Mio padre? Frank Iero di PrincesMonica (/viewuser.php?uid=32210)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** E' Jared? ***
Capitolo 3: *** Monica, Te la ricordi? ***
Capitolo 4: *** Di Echelon ne basta una in famiglia ***
Capitolo 5: *** Mio Padre? Frank Iero! ***
Capitolo 6: *** Sì piccolo, noi! ***
Capitolo 7: *** Di cosa hai Paura? ***
Capitolo 8: *** Jay è solo un amico ***
Capitolo 9: *** La Sposi? ***
Capitolo 10: *** Mi fa Male l'Orecchio, Jared. ***
Capitolo 11: *** Da nostro Figlio ***
Capitolo 12: *** Arriverà un giorno in cui ti innamorerai ***
Capitolo 13: *** Non Scapperò mai più ***
Capitolo 14: *** Ovviamente, Tesoro ***
Capitolo 15: *** Lui è Frank ***
Capitolo 16: *** Tu Conosci il mio Papà? ***
Capitolo 17: *** Epilogo: Come te ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Titolo:
Mio padre? Frank Iero
Autrice:
princes_of_the_univers
Disclaimer:
più che mai i fatti narrati non corrispondono a
verità. Inoltre,
sebbene
il titolo possa far pensare al contrario, i MCR e Mr Iero non
partecipano alla storia, se non in minima parte.
Timeline:
2006
Commenti:
princes_of_the_univers@italianmarsarmy.com
Note: Questa
storia l'ho iniziata parecchio tempo fa. E' probabile che dal 4
capitolo in poi notiate un cambiamento di stile, dato che da parecchio
non scrivevo.
Inoltre vi
avviso che è possibile che la pubblicazione si fermi spesso,
dato che sto per iniziare il 5 capitolo or ora.
PROLOGO
Settembre
1998
Il
sole stava scendendo pigro all’orizzonte e la spiaggia si
tingeva
di arancio. Ormai i bagnanti erano rari e dispersi, più per
il
ritorno al lavoro che per la stagione. L’estate era finita,
ma a
Los Angeles non arrivava mai il vero freddo.
Due
figure camminavano lente: lei teneva i sandali in mano, agganciati
alle dita grazie ai nastri, i jeans arrotolati per non toccare la
sabbia e la camicia blu abbottonata a metà, perfetta per far
esaltare la scollatura.
Lui
aveva ancora le scarpe da ginnastica ai piedi, un paio di
pantaloncini neri lunghi fin sotto al ginocchio e una t-shirt bianca
molto austera.
Stavano
vicini uno all’altra, le dita si sfioravano, ma non si
intrecciavano mai. Erano silenziosi mentre si dirigevano verso la
diga.
Monica,
questo il nome della ragazza, pensò che fosse giusto
così: quel
luogo era stato IL loro luogo. Lì si erano messi insieme 4
anni
prima; lì avevano fatto l’amore per la prima volta
insieme, sotto
le stelle; lì si sarebbero lasciati. Una fuggevole lacrima
le scese
per la guancia. Con un gesto veloce la tolse via: non voleva che lui
la vedesse piangere. Lei doveva essere forte, come sempre.
Guardò
il suo compagno: i rayban nascondevano gli enormi occhi grigi, quasi
sproporzionati rispetto al resto del viso. Quegli occhi che
riuscivano a leggerla dentro fin nei recessi più intimi
della sua
anima. Quegli occhi che l’avevano stregata fin dal primo
giorno che
l’aveva conosciuto ad un party per “My so Called
Life”. Era
così carino: regalava sorrisi a chiunque e lei, addetta al
catering,
non era da meno. Folgorante.
Monica
sorrise al ricordo.
Si
sedettero sugli scogli, così vicini eppure ormai
irrimediabilmente
lontani.
“Siamo
ad un punto morto, eh?” chiese lui. Domanda retorica,
pensò
Monica, ovvio che erano ad un punto morto, che ci facevano
lì,
altrimenti?
“Mi
sa di sì.” Si limitò a rispondere lei.
Lo guardò nuovamente: lui
teneva lo sguardo puntato verso il mare. Una leggera barbetta faceva
capolino e i capelli si muovevano al vento. Era veramente bellissimo.
“Ci
stiamo veramente lasciando.” Un’affermazione secca.
Per quanto
odiava ammetterlo, anche lui sapeva che quella storia si stava
perdendo tra le onde.
“Sì,
Jay. Ci stiamo lasciando.”
“Mi
spieghi perché?” Un ultimo disperato tentativo di
salvare le cose.
Inutile, peraltro.
“Jay,
tu stai definitivamente spiccando il volo come attore e, non
contento, tu e tuo fratello avete finalmente in mano una band degna
di questo nome. Stai per partire e non sai quando tornerai. E io che
faccio? Resto a casa come una scema aspettando il tuo ritorno? Non ci
riesco. Sarò egoista, ma ti voglio qui, con me.”
Silenzio, pausa
di riflessione “E tu non ne sei capace. Non riesci a stare
fermo in
un posto. Qui non hai niente che veramente ti lega, certo non
io.”
“Io
ti amo.” Un’altra affermazione secca.
“Anche
io, in effetti.”
Tornò
il silenzio. Leggere onde si infrangevano sulla diga. I gabbiani
lanciavano le loro urla al cielo.
E
Monica piangeva. Quietamente, silenziosamente, ma non era sfuggito a
Jared. Raramente gli sfuggiva qualcosa quando si trattava di lei, che
fosse un sorriso o un tremito. O lacrime, come in quel momento.
“Tornerò.”
“No,
non lo farai. O almeno non lo farai per me.”
Sospirò Monica.
Quella consapevolezza la colpì come un pugno nello stomaco:
per
quanto lui la potesse amare anche alla follia, nella sua vita
esisteva prima se stesso. L’incredibile voglia di rivalsa che
aveva
accumulato in tutti gli anni di pellegrinaggio con la madre era
uscita e non aveva ancora smesso di farlo puntare in alto. Voleva
sempre di più e non si sarebbe fermato fino a quando non
l’avrebbe
raggiunta.
“Quindi
ci lasciamo così, senza rancori ed in amicizia.”
Fece Jared.
Monica sorrise mestamente: era più vecchio di lei, ma per
quanto
riguardava i sentimenti e le relazioni sembrava ancora un bambino.
“Senza
rancori di sicuro… ma in amicizia, la vedo assai
difficile.” Si
voltarono per guardarsi. Jared si era anche tolto gli occhiali.
“Colpo
basso” Pensò tra sé Monica
“Noi
due, ormai, non potremo mai più essere amici. Chi ha avuto
una
storia lunga così tanto, non può restare amico
dell’altro, perché
ricorderà sempre i suoi baci, le sue carezze, il suo amore.
Io e te,
Jay, non saremo mai amici.” Le parole scivolarono nel vento.
Un
leggero tremito percorse la schiena di Jared. La stava perdendo e non
ci poteva fare assolutamente nulla, anche perché quello che
gli
aveva detto era fottutamente vero.
“Monica…”
“Dimmi.”
“Stai
per andartene?” sembrava tranquillo, ma lei riuscì
a sentire una
lieve nota stonata. Anche lui voleva piangere, ma si stava
trattenendo.
“Sì.”
Lui
non disse nulla, si limitò a prenderle la mano, intrecciando
le
dita, per poi attirarla verso di sé. Lei se lo era aspettato
e anche
se sapeva che avrebbe dovuto rifiutare, si lasciò baciare.
Da
lontano parevano una classica coppietta di innamorati felici, invece
lei sentiva in quel contatto tutto l’amore, le parole non
dette e
l’addio finale. Era un bacio disperato, di un uomo ferito che
si
ritrovava improvvisamente solo. Era il bacio di un amante a colei che
lo stava rifiutando.
Si
staccarono: Monica si alzò e prese a camminare verso la sua
auto.
Ormai le lacrime scendevano copiose e lei non le poteva fermare. Non
le voleva fermare. Si girò un’ultima volta verso
Jay e dal leggero
brillio sulla guancia capì che il sole non era
l’unico ad essere
morto quella sera.
Si
era portato dietro i loro cuori.
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Capitolo 2 *** E' Jared? ***
Rieccomi.
Posto un giorno prima rispetto a quando avevo programmato,
così per far leggere anche Lory prima che torni Interless a
causa studio.
Mi sono dimenticata di fare una piccola premessa nelprologo: questa
è una storia, come capirete già ora, che tocca
degli argomenti piuttosto spinosi, soprattutto perchè non li
ho mai vissuti in prima persona. Probabilmente potrebbero non sembrare
completamente realistici, ma cercate di perdonarmi.
In più è una storia abbastanza improntata sul
rosa: chi mi conosce sa bene che normalmente le mie storie hanno tinte
un po' più forti, ma che vi posso dire? Una ragazza ogni
tanto ha bisogno di cambiare. Da questo punto di vista la storia
sarà abbastanza leggera e non credo che la farò
durare moltissimo.
E adesso per voi il capitolo. A fondo pagina lo spazio autore ^^
Capitolo
1: E' Jared?
2006
Sole,
aria fresca, belle ragazze. Che poteva chiedere di più un
batterista
come lui? Niente. Shannon Christopher Leto si stava godendo uno degli
ultimi giorni di libertà prima di iniziare il nuovo tour
americano.
"A Beautiful Lie" era appena uscito e il riscontro era
stato freddino. Ovvio, non da parte dei loro amati Echelon, ma dal
resto del mondo sì. Anche il loro primo album aveva ricevuto
una
tiepida, se non addirittura fredda, accoglienza, era piaciuto alla
critica e ai ragazzi della "Old School", ma alla fine le
entrate erano state appena pari pari alle uscite. Almeno con i live
ammortizzavano bene, sempre che Jared non decidesse di spaccare
qualche chitarra.
Per
quanto riguardava lui, si sentiva abbastanza tranquillo: si era
appena fatto passare lo sfizio di comprarsi alcuni pezzi nuovi per la
sua amata Christine e quindi era più che pronto per partire
e
spaccare il mondo. I 30 Seconds to Mars stavano per iniziare la loro
magica avventura. Almeno era quello che speravano tutti e quattro.
Prese
a fissare il seno di una ragazza che correva incurante di lui: MP3
nelle orecchie e via per il sentierino. Ottima cosa per lui.
Dietro
di lei venivano due figure completamente diverse: un bambino teneva
per mano una donna. Lì per lì Shannon non ci fece
molto caso, poi
qualcosa catturò la sua attenzione: i capelli di lei.
Alzò
nuovamente lo sguardo e rimase a bocca aperta. Quanti anni erano che
non la vedeva? Minimo sei, se non di più. E non era cambiata
poi di
molto.
I
capelli lunghi e scuri cadevano dolcemente sulla schiena, il volto
ovale sembrava rilassato e gli occhi nocciola erano separati dal
mondo da degli occhiali dalla montatura celeste. Stava parlando con
il bambino che le trotterellava accanto: jeans, felpa e scarpe da
ginnastica. Fantastico.
“Monica!”
Urlò per farsi sentire.
Lei
si fermò e prese a girarsi su se stessa per capire da dove
proveniva
la voce. Shannon la chiamò ancora e finalmente lo vide. Si
era
aspettato un'espressione incredula, ma tranquilla, invece quello che
vide fu puro terrore. Ok, non la vedeva da anni ed era stata il
grande amore di suo fratello, ma addirittura fare quella faccia gli
sembrava esagerato. Andò tranquillo da lei.
"Ciao!"
Esclamò.
"Ciao
Shannon." Stessa voce, dolce, ma impaurita.
"Sono
secoli che non ci si vede. Come stai?" Cercò di intavolare
una
discussione.
"Tutto
bene, si tira avanti."
“Oh
bhe….ottimo.” Sembrava che lei non volesse stare
vicino a lui.
“Mamma.
Lui è il batterista dei 30 Seconds to Mars.” La
vocetta del bimbo
riportò Shannon sulla terra. Mamma? Fissò Monica:
aveva dipinta sul
volto l’espressione tipica di chi è stato
incastrato alla grande.
“Sì,
Alex. Lui è Shannon. Ci conosciamo da un
po’.” Shan era ancora a
bocca aperta senza riuscire a capire cosa doveva dire.
“Mamma?”
esalò tutto ad un fiato. Monica annuì.
“Senti,
vai a fare un giro sulle altalene, che io parlo con Shannon,
ok?”
il bambino urlò di felicità a si
precipitò sull’altalena lì
vicino, mentre Shannon ancora fissava la ragazza con sorpresa.
“Da
quanto?” riusciva a formulare solo domande basilari. Mettere
un
soggetto e un verbo coniugato era una cosa fin troppo difficile in
quella situazione.
“Sei
anni. A giugno del prossimo anno compie 7 anni.” Rispose
prontamente lei sorridendo. All’inizio aveva pensato di
scappare
via in fretta, senza dargli tempo di scoprire che Alex era figlio
suo, invece, ovviamente, il suo bambino non era riuscito a stare
zitto i secondi necessari e l’aveva fregata alla grande.
Decise che
quella sera Alex non avrebbe avuto il gelato per dolce.
“E
ci conosce…” affermò Shan memore di
quello che il bimbo aveva
detto prima.
“Ovvio
che vi conosce. È figlio mio, vuoi che da Echelon quale sono
non gli
avrei fatto conoscere il mio gruppo.” Fece Monica con
cipiglio.
"Sei
un'Echelon? Proprio tu." Shannon sembrava sorpreso.
"Certo,
perchè questi dubbi?"
"Bhe,
visto quello che c'era tra te e Jared pensavo che...bhe, sì,
insomma, non amassi molto quello che te lo aveva portato via."
Un'ombra passò sul volto di Monica.
"Jay
sarebbe andato via lo stesso. Ho paura che non sia capace di legarsi
veramente a qualcuno, figurati ad una come me." Shannon non
commentò: lei non poteva capire. Cioè, forse
sì, ma era troppo
invischiata nell'argomento per essere obiettiva. Lei non c'era quando
Jared era andato da lui in lacrime e si era ubriacato perchè
l'aveva
persa. Lei non c'era quando Jared non era riuscito a dormire per
settimane diventando l'ombra di se stesso. Lei non aveva mai
veramente capito quanto Jared l'avesse veramente, profondamente ed
incondizionatamente amata. E quanto l'amasse tutt'ora, anche se
neppure lui lo voleva ammettere.
"E
si chiama Alex." continuò senza demordere. "E' un bel
nome."
"Lo
so." guardarono il bambino mentre volava sull'altalena.
"Quindi
ti sei sposata." affermò Shannon andando sul sicuro. Monica
sbuffò.
"No."
"Ah...bhe
fidanzata, allora." Monica lo fissò seriamente.
"No.
Sono ancora single."
"Ma...vuol
dire che il padre...Insomma..."
"Il
padre non c'è." Lo interruppe Monica. Voleva evitare questa
discussione decisamente spinosa, peccato che il batterista non voleva
sentirne ragione.
"Il
bastardo se ne è andato? Quel brutto figlio di puttana!"
"Veramente
no. Semplicemente lui non sa di essere padre ed è meglio
così"
Shannon si calmò.
"Era
violento? Un tossico, un alcolizzato? Uno stronzo?" Monica si
sarebbe messa a ridere se la situazione non fosse stata così
surreale.
"Niente
di tutto ciò. Oddio, forse un po' stronzo sì, in
fondo è un uomo."
e rise "No, ho preferito non dirgli nulla dopo
che...ehm...abbiamo smesso di vederci."
"Capisco."
Il
cervello di Shannon stava cercando di elaborare tutto quello che lei
gli aveva detto. Non credeva possibile che proprio Monica potesse
alla fine essere diventata madre. Ricordava spesso quando prendeva in
giro lei e Jared sull'argomento famiglia e di come entrambi lo
schifavano. Di Jay sapeva e capiva: il loro passato aveva lasciato
cicatrici enormi mai rimarginate, ma credeva che Monica fosse una
ragazza come tante, di quelle che da sempre sognano il principe
azzurro e la squadra di calcio per casa. Invece l'aveva stupito e non
solo su quel fronte. Lo lasciava soprattutto senza parole, il modo in
cui riusciva a gestire Jared. I silenzi complici, le litigate senza
pietà, le carezze e i sorrisi che si lanciavano, tutto
incurante del
resto del mondo. A volte si era ritrovato ad invidiarli.
"Mamma,
mi arrampico!" La voce acuta di Alex lo riscosse dai suoi
pensieri.
"Non
metterti a fare la scimmia! Non voglio vederti cadere come l'ultima
volta." Shannon si mise a ridere.
"Dio
Santo, mi ricorda Jared. Anche lui amava arrampicarsi...oltre che
entrare nelle case altrui." Guardò Monica e rimase
ulteriormente sorpreso: perchè lo guardava con quell'aria
così
malinconica e preoccupata?
"Monica,
tutto..." La frase gli morì tra le labbra e tornò
a guardare
il bambino.
Aveva
gli occhi enormi, quasi sproporzionati, di un color grigio scuro,
come se nel cielo si fosse scatenata una tempesta. I capelli lisci e
lunghi fino alle orecchie castani scuri, come quelli della madre, il
volto allungato, con le labbra sottili dischiuse in un enorme
sorriso. Naso e orecchie erano le copie sputate di quelli di Monica.
Il resto sembrava il ritratto identico di...
"Jared..."
Sentì il suo cuore fermarsi per un paio di battiti e poi
riprendere
a correre all'impazzata. Era diventato bianco come un lenzuolo e
sentiva i palmi delle mani sudate. "Il padre è Jared?"
Monica
fremette. Sapeva che se si fosse messa a parlare con Shannon,
qualcosa sarebbe venuto fuori. Per quanto lui fosse un goliardico che
non prendeva mai nulla sul serio, non era stupido. Sapeva fare due
più due e aveva entrambi gli addendi della somma. Morale:
era
arrivato alla soluzione. Decise di rimanere in silenzio: cercare di
spiegare avrebbe creato solo più caos.
