Harry Mystryss Darque Nyght Rayn Ravyn Potter e il Segreto della Camera Segreta dei Segreti Segreti

di z e r o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Il Peggior Genetliaco ***
Capitolo 2: *** 2: L'Avvertimento di Dobbylas ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Il Peggior Genetliaco ***


Saaaalveee a tutti, e bentrovati, seguaci dell’Oscuro Harry!

In tutta sincerità, non so proprio cosa scrivere in questa introduzione :P perciò potete saltarla, perché finirà per essere la solita accozzaglia di cavolate inconsistente.

Uhm, vediamo… se c’è qualche nuovo lettore/lettrice da queste parti, gli consiglio di leggere prima “Harry Mystryss Darque Nyght Rayn Ravyn Potter e l’Ordine del Corvo Morto”, perché sì, questo è un prequel… ma anche un sequel. (Capito? No? Bene! È così che vanno le cose da queste parti, perciò fareste meglio ad abituarvici… XD)

 

Beh… cosa posso dire ancora…

Prendete questo capitolo come un regalo di Pasqua. Un grande, enorme uovo di Pasqua al cioccolato fondente al 90%, incartato con una carta nera e un bel fiocco nero (o viola, se preferite), che, come tutte le uova di Pasqua giganti, contiene una sorpresina minuscola e deludente. Quello che voglio dire è che non ho la più pallida idea di quando posterò il prossimo capitolo; potrebbero passare giorni, settimane, mesi…

Sarete così masochisti da cominciare a leggere comunque? *_°

 

CAPITOLO 1

 

IL PEGGIOR GENETLIACO

 

Non era la prima volta che scoppiava un litigio durante la colazione al numero 17 di Privet Drive. Il signor Vernon Dursley era stato svegliato da un fracasso abnorme proveniente dalla camera di suo nipote Harry, fracasso abnorme causato dalle pessime abitudini notturne del suddetto, tra le quali giocare a Guitar Hero con il televisore a tutto volume, ascoltare musica death/doom/black/gothic/dark/depressive/rock/metal/industrial a tutto volume, guardare film horror a tutto volume, strillare come una checca isterica a causa della visione di film horror a tutto volume, e da ultimo ma non meno rumorosamente importante, esercitarsi nelle arti magiche, cosa che comprendeva esplosioni, frizzi, lazzi e pompa magna. Essì, perché Harry Mystryss Daque Nyght Rayn Ravyn Potter – il nome più temuto da tutti gli impiegati di tutti gli uffici anagrafe di tutta la Gran Bretagna – non solo era un adolescente narcisista, vanesio, ipocrita, egocentrico, odioso, egoista e pure goth, ma era anche un mago. E non un mago fighetto in stile Apprendista Stregone della Disney che lancia sfere plasmatiche a destra e a manca, ma IL mago, colui il quale aveva sconfitto involontariamente il più cattivo, malvagio, maligno, infame, scellerato, pernicioso, perfido, avverso, animoso, deleterio mago di tutti i tempi: Lord Voldemort, conosciuto da tutti come l’Arci-Nemico-Di-Harry-Mystryss-Darque-Nyght-Rayn-Ravyn-Potter-Momentaneamente-Morto-Ma-Non-Si-Sa-Mai, abbreviato in Arci-N. Ciò era avvenuto quando Harry era ancora in fasce (nere); l’attacco era costato la vita ai suoi genitori, perciò Harry era stato allevato dalla famiglia della sorella della cugina di quarto grado da parte di padre della zia della nipote della vicina di casa della nonna adottiva della sua defunta madre. Purtroppo, la suddetta famiglia era composta totalmente da persone prive di poteri, conosciute nel mondo magico con il nome di Babbei, che lo trattavano come un granello di polvere sulla caccola di una mosca, troppo babbei anche solo per ricordare il diciassettesimo compleanno del goth guy – e dire che di diciassettesimi compleanni ne festeggiava un sacco… uno all’anno, per essere precisi. Nemmeno i suoi amici lo cagavano, ma forse avevano le loro buone ragioni. Magari il suo amico emo Ron era troppo depresso per mettersi a scrivere – o magari aveva trovato un modo di utilizzare l’affilatissimo e appuntito pennino della stilografica più affine alla sua persona… – e forse la sua violenta e sadica amica Hermione era troppo stronza per fargli gli auguri. A causa di questo, e di tutto il resto, si sentiva come un pesce fuor d’acqua in quella casa, con suo zio che somigliava ad un ippopotamo, sua zia a una giraffa e suo cugino ad un maiale – tanto per completare lo zoo. Harry, invece, era uno splendore di ragazzo pallido come un cadavere, con lunghi capelli corvini, incantevoli occhi cerulei, un assortimento di ferraglia tra piercing, fibbie e catene che avrebbe fatto impazzire tutti i metal detector nel raggio di un chilometro - metal detector che spesso conducevano vari cacciatori di tesori dritti dritti nella stanza del goth guy, dalla quale non sarebbero usciti mai più - e un abbigliamento che sembrava la sintesi di tutti gli Halloween dalla nascita del gotico ad oggi. Purtroppo, la sua avvenenza era direttamente proporzionale alle dimensioni del suo ego, rendendolo la persona più odiosa sulla faccia del pianeta, un individuo talmente molesto e fastidioso che perfino l’Autrice di questa fic non esiterebbe a trucidare nel modo più violento, splatter e macabro possibile.

