metafisica!

Tutti scoppiarono a ridere, le lacrime agli occhi, compresa Sara che aveva mantenuto un’espressione neutra tendente al disgusto fino a poco prima.

Amaryllis la osservava perplessa: dopo la prima parola si era persa completamente. Vera le fece una carezza affettuosa sul capo, di quelle che sarebbe opportuno fare ad un dolce barboncino dallo sguardo languido.

- E’ molto difficile da dire in tedesco, non saprei tradurti ogni parola – si scusò Vera, alzando le spalle – Comunque è una serie di parole tenute assieme da pallidi fantasmi di collegamenti logici –

Amaryllis annuì con qualche certezza in più, soprattutto riguardo al livello di sanità mentale della famiglia della sua compagna.

- Nini, spero che tu abbia la decenza di renderci partecipi! – esclamò improvvisamente nonna Catterina, dall’altro capo del tavolo.

- Come? – domandò Vera, che fra un verso senza senso e l’altro (- Rinfodero il bavero della mia ipermetropia. Quell’abisso telefonico di numeri e logaritmi. Esponenziali della teodicea e quell’odore di arrosto -) aveva perso la cognizione delle forme a priori.

- A me non la dai a bere, giovanotta. Sono stata anch’io un’adolescente con gli ormoni in subbuglio, anche se ora mi limito ai budini! –

- Mamma! – esclamò Mariangela, sgranando gli occhi.

- Tesoro, come pensi di essere nata? Oh, tuo padre mi faceva girare la testa, era proprio uno stallone e quel... –

- Mamma, ti prego! – ruggì Marisa e una ciocca dei lisci capelli scuri sfuggì alla perfetta messa in piega, adagiandosi come la nera ala di una rondine sul suo zigomo.

 I ragazzi ridacchiavano apertamente, mentre gli adulti tentavano ancora di mantenere un certo contegno.

- Tranquilla nonna! – intervenne Vera annuendo.

- Brava nini, la tua nonna è fiera di te – l’anziana signora alzò il pugno sinistro, al cui polso teneva un vecchio bracciale di cuoio, ricordo del suo passato di sessantottina.

- Vostra nonna è proprio matta come un cavallo – rise Giovanni.

- No, è solo una persona che ha fatto molte... esperienze –

- C’è stato un tempo in cui passava i pomeriggi a farsi le canne pascolando le pecore – spiegò Maria Vittoria.

- Per non parlare di quando si era messa in testa di entrare in una banda di motociclisti! –

- Certo che voi siete proprio strani – disse Amaryllis, rimasta in silenzio fino a quel momento – Non lo dico con cattiveria, anzi, è divertente. Avrete un sacco di cose da raccontare! La mia famiglia è molto più noiosa... –

- Be’, diciamo che i miei parenti offrono parecchi spunti –

- Pensi di fare ora il grande annuncio? – domandò Amaryllis sottovoce, nonostante gli altri non stessero ascoltando. E se anche fossero stati in ascolto con le orecchie protese, nessuno di loro capiva mezza parola di tedesco. Il loro vocabolario si componeva di parole quali wurst, kartoffel, bier, ja e Audi zentrum.

- Sì, appena trovo un po’ di coraggio: ero partita bene, giuro, ma ora mi tremano le ginocchia –

 

Dall’altra parte del tavolo, l’argomento si era di nuovo spostato sul fidanzato storico della zia Marisa La Morte Rosso.

- Un vivete ancora ‘nsemmula[22]?! – domandò stupita Vita, ravvivandosi i folti capelli scuri.

- No. E va bene così –

- Nini, non è sano che non facciate sesso regolarmente – intervenne la nonna Catterina facendo tingere di porpora le guance della silenziosa (e nervosa) Marisa.

- Mamma, ti prego, che cosa ne sai? –

- Ma se abitate in due case diverse come fate? Insomma, non è la stessa cosa che dormire ogni notte assieme! Tuo padre ed io... –

- Mamma! E comunque io voglio la mia indipendenza e poi lui... insomma, questioni di soldi – borbottò zia Marisa che non aveva alcuna intenzione di discutere di Carmelo con la sua famiglia, tantomeno con quell’impicciona invadente di Vita Spadaro.

- Ah, le poesie – sospirò Mariangela Rosso.

- 'Nsumma, diciemu ca su chiuttostu... particulari, sì, particulari e liberamente interpretabili.[23] Ma non sono così male! –

Marisa ringhiò qualcosa fra i denti, maledicendo la cognata.

