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Lista capitoli: Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 – REGGENTI *** Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED *** Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 – NOVITA’ *** Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 – PARANOIE *** Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 – SALVATORE *** Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 – UDIENZE *** Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 - FAZIONI *** Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 – IRRETIRE *** Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 – ANIMALI *** Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED *** Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE *** Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 – CAPO *** Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA *** Capitolo 14: *** CAPITOLO 14 – IL TRATTATO *** Capitolo 15: *** CAPITOLO 15 – IL SICARIO *** Capitolo 16: *** CAPITOLO 16 – VERITA’ E BUGIE *** Capitolo 17: *** CAPITOLO 17 – MOTIVAZIONI *** Capitolo 18: *** CAPITOLO 18 – DESIDERI *** Capitolo 19: *** CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE *** Capitolo 20: *** CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS *** Capitolo 21: *** CAPITOLO 21 – AVVICINARSI *** Capitolo 22: *** CAPITOLO 22 – MORGAUSE *** Capitolo 23: *** CAPITOLO 23 – LEGAMI *** Capitolo 24: *** CAPITOLO 24 – I DUE RE *** Capitolo 25: *** CAPITOLO 25 – GRAALDALIS *** Capitolo 26: *** CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON ***
Discosto
dietro le tende che lo dividevano dal salone della tavola rotonda, Mordred
osservava quell’assembramento di cavalieri perplessi quanto lui.
Dopo
giorni dalla scomparsa del grande re, c’erano ancora alcuni cavalieri che lo
accusavano di averlo fatto sparire, insieme al suo braccio destro Lancillotto
del lago.
Per
questo non aveva ancora osato richiedere per sé quel trono che, in fondo, gli
spettava di diritto.
Alcuni
cavalieri avevano proposto a Gawain, suo fratello, di
prenderlo quel trono, ma questi, troppo onesto, aveva
sorvolato dicendo che lui avrebbe aspettato il ritorno di Artù e Lancillotto
per sempre. Anzi, era stato il primo a organizzare le ricerche.
Altri
dicevano che era stato lo scomparso Merlino a portare via
Lancillotto e il re, prima che si uccidessero a vicenda per Ginevra.
Ed ora eccola lì, la loro svampita regina ad organizzare
quel raduno dei cavalieri della tavola rotonda.
Mordred
aveva il vago sentore che fosse stata sua zia Morgana a spingerla a quelle
azioni dato che, dalla scomparsa di Artù, le due non
si erano separate un attimo.
Sembravano
trovare conforto l’una nell’altra.
Stupendo
tutti, la regina avanzò fino alla tavola e impose il silenzio con un gesto
delle mani.
Morgana
le era al fianco, ed entrambe indossavano splendidi abiti di broccato così da
dimostrare a tutti il loro alto rango.
«Prego,
sedetevi cavalieri» impose la voce della fata, vedendoli tentennare.
Morgana
si voltò anche verso di lui, come scoprendolo anche dal suo nascondiglio:
«Tutti» sottolineò.
Mordred
si sistemò la spada al fianco prima di entrare nella sala, ed
avanzò impettito.
Come
previsto, si levò un brusio di commenti al suo passaggio. Commenti di qualunque
tipo. Ora sembrava che tutti lo notassero, quando prima nessuno lo faceva.
Sedette
al suo posto, sopportando l’occhiata corrucciata di Kay e il cenno di saluto di
Bedivere. Ne fu stupito.
Morgana squadrò i cavalieri uno ad uno e, in vece di Ginevra, ne ottenne di nuovo il
silenzio. «La regina vuole parlarvi. Ascoltatela» ordinò. La stessa voce autoritaria del fratello.
Ginevra
chinò graziosamente il capo per ringraziarla, e quindi si fece coraggio: «Voi
sapete che mio marito, il grande re, è scomparso da quasi un mese insieme a
Lancillotto»
«Le prove non sono mai state verificate!»
ribatté il cugino di Lancillotto, Lionel, sporgendosi in avanti.
«Si, perché il re è scomparso» ribatté Agravain
cupo.
«Insieme a mio cugino!»
«Guarda
caso però questa scomparsa favorisce voi delle Orcadi!» urlò serBors, sdegnato.
«Come osate?!Gawain non sta forse cercando ora il re?!»
gridò Gaheris, sbattendo un pugno sul tavolo.
Mordred
vide il bicchiere davanti a lui sobbalzare. Che scenetta divertente; era curioso
di vedere come sarebbe andata a finire. Cosa aveva in
mente di fare sua zia.
Ginevra s’intromise: «So bene che non vi fidate più di me, come
regina, a causa di questa…» deglutì: «Diceria. Quindi, dopo che avremo
preso una decisione, ho deciso che io e la mia dama Morgana, ci ritireremo in
un luogo santo, in pace»
Un’altra
ondata commenti si sollevò a quelle parole. Ma il più dei commenti fu positivo e la bionda regina ne fu
sollevata.
Sbirciò
Morgana e questa le sorrise dolcemente. Il più era fatto.
«Ma
prima di andarmene, dovremo decidere a chi lasciare le redini del regno mentre
manca il grande re»
Stavolta
i commenti dei cavalieri eruppero come un boato. Tutti protestavano,
proponevano e litigavano.
Ginevra
non riuscì in alcun modo a riportare la calma fin quando serBedivere non si alzò e sbatté il pugno sul tavolo,
tanto forte che molti temettero per la tavola rotonda.
«Silenzio!!» tuonò, e
quando lo ebbe ottenuto, cercò lo sguardo smeraldino di Kay. Il siniscalco si
strinse nelle spalle, muto. Appariva rassegnato da quando il sovrano se n’era
andato.
Bedivere stirò la bocca in un’espressione seccata, poi
tornò a parlare: «Parliamoci chiaro. Tutti voi sapete
che il grande re aveva in realtà posto alcuni di noi su piani più elevati di
altri. Lancillotto, il suo primo cavaliere, era il secondo dopo di lui»
«Ma Lancillotto è
sparito con lui» aggiunse Kay, come irritato.
Bedivere proseguì: «Poi Gawain,
suo cugino»
«Gawain rifiuta il
trono» ricordò Gareth, con cortesia.
Bedivere annuì: «Quindi ci sono solo i parenti di sangue
del re» e nel dire quelle parole, guardò Mordred.
Stupefatto,
il bastardo di Camelot si
trovò a fissare il connestabile a bocca aperta. Da quando Bedivere
teneva per lui?
Gli
epiteti che si levarono dalla sala furono i soliti. Bastardo! Incesto!
Abominio…
Gli
volevano tutti un gran bene insomma.
Bedivere emise qualcosa simile a un ruggito, ma fu Kay a
saltare in piedi come un grillo: «So bene che non vi fidate di Mordred» urlò
sugli altri: «Non mi fiderei neppure io, ma l’unica cosa che vuole è il trono, ed ora è libero. Diamoglielo e vediamo come si comporta! E
se sbaglia, possiamo sempre scannarlo e sceglierne un altro!»
La
tirata di Kay azzittì tutti. Il siniscalco si risedette con un gesto brusco,
come infastidito da tutte quelle inutili discussioni. «Artù non c’è più… Allora
tanto vale che vada tutto come vuole…» sbottò sconsolato, girando il viso.
Bedivere gli posò una mano su una spalla, aggiungendo: «Mordred è figlio di Artù… In qualche modo. Magari è meglio
di quel che sembra» concluse poco convinto.
Mordred
sbatté le palpebre.
Figlio
di Artù.
Alla
fine qualcuno aveva osato dirlo ad alta voce. Anche se la parte dello scannarlo
non gli era piaciuta molto, era il meglio che avesse
mai ottenuto in quei suoi venticinque anni di vita. Poteva festeggiare.
I
cavalieri parlottarono un po’ tra loro, soppesando Mordred con occhiate torve.
In fin dei conti nessuno conosceva bene quel principe. L’avevano evitato tutti.
Beh,
potevano sempre provare… O scannarlo.
Solo
i galli non erano per niente convinti.
Bors scattò in piedi: «Lancillotto
era la nostra guida, ed è scomparso con Artù! Noi non ci fideremo di un
cavaliere come Mordred» protestò, quasi sputando il
suo nome.
Sempre
gentile il caro Bors, pensò Mordred fingendo
indifferenza.
«E se aveste una garanzia?»
Fu
zia Morgana a intervenire a suo favore, con quelle parole.
Bors guardò la fata come avesse davanti una
mostruosa strega.
«Che garanzia?» interrogò Lionel.
«Uno di voi sarà il secondo reggente della Bretagna unita. I
due re sceglieranno ogni cosa insieme, prima di proporla alla tavola rotonda»
Stupefatti
i cavalieri si guardarono. «Due re? E chi sarà il
secondo con Mordred?»
Morgana
alzò un braccio e allungò un affusolato dito verso il seggio vuoto tra loro.
Il
seggio periglioso.
«Galahad» ci fu un
brusio di approvazione e accenni di assenso.
Mordred
rischiò di strozzarsi con il brindisi che stava facendo.
Mordred
decise che doveva dire due paroline a sua zia che,
prima lo illudeva di far diventare re e poi gli affibbiava quella piattola di
Galahad alle calcagna.
Che
cosa aveva avuto in mente quando aveva ordito tutto
quel piano? Perché era chiaramente un’idea sua (o forse di sua madre?). Ma lacosa più
sconvolgente era: come aveva convinto anche Bedivere e Kay?
Misteri
delle donne decretò tagliando corto, mentre entrava
negli appartamenti riservati alla gente delle Orcadi.
I
suoi fratelli lo accolsero con grandi abbracci e pacche sulle spalle. Il vino
girava a fiumi e tutti stavano festeggiando.
Principe
Mordred lo chiamarono. Roba da ridere.
«Finalmente
ce l’hai fatta!» esclamò Gaheris felice.
Gareth
lo abbracciò fiero: «Re Mordred!»
Davanti
agli occhi gentili del fratellino, Mordred provò quasi una lieve emozione.
Sapeva
che tra tutti solo Gareth era sempre sincero.
«Chissà che dirà Gawain di questo…» rispose
pensieroso.
«Che deve dire? Sarà
felice!» ribatté Agravain, cingendogli le spalle.
Mordred
si sciolse da lui e andò a sedersi su uno scranno. Non era così certo che il
fratello maggiore avrebbe accolto bene quella notizia, ponderò cupo.
Agravain
e i gemelli lo scrutarono, dubbiosi. Non capivano come mai il giovane non
stesse festeggiando e invece, se ne stesse lì cupo.
«Insomma! Non startene lì a quel modo! Dovresti festeggiare!» sbottò Agravain, piantandosi le mani sui fianchi.
All’occhiata
annoiata di Mordred, il fratello lo afferrò per un braccio ed
affermò: «E’ tempo che tu prenda possesso dei tuoi diritti (mentre i cavalieri
te lo permettono). Non puoi stare qui con noi»
«Cosa intendi?»
«Sei il re, no? Ebbene hai delle stanze solo per te, ora!»
Mordred
impallidì. Parlava delle stanze di Artù? Avrebbe dovuto
andare a dormire negli appartamenti del padre?
Non
era sicuro che la cosa gli piacesse molto. Era il contatto più ravvicinato cheavesse mai avuto con
lui, col sommo re, in tutta la sua esistenza.
Beh
salvo non si tenesse buona anche quella volta quando il padre aveva tentato di
affogarlo (ma forse quella era meglio non calcolarla).
Agravain
si piazzò davanti a lui e studiò le diverse emozioni che scorrevano sul volto
del fratello. Per chiunque altro Mordred sarebbe apparso assolutamente apatico,
ma lui ormai lo conosceva da anni, e lo sapeva leggere come fosse un libro
aperto.
E infatti lo fraintese.
«Non preoccuparti, nessuno
oserà protestare se ti scorteremo tutti noi! E poi quelle stanze ti aspettano
di diritto!»
E
siccome Agravain non era uno che si perdeva in ciance, afferrò Mordred e se lo
trascinò dietro per tutto il castello, con una scorta decisamente
poco regale, fino agli appartamenti del monarca.
Trovarono
ser Kay e alcuni valletti intenti a riassettare le stanze.
Il
siniscalco accolse i principi con una smorfia depressa: «Non avete perso tempo»
Agravain
si guardò attorno con aria soddisfatta e superiore: «Neanche
voi, bravi. Mio fratello, il re, si trasferirà qui già da stasera»
Mordred
si guardò attorno. La stanza era magnifica, con un’ampia finestra da cui si
poteva ammirare tutti i tetti di Camelot. Tutto era
grande e lussuoso, come lo stesso letto di Artù. Un magnifico
baldacchino a due piazze, con coperte di piuma d’oca e lana.
Incrociando
lo sguardo ostile del siniscalco, Mordred si ricordò che adesso era lui il re:
«Grazie per il tuo lavoro, siniscalco» disse con quanta dignità aveva: «Adesso
potete andare»
I
valletti s’inchinarono e si affrettarono ad obbedire.
Tutti tranne che Kay hir e i fratelli delle Orcadi.
Mordred
li squadrò con un’occhiata dura: «Tutti!»
Sorpresi
i parenti si guardarono tra loro: «Non intenderai
anche noi?» parlò Agravain, che si era già messo a curiosare per la stanza.
Mordred
fece una cosa che non faceva da anni. Sorrise.
Il
sorriso pericoloso di un serpente: «Non vorrai dormire
con me vero Agravain? E’ una cosa che non facciamo da anni. O hai ancora paura
del buio?» sibilò.
Il
volto del fratello divenne paonazzo. Si gettò il mantello su una spalla, ed indignato si rivolse agli altri: «Andiamocene! C’è chi si
è montato la testa e ha dimenticato da dove viene»
Mordred
li lasciò andare via, senza voltarsi, poi mormorò: «Affatto… Vengo dal mare e
dalla torba»
«Ed è bene che lo ricordi sempre»
Voltandosi
come un felino, Mordred vide che ser Kay era rimasto a fissarlo dalla porta.
I
due si squadrarono sospettosi.
Le
parole che aggiunse il rosso Kay, furono come una
pugnalata al cuore: «Non sarai mai Artù»
Il
moro serrò i denti tanto dafarsi male alle gengive. «E non pretendo
di esserlo. Io sono Mordred»
Il
siniscalco lo guardò ancora, in silenzio, con i suoi occhi verdi profondi come
quelli di un gatto: «Ti farò portare le tue cose qui» poi chinò il capo:
«Buonanotte»
Mordred
lo imitò, e restato solo, si voltò a guardare fuori dalla finestra la notte che
scendeva sulla bella città creata dal re.
I
fuochi si accendevano sulle merlature di guardia, e nella
belle case di pietra e legno. Lungo le strade pulite e nelle locande animate.
La
bandiera del grande drago sventolava ancora sulle alte torri nonostante il
sommo re non ci fosse più.
E
Mordred si chiese da quanto tempo avesse il coraggio di pronunciare fieramente
il suo nome.
Grosse
gocce di pioggia avevano preso a cadere trasversalmente contro le mura del
castello e sulla città addormentata di Camelot.
Era in quella notte fredda e tormentata dal vento proveniente dell’oceano del
nord, che giunsero alle porte della città un gruppetto sparuto di cavalieri.
«Chi è là?» interrogò la guardia al cancello,
scrutando nel buio.
«Non
riconosci più gli amici, serLucan?»
Eruppe
il primo degli sconosciuti, mostrando lo scudo con la stella a cinque punte al
custode d’accesso delle porte di Camelot.
«SerGawain?» chiese la guardia cercando di distinguere anche
gli altri scudi, nel buio appena rischiarato dalla
torce.
Il
principe ereditario delle Orcadi alzò la celata, sfilandosi poi l’elmo dalla
testa.
I suoi capelli fulvi brillarono alla luce.
«Apri
Lucan o vuoi farci arrugginire qui sotto questa
pioggia?»
SerLucan obbedì subito,
ordinando alle guardie sui cancelli di aprire la strada per il castello, poi si
sporse verso Gawain.
«Ci sono novità?»
Sconsolato
il principe scosse la testa, e fu Lucan a parlare
prendendogli le redini del cavallo: «Qui invece ce ne sono molte»
Gli
occhi di Gawain brillarono speranzosi: «Artù?»
«No, ma comunque
grosse novità. Andate, andate subito. SerBedivere o i vostri fratelli
vi riferiranno tutto»
Perplesso
Gawain annuì mentre l’altro si inchinava.
Alzò una mano e fece cenno alla sua torma di rimettersi in marcia.
Spronando
i cavalli al trotto si avviarono lungo la strada pavimentata che conduceva al
castello.
***
Gawain si tirò via
dal viso i capelli bagnati con un gesto della mano libera dai guanti. Porse il
mantello fradicio a un valletto e subito chiese di vedere serBedivere.
«Lo
facciamo subito chiamare» rispose un paggio, correndo via.
Il
gruppetto di cavalieri attese in una delle sale del castello, assiepandosi
attorno al allegro fuoco che scoppiettava nel grande
camino istoriato.
Tutti
erano stanchi e infreddoliti, ma più di tutto erano delusi.
Di
Artù e Lancillotto non avevano trovato alcuna notizia malgrado
le loro ispezioni in tutti i paesi vicini. Nessuno aveva visto nulla del re e
del suo miglior cavaliere. E Gawain cominciava a
pensare che fossero davvero tornati ad Avalon, dato che anche Excalibur era sparita con loro.
“E nessun usurpatore avrebbe fatto sparire Artù senza ripresentarsi
con Excalibur in mano. La spada simbolo del potere del
re…” pensò, poggiandosi al camino.
Era
talmente immerso nei suoi ragionamenti che non udì il ragazzo che gli si era
avvicinato, fin quando non lo sentì starnutire. Sorrise.
«Anche
se dormi un po’ non cadrà il mondo, ragazzo mio. Va
pure a letto. Verrò io stesso a riferirti le novità, domani mattina»
Il
giovane cavaliere davanti a lui tentennò incerto, poi comprese che le parole
del cavaliere delle Orcadi erano dettate dal buon senso e annuì.
«Con il vostro permesso, andrò allora a
riposare qualche ora, signore»
Gawain gli batté una mano sulla spalla: «Vai con la mia
benedizione e non con il mio consenso, amico mio»
Il
ragazzino chinò il capo biondo e se ne andò seguendo un donzello.
Il
cavaliere della stella per un attimo desiderò che anche i suoi fratelli fossero
così saggi, ubbidienti e ottimi cavalieri come quella figuretta candida che si
allontanava. Ma forse anche quel merito aspettava al
miglior cavaliere del regno, Lancillotto, e a suo figlio.
***
Il
cavaliere dallo scudo bianco rossocrociato raccolse la sua bisaccia e seguì il
paggio che compostamente gli indicava la strada con una lanterna.
«Prego,
per di qua mio signore» mormorò il donzello, facendogli
strada nei labirintici corridoi di Camelot. «Sarete
stanco per le lunghe ricerche»
Galahad annuì distrattamente. Si,
era tanto che cercava suo padre.
Da
quando era nato.
Eppure
questi gli sfuggiva sempre, come avesse paura di
confrontarsi con lui. Di specchiarsi nel suo viso. Nel suo nome. Lo stesso.
Eppure
molti dicevano che si somigliavano. Perché avere paura di sé
stessi?
«Ecco
le vostre stanze, mio signore, spero che vi troverete bene»
Galahad si guardò attorno, perplesso. Col suo pensare non
aveva badato al paggio (una vera scortesia!), e alla strada che avevano
percorso.
Si
guardò attorno un attimo, poi chiese: «Perdonatemi, ma
queste non erano le mie vecchie stanze prima di partire»
Il
paggetto sorrise: «No infatti, signore. Queste sono le
vostre nuove, mio signore» e s’inchinò ancora e
ancora.
Galahad aveva imparato, al convento, a non pensare mai male
di nessuno, ma quel bambinetto doveva essere un po’ bizzarro.
Incerto
si guardò attorno ancora una volta poi ripetè: «Siete
certo vero?»
Il
donzello annuì vigorosamente sorridendo come un ebete, e indicò di nuovo la
porta: «Prego»
Il
diciassettenne si strinse nelle spalle. Forse la cosa era più semplice di quel
che credeva. Forse era arrivato qualche nuovo ospite di rango e il siniscalco
aveva dovuto cambiargli di camera tutto lì.
«E’
stato ser Kay ad ordinarlo?»
s’informò.
Il
paggio assentì vigorosamente: «Ovviamente, mio signore»
Ecco
risolto, si disse. E poi era talmente stanco che un letto valeva l’altro.
Galahad trovò la stanza buia e fredda e provò una fitta al cuore per ser Kay. Da quando era a giunto a corte non gli era mai successo di entrare in una stanza per gli ospiti non scaldata. Il siniscalco di Camelot non dimenticava mai i suoi doveri e ordinava sempre ai paggi di scaldare le stanze. Doveva essere veramente sconvolto dalla sparizione del re per scordare una cosa così importante.
Sapeva che ser Kay era il fratellastro di Artù e che erano molto legati fin dalla infanzia. Gli dispiaceva per lui. E gli dispiaceva per se stesso perché persino due fratellastri erano più legati di lui e suo padre.
Ma non doveva pensare questo, era da irriconoscenti. In fin dei conti suo padre non gli aveva fatto mancare nulla, salvo la sua presenza.
Sospirando posò la bisaccia in un angolo e avanzò a tentoni nella stanza.
Grazie a Dio qualcuno aveva lasciato aperti gli scuri di legno delle finestre, così vedeva una vaga forma degli oggetti, nel buio della stanza.
Il letto a baldacchino era un cubo nero, riconoscibilissimo.
Stando attendo a che non ci fossero oggetti per terra, arrivò fino al letto e vi ci si lasciò sedere sopra.
Il letto si piegò morbidamente sotto al suo peso. Sorrise a quella morbidezza. Forse non aveva poi perso molto nel cambio di stanza, anzi!
Soddisfatto prese a togliersi l’armatura, posando a terra i pezzi, con attenzione.
Che sciocco era stato. Avrebbe potuto chiedere al paggio di aiutarlo a spogliarsi e ad accendere il fuoco. E magari preparargli un bagno caldo. Si sentiva il freddo anche nelle ossa.
Ripensando al donzello bizzarro però, decise che era meglio così. Scostò le coperte e si stese nel letto, sospirando di sollievo.
Chiuse gli occhi e stava per addormentarsi quando si rese conto di una cosa.
Scattò seduto, ricordando che non aveva affatto recitato le preghiere quel giorno.
Uscendo di nuovo dal letto, s’inginocchiò a terra e, cingendo le mani, ringraziò Dio per quella giornata. Chiese la benedizione per tutte le persone che conosceva (in particolare per il donzello con qualche problema) e pregò che suo padre e Artù stessero bene. Quindi si rialzò, tornò a letto, tirò la tenda per ripararsi dal freddo, e piombò nel sonno dei giusti.
***
Il chiarore del sole che si levava fuori dalle finestre della stanza del re, riscosse Mordred dal suo sonno. Lentamente mosse il capo, scoprendo che aveva il collo bloccato per via della posizione scomoda in cui aveva dormito. Aprendo la bocca gli sfuggì un gemito: “Accidenti. Mai dormire su una sedia” pensò: “Per quanto questa appaia comoda”
Sgranchendosi le braccia e la schiena, si diede dell’idiota. Aveva fissato talmente tanto il letto del re, per finire ad addormentarsi su una sedia, davanti ad esso. Era stato ben sciocco ma, il pensiero di dormire nel letto di suo padre lo turbava (anche se non l’avrebbe mai ammesso con nessuno).
E se avesse sentito del suo odore? Come se poi conoscesse bene l’odore di suo padre… Non l’aveva mai neppure abbracciato!
Anche adesso poi, gli sembrava di vedere i suoi capelli biondi spuntare dalle coperte.
No, no, era proprio meglio non pensarci. Avrebbe fatto cambiare il letto appena possibile. Lui era il re, no? Aveva il diritto di farlo.
Alla luce del nuovo giorno, si decise a dare un’occhiata in giro. Alzandosi dalla seria dall’alto schienale, si avvicinò ad un angolo della stanza dove era riposta una cassapanca e una bisaccia.
Per la Dea, non credeva che suo padre, il re insomma, fosse così disordinato.
Ignorando la sacca, aprì la cassapanca e sbirciò all’interno. Abiti di varie fogge gli apparvero nei loro colori sgargianti. Tendenzialmente tutti sul rosso e oro come lo stendardo del drago.
Davvero suo padre era così esibizionista da indossare quegli abiti? Glieli aveva mai visti addosso almeno?
“Ah si, questo forse si” ne riconobbe un paio, sforzando la memoria.
Certo è che lui non li avrebbe mai indossati. Ora che era re, si sarebbe fatto fare degli abiti diversi da quelli di Artù. Più sobri ed eleganti e…
Un pensiero lo bloccò.
No aspetta, forse era quello che si aspettavano i cavalieri. Che spendesse e sperperasse e allora… ZACK! Scannato.
No grazie, si disse. Niente abiti nuovi. Preferiva mantenere la sua pellaccia integra. Insomma, era sopravvissuto al mare e non voleva certo morire ora per un velo di seta preziosa.
Richiuse il baule, sedendosi per terra con uno sbuffo. Avrebbe almeno potuto osare fare qualcosa o l’avrebbero scannato in ogni caso? O forse… Forse era proprio un modo per liberarsi di lui. I cavalieri gli davano il trono anche se non l’aveva chiesto e, con quella scusa, se lo toglievano di mezzo.
Bella idea aveva avuto sua zia! Ed ecco spiegato l’aiuto di Kay e Bedivere. E persino quella piattola di Galahad!
Morto lui, avrebbero passato il trono ai celti.
Ah no, se lo credevano così sciocco da caderci si sbagliavano di grosso.
Forse non aveva preso nulla da Artù ma, aveva preso l’astuzia da sua madre. Non si sarebbe lasciato fregare così facilmente, decretò.
Poi però gemette ripensando ai suoi fratelli. Non poteva fidarsi neppure di loro, come poteva pensare di farcela?
Agravain aveva già cercato di comandarlo a bacchetta per sfruttare la sua posizione. Gli unici erano Gareth e Gawain di cui fidarsi. Sempre che fosse riuscito a tirare nella sua fazione anche il fratello maggiore. Con lui al suo fianco, molti cavalieri lo avrebbero aiutato.
“Gawain si” decise come prima mossa, rialzandosi in piedi.
Si guardò attorno, chiedendosi come il re potesse chiamare i valletti per la vestizione quando la porta si spalancò di colpo.
Dei cavalieri irruppero nella camera.
In una frazione di secondo Mordred pensò che era già finita; che adesso l’avrebbero ucciso, e arretrò portando istintivamente la mano alla spada.
Stupido! L’aveva lasciata sul tavolo, troppo lontano dalla sua mano.
Voltò il capo per cercarla con lo sguardo quando, un ragazzino in mutandoni sbucò in suo aiuto.
Saltò fuori misteriosamente dal letto e, afferrata la spada che aveva lasciato a terra, la tese verso gli aggressori, urlando: «Chi va là? Che volete?»
Mordred lo fissò incredulo.
Il suo difensore in mutandoni, sbucato dal letto del padre, era Galahad!
