Pioggia salata dal sapore di lacrima

di Julietts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parigi, novembre 2002 ***
Capitolo 2: *** Novembre 2002 ***
Capitolo 3: *** Dicembre 2002 ***



Capitolo 1
*** Parigi, novembre 2002 ***


Parigi, Novembre 2002.
Da qualche parte, intorno alla Champs-Elysées, fiumi si gente passavano da un lato all’altro della strada, i volti confusi nell’aria gelida di quel novembre arrivato troppo presto, mentre un vento caotico fatto di voci, risa e pianti, si mescolava alla pioggerella sottile che solcava il cielo con la sua presenza debole ma intensa.
Tra tutte quelle persone senza nome, identità e viso c’era una ragazza che camminava verso una serie di panchine agli angoli della strada.
Gli occhi bassi, i capelli sciolti e lunghi, le gambe veloci, in poco tempo raggiunse una di quelle e vi si sedette sopra.
Erano le due del pomeriggio.
Dal grigio del cielo non si sarebbe mai detto.
Era uscita da poco da scuola. Aveva ancora in testa frazioni e algebra, la voce della prof risuonava insistente nella sua mente. “Non ti applichi. Saresti la migliore, se solo quest’anno non fossi così distratta”. Aveva preso il suo primo 5. Non aveva mai preso 5 in matematica. Non aveva mai preso 5 in generale, in nessuna materia.
Strano, non si sentiva affranta. O triste. Sarebbe successo prima o poi.
-Scusa-
Improvvisamente, alzò gli occhi. Un ragazzo la stava guardando dall’alto.
-Potresti spostarti un po’, per favore?-
-Io…certo- lei si scostò di qualche centimetro per fare spazio sulla corta panchina a quello strano individuo, che ora in silenzio guardava la strada piena di gente con occhi…concentrati, come a voler cogliere ogni singola sfumatura di colore di ogni passante che indisturbato passeggiava nella ‘via dei negozi di Parigi’.
Diede un’occhiata alle altre panchine. Erano tutte vuote. Perché aveva voluto sedersi proprio lì?
Perché ora stava in silenzio?
Perché…diede una breve occhiata ai suoi occhi. Ne rimase folgorata.
Erano del più bell’azzurro che lei avesse mai visto in tutta la sua vita. Lo guardò un po’ meglio cercando di non farsi notare da lui, che continuava a dedicare tutta la sua attenzione alla strada.
Aveva i capelli di un biondo ramato piuttosto lucido, che la pioggia rendeva stopposi e vagamente bagnati, donandogli riflessi insoliti. Il viso era di un colore pallido, quasi biancastro, ma non lattiginoso, i lineamenti delicati e originali incorniciavano chissà quali pensieri.
Il collo era lungo, magro, avvolto in una sciarpa larga e colorata. Quell’arancione le ricordava tanto una spremuta che aveva bevuto da bambina a una festa di compleanno. Non aveva mai più visto un arancione del genere, se non in quella sciarpa.
Il suo busto, non lo riusciva a vedere. Un pesante cappotto nero gli avvolgeva il corpo probabilmente magro, mentre le sue gambe erano fasciate da un paio di jeans né larghi né stretti, ai piedi un paio di All Star rosse allacciate male.
Distolse lo sguardo da lui. Ma provò a parlargli.
-Ciao-
-Ciao-
Aveva una voce meravigliosa. Calda, ruvida…morbida e dolce.
-Come ti chiami?-
-Josh. Jo, meglio. Tu?-
Lei rabbrividì leggermente. Si stavano avviando in una specie di…conversazione?
-Stephanie-
-Stephanie- ripetè lui, pensieroso.
-Già- lei provò a sorridergli. Lui non ricambiò.
-Chi sei, Stephanie?-
Lo guardò stranita. Che razza di domanda era, quella?
-Io…non capisco dove tu voglia arrivare-
-Vorrei sapere chi sei-
Lei abbassò gli occhi. Improvvisamente voleva riversare in quello sconosciuto tutta la sua vita, le sue esperienze, lei. Anche se non lo avrebbe mai fatto, e mai pensato di fare, disse:
-Piacere, Stephanie Caroline Edwards. Sono una ragazza normale, ho sedici anni, e oggi ho preso il mio primo cinque in tutta la mia vita. Sono brava a scuola. Sono molto brava a scuola. È l’unica cosa che so fare bene. Ma perché studio, non per altro. Non sono più intelligente, sveglia o brillante degli altri. Solo, non ho una vita mia, e la mia vita è la scuola. E sai…ho preso cinque. Ho studiato come una dannata, e ho preso cinque in matematica. Avrei voglia di piangere. Sono insicura. Molto insicura. Non so cosa voglio. A sedici anni, dovrei volere tutto. Io invece non voglio niente. Mia madre dice che mi passerà. Mio padre non mi dice niente. Preferirei che non mi dicesse niente neanche lei. Perché nessuno dei due sa veramente chi sono. Mi trucco poco. Un filo di fondotinta, mascara, poca matita nera anti-sbavature. Così, se dovessi piangere, non mi si scioglierebbe tutto sulle guance. Anche se non ho mai pianto in vita mia in pubblico. Sono molto fissata su ciò che pensa la gente. Sono cronicamente annoiata, sempre alla ricerca di…niente, perché se non so che cosa voglio, non ho nulla da cercare. Sono una stupida. Credo poco nella felicità, perché in questo mondo non può esistere, è impossibile. Matematicamente parlando, in genere. Fa schifo. La mia vita non mi piace, ma non mi disgusta. Sai, è la prima volta che mi siedo qui, mi sento tanto scema. Lo sono. Sono una stupida, no? Bene, eh sai che cosa faccio ora? Me ne vado a casa. È stato un piacere parlare con te. Piacere, comunque, questa sono io-
Lei si alzò, e lo guardò, aspettando un saluto, almeno. Le veniva da piangere.
-Piacere, Stephanie. Io sono Jo. Sono un artista-
E la ragazza scomparve nuovamente tra la folla caotica che affollava la Champs-Elysées, mentre quell’ultima frase le rimbombava in testa, provocando un eco spaventoso.
 