- Oh Vita, nini, pensa che una volta suo padre ed io facemmo l’amore in macchina: era una vecchia Fiat 850, blu scuro, e noi avevamo parcheggiato proprio dietro il Caffè Agnello, non a Torino ma in un paesino di montagna. Insomma, eravamo in questo vicolo isolato e ci stavamo proprio dando dentro alla grande, quando sbuca un’anziana signora, pace all’anima sua, e si mette ad urlare come un’ossessa – la nonna Catterina sorrise piacevolmente al ricordo. Dante, il suo amato marito, era ormai morto da sei anni.

- E poi chi succiriu?![24] – domandò Vita curiosa. Adorava la suocera, era l’unica della famiglia con cui si potesse fare un discorso diverso dal solito.

- E’ tornata in casa ed è uscita con una scopa! Ha iniziato a battere sulla macchina e allora Dante ha messo subito in moto: non abbiamo osato rallentare fino ad aver attraversato il paese. Ed eravamo completamente nudi! Avresti dovuto vedere le persone di quel posto: non scorderò mai quello stupore indignato, come se loro non facessero del sesso! Ipocriti villani –

Vita rise di cuore, mentre la zia Marisa si limitava a ripulire i rimasugli di ragù dal piatto con un pezzo di pane: detestava la leggerezza con cui sua madre parlava del suo passato libertino.

- Insomma, Carmelo ha pubblicato la nuova raccolta o no? – domandò Renata, con un maligno ghigno consapevole. Le piaceva rigirare il coltello nella piega e mettere a disagio le persone, un sadico passatempo per la sua monotona esistenza.

- No – rispose seccata Marisa.

- Vado a prendere il secondo se avete finito! – trillò zia Renata alzandosi in piedi e facendo segno al marito di darle una mano con i piatti sporchi. Piero scostò la sedia controvoglia, sempre più rubizzo a causa dell’ottimo vino che non aveva smesso di bere dall’inizio della mattinata.

- Oh sì, portate i secondi che poi vi devo dire una cosa – disse Vera a sua zia, avvertendo improvvisamente il battito cardiaco accelerare.

- Che cosa, cara? – domandò la donna con tono lezioso. Se c’era da rendere pubblici un po’ di fatti altrui lei era schierata in prima linea.

- Dopo, zia, tranquilla – replicò Vera muovendo lentamente la mano, come ad indicarle di rallentare. Effettivamente in quel momento un massaggio cardiopolmonare le sarebbe stato utile: non si era mai sentita tanto in affanno e le pareva di avere dentro sé un sovraccarico di anidride carbonica perché le girava la testa.

- Come mai così misteriosa? – domandò Maria Vittoria aggrottando le sopracciglia perplessa.

- Tranquilli, non è nulla di drammatico! Appena avrete i piatti pieni ve lo dirò –

- Ist... das ist... [25]- balbettò Amaryllis asciugandosi il sudore sulla fronte con un tovagliolo.

- Ja[26] - rispose semplicemente Vera sorridendole. Amaryllis s’infossò nella sedia sospirando: non solo la terrorizzava quella stramba accozzaglia di personaggi apparentemente simili a mille altri, era soprattutto nervosa per quello che avrebbero potuto chiederle e lei non avrebbe capito nulla, non era in grado di difendersi a parole e questo l’angosciava.

La zia Renata e lo zio Piero sistemarono su due sottopentola altrettante pentole di bollito, per poi distribuire lungo la tavola i diversi contenitori delle salse.

- Allora Vera, ch’avevi a dirici?[27]

Vera Baudino si alzò in piedi facendo stridere rumorosamente la sedia sulle piastrelle in cotto, fece un respiro profondo osservando la sua famiglia radunata attorno a lei per festeggiare quel Natale.

- Ho voluto aspettare di avervi tutti qui accanto a me prima di dirvi quello che sto per dire. È una cosa importante ed è altrettanto importante per me che da parte vostra ci sia rispetto per la mia scelta – fece una breve pausa, per lanciare un’occhiata ad Amaryllis che la incoraggiò con un cenno del capo – Voglio dirvi con estremo piacere che siete tutti invitati al mio matrimonio... –

Prima che Vera potesse terminare il discorso si levò un vociare festante che le soffocò le parole in gola.