Tutta la scena di per sé sarebbe stata comica se non per il fatto che tutti avevano impugnato grandi spadoni dal
taglio affilato.
Galahad minacciava Kay e Gawain, con a
seguito i fratelli, poi Bedivere, Percival e i cugini Bors e Lionel.
Li minacciava per difendere un incredulo e disarmato Mordred, presente
nella stanza insieme a lui.
Tutti si guardarono spaesati, poi Galahad abbassò lentamente l’arma:
«Che fate qui?» ripetè piano.
E scoppiò il finimondo.
«Che fai tu qui?» chiesero
Percival e Bors, poi lo fece anche Mordred, Gawain e Bedivere che li scrutava ad uno ad uno.
Kay non riuscì a trattenere una risata: «Sono stato
io!» esclamò, e alla faccia sconvolta degli altri decretò: «Avete voluto che
loro due fossero i nostri due re, ebbene queste sono le stanze regali, ed è qui
che devono dormire» poi sbuffò: «Non pretenderete che organizzi, in una notte,
delle altre camere per un re? Non sono Merlino!»
Tutti dovettero assentire che era un impresa
decisamente difficile, e nessuno osò protestare di più con la lingua velenosa
di un Kay persino di cattivo umore.
Bors guardò il cugino, in mutande e torso nudo e, rosso in volto,
sbottò: «Ma non pretenderete che da ora in poi dorma
con… Quello!» e indicò Mordred.
Il moro non poté trattenersi dal fargli un sorriso perverso.
Si ricambiava volentieri il suo odio.
«E dove vuoi farlo dormire? Nelle stanze
della regina forse?» ribatté Kay hir infastidito.
Bors divenne ancora più paonazzo: «Perché non torna nelle sue stanze,
lui?»
«Perché non ci torni tu?»
sibilò Mordred.
«Lui è il re! E starà qui!» lo difese
Agravain, per proteggere anche i suoi nuovi privilegi: «E se tuo cugino è così
santo, può anche tornare lui, con umiltà, nelle vostre stanze!»
«Anche lui è il re!» sbraitò
Percival, in difesa di Galahad, mentre il figlio di Lancillotto taceva, senza
capirci una parola. «E quindi resterà!»
«Io sarei il re?» li interruppe Galahad, perplesso.
Alla spiegazione di ser Kay di quel che era stato deciso dalla tavola
rotonda, posò la spada e si passò una mano sul viso stravolto. «Io… Il re? Ma io non voglio essere
re»
«Perfetto.
Lascia pure il posto solo a me» sorrise Mordred divertito.
I due si guardarono e il moro si sentì vagamente in colpa.
In fondo Galahad era corso in suo aiuto prima…
Ma no, al diavolo, era corso in aiuto di se stesso e basta.
Continuò a sorridere.
Fu Gawain a interromperli: «No. Se la tavola
ha decretato due reggenti, due re, voi due lo sarete
nell’attesa del ritorno di Artù. E così è deciso»
La voce decisa del principe mise silenzio nella stanza. Tutti erano
d’accordo.
Mordred cercò di leggere la delusione sul volto del fratello ma,
sembrava esserci solo sollievo.
Incrociando i suoi occhi, Gawain puntò un dito verso di lui: «Forse questa è la tua occasione per dimostrare quanto vali,
Mordred. Datti da fare, sono curioso di vedere cosa saprete fare voi due insieme» e girando i tacchi se ne andò, seguito dai
fratelli.
Solo i francesi rimasero nella stanza.
«E per quanto riguarda gli appartamenti regali?» insisté Percival.
Kay hir si strinse nelle spalle: «Sono grandi
abbastanza per una truppa. E nel letto ci si sta anche in tre quindi, si
possono arrangiare!»
«Ma…»
«Mettiamola così, se si
ammazzano qui almeno ci evitano il problema di
vederli» ghignò seguendo Gawain.
«Vi mando i valletti» aggiunse dopo, ricordandosi del suo lavoro.
Bedivere roteò gli occhi al cielo e spinse via i celti. «Uscite tutti ora, i reggenti devono vestirsi»
***
Mordred decretò che Galahad aveva dei piedi invadenti. Invadenti e decisamente troppo delicati per un cavaliere.
Per tutto il tempo che avevano atteso che i servitori preparassero un
bagno e gli abiti per il loro primo giorno da re, il ragazzino se n’era stato
seduto sul letto agitando i piedi freddi, nel tentativo di scaldarseli.
Li aveva prima mossi, dondolandoli davanti alle coperte, poi aveva
agitato le dita per ravvivare la circolazione sanguigna. Mordred tuttavia
dubitò che ne avesse. Era talmente pallido che sembrava più un fantasma che un
ragazzo. O meglio, pallido non era la definizione esatta. Galahad era candido,
decretò Mordred rispondendo con qualche banalità alle sue domande cortesi.
Poi aveva preso a sfregarsi i piedi tra loro e infine contro i
polpacci esili.
Indossava ancora solo i mutandoni con cui era giunto cavallerescamente
in suo soccorso, e sembrava non provare nessun imbarazzo nel mostrare il torace
glabro e incredibilmente armonioso.
Solo una piccola croce di legno gli faceva bella mostra sui muscoli
scolpiti da un qualche antico artista.
Anche quel dettaglio risuonò sbagliato a Mordred.
I paggi gli prepararono abiti bianchi e rossi. Lui ne chiese neri e
blu.
Ignorando i valletti, lui prediligeva il silenzio mentre Galahad non
faceva che interrogarli sui loro nomi e sulle loro famiglie.
No, decisamente non c’era nulla in Galahad
con cui potesse trovare un punto d’accordo. Proprio nulla.
«…Pensate che siano in
pericolo?»
«Penso che il re sia semplicemente scappato da tutta questa noia»
sbottò Mordred, voltandogli le spalle, scrutando fuori dalla finestra, Camelot che si animava.
Come dargli torto.
«Ma le
responsabilità…?»
«Appunto»
Galahad tacque, chinando il capo, pensieroso. Agitò i piedi come un
bambino sull’altalena. «Ed Excalibur?»
Mordred fece uno di quei suoi sorrisi che apparivano più un ghigno
storto che altro: «L’avrà portata con sé pur di non rischiare di lasciarla
nelle mani del suo bastardo»
Colpito da quelle parole acide, Galahad lo fissò a occhi sgranati; poi
chinò di nuovo il capo.
«Quindi faremo da reggenti insieme…» Nessuna
reazione.
«E dovremo prendere tutte le decisioni insieme…»
«Così pare»
Titubante il biondo aggiunse: «Avete già idea di cosa fare come re?»
«Si,
ucciderti» sussurrò sottovoce Mordred.
Bastava un po’ di veleno nel vino. Sempre ammesso che lui ne bevesse,
meditò, giocherellando con il bordo del tappeto sotto i suoi piedi.
«Come, scusa? Non ho capito»
insisté Galahad, agitando quei suoi maledetti piedi.
«PER LA DEA! CHE VUOI CHE NE SAPPIA IO?! Nessuno mi ha mai insegnato ad
essere altro che un bastardo!» sbraitò Mordred, dando un calcio al tappeto su
cui stava camminando, sparendo poi nella sala da bagno, sbattendo la porta
dietro di sé.
Galahad sussultò, raddrizzando la schiena. Che aveva fatto, per farlo
irritare così,si
chiese; e non trovando spiegazione, si strinse nelle spalle.
Temeva che i cavalieri della tavola rotonda sbagliassero su loro due.
Come potevano essere buoni regnanti insieme, prendere decisioni
insieme, se non riusciva neppure a intavolare un discorso con Mordred?
Depresso sfregò di nuovo i piedi nudi, poi li allungò sul pavimento di
fredda pietra.
Una calda sensazione di tepore gli scaldò la pelle. Colto alla
sprovvista, scoprì che il tappeto che Mordred aveva calciato via prima, era
andato a scivolare proprio davanti a lui.
Camelot aveva le sue consuetudini anche senza la presenza di re Artù,
e le consuetudini andavano sempre rispettate. Se la domenica era il giorno
dedicato agli eventi straordinari, il giovedì era il giorno dedicato alla
giustizia. Era quindi tradizione che il re prestasse udienza per risolvere le
diatribe del suo popolo.
Il siniscalco si era trovato a doversi inventare così, una nuova
disposizione della sala delle accoglienze in poche ore.
Non un trono ma due seggioloni di elegante broccato rosso, pronti ad
accogliere i due reggenti del regno.
Ser Bedivere controllò che i cavalieri della tavola rotonda sedessero
ordinatamente nei cori lignei posti ai lati della stanza, prima di far accedere
il popolino nella grande sala delle accoglienze. Soltanto quando i sudditi del
regno si stiparono nella sala, restandone in piedi, al centro, furono
annunciati i due nuovi reggenti.
Ser Galahad avanzò, con dignità, fino ad andare a sedersi in una delle
due sedie poste sulla cattedra sul fondo del salone.
I cavalieri applaudirono compostamente al suo ingresso.
Quando entrò Mordred, Galahad iniziò a capire cosa intendesse l’altro
quando diceva che per tutti era soltanto un bastardo.
Nessuno parlò. Nessuno fiatò.
I passi sicuri di Mordred risuonarono sotto il peso dei tacchi dei
suoi alti stivali neri, mentre saliva il gradino di legno.
Lo sguardo di tutti i cavalieri non si staccò da Mordred fin quando
wuesti non si sedette.
Sembrava che la stessa stanza trattenesse il fiato mentre le sue dita
sfioravano la stoffa del trono
“Una bella sfilata” pensò Mordred, trattenendo a stento una risata.
Non gli avevano dato un vero trono ma, era già qualcosa.
E non gli avevano dato una corona ma, era bello veder splendere la
collana col sigillo d’oro del drago sulla sua elegante tunica nera.
Scrutando con uno sguardo annoiato la sala, sedette sul trono accanto
all’altro.
Il drago era un bel simbolo ma la sua aquila bicipite delle Orcadi
sarebbe stata davvero bene.
Galahad, seduto alla sua sinistra, gli fece un timido sorriso mentre
ser Kay apriva la seduta di giustizia annunciando le novità riguardo alla
reggenza.
Notizie che nessuno doveva conoscere ma, che in realtà erano dilagate
a macchia d’olio per tutto il regno. Il popolo lì radunato era venuto anche
solo per averne la conferma.
Il siniscalco chiese il silenzio, alzando le mani sopra la sua chioma
rosso fuoco, infine lesse l’ordine del giorno: «Dichiaro aperta l’udienza. La
prima causa del giorno è quella di Will l’allevatore contro Jacob riguardo alla
sparizione di un pollo»
La bocca di Mordred ebbe un lieve tic nervoso. Caso davvero degno
dell’attenzione regale quello!
E tutti i casi seguenti furono più o meno sullo stesso livello.
Il principe delle Orcadi sprofondò nello schienale, lasciandosi
immergere nei suoi pensieri.
Il prode ragazzino tanto faceva anche la sua parte, addirittura
sporgendosi dalla sedia per ascoltare meglio le parole biascicate degli
analfabeti del regno.
Mordred si guardò la punta delle dita. Forse l’idea di un secondo re
non era poi così male. Specialmente se poteva lasciare quei compiti
assolutamente noiosi e inutili alla piattola che aveva alle calcagna. Intanto
lui avrebbe trovato come divertirsi.
Doveva ancora chiedere conferma a Gawain ma dopo le parole del
mattino, credeva di avere ormai il suo appoggio.
Sfruttando i buoni rapporti del fratello con i barbari, avrebbe
ottenuto anche il sostegnodei vichinghi
di re Galeotto.
Storse la bocca. Sempre che quel mezzo gigante non gli creasse qualche
problema per via del suo amore svergognato per Lancillotto.
Sbirciò il profilo deciso del ragazzo seduto accanto a lui. I suoi
capelli biondi scarmigliati.
Anche in quel frangente Galahad avrebbe potuto aiutarlo (Galeotto
avrebbe voluto il figlio al posto del padre?).
I galli sarebbero sempre stati da tenere sotto controllo ma quel compito
poteva affidarlo ai fratelli.
Mancavano le genti di Tristano e Ivano, oltre che gli altri cavalieri
stranieri.
“Ma quelli probabilmente seguiranno la massa come tanti tonni nella
rete” pensò sarcastico.
Tutto stava a muovere con astuzia i pezzi di cui disponeva.
Sbirciò Galahad.
Valutare quali sacrificare e quali muovere alla conquista.
«…Che ne pensate, ser Mordred?»
il biondo interruppe i suoi pensieri.
Mantenendo il più assoluto distacco, il figlio di Morgause imitò uno
dei cenni di noncuranza più eleganti e regali che aveva visto fare a sua madre.
«Sono d’accordo»
Galahad annuì e diede la sentenza, facendo felice altre persone della
fila interminabile che si era formata quel giorno.
Avvertì i cavalieri della tavola rotonda assentire compiaciuti.
Il ragazzino faceva proseliti. Ma a lui non importava. Gli interessava
solo che quella interminabile tortura di vacche e galline finisse.
La luce che filtrava dalle finestre istoriate dietro di loro, iniziava
già a calare mentre Kay annunciava un’altra causa.
«Bull il pescivendolo contro
John, per il caso di un carro di pesce»
Stavolta Mordred non riuscì ad evitare di emettere un sospiro. Gli
toccava un’altra ora di deliri dialettali e strepiti.
Il mercante di pesce parlò per primo mentre il moro poggiava il mento
su una mano (Che la Dea
lo salvasse!), scrutando la sala.
Il pescivendolo lamentava che il carro che aveva portato in città
dalla costa fosse suo, mentre John ripeteva che gli era stato rubato durante il
suo viaggio verso la città dalle terre del nord.
Con la pazienza di un santo (questo doveva dargliene atto), Galahad
ascoltò e riascoltò la versione di entrambi, ignorando le urla dei familiari e
del popolo che parteggiavano per una o per l’altra causa.
Si erano trovati solo un paio di testimoni, ed entrambi dichiaravano
il contrario.
Un locandiere diceva di aver accolto John lungo la strada, col
carretto; un altro, che abitava più vicino alla città, dichiarava che aveva
invece visto Bull.
Le guardie del connestabile aveva indagato ma senza riuscire a trovare
una prova evidente per dimostrare chi dei due mentisse.
Dopo aver a lungo ponderato Galahad aveva citato un qualche Salomone,
o roba simile, ordinando che il carico di pesce venisse venduto e la cifra
divisa in parti uguali per entrambi.
Non era la verità ma era una buona via di mezzo. E il popolo sembrava
aver accolto con riconoscenza anche quella decisione.
Il ragazzino si era rivolto però ancora a lui prima di dare il suo
parere finale.
«Siete d’accordo, ser Mordred?»
Aveva ripetuto quella frase ad ogni dannata discussione e all’altro
iniziava a fare sui nervi.
Raddrizzandosi sul seggiolone interruppe il suo mutismo: «Avete preso
del buon pesce mastro Bull?»
«Certo! Il miglior merluzzo del
mondo!» rise l’uomo lisciandosi la barba curatissima: «Come tutti i miei
clienti sanno» ammise, pavoneggiandosi in una bella tunica rossa.
«Allora l’avrete sicuramente pescato vicino alla scogliera» aggiunse
Mordred, con un improvvisa curiosità che stupì tutti: «E’ lì che si pesca il
miglior merluzzo»
«Ovviamente» gongolò Bull, soddisfatto di poter far conoscere la
qualità dei prodotti del suo negozio.
Il sorriso di Mordred divenne viscido: «Ovviamente» scimmiottò, poi si
voltò a guardare Galahad: «Da’ il carico a mastro John. Quel pesce è suo»
Un brusio diffuso si levò dalla folla mentre il mercante protestava:
«Non è vero! E’ un ingiustizia!»
Mordred gli lanciò un’occhiata velenosa: «E metti in carcere quello,
ragazzino. E’ un ladro»
«No!Non è vero! si ostinò Bull
mentre John e la famiglia ringraziavano compostamente.
«Certo che è vero! Potete avere
la conferma da uno qualsiasi dei pescatori della britannia. I merluzzi, mastro
Bull, non si pescano certo vicino alla costa. A meno che non siano cozze come
vuoi» ironizzò Mordred, facendo ridere mezza sala. Molti popolani applaudirono
mentre l’uomo veniva arrestato dalle guardie di ser Bedivere.
Indignato Bull esplose in invettive: «Che tu sia maledetto! Bastardo
di una strega! Bastardo!» ringhiò, agitandosi tra le braccia delle guardie.
«Come osate!?» gridò Galahad
scattando in piedi e mettendo mano alla spada.
Nella sala piombò il silenzio.
Mordred lo bloccò con un braccio: «Fermo» disse.
Allo sguardo perplesso dell’altro reggente, il moro esibì uno di quei
suoi ghigni storti: «Non c’è bisogno di sporcarsi le mani… Non esiste forse una
legge che punisce il vilipendio verso un sovrano o un suo rappresentante?»
Il mercante ammutolì davanti a quel sorriso da aspide.
La pena di cui parlava erano le frustate a sangue o la morte.
Mordred lo blandì: «Che c’è? Non lo ricordate? Non parlate più? Vi è
caduta la lingua? Meglio che ammettiate di essere solo un ladro, caro mastro
Bull»
Muto, nel respiro trattenuto della sala,l’uomo annuì: «Sono stato io a rubare il
carro» mormorò appena.
Bedivere fece cenno alle guardie di portarlo via, poi lanciò uno
sguardo a Mordred e infine a Kay che gli si era avvicinato.
Il siniscalco affermò: « La seduta è chiusa! I reggenti sono lieti di
avervi ricevuti.Chiunque voglia
mettersi in lista per la prossima udienza dovrà lasciare il suo nominativo fin
da ora ai paggi fuori dalle porte della cittadella»
Mordred non ascoltò oltre.
Non vedeva l’ora di fuggire da quella sala. Non parlò con nessun
cavaliere, né si fermò davanti allo sguardo brillante di Galahad.
Davvero voleva solo uscire da lì.
Kay hir tuttavia riuscì ad intercettarlo: «Venuto dal mare e dalla
torba è?» gli ripetè, senza fermarlo: «A volte serve anche quello» scherzò.
Appena i due reggenti lasciarono la sala, i cavalieri si alzarono,
radunandosi in capannelli divisi per etnie.
I francesi in special modo si raccolsero attorno al principe Bors,
figlio di re Bors de Gaunnes e di suo fratello Lionel.
L’alto e biondo cavaliere alzò il mento in un’espressione sospettosa.
«Non mi piace quel che ho visto oggi. Galahad è troppo buono. Addirittura
proteggere quel… Figlio di una strega!»
«Rischiare così il suo onore
per lui!» aggiunse Percival indignato.
Gli altri francesi annuirono: «Si rovinerà!»
«Sempre che quello non lo
uccida prima» insinuò Bors sottovoce, facendo tremare tutti. Un nugolo di
reazioni spaventate si levò mentre lui proseguiva: «Certo, perché una volta
eliminato Galahad, avrà il trono tutto per lui!»
«Potrebbe avvelenarlo» «O soffocarlo nel sonno» esclamarono i
francesi.
“O violentarlo” pensò Bors, trasognato.
«Dobbiamo difenderlo noi perché lui è troppo puro anche solo per
accorgersi del pericolo» esclamò ser Lionel dal cuore coraggioso.
«Sono d’accordo. D’ora in poi dovremo controllare tutti gli
spostamenti di Galahad. Per poter proteggerlo»
«Per proteggerlo… Ovviamente» i galli annuirono.
***
Galahad non aveva mai avuto due guardie alla porta della propria
camera da letto, e gli fece un po’ impressione avere un soldato ad augurargli
la buona notte.
Non sapeva ancora se gli piaceva essere re. Quel pomeriggio, durante
l’udienza, ne era stato fiero ma, forse aveva peccato di superbia. E come
Mordred aveva portato la vera giustizia e non un semplice contentino, come
avrebbe fatto lui.
Il Signore aveva voluto affiancargli Mordred per un buon motivo, dopo
tutto.
E lui doveva cogliere l’occasione per migliorarsi, si disse.
Stava ancora pensando ai fatti del pomeriggio quando, entrando nella
camera da letto, si trovò Mordred al centro della stanza. Galahad ne fu ancora
più impressionato.
Il principe se ne stava alla finestra, mentre dei paggi preparavano la
camera per la notte.
Doveva aver appena finito di fare il bagno perché i lunghi capelli
neri gli gocciolavano ancora sul collo nudo. Sulla pelle lievemente olivastra
del torace, lasciato scoperto da una lunga tunica blu e viola cangiante che gli
fungeva da mantello. Come fossero le ali di un bellissimo pavone.
Il figlio di Artù si voltò a guardarlo. Il torace per metà lasciato
scoperto dalla tunica spiccava tonico e glabro contro il vellutato tessuto
scuro.
Galahad scese con lo sguardo lungo l’apertura che si stringeva giù
fino al suo ventre, trattenendo il fiato.
«Ragazzino, hai avuto il
coraggio di tornare?» ridacchiò Mordred, versandosi del vino da una brocca
posta sul tavolo davanti alla finestra. La tunica era legata solo in vita e
Galahad la vide aprirsi mentre si chinava.
Dovette faticare a distaccare lo sguardo dal suo corpo.
Non aveva provato una sensazione simile.
«Siete bello» gli uscì di bocca inconsciamente.
«Come prego?»
«Avete freddo?»
Mordred piegò il capo di lato, perplesso. Guardò i valletti:
«Attizzate il fuoco. Il vostro reggente ha freddo» disse con noncuranza: «Poi
potete andare»
Subito i paggi si affrettarono nelle ultime commissioni. Attizzarono
il fuoco e preparano il letto e gli abiti per la notte, infine sparirono.
Il francese raccolse la sua camicia da notte, e si cambiò, riflettendo
sulle emozioni che provava.
Fingendo disinteresse Mordred sorseggiò il suo vino, sbirciando il
corpo dell’altro da sopra il bordo del calice.
Era sodo e niveo come aveva già visto quando era giunto in suo
soccorso.
«Solo che è sodo ovunque…» borbottò nel bicchiere.
Galahad si voltò: «Come avete detto? Non ho capito…»
«Nulla» ribatté Mordred lasciandosi cadere pesantemente su una sedia.
Il biondo inarcò un sopracciglio: «Non state bevendo troppo, ser
Mordred?» alzando la camicia da notte, andò a sedersi sul letto.
«Non ho bisogno di una balia, ragazzino. Buttati sul letto e taci»
In silenzio Galahad obbedì, infilandosi sotto le coperte.
Dopo un attimo di titubanza però, chiese: «E voi non venite ser
Mordred?»
Lo sguardo blu del principe lo fulminò. «Non capisco, il letto è tanto
grande, perché non volete dormire qui? Pensate che vi darò fastidio?» chiese
Galahad innocentemente: «Se sono io, posso andarmene…»
«Te ne andresti davvero se te
lo chiedessi?» insinuò Mordred, con gli occhi stretti come due fessure.
Davvero era tanto sciocco da perdere il privilegio di dormire nella
camera del re, solo per un paio di sue paroline?
«Certo. Dovete solo dirmi la verità» rispose Galahad.
Il principe volse il capo evitando il suo sguardo abbattuto. Aveva lo
sguardo triste come quello di un cane lasciato solo dal padrone. Con quei suoi
lucenti occhi azzurri…
Mordred si alzò, sbatté il calice sul tavolo e s’arrampicò sul letto.
«Lo farò cambiare questo maledetto letto!» sibilò.
L’altro sorrise vedendolo infilarsi sotto le coperte.
Mordred posò il capo sul cuscino, terrorizzato di sentire l’afrore di
suo padre.
Quello che l’accolse fu un aroma delicato come di fiori candidi. Gigli
e rose, unito a un che di più secco e gentile. Incenso. L’aroma mistico di un
santo. L’aroma di Galahad.
Sospirando beatamente, si lasciò avvolgere da quel contatto.
«Visto? Non era poi così
scomodo» dichiarò il biondo, sorridendo gentilmente. Si volse al bordo del
letto e spense le candele, poi chiuse le tende, ributtandosi sotto le coperte.
Il letto divenne un nido avvolto dal buio, dove esistevano solo loro
due.
Bedivere si lasciò cadere
stancamente sulla panca delle cucine.
La chioma scarlatta di Kay era china su un bicchiere di vino caldo. Le
mani avvolte attorno al calice.
Si era seduto rasente a lui malgrado le
cucine del castello a quell’ora fossero ormai vuote. Anche gli sguatteri erano
andati a letto.
Loro due erano gli unici occupanti di quel lungo tavolaccio di legno.
«Odio i giovedì» borbottò Bedivere, osservando l’unica candela rimasta
accesa nella stanza, posta davanti a loro. La fiamma ondeggiava a causa degli
spifferi.
Faceva ancora freddo ma, il contatto con la coscia di Kay era in grado
di scaldarlo abbastanza da fargli scordare il clima.
«Io odio anche gli altri
giorni» brontolò Kay: «Tutti pretendono che sia tutto perfetto – Come sempre a Camelot – senza chiedersi quanto lavoro ci sia dietro a
quella perfezione» sbatté il calice di peltro sul tavolo: «Il nostro lavoro!»
Bedivere annuì, come un vecchio cane fedele
che capisse il padrone ancora prima che parlasse.
«Avrei continuato a fare questa faticaccia per Artù ma, perché dovrei
farla per Mordred!?» sbottò Kay, drizzandosi sulla
panca.
«E Galahad» aggiunse il
connestabile.
«Ah già! C’è anche per il galletto che puzza
di chiesa» Storse la bocca Kay.
Bedivere si sfilò i guanti, posandoli sul tavolo: «Oggi non si sono
comportati male»
Osò dire.
Kay si appoggiò al tavolo, guardandolo: «Per quanto credi
resisteranno?» ironizzò..
Entrambi rimasero zitti, nel silenzio della stanza buia.
Kay incassò la testa fra le spalle e sussurrò disperatamente: «Credi
che tornerà mai?»
Bedivere alzò lentamente una mano e gli fece scorrere un dito su una
guancia. Delicatamente, godendosi il contatto con ogni sua
minuscola lentiggine. Non parlò.
Il rosso sbatté le lunghe ciglia sui suoi meravigliosi occhi verdi,
incredulo. Deluso e ferito. Si proteste verso il compagno.
Il connestabile gli afferrò i capelli e, rovesciandogli indietro la
testa, impose la bocca sulla sua.
Si anche lui si sentiva tradito e avrebbe
voluto gridare dal dolore ma, accantonava il suo dispiacere per l’amore che
provava verso le persone aveva accanto.
Le persone che gli erano sempre rimaste accanto.
Sentì le mani di Kay scalargli la schiena e aggrapparsi a lui
disperatamente.
Lo sentì singhiozzare nella sua bocca e lo strinse di più. Con tutta
la forza che aveva.
L’avrebbe annullato in se stesso, se serviva a togliergli quel dolore.
***
Sprofondando nelle coperte
Mordred era immerso nei suoi pensieri.
Uno sciocco. Aveva accanto uno sciocco.
Non aveva neanche bisogno di rischiare la sua posizione per ucciderlo.
Sarebbe bastato irretirlo per averlo dalla sua parte. Concupirlo.