"Monica,
porco cane, rispondimi! Alex è figlio di Jared?" Lo stomaco
di
Monica era stretto in una morsa d'acciaio. Stava trovando difficile
riuscire a non piangere e a rispondere allo stesso momento.
"Sì."
Riuscì a mormorare.
Shannon
crollò sulla panchina lì vicino. Le gambe si
rifiutavano di
sostenerlo.
"Cazzo..."
era frastornato. Non ci poteva credere, non ci voleva credere.
"Perchè diavolo non glielo hai detto?" Monica si sedette
vicino a lui, ma non troppo: voleva avere un po' di spazio per
scappare meglio, se lui le avesse tirato un pugno. In realtà
Shannon
non aveva mai menato una donna, che lei sapesse, ma non si poteva mai
dire. I tempi cambiano.
"L'ho
scoperto un mese circa dopo che ci siamo lasciati. Avevo già
la
cornetta in mano, ma ho cambiato idea. Lui aveva iniziato la sua
vita, di me non si interessava più. Che pensi che avrebbe
fatto?
Lasciato tutto per mettere su una allegra e gaia famiglia." Rise
amaramente "Proprio lui, Jared Joseph Leto, l'uomo senza legami.
Figurati."
"Ma...ma...Lui
sarebbe corso immediatamente da te. Lui non ti avrebbe mai lasciato
sola...tu...cazzo Monica, dovevi dirglielo!" Si stava
arrabbiando, anche se una parte di sè sapeva che il discorso
che lei
gli aveva fatto non faceva una grinza.
"Ma
non l'ho fatto. E non lo farai neppure tu!" Shan strabuzzò
gli
occhi.
"Non
puoi chiedermi di stare zitto. Non su una cosa del genere. Qui non si
tratta di mantenere il segreto su una festa o su un regalo
particolarmente importante. Porca puttana, qui si tratta di un
figlio. Vostro figlio! E poi non pensi ad Alex? Non avrà
bisogno di
qualcuno anche lui?" Maledetto, la colpiva proprio dove tutta la
sua determinazione aveva la falla.
"Guarda
che ne sono perfettamente consapevole e, tranquillo, che non sono qui
a rigirarmi i pollici, lo sto cercando un compagno. Solo che fino ad
adesso non ho avuto fortuna, tutto qui."
"Ma
non dire cazzate. Lui ha già un padre ed è giusto
che sia lui a
crescerlo, non un estraneo." Anche Monica stava iniziando ad
alterarsi.
"Jared
è un estraneo per Alex, tanto quanto qualsiasi uomo.
Smettila,
Shannon, non credere che non mi sia mai fatta questi discorsi o che
nessuno mai me li abbia fatti. Li sento ogni giorno da quando decisi
di tenere il bambino, quindi non farmi la predica, perchè
tanto io
non cambio idea. Non voglio che Jared sappia nulla, ti prego."
Shannon
non rispose. Voleva bene a Monica, le era sempre piaciuta come
ragazza, ma non poteva far questo a suo fratello. Sorrise quando
trovò la via d'uscita a tutto.
"Ok...non gli dirò nulla."
Monica
lo guardò sospettosa: possibile che cedesse così
facilmente? Smise
di pensarci quando Alex corse verso di lei.
"Mamma,
la prossima volta mi presenti Frank?" le chiese con occhi
speranzosi. Visto da vicino la somiglianza con Jared era ancora
più
marcata. Shannon non riusciva a capire come non se ne fosse accorto
prima. Forse perchè non lo aveva veramente guardato: i
bambini non
gli interessavano.
"Alex,
tu mi manderai al manicomio." Fece Monica.
"Allora,
Alex..." Iniziò Shannon. Monica lo guardò
allarmato "...Hai
un membro preferito dei 30?"
"Sì!"
Fece lui sicuro.
"Io?"
Domandò Shannon.
"No!
A me piace la chitarra! Mi piace Tomo!! E anche Jared. Suonano la
chitarra tutti e due." Gli disse come se non lo sapesse.
"Ah,
ti piace Jared, ma va la?" E guardò Monica sorridendo
trionfante. Lei si limitò ad insultarlo mentalmente.
"Andiamo
Alex, la nonna ci aspetta."
"Shannon,
tu conosci Frank?" chiese Alex.
"Frank?"
"Alex,
andiamo!!! Non tormentarlo ancora. Saluta."
Il
bambino ubbidì e poco dopo madre e figlio camminavano verso
l'uscita
del parco, con Shannon che li fissava soddisfatto.
"Io
non dirò niente a Jay, ma a qualcun altro di sicuro..."
mormorò, per poi tornare perplesso. "Frank?"
SPAZIO AUTRICE
Credo che dopo questo incontro con Shannon si siano capite un po' di
cose. Vi avviso fin da adesso che non sarà una storia dai
mille casini o problemi. Sarà abbastanza regolare, in quanto
sono una tifosa della vita serena e dell'appianamento dei problemi.
Quindi niente cataclismi o tragedie.
A tutte Voi che avete recensito: Grazie!!!!!! Spero di vedervi anche
per il primo capitolo!
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Capitolo 3 *** Monica, Te la ricordi? ***
Capitolo
2: Monica. Te la ricordi?
Shining
era uno dei suoi film preferiti. Lo affascinava Jack Nicholson e la
sua incredibile capacità di trasformismo. E poi Kubrick era
un
maestro.
“Jared,
spegni quel coso, mamma sta arrivando.” Shannon era raggiante
e
pure il fratello se ne rese conto. Evidentemente la sera prima aveva
cuccato alla grande. Prese il telecomando del videoregistratore e
bloccò la riproduzione, passò le mani sulle
gambe, come a voler
togliere un invisibile granello di polvere e si alzò.
Jared
stava bene. Si sentiva bene. Era un attore quasi di enorme successo,
un cantante amato dai suoi Echelon e fantasticamente single.
Storielle quando le voleva e poche altre preoccupazioni al mondo. ABL
avrebbe sfondato, bisognava solo avere pazienza. Non poteva essere
altrimenti, era un album pieno di concetti ed importante. Era solo
passato leggermente in secondo piano.
“Oh,
mi stai sentendo?” Shannon era davanti a lui che lo fissava.
Era
strano, ogni volta che lo guardava provava una sorta di dubbio
genetico. Potevano essere figli degli stessi genitori? Gli occhi
erano così diversi che ogni volta ci pensava. Certo, poi
rinsaviva e
capiva che i suoi dubbi erano stupidi: il naso, per dirla una, era
identico. Stessa cosa la forma del mento e anche la linea delle
labbra. Che poi Shannon avesse il labbro inferiore più
grosso del
suo, era secondario.
“Scusa,
dicevi qualcosa?” Shannon alzò gli occhi al cielo.
“È
mai possibile che quando io parlo tu non mi ascolti mai? Comunque,
adesso arriva mamma e tu…bhe cerca di non arrabbiarti
troppo.” Jared lo guardò senza capire:
perché avrebbe dovuto arrabbiarsi? Si
era fatta di un qualche colore strano alla testa? Sperò di
no, il
biondo le stava divinamente. Come il nero stava bene a lui.
“Va
bene.”
E
riprese a fissare il solito punto.
Shannon
lo guardò seriamente: si chiese che cosa, onestamente,
avrebbe fatto
Jared avendo scoperto di avere un figlio. Era imprevedibile, poteva
scattare come una molla o prenderla con filosofia. A Shan non era
andata giù la questione: Monica era sempre stata una ragazza
razionale ed intelligente. Non gli pareva possibile che si fosse
comportata in quella maniera su un fronte così delicato come
un
bambino. E per questa ragione ne aveva parlato con sua madre.
Costance era l’unica persona al mondo che sapeva come era
andata
tutta la loro vita, soprattutto quando erano bambini. Sapeva i pianti
che avevano fatto chiedendo del padre, gli enormi sforzi per arrivare
a fine mese, la felicità di una nuova famiglia. Era
l’unica
persona che avrebbe potuto trovare le parole adatte per spiegare a
Jared che era diventato padre di un bel bambino di sei anni.
Il
campanello squillò, ridestando da i loro pensieri i due
uomini.
Shannon andò ad aprire la porta, mentre Jared si alzava per
andare
incontro alla madre. Non la vedeva da qualche settimana e si
vergognò
di questa sua mancanza: un conto era essere in giro per un film o per
una turnè, ma stando a LA era impossibile.
Come
entrò nella stanza, Jared capì che
c’era qualcosa che non andava.
Ok, era sempre bionda, ma i suoi occhi scrutatori sempre dolci verso
i figli, erano duri, concentrati, con una espressione battagliera. I
lunghi capelli biondi scendevano quasi disordinati sulla spalle, come
se non si fosse presa la briga di dargli forma. E la bocca tirata,
le dolci labbra a formare una linea unica. Jared pensò che
fosse
furiosa e sperò sinceramente che non lo fosse con lui.
“Ciao
Mamma.” E così dicendo la abbracciò con
forza. “Come stai?”
“Io
sono furiosa.” Ecco appunto…
“Scusa,
lo so che non mi sono fatto vedere da un po’. Prometto che mi
faccio perdonare.” Costance lo guardò confuso.
“Guarda
che non ce l’ho con te, anche se apprezzerei una maggior
presenza
dei miei figli ai pranzi domenicali.”
Jared
guardò Shannon, come per capire se lui ne sapeva qualcosa e
gli fu
sufficiente vedere il sorrisino tirato del fratello per intuire che
tra quei due serpeggiava qualcosa.
“Siediti
Jay, dobbiamo parlare di cose serie.”
Oh
mio dio, stava male… o la nonna stava male.
“Ruby
è ok, vero?” la donna sembrava interdetta.
“Sì,
certo sta benissimo. Stiamo tutti bene per ora.” Lui
rilasciò un
muto sospiro di sollievo. Era terribilmente legato al lato materno
della sua famiglia: sua madre e sua nonna lo avevano cresciuto tra
mille difficoltà. Non era stato facile girovagare per
l’America e
riuscire a non perdersi anni di scuola. Alla fine lui e Shannon
avevano avuto tutto: una istruzione, gli strumenti musicali
rudimentali per iniziare a coltivare la loro passione, vestiti e
cibo. Magari non sempre di prima mano, ma non gli era mai mancato
nulla. E tutto questo grazie a quelle due incredibili donne.
L’idea
di perderle gli pareva intollerabile.
“Ok,
bene…quindi di che dobbiamo parlare? Hai avuto noie da
qualche fan
particolarmente invadente?” lei scacciò la cosa
con un gesto della
mano.
“Vuoi
stare zitto?” Jared s’ammutolì sorpreso
e si ritrovò
improvvisamente indietro nel tempo, quando Costance lo sgridava
perché non studiava abbastanza. Ah no, quello era Shannon.
Guardò
il fratello che aveva un’espressione grave.
“Ok,
sputate il rospo, ho capito che c’entrate
entrambi.” I due
interpellati si guardarono e Shan annuì con il capo. Era
giunto il
tempo.
“Bhe,
intanto siediti.” Jared ubbidì scocciato: odiava
perdere tempo e
sembrava che tutto il cipiglio battagliero di sua madre si fosse
perso. “Ecco… l’altro giorno Shannon era
al parco. Sai, sole,
aria fresca…” che diavolo stava andando a
blaterare sua madre?
Che gliene fregava a lui di quello che faceva Shan nel suo tempo
libero? “… e camminando ha incontrato una persona
che tu conosci
molto bene.”
“Chi?”
“Ehm…Monica.
Te la ricordi?”
Chiedeva
anche se se la ricordava? Solo sentire quel nome gli fece smettere di
battere il cuore. Il respiro gli si era smozzato in gola e
sentì,
senza guardarsi allo specchio, che era impallidito.
Monica…
un nome, una condanna. Non tenerla legato a lui era stato uno dei
suoi errori più grandi. Il dolore che aveva provato per non
averla
più nella sua vita non era ancora scomparso. Nessuno sapeva,
ma
spesso si svegliava o sbranato dagli squali, o con le labbra di lei
che lo baciavano. Il vero sentimento era perso, ma il ricordo della
felicità che aveva provato per quei tre anni era vivo ed
indelebile.
Scrivendo Was it a Dream? Aveva pensato a lei. E anche ora, in quel
soggiorno illuminato dal caldo sole di Los Angeles, gli parve di
vederla mentre gli sorrideva sbarazzina, ancora nuda dopo aver fatto
l’amore appena sveglia. Rivedeva i suoi occhi castani, con
quelle
particolari sfumature verdi all’esterno delle iridi, oppure
la
leggera cicatrice sul suo labbro superiore, le chiare lentiggini che
diventavano più scure d’estate.
Si
ritrovò senza fiato, un turbinio di emozioni sepolte stavano
tornando a fargli visita: sapeva che Monica viveva nella sua stessa
città, ma non averla vista o sentita gli aveva fatto credere
che lei
fosse sparita. Il fatto che Shannon l’avesse incontrata
così
facilmente al parco lo mandava in confusione.
Chiuse
gli occhi e prese un profondo respiro.
“Come
sta?” che domanda del cazzo.
“Sta
bene. E’ in forma…un po’ più
magra di come me la ricordavo, ma
a parte questo tutto ok. Molto bella e…”
“Shannon…
“ Costance scosse il capo “…non credo
sia questa la cosa
fondamentale.”
“E
cosa quindi? Ok, l’ha incontrata, sta bene, è
ancora più
figa…bene, ne sono contento. Posso alzarmi e andare a finire
quello
che stavo facendo?”
“No,
non abbiamo finito.”
“E
quindi cosa vuoi, mamma?” non potevano arrivare a parlargli
di
Monica e pensare che facesse i salti di gioia.
“Monica
era in compagnia di un bambino.” Jared la fissò
sorpreso e
divertito. Monica che faceva la baby sitter? Oh cielo, proprio lei
che i bambini li odiava. Ne avevano anche parlato un paio di volte ed
arrivavano sempre al punto che loro, un figlio, non lo avrebbero mai
avuto. Neppure lui voleva una famiglia. “Il suo
bambino.”
Seconda
mazzata della giornata. La sua Monica era una mamma. No, impossibile.
Si mise a ridere. Costance e Shannon si guardarono perplessi: era una
reazione normale quella?
“Non
era Monica, impossibile. Lei non li vuole i figli. Shannon ti sei
sbagliato.”
“No,
Jay, non mi sono sbagliato. L’ho vista e ci ho parlato. E lei
ha
confermato.” Il sorriso di Jared si congelò.
Quindi alla fine,
nonostante le mille parole, una famiglia tipo se l’era
costruita
anche lei. E quel che peggio, non con lui.
“Fantastico.
Ora posso andarmene?” doveva uscire, doveva andare a
recuperare un
po’ di ossigeno, dato che in quella stanza sembrava non
essercene
più.
“Il
bambino ha quasi sette anni, Jared.” Guardò senza
capire. Che
gliene fregava lui dell’età di quel marmocchio?
“Jared, è tuo
figlio.”
Scese
un silenzio irreale: l’unico suono era quello delle lancette
dell’orologio a muro della cucina. Lontano, quasi alieno.
Jared
guardò sua madre e poi il fratello che sembrava dispiaciuto
per aver
saputo quelle notizie.
Ringraziò
il cielo di essersi seduto sul divano, altrimenti di sicuro sarebbe
crollato a terra: sentiva di avere le gambe che gli tremavano.
Un
figlio.
Un
bambino.
Il
suo bambino.
Avuto
con Monica.
No,
era qualcosa che non riusciva a digerire così a mente
fredda. Lui
non poteva fare il padre, lui non ne era capace. Oltretutto non lo
aveva mai visto. Quindi? Poteva tranquillamente far finta che quel
bambino non fosse suo.
“E
com’è?” Shannon fu preso in contropiede.
“In
che senso, com’è?” Jared
sbuffò.
“Alto,
basso? Magro, grasso? Biondo, moro? Bianco, verde o blu?
Cazzò Shan,
come è fatto?”
“E’
il tuo ritratto fatto e finito. Sembri tu a 7 anni…tranne le
orecchie. Quelle le ha prese da Monica. Ha anche i tuoi occhi
grigi.”
Cercò di immaginarselo, ma onestamente non ci
riuscì.
Gli
interessava di più immaginarsi come fosse Monica con il
pancione, se
radiosa o perennemente incazzata. Voleva capire come lei lo trattava,
lo stava crescendo. Si chiese se fosse normale che lui non provasse
neanche un po’ di interesse per quello che doveva essere suo
figlio
ed invece era ossessionato dall’immagine della sua ex.
Si
abbandonò sul divano e chiuse gli occhi: il suo cervello
aveva
finalmente ripreso il suo lavoro. Il perché lei non gli
avesse detto
nulla, era chiaro: si erano appena lasciati, lui stava diventando
famoso e lei se ne era andata perché lui non avesse limiti.
Si erano
lasciati ancora innamorati uno dell’altro, ma avevano deciso
di far
prevalere la sua vita di attore piuttosto che la loro relazione.
Avevano avuto paura.
“Posso
andare ora?” domandò per l’ennesima
volta “O avete altri
pettegolezzi da riferirmi?” i due lo guardarono sconvolti.
“Jared,
stai scherzando?” fece sua madre.
“No.
Mi avete detto che Monica ha un bambino. L’ho capito, ora
posso
andare a farmi una passeggiata con il cane? Giuda ha bisogno di fare
i suoi bisogni.”
“Cazzo,
Jared! Qui stiamo parlando di tuo figlio!” esclamò
Shannon
avvicinandosi. Era rimasto tutto il tempo fuori portata dalle mani di
Jared, appoggiato allo stipite della porta-finestra del soggiorno.
“No,
qui state parlando del figlio di Monica che, casualmente, è
anche
figlio mio. Ma non l’ho mai visto, non so che faccia abbia e,
soprattutto, non ne ho mai saputo l’esistenza.”
Finalmente era
riuscito ad alzarsi da quel fottuto divano.
“E
vorresti lavartene le mani?” Anche Costance era di nuovo in
piedi.