- Oh, come sono felice! –

- E come mai tutto questo mistero? Mi sembra una bella cosa! Beviamo! –

- E’ un bel ragazzo? La famiglia è rispettabile? –

- Nini...! – la spronò la nonna, lanciandole un’occhiataccia.

- Silenzio, per favore, non... ascoltatemi! Non avevo finito. Dicevo, siete invitati al mio matrimonio. Io e Amaryllis ci sposeremo il prossimo inverno, a Berlino –

Il brusio s’interruppe di botto e se ci fosse stata dell’erba mobile, quello sarebbe stato il momento esatto nel quale si sarebbero messe a rotolare accompagnata dal fischio del vento.

- Non ci hai parlato del matrimonio! – s’indignò Mariangela Rosso sbattendo il palmo della mano sul tavolo.

- In realtà l’ha detto solo a me – borbottò Giampaolo Baudino.

- Ah... ehm... – la zia Renata tossicchiò il suo disagio.

- Oh nini, mi sun propri cuntenta, ne![28] – esclamò la nonna Catterina applaudendo.

- Dici... dici sul serio? Ma ha l’è pusibile ‘sa cosa si?[29] – la nonna Teresa, invece, pareva perplessa.

- Certo nonna, in Germania sì – annuì Vera. La confessione aveva fatto scivolare via ogni traccia di esitazione o imbarazzo.

- Be’... allora auguri – disse Giovanni sorridendo e alzando le spalle, per poi stringere la mano di un’imbarazzata Amaryllis, che si era di nuovo persa in quella lingua che non capiva.

- 'Nsumma, chi è tuttu stu silenziu? Vera, tesoru, sì felice cu Amaryllis[30]? – domandò la zia Vita prendendo controllo della situazione. La primogenita Baudino annuì.

- E a to vita sessuale ti suddisfa[31]? – insistette, mentre la zia Marisa sgranava gli occhi e storceva il naso.

- Eccome – sorrise Vera.

- E chi problemi ci sunnu? Fai ‘nu beddu sesso? Buonu[32]! – sdrammatizzò la zia Vita con un gran sorriso.

- Be’ certo, ma... ne sei sicura? Insomma, mi ricordo bene di Paolo... – balbettò stupita la zia Renata.

- Ehm, in effetti dovrei dirvelo: Paolo era solo una copertura. Era così gentile da prestarsi come mio ragazzo di copertina, ecco. Ovviamente quando si è poi innamorato di una ragazza che ricambiava mi ha detto che avrebbe smesso – spiegò Vera rimettendosi a sedere con quella mezza verità: Paolo era omosessuale e si erano, in un certo senso, usati vicendevolmente.

- So, was passiert[33]? – domandò nervosa Amaryllis spronandola a parlare con un gesto della mano.

- Tranquilla, amore, va tutto bene. Gliel’ho detto e come puoi vedere non stanno volando coltelli e nessuno alza la voce – le sorrise Vera.

- Non hai idea di quanto mi senta meglio – sospirò Amaryllis sollevate, prima di essere colta da una ridarella isterica.

- Si sente bene? – domandò la zia Renata, indicando stranita la crucca, che si stava asciugando le lacrime con il tovagliolo.

- Da bun! L’è solo cuntenta, ha ti nen vist[34]?! – esclamò la nonna Catterina, più vivace del solito.

- Sì, nonna, è sollevata che non le abbiate tirato dietro qualche stoviglia o coltello... – ridacchiò Vera posando una mano sulla spalla della compagna.

- Ah, ma dai! Se solo riuscissi a parlarle sono sicuro che sarebbe molto simpatica, ne – disse lo zio Piero, per poi alzarsi in piedi e proporre un brindisi.

- Piero, hai bevuto troppo – ringhiò fra i denti sua moglie, incarognita.

- Andiamo Renata! Forza signori, un brindisi per Vera e Ama...marille! – proclamò lo zio Piero levando il calice pieno di Barolo d’annata.

- Sì, cin-cin! – esclamò la nonna imitando l’uomo.

Anche i genitori di Vera si alzarono tenendo con tre dita lo stretto collo dei calici e sorridendo orgogliosi alla primogenita, che stava imitando il resto della famiglia.

- Tanta gioia e felicità! – esclamò la zia Vita, facendo tintinnare il suo bicchiere contro quello della suocera.

- Ma sì, auguri, ne! – si unì anche lo zio Giuseppe al coro.