Facile come bere un bicchiere d’acqua, decretò. Specialmente con un
ragazzino così ingenuo. E poi lui avrebbe avuto il trono e i suoi vantaggi. E
gli avrebbe lasciato le noie (facendolo sicuramente felice), e si sarebbe anche
molto divertito.
Perfetto.
«Ser
Mordred… Posso avvicinarmi a voi? Ho freddo» balbettò
Galahad a disagio.
Mordred notò che la temperatura nella stanza era calata. Il fuoco nel
camino si era spento (di nuovo).
“Dovrò dare una strigliata al siniscalco. Fratello
o non fratello di mio padre! (Ah!
Allora era anche suo zio?!)” borbottò
E in un tacito assenso si avvicinò al francese.
«Però non osare avvicinarmi quei tuoi piedi
gelati!» minacciò.
Galahad gli scivolò accanto, domandandosi come il principe sapesse dei
suoi piedi: «Si, ser»
«Oh
per la Dea,
ragazzino! Smetti di ripetere ser qui, ser là! Siamo costretti a convivere,
quindi chiamami solo Mordred»
«Mordred» sospirò Galahad,
rannicchiandosi accanto al suo corpo caldo.
Non c’era vergogna in un simile gesto perché, spesso capitava ai
cavalieri di dormire insieme, alla ghiaccio.
“Benissimo” pensò Mordred: “plagiarlo è
facile”
Peccato che quando il ragazzo aveva pronunciato
il suo nome avesse provato un fastidioso brivido lungo la schiena.
Probabilmente il freddo.
Rimasero un attimo in silenzio.
«Mordred,
non siete cristiano? Avete detto: per la
Dea…»
«Non hai sentito il popolano oggi? Sono il
figlio di una strega. Potrei farti un maleficio» rise.
«Non credo a quelle parole offensive»
«Sbagli! Mia madre è davvero una strega e ha
davvero sedotto il re, suo fratello, perché voleva il potere»
«E come?»
«Attraverso di me, ovviamente. Il figlio del
grande re sarà un sovrano e lei la regina madre. Capito ragazzino?»
Galahad annuì senza capire il suo tono derisorio: «Anche
mio nonno fece giacere mia madre con mio padre con una magia, dicono… Perché
voleva che gli dessero un nipote. Secondo una qualche profezia, l’avrei aiutato»
«Tuo nonno è un druido?»
«Dicono sia un santo ma, da dopo la fuga di mio padre, alla fine
dell’incantesimo, mia madre piange sempre» rifletté: «Io
non credo abbia agito bene se mia madre piange. Non può esistere un azione a fin di bene, se la gente ne soffre no?»
«Non
parlarmi di queste cose. A fin di bene mio padre mi avrebbe visto volentieri in
fondo al mare» ringhiò il principe: E tutto per
ascoltare le profezie del buon Merlino! I santi non esistono Galahad!»
Silenzio.
Galahad agitò i piedi nel letto, mormorando: «Dicono che io sia un
santo…»
Conosceva la storia. Il seggio periglioso. L’estrazione della spada.
Li aveva visti.
Atti miracolosi.
Nel buio Mordred si voltò sulla schiena.
Per lui nessuna spada da estrarre.
Rimase a fissare il vuoto davanti a sé.
«Allora forse sarai tu a uccidermi per un bene superiore»
Quelle parole lacerarono il cuore di Galahad. No. Non avrebbe mai
avuto il coraggio di uccidere qualcuno.
No, nemmeno per un bene superiore.
Nemmeno ser Mordred, il figlio della strega. Il figlio di Artù.
Come poteva anche solo pensarlo? Come poteva pensare questo di lui?
La mano strinse la stoffa della tunica dell’altro: «No
io… Voglio davvero far funzionare la nostra collaborazione. Dovreste saperlo!
Anche oggi ho chiesto sempre il vostro parere, no?»
Mordred fece scivolare il braccio attorno alle spalle
del francese: «Ti credo ragazzino»
«Davvero?» domandò Galahad
speranzoso, stringendosi al suo torace.
«Si ma, solo se da ora in poi mi darai del
tuo. E mi dirai sempre la verità»
«Lo farò volentieri, Mordred!» sorrise Galahad, posando la testa sulla
sua spalla.
Il moro tirò gli angoli della bocca in un espressione
compiaciuta.
L’uomo attraversò le sale del
castello a passo fiero e deciso.
Camminava a testa alta come fosse lui stesso il re di Camelot. Ignorò i cavalieri che lo salutavano deferenti e
seguì il connestabile di Artù fino agli appartamenti a lui dedicati.
In un'altra ala del castello ser Lucan stava accompagnando un altro
monarca verso le sue stanze, ser Mark di Cornovaglia con il suo seguito. Tra cui ser Tristan, signore dell’Armonica.
Ser Kay si era incaricato di scortare il
nemico più pericoloso per Camelot, in quel momento di dubbio.
«E poi osano accusarmi di
codardia!» sbottò precedendo il corteo di dame.
«Come dici… Siniscalco?» sibilò
la regina delle Orcadi, lanciandogli un’occhiata tagliente con i suoi occhi
verdi da strega.
Ser Kay la osservò avanzare per i saloni guardandosi attorno e
commentando tutto, valutando tutto come se fosse già tutto suo.
«Avevo sentito che le foche
camminavano a testa alta» ironizzò il rosso.
La regina Morgause alzò il mento, stringendo le mani sotto al seno in un portamento maestoso: «E io avevo sentito che
il casalingo di Camelot era un insolente» sorrise amabilmente, ma di un sorriso
tanto freddo che Kay avvampò di rabbia.
«A volte la gente racconta un sacco di balle,
signora. Pensate che raccontano che le foche delle
Orcadi sputino veleno» ribatté Kay con un sorriso sghembo.
Le dame di compagnia della regina e la scorta di scudieri del
siniscalco si bloccarono, sconvolti da quello scambio di insulti
velati.
La sorellastra di Artù trapassò ser Kay con lo sguardo, come vi
vedesse attraverso. Si sistemò la treccia fulva su una
spalla, con garbo, infine parlò: «Gradirei avere le stanze riservate alla
regina mentre soggiorno qui»
«Cosa?!»
strillò Kay, sconvolto. «Signora, come osate chiedere una cosa simile?»
Lei fece qualche passo in avanti e poi, voltandosi maestosamente
disse: «Credevo che per la madre di uno dei due reggenti questo fosse dovuto, no?»
Il rosso s’inalberò e la sua chioma parve prendere fuoco come il suo
viso: «Dite bene, signora. Uno dei due reggenti!
Questo regno non è vostro!» esclamò, gonfiando il
petto.
Morgause non parlò. Non disse nulla. Quasi non cambiò neppure
espressione. Continuò a sorridere e basta; ma lo fece in un modo così subdolo
che Kay si sentì correre un brivido lungo la spina dorsale.
Ora ricordava perché nessuno voleva riconoscere Mordred come legittimo
erede al trono di Artù.Non per via
della sua nascita incerta (anche Artù non aveva certo una nascita legittima!) ma,
per ben altro di ben più minaccioso.
Si prospettavano davvero tempi difficili per il regno.
***
Il paggio fece entrare il
cavaliere nelle stanze del suo re e si congedò senza attendere il permesso.
Come se fosse una prassi ormai consolidata.
Suo maestà Galehaut, re delle isole lontane
se ne stava seduto al tavolo delle sue stanza a Camelot, in silenzio.
Le tende erano state tirate e nella stanza regnava una penombra
malata, dove il re vi crogiolava.
Ser Gawain fece un passo avanti, scrutando il volto pallido di
Galehaut.
Il figlio della bella gigantessa teneva il mento posato su una mano e
fissava il vuoto davanti a lui.
Gawain gli arrivò accanto prima che l’altro aprisse bocca; ma quando
l’altro lo fece, il principe delle Orcadi ne provò timore.
«Ho fatto un sogno…» esordì
Galehaut. Aveva la voce roca come chi è stato a lungo in silenzio e non
riuscisse più bene a usare la voce.
Gawain gli posò una mano sul braccio, scivolando sullo scranno accanto
al re.
«…C’erano un leone e un orso che
combattevano, quando ecco sopraggiungere un leopardo. Una
bestia splendida, con il manto vellutato e il corpo guizzante di potenza.
Quando la fiera giunse i due animali smisero di
combattere per ammirarla in tutto il suo splendore. E rimasero così per un po’
lungo periodo…» proseguì il re, voltandosi a cercare
gli occhi azzurri di Gawain.
«…Ma quando il leopardo scelse di andare con
l’orso, l’altro, il leone, si stese su un fianco e mai più si mosse. E sai
perché Gawain?»
Il cavaliere scosse il capo.
«Perché il leone non aveva più motivo di vivere senza la splendida
fiera al suo fianco» Straziato Galehaut chinò il capo e rimase a fissarsi le
mani, mentre Gawain impallidiva.
Aveva capito. Senza Lancillotto, Galehaut non voleva più vivere.
A tal punto l’amava?
Quel folle, porco, bugiardo, traditore di un bellissimo cavaliere
francese? Ringhiò dentro di sé.
Galehaut era stato il suo migliore amico e l’aveva mollato così, dopo
aver naturalmente tradito l’altro suo migliore amico, Artù, facendosi sua
moglie, la sempre brillante Ginevra.
E ora Galehaut si lasciava morire per uno del genere? Galehaut? Il
migliore re che i giganti vichinghi avessero mai avuto!?
Il più saggio e scaltro. Lo stesso che aveva combattuto a lungo per unirli e
poi allearsi sotto la bandiera del drago.
Ora uno stupido gallo ( altro che bel
leopardo flessuoso!), lo convinceva a togliersi la vita? Non l’avrebbe mai
perso messo.
Non lui. Non Galehaut.
Scattando in piedi, afferrò il sovrano per la collottola della tunica
e lo scosse.
«Al diavolo i sogni, Galehaut! Lancillotto
tornerà. E’ sempre tornato da noi»
L’altro sbatté appena le palpebre: «Ma non
capisci? Questa volta ha scelto, Gawain. E ha scelto
Artù. Ha sempre scelto Artù» scandì depresso.
Gawain sapeva che aveva ragione. Anche lui l’aveva cercato e cercato per giorni e giorni proprio per riaverlo di nuovo al
suo fianco ma, non tollerava – non tollerava! – di vedere Galehaut a quel modo.
Non Galeotto, neppure per Lancillotto.
Lo scosse ancora: «Per Anu, Gale, se lui ha
scelto, sceglieremo anche noi!» e senza spiegarsi
oltre, si chinò sul viso del re e lo baciò con trasporto.
Il re dei giganti non si mosse. Non reagì, così Gawain, ancora più
irritato, lo tirò in piedi e tenendogli una mano sulle spalle (era dannatamente
alto), gli strappò i lacci della tunica sul torace muscoloso.
Le palpebre di Galehaut sbatterono più volte mentre, confuso guardava
il principe.
Gawain irato, lo spinse sul letto a
baldacchino dietro di loro.
«Forse un aquila può risvegliare il leone»
esclamò, e prima che l’altro si opponesse, lo
baciò di nuovo, appassionatamente.
Entrambi caddero pesantemente sulle coltri del letto,
ghermendosi disperatamente.
Capitolo 10 *** CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED ***
CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED
CAPITOLO
10 – LA MORTE DI MORDRED
La torma di cavalieri avanzò al
piccolo trotto lungo le strade che uscivano dal contado del pullulante borgo di
Camelot.
Era la prima volta che i due reggenti uscivano per il paese, e la popolazione
li aveva accolti con una strana curiosità.
Nessuno di loro era re Artù, era chiaro, quindi niente applausi ed
acclamazioni ma, non era andata comunque così male.
Nessuno gli aveva tirato delle sassate, aveva pensato Mordred
rassicurato.
Rallentò la corsa quando ser Griflet indicò alcuni edifici.
«Quello è il mulino. E’ lì che
viene macinato la maggior parte del grano per la città. E come vede, ser
Galahad, è alimentato dalla corrente del fiume»
Mordred nascose l’aria
infastidita e richiamò i cani che lo seguivano per la battuta di caccia.
Se ser Griflet e la scorta di francesini di
Galahad insistevano ad ignorarlo, avrebbe fatto anche lui lo stesso.
Dei suoi, solo il fratello Gareth l’aveva accompagnato e lui era
troppo buono per pensare di tirare il collo a qualche gallo.
«E’ un’opera ingegnosa»
commentò Galahad entusiasta, andando a sporgersi sopra l’argine del fiume dove
girava pigramente le pale di legno.
La cavalcata gli aveva colorato le guance rendendolo meno eburneo del
solito.
I capelli biondi erano scarmigliati mentre tratteneva su un braccio un
falcone per la caccia. Era un animale splendido dalle penne lucide come seta.
Gliel’aveva regalato ser Bors che, per fortuna, non li aveva seguiti.
«Davvero Galahad» annuì il
cugino Lionel, affiancandolo.
I francesi non persero l’occasione per dilungarsi in chiacchiere,
ovviamente nella loro lingua, così Mordred, fingendo di non capire, seguì i
suoi cani lungo l’argine del sentiero fino a un vecchio pontile sul fiume.
Scendendo da cavallo si piegò ad accarezzare i suoi i suoi tre bracchi
da caccia dal pelo maculato.
Trovava fedeltà solo nei cani. Esseri decisamente migliori dell’uomo.
Si raddrizzò e salì sul vecchio molo, guardandosi attorno.
I francesi ridevano dietro di lui.
Gareth si era offerto silenziosamente di tenergli il cavallo.
Sarebbe stato un buon siniscalco se Kay se ne fosse andato, pensò
vagamente. Conosceva anche bene le cucine.
E Gawain sarebbe stato il suo maresciallo, certo sempre se fosse
rimasto anche lui.
Doveva rafforzare le difese. Far sposare qualche fratello con qualche
principessa, per tenere buoni i nemici. Doveva rinsaldare i confini. Sempre se
fosse riuscito a convincerli…
Galahad si voltò a cercare l’opinione di Mordred ma, non vedendolo più
accanto a sé, si sporse di sella per vedere oltre le facce amiche della sua
gente. Fra tutti quei capelli chiari, notò subito la testa mora ferma sul
pontile.
«Mordred!» lo richiamò, facendolo voltare: «Non la trovi un’ottima
invenzione?!» sorrise tentando di crearsi uno spazio per raggiungere il co-reggente.
Mordred smise di accarezzare il pelo fulvo di uno dei suoi cani e lo
guardò, senza una parola. Fissò Galahad mentre gli trotterellava incontro, sul
suo cavallo bianco.
“Un vero principe delle fiabe” mugugnò, storcendo la bocca ironico.
D’improvviso s’udì solo un CRACK e il principe sprofondò nell’acqua.
Galahad vide il pontile di legno marcio sfasciarsi sotto i piedi di
Mordred e il principe sprofondare nell’acqua con un tonfo sordo.
«Mordred!!» urlò Gareth spaventato, vedendo il fratello affondare
nell’acqua melmosa del fiume.
«Aiuto! Presto, prendete una
corda! Bisogna tirarlo fuori da lì!» esclamò scendendo da cavallo e correndo
alla riva: «Mordred!» urlò vedendo solo i suoi cani sguazzare nel limo.
Mordred indossava un’armatura di cuoio borchiato anche per la caccia,
e se non lo aiutavano subito sarebbe annegato malamente.
Si voltò in cerca di soccorso ma, vide che nessuno dei francesi aveva
intenzione di muovere un muscolo.
Se Mordred fosse morto, molte cose sarebbero cambiate a Camelot. Ad
iniziare dalla unica reggenza celta, intuì Gareth.Ed impallidì. Nessuno di loro l’avrebbe
aiutato. Ragionò velocemente tutte queste cose, quindi fece per spogliarsi
della sua armatura per tuffarsi in aiuto del fratello.
Qualcun altro però lo anticipò.
Galahad liberò il falcone e si gettò, con un balzo, nell’acquitrino
senza passare al rischio. Senza riflettere.
In un attimo era sparito sotto i flutti scuri come Mordred.
«Mio Dio… E’ morto anche lui…» gemette il giovane Gareth, passandosi
le mani t ra i capelli.
Due re morti in cinque minuti sotto i suoi occhi per di più! Aveva
raggiunto un vero record!
Stavolta però, anche i francesi di mossero. Preoccupati per la salute
del loro prezioso santo, si precipitarono alla riva con corde e bastoni. Ma il
diciassettenne non riemerse. Non riemerse fin quando non ebbe tra le braccia il
corpo esanime di Mordred.
«Prendi la corda Galahad!»
urlarono Lionel e ser Griflet, trascinandolo a riva, sudicio e ammaccato.
Dai capelli biondi grondavano anche fili di alghe quando
l’adolescente, tossendo, si piegò sul corpo di Mordred.
Il bastardo di Camelot non si muoveva, ne pareva respirare.
Spaventato Galahad cercò lo sguardo dei suoi poi tolse alcune fradice
ciocche nere dal viso di Mordred e protese le orecchie sulla sua bocca. Non
percepì respiro. Nulla.
«aiuto…» gemette: «Prendete
qualcosa per asciugarlo, scaldarlo!» poi si chinò di nuovo sulla sua bocca.
«Forse ha dell’acqua nei polmoni» suggerì Gareth, accanto a lui:
«Bisogna fargliela uscire»
Galahad annuì e, aprendo la bocca del principe, vi infilò due dita
come uomo costretto a vomitare.
Non vi fu reazione.
Galahad cercò ancora l’aiuto di Gareth e questi disse: «Aria! Ha
bisogno d’aria»
Senza riflettere il giovane Galahad inspirò profondamente poi poggiò
la bocca su quella di Mordred e vi insufflò aria.
La vita.
«Vivi. Vivi. Vivi!» implorò, soffianco
ancora e ancora; ma senza avere nessuna reazione.
«Lascialo morto, Galahad. E’
meglio per tutti» disse qualcuno dei suoi.
Sconvolto Galahad si voltò a guardarli con rabbia. Come potevano
pensare una cosa simile?
Le lacrime gli rigavano gli occhi quando urlò: «Non morire Mordred!
Non te lo permetto!» e gli batté un pugno sul petto: «non te lo permetto, mi
senti!?Non è questo il tuo destino, Mordred!Mi senti?! Non te lo permetto» urlò
ancora, tra le lacrime.
Singhiozzando si piegò sul corpo del suo migliore amico, implorando il
suo Dio di aiutarlo. Implorando un qualsiasi Dio più misericordioso dei
cavalieri con lui.
Silenziosi i cani di Mordred andarono ad accucciarsi accanto al corpo
del padrone, mogi, guaendo e leccandogli il volto e le mani.
Galahad non riuscì a trattenere il dolore e poggiò la testa sul suo
petto.
Anche Gareth si voltò per nascondere le lacrime.
Dopo i dolori che gli aveva riservato la vita, non avrebbe mai creduto
che suo fratello potesse morire così… In un incidente, solo, e senza l’onore di
una grande battaglia.
Un silenzio cupo scese sul gruppo mentre i cani guaivano inquieti.
Non uno osò parlare, per non rompere quel cupo dolore, fin quando…
«Che principe azzurro sei…»
bisbigliò una voce roca, aggiungendo: «Hai salvato la damigella in pericolo,
come sempre» ridacchiò, poi scoppiò in colpi di tosse accesi e profondi che gli
squassarono il petto.
Incredulo Galahad alzò il viso e si trovò a guardare Mordred che
tossiva piegato su fianco. Tossiva violentemente, sputando acqua ma, era vivo!
E quando alzò il viso, si trovò a fissare gli occhi blu più belli che
avesse mai visto. Occhi come il mare burrascoso della costiera settentrionale.
Il mare delle Orcadi.
«Mordred!» urlò felice,
gettandogli le braccia al collo.
Il figlio bastardo di Artù si afflosciò sotto il suo peso,
incredibilmente felice di sentire quell’abraccio. Era un abbraccio caldo, come
di qualcuno che gli voleva bene. Che provava affetto per lui, e lo faceva
sentire vivo. Tremendamente vivo.
Posò il capo contro la dura terra, chiudendo gli occhi. Diede dei
colpetti sul braccio di Galahad, mormorando: «Ragazzino, il mio destino lo
posso decidere solo io»
Galahad si tirò in disparte e sorrise. Sorrise come fosse la persona
più felice del mondo. Gli brillavano gli occhi quando posò una mano sulla
guancia dell’altro, esclamando: «Va bene ma, non osare mai più farmi scherzi
simili! Non voglio governare questo paese da solo, hai capito?!» minacciò,
scherzoso.
Mordred avvertì quella delicata carezza al viso, come una scossa in
tutto il corpo.
Capitolo 11 *** CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE ***
CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE
CAPITOLO
11 – LA GUERRA DELLE
DONNE
Il rientro a Camelot fu piuttosto animato.
Mordred non capì mai come la notizia della sua quasi morte e
resurrezione miracolosa si fosse già sparsa in tutto la fortezza. Ma dal vociare
dei servi, comprese che tutti davano il merito del suo ritorno in vita ai
poteri taumaturgici di Galahad.
I poteri di un santo. I poteri di un re.
Silenzioso Mordred si lasciò lavare e trascinare a letto da valletti
altrettanto solleciti e muti.
Stranamente non vide Bedivere o Kay ma, forse anche quello era merito
di Galahad.
Il ragazzino scacciò tutti dalla loro stanza dicendo, con voce sicura,
che Mordred aveva bisogno di riposo.
Poco abituato alle cure disinteressate Mordred si chiese se era per tenerlo
lontano dal trono ma, quando il biondo Galahad si piegò sul suo viso
sedendoglisi accanto, ogni pensiero paranoico svanì.
Ogni volta che aveva incrociato lo sguardo con lui, il ragazzino gli
aveva sorriso beatamente.
«Stai meglio ora?»
La stanza era stata scaldata e anche nel letto era stato posto uno
scaldino prima del suo arrivo.
Come diavolo aveva fatto a farsi servire così prontamente dai
valletti, Mordred proprio non lo capiva. Ma non voleva che distogliesse i suoi
occhi da lui, quindi annuì soltanto con un grugnito.
«I miei cani?»
Le dita di Galahad scivolarono a scostargli alcune ciocche di capelli
neri dal viso: «Li ho mandate a far lavare e asciugare, poi te li porteranno
qui. Mi hanno detto che sono trovatelli che hai adottato»
«Sono loro che hanno adottato
un bastardo, direi» rispose Mordred, domandandosi anche come Galahad riuscisse
a farsi dire tutte quelle cose da degli sconosciuti.
Il diciassettenne sorrise, scuotendo appena il capo: «Comunque li
porteranno tra poco. Pensavo che volessi averli con te ora»
«Non sono moribondo» sibilò
l’altro, caustico.
«No, sei solo quasi morto davanti ai miei occhi, quindi: riposa!»
impose gentilmente alzandosi dal letto: «Ti ordino di non lasciare il letto fin
almeno all’ora di cena»
Chiuse le ante di legno delle bifore della stanza e s diresse verso la
porta.
Mordred mugugnò qualcosa, obbedendo, e lui aggiunse: «Sta tranquillo, ti
verrò a svegliare. Ora vado a rassicurare tutti sulla tua salute»
«Come se importasse a qualcuno»
bofonchiò il principe, tirandosi le coperte fin sopra le orecchie.
Sapeva che non sarebbe importato a nessuno. Tranne a una persona sola.
***
La stanza era immersa nella
penombra della sera quando lo svegliarono le campane dei vespri. La cena
sarebbe stata servita tra non molto, e Mordred si svegliò con la curiosità di
sapere se davvero Galahad sarebbe venuto a chiamarlo, o avrebbe osato tenere la
scena da solo.
Era un dubbio infantile, perché sapeva che quelle idee a Galahad non
passavano neppure per la sua bella testolina bionda. Non era proprio fatto per
certe raffinate strategie. Era talmente ingenuo che non c’era neppure gusto nel
punzecchiarlo. Cosa che lui aveva imparato a fare fin da piccolo, anche per
difendersi dai fratelli. Tutti legittimi.
Galahad non aveva la lingua velenosa di Kay o il cervello perfido di
Agravain. Anzi, gli sovveniva che la bocca del ragazzino fosse invece dolce e
succosa come una fragola matura. O forse simile a qualche tipo di dolce che si
scioglie sul palato. O forse… Vellutato e sensuale come un morbido frutto
esotico… Una pesca, magari.
Immerso in quei pensieri, mugugnò stiracchiandosi compiaciuto. Chissà
da dove gli erano venuti quei pensieri…
Se bastava che il ragazzino gli facesse la respirazione bocca a bocca
per eccitarlo, doveva proprio decidersi a sling…Ehm, baciarlo come si deve.
Una voce interruppe le sue elucubrazioni sessuali, ops mentali.
«Ah! Allora è così che passa il
tempo il re di Britannia… Dormendo e cercando di affogarsi da solo? Ottima vita
davvero!»
Sentendo quella risata di donna, Mordred s’irrigidì.
La tenda del baldacchino venne scostata e lui vide l’elegante donna
seduta accanto al letto. Era bella malgrado non fosse più giovane. Sensuale e
raffinata con i capelli rossi elegantemente intrecciati.
«Madre» scandì gelidamente:
«Che cosa ci fate voi qui?»
«Una regina può andare dove
vuole, figlio; o devo forse ricordartelo?» rispose lei distrattamente, facendo
roteare qualcosa tra le mani.
Nella penombra, Mordred non capì di che cosa si trattava.
Ignorando quel movimento lento e ipnotico, la contraddisse: «Una
regina nel suo regno si, madre, ma queste non sono le Orcadi»
Freddo e glaciale, cosa che lei finse di non comprendere.
«Come? Non sono forse la madre di un re? Quindi, nel suo regno posso
andare dove voglio» sorrise Morgause accondiscendente, come spiegasse qualcosa
a un bambino.
Mordred notò i suoi abiti più suntuosi e come sempre, più scollati.
Bella e insidiosa come un serpente velenoso.
Aveva temuto quel momento.
Trattenne a stento l’ira perché sapeva che non l’avrebbe affatto
avvantaggiato con lei.
La guerra delle donne era sottile e subdola. Manovratrice. Cosa che
aveva imparato a suo spese, molte e molte volte.
Non ci sarebbe cascato di nuovo.
Lui era, solo Mordred.
«Io non sono re, madre»
Lei lo fissò con i suoi intriganti occhi verdi da gatto, e continuò a
far turbinare quella piccola ruota del destino tra le sue mani.
«Non lo sei ANCORA figlio ma, per ora ti sei comportato con molta
astuzia, facendoti eleggere dai cavalieri. Nessuno ti potrà accusare se prenderai
il trono alla morte di Galahad»
Mordred ebbe un lieve scatto nervoso all’angolo della bocca, poi
rimase impassibile.
Tacque il tempo di un’eternità, mentre il grande anello tra le mani
della madre ruotava senza posa, illuminandosi di strani bagliori dorati.
«Non c’è bisogno di uccidere
Galahad» gli uscì in un sospiro duro.
Non ricevendo risposta, proseguì: «Egli è un cuore candido. Farà tutto
quello che gli chiederò. Persino prendersi le mie colpe o fastidi. Lui è…»
La piccola ruota si bloccò tra le mani di Morgause.