“Perché,
cosa dovrei fare? Andare la e decidere di diventare un papà.
Non ce
n’è bisogno.” Gli arrivò uno
schiaffo a mano aperta. Da che
ricordasse, il primo dopo almeno 30 anni. “Come puoi proprio
tu
dire che un bambino non ha bisogno di suo padre!”
“Quel
bambino non ha bisogno di me come padre. Certo che ce ne vuole uno,
credi che sia così completamente stupido? Ma Monica ha fatto
una
scelta che non comprende la mia presenza al suo fianco.”
“Che
si fotta Monica!” esclamò Costance tra
l’incredulità di
entrambi i figli. E da quando lei diceva le parolacce? “Tu lo
sai
che le ho sempre voluto bene, un po’ come quella figlia che
non ho
mai avuto, ma qui ha sbagliato. Un bambino ha diritto ad un padre e
il vero padre ha almeno il diritto a saperlo. Adesso lo sai, non puoi
voltare pagina facendo finta che sia tutto come prima. Devi prenderti
le tue responsabilità.”
“Lei
non vuole.”
“E
tu cosa vuoi, figlio mio?” Jared respirò un paio
di volte.
“Non
lo so. Devo saperlo ora, a due minuti dalla notizia più
shoccante di
questi mesi? Io non ho voglia di fare il padre, non ho tempo,
neppure. È appena uscito ABL, ho alcuni film da dover
girare. Non
posso restare fermo qui.”
“Ma..”
“Ma
so che la mancanza di una figura maschile per un bambino piccolo non
è cosa facile.”
“Vai
da lei, parlale, conosci tuo figlio. Almeno ti fai un quadro intero
della faccenda.”
Jared
non rispose, prese il collare del suo fedele Giuda e pure quello per
Pitagora. Lasciò sua madre e suo fratello a confabulare in
salotto.
Il
sole lo cullò lungo Hollywood Boulevard: sentiva i cani che
tiravano, ma a parte quello, il mondo sembrava ovattato. Non sentiva
rumori, non sentiva i suoi pensieri. Non sentiva nulla.
Nella
sua mente aveva solo un pensiero: come era suo figlio? E,
più in
profondità: come era Monica?
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Capitolo 4 *** Di Echelon ne basta una in famiglia ***
Capitolo
3: Di Echelon ne basta una in famiglia
Avere
un pomeriggio completamente libero, sembrava un miracolo. Quando
finiva di lavorare, doveva scappare a prendere Alex a scuola,
aiutarlo a fare i compiti, pulire la casa, stirare e pensare per la
cena. Due volte alla settimana lo doveva portare a minibasket e non
doveva dimenticare gli incontri con l’assistente sociale. Per
fortuna che quell’ultima incombenza stava diventando una cosa
simpatica, piuttosto che una fastidiosa routine.
La
sua prima assistente sociale era stata un’arpia, che la
trattava
come una merda perché era single e non faceva niente per
trovare un
compagno che si prendesse cura di lei. Stava quasi per portarle via
Alex. Per fortuna le sue lamentele e le proteste congiunte di sua
madre, decisamente conosciuta nell’ambiente del pubblico
sociale,
l’avevano allontanata. Monica aveva così pregato
perché le
arrivasse qualcuno di meno solerte. Perché non poteva avere
un
assistente sociale che se ne fregava? quando si presentò
nuovamente
all’ufficio del consultorio, per poco non si mise a ridere.
Aveva
davanti a se una donna di qualche anno in più di lei, con i
capelli
biondi e ricci e un sorriso splendente. Alex l’aveva adorata
da
subito. Lei, inizialmente, era rimasta piuttosto diffidente, ma ci
era voluto poco perché il loro rapporto cambiasse da
assistente/assistita ad amiche. Anzi, ad amiche vere.
Reneè,
questo era il suo nome, non l’aveva mai giudicata, si era
prodigata
ad aiutarla il più possibile, anche andando un po’
fuori dalle
regole tracciate, quanto bastava perché lei, Monica, potesse
arrivare a tenersi il bambino.
Ovviamente
avere una assistente sociale buona non significava che la sua vita
dopo la nascita di Alex fosse stata facile. Suo padre l’aveva
definitivamente dimenticata e, dopo un inizio difficile, sua madre
l’aveva accettato ed aiutata. Quella era stata una
benedizione.
E
ora era lì, nella sua piccola casetta, finalmente a curarsi
un po’
senza l’ansia di avere Alex.
Lo
adorava, ma a volte riusciva a prosciugarla completamente.
Quindi
quella domenica era tutta per lei: aveva portato il bambino a casa
del suo amichetto del cuore per la gita allo zoo, si era andata a
comprare alcune cose sfiziose per il pranzo in un negozietto
italiano. Poi in libreria aveva decurtato il suo stipendio con alcuni
nuovi libri e alcuni cd: adesso che non c’era Alex poteva
togliere
i Chemical e mettere qualcosa di nuovo. Non che Gerard e compagni non
le piacessero, ma erano mesi che ascoltava solo quello.
Ed
ora, terminato il pranzo a base di tortellini ed una fettina di
crostata con la marmellata, era placidamente seduta sul divano con
uno dei suoi acquisti fra le mani, la graffiante voce di Eddie Vedder
nello stereo e il cucciolo di gatto sulla pancia che faceva
rumorosamente le fusa. Non poteva andare meglio.
Suonò
il campanello di casa: guardò sorpresa l’orologio.
Alex sarebbe
dovuto tornare poco prima di cena. Sperò che non fosse
successo
nulla. Poi pensò che forse Reneè aveva deciso di
passare a bersi un
bicchiere d’acqua da lei e fare due chiacchiere.
“Chi
è?” chiese da dietro la porta.
“Jared.”
Si immobilizzò. La mano sulla maniglia non si riusciva a
muovere:
non poteva essere veramente lui. No, aveva sbagliato di sentire, era
certamente così. Eppure sapeva che quella voce era
assolutamente la
sua. Aprì il battente di scatto e lo vide lì
davanti a lei.
Era
cambiato un sacco eppure era sempre lui: i capelli erano sparati in
alto con il gel, scuri come l’ala di un corvo. Il volto
sembrava
sereno e disteso, eppure Monica vedeva quella classica
immobilità
dei muscoli che rivelavano il suo nervosismo. Le spalle erano ampie e
vedeva benissimo i bicipiti ancora allenati dopo le riprese di
Alexander e gli occhi grigi la guardavano fermi. Era come vederlo nel
video di Attack e Monica perse qualche battito. Era perfetto. Era
l’uomo più bello che lei avesse mai visto. Da
sempre.
“Che
diavolo ci fai qui?”esalò a fior di labbra.
“Sono
felice di vederti anche io.” Rispose lui con un leggerissimo
sorriso. “Posso entrare?” non aspettò
neppure che gli desse il
permesso.
Si
ritrovò in un piccolissimo soggiorno: un divano rosso
davanti ad un
tavolino, la TV con un lettore DVD di sottomarca. C’era un
grande
impianto stereo su una delle librerie presenti. Quella stanza sapeva
di lei fino in fondo: libri in ogni angolo, CD ordinati e DVD sparsi.
Perfino l’odore della casa ricordava lei. Stonavano solo i
giochi
sparsi per il pavimento. Jared aveva sempre immaginato la sua casa e
così era stata.
Sulla
sinistra c’era la cucina a vista, giallina, ma piena di
adesivi
attaccati ovunque. Adesivi per bambini, quelle delle merendine,
quelli promozionali della band. Art Attack sul serio.
“Come
hai fatto a trovarmi?”
“È
facile se compari sull’elenco del telefono.” Monica
chiuse gli
occhi e si mise a contare fino a dieci. Forse quando li avrebbe
riaperti lui non ci sarebbe stato più e lei avrebbe scoperto
di
essersi addormentata sul divano. Non accadde. “E comunque,
ciao
Monica.” Richiuse gli occhi per un istante: come diceva lui
il suo
nome, non lo diceva nessuno. Baciava la M, soffiava dalle labbra la O
per arrampicarsi sulle altre lettere fino alla A finale, dove
scendeva dolcemente, come se stesse sussurrandola. O forse era solo
una sua impressione.
“Ciao
Jared.” Lo aveva detto, aveva detto il suo nome ad alta voce
dopo
anni che tentava, inutilmente, di scordarlo. E lui era lì,
più
reale che mai. Poi un lampo nel buio. Lo guardò socchiudendo
gli
occhi come un serpente “Non mi porterai via Alex. Non te lo
permetterò.”
“Non
è mia intenzione.”
“Eh?”
“Ho
detto che non è mia intenzione portarti via il tuo bambino.
Perché
poi?” Monica chiuse la porta lentamente, senza smettere di
guardarlo. Era vestito casual, ma di marca. Niente era lasciato al
caso, dai jeans neri sbiaditi e sapientemente sdruciti, alla canotta
nera. La giacca di Jeans e uno zaino nero lo facevano assomigliare ad
uno studente appena uscito dall’aula.
“Allora
perché sei qui?” lui si sedette sul divano e si
accorse di un paio
di occhi grigi che lo fissavano.
“A
quanto pare c’è più di un cucciolo
qui.”
“Sì,
lui è il gatto di Alex. O meglio, è il nostro
gatto. Ha qualche
mese, lo abbiamo trovato disperato vicino ai bidoni
dell’immondizia
e… e perché adesso parliamo del gatto?”
Sbottò. Lei aveva
deciso di stare ben lontana da lui, niente divano, ma in piedi vicino
alla televisione.
“È
molto bello e dolce.” Lo prese in braccio: era un piccolo
batuffolo
di pelo grigio e bianco, con il musetto curioso e due grandissimi
occhi grigi che lo fissavano. Alzò una zampetta e
cercò di
toccargli il naso. “Come si chiama?”
“Legolas.”
Jared la fissò scettico “Alex ama il Signore degli
Anelli…quindi.”
“Alex
o tu?”
“Entrambi.
Comunque, lascia il gatto e dimmi che cosa vuoi.” Non ce la
faceva
ad essere brava e gentile. Lui le scombussolava tutto e non riusciva
ad essere conciliante.
“Sono
curioso e lo sai. Quindi vorrei vedere se è vero che questo
bambino
è simile a me.” La stava guardando seriamente, con
un leggerissimo
sorriso tirato sulle labbra. Non le stava mentendo.
Andò
in camera da letto e prese una piccola foto dove lei e Alex erano
insieme. L’aveva scattata sua madre quella estate, quando
erano
andati in spiaggia tutti assieme. Erano abbronzati, felici e
sorridenti.
Gliela
porse a Jared che la guardò attentamente: non ci voleva un
genio per
capire che lui era veramente suo figlio. Stesso colore degli occhi,
stesso taglio del viso, stessi capelli lisci, stessa espressione
furba.
“È…”
“Sì,
è proprio figlio tuo.” E sorrise. Parlare di Alex
era comunque un
toccasana per tutto.
“Raccontami
un po’ di lui. Cosa gli piace? Cosa non…insomma,
hai capito no?”
“Che
ti devo dire? Sta bene, cresce bene. Va a scuola…”
notò che
Jared sorrideva guardando la foto. Cercò per un breve
istante di
tirare fuori dal cervello bloccato l’immagine di come sarebbe
stata
la loro vita assieme se non si fossero lasciati. Non ce la fece, era
tutto troppo doloroso. “Adora imparare a leggere: i libri se
li
vuole leggere da solo, è stufo di sentire me, anche se non
ammetterebbe mai che si addormenta quando gli racconta le storie.
Deve fare il duro lui.” Rise più tranquilla.
“Proprio come te.”
“Non
è vero.”
“Oh
sì. Tu sei il classico uomo che non deve chiedere mai e non
deve
mostrare mai. È sempre stato così.” Non
andava bene, parlare di
loro era controproducente. Alex era un terreno neutro. “E poi
ama
la musica. E non solo quella per i bambini. Va letteralmente matto
per i Chemical.”
“I
Chemical? Non mi dirai i My Chemical Romance, vero?”
“Certo,
perché no?”
“Ma
come perché no? Li hai mai ascoltati? Non sono testi per
bambini,
non li può capire o li capisce male e…”
“Ohi,
ti blocchi? Credi che sia completamente scema? Ovviamente li abbiamo
ascoltati insieme e gli ho spiegato tutto. Non lo avrei mai lasciato
in balia delle dipendenze e delle ossessioni di Gerard Way.”
“E
poi me lo fai diventare Romancer. Cazzo, mio figlio dovrebbe essere
un Echelon no?”
“Di
Echelon ne basta una in famiglia.”
Jared
la guardò sorpreso. Lei li aveva seguiti per tutto quel
tempo? Non
poteva essere vero.
“Tu
ci ascolti?”
“È
stato più forte di me. Mi ero ripromessa di cancellarti,
anche se
con Alex è praticamente impossibile. Un giorno piove forte,
come
succede di rado ad LA, entro in un negozio di dischi per non far
prendere troppa acqua al piccolo e lo vedo lì. Il vostro
primo CD,
con quel ragazzino che mi fissa arrabbiato e il tuo nome che mi
attira. Non ci ho pensato neppure troppo… ho fatto a meno di
un
paio di colazioni, ma ne valeva completamente la pena. Da lì
a tutto
il resto, il passo è breve. O vi si odia, o vi si ama. E io,
maledizione a me, vi amo.” Jay rimase un po’ in
silenzio,
accarezzando la testa al gatto e assimilando tutto quello che lei le
diceva, sia su suo figlio, che su di lei.
“Cosa
intendi a dire che hai saltato delle colazioni?” Monica
abbassò lo
sguardo e prese a tormentarsi le unghie. Lui che la conosceva
capì
immediatamente che era imbarazzata. “Monica?”
“Io…
niente di che.” Andò verso la cucina, sperando di
chiudere il
discorso lì. Jared la fissò armeggiare con un
bicchiere e un
cartone di succo di frutta. Sotto la luce splendente che entrava
dalla finestra, potè osservarla meglio. Sembrava che non si
tingesse
i capelli da un po’, aveva perso il riflesso ramato che le
piaceva
tanto. La montatura degli occhiali era sempre la stessa leggermente
sbiadita ai lati. E poi era sciupata. Aveva perso parecchi chili da
quando l’aveva vista l’ultima volta e sembrava
invecchiata.
Eppure la trovava ancora incredibilmente bella.
“Sputa
il rospo che le bugie non le sai dire per nulla.” Monica
sospirò e
si sedette su una sedia della cucina.
“Quando
ho scoperto di essere incinta, ho perso tutto o quasi. Il mio lavoro,
innanzi tutto. Il servizio catering ha fatto scadere il mio contratto
e non lo ha rinnovato. Ho cercato diversi lavori nel ramo, ma nessuno
assume una quasi mamma. Mi sono ritrovata a fare le pulizie, la
fattorina, la porta pubblicità e sempre più verso
il basso. Fino a
quando due mesi prima del parto non ho dovuto fermarmi del tutto o
avrei rischiato di perdere Alex. Due schifosi mesi di assoluta
immobilità. A casa di mia madre… anche
perché il mio vecchio
appartamento l’avevo perso. “ sospirò
come se ripercorrere quel
periodo fosse piuttosto traumatico, cosa che in effetti era.
“Ho
partorito e non trovavo lavoro. Chi se la prende una mamma con un
bambino di due mesi? Ho tirato avanti i primi mesi con i miei
risparmi bruciandoli quasi subito in pannolini e vestiti. I miei mi
aiutavano con il tetto, ma non potevo chiedere loro troppo.”
Nuovo
sorso di succo, più per spezzare quel monologo che per vera
sete.
“Ho trovato un lavoro. Telefonista per una società
di telefonia.
Uno schifo, con gente che mi insultava, Alex che piangeva di
sottofondo. Sono durata un paio di mesi, poi mi hanno licenziata.
Sono andata avanti con lavori di qualche settimana, mese se andava
bene. Poi, finalmente, la luce. Il mio attuale capo mi ha assunto
come centralinista. Potevo tenere Alex con me, a patto che non
rompesse le scatole. Sono riuscita a trovare questa casuccia per noi
e pian piano a sistemarci noi. Tiro avanti.”
“Ma…no,
non è così.”
“Eh?”
“Tu
dovresti avere la tua pasticceria. Tu avevi tanti sogni, la tua
carriera. Non puoi essere una centralinista in una azienda
pidocchiosa.” Lei rise amara.
“Certo
che vivi proprio su Marte. Mica è semplice crescere un
bambino quasi
da sola. Aprire una pasticceria significa orari impossibili, spese
che non potevo permettermi. Ho dovuto fare una scelta e Alex
è stata
la mia scelta.” Disse alzando un po’ la voce.
“Vada
per la scelta, ma cazzo! Tu meriti di più. Invece stiamo qui
a
parlare in un appartamento che avrà cinquanta metri quadri,
i mobili
più vecchi di me e ti sembra pure di essere contenta
così.” Fece
lui parlando più forte. Era impossibile iniziare una
discussione e
non finirla ad urla. Era sempre così tra
loro…solo che poi
facevano pace tra le lenzuola e Jared sapeva che stavolta non sarebbe
successo.
“Questo
appartamento mi permette di dare un tetto a tuo figlio. Che cosa
avrei dovuto fare secondo te? Aprire la mia pasticceria e vivere
sotto i ponti perché non avevo soldi per una casa? Oh, ma
chi cazzo
ti credi di essere per giudicarmi? Che cosa ne sai tu di cosa vuol
dire crescere un figlio?” tono aumentato di
un’ottava.
“Non
ne so niente perché tu non me ne hai dato
l’occasione!” colpita,
ma non affondata.
“Perché?
Avresti bloccato il tuo mondo, la tua carriera, il tuo tutto, per
mettere su famiglia con me? Ma per favore, non ti credo neanche se me
lo dici strisciando ai miei piedi.”
“Avrei
potuto aiutarti.”
“Non
ho bisogno della tua carità. Mi sono arrangiata.”