Le uniche che non parteciparono nemmeno fingendo un po’ di comprensione furono la zia Renata e la zia Marisa. Persino Sara aveva fatto gli auguri alle due ragazze con un sorriso molto tirato a deformarle il volto in una stramba smorfia.

- Andiamo Mari, brinda almeno con noi – la esortò Mariangela Rosso, sua sorella minore.

- Non mi pare il caso –

- Dai zia, si sposano e io non vedo l’ora di partecipare! – disse Maria Vittoria alla zia Marisa facendole segno di alzarsi in piedi.

- Glielo permettete? – domandò scettica la zia Renata rivolta ai cognati, afferrando il suo bicchiere controvoglia e mettendosi eretta.

- Senz’altro. E non vedo l’ora di conoscere la signora Keller che, da cosa mi ha detto Vera, deve essere una donna meravigliosa – sentenziò Giampaolo Baudino rivolgendo un sorriso alla figlia primogenita, che ricambiò con un cenno del capo e del bicchiere.

- Ma voi lo sapevate già?! – domandò improvvisamente il nonno Luciano al figlio.

- Sì, papà, ma solamente da ieri e me ne dispiaccio, avrei voluto saperlo prima –

- Mi spiace papà... non avevo il coraggio di dirvelo... – si scusò Vera con un sospiro.

- Tranquilla nini, l’importante è che ora tu l’ha dis e mi sun cuntenta che ti voti spusete[35] - la tranquillizzò la madre.

Finalmente tutti brindarono augurando alle due, con maggiore o minore sincerità, di essere felici assieme.

- Oh, ora ci vuole un bacio – ridacchiò Cecilia, le guance arrossate. Forse anche lei aveva esagerato con il vino. D’altronde, tale padre tale figlia.

- Oh Dio risparmiaci – brontolò Sara, incrociando le braccia.

- Sì, mi sun d’acurd[36]! – sentenziò la nonna Catterina, spalleggiata dalla gioviale zia Vita.

- Non è il caso – balbettò Vera, arrossendo.

- Cosa dice? – domandò Amaryllis nel suo italiano faticoso.

- Wir müssen uns küsschen[37] – tradusse Vera temendo una violenta reazione imbarazzata da parte della compagna.

- Mm, willst du[38]? – replicò invece Amaryllis osservandola divertita. Pareva aver ripreso il controllo della situazione, come suo solito.

Senza replicare, Vera si sporse verso Amaryllis premendo le proprie labbra sulle sue. Seguì un applauso e i bicchieri tintinnarono nuovamente, mentre lo zio Piero sollecitava i famigliari per un altro giro di brindisi.

Le strinse le braccia attorno al collo, baciandola con trasporto e contemporaneamente ridevano assieme agli altri.

- Vive le spose! – applaudì la zia Vita.

E fu così che Amaryllis, circondata da quella stramba famiglia, sentì finalmente quel calore che solo una casa in cui tornare e l’amore ti sanno dare. Osservando Maria Vittoria, Giovanni e Vincenzo scommettere su chi di loro avrebbe afferrato il bouquet, Cecilia che si accapigliava con Sara per qualche futile pretesto ideologico, la piccola Elisa osservare con occhi alienati l’intera folle scena, gli adulti che, ridendo allegramente, si mobilitavano già con i dettagli organizzativi, si sentì finalmente rilassata e in pace con l’Italia e quella famiglia che tanto temeva.

Riuscì anche ad udire distintamente il rumore del cuore spezzato di Gabriele.

 

*

 

La mezzanotte era passata da pochi minuti e il vociare non si era ancora placato, anzi: nell’appartamento di Marta ogni rumore pareva amplificato.

Marta Bernadotti era l’amica storica di Vera Baudino: compagne di banco alle scuole elementari, separate durante i tre anni delle medie e ritrovatesi poi alle scuole superiori, nuovamente compagne di banco. Il tempo pareva non essere trascorso e le due erano tornate ad essere amiche più di prima. Marta viveva a Torino con la famiglia in un ampio appartamento antico dietro a Piazza Vittorio Veneto. La sera di Capodanno, come da ormai cinque o sei anni a quella parte, i signori Bernadotti si recavano da amici per festeggiare il passaggio nell’anno nuovo e lasciavano l’appartamento alla figlia, assieme al permesso di invitare un ristretto numero di amici intimi con cui trascorrere la serata (e la notte).