Dicevamo, scoppiò un litigio durante la colazione al numero 17 di Privet Drive.

«Devi smetterla di fare casino nel cuore della notte!» sbraitò zio Vernon. «O almeno, smettila di guardare Il Corvo ripetutamente per tutta la notte, tutte le notti, con il televisore a tutto volume!»

«Ma lo faccio per far stare buono Brandon Lee!» obiettò il goth guy, specchiandosi in un coltello. «Mi hai rotto i sacrosanti perché Brandy faceva casino di notte, e io ho trovato il modo di farlo stare buono. Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano?!» (e cominciamo già dalla prima pagina a violare copyright… yuppiii…).

Brandon Lee era l’animaletto di Harry, un bel corvaccio nero tenebra con un’apertura alare di un metro abbondante e l’aria inquietante che ben si addiceva alla sua figura di oscuro presagio delle plutoniane rive della Notte. Era inoltre un animale molto intelligente: leggeva sempre Edgar Allan Poe prima di andare a dormire. Chissà perché…

Ora, chi ha letto il prequel-e-allo-stesso-tempo-sequel di questa fiction, sa che la presenza di Brandon Lee a questo punto della storia non è possibile… ma sa anche che la logica qui non vale una benedetta fava, perciò amen.

«Almeno fagli guardare Il Corvo 2 e 3!» replicò zio Vernon, mentre il suo obeso unicogentico sfondava la quattordicesima sedia della giornata e sua madre lo aiutava a disincastrarsi dalla voragine che il suo pachidermico deretano aveva creato sul pavimento.

«Eretico!» lo apostrofò Harry, inorridendo al pensiero, mentre le luci nella stanza sfarfallavano e si abbassavano per sottolineare la drammaticità dell’affermazione. «Il Corvo non ha sequel. Non. Ha. Sequel. Punto».

«Coooomunque» cambiò argomento zio Vernon, eclissando la discussione e rivolgendosi ai suoi familiari più prossimi. «Come ben sapete, oggi potrei concludere l’affare più migliore della mia vita quando verranno a cena i Mason».

«I Manson?!» saltò su Harry, ignorando la raccapricciante serie di orrori grammaticali appena usciti dalla buca dentata di suo zio. «Marilyn Manson?».

«M-A-S-O-N» scandì l’uomo-ippopotamo.

«Ah» replicò Harry, rabbuiandosi, e pronunciando per la prima volta la sintetica e atona battuta che lo accompagnerà per il resto della fiction.

«Perciò penso che dovremmo ripassare il programma ancora una volta, nel caso le altre duemilacinquecentotrentanove non fossero bastate» proseguì Vernon. «Tu dove sarai?» chiese alla moglie.

«In salotto» rispose la donna «pronta ad accogliergli come la moglie perfetta di una banale sit-com americana, con la quale condivido abbigliamento, pettinatura e noiosità».