 

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Capitolo 2
*** Novembre 2002 ***


Pioveva. Gocce piccole, insignificanti, solcavano l’aria di quel freddo sabato di novembre, come tante piccole lacrime salate di un pittore che non vedrà mai finito il suo quadro più bello.
Stephanie camminava, nuovamente, per le Champs-Elysées. I suoi pensieri correvano leggiadri sulle vetrine dei negozi, sui volti che passavano, guardava tutto, ma non vedeva nulla.
Veniva in realtà più che altro spinta da un angolo all’altro, così, da persone tutte indaffarate e di fretta che avevano chissà quali così importanti impegni da portare a termine. Lei di fretta non ne aveva. Passava di lì, quasi per caso. O forse non quasi per caso, ma sicuramente senza un motivo apparente. Perché un motivo, anche se non se ne rendeva conto, c’era. Ufficialmente, però, doveva comprare una scatola di cioccolatini per la vecchia zia Marie, che avrebbe compiuto ottant’anni qualche settimana più in là.
La ragazza continuava a percorrere la via, comunque, ignorando tutte le pasticcerie. Perché di comprare i cioccolatini se ne era proprio scordata. Raggiunse un angolo della strada, raggiunse delle panchine. Le panchine. Vi si sedette su una a caso, chiuse gli occhi e penso insistentemente a un concetto che non riusciva a fluirle via dalla testa.
‘Che-cavolo-ci-faccio-qui’.
Niente, si disse, niente. Niente.
Ricordò poi, quando non molti giorni prima si era seduta su una panchina di quelle, incontrando quel Jo che l’aveva catturata nella sua rete fatta di fascino e mistero. Ed improvvisamente, capì tutto.
Ma Stephanie non era una ragazza superficiale, non era una qualunque. Aveva la testa sulle spalle, sì. Sì. E non si sarebbe innamorata, ma neanche interessata, ad un ragazzo che non conosceva nemmeno e che, di quei tempi, poteva benissimo essere uno stupratore, o un maniaco.
Quindi, si alzò, abbandonando quel desiderio profondo e impronunciabile su quella panchina tra le tante panchine, di cui non avrebbe mai voluto ricordarsi. E con delusione, se ne andò, ripercorrendo la grande via, verso una pasticceria economica. Tornando a essere la solita Stephanie, senza sogni, senza desideri, annoiata da una vita che non le apparteneva totalmente. E con delusione per se stessa, per sognare l’irraggiungibile, entrò nel primo negozio di dolci che trovò e comprò un pacchettino di cioccolatini scadente e triste. Ma tanto, non le importava. Proprio per niente.
E con delusione, uscì da quel negozio, e stancata dai suoi stessi rimproveri, fece un altro giro, per la via, sempre senza un motivo, facendo finta di non sentire la morsa allo stomaco che la cingeva.
E fingendo, soprattutto, che quella delusione non fosse per non averlo rivisto.

