don't look back on last november.

di SLAPPYplatypus
(/viewuser.php?uid=64760)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** brat. ***
Capitolo 2: *** somebody take the pain away. ***
Capitolo 3: *** inside your restless soul your heart is dying. ***



Capitolo 1
*** brat. ***




Dico solo che è un missing moment riferito (precendente) alla fanfic
that's me, that's my life -ebbene sì. Un altro.
Il rating è aranzione perchè - beh, in questo capitolo non succede niente. Ma il prossimo/i prossimi saranno molto... brutali. hehehe. Devo dare sfogo alla mia anima perversa in qualche modo, no? Beh, poi alla fine, se avete letto i capitoli della fic sapete già tutto. Ma vabbeh.
Detto questo, arrivederci.










Gloria.


«Lo ami davvero?» mi chiese Ryan, appoggiato a braccia conserte alla porta del bagno, mentre io mi sfregavo forte gli occhi cercando di cancellare ogni traccia di eyeliner prima che mia madre potesse notarle.
«C-cosa?» sapevo benissimo di cosa parlasse, cosa credete? Non sono mai stata una di quelle persone che chiede sempre di ripetere una domanda, prima di rispondere. Una parte di me era certa che avessi sbagliato, però, che in realtà mi stesse chiedendo qualcosa di diverso, di non avere capito bene. Sembrava stesse parlando di Chester, stava chiaramente parlando di Chester, ma... ma era semplicemente assurdo, dovevo aver capito male. A Ryan non era mai importato niente della mia vita, o almeno non che io ricordassi; aveva notato a stento quando mi tinsi i capelli di biondo platino. Era il fratello maggiore, lui, tutto il giorno fuori casa, diviso tra università e fidanzata inquietantemente simile ad una Barbie e tanto gentile da far venire il voltastomaco, ciliegina sulla torta di una vita impegnativa e tanto bella da essere estenuante. Figurarsi se poteva essere a conoscenza del fatto che la sorella minore stesse uscendo con qualcuno. Io ero la piccola della casa, ero ancora una bambina.
Probabilmente aveva semplicemente detto "Mangi la carne, vero?", o qualcosa del genere. Sì, doveva essere così.
«Sei davvero innamorata di quel tizio?» riformulò la domanda lentamente, come se stesse parlando con una bambina di due anni, fissandomi con gli occhi azzurri spalancati.
«S-sì. Credo di sì.» borbottai, sforzandomi di portarlo a chiudere l'argomento.
Sembrò trovare la mia risposta divertente, senza nessuna spiegazione apparente. Non stavo certo facendo una battuta o niente di simile. Ridacchiò tra sé, buttando leggermente la testa all'indietro. 
«Crede di sì.» ripetè, sussurrando incredulo. «Cosa provi quando lo vedi?» chiese schiarendosi la voce, e guardandomi dritto negli occhi.
Sbuffai e volsi nuovamente lo sguardo allo specchio, impregnando il cotone con lo struccante che mi aveva prestato Eliza.
Doveva essere evidente, il modo con cui cercavo di contenere la mia reazione, di arginarla e lasciarla sfociare in qualcosa di innoquo, o che non mi causasse guai, almeno. «Ryan, da quando ti importa qualcosa della mia vita? Io non ti ho mai chiesto niente della tua Barbie, lasciami in pace.» sbottai, sbattendo la confezione verdastra sul lavandino.
«Si chiama Allie.» brontolo quasi a sé stesso, spostandosi e percorrendo lo stretto corridoio verso la sua stanza, con le mani affondate nelle tasche, e sbattendo la porta abbastanza forte da far tremare l'impalpabile linea di alcol nella boccetta davanti ai miei occhi.
«Vaffanculo.» sussurrai tra me e me; non avevo mai messo così tanta rabbia in una sola parola. «Vaffanculo a te e alla tua maledetta Allie.» sibilai sempre più forte, scaricando nel water il cotone sporco e nascondendo nella mia borsetta lo struccante. «Andate tutti e due a farvi fottere e mandatemi una fottuta cartolina.»
«Tesoro? Hai detto qualcosa?» trillò mia madre dall'altra stanza.
«No, mamma, non preoccuparti! Vado a fare i compiti, ho un sacco da studiare e sarà maglio che salti la cena!» urlai, cercando di dare alla mia voce un tono allegro e serafico quanto esausto per lo studio.
«Certo, amore!»
Sbuffai, raggiungendo la mia camera a grandi falcate e chiudendo la porta. Afferrai velocemente un libro di testo a caso, e lo aprii sulla scrivania, allineando con cura l'astuccio.
No, ovviamente non mi sarei messa a studiare. Studiare? No grazie, passo.
«Ci si vede, biologia.» sussurrai ironica, mettendomi la borsetta a tracolla e aprendo la finestra, attenta a non produrre nessun rumore.
Odiavo questa parte dell'anno, la odiavo davvero. Novembre. Le otto di sera, e tutto era scuro, impossibile vedere ad un palmo dal naso senza una torcia. Mi calai lentamente dalla finestra, saltando silenziosamente dietro al cespuglio che ornava l'ingresso alla villetta giallognola dove vivevo.
Sentii distintamente un cigolio, e mi rannicchiai su me stessa. 
«Mamma, esco!» strillò Ryan da sopra la spalla. «Torno tra qualche ora, non aspettarmi in piedi!» chiuse la porta senza aspettare una risposta. Non dovetti aspettare molto perchè fosse fuori dal mio raggio visivo, giusto il tempo di girare un paio di angoli e tirai il cellulare fuori dalla borsa, aprendolo con uno schiocco.
Schiacciai velocemente un paio di tasti, e scrissi un messaggio per Chester.

