Il prezzo della felicità

di TittaH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Going Hunting ***
Capitolo 2: *** Photograph ***
Capitolo 3: *** Arrivi tu ***
Capitolo 4: *** Don't save me, 'cuz I don't care ***
Capitolo 5: *** Vegan, baby, Vegan! ***
Capitolo 6: *** 6.1 - Pain of Love ***
Capitolo 7: *** 6.2 - Pain of Love ***
Capitolo 8: *** 7 - Love ***
Capitolo 9: *** 8 - Aurora ***
Capitolo 10: *** 9 - It's the moment... ***
Capitolo 11: *** 10 - Let me love you ***
Capitolo 12: *** 11 - Smile ***
Capitolo 13: *** 12 - Lie ***
Capitolo 14: *** 13 - Lacrime ***
Capitolo 15: *** 14 - Stronger ***
Capitolo 16: *** 15 - Secret ***
Capitolo 17: *** 16 - Sky ***
Capitolo 18: *** 17 - Proteggerti ***
Capitolo 19: *** 18 - Time ***
Capitolo 20: *** 19 - Praying for a Riot ***
Capitolo 21: *** 20 - How did we get here? ***
Capitolo 22: *** 21 - Viaggio ***
Capitolo 23: *** 22 - November Rain ***
Capitolo 24: *** 23 - Miracle: L'epilogo ***



Capitolo 1
*** Going Hunting ***


Note iniziali dell'autrice: Ho in mente questa fic da un mese ormai, ma solo ieri, dopo un bagno rilassante, ho preso carta e penna con l'idea di buttar giù un paio di idee. Il risultato è Lei.
Negli avvertimenti ho messo OOC, ma non so quanto possa essere vero, poichè non conosciamo i veri e propri caratteri dei nostri beniamini; ma di solito descrivono sempre Jay come quello acido, Shan come l'animale incapace di innamorarsi e Tomo come quello più taciturno. Con Tomo ci siamo, ho voluto restasse "intatta" la sua fama di sano di mente fra i tre perchè mi "serve" così, mentre per i fratelli Leto le cose cambiano un po': inizialmente sembrerà tutto uguale, ma con i capitoli successivi ve ne renderete conto da soli.
Vi lascio alla storia, perchè non voglio annoiarvi ancora col mio essere formale.

Tutto ciò che è descritto in questa storia non è mai successo, i protagonisti -ahimè- non mi appartengono e non li conosco. Non scrivo a scopo di lucro e non voglio far pubblicità alcuna.




IL PREZZO DELLA FELICITA'
 


 

...I though I could organise freedom...

1- Going Hunting

Las Vegas.
Una di quelle città dove l'unica regola è: trasgredire. Le enormi strade illuminate sono piene di ragazzine che si atteggiano da grandi prostitute e anziani arrapati che si sentono così giovani da provarci.
Su ogni marciapiede si erigono Night Club, sale da gioco, locali, alberghi e enormi insegne colorate.
Non è propriamente una città nota per il lavoro duro, insomma, e questo Nadine lo sapeva bene; ma era stata costretta dal suo amico d'infanzia, Drake, a partecipare ad un festino organizzato da chissà chi e pieno di gente famosa.

Nadine, trentacinque anni, nata e cresciuta a Los Angeles, donna acqua e sapone, quella notte indossava un abito fiammeggiante che le fasciava sinuosamente i fianchi magri. I piedi erano adornati da dei sandali alti color oro, che la facevano sembrare più slanciata dato il suo metro e sessantacinque.
Il viso, sempre struccato e pallido, era luminoso grazie al phard e al fondotinta; sugli occhi era stato sfumato un po' di ombretto rosso misto ad oro, e le ciglia erano state allungate- esageratamente, secondo lei- col mascara.
Ma a farla brillare era il rossetto lucido porpora che contrastava con la pochette paillettata d'oro.
"Non posso uscire così!" si lamentò, dopo essersi vista allo specchio, verso l'uomo.

Drake, trentanove anni, nato e cresciuto a New York, da sempre grande amico di Nadine e lavoratore incallito, quella notte indossava con eleganza uno smoking lucido, accompagnato da una camicia candida, rudemente portata senza papillon o cravattino. Ai piedi sfoggiava le sue Prada nere tirate a nuovo dopo secoli che non le metteva.
I capelli erano di un castano intenso- naturale, ci teneva a specificare- che risaltavano gli occhi di un verde vispo.
"Certo che puoi e smettila di fissarti. Ultimamente lavoro troppo e tu ti trascuri. Divertiamoci!" aveva insistito l'uomo, aprendole la portiera della sua amata Audi R8 grigia.

Così, dopo mezz'ora di strada, eccoli davanti ad un locale molto in voga: l'Ice.
Dalle limousine scendevano vip di fama mondiale e donne qualsiasi decorate con pellicce di animali di ogni tipo. La loro fragranza forte e, molto probabilmente, costosissima e griffata, si insinuava nelle narici di Nadine che tossì.
"Datti un contegno." le sussurrò l'amico all'orecchio, prendendola sotto braccio. "La vedi quell'auto?" continuò, poi, prima di mostrare il loro invito al bodyguard. Lei assentì.
"Beh, quelli sono i 30 Seconds To Mars. Sai di chi parlo, vero?"
La donna poggiò la sua pochette nel priveé dove si erano appostati.
"Sì, devo aver ascoltato qualcosa a riguardo." rispose distaccata, osservandoli entrare.
Un uomo, apparentemente giovane, con due zaffiri al posto degli occhi e dei capelli dal colore indescrivibile, fece apparizione in tutta la sua immensa presenza scenica; lo vide togliersi il giubottino nero e parlare molto vicino ad una biondina dall'aria stressata, che annuiva ad ogni parola dell'uomo.
"Quello è Jared Leto: attore, regista, pittore, cantante e leader della band. Ha una passione per i misteri e per il suo BlackBerry. Lei, invece, è Emma la sua assistente. Emma fa in modo che ogni desiderio della star diventi realtà."
Nadine seguiva tutto ciò che Drake le stava dicendo, senza distogliere lo sguardo dall'elemento che stava accuratamente analizzando.
Spostò lo sguardo su un tipo che sembrava alquanto introverso. Aveva dei lunghi capelli scuri e ondulati e una barba troppo folta per i suoi gusti; se ne stava con la mano nella mano di una ragazza minuta e dall'espressione simpatica.
"Quello lì, invece," continuò facendo un cenno del capo, "è Tomo Milicevic. E' il più riservato della band e suona la chitarra. Lei è Vicki, tra poco dopo dieci anni di fidanzamento si sposeranno."
Seguì con lo sguardo i due raggiungere gli altri, finchè non entrò un uomo che catturò tutta la sua attenzione.
"Che mi dici di lui?" domandò, facendo sorridere il suo accompagnatore.
"Lui, mia cara, è Shannon Leto, fratello di Jared e batterista della band. Non farti ingannare dai suoi occhi cerulei e dal suo sorriso sghembo, è uno sciupa femmine che ama il motto Una botta e via."
Drake notò con strana sorpresa che la donna stava praticamente divorando il maggiore dei Leto col solo uso dello sguardo; gli stava letteralmente togliendo la maglia smanicata, che gli andava larga sul petto, e i jeans scuri che gli accentuavano il sedere sodo.
Nadine si alzò e, sistemandosi meglio i capelli ambrati raccolti su una spalla, si avviò al bancone dei drink.
"Un Martini bianco, grazie." ordinò al tipo dietro il massiccio tavolo in acciaio.
Prese il bicchiere e attese di ottenere lo sguardo del batterista nel suo e, quando ciò accadde, alzò il bicchiere nel gesto del brindisi, ammiccando.
"Cosa stai facendo?" chiese divertito, Drake, che l'aveva raggiunta.
"Perchè siamo venuti quì?" domandò lei a sua volta.
"Per divertirci."
"Appunto." disse soltanto, mandando giù il contenuto del suo bicchiere.

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Capitolo 2
*** Photograph ***


2- Photograph

 

...Believe me when I say goodbye forever, is for good...
 



Le prime luci dell'alba filtrarono nella stanza buia e silenziosa, risvegliando un paio di occhi che sembravano fatti di cioccolato, miele e smeraldi.
L'uomo, dai corti capelli castani, si sedette sul letto della sua camera d'hotel e ci mise ben poco a ricordare cosa era successo la notte prima.
Si stiracchiò, sbadigliando senza ritegno, e solo in quel momento si accorse di essere in compagnia.
Una bella donna dai capelli color ambra e dalla pelle diafana, giaceva accanto a lui; sul suo corpo nudo e scarno solo il lenzuolo bianco a coprirle pudicamente le sue nudità.
Le labbra grandi e carnose- quelle labbra che lo avevano divorato per tutta la notte- erano stirate in un luminoso sorriso, che lo fecero sorridere stupidamente.
"E' bella." pensò.
Decise di alzarsi dal letto per rivestirsi, altrimenti quella donna lo avrebbe fatto ritardare per il suo lavoro, ma prima prese la sua macchina fotografica e impresse quella sublime visione nella sua memoria.
Poggiò la sua Canon sul comodino accanto al letto e si mise i boxer nel momento in cui squillò il suo iPhone nuovo di zecca.


Una giro di chitarra la svegliò da quel magico torpore.
Aprì, piano, gli occhi e ciò che vide la sorprese molto: una lussuosa stanza d'albergo piena di ogni comfort.
"Come ci sono arrivata quì?" si domandò cercando di ricordare qualcosa.
Ricordò la festa, Drake che le diceva di non bere, lei che lo aveva mandato a quel paese, Shannon Leto, un Martini di troppo e poi nulla.
Si alzò dall'enorme letto, tirando con sè il lenzuolo, e si diresse in bagno per lavarsi un po'. Ma quando aprì la porta lanciò un urlo che fu convinta che lo avesse sentito l'intero plesso.
"Cosa stai facendo?" chiese moderando i toni e senza aver il coraggio di chiudere la porta.
L'uomo rise di gusto, finendo di sciacquarsi e avvolgendosi un asciugamani attorno alla vita. Le passò accanto con una nonchalance che la spaventò.
"Questa è la mia camera d'albergo che amo condividere ogni tanto. Speravo di trovare un bigliettino con un numero di telefono, come ogni volta, ma tu sei restata. Alquanto strano!" rispose l'uomo cambiandosi di fronte a Nadine che si coprì, imbarazzata, il volto con le sue mani.
"Nulla che non hai già visto!" la prese in giro la sua coscienza.
Quando tolse le mani dalla faccia notò che Shannon si era già vestito e si sorprese della velocità.
"Io sono una dormigliona." disse lei soltanto, come se quella frase bastasse.
Il  batterista si voltò verso di lei e la vide ancora avvolta dalle coperte.
Sorrise ancora.
"Ascolta, non ricordo il tuo nome e non mi sembra che tu voglia dirmelo..." si fermò udendo un Infatti! da parte della donna."...Ma ho un volo per Los Angeles e io non posso perderlo. Mio fratello sta già bestemmiando in tutte le lingue di sua conoscenza, quindi devo scappare subito. Non so dove tu alloggi in città, quindi vedi di trovare un modo." continuò recuperando la sua roba e uscendo dalla stanza.
"Che tipo!" pensò Nadine, fiondandosi sotto la doccia.


"Dieci minuti di ritardo in più e avremmo perso il volo! Dico ma sei impazzito?!"
Come da copione, Jared stava urlando contro il fratello rinfacciandogli tutta la sua imprudenza, la sua maldestria e il suo essere ritardatario- Oltre che ritardato! gridò in conclusione.-
"Non ti ammazzo solo perchè darei un grosso dispiacere alla mamma e perchè mi servi!" disse poi calmandosi.
Tomo si era tappato le orecchie e faceva il verso al frontman, facendo ridere il batterista che estrasse la sua Canon dalla borsa.
"Ecco il motivo del ritardo." annunciò facendo vedere la foto ai presenti.
I due rimasero colpiti non tanto dalla bellezza della donna, quanto dal fatto che Shannon l'avesse fotografata. Infatti presero a guardarlo stralunati, neanche fosse stato un extraterrestre sulla terra.
Il moro se ne accorse e, rimettendo a posto la macchinetta, chiese: "Che c'è?"
"Come mai le hai fatto una foto?"
Jared colpì nel segno.
Già, perchè? Solo ora se lo stava chiedendo. Gli era sembrato opportuno, naturale, spontaneo, necessario.
"Merda l'ho davvero pensato?" si domandò mentalmente.
Era stato necessario per lui scattare quella foto e portare con sè la prima donna che si era portato a letto da sobrio. Infatti ricordava tutto.
Ricordava gli sguardi sensuali alla festa, la sua stretta di mano e la scossa che ne conseguì; ricordava le sue labbra che gli sussurrarono Portami via all'orecchio e poi il sesso.
Le sue unghie che gli graffiavano vogliose la schiena, le sue gambe che si attorcigliavano alla sua vita e le spinte forti e possenti che le aveva dato.
Ricordava i gemiti che gli riempivano la testa e lo ubriacavano, così come il profumo naturale della sua pelle.
Rabbrividì a quei pensieri e notò che i suoi amici lo guardavano in attesa di una risposta.
"La...La luce. Mi piaceva la luce!" disse su due piedi. "Scusate." annunciò, poi, prima di andare in bagno e automaledirsi.
"La luce! Ma come mi è venuto in mente?" disse alla sua immagine riflessa, che sembrava prendersi gioco di lui.

"La prossima volta che ti ubriachi e finisci a letto con uno sconosciuto te lo scordi il passaggio, Nadine!"
Drake stava dando di matto da ormai più di un'ora, in quell'auto che era destinata ad arrivare a Los Angeles, la città dove avevano la loro casa.
Vivevano insieme dai periodi dell'adolescenza.
Si erano conosciuti per caso in un parco; lei aveva cinque anni, lui nove ed era scattata subito l'amicizia che si fortificò quando Drake a sedici anni perse la sorellina di quattro anni più piccola. Da quel giorno lui la considerava come una sorella, motivo per il quale non si era mai azzardato ad alzare un dito su Nadine.
"Non ci sarà una prossima volta, Key. Non verrò mai più ad un festino con te. Mai più!" scandì bene la donna prima di leggere un SMS dell'ex marito.


 

Ti sono arrivati i soldi del mantenimento? Mi manderai un giorno notizie sulla tua condizione? Baci, Joshua.

 

"Chi era?" chiese Drake vedendo l'espressiona preoccupata dell'amica.
"Il mio ex marito che vuole sapere della mia condizione." rispose spegnendo il cellulare.
"Ti ama ancora."
Lei sospirò.
Erano passati cinque anni dal loro divorzio, non ne voleva sapere più nulla.
"Ascolta, lui non doveva fare quello che ha fatto quindi ora non deve sapere più nulla di me e se tu ti azzardi a dirgli qualcosa, tra noi finisce tutto." disse dura verso l'uomo.
"Sai che non aprirò bocca. Ma anche fosse tu non concluderesti mai la nostra amicizia." scherzò lui.
"Credimi quando dico addio per sempre, è per il mio bene."

 

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Capitolo 3
*** Arrivi tu ***


3 - Arrivi tu

 

...La coincidenza ci farà incontrare, e chiamalo destino quel percorso naturale...


Quel pomeriggio passò lento e solitario.
Drake lavorava nel mondo della tecnologia ed era fuori dall'ora di pranzo. Lei aveva mangiato un po' di insalata fresca, facendo zapping. Si sentiva incredibilmente stanca.
Non usciva e non si ubriacava da anni, ma soprattutto non faceva sesso da anni.
Come le era venuto in mente?
Le era stato categoricamente proibito lo stress, gli alcolici e il sesso, ma lei si era fatta ingannare da quell'uomo tutto peperino.
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse che sul suo BlackBerry, regalatole a Natale dall'amico, lampeggiava una bustina gialla che indicava l'arrivo di alcuni messaggi.
Joshua le chiedeva le solite cose, perciò cancellò senza nemmeno leggere; la sua stronza sorella minore le chiedeva di rispondere agli sms di Joshua e poi un messaggino alquanto strano di Drake.



 

"Tra poco arriverà un pacco a casa. Fallo caricare nella tua auto e portala agli studi della Virgin. Dici che ti manda Drake e che cerchi Mike. A stasera!"


 

Lesse di nuovo l'sms e mandò una risposta di consenso, alzandosi per correre a vestirsi.
Si sfilò di dosso i pantaloncini in jeans per lasciar spazio ad un pantalone scuro, cambiò la canotta bianca con una maglia a manica lunga rossa. Mise ai piedi delle sneakers bianche e rosse e legò i suoi capelli in uno chignon malfatto.
Si sciacquò il viso e i denti, sentendo suonare il campanello.
Scese gli scalini a due a due rischiando di rompersi l'osso del collo e aprì la porta; vi ci trovò un ragazzo dai lunghi capelli corvini tirati indietro con l'aiuto del gel, due occhi scuri e due labbra carnose. Era un bel ragazzo oggettivamente, ma sembrava leggermente scocciato.
"Lei è la signora Sweet?" chiese come da copione.
"Certo. Può caricare il pacco nella mia auto?" domandò cortese, afferrando la borsa e chiudendo a chiave la sua casa. Il moretto annuì, sconsolato, e caricò il pacco nel portabagagli.
Nadine firmò e diede una banconota da 150$ al giovane come mancia.
Il ragazzo osservò la somma di denaro che aveva in mano e cambiò espressione.
La donna entrò in auto e, dopo aver sistemato lo specchietto retrovisore e messo la cintura, partì con la sua Smart nuova di zecca.

Dopo un paio di semafori, un po' di traffico e qualche maledizione lanciata a qualche vecchio rimbambito, arrivò.
Entrò nella struttura e fu aiutata da una donna bionda dagli occhi chiari che avevano, però, un particolare: un occhio, profondamente azzurro, era macchiato di marrone su una parte.
"Ma io l'ho già vista?" pensò osservandola.
"Cosa le serve?" domandò, questa, gentilmente.
Nadine smise di fissarla e sorridendo rispose: "Mi manda Drake, cerco Mike. Ho un pacco per lui."
La bionda sorrise e la lasciò un attimo sola, tornando con un uomo affascinante al suo fianco.
"Oh, Nadine!" esclamò appena la vide. "Grazie Emma." congedò, poi, la donna che la salutò e sparì.
"La segretaria di Jared!" ricordò mentalmente. "Ma che ci fa quì?"
Mandò a benedire gli sproloqui tra la sua mente e la sua coscienza e prestò attenzione a Mike.
"Drake mi ha molto parlato di te."
"Davvero?" chiese, realmente sorpresa. L'uomo assentì.
"Allora, dov'è il pacco?"
"E' in macchina, ma non riesco a prenderlo. E' troppo pesante per me, non posso far sforzi." si scusò.
"Non preoccuparti, c'è Shannon che può aiutarti. E' il più forte della band ed è l'unico in grado di aiutarti. Non dirgli che te l'ho detto, sai com'è..." 
Un momento.
Emma la segretaria di Jared, Shannon il più forte della band, aveva giurato di aver visto un barbone simile a Gesù girovagare per lo studio.
Un momento...
Neanche il tempo di far due più due, che la figura non molto alta ma muscolosa di Shannon le si presentò davanti.
"Dimmi, Mike... Oh, rossa! Che ci fai quì?" chiese, vedendo la donna.
Si stava leccando le labbra magari ricordando la notte passata.
Nella sua mente già stava pregustando la vendetta che avrebbe consumato col suo caro Drake.
"Vi conoscete?" disse Mike, sorpreso.
"Intimi conoscenti!" ammiccò il batterista.
"Seguimi Shan, fa' presto che ho da fare." gli intimò Nadine, con gli occhi verdi ridotti a due fessure.
Scesero i gradini ed arrivarono all'auto nera della donna. Aprì il portabagagli e indicò il pacco all'uomo, che lo prese continuando a sorridere.
"E' il tuo lavoro?" domandò il musicista. Lei scosse il capo. "Lo faccio con piacere." rispose lei, sempre seria.
"Mi dici il tuo nome?" insistette lui.
Lei scosse nuovamente il capo, pronta a ripartire verso casa.
"Perchè?"
Ora diventava davvero irritante; non solo l'aveva messa in una scomoda situazione la stessa mattina, ma inoltre l'aveva messa in imbarazzo davanti ad un amico di Drake. Ed ora insisteva, pure!
"Ascoltami bene, musicista dei miei stivali: ieri sera è stata la prima e l'ultima. Oggi è stato un caso che non si ripeterà. Levati ogni pensiero dalla testa, perchè non ho tempo da perdere. Ho una vita da vivere. Il mio lavoro non ti importa, il mio nome non ti importa, io non devo interessarti. Chiaro?"
Per la prima volta, in cinque anni, era riuscita ad incazzarsi con un uomo che non era nè Joshua, nè Drake.
La spaventò.
Prese le chiavi dalla tasca e si diresse verso lo sportello della sua vettura, ma prima di partire sentì una frase che la scombussolò un po'.
"Mi intrighi sempre più, rossa. Ci rivederemo. Presto!"
Suonava quasi come una minaccia.



"Mike, mi dai il numero del tuo amico fornitore?"
Il manager si voltò nella direzione del suo dipendente.
"Shanimal, cosa vuoi fare?" domandò, divertito.
Il batterista rise e diede una pacca sulla spalla dell'uomo. "Me la sono già portata a letto ed è una bomba tanto quanto è rossa. Mi stuzzica, crede di allontanarmi, ma non fa altro che il contrario. Voglio parlare con questo Drake e farmi combinare un appuntamento, perchè credo che il suo amico è dalla mia parte."
L'uomo scosse il capo e diede il benedetto numero a quell'animale.
Shannon, dal suo canto, sorrise soddisfatto e compose il numero premendo il verde.
"Pronto? Nadine, la smetti di urlare?!" sentì dall'altra parte del telefono una donna urlare e una voce maschile stanca.
"Allora è così che si chiama!" disse.
"Chi? Scusi, ma chi parla?"
"Drake, sono Shannon Leto. Ho chiesto il numero a Mike. Capito chi?"
Prima il silenzio, poi il rumore di una porta che sbatte, poi un giro di chiave e poi ancora il silenzio.
Un sonoro sbuffo.
"Non mi dispiace affatto, anzi. Sono stato io a mandare casualmente Nadine da te!" disse poi, finalmente, Drake.
Evidentemenete si era chiuso in uno stanzino per non farsi sentire dall'amica.
"Allora, se sei dalla mia parte, puoi combinarmi un appuntamento? La vedo un po' restia ad ogni nuova relazione. Mi ispira!"
"Ascolta, non far soffire la mia amica. Ti aiuto solo perchè so che le interessi e che non dovrei dirtelo, ma sono anni che non la vedo sorridere e dopo ieri difficilmente uscirà di nuovo. Le voglio bene come una sorella e lei non merita di star male. Una sola volta che la vedrò piangere, verrò a trovarti ovunque tu sia. Intesi?"
Rimase per un attimo in silenzio, Shannon, per cercare di capire il tono usao dall'uomo, ma vanamente,
Poi un'iluminazione.
Guardò sul marciapiede e vide un luccichio strano. Si avvicinò e prese un orecchino che sarebbe dovuto essere della rossa.
"Ho il suo orecchino. Con una scusa potrei venire domani a pranzo. Fa' in modo di non esserci, ok?" annunciò spiritosamente.
"Certamente." acconsentì il biondino.
"Ah, Drake?"
"Dimmi."
"Come hai detto che si chiama?"
Immaginò l'amico strabuzzare gli occhi e inconsciamente sorrise.
"Nadine! Te la sei portata a letto e non sai neanche il suo nome?!"
"Ehi, io non mi porto le donne a letto per parlarci." disse ammiccando ai suoi loschi scopi.
"E invece varrebbe davvero la pena di parlare con Nadine."
Silenzio.
"Beh, ora vado o si insospettisce. Domani a pranzo. Porta un'orchidea rosa e una scatola di cioccolatini fondenti. Guadagnerai punti."
Shannon rise sommessamente, prendendo appunti.
"Grazie, Drake."
"Di nulla."
Chiusero la telefonata col sorriso sulle labbra.
Il batterista rientrò negli studi travolgendo suo fratello.
"Ehi bro, ricordi la rossa della foto? Beh, si chiama Nadine ed è molto particolare. Il suo amico Drake è un amico di Mike. Ci siamo incontrati, scontrati e domani grazie al suo amico, vado a pranzo da lei."
Jared lo guardava stralunato.
Come poteva essere davvero suo fratello? Come potevano avere lo stesso sangue?
"Shan, fratellone, sei cotto vero?" domandò, poi, intenerito.
"Non mi è indifferente." sussurrò, imbarazzato fino all'inverosimile. "Devo comprare un'orchidea rosa ed un pacco di cioccolatini. Potresti aiutarmi?" chiese, sporgendo le labbra all'infuori.
Il minore sorrise.
"Ovvio che sì!" disse, prendendolo sotto braccio.



"CHI ERA?" urlò Nadine, in preda alla disperazione.
"Nessuno che può interessarti." rispose fintamente Drake.
"Era una donna?"
Nadine era rossa dalla rabbia e odiava che il suo migliore amico avesse dei segreti con lei.
Si sedette sul divano incrociando le braccia al petto e assumendo un'espressione totalmente infantile.
L'uomo rise.
Si sedette accanto a lei e l'abbracciò, non venendo ricambiato.
"Dai, Dì."
"Non chiamarmi così, non quando sono arrabbiata. L'hai fatto a posta a mandarmi alla Virgin, vero? Sapevi che c'era lui!"
"Dai, sprechi i tuoi soldi per fornire gli altri delle attrezzature che hanno bisogno e non vuoi niente in cambio. E' il tuo lavoro. Sono clienti, come tutti gli altri."
La donna lo guardò, torva.
"Sai che non lo considero lavoro. Io aiuto i più bisognosi e non spreco i miei soldi, bensì li spendo. Lo sai."
Drake sbuffò, giunto ormai al limite della sopportazione.
"Sai che i soldi che dichiari di spendere ti servono ad altro. E sai anche che devi dare notizie a qualcuno."
Nadine si allzò e con lei anche il tono di voce.
"I soldi sono i miei. Joshua me li manda ed io ci faccio quel che voglio. Voglio vivere e mi sembrava di esser stata chiara tre anni fa. E' la mia scelta e non cambia. E non devo dar notizie a nessuno."
La vide aprire il frigorifero ed ingozzarsi di latte di soia e cioccolato vegetale.
Sorrise intenerito.
Si avvicinò e l'abbracciò, questa volta sentendo le braccia di lei stringersi al suo collo.
"Scusami, Dì."
Finiva sempre così.
Vinceva sempre lei, in ogni discussione che alla fin era sempre per lo stesso motivo.
"Fa nulla Key."
Rimasero così per un  po', fin quando Drake non sciolse l'abbracio per dirle: "Domani abbiamo ospiti."
Lei lo guardò interrogativa.
"Shannon ti riporterà l'orecchino che non hai più al lobo e tu gli chiederai di restare a pranzo. Sono stato chiaro?"
"Ma..." cercò di opporre resistenza, massaggiandosi il lobo che ormai sentiva nudo.
"Niente ma, Nadine. Fatti conoscere, gli interessi e anche a te interessa."
La lasciò affondare nella sua vergogna e si diresse in camera sua.
Rimise a posto la cioccolata e, chiudendo il frigo, sorrise.

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Capitolo 4
*** Don't save me, 'cuz I don't care ***


4 - Don't save me, 'cuz I don't care


...Until the truth becomes a lie ...


Un cigolio.
Uno sbuffo.
Lumino acceso.
Un sorso d'acqua.
Lumino spento.
Un altro sbuffo.
Un altro cigolio.
Lumino acceso.
Non riusciva a dormire. L'ansia le aveva attanagliato lo stomaco producendo un dolore non indifferente. Non si sentiva così dall'ultima volta che uscì con un ragazzo.
Bevve un altro sorso d'acqua naturale dalla bottiglia in vetro che teneva sul comodino accanto al letto, spense la luce e si ristese sotto le lenzuola color crema.
Prese a fissare il soffitto giallo paglierino, poi spostò lo sguardò verso la finestra che teneva sempre aperta e guardò la luna. Era bella, piena, argentea, immensa.
Amava la luna. Era il suo punto di riferimento e l'unica compagna delle sue notti insonni come quella.
Decise di alzarsi definitivamente, nonostante fossero ancora le tre e mezzo del mattino, e si diresse nel salone.
Scese piano per non svegliare Drake e si sedette sul divano rosso scarlatto. Si strinse maggiormente nella camicia da notte e aprì una cartella piena di carte mediche.
Non lo faceva da tempo.
Prese un documento e lesse di nuovo quella cruda verità.
Da anni ormai combatteva prefissandosi lo scopo di vivere pienamente e di non farsi sopraffare dalla paura. Si godeva ogni attimo della sua vita e non voleva perdersene nemmeno uno.
Da quando aveva chiuso il suo matrimonio con Joshua si sentiva meglio, anche perchè c'era Drake con lei. La sosteneva sempre e nonostante le liti e le incomprensioni, sapeva di poter contare su di lui per qualsiasi cosa.
Sorrise pensando a quanto fosse fortunata e si fece cogliere alla sprovvista da uno sbadiglio.
Ripose la cartelletta in un cassetto e riaslì al piano di sopra nella sua camera.
Si sdraiò tra le coperte, si coprì fino al mento come era solita fare e, quando trovò la posizione giusta, si addormentò.



Un trillo continuo.
Un fastidioso, rumoroso e assordante trillo continuo, che Nadine riconobbe come il campanello di casa sua.
Si alzò bruscamente e si stiracchiò un po', stropicciandosi gli occhi assonnati.
Scese le scale a passi pesanti e aprì la porta non facendo caso all'ora.
Uno Shannon sorridente con un vaso e un pacchetto col fiocco rosso le si parò di fronte.
"Buongiorno rossa. Sei proprio una dormigliona, me lo sarei dovuto ricordare!" disse ammiccando alla mattina in cui la trovò nel suo letto.
Maledetta mattina e maledetto vizio!  imprecò.
L'uomo entrò senza fare complimenti e posò il vaso, che conteneva una splendida orchidea rosa, in un angolo della casa che lei trovò perfetto.
Nadine chiuse la porta e si girò, scoprendo che il batterista le stava fissando il culo senza pretesa alcuna.
"Dimmi quando posso venire a ritirare la radiografia." lo rimbeccò, facendlo arrossire. "Vado a vestirmi, nel frattempo siediti e non rompermi nulla!" continuò, poi, sparendo alla velocità della luce.


Dopo un quarto d'ora fece apparizione nel salotto con un jeans chiaro che le stringeva maggiormente i fianchi magri e una maglia a manica corta color ocra, che le rislatava gli occhi; ai piedi aveva dei sandali che lasciavano scoperti i piccoli piedi di fata che Madre Natura le aveva donato.
I suoi smeraldi brillavano, nonostante non fossero truccati e le labbra erano due ciliegie invitanti.
"Allora, cosa vuoi magiare?" gli domandò, dopo che si accorse che era ormai ora di pranzo.
Lui scosse le spalle e si alzò dal divano, dove era stato seduto fino a quel momento, e la seguì in cucina.
Era una casa molto grande e spaziosa: al piano terra c'erano il salone, che aveva una grande televisione al plasma ed una porta-finestra che dava su un giardino abbastanza fiorito, arredato in stile moderno pieno di foto e di sopramobili; poi c'era la cucina, fornita di tutti gli elettrodomestici che servivano e un frigo che scoprì essere pieno di verdure. Al piano di sopra potè vedere solo le porte delle camere di Nadine e Drake e del bagno di servizio, ed una porta con un cartello sospetto sopra.
Alla larga! recitava.
Shannon, quando lo vide, ebbe l'impulso di entrare ma trovò la porta bloccata.
"Visto che non ti decidi il menù lo scelgo io. Allora, una pasta al pesto e un po' di verdure bollite andranno bene. La macedonia c'è sempre, quindi stiamo a posto."
Nadine si affrettò a trafficare tra fornelli, pentole e padelle.
Lui la guardava rapito, mentre compiva gesti che aveva già visto fare dalla nonna e dalla madre, ma visti da lei erano strani.
Non si sarebbe mai aspettato che lei fosse così abile e così fantasiosa, nonostante fosse vegana.
Jared non era così esperto e vasto nelle ricette, lui cucinava sempre le solite cose.
Meno male che ci sono le donne! pensò, osservandola ancora.
Lei se ne accorse e lo guardò di sottecchi, non interrompendo il suo lavoro preciso di tagliatura delle patate e delle carote.
"Che c'è? Non ti piace il pranzo?" domandò, leggermente preoccupata.
Agitata com'era non gli aveva nemmeno chiesto se andava bene.
"No no, anzi, sono abituato con mio fratello che è vegano dalla nascita, ma ammiravo la tua bravura." disse rapito dal suo sguardo.
Dentro di lei stava già morendo sotto gli occhi del moro, ma la sua maturità di donna vissuta le permise di mantenere un certo contegno e limitrarsi ad un 'Grazie.'.
"E' una ricetta italiana che mi ha insegnato la mia nonna materna." aggiunse per rompere quel silenzio imbarazzante.
"Hai origini italiane? Io amo l'Italia!" disse esaltandosi un po' troppo.
Lei iniziò a raccontargli della sua infanzia passata dalla nonna materna nei campi salentini baciati dal sole nel periodo estivo, del rapporto molto stretto che aveva con essa e della sua morte avvenuta per un tumore al fegato.
Si aprì dopo tanti anni con una persona, diversa dal solito Drake, che non si accorse che avevano già finito di pranzare e che lo stesso Drake non si era presentato.
Pensò ad un altro modo per farla avvicinare a Shannon, che aveva ascoltato la sua storia senza fare domande, e sorrise.
Lui se ne accorse e, mentre sorseggiava il suo caffè, le chiese: "A cosa devo il tuo primo sorriso?"
Lei nascose il viso dietro l'enorme tazza di latte vegetale che stava bevendo, dato che odiava profondamente il caffè.
"Pensavo che è la prima volta che mi racconto senza problemi."
Shannon non rispose, prendendo ad osservare i suoi lineamenti delicati.
Notò come adesso, che non stava sull difensiva, le sembrasse così fragile, vulnerabile, nuda. Notò come il suo sguardo, sempre duro e di rimprovero, ora era sorridente e spensierato. Notò come il suo sorriso, sempre forzato e tirato, le formava un afossetta sulla guancia sinistra.
Notò come il suo cuore fece un sussultò quando i loro visi si avvicinarono pericolosamente.
Lei scrutava negli occhi del musicista per scovare e capire i suoi scopi; lui la ammirava cercando di infonderle sicurezza.
Stava per rompersi quella distanza, stavano per sfiorarsi le loro labbra, quando Nadine oppose resistenza.
Mise le mani sul petto dell'uomo e lo allontanò, prendendosi la testa tra le mani e agitandosi.
Si sedette sul divano e si toccò l'addome dolorante; il suo viso era pallido e ansimava a fatica. Shannon si avvicinò a lei e le prese la mano.
"Cosa succede?" le chiese spaventato.
Lei scosse il capo, riprendendo a respirare normalmente e sforzandosi di sorridergli per tranquillizzarlo.
"Nulla. Solo...Non, non posso Shan. Cinque anni fa ho divorziato e non me la sento. Scusami."
Si sentì una merda.
Come poteva pretendere che una donna con cui era stato a letto e che magari si era fatta un'idea sbagliata di lui, potesse essere minimamente interesata? Come poteva pretendere che una donna che non lo conosceva si concedesse a lui così facilmente?
Ma se era realmente così, come mai quella sera gli aveva chiesto di portarla via?
Troppe contraddizioni, troppi conti che non ritornavano, troppi punti interrogativi.
Doveva scoprire e l'unico nome che gli veniva in mente era quello di Drake.
Gli inviò un messaggio sul cellulare e gli chiese di tornare a casa immediatamente.