In quel momento Marta stava avvinghiata al suo ragazzo, Dario Caviglia, un fighetto di venticinque anni con camicia azzurra e jeans a vita bassa, troppo gel nei capelli e poco ritegno, ma in fondo un bravo ragazzo. Erano ormai fidanzati da tre anni, proprio come Vera e Amaryllis.

- Non ti gira la testa? – ridacchiò Vera strusciandosi in modo indecente contro il fianco di Amaryllis.

- Hai bevuto? – le domandò stupita Amaryllis togliendole dalle mani un bicchiere che si rivelò essere pieno di lemonsoda.

- Lo sai che io non bevo... – mormorò Vera posandole una mano sul ventre e insinuando un dito nello spazio fra un bottone e l’altro della camicia bianca della compagna. Le sfiorò la canottiera che portava sotto l’indumento.

- Vera... – mugolò Amaryllis stringendola a sé. Lei le rispose alzandosi in punta di piedi per raggiungere le sue labbra.

Amaryllis la stringeva con forza per le spalle massaggiandola dolcemente, mentre Vera era totalmente abbandonata al suo abbraccio.

- Uh uh! –

Sia Vera che Marta si separarono dai rispettivi compagni udendo quella voce. Era stata Luana Camisola, altra storica amica di Marta e Vera, appena uscita dal salotto con indosso quell’elegante abito corto che stava facendo vedere le stelle al suo ragazzo, che la seguiva dall’inizio della serata come un cagnolino bavoso.

- Ci state dando dentro, ne – ridacchiò ravvivandosi i lunghi e vaporosi capelli scuri con un gesto simile alle modelle in posa per lascivi scatti in riva al mare.

- Oh sì – rise Vera voltandosi verso l’amica e poggiando la schiena contro il ventre di Amaryllis, lasciandosi abbracciare a baciare il capo con affetto. Squittì di piacere.

- Vera, Veruccia, di ad Amaryllis che è stato un piacere rivederla – disse Luana, appoggiandosi allo stipite della porta, mentre il suo cicisbeo le poggiava le mani sui fianchi con fare protettivo.

Vera Baudino alzò il capo verso la compagna, riferendole le parole di Luana Camisola.

- Danke[39] e io è felice che vede lei ancora – disse Amaryllis, spettinando con le dita le ciocche di capelli che incorniciavano il viso di Vera.

- Lu’, hai sentito tu stessa –

- Già, è stato un piacere! – esclamò, per poi tornare nel salotto dagli altri ragazzi che stavano ancora bevendo e guardando Carlo Conti che su Rai 1 si esibiva nel solito spettacolo di fine-inizio anno.

- Pensi che Luana abbia bevuto un po’? – domandò Marta avvicinandosi alle due ragazze trascinando con sé anche Dario, tenendolo stretto per la mano.

- Mm, sì, direi di sì. Chi è che non ha bevuto oltre a noi? –

- Lei ha bevuto! – contestò Marta ridendo, riferendosi ad Amaryllis.

- Marta, lei è tedesca. Hai idea di quanta birra bevano? La buttano giù come acqua! – spiegò Vera, per poi tradurre subito dopo per la sua compagna.

- Ma dai! Non sono una spugna! – protestò lei, non affatto contenta del ritratto da alcolista che aveva appena fatto di lei. Vera scoppiò a ridere voltando il capo e baciandole una guancia.

- Sei una lurida ruffiana – ringhiò Amaryllis cedendo immediatamente alle sue attenzioni.

- Venite di là, facciamo un altro po’ di baldoria! – rise Marta afferrando Vera per un braccio e allontanandola dalla compagna. La ragazza afferrò Amaryllis per la camicia e la trascinò a sua volta con sé. Fecero così il loro trionfale ingresso nel salotto.

- Oh, finalmente! Volete da bere? – domandò Enrico Luccio, sollevando una bottiglia di Moscato.

- No, grazie, va bene così –

- Propongo un momento di raccoglimento – disse Giulia Sibona, rannicchiata sul pavimento, stretta nel suo tubino grigio e nero.

- Per cosa? – replicò Luana Camisola, che si era appena coricata con il capo sulle gambe del fidanzato, Mattia Grattarola.

- Rievocare i vecchi tempi, Tia – sbuffò lei, sbrigativa.

