Lullabies

di Iyah May
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She [Chapter 1] ***
Capitolo 2: *** Keep calm [Chapter 2] ***
Capitolo 3: *** Words [Chapter 3] ***
Capitolo 4: *** She's not alright [Chapter 4] ***
Capitolo 5: *** Painting Flowers [Chapter 5] ***
Capitolo 6: *** Noel [Chapter 6] ***
Capitolo 7: *** The Concert - Part I [Chapter 7] ***
Capitolo 8: *** The Concert - Part II [Chapter 8] ***
Capitolo 9: *** Proud of me [Chapter 9] ***
Capitolo 10: *** Waiting for an answer [Chapter 10] ***
Capitolo 11: *** In love [Chapter 11] ***
Capitolo 12: *** Do you want me dead? [Chapter 12] ***
Capitolo 13: *** Feeling good [Chapter 13] ***
Capitolo 14: *** I don't care [Chapter 14] ***
Capitolo 15: *** I can't forget about it [Chapter 15] ***
Capitolo 16: *** Time bomb [Chapter 16] ***
Capitolo 17: *** Text [Chapter 17] ***
Capitolo 18: *** Here she is [Chapter 18] ***
Capitolo 19: *** Dear Maria [Chapter 19] ***
Capitolo 20: *** Lullabies [Chapter 20] ***
Capitolo 21: *** Blood, sweat and tears [Chapter 21] ***
Capitolo 22: *** She needs me [Chapter 22] ***
Capitolo 23: *** Inspiration [Chapter 23] ***
Capitolo 24: *** Walls [Chapter 24] ***
Capitolo 25: *** Hopeless [Chapter 25] ***
Capitolo 26: *** Remembering Sunday [Chapter 26] ***



Capitolo 1
*** She [Chapter 1] ***


SHE [Chapter 1]
 
Avrei voluto ammazzare la sveglia quella mattina. Il suono fastidioso che ogni giorno, alla stessa ora, mi tormentava per farmi alzare e andare a scuola. Diventava ancora più insopportabile se la sera prima ero uscito con i ragazzi a bere ed ero tornato tardi. Odiavo anche la scuola ultimamente, a causa della costante tensione e agitazione per gli esami del mio ultimo anno di liceo.
Mi vestii lentamente, mettendo la prima cosa che mi capitò davanti. Mi agitai i capelli con la mano, dando quell’effetto spettinato un po’ da rockstar, presi lo zaino e mi avviai verso il mio furgone. L’avevo comprato con gli altri ragazzi per caricarci gli strumenti e andare ai concerti ma alla fine era come se fosse il mio mezzo personale, poichè Rian e Zack avevano già la macchina. Anche Jack aveva la propria auto ma in ogni caso, anche se non ce l’avesse avuta, non gli avremmo mai lasciato un oggetto di tale importanza per il gruppo: Zack una volta aveva fatto giustamente notare che se avessimo voluto vivere ancora, non avremmo dovuto lasciare Jack guidare. E così mi ritrovavo io con il nostro furgone parcheggiato davanti casa.
Quella mattina non dovevo dare un passaggio a Jack fino a scuola, come invece facevo la maggior parte delle volte, ma passai ugualmente davanti casa sua – forse per abitudine, forse nella speranza di incontrare qualcuno.
 Jack era il mio migliore amico da non so quanti anni e il nostro legame diventava più forte giorno dopo giorno, grazie anche al fatto di suonare nello stesso gruppo, gli All Time Low. C’era una cosa che però Jack  non sapeva di me, e non avevo nemmeno intenzione di dirgliela. Mi piaceva una ragazza. Ma non una qualunque. Mi piaceva lei, quella con il sorriso più bello di tutti, quella che arrossisce per ogni cazzata, quella a cui brillano gli occhi quando ride con gli amici. Quella che sta in prima fila a cantare ogni singola parola di ogni singola nostra canzone. Insomma, mi piaceva proprio lei, la sorella del mio migliore amico. Iyah May Barakat. Il solo pensiero del suo nome mi mandava in estasi.
Speravo di poter vivere per sempre con lei eppure l’ombra di Jack incombeva pesantemente sulle mie spalle. Perché? Beh, Jack mi conosceva, sapeva che in passato non ero stato un gentiluomo con le ragazze con cui ero uscito. Lui era molto protettivo nei confronti della sorella, era praticamente tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Di conseguenza, non mi avrebbe mai lasciato stare con lei, per paura che le facessi del male. Ma a pensarci bene c’era un’altra cosa che Jack non sapeva. Io e Iyah eravamo già usciti diverse volte. Purtroppo, però, non erano stati veri e propri appuntamenti: Iyah, essendo la sorella del chitarrista e amica mia, di Zack e di Rian, era sempre stata molto vicina al gruppo. Questo aveva portato a serate in compagnia, uscite dopo i concerti, sbronze alle feste insieme… Ma quando una cosa tira l’altra si sa dove si va a finire. Dopotutto siamo giovani, siamo musicisti, siamo in America. Insomma, più di qualche volta io e Iyah eravamo finiti a letto insieme. Qualche volta eravamo coscienti, qualche volta eravamo troppo ubriachi per rendercene conto. C’era una cosa di cui ero sicuro però: sotto sotto io l’avevo sempre fatto con la convinzione che lei mi piacesse davvero, che non era un passatempo, né un modo per rimpiazzare qualcosa o qualcuno. Ubriaco o no, con lei l’avevo sempre fatto perché sapevo di volerlo. Il problema è che non ero sicuro di cosa volesse lei.
Varcai i cancelli della scuola e la vidi con la sua migliore amica, la rossa Hachi, di cui Rian era cotto da secoli. Mi scappò un sorriso nel vederla che si dimenava per non far vedere un foglio alla sua amica. Lei mi dava le spalle ma la riconobbi comunque. L’avrei riconosciuta anche a kilometri di distanza.
Mi avvicinai, avevo sentito fare il mio nome.
«Stavate parlando di me?»
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo ma quando Iyah si girò era paonazza in faccia, ed ero sicuro fosse convinta che uno di quei suoi enormi sorrisi potesse nascondere l’imbarazzo.
«Oh, ciao Alex! Si, stavamo parlando di te, Iyah ha trovato una tua foto e dice che sei proprio carino. Fagliela vedere, Iyah!» intervenne Hachi. Ma di che foto parlava? E sul serio mi trovava carino? Questa si che era una bella giornata.
Finalmente Iyah si riprese: «Ciaaaaaaao Alex. Che bello rivederti!». Ovviamente però era imbarazzata. Molto imbarazzata. Dovevo fare qualcosa per metterla a suo agio.
«Una mia bella foto? Fammela vedere! Che ci fai con una mia bella foto? Te la metti sotto il cuscino per fare sogni erotici su noi due? Ah ah ah»
‘Cazzo Alex, sei proprio un coglione. Questo si che è parlare con la ragazza che ti piace, complimenti davvero’.
Iyah non rispondeva, l’avevo davvero fatta grossa. Che si fosse offesa? Il cuore mi batteva, troppo velocemente. Speravo lei non potesse sentirlo.
«Iyah… Tutto ok? Ti vedo un po’ rossa, stai bene?»
Speravo davvero non volesse mandarmi a ‘fanculo, speravo davvero di non rovinare quell’amicizia. Altre volte ci era capitato di fare discorsi simili ma quella mattina sembrava diversa, sembrava di vivere in una situazione strana. Stupido imbarazzo causato da una stupida foto. Cazzo Iyah, perchè devi mandarmi in confusione in questo modo?
Lei ci mise un po’ per rispondere e alla fine disse qualcosa che non c’entrava niente con il discorso.
«Ehm… Si… Ti cercava Jack!»
Jack? Oh, Jack! Devo cambiare aria e tirarmi fuori dal casino che sto combinando. Cosa c’è di meglio di qualche stronzata con Jack?
«Oh, l’amore della mia viiiita! Jackieeeee, dove sei?»
Me ne andai correndo tra gli studenti, alla ricerca del mio amico. Volevo far finta di niente con Iyah, volevo che quella conversazione finisse dimenticata, volevo cancellare la figura di merda e ricominciare dall’inizio. Per il momento, mi limitavo a cantare e ballare per i corridoi, raggiungendo Jack dopo averlo visto davanti l’aula di economia.

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Capitolo 2
*** Keep calm [Chapter 2] ***


KEEP CALM [Chapter 2]
 
Jack cominciò a correre verso di me e io feci lo stesso.
«Alex, ti stavo cercando!» cominciò lui.
«Si lo so, ho incontrato tua sorella e me l’ha detto. Che succede?»
«Beh, fratello, sinceramente non so che succeda. Cioè, speravo potessi dirmelo tu»
Jack si tirò su la manica della felpa e mi porse il braccio. Mi fece notare un enorme numero di telefono scritto con un pennarello nero, seguito da un nome. A quel punto anche io mi tirai su la manica della felpa e gli mostrai il numero che avevo io.
«Amico, devi proprio dirmelo. Che cazzo è successo ieri sera? E chi è questa Holly?» mi chiese Jack, ridendo ma pur sempre confuso.
«Ahahah, non lo so Jack. Non so nemmeno chi sia questa Maria che ha lasciato il proprio numero sul mio braccio. Mi sa che ieri sera eravamo proprio presi male, ahahah!»
A quel punto scoppiammo a ridere di brutto, una risata così fragorosa che non sentimmo nemmeno il suono della campanella, cosa che ci fece notare il professor Ruocco di economia. Entrammo in classe ancora guardandoci le braccia a vicenda e ci sedemmo ai banchi in fondo all’aula. Il professore cominciò la sua lezione ma, tanto per cambiare, io e il mio migliore amico non avevamo nessuna intenzione di seguire le sue parole.
«Secondo te dovremmo chiamarle?»
«Non lo so, Bassam. Cioè, io non credo perché boh, non mi va di uscire con qualche ragazza. Tu però potresti, sei in astinenza da un po’ di tempo, no? Ovviamente non vale contare quello che fai con la bambola gonfiabile che ti abbiamo regalato per il compleanno» dissi scherzando.
«Cazzo, c’hai ragione. Devo darmi da fare. Quest’anno voglio trovarmi una vera fidanzata, sono stanco di passare la mia vita con tre froci come te, Rian e Zack!»
A quel punto gli tirai un pugno sulla spalla e ricominciammo a ridere.
«Gaskarth, Barakat. Smettetela!» ci rimproverò Ruocco.
«Ci scusi» rispondemmo noi all’unisono. Poi però ricominciammo la nostra conversazione.
«Jack, sinceramente non penso sia una buona idea pensare di poter avere una relazione con questa Holly. Voglio dire, dov’eravamo ieri sera? In un night club, no? Ecco, magari questa qui è una spogliarellista o chissà che, vuoi davvero una cosa seria con una così?»
«Mmm, ora che mi ci fai pensare… Cazzo Alex, ma che cazzo di domande mi fai? Certo che vorrei una storia con una spogliarellista! Almeno sono sicuro che sia sexy e porca! Ahahah» e giù ancora a ridere.
«Gaskarth, Barakat! Non ho intenzione di richiamarvi di nuovo!» ci interruppe ancora il professore. Non aveva proprio altro da fare che rompere le palle a noi? Jack la pensava esattamente come me. Quella volta però decidemmo di darci una calmata, non volevamo finire – di nuovo – in punizione. Tanto io e Jack ci saremmo rivisti quella sera alle prove, le ultime prove prima del concerto del giorno seguente. I nostri discorsi su Holly e Maria potevano aspettare, nel frattempo avremmo pensato che farcene di quei numeri. Jack cominciò a far finta di seguire la lezione, più realmente appoggiò la propria schiena contro il muro, la testa che cadeva pesante sulla mano, sorretta da un braccio scheletrico. Per quanto mi riguarda, non riuscivo, non potevo e non volevo far altro che pensare a lei, a Iyah, e fare quello che sapevo fare meglio. Cominciai a scrivere. Sul banco, su un foglio bianco, sul libro di economia. Solo idee, scritte un po’ ovunque. Parole senza un senso preciso, senza un ordine. Semplicemente tutto quello che mi veniva in mente.
Le altre ore di scuola passarono velocemente, aspettavo con ansia l’ora di pranzo per stare con i miei amici. Mi sedetti al solito tavolo che occupavo con i soliti idioti. Barakat era con me ad aspettare gli altri. Poco dopo ci raggiunsero Zack, Rian e Hachi. Questi ultimi due chiacchieravano allegramente, lei rideva divertita. Magari era finalmente la volta buona per Rian. Zack invece era silenzioso come al solito. Ma dov’era Iyah?
«Ciao ragazzi. Hachi, dov’è mia sorella?» chiese il mio migliore amico.
«Eh Jack, sinceramente non lo so. Cioè, era un po’ strana oggi»
«Che vuoi dire?» chiesi io, confuso.
«Si, che è successo?» Jack sembrava stranito quanto me, se non di più.
«Beh, ci siamo trovati tutti e quattro in punizione» comincia Zack «e stavamo parlando tranquillamente»
Poi Rian interruppe Zack e continuò «Stavamo parlando del concerto di domani e poi boh, Iyah ci sembrava strana e le abbiamo chiesto cosa avesse»
«E alla fine ci ha urlato contro e se n’è andata, abbandonandoci lì. Inutile dire che Davis, appena l’ha scoperto, era furioso. Gli abbiamo detto che stava male e che è andata a casa però non sembrava convinto»
«E adesso non sapete dove sia?» chiese Bassam, in preda all’ansia, tirando fuori il cellulare dalla tasca per provare a chiamare la sorella.
«Amico, calmati» gli suggerii io. Sicuramente stava bene, probabilmente era solo stanca, non bisognava farne una tragedia. Ma Jack era davvero preoccupato. L’ho detto, lei per lui è praticamente tutto.
«Si Jack, non preoccuparti. Vedrai che è tutto ok» provò a rassicurarlo anche Dawson.
Finalmente il mio migliore amico si convinse e rimise in tasca il telefono. Si vedeva che lei era ancora nei suoi pensieri ma per il resto della giornata non provò a chiamarla. Per quanto mi riguarda continuavo solo a sperare che stesse bene.

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Capitolo 3
*** Words [Chapter 3] ***


WORDS [Chapter 3]
 
Uscii da scuola e mi diressi verso il parcheggio. Scaraventai lo zaino dentro il mio furgoncino nero e girai la chiave. Ci mise un po’ per partire, dopotutto l’avevamo preso usato ed era parecchio vecchio, ma non mi deluse, come al solito. Ormai quel furgone era parte del gruppo, forse avremmo dovuto dargli un nome. Ma al momento non avevo voglia di pensarci.
Guidai verso casa, con la testa da tutt’altra parte, tanto che sbagliai strada almeno tre volte. Pensavo a come potesse stare Iyah, se era successo qualcosa di grave. Ma dopotutto ero stato il primo a dire a Jack di non preoccuparsi, avrei dovuto seguire il mio stesso consiglio.
Arrivato a casa aprii la porta ed entrai strisciando i piedi, sotto il peso esagerato dello zaino che, premendo sulle spalle, mi spingeva verso terra. Lasciai cadere i libri, sentii il tonfo sordo del peso della cultura sul pavimento di casa mia. Mi avviai verso la cucina, lanciando le chiavi sul tavolo e dirigendomi verso il frigorifero; tirai fuori la Coca Cola e mi appoggiai con la schiena al mobile. Davanti a me, sopra il tavolo, c’era una fotografia in una cornice che per sbaglio avevo fatto cadere, tirandoci contro le chiavi. Mi affrettai a rimetterla in piedi. Guardai ancora quel sorriso. Lo facevo ogni fottutissimo giorno, finchè non cominciavo a piangere o a sentirmi dentro un mondo di rabbia.
Decisi di salire in camera prima di esplodere.
Chiusi la porta e, preso un foglio di carta e una penna, mi scaraventai sul letto. Lì cominciai a scrivere più o meno ordinatamente gli appunti che avevo sulle braccia, che avevo scritto durante le lezioni quel giorno. Parola dopo parola, le frasi prendevano un senso logico. Scrivevo, cancellavo, riscrivevo. A volte, la maggior parte, cancellavo ancora e ancora e ancora. Capitavano momenti in cui non ero mai abbastanza soddisfatto.
Imbracciai la chitarra e provai a canticchiare qualcosa.
Ecco, sembrava proprio uno di quei momenti in cui non riuscivo a trovare una soluzione. Le parole rimanevano lì, su quel foglio, non erano abbastanza da entrarmi in testa, da entrare nella melodia. Perché? Avevo bisogno di scrivere. Avevo bisogno di raccontare quello che a parole non avrei mai avuto il coraggio di dire.
Volevo solo che lei sapesse.

