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Lista capitoli: Capitolo 1: *** brat. *** Capitolo 2: *** somebody take the pain away. *** Capitolo 3: *** inside your restless soul your heart is dying. ***
Dico
solo che è un missing moment riferito (precendente) alla
fanfic that's
me, that's my life -ebbene sì. Un altro.
Il rating è aranzione perchè - beh, in questo
capitolo non succede niente. Ma il prossimo/i prossimi saranno molto...
brutali. hehehe. Devo dare sfogo alla mia anima perversa in qualche
modo, no? Beh, poi alla fine, se avete letto i capitoli della fic
sapete già tutto. Ma vabbeh.
Detto questo, arrivederci.
Gloria.
«Lo ami davvero?» mi chiese Ryan, appoggiato a braccia
conserte alla porta del bagno, mentre io mi sfregavo forte gli occhi
cercando di cancellare ogni traccia di eyeliner prima che mia madre
potesse notarle. «C-cosa?» sapevo benissimo di cosa
parlasse, cosa credete? Non sono mai stata una di quelle persone che
chiede sempre di ripetere una domanda, prima di rispondere. Una parte
di me era certa che avessi sbagliato, però, che in
realtà mi stesse chiedendo qualcosa di diverso, di non avere
capito bene. Sembrava stesse parlando di Chester, stava chiaramente
parlando di Chester, ma... ma era semplicemente assurdo, dovevo aver
capito male. A Ryan non era mai importato niente della mia vita, o
almeno non che io ricordassi; aveva notato a stento quando mi tinsi i
capelli di biondo platino. Era il fratello maggiore, lui, tutto il
giorno fuori casa, diviso tra università e fidanzata
inquietantemente simile ad una Barbie e tanto gentile da far venire il
voltastomaco, ciliegina sulla torta di una vita impegnativa e tanto
bella da essere estenuante. Figurarsi se poteva essere a conoscenza del
fatto che la sorella minore stesse uscendo con qualcuno. Io ero la
piccola della casa, ero
ancora una bambina.
Probabilmente aveva semplicemente detto "Mangi la carne, vero?",
o qualcosa del genere. Sì, doveva essere così. «Sei davvero innamorata di quel tizio?»
riformulò la domanda lentamente, come se stesse parlando con
una bambina di due anni, fissandomi con gli occhi azzurri spalancati. «S-sì. Credo di
sì.» borbottai, sforzandomi di portarlo a chiudere
l'argomento.
Sembrò trovare la mia risposta divertente, senza nessuna
spiegazione apparente. Non stavo certo facendo una battuta o niente di
simile. Ridacchiò tra sé, buttando leggermente la
testa all'indietro. «Crede di sì.»
ripetè, sussurrando incredulo. «Cosa provi quando lo vedi?» chiese
schiarendosi la voce, e guardandomi dritto negli occhi.
Sbuffai e volsi nuovamente lo sguardo allo specchio, impregnando il
cotone con lo struccante che mi aveva prestato Eliza. Doveva essere evidente, il modo con cui cercavo
di contenere la mia reazione, di arginarla e lasciarla sfociare in
qualcosa di innoquo, o che non mi causasse guai, almeno. «Ryan, da quando ti importa qualcosa della mia
vita? Io non ti ho mai chiesto niente della tua Barbie, lasciami in
pace.» sbottai, sbattendo la confezione verdastra sul
lavandino. «Si chiama Allie.» brontolo quasi a
sé stesso, spostandosi e percorrendo lo stretto corridoio
verso la sua stanza, con le mani affondate nelle tasche, e sbattendo la
porta abbastanza forte da far tremare l'impalpabile linea di alcol
nella boccetta davanti ai miei occhi. «Vaffanculo.» sussurrai tra me e me; non
avevo mai messo così tanta rabbia in una sola
parola. «Vaffanculo a te e alla tua maledetta Allie.»
sibilai sempre più forte, scaricando nel water il cotone
sporco e nascondendo nella mia borsetta lo struccante. «Andate tutti e due a farvi fottere e mandatemi
una fottuta cartolina.» «Tesoro? Hai detto qualcosa?»
trillò mia madre dall'altra stanza. «No, mamma, non preoccuparti! Vado a fare i
compiti, ho un sacco da studiare e sarà maglio che
salti la cena!» urlai, cercando di dare alla mia
voce un tono allegro e serafico quanto esausto per lo studio. «Certo, amore!»
Sbuffai, raggiungendo la mia camera a grandi falcate e chiudendo la
porta. Afferrai velocemente un libro di testo a caso, e lo aprii sulla
scrivania, allineando con cura l'astuccio.
No, ovviamente non mi sarei messa a studiare. Studiare? No grazie,
passo. «Ci si vede, biologia.» sussurrai
ironica, mettendomi la borsetta a tracolla e aprendo la finestra,
attenta a non produrre nessun rumore.