- Mm, parliamo di Vera – propose Paolo Alice, il suo ex ragazzo di copertura, omosessuale dichiarato da un paio d’anni.

- No, ti prego – si lagnò lei, prendendo posto in grembo alla sua compagna.

- Vi ricordate della gita a Parigi? Quando Vera vomitò sulla Tour Eiffel – rise Luana portandosi una mano sugli occhi.

- O quando s’inciampò sulle gradinate dell’hotel! – le fece eco Paolo.

- Per non parlare di come fece cadere la professoressa con una spallata – ricordò Enrico.

Vera gemette al ricordo della sua goffa adolescenza: era sempre quella fuori luogo, quella sbagliata e imbranata. Il grande riscatto era arrivato verso i diciannove anni, soprattutto quando aveva conosciuto Amaryllis in quel pub di Berlino.

 

- Che ore... che ore sono? – balbettò Amaryllis strofinandosi gli occhi gonfi di sonno.

- Quasi le quattro del mattino – rispose Vera, molto concentrata nella guida per le strade stranamente semideserte di Torino.

Amaryllis gemette, portandosi una mano alla fronte.

- Hai mal di testa? –

- No, ho solo un tremendo sonno –

- Be’, però ti sei divertita con loro, vero? Ti ha fatto piacere rivederli? – domandò premurosa Vera, posandole una mano sulla coscia, mano che Amaryllis strinse nella sua con dolce decisione.

- Certo che mi ha fatto piacere! Sono molto simpatici. E non lo sto dicendo per obbligo come pensi, mi stavano simpatici già quando vennero a trovarti a Berlino lo scorso Capodanno – aggiunse Amaryllis strappando un sorriso colpevole a Vera.

Il resto del tragitto lo percorsero in un religioso silenzio, che permise ad Amaryllis di sonnecchiare pigramente. Almeno finché Vera la scosse con poca gentilezza afferrandola per il bavero del giubbotto.

Imprecando come ai vecchi tempi, la rossa scese dalla Panda e si avviarono verso l’appartamento, attraversando il cortile comune, per poi rintanarsi all’interno del palazzo e stringersi nell’ascensore.

Vera infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni di Amaryllis palpeggiandole tranquillamente i glutei.

- Ehi, che fai? – si lagnò Amaryllis piegando il capo in avanti e posando le sua labbra sui capelli di Vera.

- Ti tocco il culo –

- Ah, come siamo delicati oggi – rise la ragazza tedesca abbracciando la compagna. Improvvisamente la stanchezza si era dissipata, come una cortina di fumo dopo una folata di vento.

- Ich liebe dich[40] – sussurrò Vera, sfregando il naso contro il suo seno.

- Ich auch[41], Vera –

Finalmente le porte dell’ascensore si riaprirono e Vera vi balzò fuori stringendo forte la mano della compagna e trascinandola con sé.

Inserì la chiave nella toppa cercando di fare il meno rumore possibile: i suoi genitori sicuramente dormivano, mentre suo fratello e sua sorella erano a casa di amici e si sarebbero fermati là per la notte. Mentre trafficava nel più assoluto silenzio, Amaryllis la strinse dolcemente baciandole il collo. La pelle della compagna era calda, invitante: se non avesse avuto un minimo di decenza, l’avrebbe spogliata seduta stante su quel pianerottolo spoglio e freddo, le sue mani già pronte sulla patta dei jeans di Vera.

- A-aspetta... – balbettò Vera chiudendo gli occhi e spalancando la porta. Lo slancio le fece perdere l’equilibrio e cadde a terra sbilanciando anche Amaryllis, che piombò su di lei.

- Scheisse![42] – ringhiò Amaryllis, che non si era fatta molto male dato che il corpo della compagna le aveva attutito l’urto al suolo. Rotolò di lato scendendo dalla schiena di Vera, che fu percorsa da un tremito.

- Ti sei fatta male? – le domandò cautamente aiutandola a mettersi seduta. Si accorse quindi che Vera stava ridacchiando.

- No, ho solo sbattuto il gomito. Tu, invece? – mormorò poggiando le mani sulle cosce della crucca e sporgendosi per baciarla sulle labbra.

- Mm, io bene -, Amaryllis portò entrambe le mani alla nuca di Vera e si fece strada fra le sua labbra con forza. Vera mugugnò compiaciuta e si lasciò atterrare, mentre Amaryllis chiudeva la porta con un calcio.