«Molto bene» asserì suo marito. «E tu dove sarai, Dudley

«Lui sarà disteso per terra con un principio d’infarto causato dalla non indifferente quantità di grasso che deambula nel suo sistema cardiocircolatorio» rispose per lui Harry. Il cugino gli tirò una gomitata, che risultò enormemente attutita dai diversi strati di grasso presenti sul suo cosiddetto gomito.

«Io gli aprirò la porta e prenderò i loro soprabiti (è estate. ndA)».

«Oh, che bravo. E tu?» chiese infine Vernon ad Harry.

«Io sarò nella mia goticissima camera dalle pareti nere a meditare su come trucidarvi tutti quanti tra una poesia di Baudelaire e un versetto di Poe, e a completare le bamboline voodoo a cui sto lavorando da settimane e che vi faranno soffrire dolori così atroci comparati ai quali le pene dell’inferno dantesco sembreranno un massaggio tailandese sulle spiagge di Malibù al crepuscolo» rispose il goth guy flemmatico – e senza nemmeno prendere fiato! Stupefacente!

«Poi io li farò accomodare in salotto» proseguì zio Vernon, come se il suo piccolo cervellino di Babbeo ottuso non avesse recepito le informazioni vocali appena ricevute – e forse era proprio così, chissà. «E tu cosa farai, Petunia?»

«Io annuncerò che la cena è servita» rispose la donna-giraffa.

«Bene. E tu, Dudley

«Io accompagnerò la signora Mason in sala da pranzo» fu la scontata risposta.

«E tu?» chiese malignamente a Harry, che se ne stava beatamente facendo i cavoli suoi.

«Io sarò nella mia goticissima camera dalle pareti nere seduto sul davanzale della mia finestra dalle svolazzanti tende nere circondato dall’oscurità notturna a scrivere componimenti vagamene poetici ispiratimi dalla luce dell’astro d’argento con inchiostro nero su carta nera. E ah, a meditare su come trucidarvi tutti» replicò tranquillamente il ragazzo.

«Proprio così» asserì l’uomo.

«Hai davvero capito quello che ho detto?» domandò scettico il goth guy.

«Che te ne starai in camera tua senza il minimo rumore facendo come se non esistessi. Certo».

«Se lo dici tu…»

«Ora io vado a ritirare gli smoking per me e per Dudley» proseguì lo zio. «Tu vai a seppellirti in giardino» concluse, lanciando una pala ad Harry, il quale uscì in giardino dalla porta sul retro con un’alzata di spalle. Non che volesse davvero seppellirsi in giardino – cosa che gli era già stata ordinata più o meno diciassette volte nel corso dell’estate.

Giunto all’aperto, si rese conto con orrore di un piccolo particolare del quale avrebbe dovuto tenere conto: era giorno. E c’era il sole. Il dannato, malefico e fastidiosamente luminoso sole, mortale avversario della sua oscura anima, il quale, riflettendosi sulla pelle innaturalmente nivea del goth guy, abbagliò tutti gli automobilisti che stavano transitando in quel momento davanti a casa Dursley, provocando un apocalittico tamponamento a catena, le cui deflagrazioni si sentirono fin dall’altra parte del Regno Unito. A Buckingham Palace, la Regina cadde dal trono sparando un bestemmione tale che a Kate passò la voglia di sposare il principe William, preferendo ritirarsi in convento per mondare i propri timpani dall’aberrante turpiloquio della quasi-suocera.

Harry si piazzò all’ombra di un albero, facendo attenzione che nessun mefitico raggio di sole osasse anche solo sfiorare la sua candida epidermide, a osservare la fumante montagna di macchine che si era accumulata in fondo al vialetto. La cosa non sarebbe piaciuta agli zietti. Proprio per niente. Inoltre, c’era uno strano tizio biondo alto più o meno due metri che cercava di nascondersi dietro un cespuglio, invano.

Più rotolando che camminando, Dudley uscì in giardino, per andare a fare l’unica cosa che giustifica la sua esistenza: molestare Harry.

«Perché fissi la siepe?» gli chiese, minaccioso come Humpty-Dumptycioè davvero poco – ignorando, da Babbeo qual’era, rottami e persone gementi ammucchiati in fondo al vialetto.