Ho bisogno di vederti.
Tra mezz'ora al solito posto.
Ci vediamo lì?
xxx.

Sorrisi tra me e me, e iniziai a correre.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** somebody take the pain away. ***





Gloria.


«Ciao.» schioccò quella voce così familiare nelle mie orecchie, facendomi sobbalzare. Sembravano passate ore, dal momento in cui arrivai al solito posto e mi sedetti, dando le spalle al mondo, osservando rapita tutti gli accuratissimi graffiti che ricoprivano il muro semidistrutto davanti ai miei occhi.
«Ciao» sorrisi a Chester, guardando in alto; aveva gli occhi lucidi e le pupille stranamente ristrette, come due piccoli spilli neri in mezzo al grigio luminoso dei suoi occhi. «Come va?» soffiai fuori, il suono della mia voce era totalmente coperto dai suoi gemiti, mentre tentava di sedersi accanto a me. Mi schiarii la voce «Hai letto il messaggio?» domandai, cercando semplicemente di avviare un discorso.
«Messaggio?» rispose apatico, con una voce così roca e distaccata che mi domandai se avesse capito la mia domanda. Parlava con lo stesso tono che useresti per pronunciare una parola che non avevi mai sentito in una lingua straniera, e  seguiva con lo sguardo qualcosa che sembrava svolazzare attorno a me. Io non riuscivo a distinguere nulla che seguisse quella traiettoria.
Scoppiò improvvisamente in una risata, rideva tanto da non riuscire a stare dritto sulla schiena; cadeva indietro, si rialzava e ricadeva. «Hey, Chester, stai bene?» domandai, avvicinandomi carponi a lui, ancora disteso con lo sguardo alto, che si perdeva nel cielo.
«Tu non hai sonno?» chiese guardandomi negli occhi, con un enorme sbadiglio.
«Chester, sono appena le dieci e mezzo. Non dovresti averne nemmeno tu!» sorrise appena alla mia risposta, rimanendo immobile, senza muovere un muscolo. Appoggiai piano la testa sul suo petto, e con una mano gli scostai una ciocca di quei capelli biondissimi, ricaduti sugli occhi; a malapena se ne accorse.
«Hey!» scattò a sedere dopo qualche minuto. «Lasciami stare!» sbottò, scrollando la testa per riportare i capelli nel loro ordinato disordine.
«Chester, si può sapere che cosa ti sta succedendo?» mi ritirai in fretta, raggomitolandomi su me stessa, e appoggiai la testa sulle ginocchia.
«Cazzo, lasciami in pace, Gloria!» urlò, ancora dopo qualche secondo di silenzio.
Sbattei le palpebre per una frazione di secondo, ma fu sufficiente per non vedere arrivare il colpo. Tutto ciò di cui fui subito, pienamente coscente era lo spostamento d'aria impercettibile, a cui seguì un forte colpo metallico, che mi colpì la mascella.
Solo dopo qualche secondo arrivò il dolore, prima come un leggero, fastidioso prurito, dopo come un accecante bianco che circondava e annebbiava tutto ciò che era attorno a me.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto di essere accasciata a terra, poco meno di un metro distante dal punto dove mi trovavo prima, e il bianco si stava lentamente trasformando in un rosso, una brillante tonalità di scarlatto.
Mi portai lentamente una mano tremante al labbro inferiore, dove sembrava concentrarsi tutto il bruciore; lo sfiorai appena con l'indice e un torrente rossastro iniziò a scorrere per il mio braccio. Spalancai gli occhi, fissando Chester, che mi guardava negli occhi con l'espressione più sconvolta che avessi mai visto. Spostava in continuazione lo sguardo dal suo pugno, chiuso e sporco di sangue, al mio viso, come se non si rendesse conto di ciò che aveva appena fatto.
«Oddio, Glo.» sussurrava avvicinandosi, con la voce tremante. «Dio, Dio, Glo.» bisbigliava quasi a sé stesso, avvicinandosi e sfiorandomi la spalla con la mano. «Gloria, stai tremando, perchè tremi?»
«Vai via, Chester.» sibilai, allontanandomi di scatto, come se avessi appena preso la scossa.
«Cosa c'è, piccola?» sussurrò quasi ferito, ma con un ghigno sulle labbra. «Non mi vuoi più bene? Non vuoi un po' di coccole?»
«Chester, vattene immediatamente.»
I suoi occhi si sgranarono sorpresi, per poi socchiudersi, il grigio si era congelato in una fredda sfumatura di ciò che era prima. Abbassai lo sguardo, sospirando. Non riuscivo a capire quello che era appena successo, era troppo per me.
«Per piacere, Chester, torna a casa. Ti prego» bisbigliavo con la voce rotta, mentre gli occhi si bagnavano, coperti dalla mia mano e delle gocce salate lavavano via il sangue.
Udii un singhiozzo sommesso, e alzai lo sguardo piano, partendo dalle sue sneakers bianche e nere. Non appena arrivai all'altezza del suo torace, vidi chiaramente una lacrima cadere, una stella brillante che scivolava dai suoi occhi, e il suo corpo scattò, come preso da un istinto primordiale che credevo perduto da qualche parte, nel corso dell'evoluzione.
Un colpo sordo raggiunse il mio stomaco, facendomi tossire e sputare sangue, mentre un altro incontrò la gabbia toracica.
«Chester-» gemetti senza prendere veramente la decisione di farlo.
I miei occhi si chiusero lentamente, contro il mio volere.
L'ultima cosa che vidi fu la luna.