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Capitolo 3
*** Dicembre 2002 ***


Quel mattino di inizio dicembre, l’aria sembrava essersi di colpo raffreddata. Stephanie Caroline Edwards si alzò di buon ora, indossò semplici e comuni vestiti e si diresse verso la sua scuola. Anche se era sabato.
Sì, perché quel giorno ci sarebbe stata la proiezione di un documentario molto interessante sui cicli delle stagioni e la sua professoressa di scienze aveva caldamente consigliato a tutti la partecipazione. Naturalmente, solo Stephanie aveva accettato e, alle sette e trenta del mattino, camminava ascoltando l’ MP3 per le vie di Parigi e mangiucchiando una ciambella, preparata con cura da sua nonna.
Improvvisamente, decise di fare una piccola deviazione. Infondo, non c’era niente di male.
Imboccò la Champs-Elysées, a quell’ora, praticamente deserta. E fu a quel punto che lo rivide.
Quel ragazzo strano, bellissimo, che aveva conosciuto quasi un mese prima. Quel Jo, sì. Non resistette, gli si dovette avvicinare.
Era seduto sulla stessa panchina della volta prima, e aveva in mano un blocco di fogli bianchi e un carboncino. Disegnava.
-Complimenti- mormorò Stephanie, avvicinandosi a lui. Poi, appena qualche secondo dopo, si dette della cretina mentalmente. Sicuramente, non si ricordava di lei.
-Grazie mille Stephanie- disse lui, senza alzare la testa dal foglio.
-Stephanie?- esclamò lei, stupita.
Finalmente, lui alzò gli occhi. Quegli splendidi occhi azzurri incontrarono i suoi, e lei non potè non rimanerne folgorata, nuovamente.
-Non ti chiami Stephanie Edwards?-
-Sì-
-Ah ecco, sì...mi ricordo-
E, ancora una volta, riprese a disegnare.
La ragazza guardò con cura il foglio e non riuscì a trattenere un ‘wow’: il carboncino sembrava incorniciare un paesaggio freddo e distante, quasi incredibile, fantastico, ma negli angoli e nelle vetrine si potevano riconoscere dettagli reali della pasticceria ‘Chocolate’ o del negozio ‘Louis Vuitton’.
-Sei veramente bravo...frequenti un liceo artistico o una scuola d’arte?-
-No-
-Beh...magari dovresti-
-Tu non puoi saperlo-
Lei si zittì un attimo, ammutolita dal tagliente tono di voce con cui aveva pronunciato quelle parole. Poi, sussurrò: -Sei davvero bravo, Jo-
Il ragazzo sorrise appena, continuando la sua opera.
-Grazie mille-
Poi, lei si alzò, e se ne andò, senza nemmeno salutare. Così, se ne andò, e tornò sui suoi passi, verso la scuola.
Ma, stranamente, aveva meno freddo.
 

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