Chissà come stavano andando le cose tra Shannon e Nadine.
Aveva visto dal primoa ttimo che lei era interessata a lui e che lui ricambiava.
Era disposto ad aiutare l'uomo a conquistare la sua amica pur di vederla finalmente felice. Voleva vederla sorridere come non l'aveva mai vista fare, voleva vederla eccitata ed emozionata ogni qual volta lei sentisse il nome del batterista, voleva vederla ore e ore davanti allo specchio a prepararsi per uscire col suo lui.
Voleva che fosse amata.
Assorto nei pensieri, venne distartto da un sms di Shannon che gli chiedeva di andare a casa perchè Nadine stava poco bene.
"Merda!" impercò malamente, facendo una pericolosissima inversione ad U e dirigendosi verso casa.
Sapeva che lei non voleva dirlo a Shan, non ancora almeno, quindi stava pensando ad un apossibile scusa da inventare con l'amico per farlo andar via.
Arrivò in men che non si dica di fronte al portoncino di casa sua ed entrò correndo.
Si fiondò tra le braccia dell'amica che rimproverò il moro muscoloso con lo sguardo.
"Allora, ti lascio l'orecchino sul tavolo e ci sentiamo. Grazie per il pranzo e fammi sapere come stai. Ciao Drake!"
Li lasciò da soli, capendo che avrebbe saputo al momento giusto.
Entrambi pensarono a quanto quell'uomo fosse dotato di perspicacia e tatto, oltre che un'immane intelligenza.
Drake la osservò e notò il suo colorito giallognolo.
Lei gli stringeva la mano, notando il luccichio nei suoi occhi vispi.
"Key, sto bene. Non succederà nulla."
L'uomo ricacciò indietro le lacrime e tirò su col naso.
"Succederà prima o poi, Nadine, ed io non sono pronto. Non di nuovo. Devo curarti. Devi salvarti!" supplicò.
Lei scosse il capo, asciugandosi le lacrime che le avevano accarezzato il volto prepotentemente.
"Non voglio salvarmi. Non m'importa..."
"Ma importa a me!" urlò, improvvisamente, facendo sobbalzare la donna. "Ogni giorno la stessa storia Dì! Non puoi comportarti da egoista. Tua sorella vorrebbe sapere come stai. Dovrebbe essere informata del tuo peggioramento. Tu devi ricominciare la chemioterapia, Nadine."
"NO! Io non voglio passare il resto della mia vita facendo avanti e dietro negli ospedali. Non voglio passare il resto della mia vita a farmi del male. Voglio vivere e te lo ripeterò ogni giorno come una preghiera Drake. La chemio mi fa più male di quanto faccia male il tumore stesso. Lo capisci?" domandò, urlando.
"Col tumore al fegato non si scherza, Nadine. Sono tre anni che non ti curi. Sono tre anni che peggiori e che ti vedo cadere a pezzi. Puoi morire in qualsiasi momento ed io potrei non esserci quando succederà. Lo capisci questo? Capisci che non salvandoti ti uccidi ed uccidi anche me?"
La stava implorando, piangendo lacrime amare che sapevano di deja vu e brutti ricordi. Non poteva sopportare la morte di Nadine, perchè lei colmava quel vuoto che si portava dentro da più di vent'anni; perchè lei ormai era quella sorella che le era stata strappata via troppo presto, stroncando la sua vita con un incidente d'auto.
Nadine lo guardò: era distrutto e lei sapeva di essere la causa, ma voleva solo inseguire i suoi sogni, vivere fino all'ultimo secondo, fino all'ultimo respiro, voleva fare qualcosa per chi ne aveva bisogno e voleva essere capita. Ma spesso in certe condizioni non si viene mai capiti abbastanza.
"So che ti faccio male, ma la mia scelta non si cambia. E' il mio destino." disse soltanto, stremata dal dolore ed incapace di sostenere ogni volta quella lite.
Erano ornai tre anni che quotidianamente discutevano di quel problema.
La risposta di Nadine era sempre la stessa.
E' il mio destino.
"Va bene, ma lo dirai a Shannon. Deve saperlo. Decidi tu come e quando, ma lui deve saperlo."
La lasciò sola, uscendo da casa per ritornare al suo lavoro, scrivendole prima il numero di telefono su un post-it attaccato al frigo.
Si alzò dal divano andando a recuperare il recapito telefonico e, osservando quell'orchidea all'angolo e quel pacchetto di cioccolatini vegetali, gli mandò un sms.



Grazie per la compagnia. Sono stata scortese, ma ho i miei perchè. Un giorno te li dirò e sappi che non pretendo nulla, non preoccuparti. Mi faccio sentire io. Nadine.

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Capitolo 5
*** Vegan, baby, Vegan! ***


5 - Vegan, baby, Vegan!

A Giada (BerryG), perchè non solo a te sembra che la maggior parte delle volte che Jared mangia siano cose che non rientrano nell'ambito della veganità!




 

Una settimana.
Era passata una settimana da quell'sms e di Shannon neanche l'ombra. Non una risposta o uno squillo o una visita a casa. Per di più Drake era incazzato con lei più che mai e non le parlava, se non per le classiche domande.
Stava male e non per il tumore.
Non riusciva a spiegarsi, a farsi capire, a vivere normalmente.
Voleva prendersela con qualcuno, ma con chi?
La sua famiglia in quello non aveva colpe, lei non aveva colpe.
Ma Dio? Dov'è Dio? Dov'è questa fantomatica forza divina che ti salva e protegge? Non ne aveva passate abbastanza? Non aveva sofferto abbastanza?
Decise di immergersi nella sua missione.
Prese il foglio dove scriveva i nomi delle persone e degli istituti che avevano bisogno di attrezzature e oggetti vari.
Tra tutti i nomi cancellati e aiutati c'era quello di un orfanotrofio.
The city of Angels.
Chiamò il suo avvocato e venne a conoscenza dell'arrivo del mantenimento settimanale.
Joshua le mandava puntualmente dei soldi per le cure e per le visite, ma non sapeva di come lei li usasse.
Prese le chiavi della sua Smart e si diresse presso l'ufficio legale; bussò due volte e entrò dopo che sentì la voce dell'uomo. Si salutarono cordialmente e lei si scusò per la fretta. Prese i soldi e uscì dalla struttura, augurandogli una buona giornata.
Corse veloce sull'asfalto, arrivando al negozio di giochi più vicino. Comprò ogni tipo di divertimento per neonati, bambini e adolescenti e li portò all'orfanotrofio.
Sorrise quando la suora le allungò alcune banconote.
"Sei una bravissima persona. Meriti tutto il meglio. Dio ti benedica." disse la vecchia, prendendo le buste e facendo il segno di croce.
Nadine le sorrise di rimando, ringraziandola e tornando verso l'auto.
Mentre stava per tornare a casa sentì il BlackBerry squillare e vide il nome di Shannon lampeggiare. Inchiodò bruscamente e parcheggiò di nuovo dove era prima per rispondere.
"P-pronto?" balbettò appena, per paura di sentire la delusione dall'altro capo del telefono.
"Ehi, Nadine, sono Jared. Mi son permesso di rubare l'iPhone di mio fratello per proporti una cosa..."
Arrossì appena per aver esitato a rispondere e respirò a fondo, facendo attenzione a non farsi scoprire. Se lo ricordava, Jared, con i suoi capelli strambi- che scoprì essere color POMEGRANATE, come insistevano le sue fan sul web- e il suo squardo suadente. Immaginò un sorriso sghembo sul suo volto e decise di accettare quell'invito strano per un pic-nic tutto vegetariano.
"Allora a merenda da me. Passo a prenderti o sai dov'è?" domandò entusiasto il frontman.
"E' meglio se passi a prendermi. Ho uno scarso senso dell'orientamento!" rispose divertita, rimettendo in moto la vettura.
Lo sentì ridere di gusto prima di salutarla.
"E' arrivato Shan, lui non sa nulla. E' una mia iniziativa. A dopo, tesoro!"
Attaccò senza lasciarle nemmeno il tempo di salutarlo per bene. Scosse il capo, felice. Le piaceva Jared, era tutta una montatura il suo essere egocentrico e il suo fare da diva; in realtà era solo un uomo normale con la tasca piena di sogni e la testa piena di idee.
Ma cosa intendeva con Lui non sa nulla? Cosa avrebbe dovuto sapere o non sapere? Arrossì, nuovamente, ricordando il tesoro del cantante ed imprecò malamente, maledicendo Jared ed il suo modo di metterla così in soggezione.


Arrivò a casa e trovò Drake spaparanzato sul divano.
Posò le chiavi sul mobiletto posto di fronte all'entrata e canticchiò il motivetto della canzone del momento, appena ascoltata alla radio.
L'amico, che non le rivolgeva la parola da una settimana, vedendola sorridere le chiese: "Come mai tutta questa felicità?"
Lei finì di bere il suo latte e si accomodò accanto a lui, rubandogli il telecomando dalle mani, cambiando canale.
Mise su MTV.
Lady Gaga cantava la sua Born This Way avvinghiata ad un uomo mezzo zombie.
"Nulla. Ho fatto la mia consueta opera buona, ho fatto un giro in auto e ho ricevuto una telefonata ed una proposta allettante." disse con falsa nonchalance.
Lui rise, strabuzzando gli occhi.
"E me lo dici così? Cosa ti ha detto Shannon?"
Nadine lo guardò perplessa.
"Cosa ti fa pensare che mi abbia chiamato Shannon?" domandò sulla difensiva.
"Il fatto che vi frequentate e che i tuoi occhi si illuminano ogni volta che senti il suo nome."
Bam.
Lo sentì, quel pugno allo stomaco, quella verità assordante che urlava silenziosa al suo orecchio e che pesava sulle spalle. Aveva ragione, Drake, ma aveva fatto un buco dell'acqua.
"Jared mi ha invitata per un pic-nic vegetariano a casa sua. Finalmente posso mangiare le mie schifezze- come le chiami tu- senza che nessuno mi guardi irritato. Passerò un bel pomeriggio. Mi piace!" rispose, ignorando deliberatamente la frase dell'amico.
Sentì delle note familiari provenire dalla tv e capì subito di averle già ascoltate in qualche video, trovato per caso sul web mentre si stava informando sulla band.
Kings and Queens.
Automaticamente sorrise.
Il moro la guardò intenerito e l'abbracciò di spalle.
Lei si voltò verso lui, ancora ancorata alle sue braccia, e lo strinse forte a sè.
Non servivano parole; lei lo stava ringraziando per averle fatto aprire il suo cuore a qualcun'altro, lui si stava scusando per essere sempre il solito egoista.
Si baciarono dolcemente sulle labbra, sfiorandole tra loro, senza malizia alcuna.
Rimasero un altro po' in quella posizione, fin quando Drake non le diede un'amichevole pacca sul sedere esclamando: "Forza, a prepararti. Jared Leto ti aspetta!" disse ammiccando con le sopracciglia verso il televisore, che ormai dava il primo piano, oscurato dall'ombra, del cantante.
Gli fece la linguaccia, salendo in camera sua per prepararsi.




Piccola, confortevole e piena.
Tre aggettivi si potevano usare per descrivere casa di Jared.
Non era una reggia, come si aspettava, ed era bianca. Piena di aggeggini e sopramobili di qualsiasi genere e tipo. I muri erano riempiti qua e là con alcuni dei quadri astratti che lui stesso aveva dipinto.
Aveva, però, un enorme giardino con un albero di limoni.
Proprio sotto di esso era stata posta una tovaglietta candida a quadri rossi, sulla quale c'era un cesto in vimini. Era il primo pomeriggio, quindi il sole batteva forte, ma il cantante da bravo gentil uomo la fece sedere all'ombra.
Lei ringraziò e lo aiutò a svuotare il cesto, notando come- contrariamente a quanto le aveva detto Shannon- c'erano molte ricette fanasiose.
"Ti ha detto che cucino bene e hai preso le ricette da Internet, eh?" gli domandò, alludendo alle lamentele di Shan.
Il biondo sorrise e, simulando il colpo di un fioretto, esclamò: "Touchè!"
Risero di gusto e lui si sorprese di quanto fosse coinvolgente la sua risata e di quanto fosse carina la fossetta che le si formava sulla guancia.
Il sole le faceva brillare i capelli rossi, accentuandone i riflessi ambrati, e i suoi occhi erano umidi per le troppe risate.
"Beh, mi dice tutto: è mio fratello!" disse riprendendosi dalle risa. "Tu hai fratelli o sorelle?" chiese, ingenuamente.
Vide il suo sguardo incupirsi, ma attese la risposta della donna.
"No. Sono figlia unica."
La sua coscienza la stava rimproverando arditamente per la bugia ed il peccato commesso, ma dopo tutto il dolore nessuno della sua famiglia era in grado di essere menzionato nella sua vita presente.
Jared percepì il suo tono indurirsi e decise di non infierire, cambiando discorso.
"Ehm, allora... Da quanto tempo non mangi carne?" chiese, cercando un punto in comune.
Lei ingoiò la sua porzione di purè di patate e si pulì le labbra con un tovagliolo.
"Mmmh, dalle scuole elementari. Ci hanno portati in una fattoria e ci hanno fatto vedere come si preparava la carne e la salsiccia. Maltrattavano gli animali in una maniera così crudele che mi schifai a tal punto da provare riplusione ogni qual volta che vedevo un pezzo di carne."
L'artista sorrise alla sua espressione schifata, ma rimase colpito dalla sua estrema sensibilità. Era raro trovare qualcuno che fosse diventato vegetariano per seri motivi che non fossero il conformarsi alla massa e il seguire la moda.
"Immagino che brutta esperienza! Beh, possiamo dire che io sono nato vegetariano. Mia madre lo è sempre stata e a casa non si mangiava quasi mai la carne, se non nel periodo in cui lei era stata sposata col mio padrino."
"Ma io ho approfondito la cosa." annunciò Nadine, facendo una buffa espressione da so-tutto-io.
Lui la guardò divertitamente interrogativo, addentando una carota bollita.
"Io non mangio i derivati del latte e non bevo latte normale; non mangio uova e non uso prodotti che sono stati testati sugli animali. Faccio parte di organizzazioni contro il maltrattamento dell'ambiente e degli animali, contro i test sugli animali, contro l'uso delle pellicce e degli indumenti in pelle e robe così."
Rimase stupito.
Si sentì piccolo in confronto a lei.
Lui era una rock star famosa in quasi tutto il mondo, aveva soldi in grande quantità e si considerava impotente di cambiare il mondo; lei era una semplice donna misteriosa che con la volontà era riuscita in parte a far qualcosa per l'umanità.
"Ma allora sei vegana!" esordì, urlando, facendo sobbalzare l'amica intenta a spolpare una pannocchia.
Lei si alzò e, imitando una versione moderna di Elvis Presley, si aggiustò il ciuffo creando una specie di tira-baci e disse: "Vegan, baby, Vegan*", scatenando le risa furiose di Jared.



*la frase è una mia modifica personale della celebre espressione del grande Elvis- R.I.P- "Veags, baby, Vegas! Non ne ricavo nulla. Ah, il tira-baci e il boccolone che aveva in fronte Presley, ma credo lo sappiate già.
Ringrazio tutte le lettrici e so che questo è un capitolo di transizione, ma volevo alleggerire l'aria che si era creata e volevo farvi vedere il lato spiritoso e dolce di Nadine- che descrivete sempre come donna matura e seria.
L'idea per il capitolo me l'ha data, inconsapevolmente, Giada- alla quale ho dedicato il capitolo- con la sua espressione che è contenuta nella "prefazione" ad inizio capitolo.
Hope you like it!
P.I.A **

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Capitolo 6
*** 6.1 - Pain of Love ***


6.1 - Pain of Love


 

...Let's make a pact...



 

Una settimana prima...

Una splendida e deserta via di Los Angeles.
La strada larga e asfaltata era incorniciata da pulitissimi marciapiedi, che ospitavano qualche negozietto, una palestra per bambini e un caffè non troppo frequentato. Ed era proprio lì, in quel bar anonimo, nascosto dagli alberi, che si erano dati appuntamento Drake e Jared.
Il primo arrivò con la sua preziosissima auto grigia, che parcheggiò poco distante dal luogo prestabilito, mentre l'altro si presentò tutto incappucciato, con i soliti Ray Ban dai contorni rossi, e con la sua fidata bici del video tanto amato da Nadine.
Si salutarono velocemente ed entrarono nel bar; si sedettero in fondo, per non dare nell'occhio, e ordinarono due caffè lunghi al giovane cameriere.
"Allora," esordì il cantante. "Come mai questo invito?" domandò con un ghigno curioso sul volto.
Drake si schiarì la voce.
"Ho notato che tuo fratello e Nadine sono attratti l'uno dall'altra, ma c'è qualcosa che li frena. Da parte di lei è comprensibile, ma se Shannon prova interesse perchè non smuove un po' le acque?"
Il cameriere pose ai due uomini le tazze, che fumavano, congedandosi velocemente attirato da una coppia di amiche che doveva ordinare.
Jared soffiò sulla sua bevanda, prima di assaggiare il liquido scuro, e si rivolse all'uomo seduto di fronte a sè.
"Shannon non si è mai innamorato. Noi artisti siamo spaventati dall'amore. Non riusciamo mai a conoscere realmente persone che non fanno parte del nostro mondo, e spesso ci lasciamo ingannare da chi giura amore eterno e poi lo fa solo per soldi e fama."
Si fermò per bere un altro sorso, ed in quel piccolo frangente, Drake, si accorse della profonda umanità dell'uomo.
Spesso si sogna di essere delle star perchè hanno tutto: soldi, fama, gloria, successo, roba firmata, persone che li amano e gli occhi del mondo addosso; ma se togli loro tutto ciò, cosa ne rimane?
Nulla.
"Credo che l'unico freno di Shan sia questo. Al party lei si è avvicinata a lui e poi Dio solo sa cosa è successo..." continuò, poi, ridendo sull'ultima affermazione.
"Ma cosa intendi con Da parte di Nadine è comprensibile?"
Drake posò la tazza, ormai vuota, sul tavolino e rispose: " Cinque anni fa ha divorziato, ma la storia è più complessa e non sono io quello che deve raccontarla. Sai, Nadine ha sofferto molto nella vita e l'unica cosa che voglio è renderla felice. E' per questo che siamo quì: dobbiamo sbloccarli! Mentre noi ne parliamo, loro sono a casa a pranzare insieme."
Jared sorrise intenerito dalle parole dell'amico e dal tono amorevole che aveva usato.
Capì quanto era importante la felicità di Nadine per Drake e si riconobbe in quello; l'unica cosa di cui veramente gli importava era suo fratello, quindi decise di accettare.
"Ok, Drake ci sto! Amo mio fratello e so che gli piace la nostra amica. Lavoreremo su di loro separatamente; tu su Shannon, io su Nadine. Andata?" disse allungando la mano.
"Andata!" rispose, stringendola con forza.



Due settimane dopo...

"Battuto!" urlò Drake in faccia al batterista, che aveva perso un'altra partita a Guitar Hero.
"Ok, basta. Io suono la batteria, è Tomo quello bravo con un paio di corde e con dei plettri." sospirò, sconfitto, poggiando la chitarra a terra.
Drake rise e gli offrì un bicchiere di birra.
Erano diventati molto amici, i due, tanto da passare insieme le serate libere, da mandarsi stupidi tweet e da confidarsi.
"Allora, come va con Nadine?" domandò, passandogli una Heineken.
"Grazie." disse afferrandola e facendola scontrare con la bottiglia di Drake, provocando il classico tintinnio del cin-cin.
"Beh, non la sento da un po'. Dopo quella volta mi ha detto che si sarebbe fatta sentire lei, ma nulla. Io non le mando niente, come hai detto tu, aspetto, però lei non mi caga di striscio."
Drake bevve soddisfatto la bevanda dorata, leccandosi i baffi e sorrise.
Sorrise perchè Shannon lo ascoltava e seguiva i suoi consigli; si fidava.
Sorrise perchè nessuno meglio di lui conosceva Nadine, e quando lei si comportava così voleva dire una sola cosa: sei sulla buona strada, amico!
"Non preoccuparti, Leto, Nadine ama essere ignorata. Se non la cerchi e lei non si fa sentire è perchè sta combattendo con se stessa per non cedere. E' fottutamente orgogliosa!"
Sorseggiarono i resti della birra.
"Se lo dici tu! Va beh, amico, io devo andare da mio fratello. Ci si sente, ok?"
"Va bene. Ciao Shà!"
Si abbracciarono dandosi pacche sulle spalle e, quando si assicurò che la Ducati del batterista era sfrecciata via, Drake inviò un sms a Jared.



 

"La gallina sta arrivando al pollaio. Passo."

 

Il frontman rise sguaiatamente.
La storia dei nomi in codice e del linguaggio degno di un film d'avventura d'altri tempi, lo divertiva e non poco.
Digitò qualcosa di altrettanto spiritoso in risposta e ripose via il BlackBerry.
"Chi era? Perchè ridi così?"
Ah, Nadine e la sua curiosità!
"Nessuno, tesoro. Tomo e le sue solite cazzate. Comunque, si è fatto sentire quel bell'imbusto di mio fratello?"
Lei scosse il capo, sedendosi sul divano accanto a Jared.
Casa Leto le trasmetteva un certo senso di pace e tranquillità. Saranno state le mura che sembravano soffici nuvole, o il fatto che ci fosse sempre uno strano sottofondo musicale grunge, o il fatto stesso che ci fosse il cantante che non la faceva pensare ai lati oscuri della vita.
Da quando Shannon non si faceva sentire, era il minore dei Leto il suo punto di riferimento. Drake era impegnato con chissà quali lavori fuori città e quindi si era legata molto all'eccentrico Jay.
"Sta' tranquilla. Non cedere alla tentazione. Prima o poi si farà sentire. Lo conosco meglio delle mie tasche." disse lui accarezzandole una mano.
Nadine sorrise grata, abbracciandolo e stampandogli un rumoroso bacio sulla guancia.
"Grazie, Jay. Non sai quanto ti adoro!"
"Già, non lo so!" scherzò lui, pizzicandole un fianco.
"Tanto!" rispose, adagiando la testa sulle gamebe ossute e magre dell'uomo. Socchiuse gli occhi sentendo le mani di Jared giocherellare con i suoi capelli rossastri.
Stava canticchiando la sua canzone preferita.
"...We were the Kings and Queens of promise..."
Poi fu tutto un attimo.
Il rumore della serratura.
Lo sguardo gelido di Shannon.
Lo scattare in piedi di Nadine.
Il sorriso di Jared.
"Shan, non è come sembra..."





Beeeeeeeene.
Allora, il capitolo sei è diviso in due perchè sennò era troppo lungo e poi voglio mantenere la suspance.
*me cattiva
Ringrazio chi la segue sempre e commenta, chi l'ha messa nelle seguite, chi passa, chi la legge anonimamente, insomma ringrazio tutti.
Hope you enjoy it!
P.I.A.
Baci, TittaH.

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Capitolo 7
*** 6.2 - Pain of Love ***


6.2 - Pain of Love


...We don't need your salvation...





Cos'è la gelosia?
La gelosia è paragonabile ad una malattia, che ti logora piano piano internamente e ti fa star male. Diventi nervoso, sei un'altra persona, vedi tutto con malizia e non importa se di mezzo ci sono parte della tua famiglia. Ti spinge a far cose inaspettate, ti prende inconsapevolmente, com eun raptus di follia.
Già, la gelosia è paragonabile alla follia.
Ed era così che si sentiva Shannon: folle.
Vedere Nadine tra le braccia di suo fratello- della sua famiglia- era l'ultima cosa che avrebbe voluto vedere.
Ora si spiegava il suo Mi farò sentire andato a farsi benedire; ora si spiegava tutto il lavoro che aveva da fare Nadine, dato che lui poteva passare tanto tempo con Drake; ora si spiegava tutto l'alone di mistero che aleggiava attorno a Jared.
Aveva capito tutto.
"Shan, non è come sembra..."
No, non è come sembra: è come è.
Jared e Drake gli avevano nascosto tutto. Suo fratello lo aveva tradito, suo fratello si era buttato nelle braccia dell'unica donna di cui realmente le importava qualcosa. E Jared lo copriva, copriva la loro storia illegittima. Si era finto amico solo per allontanarlo dalla sua amica.
Lo avevano tradito.
"Ah davvero?" chiese sarcastico, mentre Nadine si era alzata dal divano e si era messa di fronte a lui.
Il frontman se ne stava seduto sul divano, aspettando il loro bacio appassionato, convinto del lavoro svolto. Prese il suo BB per informare, in diretta, il suo socio delle ultime notizie.
"Shannon, siamo solo amici. Nulla di più." rispose semplicemente, toccandogli un braccio.
Lui si scostò malamente,  guardandola in modo truce.
"Amici, siamo tutti amici. Drake è mio amico, ma solo per spingerti nel letto di mio fratello. Si farà sentire lei, Ama essere ignorata e bla bla bla. Cazzate!"
La donna lo fissò, sgranando gli occhi.
Di cosa stava parlando?
"Drake? Cioè, Drake ti ha detto queste cose- le stesse cose che diceva Jay a me- mentre io credevo che lui stesse fuori città?" chiese alzando il tono di voce di qualche decibel.
Shannon la guardò interrogativo.
Ma cosa stava succedendo?
Entrambi si voltarono verso il cantante che stava ancora smanettando col suo cellulare.
Stavano cercando di ammazzarlo con lo sguardo e, quando lui se ne accorse, si strinse nelle spalle.
Avvisò il collega di andare a casa sua e si mise in piedi.
"Mi spieghi, per favore?" chiese il maggiore.
"Jared, non te lo perdonerò mai. Non puoi aver fatto una cosa simile. Non ci credo!"
Nadine urlava contro il biondo tirandogli dei pugni sul petto, mentre il batterista la teneva per i fianchi impedendole di dargli del male.
Lui non faceva un piega. Era preparato a quel tipo di reazione, quindi aspettò l'arrivo dell'amico.
"E non parli nemmeno? Devi spiegarci cosa diavolo ti passa per la testa!"
"Lo so io." disse improvvisamente il moro. La rossa smise di inveire contro Jared ed insieme prestarono attenzione alle parole del musicista.
Jared voleva vedere se, finalmente, aveva il coraggio di ammettere i suoi sentimenti.
Nadine voleva solo capire.
"Il mio caro fratellino ha deciso di innamorarsi dell'unica donna di cui realmente mi importa. Il mio caro fratellino ha deciso di tradire la mia fiducia, appioppandomi accanto un uomo che ha tradito anche te, Nadine. Ecco tutto."
Ci ha azzeccato! pensò.
La donna si era fermata alla prima affermzione.
"Ti importa di me?" domandò, ignorando tutto il resto del discorso.
Arrossì rendendosi conto di ciò che aveva detto.
"Non era evidente?"
"Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda." lo rimbeccò.
Tra la discussione, solo Jared si accorse che anche Drake stava assistendo silenziosamente.
Il biondino dagli occhi verdi, fece segno all'artista di non far nulla; voleva vedere finoa  che punto sarebbero arrivati.
"Mi interessi, Nadine, inutile nasconderlo ulteriormente. Ma ho seguito degli stupidi consigli di una persona che credevo fosse un amico e invece di ottenere il tuo cuore ho ottenuto la tua indifferenza."
Sorrise.
"Anch'io ho seguito alcuni consigli per avvicinarmi a te, ma non ho fatto altro che allontanarti."
I due spettatori risero complici, contemplando il loro lavoro da Cupido.
"Però non posso. Te l'ho detto, Shan, non fare quella faccia!" aggiunse velocemente, notando il mutamento d'espressione. "La nostra storia non è iniziata nel migliore dei modi. Non è una storia come le altre..." continuò abbassando lo sguardo, consapevole di non potere sostenere quello dell'uomo.
Aveva paura di poter leggere nei suoi meravigliosi occhi la delusione.
"Andiamo, Nadine, credi ancora alle favole? Io non sono un principe azzurro e tu non sei una principessa. Abbiamo fatto sesso, ci siamo incontrati per caso, abbiamo litigato e se tu vuoi possiamo conoscerci ancora." sospirò pesantemente. "Non esiste più l'iter amoroso; non esiste più che le persone si incontrano per caso, si conoscono, litigano e poi fanno sesso. Tutto comincia col sesso! E lo sai bene, altrimenti non saresti venuta da me quella sera."
Lei assunse un'aria indispettita, punita nell'orgoglio.
Le stava rinfacciando tutto e per di più davanti a Jared.
"Se non volevi ti rifiutavi. Non ti ho violentato! Le cose si fanno in due, mio caro. Non fare lo scarica barile. Ed io che mi ero interessata a te. Mi sembravi una persona interessante, ma a quanto pare non è così."
Aveva alzato al voce e Shannon anche.
"Non mi conosci nemmeno! Non puoi dirlo. E' vero, ho accettato quella sera e c'ero anch'io, ma adesso sei tu che stai mettendo già il punto ad una storia che deve ancora iniziare."
"Stop!"
Drake si era intromesso in quella situazione.
Si mise tra i due, allontanandoli un po', e parlò.
"Ma vi sentite?" chiese, sorridendo ad un Jared che se la stava facendo sotto dalle risate.
"Eccolo, il grande amico. Vergognati. Vergognatevi!" disse Shannon, indicando anche il fratello che si stava scompicisciando dalle risate.
"Drake, ma perchè ti sei messo d'accordo sapendo cosa sentivo?" domandò Nadine, dopo avergli messo uno schiaffo.
Si massaggiò la guancia appena colpita e li fece sedere davanti a lui.
"Dovreste ringraziarci. Senza di noi non sareste mai arrivati ad ammettere le vostre sensazioni." si intromise il leader della band.
I due piccioncini si guardarono, abbassando lo sguardo imbarazzati.
Avevano ragione, assolutamente ragione.
Sorrisero.
"Quindi?" chiesero all'unisono i due cupidi.
"Quindi, se lei vuole io posso..." rispose soltanto, guardandola negli occhi e predendosi in essi.
Lei si mordicchiò le unghie, nervosa, e lo fissò.
"Potremmo provarci. Hai tante cose da scoprire su di me!" disse lei sorridendo.
Drake e Jared batterono il cinque contenti, vedendo le mani dei due stringersi automaticamente.
Shannon l'abbracciò baciandole il capo e lei lo strinse a sè come a voler constatare che fosse reale.
Una nuova vita, un nuovo uomo, un nuovo amico.
Improvvisamente sentì l'impulso di chiedere il consenso a Joshua, ma scacciò via quel pensiero.
Lui non aveva perso tempo a buttarsi tra le gambe della sua sorellina minore, che per lei era morta.
"Non abbiamo bisogno del tuo consenso!" pensò, baciando le labbra del suo batterista, tra gli applausi e i finti cori da stadio dei due uomini che sembravano delle scimmie impazzite nello zoo.