Sarei dovuta rimanere a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** inside your restless soul your heart is dying. ***





Ryan.


«Ti amo.» sorrise Allie, schioccandomi un bacio sulle labbra.
Scesi dalla sua piccola auto azzurra, affacciandomi al finestrino e sorridendo di rimando, guardandola dritto negli occhi
«Ti amo anche io.» Alle mie parole, il suo sorriso si allargò e mise in moto. «A domani» sussurrai quasi tra me e me, allontanandomi di qualche passo e salutandola con la mano.
Era una ragazza fantastica, la creatura migliore che avessi mai sperato di incontrare. Così dolce, così gentile, così... così tutto. Non c'era cosa in lei che non fosse perfetta; non gli occhi chiarissimi e brillanti, non i capelli biondi e lisci, come una cascata dorata. Doveva essere una dea reincarnata, non era possibile che un essere umano arrivasse a tanto.
Mi voltai con il sorriso sulle labbra, affondai le mani in tasca e presi a camminare lentamente, esitando ad ogni singolo passo che mi separava da casa. Trascinavo un piede davanti all'altro, facendo attenzione a non cadere, e pensavo a quanto avrei voluto essere ancora là, con lei, e sentire la sua risatina trillare nell'aria attorno a me.
Sospirai, chiudendo gli occhi per qualche secondo, mentre svoltavo sulla via che mi avrebbe condotto proprio davanti alla villetta, che mi aspettava nell'oscurità, la porta illuminata soltanto da un lampioncino che pendeva dal muro.
Feci per salire i tre gradini che mi separavano dalla porta di casa, quando udii un gemito soffocato. Mi voltai di scatto, senza distinguere nulla dell'oscurità che mi avvolgeva, le pupille ristrette dalla luce di fronte a me.
Colpo di tosse, un secondo gemito. Non potevo essermelo immaginato.
Percorsi a ritroso il vialetto, sbattendo le palpebre freneticamente nel tentativo di distinguere i dettagli di ciò che mi circondava.
Intravidi un cumulo scuro, come una coperta stropicciata che si muoveva velocemente, su e giù, come... come se respirasse. Come se respirasse ad un ritmo innaturalmente veloce. Mi avvicinai cauto, scostando piano il giubbino di pelle che lo avvolgeva, buttato addosso alla bell'e meglio.
Gloria. Era Gloria, senza dubbio; era mia sorella, il corpo sanguinante e ansimante che mi giaceva davanti.
«Dio, Glo.» sussurrai quasi tra me e me, alzandole la schiena dal terreno. Sul marciapiede era rimasta la sua ombra, disegnata accuratamente con il sangue che perdeva. Estrassi velocemente il cellulare dalla tasca dei jeans, tenendola sempre stretta a me, e composi il 999.
«Ambulanze, servizio di emergenza.» rispose una voce annoiata.
«Newton Nottage Road, un'ambulanza. Ora!» strillai, prima di riattaccare. «Gloria,» sussurrai, scostandole i capelli dal viso «andrà tutto bene, okay? Dico davvero, andrà tutto a posto.» bisbigliai, più a me stesso che a lei, mentre le sue labbra si allargarono appena in un sorriso.
Ma forse era solo la mia immaginazione.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=706890