«Galahad deve morire» Una condanna.
«Troveremo il modo di farlo apparire un incidente. E il trono sarà
tuo»
Finalmente la luce colpì quello strano oggetto tra le sue mani mentre
lei lo allungava verso Mordred.
Il principe rabbrividì riconoscendo la corona di suo padre. La corona
di re Artù.
Dove l’aveva presa, solo la
Dea sapeva.
Impallidendo, prese a sudare.
«Sarai re, Mordred. L’erede di
tuo padre. Come ti spetta»
Mordred deglutì a vuoto.
Restare impassibile. Non mostrare emozioni. Quello era l’unico modo
per combattere la guerra delle donne cui lui era invischiato senza volere.
Ed era proprio la cosa più difficile da fare in quel momento.
«Così tutti ti riconosceranno per quello che sei davvero… Il figlio di
Artù»
Il principe rifletté velocemente, ricordando le parole di Galahad.
Valutando le parole della madre.
Lui era la persona più difficile da manovrare che Galahad conoscesse…
Lui era solo Mordred. Lui era la persona che solo Galahad aveva osato salvare.
Aveva avuto l’incoscienza di salvare…
«E’ un innocente. Un tonto non
serve…» osò protestare, ma la voce gli tremava.
«Deve morire» ripeté la regina,
porgendogli la corona.
Mordred la guardò come se fosse un animale pericoloso, così Morgause
la posò sul letto davanti a lui.
Lui rimase in silenzio, fissandola e fissandola ancora.
«E poi… Come tenere i francesi
senza di lui?» aggiunse automaticamente la sua bocca.
«E se non lo farai, saranno i galli a fare fuori te. Scommetto che
stanno già ideando qualcosa» sorrise Morgause, come parlasse del tempo. Si alzò
in piedi e, languidamente disse: «Pensateci» quindi uscì dalla camera,
lasciandolo solo.
Nel silenzio Mordred fissò la corona.
Era il simbolo di tutto quello che aveva sempre desiderato essere.
O forse quello che gli avevano imposto di dover essere.
Galahad non gli aveva imposto mai nulla.
Aveva rischiato la vita per la sua, senza aver nulla in cambio…
Sbirciò la corona, che lo guardava brillando ammiccante.
Con uno scatto d’ira l’afferrò e la gettò lontano da sé.
Oro rimbalzò più volte per terra, fino ad andare aroteare in un angolo buio della stanza.
Mordred fissò il buio davanti a sé, poi si lasciò sprofondare nelle
coperte.
Il profumo di gigli di Galahad aleggiava nell’aria.
Le mani dell’uomo scivolarono lungo il profilo spigoloso delle anche
del suo amante, in una carezza intima e possessiva.
Come la prima volta che erano stati a letto
insieme, lo trovava bellissimo e terribilmente eccitante, persino dopo il sonno
sfatto del sesso più sfrenato. Perchè questo legava loro due pensava Galehaut, salendo ad accarezzargli
le braccia muscolose e poi il viso. I fulvi capelli mossi.
Gawain bofonchiò e il re delle isole lontane fece un sorriso. «Ricordi la prima notte che ci trovammo insieme così?
Eravamo in una stalla…»
Gawain aprì gli occhi e li puntò sul bel viso maschile del re dei
giganti.
«…Ma con noi ce n’era uno in più…»
«Non pensare a lui ora» rispose
Gawain brusco, afferrandogli il viso tra le forti mani da cavaliere: «Pensa a me. Siamo insieme ora. Io e te»
«Due reduci» mormorò
Galehaut, distogliendo lo sguardo.
«Vuoi dire che non ti accontenteresti di me?» s’innervosì il nipote di
Artù, costringendolo a guardarlo: «Non ti piaccio più?»
La voce non gli tentennò nemmeno mentre pronunciava una frase così
femminile.
Una scintilla di desiderio illuminò gli occhi del re. Afferrò
saldamente le anche del compagno, esclamando: «Lo sai
che mi ecciti da morire, Gawain. Non te l’ho forse dimostrato più di una volta,
stanotte. E anche tu, mi pare…» ridacchiò.
L’altro si grattò il dorso del naso, piacevolmente imbarazzato.
Assentì mentre faceva scivolare le gambe nude tra
quelle di Galehaut.
In verità anche quel rosso esile gigante dal petto muscoloso lo
accendeva in maniera sconvolgente. E lo sapeva bene,
dannazione.
Galehaut sprofondò il viso tra i suoi capelli castani, fino ad andare
a mordicchiargli un orecchio. «Peccato che tu non sia
una dama, Gawain. Ti avrei chiesto in moglie e avremmo, avreste risolto i
problemi con il mio popolo»
Gawain rovesciò indietro il capo, godendosi la sua lingua che lo
leccava e gli lambiva la pelle. Fece scivolare lagamba sul suo fianco, cingendolo
possessivo.
«Già, peccato…»
«Ti chiederei lo stesso, mia sensuale aquila
ma, voi britanni avete regole così bislacche. Come se un re non potesse avere
un consorte a cui affidare la propria anima… E il
proprio corpo» sorrise malizioso, chinandosi a baciargli il collo.
Il principe delle Orcadi lo strinsetra le braccia: «Ammetto di stare rivalutando il tuo popolo selvaggio»
«Brutale e selvaggio» ridacchiò Galehaut, tirandolo sotto di sé e
premendogli l’inguine contro il suo.
Gawain lo afferrò per i capelli e disse: «Le Orcadi sono le terre più
vicine alle tue…»
«molto
acuto. Ha studiato geografia il mio piccolo principe stellato» scherzò il re,
continuando a percorrergli il torace di baci malgrado
l’uomo gli tirasse i capelli.
Cingendolo con le sue gambe, Gawain proseguì: «Abbiamo già molti porti che commerciano con voi. Sarebbe un ottimo accordo
mercantile il nostro» valutò.
«Ma
che perfetto principino» commentò il rosso ma, senza essere sarcastico. Gli
occhi azzurri gli brillavano mentre soppesava con grande ammirazione il suo
amante.«Alleati… Oppure potremmo
conquistarvi con la forza» ipotizzò lui, facendosi sentire contro il sesso del
cavaliere.
Gawain dovette guardarlo come se accettasse implicitamente quella
sfida perché Galehaut rise: «E’ questa tua sfrontatezza che adoro di più!» e si
protese a baciarlo appassionatamente.
La lingua che vagava sulla lingua dell’altro.
Bocca contro bocca. Un brivido di desiderio scosse di
nuovo entrambi mentre rotolavano nel grande letto del re. E stavano per
riprendere la loro “personale lotta”, quando un suono di campane animò l’aria
serale di Camelot.
Non abituato al suono dei riti religiosi cristiani, Galehaut alzò il
capo e chiese: «Che succede? Un’invasione?»
Gawain tese le orecchie azzittendolo con una mano. «Suonano a festa»
commentò dopo un attimo: «Che strano…» mormorò.
Con un gesto brusco spinse via il rosso da sé e scivolò fuori dal letto.
Raccogliendo una stoffa da terra, se la legò attorno alla vita,
andando a scostare le ante della finestre.
Subito udì le voci unanimi di molta gente che pregava in strada,
innalzando alte preghiere di ringraziamento.
Spaesato si voltò verso il re delle isole lontane.
«Che succede? E’ tornato Artù?» chiese
Galehaut scrutando, nel mentre, quel corpo seminudo e
muscoloso che si profilava nella luce del crepuscolo.
«Magari…»
«E allora che cantano?»
Gawain scosse il capo, perplesso: «Sembra che ringraziano Dio di aver
loro concesso… Galahad»
Il figlio della bella gigantessa sgranò gli occhi, esterrefatto quanto
il cavaliere. «Beh... Forse è meglio che scendiamo per
cena per sapere che succede» commentò Galehaut, decidendosi a uscire lui stesso
dal letto.
Batté le mani e, senza dare tempo a Gawain di riprendere un po’ di
dignità, vestendosi, richiamò i suoi valletti.
Due giovani scudieri vichinghi accorsero subito, riverenti. «Avete
chiamato sire?»
Lui annuì, riprendendo il suo aspetto autorevole malgrado fosse nudo.
Disinvoltamente ordinò: «Preparate i miei abiti verdi.
Quelli bordati di pelo bianco. E fate aerare questa stanza mentre sono allatavola rotonda»
Sorpresi ma lieti da quell’improvviso cambiamento d’umore del loro re
(prima così depresso), subito due valletti si apprestarono ad
obbedire.
Lanciarono occhiate maliziose e grate a Gawain, che si mosse a disagio
cercando di sparire in un angolo buio.
Galehaut chiese un bagno e, senza neppure degnarsi di guardarlo,
aggiunse: «Voglio che da ora in poi consideriate ser
Gawain, principe ereditario delle Orcadi e nipote di re Artù, come il mio capo
compagno. Obbeditegli come se fossi io stesso a parlare tramite la sua bocca»
Gawain vide i due valletti darsi di gomito compiaciuti dall’ottima
conquista del loro re. E quando Galehaut si girò, lesse anche nel suo sguardo
un malizioso divertimento.
«Non ti dispiace vero, caro compagno, se annuncio già il nostro
accordo?»
E per la prima volta da che se ne ricordava,
Gawain arrossì dalla testa ai piedi.
Capitolo 13 *** CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA ***
CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA
CAPITOLO
13 – ALLA TAVOLA ROTONDA
«Allora, senza Artù, non vi verseremo più i tributi!» esclamò uno dei
re radunatosi a Camelot, sporgendosi sulla tavola
rotonda.
Un coro di voci dai re sottomessi si levò, unanime.
Chissà perché Mordred non ne era affatto
stupito. Infastidito serrò la bocca in una linea dura,
appoggiandosi allo schienale del suo seggio.
Nessuno lo riteneva all’altezza di suo padre, per questo volevano
sfuggire ai loro doveri.
Maledetti! Li avrebbe uccisi uno ad uno,
pensò, digrignando i denti.
Alzandosi, sbattè un pugno sul tavolo: «Ma
chi credete che siamo?! Pensate di poter venire qui e fare il bello e il cattivo tempo con la corte della
tavola rotonda?» urlò: «Anche senza Artù, noi siamo la Britannia!»
Una mano gli si posò sul braccio, gentile, mentre una vena gli pulsava
sul collo.
Era un contatto caldo che gli tolse il respiro. Una voce gentile.
«Calmati, Mordred»
Voltandosi, incrociò gli occhi azzurri, color del cielo di Galahad, e
subito si placò.
Aveva un potere calmante su di lui, forse perché il piccolo francese
aveva mantenuto la parola. Aveva sempre mantenuto la parola con lui.
Era venuto a svegliarlo(si fa per dire, dopo
la visita di sua madre!), e gli aveva portato i suoi cani, accuditi con amore.
E sua madre voleva ucciderlo…
Galahad tenne la mano sul suo braccio mentre prendeva la parola:
«Amici… Noi reggiamo il trono di Artù fin quando non tornerà e
quindi, non vedo perché dovreste ritoccare i vostri accordi fatti con il re»
«Niente Artù, niente accordi!»
ringhiò il re dell’Irlanda.
«Come osate ribellarvi?!» protestò ser Tristan, seduto accanto a re Mark di
Cornovaglia: «Volete forse la guerra? Vi devo ricordare come ne siete usciti
dall’ultima?»
Mordred serrò i denti, guardando gli uomini e le donne seduto attorno
alla grandissima tavola rotonda.
Tutti si erano messi i migliori abiti e i più bei gioielli per
mostrarsi lì; e malgrado questo, venivano a protestare.
Mark, Tristan, Urien, Bors, Nentres, Sagremore… Tutti voleva
mostrarsi i migliori.
Ma fare una guerra… non sapeva se i soldati l’avrebbero seguito; ne quanti soldi avevano disponibili nelle tesorerie.
Imporre nuove tasse per una guerra era il modo peggiore per cominciare
un regno.
Doveva comunque parlare con il suo connestabile, per sapere tutte queste
cose.
Perché diavolo ser Bedivere non lo aveva consigliato?
Incrociando il suo sguardo, vide che li stava scrutando. Insomma,
doveva arrangiarsi, ed essere persino soppesati dai suoi stessi cavalieri.
Intollerabile.
«Signori, calma per favore» li
interruppe una voce femminile.
Era la regina Ginevra, seduta accanto a lady Morgana. Le due non si
erano ancora decise ad andarsene, e Mordred cominciava a sospettare che l’idea
del ritiro fosse passata dalla mente di zia Morgana appena aveva visto il
“divertimento” che stava per arrivare a Camelot.
E lui e Galahad erano i burattini al centro dello spettacolino…
«Non c’è bisogno di ricorrere
alle armi come dei bruti romani» sorrise Ginevra, sistemandosi i capelli
biondi, sul suo bel abito bianco.
Mordred storse la bocca, considerandola di nuovo la peggiore moglie
che suo padre potesse mai scegliere. La sua testa era vuota come una brocca in
mano ad un ubriacone!
Alcuni l’avrebbero definita un’oca.
Totalmente diversa da sua madre.
Anche guardandola in quell’istante, la regina Morgause era una serpe.
Forse Artù aveva scelto Ginevra proprio a causa dell’esperienza con
Morgause, suppose il figlio, incrociando lo sguardo della madre.
I suoi occhi versi sorrisero e lei alzò il calice nella sua direzione.
Un breve sorriso che mise i brividi a Mordred.
Non seppe perché ma, un’improvvisa intuizione gli fece temere il vino
nel suo bicchiere.
“Veleno”si disse. E non era certo per lui ma per… Galahad!
Si voltò a fissare il compagno, tentando si mantenere la calma. Non
aveva ancora bevuto nulla, grazia alla Dea.
Doveva solo non farlo bere e tutto sarebbe andato bene. Tutto bene.
La discussione era proseguita mentre lui era immerso nei suoi
pensieri, e ora i re avevano preso ad attaccare proprio Ginevra.
«Che
parlate a fare voi, madonna? E poi come osate presentarvi ancora a corte dopo
aver tradito il re?»
«Nulla è stato mai provato»
ricordò Parsifal, intromettendosi.
Nessuno gli badò.
«E con
il suo miglior cavaliere! Un francese…» rise il re del
Galles.
«Mio padre non è un traditore!»
protestò Galahad, indignato.
«Ah
no? E non è forse scappato come un cane?»
Cercando di non farsi prendere dall’ira, Galahad scandì: «Sicuramente
è successo qualcosa che noi non sappiamo…»
«Gia!»
urlò uno dei re: «Forse Lancillotto ha ucciso Artù, ed è scappato con
Excalibur, e non vede l’ora di tornare a riprendersi la regina!»
Scoppiò il putiferio.
«E’
vero! La spada magica del re! Era quella che univa i popoli. Dov’è la vostra,
Mordred?» chiesero i sovrani francesi, rammentando :
Non ci sono profezie su di voi, Mordred, o sbaglio?» ironizzarono ancora.
Il principe strinse i pugni, facendosi sbiancare le nocche.
Maledetto Merlino e le sue diavolerie!
Ecco in che guaio l’aveva cacciato (oltre che quasi farlo accoppare!)
La rabbia gli fece arrossire persino le orecchie ma, lui cercò di
rimanere totalmente freddo. Non voleva dar loro la soddisfazione di avere un
pretesto per scalzarlo dal trono. Era suo di diritto, dannazione!
Anche se, persino sua madre sembrava divertirsi delle sue difficoltà.
«Non
ascoltarli Mordred. Cercano solo un pretesto per attaccar briga» gli sussurrò Galahad, avvicinando il viso alle sue
orecchie.
La voce gentile e preoccupata.
L’unico.
«Miei signori!» li richiamò
Lady Morgana, alzando le mani in un gesto di calma: «Non
è il momento di litigare. Non ora che il re dei sassoni potrebbe cogliere
l’occasione per invaderci tutti!»
Mordred conosceva vagamente re Childric di Sassonia. Per ogni
evenienza (tipo avere il trono), si era tenuto in contatto anche con lui,
epistolarmente. E non era certo più brutale di tanti cavalieri seduti alla
tavola, in quel momento. Gli aveva anche mandato dei regali. Certo per
ingraziarselo ma, comunque graziosi doni che, per una volta, lo avevano fatto
sentire un vero principe.
Re Galehaut, che sino a quel
momento si era tenuto fuori da tutto quel vociare, ascoltando soltanto, decise
di intromettersi: «Insomma! Quante ciance che avete!
La verità è che siete solo degli spilorci» disse ridendo tranquillo anche
davanti alle facce oltraggiate degli altri nobili: «Io non ho questo tipo di
dubbi. Pagherò i tributi e rimarrò alleato dei duecompagni re»
Tutti lo fissarono esterrefatti.
Malgrado quel suo piccolo errore di comprensione del termine
“reggente”, Galehaut, re delle isole lontane, erareputato il sovrano più potente degli
alleati di Artù.
Forse non il più ricco ma, il più temibile.
Perché sottostare a Mordred, si chiedevano i signori di Britannia.
Galehaut si voltò verso ser Gawain, curiosamente seduto al suo fianco
e, sorrise serafico.
Gawain accennò un breve sorriso tirato, muovendosi a disagio quando la
mano del rosso scivolò, celatamente, sulla sua coscia.
Quel pazzo non aveva capito nulla del suo modo per consolarlo
dell’assenza di Lancillotto!
Ma aveva la consolazione di aver almeno aiutato
il fratello Mordred, si disse.
Certo solo se quel tonto si toglieva dalla faccia quella
espressione sbalordita.
E anche Galahad.
I re non devono mostrare di essere sorpresi dell’aiuto che ricevono!
Era la prima regola per dominare che sua madre gli aveva insegnato.
Quando il brusio di sorpresa si placò, altri re mugugnarono assensi
riguardo ai tributi.
Tanti furono quelli che seguirono il gesto di Galehaut, il potente re
dei vichinghi. Tanti che Mordred cominciò a sperare di avere un regno su cui governare.
Vide zia Morgana che gli sorrideva beneaugurante
ma, la voce di sua madre gli gelò il sorriso sulle labbra.
«Bene.
Visto questo accordo, propongo un brindisi!» esclamò
Morgause, alzandosi in un gesto lento e sensuale. Levò il calice e tutti la imitarono
mentre Mordred vedeva, come a rallentatore, anche il bicchiere di Galahad
levarsi con lui.
«Ai reggenti!» brindarono
tutti.
Meccanicamente anche lui li imitò.
Il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
Il veleno…
Stava per perdere il trono e anche l’unica persona che aveva mai
creduto in lui.
I re portarono i calici verso la bocca ma, quando l’oro lucente toccò
le loro labbra, una voce lacerò l’aria. «Aspettate!» urlò. Era la sua voce.
Non so come, era risuonata tanto autoritaria da bloccare tutti. Come
la voce del padre.
Galahad sbatté le sue lunghe ciglia dorate da ragazzo e chiese: «che
succede, Mordred?»
Lo chiamava sempre per nome, ora. Da quando gli aveva detto di dirgli sempre la verità, lo chiamava così. E gli piaceva.
Il suo nome, nella bocca di Galahad, perdeva quel sapore aspro di
maledizione e di tradimento. Il suo nome nella bocca di Galahad sapeva quasi di
mare. Del vento salmastro che gli scuoteva i capelli quando era ancora solo un
bimbo delle Orcadi.
Aprì la bocca e lentamente trovò una bugia da dire. Era bravo a
mentire, no?
«Visto che… Io e ser Galahad, da ora in poi,
comanderemo insieme(ed egli oggi mi ha salvato la vita)…» la bugia prese forma
mentre gli porgeva il suo calice con lo stemma delle Orcadi.
L’aquile bicipite. Due teste, per due re,
comprese. «Vorrei che condividessimo tutto. A partire da questo calice di vino. Come segno di un buon
inizio»
Non avrebbe fatto spalancare più bocche e occhi neppure se avesse
detto che tutta la storia di re Artù, e dei cavalieri della tavola rotonda,
fosse stata solo una panzana inventata da uno scrittore folle, rinchiuso in un
qualche carcere del futuro.
Gawain lo fissava come fosse ammattito, e lo stesso i suoi fratelli.
Ginevra applaudiva compiaciuta, mentre la zia morgana sorrideva estasiata,
come avesse avuto una qualche visione.
I francesi e tutti gli altri temevano qualcosa, e lo guardavano con
ostilità e diffidenza; ma Galahad…
Galahad…
Galahad aveva gli occhi pieni di speranza. Le gote
dolcemente arrossate dal bel gesto garbato. Annuì, porgendogli il suo
calice con lo stemma con la croce.
«Lo farò volentieri, Mordred» e sorrise. Di
quei sorrisi tanto gentili che avrebbero intenerito anche una statua di marmo.
Mordred si voltò, evitando lo sguardo della madre, e gli poggiò il suo
calice contro le labbra.
Lo stesso fece Galahad, senza lasciarlo.
Si sfiorarono le mani, piegando i bicchieri verso di sé.
«Al nostro futuro» augurò Galahad, e bevve.
«Si… Al
futuro» ripetè Mordred, chiudendo gli occhi e alzando il calice.
Si. In fondo non era male morire così. In
quel momento.
Era quasi un re.
Era stato accettato da tutti (o quasi) eaveva al suo fianco l’essere più caro,
per lui, al mondo. Così avrebbe salvato il santo e il peccatore sarebbe morto,
come doveva essere.
Come avrebbe già dovuto essere. Dalla sua nascita.
Ed era sicuro di lasciare Camelot –quella
gente che non lo amava – in buone mani. Le più buone al mondo.
Era la voce disperata di un uomo che gridava. «No!
Non bevete! E’ un filtro magico!» urlò Tristan: «Ora sarete innamorati per
sempre!»
Sulla tavola rotonda scese un pesante silenzio imbarazzato.
Tutti si guardarono. Alcuni ridacchiarono.
Tristan fissò attorno a sé con gli occhi spiritati, infine si coprì il
viso con le mani, scoppiando a piangere.
Prontamente il suo vecchio amico Melot gli
cinse le spalle e, mormorandogli qualche parola lo trascinò via.
Lentamente re Mark si alzò e cercò di giustificare il suo pupillo:
«Scusatelo… Una volta è stato avvelenato e, da allora ha dei seri problemi con…
Ehm… Il vino»
Tutti ridacchiarono dandosi di gomito.
Anche Morgause. E Mordred capì che non esisteva alcun veleno. Era
stato tutto un parto della sua immaginazione.
“Maledetta paranoia” si disse, voltando la testa.
Ora tutti avrebbero pensato che era innamorato di Galahad…
A parte questo comunque, era tremendamente felice di essere ancora
vivo. Che cosa gli era passato per la testa non sapeva
proprio ma, sicuro non l’avrebbe mai più rifatto! Mai più, sicuro.
Percepiva tutto il corpo come un formicolio di caldo sangue palpitante in tutte le membra.
Lui era lui e la vita era sua. Non se la sarebbe più giocata per
nessuno.
«Mordred» sussurrò la vocina
gentile di Galahd, riscuotendolo. Il ragazzino
allungò le mani e gli toccò appena i capelli neri: «Sei
impallidito prima e ora mi sembri accaldato. Stai bene?»
No. No che non stava bene. Metà tavola rotonda pensava che loro due
stessero insieme, mentre l’altra metà voleva ucciderlo. Non era esattamente la
sua serata migliore.
Se poi continuava a sfiorare i suoi capelli come fossero le morbide
ciocche di un infante, o le belle treccie di un’innamorata,
le cose non sarebbero molto migliorate.
Aprì la bocca e d’improvviso tuonò: «Bedivere!
Il patto per le firme!»
La sua voce fu simile al ruggito del leone di ser Ywain.
Tutti trasalirono mentre il connestabile si affrettava a porgergli il trattato
che aveva stilato.
Ignorando la mano di Galahad, il principe appose la sua firma,
passando il rotolo al francese.
Seppure sorpreso dal cambio di umore dell’altro, il giovane firmò e lo
passò a destra, e a destra ancora, per fare tutto il
giro del tavolo. Tutto il giro di Britannia.
Quando il foglio arrivò davanti agli ambasciatori dei sovrani nemici,
degli Scoti e degli Juti, questi si guardarono tra
loro.
Davanti allo sguardo truce di Mordred, decisero velocemente che era
per loro conveniente firmare. Cosa valeva per loro una
firma tra nemici che non avevano neppure un vero re?
Sogghignando, videro l’accordo ritornare nelle mani di Mordred.
Il principe fissò la carta con distaccata alterigia.
Squadrò gli uomini alla tavola rotonda e poi, rammentando la figura
che aveva appena fatto, alzò il patto sopradi sé e ringhiò: «Che tutti voi nobili
signori, siate di testimoni di questo scritto. Connestabile, voglio che
spediate una copia di questo trattato a re Childric dei Sassoni…» Si levò un bisbiglio sorpreso. «…Come un segno di pace tra
i nostri popoli da parte del principe Mordred, reggente di Camelot»
Nessuno ebbe il coraggio di proferir parola.
Neanche Galahad.
E per una volta Mordred si sentì soddisfatto. Che pensassero quello
che volevano di lui e del ragazzino non gli importava.
Ora era lui il capo e poteva farsi chiamare finalmente principe di Camelot, senza nessun timore.
Porgendo il foglio a ser Bedivere, esclamò: «E
ora possiamo anche cenare. Miei signori… Buon appetito!»
e sedette.
***
Il resto della cena passò amabilmente tra ricche bevute e mangiate di
selvaggina prelibata. Bardi e menestrelli giunsero ad animare la serata e non
ci furono altri discorsi politici – O almeno ad alta voce -mentre le dame si abbandonavano tra le
braccia dei loro cavalieri serventi, e altri cantavano e si ingozzavano di vino
raccontandosi le loro prodi avventure.
Come se fossero ancora i tempi splendidi dove Artù teneva il trono.
Molti si alzarono per danzare la grande sala risuonò di musica, mentre
negli angoli si creavano capannelli di cavalieri. Tutti parlavano e nessuno
faceva caso al gruppetto di cavalieri che si era unito ai francesi.
Gli ambasciatori bisbigliarono nelle orecchie di ser Bors, mentre la
musica risuonava forte nella immensa sala.
Parlarono al nobile Bors eai suoi cavalieri celti. Lionel e
altri parvero titubare alle loro profferte ma, poi si lasciarono convincere ed annuirono.
«…Non preoccupatevi, ci penseremo noi» dissero gli ambasciatori;
quindi si strinsero le mani e si separarono disperdendosi nella sala affollata.
Appena la torma di cavalieri fu troppo impegnata ad amoreggiare o a
vomitare sotto la tavola rotonda, Mordred colse l’occasione per svignarsela. Ne
aveva avuto abbastanza di re ed ambasciatori per quel
giorno. E quando vide suo fratello Gareth sbaciucchiare la sua bisbetica Lyonesse, e Gawain rifilare un pugno a re Galehaut che
aveva tentato di baciarlo davanti a tutti, decise che era davvero troppo.
Cercando di restare il più celato possibile, uscì dalla sala e scivolò
lungo i corridoi semibui.
Non c’era anima viva mentre si dirigeva verso gli appartamenti reali.