So che è piccolo, ma essenziale.
Ho cambiato salvataggio in consenso per un problema di contesto.
Spero vi piaccia.
Fatemi sapere.
P.I.A.
TittaH:

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Capitolo 8
*** 7 - Love ***


7 – Love

…Give me a reason, I gotta know, do you feel it too?

 

Tre giorni, ventisei ore e quarantasette minuti.
Tre giorni, ventisei ore e quarantotto minuti.
Tre giorni, ventisei ore e quarantanove minuti.


Stava contando ogni singolo attimo che la separava dal suo uomo.
Era in tour, con i 30 Seconds To Mars, e sarebbe tornato fra meno di una settimana. Stava via da quasi quattro giorni e già sentiva la mancanza.
Da quanto non si sentiva così?
Da quanto non era felice? Da quanto non desiderava altro che ridere con la persona che amava? Da quanto?
Prese il cellulare.
Aveva impostato l'opzione che le faceva controllare l'ora in tutte le città in cui si muoveva il gruppo.
Erano a Roma e lì erano le undici di mattina. A Los Angeles erano le tre del mattino.
Lei se ne stava sveglia, lo voleva tanto.
Decise di inviargli un SMS.


“Hei Shan, come va lì?”
 

Prese a mordicchiarsi un’unghia nel frattempo che aspettava una risposta. Non lo faceva mai, ma quando era agitata e nervosa l’unica cosa che la tranquillizzava era torturare le sue povere dita mal curate.
Si rigirò nel letto, sistemandosi meglio il lenzuolo sulla spalla e pose il cellulare sul cuscino. C’era una sua foto come sfondo, il che la faceva sentire più vicina a lui.
Sussultò quando vide il display illuminarsi.
Si avventò sull’aggeggino elettronico con una famelicità quasi animalesca.
 

“Rossa, sei ancora sveglia? Non dovrebbe essere notte? Comunque qui va alla grande. Ci siamo presi un altro paio di giorni di vacanza. Ti ho detto quanto amiamo l’Italia!”
 

Rilesse il contenuto del messaggio sbattendo i piedi ed emettendo un rantolio contrariato.
I giorni senza di lui sarebbero aumentati e lei non poteva sopportarlo. Non che non si fidasse o che non avesse pazienza, ma oltre ad essere fottutamente orgogliosa- come diceva sempre Drake- era tremendamente e passionalmente appiccicaticcia.
Si sedette sul materasso e digitò convulsamente una risposta, tanto da lamentarsi per le dita doloranti.

 
“Certo che è notte, ma la mia mente è occupata da qualcuno che a quanto pare ama più l’Italia della diretta interessata. Hai ragione, è notte e sono ancora sveglia e non dovrei. Quindi vado a dormire. Ci sentiamo domani. E fatti sentire tu!”
 

Immaginò la faccia di Shannon mentre leggeva quello strano messaggino. La gelosia, l’impazienza e la voglia di lui avevano preso il sopravvento su Nadine, che si girò su un fianco nell’enorme letto e tentò di dormire.
 
 


Sbuffò.
Erano giorni che Nadine andava avanti così.
Gli faceva piacere che lei lo volesse tutto per sé, ma doveva anche capire che per lui il suo lavoro era corrispondente alla sua vita: era tutto.
Ci sarebbe voluto del tempo, in cui ci saranno stati ancora molteplici litigi, ma se avevano deciso di prolungare il soggiorno a Roma era perché volevano rilassarsi e non perché lui volesse stare lontano da lei.
 

“Nadine, non fare così, rendi tutto più difficile. Credi che per me sia semplice starti lontano ora che ho bisogno di te?”
 

Sapeva che non avrebbe risposto, che avrebbe messo il muso, che avrebbe aspettato che fosse stato lui a farsi sentire.
Si massaggiò le tempie, sfinito, non accorgendosi che Tomo si era appena avvicinato a lui.
“Animale, che succede?” gli chiese il chitarrista, poggiandogli una mano sulla spalla.
Shannon girò il capo quanto gli bastava per osservare in volto l’amico preoccupato.
“Nadine.” rispose soltanto.
Il batterista sapeva di star parlando con la persona giusta, poiché il croato aveva imparato a conciliare i Mars con la sua vita amorosa.
Erano dieci anni che Tomo stava assieme a Vicki e tra alti e bassi, il tour, le litigate ed i messaggini dolci, erano arrivati alla decisione: il grande passo!
Tutti erano stati entusiasti a quella notizia, quindi Shannon si ritrovò a confidarsi col suo più caro amico, sapendo di non poter mai essere giudicato o sfottuto.
“Ascolta, è normale che all’inizio si senta la mancanza o che lei stia male. Col passare degli anni lei capirà e accetterà la tua vita e ne vorrà far parte completamente, perché l’amore è questo, Shan. L’amore è dormire accoccolati la notte e sentire il freddo quando lei abbandona la sua parte di letto che in quel momento è la tua parte di vita; l’amore è quando lei ti guarda negli occhi e tu ti senti perso, ma nel posto giusto; l’amore è scendere a compromessi, rispettando i valori e le passioni dell’uno e dell’altra. L’amore è qualcosa di incommensurabile ed immane che supera ogni ostacolo e difficoltà, quindi lei dovrà capire così come dovrai capire tu. Ti tiene il muso oggi? Beh, tu falla sorridere e sii compiaciuto del fatto che quell’esplosione di raggi di sole sul suo viso è per merito tuo.
Non ti risponde agli SMS? Chiamala, ora! Risponderà ed andrà tutto bene.”
Il sovietico aveva la grande capacità di stordire tutti con i suoi discorsi seri. Era sempre stato considerato il più normale dei tre- contestualizzando il termine- ed il più tranquillo e riservato. Preferiva stare in silenzio e all’ombra nelle interviste, ma quando parlava poteva farti restare interdetto.
Il moro dagli occhi verdi buttò lo sguardo sul suo iPhone, spostandolo poi verso l’amico, che lo incoraggiò col capo.
Prese il cellulare e digitò subito il numero della sua donna.
Al terzo squillo, rispose.
“Che c’è?”
La immaginò con la sua espressione più buffa ed infantile che le aveva visto fare e sorrise.
“Rossa. Non fare così, dai.” Disse dolcemente.
La sentì sbuffare e tirar su col naso leggermente.
Stava piangendo e non sapeva perché.
“Nadine, perché stai piangendo?” domandò preoccupato.
Si alzò dal divanetto della hall dell’hotel italiano a 5 stelle e si avvicinò verso l’ascensore per salire in camera sua.
Salutò Tomo, ringraziandolo col labiale, che sventolò una mano in aria in segno di saluto.
“Mi fai sentire una ragazzina! Ho trentacinque anni, merda!”
Rise impercettibilmente a quell’affermazione e uscì dall’ascensore.
Raggiunse la sua stanza e si stese sul letto, poggiando il capo sulla mano sinistra.
“Smettila di piangere, son geloso di quelle lacrime che possono carezzare il tuo viso, mentre io son qui lontano da te.”
“Motivo in più per tornare.” disse lei, ironizzando e recuperando il suo autocontrollo.
“Sai che se dipendesse da me ora sarei accanto a te nel tuo letto.”
“Quando torni?” chiese lei ansiosa.
Lui se ne accorse.
“Fra cinque giorni. Il tempo di gustarci altri piatti di pasta e di conoscere altra gente calorosa. Gli italiani sono fantastici!”
“Conoscere altra gente, eh? Sai che te lo taglio!” rispose tentando di essere il più crudele possibile.
Shannon sorrise sommessamente.
“Gelosona. Sai che sono tutto tuo!”
Ok, pausa! pensò il cervello del batterista.
Lo aveva detto davvero? Si stavano davvero aprendo l’un l’altra senza problemi? Si stavano davvero dichiarando amore attaccati speranzosi ad un cellulare, che era in grado di distruggere tutti quei chilometri e tutte quelle ore di distanza?
“Lo hai detto, Shan.” affermò sbadigliando leggermente.
“Va’ a dormire, rossa. Ci sentiamo domani, va bene?” le disse, dopo averla sentita sbadigliare sul cellulare.
“D’accordo, batterista dei miei stivali! Buon proseguimento di giornata. A domani.” rispose, Nadine, contenta.
“Buonanotte, tesoro.”
Sentì un bacio rumoreggiare nel suo orecchio prima di chiudere la telefonata. Sorrise sentendo uno strano formicolio all’altezza dello stomaco.
Non è un’erezione. pensò.
“No, è l’amore!” si rispose, citando le parole del suo amico croato. 

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Capitolo 9
*** 8 - Aurora ***


8 - Aurora

...La solitudine che indossa è più normale di una prudente saggia e isterica morale... 


 

Un abbraccio di quelli che non finiscono più, di quelli che riesci a sentire il cuore dell'altro esplodere e fare delle capovolte, di quelli che se stringi un altro po' ti sembra di poter ammazzarti, ma dal quale se ti allontani senti di poter morire ancora.
Le mani di Nadine non facevano altro che esplorare la schiena di Shannon che la teneva stretta a sè.
Tomo era impegnato con la sua Vicki; si baciavano e si sorridevano complici, intrecciando i loro sguardi senza dire una parola.
Jared li guardava felici, ma sentiva un vuoto dentro sè. Si sentì stupido ad invidiare un sentimento puro come l'amore, eppure si sentì incompleto.
Aveva raggiunto i suoi sogni con la band, superando se stesso, ma restava comunque un tassello mancante al puzzle della sua vita.
Scosse il capo, mandando via quei pensieri, quando vide la donna staccarsi da suo fratello e avvicinarsi a lui.
Lei si buttò a pesce tra le sue braccia e lui la strinse forte.
Sentiva lo sguardi dolce e apprensivo di Shan addosso; lui sapeva che si era affezionato alla sua rossa, sapeva che gli mancava una figura femminile, però non era mai arrivato a pensare male del fratello.
Si fidava.
"Mi sei mancato!" disse Nadine all'orecchio del cantante.
Si staccarono dolcemente e si sorrisero.
"Anche tu." rispose il biondo, sincero.
Uscirono dall'aereoporto trascinandosi dietro le loro valigie. Mike aveva dato una settimana libera, quindi Tomo sparì, dopo aver abbracciato la donna calorosamente, per andare con la sua futura moglie e divertirsi un po'.
Nadine doveva tornare a casa perchè doveva aiutare Drake in alcune cose.
"Pensavo," esordì la rossa stringendosi maggiormente sotto la presa salda del braccio del batterista attorno alla sua spalla, "Potremmo andare a casa mia adesso. Drake vorrebbe vedervi e poi vi invito a cena. Cibo italiano!" concluse notando l'espressione affamata di Jared.
"D'accordo!" dissero all'unisono i fratelli Leto, entrando nell'auto nera messa a disposizione dal loro manager. Nadine entrò nella sua Smart, con la quale aveva raggiunto a sorpresa l'aereoporto, dirigendosi verso casa mentre i due uomini dicevano all'autista di seguirla.



"Cosa ci fai quì?" domandò Drake, chiudendo la porta di casa.
Una ragazza dai lunghi capelli castani e dagli occhi enormemente verdi fece capolino in cucina.
Indossava un abitino blu cobalto accompagnato da un paio di sandali bassi e bianchi, con una borsa abbinata sotto braccio; le unghie erano curate e smaltate con una french perfetta.
La sua espressione era tra il curioso e lo spaventato.
L'uomo la fece sedere offrendole da bere, stupendosi dato che non la vedeva da anni.
Cinque, per l'esattezza.
"Ti ripeto: cosa ci fai quì? Nadine potrebbe tornare da un momento all'altro e sai che..."
"Come sta?" chiese con la sua voce tremante, ignorando la domanda del moro.
Lui sbuffò, massaggiandosi gli occhi e voltando lo sguardo verso l'entrata di casa.
"Non bene." rispose piatto.
"E perchè non mi avete avvisata? Sai che Joshua sarebbe dispsoto ad aumentare il mantenimento."
Sembrava indignata.
Lei che per cinque anni non si era fatta sentire, lei che se ne era fregata della condizione grave della sorella, lei che aveva sedotto il marito di Nadine, lei che non aveva voce in capitolo si era permessa di dire a Drake cosa deve o non deve fare?
Era il colmo!
"Ascolta e fallo bene, perchè non ripeterò: sei sparita e non sei venuta per nulla a trovare tua sorella neanche in quegli anni in cui faceva la chemioterapia e stava male; le hai rubato il marito, l'unico sprazzo di vita che la faceva star bene, e le hai spezzato il cuore; l'hai trattata come un pezzo di merda! Ed ora come ti permetti di venir a fare la morale a me? A me che l'ho seguita e non l'ho mai abbandonata, a me che le ho dato il cuore e la sto aiutando. A me, Aurora, a me?! Credi che se Joshua aumenti lo stipendio il tumore di Nadine smette di farle del male? Risolvi tutto coi soldi, tu, ma sai cosa ne fa lei dei vostri soldi...?"
Non fece in tempo a finire la frase, perchè si sentì lo scatto della serratura.
La porta si aprì e, se prima si sentivano delle risa- che Drake riconobbe come quella di Nadine, Jared e Shannon- poi sentirono solo il silenzio più totale.
Gli uomini i guardavano interrogativi, mentre le due donne si fissavano: una aveva le lacrime agli occhi, l'altra la guardava in cagnesco.
"Che cazzo ci fai a casa mia?" domandò, Nadine, piatta senza alcuna sfumatura o emozione nella voce.
L'altra la guardò supplicando.
"Stava andando via." esclamò l'amico arrabbiato.
"Drake, io..." provò a spiegare Aurora, ma l'urlo di sua sorella la spaventò facendola scappare nello stesso modo in cui era arrivata.
"FUORI!"
Sentirono la porta chiudersi e videro Nadine sedersi sul divano e premersi una mano sul volto.
Non piangeva, ma respirava a fatica e bisbigliava qualcosa fra sè e sè.
I due musicisti salutarono Drake, vedendolo teso e nervoso, e si sedettero accanto a lei.
Shannon le passò una mano sulla schiena come per rassicurarla, e Jared ruppe il ghiaccio.
"Posso chiedere una cosa?"
"E' mia sorella!" rispose la rossa immaginandosi la domanda che si era fatta spazio nella mente del frontman, che la guardò corrucciato.
"Ma, avevi detto di essere figlia unica."
Silenzio.
"Mi hai mentito!" disse, poi, alzandosi e mettendosi di fronte a lei con le mani sui fianchi.
Vide suo fratello che lo guardava di sbieco e si calmò.
"Ha i suoi motivi, vero Dì?" esordì Drake.
Nadine si mise in piedi, facendo spazio a Jared che si sedette, e dopo ver preso un respiro profondo cominciò a raccontare.
"Sono nata il cinque Aprile del 1976, da un'effimera relazione tra una prostituta ed un porco. Non ho mai conosciuto mio padre, ma sinceramente non ricordo nemmeno il volto di mia madre. Non c'era mai in casa ed io crescevo con mia nonna. Ho il cognome di mio nonno, Sweet, che era tutto tranne che dolce; ma non ricordo nemmeno lui perchè è morto quando avevo un anno e mia madre aveva scoperto di essere incinta di un'altra bambina."
Si fermò un attimo per prendere fiato e per ingoiare le lacrime che bruciavano e spingevano per uscire, al ricordar quegli avvenimenti che la devastavano.
"Quando è nata Aurora avevo un anno e mezzo, quasi due. Lei porta il nome della mia amata nonna, mentre io ho il nome di chissà quale amica puttana di mia madre. Amavo mia nonna, era tutto il mio mondo; lei mi faceva da mangiare, mi rimboccava le coperte e mi raccontava una storia, mi aiutava a fare i compiti e mi amava. Amavo il suo dolce sorriso e le sue tenere lacrime quando leggevo la poesia di Natale. Amo il Natale, ma da quando lei non c'è non lo festeggio più. E' morta che avevo diciotto anni, era molto vecchia e per di più malata di tumore al fegato."
Mandò giù quel groppo che le si era formato in gola, consapevole di dover saltare un pezzo importante della sua vita legato a quella malattia.
"A quell'età sono andata a vivere con Drake, che conosco da quando ho cinque anni. E' il fratello maggiore che non ho mi avuto!" riprese, poi, scoccandogli uno sguardo dolce.
Lui sorrise.
"Con noi viveva anche Aurora, dato che nostra madre era stata trovata morta in un burrone. Ho iniziato l'università di Psicologia, ma non l'ho finita perchè le tasse erano troppe e troppo ingenti. Ma ho conosciuto Joshua. Siamo stati fidanzati per nove anni, poi ci siamo sposati. Viveva con noi, eravamo quattro in casa. Presto però rimanemmo in due, perchè scoprìì che mia sorella se la faceva con mio marito. Ho divorziato con lui tre anni dopo il nostro matrimonio."
Rimasero sconvolti.
Jared la guardava e non sapeva se essere dispiaciuto e disgustato, per il comportamento di Joshua e Aurora, o se essere orgoglioso della sua forza.
Shannon boccheggiava incredulo.
Per un attimo Nadine ebbe paura che dopo tutte quelle rivelazioni- che non erano nemmeno tutte- lui non la volesse più, ma quando vide che le andò incontro e l'abbracciò, capì di essere stata capita.
Lanciò uno sguardo sorridente a Jared e Drake e si sentì sollevata.
La sua coscienza ora era più leggera.

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Capitolo 10
*** 9 - It's the moment... ***


9 - It's the moment...


...It's the moment of truth and the moment to lie...


 

Spiaggie, sabbia bianca, acqua cristallina.
Un cielo limpido mostrava fiero il suo sole splendente che baciava tutti i bagnanti in vacanza. Qualche ombrellone e qualche sdraio si intravedevano tra le enormi palme.
Le Maldive erano una piccola parte di Paradiso e Nadine ci era sempre voluta andare ma se l'università era troppo costosa, una settimana sulle isole dei suoi sogni lo era di più.
Shannon non dimenticherà mai l'espressione del volto della donna.


"Cosa?! Una settimana alle Maldive? Io e te?! Sul serio?!"
Il batterista assentì col capo, compiaciuto di aver realizzato un suo sogno.
Si ritrovò con le braccia di Nadine attorno al collo, che veniva lambito dal respiro di quest'ultima.
"Ma quanto ti è costato?" domandò preoccupata, sciogliendo quell'abbraccio.
Shannon sbuffò, prendendole il viso tra le mani.
"Non importa, ok? Il tour è finito, Tomo e Vicki si sposeranno tra un mese e mezzo e Jay e Drake staranno fuori per un po'. E' Luglio e non voglio starmene quì. Voglio portarti dove non sei stata mai, voglio farti vivere un sogno. Posso?"
A quel Posso, Nadine annullò la distanza tra i loro visi e prese a baciarlo con una dolcezza infinita.



Sentiva la lingua di lei accarezzargli il palato; sentiva le sue mani che desideravano i suoi muscoli sul suo ventre piatto; sentiva quel sapore di sale marino misto al suo burrocacao al cocco, che lo stava inebriando.
Le sfiorò il collo con le dita ruvide e sentì un gemito contro le sue labbra.
Allontanò il seno di lei, che premeva contro i suoi pettorali, e respirò affannosamente.
Nadine lo guardò perplessa.
"Che succede?" gli chiese.
Lui bevve un sorso d'acqua fresca.
"Non posso. Ti ho portata quì perchè voglio conoscerti più a fondo e fare sesso non mi aiuterà a distrarmi dalla tua bellezza immane."
Lo fissava interrogativa continuando a non capire.
"Non voglio che sia come quella notte a Las Vegas. Voglio potermi innamorare di te.Voglio far l'amore con te, ma ora non è il momento." spiegò meglio Shan.
Nadine non sapeva se sentirsi onorata o spaventata. Era un'altra dichiarazione?
"E come te ne accorgerai che sarà amore se non lo hai mai provato prima?"
Il batterista si girò di scatto verso di lei. Gli stava forse dicendo che lei lo amava già?
"Me ne accorgerò, prima o poi. Abbiamo tutto il tempo del mondo, rossa!"
Un colpo al cuore.
Non sapeva se le faceva più male l'affermazione dell'uomo o il sorriso che sapeva di star tradendo.
Prese un bel respiro profondo.
Era arrivato il momento della verità.
"Io non ho tutto il tempo del mondo, Shan. Io..."
Non fece in tempo a finire per colpa del cellulare dell'uomo, che aveva preso a suonare la loro Night of the Hunter.
"Hey, bro, come va?"
E Nadine maledì Jared.



"Campioni! Tutto bene. Come procede la luna di miele?" chiese, ironico, interrompendo la battaglia delle palle di neve che avevano intrapreso lui e Drake.
Avevano scelto un paesaggio tutt'altro che estivo, data la loro riluttanza per il mare.
Erano in chissà quale monte innevato a fare snowboarding e alloggiavano in una baita privata, che dividevano tra il caos.
"A meraviglia, grazie!"
Sentire la voce di Nadine gli fece intendere di essere in vivavoce, così lo attivò e, dopo essersi seduto accanto a Drake, disse: "Nadine, senti un po' chi c'è!"
"Dì, tesoro, come va?"
"Key!" urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. "E' stupendo quì, amore, è tutto bellissimo. Vuoi venire?" continuò, poi, con la voce da bimba.
I Leto risero.
"No, grazie, preferisco il freddo e il casino di Jay!" disse schifato.
"Oh grazie, Drake, davvero. Ti voglio bene anch'io!" gli rispose ironicamente, dando inizio ad una lotta verbale molto fine e delicata.
"Ehm, piccioncini, noi saremmo ancora in linea." li rimbeccò la rossa, scatenando le risa del suo uomo.
"Ah sì, scusat!" dissero all'unisono, guardandosi e ridendo.
"Beh, se va tutto bene vi lasciamo ai vostri affari." affermò il frontman della band.
"Già, ci sentiamo Dì. Ti voglio bene."
La potè immagianre sorridere.
"Anch'io, Key. Anche a te ne voglio, Jared!"
"Ti adoro, Nadine! Ciao, Shà, e non farmi diventare zio." ironizzò il cantante, beccandosi uno scappellotto dietro la nuca.
"Non preoccuparti fratellino, e nemmeno tu Drake!"
Chiusero la chiamata tra risate e parolacce.



"Che cretini!" li apostrofò Nadine, accoccolandosi sul petto di Shannon che se ne stava steso su una sdraio.
"Già, io papà! Non mi ci vedo. A proprosito: cosa dovevi dirmi?"
Lei deglutì, sperando che se ne fosse dimenticato.
Chiuse gli occhi e sentì il cuore di lui battere forte.
"Nulla di importante." mentì, giocando coi peli del petto del suo uomo.





Note dell'autrice: Mi scuso per il ritardo, ma avevo poca ispirazione e infatti il capitolo non me gusta mucho. >.<''
Ringrazio tutti, soprattutto Giada, Mary, Vals e Giù che commentano sempre.
Ringrazio chi legge e non commenta e li esorto a farmi sapere cosa ne pensano.
Enjoy it! ;)
P.I.A
TittaH

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Capitolo 11
*** 10 - Let me love you ***


10 – Let me love you
 



…Let me be the one to give you everything you want and need…

 

I giorni passarono veloci su quell’isola.
Le mattine scorrevano tra baci salati, schizzi d’acqua, sole e risate; i pomeriggi erano fatti per riposare e coccolarsi; le serate per cenare e fare lunghe passeggiate a piedi nudi, sulla sabbia sottile e bianca che si infiltrava tra le dita dei piedi dei due innamorati.
Si tenevano per mano e camminavano al chiaro di luna.
Lei con un semplice prendisole multicolore e i capelli rossi diventati inesorabilmente ricci, che le accentuavano la pelle ormai dorata.
Lui con un pinocchietto beige e una camicetta hawaiana, che lei gli aveva letteralmente costretto ad indossare.
Entrambi avevano i loro sandali tra le mani libere.
Sembrava una di quelle scene che sembrano vedersi solo sulle cartoline o sui bigliettini di San Valentino, ma era tutto reale e persino a Nadine sembrava strano.
Si era ripromessa di pensare agli altri, di lasciarsi stare, di fare il suo cammino, e invece no; si era buttata a capofitto in una storia che non aveva fondamenta, non aveva basi.
Guardava assorta la luna, pensando di star tradendo le promesse che aveva fatto, e non si accorse che si erano fermati e che Shannon la stava fissando.
Si voltò verso di lui che cercava di penetrare nella sua mente.
Voleva sapere cosa le passava per la testa, perché a volte gli sembrava assente, perché gli sembrava distante nonostante fossero vicini come in quel momento.
Impresse il suo sguardo negli occhi smarriti di lei e le chiese: “Cosa c’è che non va?”
Ed eccolo, quel nodo alla gola che le si formava ogni volta che lui la guardava così e le parlava col viso a pochi centimetri dal suo.
Perdeva ogni forza fisica e mentale, perdeva la cognizione del tempo e dello spazio.
Tutto si annullava  e c’erano solo lui e lei.
“Nulla.”
La osservò di sbieco e le lasciò le mani.
Da cinque giorni a quella parte era l’unica risposta che le sentiva uscire dalla bocca. Si stava cominciando ad innervosire, capendo che dietro quel niente c’era tutto.
Lei si sedette su di una piccola duna di sabbia e lui la seguì.
Nadine continuava a guardare la luna- la sua musa ispiratrice, il suo simbolo- e Shannon si irrigidì.
“Nadine, perché quando sei assente e ti chiedo qualcosa mi rispondi nulla e non riesci nemmeno a guardarmi in faccia? E’ per colpa di quello che ho detto? Ti sembro affrettato? Ti sei sentita rifiutata? Rispondimi, però, e guardami!” disse, prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo.
Si sentì uno schifo perché lui si stava incolpando, si stava assumendo tutte le responsabilità che in realtà erano solo sue.
Venne investita dal suo sguardo deluso e preoccupato e le sembrò di sprofondare in un baratro senza fondo.
“Non è colpa tua. E’ colpa mia. Tu non centri nulla, anzi io devo molto a te perché mi stai facendo vivere un songo e non pretendi nulla da me. Rispetti i miei tempi ed hai intenzioni che io ho sempre cercato in uomo, ma il problema sono solo io e non voglio che tu ti assuma ancora le colpe di una cosa che riguarda me. Ti prego!”
Lo stava supplicando con lo sguardo e lui si sentì morire.
Si sentiva per la prima volta vulnerabile agli occhi di una donna, sentiva un vuoto dentro di sé e voleva colmarlo in qualche modo.
In quel modo.
Le strinse la mano e l’attirò a sé, abbracciandola e facendole capire che lui ci sarebbe sempre stato e che l’avrebbe capita e mai giudicata.
“Sta’ tranquilla, okay? Va tutto bene, non c’è motivo di comportarsi come una ragazzina. Sei una donna.” le disse in tono scherzoso.
Lei sorrise tra le lacrime.
“Mi fai sentire come una ragazzina, scemo di un batterista!” rispose, schiaffeggiandolo sulla spalla tatuata.
Shannon la prese di peso in braccio e la portò fino in camera loro.
 
 

Era piccola e accogliente; aveva i muri di un rosa antico e un lettone dal materasso comodo e soffice. Sulle pareti c’era qualche quadretto che ritraeva chissà quali strane specie di animali, e sul comodino c’era una lampada ed un telefono che fungeva da sveglia.
La posò tra le coperte e vi si gettò sopra, dolcemente, baciandole ogni centimetro di pelle a lui visibile. Nadine lo strinse a sé, presa dalla voglia che da un paio di giorni si ostinava a nascondere.
Si unirono in un bacio che sapeva tanto di lotta: lei voleva dimostrargli di poter farlo con lui senza problema alcuno, lui voleva farle capire che poteva resisterle.
La donna prese a leccargli il collo, tra le proteste del musicista, mordendogli la pelle sotto l’orecchio. Sentì il fiato dell’uomo mozzarsi e decise di continuare. Scese a baciargli il petto, facendosi spazio tra la peluria mascolina che tanto le piaceva; prese a sbottonargli lentamente la camicia, mentre lui sotto di lei insinuava le mani sotto il prendisole colorato della sua rossa. Le accarezzò l’addome piatto, seguendo dei disegni invisibili sulla sua pelle; si lasciò travolgere dalla passione e, capovolta la situazione, le sfilò di dosso l’indumento che era d’intoppo. Le morse il collo, facendola gemere piano, e le lecco l’incavo del seno. Nadine gli tolse il pinocchietto e notò la sua erezione già umida nei boxer scuri.
Erano in intimo entrambi, sudati, vogliosi, uniti.
Si baciavano con trasporto, ansimandosi contro le loro stesse labbra; lui le prese un ciuffo di capelli tra le mani e cominciò a torturarla leggermente.
Le esplorava i fianchi con le enormi mani callose, le slacciò il costume e prese a morderle i capezzoli inturgiditi. Li leccava, li baciava e li succhiava proprio come fa un bimbo in fase di allattamento.
E lei gemeva, graffiandogli la schiena con le unghie lunghe e affilate, baciandogli la giugulare e succhiandogli il labbro inferiore. Lui sorrise a quel gesto e capì che era pronta.
La guardò dall’alto e si beò di quella splendida visione.
Aveva i capelli scompigliati sul cuscino candido che li faceva sembrare ancora più rossi, le gote che le andavano a fuoco e le labbra gonfie e succose; gli occhi erano umidi e lucidi di passione. La vedeva sorridere e assentire col capo, come a volerlo spingere a farlo.
Shannon le baciò il mento e le tolse gli slip mentre lei lo liberava dai boxer, ormai stretti.
Nadine divaricò le gambe e attese vogliosa, nel frattempo che lui la continuava a fissare come incantato.
Si sentiva strano, succube di quel sorriso, suddito di quello sguardo e percepì una strana sensazione all’altezza del cuore, che si sciolse.
Capì che la stava amando e che quello che stavano per fare non aveva nulla in comune con quella notte brava a Las Vegas.
Si abbassò su di lei succhiandole il labbro inferiore e la penetrò dolcemente. Le donava spinte lente e dolci, facendosi leva sulle sue muscolose braccia, e sentì le gambe della donna stingersi attorno alla sua vita.
Prese a spingere più forte e la osservò godere sotto i suoi tocchi. Gemiti e sospiri uscivano dalle loro labbra, fin quando lei non decise di invertire la situazione. Si mise sopra di lui andando su e giù piano, mandandolo in completa ecstasy. Le mani di Shannon vagavano sul suo corpo, ma si fermarono all’altezza dei fianchi guidandola e aiutandola, mentre lei si lasciava sfuggire degli urletti. Si abbassò sul petto dell’uomo e gli divorò le labbra, continuando a stare su di lui. Aumentò la velocità dei salti e gli morse il labbro superiore in preda ad un inizio di orgasmo.
Il batterista se ne accorse e la mise sotto di lui spingendo forte e veloce, dentro e fuori assiduamente, godendo sotto le carezze della sua donna. Si accasciò su di lei dopo che, venendo insieme e quasi all’unisono, cacciarono un urlo di puro piacere.
Stremati e sudati, si abbracciarono sotto le coperte decidendo di non aggiungere alcuna parola. Dormirono così, abbracciati, nudi, con il sapore del loro amore addosso.
E sorrideva, Shannon, per aver capito cosa voleva dire amare.
  

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Capitolo 12
*** 11 - Smile ***


11 - Smile

...And when you smile, the whole world stops and stares for a while...
 