Odiavo questa parte dell'anno, la odiavo davvero. Novembre. Le otto di
sera, e tutto era scuro, impossibile vedere ad un palmo dal naso senza
una torcia. Mi calai lentamente dalla finestra, saltando
silenziosamente dietro al cespuglio che ornava l'ingresso alla villetta
giallognola dove vivevo.
Sentii distintamente un cigolio, e mi rannicchiai su me
stessa. «Mamma, esco!» strillò Ryan
da sopra la spalla. «Torno tra qualche ora, non aspettarmi in
piedi!» chiuse la porta senza aspettare una risposta. Non
dovetti aspettare molto perchè fosse fuori dal mio raggio
visivo, giusto il tempo di girare un paio di angoli e tirai il
cellulare fuori dalla borsa, aprendolo con uno schiocco.
Schiacciai velocemente un paio di tasti, e scrissi un messaggio per
Chester.
Ho bisogno di vederti.
Tra mezz'ora al solito posto.
Ci vediamo lì? xxx.
«Ciao.»
schioccò quella voce così familiare nelle mie
orecchie,
facendomi sobbalzare. Sembravano passate ore, dal momento in cui
arrivai al solito posto
e mi
sedetti, dando le spalle al mondo, osservando rapita tutti gli
accuratissimi graffiti che ricoprivano il muro semidistrutto davanti ai
miei occhi. «Ciao»
sorrisi a Chester, guardando in alto; aveva gli occhi lucidi e le
pupille stranamente ristrette, come due piccoli spilli neri in mezzo al
grigio luminoso dei suoi occhi. «Come
va?» soffiai fuori, il suono della mia voce era totalmente
coperto dai suoi gemiti, mentre tentava di sedersi accanto a me. Mi schiarii la voce «Hai letto il messaggio?» domandai,
cercando semplicemente di avviare un discorso. «Messaggio?»
rispose apatico, con una voce così roca e
distaccata che mi
domandai se avesse capito la mia domanda. Parlava con lo stesso tono
che useresti per pronunciare una parola che non avevi mai sentito in
una lingua straniera, e seguiva con lo sguardo
qualcosa che sembrava svolazzare attorno a me. Io non riuscivo a
distinguere nulla che seguisse quella traiettoria. Scoppiò
improvvisamente in una risata, rideva tanto da non riuscire a stare
dritto sulla schiena; cadeva indietro, si rialzava e ricadeva.
«Hey,
Chester, stai bene?» domandai, avvicinandomi carponi a lui,
ancora disteso con lo sguardo alto, che si perdeva nel cielo. «Tu non hai sonno?» chiese guardandomi
negli occhi, con un enorme sbadiglio. «Chester,
sono appena le dieci e mezzo. Non dovresti averne nemmeno
tu!»
sorrise appena alla mia risposta, rimanendo immobile, senza muovere un
muscolo. Appoggiai
piano la testa sul suo petto, e con una mano gli scostai una ciocca di
quei capelli
biondissimi, ricaduti sugli occhi; a malapena se ne accorse. «Hey!» scattò a sedere dopo
qualche minuto. «Lasciami stare!» sbottò,
scrollando la testa per riportare i capelli nel loro ordinato disordine. «Chester,
si può sapere che cosa ti sta succedendo?» mi
ritirai in
fretta, raggomitolandomi su me stessa, e appoggiai la testa sulle
ginocchia. «Cazzo, lasciami in pace, Gloria!»
urlò, ancora dopo qualche secondo di silenzio.
Sbattei le palpebre per una frazione di secondo, ma fu sufficiente per
non vedere arrivare il colpo. Tutto ciò di cui fui subito,
pienamente coscente era lo spostamento d'aria impercettibile, a cui
seguì un forte colpo metallico, che mi colpì la
mascella.
Solo dopo qualche secondo arrivò il dolore, prima come un
leggero, fastidioso prurito, dopo come un accecante bianco che
circondava e annebbiava tutto ciò che era attorno a me.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto di essere accasciata a terra,
poco meno di un metro distante dal punto dove mi trovavo prima, e il
bianco si stava lentamente trasformando in un rosso, una brillante
tonalità di scarlatto.
Mi portai lentamente una mano tremante al labbro inferiore, dove
sembrava concentrarsi tutto il bruciore; lo sfiorai appena con l'indice
e un torrente rossastro iniziò a scorrere per il mio
braccio.
Spalancai gli occhi, fissando Chester, che mi guardava negli occhi con
l'espressione più sconvolta che avessi mai visto. Spostava
in
continuazione lo sguardo dal suo pugno, chiuso e sporco di sangue, al
mio viso, come se non si rendesse conto di ciò che aveva
appena
fatto. «Oddio, Glo.» sussurrava avvicinandosi,
con la voce tremante. «Dio, Dio, Glo.» bisbigliava quasi a
sé stesso, avvicinandosi e sfiorandomi la spalla con la
mano. «Gloria, stai tremando, perchè
tremi?» «Vai via, Chester.» sibilai,
allontanandomi di scatto, come se avessi appena preso la scossa. «Cosa c'è, piccola?»
sussurrò quasi ferito, ma con un ghigno sulle labbra. «Non mi vuoi più bene? Non vuoi un po'
di coccole?» «Chester, vattene immediatamente.»