Con il frastuono e le poche torce sparse molto distanti tra loro,
quello sarebbe stato il luogo migliore per un sicario. Mordred ne aveva
abbastanza anche di paranoie per quella sera.
Proseguì, dirigendosi verso le sue stanze a grande
falcate, fin quando qualcosa non lo bloccò. Come un’oscura sensazione di
pericolo. Qualcuno lo seguiva!
Stavolta non era paranoia.
Aveva udito il fruscio di un mantello dietro di lui.
Fu un attimo. Con il cuore in gola, si schiacciò contro il muro buio,
attendendo il suo assassino. Ecco, ora sentiva bene i suoi passi leggeri. Ancora pochi passi e sarebbe stato lì…
Fu un movimento convulso. Uscì dall’angolo buio e afferrò il suo
assalitore, strattonandolo contro di sé, per bloccarlo.
«Maledetto…»
«Mordred!» urlò il suo sicario, con una voce che conosceva bene.
«Galahad?» si stupì,
guardandosi attorno. Oltre a lui non c’era nessuno: «Che ci fai qui?»
«Ti… Ti ho seguito» balbettò il biondo a disagio, stretto contro il torace
del principe.
Mordred lo trattenne, osservando da vicino il suo bel viso candido. Il
suo fiato gentile: «Eri tu che mi seguivi… Avrei dovuto sentire il tuo buon
profumo»
«Come?»
«Nulla» tagliò corto Mordred, distogliendo lo sguardo dalle sue rosse labbra
invitanti.
Il francese sorrise senza ribellarsi al suo abbraccio: «Volevo parlarti di prima. Dell’accordo…»
«Si?»
«Ecco io, ti ho trovato molto regale sai? Il
trattato di pace con gli Scoti e gli Jutisarà ricordato negli annali, principe Mordred» sorrise
orgoglioso.
Mordred si mosse a disagio. Nessuno gli aveva mai fatto simili
complimenti. E sinceri soprattutto, se venivano da Galahad.
Aprì la bocca ma gli uscì solo un borbottio: «Sarà storico solo se
rispettano il patto…»
«Credi che non lo faranno?»
l’altro sbatté gli occhi celesti. L’innocenza fatta persona.
«Dovrò insegnarti un po’ di
politica, se vuoi essere un vero reggente» commentò il moro.
«Ma hanno promesso. Hanno apposto le loro
firme!» giustificò il celta.
Mordred lo squadrò: «Sono nemici. Non gli
interesserà» tagliò corto il moro.
Entrambi rimasero in silenzio, perdendosi in cupi pensieri.
Erano lì, insieme, nella penombra del corridoio, ancora stretti nelle
braccia dell’altro. Non provavano alcun timore anzi, si stavano godendo quel momento
di privata solitudine.
Galahad alzò il viso per parlare e, fu in quel momento che vide una
figura balzare fuori da dietro un angolo.
«Muori bastardo!!» urlò il sicario, che
probabilmente non aveva visto Galahad, unito all’unica ombra di Mordred.
Un lampo di luce rossa del fuoco di una
torcia lontana, rifletté sul freddo metallo della lama di un pugnale che calava
verso il petto di Mordred.
«Nooo!»
gridò Galahad, dando un tremendo spintone al moro. Il principe volò
all’indietro, perdendo l’equilibrio, mentre il pugnale passava a pochi
millimetri dal suo viso.
Avvertì il pugnale tagliare l’aria mentre il figlio di Lancillotto
allungava il braccio sinistro verso l’assassino,
tentando di colpirlo al ventre con un pugno.
Il sicario dal volto celato da un elmo e dal buio, incespicò,
riuscendo però a scansarsi.
Tentò di distinguere ancora Mordred nel vano del castello ma, questi
intuì cosa stava pensando e si gettò verso la torcia più vicina. La staccò dal
supporto e la gettò contro la faccia di ferro del suo assalitore.
L’uomo urlò un imprecazione poi si voltò e se
la diede a gambe levate, lasciando cadere quello che aveva in mano.
Il pugnale rimbombò sul pavimento di pietra come un rintocco di
campana, mentre la torcia si spegneva sfrigolando.
Tutto fu buio e silenzio.
Appoggiato al solido muro del castello, Mordred ansimava in silenzio.
Nel buio udiva anche il respiro di Galahad.
Non aveva mai udito un suono più bello.
Tossicchiò, prendendo fiato per parlare ma il celta lo anticipò: «Stai
bene?» la voce curiosamente incrinata.
Mordred se la legò al cuore ma, rispose come sempre brusco: «Lo spero»
Silenzio. Poi osò: «E tu?»
«…Credo che mi abbia tagliato di striscio»
«Cosa?!» strillò il moro, andando a tentoni
verso di lui. Lo trovò nel buio, balbettando parole. «E’ grave?»
«No. No»
«Ma può esserci del veleno! Dobbiamo pulirla»
Sorpreso Galahad si sentì afferrare la mano e
trascinare verso una luce. Giunti sotto a una torcia, il francese vice Mordred
chinarsi sul suo braccio. Sulla stoffa strappata e poi posare
la bocca sulla sua ferita.
E Galahad s’irrigidì a quel contatto; poi si sentì avvampare al tocco
della lingua di Mordred sulla sua pelle. Fu come se il principe risucchiasse
anche la sua anima insieme al suo sangue.
Che Iddio lo proteggesse…
Ondeggiò, andando ad appoggiarsi al muro.
Subito Mordred lo sostenne: «Stai male?»
«Solo spavento» mentì. Come se non avesse avuto il coraggio di
affrontare mostri, draghi e cavalieri nemici, nella sua vita.
Mentì. Cosa che non aveva mai fatto.
Allungando la mano toccò i serici capelli neri di Mordred. Non aveva
mai visto capelli così neri; così belli come quelli di Mordred.
Non avrebbe mai smesso di accarezzarli, se fosse stato possibile.
«Ti porto in camera. Appoggiati a me» ordinò il moro, stringendogli la ferita per farla smettere
di sanguinare.
Stretti l’uno all’altro, i due si avviarono di nuovo nel buio.
Seduto sul grande letto dei re
Artù, Galahad osservò le mani di Mordred che lo curavano con attenta solerzia.
In silenzio.
Gli aveva lavato e scrutato, a lungo, il leggero taglio su braccio,
tenendo delicatamente le sue dita attorno alla sua pelle.
Senza una parola l’aveva poi bendato con cura.
«Dovrebbe svanire la cicatrice ma, domani lo
mostreremo a mia zia Morgana. Lei saprà fare meglio di me. Ti metterà qualche
unguento» spiegò.
Galahad gli sbirciò il viso chino sul braccio. Era così serio e
concentrato da fargli tremare il cuore. La sua pelle, sulnaso, mostrava lievi tracce di
efelidi, visibili solo da molto vicino.
Le sue dita ruvide si muovevano sulla sua pelle col
tocco di delicati brividi.
«Pensi che tornerà?»
«Non stanotte» rispose Mordred con distacco, intuendo a cosa si
riferiva.
«Ma…
Voleva ucciderti!»
«Me o te»
Galahad si raddrizzò: «Uccidere me? Perché?»
«Siamo i reggenti di Camelot. Niente Noi,
niente tavola rotonda»
L’altro non parve convinto: «Ma… Io non ho nessun nemico»
«Io
molti. Per questo ora te ne posso regalare uno dei miei»
commentò Mordred sarcastico.
«Non capisco»
«Mia madre… Vuole ucciderti» la frase gli scivolò fuori di bocca come
un sasso smosso che apre una falla in una diga.
La verità.
Curioso, non era così difficile dirla.
Il celta scosse il capo perplesso: «Perché?»
«Ma
non capisci? Senza di te potrei avere il trono solo per me. O meglio, lei
vorrebbe così perché, vuole manipolarmi come una
marionetta per il suo tornaconto. L’ha sempre fatto! Mi ha tenuto in vita solo
per quel motivo» Mordred strinse le labbra, fissando il fuoco acceso nel
caminetto (Stavolta Kay se n’era ricordato!).
Lingue di fuoco danzavano di riflesso sul suo viso rosso.
Galahad lo vide bruciare nelle sue pupille.
Allungò una mano e la posò sul suo braccio: «Cosa
possiamo fare? Quello di prima voleva uccidere te quindi, non era
inviato da tua madre»
Mordred annuì, cupo: «Doveva essere uno straniero»
«Dall’accento che ha usato vero?... Si, temo
anch’io. Uno juto, forse»
ponderò Galahad, racimolando i ricordi dell’aggressione.
«Forse ma, senza prove certe non possiamo
accusarli di nulla. Maledette regole!» borbottò il
principe. Ora capiva come doveva essersi sentito suo padre di fronte al
tradimento della sua regina con il suo fedele Lancillotto.
Come avere le mani legate.
Sbirciò Galahad. Chissà come avrebbe reagito se avesse trovato il
ragazzino a letto con qualcun altro. Non lui, qualcun altro, con cui stava
facendo sesso sfrenato (a parte che era impossibile!)…
Probabilmente li avrebbe sbudellati entrambi nel impeto
della loro passione, si disse soavemente, mostrando un sorriso simile al
ringhio di un lupo.
(Ma questa non era, certamente gelosia)
Galahad lo riscosse, scoppiando in una risata gentile: «Non credevo
che proprio tu mi dicessi di rispettare la legge!»
«Ehi?
Ma che idea ti sei fatto di me?!» sbottò il moro,
falsamente indignato.
(Il sorriso di Galahad avrebbe rasserenato anche un indemoniato,
figuriamoci una sua risata allegra)
«Oh
scusa… E’ che parlando di un sicario non so se averne pietà. Dio perdona solo i
nobili di cuore…»
«Allora io sarei bello che
fritto» bofonchiò l’altro.
«Come?»
«Nulla. Solo che se attacchiamo senza prove
avremo una guerra, e addio trattato e regno… Non ce lo
possiamo permettere, Galahad. Via! Usa quel tuo cervello dentro la tua bella
testolina» spiegò il principe accondiscendente, picchiettandogli un dito sulla
fronte: «Non dovrò mica spiegarti tutto io?»
Il francese annuì: «Hai ragione… Quindi…»
«E’ meglio puntare a come
risolvere il problema Morgause, per ora»
Seduti l’uno accanto all’altro sul grande letto, i due rifletterono in
silenzio.
La stanza era illuminata dal fuoco nel camino e da un paio di candele
per la notte.
«Che fece tuo padre per placare
la regina?» chiese Galahad a un certo punto.
«La diede in sposa a re Lot,
un suo alleato ma, finì per trovarsi due serpi (più me) in seno. Lot era ambizioso quanto lei»
«Quindi, dovresti darla in
sposa a qualcuno senza troppe ambizioni…»
Mordred rise: «Vuoi sposare mia madre?»
Galahad era l’unica persona che non avesse simili peccati. L’idea però
lo agghiacciava.
«Preferirei evitare!» esclamò
il biondo; poi però si affrettò ad aggiungere:
«Naturalmente senza offesa»
Mordred piegò le labbra in un sorrisino distratto: «Tranquillo.
Al massimo la farei sposare a Bors!» e come avesse detto qualcosa di estremamente divertente, Mordred scoppiò a ridere piegandosi
in due per quell’idea perversa.
Galahad corrucciò le labbra: «Mordred… Non è cosa da ridere»
“Sulla tua vita davvero no”
pensò Mordred, tornando serio, asciugandosi gli occhi.
Galahad era l’unica persona che aveva rischiato la vita per lui, senza
voler nulla in cambio. Era l’unica persona a cui
poteva confidare i suoi pensieri, senza avere il timore di venir pugnalato alle
spalle, durante la notte.
«Mordred» lo richiamò l’altro: «Se vuoi il trono io… Te lo posso lasciare serenamente. Non
m’interessano queste cose, lo sai» mormorò guardandosi
le mani.
«No!» dichiarò il principe,
stupendo anche se stesso: «Non m’interessa avere uno
pseudo diritto al trono. E inoltre mia madre non mi lascerebbe in pace lo
stesso…»
Avrebbe lasciato in pace Galahad forse, se l’avesse lasciato andare
ma, quell’opportunità non voleva neppure calcolarla. Massaggiandosi il collo,
bisbigliò: «Forse dovrei farla uccidere…»
«Mordred!» urlò Galahad
stridulo, guardandolo scioccato, e lui rise come un
pazzo.
«Sta tranquillo. Io non sono come lei.
Troveremo un modo per evitarlo (Forse)» e mostrò un
ghigno poco rassicurante, stendendosi accanto a lui.
Galahad lo sentì posare la testa vicino a lui.
I suoi morbidi capelli neri sparsi sul cuscino.
Erano così belli..
Lentamente Galahad allungò la mano e affondò le dita tra i suoi
capelli, accarezzandogli piano la testa.
I suoi occhi scuri lo scrutarono ma, non chiese che smettesse. Anzi,
lievemente sorrise echiuse
gli occhi, lasciandosi cullare nel sonno dal tocco dell’unica persona di cui si
fidava.
«Ferire
Galahad? Ma come avete osato?! Voi dovevate solo
uccidere Mordred!» strillò l’uomo incappucciato, muovendosi in uno dei cortili
bui del castello di Camelot.
«E’
stato un errore. Nel buio non l’avevo visto, aggrappato com’era al principe» si giustificò l’altro.
«Galahad non era aggrappato a
nessuno!» urlò ancora il primo, agitando le braccia come un disperato, nel suo
domino nero.
D’improvviso si voltò, mostrando i pugni: «Basta
così! L’accordo è rotto!»
Il sicario lo contraddisse: «Non credo proprio ser, a
meno che non vogliate che tutti conoscano il nostro piccolo patto…»
L’altro uomo impallidì, scrutandolo nel buio.
I suoi compagni lo circondarono come a proteggerlo: «Non avete alcuna
prova» sibilò duro.
«Solo la vostra parola contro quella di un cavaliere della tavola rotonda» rispose
l’altro, battendosi un pugno sul petto.
Lo juto si gettò il mantello sulla schiena
con un gesto plateale: «Pensate come volete ma
l’accordo con il mio re vale ancora. A meno che non
vogliate che muoiano due reggenti al posto di uno?» ironizzò. Quindi s’inchinò con un gesto plateale: «Cavaliere» e se ne
andò lasciando gli altri nel buio.
Il francese chinò il capo e serrò le mani in una preghiera: «Che ho
fatto… Dio mio proteggilo!»
***
Mordred si svegliò tra le
braccia di Galahad. Il giovane francese aveva finito per porsi ancora a sua
protezione. Probabilmente lo faceva inconsciamente, e l’avrebbe fatto per chiunque ma, in lui accendeva la speranza. Sorvolando
sulle reazioni che creava nel suo corpo.
Per non pensarci, decise che doveva proprio darsi da
fare quella mattina.
Scivolò fuori dalle sue braccia a malincuore e si vestì velocemente,
senza svegliarlo.
Quando uscì dalle sue stanze, sapeva esattamente cosa doveva fare.
Impose alle guardie alla porta di vegliare con estrema cura su
Galahad. Ordinando loro, pena la morte, di non fare
entrare nessuno nella loro camera.
Ottenuto il loro amabile assenso (sapeva come spaventare la gente), il
principe andò in cerca di Bedivere. Aveva bisogno di conoscere le intenzioni
del maresciallo e del siniscalco del regno.
Trovò i due seduti a far colazioni nella sala rotonda.
I due lo videro ma non si alzarono.
Ancora non gli tributavano il rispetto che avevano
dato a suo padre.
«Signori.
Vi devo parlare» esordì Mordred con voce decisa,
fermandosi davanti a loro.
«Parla, Mordred» rispose Bedivere, indicandogli di sedersi. Come fosse
una concessione.
Il maresciallo fece cenno alle guardie della sala di bloccare
l’ingresso agli altri cavalieri mentre parlavano.
Il principe ignorò le offese e si piegò verso di loro: «Stanotte hanno
attentato alla mia vita»
«Cosa?!
Quando?» domandò Bedivere, allarmato.
«Non c’è poi da stupirsi» commentò invece Kay: «Non
sei mai stato amato. Comunque, il problema non sussiste. Sei sopravvissuto»
«Il
problema invece c’è, eccome. Ed è che è successo proprio nel luogo più sacro
del regno, Kay hir» gli fece notare Bedivere, picchiando un dito sul tavolo:
«Sotto le mie guardie!»
Mordred storse la bocca. Parlavano come non fosse stata a rischio la
sua vita. «Sono vivo solo per merito del braccio saldo di Galahad»
Kay e Bedivere si guardarono: «Dovreste ringraziarlo allora»
«In ogni istante della mia
giornata»
I due fedeli cavalieri si scrutarono ancora mentre lui proseguiva:
«Ora vorrei sapere da voi due se io e Galahad avremo un regno su cui governare
oppure se si tireranno indietro tutti»
Bedivere ascoltò le sue parole poi rispose onestamente: «Dipende da voi due»
Il principe inarcò un sopracciglio e decise che era meglio sedersi.
Il fedele Bedivere proseguì: «Il trattato è
stato un buon inizio, e anche l’avere il sostegno di Galehaut. Abbiamo saputo
che tuo fratello Gawain ti sta aiutando, mettendo delle buone parole con tutti
i cavalieri. Specialmente con Galehaut»
Mordred si osservò le mani: «Lo so che se non
fosse stato per Gawain non avremmo neanche quello straccio di patto. Nessuno dei
cavalieri l’avrebbe mai stretto con il detestato figlio della strega»
Kay si agitò sulla sedia. Non era abituato all’autoironia di Mordred.
«Certo non sei Artù…» iniziò: «Ma tu e il galletto non vi state poi comportando
così male» ammise a malincuore. Bedivere fu d’accordo con lui.
Mordred si raddrizzò fieramente e li scrutò: «Verità
per verità, voglio sapere perché mi avete sostenuto, voi due e mia zia Morgana.
Perché mi avete concesso il trono, seppure con Galahad ma, perché?»
Il maresciallo parlò per entrambi: «Ragazzino… Tu sei l’unico
discendente di Artù» iniziò: « E malgrado le voci sui
trucchi di tua madre, tu non c’entri nulla con lei, e meriti una possibilità»
«Sempre se riesci a tenerlalontana dal trono, quella serpe» sottolineò
Kay, con un gesto della mano.
Nessuno dei due disse esattamente la motivazione profonda che li aveva
spinti ad appoggiare la scelta di Morgana la fey.
Bedivere non nominò i favorucci che aveva
chiesto a Morgana. Come certi unguenti magici che usava
solo in occasioni speciali.
E Kay non parlò della sua depressione causata dalla fuga di Artù con
Lancillotto.
Comunque i tre si guardarono e Mordred disse una cosa che non si
sarebbe mai sognato di fare prima di conoscere Galahad… «Mia
madre è un grosso problema. Sono qui anche per questo. Per chiedervi aiuto.
Lei… Vuole uccidere Galahad»
Kay saltò in piedi e fece per mettere mano alla spada: «Il figlio di Lancillotto? Come osa?!»
Bedivere lo fermò con un cenno: «E’ un’accusa grave quella che muoviragazzino. Ne sei
sicuro?»
«Come
il mio respiro. Me l’ha proposto lei di uccidere Galahad così che io prenda il
trono»
I due cavalieri restarono senza parole.
Kay si alterò e si sporse verso il moro, minacciandolo col dito: «Se è per te, perché vieni a dircelo? Cosa ci guadagni? Cosa
c’è sotto?»
«Non
riuscirei a mantenere il trono in questo modo. Non con il sospetto dei
cavalieri. Inoltre…» e lo disse come lo schiocco di un colpo di frusta: «Non
voglio perdere Galahad. E’… Un amico fedele. Come non credevo di averne mai.
Non voglio muoia»
Due paia di occhi sgranati lo fissarono increduli.
Bedivere si appoggiò allo schienale del suo seggio, sospirando.
Un amico fedele, conosceva qualcuno che rispondeva a quello stesso
termine.
Kay invece scoppiò a ridere: «Sta a vedere
che ti sei innamorato davvero di lui come hai quasi dichiarato ieri sera!»
Mordred lo fulminò con lo sguardo ma non fuggì dai loro occhi.
I due rimasero di sasso.
Lentamente Kay sprofondò nel seggio. Cercò lo sguardo di Bedivere e il
compagno gli posò una mano sul braccio.
Meglio parlasse lui.
«Perché ci hai detto queste
cose, Mordred?»
Il principe si sporse sul tavolo: «Tu e Kay
mi avete dato il vostro appoggio come reggente. E ve ne ringrazio ma, senza il
vostro aiuto non potrò andare avanti. Il regno non potrà andare avanti senza il
vostro lavoro determinato. Dovete aiutarmi. Se non per me, almeno per
proteggere Galahad»
Il connestabile di Camelot tacque a lungo
come valutando la sua proposta.
Poteva aiutarlo o destituirlo e aiutare
qualcun altro ma, avrebbero dovuto lavorare insieme per far funzionare l’impero
di Artù.
Infine si rammentò una cosa: «Sai cosa fece tuo padre appena estratta
la spada nella roccia, Mordred?»
Il principe scosse il capo, muto.
«Ebbene lui si ritirò con noi due, me e Kay,
in una stanza e chiese il nostro sostegno. Non è vero Kay?»
Kay hir annuì, sorridendo divertito: «Decisamente.
E diavolo, se la faceva sotto dalla paura!»
Bedivere sorvolò su quel commento: «Temeva che senza la coalizione di tutti i suoi cavalieri fedeli, si sarebbe
scatenata una guerra fratricida. Ma non successe proprio perché lui cercò la
parola di tutti»
Il maresciallo diede una pacca sulla spalla a Mordred: «Proprio come
stati facendo tu ora»
«Temevamo non avresti avuto il
coraggio di farlo sai» rise Kay, dando una sorsata al vino, come in un
brindisi.
«Avrai
tutto il nostro aiuto. Chiedi e ti sarà dato» commentò
Bedivere muovendo una mano come fosse un missionario, mentre il rosso rideva.
«Metterò uomini fidati a guardia di Galahad»
«Ottimo! Ma niente
francesi. Non si fidano di me e io di loro»
Kay rise ancora: «E come dargli torto?»
Mordred storse la bocca: «E sarebbe meglio avere degli uomini di ferro,
o mia madre se li mangerà in un boccone»
«Uhm… Allora sarà meglio che ne
occupiamo noi allora eh, mio vecchio fedele mastino?» commentò Kay, dando una
gomitata a Bedivere.
L’altro grugnì: «Per il figlio di Artù si può
anche fare. Come hai vecchi tempi eh, mio vecchio gattaccio rognoso?»
Davanti al sorriso dei due più vecchi compagni di re Artù, suo padre,
anche Mordred si trovò ad accennare un lieve sorriso. Un sorriso grato.
«Sono felice che hai sistemato i tuoi
rapporti con ser Bedivere e ser Kay ma, non c’è bisogno della loro protezione.
So difendermi da solo, Mordred» commentò Galahad, seguendo il principe lungo i
corridoi di Camelot.
«Non da mia madre» ribatté lui chiaro:
«Lei non ti attaccherebbe mai direttamente. Vuole che
appaia come un incidente o magari una malattia»
Il celta si scostò una ciocca di capelli biondi dal viso, perplesso: «E’ per questo che stiamo andando da tua zia Morgana la fey ora?»
«Questo e per la tua ferita»
rispose Mordred, proseguendo a camminare seguito dal figlio di Lancillotto.
Erano ormai giunti agli appartamenti di morgana, quando il celta aggiunse: «Ma non serve sai. Non sanguina più»
e agitò il braccio sinistro che celava la benda.
«Meglio essere sicuri» tagliò corto l’altro.
Un sorriso felice si dipinse sul volto del più giovane. Non voleva
sperare troppo ma, era lieto che il figlio di Artù fosse così premuroso con
lui. Ne era stupidamente lieto. Così, invece di tentare di rassicurarlo ancora,
si godette quella sensazione.
Ultimamente faceva pensieri strani e si addormentava (con Mordred),
senza aver detto le sue preghiere.
L’avrebbero battuto al convento, e messo in penitenza. E persino suo
nonno si sarebbe molto adirato se avesse saputo che stava per entrare nelle stanza riservate di una famosa strega. Sarebbe come
minimo svenuto alla notizia.
Chissà come sarebbe stato il suo antro magico? Avrebbe avuto teschi di
cavalieri e calici gocciolanti sangue, in bella mostra?
Si chiese, preoccupato, mentre Mordred si faceva annunciare dalle
ancelle della fata.
«Ci riceverà anche senza dei
doni?» chiese Galahad un poco allarmato.
Le streghe non andavano blandite con regali?
Mordred lo fissò: «Certo» rispose stupito: «E’ mia zia, malgrado tutto»
Galahad parve titubare e cominciò a pensare se la donna avrebbe chiesto loro del sangue come tributo (si sapeva che
il sangue era molto importante nei riti pagani…), quando le ancelle li fecero
accomodare.
Malgrado quello che si era immaginato, non era minimamente preparato
di fronte a quello che vide. E restò senza fiato.
Tendine.
Tendine rosa ornate di pizzo e volant,
decoravano ogni finestra e angolo degli appartamenti di Morgana. Per non parlare poi dei fiori freschi e arazzi con rappresentata la
vita della regina Ginevra nei suoi momenti più gloriosi. Come quando
conobbe Morgana; quando ballò con Artù la prima volta – E Morgana li guardava;
quando la regina incontrava la fata, mentre quest’ultima teneva prigioniero
Lancillotto in una torre (e Artù e Gawain lo cercavano disperatamente).
Tanti bei momenti insomma.
La fata li accolse nei suoi appartamenti con un ironica
riverenza: «Principe Mordred, ser Galahad, cosa vi conduce alla mia porta?» e
sorrise ambigua.
«Benvenuti miei cari, venite miei buoni reggenti» salutò anche la regina Ginevra,
seduta davanti a una finestra, intenta a ricamare come una qualsiasi dama.
«Milady» salutò Galahad con un
cortese inchino. Mordred tagliò corto: «Non fare finta di niente zia, tu sai
benissimo cosa mi conduce qui»
Lei agitò in aria le mani con noncuranza: «Davvero?
Cosa c’è? Forse ti lamenti del trono?»
Ginevra s’intromise, dicendo: «Perdonate questo disordine ma io e Morgana stavamo rinnovando il look di queste nostre
stanza. Come le trovate ser Galahad?»
Lui tossicchiò per non rispondere ma, fu Mordred a toglierlo
dall’imbarazzo: «Zia! Vorrei sapere perché ci avete
dato la reggenza. Perché è stata una vostra idea, vero?»
La fata imbronciò la bocca rossa in una
espressione falsamente scandalizzata: «Io?! Con tanti pronti e astuti
cavalieri, io dovrei aver organizzato tutto?» e rise apertamente: «Che dici
nipote mio?» e si voltò verso la regina. Questa smise
di ricamare e le sorrise.
«Credo che Morgana stia
semplicemente cercando di esaudire i desideri di tutti noi, non è vero cara?»
La figlia di Avalon si sporse verso di lei e le sistemò una ciocca
bionda dietro una orecchia, senza rispondere.