«Sto pensando a un incantesimo che la faccia diventare alta quindici metri e affamata di carne umana, in modo che ti afferri e ti squarci con le sue radici divenute affilate come rasoi, ti dilani le viscere spargendo le tue interiora per tutto il giardino – già devastato dall’apocalittico incidente – e riduca il tuo corpo a minuscoli brani di carne sanguinolenta».

Dudley divenne verde, poi blu, poi bianco, mentre Harry, per enfatizzare la minaccia, pronunciò le uniche parole in latino che conosceva:

«Exorcizamus te, omnis immundus spiritus, omnis satanica potestas, omnis incursio infernalis adversarii, omnis legio, omnis congregatio et secta diabolica, in nomine et virtute-

«Mammaaaa!» strillò Dudley, correndo… sì, insomma, rotolando via. «Harry sta facendo quella cosa lì!».

«Harry, no» rispose la voce della zia dalla cucina «che diventi cieco*

Come punizione per aver preso per il culo il cugino, e con la minaccia di ritinteggiare le nere pareti della sua camera di rosa confetto – ARGH! –, ad Harry fu imposto di sgombrare il vialetto dai rottami dell’apocalittico incidente di poco prima. Perciò il goth guy, armato di un virile parasole pieno di pizzi e merletti, si adoperò a portare a termine la missione.

Verso le 17.17, zia Petunia lo chiamò per la cena. Mezzo rincoglionito per il caldo – essere vestito completamente di nero non lo aiutava affatto – Harry si trascinò in cucina, dove la zia lo afferrò, gli mise in mano il suo misero pasto – una sottiletta – e lo spedì su per le scale. Harry raggiunse la sua camera da letto, il suo tetro antro buio e tenebroso, e fece per buttarsi sul letto, il suo stupendo letto a baldacchino in mogano con le rifiniture d’acciaio verniciato di nero, le tende damascate (nere) e le lenzuola di seta (nera). Peccato che il suo letto fosse già occupato.

 

*questa era pessima. Scusate. =_=

 

 

Alla prossima! <3

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Capitolo 2
*** 2: L'Avvertimento di Dobbylas ***


Holaaa! Ecco, dopo molte lune, il secondo capitolo.

 

Ma prima, anche se ormai è passato un sacco di tempo, vorrei dire un paio di cose sull’ultimo film di Harry Potter, in particolare su Piton. Amare una donna, lei e soltanto lei, per tutta la vita, vederla sposare quella sottospecie di hippy johnlennonesco, continuare ad amarla dopo la sua morte, fino alla morte: questo sì che è Romanticismo Gotico! Harry Mystryss ecc. è solo un principiante a confronto… .-.

 

CAPITOLO 2

 

L’AVVERTIMENTO DI DOBBYLAS

 

Harry, che già si stava buttando sul letto a volo d’angelo, fece un goffo tentativo di fermarsi a mezz’aria, tentativo che portò ad un drammatico – e assai doloroso – incontro ravvicinato con il duro parquet del pavimento.

La creatura, che stava occupando abusivamente il suo giaciglio, era la stessa che, quel mattino, cercava di nascondersi invano dietro ad una siepe del giardino: un tizio spaventosamente bello, alto due metri, con lunghi, lunghissimi e serici capelli biondi e le orecchie da dottor Spock, assorto fino ad un istante prima nella lettura del Diario Segreto e Personale di Harry Mystryss Darque Nyght Rayn Ravyn Potter.

Harry, rialzatosi da terra, si assicurò di non averci lasciato nessun pezzo della sua faccia e si guardò febbrilmente attorno alla ricerca di un’arma contundente con la quale abbattere e/o scacciare l’intruso molesto. Osservò la gabbia di Brandon Lee, di ferro massiccio, e si chiese se le sue gracili, rachitiche braccine fossero abbastanza forti da sollevarla e calarla con forza sull’orecchiuto (non ci credo! Word conosce orecchiuto!! ndA) cranio dell’avversario. Accantonò l’idea, anche perché in cotal modo rischiava di danneggiare il povero inquilino della gabbia. Spostò quindi il suo sguardo sulla scrivania, dove, fra trattati di magia nera, bibbie gotiche, antiche e apocalittiche scritture in enochiano, copie più o meno affidabili del Necronomicon e degli scritti pnakotici, fermacarte a forma di teschi, rose e lapidi, specchietti a forma di bara, scatole a forma di mani morte e sfere di cristallo, finalmente vide ciò che avrebbe potuto salvare l’intimità del suo covo. Con uno scatto felino (con annesso urto sullo spigolo della scrivania con il gomito) in slow motion, che fa tanto film d’azione, afferrò il Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari e lo scagliò con tutta la sua – poca – forza contro lo sbiondato estraneo… mancandolo di un metro. Il mastodontico librone si schiantò contro la parete, dando vita ad una crepa che si allargò crepitando attraverso tutto il soffitto, per poi colpire il pavimento con un tonfo sordo (il librone, non la crepa).