Il grande giorno era arrivato, troppo in fretta- come diceva Tomo.
I 30 Seconds To Mars si erano riuniti in un night club, assieme a Drake, per festeggiare l'addio al celibato del loro chitarrista.
Shannon si era preso l'incarico di prenotare un locale tutto per loro e di scegliere le spogliarelliste che più gli piacevano; il tutto, ovviamente, all'insaputa di Nadine.
Jared e Drake si erano presi la briga di bendare il futuro sposo e portarlo al luogo stabilito, cercando di non fargli capire nulla. Per tutto il viaggio Tomo non aveva fatto altro che lamentarsi e fare domande a cui i due amici non rispondevano.
Una volta arrivati nella sala, dove il batterista li stava aspettando, il promesso potè riappropriarsi del piacere di vedere e non volle credere ai suoi occhi: una sala dalle luci basse e soffuse, con una lunga passerella; accanto alla passerella era stata bandita una tavolata lunga che presentava una tovaglia bianca e nera dalla fantasia a tema. Sopra la stofa c'erano tanti diversi tipi di pietanze dalle sembianze gustose e vino e champagne in quantità.
"Ma cosa avete fatto?" chiese il chitarrista sconvolto.
I tre risero.
"Non ti piace?" domandò retorico Shannon. Tomo si voltò verso quest'ultimo e lo guardò torvo come a dire Ovvio che mi piace!
Drake abbracciò il moro.
"Divertiti ora, perchè una volta sposato non potrai far più nulla!"
Tutti risero sguaiatamente al contrario del feteggiato che se ne stava con gli occhi sgranati e si grattava la massa barbosa sul viso, che non aveva tagliato nemmeno in occasione del suo matrimonio.
Si sedettero e inziarono a mangiare e a scherzare sulle forme appositamente falliche dei cibi. Bevvero tanto vino fino a perdere del tutto la lucidità.
Urlavano e ridevano come matti senza alcun motivo e mangiarono fino a scoppiare, fin quando non partì un a musichetta sensuale e le luci si spensero per qualche attimo.
Al riaccendersi dei lampadari e delle lampade, una serie di ragazze fecero apparizione sulla passerella.
Erano in intimo e ce n'erano di tutti i tipi: more, bionde, rosse, orientali, americane, europee, africane e chi più ne ha più ne metta.
A quella visione Shannon ululò come un lupo che canta con la luna piena.
Nessuno si preoccupò di rimproverarlo, data la sbronza, anzi ognuno scelse la propria preda.
Il batterista scelse una mora tutta curve con indosso un semplice completino di pizzo bordeaux e una camicia da notte nera e sbottonata, che si abbinava con i tacchi che indossava; il frontman si abbordò una bionda dalla pelle diafana con l'intimo di un azzurro cielo, che poteva far concorrenza allo splendore dei suoi occhi; Drake era ormai impegnato a divorare le labbra di una ragazza dalla pelle color cioccolato e i capelli neri come l'ebano, che indossava un reggiseno e un perizoma dal colore dell'oro che risaltava la sua carnagione.
Ma la migliore toccò allo sposo: un'europea dai lunghi capelli ricci dai riflessi mielati che andavano in contrasto con gli smeraldi che aveva al posto degli occhi. Indossava un intimo rosa confetto e un fiocco rosso sulla testa.
"Scartami!" gli disse appena gli si avvicinò e lui non se lo fece ripetere due volte.
Le saltò addosso davanti a tutti, mordendole il collo violentemente e sbattendola al muro. Le graffio ogni parte del corpo, concentrandosi sul seno prosperoso, e le passò le mani tra i capelli. Gemevano l'uno conto l'altra, strusciandosi a vicenda.
Tomo sentiva di star scoppiando.
Lanciò uno sguardo agli amici e notò che ognuno era impegnato a suo modo; Jared si stava improvvisando ginecologo in erba con la bionda che gli ricordava una barbie di plastica, Shannon stava mangiando il collo della mora e Drake era sotto le grinfie dell'africana che gli stava facendo un bel lavoretto.
Prese per mano la ragazza e la portò nei bagni, dove la possedette passionalmente.
Sapeva di alcool, sigarette e Diesel, lui,
Sapeva di fragola, mandorle e vaniglia, lei.
Si faceva spazio tra le sue gambe, mordendole un orecchio e succhiandole il collo. Lei, dal suo canto, gli tirava i lunghi capelli scuri e ansimava il suo nome.
"Tomo, scopami, fammi tua, ah- sì, fallo!"
Lui non si sorprese di come lei sapesse il suo nome, ma le chiese come avrebbe dovuto chiamarla.
"Aurora." rispose lei in un sussurro.
Tomo la guardò e spinse più forte, venendo dentro di lei.



"Dai ragazze, non mi va!"
Emma e Nadine stavano facendo di tutto per convincere Vicki ad uscire, ma lei non ne voleva sapere.
"Sono troppo stanca e domani sarà una giornataccia." si era giustificata.
Le due donne, ormai sconfitte, allora decisero di portare un bel maschione a casa della futura sposa e di affittare qualche bel filmatino e un po' di schifezze da mangiare. Ovviamente, non poteva mancare lo spumante a fiumi!
Si presentarono, così, a casa della ragazza con un trilione di buste fra le mani e dei vestiti sexy addosso; mentre Vicki indossava solo un pigiamone azzurro.
Una volta entrate misero su un cd di canzoni anni '80 e cominciarono ad acconciare, truccare e preparare la sposa per l'addio al nubilato più bello che avesse mai avuto!
La costrinsero ad indossare un abitino nero stretto e scollato, un paio di decolletè del medesimo colore e la truccarono leggermente; le alzarono, poi, i capelli e le misero un po' di lacca brillantinata e un litro di profumo.
Cominciarono a bere e a ballare come delle forsennate, ingozzandosi a vicenda di patatine, panna e fragole e perdendosi fra le risate guardando le posizioni strambe della ragazza nel film porno.
Improvvisamente trillò il campanello della porta.
"Se è il mio Tomo, vi ammazzo!" le minacciò a denti stretti la promessa sposa.
Le due risero sotto i baffi, facendo scontarre i loro pugni in senso di Piano riuscito.
Risero più forte quando videro la faccia di Vicki davanti allo spogliarellista ingaggiato per la sua serata.
Era un moretto dai capelli a spazzola e dagli occhi leggermente a mandorla; era vestito da pompiere e guardava le tre donne in modo sensuale. Entrò e imrpovvisò una danza che sprizzava sesso da tutti i pori e si spogliò rimanendo in boxer.
Vicki si coprì il viso con le mani e Nadine lo fissava a mmaliata.
Emma non perse tempo e esi buttò tar le braccia del cubano, che scoprì chiamarsi Juan, e accarezzò quella scutura vivente.
Le due si unirono all'amica e presero, sotto l'effetto pesante dell'alcool, a baciare il ragazzo dappertutto.
L'assistente di Jared gli leccava il collo, la ragazza di Shannon giocherellava col suo ombelico e Vicki gli leccava la spina dorsale.
Juan stava al gicoo, resistendo alle avances delle tre tentatrici, ma alla fine cedette e le possedette tutte e tre su un unico divano: mentre spingeva dentro Emma, le due gli mordevano i pettorali; mentre faceva sua la rossa, le altre due gli succhiavano il collo; mentre possedeva la sposa, le amiche lo baciavano con foga sulle spalle.



Sveglairsi quella mattina non era mai stato così difficile.
Gli uomini si sorpresero di trovarsi ancora nel night club da soli, le donne si sorpresero di trovarsi a casa di Vicki e di essere tutte e tre nude sul divano.
Tomo recuperò i suoi abiti e, dopo essersi sciacquato il viso, chiamò i tre amici che dormivano mezzi nudi sui tavolini. Recuperarono tutte le loro cose e sgombrarono quel locale convinti di non essere visti da nessuno, ma qualcuno si stava già pregustando una vendetta perfetta e ammirava le foto scattate quella notte.
Nadine si stropicciò gli occhi e si grattò un capezzolo che le prudeva; sgranò gli occhi.
Era nuda, sul divano di casa di Vicki che giaceva nuda anche lei e che era bbracciata ad un'Emma denudata.
Cacciò un urlo svegliando le amiche, che ebbero la stessa reazione.
"Cosa è successo ieri?" domandò allarmata la rossa.
Emma scoppiò a ridere, seguita poi dalle altre due.
"JUAN!" urlarono all'unisono, perdendosi tra le risa.




Poche ore dopo...
Una chiesa privata con pochi parenti e amici.
Un Tomo elegantissimo col suo smoking nero e i capelli raccolti in una cipolla dietro al nuca e la barba leggermente incolta, misurava la stanza a grandi passi attendendo l'arrivo della sua amata.
Lanciò uno sguardo ai suoi genitori che rano arrivati la stessa mattina dalla Croazia, accompagnati da Philip e Ivana.
Erano emozionatissimi; Tonka piangeva già, consolata da Damir che guardava fiero suo figlio.
Spostò poi lo sguardo verso i suoi compagni d'avventura  e si meravigliò di trovare Shannon con un completo composto da un pantalone scuro e una camicia bianca, accompagnata da una cravatta sulle nuances bluette. Jared era sempre elegante con l'abito della conferenza stampa del profumo Hugo Boss.
Al loro fianco Drake, con uno smoking che lo faceva sembrare lo sposo, e un sorriso di incoraggiamento stampato sul volto.
Le cugine di Tomo entrarono nella chiesa e annunciarono l'arrivo della sposa.
Il chitarrista sbiancò e tutti si alzarono dopo che il pianista intonò la marcia nuziale.
Entrò pima Emma, col suo vestito rosa antico e le sue scarpe altissime, che si andò a sedere accanto al cantante, poi Nadine, che fece rimanere Shannon a bocca aperta, dato il suo abito cobalto, che la faceva sembrare più bella, e le scarpe aperte e altissime, che la slanciavano.
Fece la sua apparizione, infine, Vicki.
Era una visione e Tomo si commosse leggermente.
Aveva un abito stretto color panna, dal lungo strascico merlettato, un paio di scarpe del medesimo colore e i capelli raccolti in un fiore sulla nuca, dal quale partiva il velo tenuto da un diadema argentato.
Si avvicinò al suo uomo, che la baciò sulle guance, e posò il bouquet di fiori d'arancio sul banco di fronte a lei.
Si guardavano negli occhi i due innamoarti, sperando che il parroco saltasse un paio di frasi così da arrivare al momento più importante.
"...Se volete aggiungere qualcosa, prima che io vi dichiari marito e moglie..."
A quella frase il musicista sorrise, annuendo.
"Vicki, la decisione di sposarti non è venuta da sè, non è la fine di una parte della nostra vita, ma l'inzio di una nuova. Sei troppo importante per me, lo sei diventata col passare dei giorni, con i chilometri di distanza che ci separavano ma che mi facevano capire cosa significavi per me, con le liti telefoniche, con i messaggini dolci, con i baci, con le lacrime, con i silenzi, con gli sguardi, coi sorrisi."
Si fermò baciando le mani della sua donna , che si asciugò una lacrima di commozione.
"Quel sorriso per il quale io morirei, quel sorriso per il quale io darei tutto pur di vederlo sul tuo viso; quel sorriso che mi ha contagiato dal primo istante. Quel sorriso che si fonde col mio, perchè tu sei la metà perfetta del mio cuore. Perchè tu sei il mio cuore!"
I genitori di Tomo sorrisero e si asciugarono le lacrime di gioia e orgoglio; i genitori di Vicki si guardarono emozionati.
Emma si strinse sul braccio di Jared, che le accarezzò una spalla.
Nadine tirò su col naso e prese a bloccar le lacrime con le mani, fin quando Shannon non le porse un fazzoletto di stoffa.
Vicki prese un bel respiro profondo e cominciò a parlare: "Su molti siti web sento dire che tu sei il più brutto della band, che i tuoi capelli sono orrendi e che la tua barba è inappropriata. Cazzate!"
Tutti risero, parroco incluso.
"La tua non è bellezza, quella particolare che ti fa restare senza fiato e che ti fa desiderare di guardarti all'infinito; il tuo non è fascino, quell'odore afrodisiaco che inebria la mente e innalza il mio cuore evrso un paradiso di emozioni. Tu non sei nulla di tutto questo, amore mio, perchè tu sei molto di più. Tu sei l'unico buongiorno che voglio al mattino e che mi manca quando sei in tour; sei l'unica buonanotte senza la quale non potrei far altro che incubi terribili; sei l'aria che respiro, ma soprattutto sei tutti i momenti che mi bloccano il fiato; sei la mia anima, sei la mia vita, sei il mio mondo. Sei tutto, Tomislav Milicevic, ed è per questo che ti amo!"
Un'altra ondata di commozione travolse la sala anche dopo il momento dello scambio degli anelli.
"E col potere conferitomi dallo stato della chiesa, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa!"
Tomo posò le sue labbra su quelle della sua Vicki, tra l'applauso generale.



"Bella festa, eh?"
Nadine sussultò.
"Shan! Mi hai fatto prendere un colpo."
L'uomo rise, porgendole un bicchiere di champagne.
Lo prese e dopo aver brindato, bevvero insieme in un unico sorso.
"Sono così brutto?" domandò, ironico.
Lei rise e gli circondò il collo con le braccia.
"Sei orribile, soprattutto vestito come un pinguino!"
Shannon assunse un'espressione fintamente offesa e si staccò da lei per andare via, ma la rossa lo prese per mano attirandolo verso di sè.
"Non sono brava a mentire, non lo son mai stata. Sei stupendo stasera."
"Tu sei una visione, rossa. Stai tentando alla mia incolumità!"
Risero stretti in un abbraccio, quando partì una musica romantica.
Ballarano lentamente.
"Chissà se un giorno potremmo sposarci anche noi..."
"Ci son già passata, ricordi?"
"Ma se è finita non è stato vero amore."
"Sai perchè è finita."
"Sai perchè è andato con tua sorella."
Respirò pesantemente sul collo del suo uomo.
"C'è un altro perchè di fondo che ha spinto Joshua tra le braccia di Aurora."
Lui la guardò stralunato.
Voleva dirglielo.
Doveva dirglielo.
"C'erano già problemi tra di noi, che riguardavano una mia condizione che a lui non andava giù."
Ci stava girando intorno e presa com'era a pensare al giusto modo per dirglielo, non si accorse che il batterista si era letteralmente perso nei suoi occhi e la gaurdava ammaliato.
Prese una grossa boccata d'aria, simile ad uno sbuffo, e coraggiosamente iniziò: "Shannon, io sono..."
"Ti amo, Nadine..."







Ok, mi scuso per il ritardo, am tra compiti e interrogazioni finali non riuscivo a trovare il tempo di uscire.
Alooooooora, spieghiamo un po' di cose: dunque, il matrimonio non so quando avverrà ma io ne avevo bisogno in questo istante. Spero abbiate visto le foto dell'intervista a Jared per la presentazione del profumo (:-Q___)
Eniuei, spero vi piaccia  e vi ringrazio tutte per le recensioni che mi rendono soddisfatta del mio lavoro.
Hope you enjoy!
TittaH.

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Capitolo 13
*** 12 - Lie ***


 12 – Lie
 

…I love the way you lie…
 







Si può racchiudere un sentimento in cinque lettere?
Si può esprimere appieno un'emozione che è in grado d stravolgere un'intera vita?
Si può rinnegare di provare un sentimento simile?
Si può rinunciare ad un Ti amo?






"E sei stata zitta?"
Drake le stava facendo il terzo grado da mezz'ora e lei si era già pentita di avergli raccontato ciò che era accaduto la sera prima alla festa di Tomo e Vicki.
Annuì soltanto.
“Cioè, fammi capire: lui ti ha detto che ti ama e tu l’hai fissato in silenzio e sei scappata via senza dirgli nulla?”
La stava trattando come una bambina di tre anni e non lo sopportava.
Annuì di nuovo.
Lo vide alzarsi e sbattersi le mani sulle cosce, scuotendo energicamente il capo.
Sbuffò.
“Scusa, mi spieghi qual è il tuo problema, Drake?” sbottò, spazientita, Nadine, che si mise sdraiata sul divano intenta a premersi un cuscino in faccia pur di non vedere le espressioni irritanti del suo migliore amico.
L’uomo si girò di scatto verso la donna e rise forte, scatenando ancor di più l’ira della rossa.
“Qual è il mio problema?! Qual è il tuo problema, Dì, perché davvero non so più che pensare. So che lo ami o che almeno provi un sentimento enorme per Shannon, ed ora che lui te lo dice tu lo scarichi e non ti fai sentire. Cosa c’è che non va?”
Nadine si alzò dalla posizione in cui era e si mise di fronte all’amico, ringhiandogli in faccia.
“Vuoi sapere qual è il mio problema, Drake, vuoi saperlo davvero? Va bene, ti accontento, ma non venirmi a chiedere scusa! Stavo per raccontargli del tumore, mio caro Key, ma lui se n’è uscito col suo bel ti amo che mi ha completamente destabilizzata. Non sapevo che dire, che fare, sapevo solo di star nascondendo qualcosa di troppo grande, qualcosa più grande di qualsiasi altra dichiarazione d’amore. L’unica via d’uscita che ho trovato in quel momento è stata la porta e giuro che quando me la son chiusa alle spalle son stata di merda e ho pianto come non ho mai fatto in vita mia. Ho pianto perché ancora una volta non gliel’ho detto e più passa il tempo e più il tempo finisce e meno potrò dargli spiegazioni che lui si merita, soprattutto dopo la sua rivelazione. Contento ora?!”
Gli sputò in faccia tutto il veleno e lo schifo che si portava nello stomaco. E non risparmiò le lacrime, che copiose scendevano sul suo viso che cominciava ad impallidirsi, segno di un inizio di malore.
Drake la fece sedere e le diede un bicchiere d’acqua, premendole un mano sulla fronte che pulsava.
“Sai perché non lo chiamo? Perché ho paura: paura di averlo deluso, paura di essermi illusa, paura di non aver tempo per godermi la storia con Shan, ma la mia paura più grande è quella di dirgli la verità e vedermi sbattere la porta in faccia come ho fatto io ieri. E la cosa che più mi ferisce è che so di meritarmelo!”
Stava urlando in preda ad una crisi di panico troppo potente, che lui non aveva mai visto nemmeno durante il periodo di chemioterapia.
La strinse forte contro il suo petto, sussurrandole che era tutto okay e che tutto si sarebbe sistemato, e la fece addormentare.

 
 
 

Era chiuso nella stanza insonorizzata, che aveva a casa sua, da un’infinità di tempo.
Jared era preoccupato e non riuscì più a star fermo nella cucina del fratello. Decise di andare a bussare.
Salì le scale velocemente e arrivò nella camera in cui vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: Shannon buttato su Christine in preda alla disperazione.
Non entrò subito, ma decise di aspettare per vedere qualche sua reazione.
Infatti lo vide alzarsi d’impeto e rompere le sue bacchette preferite nella frenetica musica che stava improvvisando.
Mise le cuffie e ciò che ascoltò era un misto tra dolore e rabbia.
Suoni forti e aspri venivano fuori dalla grancassa, che sembrava stesse urlando tanto forte quanto non lo stesse facendo il fratello.
Entrò, lo bloccò per le spalle e, senza dir nulla, lo abbracciò, consapevole che se avrebbe parlato lui spontaneamente.
Andarono assieme nella stanza da letto e si stesero sul letto a due piazze.
Fissavano il soffitto in silenzio, fin quando il batterista non ruppe anche quello.
“Le ho detto che la amo.”
Jared sbatté un po’ le palpebre, come a voler capire un significato diverso di quella frase, ma giurò di aver capito bene.
Suo fratello aveva ammesso di amare una persona al di fuori della sua famiglia; sorrise commosso, volgendo lo sguardo verso quest’ultimo che aveva cominciato a piangere.
“E’ scappata. Non mi ama, non mi ha risposto, sono un coglione! Come mi è passato per la testa che una donna bella, intelligente e speciale come lei, si possa essere innamorata di un farfallone come me? Sono un coglione, Jay!”
Si fiondò fra le braccia del fratello minore e pianse fino alo sfinimento, mentre cercava di capire come mai Nadine lo avesse rifiutato in tal maniera.
Si ritrovò a pensare, nuovamente, alla sua unica fonte di sicurezza: Drake.
 
 
 
 
L’orologio che scandiva i secondi.
Un silenzio imbarazzante.
Drake e Jared che li fissavano in cerca di qualche movimento.
Shannon che guardava Nadine, che guardava le sue unghie mal curate.
Uno sbuffo.
“Allora?” sbottò il cantante, appoggiato dal moro.
Nadine smise di contemplare le sue mani e spostò lo sguardo sui due amici che ammiccavano all’uomo di fronte a lei.
“Non devi dirgli nulla?” le chiese retorico l’amico.
Questa volta fu lei a sbuffare.
“Shannon, odio chiedere scusa perché vuol dire che ho fatto qualcosa su cui non ho riflettuto, ma devo farlo. Se non ti ho risposto e se son scappata così è perché ho paura.”
Il batterista la fissava cercando di capire a cosa lei si riferisse e la lasciò continuare, nonostante vedesse come fosse in difficoltà.
“Non sono una buona persona, io. Non sono quello che credi. Ho dei segreti troppo grandi dentro di me che non so come svelare. Sono troppo importanti e non ho la forza e il coraggio per dirteli. Non è che non  mi fidi, ma ho paura che dopo le mie rivelazioni tu possa scappare come ho fatto io. Non puoi amarmi perché non mi conosci, tu non…”
“Smettila!” la interruppe l’uomo. “Non dire più queste cazzate, okay?” continuò alzando la voce.
I due uomini che assistevano alla scena si guardarono esterrefatti.
Nadine trattenne il respiro.
“Non c’è bisogno di tutte queste scuse, puoi ammettere che non mi ami e che sei ancora legata a lui. Puoi dirmelo che odi tanto tua sorella perché continui ad amare Joshua. Basta con le menzogne. Basta!”
Urlava come un ossesso e Drake fu zittito e fermato dal frontman, poiché vide la rossa alzarsi e andare verso il fratello.
“Non sai nulla di me e non devi permetterti mai più di parlare del mio matrimonio fallito e del rapporto con mia sorella!”
“Non so nulla di te perché tu ti nascondi da me! Fingi di essere ciò che non sei perché vuoi essere migliore per te stessa.”
Uno schiaffo forte, in piena guancia.
Shannon la guardava malamente e stava per ribattere, ma fu preceduto dalla donna.
“Se sono quel che sono è per via della mia mal…”
Il trillo del campanello bloccò tutti.
Nadine, incazzatissima per essere stata bloccata ancora una volta nel momento delle verità, andò ad aprire e si ritrovò di fonte ad un pacco con un biglietto sopra.
“Cos’è?” domandò Drake e lei scosse il capo.
Lesse il biglietto che presentava una calligrafia conosciuta.
 

‘’Guarda bene le foto e guardati bene da chi frequenti.                                                                                        A.,,
 

 

Aprì il pacco e vi trovò foto di Shannon con altre ragazze e tutte riportavano la data della sera precedente alla dichiarazione.
Non si sorprese di trovare fra le ragazze sua sorella, che aveva deciso di intraprendere la vita di sua madre, ma si sorprese di vedere il suo uomo avvinghiato ad una mora tutta curve e tette grosse.
Gli sbatté le foto in faccia e gli urlò tutto ciò che pensava.
“Ed io che credevo di essere l’unica ad avere segreti! Ed io che da stupida stavo per dirti che ti amavo! Come hai potuto dirmi che mi ami dopo che sei stato a puttane? Come puoi essere così finto e poi dire che son io quella che non ti ama? COME?! Ora tu esci fuori dalla mia casa, dalla mia vita e mi lasci stare! Non cercarmi più!”
Salì furiosa in camera sua, lasciando a Drake l’arduo compito di mandarli a casa.
  

 
 
 
“Drake, c’eri anche tu alla festa di Tomo! Ma perché ha fotografato solo me?”
Shannon era in preda alla disperazione, mentre cercava di spiegare, ma l’amico non poteva non rispettare le decisioni della sua migliore amica.
“Lo so, Shan, lo so, ma Aurora è fatta così e io son stato stupido a non riconoscerla. Quello che devi fare ora è sparire, è meglio per tutti. Non ti perdonerà mai.”
Jared resse il fratello che stava per cadere e lo portò fuori, salutando il moro.
“Promettimi che le parlerai.” disse il leader.
Drake si strinse nelle spalle.
“Ci proverò.”
Si salutarono e, una volta chiusa la porta, ebbe la strana sensazione di aver chiuso anche due splendide amicizie.
           


 


  
 




Note dell'autrice: il mio intento era quello di farvi piangere e spero di esserci ruscita. Non odiatemi per favore! Vi ringrazio tutte per le recensioni e per l'affetto. Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa credete che succederà. TittaH.

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Capitolo 14
*** 13 - Lacrime ***


 13 – Lacrime

 
…E invece no, non ci sei tu a farmi ridere, fermale tu queste cazzo di lacrime…
 

 
Quando hai il cuore a pezzi, l’anima pesante, il fiato mozzato, gli occhi pieni di frustrazione e la bocca piena di parole, l’unica diagnosi è mal d’amore.
Quando hai la pelle pallida, il voltastomaco, il mal di testa, la nausea e una stanchezza immane, l’unica diagnosi è tumore al fegato.
La cura per la seconda malattia è evidente e dolorosa e molto spesso si sceglie di lasciar correre; la cura per il primo male non c’è.
Non esiste nulla che può ricucirti il cuore, soprattutto se è già stato riparato in precedenza; non esiste nulla che può alleggerirti l’anima, soprattutto se è carica di segreti e bugie represse; non esiste nulla che può farti respirare di nuovo, soprattutto se è proprio il nulla a impedirti di fiatare; non esiste nulla che può asciugarti gli occhi, soprattutto se a farlo sono state già le lacrime; non esiste nulla che può farti dire ciò che vorresti, soprattutto se le tue stesse parole sono tue stesse nemiche.
Non esiste nulla contro il mal d’amore, ma esiste qualcuno.
Esiste qualcuno, ma quella persona è la medesima che ti ha provocato tutto questo.
Lui è la malattia e la cura.
Non faceva altro che ripeterselo in mente come una filastrocca, quasi come fosse una preghiera, un motto di vita che teneva saldi i pezzi.
Se ne stava chiusa in camera e fissava il muro di fronte a lei, che sembrava raffigurare le loro scene come se fosse al cinema e il muro fosse il telone bianco. Ma la loro non era una di quelle romantiche storie d’amore in cui tutto finisce bene.
La sua vita non era mai stata rose e fiori, lo sapeva bene, ma non era neanche mai stata così spinosa.
Ogni tanto il suo cellulare, posato sul comodino accanto al suo letto, si illuminava e lei leggeva i messaggi che Drake le inviava.
Le chiedeva di scendere e mangiare o di andare a far due passi o semplicemente le domandava come stava.
La sua risposta era sempre la stessa.
No, grazie, sto bene così.
Ma sapeva di star mentendo, appesantendo maggiormente il macigno sulle sue spalle, e sapvea che lui la capiva e non saliva da lei per lasciarle lo spazio e il tempo.
Sorrise, assaporando le ultime lacrime.
Era felice di aver Drake accanto a sé, perché la comprendeva e sapeva come e quando intervenire.
In quel momento pensò al rapporto che c’era tra il suo amico e i fratelli Leto. Decise di lasciarli vivere la loro amicizia, ma lei ne sarebbe stata fuori.
Si alzò dal letto per andare dal moro al piano di sotto, ma il BlackBerry cominciò a vibrare; lo prese con la paura di vederlo in frantumi sul pavimento e lesse il nome della persona che stava chiamando.
Perse un battito.
Joshua.
Solitamente rifiutava o faceva entrare la segreteria, ma quella volta- per insultare sua sorella e per verificare che ciò che le aveva detto Shannon era falso- rispose.
“Dimmi.” rispose fredda.
Dall’altra parte seguì un silenzio sorpreso e poi uno schiarirsi di voce.
“Nadine. Come stai?” le chiese l’ex marito.
“Bene. Mi sono arrivati i soldi del mantenimento, ma sappi che non li uso come credi tu.”
Non sapeva perché gli stesse rivelando tutto, non sapeva perché aveva deciso di ascoltare la voce di colui che le aveva distrutto tutto ciò a cui teneva.
“Nana, ti devi curare. Pensavo che dopo il divorzio, quando mi chiedesti di voler vivere la tua vita serena, intendessi ricominciare la chemio…”
Nana.
L’aveva chiamata come era solito fare nei momenti intimi.
Non provò nulla e sorrise, perché ebbe la conferma di essere completamente distante dal suo passato.
“Punto primo: non chiamarmi più così. Punto secondo: i soldi mi spettano e decido io della mia vita. Punto terzo, e chiudo: non hai alcun diritto o potere sulla mia vita. Intesi?”
“Nadine, io ci tengo a te e ti do il mantenimento per farti star bene, non per giocarci. Eri testarda e non sei cambiata per nulla! Ecco perché è finita tra noi.”
Chiuse gli occhi dal dolore che era simile a quello che si prova quando si viene perforati da una lama sottile e affilata.
“E’ finita perché hai deciso di andare a letto con mia sorella!” urlò, ascoltando il suo rimbombo nella stanza che era diventata vuota.
Udire le proprie parole, udire le parole che per anni si era rifiutata di pronunciare, le fece male.
Troppo.
“Andavo con tua sorella perché era ineccepibile per me vivere con una donna che avrei potuto perdere da un momento all’altro. Andavo con tua sorella perché mi era difficile capirti. Andavo con tua sorella perché ti sentivo distante!”
Lo stavano facendo di nuovo, a distanza di anni.
Stavano discutendo di nuovo su quel fronte sul quale non aveva affatto cambiato idea.
Stavano discutendo di nuovo, come tanti anni prima.
Troppi.
“Non provare a scaricare le colpe su di me! Hai preso la strada più facile, perché per te era inconcepibile l’idea di restare solo imprvvisamente. Invece di provare a starmi accanto hai preferito scappare e l’hai fatto nel modo peggiore che potessi fare. Sei andato con mia sorella, col sangue del mio sangue, con l’unica persona che mi resta della mia famiglia! Andavi con mia sorella perché è una puttana!”
Gli stava gridando nelle orecchie tutto quello che in quei cinque anni non era riuscita a dire.
Le frasi uscivano da sole, iniettate di sangue e lei sperava di stargli facendo male almeno un minimo di quanto lo fosse stata lei.
“Tua sorella non è una puttana. Non possono essere tutte puttane solo perhè tu non riesci a farti una vita!”
“Io me l’ero fatta un’altra vita, sai? Ma la tua ragazza ha pensato bene di scoparsi anche lui e di portarmi le foot come prova!”
Silenzio.
Lo aveva colpito, lì dove più gli faceva male.
“Non dici nulla?” lo sfidò, sorridendo serafica.
Aveva voglia di vendetta.
Voleva vederli divisi, voleva vederli soli, voleva distruggerli come loro avevano fatto con lei senza scrupoli o pentimenti.
Mi dispiace, Nadine.”
Non sapeva a cosa si riferiva quella sue esternazione, perciò decise di chiudere la conversazione senza aggiungere altro.
 
 
 
La sentiva urlare come una scatenata.
Sapeva con chi stesse parlando, ma decise di non intromettersi e di aspettarla quando fosse scesa da lui a raccontargli tutto.
Chiuse il portatile, col quale stava lavorando con alcuni rifornitori, e prese il cellulare.
Un mese.
Era passato un mese da quel giorno e non li avev apiù sentiti.
Aveva nostalgia delle loro risate, dei loro pomeriggi insieme e dei loro piani malefici con fini benevoli.
Ogni giorno, da quel giorno, combatteva contro l’irrefrenabile voglia di chiamarlo o mandargli un SMS per sapere se anche Shannon stesse male quanto Nadine, ma non sapev acosa ne pensava lei.
La sentì urlare più forte di quella sua storia andata male e premette la cornetta verde, avviando la chiamata.
Uno squillo, due squilli, tre squilli…
“Pronto?”
Sorrise, capendo che non aveva letto il mittente.
“Jared!”
“Drake! Oddio, cosa è successo? Perché non ti sei fatto più sentire?”
Lo sentì agitato, ma felcie.
“Scusami, ma Nadine non mi parla da un mese e son stato malissimo. Quando ci son io non scende mai a mangiare e se ne sta sempre a piangere. Non so che fare!” sbuffarono insieme.
“Come sta Shan?” continuò, poi.
Lo sentì schiarirsi la voce e tossire leggermente.
“Male, ma siamo in tour da qualche giorno e sta scaricando tutto il nervoso. Da’ il meglio di sé e cerca di non mostarmi quanto sta male, ma so che gli manca.”
Un attimo di silenzio imbarazzante e poi una lampadina si accese sulla testa di entrambi.
“Ascolta e se ti dessi due pass per il concerto che terremo a Los Angeles fra qualche giorno? La costringi a venire ad una festa privata e entrate con quei pass. Falle mettere l’abito rosso e falla conciare come quel giorno. Non dirò nulla a Shan e li faremo incontrare.”
Drake rise di gusto, pensando che i loro cervelli fossero legati da chissà quale legame particolare.
“E’ esattamente ciò che stavo per dirti io!”
Anche Jared rise e si misero d’accordo sugli ultimi accorgimenti.
“Allora d’accordo così?” chiese il frontman.
“D’accordissimo!” rispose l’amico, assentendo col capo.
“Ci si vede presto, allora.”
“A presto, bro.”
E quando chiuse la telefonata, si sentì più leggero.
 
 
Suonare Night Of The Hunter dal vivo non gli era mai sembrato così facile
Scaricava tutta la sua rabbia, le sue debolezze e i suoi pensieri sulla sua batteria.
La sua Christine.
L’unica che c‘era , che lo capiva e lo supportava in ogni momento.
Giocava con i tom e con i piatti, battendo forte il tempo con la grancassa, che sembrava seguire il suo battito cardiaco.
Solo sul palco respirava e si sentiva forte; solo sul palco si sentiva vivo e spensiertao; solo sul palco si sentiva amato.
Ma una volta fuori dalle scene, la maschera di indolore e indifferenza si riempiva di crepe che, con l’aiuto delle lacrime, la distruggevano sfoggiando un lato di Shannon Leto che nessuno conosceva.
Nessuno tranne i suoi ragazzi.
Da ormai un mese dopo ogni concerto invece che scoparsi le Echelon, stava in compagnia di Jared e Tomo che cercavano in tutti i modi di farlo svagare.
Ma tutte le sere finivano nello stesso modo: Shannon ubriaco che piangeva e diceva la verità che avrebbe voluto dire a Nadine.
“Ma perché invece di bere non vai da quella biondona che ti fissa?”
Gli amici glielo chiedevano ogni sera e lui ogni sera rispondeva, scosso dai singhiozzi, “Lei non è lei, okay? Non ha i capelli rossi come il sangue che scorre nelle mie vene; non ha gli occhi verdi come due pietre preziose, che possiedono l’unico sguardo capace di tenermi testa. Non ha il suo profumo di cocco e vaniglia e non ha la sua voce. Lei non è lei!”
Tomo lo accompagnava nella sua suite e restava con lui fin quando non si addormentava.
“Ricordi quando ti chiesi cos’era l’amore?” disse, improvvisamente, una sera al chitarrista che giaceva accanto a lui.
Il barbuto assentì, silenziosamente.
“Ora che l’ho assaporato e che l’ho sfiorato e che l’ho perso, beh ora lo so.”
L’amico lo osservò dolcemente, poggiandogli la coperta sulle spalle.
Sorrise.
“Deve per forza andare così, Tomo? Devi per forza perdere qualcosa per renderti conto di quanto fosse importante e vitale per te?”
“Sai cos’è importante e vitale per tutti noi, Shannon?” chiese, vedendo il batterista scuotere il capo.
Sospirò, alzandosi dal letto, e si avvicinò alla porta che aprì per uscire.
“Che tu sorrida, Shan.”
Senza aggiungere nulla si chiuse la porta alle spalle, lasciandolo nel suo letto a pensare.
“Ma lei non c’è comunque.” sussurrò nel silenzio buio e solitario della sua stanza ombrosa.