Ginevra proseguì, davanti allo sguardo scettico di Mordred: «Artù si sentiva prigioniero della sua corona, e Lancillotto
del suo ruolo di cavalieri perfetto. Così Morgana ha smosso le acque e il
tradimento le ha risistemate»
Il principe sghignazzò: «Se si può dire che un tradimento sistemi le
cose…»
Morgana si voltò con un turbine di seta rossa e gli puntò contro un
dito, irata: «Proprio tu parli, deridi il tradimento,
Mordred? Proprio tu che sai che a volte si è costretti
a tradire…»
Punto sul vivo il moro si ritrasse, incassando la testa fra le spalle,
come sotto a un incantesimo.
Ginevra continuò a parlare, come se la sua bocca fosse quella della
profetessa: «Il tradimento di Lancillotto ha concesso
la libertà a tutti. A te il trono, a me… La gioia» e
arrossì tornando a ricamare.
“Come se Lancillotto avesse
tradito da solo” pensò Mordred e rimase a fissare Morgana con il volto
corrucciato di un bambino insoddisfatto.
Galahad guardò l’uno e l’altra e decise che, o anche Mordred era una
strega o non lo era nessuno dei due. Così si mosse: «Signora fata allora, se
avete fatto cose buone, vi ringraziamo. In special modo se dite che ora mio padre e Artù sono felici»
Morgana lo studiò con gli stessi occhi scuri di Mordred ma, di un
colore più dorato. Infine sorrise: «Lo sono, caro e dolce fanciullo.
Forse anche la tua vita sarà più felice se avrai un'altra strada. Se avrai il
trono con Mordred»
«Ma io
sono felice, signora» mormorò lui, perplesso, mentre la fata tornava a guardare
il nipote. «Stolto! Io ti dono la gioia e tu osi
venire a protestare come se non vedessi i tuoi desideri»
Mordred, sentendo su di sé lo sguardo pensieroso di Galahad, si
raddrizzò nella sua fierezza e ribatté: «Che dici,
zia? Io non ti capisco»
Morgana lo fissò. E lo fissò ancora, come un ragno che fissa una mosca nella sua tela. Pronto a mangiarla. Allungò
le mani poi d’improvviso sbuffò: «Sciocco ragazzo! Non
li vedi davvero!? Girati, guarda là, nello specchio
dietro di te»
Temendo qualche incantesimo, Mordred si voltò lentamente mentre lei
gli si avvicinava.
«Che vedi?»
Il venticinquenne vide soltanto se stesso nella lastra d’argento. Nella stessa stanza e con la catena di reggente al collo.
«Vedo solo me stesso» mormorò.
«Guarda ancora» insistè la fata: «Perché anche in te c’è il sangue di
Avalon e dovresti poter vedere»
Timoroso Mordred si concentrò di più e l’immagine nello specchio gli
parve tremolare.
Nello stesso istante Morgana scivolò accanto a Galahad e, con un
movimento disinvolto tolse uno spillone dagli aghi di Ginevra, e lo punse sul
fondoschiena.
Galahad sobbalzò, scartando di lato come un cavallo punto da un
tafano, e volò addosso a Mordred con un grido.
D’istinto Mordred lo afferrò, stringendolo a sé, prima che rovinassero
entrambi a terra.
«Zia!» urlò: «Che diavolo stai facendo?»
Serafica e soddisfatta la bella donna dai lunghi capelli neri sorrise,
e disse soltanto: «Che vedi ora nello specchio?»
Mordred non si sarebbe mai più scordato il cerchio dorato che vide sulle loro testa riflesse nello specchio. Ma
quello che più contava era il ragazzo che teneva stretto tra le sue braccia.
Galahad sorrideva imbarazzato: «Grazie… Mi… Mi ha punto qualcosa»
mormorò arrossendo sotto lo sguardo del moro, acceso da un qualche profondo
sentimento.
«Stai bene ora?» ansimò.
«Si… Se non fosse per te sarei caduto»
mormorò, stringendolo di più per non voler lasciare la sua presa. Di giorno era
caldo come di notte.
Mordred alzò la testa vero Morgana e vide che
la zia lo guardava, consapevole. Come se avesse sempre saputo tutto.
«Ti serve qualcos’altro, nipote?»
«Una… Una crema per Galahad»
bisbigliò lui con un filo di voce. Turbato.
Morgana batté le mani e rise come una bambina: «Che
tipo di crema? Come quella per Bedivere?»
Capitolo 19 *** CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE ***
CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE
CAPITOLO
19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE
I due reggenti erano talmente presi a commentare il loro incontro con
la fata Morgana che, per accorciare la strada verso i loro appartamenti, si
diressero verso la sala delle armi.
Era proprio in quel luogo dove più si radunavano i cavalieri di tutte
le fazioni per allenarsi e farsi ammirare dalle dame della corte.
Appena misero piede nella sala, un silenzio misto di stupore li
accolse. Nessuno se li aspettava ma, poi ci fu un grido da fondo sala: «Viva i
reggenti!» gridò una voce di donna.
Alcuni cavalieri si unirono al coro, mentre i francesi si buttarono
verso Galahad. Il primo fra tutti, ser Bors si inginocchiò davanti al diciassettenne,
stringendogli le mani tra le sue. «Galahad… Caro santo» pregò, baciandogli i
dorsi.
Il figlio di Lancillotto arrossì: «Ser Bors per favore alzatevi» e
lanciò un’occhiata a Mordred. «Non c’è bisogno»
Il principe aveva ripreso il solito atteggiamento altero e
infastidito, di fronte agli altri.
«Si che c’è bisogno. Mi hanno
detto che siete stato ferito» spiegò Bors, venerante.
Un mormorio sconvolto scosse la sala. Mordred inchiodò lo sguardo sul
viso di Bors: «Come lo sapete?» ringhiò a denti stretti.
Bors parve riscuotersi dalla sua idolatria e balbettò qualche parola
appena sussurrata.
Fu una voce di donna che si levò dal gruppo celta. «Sono stata io»
sorrise la bella regina dalla chioma fulva come quella di Gawain.
Mordred la fissò sconvolto. «Madre…» mormorò sbalordito.Che ci faceva sua madre in mezzo ai cavalieri
galli?
Morgause gli sorrise e si mosse a braccetto di un giovane cavaliere
francese, come una fanciulla illibata.
Il fratello di ser Percival se non sbagliava.
«Madre… Come fate a…»
«Saperlo?» rise Morgause: «Non sapete, principe che in una corte anche
i muri hanno orecchie e… Occhi?» e ammiccò voltandosi verso i giovani
cavalieri, come se fossero la sua scorta d’onore.
Questi la seguirono come cani fedeli, mentre si spostava lungo la
grande sala delle armi.
Rimasto solo, Bors si affrettò a evitare lo sguardo truce di Mordred
e, dando un ultimo caro bacio alle dita di Galahad, se la svignò dietro ai
suoi.
Il figlio di Lancillotto e di Elaine di Corbenic, cercò lo sguardo
dell’altro reggente e vide che Mordred era spaesato quanto lui.
Fu la volta di Gawain e i due gemelli ad avvicinarsi al fratello
(stranamente seguito anche da Galehaut)
«Che sta combinando nostra madre?» sibilò Gaheris duro, scrutando la
madre seduta tra i celti.
«Niente di buono, se la conosciamo almeno un po’» ribatté Mordred
perplesso.
Come faceva sua madre a sapere dell’aggressione a lui, e della ferita
di Galahad? Che non le servisse più? Che avesse deciso di farlo fuori e
manipolare lei stessa Galahad?
No, impossibile. Il suo francesino era ingenuo si ma, non così tanto
dafarsi abbindolare da una strega. E
poi non avrebbe mai commesso delle cattiverie. Neppure per una donna, pensò
Mordred sicuro.
«Non mi piace» borbottò
Gaheris, dando voce al pensiero di tutti i suoi fratelli.
Mordred annuì e stava per aggiungere qualcosa quando vide un altro
gruppo di cavalieri venire a dividere il suo biondo reggente da lui. Stavolta
erano i gallesi.
Tutti sembravano ammirarlo e volerlo conoscere.
Tirando la bocca, lo seguì con lo sguardo.
«Oh ma per favore!» commentò la
voce acida di Agravain, da dietro di lui.
Mordred inarcò un sopracciglio, voltandosi.
Agravain non attese altro per parlare: «Non dirmi che vorresti anche
seguirlo ora, vero? Non ti sei già reso abbastanza ridicolo ieri sera con quel
brindisi?»
Il volto di Mordred s’incupì e divenne ancora più scuro alle parole
successive. «Non penserai mica che un santarellino come quello possa davvero
amare Mordred? Non farai gli stessi errori di tuo padre con
Lancillotto vero? Si è fidato di un celta che piaceva a tutti ed ecco che è
scomparso, perdendo tutto»
Mordred alzò il mento, fissando il vuoto davanti a sé. Non avrebbe mai
detto al fratello che poteva aver ragion.
Agravain allora gli sibilò nell’orecchio: «Egli è gentile con tutti»
Quelle parole lo punsero sul vivo.
Come trapassato da uno spillone al cuore, così che stillasse
silenzioso sangue.
Fulminò Agravain poi si voltò e, senza dire una parola, lasciò la sala
delle armi.
Che si godessero il loro santo.
***
I corridoi che aveva appena
percorso, in un attimo con Galahad al fianco, ora gli apparivano interminabili
mentre avanzava soprappensiero.
Nessuno lo fermò o gli chiese dove andasse. Era il reggente di
Britannia principe di Camelot, solo perché c’era Galahad al suo fianco.
Come dire che il popolo avrebbe scelto Artù come re, solo se avesse
avuto Lancillotto al fianco. Assurdo. Impensabile.
Ma doveva accettare la verità, era una frana come reggente. La gente
non l’aveva mai amato. Senza di lui, Galahad avrebbe governato senza problemi.
E senza agguati.
Sua madre sarebbe tornata alle Orcadi e tutti sarebbero stati felici e
contenti.
Forse Artù non aveva poi così sbagliato a non dichiararlo principe
ereditario. Molti meno problemi.
Bastava solo ritirarsi e lasciare tutto a Galahad. Non ci sarebbero
state fazioni. Il santo l’avrebbero seguito tutti.
Come sempre quando era di umor nero, scivolò fuori dalle cucine del
castello e per giungere nei canili.
Senza Artù, sembrava che quella zona fosse diventata poco frequentata,
ed egli trovò i suoi tre bracchi accucciati nel solito bel recinto.
Appena lo video i cani guairono di gioia e abbaiarono, e lui sorrise.
Tra tutti solo i cani gli dimostravano sempre le loro vere emozioni. La gioia
nel vederlo.
Si accucciò tra loro e si godette le feste gioiose che gli animali gli
tributavano. Mentre gli leccavano il viso e le mani, Mordred si accorse della
presenza di un altro cane che lo fissava da un angolo.
Era un vecchio segugio dal pelo ambrato e le orecchie lunghe.
L’animale lo studiava con diffidenza, con i suoi occhi bruni, acuti e vivi.
Sapeva di chi era quel cane. L’aveva visto almeno un migliaio di volte
accucciato sopra i piedi di re Artù. Era Caball, il cane di suo padre.
Non sapeva come ma, i guardiani dovevano averlo infilato con i suoi
per disattenzione. O poco rispetto. (Li avrebbe fatti fustigare!)
Comunque, quel caneera lì, e
lo scrutava.
Lentamente allungò una mano e, senza una parola, gli fece cenno di
avvicinarsi.
Il cane non era convinto ma, quando lui mosse le dita, simulando di
avere un biscotto, lentamente Caball si alzò e gli trotterellò incontro.
Era un vecchio cane, vecchio quanto suo padre pensò, ma aveva ancora
lo stesso aspetto autoritario. Si fece largo tra i suoi bracchi e si fermò a
meno di un passo da lui, come soppesandolo con i suoi occhi intelligenti.
Mordred intuì che aveva capito che mentiva perciò allargò la mano e
gli mostrò il palmo aperto. Sottomesso. Caball allungò il muso e lo annusò.
Odorò le sue dita e poi la mano intera; infine, soddisfatto, si lasciò
tranquillamente cadere accanto ai piedi di Mordred, ignorando le altre bestie.
Il giovane trattenne il fiato sotto lo sguardo del cane.
Forse, era uno stupido. Forse aveva paura solo di se stesso. Di quello
che gli altri dicevano di lui.
«Ha riconosciuto il tuo odore»
Lo fece sussultare una voce dietro di lui.
Impegnandosi a non crollare – poco principescamente – sul sedere,
Mordred si voltò a guardare dietro il cancello di legno.
«Che ci fai qui?» chiese, ricomponendo la sua espressione cupa.
Galahad sorrise e, con l’espressione più ingenua e deliziosa
possibile, affermò: «Quando ti ho visto andare via, sono fuggito» prese fiato:
«Non volevo restare là con tutta quella gente che pretende che li benedica come
un vescovo»
«Bors ti bacia anche le mani»
ricordò Mordred, non riuscendo a trattenersi. Guardò il francese mentre entrava
nel canile con lui.
I suoi bracchi traditori gli fecero subito festa. Anche loro già lo
amavano.
Si perché Galahad non lo si poteva non amare, intuì Mordred accarezzando
la testa di Caball. Il cane grugnì compiaciuto.
L’unico problema era se lui fosse capace di amare altri oltre il suo
Dio.
Tutti. Tutti lo amavano.
«E’ proprio un bel cane» sussurrò il biondo, inginocchiandosi accanto
a lui e Caball.
Mordred socchiuse gli occhi sul suo sguardo mentre il celta affondava
le dita nel pelo morbido del cane.
«E’ il cane di tuo padre vero?
Guarda il collare… Ha gli stemmi di Artù. Le tre corone impresse sul cuoio»
Mordred continuò a fissarlo.
«Ti vuole già bene, hai visto?
Ha riconosciuto in te lo stesso odore di tuo padre» sorrise: «Quello che c’era
nel letto»
«Il mio?»
Galahad annuì: «Certo. Quasi del tutto simile al tuo» e sorrise di un
sorriso tanto radioso da brillare.
Il moro ne fu tanto abbagliato da mormorare: «Vuoi la mia corona,
Galahad?»
Attesero un attimo nel silenzio, studiandosi; poi il diciassettenne
scosse il capo: «Non senza di te. Non senza di te al mio fianco, Mordred. Non
ce la farei»
Saresti bravissimo, come
sempre»
«No, non hai capito, Mordred. Io non lo voglio… Uscendo dalle stanze
di tua zia Morgana mi hai chiesto se avessi mai voluto qualcosa solo per me, un
desiderio, e io ti ho detto di no. Ora so bene cosa non vorrei, Mordred…»
Ripeteva il suo nome come se lo sciogliesse sulla lingua, e lui lo adorava.
«Cosa?» riuscì a sollecitare.
Il biondo abbassò lo sguardo sulle sue mani, sul braccio ferito,
nascosto dalla manica: «Non desidero stare su quel trono senza di te, al mio
fianco»
Capitolo 20 *** CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS ***
CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS
CAPITOLO
20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS
Mordred si raddrizzò bilanciandosi sui talloni e lo fissò a lungo. Lo
fissò trattenendo il fiato, mentre Galahad lo scrutava con i suoi occhi
limpidi. Lo scrutava mentre avvicinava il viso al suo.
Il naso scivolò sul naso. La pelle sulla pelle mentre Galahad
respirava sulla sua bocca.
«Io e te…» annuì Galahad, accarezzandogli i capelli neri. Adorava i
suoi capelli.
Caball sbuffò quando la mano di Galahad scorse lungo il profilo
dell’altro, tremante, poi scivolò dietro al collo di Mordred.
Il principe lo studiava da sotto le ciglia nere, senza un movimento.
In attesa, come per scoprire fin dove osava spingersi.
Delicatamente Galahad gli sfiorò le labbra con le sue. Unendo le loro
bocche in un casto bacio, leggero e tremante come un alito di vento
primaverile.
Mordred rimase immobile per qualche istante poi esplose.
Racchiudendo il volto del francese fra le sue mani lo obbligò a un
bacio più intimo ed appassionato.
Ansimò nella sua bocca quando si separarono, restando però
abbracciati.
Lui fece scorrere le mani sulle sue guance candide, per poi affondarle
nei suoi capelli, così dorati e soffici da sembrare onde di grano maturo.
«Galahad…» ansimò Mordred: «Galahad… Come sei finito qui, con me?»
domandò con la voce spezzata.
Galahad parve sorpreso: «Come?Ecco ho detto agli altri che avevo
bisogno del bagno…» mormorò in imbarazzo, lasciandosi accarezzare ancora.
Mordred alzò gli occhi nei suoi: «Hai anche mentito? Vuoi dire che santo
Galahad ha mentito per fuggire qui da me?» e scoppiò a ridere, crollando sul
suo petto.
«Non sono santo…» borbottò il
giovinetto.
«No, forse no. Forse hai scoperto che sei più uomo di quel che
vogliono farti essere» e rise ancora come un pazzo, abbracciandogli il torace
mentre l’altro arrossiva.
«Si… Temo che mi dovrò confessare» mormorò contrito.
«O per l’amor del tuo Dio, fai un conto unico alla fine e per ora
resta qui con me!»
Esclamò il moro, cercando ancora i suoi baci.
Galahad gli cinse le spalle e fece per rispondere alle sue richieste
quando una goccia di pioggia gli colpì il naso. Poi ne cadde un'altra e
un’altra ancora, trasformandosi in un temporale in piena regola.
Mordred balzò in piedi e prese per mano Galahad, tirandolo con sé.
«Diavolo come è suscettibile il tuo Dio! Non ti si può toccare un po’»
scherzò, correndo al castello dopo aver chiuso i cani al riparo.
«Ma veramente è solo pioggia»
commentò Galahad correndo dietro a lui. «Qui da voi il tempo è così instabile…»
Mordred rise, rovesciando indietro la testa: «Gia!» ghignò, bagnato
come un pulcino sotto il forte scroscio di pioggia.
Galahad pensò che forse teneva la mano a un pazzo ma, non era mai
stato così felice che qualcuno gli stringesse le mani.
***
I due entrarono di corsa nella loro stanza calda. Poi, ridendo, si
lanciarono verso la panca dove erano stipati i teli di lino per asciugarsi dopo
il bagno.
Li trassero fuori, spogliandosi e asciugandosi velocemente. Si
sfregarono a vicenda i capelli bagnati, ridendo come due bambini dopo una
marachella.
Galahad si rilassò tra le sue braccia mentre Mordred gli lasciava i
capelli biondi.
Di colpo il celta lo baciò e lo guardò cercando la sua complicità.
Mordred ricambiò il suo bacio. Poi un altro ancora e un altro, fin che
non lo sollevò e lo buttò di peso sul letto. Lui e il telo insieme.
Galahad rotolò sul letto ridendo come un bambino, mentre Mordred lo
afferrava per la calza braca e gliela sfilava nella loro, breve, gioiosa lotta.
Rimasto nudo, il ragazzino si rannicchiò dentro al suo telo,
fissandolo: «Che vuoi fare ora?»
«Credo che non mi scapperai
oggi. E allora si che dovrai confessarti, mio caro ragazzino» ghignò il moro, a
carponi sul letto.
Arrivò vicino a Galahad e gli baciò le spalle nude, abbassandogli il
telo che lo copriva.
«Cosa vuoi dire?» insisté il
francese: «Che peccato potremmo commettere?»
Mordred divorò la sua pelle con i suoi occhi brillanti, stendendolo
sotto di sé: «Nessun peccato. Eppure ti diranno che c’è stato perché io ti ho
sedotto…»
Galahad disegnò il profilo delle spalle del compagno mentre parlava.
La linea del suo collo esile. «Il Signore dice che non c’è peccato se c’è
l’amore»
«E lo stesso dice la Dea ma, i tuoi preti
chiederanno chi ti ha sedotto e reso impuro»
Perplesso l’altro lo guardò, sgranando i grandi occhi azzurri.
Mordred si morse un labbro e si maledì per l’idea che gli era venuta
in mente.
«Al diavolo! Tu hai rischiato il tuo corpo per il mio quindi, posso
anche donartelo (Ti avrei dato anche la mia corona!) per salvare la tua
preziosa anima»
«Io non capisco di che parli,
Mordred» dichiarò il diciassettenne accarezzandogli i capelli e il viso.
Mordred sbuffò e si piegò sul suo torace: «Lo vedrai tra poco… Ora
vediamo di farti scoprire qualche altro desiderio…» e il suo sorriso perfido
non rassicurò molto Galahad.
Un attimo dopo lui sentì la bocca dell’altro posarsi sul suo cuore,
sulla pelle nuda del suo torace, come a divorarlo. Le dita scivolargli lungo il
profilo dei suoi fianchi. La lingua eseguire curve armoniose sul suo ventre e
le labbra chiudersi sul suo collo e sui capezzoli.
Il suo corpo, seppure inesperto, reagì da solo, inarcandosi e protendendosi
verso quello del compagno.
Il principe ne sorrise soddisfatto.
«Cosa…» balbettò Galahad,
nascondendo il viso acceso dal piacere dietro le mani fredde.
«Un jeu mon cher ami» gli
sussurrò lui, mordicchiandogli le orecchie e togliendogli le mani dal viso.
Lo volevavedere mentre si
accendeva, per la prima volta, per il piacere che gli donava.
“Casto Galahad” pensò cercando un suo bacio: “Così puro…” poi gli posò
la mano all’altezza del suo petto, mentre si sfilava in qualche modo il resto
del suo vestiario.
Galahad riaprì gli occhi e lo guardò solo quando comprese cos’era il
forte tamburellare sotto le sue dita. Il cuore di Mordred che gli batteva forte
nel petto. Come il suo.
I due si guardarono poi, lui imitò il suo gesto. Prendendo la mano di
Mordred se la posò sul torace. Sorrise timidamente. Gli occhi brillanti, il
respiro accelerato fra le labbra tumide per i baci. Le guance rosse come pesche
vellutate.
Mordred ebbe voglia di mangiarle di baci.
Spinse la mano di Galahad, che tratteneva, giù, lungo il suo torace
muscoloso. Gli fece disegnare la linea del suo ventre mentre il francese
tratteneva il fiato.
«Un jeu…Qu’ils fassent tous les
chevaliers» bisbigliò, quando le dita di Galahad s’insinuarono tra i peli del
suo inguine.
Il fiato del compagno si bloccò quando comprese cosa stava toccando.
Un’eccitazione simile alla sua.
Chiuse gli occhi e voltò il capo sentendosi bruciare il viso, ma
Mordred non gli permise di isolarsi da lui.
Cercò ancora la sua bocca e gli impose la sua presenza. La lingua
varcò la soglia delle sue labbra, per scoprire il vellutato miele di quella del
compagno.
Il francese si riscosse e rispose al suo bacio, tornando a guardarlo.
Si aggrappò a lui, alle sue solide spalle, quando fur la mano
dell’altro a insinuarsi tra le sue cosce.
Un ghigno da lupo brillò tra i denti del principe quando comprese di
nonavere davanti che un ragazzo che lo
desiderava. Solo un ragazzino francese che lo desiderava. Il suo dannato
ragazzino.
Con le dita lo sfiorò e lo accarezzò, strappandogli gemiti di
sconosciuto piacere.
«Ma non è finita qui, mon beau
ami…» gli ansimò nell’alito caldo del desiderio: «Questo è solo l’inizio…»
Spingendolocontro i morbidi
materassi, salì a cavalcioni del suo ventre e lo fissò, penetrante.
«Solo perché sei tu, ragazzino, ricordalo» dichiarò mentre Galahad lo
scrutava perplesso tra le ciglia d’oro. Poi lo sentì.
Il suo corpo scivolò in quello del compagno, unendosi in un gemito
spezzato.
Mordred rimase piegato su di lui per qualche istante, il tempo di un
secondo. Il tempo che posasse le mani sulle sue braccia.
«Mord…?»
«Oh sta zitto!» ringhiò il figlio di Artù, e si mosse.
Galahad pensò di impazzire. Avvertì il sangue caldo scorrergli lungo
le vane e scendere lungo tutte le sue membra, fino al suo ventre. Unito al
corpo di Mordred.
Lui e il suo amico. Una sola cosa.
Ecco cosa siginificava… Una sola cosa che desiderava follemente.
Mordred agitò il bacino, muovendosi ancora e ancora, con spinte
ondulatorie. Il volto, stravolto da quella unione, era rosso e congestionato,
mentre i capelli gli cadevano come una cascata nera sugli occhi.
Glahad pensò che era bellissimo. Ancora più bello del solito. E si
mosse. O meglio il suo corpo denttò da solo i suoi ordini perentori.
Facendo forza sui muscoli delle natiche e delle cosce, si spinse in
alto, seguendo il corpo del compagno, praticamente seduto su di lui.
Mordred aprì la bocca, senza emettere un suono, tranne che un fiato
spezzato. Poi… Sorrise.
Di nuovo quel suo ghigno, come un lampo possessivo nei suoi occhi blu.
«Ti sei deciso…» disse, serrando i denti e poi ondeggiando ancora: «Fammi
vedere cosa sai fare… Cavallerizzo»
Non seppe perché ma Galahad raccolse la sua sfida. Scorrendogli le
mani sul torace liscio, scese alla vita e gli afferrò saldamente i fianchi aiutandolo
nel movimento. Obbligandolo al movimento che lui voleva. Quello che dava più
piacere a Mordred. Al suo Mordred.
Beh non era così difficile. Sembrava davvero cavalcare. Serrare i
muscoli delle cosce e seguire il movimento dell’animale…
Era lui l’animale o Mordred?
Gli venne da ridere e l’avrebbe fatto se avesse ancora avuto fiato.
Non era certo che il suo Mordred avrebbe apprezzato di essere chiamato
animale…
Nemmeno se paragonato a un essere nobile e libero come un cavallo. Uno
stallone nero e solitario nella brughiera, pensò, sentendolo sbuffare e
ansimare, senza però mai smettere di seguire il suo passo.
Quello era più un loro duello personale che altro. Lui non voleva
faraltro che perdersi tra le sue
braccia dopo avergli donato tutto il piacere possibile.
Piacere. Quello che aveva promesso Mordred e lui… non l’aveva mai
deluso, pensò, rovesciando indietro il capo mentre il respiro si spezzava in un
ultimo gemito sommesso.
Ricadde sui cuscini con i capelli bagnati di sudore e il corpo del
compagno che crollava sul suo. Madido ed esausto quanto lui.
Con l’ultima scintilla di forza, alzò il braccio e racchiuse lui e
Mordred sotto una calda coltre di lenzuola.
Lui e l’uomo con cui aveva condiviso il suo amore.
Galahad riaprì gli occhi strofinando il viso sul cuscino. In tutta la
sua vita non si era mai sentito così bene, così pienamente soddisfatto, felice,
come in quel momento.
Socchiuse gli occhi, facendo scivolare le dita lungo le costole del
compagno.
Mordred si spostò nel letto, rannicchiandosi contro di lui per
ripararsi dal freddo.
Con le tende del baldacchino tirare, non si capiva quanto tempo era
passato. Era giorno o il tempo del loro piacere era scivolato fra le braccia
vellutate della notte?
Non ne aveva idea ma, non voleva lasciare il caldo contatto del corpo
di Mordred. Da quando si era appisolato, lo teneva fra le braccia, come una
cosa preziosa da proteggere.