Mentre nella stanza di Harry si consumava questa cacofonia di rumori roboanti, al piano di sotto zio Vernon stava esaurendo le scuse per giustificare il baccano colossale proveniente da sopra le loro teste.

«Chi cavolo sei tu?!» domandò Harry ostile, minacciandolo con il femore umano che usava come grattaschiena e/o mazza da baseball e/o mazza da golf e/o paletta per le mosche (povere) – come potevano testimoniare i diversi buchi a forma di testa di femore nel muro.

Il perticone si alzò e sbatté la sommità del cranio contro il soffitto (aprendovi l’ennesimo buco circolare): «D’oh!».

Si ricompose rapidamente. «Il mio nome è Dobbylas, il nobile ed altolocato elfo domestico».

Solo allora Harry si rese conto che l’elfo era effettivamente vestito da domestico; più precisamente, da maid francese.

«Ma davvero?» disse il goth guy. «Senti, non so cosa tu voglia, ma vai a perdere capelli da un’altra parte» aggiunse, sollevando, schifato, un lungo, lunghissimo e serico capello platino dal copriletto nero.

«Oh, mi dispiace» si scusò Dobbylas. «Di solito a casa uso la retina».

«E cosa cavolo ci fai qui?»

L’elfo estrasse dalla tasca del grembiulino una lunga pergamena, la srotolò – la pergamena rotolò scenograficamente fuori della porta –, la lisciò, si schiarì la voce e lesse: «Harry Potter non deve tornare alla Scuola di Magia, Stregoneria, Arti Marziali e Tattiche Militari di OhSchwartz».

«E ti serviva scriverlo?» replicò il nostro… eroe.

«Eh, sì. Devi sapere che ho una memoria davvero molto scarsa… mi dimentico le pentole sul fuoco, i camini accesi d’estate, il condizionatore d’inverno… mi dimentico di chiudere le finestre quando arrivano gli uragani, mi dimentico anche di vestirmi, a volte… e mi dimentico di… di…» pausa «…cosa stavo dicendo?».

«Perché non dovrei tornare a OhSchwartz?» domandò pazientemente Harry, soppesando il femore in maniera allusiva.

«Non me lo ricordo!» replicò l’elfo «Non ci stava scritto sulla pergamena(?!?). Se tu avessi Facebook come tutto il resto del mondo te l’avrei scritto lì, così non avrei dovuto farmi quattro ore di treno, tre di aereo, due di autobus e venti chilometri a piedi!»

«Io non mi affilio al Male» ribatté sprezzante il goth guy. «Non nominare il Male in mia presenza».

«Male?»

«Face…quella roba lì».

«Tsk» replicò sdegnosamente l’elfo «Come sei vecchio. Perfino il tuo Arci-Nemico-Momentaneamente-Morto-Ma-Non-Si-Sa-Mai o Arci-N ha il profilo su Facebook. E se ce l’avessi anche tu, i tuoi amici non ti spedirebbero lettere con le quali io posso ricattarti».

«Tienitele» ribatté Harry «non mi interessano le menate ipocrite e autolesioniste di Ron o le minacce di morte di Hermione».

«Ma ho anche i numeri degli ultimi tre mesi di quel giornale a cui sei abbonato, come si chiama…»

«Gothic Beauty?»

«Sì, quello-

«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!» strepitò inorridito il nostro…eroe «Dammeli subito, bastardo! Sei un mostro!»

«Se prometti di non tornare a OhSchwartz te li do» negoziò Dobbylas.

«Va bene, lo prometto, adesso sgancia».