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Capitolo 15
*** 14 - Stronger ***


 14 – Stronger
 

…Don’t act like I never told you…

 
 
Ritornare alla propria vita, riappropriarsi della propria libertà e delle proprie abitudini, non sempre è facile.
Soprattutto se sfuggi a qualcosa e se scappi da qualcuno.
Soprattutto se fai di tutto per mostrarti felice agli occhi di chi ti ama e non vuole vederti soffrire.
Il tour era ricominciato da un paio di settimane e Shannon ce la stava mettendo tutta. Si allenava tre ore in più per non restare solo a pensare, on stage non si fermava mai per far vedere agli Echelon e agli stessi Mars di essere sempre lo stesso e quando tornava sul tour bus faceva le cose più disparate e assurde pur di non perdersi nei ricordi.
Ogni volta che gli chiedevano qualcosa si piazzava sul volto una finta espressione serena e felice e rispondeva col sorriso più tirato che avesse mai fatto.
I compagni di viaggio lo conoscevano bene e fingevano di crederci, ma sapevano bene quanto lui soffrisse della mancanza di Nadine e quanto si sentisse in colpa per averla persa.
Una sera lo convinsero a uscire con una tipa, ma si sorpresero di sapere che non se la portò a letto, così Tomo e Jared si convinsero che con l’aiuto di Drake avrebbero dovuto far di tutto per farli tornare insieme.
“Una festa!” sbottò improvvisamente il croato, rompendo il silenzio religioso che vigeva nel bus.
Il cantante sorrise, ma lo zittì siccome Shannon dormiva al piano superiore.
“Dovrei chiamare Drake, allora.” costatò il biondo.
Tomo annuì e, nello stesso momento in cui Jared prese il BlackBerry fra le mani, questo cominciò a trillare forte.
Il nome di Drake comparve sullo schermo lampeggiante.
I due si sorrisero complici, ringraziando un chissà quale Dio per quella fortuna.
“Drake!” esclamò il leader, riempiendo l’amico di domande e informandolo sulla questione del fratello.
Non si sorprese di sentire che Nadine stava tanto male quanto il suo batterista.
“Avrei un piano, Key!”
“Spara!” lo sentì dire frettolosamente.
Gli spiegò il piano, sotto lo sguardo curioso di Tomo che era letteralmente poggiato sulla spalla dell’amico per sentire la telefonata, e attese una risposta.
“E’ proprio quello che stavo pensando io.”
Sorrise di gusto, capendo che non era un caso ma che era la forza della loro amicizia.
Finirono di mettersi d’accordo e si concordarono appuntamento fra qualche settimana per gli ultimi accorgimenti.
Quando Jared premette il tasto con la cornetta rossa, il chitarrista si buttò di peso su di lui per sapere tutto.
“Allora?” domandò impazientemente.
“E’ andata!”rispose semplicemente.
 

 
Qualche settimana dopo…

“Ho detto che non mi sarei mai più innamorata e l’ho quasi fatto per colpa di quella festa. E’ per questo che ho promesso a me stessa di non venire più a nessun party con te e tu che fai? Mi svegli di prima mattina, di sabato, e mi dici di indossare il mio solito abito rosso perché sei stato invitato da un amico e hai bisogno obbligatoriamente di una compagnia femminile!?”
Nadine stava inveendo contro Drake che l’aveva bruscamente svegliata per raccontarle della festa.
L’uomo aveva previsto una reazione simile, ma sapeva che in fondo le faceva piacere uscire e farsi bella.
Era pur sempre una donna.
“Senti Dì, senza storie tu ora ti alzi, ti lavi, fai colazione, ti prepari e con i soldi del mantenimento fai una bella cosa: una mattinata alla spa. Pensa un po’ a te, almeno una volta.”
La donna lo guardò torva.
Cosa non aveva capito del fatto che lei non voleva e non doveva affatto pensare a se stessa, ma agli altri?
Cosa c’era di così incredibile nell’essere generosi per sentirsi bene con se stessi?
Cosa c’era di così sbagliato?
“Ma quei soldi io li investo diversamente. Li uso per aiutare la gente che ne ha bisogno.”
Drake sbuffò, roteando gli occhi verso l’alto e sedendosi accanto alla rossa che giaceva ancora nel suo letto.
“Mettiamola su questo piano, allora: io ho bisogno che tu sia felice; quindi non lo fai per te, ma per me. Uscirai da lì più forte di prima.
L’amica incrociò le braccia al petto e, dopo aver sbuffato sonoramente, si levò le coperte di dosso e sparì dietro la porta del bagno della sua camera da letto.
“Grazie!” urlò di rimando Drake, ridendo soddisfatto e avvisando Jared delle ultime notizie.
 
 
 
Non ci poteva credere.
Erano esattamente quindici ani che non entrava in una beauty farm.
L’ultima volta era stata due giorni prima del suo matrimonio con Joshua; si era fatta massaggiare tutto il corpo con dei fanghi adatti, si era fatta fare una pulizia del viso, si era fatta fare la ceretta a tutto il corpo e poi aveva passato i pomeriggi tra piscine e saune.
Era stato il giorno più rilassante di tutta la sua vita.
Sorrise al pensiero di quanto le era mancato sentirsi così bene e si avviò a passo spedito verso la reception, dove una ragazza dai lunghi capelli corvini, raccolti in una coda bassa, attendeva le varie clienti.
“Buongiorno signorina, ha una prenotazione?” le disse cordiale e professionale.
“Buongiorno. No, non credo di avere una prenotazione, ma ho tutti i soldi che servono con me.” rispose, tirando fuori dalla borsa l’assegno. Senza accorgersene cadde un fogliettino che si scoprì essere un numero di prenotazione.
“Mi scusi, credo… Credo che la prenotazione sia questa.” disse incerta alla receptionist che verificò sul suo portatile.
“Prenotazione fatta a nome di Drake Simmons per la signorina Nadine Sweet, corretto?”
Annuì sommessamente, seguendo le indicazioni della giovane.
Si ritrovò stesa su un lettino, con un paio di donne che le massaggiavano delicatamente la schiena e le gambe.
Sulle loro mani poteva sentire una sostanza oleosa che le percorreva sulla pelle, facendola sentire al settimo cielo.
Sotto il tocco delle massaggiatrici dimenticò tutti i suoi problemi per un paio d’ore, fin quando non la fecero girare per farle la pulizia del viso.
Passò poi nella sala epilazione, dove le fecero la ceretta su tutta l’epidermide e poi andò in piscina.
L’acqua cristallina e pulita le ricordò la vacanza alle Maldive fatta qualche mese prima con Shannon.
Prese un respiro profondo e si sommerse nella freschezza di quella piscina e affogò tutti i pensieri che non le servivano in quel momento.
Uscì dall’acqua e si diresse verso la sauna; il calore la faceva sudare e le goccioline che le percorrevano sul corpo le cero tornare in mente il calore di quella nottata sotto le stelle dove fecero l’amore di nuovo, dopo la prima volta. Quel calore, però, non era minimamente paragonabile al calore che provava quando lo guardava negli occhi.
Li chiuse, stringendoli forte, per dimenticare e ricacciare indietro le lacrime che dispettose spingevano per uscire e bruciarle il volto.
Ritornò nello spogliatoio e raccattò la sua roba, dirigendosi nuovamente alla reception.
Ringraziò per il lussuoso servizio e, ormai era sera, si diresse a casa sua.
Per tutto il tragitto non fece altro che pensare alla frase di Drake.
Uscirai da lì più forte.
Aveva ragione- come al solito, pensò- perché dopo aver ricordato, pianto e dimenticato, era pronta ad una nuova vita.
Alla sua.
 
 

Una villa fuori città molto luminosa, spaziosa e piena di gente.
Le auto arrivavano una dopo l’altra parcheggiandosi come meglio potevano e, mostrato l’invito, entravano per passare la serata più bella della loro vita.
Il padrone di casa se ne stava davanti l’ingresso con l’aria di chi attendeva ansiosamente qualcuno.
“Chi aspetti?” gli chiese una voce familiare alle spalle.
Si girò e sorrise al fratello che lo guardava curioso.
Aveva una camicia bianca, lasciata aperta sul petto, e un jeans chiaro non molto stretto.
“Nessuno.” rispose facendo il finto tonto.
Shannon alzò le spalle e ritornò alla festa.
Jared vide una macchina grigia prendere posto nell’enorme parcheggio.
“Sono arrivati.” Mormorò tra sé e sé, cercando poi Tomo con lo sguardo.
Gli fece segno d’assenzio e il chitarrista colse al volo ciò che voleva dirgli. Lo vide avvicinarsi con Vicki a Shannon e risero a chissà quale battuta.
Poi li perse di vista perché entrarono nella sua villa estiva.
Si nascose tra i suoi invitati e attese l’entrata di Nadine e Drake.
Lui, sempre con uno dei suoi tanti smoking, lei col suo abito rosso fiammante e un’aria serena e sicura di sé.
Gli sembrò diversa, ma non diede molta importanza alle sue impressioni.
Li sentì ridacchiare e si beò della di lei risata.
Entrarono nella sua abitazione, in cui lei non era mai stata, e lui li seguì senza farsi vedere.
Nadine lasciò il suo soprabito nell’apposito armadio e Drake lo cercava tra la gente.
Gli inviò un SMS dicendogli di lasciarla sola con qualche scusa.
Nel giro di pochi attimi se lo ritrovò di fronte.
Si guardarono a lungo e, dopo un lunghissimo mese, si abbracciarono.
“Speriamo vada tutto per il meglio.”
“Già.” rispose il moro, perdendo lo sguardo nella sala festosa.
 
 

Se ne stava vicino al bancone delle bibite e stava per versarsi un po’ di ponch, quando si sentì toccare una spalla.
Rabbrividì, riconoscendo la sua impronta digitale che era ormai tra il registro dei primi indiziati per l’assassinio del suo cuore.
Non si voltò e continuò facendo finta di nulla.
“Nadine…”
Un sussurro sulla pelle e il ponch cadde rumorosamente sul suo stomaco, che cominciò a volteggiare.
Mai il suo nome le era sembrato così bello.
“Nadine, ti prego, perdonami.”
Posò il bicchiere sul tavolo e si diresse verso uno dei divanetti posti nella sala.
Si sedette, credendo che Shannon avesse perso le sue tracce.
Si sbagliava.
In un attimo se lo ritrovò di fronte e i suoi occhi la spazzarono via in un universo parallelo in cui regnava sovrana la fantasia.
Sentì per un attimo la sua razionalità andare  a farsi benedire, ma poi ricordò la frase di Drake.
Uscirai da lì più forte di prima.
Più forte.
“Che ci fai qui?” gli chiese con un tono di sufficienza e uno sguardo disinteressato.
Shannon la fissò cercando di capire se fosse davvero la sua Nadine quella che lo guardava come se non fosse altro che un conoscente qualsiasi.
“E’ la festa di mio fratello.” rispose lui, stizzito.
Lei sgranò gli occhi.
Ancora loro, pensò scuotendo il capo e alzandosi per andar via.
“Dove vai?” le chiese, afferrandola per un braccio.
Lei si scostò malamente, incenerendolo con lo sguardo.
“Non so chi ti abbia dato tutta questa confidenza. Non toccarmi mai più.”
Se solo la musica avesse continuato a rimbombare nella stanza per un’altra manciata di secondi, ora lei si sarebbe risparmiata quell’esimia figura di merda.
La sala li fissava come se stessero assistendo a una scena di un film d’amore.
Non comportarti come se non ti avessi mai parlato!” sbottò, il batterista irritato e fregandosene della gente.
“Ti ho detto che ti amo, ho fatto una cazzata e voglio rimediare, ma dopo stasera ho i miei dubbi sulla tua maturità. Non so se voglio ancora chiederti scusa!”
Quelle parole la investirono come una tempesta di coltellate sempre nel solito punto che lui sapeva e sul quale non doveva andare a colpire.
Sentì l’aria mancare e cominciò a correre fuori dalla villa.
Pochi passi, una manciata di minuti, il rumore delle gomme di un’auto e poi urla generali.
E il cuore di Shannon perse un battito…

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Capitolo 16
*** 15 - Secret ***


 15 – Secret
 

…A secret is out…
 

 
Notte fonda.
Era dentro la sala operatoria da tre ore.
Nella stanza d’attesa, seduti e ansiosi, c’erano Jared, che sosteneva suo fratello ridotto a uno straccio, e Drake che sembrava stesse in uno stato di trance. Accanto a loro l’uomo che guidava l’auto che aveva investito Nadine.
Si teneva la testa fra le mani e ogni tanto pregava in una lingua sconosciuta.
Poco dopo arrivò Tomo, che era andato via con Vicki che si era sentita male per lo spavento, assieme a Emma, che appena arrivò all’ospedale si fiondò tra le braccia di Shannon.
La stringeva passivamente, senza forze, senza voglia.
La bionda si staccò e lanciò uno sguardo a Jared, che sospirò, e si avvicinò a Drake.
“Come è successo?” chiese il croato, rompendo il silenzio tombale che avvolgeva il corridoio bianco e spento.
“Correvo un po’; mia moglie aveva le doglie e dovevo portarla in ospedale. La strada era bloccata, così ho dovuto fare il giro e allungare di molto. Correvo di più! Son passato davanti alla villa in cui c’era una festa, sentivo la musica, il nervosismo, mia moglie che si lamentava, mio figlio che stava per nascere e poi lei…”
L’uomo stava raccontando l’accaduto con gli occhi chiusi, come a voler ricordare tutto nei minimi dettagli, ma anche per dimenticare la scena che stava per spiegare.
“…E’ uscita dal cancello della villa all’improvviso, non me l’aspettavo, correva anche lei, piangeva. Non ho fatto in tempo; per quanto volessi fermarmi, per quanto volessi scansarla, per quanto volessi… Non ce l’ho fatta. Me la son ritrovata sul parabrezza della mia auto tutta rossa, tra vestiti, capelli e sangue. Sangue dappertutto, il viso sfregiato, gli occhi mezzi aperti e le mani serrate…”
Si fermò per asciugarsi le lacrime e si accorse che tutti nella sala lo stavano guardando. Non c’era odio nei loro sguardi, ma c’era dolore, tanto dolore.
Prese un grosso respiro e si alzò dalla sedia.
“Dovete scusarmi. Non volevo, non avrei mai potuto… Scusatemi!” disse scosso dai singhiozzi.
Jared si avvicinò all’uomo e gli diede una pacca sul braccio, come a volerlo incoraggiare.
“Non si preoccupi signor…”  “Shmitd, Ian Shmitd.”
“Non si preoccupi signor Shmitd. Se vuole ritornare da sua moglie può farlo, al massimo l’avviso io per qualsiasi cosa.”
Gli sorrise sincero e Ian ricambiò.
“Appena sapete qualcosa, non esitate a chiamarmi.”
Tutti annuirono e lui sparì dietro la porta.
Un’altra mezz’ora era passata e non c’era neanche l’ombra di un dottore.
Drake sbuffò nervosamente e si mise in piedi troppo velocemente da farsi male la schiena. Camminò avanti e indietro nel corridoio, attendendo l’arrivo di qualcuno.
Sentì una porta aprirsi e tutti i presenti si voltarono verso essa; un uomo e una donna, che sembrava familiare, entrarono nella sala spaventati.
“Come sta?” chiese la moretta verso Drake.
Lui la fissò in malo modo, passando in rassegna anche l’espressione dell’uomo che l’accompagnava.
Si guardarono in cagnesco per un attimo.
“Non lo sappiamo, Aurora, ma non credo vi interessi.” rispose freddamente, distogliendo lo sguardo da quei due ipocriti.
L’uomo sbuffò.
“Drake, non abbiamo colpe solo noi, okay?”
“Ah davvero, Joshua? Non hai colpe tu?” domandò, ridendo sarcasticamente e non celando affatto lo schifo nei suoi confronti.
A quel nome, Shannon, si alzò e si avvicinò.
Lo squadrò da capo a piedi e fece una smorfia di disappunto; poi guardò Aurora e la schifò con gli occhi per quello che aveva fatto.
“Così tu saresti l’ex marito di Nadine, quello che l’ha tradita con questa puttanella qui? Con questa puttanella che dovrebbe essere sua sorella? Una sorella che manda in un letto d’ospedale il suo stesso sangue?”
Stava urlando un po’ troppo per i canoni di un ospedale privato. Jared si mise accanto al fratello e lo calmò, chiedendogli di non gridare tanto o lo avrebbero cacciato.
“Cosa centro io con l’incidente?” sbottò Aurora, punta nel vivo.
“Non centri nulla, vero? Tu sei santa, tu sei buona, già, tanto buona che hai fatto le foto alla festa di Tomo e le hai mandate a Nadine. E’ per questo che abbiamo litigato, è per questo che è scappata. E’ per questo che è lì dentro, in quella stramaledettissima sala operatoria, da quasi quattro ore e noi non sappiamo come sta!”
Non stava urlando, ma stava mormorando fra i suoi denti digrignanti tutto il suo dolore in faccia alle due persone che avevano rovinato l’esistenza della sua donna.
Si mise a sedere e si prese il capo tra le mani, stringendosi i capelli tra le dita rovinate. Pianse per la prima volta in quella sera e si ritrovò circondato dalle braccia di Tomo.
“E’ solo colpa vostra.” continuò a sussurrare tra le braccia del suo chitarrista. “Le avete rovinato la vita. Ve ne siete sbattuti fino ad ora e solo quando sta male ve ne preoccupate. Siete due merde!”
Passò un lungo minuto di silenzio, in cui l’unica cosa udibile era il battito cardiaco di tutti loro e il pianto sommesso e singhiozzante di Shan, che stringeva tra le sue mani la maglia del croato.
Emma  abbracciava Jared, che le asciugava le lacrime dal viso pallido; Drake continuava a girovagare tra le diverse sedute del corridoio d’attesa.
Joshua e Aurora erano seduti distanti dal resto del gruppo e lui le accarezzava il capo mentre lei piangeva tutti i suoi rimpianti e rimorsi.
Le parole di Shannon l’avevano ferita, non perché sua sorella stesse male per causa dell’incedente, ma perché sua sorella stesse male per colpa sua. Si pentì amaramente di tutto quello che le aveva fatto passare e si accorse di quanto fosse stata stupida e infantile nei suoi confronti.
All’improvviso Drake si avvicinò a loro.
“Come avete saputo dell’incidente?” chiese loro.
“Alla festa c’era Charles, un vecchio amico che conosce Nadine e me da una decina d’anni. L’ha riconosciuta e mi ha avvisato e siam corsi qui.”
Annuì.
“Io volevo chiedere scusa a tutti, ma soprattutto a te e a mia sorella.” Annunciò Aurora, scatenando le risa prive di entusiasmo da parte di Drake.
“Non servono ora. Dovevi pensarci prima a rubarle il marito, la vita e a toglierle Shannon proprio quando tutto andava bene.”
Aurora si alzò di colpo dalla sedia e si mise faccia a faccia con l’amico della sorella.
“Sai perché io e Josh stiamo assieme da tanto. Era anche lei che si preoccupava più di se stessa che di lui. Era lei che non voleva dargli ascolto e a quanto ne so non voleva ascoltare neanche te…”
“Sta’ zitta!” urlò, impetuosamente, Drake.
“Che succede?” chiese Jared avvicinandosi.
“Non lo sanno?” domandò Joshua e vide l’uomo scuotere il capo.
“Sapere cosa?” sbottò il cantante irritato.
Drake prese un lungo respiro e si unì al resto del gruppo per il momento della verità.
Tutti lo guardavano e lui si sentiva una vera merda, perché quello che stava per dire avrebbe dovuto dirlo Nadine.
Ma non poteva più aspettare.
Non c’era tempo.
“Ragazzi, Nadine è…”
La porta della sala operatoria si aprì e ne uscì un dottore sulla cinquantina, che si asciugava il sudore dalla fronte.
Gli furono addosso, ma questi volle parlare solo con i parenti.
“Chi è parente sanguigno tra di voi?” domandò stanco.
Aurora si fece avanti.
“Venga con me, deve firmare alcune cose e poi può informare i suoi amici delle condizioni della signorina Sweet.”
 
 
 
Erano state le quattro ore più lunghe della sua vita.
Erano state le quattro ore più brutte della sua vita.
Non ne poteva più di aspettare.
Era in una sorta di limbo, a metà tra la vita reale e quella surreale, fatta di incertezze, paure, timori, sentimenti contrastanti e dolore.
Il dolore era immenso, estenuante, lacerante. Poteva sentirlo, il suo cuore, strapparsi in mille brandelli, ognuno con una sua caratteristica, ognuno con un suo ricordo.
Ognuno che sapeva di lei.
Si rese conto di stare pensando al passato e si violentò mentalmente per non ricominciare a piangere davanti a tutti.
Si massaggiò gli occhi stanchi e si sgranchì le gambe.
Capì che ci voleva ancora del tempo e decise di andare a fare un giro per prendersi un caffè e fumare una sigaretta.
Si diresse verso il bar e attese, ancora, la sua tazza fumante.
La bevve tutta d’un sorso, rischiando di ustionarsi la gola, e uscì dall’ospedale per fumare in santa pace e solitudine.
Mentre aspirava forte per accendersi la sigaretta, ricordò il loro primo incontro, fatto di sguardi languidi e sensuali e la loro prima notte di sesso infuocato.
Ricordò i suoi baci caldi e soffici, il suo respiro sul collo e le sue mani che lo desideravano.
Ricordò il loro incontro alla Virgin, organizzato da Drake, e il loro primo e vero appuntamento.
Ricordò le liti per telefono, la distanza, il vuoto, i consigli di Tomo e il lungo bacio al suo ritorno.
Ricordò la loro vacanza alle Maldive e la loro prima volta effettiva. Non era più solo sesso passionale e occasionale, ma era amore, qualcosa che andava oltre il suo controllo, fino alla morte delle sue volontà. Era qualcosa che gli permetteva di aver paura di dire o fare qualcosa di sbagliato nel momento giusto. Era qualcosa che gli scombussolava le viscere e gli annebbiava la vista, mandandolo in tilt.
Ricordò il matrimonio di Tomo e Vicki e il suo sguardo emozionato allo scambio degli anelli; evidentemente  stava riportando alla mente il suo matrimonio finito, ma a lui piacque pensare che lei stesse immaginando un ipotetico matrimonio fra di loro, e questi gli fece capire cosa volesse dire amare.
Ricordò il momento in cui le disse che l’amava e il silenzio da parte sua.
Ricordò la fuga, le settimane d’assenza, il nuovo piano di Drake e Jared, il loro scontro, il loro incontro e poi lo scontro.
Si rese nuovamente conto di star pensando alla loro vita come ad un passato lontano, e ricordò che Drake stava per dire qualcosa prima che il dottore portasse via Aurora per così tanto tempo.
Ritornò nel corridoio e notò che la donna stava parlando con i suoi amici.
Piangeva, gridava e Jared era sconvolto.
Appena si resero conto della sua presenza, lo fissarono dispiaciuti e lui temette il peggio.
“Come sta?” chiese Shannon disperato.
Un lungo respiro, uno sguardo triste, un colpo all’anima.
Dolore.
“Le resta un mese di vita.”

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Capitolo 17
*** 16 - Sky ***


 16 - Sky
 

…Look at the red red changes in the sky…
 

Il molo di Santa Monica Pier era eccezionale.
Jared l’aveva scelto per il video di Kings and Queens e aveva deciso di girare in bici, all’alba.
Shannon non aveva mai capito il vero motivo e non era stato d’accordo di quel momento della giornata, per questo fecero firmare un’autorizzazione ai genitori degli Echelon che avrebbero avuto la fortuna di essere nel loro video.
“E’troppo buio all’alba!” aveva inveito contro al fratello minore che, con un gesto non curante della mano, rispose: “Meglio, così nessuno vede se sei assonnato e ti lacrimano gli occhi.”
 Mai nessuna frase di quel pazzoide era stata vera.
Dopo la notizia era scappato via, consapevole di non poter continuare ad ascoltare tutta quella merda; perché di merda si trattava.
Perché gli aveva mentito? Perché aveva aspettato così tanto per dirglielo? Perché si sentiva, comunque, uno schifo? Perché si sentiva colpevole? Perché…?
Il cielo stava cambiando tonalità: da un blu notte si era sfumato in un azzurro chiaro con striature rosse di pesca.
L’alba.
Era ritornato lì, all’alba, al molo, seguendo il consiglio di Jay.
Se ne stava seduto sulla sabbia piatta e fissava il mare. Le onde calme che avanzavano verso di lui, ma non lo raggiungevano mai perché si infrangevano alla riva.
Stringeva un pugno pieno di granelli e li osservò scivolar via tra le dita.
In quel momento capì, tutto tornava.
Tutto.
Proprio come le onde, che venivano bloccate dalla sabbia, lei veniva bloccata da qualcosa ogni qual volta gliene voleva parlare; proprio come la sabbia, che lenta scorreva via dalle sue mani, così la vita di Nadine la stava abbandonando.
Il cielo, il mare, la sabbia, l’alba.
Tutto gli fece capire che doveva capire e che doveva starle accanto e non abbandonarla.
Non in quel momento, non in quello stato.
Si mise in piedi e si pulì il di dietro dei jeans dagli ultimi residui di sabbia e, recuperato il casco, sfrecciò con la sua moto fino a raggiungere di nuovo l’ospedale.
 
 
 
Fili, tubature, fasce, una puzza nauseante di medicine e quattro mura bianche.
Dov’era? E perché?
Si guardò intorno e notò che al posto dell’abito rosso aveva un camice verdognolo e i capelli raccolti in una cuffietta del medesimo colore.
Era sola nella stanza, ma sentiva qualcuno urlare fuori.
Ebbe paura, paura davvero.
Strinse gli occhi quando sentì un grido femminile, che riconobbe come quella di Emma, e premette il pulsante per chiamare l’infermiera.
Una ragazza più giovane di lei si presentò nella camera e le sorrise.
“Come si sente?” le chiese, controllando il macchinario attaccato al suo cuore tramite fili.
Bella domanda, come si sentiva?
Puntò i suoi occhi fuori dalla finestra e vide che era l’alba.
Un nuovo inizio, pensò.
“Non lo so.” Rispose.
L’infermiera le si avvicinò e le parlò chiaramente.
“Non voglio mentirle, signora, non voglio per nulla al mondo. Cercherò di dirle tutto col massimo tatto possibile e poi posso far entrare due persone alla volta.”
Il suo tono serio e severo la spaventò.
Cos’era successo ancora?
Notò la ragazza di fronte a lei: dieci anni più giovane, mora con gli occhi scuri, un sorrisino di circostanza e una tuta bianca col cartellino vicino al taschino pieno di penne.
MaryAnne Bucks.
La vide prendere un grosso respiro e cominciare a parlare.
“Ha avuto un incidente, non so se ricorda, nel quale si è procurata vari ematomi superficiali e molte cicatrici che le rimarranno a vita. Ma la cosa più grave è che ha avuto un’emorragia interna. Il suo fegato era debole, per via del tumore, e si è leggermente spappolato- mi passi il termine colloquiale. Abbiamo fatto il possibile, il Signore deve volerle molto bene, ma i dottori le hanno dato in linea di massima un solo mese di vita. Mi dispiace.”
Un mese di vita.
Un mese.
Vita.
Alba.
Un nuovo inizio.
Senza di lei.
La sua fine.
Un nuovo inizio senza di lei.
La sua fine.
Vita.
Un mese.
Morte!
Cominciò a piangere convulsamente e a sbattere il polso, libero dalla flebo, sul materasso del letto ospedaliero.
Si voltò velocemente verso la signorina Bucks e le chiese: “Chi c’è fuori?”
La mora guardò dalla piccola fessura della finestra e descrisse tutti i presenti.
“Ci sono un tipo strano con degli occhi infinitamente azzurri, che sta abbracciato ad una biondina che non smette più di piangere.”
Jared e Emma sapevano di lei, adesso.
“C’è un tizio dai lunghi capelli scuri e una barba molto folta che sta parlando con un bell’uomo moro dagli occhi verdi.”
Drake aveva avuto il terribile compito di dare spiegazioni a tutti, Tomo compreso.
Ancora una volta il suo migliore amico doveva fare le sue veci nella sua cosiddetta vita.
L’infermiera non aveva menzionato nessuna donna che potesse essere Vicki, quindi evidentemente non c’era.
“C’è qualcun altro?”  chiese Nadine, cercando notizie di Shannon.
“Sì,” affermò la ragazza, voltandosi verso di lei.
Il suo cuore cominciò a battere veloce.
“Sì, ci sono un uomo alto e scuro e una donna che le somiglia molto.”
Trattenne il respiro.
Shan non c’era.
Sua sorella e il suo ex marito erano lì.
Shan non c’era!
“Non c’è un uomo bassino con degli occhi sorprendentemente belli e disarmanti e una barbetta incolta?”
MaryAnne scosse il capo e il suo cuore perse un battito che gli apparteneva.
“Mi scusi, ma devo tornare al mio lavoro. Chi faccio entrare?”
Respirò a fondo, preparandosi ai pianti e alle sfuriate.
Socchiuse gli occhi per un attimo.
“Il tizio strano e il moro. Poi la bionda e il barbuto.”
La vide assentire e poggiare la mano sul pomello della porta scorrevole.
“Ah, infermiera Bucks?” la chiamò, prima di vederla uscire.
“Mandi via gli altri due.”
“D’accordo.”
Passarono pochi attimi in cui riuscì a pensare di tutto, ma essenzialmente a nulla.
Come ci si sentiva ad avere una scadenza? Come ci si sentiva a dover vivere giorno per giorno? Come ci si sentiva a dover aver paura di perdere ciò che si ama? Come ci si sentiva a dover essere costretti a dimostrare i proprio sentimenti per non lasciare rimpianti?
Non ebbe il tempo di rispondere, perché vide due teste fare capolino nella stanza.
Si voltò verso essi e notò i loro occhi rossi e gonfi.
“Ehi…” disse in un flebile sussurro.
In un nano-secondo si ritrovò le braccia di Drake al collo. La stringeva forte e piangeva sulla sua spalla.
Le si spezzò il fiato a vederlo di nuovo così.
Non poteva lasciarlo solo.
Non voleva.
Si staccò lentamente e le carezzò i graffi sul volto pallido e le labbra livide.
“Non ci riesco Nadine, non posso doverti vivere per solo un mese. Non voglio doverti vivere per solo un mese! Posso sembrare egoista, ma ho bisogno di te. Senza sono nulla. Non mi devi lasciare, okay? Non doveva andar così! Non doveva!”
Stava urlando e lei piangeva silenziosamente, consapevole di essere l’unica colpevole.
Se avesse dato ascolto a Drake molto tempo prima ora sarebbe stata viva, ma sarebbe comunque morta in quegli attimi di dolore assurdo.
Jared non proferiva parola.
Era impegnato a guardare fuori dalla finestra l’alba.
Non l’aveva nemmeno salutata.
Drake si accorse che stava guardando il frontman e si asciugò gli occhi, dandosi un tono.
“Io vado, Dì. Quando ti fanno uscire mi chiami. Sai che non riesco a stare qui. Non dopo l’ultima volta.”
Lei annuì e si lasciò coccolare dal suo bel moro, che le stampò un bacio rumoroso sulla guancia, prima di uscire.
La porta si chiuse e Jared si voltò.
“Jay, io…”
“L’ultima volta, Nadine? Quand’è stata?” chiese rabbioso.
La vena sotto l’occhio sinistro pulsava come non mai e le sue spalle andavano su e giù, irregolari.
“Eravate in tour. Una sera mi sono sentita male e Key mi ha portata qui. Mi hanno curata in una sera e son tornata a casa. Nulla di grave, solo un abbassamento di pressione.”
“Nulla di grave?! Stai scherzando? Hai un tumore e ce l’hai tenuto nascosto per tutto questo tempo. E lo chiami nulla di grave?”
Aveva alzato il tono di voce di molti decibel e gli occhi piangevano da soli.
Lei strinse il lenzuolo candido tra le dita e si asciugò le lacrime che bagnavano e corrodevano le cicatrici.
“Credi che è stato facile? Credi che per me sia facile sapere che tra un mese, in un giorno qualunque e non specificato, io vi lasci? Credi che io non abbia voluto dirlo? Credi che non abbia provato a dirlo a Shan? Ogni volta c’era sempre qualcosa o qualcuno che mi interrompeva e non è colpa mia!”
Il biondo si voltò verso Nadine e la vide, con le labbra viola e gli occhi lividi e tutto il volto ricoperto di macchie violacee e croste.
Le mani erano diafane e gesticolavano convulsamente nell’impeto dello sfogo.
Spostava di tanto in tanto lo sguardo da lui all’alba e poi di nuovo verso lui.
Si avvicinò e la strinse a sé, piangendo insieme.
“Mi devi perdonare se non ho mai avuto abbastanza coraggio e forza per dirvi tutto. Mi devi perdonare se ho messo Drake nella condizione di avere segreti con te. Mi devi perdonare se…”
“Tu devi perdonarmi se ho avuto la presunzione di urlarti contro e di non aver avuto il tatto di comprenderti. Per quanto riguarda Drake, anch’io avrei fatto come lui se Shan me l’avesse chiesto.”
“Dov’è?”
Un mormorio, una domanda rivolta più a se stessa che all’amico che la stava accarezzando sulla cuffietta verde.
Lui puntò i suoi zaffiri nei suoi smeraldi e si fissarono intensamente.
“L’ha saputo ed è andato via.”
Sospirò.
“Tornerà.” cercò di convincerla.
Lei annuì piano e si preparò al confronto con Tomo e Emma che entrarono al posto del cantante.
La bionda si gettò sul suo letto e la rimproverò.
“Sei un’incosciente, lo sai? Perché non ce l’hai detto? Ed ora cosa faremo? Cosa farete?
Scosse il capo, preparandosi alla ramanzina di Tomo.
Stranamente non parlava, ma la fissava con gli occhi lucidi.
Avrebbe pianto da un momento all’altro.
“Tomo, Emma, chiedo scusa anche a voi, ma ci ho provato vanamente. Volevo con tutto il cuore parlarvene, ma il coraggio veniva sempre stroncato da forze maggiori. Io ora ci sto male e non so cosa mi passa per la testa. Morirò, lo capite? Mi capite?”
Si sfogò tra le braccia del bassista, mentre Emma scappava via.
La sentì gridare e sentì Jared consolarla.
“Tutto finirà.” disse a bassa voce sul petto del croato.
Lui scosse il capo.
“Spero in un miracolo. Sul serio, tu non te lo meriti. Non se lo merita.”
Piansero all’unisono ma vennero bloccati dalla porta che si aprì, con un tonfo.
Si staccarono e videro il batterista che le corse incontro e l’abbracciò forte.
Tomo li lasciò soli.
Si baciarono a lungo, immersi in un bacio salato di lacrime e amaro di rimorsi.
Si guardarono, occhi negli occhi, e se li asciugarono a vicenda.
“Perché?” domandò, lui, soltanto.
Nadine prese un bel respiro e gli strinse le dita tra le mani.
“All’inizio di tutto, all’inizio di noi due, non mi sembrava il caso di dirti le mie cose perché erano appunto solo mie. Giorno dopo giorno diventavi il mio punto fisso, il mio punto debole. Volevo parlartene, ma mi perdevo in pensieri strani.”
Shannon la guardò torvo.
“Che tipo di pensieri?” le chiese.
Strinse le sue dita maggiormente, preparandosi alla sfuriata.
“Shan, tu sei una rock star ed io una donna malata di un  tumore, che le stroncherà la vita tra meno di un mese. Tu tornerai alle tue solite cose e io sarò un lontano ricordo che si sbiadirà sempre più col passare degli anni…”
Chiuse gli occhi sentendo la sedia cadere con un tonfo fortissimo.
Lo vide muovere le spalle ritmicamente e poi fu investita dai suoi occhi.
Erano gialli, come quelli di un vampiro, e pullulavano di lacrime trasparenti che gli solcarono il viso.
“Credi davvero che io dica ti amo alla prima che capita? Credi davvero che per me tu potrai mai essere una parte minuscola della mia vita? Davvero non capisci, Nadine? Davvero non riesci? Sei la mia vita, adesso, e lo sarai sempre. Tu sei parte integrante di me stesso. Tu sei parte di me. Tu sei tu e al solo pensiero che io sarò solo tra qualche settimana mi sento morire. Vorrei farlo, ma evito per te! Dobbiamo vivere insieme quello che il mondo ci offre, giorno per giorno, da oggi fino all’ultimo. Dobbiamo, amore mio, dobbiamo.
Si persero in un abbraccio in cui non si capiva la fine di uno e l’inizio dell’altra.
Si baciarono continuamente e assiduamente, senza mai separarsi con la paura di poter dire addio ad un solo respiro vitale.
Si staccarono lentamente, poggiando le loro fronti l’una sull’altra, e si guardarono a fondo.
“Passerai il mese più bello della tua vita.”
Lei sorrise e lo baciò a stampo.
Ti amo.” gli disse.
E Shannon poté capire che il vero amore è quello che ammette compromessi e che viene ricambiato, perché un amore a senso unico è una melodia senza note.