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Capitolo 4
*** She's not alright [Chapter 4] ***


SHE’S NOT ALRIGHT [Chapter 4]
 
Mi squillò il cellulare. Lessi il nome sul piccolo schermo e risposi.
«Ehi, amico! Che succede?»
«Ehi Alex. Senti, mi dispiace ma non riesco a venire alle prove stasera» dall’altra parte del telefono Jack mi parlava con un tono preoccupato.
«Ma Jack, abbiamo un concerto domani sera!»
«Lo so Gaskarth ma non ce la faccio proprio. Mi dispiace fratello, sai che non mi perderei mai una prova»
In effetti era vero. Jack aveva sempre dato tutto se stesso per il gruppo. Ma ora? Questa volta era importante! Dovevamo prepararci per una esibizione!
«Ma perché?» risposi quasi con tono scocciato. Mi dispiaceva parlargli in quel modo ma tutti e quattro volevamo che gli All Time Low avessero successo, non potevamo permetterci di saltare prove.
«Senti Alexander. Mia sorella non si sente bene. Ha bisogno di me. E io voglio starle vicino, ok?» mi rispose quasi arrabbiato ma pur sempre molto preoccupato.
Quindi era per Iyah. Quindi veramente a scuola c’era qualcosa che non andava. Avrei dovuto accorgermene.
«Iyah? Cos’è successo?» finalmente potevo capire che Jack aveva un buon motivo per non venire a suonare quella sera. Ora ero anche io preoccupato di come stesse Iyah May. Dovevo sapere. Dovevo fare qualcosa.
«Niente, lascia stare. È solo che non me la sento di lasciarla a casa da sola stasera»
«Ok Bassam, capisco. Posso fare qualcosa per aiutarvi? Vuoi che passi lì?» volevo sul serio andare lì e abbracciare la sorella del mio amico. Magari non l’avrebbe fatta stare meglio. Spesso a me capitava di aver semplicemente bisogno di sentire qualcuno vicino, magari ne aveva bisogno anche lei.
«No Alex, credo non sia il caso. Potrebbe essere peggio. Non credo abbia voglia di vedere gente»
«Va bene amico, non preoccuparti. Avviserò io gli altri, tu stai pure con lei e cerca di tirarla su»
«Farò del mio meglio, non voglio vederla così. Ah, grazie Gaskarth, sei un amico»
«Non preoccuparti Barakat»
Sorrisi. Come se il mio amico potesse vedermi sorridere. Ma mi veniva naturale, quando cercavo di confortare qualcuno, mostrare un sorriso incoraggiante. Jack mi conosceva bene, probabilmente era riuscito ad immaginarselo. E probabilmente anche lui aveva quel tipo di sorriso quando mi disse quel ‘Grazie’. Il suo sorriso però significava ‘Solo tu riesci a capirmi’.
E lo capivo davvero. Dopo tutti questi anni lo conoscevo meglio di me stesso. Sapevo perché Iyah era tutto per lui. Sapevo perché cercava sempre di proteggerla. Sapevo perché la felicità della sorella era più importante della sua. Lei era la sua famiglia. Non c’erano genitori nella famiglia Barakat, erano solo Jack Bassam e Iyah May. Un padre inesistente, una madre alcolizzata e sempre chiusa in camera o in ufficio.
Potevo decisamente permettere a Jack di saltare una prova con gli All Time Low.
Il mio amico spense il telefono, io scrissi un messaggio agli altri.
‘Oggi Jack non può venire alle prove. Noi ci troviamo lo stesso, dobbiamo prepararci al concerto di domani’
Iyah era davvero fortunata ad avere un fratello come Jack.

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Capitolo 5
*** Painting Flowers [Chapter 5] ***


PAINTING FLOWERS [Chapter 5]
 
Per qualche strano, inspiegabile motivo, il mio cuore accelerò all’improvviso e quasi istintivamente agguantai la chitarra che avevo appoggiato per terra quando mi aveva telefonato Jack. Ripresi anche il foglio con le mille parole scritte, che avevo accartocciato e lanciato dall’altra parte della stanza, insoddisfatto.
A quel punto cominciai a scrivere.
Ora mi sembrava che quelle parole, che prima non mi accontentavano, avessero acquistato un senso nuovo. Quelle parole che prima non mi convincevano ora sembravano perfette. Riportai solo qualche piccola modifica e dopo pochi minuti la prima strofa era fatta.
‘Strange maze, what is this place? / I hear voices over my shoulder / Nothing’s making sense at all.
I’m hopin’ for a chance to make it alright’

Mi servivano altre parole, mi servivano lettere da ordinare in modo da formare qualcosa di meraviglioso. Meraviglioso come lei. Tutto ciò che facevo  e che riguardava lei doveva essere perfetto. Era il solo modo per esprimermi.
Ritornello.
When I wake up / the dream isn’t done / I wanna see your face / and know I made it home’
‘Le penso davvero queste cose di te’
Seconda strofa.
‘Holdin’ my clutch / even my heart / wish we could start all over.
Nothing’s makin’ sense at all’

La penna scorreva sul foglio, ininterrotta, senza indugi, senza paure. Ogni parola era al suo posto, era esattamente dove doveva essere. E per un momento anche io mi sentii nel posto giusto. Lì, seduto per terra, a scrivere una canzone al più bel fiore che avessi mai visto. Volevo essere io a colorare la sua vita, come lei stava colorando la mia.
‘I don’t wanna lose my head.
If nothing is true / what more can I do? / I am still painting flowers for you / I am still painting flowers for you’
 
Finita.
 
Ero soddisfatto del mio lavoro ma allo stesso tempo sentivo un nodo allo stomaco. Avevo paura. Cos’avrebbe pensato di me Iyah dopo aver ascoltato il testo di quella canzone?
Magari non avrebbe nemmeno capito che era per lei. E se anche l’avesse fatto, magari non sarebbe riuscita a coglierne il senso. Dopotutto, nemmeno io sapevo se quello che avevo appena scritto aveva un senso. Era solo quello che lei mi faceva sentire.
Mi metteva confusione.
‘I don’t wanna lose my head’ avevo appena scritto. Eppure l’avevo già persa da un pezzo.

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Capitolo 6
*** Noel [Chapter 6] ***


NOEL [Chapter 6]
 
Presi la chitarra e mi infilai nel furgoncino. Johnny. Avevo deciso di chiamarlo Johnny.
Guidai verso la sala prove – non provavamo più da Rian da quando avevamo rotto qualche quadro facendo gli idioti e i suoi genitori ci avevano sbattuti fuori – e cercavo di tenere fuori dalla mia testa qualsiasi pensiero riguardasse Iyah o ‘Painting Flowers’, la canzone che avevo appena scritto.
Però, allo stesso tempo, volevo sapere se lei stava meglio. Provai a chiamare Jack. Il cellulare era spento. Non potevo fare altro che chiamare direttamente lei. Odiavo doverlo fare.
«Pronto?» che bella voce aveva.
«Ciao Iyah, sono Alex»
«Ehi ciao. Dimmi» non riuscivo a decifrare il suo tono. Era felice o no di sentirmi? Stava ancora male o si era ripresa?
«Ehm… No, a dire la verità volevo Jack. Il suo telefono è spento. E’ lì?»
Alex. Sei un coglione. Potevi almeno chiederle come stava, no?
Capii di aver sbagliato la mia risposta anche dal tono della sua. Ma in ogni caso mi passò Jack.
«Alex?»
«Si, ehm, scusa Jack. Volevo solamente chiederti come sta Iyah ma tu avevi il telefono spento. Credo di aver fatto un’enorme figura di merda»
Jack si mise a ridere. Cosa cazzo c’era da ridere?
«Comunque tranquillo Alex, ora sta un po’ meglio ma spero si apra un po’ di più con il suo fratellone»
Parlammo del più e del meno e decidemmo pure la scaletta per il concerto della sera dopo.
«Tesoro, sei uno schianto» disse improvvisamente Jack con una voce da gay. Non capivo.
«Chi, io?» chiesi confuso.
«Alex, sappiamo tutti che hai un sedere da urlo ma questi skinny jeans fanno un culo da favola a mia sorella!»
‘Cazzo Jack, sei proprio un’idiota. Credi non abbia mai notato il culo che ha?’
A quanto pareva Iyah si era comprata non so che pantaloni che le stavano bene. Beh, a questo punto non potevo far altro che sperare se li mettesse il giorno dopo al concerto.
Finalmente finì la conversazione, potevo concentrarmi sulla strada per arrivare alla sala prove. Ero felice di sapere che Iyah stava meglio, avrei suonato con un umore migliore.
Tamburellavo con le mani sul volante, canticchiando ‘Head on collision’ dei New Found Glory, la canzone da cui il mio gruppo aveva preso il nome. Quella canzone mi dava la carica, ero pronto a suonare con gli All Time Low.
Arrivato in saletta, trovai Zack e Rian che facevano flessioni.
«Amico!»
Dawson saltò in piedi e mi tirò un pugnetto sullo sterno.
«Robert, è inutile che ti alzi con la scusa di salutare Alex, lo sappiamo tutti che eri così stanco che non saresti mai riuscito a battermi» esclamò Zack, alzandosi anche lui e prendendosela con Rian.
Erano sempre i soliti.
 
***
 
Un’altra serata di prove era passata, mi sentivo davvero pronto per il concerto. Parcheggiai Johnny davanti casa e attraversai il vialetto per arrivare alla porta.
«Alex…»
Sentii una voce chiamarmi e mi girai verso il buio che avvolgeva il giardino di casa mia. Una ragazza bionda si fece strada tra gli alberi. Ricordo di aver sperato con tutto me stesso che fosse Iyah.
«Lisa? Che ci fai qui?»
Lisa Ruocco, la mia ex ragazza, mi si avvicinò con il suo solito sorriso, quello che l’anno precedente mi faceva impazzire ma che ora vedevo solo come un sorriso da stronza.
«Niente, passavo per di qua e ti ho visto arrivare»
‘A mezzanotte si trovava per caso vicino a casa mia? Abitavamo almeno a 15 km di distanza!’
«Lisa, dimmi semplicemente cosa vuoi da me e vattene»
«Ok, Alexander. Sono qui perché mi manchi. Voglio tornare con te, voglio che mi dai un’altra possibilità»
Se avessi semplicemente sentito il suo tono, senza vederla, probabilmente avrei pensato fosse sincera, da quanto era brava a mentire. Ma lì davanti a me c’era quel sorriso, quello che ti diceva chiaramente che per lei non contavi niente, che voleva averti semplicemente per il gusto di possedere qualcosa in più.
«Noel, sei stata tu a tradirmi»
Era tanto tempo che non la chiamavo così. Mi si strinse lo stomaco.
«Lo so Alex e mi dispiace. So di aver fatto uno sbaglio ma adesso ho capito…»
Lisa mi si avvicinò e mi mise una mano attorno al collo, mentre con l’altra mi afferrava la maglietta e mi tirava verso di sé. Cazzo se era bella. La camicia era abbastanza sbottonata da lasciare intravedere il reggiseno leopardato che le avevo regalato a S. Valentino dell’anno prima, quando ancora tutta la scuola credeva saremmo diventati il re e la regina del ballo. Cominciavo a sentire caldo.
«C-cosa hai capito?» le chiesti cercando di liberarmi della sua presa e di togliere lo sguardo dalla scollatura.
«Ho capito che ti amo, Alex»
Lei poggiò le sue labbra sulle mie, tenendomi la mano tra i capelli per tenermi stretto a lei. Non voleva che me ne andassi. Ma non per vero amore, era semplicemente estremamente possessiva. La spinsi via da me, non sopportavo di essere trattato così.
«Tornatene a casa» le dissi scocciato.
Lei non disse niente, fece solo un’altra volta quel suo fottutissimo sorriso, mentre mi metteva un cd nelle mani, prima di scomparire nel buio.

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Capitolo 7
*** The Concert - Part I [Chapter 7] ***


THE CONCERT – Part I [Chapter 7]
 
Quella mattina mi sono svegliato presto, nonostante avessi passato la notte senza dormire. Ero stato sveglio a pensare a Lisa e a quel cd che mi aveva messo tra le mani prima di andarsene. Non avevo ancora avuto il coraggio di guardarne il contenuto. Ma dopo una notte di riflessione capii cosa dovevo fare: accesi il computer ed inserii il cd.
Partì un video.
C’era una canzone di sottofondo, una canzone che avrei riconosciuto ovunque. Era quella che avevo scritto per lei, ‘Noel’.
E mentre sentivo la mia voce cantare, osservavo quelle foto e quei video. Erano vecchie immagini – ma poi non erano così vecchie – di noi due, felici. Ci abbracciavamo, ci baciavamo, camminavamo mano nella mano, ballavamo insieme nei locali, al ballo di fine anno.
Stranamente però non mi era venuta nostalgia. Estrassi il cd dal computer e lo nascosi sotto al letto, dove non avrei potuto più trovarlo, se non andando volutamente a cercarlo.
 
***
 
A scuola ero esaltato, come ogni volta che avevo un concerto. Facevo finta non fosse successo assolutamente nulla, né la sera prima dopo le prove, né quella mattina. Saltellavo di qua e di là, facevo scherzi ai ragazzi più piccoli insieme a Jack – eravamo proprio dei bulli, essendo all’ultimo anno. Non vedevo l’ora che arrivasse quella serata. Per non contare il fatto che ricordavo molto bene la conversazione telefonica con Jack, il pomeriggio precedente, il quale mi aveva informato che la sorella aveva ‘un culo da favola’. Beh, che dire. Non vedevo l’ora di vederlo!
 