«Per prima cosa metti giù quel femore… ecco, bravo… poi devi firmare una carta nella quale t’impegni formalmente a non tornare ad OhSchwartz, pena l’evirazione da parte di un monaco cieco con il morbo di Parkinson che brandisce una tagliola per orsi… …cosa stavo dicendo?»

«Dammi le mie rivisteee!» intimò Harry, agitando il femore e provocando involontariamente l’estinzione di buona parte dei suoi soprammobili. L’elfo schivò agilmente le… femorate?... e, attraverso la porta, fuggì sulle scale, chinandosi appena in tempo per evitare che una palla di vetro contenente la riproduzione di una parte del cimitero di Highgate lo colpisse in testa.

«Se è questo che vuoi» esordì l’elfo, rassettandosi il grembiulino fronzoloso «allora farò in modo che tornare a OhSchwartz ti sia impossibile».

Per tutta risposta, Harry afferrò la riproduzione in scala della motosega di Leatherface (lunga ben quindici centimetri) e si lanciò all’inseguimento dell’avversario, che si affrettò a discendere le scale a rotta di collo, inciampando nei lunghi, lunghissimi e serici capelli biondi e atterrando di testa sul pianerottolo sottostante.

Nel frattempo, in salotto, zio Vernon stava simulando un attacco epilettico per distogliere l’attenzione degli ospiti dall’apocalittico fragore proveniente dai piani alti della casa.

Ma torniamo al duello mortale che stava avendo luogo una rampa di scale più in su. La piccola motosega, ormai dimenticata, si era incastrata nel corrimano, mentre Harry si apprestava a ricorrere a delle misure più drastiche. L’anno prima, Hermione gli aveva regalato una piccola cassetta che, da allora, giaceva, ignorata, sotto al letto, in attesa di tornare utile. Il goth guy – dopo aver scostato la cornice con un ritratto che invecchiava al posto suo – l’estrasse, la aprì, e guardò con soddisfazione le dodici bombe a mano artigianali che l’amica gli aveva donato trecentosessantacinque giorni prima. Ne afferrò una e la tenne nascosta dietro la schiena.

«Vieni, bell’elfino, ho cambiato idea…» cinguettò Harry, affacciandosi alla porta e sfoderando un sorriso falso come i capelli di Platinette.

L’elfo, che nel frattempo, ripresosi dal drammatico schianto, era arrivato in fondo alla seconda rampa di scale, guardò in su, ponderando attentamente la situazione, e vide Harry, rassicurante come Jack Nicholson in Shining – cioè, per chi non lo sapesse, molto, ma molto poco –.

«…ma anche no» fu la risposta.

Con un urlo selvaggio, che poco si addiceva alla sua goticità, Harry si fiondò giù per le scale con la granata in pugno. Raggiunse l’elfo, che in quel momento stava facendo il suo ingresso in cucina. «Sei mio, bastardo» disse Harry, allegando alla frase una di quelle lunge, inarticolate risate isterico-inquietanti che fanno dubitare della sanità mentale di chi le emette. Strappò la sicura con i denti – che fa molto più figo – e la lanciò in mezzo alla cucina, che finì in dicecimila pezzi, roba da far impazzire la Ravensburger Puzzle. Il boato e la deflagrazione che seguirono vanificarono tutti i tentativi di Vernon di mantenere la serata sul piano normale. Lo spostamento d’aria fece volare via il divano, e la signora Mason finì nell’acquario dove, qualche settimana prima, lo zio aveva dato il via all’allevamento di pesci rossi, o almeno così credeva; in realtà, gli innocenti e banali pesciolini erano stato sostituiti da Harry con Piranha amazzonici carnivori, che si rivelarono più che entusiasti di ricevere finalmente un pasto che potesse soddisfarli appieno, invece di quegli insipidi coriandoli che gli venivano propinati ogni giorno. Tra questo, le urla da sirena antiaereo di zia Petunia, zio Vernon, al quale l’attacco epilettico stava venendo sul serio, Dudley sommerso sotto una montagna di piastrelle, e il signor Mason schiacciato sotto al divano, Harry era, senza mezzi termini, nella merda fino al collo e anche oltre.

Scioccato, il goth guy si voltò verso l’elfo, indenne a parte i lunghi, lunghissimi e serici capelli spettinati e la divisa stracciata, che gli sorrise serafico. «Mission complete» annunciò; poi, con un balzo, scomparve in una nuvola di fumo come un ninja.