Jared prese un
profondo respiro. Non era andato li per litigare, proprio no, ma quei
discorsi lo avevano mandato in bestia. La sua Monica avrebbe dovuto
vivere felice in una grande casa vicino alla spiaggia come aveva
sempre desiderato, avere la sua ricchissima pasticceria ed essere
perennemente single. Invece non faceva il lavoro dei suoi sogni, non
aveva la sua bella casa ed era sì single, ma con un figlio.
“Come
fai a permetterti questo buco? Sarà piccolo, ma è
in pieno centro.”
La vide arrossire nuovamente e tremò.
“Bhe,
pochi mesi prima che io lo trovassi ci era morta una vecchia.
Assassinata dal nipote o qualcosa del genere. L’hanno trovata
una
settimana dopo che puzzava da morire. La gente aveva paura e quindi
era libero. Ho solo cambiato i mobili del salotto che erano impestati
di odore di cadavere.”
“Mi
stai prendendo in giro, vero?” fece lui esterrefatto.
“Perché
dovrei? Meglio così piuttosto che mettermi a fare un
servizietto
all’amministratore no? Che c’è di male?
In fondo il nipote della
signora è in carcere e ho cambiato la serratura,
quindi…senti, non
è che io faccia salti di gioia per questa situazione,
ma… è
l’unica possibile per le mie tasche.”
Jared
si passò una mano davanti al volto.
“I
tuoi non possono fare qualcosa per te?”
“Ma
stai scherzando? Partiamo dal fatto che non glieli chiederei mai, ma
hanno anche loro il da fare con Nicola che ha dieci anni. Mi aiutano
con i vestiti, perché mi passano quelli di mio fratello.
Mentre con
mio padre… bhe lo conosci. Lui non ha voluto saperne di Alex
o di
me.”
“E…non
c’è altro?”
“Certo,
i servizi sociali mi stanno dando una mano, per lo meno riesco a
coprire le rare spese mediche di Alex. Da ringraziare il cielo che
è
un bambino sano e a parte qualche influenza stagionale non si prende
nulla.”
“E
tu hai la tua assistenza sanitaria?” di nuovo sguardo basso.
“Hai
la mania di colpire dove fa più male. Come fai? Sei un X-men
che mi
leggi nella mente? Non ho copertura sanitaria perché la mia
società
non la paga e io con il mio stipendio non ci arrivo.”
“E
se stai poco bene?”
“Sto
bene Jared, smettila di preoccuparti per nulla. Ora sei
soddisfatto?”
lui si avvicinò a lei, fino a volerle toccare la guancia con
la
mano. Si fermò poco prima: era un gesto troppo intimo e non
poteva
lasciarsi andare così. Non stavano più insieme.
“No,
non sono soddisfatto. Non…” voleva dirle tante
cose, ma non
riusciva a parlare. Quindi fece un colpo di tosse e cercò di
trovare
il giusto tono. “… io vorrei vedere
Alex.”
Monica
sbuffò piano.
“Non
c’è. È via con un suo amico che compie
gli anni e fa la festa
allo zoo.” Alzò lo sguardo per guardarlo dritto
negli occhi. “Non
portarmelo via.”
“Non
lo farò.”
“E
allora perché sei qui?”
Stavolta
fu lui a cercare le parole per spiegare.
“Io…sono
curioso. Volevo sapere quanto lui mi somigliasse, quanto di me
c’è
in lui. Esteticamente mi sembra parecchio, ma come
personalità, bhe…
ti somiglia proprio.”
“Non
sei arrabbiato con me?”
“Sì
lo sono, ma non per quello che credi tu. Sono arrabbiato
perché io
avrei potuto aiutarti a stare a galla e non per darti
l’elemosina,
ma per dare a mio figlio quello che gli dovevo. Ma non sono
arrabbiato con te per non avermi detto nulla. Ti
capisco…capisco
che dopo esserci lasciati non volevi più vedermi o che non
volevi
sentirmi o anche che potevi avere paura. Non ti
colpevolizzo.” E le
sorrise. Anche lei sembrava rincuorata. “Solo una
domanda.”
“Spara.”
“Perché
lo hai tenuto? Tu eri sempre quella che parlava di quanto schifasse i
bambini.” Fu lei a sorridere mesta.
“Ci
ho pensato anche più volte. Pensavo di abortire. Poi ci ho
pensato
troppo e non lo potevo più fare. Mi sono detta: lo
darò in
adozione. Quando sono stata male pensavo addirittura di muovermi per
favorire la perdita. Invece non ho mai fatto niente di tutto
ciò,
anzi alla fine ho lottato con tutte le mie forze per tenermelo.
Perché?” fece spallucce “probabilmente
perché era figlio tuo.
Era l’ultima cosa che mi avevi lasciato, l’ultimo
dono e lo
volevo preservare al meglio. Era l’ultimo legame che avevo
con te e
non potevo reciderlo così, come se niente fosse.”
Scese
il silenzio: era come se non ci fosse più nulla da dire,
quando,
invece, c’era ancora un abisso da colmare.
“Io
tra pochissimo parto per il tour di ABL. Posso vedere Alex
prima?”
Monica
non riuscì neppure a rispondergli, che suonò il
campanello.
“Chi
diavolo è? Scusami…” andò
alla porta “Chi è?”
“Mamma!
Sorpresa!!”
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Capitolo 5 *** Mio Padre? Frank Iero! ***
Capitolo
4: Mio padre? È Frank Iero!
Lui
era li. No, diamine non doveva già tornare, non era il tempo
giusto,
Jared era ancora tranquillamente nel suo salotto. No era sicuramente
uno scherzo dettato dalla stanchezza. Guardò dallo spioncino
e fece
capolino la testolina scura di suo figlio. Oltre che la figura di
Jasmine, la mamma del suo amichetto del cuore.
Si
voltò verso Jared che sembrava anche lui in bilico tra una
curiosità
atroce ed una paura, forse quella di risultare antipatico al bambino.
“Mamma
apri!”
Deglutendo
pesantemente, aprì nuovamente la porta.
Jared
fissò immobile sulla sedia, le due figure che entrarono,
anche se
solo la più piccola catturò la sua attenzione.
Il
bambino entrò correndo, buttandosi immediatamente sul
divano,
cercando di prendere il piccolo gatto che si rifugiò sotto
le gambe
del tavolo della cucina.
“Alex!
Ciao Jasmine.”
“Scusa
se siamo arrivati prima, ma i nonni di Thomas hanno reclamato la sua
attenzione.” Non sembrava molto felice di ciò e
Monica sapeva che
tra la sua amica e i suoceri non correva buon sangue.
“Mamma
chi è lui?”
“Oh
Monica, non sapevo avessi ospiti.” Jasmine fissò
Jared con un
certo interesse, soprattutto quando si soffermò sugli occhi
grigi
intenti a guardarla, per poi notare sempre più interessata,
le
braccia muscolose. “Oltretutto, maschili...”
“E'
un vecchio amico.”
“Ma
io so chi è!! è Jared Leto! Allora era vero che
conoscevi Shannon.”
“Ti
ho mai detto bugie?”
“Complimenti
al vecchio amico... dove lo hai tenuto nascosto?” chiese
sussurrando Jasmine.
“Nell'armadio.”
Sorrise falsa Monica. Si stava innervosendo: entro la fine della
settimana mezza Los Angeles avrebbe saputo che Jared era stato da
lei. C'era un motivo se le mamme della scuola chiamavano Jasmine
“Radio Jaz”.
“Senti,
vado che Robert mi aspetta in macchina. Ci vediamo presto Monica. E
divertiti mi raccomando.”
“Ma
quale divertimento?” borbottò Monica chiudendo la
porta.
Praticamente la parte più difficile di quella giornata
doveva ancora
arrivare e lei era già stravolta.
“Mamma,
lui conosce Frank?”
“Non
lo so Alex, chiediglielo.”
Jared
vide suo figlio -diavolo era il suo bambino- andare verso di lui. Era
bello, non sapeva come altro definirlo. Sembrava un normalissimo
bambino con gli occhi identici ai suoi, aveva perfino il suo leggero
strabismo di venere. Era come stare davanti allo specchio. Poi,
invece, notò le sue differenze. Le orecchie, per dire la
prima cosa
che gli passava per la mente. Piccoline e giustamente tonde
all'apice. Non a punta come quelle di Spok.
Il
viso ovale, dolce, proprio da bambino di sette anni.
La
maglietta nera con Topolino era deliziosa e pareva che l'avesse
indossata parecchie volte, così come i jeans azzurri.
“Ciao.”
“Sei
Jared, vero?”
“Sì
e tu Alex, giusto? Come va?”
“Lo
sai che allo zoo c'era un lupo? Ma lo stanno solo curando
perchè lo
vogliono rimettere in libertà. Sai da solo non
può stare.” si
fermò a riprendere fiato e guardò Monica.
“Mamma, perchè non può
stare da solo?”
“Perchè
i lupi formano i branchi con i loro amici. E anche perchè
quel lupo
vorrà tornare dalla sua fidanzata credo.”
“Ma
che schifo le femmine...” Jared ridacchiò.
“Che
cosa ti piace se le femmine non sono nella tua top list?”
“I
Chem! Sono troppo forti. Quando Ray fa muovere i capelli è
fantastico. E Frank? Papà è
fantastico!”
Jared
per poco non cadde dalla sedia. Lo aveva chiamato papà? Non
era
possibile. Riprese a respirare e guardò Monica che stava
scuotendo
il capo.
“Alex,
te l'ho detto un milione di volte.”
“Ma
mamma... “
“Papà?”
riusci ad esalare Jared.
“Sì,
il mio papà.” fece Alex con un sorriso splendente
grato di poterne
parlare. “è favoloso vero?”
“Ma
chi è?”
“Mio
padre? È Frank Iero!” Alex non si rese conto di
quello che aveva
scatenato nel malcapitato Jared che lo fissava come in trance,
pallido più del solito. “Lo conosci?”
Lui
annuì facendo scattare lo sguardo dal bambino alla donna.
“Eh?”
“Alex...
vatti a lavare le mani e togliti le scarpe... ah, non in questo
ordine ok? Vai.”
Si
sedette su una delle sedie libere ed avvicinò il bicchiere
con
dell'acqua verso Jared.
“Bevi,
credo che ti farebbe bene.”
“Mi
servirebbe qualcosa di più forte che un bicchiere
d'acqua.”
“Ho
un po' di succo.” lui declinò con un leggero gesto
del capo.
“Mi
puoi spiegare?”
“Non
c'è niente da spiegare. Sopperisce alla sua mancanza di
figura di
riferimento. Vede in un uomo che gli piace un eventuale padre. A lui
piace Frank Iero e nella sua mente lo ha scelto come
papà.”
“Sono
io suo padre, non quel nano.” Monica gli scoccò
un'occhiata
divertita.
“Noto
un leggero accenno di gelosia?”
“Di
chi? Per il puffo? Ma per favore! Solo che non me l'aspettavo, mi ha
preso alla sprovvista.”
Il
suo telefono prese a suonare e si alzò mentre Monica lo
squadrava
dalla testa ai piedi: era Shannon.
“Jay,
dove sei?”
“Fuori
per i fatti miei. Ci vediamo a cena a casa.”
“Jay...
va tutto bene? Mi sembri strano... bhe più strano del
solito.”
Jared vide Alex rientrare in soggiorno ed andare da Monica. Gli fece
veramente una strana sensazione vederla alle prese con un bambino.
Aveva un sorriso diverso da quelli che dava a lui, era come vedere
un'altra persona, una Monica che non aveva mai incontrato. E peggio
un qualcuno che non conosceva nonostante tutto quello che c'era stato
nel loro passato. Quanto aveva perso di Monica in quei sette anni?
“Jay?”
“Uhm...
ah Shan, sei ancora li.”
“Eh
certo che sono ancora qui. Si può sapere che sta
succedendo?”
“Niente.
Senti a dopo per cena. Ciao.”
Interruppe
la chiamata per riprendere a fissare Monica che stava parlando con
Alex dello zoo e dei suoi amici o di quanto si era divertito. Lei lo
guardava con un tipo di amore per lui completamente sconosciuto. Un
amore che non aveva mai ricevuto da lei.
Una
punta di gelosia si insinuò in lui in maniera anche stupida,
lo
capiva benissimo. In fondo sapeva per esperienza indiretta che
l'amore per un figlio era tutta un'altra cosa che l'amore per un
uomo. Evidentemente Monica non faceva eccezione.
E
lui? Che cosa provava per Alex?
Nulla.
Cioè,
lo guardava e la confusione saliva proprio perchè non aveva
idea di
cosa doveva fare. O provare. Doveva amarlo a prescindere
perchè era
sangue del suo sangue, o doveva guardarlo con una sorta di distacco
dovuto al fatto che comunque non lo aveva mai visto prima?
Magari
avrebbe potuto conoscerlo meglio per farsi un'idea prima di partire
per l'ennesimo tour in giro per l'America.
E
chissà. Così facendo avrebbe potuto riavere
Monica.
Perchè
lo sapeva da quando era entrato in quell'appartamento che la voleva.
Sentiva il suo corpo spostarsi irrimediabilmente verso di lei, con
una forza che non credeva possibile. Come se il tempo non si fosse
mai fermato, come se quel giorno di settembre non si fossero mai
veramente lasciati. Deglutì: aveva avuto altre donne e
storia, una
delle quali molto importante, eppure solo con Monica si era sentito
veramente completo.
Doveva
capire, in un modo o nell'altro, se la cosa era ancora così.
Un
conto era l'attrazione fisica, un altro il riuscire a stare assieme
dopo tanto tempo, in più con un figlio di mezzo.
Deglutì
chiudendo gli occhi: un figlio, un bambino. Era pronto? No di certo,
ma di sicuro neanche Monica lo era stata a suo tempo, quindi poteva
almeno far finta di provarci no?
“Io
conosco Frank Iero, sai? Magari un giorno te lo presento
pure.”
La
frase di Jared ebbe un duplice effetto. Il primo fu che Alex emise un
urlo di felicità che fu sentito di certo fino a New York, il
secondo
che Monica lo guardò ad occhi sgranati.
Ma
cosa voleva Jared da loro?
“Veramente?
Me lo presenti? Si? Si? Si?!” gli occhioni grigi
così simili ai
suoi, lo stavano fissando con un'espressione a metà fra il
cucciolo
abbandonato e lo speranzoso.
“Se
la mamma non ha niente in contrario posso provare. Considera,
però,
che Frank abita in New Jersey e quindi non è facile
trovarlo.”
“Mamma
posso?”
“Cosa?”
“Andare
in New Jersey con Jared?”
Monica
scosse la testa, mentre Jared rideva.
“Non
ti porto via da Los Angeles. Dovremo solo aspettare che i Chem
vengano qui.” Alex mise un leggero broncio.
“Uhm...
va bene.”
Jared
si alzò dal divano, battendo le mani sulle cosce e
andò verso la
porta.
“Bhe
allora meglio che vada adesso.”
“A
che gioco stai giocando, Jared?” fece Monica sospettosa
andandogli
incontro.
“A
nessun gioco. Come ti ho detto prima sono curioso di conoscere mio
figlio e se posso farlo così, perchè
no?”
“Perchè
dovrebbe apprezzarti per quello che sei, non per quello che puoi
dargli.” Jared la fissò serio fino a lasciarsi
andare ad un
leggero sorriso malinconico.
“Purtroppo
ho perso fin troppo tempo per farmi conoscere per quello che sono.
Voglio solo conoscerlo il prima possibile e... farmi piacere da mio
figlio. È tanto terribile?”
“No.”
“Appunto.
Ti va se ci troviamo uno di questi giorni in un posto neutro a tua
scelta? Così passo stare un po' con Alex e conoscerlo
meglio. E tu
vedrai che non farò nulla per metterlo contro di te o
cazzate
simili.” prese un respiro profondo “Voglio solo
cercare di sapere
che tipo è mio figlio.”
“Ok,
va bene. Chiamami quando hai il giorno libero. Vediamo che possiamo
fare.”
“Ottimo.”
Jared
aprì la porta e si ritrovò la mano di Monica sul
braccio nudo. Era
la prima volta che lo toccava dopo troppi anni e gli sembrò
di
ustionarsi. No, la loro alchimia fisica non era minimamente
diminuita. Un brivido gli percorse la schiena.
“Solo
una cosa.” iniziò lei ignara dell'effetto che
aveva avuto
sull'uomo davanti a sé “Non... ti prego, non dare
nessuna falsa
speranza. Non giocare a fare l'amicone con lui e poi sparire. Se lo
vuoi conoscere per curiosità, non farlo affezionare a
te.”
Lui
annuì e poi guardò quella piccola mano chiusa su
di lui. Le unghie
non erano curate come quando l'aveva conosciuta o anche lasciata:
erano tagliate corte, senza smalto e leggermente mangiucchiate.
Eppure... i polpastrelli morbidi, quel senso di assoluta magia che
stava provando... era lei, proprio la sua Monica.
Quanto
le era mancata.
“Conoscerlo
un po'. Non ti chiedo altro, per ora.”
Non
era facile guardarlo negli occhi e Monica ne era consapevole. Inoltre
il suo braccio caldo sotto la mano rendeva il tutto più
difficile.
Era il suo Jared e lei si era sempre fidato di lui.
Fece
un cenno affermativo con il capo.
Forse,
si disse, a quel punto doveva lasciarlo andare. Ecco, staccare
lentamente la mano e permettergli di tornare alla sua vita fatta di
concerti, film e zoccole bionde. Si, era quello che doveva fare
eppure non ci riusciva.
Patetica.
“Mamma!”
la voce di Alex la risvegliò e riuscendo a togliere la mano
dall'uomo. “Posso guardare la TV?”
“Sì
certo. Saluta... Jared. Sta andando via.”
“Ciao
Jared Leto.”
“Ciao
Alex. Ah, aspetta.“ Il bimbo lo guardò impaziente.
Stava per
perdere il suo programma preferito per colpa di quelle chiacchiere.