***
 
Ero sotto casa Barakat, seduto sul mio posto da autista nel mio furgone Johnny. C’erano anche Rian e Zack con me e  stavamo aspettando che i due fratelli si decidessero ad arrivare. Suonai ancora il clacson, non volevo arrivare tardi al concerto. Dopo pochi secondi arrivò il mio migliore amico che cercava di mettere fretta anche alla sorella. Salirono in macchina e ci salutarono: eravamo decisamente pronti a spaccare i culi in quel locale.
Dopo poco, ovviamente, Rian e Zack cominciarono a litigare e a fare a pugni. La cosa mi infastidiva un po’ – mi deconcentravo a rischiavo di sbagliare strada – ma tenni duro, sapevo che nel giro di pochi minuti avrebbero smesso. Questi sono gli anni migliori della vita, non c’è nulla da dire. Essere giovani ragazzi spensierati, con la voglia di divertirsi e far divertire. Non volevo smettere mai di girare per locali e fare musica.
Arrivati a destinazione scendemmo dal furgone e ci dirigemmo verso l’ingresso. Jack mise un braccio sulle spalle della sorella e la accompagnò dentro; io ero subito dietro di loro e non potei fare a meno di guardarle il culo.
Ed è meglio che non faccia commenti al riguardo, potrei partire per la tangente e dimenticarmi del concerto.
Hachi, che era già al locale, corse incontro alla sua migliore amica appena la vide entrare, urlando come faceva sempre. Le lasciai lì, non avevo nessuna voglia di subirmi certi ‘discorsi da ragazze’. Sorrisi. Era bello vedere Iyah ridere. Mi avviai verso il palco per controllare che tutto fosse a posto e per cominciare a suonare. Anche Rian, Jack e Zack erano sul palco e con questi si avvicinarono anche le due ragazze. Posto centrale in prima fila, come sempre. Iyah era la nostra fotografa ufficiale, doveva assolutamente stare davanti per poterci fotografare al meglio. E si, a me faceva piacere trovarmela davanti mentre cantavo. Molte delle canzoni che avevo scritto erano per lei e guardarla mentre lasciavo che quelle parole uscissero dalla mia bocca era il mio modo per comunicarle i miei sentimenti. Ero un vigliacco. In questo modo poteva pensare stessi solo facendo l’idiota per venire bene in foto, non avrebbemai pensato che dedicavo a lei quelle frasi, frutto del lavoro di giorni, settimane, mesi.
«Buonasera a tutti! Noi siamo gli All Time Low e questa è ‘Jasey Rae’!»
Sentii la mia voce espandersi nella stanza, mentre mi si formò un nodo allo stomaco ripensando alla ragazza a cui era dedicata quella canzone. Cercai di togliermi il pensiero dalla testa per non rovinarmi la serata.
Iyah era davanti a me e faceva scattare il flash, ininterrottamente. La guardai negli occhi e lei fece lo stesso. Istintivamente le feci l’occhiolino. Lei arrossì leggermente e si rimise la macchina fotografica davanti agli occhi per coprirsi il più possibile, andando verso gli altri membri del gruppo. Avevo sbagliato? L’avevo imbarazzata?
Ma questo non mi preoccupava. Ciò che mi interessava era la fasciatura che aveva alla mano destra. Non so come ma non la avevo ancora notata. Avrei dovuto chiedere a Jack spiegazioni, la cosa mi tormentava, ero preoccupato. Riguardava quello che era successo il giorno prima? Il motivo per cui Bassam non era venuto alle prove?
Abbiamo suonato molte altre canzoni e ogni volta mi sentivo vivo, al posto giusto. Non mi capitava mai di essere al posto giusto. Solo quando ero su un palco, con un microfono, una chitarra e i miei migliori amici. Scorrevo con lo sguardo i ragazzi che mi erano davanti e mi sentivo bene sentendo le loro voci che si univano alla mia. Capii che quello che facevo era giusto.
Ma avevo bisogno di Iyah per stare bene con me stesso fino in fondo. La cercai con lo sguardo, sperando stesse cantando anche lei, sperando di scoprire che era sulla mia stessa lunghezza d’onda.
Ma non era così.

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Capitolo 8
*** The Concert - Part II [Chapter 8] ***


THE CONCERT – Part II [Chapter 8]
 
Chi era quel tipo che parlava con Iyah? Chi era quel ragazzo che stava portando via i suoi occhi dai miei?
Continuai a cantare, senza pensare a cosa stessi dicendo, senza badare ai testi delle canzoni che io stesso avevo scritto. La mia testa era altrove. Seguivo con lo sguardo quei due mentre se ne andavano verso il piano bar, lasciando Hachi in prima fila a scatenarsi da sola.
Provai a girarmi verso Jack: anche lui seguiva con lo sguardo la sorella.
Li guardavo da lontano, cercando di capire di cosa stessero parlando – cosa ovviamente impossibile – mentre si bevevano qualche drink. Ma ci provavo lo stesso, continuavo a ripetermi che dovevo sapere. Jack sorrideva. Perché sorrideva? Conosceva quel tizio? E da quanto tempo lo conosceva Iyah? Non potevano essersi appena incontrati, da come parlavano e scherzavano dovevano conoscersi almeno da qualche settimana.
‘Geloso? No, non sono mai stato geloso. Non comincerò proprio ora. Non per una ragazza, cazzo’
Il concerto continuava, andava avanti ma mi lasciava indietro. I miei amici si scatenavano e io ero lì, facevo qualche sorriso finto alla folla davanti a me ma poi tornavo a fissare quel punto lontano dal palco. Mi sembrò di morire quando lei lo prese per mano e lo portò in prima fila, facendolo conoscere all’amica. Ora erano tutti e tre davanti a me, mi guardavano. Hachi era entusiasta come sempre, si esaltava e si scatenava ogni volta ai nostri concerti, Iyah continuava a scattare foto al gruppo e quel tizio, mai visto prima in città, muoveva la testa su e giù, provando chiaramente a seguire il ritmo delle nostre canzoni ma con scarsi risultati.
‘Eddai Iyah, vai con uno che non ha nemmeno un po’ di musica nel sangue? Non è da te!’
Ogni tanto lui si girava a guardare la sorella di Jack e le sorrideva. Zack e Rian continuavano a suonare, dopotutto non sapevano della mia cotta per May, non avevano motivo di dare tanta importanza ad un ragazzo che parlava con lei. Nemmeno Jack sapeva di quello che provavo ma, a differenza degli altri due, a lui importava cosa faceva la sorella. Eppure non sembrava preoccupato come me – il che è strano data la sua tendenza ad essere iper-protettivo. Dovevo calmarmi. Se Jack non percepiva nessun pericolo, dovevo stare tranquillo.
Dopo un’ora e mezza il concerto finì.
«Grazie a tutti per essere venuti! Noi siamo gli All Time Low, ci vediamo la prossima volta!»
Era da quando l’uomo-misterioso mi aveva portato via Iyah che non vedevo l’ora di dire quella frase. Ora finalmente era finita l’agonia, potevo andare da loro e riprendermi la mia ragazza.
‘Egoismo? No, non sono mai stato egoista. Non comincerò proprio ora. Non per una ragazza, cazzo’
La mia era solo lecita curiosità unita a preoccupazione. Ok, Iyah non era la mia ragazza ma non potevo lasciare che se ne andasse con un altro. Io avevo bisogno dei suoi occhi che si perdevano nei miei per dare un senso a quello che cantavo. E invece lui me la aveva portata via mentre ci esibivamo.
Misi la chitarra e tutto il resto nel buon Johnny e mi avvicinai agli altri. Il ragazzo stava parlando con Jack, Rian ci stava provando con Hachi – magari era la volta buona che le chiedeva di uscire – e Zack si guardava intorno senza sapere cosa fare. Iyah era lì con suo fratello, la chiamai in disparte.
«Allora Iyah» cominciai «ti sei divertita?»
«Beh, come sempre. Ovvio» rispose con tono piatto, come se non le interessasse. Mi sentivo o stomaco sottosopra, ero agitato.
«Senti… Io avrei casa libera, se ti interessa. Possiamo bere qualcosa e poi ti riporto a casa se vuoi. Oppure no. Cioè, dimmi tu cosa preferisci»
Incrociai le dita, sperando in una risposta positiva. Non avevo cattive intenzioni, volevo solo portarla via da quel tipo – che avevo scoperto chiamarsi Tom.
«Mi dispiace, Alex, ma questa sera davvero non ne ho molta voglia. Credo che andrò a casa, sono stanca»
Non sapevo che rispondere. Ci ero rimasto un po’ male ma se era stanca non potevo costringerla a venire a fare un giro con me.
In quel momento però arrivò Tom. Le cinse i fianchi e io sentii una strana fitta al petto.
«Ehi, Iyah. Che fai adesso? Ti va se facciamo un giro, andiamo in un bar, chiacchieriamo un po’ e poi ti riporto a casa?» Tom aveva i capelli corti e neri, gli occhi azzurri e un piercing sul labbro. C’era qualcosa di familiare in lui, qualcosa che mi faceva venire la nausea, ma non riuscivo a risalire alla fonte del problema.
«Certo che mi va» rispose lei sorridendo.
Mi crollò il mondo addosso. Non riuscivo a capire, davvero.
«Ma… Avevi detto che…»
«Beh, ho cambiato idea. Ciao ragazzi, ci sentiamo. Jackie, non aspettarmi sveglio stanotte»
Se ne andarono così, senza dire altro. Lei salì in macchina di Tom e partirono. Non sapevo cosa pensare. Abbassai la testa, cercando di trattenere le lacrime.

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Capitolo 9
*** Proud of me [Chapter 9] ***


PROUD OF ME [Chapter 9]
 
Me ne tornai a casa, ero stanco e sconsolato. Accompagnai Zachary, Robert e Jack alle rispettive abitazioni e guidai velocemente verso la mia. Salutai Johnny, lasciandolo solo davanti al vialetto, e trascinai fin dentro casa la chitarra e l’amplificatore. Mollai tutto per terra e mi diressi in cucina, dove mi aprii una birra. In quel momento sentii dei passi, provenivano dal piano di sopra e poi giù per le scale, fino ad arrivare davanti a me.
«Ciao Alexander. Com’è andato il concerto?»
Mio padre era in piedi di fronte a me, avvolto nella sua vestaglia da notte; mi si avvicinò e si sedette su una sedia affianco a me.
«Ciao papà. È andato bene, come sempre»
«Sono felice. Ma come mai sei già tornato a casa? Niente notte brava con quei tuoi amici? C’è qualcosa che non va?»
«No no, va tutto bene. Ero solo stanco, è stata una giornata lunga e faticosa»
Continuai a sorseggiare la mia birra, mio padre si alzò e si riempì un bicchiere d’acqua.  Poi tornò a sedersi. Ci fu un momento di silenzio, interrotto solo dal rumore della birra che mi scendeva dalla gola allo stomaco. Peter, mio padre, parlò per primo.
«Ti manca, vero?»
Non risposi. Tenevo solo gli occhi fissi davanti a me.
«Daniel sarebbe fiero di te» disse mio padre prendendo in mano la fotografia di mio fratello appoggiata sul tavolo. Sbattei la bottiglia di vetro, ormai vuota, sul tavolo e mi alzai di scatto.
«Si, certo. Come no»
Presi la mia roba lasciata all’ingresso e corsi su per le scale, chiudendomi in camera mia. Mi tolsi le scarpe e la maglietta, mi misi un paio di pantaloni più comodi e mi buttai a letto, a pancia in su e con gli occhi aperti.
‘Fanculo Daniel. Non è mai stato fiero di me’

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Capitolo 10
*** Waiting for an answer [Chapter 10] ***


WAITING FOR AN ANSWER [Chapter 10]
 
Mi riusciva facile prendermela con mio fratello quando qualcosa nella mia vita non andava. Lui era stato il motivo della mia più grande sofferenza e davo la colpa a lui delle debolezze che mi avevano invaso da quel giorno. Pensare a lui era strano. Provavo contemporaneamente odio e amore nei suoi confronti. E questo mi faceva schifo.
‘Si papà, mi manca Daniel’
Come può non mancarti tuo fratello maggiore? Come può non mancarti il tuo punto di riferimento, colui che avrebbe potuto insegnarti a vivere? E invece lui è quello che non vive più, è sparito e non può insegnarmi un bel niente. C’erano momenti in cui avrei voluto stare ore a parlare con lui, chiedergli come stava – mi ero accorto di non averlo fatto abbastanza in passato e questo mi faceva sentire in colpa – e se poteva darmi una mano con i compiti per scuola. C’erano momenti in cui avrei voluto dirgli ‘Ehi Daniel, prendiamo la macchina e andiamo a pescare’. Quante cose avrei voluto dirgli in quel momento.
Guardai il soffitto, ma io vedevo oltre; vedevo le stelle anche se sopra di me c’era solo un altro muro di cemento che chiudeva quella camera rettangolare in cui ero rinchiuso. Cominciai a sussurrare, a parlare con mio fratello.
«Ciao Dan, come va?»
Nessuna risposta. Ma, dopotutto, cosa mi aspettavo? Non mi importava, ci riprovai.
«Cosa hai fatto oggi di bello?»
Ma perché ogni volta che provavo a fare e a dire qualcosa di serio, dalla mia bocca uscivano solo stronzate?
«Scusami, sono un disastro…»
Silenzio. Solo il mio respiro. Pochi minuti dopo sentii mio padre salire le scale, bisbigliare un flebile ‘Buonanotte Alexander’ e dirigersi in camera. Poi di nuovo silenzio. Forse ora che papà era andato a dormire, Daniel mi avrebbe risposto.
«Questa sera ho suonato con i ragazzi. È andato tutto bene, sono fiero del gruppo»
Ancora nessuna risposta, nessun segno. Cominciavo a perdere le speranze. Mi sentivo anche un’idiota che parlava da solo, pur sapendo di non poter ricevere nessuna risposta. Forse Daniel non sentiva la mia mancanza, né quella di papà, né di nessun altro. Ricordai il giorno che se n’era andato. Quella bottiglia, la porta sbattuta alle sue spalle che ci separava. E poi basta, scomparso. Non si era fatto problemi ad andarsene, perché avrei dovuto cercare di ristabilire un contatto con lui? Io non avevo nessuna colpa.
‘Fanculo Daniel, te ne sei sempre fregato di me’
Guardai la foto mia e di mio fratello, scattata quando eravamo più piccoli, che era appoggiata sul mio comodino, affianco al mio letto. La presi in mano. Ripensai al giorno immortalato, ora rinchiuso in una cornice d’argento. Cazzo, quei giorni non torneranno indietro, lui non tornerà indietro. Mi ha lasciato da solo e proprio così me la caverò: da solo. Feci scorrere la fotografia sul pavimento, facendola arrivare sotto al letto, vicino al cd di Lisa. Lì avrei sotterrato i miei ricordi, il mio passato. Chissà quante cose sarebbero finite sotto il mio letto, chissà quante cose avrei deciso di eliminare dalla mia vita.
E chissà se era la scelta giusta.
«Fanculo Daniel. Come fai a farti odiare e amare allo stesso tempo? Buonanotte»

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Capitolo 11
*** In love [Chapter 11] ***


IN LOVE [Chapter 11]
 
Il giorno dopo non sono andato a scuola.
Ho raccontato qualche palla a Peter e me ne sono rimasto a letto, sotto le coperte tutto il giorno. Immerso nel silenzio. Non avevo nessuna intenzione di vedere Iyah. Non avevo nessuna intenzione di sentir parlare Jack di sua sorella. Non avevo nessuna intenzione di sentire Robert che raccontava della sua uscita con Hachi. Non avevo nessuna intenzione di ascoltare le cazzate di Zachary.
Non volevo fare niente, non volevo vedere nessuno.
Persino il rumore di quella mosca che sbatteva sulla finestra, provando ad uscire, mi dava fastidio.
Cosa mi stava succedendo? Dov’era finito il mio entusiasmo, la mia allegria, la mia voglia di fare casino con gli amici? Me l’aveva portata via una fottuta ragazza, era finita in quello spazio buio e polveroso sotto il mio letto.
Il giorno dopo ancora provai ad andare a scuola ma, arrivato davanti al cancello, cambiai idea e me ne andai fuori Baltimora, in un piccolo paesino tranquillo circondato dal verde. Ho passato la giornata a suonare la chitarra acustica e guardare i lenti movimenti delle nuvole.
Il terzo giorno ci ho provato sul serio a rimettere piede in quella prigione – e l’ho fatto. Ma quando l’ho vista da lontano mi sono girato dall’altra parte e ho cambiato corridoio. Speravo non mi avesse visto.
Non le rivolsi la parola per giorni. Né a lei, né a nessun altro.
Un pomeriggio mi stavo facendo la doccia quando sentii aprirsi la porta del bagno.
«Ma che cazz…»
«Mi scusi, buonuomo. Per caso è lei Alexander William Gaskarth, il ragazzo scomparso che fino ad un paio di settimane fa era il mio migliore amico?»
Jack tirò la tenda della doccia, lasciandomi completamente nudo davanti a lui.
«Porca puttana, Bassam!»
Allungai il braccio afferrando l’asciugamano e me lo legai attorno alla vita.
«La prossima volta che ti fai la doccia, chiamami» scherzò Jack sedendosi per terra.  Mi asciugai velocemente e me ne andai in camera; Jack mi seguì.
«Come sei entrato?»
«Mi ha aperto Peter»
«Che ci fai qui?»
«Sono giorni che non ti fai vedere né sentire»
«Che vuoi da me?»
«Cos’è, mi fai il terzo grado? Che crimine ho commesso? Preoccuparmi per un amico?»
Sbuffai e mi buttai sul letto, borbottando uno ‘Scusami’. Bassam mi saltò addosso e cominciò a prendermi a pugni, poi mi sfilò l’asciugamano e lo lanciò dall’altra parte della stanza.
«E smettila, pervertito» protestai. Lui era piegato in due dalle risate.
«Sul serio Alex, che succede? È dal concerto che sei strano»
Non sapevo se rispondere, non sapevo cosa rispondere. Mi limitai a guardare fuori dalla finestra.
«Ehi. Ci siamo sempre detti tutto. Perché ora non mi parli?»
Stavo per esplodere. Me lo sentivo. Avevo troppe cose che mi ronzavano per la testa, troppi pensieri che mi facevano solo una confusione immensa. E Jack era lì e aspettava una spiegazione. E io gli davo le spalle e cercavo le parole giuste. Ma poi, esistevano le parole giuste? Come facevo a spiegare con una semplice frase tutto il casino che avevo dentro?
«Gaskarth? Ci sei? Qualcosa non va?»
‘Jack smettila, ti prego’
Il mio amico si alzò dal letto e mi mise una mano sulla spalla. Mi girai di scatto.
«Sono innamorato di tua sorella, cazzo!»