Prese a giocherellare con le sue ciocche nere, e quando lo sentì
mugugnare, chiese: «Mordred, sei sveglio?»
Galahad sorrise. Adorava persino la sua acidità. Voltandosi su un
fianco lo abbracciò: «Chissà che ore sono…»
«E chi se ne frega» borbottò la voce profonda ed assonnata del
principe, infilando la testa nell’incavo della sua spalla.
Galahad lo lasciò fare poi disse, agitandosi nel letto: «Ma non sarebbe
scortese se ci stessero aspettando…»
Stavolta Mordred alzò il capo scarmigliato dal sonno, e dalle loro
lotte, e gli piantò contro i suoi occhi indagatori: «Ragazzino, non dirmi che
non ti sei neppure sfiancato dopo quella bella sgroppata»
Galahad arrossì dalla testa ai piedi al modo volgare con cui definiva
il loro… Duello. Come l’aveva chiamato Mordred?
Ah si, jeu. Gioco.
«Dovrò farti galoppare parecchio
allora per domarti» ridacchiò Mordred scorrendogli una mano aperta sul torace,
dal centro fino ai capezzoli e all’incavo dell’ascella.
Il biondo trattenne il fiato quando sentì un sentimento caldo agitarsi
nel suo basso ventre. I desideri di Mordred. Quelli che il principe gli aveva
fatto conoscere.
Si sarebbero mai saziati?
«Che ne dici di cominciare con
il concedermi queste tue belle chiappe francesi?» e gli sfiorò il fondoschiena
con le dita. «Non ho mai… Assaggiato due natiche più sode delle tue. Sembrano
di ferro» commentò sovrappensiero.
«Mordred!» protestò Galahad,
chiaramente a disagio agitandosi sotto le sue mani. Finì per concedere
all’altro di insinuargli una gamba tra le sue.
«Un vero cavallerizzo celta» ironizzò il moro, baciandolo sul collo e
scalando il suo corpo: «Non vedo l’ora!»
«Mordred! Non mi pare il caso… Abbiamo appena finito…»
«Sei già stanco?» esclamò il principe mettendosi a carponi su di lui,
col suo corpo nudo. «No è che…»
«Ecco dove siete ragazzini…
AAAH!!!» strillò una voce spalancando il baldacchino del letto e trovandosi
davanti l’immagine, oscena, di Mordred nudo, a cavalcioni di ser Galahad,
altrettanto nudo.
Dopo quell’urlo disumano, la tenda venne tirata di nuovo e i due
reggenti rimasero nel buio mentre ser Kay, nobile siniscalco di Camelot
crollava su una sedia.
Un silenzio imbarazzato proveniva da dentro al letto.
«Chi era?» osò dire Galahad.
«Dai capelli rossi, direi la nostra casalinga Kay»
«E tu un emerito idiota!» sibilò il siniscalco, saltando in piedi e spalancando
la tenda (di nuovo).
I due avevano fatto appena in tempo a ricomporsi e coprirsi le
pudende.
«Hai idea che se i francesi sapessero che gli hai… Corrotto il loro
santino, ti sventrerebbero come un maiale?»
«Che immagine serafica»
commentò Mordred, giocherellando con le coperte.
«Nessuno mi ha corrotto» protestò Galahad.
Kay levò gli occhi al cielo: «Ma non importa! Non avete imparato nulla
da Ginevra? E’ solo una scusa per dividersi! Per avere la guerra! Proprio tu,
Mordred, non lo capisci? Sei tale e quale a tuo padre» sbottò Kay incrociando
le braccia al petto.
Mordred non seppe se gli piaceva o meno essere paragonato a suo padre,
per una volta dall’uomo che più aveva vissuto con Artù.
«Artù è un incosciente. Altrimenti non sarebbe scappato con Lancillotto!»
commentò il principe, voltando il capo.
«E’ quello che stavo dicendo»
disse Kay, allargando le braccia.
Il suo fratellastro proprio non doveva fargliela di lasciarlo così… E
per quella sciacquetta di cavaliere del lago!
«Poteva almeno lasciarmi
Excalibur se voleva fare una fuga d’amore» borbottò Mordred, ma con una punta
di ilarità nel vedere il volto turbato del suo siniscalco.
L’altro non lo notò subito ma quando comprese quel ghigno, gli puntò
contro un dito: «Ragazzino impudente (e veniale)! Smettila subito di deridermi
prima che ti faccia rimangiare il nostro accordo a suon di sculaccioni sul
sedere!»
Fu soddisfatto alla faccia oltraggiata del principe: «Sono o non sono
tuo zio dopotutto?»
Galahad applaudì scoppiando a ridere.
Mordred lo fulminò: «Smettila subito o la prossima volta ti infilzo
come un galletto allo spiedo!»
Seraficamente Galahad lo guardò: «Mi sembra che l’unico impalmato qui,
sei tu» e sorrise.
Mordred ebbe l’insana voglia di strangolarlo mentre Kay strillava come
una gallina: «Per tutti gli Dei non voglio saperlo come vi piace impalmarvi a
vicenda! Piuttosto sbrigatevi a sistemarvi! La cena è quasi pronta e alcuni
ambasciatori se ne andranno stasera e voi perdete tempo a tubare come
piccioncini»
Mordred scivolò fuori dal letto, ignorando che era semplicemente nudo
e si diresse verso il bagno: «In verità stavamo solo fornicando, come piace
fare anche a te e a Bedivere, o sbaglio?... E senza unguenti»
Il siniscalco avvampò di collera e imbarazzo. Come diavolo aveva
saputo quelle cose quel maledetto ragazzino?
Forse… Era davvero uno stregone come la madre…
***
«I reggenti di Camelot!»
annunciò un araldo alla porta della sala della tavola rotonda.
I cavalieri presenti, in attesa per le gozzoviglie della cena,
applaudirono timidamente imitando le dame (capitanate da Ginevra e Morgana).
Mordred e Galahad avanzarono tra una folla di uomini di varie
nazionalità che si scostavano al loro passaggio. Malgrado la mancanza di Artù
(o forse proprio per quel motivo), tutti indossavano i loro abiti migliori e
facevano sfoggio di ori e gioielli. Tra broccati e sete, quello che indossava
gli abiti più preziosi e che risultava più elegante, con la sua altezza e con
la sua pelliccia di pelo bianco, era senza dubbio re Galehaut.
Tra le dame della corte invece si muoveva ser Gawain, in un bell’abito
verde scuro. Tutti sapevano che era il favorito di tutte le dame della corte,
per via della sua gentilezza e cortesia. Naturalmente dopo Lancillotto ma, ora
il cavaliere del lago non c’era quindi… Faticò a districarsi da loro per andare
incontro al fratello.
Scivolò tra le signore e si avvicinò al fianco di Mordred.
Disinvoltamente, come stesse parlando del tempo, gli disse: «Ti devo
parlare Mordred. In privato…»
Senza apparire turbato, il fratello annuì e lanciò un’occhiata a
Galahad.
Il ragazzino francese capì anche senza parole. «Resto io qui» rispose;
e Gawain vide qualcosa che lo lasciò assai perplesso.
Mordred allungò una mano e gli sfiorò un braccio, delicatamente.
Un’intesa. A dopo sembrava voler dire, e Galahad gli sorrise.
Gawain lanciò uno sguardo al re dei giganti poi, ignorandolo, decise
di seguire il fratello.
***
Galahad rimase a parlare tra i cavalieri e i diplomatici, per lungo,
tempo da solo. Il gruppo francese lo circondò amorevolmente fin quando ser
Lamorak non gli bisbigliò: «Nobile Galahad lasciate che vi accompagni da
qualcuno che vuole parlare con voi»
Il figlio di Lancillotto alzò gli occhi in quelli del francese ed
annuì senza timore. Voltandosi verso ser Bedivere, al suo fianco, gli chiese di
scusarsi con gli ospiti e che sarebbe tornato subito.
Bedivere annuì e lo osservò uscire dalla sala tonda. Con un gesto
della mano chiamò a sé due valletti e gli bisbigliò qualcosa in un orecchio; questi
obbedirono correndo via mentre il connestabile assumeva un’espressione
accigliata.
Il giovane Galahad accolse l’invito di ser Lamorak con incosciente
innocenza, ed entrò nella stanza che il francese gli indicava. Dovevano essere
le stanze private di qualche dama perché vi erano degli arazzi garbati ed
eleganti con scene cortesi.
Rimase senza parole quando la sua ospite lo salutò, andandogli
incontro: «Buonasera, ser Galahad. Sono così lieta che siate voluto venire qui»
«Regina Morgause. L’onore è
mio» commentò Galahad, a disagio, senza però scordare la cortesia: «Ma… Se
volevate parlarmi, credo che le vostre stanze private non siano il luogo più
adatto…»
Lei finse di cadere dalle nuvole: «Cosa volete dire? Che non è
decoroso per una vecchia madre accogliere l’amico di suo figlio?»
Galahad tentennò, specialmente davanti alla parola vecchia per
definire Morgause. Non aveva idea di quanti anni avesse ma, sembrava tutto
eccetto che una vecchia madre premurosa. Non sembrava neppure una madre mentre
mesceva due calici dorati chinandosi con un corpo ancora flessuoso come un
giunco.
«Il caro ser Lamorak dice che siete diventati buoni compagni, con quel
disgraziato di mio figlio Mordred… Vino?»
Ricordando I timori del compagno riguardo sua madre, declinò; «Grazie
mia signora ma non amo bere»
«Oh che peccato. Ma prego,
sedete vicino a me e parliamo un attimo di… Mordred, volete?» chiese lei,
invitandolo a sedersi.
Per non essere sgarbato, Galahad accettò, e si accomodò davanti alla
regina, stando bene attento a non pestare il velluto bordeaux della gonna della
signora.
Morgause si sedette compostamente quasi accanto a lui, mettendo bene
in mostra la sua scollatura generosa e sbattendo le lunghe ciglia, fulve come
quelle di Gawain.
Allungando una mano, sfiorò il braccio di Galahad con la punta delle
dita, proprio dove era celata la benda.
Il figlio di Lancillotto sussultò e la donna sorrise seducente,
lasciandosi cadere i capelli rossi dalle spalle scoperte: «Siete stato ferito
vero?»
«Come sapete?...»
Lei sorrise come se la cosa per lei fosse ovvia e poi gli prese il
braccio: «Sono una figlia di Avalon… Via, lasciate che vi ponga dell’unguento
per guarire più velocemente»
«Io… Non c’è bisogno; sono già
stato curato madame»
Lei lo ignorò scuotendo il capo e scoprendogli il braccio: «Lasciatemi
fare, caro Galahad. Così sulla vostra bella pelle candida non resteranno
cicatrici…Una così bella pelle» bisbigliò, accarezzandogli gli avambracci del
color dell’alabastro, con il tocco delicato dei polpastrelli.
Lui arrossì quando lei poi tolse dalla scollatura, una fialetta legata
a una catena d’oro.
Spaventato dallo sguardo languido che lei gli lanciò mentre toglieva
quella crema bianca dalla fiala, passandosela tra le dita, lui protestò ancora:
«No signora vi prego. Grazie ma, davvero non serve»
«Non abbiate paura» sussurrò
lei suadente, spalmandogli l’unguento sul braccio: «Vedrete che vi piacerà il
suo effetto…»
Lui decise che ne aveva abbastanza. Tentò di alzarsi per scoprire però
che gli mancava la forza per togliere il braccio dalle mani di Morgause.
Sentiva tutti i muscoli intorpiditi e le gambe divennero
improvvisamente molli.
Spaventato lui guardò Morgause a occhi sgranati. Lei lo ignorò,
proseguendo a spalmargli l’unguento su tutta la pelle, e sulla ferita,
sorridendo subdolamente. «Vi hanno mai detto quanto siete bello… Galahad? Non
trovate che saremmo una splendida coppia io e voi?» e gli accarezzò i capelli,
scostandogli una ciocca bionda dalla fronte: «Insieme uniremmo la corona
inglese e francese…»
«Che… Dite, signora?» tentò di
parlare lui, scoprendo che era più un biascicare.
Lei gli disegnò una guancia, con le dita unte dell’unguento della
fiala.
Galahad tentò di allontanarla ma riuscì solo a girare appena il capo.
Si sentiva debole e al contempo avvertì un improvviso bruciare al petto e in
tutte le membra. Un avvampare come quando Mordred lo baciava. «Che mi avete
dato?... Dio mio…» mormorò: «Dio mio…»
Distrattamente soddisfatta, Morgause prese a giocare con i suoi
capelli, accarezzandogli i capelli: «Non sai quale onore sarà per te, unirti a
me» sorrise: «Ho sempre avuto amanti giovani, come il caro Lamorak ma, certo
non più giovani dei miei figli. Sarà divertente testarti» si chinò, tentando di
baciarlo, ma lui rantolò, scansandola e piegandosi in avanti. Il fiato gli mancava
esi sentiva bruciare dentro al corpo,
come fosse caduto all’inferno.
«Lasciati andare bambino, sarà tutto più facile…» proseguì suadente ma
lui si oppose ancora. Infastidita da quelle resistenze, lei ringhiò,
spingendolo indietro.
Galahad non ebbe la forza per sostenersi e rovinò a terra con la sedia
stessa su cui stava; la regina delle Orcadi si alzò, indignata: «Se credete che
qualcuno vi possa salvare, sbagliate! Lamorak è astuto. Non ha detto a nessuno
da chi vi conduceva, e inoltre… E’ il mio amante. Obbedisce a tutto quello che
gli ordino» ammise compiaciuta, mentre Galahad si contorceva sul pavimento
davanti a lei, tenendosi il petto.
Morgause si piegò in avanti e, lentamente, prese a slacciarsi l’abito,
lasciandolo scivolare ai suoi piedi. Restò solo con una candida sottoveste di
seta preziosa. Ancheggiò chinandosi sul francese, e gli rivelò la sua idea:
«Vedete?... Siete già eccitato» mormorò, insinuandogli una mano sul tessuto
della calzamaglia.
Il ragazzo scalciò, tentando si allontanarla ma, era ormai inerme.
«Quando saremo uniti, il vostro caro onore non vi permetterà di
scacciarmi e allora mi prenderete come moglie perchè…. Tu mi hai desiderata e
posseduta, Galahad figlio di Lancillotto»
Allibito lui serrò gli occhi mentre lei armeggiava nei suoi indumenti
per spogliarlo, salendogli a carponi addosso.
Ormai Galahad sentiva che il suo corpo non rispondeva più a lui ma
solo ai comandi di quella… Strega.
Mordred aveva ragione. Era una strega!
E che Iddio avesse pietà di lui, era cascato nella sua trappola come
un tonto.
Lentamente unì le mani al petto mentre le lacrime gli rigavano le
guance.
Il peccato. Ecco cos’era.
Lei gli sfilò la tunica e prese a baciarlo mentre lui mormorava:
«Padre nostro… Che sei nei cieli… Sia santificato il tuo nome…»
Stupefatta morgause alzò il capo, sentendo quelle parole, e reagì come
una leonessa ferita.
Rovesciò indietro la chioma fulva, snudò i denti e ringhiò: «Non osare
pregare mentre vieni a letto con me, ragazzino! Specialmente non il tuo inetto
Dio morto!» e con un colpo gli afferrò il piccolo crocefisso che portava al
collo, cercando di strappare la sua cordicella di cuoio.
Incredibilmente la stringa non cedette alla sua rabbia, malgrado lei
tirasse e ringhiasse. Iraconda, infine desistette ma solo per urlare: «Tu sei
mio! E sarai il mio re, perché io te lo ordino! E avremo nuovi figli meno tonti
di quelli che ho ora, che governeranno sulla Britannia dopo che mi sarò
liberata dai primi idioti»
«…E non ci indurre in tentazione… Ma liberaci dal male…» proseguì
imperterrito Galahad, sentendosi lacerato nell’animo.
Quella strega voleva lui e voleva anche uccidere il suo Mordred…
Morgause si strusciò contro di lui, decidendo di fermare tutte le sue
parole, insinuandogli una mano sotto la stoffa dei mutandoni intimi.
Galahad si inarcò per effetto del filtro che la donna gli aveva dato e
piegò il capo, mordendosi le labbra per non gemere.
Che Dio lo aiutasse, pensò, perché avrebbe preferito morire che
soggiacere alla libidine di quella donna.
«Sei stato tu a volerlo…
Ricordalo» gli sibilò lei, tentatrice, posandogli le labbra sul viso, in cerca
della sua bocca.
Fu a quel punto che la porta della stanza cedette con uno schianto, e
Kay insieme a Mordred, Gawain e Galehaut, irruppero nelle sue stanze.
«Madre! Allontanati subito da lui!» ringhiò Mordred comprendendo
subito la situazione e snudando la spada verso la regina.
Gli occhi blu che dardeggiavano come un mare in tempesta.
Morgause li guardò disinvoltamente, valutando quanto potevano essere
pericolosi.
«Allontanati madre o ti
sbudello come una cagna rognosa» ripetè Mordred, avanzando nella stanza. La
lama tesa all’altezza del collo della madre. La voce fredda come ghiaccio.
Gawain e Kay lo seguirono, mentre Galehaut restava a controllare la
porta.
Lentamente la regina delle Orcadi arretrò e si alzò, lasciando esposto
il corpo semivestito di Galahad.
Il ragazzino ancora si torceva piano ma, quando vide Mordred, tentò di
porgergli le braccia in una richiesta di aiuto.
Forse il Signore l’aveva davvero mandato in suo soccorso.
Senza pensare Mordred si lanciò verso di lui: «Galahad!» ansimò,
mentre Morgause sibilava: «Eccolo! Il prode salvatore! L’inutile reggente di
Camelot!» rise selvaggiamente: «Sei una delusione. Tutti i miei figli sono una
delusione!» e indicò anche Gawain: «Avreste potuto essere re, ed invece, eccovi
a mendicare quanto vi spetta di diritto!» e li indicò altera come una pazza,
vestita solo dalla sua sottoveste bianca.
Galehaut, dietro di loro, ne fu molto impressionato. «Sono tutte così
le donne inglesi?» domandò ad alta voce.
Mordred intanto si era chinato su Galahad e l’aveva stretto fra le
braccia.
Il ragazzino si era piegato inerte al suo tocco malgrado gli occhi
disperati e il corpo che sussultava come scosso da febbre.
«Che gli hai fatto, madre?!»
ringhiò Mordred, coprendo Galahad con il suo mantello mentre la regina
disarmata era tenuta lontana dalle spade di Gawain e Kay.
Lei rise allegra: «Nulla di più di quel che voleva»
«E’ un filtro vero?...
L’estratto dalle mele dell’isola di vetro»
Alla faccia sorpresa di Morgause, lui le fece un ghigno terribile:
«Non solo tu, madre, hai i poteri di Avalon» e prendendo Galahad fra le
braccia, lo alzò da terra.
«Sta tranquillo. Ora è finita.» lo rassicurò, poi aggiunse ad alta
voce: «Anche nei maschi a volte, si ritrova il potere. E tu sai bene che allora
essi sono più forti delle donne» E dichiarato ciò fece per andarsene.
«Kay rinchiudila qui e bada che non lasci le sue stanze» ordinò.
Sgomenta e rabbiosa, Morgause lo osservò voltarle la schiena, portandosi
via la sua preda. Sputò: «Maledettotu
sia, Mordred figlio di Artù, perché tu sprechi il sangue potente di Avalon nel
mendicare un trono che è tuo per diritto. E molti altri troni che ti spettano!
E tra di essi il più potente!...»
Mordred non l’ascoltò, e non si voltò, osservando solo gli occhi di
Galahad, chiudersi mentre lo stringeva al petto.
Morgause vide la sua schiena allontanarsi e, furibonda e ignorata,
trasse uno spillone dai capelli e si lanciò verso il figlio.
«Muori maledetto cane!» urlò.
Fu il gesto di un attimo. Gawain sguainò la spada per difendere il
fratello, eseguendo un taglio netto nell’aria, mentre un pugnale vichingo
attraversava la stanza, volando dritto nel cuore della donna.
La testa di Morgause rotolò via, sul pavimento, mentre dal corpo
schizzava sangue scuro sull’arazzo, prima che il corpo cadesse a terra
sobbalzando.
Atterriti gli uomini osservarono la testa rossa rotolare fino a un
angolo della stanza.
Mordred si voltò, guardò il viso sconvolto di Gawain e Kay, poi
Galehaut che l’aveva difeso.
Muto, ringraziò con un cenno del capo.
Infine disse: «Chiudete la porta. Penseremo poi alle conseguenze di
questo» e si voltò andandosene.
Galehaut guardò il suo compagno, sconvolto, e si piantò le mani sui
fianchi: «Sai che… Non sono più sicuro di voler fare parte della vostra così
bella famigliola?»
Scortati da Kay e Gawain, i due reggenti si diressero velocemente
negli appartamenti regali. Ser Bedivere aveva provveduto a
una scorta di guardie che allontanassero qualsiasi curioso da quelle stanze e
da quelle della regina Morgause.
Galehaut parlò per Gawain, stranamente silenzioso, quando furono nella
camera da letto di Artù: «Vi serve qualcosa per ser
Galahad?» interrogò.
Voltandosi verso di lui, Mordred esclamò: «Acqua
fredda. Fate preparare subito un bagno con acqua fredda»
Kay s’intromise: «A questo ci penso io» e corse a chiamare dei
valletti.
L’alto figlio della bella gigantessa osservò tutta la scena, poi tornò
da Mordred.
Il principe aveva posato Galahad sul letto, solo per spogliarlo e
avvolgerlo in un telo di lino bianco.
«Vi sono grato del vostro aiuto, re Galehaut» disse senza dar troppo
peso alle parole: «Per tutto quello che avete fatto per noi»
Galehaut abbozzò un sorriso rilassato: «Figuratevi!
Per dei miei alleati è normale»
Mordred lanciò un’occhiata a Gawain, ancora muto sull’uscio, poi tornò
a rivolgersi al vichingo: «Re Galehaut… Vi prego di
badare a mio fratello stanotte. Credo sia sconvolto»
Lui assentì, improvvisamente serio: «Volevo
chiedervi io stesso di farlo, anche perché egli è il mio compagno. Ed è mio
dovere salvare la sua anima quando egli ha salvato la mia»
Mordred non capì una sola parola di tutto quello strano monologo ma
acconsentì: «Tenetelo con voi, ser Galehaut»
Il pugno del giovane vichingo batté sul petto: «Con tutto il mio
cuore» e senza aggiungere altro si rivolse a Gawain. «Vieni
mio caro compagno. E’ tempo che li lasciamo soli»
Riscuotendosi Gawain osservò la spada snudata che teneva ancora tra le
mani e, annuendo, la lasciò cadere a terra.
Allarmato da quel tonfo, Bedivere si affacciò
alla porta mentre Galehaut cingeva le spalle a Gawain e lo trascinava via con
sé.
Il maresciallo e Mordred osservarono la spada di Gawain, muti. Era
ancora macchiata del sangue di Morgause.
«Portala via e falla pulire»
ordinò Mordred, duro: «Poi fa chiamare mia zia Morgana, per favore»
Bedivere tentennò qualche secondo, rimuginando su quelle parole e sui
fatti accaduti quella sera. Scrutò Mordred da capo a piedi, con Galahad stretto
al fianco, poi disse: «Si, mio principe» e se ne andò
Rimasti soli, Mordred si concentrò su Galahad che ancora tremava come
una foglia scossa dal vento autunnale.
La preoccupazione ruppe la maschera di freddezza che aveva indossato:
«Ti ha messo una crema, vero?»
Galahad assentì col capo e cercò di alzare il braccio ferito. Mordred
comprese comunque. «Bisogna lavare via tutto, al più
presto, e senza attendere, afferrò il francese e lo portò nella loro stanza
adibita per il bagno.
Come in una delle terme romane, la vasca era comodamente incassata nel
pavimento che scendeva con dei grandini nell’acqua.
Tutti i lussi per il grande re, aveva pensato Mordred.
Eseguendo gli ordini, i valletti nelle cucine del castello, dovevano
aver aperto le tubature per far correre l’acqua perché la buca di marmo era
quasi piena.
Senza tentennare, Mordred si calò nell’acqua
con Galahad.
Il gelo gli tolse il fiato ma, era quello che serviva a togliere
l’incantesimo del filtro magico.
«Fa-Fa freddo» balbettò
Galahad, aggrappandosi a lui mentre il lino aderiva al suo corpo come un
sudario.
«E’ quello che serve» ribatté
Mordred sfregandogli con forza le braccia. Si rese conto che l’acqua adempiva al suo aspetto purificante. Galahad aveva alzato le
braccia e la sua presa attorno alle sue spalle si era fatta più salda. Il
sangue lottava per tornare a essere il padrone del proprio corpo.
«Mi sento come se mi stessero
battezzando di nuovo» ironizzò Galahad, tra i denti che battevano.
«Ti senti ancorabruciare?» chiese il moro.
Galahad scosse il capo: «Meno. Solo…» e anche con il viso sconvolto come quello di un pulcino
fradicio, lo vide imbarazzarsi.
Mordred gli tolse i capelli dal viso: «Passerà
anche quello. Presto» sussurrò, baciandogli la fronte: «Te lo farò passare io
se serve» ammiccò malizioso.
Galahad lo interruppe: «Tua madre voleva…»
«Lascia
perdere. Lo immagino»
«E ora è…»
«Morta» concluse
Mordred per lui.
«L’avete uccisa per me?» boccheggiò il celta, spaventato per la
risposta.
Mordred non gli diede peso: «E’ morta perché
era una strega che voleva dominare gli altri. La morte sarebbe giunta comunque,
prima o poi. E’ la giustizia della Dea» dichiarò, poi raccolse Galahad e si decise a uscire
dall’acqua gelata.
«La
tua Dea è molto giusta. Come il mio Dio» mormorò
Galahad, rasserenandosi per la prima volta dopo quell’esperienza terribile.
Guardò Mordred e questi annuì, portandolo a letto. Prese un altro telo e lo
asciugò velocemente, buttandolo poi sotto le coperte.
«Era meglio quando ti asciugavo
per la pioggia» rammentò: «E poi abbiamo fatto sesso»
Galahad si rannicchiò sotto le coperte: «Decisamente»
balbettò, afferrando la croce di legno che portava al collo, e che non l’aveva
abbandonato durante quella brutta esperienza. Recitò una preghiera di
ringraziamento.
Mordred lo lasciò fare, andando a prendere un’altro
telo da una cassapanca e buttandoselo addosso per asciugarsi. Infine si sedette
sul letto, esausto quanto il compagno.
Sua madre era morta.
Non avrebbe più tramato per dominare tutti loro… Ma cosa sarebbe
successo ora? Pensò, ascoltando lo scoppiettio della legna nel camino, e il
respiro lieve di Galahad che prendeva sonno.
Suo padre sarebbe forse tornato? O Galahad avrebbe rinunciato? I
francesi l’avrebbero accusato di matricidio e ci sarebbe stata un’altra guerra?
No. Doveva far tacere tutto, per ora. Doveva…
«Mordred?»
La voce lo riscosse dal lieve torpore che l’aveva colto. Brividi lo
scuotevano quando sua zia morgana si piegò sul suo viso, porgendogli una tazza
fumante.