“Lo sai anche perchè i lupi tornano sempre dalle
loro fidanzate?”
“No.”
Jared
guardò Monica negli occhi molto seriamente.
“Perchè
hanno sempre una sola compagna per la vita.”
“Veramente?”
“Già.”
sussurrò Monica ricambiando lo sguardo e tremando di fronte
a quello
che lui, implicitamente, ma neanche poi molto, le stava dicendo.
E
ne aveva paura, perchè sapeva di non potersi permettere di
ricascarci di nuovo.
Si
stava cacciando in un guaio terribile.
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Capitolo 6 *** Sì piccolo, noi! ***
Volevo ringraziare tutte le mie lettrici,
nonchè tutte coloro che commentano qui e via Twitter. Vi
adoro!! E mi fate arrossire ^////^
Inoltre volevo lasciare una piccola nota:
rileggendo la storia mi sono accorta che ho dato molta enfasi ad un
particolare, cioè alla, insana per tutte noi, paura di
Monica, sia per quanto riguarda i sentimenti di Alex, ma, e
soprattutto, per quanto riguarda la sua paura per la presenza di Jared.
Non voglio essere ridondante, ma in una situazione simile,
credo che io reagirei nella stessa esatta maniera di
Monica.
Per fortuna, o purtroppo, non
accadrà mai!! XD
Ultimo punto: Alex, per forza di cose, non
esiste. Però molte delle cose che fa e come le fa, sono
prese spunto dal bambino che ho in casa, cioè mio fratello
Nicola. Lui adesso ha 11 anni, quindi un po' più grande si
quanto sia in realtà Alex.
Bene, detto questo, vi faccio leggere!
Capitolo
5: Si piccolo, noi!
“Mi
spieghi perchè mi vuoi con voi?”
Monica
si stava sistemando i capelli prima di uscire. Jared l'aveva chiamata
due giorni prima per chiederle di portare Alex al Luna Park di Santa
Monica. Dato che era domenica non aveva nessun problema ad
accontentarlo ed anche il bambino era stato entusiasta di andare a
divertirsi alle giostre. Ecco, magari il fatto che ci fosse Jared non
era di suo massimo interesse, ma conoscendolo, Monica sapeva che come
avrebbe visto uno dei suoi cantanti preferiti, si sarebbe lanciato in
mille chiacchiere. La logorroicità era un segno distintivo
dei geni
Leto.
Diede
un'ultima occhiata alla maglietta e si domandò se andava
bene. No...
forse era da cambiare.
“Monica,
mi vuoi rispondere?”
Reneè
era passata da loro e Monica aveva preso al balzo il momento,
chiedendo all'amica di andare con lei alle giostre.
“Bhe,
perchè Jared vorrà passare più tempo
possibile con Alex e io...
non ho voglia di fare il palo.” lo sguardo scettico della
donna le
fece capire che non ci aveva creduto neppure un secondo.
“Perchè
mi guardi così?”
“Semplicemente
perchè non ci credo. Questo dovrebbe essere un appuntamento
tra te e
Jared, non un incontro con la tua amica.”
“Questo
non è un appuntamento! È un... non so neppure io
che cosa è, ma di
certo non è un cazzo di appuntamento romantico.”
“Allora
mi spieghi perchè ti sei truccata? E soprattutto
perchè è la terza
volta che ti cambi la maglietta?”
“Mi
sono truccata perchè esco con mio figlio e... voglio
sembrare
apposto...e... ehm...”
“Sento
lo stridio delle tue unghie sul vetro.” Reneè rise
dell'espressione sconfitta di Monica. “Ammetti che ti fai
bella
perchè ti vuoi mostrare al meglio a quel gran pezzo di uomo.
Non c'è
niente di cui vergognarsi, sai?”
Monica
sospirò gettando sul letto l'ennesima maglia.
“La
cosa triste sai qual'è? É che posso cercare di
mettermi in tiro
come non mai, ma non sarò mai alla sua altezza.”
“E
di grazia perchè?”
“Dopo
che ci siamo lasciati, con chi si è messo lui?”
“Cameron
Diaz?”
“Appunto,
ti pare che dopo aver fatto cose folli con lei, si possa interessare
nuovamente a me? Lei era una stella, io che cosa sono?
Niente.”
“Smettila
di dire cavolate e mettiti questa addosso: farai un figurone, tanto
che mi sentirò io la terza incomoda.”
Reneè
le stava passando una maglia a maniche lunghe attillata rossa, che
aveva il pregio di una profonda scollatura e che quindi avrebbe
aiutato a far vedere il decoltè: qualcosa che Jared avrebbe
di certo
apprezzato, Diaz o meno. Si guardò allo specchio: poteva
andare.
Certo,
fissando l'amica, si sentì praticamente surclassata in
tutto: Reneè
era una bellissima donna, più vicino all'età di
Jared che alla sua,
con un corpo minuto ma sodo. I capelli erano acconciati in bellissimi
ricci biondo scuro ed incorniciavano un volto vispo e allegro, ma
soprattutto un paio di incredibili occhi verdi come due smeraldi
scintillanti. Se si considerava che i pantaloni stretti le fasciavano
le gambe come una seconda pelle, l'effetto era devastante per
parecchi uomini.
Scosse
il capo: era veramente il brutto anatroccolo della compagnia.
“E
comunque ancora non capisco perchè vuoi che venga con te.
Visto che
ti stai comunque facendo figa, io che c'entro?”
“Se
tu sei nei paraggi io sono sicura di non rischiare di saltargli
addosso. Ok, sono pronta. Alex, ci sei?” Un mugolio dal
salotto fu
l'unica risposta. “E' ancora più bello di quando
l'ho lasciato e
credimi, non credevo potesse essere possibile. Io più vado
avanti e
più invecchio, sembra che abbia 35 anni e non ventinove,
mentre lui
ringiovanisce. Ha il ritratto di Dorian Gray in soffitta, è
un
vampiro, un Immortale... è deprimente, ti senti persa nello
stesso
momento in cui sei nel suo stesso spazio. Oltre al fatto, non
dimentichiamolo, che quando orbito intorno a lui, tutta la
razionalità del mondo va a farsi benedire e i miei ormoni,
normalmente assopiti, si risvegliano, come fosse già
primavera
inoltrata. E considera che è appena Marzo.”
Uscirono
dalla camera da letto per trovare Alex che stava giocando con il
gatto e un gomitolo di lana vecchia.
Per
quel giorno Monica gli aveva tirato fuori un paio di pantaloni quasi
nuovi, neri, in ottimo stato e una felpa con lo squalo della Maui,
regalo della Nonna per Natale
“Prendi
il cappellino ed andiamo.”
Lei
indossò la sua giacca di jeans e si misero in macchina di
Reneè. La
donna guidava tranquilla e sicura. Il sole splendeva caldo,
nonostante l'inverno: insomma, una giornata a dir poco perfetta.
“La
paura è normale, Monica.”
“Lo
so, ma... non posso cadere negli stessi sbagli. Oltretutto non sono
più sola, ti ricordo.”
“Se
posso darti un consiglio da assistente sociale, credo che Jared
può
solo far del bene ad Alex. Al di la del fatto che è
realmente... bhe
lo sai.” Disse lanciando un'occhiata al bambino dietro che
guardava
fuori dal finestrino muovendo la testa al tempo della musica
dell'autoradio. Sembrava non stesse ascoltando nulla in
realtà, ma
meglio non rischiare.
“Spero
solo che Jared non faccia cazzate con lui, chi se ne frega di
me.”
Parcheggiarono
vicino la spiaggia e si avviarono verso la grande ruota panoramica.
L'aria fresca passava tra i capelli e la tranquillità del
mare stava
facendo effetto anche sull'umore di Monica: forse non sarebbe andato
tutto male.
Arrivarono
davanti all'entrata del Luna Park e si trovarono una visione un po'
surreale: Jared che parlava con una specie di pupazzo con la maschera
da squalo. Lui cercava di allontanarlo, mentre quello gli proponeva
un volantino. A lato un divertitissimo Shannon che fumava una
sigaretta.
Reneè
avvampò.
“Non
mi avevi detto che c'era anche Shannon.”
“Non
lo sapevo.”
Il
batterista sembrava tranquillissimo, con una maglietta a maniche
corte dei Led zeppelin e un paio di Jeans neri e le scarpe da
ginnastica.
“Dammi
quel coso e vattene!” fece Jared al limite
dell'esasperazione.
“Come
mai così isterico di prima mattina?”
Domandò Reneè facendo
l'apripista. Shannon la squadrò da capo a piedi, scoccandole
un
sorriso di puro interesse.
“Da
sempre Jared ha paura degli squali.” rispose Monica portando
mano
nella mano Alex.
“A
me piacciono gli squali.” Fece il bambino.
Jared
alzò gli occhi al cielo e cercò di troncare
quella discussione.
Andò verso l'unica che non conosceva e si
presentò.
“Ciao.
Io sono Jared e lui è mio fratello Shannon.”
“Io
sono Reneè, la sua Assistente sociale.”
“Nonchè
amica.”
“Andiamo
sulle giostre???!” Alex aveva iniziato a tirare Monica verso
l'entrata. “Voglio andare sulla ruota e nella casa degli
specchi. E
sulle montagne russe.”
“Piano,
un passo alla volta, Io sulle montagne russe non ci vado e lo
sai.”
“Ma
mamma!”
“Ciao
Alex, come stai?”
Jared
libero dal volantino andò dal bambino che aveva il broncio
per il
primo no della giornata.
“Voglio
andare sulle montagne russe.”
“E
ci andremo... magari lasciamo la mamma giù e ci andiamo solo
noi che
siamo coraggiosi.”
“Forte!
Andiamo.”
Lo
strano gruppetto si mosse verso il parco. Solo Alex pareva
completamente a suo agio, mentre gli adulti si stavano studiando in
modo da capire come far andare avanti la giornata. Sembravano
imbarazzati, soprattutto Monica che continuava a torcersi le dita. A
breve se le sarebbe staccate.
“Mamma,
li!” gli autoscontri parevano abbastanza innocui anche per
lei e
quindi diede il suo benestare.
“Dai
Alex, vieni con lo zio Shan! Ti insegno io a guidare.”
“Zio?”
fecero in coro tutti quanti.
“Yeah!
Andiamo!” fece Alex correndo verso una macchina parcheggiata.
Monica,
Jared e Reneè si guardarono ridendo.
“Mi
domando chi dei due è vero bambino.” fece Jared.
“Bhe
ringraziamo Dio che Shannon non sia bambino da molto...molto
tempo.”
Rispose Reneè leccandosi quasi involontariamente le labbra.
“Guarda
che gran bel culo.”
“Reneè!!”
“Scusa,
Monica... scusa. Però... insomma, ammettilo, guarda
li!”
Shannon
si stava abbassando per mettere il gettone nella macchina del nipote,
per poi andare a sedersi nella sua. I due iniziarono a guidare
cercando di scontrarsi più volte possibile.
“Come
mai lui è qui?”
“Potrei
chiederti la stessa cosa per quanto riguarda la tua assistente
sociale.”
“Non
volevo sentirmi sola se tu avessi voluto stare con Alex senza di
me.”
“Pensi
che dovrei anche crederti?”
“Potete
flirtare quando io non ci sono?”
Reneè
stava osservando tutto ridacchiando: quei due erano spassosissimi,
anche se poteva capire tutti i dubbi della amica. Si guardavano di
sottecchi, si avvicinavano e poi si allontanavano. Sembravano due
ragazzi del liceo alla prima cotta.
Mentre
Monica arrossiva, Jared spostò lo sguardo su suo figlio:
rideva come
solo un bambino sapeva fare, cioè spensierato e con gli
occhi
brillanti di felicità. Andava a sbattere contro Shannon che
sembrava
addirittura felice di essere li. Si spostò verso il bordo
della
pista.
“Alex,
vieni qui.” In velocità entrò nella
macchina del bambino
“Facciamo vedere a zio Shannon chi guida meglio!”
“Noi!”
“Si
piccolo, noi! Andiamo!”
A
Monica scese un brivido lungo la schiena. Era così che
doveva
essere. Era così che si era sempre immaginata una vita
ideale, fatta
di lei, lui e il bambino. Una normalissima vita familiare.
“Non
vale la pena di provarci, tesoro?”
Monica
si limitò ad annuire leggermente commossa.
“Mamma,
andiamo a giocare con i cigni?”
“Si,
certo. Andiamo a vincere l'ennesimo pupazzo. ”Lo prese per
mano
portandolo verso un piccolo stand dove dei cigni di plastica
nuotavano placidi in una vasca. “Sei contento di essere
venuto?”
“Sì.
Jared e Shannon sono simpatici. E poi Jared mi ha abbracciato...
strano. È simpatico, anche se strano.”
“Non
è mai stato troppo normale, neanche da giovane. Ehi, salve.
Facciamo
un giro!”
“Arrivo
Signora. Ecco bimbo, prendi la canna.” Alex prese una canna
da
pesca dove in fondo c'era un cerchio fatto apposta per prendere i
cigni “Tre animali, non di più.”
Monica
lo prese in braccio per alzarlo e fare in modo che arrivasse al gioco
in maniera migliore.
“Ma
guardalo che carino... un vero cacciatore.” Fece Shannon
tirando
fuori il sacchetto delle sigarette. “Ne vuoi una?”
chiese a
Reneè.
“Non
fumo, ma grazie comunque.”
“A
te manco lo chiedo, fratello.”
Monica
ed Alex tornarono con un bellissimo pupazzo a forma di Gufo, felice
come una Pasqua.
“Visto
cosa abbiamo vinto? La mamma mi ha detto i cigni da prendere, lei
vince sempre!”
“Sono
la mamma migliore del mondo!” disse Monica ridendo.
“Sì
lo sei amica mia!” disse Reneè prendendola per le
spalle ed
incamminandosi con lei al gioco successivo.
La
giornata continuò in quella maniera per tutto il tempo,
passando da
una giostra all'altra. Mangiarono un poco sano panino davanti lo
sguardo schifato di Jared che aveva optato per un pezzo di pizza,
unta come poche cose al mondo, ma almeno vegetariana. Si era appena
reso conto che suo figlio era un carnivoro mica male.
Stava
iniziando a scendere la sera, il vento era leggermente più
forte e
il freddo stava iniziando a crescere.
“Alex,
dobbiamo andare a casa.”
“Ma
dobbiamo andare ancora alla ruota panoramica. Jared dillo tu alla
mamma.”
“Ha
ragione lui, lassù non ci siamo ancora andati. Dai andiamoci
adesso.
Poi potremmo andare a cena assieme.”
Monica
si voltò verso Reneè che era in piena discussione
tecnica sui pezzi
della batteria di Shannon e su come l'usava. Stavano scendendo in
cose veramente tecniche che lei non capiva. Inoltre la sua amica
stava dando sfoggio alle sue tattiche di seduzione, fatte di occhiate
maliziose e battutine al limite. Tutte cose che Shannon apprezzava
oltre ogni dire.
“Shan,
Reneè, venite anche voi?”
“Uhm...
no, Jay, vado a prendermi un caffè e lo offro anche alla mia
deliziosa compagna di chiacchiere. Andate voi sulla ruota, noi vi
aspettiamo qui.”
Come
sempre Alex fu il primo ad avviarsi felice, con in mano il suo gufo
di peluches. Jared prese la mano di Monica e la portò con se
a
riprendersi il bambino.
“Non
sono uno spettacolo da vedere assieme?” Domandò
Reneè prendendo
il bicchiere di carta che le stava passando Shannon.
“Si
ed è per questo che sono rimasto qua sotto... volevo che si
godessero il loro momento famiglia. Jared se lo merita, visto che
fino a questo momento non ne ha avuto la
possibilità.” il tono
arrabbiato si intuiva nonostante avesse cercato di dire quella frase
con la solita apparente ironia. Reneè sospirò.
“Non
condannare Monica. Non ha avuto una vita semplice.”
“Appunto,
avrebbe potuto risparmiarsi un sacco di problemi se ne avesse parlato
con Jay prima.”
“Ha
fatto una scelta, cioè quella di lasciarlo andare per la sua
strada.
Possiamo essere d'accordo o meno, ma nessuno di noi ha il diritto di
giudicarla, soprattutto se Jared non lo ha fatto per primo.”
Shannon
la guardò, forse per la prima volta realmente interessato a
lei per
la personalità, piuttosto che per il sedere sodo.
“Forse
hai ragione.”
Si
voltò verso suo fratello e lo vide mentre saliva su una
delle
piccole cabine della ruota: aveva un sorriso diverso dal solito,
molto più pudico e personale, non sapeva neppure lui come
definirlo.
Gli pareva di rivederlo bambino.
E
sorrise anche lui.
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Capitolo 7 *** Di cosa hai Paura? ***
Capitolo
6: Di cosa hai paura?
La
ruota si muoveva lenta, alzandosi verso il cielo ormai scuro. Si
vedeva perfettamente la città illuminata e il mare nero,
leggermente
solcato da scaglie luminose. Era una vista da quasi sogno,
pensò
Monica.
Alex
andava avanti ed indietro per vedere tutto il panorama possibile
facendo ondeggiare la cabina, mentre Jared in silenzio lo osservava
senza perdersi un solo movimento del bambino.
“Alex
stai un po' fermo? Tra un po' mi viene mal di mare.”
“Guarda
che bello mamma. Domani andiamo all'acquario con Jared?”
“Domani
devi andare scuola, ti ricordi?”
“Ma
ha l'entrata gratuita.”
“Ma
la mamma ha ragione, Alex. Hai la scuola ed è più
importante.
Magari un altro giorno andiamo io e te all'acquario.”
“Il
biglietto omaggio te l'ha dato lo squalo di prima?” Fece
Monica
guardando il mare nero.
“Sì.