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Capitolo 12
*** Do you want me dead? [Chapter 12] ***


DO YOU WANT ME DEAD? [Chapter 12]
 
Jack rimase zitto per almeno una decina di secondi.
«Tu cosa?»
Avevo paura ma ormai mi ero lanciato, avrei dovuto raccontagli tutto. Mi ritrovai a correre per casa con lui che mi inseguiva quando dovetti confessargli che eravamo stati a letto insieme – a quanto pare la notizia non gli era piaciuta – ma quando si stancò e rimase senza fiato potei continuare il mio racconto.
Gli spiegai che a lei ci tenevo davvero moltissimo, che non avevo intenzione di farla stare male e qual’era stato il motivo del mio comportamento negli ultimi tempi.
«Quindi vederla andare via con Tom è stato brutto, eh?»
«Parecchio» risposi con la testa bassa. «Lei ti ma hai parlato di lui, o di me, o di qualsiasi altro ragazzo?»
Jack ci pensò un po’ su ma quello sguardo non mi piaceva per niente, non prometteva niente di buono.
«A dire la verità, ora che ci penso, la sera prima del concerto mi aveva detto che si era innamorata e che avrebbe incontrato questo ragazzo proprio al locale la sera dopo»
‘Oh beh perfetto. Tom’
Mi sentivo davvero male e penso che Jack l’avesse capito.
«Mi dispiace Alex»
«Si, vabbè, non importa…»
«Beh, se può farti stare meglio le ho chiesto di te quando è tornata dall’appuntamento»
Il mio cuore fece un salto fino ad arrivarmi in gola. Afferrai Jack per un braccio, avevo gli occhi sbarrati.
«Cosa?»
«Beh, ho visto i vostri scambi di sguardi durante il concerto e avevo pensato mi steste nascondendo qualcosa, così ho voluto indagare e le ho chiesto se tra di voi c’era qualcosa»
Scattai in piedi, ormai ero vicino all’obiettivo, stavo per scoprire i sentimenti di Iyah. Costrinsi Jack a parlare.
«Alex… Mi ha detto di no... Mi ha detto che tu non le interessi e che lei non interessa a te…»
Mi crollò il mondo addosso. Non sapevo che altro dire se non che lei mi stava letteralmente uccidendo dentro. Mi tremavano le gambe e con voce altrettanto tremante chiesi al mio amico di andarsene. Acconsentì senza opporre resistenza.
 
***
 
Il giorno dopo a scuola non volevo assolutamente vederla. Ma sapevo che passarci affianco almeno una volta sarebbe stato inevitabile. Durante la lezione di economia mi sedetti affianco a Jack ma non ci rivolgemmo la parola nemmeno per un secondo. Scrivevo sulle mie braccia, come sempre. Ma scrivevo un’unica frase, ripetuta decine e decine di volte.
‘Do you want me dead?’
Alla fine dell’ora andai nella direzione opposta di quella presa da Jack – poiché probabilmente si sarebbe incontrato con gli altri e con la sorella – sperando di beccare un corridoio poco frequentato da lei. Poi però mi resi conto che il mio armadietto era proprio dalla parte in cui era andato il mio migliore amico. Non ho mai pregato molto in vita mia ma quella volta ricordo di averlo fatto: pregavo di non trovarmela davanti. Mi ricordai subito perché non pregavo mai: Dio non esaudiva mai le mie preghiere. Non mi ascoltava, non l’aveva mai fatto, si divertiva a prendermi per il culo facendomi soffrire. Ed eccola lì, Iyah, davanti al suo armadietto con la sua amica e i miei All Time Low. Dovevo per forza passare per di là, era inevitabile. Accelerai il passo, volevo fosse una cosa rapida ed indolore.
Non lo feci apposta ma per colpa dell’affollamento le andai addosso. Continuai a camminare come se non fosse successo nulla. E poi, quella voce.
«Che cazzo fai, Alex?»
Il mio cuore diceva che avrei dovuto fermarmi e parlarle, chiarire una volta per tutte, la mia mente invece diceva che dovevo andare avanti per la mia strada, senza lasciare che una ragazza mi facesse tutto questo. O era il contrario? Chi diceva cosa? Boh, ormai cuore e ragione si confondevano in me e io ero incapace di reagire. I miei piedi scelsero per me e non si fermarono.
«Sei proprio un coglione»
Una fitta al cuore. Diretta, veloce, tagliente. Mortale.
Questa volta mi fermai, ero totalmente pietrificato. Dunque era questo che pensava di me? Io stavo morendo per lei, avrei potuto fare qualsiasi cosa e lei mi trattava così?
‘Do you want me dead?’

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Capitolo 13
*** Feeling good [Chapter 13] ***


FEELING GOOD  [Chapter 13]
 
Quelle poche parole pronunciate da Iyah avevano scavato un taglio troppo profondo. Avevo bisogno di distrarmi ma non sapevo cosa fare. Presi in mano la chitarra, misi nello stereo qualche cd dei Blink, mi buttai nel letto ma niente, qualsiasi cosa facessi non riuscivo a calmarmi né a togliermela dalla testa.
‘Sei proprio un coglione’
Qualcuno suonò il campanello, andai ad aprire. Jack si catapultò in casa senza salutarmi o chiedermi se poteva entrare. Andò in cucina, prese le chiavi di Johnny appoggiate sul tavolo e mi prese per mano, trascinandomi con forza fuori casa. Non capivo cosa avesse in mente ma poco mi importava, andava bene qualsiasi cosa mi distraesse. Ero passivo, non avevo voglia di obiettare le decisioni di Jack né di prenderne per conto mio.
Bassam si mise al volante, io appoggiai la testa sul finestrino, guardando fuori.
«La tieni per favore?»
Jack mi mise in mano una bottiglia di Vodka. Grazie fratello, questa ci vuole proprio.
«Dove stiamo andando?» chiedi al mio amico, forse sperando non mi dicesse che andavamo da sua sorella. In quel caso avrei preso una decisione e mi sarei buttato dal furgone, anche in corsa se necessario.
«In un posto che spero ti rimetta in piedi»
 
***
 
Io e Jack ballavamo con tutte le ragazze fighe che riuscivamo a trovare nel locale ma avevamo bevuto talmente tanto che avrei potuto trovare figa persino Joyce, la madre di Jack. Ci stavamo divertendo facendo quello che più sapevamo fare: gli idioti. Dopo un paio d’ore decidemmo di cambiare aria. Eravamo così sbronzi da prendere decisioni stupide e fare quello che ci passava per la testa: pisciare nel giardino del professor Ruocco, lanciare pietre ai gabbiani che si riposavano al porto, andare nel centro di Baltimora ad urlare a squarciagola. Stavamo guidando senza una meta precisa quando Jack si fermò di colpo. Prese la bottiglia di Vodka – che avevamo lasciato in macchina prima di entrare nel locale – e ne bevve un sorso.
«Amico, perché ti sei fermato?»
«Gaskarth, mi è venuta un’idea»
«Cioè?»
«Due nomi: Holly e Maria»
 
***
 
Ci ritrovammo in quello strip club in cui eravamo stati tempo indietro, anche se di quella serata non ci ricordavamo praticamente nulla. Tutto ciò che ci era rimasto erano i numeri di telefono di queste due ragazze. Quando arrivammo, Holly e Maria stavano per finire il loro turno così ci sedemmo davanti al palco e le guardammo volteggiare attorno a quei pali. Che belle che erano. Vedere due ragazze mezze nude strusciarsi davanti a noi ci sembrava la cosa più bella del mondo, e sicuramente era molto eccitante. Né io né Jack sembravamo preoccuparci di qualcosa, era tutto perfetto. Niente più problemi con Iyah, stavo bene così.
Avevo capito che senza di lei era possibile vivere.
Maria e Holly finirono la loro danza e, dopo averci notati, ci vennero incontro.
«Ehi ragazzi, siete tornati allora. Ci avete messo un po’ di tempo, noi vi stavamo aspettando» disse la bionda, Holly. Jack non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Più precisamente dalle tette. Riuscivo perfettamente a comprendere il mio amico: erano enormi.
Io guardai Maria e mi persi nei suoi occhi, mentre lei mi sorrideva aspettando che rispondessi alla domanda della sua amica. Perché devo sempre essere quello romantico che diventa pazzo per uno sguardo o un sorriso e non posso essere come Jack che comincia a viaggiare in un altro mondo davanti a due tette?
«L’importante è che siamo tornati, no?» risposi.
Passammo il resto della serata a bere e a scherzare, le nostre ragazze improvvisarono un balletto apposta per noi due e io e il mio amico ci sentivamo in Paradiso. Ma ero sicuro che queste cose non erano permesse lassù quindi forse è meglio dire che ci sentivamo all’Inferno. Queste cose sono contro l’etica morale, mi avrebbero sicuramente mandato all’Inferno e quasi non vedevo l’ora di andarci. Gran divertimento laggiù, immagino. Holly si strusciava su Jack, che aveva gli occhi chiusi e sorrideva. Chissà a cosa stava pensando.
Maria si sedette a cavalcioni sulle mie ginocchia e mi guardò negli occhi, facendomi perdere ancora una volta in quell’immenso mare blu. Ed oltre a me stesso, persi anche il controllo.
La baciai.
Lei non si tirò indietro ma mi strinse a sé ancora di più.
Dissi a Jack che avevo bisogno di uscire per prendere un po’ d’aria e mi seguirono tutti e tre. Non mi stavo sentendo in colpa per quello che era successo con Maria, dopotutto non ne avevo motivo. Anzi, stavo maledettamente bene. Non sapevo se era questa bellissima ragazza o l’alcool o la presenza del mio amico quando stavo male. E nemmeno mi importava. Presi ancora una volta Maria per i fianchi, le mie mani calde sulla sua pelle, e la baciai ancora. Sentii Barakat e Holly urlare con soddisfazione, interrompendosi poi per sorseggiare ancora un po’ di Vodka. Sorrisi a Maria, la quale ricambiò il gesto.
Fanculo Iyah. Non avevo bisogno di lei per stare bene.

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Capitolo 14
*** I don't care [Chapter 14] ***


I DON’T CARE [Chapter 14]
 
Quella notte tornai a casa alle 7 di mattina. Di cosa avessimo fatto fino a quell’ora avevo una vaga idea e mi sentivo bene, se tralasciamo il mal di testa esagerato. Mi buttai a letto per dormire – col cazzo che me ne andavo a scuola quel giorno – ma ovviamente c’era sempre qualcosa o qualcuno che non voleva lasciarmi in pace. Mi squillò il cellulare. Jack.
«Amico, lasciami dormire ti prego»
«Alex cazzo, c’è un problema! Che cazzo faccio ora? Merda, Gaskarth!»
Mi misi a sedere, Jack era davvero preoccupato. Balbettava, respirava affannosamente, c’era davvero qualcosa che non andava.
«Jack, che succede?»
«Iyah, cazzo!»
Iyah? Che aveva combinato stavolta? No cazzo Jack, non voglio parlare di lei, sto così bene ora che mi sono scopato un’altra senza pensare ai casini con lei.
«Che ha fatto?» dissi svogliato ma pur sempre preoccupato per il mio amico.
«È scappata con Tom, cazzo!»
Scappata? Che voleva dire che era scappata?
Io e Jack ci trovammo con Zack, Hachi e Rian davanti casa Barakat, dove il mio migliore amico ci spiegò. Disse che quando era tornato a casa lei stava caricando le valigie in macchina del suo ragazzo e che se ne stavano andando a New York per un tempo indefinito.
Che potevo volere di più? Il mio problema se n’era andato da solo, senza che io facessi niente! Mi sentivo sempre meglio.
«Beh, fratello. Stai tranquillo. Tra lei e Tom va tutto bene, no? Si staranno facendo la loro gita da cari piccioncini» dissi sbadigliando e stiracchiandomi un po’. Ero davvero stanco e preferivo starmene a letto piuttosto che parlare di stronzate. Se n’erano andati a New York senza avvertire nessuno? Contenti loro, contenti tutti. Io per primo.
Jack mi guardò malissimo. Mi squadrò da testa a piedi e sibilò un veloce ‘Iyah aveva ragione: sei proprio un coglione’. Parole che ancora bruciavano ma molto meno rispetto a quando le avevo sentite la prima volta pronunciate da lei. Forse stavo guarendo dalla mia malattia, dalla mia dipendenza. Mi allontanai dal gruppetto, che intanto cercava di telefonare ad Iyah senza successo, e chiesi una sigaretta ad una ragazza che passava di là. Io non avevo mai fumato ma per qualche strano motivo mi venne voglia in quel momento. Cominciai a tossire, non abituato all’effetto del fumo, ma non mi importava. Rian mi guardava sconvolto.
«Alex, da quand’è che fumi? Tu odi il fumo»
«Da ora. Che c’è? La gente non può cambiare?»
Robert e gli altri non risposero, si guardarono con facce strane e provarono ancora a chiamare la sorella di Jack. Tutta quella loro tensione e preoccupazione mi metteva ansia e mi infastidiva, non avevo voglia di stare lì. La cosa non mi riguardava. Non più.
«Beh gente, io vado, ho un paio di cose da fare. Buona fortuna con Iyah, eh» dissi buttando la cicca a terra, dopo averne fumata solo metà. Mi girai e cominciai ad incamminarmi verso il mio furgone.
«Alex, che ti prende?»
Hachi mi aveva raggiunto e mi guardava con quei suoi occhi contornati dalla matita nera e dall’eye-liner, tenendomi per un braccio. Mi faceva un po’ pena quella ragazza. Era sempre stata attaccata ad Iyah, come se fosse la sua ombra, e ora che lei se n’era andata senza salutarla non sapeva che fare o pensare.
«Assolutamente niente, Hachi. Ho da fare. Ma se sentite Iyah fatemelo sapere» dissi con un sorrisino strafottente. Mi liberai dalla sua presa, diedi un’occhiata agli altri ragazzi – Zack stava abbracciando Jack per fargli forza – e me ne andai.
 