Amaryllis si tolse il giubbotto senza interrompere il contatto fra le loro labbra, lasciandolo cadere sul tappeto nell’ingresso, imitata da Vera. Non appena le loro labbra si allontanavano, subito l’una tornava a cercare l’altra con veemenza, ansiose di non perdere quel legame. Nonostante la foga, i baci erano dolci, profondi e avidi, come se le due non avessero avuto alcun incontro amoroso per mesi.

Non appena si liberarono dell’impaccio, Amaryllis si lanciò su Vera stringendola bramosamente fra le braccia e rialzandosi in piedi, aiutandola. Poi la sollevò senza tanti complimenti, facendola miagolare compiaciuta e sorreggendola senza fatica a causa dell’esile peso della compagna.

Amaryllis si diresse decisa verso la porta chiusa della stanza degli ospiti. Con alcune difficoltà, tentando di non far cadere Vera e, soprattutto, continuando a baciarla, abbassò la maniglia e aprì la porta di legno.

- Pensa... – ansimò Vera separandosi da Amaryllis per prendere una generosa boccata d’aria – Pensa quando saremo sposate e passeremo le serate guardando vecchie glorie cinematografiche mangiando pistacchi –

Amaryllis rise lasciandola cadere sul letto matrimoniale, per poi coricarsi accanto a lei.

- Altro che pistacchi, ho voglia di mangiare te... – sussurrò Amaryllis con tono seducente, carezzando l’interno coscia di Vera.

- Mm, come posso rifiutare? – miagolò Vera, carezzando i capelli ad Amaryllis e rotolando sopra di lei.

- Non rifiutare – gemette la rossa avvertendo la mano di Vera sfiorarla intimamente.

Amaryllis si abbandonò al seducente gioco di Vera lasciando che la piccola italiana desse sfogo a tutta la sua creatività. Si stava appunto crogiolando in tutte quelle gentili attenzioni, quando Vera si fermò e si sedette al fondo del letto, le gambe intrecciate come una meditatrice, le mani sui piedi nascosti nelle calze colorate. Amaryllis le lanciò un’occhiata obliqua, indecisa su come interpretare lo spostamento strategico della fidanzata.

- Che cosa c’è? – domandò Vera con aria innocente.
- Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si tolgano da soli – replicò Amaryllis senza scomporsi.

- Mm, credo che se aspettiamo abbastanza a lungo possano decomporsi. E’ fibra naturale, no? –

Amaryllis strabuzzò gli occhi di fronte all’ennesima manifestazione di quella giocosità che tanto adorava: la sua compagna se ne usciva spesso con le frasi più strampalate e inopportune nei momenti peggiori. Vera, dal canto suo, osservava la rossa con orgoglio, fiera di avere accanto quell’insicura, aggressiva e nasuta tedesca. Dopo essersi fatta scrocchiare tutte le dita dei piedi (scatenando l’odio di Amaryllis), tornò fra le sua braccia.

I vestiti vennero rapidamente ammucchiati sul pavimento, formando una storta montagnola colorata impregnata dall’odore di cibo e spumante.

- Sai, amore, mi è piaciuto stare con la tua famiglia – confessò Amaryllis, sistemandole i capelli dietro le orecchie e osservando i suoi grandi occhi scuri che la sovrastavano. Vera era ancora coricata sopra di lei.

- Hai visto che non è stato poi così terribile? – la sbeffeggiò la primogenita Baudino baciandola con tenerezza. L’invitante tepore che proveniva da sotto le coperte attirava entrambe verso una piacevole dormita, nude, abbracciate l’una all’altra. Vera premette la punta del suo naso contro quella di Amaryllis, sorridendo dolcemente, mentre con i polpastrelli le carezzava le spalle.

- Sì, avevi ragione. Ammetto che tua sorella non mi piace molto e nemmeno le tue zie Marisa e Renata: non sembrano aver preso molto bene la notizia del nostro matrimonio... Invece tua zia Vita è la fine del mondo, la adoro! Non capisco una parola di quello che dice, ma la adoro! –

- Sono felice che tu ti sia trovata bene – sussurrò Vera baciandole la guancia con dolcezza, gli occhi chiusi.

- Sai, potrei anche prendere in considerazione l’idea di venire a vivere in Italia – buttò lì Amaryllis con noncuranza, facendo trasalire la sua compagna.