E ammetto che è stato abbastanza terrificante trovarmelo
davanti.”
lei rise. “Voglio vedere se ti trovavi tu uno squalo con
denti
aguzzi che ti fissa minaccioso cosa avresti fatto.” Ridevano
tutti
tranne Jared che roteò gli occhi, ma poi fece un sorrisino
tranquillo godendosi quel momento di scanzonata presa in giro verso
se stesso. Nonostante quello che pensava una buona maggioranza della
gente che lo seguiva, adorava ridere di se stesso, lo riportava con i
piedi per terra quando rischiava di schiantarsi per aver volato
troppo in alto. “Ognuno di noi ha le proprie debolezze,
giusto?”
“Ma
si e poi gli squali non sono notoriamente gli animali più
mansueti
del mondo. Averne paura è quanto meno normale.”
“A
me piacciono gli squali. Mi piacciono tutti gli animali.”
“Ah
sì? Sai che ho due cani?”
“No...
sono grandi?”
“Due
husky abbastanza grandicelli. Se si alzano in piedi sono alti come
me.” Alex non sembrava particolarmente felice di sentirlo e
tornò
a guardare fuori dalla finestra mentre scendevano verso terra.
“Non
dovevo dirlo?”
“Scusa,
ma credo che sia colpa mia. L'ho sempre tenuto lontano dai cani a
causa delle mia fobia per la grossa taglia. Ma sono sicura che
potrebbe apprezzare i tuoi, anche se sono grandi.”
“Magari
potrebbe venire a casa mia.” Subito Monica si
irrigidì e Jared lo
notò: a quanto pareva c'era già qualcosa che non
andava in
quell'idillio. “Ci puoi venire anche tu, sai?”
“Non
è quello il problema.”
“Ah
no? E quale?”
Monica
Deglutì mentre la porta della cabina veniva aperto
dall'addetto
della giostra. Uscirono tutti e tre in silenzio, Alex perchè
lo
sentiva a pelle che tra i due adulti c'era qualcosa. Anche se non
capiva cosa.
“Ho
fame. Posso mangiare qualcosa?”
“Aspetta.”
Monica guardò nel portafoglio, ma era quasi tristemente
vuoto.
“Andiamo a casa a mangiare, è meglio.”
“Ma...”
“Per
favore Alex, non discutere.”
Shannon
e Reneè capirono subito che qualcosa, lassù, si
era rotto. Ma cosa?
“Ehy,
campione, ti va se ti sfido un'ultima volta a lanciare le palle ai
barattoli? Scommetto che vinco!” fece Reneè
facendo un leggero
cenno a Shannon di lasciare soli gli altri due.
Monica
andò a sedersi su una panchina e Jared la seguì,
ma rimanendo in
piedi.
“Che
succede adesso?”
“Smetti
di fare tutto quello che stai facendo, Jay.”
Borbottò seccata.
“E
di grazia, cosa starei facendo? Sono solo venuto a conoscere mio
figlio. E voglio continuare a farlo.”
“Perchè?”
Jared
si mise le mani in tasca e cercò di sistemare i pensieri per
esporli
al meglio.
“Io
so che cosa significa non aver un padre. Un bambino dovrebbe sempre
avere una figura di riferimento maschile. Per me e Shannon non
è
stato semplice e vorrei che ad Alex tutto questo fosse
risparmiato.”
Sospirò “Non voglio portartelo via, te l'ho
già detto, ma...”
deglutì per poi guardarla negli occhi “...voglio
far parte della
sua vita. Voglio diventare suo padre.”
“NO!”
“Monica...”
“No,
niente Monica. So benissimo che per crescere al meglio ci dovrebbe
essere qualcuno al mio fianco, ma quel qualcuno non puoi essere
tu.”
“Perchè
no? Sono effettivamente il padre di Alex, chi meglio di me potrebbe
farlo?”
“Uhm...
non lo so, fammi pensare? Forse qualcuno che non vive viaggiando come
fai tu?”
“Posso
aiutarvi Monica.”
“Non
mi servono i tuoi soldi, Jared. Ce la sto facendo da sola al meglio,
ho tutto quello che mi serve!”
“Ma
per favore, non riesci neanche a prendergli un panino per cena. Ti ho
visto sai?”
Monica
arrossì trattenendosi dallo scoppiare in lacrime per
l'ultimo
residuo di orgoglio che aveva.
“Non
importa, ci riesco da sola.” Jared scosse il capo.
“E, comunque,
come faresti ad essere con Alex se te ne parti ogni due giorni per un
concerto o un film?”
“Bhe,
verrei da voi ogni giorno libero. Ogni volta che
servirà.”
“Jared,
sappiamo entrambi che il tuo lavoro è sempre stata la tua
priorità
e non credo che le cose siano cambiate in questi anni che non ci
siamo visti.”
“No,
hai ragione, ma c'è un bambino ora di mezzo e quindi le cose
non
sono più come prima. È tutto diverso adesso e sai
benissimo che
quando mi metto qualcosa in testa lo porto fino in fondo. Farei il
meglio per lui.”
Monica
si sentiva svuotata di tutto. Voleva piangere per la frustrazione, ma
non poteva dimostrarsi debole proprio davanti a lui.
Sapeva
che Jared sarebbe stato un buon padre, anzi probabilmente forse anche
meglio di lei come madre, però l'idea che lui potesse
portarle via
Alex non l'abbandonava. Qualsiasi giudice con un minimo di
sanità
mentale avrebbe preferito che il bambino stesse con Jared piuttosto
che con lei. Lui era ricco, con una bella casa e di sicuro gli
avrebbe potuto dare tutto quello che serviva ad Alex, mentre lei? Lei
non aveva nulla.
Jared
si inginocchiò davanti a lei prendendole le mani.
“Senti,
in questi anni hai avuto un sacco di difficoltà. Non dico
che adesso
non ce ne saranno, ma potresti contare anche su di me.”
Monica
si alzò di scatto e andò da Alex che stava
tornando seguito da una
preoccupatissima Reneè.
“Andiamo
a casa. Saluta tutti Alex.”
“Quando
li rivediamo?” Ci mancava solo lui a remare contro.
“Non
lo so. Vedremo.”
Mentre
le ragazze si allontanavano con il bambino che faceva ciao ciao con
la manina, Shannon si accese l'ennesima sigaretta.
“Deduco
che qualcosa nel tuo splendido piano non sia andata come tu volevi
andasse.”
“Smettila
Shannon, questo non è un gioco. Si tratta , per una volta,
di una
cosa seria.”
“Predichi
ad un convertito. Credo che non sono io a doverlo capire, quanto la
tua ex.”
Si
avviarono in silenzio verso il molo di Santa Monica Pier, presi
entrambi da pensieri confusi.
“La
voglio, Shannon.”
“Cosa,
la paternità?”
“No,
Monica. E l'unico modo per riaverla è entrare a far parte
della vita
di Alex. Mi piace quel bambino, sul serio, ma non lo conosco per
niente e vorrei che entrasse nel mio mondo alla stessa maniera in cui
ci siete tu e mamma. È una parte di me, è una
parte della mia
famiglia.”
“Inoltre
c'è Monica. Pensavo l'avessi dimenticata, non parli mai di
lei.”
“Prova
a capire perchè non ne parlo. Parlarne vuol dire ricordarla,
ricordarla significa soffrire e deconcentrarsi e non me lo posso
permettere. Eppure ora che sono così vicino a lei... non
riesco a
non pensarci. Non riesco a non immaginarmi una vita con lei.”
“Allora
sei sulla via giusta mi sa. Continua così e non fermarti,
devi
puntare in alto no? Magari non andare a testa bassa come un carro
armato, ma lavora ai fianchi. Pian piano. Intanto se vuoi posso darti
una mano.”
“E
come?” chiese Jared sospettoso.
“Ho
il numero di telefono di Reneè. Se ti serve qualche cosa...
bhe
posso provare a spiare nella loro vita.”
“A
volte mi spaventi fratellone.”
“Poi,
vabbè, ammetto che ho preso il numero più che
altro per riuscire a
togliere i pantaloni da quel bel culetto, ma si possono prendere due
piccioni con una fava.” risero assieme.
“Sei
un maiale, Shan.”
“Da
chi pensi di aver imparato?”
In
macchina l'unico a parlare era Alex. Si era divertito con Shannon e
soprattutto con Jared che se l'era portato per quasi tutte le
giostre, specie quando Monica non voleva salirci, come sulle montagne
russe. Era la prima volta che andavano fuori con un uomo che si
interessava a stare con lui. Quelle poche volte che Monica aveva
avuto un appuntamento con un uomo, erano sempre andati al cinema a
guardare qualcosa che andasse bene anche per Alex. Ma lui si era
sentito un po' messo da parte. Invece aveva capito che Jared si era
impegnato a stare con lui e non con sua mamma. Era qualcosa di
interessante e lo faceva sentire quasi importante.
“Torneremo
alla ruota, vero?”
“Si
Alex, più avanti.”
“Con
Jared?”
Monica
non rispose: che dirgli? In fondo se lo poteva aspettare una cosa del
genere. A parte qualche insegnante e il nonno, Alex non aveva mai
avuto figure maschili accanto. E poi a lui già piaceva Jared
a
prescindere: cantava, suonava la chitarra... e ad Alex elementi del
genere rimanevano facilmente impressi. Era davanti ad un muro e
onestamente non sapeva che fare.
“Vuoi
parlarne?”
Avevano
cenato in un silenzio piuttosto pesante ed Alex era scappato subito
appena finita la frutta e le due donne erano rimaste da sole.
“E
di che cosa?”
“Del
fatto che scesa dalla ruota sembri invecchiata di 5 anni? Che cosa ti
ha detto?” il soggetto della frase era implicito.
“Che
vuole... bho, fare il padre tutto ad un tratto. Ti pare?
Perchè mi
guardi con quello sguardo?”
“Perchè
sei un'idiota piena di paura.”
“Grazie...”
“Prego!
Mi spieghi esattamente di cosa hai paura?”
Monica
tamburellò sul tavolo e si stiracchiò sulla
sedia. Di che cosa
aveva paura? Di troppe cose, a quanto pareva.
“La
prima è che me lo porti via.”
“Cazzate,
Jared ha già detto che non lo farà. Anzi,
è più facile, se non
collabori, che lui vada dal primo giudice e si faccia dare
l'affidamento congiunto.”
“E
quindi?”
“Quindi
non credo che la tua unica paura sia questa. C'è qualcosa di
più e
voglio sentirlo dire da te, dato che io so benissimo cosa ti
angustia.”
“Visto
che lo sai tu, me lo potresti chiarire? Non lo so neanche io!”
“Hai
paura di innamorarti nuovamente di lui, per poi stare male come un
cane nel caso dovesse sparire nuovamente dalla tua vita.”
Scese
un silenzio denso come lo sciroppo: quel genere di silenzio che
nasconde ben più di quello che si è detto.
“Ammesso
che tu sia non sia innamorata di lui fin da quando l'hai
lasciato.”
“Questo
è un colpo basso.”
“Ma
ho ragione, o no?”
Monica
annuì.
“Senza
dimenticarci che sei così costantemente abituata a cavartela
da sola
con quel bambino che la sola idea che qualcuno possa rubarti parte
del ruolo ti manda fuori di testa. Basta ricordare quando sono
entrata nella tua vita: eri più chiusa di una porta
blindata.”
Reneè
stava andando dritta come una freccia al suo obiettivo. La stava
analizzando con precisione chirurgica e e se in parte a Monica questo
dava fastidio, dall'altra parte era molto più facile
ascoltare che
dover parlare.
“Monica
devi capire se è più importante la tua autonomia
o Alex.”
“Sai
benissimo cosa scelgo. Alex è la mia priorità
nella vita e lo sai.”
rispose leggermente alterata.
“Hai
ragione, sono stata una sciocca, non volevo. Scusami.” fece
Reneè
prendendole una mano.
“Jared
va e viene da Los Angeles. Hai idea della quantità di date
che farà
per il tour? Come può essere presente nella vita di un
bambino di
sette anni con una vita stabile e relativamente monotona? Il peggio
non è per me, io posso sopravvivere ad un altro cuore
infranto, ma
se Alex si affeziona e poi Jared scompare per giorni...”
Deglutì
preoccupata “E' mio figlio Reneè. Quando ero
incinta non credevo
di poter provare un qualcosa di così incredibile per un
altro essere
umano. Poi è nato e dalla prima volta che ho visto quella
testolina
scura e bagnaticcia ho giurato a me stessa che non lo avrei mai fatto
soffrire. E Jared sembra il candidato perfetto per...
devastarlo.”
Una
leggera lacrima scese sulla guancia.
“Hai
provato a pensare che potesse funzionare invece? Certo, Jared ha una
vita piuttosto itinerante e magari non sarà presente ogni
minuto
della sua vita, ma... potrebbe far funzionare tutto il resto. E per
quanto il discorso economico sia il meno importante, avresti un
supporto. Non dico che devi decidere in cinque minuti, ma pensaci un
po'. Promettimelo.”
“Lo
farò.”
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Capitolo 8 *** Jay è solo un amico ***
Capitolo
7: Jay è solo un amico
Era
in maledettissimo ritardo. Il capo, normalmente, era abbastanza
tranquillo e siccome da cinque anni lavorava per lui senza aver dato
segni di depressione o voglia di scappare, la apprezzava. Del resto
da quando era rimasta incinta, aveva fatto qualsiasi lavoro con un
minimo di dignità. Fare la centralinista in un sottoscala
senza
finestre non era poi la cosa peggiore che le poteva capitare. Inoltre
lo stipendio era solo leggermente più basso della media di
tutte le
altre. Avrebbe potuto protestare ai sindacati, dato che, mentre le
sue colleghe avevano anche l'assicurazione sanitaria pagata, lei
doveva solo pregare che non le succedesse nulla.
Solo
che quel giorno aveva deciso di avere un travaso di ciclo e quindi le
aveva obbligato di rimanere in ufficio fino a finire una
complicatissima pratica. Cosa che non le competeva, oltretutto, ma
era l'unica li in mezzo a sapere quello che si doveva fare. Di solito
nella sua azienda assumevano a tempo determinatissimo giovani
stagiste che sapevano cosa fare fino ad un certo punto. Lei era
rimasta li per un puro miracolo e solo grazie a Reneè e alle
sue
conoscenze.
Guardò
l'orologio: mancavano due minuti all'uscita di Alex dalla scuola. Per
fortuna era quasi arrivata.
Aveva
dovuto tirare pacco a sua madre che l'aspettava per il consueto
caffè
del giovedì e aveva quasi rischiato di dover chiamare
Reneè o la
scuola per portare Alex a casa. Quando le accadeva questo, si sentiva
sempre inadeguata. Scosse la testa e cercò di non pensarci:
in fondo
era arrivata in tempo.
Davanti
alla scuola c'era uno spiazzo di cemento apposta per aspettare i
bambini all'uscita. C'erano già tutte le mamme e qualche
papà dei
compagni di classe di Alex. Monica notò che erano tutti ad
accerchiare una persona sola che non riusciva a vedere. Probabilmente
stavano parlando di un qualche progetto per la classe, oppure stavano
tutte sparlando di qualche insegnante.
“MONICA!!!”Jasmine
con un sorriso scintillante le si fece incontro.
“Oh
mio dio...” pensò Monica “Che
è successo adesso.”
“Ma
allora fai veramente sul serio. Potevi dircelo!”
Monica
la fissò strabuzzando gli occhi senza capire di cosa stesse
parlando. Notò che alcune mamme la osservavano con uno
sguardo misto
tra istinti omicidi, invidia e un po' di felicità. Cosa
stava
accadendo? Era veramente preoccupata.
Poi
capì.
Lui
era lì.
Jared
era in piedi in mezzo a quei genitori, mani in tasca della giacca a
rigirare nervoso il telefono. La fissò con un'espressione
terrorizzata. Non fosse che la situazione era tesa e paradossale, si
sarebbe messa a ridere.
Voleva
far qualcosa di più che guardarlo inebetita, ma non trovava
le
parole giuste. Era schifosamente bello. I capelli neri erano stati
tirati su con il gel, si era fatto la barba tanto da sembrare un
ragazzino di diciotto anni e quei pantaloni blu gli stavano una
meraviglia. Per non parlare della giacca di Jeans e di quella camicia
a quadri che sarebbe sembrata ridicola su chiunque tranne che su di
lui. Sembrava uno studente più che un padre.
“Veramente
non capisco cosa intendi, Jaz”
“Ce
lo ha detto lui che è venuto a prendere Alex. Inoltre Margot
l'ha
riconosciuto come un attore abbastanza famoso... devi assolutamente
dirci come sei riuscita a conoscere un partito simile.”
Monica
aveva deciso: avrebbe scuoiato Jared pezzo per pezzo molto
lentamente. Ma che gli era saltato in mente di farsi trovare li,
senza neppure avvisarla poi.
“E'
un vecchio amico.” Mormorò senza essere ascoltata.
“E'
bellissimo e devi stare attenta. Jenny ha già puntato gli
occhi su
quel bel fondoschiena. Sai che il suo matrimonio sta crollando, non
ci metterebbe meno di cinque minuti a portartelo via.”
“Può
fare quello che vuole. Io e Jared siamo solo... conoscenti, neanche
amici.” Anche perchè per lei era impossibile
essere amica del
proprio ex ragazzo.
Quando
arrivò dall'uomo gli scoccò un'occhiata
raggelante e Jared le si
avvicinò cercando di usarla come scudo.
“Che
diavolo ci fai qui?”
“Secondo
te? Sono qui a ricamare? Sono venuto a vedere Alex. È questo
che
fa...”
“Silenzio,
non dire nulla.” Radio Jaz e tutte le maggiori emittenti
scolastiche erano in ascolto con l'antenna puntata direttamente su di
loro.