***
 

In verità non avevo niente da fare, volevo solo andarmene da lì. Così, arrivato a casa, mi buttai sul letto con la speranza di riuscire a dormire. Accesi lo stereo, dove c’era ancora il cd dei Blink 182. Presi sonno quasi subito ma mi svegliai dopo poco per una strana sensazione. Mi guardai intorno, cercando qualcosa che potesse spiegarmi quel senso di preoccupazione che avevo appena provato. Trovai per terra una fotografia: eravamo io, Jack e Iyah a Londra, messi in posa in modo da far vedere alle nostre spalle la scritta ‘Welcome to Carnaby Street’. Che ci faceva lì quella foto? Ero sicuro di non averla vista quando ero entrato in camera o quando mi ero buttato a letto. E nemmeno il giorno prima. Ero sicuro di aver messo quell’immagine in qualche cassetto insieme a tutte le altre foto di quella vacanza. Ma ora lei era lì, per terra, davanti al mio letto e non sapevo come ci fosse arrivata. Mi alzai e presi le forbici.
«Daniel, sono praticamente sicuro sia stato tu a farmi questo. Beh, guarda che ne faccio di questa bella foto che a quanto pare ti piace tanto» dissi con tono infastidito, mentre cominciavo a tagliare il foglio che tenevo nelle mani. Ritagliai la sagoma di Iyah, lasciando solo me e Jack. Misi in un cassetto della scrivania ciò che era rimasto – Jack e io – e accartocciai l’immagine della ragazza, buttandola poi sotto il mio letto.
«Ecco fatto, Dan. Contento? Fatti i cazzi tuoi e non intrometterti»
Mi ributtai sul letto, cadendo in un sonno profondo.

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Capitolo 15
*** I can't forget about it [Chapter 15] ***


I CAN’T FORGET ABOUT IT [Chapter 15]
 
Mi risvegliai sudato ma senza capirne il motivo. Boh, probabilmente avevo fatto qualche sogno strano che non ricordavo più. Però ero lì, tremavo e il fatto di non sapere il perché mi faceva sentire impotente, senza controllo sulla mia vita. Ormai era sera, mio padre stava cenando quando scesi in cucina.
«Oh Alexander, sei sveglio? Prima ti ho chiamato ma sembravi morto. Vieni, mangia qualcosa»
«No papà, tranquillo. Non ho fame e poi sto uscendo»
«Dove vai? Sei sempre in giro, ti fa proprio così schifo passare un po’ di tempo qui?»
Uscii senza ascoltare la fine della domanda. Johnny, fedele come sempre, mi aspettava davanti casa. Passai da Jack per sentire se aveva voglia di uscire. Quando venne ad aprirmi alla porta aveva il cellulare all’orecchio.
«Ehi fratello!» gli dissi alzando le due birre che mi ero portato da casa «Sto andando da Maria, vuoi venire anche tu così rivedi Holly?»
Jack non rideva. Anzi, mi rispose con un secco «Non vedi che sono impegnato? Mia sorella non risponde. Ciao» e mi costrinse ad andarmene. Non me ne importava molto, anzi. Almeno potevo stare da solo con Maria senza preoccuparmi di uno che stava costantemente attaccato al telefono perché sua sorella non si era più fatta viva.
Che noia, Jack. Su con la vita, lei è con Tom ed è felice.
Arrivai allo strip club e aspettai nel parcheggio, appoggiato alla mia macchina. Restai lì circa mezz’ora finchè non uscì Maria. Appena mi vide mi salutò agitando la mano e mi fece un enorme sorriso, che ricambiai con piacere. La feci salire in macchina e ce ne andammo da lì, senza sapere esattamente quale fosse la nostra meta.
Non sapevo che stava succedendo ma in sua compagnia stavo bene. Un passatempo? Qualcosa di più? Non lo sapevo e non mi importava molto. L’importante era essere felice. Si, forse ero egoista ma me ne fottevo alla grande.
Maria mi portò in una zona di Baltimora in cui non ero mai stato, mi indicò per quali vie andare finchè non mi disse di fermarmi davanti ad un palazzo vecchio e trasandato.
«Ti va di venire su, Alex?»
Lei mi guardava con sguardo ammiccante. Scesi dal furgone e la abbracciai da dietro, baciandole il collo. Mi portò su per le scale fino a fermarsi davanti ad una porta al terzo piano. Prese le chiavi dalla borsa e aprì. Mi baciò, trascinandomi all’interno del suo piccolo appartamento, e mi fece strada fino alla camera da letto.
Quante volte dissi il suo nome, quella notte.
E quante volte, invece,  era il nome di Iyah che avrei voluto urlare.

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Capitolo 16
*** Time bomb [Chapter 16] ***


TIME BOMB [CHAPTER 16]
 
La mattina dopo mi svegliai con Maria accanto che ancora dormiva. Le baciai la schiena nuda e mi alzai per rivestirmi e andare a scuola. Sentii una fitta allo stomaco quando varcai il portone d’ingresso: Jack, Rian, Hachi e Zack mi squadrarono da testa a piedi senza provare a rivolgermi la parola. Jack aveva ancora il cellulare in mano: a quanto pareva Iyah era davvero sparita.
Passai oltre, senza preoccuparmi troppo delle loro opinioni e dei loro sguardi. Alla lezione di economia Jack prese posto dall’altra parte della classe e non il solito affianco a me. La cosa fu strana ma ci pensò Ruocco a riportarmi alla solita vita, richiamandomi dopo avermi visto ancora una volta impegnato a scrivere invece che ascoltare la lezione. Avevo cominciato a scrivere una nuova canzone e volevo proporla ai ragazzi alle prove, quel pomeriggio. Si, mi toccava andare alle prove nonostante i miei amici non mi parlassero: avremmo avuto un concerto quel fine settimana.
 
***
 
Arrivato  alla sala prove i ragazzi stavano chiacchierando e ridevano tra di loro. Quando entrai calò il silenzio più totale. Agghiacciante. Senza tanti giri di parole dissi agli altri di ascoltarmi e di venirmi dietro mentre suonavo e cantavo quella nuova canzone. Stava davvero cominciando a funzionare, il testo e la melodia sembravano amalgamarsi per bene, quando Jack si fermò, si sfilò la tracolla della chitarra, la staccò dall’amplificatore e cominciò a mettere via la sua roba.
«Che cazzo stai facendo, Barakat?» gli urlai contro.
«Come cazzo credi che possa suonare questa roba?»
«Perché? Che c’è di male?» appoggiai a terra la mia chitarra e mi misi di fronte al mio migliore amico. Sembrava stesse per arrivare una litigata bell’e buona e se ne resero conto anche Merrick e Dawson, che balzarono in piedi pronti a separarci in caso fossimo arrivati alle maniere forti.
«Mia sorella è sparita, tu te ne stai fregando di brutto e pretendi che mi metta a suonare una canzone per quella tua cazzo di spogliarellista?»
«Siamo un gruppo, ho sempre scritto io le canzoni e tu le hai sempre suonate! Che differenza ti fa suonare questa? Hai fatto meno storie per ‘Noel’!»
Tasto dolente. Forse non avrei dovuto mettere nella stessa conversazione Iyah e Lisa. Jack mi si scaraventò contro, buttandomi a terra. Era strano vedere questo ragazzetto magro che cercava di farmi male tirandomi quei pugni deboli e fu semplice rovesciare la situazione. Ero come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Mi trovavo io sopra di lui e gli avrei rotto il naso se Zack non mi avesse fermato il braccio mentre ancora era in aria.
«Ragazzi, la volete smettere?» disse Rian, il più diplomatico tra di noi.
«Avete passato il limite, mettiamo via la roba e discutiamone» propose Zack.
Io e Jack continuavamo a guardarci storto mentre gli altri due si assicuravano non ricominciassimo. Ci sedemmo per terra, io e Jack negli angoli opposti della sala prove.
«Ok. Che succede?» mi chiese Dawson.
«E io che ne so?  Chiedilo a Barakat!»
«No, Alexander. Rian l’ha chiesto a te» intervenne Zachary.
Sbuffai.
«A me non succede niente. Ho conosciuto questa ragazza e ho scritto una canzone per lei che vorrei suonassimo al concerto, tutto qui. Non capisco perché Bassam faccia tante storie»
«Jack?» gli passò parola Rian.
«Sono sotto pressione. Sono preoccupato per mia sorella e non mi piace il fatto che lui non ci dia nemmeno una mano a cercarla ma pensi a quella sua spogliarellista. Alex, dopo quello che mi avevi detto, poi»
«Che ti aveva detto?» chiese Zack guardando prima me e poi Jack.
«Niente» sibilai lanciando una frecciata a Jack «è una faccenda vecchia, è cambiato tutto da allora»
«Alex, io non volevo che cambiasse. Io desideravo con tutto me stesso che tra di voi funzionasse»
«Ma di che state parlando?» chiese Robert curioso. Mi alzai di scatto, non volevo che Jack parlasse troppo e svelasse i miei vecchi sentimenti per Iyah.
«Vieni fuori, Barakat. Devo parlarti in privato»
Non ce la facevo più, stavo per scoppiare.
«Sicuri che non vi picchiate? Sennò mi tocca venire» urlò Zack mentre uscivamo.
 
***
 
‘Boom’
«Jack, tra me e tua sorella non c’è niente, non c’è mai stato. Lei se n’è andata con Tom, io esco con Maria. Non cambia niente cosa volevi tu o cosa volevo io fino ad un po’ di tempo fa. Ormai è tutto cambiato»
«Aiutami a riportarla a casa e io ti aiuterò a sistemare tutto»
«Non mi interessa sistemare tutto, non c’è più niente da sistemare, non la voglio più con me»
«Alex scusa ma non ci credo. Hai un sussulto ogni volta che si parla di lei, anche se non te ne rendi conto»
Guardai per terra alla ricerca di risposte.
«Ok Alex. Io ti voglio bene. Speravo solo tu tenessi abbastanza a me per darmi una mano»
«Bassam, per me sei come un fratello. È solo che fa male vedere tua sorella con Tom e ora che sto bene con Maria non voglio rovinare tutto pensando a lei. Non ti aiuto a cercarla semplicemente perché ho paura di vederla e di soffrire ancora»
«Capito…» Jack non sembrava convinto.
«Ma questo non vuol dire che non spero torni presto da te»
«Vabbè… Facciamo un patto» cominciò il mio amico «Io accetto di impegnarmi per suonare questa nuova canzone ma tu in cambio, se sono giù di morale per mia sorella, tu non mi abbandoni»
Gli strinsi la mano.
«Ci sto»

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Capitolo 17
*** Text [Chapter 17] ***


TEXT [CHAPTER 17]
 
L’atmosfera era migliorata e nei giorni seguenti le prove erano diventate momenti costruttivi e divertenti, nonostante si percepisse sempre la preoccupazione per la scomparsa di May.
Le mie giornate erano monotone, passavo dalla scuola alla sala prove al letto di Maria. Ma stavo bene. A pranzo i ragazzi chiamavano Iyah e io me ne stavo in disparte e facevo finta di fumare qualche sigaretta e non mangiavo. Mi faceva passare la fame pensare a Iyah in giro con Tom. Così tornavo da Maria. E stavo bene.
 
***
 
Mancava un giorno al concerto. Il primo concerto senza Iyah. Era sempre venuta, anche quella volta che aveva la febbre alta. Il primo concerto con Maria, la prima canzone per lei. L’ansia era tanta e si sentiva; eravamo tutti preoccupati per una cosa o per un’altra. Ma eravamo comunque sicuri che su quel palco avremmo spaccato i culi. L’unico incerto era Jack, preoccupato dal fatto di non poter dare il massimo senza sua sorella.
Finite le prove avevamo bisogno di distrarci un po’, di scaricare la tensione, così io e Jack siamo andati a mangiare qualcosa insieme – Rian aveva un impegno di Hachi e Zack voleva andare in palestra.
Seduti sul cofano della sua auto guardavamo per terra e ci passavamo la Coca-Cola e le patatine fritte, lanciandone qualcuna per colpire in testa i piccioni.
«Sai Jack» cominciai, osservando attentamente una formica che camminava su una delle patatine a terra «a volte mi sento piccolo e inutile come una formica»
«Ma se quella formica non esistesse, l’intera colonia ne risentirebbe. Puoi anche essere l’animale più piccolo della Terra ma la tua presenza qui potrebbe essere fondamentale. Ogni formica ha il proprio compito da svolgere, forse tu devi ancora trovare il tuo. O semplicemente sai già qual è ma non lo vuoi ancora accettare»
Non avevo idea di cosa volesse dire Jack, raramente traspariva questo suo lato profondo e quando succedeva, mi prendeva alla sprovvista.
«Mi presti il cellulare? Ho finito i soldi sul mio»
Glielo passai. Scrisse un messaggio velocemente e me lo ridiede. Guardai nella cartella dei messaggi inviati.
‘Iyah, ti prego. Torna a casa. Mi manchi’
«Cazzo Jack! Non hai firmato il messaggio! Ora penserà che l’abbia scritto io!»
«È proprio quello che voglio pensi» disse con un sorriso compiaciuto.
Lo spinsi giù dal cofano.

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Capitolo 18
*** Here she is [Chapter 18] ***


HERE SHE IS [CHAPTER 18]
 
Non sapevo cosa volesse fare Jack scrivendo a Iyah con il mio cellulare. Forse sperava che lei, leggendo che il mittente ero io, sarebbe tornata. Anche se non ne sapevo il motivo. Forse Jack sapeva qualcosa che io non sapevo. Ma non dovevo montarmi la testa, lei era felice con Tom e un messaggio di Alex Gaskarth non avrebbe cambiato le cose.
In ogni caso il giorno dopo non c’era a scuola e nessuno di noi sapeva se sarebbe arrivata per il concerto. Io, personalmente, speravo solo che la nuova canzone piacesse a Maria e che ci fosse qualche importante talent scout a sentirci.
Camminavo tranquillo per i corridoi quando, girato l’angolo, mi scontrai con qualcuno. Il libro che avevo in mano cadde a terra.
«Oooops…» disse Lisa, davanti a me e sempre con quel suo sorriso falso e colpevole. «Lascia che ti dia una mano, tesoro» disse chinandosi per riprendermi il libro.
«Lascia stare, Lisa. Posso farlo anche da solo» risposi serio, quando lei aveva ormai già raccolto il mio libro di biologia.
«Allora, Alex. Come stai? Ho sentito che la sorellina di Jack è sparita. Un peccato, non trovi?»
Non risposi, semplicemente cominciai a camminare. E Lisa mi seguì.
«Anzi, sinceramente non mi dispiace poi così tanto» continuò, visto che non riceveva nessuna risposta da parte mia. «Almeno ti ho tutto per me»
Mi fermai e la guardai male.
«Eddai, si vede che è cotta di te. Basta vedere come ti fissa ai concerti o qui a scuola. E io sono gelosa, speriamo non torni mai più dal suo viaggetto»
«Lisa, vattene» dissi scocciato. Ero stanco delle sue stronzate e delle sue bugie. ‘La Iyah cotta di me’ era un’altra di quelle. E non ne potevo più.
«Come vuoi, Gaskarth. Ma se ti senti solo e triste, il mio numero ce l’hai»
 
***
 
Finita scuola andai a casa. Salutai velocemente mio padre, corsi in camera a prendere la chitarra e mi diressi verso Johnny. Poi cambiai idea e tornai in camera, infilandomi sotto il letto e cercando il cd di Lisa. Lo afferrai e tornai giù.
Passai a prendere Jack per andare al locale, gli portai su il cd e, messo nel computer, ce lo guardammo.
«Amico, questa qui è proprio fuori di testa» mi disse il mio migliore amico.
Ci guardammo negli occhi e cominciammo a ridere: entrambi sapevamo cosa fare.
Jack mise il cd sull’asfalto, io accesi Johnny. Il rombo del suo motore e la vista del regalo di Lisa davanti a me mi mandavano in estasi. 3, 2, 1… Crack.
 