«Zia…» balbettò.
«Bevi.
Ti calmerà la febbre. L’ho già dato anche a Galahad e mandata a Gawain. Mia
sorella era potente. E potrebbe trascinarvi con sé anche da morta, se non vi
curate»
«Come sai?...» s’informò Mordred, con la
fronte madida di sudore freddo, accettando il liquido caldo della zia.
«L’ho sentita lasciare questa vita nel
momento stesso in cui l’avete uccisa. Il sangue di Avalon è un potente legame»
Mordred annuì quasi con gli occhi chiusi. Capiva cosa intendeva. Un
legame si era spezzato.
«Solo uno della nostra famiglia
poteva ucciderla»
«Anche mio padre avrà sentito?» s’informò il principe, mentre la fata
lo scrutava come lo vedesse per la prima volta. Attentamente.
Non rispose ma fu come se lo avesse fatto.
Mordred lo sapeva: «Galahad?...» insisté, tra
il sonno e la veglia.
La fata piegò il capo di lato: «Starà bene.
Il suo Dio è potente ormai»
Mordred si inumidì le labbra secche. Sapeva
anche questo. Galahad era più forte di quanto sembrasse. Mancava solo una
persona. «E Galehaut?... Lui non è della famiglia»
(strano come, per lui, Kay invece ne facesse parte. Era suo zio, no?)
Morgana rise con una risata argentina come campanellini. Unì le mani
sulla gonna: «Oh non preoccuparti per lui! E’ forte
come un orso quello! Poi ha già mischiato la sua anima con quella di Gawain. E’
della famiglia anche lui ormai. Decisamente non potrà
scappare»
Mordred non aveva né la forza né la voglia di ascoltare i deliri
sull’anima di Galehaut e Gawain (di nuovo!). Assentì senza capire, chiudendo
gli occhi e abbandonandosi al sonno.
Morgana gli posò una mano sulla fronte, alzandosi e mormorandogli,:
«Buonanotte, principe delle fate»
Poi il sonno lo prese.
***
Galehaut si aggirò per le sue stanze, misurando le nervosamente con il
proprio lungo passo, come un animale in gabbia.
Si bloccò solo un attimo per scrutare Gawain, seduto al tavolo davanti
al fuoco.
Il principe delle Orcadi si era rinchiuso in un cupo mutismo da quando
era uscito dalle stanze della madre.
Il monarca vichingo aveva sopportato quel suo umore fino a quel
momento, continuando a parlare da solo, fin quando non era esploso con queste
parole: «Insomma Gawain! Dimmi quel che pensi. Di
qualcosa, per tutti gli Dei!»
L’unica frase che uscì dalla bocca di Gawain fu: «Ho ucciso mia madre…»
Sconvolto dalla portata di quanto aveva
detto, ripeté: «Io ho ucciso mia madre, Galehaut…»
Il rosso si appoggiò al camino: «In verità credo che l’abbia uccisa un
po’ anch’io»
Gawain sgranò gli occhi: «Le ho tagliato la testa, Galehaut»
«E io
l’ho pugnalata nel cuore, caro compagno. E non mi pare che fosse ancora morta quando
l’ho lanciato» fece una pausa: «Ma l’ho fatto per salvare
tuo fratello. Quindi non me ne pento»
Gawain scosse la testa e sbatté un pugno sul tavolo urlando: «Era disarmata diavolo! Disarmata!»
«E quasi nuda» commentò Galehaut con noncuranza.
«Era disarmata. E’ un disonore. La mia spada
ne sarà macchiata per sempre…»
Il figlio della bella gigantessa gli si avvicinò e torreggiò su di
lui: «Ricordo solo io, o lei aveva in mano uno spuntone largo
un dito e lungo circa una spanna? Con quello avrebbe trapassato i
polmoni di tuo fratello come un pugnale? E sta sicuro che sarebbe morto.
Avresti preferito che vivesse tua madre o tuo fratello?»
Gawain tentennò: «Mordred» decretò piano, ottenendo l’approvazione da
Galehaut.
«Bene, allora è tutto apposto
perché tua madre, permettimi di dirtelo, era una strega»
Gawain puntò gli occhi in quelli di Galehaut e questi ripeté: «Una vera strega, ti dico io! Con tanto di naso prominente»
L’altro inarcò un sopracciglio.«Si! E dicono che l’hanno vista di notte rapire
i bambini e mangiarli con i suoi denti storti»
Gawain non riuscì a trattenere un sorrisetto: «Mia madre non aveva i
denti storti» corresse.
Galehaut agitò le braccia con fare teatrale: «E uccidere le sue dame
di compagnia per bagnarsi col loro sangue, per rimanere sempre bella!»
Il principe fece una smorfia: «Beh questo è già più probabile» poi
rise piano, quindi più forte. Rise di cuore, come liberandosi da un peso, che
lentamente gli rotolò via dal petto. Rise fino a scoppiare a piangere. In un
pianto liberatorio e silenzioso. Singhiozzò muto, posando il capo sul tavolo.
La mano del compagno gli si posò sulla spalla, calda e comprensiva.
«Dovevi farlo, Gawain. E quello era il
destino che tua madre si era cercata»
Non voleva dire che era una donna cattiva ma lo pensò. «E tuo fratello
è l’unico figlio del grande re»
Il principe alzò il capo, asciugandosi velocemente gli occhi:
«Veramente… Ne ha alcuni altri»
Galehaut spalancò la bocca: «Ah!... Ma allora
Mordred è l’unico che ha riconosciuto?»
Rimase ancora più attonito quando Gawain scosse il capo: «Sono tutti
bastardi come lui»
Perplesso l’altro si lasciò cadere su una sedia accanto al compagno.
Vedendolo così, il principe delle Orcadi aggiunse: «Però Mordred è il
primogenito»
«Ah… Questo sistema tutto»
«Inoltre, non per fare pettegolezzo ma, gli altri sono quasi tutti
scappati dalla corte, seguendo dame o cavalieri francesi…»
Ora che lo diceva, quei fatti gli apparivano
curiosi. «Non è una strana coincidenza?»
Galehaut levò gli occhi al cielo. Non era proprio più sicuro di voler
far parte di quella famiglia.
«Tu non sei figlio di Artù, vero?» domandò a bruciapelo.
Gawain negò: «No, di Lot, perché?»
L’altro non rispose alla domanda ma commentò: «Meno male che tua zia,
la dama Morgana ha dato un secondo reggente francese a Camelot»
Gawain non capì perché il compagno fosse sollevato a quella notizia
ma, l’altro parlò solo di strane statistiche e di tare ereditarie nelle
famiglie reali, di cui assolutamente non comprese nulla.
I cavalieri si erano radunati nella piccola sala delle udienze, quella
riservata agli incontri privati con i re e gli ambasciatori. Proprio per questo
era la sala più elegante; sfoggiava tende di broccato accanto agli scranni
regali, e arazzi intessuti d’oro e colori scintillanti a coprire i muri di
pietra.
Kay il siniscalco aveva approntato i due seggi per Mordred e Galahad
da quando erano stati votati reggenti. Malgrado la sua
linguaccia, si considerava un uomo previdente. E visto che
li aveva appoggiati, tanto valeva che lo facesse fino in fondo, si era detto,
scostando le tende rosso porpora all’ingresso dei reggenti.
Solo Galahad però, l’aveva ringraziato; a Mordred non era passato
neppure per l’anticamera del cervello di farlo.
“Tale e quale a suo padre” aveva decreto Kay con una smorfia.
Bedivere attendeva nella sala con Gawain, re Galehaut e lady Morgana.
Mordred camminò fino a uno dei due troni, poi vi si fermò davanti,
serio ed altero. Lo sguardo cupo e deciso in un
cipiglio di comando che piacque persino a Galehaut.
Il principe squadrò tutti poi esclamò: «Sapete
perché siamo qui. Dobbiamo risolvere il problema Morgause»
decretò.
«L’hai già risolto. E’ morta» gli sfuggì di
bocca a ser Kay: «Gli avete dato un taglio netto»
ridacchiò.
Mordred lo incenerì con lo sguardo e lo zio si azzittì, tossicchiando.
Il reggente proseguì: «Io e Galahad ci abbiamo pensato su e, con
l’aiuto di tutti voi, abbiamo deciso di tenere segreto la morte violenta della
regina»
Morgana si accomodò su uno scranno annuendo e sistemandosi la gonna,
compostamente.
«E cosa direte?» s’informò il re delle isole lontane.
Mordred rifletté velocemente: «Beh… Potremmo dire che si è ritirata da
qualche parte e poi, dopo un po’ di tempo, che è morta»
«E dove? In convento?» ironizzò Gawain
intrecciando le braccia al petto: «La vedevi nostra madre in convento? I nostri
fratelli poi, la vorranno andare a trovare» scosse la
testa.
Mordred dovette ammettere che era poco credibile. Fu allora che la
fata Morgana intervenne: «Avalon! Potreste dire che se
né andata ad Avalon»
«Un'altra!
Faranno un tour organizzato presto» scherzò Kay,
ricevendo un’occhiataccia anche da Bedivere, in piedi accanto a lui.
«Lei era una strega per tutti. Non sarebbe
così strano»
Tutti annuirono. Soddisfatto Mordred sedette e guardò il fratello: «Diremo che nostra madre ha lasciato a te la corona delle
Orcadi, Gawain. Tu sarai il re»
Gawain ammutolì, mentre Galehaut lo guardava sprizzante di felicità.
Che gran colpo aveva realizzato! Scegliendo Gawain come suo compagno
aveva ottenuto un nuovo regno e la protezione del grande re (o meglio dei due
reggenti). Oltre che un amante favoloso, e un capo
battagliero. «Non sei felice? Sarai re anche
tu!» gioì.
Gawain scrutò Mordred con disappunto: «Sai che non voglio lasciare la
corte, fratello» sibilò: «Che ci starei a fare lassù
in quelle isole?»
Mordred tagliò corto: «Lo so; lo so che non
vivi senza tornei e qualche sbudellamento quotidiano. Non ti
sto affatto chiedendo di andartene» “Tra l’altro tu mi servi qui” pensò:
“Il tuo appoggio mi è molto conveniente” «Devi solo accettare la corona e poi starai
qui»
«E un po’ con me!» gli rammentò
re Galehaut allegro: «Ricordati il nostro accordo…»
«Quale accordo?» chiese Galahad per tutti.
Gawain lanciò uno sguardo truce al compagno per non farlo parlare(non era il momento!), ma questi parve non capire.
«Gawain è il mio compagno re. Lui avrò l’appoggio e la protezione dei vichinghi; e noi il
monopolio su tutti i commerci con le Orcadi»
«Erano solo ossa e pellicce»
ribatté piccato il fulvo principe, senza però negare.
Mordred e Kay spalancarono la bocca come pesci nel mare. «Tu e quel…
Coso gigante?» commentò il siniscalco, incredulo.
Galahad e Morgana invece, applaudirono
felici: «Congratulazioni! Un’ottima scelta» disse lei.
«Quando vi sposate?» sorrise l’ingenuo figlio di Lancillotto.
Mordred levò gli occhi al cielo: «Sta zitto ragazzino» Doveva proprio
insegnargli tutto.
«Perché?» interrogò
candidamente lui, facendo imbarazzare tutti i presenti nella sala: «Si amano,
non c’è forse da festeggiare?»
Galehaut si lanciò verso di lui e gli prese le mani, stringendole con
forza. «Grazie. Grazie caro lord Galahad» I due si sorrisero.
«Il ragazzino deve aver capito
male qualche pezzo della bibbia» rise Kay: «Forse si è addormentato mentre
spiegavano quel pezzo»
Mordred agitò una mano in aria, tagliando corto: «Senza il mio
permesso non si fa nessun accordo!»
Morgana s’indignò: «Mordred non fare il guastafeste!»
Stupito Galehaut lo guardò: «Ma come? Ieri
notte non mi avete detto di tenermelo vicino? Di badare a vostro fratello?»
ricordò: «Non vorrete rimangiarvi quelle parole? C’era anche lord Galahad come
testimone»
«E’ vero» sorrise il biondo,
raggiante.
Mordred valutò improvvisamene se era più la voglia di tenerselo vicino
o di strangolarlo. Le due cose si equiparavano pericolosamente.
Lo guardò in faccia e poi sulla bocca. Le sue belle, sorridenti,
labbra di ciliegia che lo invitavano a baciarlo. A farsi baciare.
Voltò il capo maledicendosi per le “ottime” argomentazioni che aveva
il ragazzino. «Va bene. Fate come volete!» sbottò.
Galehaut festeggiò con un sorriso mentre Gawain rimase impalato per
l’imbarazzo.
E pensare che voleva solo salvare Galehaut…
Ora chi avrebbe salvato lui da tutte quelle loro notti di sesso sfrenato?
Senza volere abbozzò un mezzo sorriso, poi tornò subito serio.
«Ma per l’amor del cielo,
pretendo almeno un patto di reciproco aiuto se voi, Galehaut, vi scopate mio
fratello!»
«Mordred!!»
un coro di voci indignate e imbarazzate si levò dalla sala ma, Galehaut invece
tese la mano e sorrise: «Affare fatto, mio caro parente»
«Solo Mordred» corresse lui:
«Di parenti che mi odiano ne ho già troppi» sibilò.
Il rosso vichingo annuì poi tese la mano di nuovo a Galahad: «Salute
anche a voi, lord Galahad, compagno di re Mordred»
«Galehaut!» strillarono di nuovo tutti.
Bisognava che qualcuno si decidesse a spiegare a quel bifolco come
funzionavano le cose tra gli inglese, pensò Kay.
Il francesino nel frattempo, ricambiò la
stretta del nordico, rispondendo: «Salute a voi,
parente compagno di Gawain. Ora siete… Due re?»
Mordred mosse appena gambe, trattenendo il respiro come se avesse il
timore di rompere un incantesimo. Forse un sogno.
Guardò l’uomo steso nel letto accanto a lui. Si,
decisamente un sogno.
Neppure i piedi gelati di Galahad erano più un fastidio quella notte.
Anzi, erano una sua adorabile caratteristica che svaniva dopo il sesso.
Dopo il sesso anche il corpo di Galahad si scaldava, sciogliendosi tra
le sue braccia in un aroma di gigli splendenti. Sciogliendosi…
Il fiatò gli si spezzò nel petto al ricordo
della loro nottata. Respirò sulla sua fronte addormentata, tra i suoi capellidorati.
Provava un senso di beatitudine insolita. Come un legame nuovo che si
era creato con quel ragazzino che si abbandonato nelle sue grinfie con il
candore delicato di una vergine.
E poi… Il paradiso. (Così lo chiamavano i
cristiani vero?) L’elisio, il paradiso. Un mondo di eterna pienezza.
Soddisfazione. Ed era per merito suo. Tutto suo. Suo.
Avrebbe uccido per qualcosa di molto meno prezioso di
quella notte col suo ragazzino.
Il suo ragazzino.
Non conosceva quella strana possessività. Quella sensazione al petto
che provava ora nel guardarlo; ma era felice di averlo accanto. Davvero. E non
avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via. Che solo ci provassero!
Come percependo le sue
emozioni, Galahad si mosse e aprì gli occhi, puntandoli nei suoi.
«Buongiorno» bisbigliò in un sorriso dolcissimo.
Mordred gli scostò i capelli biondi dalla fronte con la punta delle
dita: «Bonjour moncher ami»
Le guance di Galahad s’imporporarono malgrado tentasse di non farlo
notare.
«Stai bene?» domandò Mordred, con una curiosa nota d’ansia.
L’altro riuscì a fare un cenno col capo: «Ho fatto un sogno sai…»
Il figlio di Artù inarcò un
sopracciglio con aria sospettosa, e Galahad sorrise: «Ho
sognato di entrare in una chiesa, mano nella mano con te. E che Dio mi parlava…»
Mordred non riuscì a trattenere il sarcasmo: «Oh
Dea, io in una chiesa? Allora mi devo preoccupare…»
Galahad rise rannicchiandosi contro di lui: «No,
no! Nessuna preoccupazione»
«Non credevo che il fare sesso
con me, ispirasse viaggi mistici» ridacchiò ilare il moro.
Il francese spiegò: «Ho spiegato a Dio quanto tengo a te e lui allora
mi ha dato un dono»
Mordred rammentò qualcosa riguardo ai doni dei greci ma preferì
ascoltare il seguito delle parole dell’altro reggente.
«Dio mi ha detto che allora lavorerà
attraverso di noi. Che il mio corpo sarebbe diventato il calice che raccoglie
la volontà divina e che… Con il tuo…Attraverso di noi, la sua beatitudine e la
sua grazia si propagherà ai cavalieri della tavola
rotonda e poi a tutta la corte. E poi, come una cascata di
grazia, a tutto il popolo e al regno. E oltre ancora. Fino ai cieli»
«Attraverso di noi?» borbottò
Mordred incredulo. Galahad annuì.
«Attraverso
i nostri corpi? Quando facciamo sesso?»
Galahad arrossì: «Non proprio in quel senso.
Egli opererà la pace e l’amore attraverso di me, e poi di noi. Non è magnifico?»
«Come fossimo un vaso dove si versa da bere?» ribatté il principe
delle Orcadi, sempre più scettico.
«Un calice se vuoi» corresse Galahad: «Il mio Dio mi disse anche un
nome preciso ma, non lo ricordo più ora… Era una visione così ampia e mistica
che…»
«L’hai scordata»
«Non l’ho pienamente compresa» corresse il francese, e guardò l’altro
timidamente per cercare di comprendere il suo parere.
Mordred lo sbirciò poi lo strinse con forza tra le braccia,
tirandoselo addosso: «Per me il tuo Dio può far quello che vuole, basta che non
abbia da ridire se facciamo sesso insieme»
Imbarazzato Galahad si lasciò accarezzare dal
suo corpo nudo. Scosse il capo.
Niente ira divina. Ottimo,
pensò soltanto Mordred. Lo sfiorò ancora poi, con un colpo di reni, lo fece
ruzzolare sul letto.
Galahad lo lasciò fare, ridendo.
A Mordred quel suono argentino strinse il cuore.
Dio quanto l’amava il suo ragazzino.
Si riscosse, alzandosi sulle braccia. Che fosse possibile quello che
aveva pensato?
Amava quel suo ragazzino?
«Cosa succede
Mordred?» domandò l’altro giovane, prendendogli il viso: «Sei così impallidito»
L’altro scosse il capo e gli posò una mano dietro al collo, tirandolo
vicino: «Nulla, mio piccolo graaldalis
sporcaccione e visionario. Basta che ti fai assaggiare ancora. Adoro bere dai
piccoli calici pieni di grazia, specialmente se hanno capelli d’oro e labbra
succose e invitanti, al sapore di ciliegia»
Galahad sorvolò sui suoi commenti un po’ empi. Era certo che prima o poi anche Mordred avrebbe compreso la potenza del
dono del suo Dio. Perciò, fiducioso lo abbracciò: «Si,
Merdraut…» sussurrò in modo così innocente e sensuale
da far tremare l’anima dell’altro.
«Baciami pure, moncherroiMerdraut»
E il figlio di Artù non fu mai così felice di obbedire ad un ordine divino.
Capitolo 26 *** CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON ***
CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON
CAPITOLO
26 – NOTIZIE O AVALON
La sua treccia bionda, con qualche striatura di bianco, danzò nel
vento della brughiera mentre l’uomo osservava la verde collina coperta di
erica. C’era solo un'altra presenza nella distesa sconfinata di rilievi verdi e
grigi di sassi. Lui e un cavaliere che correva su per il dolce declivio in
groppa al suo cavallo. Galoppava così sciolto e libero da sembrare più un
centauro che un cavaliere.
Anche da quella distanza, l’uomo sapeva riconoscere la sua bella
presenza. La sua affascinante bellezza.
Alzò un braccio e agitò una mano in segno di saluto.
Come attratto da un incantesimo, il cavaliere declinò il suo percorso
e corse verso la sua figura. A quella piccola casupola di sassi, ricoperta di
edera ed erica, circondata dallo steccato con i cavalli che loro avevano
sistemato.
«Artois!» gridò il cavaliere in
abito celta, tirando le redini del cavallo, a qualche centimetro da lui, e
scendendo con un agile balzo. Quasi gli volò tra le braccia.
L’uomo gli strinse la vita, frenando il suo slancio col proprio corpo.
«Artois» ripetè il più giovane
trentottenne stringendolo. Era vestito con una tunica semplice e brache larghe
in stile gallico.
Il quarantenne ancora non si era abituato al suono strano del suo nome
pronunciato alla francese; ma qualsiasi cosa era dolce sulle sue labbra.
«Come va il cavallo?»
«Una vera bellezza. Ancora qualche esercizio e sarà il miglior cavallo
da torneo mai visto» ammise il bel cavaliere, tenendo l’animale per le briglie.
I due si avviarono verso il recinto stando allacciati con le braccia
attorno alla vita.
Artois attese qualche secondo prima di fare la domanda che gli rodeva
dentro: «Ci sono novità dalla corte? Hai sentito qualcosa in paese?»
Il francese gli lanciò un’occhiata sorniona. Sapeva che non avrebbe
resistito dal chiedere; tuttavia si fece serio quando parlò: «Dicono che
Morgause sia andata ad Avalon»
Artois, meglio noto a corte come Artù, si bloccò davanti al recinto
per i cavalli.
Alcuni puledrini trotterellarono insicuri verso le sue mani per farsi
dare da mangiare, mordicchiandogli la tunica verde per farsi notare.
«Ad Avalon? Morgause? Non ci sarebbe andata manco morta. Non avrebbe
mai lasciato il trono. Il potere…» un pensiero lo colpì: «A meno che non sia
morta davvero»
Il suo compagno dai lunghi capelli castano chiaro, lo scrutò: «Qualche
notte fa ti sei svegliato urlando nel sonno il suo nome»
Artois scosse una mano nell’aria. Una mano grande e forte, con qualche
callo in più per via del lavoro manuale (oltre a quella per l’esercizio con le
armi) ma, aveva ancora l’eleganza e la grazia regale.
«Ho sentito come qualcosa nell’aria»
Con uno sguardo solo il compagno comprese che era pensieroso.
«Se è morta è un bene. Se è
stato mio figlio però… Si sa qualcosa dei reggenti, Galan?»
Galan sorrise appena prima di parlare. Galan, quello era il suo nome
ora. Un intreccio tra il suo vero nome (che condivideva con il figlio) e quello
con cui era diventato famoso, Lancillotto del lago.
«Lan?» insisté il biondo
allevatore di cavalli.
L’altro si decise a parlare: «Dicono che Gawain sia stato fatto re da
Mordred e mio figlio»
Artù sgranò gli occhi azzurri: «Re? Gawain?»
«Delle Orcadi»
«Allora sua madre è morta davvero» concluse l’atletico Artois fissando
le nubi basse che si rincorrevano nel cielo, come pecore nella brughiera.
Presto avrebbe piovuto.
«Gawain è troppo impetuoso per essere un bravo re. E i suoi vicini (i
giganti vichinghi), sono esseri troppo infiammabili per non essere ottimi
diplomatici»
Galan tolse dalla braca celtica dei pezzi di carotine e le porse ai
puledrini che ancora masticavano la stoffa dell’abito del compagno per farsi
notare. Quindi si arrampicò sull’alto recinto, sedendovisi sopra: «Non è
finita! Dicono che è anche partito per giungere al luogo dove si incontrano i
capi dei giganti delle isole perdute di Galehaut»
«I thing? Re Galehaut? Con Gawain?» si sorprese sempre più Artù,
appoggiando allo steccato proprio accanto alla coscia dell’amico.
«Su questo ne so qualcosa…»
sorrise Lancillotto malizioso.
Il re storse la bocca: «Non dirmi nulla. Non voglio sapere nulla di
quello che mio nipote fa in privato…»
Galan rise, allungando una mano a insinuando le ditatra i capelli dorati del compagno. L’altro lo
lasciò fare, sempre incupito: «E non voglio neanche sapere di te e di Galehaut»
«Etait un amicher…»
«Se amico» borbottò Artù, distogliendo il viso.
Galan rise ancora, dondolandosi sul recinto: «Sei geloso! E vuoi
sapere la cosa più incredibile? Mi ricordi Mordred con quell’espressione di
altero fastidio»
L’altero fastidio del re peggiorò quando afferrò Galan per l’azzurra
tunica grezza, piegandolo verso di lui: «Ti insegno io a offendere un re!» e
detto ciò lo costrinse a baciarlo.
Le loro bocche si unirono in un bacio appassionato.
Così Galan finì per scivolare tra le braccia del compagno.
Artois ansimò sul suo viso, lasciandolo la sua bocca: «Inoltre Mordred
è mio figlio. Per forza mi somiglia»
«Lo ammetti solo quando siamo
soli» ribatté il principe celta, sfiorandogli la mascella ruvida con la sua
guancia.
Rimasero così, allacciati, continuando a parlare: «E tuo figlio Galahad
riesce a sopravvivere con mio figlio, a corte?»
Galan stavolta scoppiò a ridere, sfiorandogli tutta la schiena: «La
cosa più assurda è cioè che si sente dire al villaggio! Non ci crederesti mai
ma… Sembra che vadano d’amore e d’accordo»
Artois sgranò gli occhi, sbalordito: «Galahad, con Mordred? Stiamo
parlando degli stessi mio e tuo figlio? Te lo ricordi Mordred? Quel ragazzino
intelligente ma acido e tenebroso?»
Lancillotto annuì ridendo: «E tu ricordi Galahad, così gentile e
religioso? Beh sembra che la corte li adori. Non so come Kay, Bedivere e
Morgana hanno convinto i vecchi cavalieri della tavola rotonda ad appoggiarli,
e il popolo li adora perché stanno facendo molte migliorie nel regno»
Artù si grattò il mento, dove stava crescendo una leggera barba
bionda. «Davvero non l’avrei mai creduto…»
«Ma non è tutto! Sai che tuo
figlio è riuscito a strappare un trattato di pace con i sassoni?»
«E come diavolo ha fatto a convincere Childric a cedere?!» esclamò il
re, temendo già qualche incantesimo.
Galan gli serrò la vita con le sue forti braccia: «Nessuno lo sa ma,
dicono che abbia mandato Bors alla corte dei sassoni»
I due si guardarono dritti negli occhi, e poi si guardarono ancora;
infine scoppiarono a ridere.
«Bors con Childric??! Non l’avrei mai creduto possibile!» rise forte
Artù.
Galan annuì, osservandolo rovesciare indietro il capo e ridere
serenamente.
Dio quanto era felice.
Artois notò il suo sguardo e si piegò ad accarezzargli una guancia
ruvida: «Se avessi saputo che tutto sarebbe andato così bene, mon chevalier,
avremmo potuto andarcene molto prima senza perdere così tanto tempo, non trovi?»
Il bel Lancillotto del lago assentì, posando la guancia contro la mano
dell’amante. «Va bene anche così, Artù. Abbiamo ancora tanto tempo davanti per
goderci, la nostra Avalon»
Artù sorrise dolcemente e si chinò a baciare le sue labbra. «Si. La
nostra Avalon»