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Capitolo 18
*** 17 - Proteggerti ***


 17 - Proteggerti
 

…Vorrei essere uno scoglio per proteggerti da tutte quelle cose che ti possono far piangere…

 
Un fulmine squarciò il cielo e un tuono rimbombò nella stanza d’ospedale, facendo tremare la finestra chiusa.
Volse lo sguardo fuori di essa e vide piccole gocce posarsi sui vetri.
Pioveva e l’aria uggiosa di quel triste 3 Ottobre non giovava all’umore di Nadine.
Tutto avrebbe dovuto fare tranne quello.
Pensare.
Era ormai una settimana che era in quel letto, così simile ad una prigione, immobile, attaccata ad una macchina che le teneva sotto controllo i battiti. Con tutti quei fili e quelle tubature si sentiva mancare l’aria; voleva camminare.
Voleva tante cose, ma il suo tempo era finito.
Finito.
Non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni, non avrebbe potuto vivere la sua vita in pace con Shannon, Drake, Jared, Tomo e tutti gli altri.
Non avrebbe avuto abbastanza tempo e forza per perdonare Aurora e Joshua.
Ricacciò indietro le lacrime e premette il pulsante per chiamare l’infermiera.
La luce fuori dalla porta della camera si accese e dopo pochi attimi arrivò la solita infermiera: MaryAnne.
Aveva imparato a confidarsi con lei, l’unica figura femminile i cui si fidava- a parte la sua defunta nonna e Vicki.
“Cosa c’è Nadine?” domandò MaryAnne.
Lei sorrise.
Le piaceva il loro rapporto che andava oltre la semplice reazione medico-paziente. Sapevano che era ingiusto in sede ospedaliera, ma quando erano sole si comportavano come due amiche di vecchia data.
“Anne, voglio camminare. Non ne posso più di star ferma, le mia gambe andranno in cancrena se non le muovo un po’. Poi i fili pizzicano e voglio poter respirare un’aria diversa.”
L’infermiera la guardò dolcemente, consapevole di essere impotente.
Non poteva farla alzare e camminare, per quanto entrambe lo volessero. Le dispiaceva tanto di vederla in quello stato, con gli occhi lucidi e reduci da notti insonni e con le labbra livide. La pelle era di un giallastro preoccupante e ogni tanto entrava nella stanza per pulire il suo vomito.
Così era iniziato tutto.



Una settimana prima…
Un nodo allo stomaco e un mal di testa lancinante. Le tempie pulsavano dolorosamente e aveva un fort senso di nausea. Stringeva convulsamente i pugni e reprimeva qualche conato di vomito.
Un bruciore alla gola e poi un colpo di tosse.
Vomitò l’anima, macchiando il letto e la sua tunica bianca, mentre dal naso colavano coaguli di sangue e le lacrime si fondevano col tutto.
Non le capitava da un paio di mesi e si spaventò più del dovuto.
Il macchinario segnava i battiti cardiaci che erano aumentati, acnhe di velocità.
Riuscì, con le poche forze rimaste, a chiamare qualcuno e vide entarre MaryAnne, la ragazza che le aveva detto la verità dall’inizio.
“Oh, Cristo!” esclamò l’infermiera quando vide la sua condizione.
Si avvicinò alla rossa e le cambiò le lenzuola con l’aiuto di una signora che sembrava alquano schifata; la lavò accuratamente e notò uno strano luccichìo negli occhi della giovane. La toccava delicatamente, con fare quasi materno, e si commosse pensando a quanto sarebbe stato bello avere la nonna accanto a sé.
Dopo aver pulito tutto, si occupò dei battiti cardiaci e le iniettò una piccola dose di sedativo nella flebo per calmarla.
“Come fa?” le chiese Nadine, improvvisamente, facendola sobbalzare.
La biondina la guardò negli occhi e si asciugò una piccola lacrima che sfuggì dal suo controllo; respirò piano e si sedette accanto al letto appena risistemato.
“Vede signorina Sweet, quando avevo sedici anni avevo una sorella più grande che aveva il tuo stesso tumore. Si chiamava Evelyn, ma per tutti era Eve. Aveva tre anni più di me e voleva vivere, vivere davvero. Non ha mai voluto fare una chemio da quando la mia famiglia seppe del suo male. Non ha mai voluto metter piede in un ospedale. I miei lavoravano tutto il giorno, quindi io rimanevo a casa per prendermi cura di lei. Vomitava ogni tanto, aveva le sue crisi di nervi e i suoi momentacci, ma io le stavo sempre dietro come un’ombra, anche quando lei mi mandava via. Ha vissuto fino ai ventidue anni; io ne avevo diciannove. Capirla non era facile, ma dovevo. Perderla non è stato facile, ma dovevo. I miei genitori si sono separati poch mesi dopo e io sono andata a vivere da sola sin da subito. Ricordo le sue parole, prima di morire…”
Tirò su col naso rumorosamente e prese un fazzolettino dal taschino, soffiandoci dentro.
“…Realizza i tuoi sogni e anche i miei se puoi, mi disse. Avevamo discusso qualche giorno prima che lei morisse e non ho avuto l’occasione di dirle che le volevo bene.” continuò guardandola negli occhi per la prima volta in tutto il discorso.
Scoprì una Nadine in lacrime e capì che le era arrivato il messaggio.
 


“Sai che se solo potessi ti farei cmminare, ma non sei nella condizione giusta, Nadine. Mi dispiace, ma non puoi fare sforzi e nemmeno possiamo dimetterti. Scusami, ma ora devo andare. Passo nel pomeriggio, okay?”
La rossa annuì e la congedò con un sorrisino forzato, che Anne percepì.
Una volta che la porta si chiuse sbuffò pesantemente e accese la televisione per seguire l’intervista che i 30 Seconds To Mars avevano deciso di fare per un annuncio ufficiale.
Trovò il canale e alzò il volume, emozionandosi a guardare la belleza incredibile di Shannon e i suoi occhi così tremendamente sexy.
Jared stava parlando, tenendo il microfono per il filo, ed era incredibilmente serio.
“Dobbiamo fare un annuncio che un po’ ci dispiace, ma per forza di cose dobbiamo annullare il tour.”
Cosa? L’avevano fatto sul serio?
Un coro di dissenzio si alzò nell’Hive e qualche fan se ne andò.
“Sarete tutti rimborsati e presto ne faremo un altro per ricompensare…” provò a dire Tomo, notando l’aria accigliata del batterista.
Una serie di fischi e pernacchie fecero eco nella stanza e Nadine si indignò. Non si aspettava comprensione- nessuno se l’aspettava- ma non credeva che gli Echelon potessero essere così malvagi.
Silenzio!” gridò Shannon e tutti tacquero.
La donna sobbazlò e alzò un altro po’ il volume, preoccupata.
“Avete mai pensato che per fare una cosa simile avremmo avuto i nostri problemi? Avete mai pensato che sono problemi gravi?” disse, moderando il tono di voce.
Nel silenzio che si era venuto a formare una voce femminile, molto coraggiosa, domandò: “E quali sono questi problemi gravi? Siamo una famiglia, quindi dovremmo saperlo!”
Jared sospirò, massaggiandosi gli occhi chiusi.
“Lo volete sapere sul serio?” domandò il moro e tutti urlarono un sì.
Si alzò e prese il microfono, ottenendo l’attenzione di tutti i presenti nella sala.
“Una persona molto importante per noi- per me- sta male e tra meno di un mese ci lascerà. Se permettete voglio vivermela a 360° e per quanto voi possiate essere importanti nella mia vita, lei è fondamentale. Contenti?”
I ragazzi rimasero sorpresi nel sentire Shannon l’animale parlare in quei termini e con gli occhi lucidi. Tomo gli diede una pacca sulla spalla e Jared concluse l’intervista e abbandonarono l’Hive.
Nadine spense la TV e affondò il viso tra le mani.
 
 
 
Ora lo sapevano tutti e non gli importava.
Non c’era da vergognarsi, perché l’amore non è un reato, ma c’era da essere fieri.
Jared, una volta arrivati in auto, abbracciò orgoglioso il fratello maggiore che scoppiò in un pianto nervoso.
Tomo osservava la scena da fuori e si commosse, ricordando le parole che aveva detto a Nadine.
Un miracolo, era quello che ci voleva.
Per tutti.
“Sono fiero di te, bro, hai avuto coraggio e sono sicuro che lei apprezzerà il gesto che hai fatto.” Sussurrò il cantante all’orecchio di Shannon, che alzò il volto dalla spalla del minore e si asciugò la faccia.
Guardò i due compagni d’avventura e sorrise grato perché lo capivano, perché lo supportavano e perché gli erano vicino.
Da quando aveva saputo dello stato della sua donna aveva voluto interrompere il tour per passare più tempo con lei per non farle mancare nulla. Nessuno si contrappose, anzi si commossero per il grande cuore del batterista e per la sua dolcezza.
Era felice della comprensione della sua famiglia ma si aspettava più maturità dagli Echelon; non riusciva a credere che potessero davvero avere così poco tatto e una così spiccata cattiveria.
Era felice del fatto che si era sfogato ma lo innervosiva il fatto che ora Nadine potesse diventare la preda dei media.
Sentì il bisogno di abbracciarla e di proteggerla da qualsiasi cosa.
“Possiamo andare in ospedale, per favore?” domandò all’autista che annuì e fece inversione di marcia.
 
 
 
Bussarono alla porta e lei rispose con un Avanti! abbastanza allegro, perché dopotutto era felice dell’azione del suo uomo.
Entrò Vicki, con un pacchettino tra le mani.
“Buongiorno gioia, come mai felice?” le chiese, abbassandosi per darle un bacio sulla guancia.
Nadine le accarezzò una mano e lei si sedette sulla sedia posta accanto al suo letto.
“E me lo chiedi?! Abbiamo gli uomini più dolci e belli del mondo!” ammise arrossendo e scatenando le risa della mora.
“Hai visto l’intervista, eh?” lei annuì. “Beh, c’è da dire che quella ragazza è una stronza, ma senza di lei ora tu non avresti avuto una dichiarazione così!”
Risero di gusto entrambe.
Era bellissimo stare in compagnia di Vicki, perché aveva delle espressioni troppo buffe e dei modi di fare così simpatici che ti strappava sempre un sorriso.
Come in quel momento.
Vicki era il suo raggio di sole, che era stato in grado di illuminare anche quella triste giornata uggiosa.
“Ma torniamo a noi,” cominciò la rossa curiosa. “cosa c’è nel pacchetto?” domandò, sporgendosi verso l’armadietto su cui era posato il pacchettino dall’enorme fiocco rosso.
La moretta sorrise maliziosa, incrementando la curiosità dell’amica.
“Aprilo.” disse solamente, porgendole l’oggetto del desiderio.
La donna lo scartò con una violenza esagerata, cospargendo il letto di residui di carta da regalo e nastrini rossi.
Si ritrovò tra le mani una specie di termometro molto strano, su cui vi erano due linee rosa.
Spalancò la bocca e se la coprì con la mano per non urlare.
Lanciò il test di gravidanza da qualche parte nel letto e abbracciò l’amica, stritolandola.
“Auguri! Ma Tomo lo sa?”
“Sei la prima a saperlo!” esclamò Vicki.
La rossa la strinse più forte, sentendosi onorata e urlò dalla felicità.
“Diventerai mamma!”
“Chi diventerà mamma?” domandò una voce alle loro spalle.
Shannon.
Gli occhi di Nadine si riempirono di lacrime d’orgoglio e lo invitò con lo sguardo ad abbracciarla.
Corse da lei e la prese tra le sue braccia baciandole il capo e carezzandole la schiena.
“Mi fai sentire unica.” gli sussurrò lei all’orecchio.
Lui la baciò profondamente e le disse: “Tu sei l’unica!
Nadine lo strinse a sé e mostrò il test di gravidanza ai due amici che erano entrati dopo il suo batterista.
“Di chi è?” chiese Jared, dopo averle baciato una tempia.
Lei sorrise e lo porse a Tomo, che le aveva accarezzato i capelli.
“E’ tutto tuo!”
Il croato passò lo sguardo da Nadine, al test, alla moglie.
“Impossibile!”disse scosso.
Vicki rise e si avvicinò a lui, prendendogli la mano e facendogli accarezzare il ventre ancora paitto.
“Sono due mesi.”
Si commossero tutti e presero a farsi gli auguri, mentre Nadine disse sottovoce: “Il sogno di ogni donna…”
E Shannon sentì tutto.

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Capitolo 19
*** 18 - Time ***


 18 – Time
 

…Our time is running out…

 
Dopo l’annullamento del tour e la rivelazione di Shannon, i 30 Seconds To Mars passavano più tempo in ospedale che nelle loro case.
Sembrava facessero a turni: Drake passava ogni mattina e le portava la colazione, sapendo che quella che le davano i medici la buttava, Jared passava a metà giornata con Emma, che la truccava e le sistemava i capelli, e il pomeriggio passavano Tomo e Vicki che le portavano le sue riviste. Shan andava la mattina e tornava a casa la sera, dopo che si radunavano tutti in quella stanza, coperti ovviamente da MaryAnne che a ogni ora faceva la sua visita medica e non.
Si sentiva a casa, si sentiva meglio, ma in quei due giorni aveva vomitato tre volte e non riusciva più a mandare giù un bicchiere di succo d’arancia.
Ricordava ancora il panico della mattina prima.
 
Drake e il batterista erano arrivati assieme e avevano trovato Nadine su un letto sporco, col naso sanguinante e le mani rosse e livide per quanto le stesse stringendo. Era tutta sudata e cercava di urlare e premere il pulsante per chiamare aiuto.
L’amico buttò il sacchetto della colazione sul pavimento e scappò a chiedere aiuto, mentre Shannon la pulì con l’aiuto dei fazzolettini di stoffa che non a caso erano sul comodino beige.
La donna continuava a tossire e a sputare grumi di sangue.
Non era mai capitato e si spaventò troppo, tanto che per un attimo il macchinario smise di funzionare.
“Basta, non ce la faccio, non ce la faccio, basta!”
Nadine sussurrava quelle parole, sconnesse dal pianto, in un crescendo che finì con un urlo che lacerò il cuore del moro, il quale stava continuando a pulirle il naso e le labbra e premeva il pulsante non ricevendo risposta.
La sentì tossire e la vide stringere i pugni e capì che stava per avere un’altra crisi. Le premette un fazzoletto bagnato con acqua ghiacciata sulla fronte e la fece respirare.
“Tranquilla, amore mio, tranquilla. Adesso arriva Drake con i dottori. Va tutto bene, ma sta calma.”
Le teneva il fazzoletto stretto sul capo e la baciava sui capelli, stringendola a sé e coccolandola tenendo conto del macchinario che aveva ripreso a segnare i battiti.
Si erano stabilizzati da capo e ne fu sollevato.
Arrivò MaryAnne seguita dall’uomo e aiutarono Shannon a pulire il pasticcio e a controllare la frequenza cardiaca.
Annotò qualcosa su di una cartella che portava nome e cognome di Nadine e scosse per un attimo impercettibile il capo.
Shannon vide e corrugò la fronte.
Che cosa succedeva nella testa dell’infermiera?
“Infermiera Bucks, posso parlarle?” le chiese dopo un grosso respiro e lei annuì.
Rimasero soli, Drake e Nadine, come non succedeva da tempo.
Lui non smetteva di stringerle la mano e lei poteva sentire il suo disagio e percepire il suo dolore. Gli accarezzò un dito col suo pollice affusolato e lo costrinse a guardarla negli occhi.
Due paia di occhi verdi così simili, ma dalle sfumature e dai sentimenti diversi.
“Cosa c’è?” gli domandò, sforzandosi di sorridere e sembrare tranquilla.
Lui socchiuse gli occhi leggermente e mandò via le lacrime che avrebbe voluto versare.
L’amica se ne accorse e gli prese il volto tra le mani, avvicinandolo a sé e abbracciandolo forte.
Drake pianse e si pentì di averlo fatto, mentre doveva solo farla star bene.
Si staccò da lei piano e si scusò, irritandola.
“Non devi scusarti, so come ti senti, so cosa vuol dire…”
“No non lo sai!” sbottò urlando e alzandosi dalla sedia. Quelle parole erano da troppo tempo intrappolate nelle sue corde vocali e le aveva tirate fuori nel momento e nel modo sbagliato.
Lei tremò appena, sentendosi piccola in confronto a lui.
“Tu non sai cosa vuol dire per me dover venire qui ogni mattina e doverti vedere in questo stato. Non sai cosa vuol dire per me chiedere aiuto perché non so come salvarti. Non posso salvarti e mi rode il culo che tu non abbia mai voluto ascoltarmi! Avrei potuto aiutarti io se solo tu avessi voluto tenere conto delle mie parole. Se tu avessi seguito il mio consiglio ora saresti a far l’amore con Shannon e invece devi stare qui, in un letto, segregata fra quattro mura che troppo spesso avranno sentito i tuoi pianti solitari e notturni. Tu non lo sai minimamente cosa vuol dire!”
Le sue urla le entravano nelle orecchie e rimbombavano nella sua testa come uno scoppio che le ruppe i timpani e le fece scordare del mondo per un istante.
Perché le stava rinfacciando tutto? Perché così? Perché lui?
E tu? Tu cosa ne sai cosa vuol dire andare a dormire e pregare un Dio inesistente e impotente per la troppa paura di non svegliarti il mattino successivo? Tu cosa ne sai cosa vuol dire vomitare l’anima e non riuscire a mangiare? Tu cosa ne sai cosa vuol dire sapere di dover vedere i vostri visi dalle espressioni finte e costruite e sapere che la causa di tutto sono io? Tu cosa ne sai cosa vuol dire stare legata a un macchinario che controlla la tua vita? Tu cosa ne sai cosa vuol dire sapere di avere altre due settimane e mezzo di vita?”
Sussurri, bisbigli fra le lacrime e gemiti di dolore uscivano dalle labbra violacee di Nadine, che stava porgendo quelle domande al suo amico di sempre che in quel momento le sembrava un perfetto sconosciuto.
Non rispose, Drake, che codardo ed egoista come sempre, raccolse il sacchetto della colazione, lo mise sulla sedia e uscì dalla stanza senza salutarla, né guardarla.
 
 
 
“Attenda un attimo, signor Leto.” gli aveva detto la ragazza, prima di lasciarlo solo le corridoio vicino alla stanza di Nadine.
Doveva prima sbrigare alcune cose e poi avrebbero parlato.
Troppi dubbi assillavano la sua mente, troppe paure, troppe preoccupazioni.
La situazione stava precipitando e lo sapevano tutti, si erano rassegnati, ma per Shannon la speranza era l’ultima a morire.
Si guardava intorno con aria circospetta e osservò una bambina sui dieci anni trascinata su una sedia a rotelle da MaryAnne. Non aveva i capelli e nemmeno le sopracciglia, ma in compenso aveva due occhi che sembravano disegnati; scuri come l’ebano e profondi tanto da perdersi. Vi leggeva voglia di vivere e ricordò di quante volte Nadine gli aveva esternato la sua voglia e i suoi desideri.
Sorrise alla bambina che lo salutò con la mano, prima di sparire dietro ad una porta che doveva essere la stanza in cui si effettuava la chemioterapia.
L’infermiera portò Shannon nel suo piccolo ufficio in cui si poteva parlare tranquillamente senza essere interrotti o ascoltati da orecchie indiscrete.
Si sedettero l’uno di fronte all’altra e si guardarono con agonia.
“Signorina Bucks, io voglio solo chiederle una cosa…” cominciò l’uomo, prima di essere interrotto.
“Nadine non sta bene. La situazione è peggiorata e ho già prenotato tutte le visite che servono. Passeranno a prenderla nel pomeriggio e la terranno occupata fino a sera, quindi è meglio avvisare gli altri di non venire.”
Fu un colpo all’anima quello che sentì.
Ne era consapevole, ma sentirsi dire ciò che si sa da un parere esterno, da una persona che ha voce in capitolo e competenze, rende tutto più reale.
Rende tutto così orribile.
Non sapeva che dire, né che fare; prese soltanto a guardare una foto sulla scrivania della ragazza.
Era una cornice semplice, chiara, che ritraeva due bambine che si abbracciavano e sorridevano. Ricordò quello che le aveva raccontato Nadine sulla sorella dell’infermiera e non indugiò oltre.
“Io vorrei solo ringraziarla, signorina Bucks, perché se non fosse per lei ora ce ne staremmo tutti attaccati a false speranze o a preghiere inutili. La ringrazio per la sincerità e per l’amore con cui agisce. Senza di lei, Nadine, se ne sarebbe andata in modo triste.” disse, prendendole le mani e stringendogliele.
MaryAnne sorrise commossa e in quel momento si rese conto che aveva davvero seguito il consiglio della sorella, perché senza di lei tante persone sarebbero morte in maniera atroce.
Si sentì onorata, ma doveva asserirgli un’altra verità.
“Io sono contenta che lei mi dica questo, ma c’è un’ulteriore cosa che devo dirle…” iniziò, dandosi un tono formale e distaccato.
Doveva essere professionale.
“Ho il presentimento che il male di Nadine si sia esteso allo stomaco ed è questo il motivo per cui non riesce a digerire alcun cibo e per cui, quindi, vomita e perde sangue. Io sto facendo il possibile, assieme a tutto il corpo dei medici specializzati in tumori, ma le due settimane stanno per scadere e non ci resta nulla da fare. Dobbiamo solo aspettare che accada.”
Shannon annuì sconfitto, sentendo la speranza rompersi e svanire nel nulla.
Dobbiamo solo aspettare che accada.
Il loro tempo stava correndo viaveloce e lui non aveva potuto far altro che starle vicino e chiedere a Emma di concludere il lavoro che Nadine aveva iniziato con gli orfanotrofi, con le scuole e con gli ospedali.
Si alzarono e uscirono dalla stanza per ritornare alle proprie occupazioni, ma il batterista volle provare un ultimo tentativo, dopo di che si sarebbe messo l’anima in pace.
“Mi scusi, ma davvero non si può far nulla?” domandò attirando l’attenzione della giovane su di sé.
Si guardò attorno e si accorsero di essere di fronte alla stanza di Nadine.
“Ci sarebbe una cosa, una prova, ma non è molto usata e poi non con così poco tempo.” sussurrò, avvicinandosi all’uomo che la esortò con lo sguardo a proseguire.
“Esiste il trapianto, ma c’è bisogno di un fegato compatibile e le nostre scorte scarseggiano.”
Vide uscire la bambina dagli occhi enormi e sorrise intenerito, sentendo qualcosa sciogliersi all’altezza del petto.
“Ritorno al mio lavoro, signor Leto e: si faccia forza.” annunciò prendendo la sedia a rotelle della bambina e conducendola nella sua camera.
“Certo. Grazie mille, signorina Bucks.” rispose Shannon, vedendo Drake scappare via in lacrime dalla stanza.
Vi entrò con la velocità di un fulmine e trovò una Nadine piangente e sofferente.
Si avvicinò e spostò il pacchetto dalla sedia al cassetto e si sedette, osservandola.
Eracomunque bella, nonostante i suoi capelli non avessero più la stessa lucentezza e gli occhi non brillassero più di vita propria.
“Amore, cosa è successo?” le chiese piano.
La sentì tirare su col naso e balbettare qualcosa come risposta che non riuscì ad afferrare, per via dei troppi singulti.
“Ti vuoi calmare? Non puoi agitarti e poi non ti capisco se parli così.” disse dolcemente, mettendosi comodo sul materasso accanto a lei e baciandole una guancia, che trovò incredibilmente fredda.
Nadine respirò e lo abbracciò forte, perdendosi tra la sua massa di muscoli e la stoffa della sua maglietta nera.
“Drake è un egoista. Non lo capisco più e non mi aiuta. Non rende facili le cose e non fa il suo dovere. Capisco il suo dolore e i suoi tormenti, capisco i suoi ricordi e il dejà vu, ma vuole capire me o no? Se deve venire qui ogni giorno a rinfacciarmi che avrei potuto fare le chemio invece di morire, beh tanto vale che non viene più perché voglio star bene e tranquilla. Voglio godermi questi ultimi giorni e non voglio passarli a piangermi addosso. E’stata una mia decisione e mi assumo tutte le responsabilità e tutte le conseguenze. Sapevo che sarebbe finita, doveva solo succedere ed è successo. Voglio vivere fino in fondo. Voglio farlo con voi- con te!”
Non stava piangendo e non era triste, era solo arrabbiata e malinconica ma non aveva perso il sorriso e tantomeno la sua maturità.
Si sentì orgoglioso delle sue parole, ma di più del tono in cui le aveva pronunciate.
Capì l’importanza della sua vita.
L’attirò a sé e la baciò con trasporto, avvicinando pericolosamente le loro lingue che presero ad accarezzarsi a vicenda.
Si staccò, prima di rendere più complicata la situazione, e la fissò negli occhi, ricordandosi lo sguardo pieno di vita della bambina.
L’abbracciò e sorrise, pensando.