Ora, Harry aveva solo due opzioni.

Uno: finire il lavoro. In fondo, aveva ancora undici bombe a mano.

Due: arginare l’ira funesta che stava per piovergli addosso con il gotico stoicismo che – a volte – lo caratterizzava.

Ovviamente, scelse l’opzione due: probabilmente non ne sarebbe uscito indenne, ma ci avrebbe guadagnato in figaggine. Perciò, rimase apparentemente impassibile ad ascoltare la sfuriata atomica dello zio, mentre i suoi timpani, assieme ai vetri ancora intatti, andavano in frantumi.

Come se non bastasse, un enorme tucano fece il suo ingresso nel salone devastato, recando con sé una funesta novella sotto forma di lettera.

 

“Carosignor Potter,

 

recitava la missiva

 

Abbiamo avuto notizia che nel luogo dove lei risiede, questa sera, è stato praticato un Incantesimo di… Beh, in realtà non c’è stato alcun incantesimo, avevo sol voglia di rompere le palle. Comunque, come lei sa, i maghi minorenni non sono autorizzati a compiere incantesimi fuori della scuola e un altro episodio del genere da parte sua porterà all’espulsione dalla detta scuola e ad una serie di cento smutandamenti (Decreto per la Stupida Legge di Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, 1717, comma C.

La preghiamo inoltre di ricordare che qualsiasi attività magica che rischi di essere notata dalla comunità dei non-maghi (Babbei) è un reato grave ai sensi dell’articolo 17 dello Statuto Noi-Non-Esistiamo della Confederazione Internazionale dei Maghi.

Cordialmente,

Hannabel Lecter

Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, Marziali, Illusorie, ecc.

MiniMinistero della MagiMagia

 

«Non ci avevi detto che non ti era consentito usare quella roba là fuori dalla scuola…» cominciò zio Vernon, facendo scrocchiare minacciosamente le nocche. «Bene, c’è una novità. Ti rinchiuderò nella tua stanza, e tu non portai fare nessuna magia per liberarti».

Harry pensò bene di non accennare alle undici granate nascoste sotto al suo letto. Né al set di grimaldelli nel cassetto della scrivania. Né al piede di porco infilato dietro l’armadio – o al varco per Narnia dentro l’armadio. Né all’ariete usato a mo’ di attaccapanni. Né al passaggio segreto dietro allo specchio.

Fatto sta che la mattina seguente, Vernon installò delle sbarre alla finestra del nipote, dopo essersi sorbito per ore le lamentele di quest’ultimo sul fatto che le sbarre di ferro lineari fossero demodé, e che perciò pretendeva uno sbarramento decorativo con un motivo di rose e rovi, che ben si addiceva alle vetrate istoriate che lui stesso aveva disegnato e che narrava i momenti salienti della sua vita, come quando aveva spinto Dudley in un mucchio di ortiche e gli aveva squarciato le gomme della bici, o quando aveva aizzato il Dobermann dei vicini contro il cane della sorella dello zio, o quando aveva venduto la sua anima – beh, in parte – a un maggiordomo.

Harry era segregato nella sua stanza ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, ma la cosa non sembrava disturbarlo più di tanto. Aveva persino risolto il problema della vescica piena grazie al varco nell’armadio – e gli abitanti di Narnia assistettero ad un misterioso quanto inspiegabile scioglimento della neve attorno al famoso lampione.

Una sera buia e tempestosa, mentre il goth guy era intento a scegliere che gradazione di nero indossare per andare a dormire, sentì battere sulla finestra della sua stanza. Deciso a rovesciare una caterva di insulti su colui o colei che avesse osato toccare e lasciare le proprie immonde impronte digitali sulle sue bellissime vetrate, spalancò la finestra e… non vide niente. Sembrava che un vasto cumulonembo color antracite si fosse staccato dal cielo e si fosse piazzato davanti alla sua finestra. Poi capì.

Fuori dalla finestra, c’era il suo amico emo, Ron Weasley.

 

_____

 

E siamo giunti alla fine. U_U

Vi direi “a presto”, se non sembrasse una presa in giro ^^”

Siate clementi… Chu!~

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