I suoi occhi si sgranarono sorpresi, per poi socchiudersi, il grigio si
era congelato in una fredda sfumatura di ciò che era prima.
Abbassai lo sguardo, sospirando. Non riuscivo a capire quello che era
appena successo, era troppo per me. «Per piacere, Chester, torna a casa. Ti
prego» bisbigliavo con la voce rotta, mentre gli occhi si
bagnavano, coperti dalla mia mano e delle gocce salate lavavano via il
sangue.
Udii un singhiozzo sommesso, e alzai lo sguardo piano, partendo dalle
sue sneakers bianche e nere. Non appena arrivai all'altezza del suo
torace, vidi chiaramente una lacrima cadere, una stella brillante che
scivolava dai suoi occhi, e il suo corpo scattò, come preso
da un istinto primordiale che credevo perduto da qualche parte, nel
corso dell'evoluzione.
Un colpo sordo raggiunse il mio stomaco, facendomi tossire e sputare
sangue, mentre un altro incontrò la gabbia toracica. «Chester-» gemetti senza prendere
veramente la decisione di farlo.
I miei occhi si chiusero lentamente, contro il mio volere.
L'ultima cosa che vidi fu la luna.
Capitolo 3 *** inside your restless soul your heart is dying. ***
Ryan.
«Ti amo.» sorrise Allie, schioccandomi
un bacio sulle labbra.
Scesi dalla sua piccola auto azzurra, affacciandomi al finestrino e
sorridendo di rimando, guardandola dritto negli occhi «Ti amo anche io.» Alle mie parole, il
suo sorriso si allargò e mise in moto. «A domani» sussurrai quasi tra me e me,
allontanandomi di qualche passo e salutandola con la mano.
Era una ragazza fantastica, la creatura migliore che avessi mai sperato
di incontrare. Così dolce, così gentile,
così... così tutto. Non c'era cosa in lei che non
fosse perfetta; non gli occhi chiarissimi e brillanti, non i capelli
biondi e lisci, come una cascata dorata. Doveva essere una dea
reincarnata, non era possibile che un essere umano arrivasse a tanto.
Mi voltai con il sorriso sulle labbra, affondai le mani in tasca e
presi a camminare lentamente, esitando ad ogni singolo passo che mi
separava da casa. Trascinavo un piede davanti all'altro, facendo
attenzione a non cadere, e pensavo a quanto avrei voluto essere ancora
là, con lei, e sentire la sua risatina trillare nell'aria
attorno a me.
Sospirai, chiudendo gli occhi per qualche secondo, mentre svoltavo
sulla via che mi avrebbe condotto proprio davanti alla villetta, che mi
aspettava nell'oscurità, la porta illuminata soltanto da un
lampioncino che pendeva dal muro.
Feci per salire i tre gradini che mi separavano dalla porta di casa,
quando udii un gemito soffocato. Mi voltai di scatto, senza distinguere
nulla dell'oscurità che mi avvolgeva, le pupille ristrette
dalla luce di fronte a me.
Colpo di tosse, un secondo gemito. Non potevo essermelo immaginato.
Percorsi a ritroso il vialetto, sbattendo le palpebre freneticamente
nel tentativo di distinguere i dettagli di ciò che mi
circondava.
Intravidi un cumulo scuro, come una coperta stropicciata che si muoveva
velocemente, su e giù, come... come se respirasse. Come se
respirasse ad un ritmo innaturalmente veloce. Mi avvicinai cauto,
scostando piano il giubbino di pelle che lo avvolgeva, buttato addosso
alla bell'e meglio.
Gloria. Era Gloria, senza dubbio; era mia sorella, il corpo sanguinante
e ansimante che mi giaceva davanti. «Dio, Glo.» sussurrai quasi tra me e me,
alzandole la schiena dal terreno. Sul marciapiede era rimasta la sua
ombra, disegnata accuratamente con il sangue che perdeva. Estrassi
velocemente il cellulare dalla tasca dei jeans, tenendola sempre
stretta a me, e composi il 999. «Ambulanze, servizio di emergenza.»
rispose una voce annoiata. «Newton Nottage Road, un'ambulanza.
Ora!» strillai, prima di riattaccare. «Gloria,» sussurrai, scostandole i
capelli dal viso «andrà tutto bene, okay? Dico davvero,
andrà tutto a posto.» bisbigliai, più a
me stesso che a lei, mentre le sue labbra si allargarono appena in un
sorriso.
Ma forse era solo la mia immaginazione.