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Capitolo 20
*** 19 - Praying for a Riot ***


 19 – Praying for a Riot
 


…Nothing is over…
 

 
 
’12 Ottobre: ultimi sette giorni di vita.
Non so descrivere come ci si sente, perché sono vuota; non sento nulla e non riesco a provare emozioni positive.
L’unica cosa che ho fatto in questi giorni è stata fingere. Già, io fingo di essere felice quando ci sono gli altri, ma la notte- quando resto sola- tiro fuori tutto il dolore e le preoccupazioni.
Ho paura ed è strano ammetterlo perché sono sempre stata forte nella vita, o almeno ci ho provato sebbene con scarsi risultati.
Non ho paura di morire, ma di non aver vissuto abbastanza, di non aver amato abbastanza e di non esser stata amata abbastanza.
Non voglio andarmene sapendo che Drake ce l’ha con me; non voglio andarmene sapendo che lascerei due persone con i rimorsi e i rimpianti; non voglio andarmene sapendo di stravolgere la vita di così tante persone.
Non voglio andarmene…
Quello che vorrei ora, più di ogni altro desiderio, è mettere pace nella mia vita, affinché la parola fine abbia un suono meno aspro.
So di lasciare dietro di me troppe cose negative, so di aver deluso molte persone, so di aver fatto poco nella mia vita e della mia vita, ma so che ho sempre fatto ciò che volevo.
Mi sono sposata, ho divorziato, mi sono dedicata a me stessa in un passato molto remoto, mi sono dedicata agli altri anche s eho dovuto abbandonare, mi sono divertita con Drake, ho fatto nuove amicizie e ho trovato un nuovo amore.
Mi dispiace di avergli rovinato la vita, di avergliela riempita per metà senza la possibilità di colmarla fino all’orlo. Mi dispiace di doverlo lasciare solo e di non aver avuto il tempo di viverlo come avrei dovuto.
Shannon…,,
 


“Dolcezza, ti sei svegliata e non mi hai nemmeno avvisato?”
Uno Shannon sorridente, con in mano un’orchidea bianca e una faccia da schiaffi si presentò nella camera, interrompendo la scrittura della rossa, che mise via il suo diario sotto il materasso.
Sorrise, di rimando, e lo baciò come se dovesse essere l’ultima volta.
Il batterista se ne accorse e la osservò meglio in viso: aveva delle occhiaie profonde e scure che le spegnevano maggiormente lo sguardo e le labbra secche.
“Cosa c’è?” gli domandò, sentendo il suo sguardo addosso.
Lui scosse il capo e prese a tracciare i contorni del suo viso con un dito, facendola rabbrividire.
“Shan, non…” iniziò balbettando, ma lui le impedì di parlare con un bacio a stampo.
“Non voglio fare nulla, solo…” e le baciò il palmo della mano “…sentire che sei mia.”
Lei sussultò, reprimendo la voglia di oltrepassare i limiti, ma l’uomo si bloccò e la guardò.
Gli accarezzò il volto e lui premette la sua guancia contro la pelle fredda della donna.
“Io sono tua e tu sei mio. Sarà sempre così, qualsiasi cosa accada.” disse decisa.
Shannon chiuse gli occhi e si allontanò un attimo da lei, per mandare via la frustrazione e il dolore.
Non reggeva più tutta quella malinconia, sentiva di stare per crollare, ma doveva essere forte per entrambi.
Per tutti.
L’abbracciò e confermò quella promessa.
“Qualsiasi cosa accada.”
Nadine si accoccolò sul suo petto e poté ascoltare il battito del suo cuore. Volse, poi, lo sguardo verso il macchinario e costatò che battevano all’unisono.
“Promettimi però che nonostante il nostro legame tu ti farai una nuova vita…” affermò, sospirando contro la sua maglia bianca.
Lo vide sciogliere l’abbraccio e fissarla con una nota di rimprovero nello sguardo.
“Non è ancora finita, ci sono mille possibilità, c’è ancora speranza…”
La porta che si aprì, blocco il fiume in piena che era Shannon.
MaryAnne entrò nella stanza per i controlli mattutini e chiese all’uomo di uscire.
“D’accordo. Passo più tardi.” annunciò prima di abbassarsi sulla sua compagna e baciarle le labbra.
Salutò cordialmente l’infermiera e si prestò a uscire, ma la rossa lo fermò.
“Amore?!” lo chiamò e lui si voltò. “Potresti passare da casa mia e prendermi un po’ di biancheria?” chiese pregandolo con gli occhi.
“Certo, amore e se c’è Drake cosa…?”
“Nulla. Verrà lui, prima o poi.”
Shannon annuì e uscì, sorridendo malinconico su quel prima o poi.
Aveva molto pensato al trapianto in quei giorni. Voleva darle un poi, voleva confermare le sue speranze e c’era una sola persona che poteva essere compatibile: Aurora.
Gliele voleva parlare, ma doveva prima sbollire la rabbia.
Non c’è tempo!si rimproverò mentalmente e prese ad accelerare sulla sua Ducati rossa.
Sfrecciava per la strada, incurante del vento che gli entrava negli occhi e che li facevano lacrimare; doveva prendere subito ciò che serviva a Nadine, portargliele e andare a casa di Joshua.
Scese dalla moto- parcheggiata in modo disordinato- e suonò il campanello.
Non ricevette risposta, quindi Drake non era in casa.
Ricordò, fortunatamente, che lasciavano sempre una chiave sotto lo zerbino e dopo averla recuperata, entrò.
Era stranamente ordinata, chiaro segno che l’amico non ci entrava da molto tempo, e silenziosa.
Troppo silenziosa.
Immaginò che quella casa fosse la sua vita senza di Nadine e ingoiò il groppo che gli si era formato in gola.
Da settimane tratteneva tutte quelle lacrime e quelle parole che lo sopprimevano.
Da settimane se ne stava sveglio di notte, girando per casa come un automa.
Da settimane sopravviveva, invece di vivere.
Si diresse nella camera della sua donna e prese della biancheria dal cassetto accanto al letto, sul quale era posta una cornice che rappresentava il loro sfiorarsi di labbra.
Sorrise intenerito e carezzò la parte di foto dove c’era la rossa.
Era bella, quella mattina alle Maldive, con la pelle abbronzata e calda, gli occhi luccicanti d’emozione e le labbra incollate alle sue.
Così doveva essere e così sarebbe stato.
Uscì dalla stanza, chiudendola, e si apprestò ad abbandonare la casa, ma passò davanti alla ‘stanza segreta’ dal cartello misterioso.
Sebbene il cartello dicesse di non entrare, lui abbassò la maniglia e trovò la serratura sbloccata.
Forse era stato Drake.
Entrò e accese la luce; una stanza senza finestre, quattro mura bianche, una libreria, degli scatoloni e foto, tante foto.
Passò in rassegna tutti i libri impolverati che c’erano e capì che erano quelli dell’Università che aveva abbandonato. Negli scatoloni c’erano abiti da bambine, peluche, libri di fiabe e dei cd con delle ninnananne registrate. Le foto lo colpirono molto.
C’era lei, neonata, in braccio alla nonna- alla quale somigliava molto-, lei un po’ cresciuta con Aurora in braccio, lei e Aurora a scuola, lei e la nonna che fanno la torta al cioccolato, lei e gli amichetti, lei e Drake da bambini, lei e Drake da ragazzi, lei da sola che sorride con lo zaino sulle spalle, lei che studia, lei che abbraccia Drake, lei che dorme, lei il suo primo giorno di Università, lei e Joshua, lei il giorno del suo matrimonio, lei e la sua pazzia, lei e i suoi sorrisi, lei e i suoi occhi, lei, lei, lei
Capì che quella stanza era fatta di Nadine, della sua vita, dei suoi ricordi, dei suoi errori, delle sue debolezze, dei suoi rimpianti.
Capì che la vita di Nadine valeva molto di più di quanto avesse creduto in precedenza.
Capì che Nadine meritava una seconda opportunità, per far pace col passato e con se stessa.
Capì che non era Aurora quella che avrebbe dovuto salvarle la vita.
E singhiozzando come un bambino che si sbuccia un ginocchio, chiuse a chiave quella stanza e uscì dalla porta promettendo che quella casa avrebbe ricominciato a vivere con lei.



“La situazione è stabile Nadine, non sei né peggiorata, né migliorata.” le disse MaryAnne dopo la visita.
La donna sorrise, ma aveva un cipiglio alquanto strano e la dottoressa se ne accorse.
“Nadine, togliti subito quel sorriso dalla faccia e dimmi ciò che pensi.”
Se n’era accorta, così come se n’erano accorti tutti.
Stava finendo, stava andando via, stava svanendo e non poteva farci nulla.
 A cosa serviva essere sincera?
“Vuoi sapere cosa penso?” cominciò sentendo le lacrime scorrere sul suo viso. “Penso che ho paura di lasciarmi tutto alle spalle; penso che ho paura di non aver vissuto come avrei dovuto; penso che la vita sta scivolando via dalle mie mani giorno per giorno; penso che sto morendo e che questa è l’ultima settimana e potrei scomparire ora, più tardi, domani, tra due giorni; penso che me ne sto andando e non ho perdonato mia sorella e il mio ex marito; penso che me ne sto andando e non ho detto a Drake quanto gli voglia bene e quanto gli sono grata; penso che me ne sto andando e non ho la forza per ammettere che mi mancheranno quegli scalmanati dei Mars; penso che me ne sto andando e non ho la forza di dire a Emma che le voglio bene come se fosse mia madre, nonostante sia più piccola di me; penso che me ne sto andando e non ho il tempo di vedere nascere la figlia di Tomo e Vicki; penso che me ne sto andando e non sono andata a trovare la tomba di mia nonna, in Italia, per l’ultima volta; penso che me ne sto andando e non ho il tempo, la forza e la possibilità, di amare Shannon per l’ultima volta…”
Singhiozzava, guardando MaryAnne negli occhi che, per una questione formale, non poteva piangere.
Ora che aveva ammesso le sue paure, cos’era cambiato? Cosa aveva concluso? Si era solamente reso concreto ciò che lei non voleva.
“Vedi MaryAnne? Non è cambiato nulla. Ti ho detto che ho paura, ma la paura c’è e rimarrà fino alla fine. Voglio fare tante cose, ma non ho tempo. Non cambia nulla, quindi a cosa mi serve essere sincera quando posso fingere che vada tutto bene e risparmiare del dolore a tutti?”
Sorrideva tra le lacrime, mostrando ancora una volta il suo lato maturo.
L’infermiera si alzò e uscì dalla stanza in fretta.
Corse e per via della vista annebbiata dalle lacrime, andò a sbattere contro un uomo.
“Mi scus… Signor Leto!”
“Dottoressa Bucks, cosa succede?” le chiese preoccupato per la salute di Nadine.
Si diressero nello studio della ragazza,che finalmente poté piangere.
Aveva le mani premute in faccia e la voce rotta dai singulti che le scuotevano le spalle.
Shannon si preoccupò maggiormente e si avvicinò, mettendole una mano sulla spalla.
“Dottoressa, mi spiega per favore?” disse, leggermente spazientito.
La bionda si pulì gli occhi e bevve un po’ d’acqua per darsi un tono.
“Non è una questione di salute, signor Leto, ma mi ha detto le sue ultime volontà e sto male perché vorrei fare qualcosa… Vuole perdonare sua sorella e Joshua, vuole parlare con Drake e i ragazzi, vuole parlare con Emma, vuole vedere la bimba di Vicki, vuole andare in Italia dalla nonna, vuole…” e si fermò, imbarazzata.
Il batterista la esortò a continuare con uno sguardo eloquente.
“Vuole fare l’amore con lei, per l’ultima volta…”
Sorrise a quell’ultima affermazione e si andò a sedere di fronte alla donna.
La osservò e notò come fosse addolorata per le condizioni della sua compagna.
Tra le rivelazioni dell’infermiera e la stanza, il suo pensiero si era formato maggiormente.
“Voglio donare il mio fegato a Nadine.” disse all’improvviso, scatenando lo stupore della donna.
“Non lo accetterà mai e i medici nemmeno. Poi deve fare esami di compatibilità e lei beve molto e…”
Era contraria, non poteva permetterglielo.
Nadine non gliel’avrebbe mai perdonato.
“Esistono le lavande gastriche e farò quell’esame. La porteremo in Italia dalla nonna così potrà esaudire tutti i suoi desideri.” affermò risoluto.
La bionda era sconvolta.
Cosa doveva fare?
Prese un respiro profondo e tentò un’ultima volta per dissuaderlo.
“Non può viaggiare in quello stato, le porterà la morte ancora più vicino di quanto non lo sia.”
Shannon si alzò dalla sedia in uno scatto d’ira.
“Lei non morirà, okay? Non dopo il trapianto! Gentilmente ora mi prenota delle lavande gastriche, gli esami e io vado a parlare del viaggio agli altri così che possiamo farle una sorpresa. Intesi?” disse innervosito, fissandola negli occhi.
Erano belli, i suoi occhi, che ora avevano un colorito tendente al giallo.
La rabbia lo aveva accecato, ma l’amore era palpabile nella nota di speranza che vi si leggeva.
Prese l’agenda e la penna e annotò un paio di cose.
Shannon sorrise e uscì per andare da Jared.
Tutto sarebbe andato per il meglio.

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Capitolo 21
*** 20 - How did we get here? ***


 20 - How did we get here?
 
 

…Do you see what we’ve done?
We’re gonna make such fools of ourselves…

 

 
Una chiave sotto il tappeto, la casa vuota e pulita.
Drake non c’era, ma aveva voluto provare comunque nonostante le parole del fratello.
Doveva cercarlo e trovarlo o sarebbe stato troppo tardi, per tutto. Avevano un viaggio da fare, dei sogni da realizzare e non potevano far nulla senza lui, che era la vita di Nadine.
“Se non lo trovi a casa- come è ovvio che sia!- prova alla spiaggia. Sarà esattamente lì.”
Ricordava le parole di Shannon a memoria, eppure su quella spiaggia non c’era nessuno, solo il sole che stava per calare e abbandonarsi alla freschezza del mare.
Sentiva la sabbia sotto i suoi piedi e continuava a spostare lo sguardo a destra e a manca per scorgere anche una sola ombra che ponesse fine a quello strazio.
Erano ormai ore che lo cercava e non aveva ancora capito cosa aveva da fare di così importante suo fratello da non poterlo aiutare.
Era sembrato così vago e misterioso soprattutto con Nadine che voleva sapere.
“Non è nulla, cose di lavoro!” si era giustificato.
Ma di quale lavoro stava parlando?
Perché aveva dei segreti?
Non sapeva ancora trovare una risposta, ma aveva trovato qualcun altro.
“E’ bello qui!” disse, Jared, facendo sobbalzare l’amico che si voltò e lo fissò colpevole.
Presero a camminare senza meta silenziosamente, mentre il cantante aspettava un minimo cenno da parte del moro.
Lo sentì sbuffare e si sedettero su una piccola duna.
“Come hai fatto a trovarmi?” chiese rompendo il silenzio.
“Come fai a sapere che ti cercavo?” domandò il biondo.
“Beh, sono giorni che non vengo in ospedale e che non metto piede in casa, quindi è logico che mi cercavate tutti...”
Jared lo guardò e scosse il capo.
“Drake, cosa succede?”
Guardava l’orizzonte e aveva voglia di andarsene, raccattare la sua roba e sparire.
Ma sarebbe stata la cosa giusta per Nadine?
“Non mi sono regolato con Dì. Sono stato uno stronzo e ne sono consapevole, okay? Non dovevo farla innervosire e non ho nessun diritto di rinfacciarle ciò che lei evidentemente sa. Devo imparare a rispettare le scelte altrui, anche se queste non prendono in considerazione le mie esigenze e i miei bisogni.” disse tutto d’un fiato, continuando a fissare il mare cristallino.
“Il fatto è che ho già vissuto tutto questo e so come ci si sente. È una vita che convivo con un dolore che mi lacera lo stomaco e sapere che riaccadrà a breve, spazza via i resti di cuore che mi son rimasti. Non posso accettarlo, soprattutto perché so che avremmo potuto evitarlo…” continuò sbuffando
Avrebbe potuto evitarlo, Drake!” lo corresse l’amico, mettendogli una mano sulla spalla.
Quel minimo contatto, fece scoppiare l’uomo in un pianto disperato, fra le braccia di Jared che tratteneva a stento le lacrime pur di sollevare il morale al moro.
“Non riesco ad immaginare i miei risvegli senza lei che mi urla nelle orecchie; non riesco a immaginare di non doverla più svegliare al mattino quando esagera col sonno; non riesco a immaginare di dover pranzare da solo, senza le sue manie da vegana; non riesco a immaginare i pomeriggi senza lei che mi porta il caffè anche a lavoro; non riesco a immaginare le sere senza poterle dare la buonanotte.”
Era aggrappato alla maglia dell’artista che si era ormai sciolto in lacrime che scorrevano per tutto il viso.
Singhiozzavano l’uno sulla spalla dell’altro pensando a quanto sarebbe stata vuota la loro vita dopo al fine di tutto.
“Non posso immaginare che lei se ne andrà e io non posso avere l’occasione di farmi perdonare.” affermò guardando negli occhi l’altro che sorrise piano.
“E’ proprio per questo che ti cercavo.”
Drake lo gaurdò di sbieco non capendo.
“Shannon ha organizzato un viaggio in cui Nadine può realizzare tutti i suoi sogni e in cui potrete parlare, perché lei chiede di te.” rispose, asciugandosi le lacrime con le mani.
Si alzò pulendosi i jeans e tese una mano all’amico.
“Andiamo?” chiese retorico.
Drake afferrò la mano dell’amico e, una volta alzatosi, lo abbracciò ringraziandolo.
“Di nulla amico.”
 
 
 
Era in quel bagno da mezz’ora.
Sapeva che sarebbe stata dura, ma doveva farlo per amore di Nadine.
Si mise in piedi e si sciacquò la bocca, sentendo l’infermiera chiamarlo.
“Signor Leto, tutto bene?”
A parte il dolore allo stomaco, il vomito e la strana sensazione in gola?
“Sì, non si preoccupi, ora esco e vado da Nadine.” disse, rassicurando MaryAnne.
Si asciugò con la carta e uscì dal bagno con un sorriso sul volto.
“Vado e grazie.”
L’infermiera sorrise piano, ricordandogli il prossimo appuntamento.
“Tra due giorni sapremo i risultati e avrai l’ultima lavanda gastrica. Non era poi così pieno d’alcool!”
Assentì col capo, sorridendo alla battuta ironica, e corse da Nadine, mentre leggeva un sms del fratello che ancora non aveva trovato Drake.
Sbuffò, ma si riprese subito prima di entrare e sorprenderla a dormire.
Le scattò una foto e, dimenticandosi del flash, la svegliò.
“Shannon… Mmmh, cosa fai?” gli domandò ridendo.
Una lacrima solcò il viso dell’uomo.
Da quanto non la sentiva ridere di gusto? Da quanto non vedeva i suoi occhi brillare? Da quanto non poteva apprezzare la fossetta sulla guancia? Da quanto non si beava di quel suono angelico?
Si avvicinò e la baciò tra le lacrime, mentre lei si chiedeva cosa succedeva.
Glielo domandò con gli occhi e lui rispose: “Sono felice di sentirti ridere, perché è da molto che non lo fai. Come stai?”
Lei gli carezzò i capelli e gli posò un bacio sulla nuca.
“Uguale agli altri giorni.” rispose soltanto.
“Senti…” iniziò addolcendo maggiormente la voce.
Aveva paura di una possibile reazione negativa da parte della donna.
Aveva una strana sensazione.
“Ti va di andare… Ehm, di andare in Italia?”
Un urlo leggero, celato malamente dalla donna, sfuggì al suo controllo.
Gli occhi spalancati e le labbra leggermente socchiuse. Si portò una mano sulle labbra e trattenne le lacrime.
“Come fai a sapere…?” chiese piano, schiarendosi la voce, ma poi sbarrò gli occhi e lasciò cadere due goce da essi.
“Hai origliato?!”
“No!” si affrettò a rispondere il batterista. “Me ne ha parlato lei, in lacrime. È troppo legata a te e non è professionale da parte sua, ma me ne ha parlato spontaneamente. E poi l’avevo capito quando a casa tua sono entrato nella stanza…”
Girò di scatto la testa verso l’uomo e gli lanciò uno sguardo gelido che scombussolò tutti i suoi equilibri.
Si mise a sedere sul materasso e urlò: “Sei entrato nella mia stanza? Hai violato la mia privacy? Come ti sei permesso? Chi ti da il diritto? Come ti sei permesso?!”
Shannon si avvicinò e le prese le mani, per farla calmare o avrebbe avuto un infarto.
La rossa scansò quel tocco e si prese i capelli tra le mani, disperandosi.
“C’era scritto chiaramente che non dovevi entrare. Quella è tutta la mia vita e tu non dovevi assolutamente infiltrarti. Cosa hai risolto adesso?”
Sapeva che non era lei a parlare, sapeva che era stressata, malata e in fin di vita, ma tutto questo non gli impedì di rispondere a tono.
“Cosa ho risolto? Ho capito perché all’inizio non volevi rapporti con altre persone e quanto ci stai male. Ho capito cosa vuol dire vivere nelle tue condizioni. Ho capito quanto hai da perdere…”
Si asciugò le lacrime e tirò su col naso alle parole del compagno.
Non era comunque cambiato nulla!
“Io non volevo stringere nuove relazioni perché sapevo come sarebbe finita! Sapevo che ne avresti sofferto, sapevo che avrei rovinato la tua vita!”
Stavano urlando e non si preoccupavano dela gente che passava e ascoltava.
Dovevano scaricare la colpa su qualcuno, dovevano cercare un compromesso, dovevano sfogarsi.
“Se stai cercando dei pretesti per litigare e allontanarci, io…”
Sei tu! Sei tu quello che ha messo in scena tutto questo perché vuoi litigare, rompere le relazioni così da non aver più legami e non star male quando morirò!”
Sbam.
Una porta sbattuta in faccia avrebbe fatto meno male delle sue parole e del tono in cui le aveva dette.
Lo pensava davvero? Erano davvero arrivati a quel punto?
Si girò di spalle e prese a singhiozzare, per la prima volta, davanti a Nadine che si pentì subito di tutto quello che aveva detto.
Shannon si inginocchiò, continuando a darle le spalle, e pianse premendosi le mani in faccia e urlando il suo dolore.
Ogni urlo, ogni singhiozzo, ogni ‘Perché’ gridato al soffitto, erano pugnalate al cuore della rossa che aveva cominciato un pianto silenzioso.
Come aveva potuto ferire l’unica persona che aveva dato un senso alla sua vita?
Voleva alzarsi, corrergli incontro, abbracciarlo e dirgli che era stata una stronza e che aveva sbagliato, ma non ne aveva la forza.
Vide Shan alzarsi e voltarsi verso di lei.
Alla vista di quegli occhi gonfi e rossi di dolore e frustrazione, pianse forte distruggendo il cuore del musicista.
“Domani mattina passa MaryAnne a togliere tutto il macchinario. Passerò a prenderti e andremo via con tutti per due giorni. Poi quando tornerai, aspetteremo.”
Quelle furono le ultime parole che le disse prima di chiudersi la porta alle spalle e tornare a casa.
 

‘L’ho trovato. A domani, bro.’

 
Rispose a Jared mentre sentì un urlo di disperazione nela stanza di Nadine.
Voleva entrare e controllare che era tutto okay, ma l’orgoglio ferito glielo impedirono.
Si sentì sollevato nel vedere che l’infermiera Bucks era entrata e il pianto si era calmato.
Uscì dall’ospedale e corse a casa con la sua moto.
Ed era già sera…

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Capitolo 22
*** 21 - Viaggio ***


21 - Viaggio

 

…Offrire il cuore, farsi capire, è questo solo questo il nostro motore…

 
 

La mattina non tardò ad arrivare.
Nadine non aveva chiuso occhio per la litigata con Shan e quest’ultimo non era stato da meno.
Arrivò all’ospedale alle nove di mattina e trovò la rossa in compagnia di MaryAnne che le stava facendo le ultime raccomandazioni.
“Non prendere freddo, non agitarti, non sforzarti, non mangiare se non riesci e se stai male le medicine e i calmanti sono nella tasca posteriore della borsa.”
Shannon sorrise di nascosto di fronte a tanta premura e cominciò a prendere le borse della sua ragazza, che si era alzata in piedi ed era presa a sgranchirsi le gambe.
“Va bene, mamma, non ti preoccupare!” le rispose Nadine, ridendo.
L’infermiera l’accompagnò fuori dall’ospedale e poi la lasciò nelle mani del suo compagno, che le cinse le spalle con un braccio.
Non le aveva dato neanche un bacio e lei soffrì per questo.
Entrò in auto, mentre il batterista caricava i bagagli, e trovò tutti seduti ad aspettarli: c’erano Jared e Emma, che si commosse a vederla finalmente in piedi, Tomo e Vicki, che si manteneva il pancione, e Joshua con Aurora accanto.
C’era anche Drake, il che la fece sorridere sommessamente; si sedette nel suo posto e attese l’arrivo di Shannon, che entrò e si sedette senza dire una parola.
Per tutta la durata del viaggio, che li portò dall’ospedale all’aeroporto, i due fidanzati non si erano rivolti la parola e il resto del gruppo era sorpreso, ma nessuno faceva domande.



Erano anni che non viaggiava in aereo e sinceramente aveva anche paura, da quello che ricordava.
Erano in prima classe ed erano stati disposti a due a due, tranne Drake che se ne stava accanto ad un’anziana signora dai capelli platinati.
Nadine aveva preferito sedere al posto lontano dalla finestra e Shannon le aveva risposto un ‘Okay’ freddo e distaccato.
Non ce la faceva più.
Odiava essere ignorata o maltrattata da chi amava, ma mentre stava per rispondergli sentì l’hostess annunciare il decollo.
Andò in panico appena sentì il rumore del motore e lo stomaco contorcersi; strinse forte il bracciolo della poltrona e chiuse gli occhi così forte da farsi male.
Respirava a fatica, ma il musicista non se ne accorse poiché guardava le nuvole al di là del vetro; Tomo parlottava col pancino di Vicki, Jared smanettava su quel dannato BlackBerry e Emma aveva finalmente trovato il momento adatto per riposare un po’.
Il suo ex marito e sua sorella erano troppo lontani, quindi l’unico era Drake, ma il caso volle che stesse dormendo.
Aprì gli occhi e le vorticò la testa.
“Oh, mamma…” sussurrò e il batterista si voltò per vedere cosa fosse successo.
La trovo rigida, con la mano stretta attorno al bracciolo e gli occhi sgranati; era pallida e respirava irregolarmente.
“Cosa succede? Stai male? Nadine!”
Si avvicinò di più alla sua donna e le strinse il viso tra le mani.
“Parlami, Nadine, parlami!” disse scuotendola leggermente, ma la vide balbettare.
Le porse un bicchiere d’acqua e la vide rinsavire lentamente.
Non smise neanche un attimo di guardarla e di carezzarle il capo, ma quando la vide sorridere si allontanò.
Nadine tirò su col naso e si alzò per andare in bagno.
Una volta arrivata davanti allo specchio, pianse, guardandosi negli occhi e non riconoscendosi nel suo riflesso.
Cos’era diventata?
Voleva vivere eppure era il ritratto della morte.
Cosa aveva fatto?
Si fece cogliere impreparata da un altro attacco di panico più forte, ma non aveva con sé né acqua potabile né calmanti.
Si sedette, aspettando che le sarebbe passata, e si massaggiò il cuore.



L’aveva fatta star male e non se n’era nemmeno accorto.
Non voleva comportarsi così, ma le parole che gli aveva detto gli rimbombavano nella mente e lo allontanavano da lei e dal suo cuore.
L’aveva fatta andar via, in bagno, in quelle condizioni.
Era tutta colpa sua e lo sapeva, ma l’orgoglio lo fotteva sempre.
Vide Jared fargli segno col capo di andare in bagno.
Aveva uno sguardo preoccupato e la paura incrementò quando una hostess bussò al bagno e chiese chi stava piangendo.
Si alzò in fretta, attirando l’attenzione dei suoi amici e degli altri passeggeri, e disse all’hostess: “Qui dentro c’è la mia ragazza ed è malata!”
La ragazza tirò fuori la chiave universale e quando la porta si aprì corse dentro, vedendo Nadine stesa sul pavimento.
“Amore mio! Cazzo, mi senti? Amore mi senti?”
Urlava così forte che gli uomini del gruppo si avvicinarono e rimasero sconvolti.
Videro Shannon con una Nadine morente tra le braccia, ma lei si sforzava di sorridere.
La fecero sedere e le chiesero di tutto.
“Cosa c’è?”
“Vuoi tornare a casa?”
“Stai bene?”
Le domande le vorticavano nella testa tanto che urlò.
“Fatela finita!”
Ansimò e prese un calmante con dell’acqua.
Si sentì sollevata e respirò a fondo, mentre gli altri attendevano una risposta.
“Ho avuto paura del volo. Tutto qui!”
L’aria si allentò e Drake sorrise, dicendo: “Come quella volta che andammo a Parigi e avevi paura che ci potessimo schiantare? Ricordo che baciasti le hostess e il comandante di volo per non averti fatto morire così brutalmente!”
Nadine rise a quel ricordo e rispose: “Sì, come a Parigi.”
Si lanciarono uno sguardo complice e tutto tornò alla normalità.
Shannon si sedette al suo posto accanto a lei e si voltò verso la sua rossa con un’espressione colpevole sul viso.
“E’… E’ tutta colpa mia, amore. Sono uno stronzo, ma le tue parole…”
Nadine si accoccolò sul suo petto e lui si sentì sollevato di quel contatto, stringendola a sé e baciandole i capelli.
“Quelle parole non erano mie e con questo non voglio giustificarmi, ma non ero io a parlare.” Alzò il volto quanto gli bastava per guardarlo negli occhi e si sentì a casa. “Mi perdoni?” sussurrò ad un centimetro dal viso del batterista.
“Sempre.” rispose, questi, avvicinandosi alle sue labbra e sfiorandole piano.
“Ti amo.” Aggiunse, poi, scatenando un ‘Aww’ generale che lo fece arrossire.
La donna sorrise e si mise comoda sul petto del suo uomo, addormentandosi.



Quando toccarono il suolo italiano era sera inoltrata.
Tutti insistettero per andare a dormire nell’albergo che avevano prenotato, ma Nadine chiese di poter andare subito al cimitero.
Tra i vari sbuffi accettarono e una volta davanti al cancello, la rossa chiese loro: “Posso raggiungere la tomba di mia nonna con mia sorella, per favore?”
Furono tutti felici di accettare e videro le due sparire dentro il cimitero.
Nonostante fosse sera, non avevano paura, anzi, sin da piccole avevano sempre amato addentrarsi nei posti bui di notte.
Raggiunsero una lapide che riportava il nome di ‘Aurora Nittis vedova Sweet’con accanto una bellissima foto sorridente della loro nonna.
Nadine si sedette di fronte ad essa e fece segno alla minore di imitarla.
“Eccoci qui, nonna.” cominciò, trattenendo a stento le lacrime. “Volevi sempre vederci unite e so quanto dolore ti abbiamo causato con il nostro allontanamento, ma ho capito che le colpe in questa storia le ho anch’io, perché sono sempre stata testarda, egoista e impulsiva e non mi fermavo mai a pensare a delle possibili ripercussioni sulle persone che mi sono vicine.”
Stava ormai piangendo quando sentì il tocco caldo, della mano della sorella, lambirle la spalla.
“Avrei dovuto starti vicina io, Nadine, perché io sono la tua famiglia e io so quello che hai dovuto passare; ma se per tutti questi anni non sono venuta da te di persona è perché non volevo che ti agitassi e complicassi il tuo stato. Sono stata una cretina perché non dovevo rubarti il marito e nemmeno combinare guai con Shannon, che ti ama, ma io non accetto che tu debba morire di un male che si potrebbe allontanare. Avresti potuto laurearti, sposarti, avere dei figli…”
Si abbracciarono in lacrime e una folata di vento si alzò, chiaro segno che la loro nonna aveva gradito quel riavvicinamento.
Si alzarono, si avvicinarono alla tomba e diedero un bacio con la mano.
“Ci vediamo presto, nonna.” disse la maggiore delle sorelle, scatenando il pianto più forte dell’altra che si aggrappò alle sue spalle.
Uscirono dal cimitero così, abbracciate e piangenti, raggiungendo gli altri che le stavano aspettando.
Con la macchina che Shannon aveva fatto mandare dall’America all’Italia, raggiunsero l’albergo e andarono tutti in stanza di Nadine, come lei stessa aveva chiesto.
Si sedettero sul letto e attesero che la rossa parlasse.
“Io devo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me, per tutti i perdono e per tutta la pazienza che avete avuto, soprattutto voi.” disse, indicando Emma e Vicki. “Emma, tu per me sei come una mamma, quella che non ho mai avuto, e devo solo a te la mia forza e la mia audacia nell’affrontare questo brutto momento.”
La bionda abbracciò l’amica e piansero, generando la commozione generale.
“Ti voglio bene, rossaccia!” rispose tra le lacrime la segretaria, appollaiandosi tra le braccia di Jared.
“Vicki, sei l’amica che ogni ragazza vorrebbe, sei spiritosa, geniale, mi fai ridere e poi sei bellissima e lo sarai anche quando sembrerai una boa e mi dispiace non poterci essere in quei momenti a prendermi gioco di te…”
Interruppe il discorso, rotto dai singhiozzi, e sentì le braccia della futura mamma attorno al collo.
“Ci sarai, sempre, amica mia. Sempre!”
Le accarezzò la pancia e in quel momento piansero tutti e Shan scappò in bagno.
Nadine assistette alla scena e decise di continuare per lasciarlo sfogare da solo.
“Aurora, con te ho chiarito e non serve ripetermi, ma per gli stessi motivi che ho perdonato te, perdono anche Joshua, perché alla fine è stato un bravo marito e non mi ha mai fatto mancare nulla. Il divorzio è venuto anche per colpa mia e della mia testardaggine, ma si sa che era destino.”
Il moro si limitò ad asciugarsi le lacrime e a baciarle una mano.
“Ora arriva il momento duro…” ammise sorridendo tra le lacrime.
Si mise tra il cantante e il chitarrista e li abbracciò.
“Come farò senza di voi?” iniziò, ma non poté proseguire perché vide Tomo piangere e Jared mangiarsi un’unghia per la crisi isterica che gli era presa.
Abbracciò prima il croato e poi il biondino, continuando il discorso.
“Mi mancheranno i pomeriggi con voi, che mi facevate ridere col solletico e con le vostre battute, ma soprattutto mi mancheranno i mini concerti in mio onore. Mi mancherete!” finì, abbracciandoli di nuovo.
“Manche-eh-rai tu a-ah noi…” singhiozzò Jared sul suo collo.
“Un miracolo… Un mi-miracolo avevo-oh chiesto!” urlò Tomo stringendola a sé.
Nadine li baciò entrambi e carezzò nuovamente il pancino di Vicki ammettendo: “E’ lei il miracolo, ricordatevelo!”
Si alzò dal letto e sentì un rumore provenire dal bagno.
Si affrettò ad entrare e vide le saponette e i vari aggeggi del bagno rovesciati sul pavimento.
Si avvicinò all’uomo inginocchiato e lo abbracciò da dietro, rabbrividendo per il bacio sul polso che le diede.
Lo girò verso di sé e lo bacio profondamente, stringendogli il viso tra le mani.
“Okay?” disse soltanto, consapevole che quel bacio valesse più di mille parole.
Ritornarono dagli altri e Nadine riprese il discorso che, questa volta fece a Drake.
“Tu, nonostante tutto, sei il mio fratellone, sei la mia vita e senza di te io sono insignificante. Ti ringrazio di tutti gli anni che mi hai dedicato, di tutta la disarmante pazienza che hai avuto e soprattutto grazie perché ci sei sempre stato. Però devo anche chiederti scusa perché avrei potuto seguire i tuoi consigli disperati, ma non era destino. Sarei dovuta morire e accadrà, così come con tutti.”
Andò verso l’amico che la strinse a sé e le sussurrò “Grazie a te per tutta la felicità e la forza che mi hai dato. Sei la mia nota di positività, Dì. Ti amo davvero!”
Si baciarono a stampo e si staccarono.
Si voltò verso Shannon e tutto sparì intorno a lei; non c’era più nessuno e non c’era più niente.
Aveva persino dimenticato il discorso che si era preparata.
Si andò ad accoccolare fra le sue braccia e lui la strinse a sé con tutta la dolcezza del mondo, volendola proteggere da tutto e tutti.
“Potete lasciarci soli, per piacere?” chiese al gruppo che capì e se ne andò augurando la buonanotte.
Rimasero soli, seduti al centro di quel letto, uno di fronte all’altra.
Le loro mani si sfioravano e si intrecciavano, incastrandosi perfettamente.
Lei sorrise e lui tirò su col naso.
“Amore, basta piangere. Sono qui, adesso.”
Lui l’attirò a sé e le baciò la fronte asciugandosi le lacrime.
“Adesso sei qui, ma fra qualche giorno potrà essere finito tutto e io sarò solo. Come farò quando vorrò un tuo bacio o quando vorrò sentire la tua voce?”
Non voleva raccontarle del suo piano, perché lei non sarebbe stata d’accordo e si sarebbe rovinato il momento, ma quelle frasi che aveva appena detto le pensava davvero.
Se non fosse stato possibile come avrebbe fatto?
Shannon si lasciò cullare dalle sue braccia e si stese, quando lei lo spinse verso il materasso.
Si mise sopra di lui e gli baciò il petto coperto dalla t-shirt.
“Se avrai bisogno di me, basta che chiudi gli occhi e mi pensi e io sarò lì, per te. Oppure accarezza il pancione di Vicki e mi chiamerai. Sarà il nostro segnale!”
Lo baciò teneramente sulle labbra e si lasciò trasportare dal momento.
Gli tolse la maglia, avventandosi sul petto che divorò famelica, mentre lui le sfilava via il vestito a fiori che indossava rimasero in intimo e il moro capovolse la situazione mettendosi su di lei e scese con le labbra dalla fronte, al naso, alle labbra, al mento, poi giù sul collo- facendola rabbrividire-, poi sulle spalle, sul petto, e si soffermò sui seni. Sganciò il reggiseno e baciò i suoi capezzoli mentre lei gli passava le dita sulla nuca, mandandolo al settimo cielo.
Nadine invertì le posizioni e gli leccò le spalle, scendendo verso i capezzoli che morse leggermente, facendolo gemere. Lui le toccava i glutei e lei lo baciava sulle labbra lasciando scontrare le loro lingue.
Shannon la mise sotto di sé, carezzandogli la schiena e le tolse gli slip, mentre sentiva anche i suoi boxer finire sul pavimento, non procurando alcun rumore.
La osservò in viso e le sembrò una dea scesa sulla terra solo per lui.
La rossa lo guardava e capì la sua incertezza.
“Ho paura di farti male.” ammise il batterista baciandole la mano sinistra che prese a tremare piano.
Lei gli prese il volto tra le mani e li fece rotolare in modo da troneggiare sul corpo del suo compagno.
“Lasciati andare, amore mio. Amami, per l’ultima volta.”
A quella richiesta gli occhi del batterista si riempirono di lacrime e, una volta posta sotto il suo controllo, la penetrò dolcemente guardandola negli occhi e carezzandole le labbra.
“Così, amore, così!” gemeva Nadine sotto di lui, abbracciando i suoi pettorali.
Shannon continuava a spingere piano, ma sentì una nuova sensazione in lui che gli pervase il cuore e prese ad ansimare tra le lacrime.
“Non finirà, mmmh, non finirà!” gemette sulle sue labbra carnose.
Lei gli graffiò le spalle e gli baciò il petto, piangendo e ansimando, mentre lui la penetrava più forte tenendola delicatamente per i polsi.
“Vieni, Shan, vieni. Ti prego, amore mio, vieni!” sussurrava Nadine mordendogli le labbra in preda ad un orgasmo che non tardò a raggiungere anche Shannon, che si accasciò su di lei stremato.
Si misero l’uno accanto all’altra, avvolti dalle coperte, e lui giocava coi suoi capelli, mentre lei giocava con le dita della mano libera.
“Ti amo, Nadine.” esordì all’improvviso.
Lei lo baciò ad occhi chiusi e sbadigliò piano, stanca.
“Ti amo, Shannon.” rispose, addormentandosi tra le braccia del suo sogno.