***
 
Io e Barakat arrivammo al locale ancora esaltati dal nostro gesto. Fortunatamente le cose con i ragazzi si erano definitivamente sistemate ed eravamo pronti a fare ciò che ci faceva sentire speciali.
«Ehi Alex» Maria mi arrivò alle spalle e sfoggiò quel suo meraviglioso sorriso. La baciai dolcemente. Poco dopo mi resi conto che Rian, Hachi – arrivata anche lei in quel momento – e Zack non la conoscevano ancora, così feci le presentazioni. Gli occhi di Zachary fissi sulle tette della mia ragazza non mi piacevano per niente: gli tirai un pugno sulla spalla muscolosa. Dolorante, il mio bassista si allontanò e andò ad accordarsi lo strumento. Rian, Jack e Hachi, invece, optarono per qualche drink e, finalmente, rimasi solo con la mia bellissima ragazza.
«Sai» cominciai «questa sera ci sarà una sorpresa»
«Cosa?» chiese lei eccitata, gli occhi illuminati la rendevano ancora più bella.
«Se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa»
Ci mettemmo a ridere. E proprio mentre io e Maria ci scambiavamo un altro tenero bacio, Jack arrivò urlando.
«Ragazziiii! Guardate chi è tornataaaaaa!»

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Capitolo 19
*** Dear Maria [Chapter 19] ***


DEAR MARIA [CHAPTER 19]
 
«Jack Bassam, mettimi giù!»
Iyah, appoggiata come un sacco sulla spalla di Jack, continuava a dimenarsi e ad urlare, ridendo contemporaneamente. Tom li seguiva e subito si mise a chiacchierare con Rian e Zack, a lato del palco. Anche Iyah salutò il bassista, che nel frattempo aveva già appoggiato il basso. A quanto pareva erano tutti felici del suo ritorno. Io avevo la nausea.
«Alex, hai visto chi c’è?» mi chiese Jack, tutto felice e con gli occhi lucidi. Io mi girai verso May.
«Ah. Ciao»
«C-ciao Alex» balbettò lei. Io feci l’indifferente e mi girai verso Maria, la quale si fece avanti verso la sorella di Jack.
«Ciao, piacere. Io sono Maria, la ragazza di Alex» disse sfoggiando ancora quel suo sorriso perfetto, anche se non all’altezza di quello di Rian. Né di quello di Iyah.
Iyah arrossì e rispose porgendole la mano. Sorrideva e manteneva la calma, ma si vedeva che qualcosa non andava. Non era mai stata brava a mentire. Io ero confuso, le parole di Lisa mi correvano in testa. E se avesse avuto ragione? Se Iyah fosse tornata perché Jack le aveva scritto con il mio telefono e lei avesse pensato che era un messaggio da parte mia? Ero sicuro di aver sentito un rumore di vetri infranti proveniente dagli occhi di May quando Maria si era presentata come mia fidanzata. Che stava succedendo? Mi sentivo in imbarazzo. Eppure non dovevo lasciarmi distrarre da queste cose. Il concerto stava per iniziare.
Iyah trascinò Tom verso il bancone del bar mentre noi salivamo sul palco. Era la prima volta che Iyah non era in prima fila a scattarci centinaia di fotografie. Al suo posto c’era Maria che, a differenza della sorella di Jack, non conosceva i testi delle nostre canzoni ma si limitava a guardarmi negli occhi e a sorridere.
«La prossima canzone» annunciai fiero al microfono, dopo aver cantato ‘Jasey Rae’ «è fresca fresca di sala prove. E parla di una ragazza meravigliosa, qui presente. Amore, tu vali più di quanto credi. Non fare stronzate. Questa canzone si chiama ‘Dear Maria count me in’»
Cominciai a cantare guardando negli occhi la mia ragazza. Lei sembrava shockata. Dopo il primo ritornello, infatti, cominciò a farsi strada tra la gente, spingendo chiunque le si trovasse davanti. La seguii con lo sguardo e la vidi scontrarsi con Iyah davanti alla porta d’uscita del locale. Non capivo cosa stesse succedendo e continuai a cantare, finchè non mi resi conto che la faccenda si faceva più seria. Tom si mise in mezzo tra le due ragazze e trascinò la sorella di Jack fuori dal locale.
Io mi sfilai la chitarra.
«Maria! Aspetta! Non andartene!» cominciai ad inseguirla, facendomi largo tra i fan confusi. Anche Jack e gli altri smisero di suonare, e Zachary non sembrava per niente felice di questo.
«Alex, sei un coglione! Se sparisce di nuovo, giuro che ti uccido!» mi urlò Jack – chiaramente riferendosi a sua sorella – seguendomi tra la folla verso l’uscita.
Iyah salì in macchina con Tom e partì, di nuovo. Ma non mi interessava.
Afferrai Maria per un braccio.

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Capitolo 20
*** Lullabies [Chapter 20] ***


LULLABIES [Chapter 20]
 
«Ma che cazzo ti è saltato in mente per sputtanarmi così, davanti a tutta quella gente?»
«Alex, mia sorella se n’è andata di nuovo!»
«Maria, lasciami spiegare»
«Gaskarth, dobbiamo trovarla prima che faccia qualche stronzata!»
«Stai zitto, Jack!» urlammo all’unisono io e Maria.
«Tesoro, non pensavo ti desse fastidio…»
«Eh si, infatti è il sogno di ogni ragazza trovarsi al verde e dover fare la spogliarellista per poter vivere!» mi interruppe lei. «Mi hai umiliata»
Rimasi zitto. Mi ero reso conto di aver sbagliato e mi sentivo in colpa.
«Addio Alexander»
Maria se ne andò, lasciandomi da solo con Jack che, disperato, si era messo a sedere per terra. Tirai un calcio ad una bottiglia di birra sul marciapiede, che andò a frantumarsi sul muro, a pochi centimetri da Bassam.
«Scusa, amico» sussurrai. Jack balzò in piedi.
«Amico? Senti, sai che significa tutto questo? Iyah se n’è andata di nuovo ed è tutta colpa tua!»
«Colpa mia? E perché dovrebbe essere colpa mia?»
Avevo paura di arrivare ad un’altra litigata con Jack. Non mi piaceva perdere il controllo con il mio migliore amico. Era l’unica persona in grado di capirmi eppure negli ultimi tempi sembrava fossimo nemici da sempre.
«Tu hai portato qui un’altra ragazza, tu hai rimpiazzato mia sorella!» Jack mi tirò uno spintone. Risposi allo stesso modo.
«Rimpiazzata? È lei che ha cominciato ad uscire con Tom! E come potrebbe essere un rimpiazzo se tra noi due non c’è niente?»
«Cazzo, Alex! Proprio non lo capisci? Lei è fottutamente innamorata di te!»
 
***
 
Ero seduto sul pavimento di camera mia, gli occhi fissi nel vuoto. Le parole di Jack mi avevano messo confusione, tanto che ero scappato senza rispondere al mio migliore amico. E mi trovavo lì, da solo, chiuso in camera, con un concerto alle spalle mandato a puttane, la fidanzata che mi aveva lasciato, Jack che ce l’aveva con me e sua sorella che, a quanto pareva, era innamorata di me.
Avevo bisogno di risposte, non potevo continuare a farmi domande. Era stancante, era distruttivo. Stavo impazzendo.
Mi distesi al centro della stanza e provai a chiamare Daniel con la forza del pensiero. Nessuna risposta, come sempre. Strisciai sotto il letto, andando a recuperare la foto che avevo nascosto. Aprii la pallina di carta e la distesi per bene davanti a me. Poi agguantai la chitarra. Sapevo cosa fare per sentirlo più vicino a me.
Era una canzone che avevo scritto poco dopo la sua morte.
Era una canzone di rabbia e di disperazione. O almeno così sembrava.
In verità era il mio modo, forse troppo brutale, di dirgli che mi mancava.
‘Make it a sweet, sweet goodbye. It could be for the last time and it’s not right’
Mi scese una prima lacrima ma non ci feci caso, tutto normale.
‘Don’t you realize you brought this family a world of pain’
Non volevo fermarmi, volevo riuscire a cantarla fino alla fine, volevo sentire che Dan era ancora con me e che poteva aiutarmi, che poteva dirmi cosa fare.
‘Sing me to sleep, I’ll see you in my dreams. Waiting to say I miss you, I’m so sorry. I’m sorry, I’m sorry’
Grazie Dan.
Mi squillò il cellulare.

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Capitolo 21
*** Blood, sweat and tears [Chapter 21] ***


BLOOD, SWEAT AND TEARS [Chapter 21]
 
«Alex, devo parlarti. È importante. Incontriamoci a Thames Street il prima possibile»
La voce di Jack dall’altra parte del telefono era spaventata e allo stesso tempo arrabbiata. Ormai conoscevo il mio amico, avevo capito che era successo qualcosa di grave che non riguardava il litigio tra me e lui di poco prima.
Erano le 5 di mattina, ero stato sveglio tutta la notte a suonare ‘Lullabies’, a guardare vecchie fotografie e a ripetermi le parole che Jack mi aveva detto fuori dal locale, dopo che Maria mi aveva lasciato. E poi quella telefonata che riguardava sicuramente qualcosa di terribile. Dovevo aiutare il mio migliore amico.
Scesi velocemente le scale, salii sul furgone e corsi verso Thames Street.
Jack arrivò prima di me e stava guardando i nomi sui campanelli di vari appartamenti. Quando mi vide urlò che l’aveva trovato.
«Jack, vuoi spiegarmi che succede?»
«Dobbiamo distruggere il bastardo»
Jack non era mai stato un ragazzo violento ma ora vedevo rabbia e dolore nei suoi occhi. Avevo paura.
«Ma chi?»
«Tom, cazzo!»
Sobbalzai. Cos’era successo? Dov’era Iyah? Avevo paura, temevo il peggio.
«Che è successo, Jack?»
«Mia sorella è tornata a casa a piedi poco fa. Era terrorizzata. Non so cosa sia successo di preciso ma tremava, i vestiti erano rovinati e continuava a dire parole senza senso. Devo sapere che le ha fatto, che è successo a mia sorella»
Potevo sentire la rabbia di Jack dentro di me. Nessuno aveva il diritto di fare del male ai miei amici.
Entrammo nel palazzo dove viveva Tom. Arrivati davanti al suo appartamento, Jack cominciò a battere sulla porta urlando a Tom di aprire, il quale non arrivò. Mi ero stancato di sprecare tempo, dissi al mio amico di spostarsi e, prendendo un po’ di rincorsa, mi scaraventai contro la porta, aprendola con un calcio. Tom era davanti a noi con lo stesso sorriso che indossava Lisa quando sapeva di aver fatto qualcosa di male e ne era compiaciuta.
«Tu! Che cosa hai fatto a mia sorella?»
Jack gli si scaraventò contro. A Tom bastò una gomitata per buttarlo a terra. Corsi verso il mio amico e lo aiutai a rialzarsi.
«E così Iyah non vi ha detto niente?» disse Tom ridendo.
«No, stronzo. Non riusciva nemmeno a parlare» Jack si tirò su velocemente, tenendosi una mano sul viso.
«Oh, che peccato. Mi dispiace. Ehi Alex» si rivolse a me, sempre con quel suo sorrisetto di merda «Te la ricordi Jasey?»
Sentii dei brividi.
«Chiamiamola vendetta. Ho dovuto stare accanto a mia sorella e vederla soffrire terribilmente per colpa tua» il suo sorriso era sparito «Ora tocca a te veder soffrire chi ami»
Lasciai il braccio di Jack e feci quello che lui non era riuscito a fare. Tirai un pugno in piena faccia a Tom, facendolo cadere a terra. Mi buttai sopra di lui, continuando a colpirlo, mentre lui si dimenava e a sua volta cercava di picchiarmi. Jack andò verso il computer di Tom, che stava caricando un video su internet. Annullò il caricamento, cancellò il video salvato sul computer e si mise in tasca il cellulare del fratello di Jasey, dove era contenuto il video. Quando si girò verso di me, mi vide ansimante sopra uno stronzo che ormai non aveva più forze per rispondermi.
Lasciammo l’appartamento.
 
***
 
Tornammo a casa di Jack, volevo assicurarmi che Iyah stesse meglio, anche se Jack riteneva fosse più opportuno non disturbarla. Restammo fuori dalla sua camera e dopo qualche minuto di silenzio passato a guardarci negli occhi, il mio amico mi porse il cellulare dell’ex fidanzato di sua sorella.
«Tienilo. Non voglio nemmeno vedere cos’ha fatto quella merda ad Iyah. Tu sei bravo a distruggere le cose, basta pensare a come hai ridotto il cd di Lisa e la faccia di Tom»
Sorridemmo. Ma eravamo entrambi preoccupati per May. Volevamo solo farci forza e superare questa cosa. Insieme.
«Vado a vedere se Iyah dorme…» mi disse Jack, sempre sorridendo. Sapevamo che ormai quella storia era finita, dovevamo solo aiutare May a dimenticarla.
Poco dopo uscì dalla stanza della sorella e lei lo seguì. Ci guardò entrambi, spaventata. Sentii un nodo allo stomaco; vederla in quello stato mi faceva schifo. Le guance rigate di nero per l’accoppiata lacrime-trucco, i vestiti stropicciati, lei che ancora tremava e ci guardava come se fossimo fantasmi.
«Insomma, mi volete spiegare che succede?»
Eravamo tutti e tre immobili, senza sapere cosa fare. Jack fu il primo a muoversi, mi salutò e se ne andò in camera sua. Prima di darmi le spalle ci guardammo negli occhi: con un semplice sguardo mi disse milioni di cose che io capii. Bassam aveva fatto la sua parte per aiutare me e sua sorella, ora toccava a me fare qualcosa.
Iyah scoppiò a piangere. Mi si strinse il cuore. Mi avvicinai a lei e la abbracciai, se stava così era colpa mia e mi sentivo uno schifo. Appoggiò la testa sul mio petto e potevo sentire il suo respiro interrotto dai singhiozzi.
«Mi dispiace, Iyah. È tutta colpa mia. Non ti meriti tutto questo»
La baciai sulla fronte, sapevo che per renderla felice non dovevo più far parte della sua vita. Dovevo andarmene per il suo bene. Mi diressi verso la porta d’ingresso, lasciandola sola davanti alla sua camera, i pugni ancora chiusi, nonostante non stringessero più la mia camicia. Scesi le scale e, mentre allungavo la mano per aprire la porta, sentii dei passi veloci dietro di me.
«Ti prego, Alex… Non andartene…»
Rimasi immobile, la ragazza che amavo – ormai sapevo di averla sempre amata, anche se non lo volevo ammettere – stava in piedi dietro di me e aspettava che io facessi qualcosa. Ma cosa potevo fare? Qualsiasi cosa facessi combinavo casini. Mi veniva da piangere, eppure non potevo farmi vedere da lei in lacrime. Non per orgoglio, semplicemente dovevo essere forte per poterla sostenere, dopo quello che aveva passato per colpa mia.
Mi girai verso di lei, guardandola negli occhi.
«Ma sei così stupida da non aver ancora capito che ti porto solo guai?»
Con tutto me stesso speravo che le lacrime resistessero ancora un po’ e non si trasformassero in fiumi. Iyah, lentamente ma decisa, si avvicinò a me e mi prese il viso tra le sue piccole mani morbide. Cosa stava facendo? Doveva starmi lontana, doveva dimenticarmi.
Buttai una rapida occhiata oltre May, su per le scale di casa sua. In cima, davanti alla porta della sua camera, c’era Jack che, silenziosamente, ci guardava. Intercettato il mio sguardo, mi sorrise. E, affianco a lui, vidi l’ombra di mio fratello Dan. Anche lui ci guardava, anche lui sorrideva, anche lui annuiva con la testa.
Cominciai a piangere, proprio mentre Iyah si metteva in punta di piedi per avvicinare le sue labbra alle mie. Mi baciò. E io sapevo che era tutto sbagliato. Eppure volevo stare lì per sempre.