- Oh no, ti prego! Io sono fuggita dall’Italia e non ho intenzione di tornarci – sentenziò Vera sicura della sua decisione, che si era rafforzata nel corso degli anni trascorsi in Germania.

- Allora potremmo comprare una casa in cui trascorrere le vacanze – suggerì la crucca, sbattendo le ciglia con fare civettuolo decisamente atipico per lei e che infatti provocò un divertito risolino a Vera.

- In tal caso potrei anche accettare... –

- Bene! Immagina una bella casa in Toscana, vicina alla costa: spaziosa, con grandi vetrate e un invitante letto matrimoniale in cui fare l’amore... – sussurrò Amaryllis con tono sensuale, portando le mani sui glutei di Vera e toccandola in quel modo che faceva impazzire la compagna.

- Non avevo dubbi che saresti andata a parare lì – ansimò Vera, la cui gola si era improvvisamente prosciugata. Amaryllis le rivolse un seducente sorriso, poi la baciò.

- Grazie, Mya – mormorò improvvisamente Vera.

- E di cosa? Che ti sto toccando? Guarda che è normale, tutte le coppie sessualmente mature lo fanno – ridacchiò Amaryllis stringendole il labbro inferiore fra i denti.

- Grazie che sei venuta, che hai parlato con la mia famiglia, con i miei genitori... –

- Andiamo, mica è stata una tortura. Grazie a te per avermi costretta a venire fin qui! Se non ci fossi stata tu, cara Vera, non so dove sarei finita. Quindi l’unica che può e deve ringraziare sono io – disse Amaryllis con un tono così serio e con occhi così pieni di amore e rispetto per quella piccola italiana, che quella non poté fare a meno di sussurrarle prima il suo amore all’orecchio e poi dimostrarglielo concretamente trascinandola sotto le coperte.

 

 

FINE



[1] “Allora, sei ancora nervosa?”

[2] “Ora mi sento peggio di prima! Perché non mi hai detto che ci sarebbero state tutte quelle persone?!”

[3] “Oh, andiamo! L’ho solo scordato: credimi, non intendevo mentire, soprattutto a te...”

[4] “Taci”

[5] “Mya, lei è zia Renata e lui zio Piero”

[6] “I miei bei bambini”                                                                                                                                                                                

[7] “Cos’ha detto mia sorella?”

[8] “Io sono l’uomo”

[9] “Amore, tesoro”, usato come vezzeggiativo.

[10] “La ragazza con i capelli rossi? Sì, ci ha detto che è tua amica” – è un misto fra il dialetto siciliano e l’italiano e sarà così anche nelle battute seguenti.

[11] “Lo parli bene il tedesco, Vera, brava! Cosa significa quello che vi stavate dicendo?”

[12] “Oh, che bella ragazza! Come hai detto che si chiama?”

[13] “E lei capisce l’italiano?”

[14] “Nessuno che abbia visto nulla!”

[15] “Bene, ci siamo tutti! Possiamo sederci e cominciare”

[16] “Non sei divertente”

[17] “Cos’è?”

[18] “Coniglio!”

[19] “Sembra una brava ragazza l’amica di tua famiglia. Come si sono conosciute?”

[20] “Andiamo Maria, tu hai il tuo poeta!”

[21] Tipici della Langa, sono simili agli spaghetti, ma ricordano di più delle tagliatelle molto sottili; sono ricchi di uova.

[22] “Non vivete ancora assieme?!”

[23] “Insomma, diciamo che sono piuttosto... particolari, sì, particolari e liberamente interpretabili”

[24] “E poi cos’è successo?!”

[25] “E’... questo è...”

[26] “Sì”

[27] “che cosa avevi da dirci?”

[28] “Oh tesoro, sono proprio contenta!”

[29] “Ma è possibile questa cosa?”

[30] “Insomma, cos’è tutto questo silenzio?! Vera, tesoro, sei felice con Amaryllis?”

[31] “E la tua vita sessuale ti soddisfa?”

[32] “E che problema c’è? Fai del buon sesso? Bene!”

[33] “Allora, cosa succede?”

[34] “Certo! E’ solo contenta, non vedi?”

[35] “tu l’abbia detto e sono contenta che ti voglia sposare”

[36] “sono d’accordo!”

[37] “Dobbiamo baciarci”

[38] “Tu vuoi?”

[39] “Grazie”

[40] “Ti amo”

[41] “Anch’io”

[42] “Merda”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=694578