Suonò
la campanella e questo riuscì a distrarre i genitori. Jared
guardò
di sottecchi Monica. Aveva le gote arrossate, probabilmente per la
situazione un po' strana, lo sguardo tormentato fisso sul cancello
che una bidella stava aprendo, le dita a stuzzicarsi. Avrebbe tanto
voluto abbracciarla li, in mezzo a quella gente curiosa fregandosene
del mondo. Peccato che sapeva che Monica le avrebbe minimo dato un
pugno. Quindi si limitò a togliendole una ciocca di capelli
da
davanti gli occhi, lasciandola shoccata. Le regalò un
leggero
sorriso, mentre con le dita le accarezzava leggermente la guancia.
“Sono
qui per voi.”
Ecco,
la cosa peggiore che poteva dire, pensò Monica. Non era solo
per
Alex...
“Jared!!!”
“Ehi,
ciao bello.” Alex aveva un sorriso che partiva da un orecchio
e
arrivava all'altro. “Come è andata a
scuola?”
Il
bambino fece spallucce lasciando lo zaino a sua madre.
“Come
sempre.”
“Cosa
hai fatto?”
“Bho.
Mamma può venire Peter a casa nostra?”
“Non
oggi. Devi fare i compiti e poi andare a basket. Magari domani, va
bene?” Jared lo guardava ancora confuso.
“Come
sarebbe a dire Bho? Non fai nulla a scuola?”
“Non
me lo ricordo.”
Monica
ridacchiava sotto i baffi.
“Dice
sempre così. Si diverte a fare lo smemorato, ma sa benissimo
quello
che fa. E' abbastanza bravo, soprattutto in inglese e
disegno.”
“Ah
ok, già pensavo che questa scuola facesse pena.”
“In
realtà tra le scuole pubbliche di LA è una delle
migliori. Ha
abbastanza attività extrascolastiche, buoni programmi,
insegnanti
preparati.” Istante di silenzio “E soprattutto mi
è comoda per
la vicinanza a casa. Alex!” il bambino si stava rincorrendo
con
alcuni suoi compagni e mesto tornò dalla madre dopo averli
salutati.
“Volevo
giocare.”
“Oggi
proprio non abbiamo tempo. Andiamo a fare merenda.” Monica si
accorse che Jared la stava osservando in attesa... di cosa?
“Che
c'è?”
“vorrei
venire con voi.”
“Sì!!
Evviva”
“Vedi,
Alex approva.”
“E
di quello che approvo io non interessa a nessuno?”
“No!”
esclamò il bambino prendendo per mano Jared per attraversare
la
strada. “Vieni, ti mostro come si attraversano le
strisce.”
“Oh
grazie... dopo tutti questi anni mi stavo proprio dimenticando come
si fa.”
Monica
rimase a bocca aperta guardando i due camminare tranquillamente verso
l'altro lato della strada, parlottando come se niente fosse, come se
tutto fosse normale, come se fosse qualcosa che succedeva tutti i
giorni. Fin troppo strano.
“Allora
ti stai sistemando... brava Monica. Oltretutto con un ottimo
partito.” fece Jenny che si stava guardando molto interessata
come
i pantaloni di Jared si tiravano sul suo fondoschiena non lasciando
niente all'immaginazione delle due donne.
“Jay
è solo un amico. E tale resterà.”
“Si
immagino... sarà per questo che tuo figlio è
già li che gli prende
la mano e se lo porta via... finirà che sarà Alex
che se lo sposa.”
Monica sorrise.
“La
vedo un'opzione difficile, ma non è un problema. In fondo
non me lo
sposo neppure io. Ribadisco il fatto che siamo solo amici. Ora devo
andare, prima che li perda.”
I
due maschi si fermarono davanti ad una piccola pasticceria dalle
vetrine scintillanti e Alex mise le mani sul vetro.
“Buono!”
“Dai
entriamo.”
“No,
Jared. Dobbiamo andare a casa.” Jared si avvicinò
a lei e le
sorrise un po' malizioso.
“Dai,
una cioccolata calda... di quelle che ci piacciono a noi.” un
brivido partì lungo la schiena e riuscì solo a
balbettare qualcosa
di poco chiaro: ricordava perfettamente certi utilizzi non
convenzionali della cioccolata fra di loro e da come la stava
guardando, era certa che anche Jared se li ricordava benissimo.
“Ottimo. Entriamo.”
La
pasticceria era un'oasi di dolcezza. Era una delle migliori
caffetterie della città, Monica ci andava in quei rarissimi
momenti
di solitudine e quando poteva permettersi di viziarsi, quindi molto
raramente.
Mentre
Jared ed Alex si stavano già sedendo, Monica
guardò il frigorifero
dove troneggiavano succulente torte e pasticcini. I bignè
erano
glassati con la cioccolata fondente e sopra , colorati, degli
zuccherini che davano allegria. Sapeva che Alex avrebbe scelto
quello. Sul vassoio vicino, delle gustose paste con la sfoglia e la
crema pasticcera. Una pioggia di zucchero a velo le guarniva,
sembravano nuvole dolci. E poi i cestini di frutta, colorati come uno
scoppio di primavera, con fragole e frutta sciroppata, il tutto
gelatinato e scintillante. E poi piccoli tiramisù, connubio
di
mascarpone, caffè e cacao amaro, fettine di torta di pan di
Spagna
con creme di diversi gusti, biscottini friabili solo a guardarli,
sicuramente carichi di burro, sfogliatine secche glassate e piccoli
bomboloni fritti con la crema.
Era
un Paradiso. Il suo Paradiso, il posto perfetto dove avrebbe voluto
lavorare. Erano anni che non entrava nel retro di una pasticceria,
che toccava una sfogliatrice o una planetaria. Gli unici dolci che
cucinava erano quelli per lei e la sua famiglia, una torta ogni
tanto, i muffins per la colazione. E il pane e la pizza. Poco altro.
Invece
la dietro alcuni pasticceri stavano creando dei capolavori... come
aveva fatto lei tanti anni addietro. Deglutì e
andò a sedersi
cercando di non pensare a niente.
“Non
stiamo tanto però. Ci sono i compiti da fare,
vero?”
“No,
pochi... ho solo una scheda di matematica. Mi aiuti tu, vero?”
Una
barista arrivò con il blocchetto già pronto.
“Che
vi porto?”
“Tre
cioccolate calde e per me una fetta di torta al cioccolato con
panna.” fece Jared scoccandole un sorriso che avrebbe sciolto
un
iceberg. Monica ricordava con un leggerissimo fastidio, che quella
era una cosa che lui faceva abitualmente, quasi senza accorgersene.
Era una sua peculiarità irritante.
“Per
me un cestino alla frutta. Tu che cosa vuoi, Alex?”
“Un
bignè!”
La
cameriera ricapitolò tutto e lanciò un sorriso
dolce al bambino ed
uno poco casto a Jared. Monica non la considerò neanche.
“Improvvisamente
mi sento come dieci anni fa.”
“Cioè?”
“Invisibile.”
Rise all'espressione confusa di Jared “Quando sei nei
paraggi,
catalizzi l'attenzione di tutti quanti. Non te ne accorgi, credo, ma
lo fai. La gente tende a non notare chi ti sta accanto. E con Alex
vicino... insomma, per me è impossibile che qualcuno si
renda conto
che io esista.”
“Io
me ne rendo perfettamente conto. Sei bellissima.” Monica
arrossì
furiosamente.
“Non
dire scemenze.”
“Ecco
qui, cioccolata calda per tre...” La cameriera
posò tre tazzine
bianche di porcellana davanti a loro “...cestino di frutta
per la
signora, bignè per il bambino e torta al cioccolato con
panna per il
signore.” nuovo sorriso verso Jared che la
ringraziò. Monica
scosse il capo.
“Stai
attento a non sporcarti.” Alex aveva già addentato
il bignè e la
crema al cioccolato era scesa inesorabilmente sul piattino.
“Mamma
li fa più bene.”
“Più
buoni.” lo corresse Jared automaticamente. “E posso
immaginarlo.
Anche le sue torte sono migliori.”
“Grazie
per i vostri complimenti ragazzi, voi sapete come far leva sul mio
ego.”
La
cioccolata calda scivolava nella gola voluttuosa e intensa e dava a
Monica una sensazione di pace estrema. Da quando aveva visto Jared
fuori la scuola, si era sentita sulle spine, come se dovesse mettersi
sulla difensiva, a cercare di capire che cosa voleva fare con loro
due. Invece ora, assaporando il sapore forte della cioccolata, si
abbandonò con la schiena sul divanetto rilasciando tutta la
tensione
e si sentiva bene. E sapeva benissimo che quella non era una cosa
buona. Non poteva fidarsi: Jared era appena tornato dopo anni e lo
conosceva bene, sapeva benissimo che qualsiasi cosa faceva, ce ne
stava almeno un'altra dietro. Non era una cattiva persona, ma pensava
dieci volte più velocemente di qualunque altro lei
conoscesse. Era
un genio poco riconosciuto, purtroppo.
Quando
Jared si alzò per andare a pagare, prese il cellulare.
“Devi
aiutarmi, non so che fare.”
“Ti
voglio bene anche io Monica... che c'è?”
“Sono
in una delle migliori pasticcerie di Los Angeles con mio figlio e con
suo padre e adesso li sto guardando mentre Jared ha preso in braccio
Alex per fargli vedere quello che c'è sul balcone.”
“Direi
che è una scena dolcissima.”
“Appunto...
non so cosa fare.”
“Adesso
ti parlerò come tua Assistente sociale, capito? Smettila di
remare
contro. Fai in modo che Jared diventi suo padre e dai ad Alex quella
sicurezza che non ha mai avuto.”
“Puoi
parlarmi come amica?”
“Certo!
Fai in modo che Jared diventi suo padre e dai ad Alex quella
sicurezza che non ha mai avuto.”
“E'
lo stesso consiglio.”
“Il
che significa che ho ragione.”
|
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Capitolo 9 *** La Sposi? ***
Capitolo
8: La sposi?
Stavano
camminando tranquillamente per strada come se fossero una normale
famiglia in giro per fare shopping al pomeriggio.
Sensazione
quanto meno particolare per Monica. Lei teneva per mano Alex, mentre
Jared, al suo fianco, teneva le mani in tasca, probabilmente facendo
girare nel palmo il suo BlackBerry.
“Quindi...
che mi dici di te? Insomma, come va il lavoro.” la
buttò li
Monica. Odiava i silenzi imbarazzati.
“Bene!”
piccolo silenzio. “No, in realtà non va benissimo.
ABL è uscito
ad agosto e ad adesso non abbiamo venduto quasi niente. Il continente
dove andiamo più forte è l'Australia, la gente ci
chiede se
suoneremo con i Green Day e non ho idea di quando riuscirò a
far la
parte in un film.”
“Oh...
mi spiace.”
“C'è
chi sta peggio. A breve andiamo in turneè e quindi, forse,
riusciremo a farci nuovi fan. Insomma, sono arrivato fino a qui, mica
mi lascerò abbattere no? In più adesso ho un
figlio.”
“Non
hai nessuno.”
“A
meno che tu non mi permetta di... insomma, fare il padre.”
disse
quasi con noncuranza.
“Mamma
mi fai male alla mano.” Monica aveva stretto troppo forte
quando
Jared aveva messo il piccolo puntino sulla i.
“E
il tuo lavoro?”
“Va
come sempre.”
“E
non ti piace.” Monica sospirò.
“Molto
spesso si deve fare quello che non ci piace. E poi non saprei dove
altro andare. Non ho delle credenziali così
fantastiche.” Jared
annuì mentre arrivarono davanti al portone di casa.
“Perfetto,
grazie della merenda ora dobbiamo andare.”
“Veramente
avrei il pomeriggio libero e vorrei passarlo a chiacchierare
amabilmente con te. E non dimenticare che sono più ferrato
di te in
matematica.”
“Stiamo
parlando di elementari. So fare anche io due più
due.”
Si
fronteggiarono in silenzio: Jared stava usando qualsiasi arma a sua
disposizione, dal movimento lento delle labbra, a fissarla negli
occhi con determinazione, cosa che di solito mandava in visibilio
tutte le sue fans.
Monica
dal canto suo, sapeva tenergli abbastanza testa: in fondo erano stati
assieme un po' di anni e quindi era riuscita ad avere una sorta di
immunità alle Leto armi. Certo, però, che quel
suo profumo la stava
stordendo più di qualsiasi occhiata romantica.
“Scusate,
state ostruendo il passaggio. Signorina Monica se avete da discutere,
fatelo in un posto più appropriato.” una signora
anziana si era
materializzata davanti a loro. Si teneva con una manu su un vecchio
bastone di legno, probabilmente vecchio come lei. Era vestita
completamente a lutto, con un fazzoletto stretto sulla nuca che
faceva fuoriuscire qualche capello grigio. Gli occhietti piccoli ed
infossati, li guardavano minacciosi e arrabbiati.
“Si
signora Tramp.” la vecchietta scoccò un'occhiata
di puro disgusto
a Jared, sconvolta dai vestiti poco signorili che portava, mentre si
allontanava tenendo la borsetta vicina a se, come se quello strano
ragazzo potesse rubarle qualche cosa.
Alex
prese la mano di Jared e lo portò verso il piccolo
ascensore,
lasciando Monica da sola a sospirare rassegnata: due contro uno, come
poteva sperare di vincere?
“Ti
faccio vedere la mia camera.” Alex era eccitatissimo.
Insomma, era
Jared Leto, il cantante dei 30 Seconds to Mars. Ok, magari non era
come avere Frank, ma da qualche parte si doveva pur iniziare no?
Jared
si trovò davanti ad un poster quasi grandezza naturale,
quindi alla
fine non troppo grande, di Frank Iero con la chitarra in mano durante
un concerto. Tutto vestito di nero si dimenava come un tarantolato
buttando i capelli tutti bagnati indietro con gesto secco. E poi
tutto attorno foto prese da giornaletti dei Chem mescolate con
ritagli di Kobe Bryant in varie azioni da gioco.
Sulla
scrivania c'erano dei modellini di aereo fatti con i lego, dei
pennarelli e fogli per disegno, dei libri e una foto di Alex con la
maglietta dei Lakers in quella che doveva essere la piccionaia dello
Staples Center.
Il
letto era sfatto dal mattino prima, ma le lenzuola erano azzurre e
sopra c'era un pigiama colorato e un pupazzo a forma di delfino
particolarmente infeltrito e scolorito, segno che era stato usato
molto a lungo.
“Come
si chiama il tuo amico?”
“Bill.”
“Bill
il delfino? Carino.”
“Me
lo ha preso... la mamma quando ero piccolo. Non ci dormo più
assieme
sai? Sono grande.”
“Oh
certo, hai ragione.” e sorrise. “E' molto carina la
tua
cameretta.”
“L'abbiamo
presa all'Ikea... nonno Fabian me l'ha montata.”
Jared
guardò i piccoli modellini di Lego fino a trovarsi il
bambino
vicino.
“Vuoi
bene alla mia mamma?”
“Perchè
lo chiedi?”
Alex
fece spallucce.
“Perchè
sei un suo amico. E vieni qui.”
“Posso
venire qui perchè voglio bene anche a te, o no?”
Jared non era
abituato ad avere che fare con i bambini, tranne quelli che venivano
ai suoi concerti, usati, più o meno, dalle mamme per potersi
avvicinare a lui. Doversi confrontare, poi, con quello che era suo
figlio senza che lui lo sapesse, era un'impresa titanica.
Però aveva
deciso che qualcosa doveva pur fare. Quindi parlare con lui poteva
essere un ottimo inizio.
“Perchè?”
“Perchè
sei un bambino simpatico. E poi... sei il figlio di una mia
amica.”
Alex inclinò leggermente la testa come a cercare di capire
se le
parole che gli aveva detto fossero buone.
“Quindi
vuoi bene alla mamma.”
“Sì
molto.”
“La
sposi?”
Jared
rise di gusto. Era da un bel po' che non lo faceva e si sentiva
ringiovanito. Lo guardò mentre tirava fuori dallo zainetto
il libro
di matematica e il suo astuccio con i Pokemon. Sembrava che la
discussione che avevano avuto poco prima non fosse mai avvenuta.
“Cosa
ti piacerebbe fare da grande? Il pasticcere o il cuoco come tua
madre?”
“No!
Io farò il chitarrista come Frank. Come mio
padre!” e si mise a
fare un assolo di finta chitarra, muovendosi come un pazzo per la
stanza. “Sono bravo, visto?”
Non
riuscì a rispondergli, perchè aveva un groppo in
gola di rabbia.
Fissò il poster di Frank e si ritrovò ad odiarlo,
non perchè fosse
più bravo di lui o maggiormente conosciuto, ma
perchè era riuscito
ad avere quell'amore e devozione dall'essere umano che per contratto
di sangue avrebbe dovuto adorare lui stesso. Non era giusto: Alex era
suo figlio. Suo... non di Frank Nano Iero. Diede un pungo al
materasso del letto, mentre il bambino usciva per andare a fare i
compiti in cucina.
Si
alzò anche lui e andò davanti al volto di carta.
“Io
sono suo padre, capito? Non tu.” Gli sussurrò
capendo
immediatamente che stava ormai dando segni di chiara follia.
Tornò
in cucina trovando Monica già intenta con i semplici conti
che
doveva imparare Alex. Sembrava completamente a suo agio con quello
stile di vita. Sospirò e fece un profondo respiro.
Era
il momento giusto.
Si
rimise a fare i compiti dopo vent'anni.
Vedere
Monica alle prese con i fornelli era una cosa che Jared aveva sempre
adorato fare. Quando stavano assieme molto spesso lei cucinava a casa
sua. La domenica, soprattutto. Era il giorno in cui passavano
più
ore assieme, dopo i bagordi del sabato. Era splendida quando in
intimo e con un grembiule di Snoopy, gli faceva i pancake o i muffins
di frutti di bosco. Era come vedere un mago: si sapeva che stava
facendo una magia, ma non si riusciva a capire le mosse. Si Sapeva
solo, alla fine, che aveva un piatto profumato e fumante davanti alla
bocca.