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Capitolo 22
*** She needs me [Chapter 22] ***


SHE NEEDS ME  [Chapter 22]

Quella notte ho fatto un sogno stranissimo. Camminavo per i corridoi della scuola, circondato da gente sconosciuta che andava troppo veloce. O forse ero io che mi muovevo a rallentatore. Mi sentivo totalmente fuori posto, a disagio, chiedendomi che ci facessi in quel posto troppo caotico per me. La gente mi passava affianco e non sentivo altro che leggeri soffi di vento sulla mia pelle, i loro corpi erano indefiniti, circondati da un alone bianco, come se fossero fantasmi. Non c’era nessun rumore.
Improvvisamente sparirono tutti e sparirono pure i corridoi della scuola. Rimanevo solo, in una stanza totalmente buia, senza una minima luce. Provavo ad urlare, a chiamare qualcuno, ma non usciva nessun suono dalle mie labbra.
Poi sentii una fitta al cuore, mi accasciai per terra, mentre un urlo di una ragazza spezzava il silenzio ed entrava dolorosamente nella mia testa.
 
***

Aprii gli occhi, cercando di capire se era stato solo un sogno o no. Sapevo esattamente a chi apparteneva quella voce che era penetrata con violenza nella mia testa. Per tutto questo tempo ero stato sicuro di aver bisogno di aiuto per superare l’ultimo anno passato, ma allo stesso tempo non avevo mai accettato l’aiuto di nessuno. Mi ero chiuso in me stesso, avevo fatto i miei errori – troppi – e mi ero comportato da egoista. Non ero io quello che aveva bisogno di aiuto. Non lo ero mai stato. Iyah aveva bisogno di qualcuno che le stesse accanto, e ormai ero sicuro di dover essere io quel ‘Qualcuno’. L’avevo capito la sera prima, quando mi aveva baciato e ne ho avuto la certezza più assoluta quando ho visto Jack – suo fratello – e il fantasma di Dan – mio fratello – che ci guardavano dalla cima delle scale e sorridevano. Forse era giusto così, anche se la sera prima ne avevo dubitato.
Arrivato a scuola, l’unica cosa che volevo fare era dire tutto a May, confessarle ogni minima cosa: le dovevo più di una spiegazione. Ma non ero mai stato bravo con le parole, a meno che non ci fosse una melodia ad accompagnarle. Dovevo assolutamente scrivere una canzone, e più mi avvicinavo all’aula di economia, più questo bisogno cresceva.
Mi misi a sedere nei banchi in fondo e Jack mi raggiunse poco dopo con il fiatone.
«Ehi fratello, dov’eri finito?» gli chiesi quando mi si sedette affianco.
«Scusa Alex, ero dall’altra parte della scuola a difendere mia sorella»
‘Difenderla? Perché?’ Jack mi lesse nel pensiero.
«Sai, Zachary e Robert non sanno la storia di Tom… Le chiedevano dov’erano andati ieri sera e cose simili…»
La lezione iniziò ma io non riuscivo a far altro che pensare a tutto il tempo che avevo sprecato con Iyah. Avevo lasciato che le cose precipitassero e rischiassero di scomparire per sempre, piuttosto che comportarmi da vero uomo e dire, senza paura, la verità alla ragazza che amavo. E la verità era che avevo paura di perderla.
Cominciai a scrivere. Un foglio, due fogli. Frasi cancellate, frasi aggiunte, modificate, cancellate di nuovo. Un altro foglio accartocciato e lasciato cadere per terra. Jack mi guardava confuso e forse un po’ spaventato nel vedere come il mio braccio si muoveva senza sosta.
«Gaskarth!» un urlo di rimprovero, ancora.
«Alex!» Jack mi prese per la spalla e cominciò ad agitarmi. Aveva gli occhi sbarrati. Mi indicò il professor Ruocco con un rapido cenno di testa.
«Gaskarth, ti sto chiamando da un bel po’! Che stai facendo? Dammi quei fogli!» Ruocco cominciò a venirmi incontro, la mano tesa per prendere la mia nuova canzone, sparpagliata per il mio banco. Mi alzai di scatto.
«Non provi a toccare né me né la mia roba. Mi lasci in pace per una volta e non si intrometta, cazzo!»
 
***
 
E così ero ancora in biblioteca, in punizione. ‘Chissene frega’ pensai tra me e me. Almeno ora potevo continuare indisturbato la mia opera.
Avevo scritto qualche frase interessante, mi bastava riordinarle e creare qualcosa di stupendo. Ma sapevo che mancava ancora qualcosa. Dov’erano quelle parole che stavo cercando?
«Ehi, ciao Alex»
Una voce dietro di me interruppe i miei pensieri.
«Ehi, Iyah! Che ci fai qui?» Non mi aspettavo di vederla, non ero pronto psicologicamente, non volevo leggesse quello che stavo scrivendo. Non ora, non ora che non era ancora finita la canzone. Cercai di nascondere i fogli con molta nonchalance.
«Mah, niente di che. Davis. Tu invece?» mi rispose sorridendo.
«Niente, le solite cose, al professor Ruocco non piace che passi le sue lezioni a scrivere. Per di più mi perseguita da quando ho lasciato sua figlia, l’anno scorso»
Intanto avevo ancora il pensiero su quei fogli scarabocchiati e speravo non avesse letto quello che scrivevo.
«Non mi è mai piaciuta Lisa, sono felice tu l’abbia lasciata»
‘Iyah, lo so che non ti è mai piaciuta’
«Si, anche io» ero sincero. Forse per la prima volta in questi ultimi mesi.
Piccolo momento imbarazzante, pochi secondi di silenzio in cui lei mi guardava sorridendo e io tenevo la testa abbassata fissandomi le scarpe. Chissà, forse stava aspettando che dicessi qualcosa del bacio della sera prima, forse sperava ci sarebbe stato un altro bacio in quel momento. Ma non volevo parlarne e non volevo nemmeno baciarla. La mia mente era altrove. Stavo pensando alla canzone che dovevo scrivere; e dovevo finirla in tempo per il prossimo concerto degli All Time Low.
Ma lei tirò fuori l’argomento.
«Senti, Alex… Riguardo quello che è successo ieri sera tra noi due…»
La campanella mi salvò. Scattai in piedi, pronto ad andare alla prossima lezione – oppure a casa, dovevo ancora decidere se restare a scuola ne valeva la pena o no.
«Oh, che peccato Iyah. Devo scappare, ho una cosa importante da fare. Parleremo un altro giorno, te lo giuro»
Corsi via, lasciandola perplessa in biblioteca.

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Capitolo 23
*** Inspiration [Chapter 23] ***


INSPIRATION [CHAPTER 23]
 
Non sono tornato in classe. Me ne sono andato dritto a casa. Dopo quella breve conversazione con May, dopo essermi sentito imbarazzato davanti a lei, avevo capito che non stavo scrivendo le cose giuste nella mia canzone.
Avevo bisogno di concentrazione.
Nella fretta non salutai nemmeno Zack, che incontrai in un corridoio. Salii in macchina e sfrecciai per le strade di Baltimora.
Arrivato a casa corsi in camera guardandomi intorno, cercando ispirazioni. Presi al volo il primo cd che trovai sulla scrivania e lo infilai nello stereo: il primo EP degli All Time Low. Ero molto fiero del nostro lavoro e speravo di ritrovare lo stesso entusiasmo che avevo quando abbiamo inciso quelle canzoni; la prima a partire fu ‘The girl’s a straight up hustler’, ma non era decisamente il tipo di canzone che volevo scrivere per May. Passai alla traccia seguente: ‘Lullabies’. Per quanto mi avesse aiutato Daniel in quell’ultimo periodo, questa volta volevo lasciarlo fuori da questa storia. Eravamo solo io e Iyah, dovevo scrivere per lei, non per mio fratello. Terza traccia, ‘Noel’. Assolutamente no, lei era diversa da Lisa e soprattutto volevo cantare a squarciagola l’amore per lei, non volevo tenerlo nascosto. Spensi la radio, sapendo che da quel cd non avrei tratto alcun aiuto.
Cominciai a frugare nervosamente tra i cassetti  della scrivania, tra i libri sparsi per terra, sotto il letto, dentro l’armadio. Niente, non trovavo ciò che cercavo. In verità non sapevo nemmeno cosa stavo cercando, ma ero sicuro che, una volta trovato, avrei capito di cosa avevo bisogno. E finalmente, in un angolo remoto della mia stanza, la trovai.
Una fotografia. L’aveva scattata Jack mesi prima, in un momento di pausa durante il servizio fotografico degli All Time Low in mutante. Più la guardavo, più mi rendevo conto che era la fotografia più bella del mondo. Ritraeva me e Iyah impegnati in una conversazione, molto naturale, niente pose né finti sorrisi. Lei sorrideva guardandomi negli occhi, così perfetta nel suo modo di essere semplice. Io ricambiavo il sorriso e la guardavo imbarazzato, in piedi mezzo nudo davanti a lei.
Mi sedetti per terra, la fotografia davanti a me; la studiai per ore, osservando ogni minimo dettaglio. Poi presi le frasi scollegate che avevo scritto quel giorno a scuola e le buttai nel cestino per ricominciare da zero. Un nuovo foglio, nuove parole, tutte ispirate da quella fotografia, dal ricordo di tutti i momenti – belli e non – passati con lei.
Avevo perso troppo tempo, dovevo recuperare. La mia vigliaccheria mi aveva portato a rischiare il peggio, a temere di perderla per sempre.
Avevo paura se ne andasse.
 
***
 
Stavo scrivendo da circa mezz’ora – o forse era passato più tempo e non me n’ero reso conto – quando sentii suonare il campanello; andai ad aprire ed entrò Jack saltellante.
«Yo bro! Come stai?» disse fiondandosi dentro casa. «Che stai facendo? Sei sparito dopo che Ruocco ti ha spedito in punizione»
«Ah niente, sono tornato a casa, volevo fare un paio di cose. Anzi, potresti venire su ad aiutarmi?»
Ci dirigemmo in camera mia e intanto gli spiegai – e mi chiedevo se mi capisse, visto che le mie parole uscivano confuse dalla mia bocca e non riuscivo a creare un discorso sensato – cosa stavo facendo, perché volevo scrivere e tutto il resto. Gli feci leggere il lavoro che avevo fatto fino a quel momento e attesi con ansia un suo giudizio.
Seguii i suoi occhi scorrere avanti e indietro su quel foglio di carta che stringeva tra le mani e lo guardai mentre fissava la fotografia appoggiata per terra.
«Allora? Cosa ne dici?» gli chiesi impaziente appena lo vidi allungarmi il foglio.
«Mmm…» quel suo silenzio mi innervosiva e preoccupava «Ti piace davvero, eh?»
«Si, Jack. Credo di amarla come non ho mai amato nessuna»
Aspettai ancora una volta la risposta del mio migliore amico.
«E’ finita o ti manca qualcosa?»
«A dire il vero sento che manca ancora qualcosa, un bridge forse, ma non riesco a trovare le parole adatte per quel pezzo. È come se non toccasse a me scriverle, come se io avessi fatto la mia parte e avessi bisogno di ricevere una risposta, un impulso nella mia direzione, per capire se ne vale la pena»
Ancora una volta mi ritrovai a dire cose senza senso, cose che nemmeno io riuscivo a capire – e intanto speravo che Jack, invece, avesse capito perché non riuscivo ad ordinare gli elementi per riformulare il discorso in maniera meno contorta ed insensata.
All’improvviso Jack si alzò in piedi e, senza che me lo aspettassi, mi abbozzò un sorriso dicendomi «Non preoccuparti, ci penso io»
Sapevo che Bassam aveva qualcosa in mente ma al momento non volevo pensare male e speravo solo volesse davvero darmi una mano a finire quella canzone. Magari avevo bisogno di distrarmi un po’ e le parole mi sarebbero venute in mente quando meno me l’aspettassi. O magari faceva bene cambiare paroliere e forse Jack aveva qualche buona idea.
Mi promise che ci avrebbe lavorato e che mi avrebbe fatto avere il foglio il giorno dopo. Lo accompagnai alla porta e ci salutammo.
 
***
 
Un quarto d’ora dopo squillò il cellulare. Jack.
«Ehi Barakitty, già finito con la canzone?»
«No Alex, hai visto mia sorella?»
‘Iyah? Era sparita di nuovo? Ma che cazzo ha quella ragazza che non va?’
«No, perché?»
«E mia madre?»
«È sparita anche Joyce?»
«Non lo so, amico. Sono tornato a casa e non c’era nessuno. La stanza di mia sorella è un disastro e sul tavolo della cucina ho trovato un biglietto di mamma. Diceva che se n’era andata perché non è capace di aiutare i suoi figli, che io sono la persona più indicata per stare con May e stronzate varie»
Guardai fuori dalla finestra, ormai era buio. Jack era palesemente scosso. Ed io ero preoccupato per lui e tanto quanto lui.
«Ok Jack, ascoltami. Joyce è una donna adulta e sa pensare a se stessa. Prima o poi tornerà, è pur sempre vostra madre, nonostante i problemi che ha e tutto il resto. Per tua sorella… Hai provato a chiamare Hachi? E se fosse tornato Tom?»
«No, sei il primo che ho chiamato. Visto quello che è successo ieri sera tra voi due pensavo fosse venuta da te» sentii le farfalle nello stomaco pensando ancora a quel bacio.
Jack mi promise di farmi sapere se avesse avuto notizie e appena terminammo la chiamata, provai a chiamare Iyah – il cui cellulare, però, squillava a vuoto. Nemmeno la sua migliore amica rispondeva alle chiamate – solo dopo qualche minuto mi resi conto che Rian mi aveva detto che quella sera avrebbe passato la notte da lei.
Per fortuna mi arrivò un messaggio poco dopo.
‘Mi ha chiamato Zachary. È da lui. Vado a prenderla’

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Capitolo 24
*** Walls [Chapter 24] ***


WALLS [CHAPTER 24]
 
La mattina dopo mi svegliai rilassato – per fortuna avevo finalmente passato una notte tranquilla dopo mesi di incubi e sogni complicati. Scesi con calma a fare colazione e mentre mi bevevo la mia tazza di caffè, capii che quel giorno non sarei andato a scuola: sapevo di avere di meglio da fare, qualcosa di più interessante. Andai in camera a prendere lo zaino, per far credere a mio padre che non saltassi le lezioni, quando mi trovai davanti allo specchio mi passai velocemente la mano tra i capelli e infine afferrai al volo il portafoglio, che mi infilai nella tasca dei pantaloni. Salutai mio padre e uscii di casa, diretto verso il mio Johnny; misi in moto e partii in direzione opposta alla scuola. Con la radio a palla, tenevo il gomito appoggiato alla portiera, lasciandolo uscire dal finestrino aperto, mentre il vento primaverile entrava leggero nel mio furgone, inebriandomi con il profumo dei fiori sparsi qua e là per Baltimora.
Arrivato a destinazione parcheggiai Johnny e stetti in piedi davanti alla grande insegna del negozio: ‘Golden Dreams – Facciamo brillare i tuoi sogni’ diceva. Passai una mano sulla tasca dei pantaloni. ‘E prosciughiamo i risparmi di una vita’ aggiunsi sottovoce. Feci un respiro profondo ed entrai.
 