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Capitolo 23
*** 22 - November Rain ***


 22 – November Rain
 
 
 

…Nothing lasts forever, even cold November Rain…
 

 

Dormirono nudi, l’uno intrecciato all’altra, col loro sapore sulla pelle. Respiravano tra le candide lenzuola leggere e i loro sospiri mal celati.
Ad un certo punto, aiutata dal sole che filtrava dalla finestra, Nadine aprì i suoi occhioni verdi e li stropicciò.
Donò un sorriso dolce a Shannon che dormiva beato accanto a lei; era così bello con gli occhi chiusi, le labbra leggermente dischiuse e la guancia spalmata sul cuscino. La mano destra era posta sotto il cuscino, mentre l’altra era ancora stretta alla sua. Si staccò piano, per non svegliarlo, recuperò la biancheria e degli indumenti e uscì dalla camera senza fare il minimo rumore.
Scese e trovò i suoi amici che facevano colazione seduti al tavolo dell’albergo; li salutò da lontano e prese la colazione per il suo uomo e gliela portò a letto, sempre molto silenziosamente.
Posò il vassoio sul comodino e si abbassò sulle labbra del batterista, che sorrise leggermente ancora ad occhi chiusi.
Una visione!  pensò baciandolo.
Shannon aprì gli occhi e la investì col suo sguardo.
Si sorprese di trovarla sveglia e la tirò su di sé nel lettone matrimoniale.
“Perché non mi hai svegliato? Avremmo potuto fare colazione con gli altri.”
Nadine fece leva sulle braccia esili e lo guardò negli occhi, ghignando.
“Ti ho fatto riposare un po’ di più e ti ho portato la colazione a letto per ringraziarti.”
Questa volta fu l’uomo ad essere sorpreso.
Perché mai avrebbe dovuto ringraziarlo?
“Amore non dovevi!” disse abbracciandola forte e facendola ridere di cuore.
Per lei era sempre un colpo sentirsi chiamare amore da Shannon.
Si baciarono ancora e, prima che potessero lasciarsi andare, la rossa si staccò piano e indicò la colazione.
“Il caffè si fredda!” esclamò provocando le risa del suo compagno.
“Il caffè, eh?!” la prese in giro lui, spintonandola.
Si sedettero sul letto e presero ad addentare dei croissant che il musicista divorò in pochi morsi, mentre lei doveva ancora iniziare a mangiarne un pezzetto; ingurgitò un po’ di caffè, mentre Nadine sorseggiò del succo all’arancia.
“Sono io che ti ringrazio…” cominciò Shannon, alludendo al motivo della colazione.
Lei lo guardò curiosa, finendo il suo succo.
“Sei sempre stata sincera con me.” concluse, provocando dei colpi di tosse da parte della donna.
La guardò stranito e lei si diede un tono prima di fissarlo sommessamente e dire: “Avrei un segreto…”
Shannon strabuzzò gli occhi.
Avevano segreti? Da quando?
“Cosa devi dirmi?” domandò, insicuro di voler sapere la risposta.
Nadine posò il bicchiere vuoto sul vassoio e gli prese la mano destra tra le sue, cominciando a giocare con le dita come era solita fare quando doveva affrontare un discorso serio o che avrebbe comportato una discussione.
Non aveva la forza e la sfacciataggine di guardarlo negli occhi, consapevole di dover affrontare sguardi che non vorrebbe mai vedere negli occhi del suo amato.
“Ricordi quando alla festa del matrimonio di Tomo tu mi hai tradita e io lo son venuta a sapere da mia sorella?” L’uomo annuì, innervosendosi al solo ricordo.
“Beh, anch’io sono andata con un altro.”
Strinse gli occhi e cercò un senso alternativo a quella frase, ma invano.
L’aveva tradito anche lei.
Si erano traditi.
Lui era ubriaco.
E lei?
“Eri… Eri, ehm, consenziente?” chiese, mormorando e guardandola in volto.
Lei scosse il capo.
“Ero ubriaca.” aggiunse.
Lui annuì piano, come a calmarsi, ma un pensiero si fece spazio nella sua testa, prendendo poi voce: “Allora perché quella sceneggiata? Perché lasciarmi? Perché? Tutto ciò non sarebbe successo e forse ora saresti stata meglio.”
Nadine scosse il capo, sorridendo amaramente.
“Sono del parere che nonostante tutto, il mio mese di vita sarebbe finito all’improvviso e sarebbe stato peggio.”
Aveva ragione, pienamente ragione.
“Hai tralasciato un paio di domande…” le fece notare Shannon.
Sospirò.
“Avevo trovato un pretesto, l’unico modo per darti delle colpe, l’unica via per allontanarti con meno dolore, sapendo che mi avevi fatto male almeno un po’.”
Sbuffò, sapendo di dover affrontare quel discorso ancora una volta.
“Nadine, te l’ho già detto ma te lo ripeto…” lasciò la frase in sospeso.
Lei si alzò dal letto e, presa da un attacco di lunaticità, cominciò a gridare: “Avanti, Shan, dillo. Dillo, cazzo, è la verità. Te lo dico ora, per l’ultima volta. Avanti, dillo!”
L’uomo si alzò, la prese per le spalle da dietro e la girò, stringendosela sul petto.
Quegli attacchi erano di routine e spesso lui non la capiva, ma aveva imparato a gestirle.
“Te lo dico ora e non lo ripeto più, amore, io ti amo e non devi allontanarmi perché avrai solo l’effetto contrario.”
Lei sorrise amaramente, annuendo e ammettendo sarcastica: “Certo, come no, Shan, come no!”
Il batterista l’allontanò e la fissò innervosito.
Non riusciva più a reggere i suoi sbalzi d’umore.
Prese il cellulare e chiamò il fratello, vedendo Nadine stendersi e agitarsi sul letto, stringendo i suoi capelli tra le mani.
“Jay, vieni di corsa ma non allarmare nessuno. Se qualcuno chiede, ti ho chiamato per le ultime sistemazioni del volo di ritorno a casa.”
Chiuse senza aspettarsi una risposta e aprì la porta quando sentì bussare.
Aveva fatto in fretta e respirava a fatica per via della corsa.
“Non doveva agitarsi!” urlò il minore, abbracciandola.
“Lo so, ma eravamo nel bel mezzo di una lite!” rispose allo stesso modo, Shannon, cercando i calmanti.
Buttava per aria qualsiasi cosa entrasse nel suo raggio visivo e imprecava ogni qual volta non trovava nulla di interessante.
“Non potevate chiarire in un altro momento?” domandò irritato il cantante, mentre Nadine piangeva in preda ad una crisi di panico.
“Cazzo, Jared, ti ricordo che tra qualche giorno potrei perderla e tutto volevo tranne che lasciarla andare col rancore e coi dubbi!”
Shannon aveva urlato così forte che non si rese conto di aver rotto il flacone dei calmanti, per quanto lo avesse stretto nella mano.
Jared lo guardò con gli occhi sbarrati dallo spavento e Nadine prese a piangere, urlando: “Basta! Smettetela, mi fa male. Fa male tutto e se voi urlate non mi aiutate e io morirò adesso!”
In preda al panico, il moro le diede due pastiglie mentre il biondo le dava un bicchiere d’acqua, proprio come aveva detto MaryAnne.
Shannon si inginocchiò davanti a lei e, dopo lo sguardo di rimprovero del fratello, le disse: “Perdonami se non capisco i tuoi momenti e se mi faccio prendere, ma devi capire che io ti amo e qualsiasi cosa succeda, resterai sempre la mia rossa.”
La donna si calmò e gli prese il volto tra le mani.
“Shan, scusami se non riesco a gestire i miei sbalzi d’umore, ma mi prende così e non posso farci niente.”
Si baciarono dolcemente, mentre Jared li osservava dall’esterno e sorrise intenerito.
“Tu!” disse Nadine, indicandolo. “Vieni qui, angelo mio!”
Si concessero un lungo abbraccio fraterno in cui si dissero molte cose senza l’uso della parola.
Si staccarono e si diedero appuntamento per ritornare all’aeroporto e tornare a casa.



E così com’era iniziato il loro viaggio, si concluse.
Erano ai loro posti, con la differenza che Shannon, Nadine e Drake erano seduti nelle postazioni a quattro con una ragazzina olandese che aveva le sue cuffie ben piantate nelle orecchie.
“Si torna a casa.” disse l’amico ai due di fronte.
“Già, chissà cosa ci aspetta…” ammise malinconica stringendo la mano del compagno.
Era mattina e dovevano arrivare a Los Angeles in tempo per il responso e per l’ultima lavanda gastrica; Shannon aveva programmato tutto l’itinerario nei minimi dettagli, salvo ritardi e traffico.
Tutto stava andando secondo i piani e ne fu ben contento.
“Amore, svegliami un po’ prima dell’atterraggio nel caso in cui non riesca da solo a rendermi conto dell’orario. Riposo un po’ gli occhi perché il fuso orario mi ha ammazzato.”
Lei annuì e lo vide posizionare meglio il capo sul cuscino da viaggio e abbassarsi la mascherina scura.
Per tutto il viaggio non fece che guardare in viso i passeggeri e rendersi conto che alla fine la sua vita non era poi stata così male e che il suo piano di aiutare il prossimo per sentirsi migliore aveva funzionato.
Sorrise tra sé e sé e prese a scherzare con Drake, contenta di aver ripreso il loro normale rapporto.
Passarono ore a scimmiottare le hostess e i loro amici: si divertirono a lanciare pallottole di carta a Tomo e Vicki che, prontamente, imprecavano non capendo da dove arrivassero; facevano squilli anonimi ad Emma che minacciava di bloccare la scheda tramite la polizia e poi presero a fare le boccacce a Joshua ed Aurora che ridevano, facendo casino.
Poi la rossa incontrò lo sguardo di Jared e lo trovò incredibilmente vuoto di emozioni.
Nell’aria era palpabile l’amore, che variava tra le varie coppiette e tra genitori e figli, ma il cantante aveva l’espressione assorta e lei capì che aveva bisogno di qualcuno da amare e che lo amasse per ciò che è.
“Arrivo Key.” annunciò, prima di andarsi a sedere accanto al suo tesoro.
Lui sorrise fintamente e guardò oltre il finestrino.
“Jared che succede?” gli chiese costringendolo a voltarsi.
“Nulla, pensavo.”
Inclinò il capo e lo osservò meglio: gli occhi, stanchi e privi di sentimenti, venivano coperti spesso dalle palpebre che sbattevano pesantemente ed erano accerchiati da un alone scuro per via dell’insonnia.
Le rughe erano più pronunciate e sul volto si vedeva la leggera barbetta brizzolata che contrastava coi capelli biondissimi.
Aveva abbandonato da un po’ la sua cresta Pome e aveva giurato che li avrebbe fatti tornare normali un giorno.
“La verità, tesoro.” rincarò la dose e lui sbuffò, continuando a fissare le nuvole che scorrevano sotto di loro.
“Non mi sono mai sentito così solo in vita mia. Di solito la musica mi aiuta, ma questa volta non colma il vuoto che ho nel petto, non riempie le mie notti insonni e non mi fa più stare bene. Non sorrido più spontaneamente pensando a nuove basi musicali per le mie canzoni o a nuovi video. Non riesco più a scrivere e non ne ho voglia sinceramente. Voglio amare qualcuno che non sia frutto della mia immaginazione o dei miei sogni e voglio essere amato perché sono Jared senza Leto. Il cognome che porto, la mia fama, il successo, pesano e non mi permettono di capire se la gente mi ama per ciò che sono o perché sono Jared Leto.”
Nadine si sporse verso di lui e lo abbracciò come aveva fatto lui con lei la mattina stessa e gli sussurrò: “Troverai la tua metà, Jared, la troverai. Non sai quando, né come e né dove, ma devi solo vedere bene, ma non con gli occhi belli che ti ritrovi, ma col cuore grande che hai. Sei troppo immenso e hai un mondo troppo pieno da poter stare solo. Non cercare l’amore, perché ti sfuggirà sempre, bensì fatti trovare e lo troverai anche tu.”
Jared le stampò un bacio sulla fronte e annuì, osservandola mentre tornava a posto e si addormentava sulla spalla del fratello maggiore.



Un conato di vomito e scappò in bagno sotto gli occhi dell’infermiera Bucks che stava trafficando su quel computer in attesa del responso.
Shannon tirò lo sciacquone, si lavò il viso e si bagnò i polsi, rientrando nella sala della ragazza che lo attendeva.
“Come è andata?” gli chiese ormai rassegnata all’idea che dovevano aspettare altri minuti.
Un lampo ruppe il silenzio della stanza e il rumore delle goccioline che si posavano sulla finestra fecero da sfondo alle parole dell’uomo, che rispose: “Bene, alla fine è andato tutto per il meglio. Ha chiarito con tutti e ci ha dato ottimi consigli. Eravamo tutti commossi e io ho avverato tutti i suoi desideri.”
La biondina arrossì, capendo che avevano fatto l’amore per l’ultima volta e cambiò argomento per sfuggire all’imbarazzo.
“Le ho fatto degli esami dieci minuti dopo che siete arrivati e ho notato che ha preso i calmanti. Cos’è successo?”
Shannon guardò alle spalle dell’infermiera dove vi era la finestra ormai piena di nebbia addensata e pioggia di Novembre.
“Vari attacchi di panico e piccole discussioni, ma nulla di grave. Siamo rimasti con un Ti amo come frase finale e non con rabbia e rancore.”
La ragazza non rispose e osservò lo schermo del PC.
“E’ arrivato il responso…” annunciò agitata.
Con un paio di click lo mandò in stampa, mentre nella mente del batterista susseguirono le immagini della loro storia come un film.
Il loro ultimo bacio, prima di andare a fare la lavanda gastrica, la sua richiesta di restare sola, il suo Ti amo sussurrato a fior di labbra, il suo sguardo fisso nei suoi occhi, le sue labbra che gli sorridevano e la sua aria tranquilla.
Sto bene, potete lasciarmi sola. disse e tutti andarono via.
Scosse il capo, ritornando sulla terra e osservò la biondina che gli porgeva il foglio delle verità.
Il cuore gli batteva forte, le mani tremavano e la donna di fronte a lui era trepidante, mentre fuori aveva smesso di piovere.
Fece scorrere gli occhi sul foglio e la stanza fu illuminata dal suo enorme sorriso che contagiò presto l’infermiera.
“Compatibile!”






Ci vediamo con l'epilogo.
Baci,
TittaH.

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Capitolo 24
*** 23 - Miracle: L'epilogo ***


 23 – Miracle: L’epilogo
 
 

…Se prima aveva un senso, adesso è solamente quel che ho…
 

 
“Nadine? Coraggio alzati, Nadine!”
E’ più di un quarto d’ora che la scuoto, ma non alza la testa dal cuscino e né tantomeno apre gli occhi.
Mi sporgo per darle un bacio sulla guancia, ma nulla, è sempre la solita dormigliona e da sedici anni a questa parte sono sempre io quello che deve svegliarla, sennò mi tiene il muso.
“Nadine, se non ti alzi ora mi costringerai a prenderti a secchiate d’acqua ghiacciata.”
Provo a minacciarla, ma l’unica cosa che ottengo e vedere le sue spalle, poiché si è girata dall’altro lato del letto.
Mi alzo e sbuffo, cercando di usare un tono autoritario.
“Ti avverto che l’acqua fredda il 5 di Aprile non è il massimo, cara la mia Nadine.”
5 Aprile hai detto?”
Scatta sul letto e mi guarda con i suoi occhioni imploranti.
“Scusa, non volevo… Ehm, fra quanto abbiamo il volo?”
Sapevo che si sarebbe alzata, sapendo che giorno è oggi.
Sorrido, scuotendo il capo, e l’abbraccio forte a me.
Faccio per rispondere, ma qualcuno irrompe nella stanza e semina il panico più totale.
“Nadine Miracle Milicevic! Sei ancora a letto? Fra meno di un’ora c’è il volo e non abbiamo intenzione di perderlo a causa tua. Fila a lavarti!”
Eccolo lui, Tomo, che sulla soglia dei cinquant’anni e tante sigarette a rubargli il respiro, ha ancora la forza di urlare. Rido, impercettibilmente quando vedo Nadine correre in bagno come un fulmine.
Non è mai stato un padre severo, ma sa il fatto suo e non la vizia come fa Vicki di tanto in tanto.
Sono molto legato a lei, sia perché ha il suo nome, sia perché sono uguali in tutto e per tutto; poi è la figlia del mio ex chitarrista, quindi un minimo di parentela, se non di sangue ma di cuore, c’è.
Ex chitarrista, fa strano dirlo…
Sì, abbiamo deciso di concludere la nostra carriera poco dopo la morte della mia Nadine. L’ultimo concerto è stato uno di beneficenza col cui ricavato abbiamo dato vita ad un centro ospedaliero specifico per la ricerca e cura dei tumori.
Era un suo sogno e ci è sembrato giusto avverarlo, anche se lei non c’è più.
Sono ormai sedici anni che non la sento più ridere, che non la bacio più, che non posso stringerla a me e che non salgo su un palco; ma le emozioni che mi mancano, le trovo nella figlia di Tomo che- come disse la mia rossa- è il nostro miracolo.
E’ il senso della mia vita, il senso di ogni mio gesto e di ogni mia parola; qualsiasi cosa faccio, la faccio in sua funzione.
Mi piace essere il suo punto di riferimento, essere la sua guida e mi piace il modo in cui mi rimprovera.
Le somiglia molto, caratterialmente, e mi aiuta a non soffrire troppo per la sua mancanza.
Ricordo ancora quando lei, che aveva soltanto dieci anni, mi chiese come mai ogni anno nello stesso giorno la portassimo in Italia al cimitero.
Le spiegai il motivo del suo nome, la sua importanza, le spiegai chi era Nadine, cosa aveva fatto per noi e chi era stata per noi.
Le dissi tutto in lacrime e lei, con la sua incredibile ingenuità, mi chiese scusa e mi stampò un bacino piccolo sulle labbra dicendomi Te lo manda la zia!.
La strinsi forte a me e da quel momento siamo stati ancora più legati e vuole solo me come suo buongiorno, solo me come sua buonanotte e solo me in ogni suo singolo istante.
Scendiamo le scale, io e Tomo, raggiungendo Vicki, Emma e Jared.
Mio fratello mi sorride, stringendo la mano alla sua assistente. Alla fine sono riusciti a dichiararsi, dopo tanti anni, e lui sostiene che sia stata Nadine a spronarlo.
Il mio angelo la chiama lui.
Ognuno ha preso la sua strada in questi anni, ognuno ha la sua famiglia, ma io che ormai ho cinquantasette anni non me la sento di amare un’altra donna o almeno di cercarla.
Non saprei da dove cominciare.
Ho provato a uscire con MaryAnne, l’infermiera, per qualche mese, ma lei non se la sentiva e io non ero da meno.
Dopo alcuni giorni scoprimmo che Drake era stato arrestato per furto e oltraggio a pubblico ufficiale. A nulla servirono le perizie psichiatriche che confermarono le nostre supposizioni: era diventato matto.
Aveva perso il lume della ragione, parlava da solo convinto che Nadine e sua sorella fossero ancora con lui e pagammo fior di quattrini pur di migliorare il suo stato, ma alla fine si fece i suoi anni di carcere e uscì, ammazzandosi poco dopo.
Il dolore era troppo grande per lui, mi raccontava spesso che non riusciva a vivere se il suo cuore era morto con le sole due donne della sua vita.
Sono sicuro che lei se sarebbe stata ancora con noi, non sarebbe mai stata contenta della fine di Drake.
Ci manca molto, a Jared soprattutto che in quel periodo si è avvicinato ancora di più ad Emma e si sono aperti l’uno all’altra.
Non tutti i mali vengono per nuocere, mi vien da dire, ma non ho mai dimenticato quegli istanti che mi hanno devastato e che ogni notte da sedici anni mi tormentano.






Correvo veloce, mi mancava il fiato, ma correvo sempre di più.
Dovevo raggiungerla, dovevo abbracciarla, baciarla, stringerla a me e sussurrarle che l’avrei salvata, che mi sarei sacrificato per lei.
Avrei voluto farlo, davvero…
Corsi ancora più veloce per quel corridoio e quando svoltai l’angolo chiusi i miei occhi per via dell’urlo sovrumano che udii.
Davanti la camera di Nadine una schiera di dottori, infermieri e poi lui, Drake che spazzò via ogni dubbio.
Mi feci spazio tra alcuni medici che continuavano a dirmi di non passare e arrivai davanti al suo letto.
Era lì, inerme, senza vita; gli occhi aperti e spenti, una lacrima scendeva dal destro e le bagnava l’angolo della bocca.
Sorrideva e aveva una mano sul cuore, come a volerlo far battere ancora, ma il macchinario non dava segni di vita.
I capelli rossi sparsi sul cuscino immacolato e le gote pallide e scarne.
Era lì, davanti a me ed ebbi paura per la prima volta in vita mia.
Ebbi paura di essere rimasto solo e di non poter più vivere.
Una mano si posò sulla mia spalla e ripresi a respirare pesantemente dopo aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo che mi sembrò non finire mai.
MaryAnne mi fissava, cercando di mantenere il controllo della situazione e la sua professionalità e io non seppi che fare.
Mi buttai sul letto sul quale giaceva il mio amore ormai morto e piansi tutte le lacrime che non credevo di poter versare e di poter avere.
Urlavo come un pazzo, urlavo frasi sconnesse dai singhiozzi, colpivo il materasso coi pugni e baciavo la sue labbra fredde.
Presi a pungi un muro e un dottore mi tirò fuori dalla stanza, benché io urlassi e mi dimenassi.
Mi curarono la mano, ma non sapevano che il dolore non era in quel punto, che il dolore non era curabile con un paio di fasciature e un po’ di tempo.
L’ultima cosa che vidi fu Drake che veniva portato fuori dall’ospedale.
L’ultima cosa che sentii fu l’urlo straziante di Aurora.
L’ultima cosa che provai fu un vuoto incolmabile all’altezza del petto.

 


 
Siamo in aereo, ancora una volta e non posso fare a meno di pensarla.
Stiamo andando in Italia perché dopo il funerale ho mandato la salma nel posto dove lei voleva: accanto a sua nonna.
Mi ha aiutato molto la distanza a non deprimermi, a concentrarmi su quello che restava della mia vita, a concentrarmi sugli ultimi desideri di Nadine e a concentrarmi sulla crescita della figlia di Tomo e Vicki.
Mi accorgo che stiamo per atterrare e stringo la mano della piccola Nadine che mi scruta con occhi indagatori.
“Ci sono io, Shan.” mi dice e io le bacio il palmo.
Annuisco e apprendo che dobbiamo abbandonare l’aereo.


Ci addentriamo nel cimitero e troviamo la cappella della famiglia Sweet.
Aurora e Joshua, con il loro piccolo Drake, stanno uscendo e ci lasciano il posto.
I nostri sono rapporti molto formali e distaccati, ma molto rispettosi proprio come lei voleva, quindi ci limitiamo a dei saluti e sorrisi di circostanza e poi ognuno per la propria strada.
Vedo la sua tomba e ogni volta è un colpo al cuore. Non passa, l’emozione è sempre la stessa, il vuoto non si colma ma diventa più profondo.
Poggio i fiori e lascio spazio prima agli altri, come ogni anno, per raccogliere i pensieri e prendermi più tempo.
Jared parla incredibilmente poco questa volta e mi sorprende, ma non manca mai di ringraziarla e di dirle quanto le vuole bene, nonostante tutto; la ringrazia perché l’ha aiutato con Emma, che annualmente le porta come regalo delle pinzette per capelli e dei trucchi come faceva in ospedale.
“E’ un nostro rito!” si giustificava sempre lei, sorridendo melanconica.
Tomo e Vicki ogni anno attaccano una foto della loro figlia sull’album che le hanno lasciato accanto ala tomba e scrivono qualcosa, ringraziandola per tutto.
Il croato le ripete sempre che aveva ragione, che il miracolo era successo e quindi toccava a Nadine Miracle di parlare.
I primi anni, quando non ne era capace o quando ancora non capiva, si limitava a fare domande o osservazioni sulla bella donna raffigurata in foto, ma dai dieci anni in poi le raccontava ogni cosa, quasi come fosse la sua migliore amica con la quale non doveva aver segreti.
“Ciao omonima! Sai aiuto anch’io all’ospedale ‘Miracle’ a te dedicato, anche se porta il mio nome, ma quella è un’altra storia!” si ferma per sorridere e per toccare la bara con una mano, quella che prima ho baciato.
E’ sola nella cappella, ma non sa che io sono dietro di lei e l’ascolto commuovendomi.
“Il rapporto con Shan va sempre migliorando e ora capisco perché ti sei innamorata di lui. E’ un folle, ma così dolce e protettivo. È mi sembra uno zio a volte, un fratello, un amico, ma in realtà lui è molto più di tutto questo.
So che il mio è un ‘compito’ difficile, perché io ricordo te a tutti loro, ma a lui soprattutto, e la cosa che mi dispiace di più è che magari tu possa pensare che io voglia rubarti il posto.”
La vedo asciugarsi una lacrima e tremare piano, mentre si appoggia alla bara di legno semplice- come voleva lei- e sento che è il momento di entrare, ma il suo lato forte ha la meglio sulla sensibilità.
“Non potrei mai, MAI, Nadine, capito? Anche se non ho avuto la fortuna e l’onore di conoscerti, io so attraverso Shan e attraverso i miei genitori e tutti gli altri, che eri una persona generosa, semplice, genuina, spontanea e soprattutto eri una donna con la voglia di vivere. Ti ammiro, sai?! Davvero, è un sentimento che va oltre alla conoscenza, è un sentimento che non so spiegare.
Mi sento legata a te e ti voglio bene come non ho mai voluto bene a nessun altro. Ciao, Nadine.”
La bacia e si asciuga le lacrime, ma sorride e quando mi vede il sorriso si espande su tutto il viso.
“Bel discorso.” le dico, commosso.
L’accolgo tra le mie braccia e la sento sussurrare: “Andrò all’Università di Psicologia, Shan, e finirò ciò che lei ha iniziato.”
Resto sorpreso e l’abbraccio ancora più forte, bagnandole i capelli scuri con le mie calde lacrime di orgoglio.
“Avevi ragione, amore mio, lei è il nostro miracolo. E’ il mio miracolo!”
E come ogni anno il discorso che mi preparo non riesco mai a farlo a causa della commozione e delle parole di Nadine Miracle; ma so che il mio discorso lei lo sa, perché è dettato dal cuore e lei vive in esso quindi lo ha letto e sentito ogni notte in cui l’ho sognata.
Guardo la sua foto per l’ultima volta quest’anno e cerco di immaginare come sarebbe stata a cinquantuno anni, ma non posso non immaginarla bella e sorridente, con gli smeraldi negli occhi e un sorriso sulle labbra.
Mi sembra di sentire anche la sua voce, ma so che è solo suggestione.
Ci allontaniamo dal cimitero e andiamo a farci un giro nei posti che lei amava di più.




E’ sera , ormai, e guardo la luna pensando a lei, come sempre.
Non riesco più a piangere per tutte le volte che l’ho fatto in questi anni.
Ogni anno sembra essere peggiore dell’altro, ma il fatto è che senza di lei non esiste meglio o peggio, ma solo vivere e sopravvivere e io cerco di fare entrambi.
Molte volte mi sono rifugiato al molo, o in spiaggia, o nella sua stanza in cui non voleva che entrassi, solo per sentirla più vicina.
Un anno sono anche stato alle Maldive e ho preso la camera che prendemmo insieme nella nostra prima ed ultima vacanza, ma non è servito ad altro che a farmi sentire più solo.
Cerco di vivere la quotidianità come mi viene sotto agli occhi, ma alle volte è impossibile, come nel giorno del suo compleanno o nel giorno del suo anniversario.
Sono addirittura andato in chiesa, da un prete a confessarmi e a chiedergli perché e lui mi ha risposto: “Così è la vita e la morte ne è parte integrante.”
Si passa la vita ad inseguire i sogni, ad aiutare gli altri per sentirsi migliori, a voler bene agli altri pur di non odiare se stessi.
E quando poi, finalmente, si trova qualcuno da amare, che ti fa del bene e ti fa sentire migliore e che, soprattutto, realizza i tuoi sogni, succede l’inaspettato.
Così è la vita: è ingiusta!
La vita finisce, la vita muore.
E se questo è il prezzo della felicità, tanto vale essere tristi per sempre.














Ed è arrivata la fine.
Non ho mai concluso una log-fic e sono molto fiera, soprattutto perché le mie sensazioni vi sono arrivate e vi hanno emozionato, o almeno spero.
Sono le mie emozioni perché io ho vissuto una storia del genere e posso assicurarvi per certo che tutte le sensazioni e tutti i momenti che ho raccontato, io li ho vissuti e provati.
Parlarne con voi, tramite questa storia, mi è servito ad esorcizzare il dolore e i fantasmi del passato e ad aprire un capitolo della mia vita che non potrò mai chiudere.

Ora, ringrazio tre fantastiche persone che hanno sempre commentato, e sono: Giada, Giulia e Vals, senza le quali la mia storia non sarebbe mai andata avanti e non avrebbe mai preso forma.
Grazie per tutto il sostegno e per tutto l’amore. La storia è VOSTRA!

Ringrazio chi l’ha seguita:

 Atramess
 baby90
 ffdipendente
 Fra_Echelon
 Halena
 Hellyechelon
 jst_dreamer
Katniss95
 lolamars89
 Maraya_Echelon
 pirilla88
 ProudToBeAnECHELON
 Xia1101
 ZiaVick
 _Patty_
 _Sheisse_  
_Tombreath


Chi l’ha ricordata:

 FloEchelon
 LilaOnMars
 Maraya_Echelon



E chi l’ha preferita:

90fede
caroline forbes
Fra_Echelon
india echelon ronchi
Lisa_Rioter
Maraya_Echelon
MargheEchelon
Martyechelon
MonyMOFO
shannonanimalleto
 __Zuzu



Grazie ancora,
Bacioni,
TittaH.

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