***
 
Quel pomeriggio mi trovai con i ragazzi. Ormai il ballo di fine anno si avvicinava ed era ora di cercare qualche bell’abito da indossare quella sera.
«Allora ragazzi» cominciò Rian, mentre davamo un’occhiata a ciò che offriva il negozio «voi chi ci portate al ballo?»
«Bah, una ragazza che ho conosciuto a New York un po’ di tempo fa» rispose Zack continuando a cercare i vestiti giusti e facendo finta che non gli importasse, credendo di riuscire a nascondersi mentre arrossiva.
«E voi due?» chiese infine Dawson rivolgendosi a me e Jack. Io e il mio migliore amico ci guardammo negli occhi velocemente. Barakat parlò per primo.
«Ragazzi, ancora non mi conoscete? A me non basta una ragazza, io voglio andare al ballo da solo per non avere palle al piede e ballare con tutte!» disse ridendo. Ma ora tutti e tre avevano gli occhi puntati su di me, che fino al giorno prima avevo detto di non voler andare al ballo e ora invece ero lì a cercare un vestito adatto.
Capii che non potevo più nascondermi, che era arrivato il momento di abbattere questi muri che mi ero costruito intorno. Di cosa dovevo avere paura? Assolutamente niente.
«Io… io credo che chiederò a May di venire al ballo con me»

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Capitolo 25
*** Hopeless [Chapter 25] ***


HOPELESS [Chapter 25]
 
La mattina seguente mi svegliò il mio cellulare che squillava. Feci un salto per lo spavento, cadendo giù dal letto, e con voce ancora assonnata e stordita, risposi.
«Pronto?»
«Alexander Gaskarth?»
«Ehm… Si…»
«Buongiorno, mi chiamo Louis Posen, sono il fondatore dell’etichetta discografica Hopeless Records»
A quel punto saltai in piedi, sorpreso e allo stesso tempo agitato, chiedendomi come Posen mi avesse trovato.
«Ho ricevuto una demo della sua band, gli All Time Low, e ci ho dato un ascolto. Sarei interessato a mandare un paio dei miei ragazzi a sentirvi live. Avete concerti in programma?»
Sul serio il fondatore della Hopeless era curioso di sentirci? Stavo per fare un infarto. All’improvviso mi resi conto che aspettava una risposta e per qualche secondo rimasi zitto, cercando di riprendermi e ricordarmi quando sarebbe stato il prossimo concerto.
«S-si… Domenica sera, all’All Star qui a Baltimora»
«Perfetto allora, ci saremo»
«Grazie mille per l’opportunità, signor Posen»
«Di niente, Alexander. Voi pensate a suonare bene»
Chiusi la chiamata. E cominciai ad urlare.
 
***
 
Saltai sul furgone e mi diressi verso casa Barakat. Con una mano guidavo mentre con l’altra scrivevo un messaggio ai miei amici; ero così elettrizzato, dovevo dare la notizia il prima possibile. Arrivai a destinazione e cominciai a suonare insistentemente il clacson per far capire ai fratelli che ero lì. I due uscirono di casa poco dopo e, saliti sul furgone, Jack mi passò un foglio.
«Ehi Alex, ho finito la canzone come mi avevi chiesto»
Cazzo! La canzone! Me n’ero già dimenticato! Presi il foglio velocemente, lo piegai e me lo misi in tasca, per poi sussurrare al mio migliore amico ‘Cazzo Jack, non voglio che tua sorella mi faccia domande su QUESTA canzone!’
Lui ridacchiò e accennò un semplice ‘Scusa’.
Arrivati a scuola abbiamo trovato Zack, Rian e Hachi che ci aspettavano, curiosi di conoscere le novità.
«Ehi, amico. Cosa c’è di tanto urgente? Qual è la novità di cui ci volevi parlare?» mi chiese Dawson.
«Ragazzi, tenetevi forti… Avete presente il concerto che abbiamo domenica?»
«E come facciamo a non averne presente? Suoniamo nel locale più importante della città!» rispose Zachary.
«Rian, rullo di tamburi, prego…» dissi al mio amico, che cominciò a tamburellare sulle coscie.
«Ci saranno dei Talent Scout che verranno qui dalla California solo per sentire noi!»
Io ero totalmente impazzito, non riuscivo a stare fermo, a differenza di tutti gli altri. Non capivo.
«Stai scherzando» disse Bassam, guardandomi male.
«Si, Alex. Non è divertente» continuarono all’unisono Merrick e Rian. Iyah e Hachi erano zitte.
«Cazzo, ragazzi! Non è uno scherzo! Quando mai scherzo su queste cose?»
Non sapevo che dire per convincerli che ero serio. Io ero sempre serio quando si trattava della nostra carriera. E a quel punto si resero conto che dicevo la verità.
Delirio totale.
Hachi cominciò ad urlare, saltando in braccio al suo fidanzato.
Jack abbracciò forte sua sorella, ripetendo «E’ tutto vero, finalmente è tutto vero!»
Guardai il mio amico bassista e gli stampai un bacio sulle labbra, mentre i ragazzi che entravano a scuola ci lanciavano strane occhiate – dopotutto eravamo sempre stati visti come quelli un po’ strani, concentrati sulla band, che non avevano paura di scambiarsi omo-effusioni per divertimento e che se ne fregavano di fare amicizia con altra gente.
Ma che me ne poteva importare di cosa pensavano quelli? Un giorno, forse non troppo lontano, sarei stato in giro per il mondo, con i miei migliori amici, la mia famiglia, a fare quello che più amavo. E quegli stronzi avrebbero dovuto pagare per far parte della folla ai nostri concerti. Era tutto perfetto, avevamo un futuro, ne ero certo.
 
***
 
Ma c’era ancora un dubbio che mi tormentava. Chi aveva mandato la nostra demo alla Hopeless? E perché? E se invece era stato tutto uno scherzo e le canzoni che aveva sentito Posen non erano le nostre?
Tutto quello che volevo era che il concerto di quella domenica andasse alla grande.

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Capitolo 26
*** Remembering Sunday [Chapter 26] ***


REMEMBERING SUNDAY [Chapter 26]

Domenica mattina. Ero già sveglio, lo ero dalla sera precedente. Troppa ansia per dormire, avevo passato la notte a pensare e ripensare alla setlist del concerto più importante della nostra carriera – almeno fino a quel momento. Ci immaginavo già sul palco, mi studiavo ogni mossa, ogni parola, ogni modo possibile per colpire il pubblico ma soprattutto quei talent. Dovevamo far vedere di essere diversi. Speciali, migliori.
Aprii l’armadio, tirai fuori i vestiti che avevo messo da parte la sera prima e lentamente cominciai a vestirmi. Fermo davanti allo specchio fissavo negli occhi la mia immagine riflessa, mi dicevo ‘Alex, non puoi mandare a puttane questa serata’. Raccolsi la mia roba, presi dal cassetto della biancheria una scatolina rossa che avevo nascosto pochi giorni prima e mi diressi verso Johnny; destinazione: casa Barakat.
I fratelli salirono sul furgone e partimmo alla volta del locale.
 
***
 
Molti amici e molti sconosciuti erano già lì ad aspettarci, insieme a Rian, Zack e Hachi. Facce sconosciute, gente che urlava. Vedevo tutto a rallentatore, noi che camminavamo in mezzo alla folla, mentre mi arrivavano pacche di incoraggiamento sulle spalle. Guardai i miei amici, la ragazza che amavo… Quanto era bella. Il cuore cominciò a battermi a mille. Era la mia serata. Mille emozioni mi invadevano, mi riempivano il cuore e la testa; mi sembrava di scoppiare. La tensione cominciava a farsi sentire: quella serata avrebbe dato più di una svolta alla mia vita. Lottavo per avere una possibilità nel mondo della musica e lottavo per conquistare la ragazza dei miei sogni.
Io e i ragazzi salimmo sul palco. 3, 2, 1… Che i giochi abbiano inizio.
«Ciao ragazzi! Noi siamo gli All Time Low e questa è ‘Six Feet Under The Stars’!»
Adrenalina. Tanta. Sentivo la passione pulsare nelle vene, mentre lasciavo che la musica suonata dai miei compagni mi accompagnasse in un mondo migliore. Viaggi mentali, amavo farli. Ma forse, quella sera, la realtà sarebbe stata ancora migliore della finzione, del sogno. Mi risvegliai, aprii gli occhi e quello che vidi era effettivamente meraviglioso. May era davanti a me e mi guardava negli occhi, sorridendo.
Distolsi lo sguardo dalla sorella di Jack e diedi un’occhiata a tutto il locale. Almeno 200 persone erano lì per noi e cantavano, saltavano, tenevano il ritmo con me, mentre le canzoni degli All Time Low scorrevano una dopo l’altra. Mi soffermai a guardare il tavolo dov’erano comodamente seduti i talent scout e scoccai loro uno sguardo di sfida e un sorrisetto che solitamente si addiceva a Noel, quello che diceva ‘So che siamo grandiosi, non potete resisterci’.
Era arrivato il momento di riprendere aria, così appoggiai la chitarra elettrica e Zack prese quella acustica. Tornai a cercare Iyah con lo sguardo ma era sparita. Dove cazzo era andata? Perché non era più lì a supportarmi? Cominciai a cantare, non potevo di certo fermare il concerto perché l’avevo persa di vista.
Ma poi arrivò il momento che più temevo. Dovevo cantare una nuova canzone, quella che avevo scritto pochi giorni prima, quella che avevo scritto per lei. Ma lei non era in prima fila a cantare, a ballare, a scattare fotografie, a darmi la forza di continuare con il suo solo sorriso.
«E’ arrivato il momento di suonare una nuova canzone, è la prima volta che la canto in pubblico. Spero vi piaccia. Si chiama ‘Remembering Sunday’»
Speravo solo potesse arrivare in tempo, avevo bisogno di guardarla negli occhi mentre la cantavo. Esitai ancora un attimo e poi partii.
‘He woke up from dreaming and put on his shoes / started making his way past 2 in the morning / he hasn't been sober for days’
Continuavo a cercarla, continuavo a chiedermi dove fosse finita. Avevo bisogno di lei.
La canzone andava avanti, i secondi scorrevano, i miei occhi correvano nervosamente da una persona all’altra, analizzando ogni ragazza trovassero nel pubblico. C’era troppa gente, riuscire a vederla era pressocchè impossibile.
Ritornello.
‘Forgive me, I'm trying to find / my calling, I'm calling at night / I don't mean to be a bother / but have you seen this girl?’
‘Dov’è la ragazza che amo? Se qualcuno l’ha vista, per favore me lo dica’ pensai. Avevo il suo viso stampato in testa, come se pensarci insistentemente l’avrebbe fatta comparire. Mi girai verso il mio batterista, che amoreggiava con Hachi a lato del palco. Jack non era lì con loro. Era con la sorella? ‘Ma che cazzo, Bassam! Dovevi rispettare il piano!’
Di nuovo il ritornello, si stava avvicinando il bridge. La canzone si avviava al termine e io rimpiangevo il fatto di non averla potuta cantare direttamente a lei. Volevo parlarle alla fine della canzone ma, non sapendo dove fosse, non avevo idea di come fare.
Jack ricomparve, ma senza May. Lo guardai, lui sorrise compiaciuto.
Chiusi gli occhi, mentre Merrick continuava a far vibrare le corde della chitarra. Il microfono stretto in mano tremava, sapevo di dover mettere il cuore in questa canzone, in questo ultimo pezzo.
Respiro profondo. Cominciai a cantare il bridge.
No, non lo feci. Una voce venuta da chissà dove stava cantando quel pezzo che dovevo fare io. Chi? Dove? Perché?
I presenti erano storditi quanto me, si guardavano intorno incuriositi, cercando la fonte di quella voce così dolce, meravigliosa, emozionante.
Un varco si aprì nella folla, proprio davanti a me. Un corridoio tra le persone lasciava lo spazio ad una ragazza di camminare verso il palco.
Iyah.
I’m not coming back / I’ve done something so terrible / I’m terrified to speak / but you’d expect that from me / I’m mixed up, I’ll be blunt now the rain is just / washing you out of my hair’
Lei aveva scritto quelle parole, non Jack. L’avevo capito subito, appena l’avevo vista venirmi incontro tra la folla. Il modo in cui cantava, il modo in cui mi guardava… Erano parole sincere, era quello che sentiva, erano le sue.
Scesi dal palco, il microfono sempre in mano. Volevo abbracciarla, baciarla, dirle che la amavo. Sapevo che quella canzone ci avrebbe uniti. E allora perché tremavo? Di cosa avevo paura?
‘And out of my mind / keeping an eye on the world / fro so many thousands of feet off the ground / I’m over you now / I’m at home in the clouds / towering over your head’
Finii la canzone.
‘I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home now / I guess I’ll go home’
Silenzio.
Silenzio dentro di noi, anche se tutt’attorno la gente urlava e applaudiva. Noi rimanemmo immobili, appena sotto il palco, guardandoci negli occhi. Parlai per primo.
«Iyah... Scusami per tutti i casini che ho combinato. Sono un coglione»
Ripensavo ai mesi passati. Pensavo a Tom, a Maria, a Lisa, alle mille fughe di Iyah. Pensavo che era tutta colpa mia. Pensavo che l’avevo tenuta lontana da me per troppo tempo, nonostante averla vicina fosse tutto quello che avevo sempre voluto.
Lei mi guardava con quegli occhi enormi e luminosi che tanto mi piacevano e le leggevo in faccia che non capiva cosa stesse succedendo. Ma non lo capivo nemmeno io. Sapevo solo che mi girava la testa, mentre facevo un cenno a Bassam di portarmi un mazzo di rose che avevo comprato nel pomeriggio. Eravamo sopra il palco, uno davanti all’altro, e gliele porsi. La guardai negli occhi mentre lentamente, imbarazzato ma fermamente convinto di quanto stavo facendo, mi inginocchiavo davanti a lei. Misi la mano nella tasca dei pantaloni e tirai fuori la scatolina di velluto rosso.
Iyah aveva gli occhi sbarrati. Avevo paura. ‘E se non provasse quello che provo io? E se mi rifiutasse?’ Avevo paura che stesse per svenire, quando io ero il primo ad avere la nausea e a sentire le ginocchia tremare.
Aprii la scatolina e trattenni il respiro. Tutti trattenevano il respiro con me.
La sorella del mio migliore amico vide l’anello e io scorsi i suoi occhi inumidirsi. Non volevo pensare al peggio.
«Iyah…»
Mi bloccai. Il cuore mi si era fermato. Ci riprovai, feci un respiro profondo.
«Iyah May Barakat: vuoi venire al ballo con me?»

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