Non
faceva eccezione quel momento. Era alle prese con un sugo per la
pasta a base di formaggio e il profumo che si stava spandendo per la
casa era qualcosa di paradisiaco. Cosa che rendeva Jared ancora
più
in pace con se stesso. Sapeva che sarebbe dovuto andare a casa a
portare fuori i suoi cani, ma era riuscito a delegare sua madre, e
sapeva anche che quella sera aveva un appuntamento con una
starlettina amica di Brent, ma l'aveva chiamata dicendole senza mezzi
termini, che aveva di meglio da fare.
Quindi,
cena con la sua ex e suo figlio.
Faceva
molto ritratto di famiglia e cercò di goderselo al meglio.
“E'
stato divertente oggi, no? Si potrebbe rifare.”
“Scordatelo.”
“Avanti,
è solo per qualche pomeriggio. “ sorriso
mozzafiato. “Lo so che
ti sei divertita e sei stata bene.”
“Non
è vero...” falso. In effetti Monica si era
divertita. Jared si
vantava di essere ferrato in matematica, ma la logica dei compiti lo
avevano mandato in confusione totale. E Monica aveva riso parecchio,
seguita da Alex, che in quel momento era alle prese con una pallina
di carta stagnola che lanciava al gatto. Legolas, dal canto suo, si
stiracchiò e tornò ad acciambellarsi sul divano.
“Ti
conosco abbastanza da sapere che quel leggero sorriso che ti sei
portata sulle labbra per tutto il pomeriggio, è il segnale
che sei
stata bene.”
Monica
scosse il capo.
“Alex
vieni a cena, è pronto.”
Doveva
ammettere che quella giornata era stata strana e anche divertente.
Trovarsi
Jared davanti al plotone di esecuzione formato da mamme arrapate e
pettegole, l'aveva spaventata. Era stra sicura che entro la fine
della giornata qualche voce sarebbe arrivata fino alle orecchie di
sua madre. Elisabeth sapeva perfettamente chi fosse il padre di Alex
anche se lei non ne aveva mai fatto parola. Sua madre non era mai
stata una che si impicciasse molto e quando aveva terminato la sua
storia con Jared le era stata vicina, ma non troppo. Tra loro c'era
sempre stata una sorta di brina che raffreddava tutto.
D'altro
canto era stata la prima e quasi l'unica, a supportarla quando era
rimasta incinta.
E
quindi sicuramente adesso l'avrebbe chiamata per spingerla a
sistemare le cose. Almeno in parte.
Girò
sull'unica cosa di interessante, immergendosi completamente nel mondo
di Criminal Minds. Adorava staccare la spina tra assassini e
psicopatici, a volte pensava che avessero meno problemi di lei.
“Ma,
posso stare un po' con te?”
Alex
in perfetta tenuta da sonno con pigiama colorato e delfino al
seguito, si presentò fuori dalla sua stanza.
“Che
ci fai qui? Dovresti dormire già da un po'.”
“Non
ho sonno.”
“Uhm...
ok, vieni qui. Dieci minuti.” Allargò il braccio
ed Alex si
accoccolò su di lei. Monica girò canale su MTV
giusto per mettere
qualcosa che evitasse sangue e morti ammazzati. “Hai fatto un
brutto sogno?”
“No,
pensavo a Jared.”
“Oh...
e perchè?”
“E'
simpatico, vero? Cioè, lui ti vuole bene.” Monica
alzò gli occhi
al cielo. Ci mancava solo suo figlio che le faceva da consulente
matrimoniale. Ci provava con tutti gli uomini che lei conosceva, ivi
inclusi i papà dei suoi amici, cosa che aveva creato qualche
problema quando andava alla scuola materna.
“E
quindi?”
“Bhe
puoi sposarlo.” Sospirò.
“Alex,
non si può sposare una persona soltanto perchè si
vuole bene. Non è
così che funziona.”
“Dagli
un bacio e poi funziona.”
“No,
Alex. Per sposarsi bisogna amarsi e io non amo Jared.”
Piccola
bugia, lo sapeva “ E soprattutto Jared non ama me.”
E di questo
lei ne era certa.
“Ma
ti vuole bene, me lo ha detto lui. Quindi vi potete sposare e vivere
assieme. A Legolas piace abbastanza. Ma non so se mi piaceranno i
suoi cani, tu cosa pensi?”
“Io
penso che sia tardi e che tu debba andare a letto. Andiamo.”
Gli
rimboccò le coperte e gli accarezzò i capelli,
poi disse le parole
più dure della giornata.
“Jared
potrebbe non essere sempre così... presente, capisci? Ha un
lavoro
difficile...”
“Fa
il cantante.”
“Esatto
e quindi gira tanto per lavorare. Non può essere sempre qui
con me o
con te. Capito?”
“Sì.”
“Buonanotte
Bimbo.”
L'aveva
vista subito la scintilla di delusione, quella che mai avrebbe voluto
vedere negli occhi di Alex. Lui si era già fatto i suoi
viaggi
mentali e Jared, pur senza volerlo, glieli aveva frantumati.
Tornò
sul divano e, munita di gatto da accarezzare, tornò ai suoi
morti
ammazzati, rendendosi conto che la sua decisione iniziale era quella
migliore.
Jared
doveva restare lontano dalla sua vita.
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Capitolo 10 *** Mi fa Male l'Orecchio, Jared. ***
Volevo ringraziarvi per le
recensioni. Sono felice che il mio jay vi piaccia, ma soprattutto che
il mio Alex sia di vostro gradimento.
La parte più difficile della FF non è stato
scrivere la storia, bensì rendere credibile un bambino e
soprattutto i rapporti con esso. Io non sono madre e mai lo
sarò, e quindi per questo ho sempre paura di crearlo poco
credibile e troppo sopra le righe. Quindi se vi pare troppo,
bacchettatemi pure.
I prossimi capitoli saranno abbastanza cruciali perchè sono
i capitoli della svolta.
spero vi piacciano
Capitolo
9: Mi
fa male l'orecchio Jared
Nota
a pre capitolo: per questioni di tempistiche tra concerti e FF, ho
dovuto cambiare le date reali dei concerti che hanno avuto i Mars nel
2006. Per informazioni maggiori, guardate qui
http://forum.teamworld.it/forum1125/104955-30stm-shows.html
Aprile
era arrivato: Jared era partito come da copione, ma, a differenza di
quanto aveva creduto Monica, si faceva sentire quasi tutte le sere.
Magari per scambiare due parole o con lei o con il bambino, oppure
anche a passare un'oretta a discutere di nulla. Jared spesso provava
a buttare una parola o una battuta riguardo a riallacciare i rapporti
in nome di Alex, ma lei troncava sul nascere qualsiasi cosa,
lasciando l'uomo spesso frustrato.
Non
voleva farlo stare male, ma suo figlio valeva più di tutto.
Sempre.
Incluso
quel momento.
“Jared,
basta, non hai un concerto da fare?”
“No,
sono a casa da due giorni. Ho un po' di tempo prima del prossimo
spettacolo e vorrei vederlo.”
“Devo
dirti di no, anche perchè Alex è sotto le coperte
con una brutta
influenza.”
“Come
mai? Che è successo?”
“Ma
nulla. E' un bambino e si ammala. A scuola passano tutti i virus
influenzali possibili ed immaginabili.”
“Sei
stata dal pediatra?”
“Ovvio
Jared. Ora la vuoi smettere di fare il padre dell'anno e lasciarmi in
pace?” lui sbuffò poco convinto.
“Non
mi piaci quando fai l'antipatica. Comunque se hai bisogno di
qualcosa, fai un fischio. Io arrivo subito.”
“E'
un'influenza... a giorni guarirà.”
“Meglio
così. Posso passare a salutarlo? Magari te lo tengo una
mattina che
vai al lavoro.”
“Ho
già preso permesso... ma grazie dell'offerta. Senti ti devo
lasciare
adesso, ok? Ciao.”
Ci
mancava solo lui con i suoi rigurgiti da neogenitore.
Guardò
Alex sul divano, rannicchiato e con due coperte di Pile addosso
mentre guardava i cartoni animati. Era pallido e stravolto. Si vedeva
lontano dieci metri che stava poco bene e già il fatto che
non
saltellasse sul divano mentre seguiva i Pokemon era sintomo di
malattia. Di solito tentava di infilare Bill nella sua sfera
Pokè
home made.
“Ti
va se stasera bevi solo un po' di camomilla calda?” Lui
annuì.
“Chi
era al telefono?”
“Jared.
E ti saluta.”
“Ma
lui non viene più a trovarci?” Monica gli si
sedette a fianco e
gli accarezzò i capelli, poi sentì la temperatura
con il palmo.
Bruciava di febbre.
“E
poi prendiamo ancora un po' di Tachipirina, va bene?”
Il
fatto che avesse l'influenza così alta non andava, inoltre
stava
perdendo troppi giorni di lavoro. Non le avevano permesso di pendersi
ferie, quindi era in permesso non retribuito. Avrebbe dovuto chiedere
aiuto a qualcuno, non poteva stare tutta la settimana a casa,
altrimenti rischiava di non arrivare a fine mese.
Dopo
che aveva messo a dormire Alex, non era riuscita a stare davanti al
piccolo Pc e si era infilata sotto le coperte: quando rimaneva a casa
a prendersi cura di lui, si stancava ancora di più rispetto
al
solito.
Si
addormentò praticamente subito, venendo svegliata di
soprassalto da
Alex che piangeva nel suo letto. Guardò l'orologio che
segnava l'una
meno un quarto.
“Alex
che c'è?” si sentiva intontita da tutto quanto.
Accese la lucetta
vicino al letto e lo vide in lacrime, cuscino bagnato.
“Brutto
sogno?”
“Mi
fa male...”
“Cosa?”
“L'orecchio.”
e cercò di tapparselo riprendendo a piangere.
“Merda.”
Altro
che influenza, questa era un'otite, ecco perchè la febbre
non
scendeva. Avrebbe fatto causa al pediatra. Sì, figuriamoci,
in
un'altra vita, forse!
L'unica
cosa che poteva fare in quel momento, era portare il bambino al
pronto soccorso: di certo il pediatra adesso non lo avrebbe visitato
e non poteva andare a prendere un antibiotico senza la ricetta.
Lo
vestì velocemente, guardandolo tristemente ogni volta che si
lamentava dell'orecchio. Chiamò un taxi che
arrivò in due minuti e
si fece portare a velocità supersonica al più
vicino nosocomio.
Era
abbastanza tranquillo, essendo un ospedale privato. Il via vai
maggiore era alla macchinetta del caffè, dove qualche
infermiera
cercava di restare sveglia per il turno notturno. Monica
andò
diretta al bancone.
“Mi
potete aiutare?”
“Che
succede?”
“Mio
figlio ha male all'orecchio. Penso che sia otite, il suo pediatra mi
ha detto che era influenza, ma adesso si è svegliato con un
dolore
lancinante e... non so che fare.”
“Va
bene, attenda qui che la chiamiamo e intanto mi dà
l'assicurazione e
i dati del bambino.”
Monica
prese il libretto sanitario* e la tesserina magnetica
dell'assicurazione che le avevano dato i Servizi Sociali appena era
nato Alex. L'infermiera la guardò con ostilità,
fece vagare veloci
le mani sulla tastiera del pc e dopo pochi istanti gliela
ritornò.
“Mi
spiace, non possiamo fare niente per lei.”
“Perchè?”
“La
sua assicurazione non copre. Le consiglio di andare da un'altra
parte.” e tornò a guardare lo schermo.
“Ma
non è possibile, è solo un'otite! Mio figlio sta
male, fate
qualcosa!”
“Signorina,
non è un mio problema questo. Non può pagare le
spese mediche,
quindi deve lasciare il posto a qualcun altro.” Monica si
guardò
in giro: il nulla.
“Non
c'è nessuno a parte me in questo reparto. Date un
antibiotico a mio
figlio! Curatelo, è per questo che esistono i medici,
no?” qualche
inserviente si fermò ad osservare la scena.
“Se
ha delle rimostranze da fare, chiami pure l'assistenza sociale. Non
cambierà niente lo stesso, perchè noi non
ricovereremo suo figlio.
E ora mi lasci lavorare.”
Monica
si morsicò la lingua per evitare una brutta risposta ed
andò verso
il bambino che piagnucolava ormai distrutto e incapace di muoversi.
Prese
il cellulare:
“Reneè?”
Un
borbottio insensato le rispose. “Monica?”
“Sì,
sono io. Ho bisogno di te subito.”
“Lo
sai che ore sono?”
“Certo,
sono quasi le due e io sono in ospedale sperando eh ricoverino Alex,
ma non lo fanno e sai perchè?” senza dare il tempo
all'amica di
rispondere, riprese il discorso “Perchè mi dicono
che
l'assicurazione non copre una cazzo di otite! Aiutami Reneè,
ti
prego.”
“Dammi
cinque minuti e cerco di sistemare le cose.” Fece lei aprendo
gli
occhi.
“Ti
aspetto qui.”
Reneè
appoggiò il cellulare di servizio sul comodino e si
girò nel
letto.
“Svegliati
e chiama tuo fratello.” Dal lenzuolo fece capolino una testa
scura
e una leggera barba incolta. “Subito.”
“Che
succede?” Shannon sbadigliò rumorosamente cercando
di capire da
che parte fosse il suo comodino.
“Alex
è in ospedale. Chiama Jared.”
“Pensavo
che volessi stare dalla parte della tua amica con niente interferenze
tra loro.” Trovò il telefono e cliccò
sulla chiamata rapida.
“Devo
prima preoccuparmi del mio assistito, cioè Alex. E JJ
è l'unico che
può aiutarlo in questo preciso momento.”
“Jared?
Ciao, abbiamo bisogno di te.”
Era
il secondo caffè che Monica si beveva per cercare di non
crollare in
una crisi isterica fino all'arrivo di Reneè. Alex continuava
a
piangere, a volte più quietamente, altre più
forte, a seconda
dell'ondata di dolore. Una ragazza, presa a compassione, gli aveva
portato una camomilla dalla piccola astanteria.
L'infermiera,
invece, continuava imperterrita a fissarla come se fosse qualcosa di
poco gradito in quella linda hall d'ospedale.
Era
la prima volta che Alex stava così male. Più
della varicella presa
a scuola, lui non si era mai ammalato. Non erano mai dovuti andare in
ospedale, mai un osso rotto, o neanche problemi di carie, beato lui.
Insomma, l'assicurazione non l'aveva quasi mai dovuta usare se non
per comprare qualche medicina. Non sapeva veramente cosa fare.
L'unica cosa che le veniva in mente in quel momento era di prendere a
pugni l'infermiera per la sua scarsissima empatia e poi piangere a
dirotto. La prima cosa non poteva farla perchè rischiava
minimo una
denuncia, la seconda perchè suo figlio non aveva bisogno di
una
madre debole in quel momento, ma di qualcuna che si prendesse cura di
lui. Lo abbracciò forte.
“Adesso
arriva la zia Reneè e ci aiuta, vedrai.”
Invece
rimase a bocca aperta quando arrivò Jared. Aveva il volto
tirato e
sconvolto, si capiva chiaramente che si era svegliato da poco,
ammesso che fosse andato a dormire. Nonostante l'ora tarda era
vestito in maniera quasi impeccabile, con un paio di jeans e una
camicia a quadri, Il cappotto lungo e l'immancabile BlackBerry in
mano.
“Come
sta?”
“Male.
Chi...”
“Shannon.
Era dalla tua amica.”
“In
che senso era dalla mia amica? No aspetta, non dirmelo, non mi
interessa. Avevo bisogno di lei! Doveva aiutarmi con l'assicurazione,
tu non servi.”
Jared
le scoccò un'occhiata arrabbiata, poi guardò Alex
addolcendosi e
gli accarezzò i capelli.
“Ciao
piccolo, andrà tutto bene, vedrai.”
“Mi
fa male l'orecchio Jared.”
“Lo
so, adesso vediamo di farti guarire.” Si alzò e
fissò Monica. Era
arrabbiato, ma vederla così preoccupata e distrutta lo fece,
momentaneamente, sbollire. “Perchè non ti prendono
l'assicurazione?”
“Non
lo so. Dicono che non copre le spese. Stiamo parlando di otite, non
di ebola!” Sentì la rabbia crescerle dentro, ma
mise le mani
davanti la bocca e prese un profondo respiro.
“Ok,
ho capito. Vado io.”
“Attento
che quella morde.” Lui sorrise malefico.
“So
il fatto mio.” Jared andò dalla infermiera che,
però, lo bloccò
a bocca aperta.
“No,
non ricoveriamo quel bambino.”
“Certo
che lo farete e pure nell'immediato.”
“L'assicurazione
non copre e la signorina lo sa bene.”
“Ottimo,
prenda questa allora, vedrà che coprirà qualsiasi
cosa.”
“Non
è possibile signor... Leto? Le assicurazioni coprono
determinate
persone e Alex Cross non è nella sua lista
familiari.” Gli rispose
spostando lo schermo del Computer per fargli vedere il risultato
delle sue ricerche.
“Se
il problema è soltanto di soldi, prenda questa Visa, faccia
scalare
quanto le serva e ricoveri mio figlio, prima che vada da qualche mio
amico dei tabloid a descrivere quanto bene trattiate l'utenza.
Assicurazioni o no, la gente non vede di buon occhio chi tratta male
un bambino. Quindi ora chiama il primo medico disponibile e nell'arco
di due minuti mi controlla il ragazzino. È chiaro?”
La
donna chiuse le labbra severe ed umiliata, chiamò qualcuno
al
telefono, mentre veloce cliccava sulla tastiera.
“Il
dottor Gray sta scendendo. Potete attenderlo sulle
poltroncine.”
“Grazie,
signora, gentilissima.”
Il
sorriso quasi divertito di Jared fece, per un attimo, ricordare a
Monica quante volte lo sfoggiava quando stavano assieme e ne
combinavano di tutti i colori. La maggior parte delle sue fans non
aveva idea di quanti guai Jared aveva fatto da giovane. Si
sentì
quasi bene.
“Fatto.
Due minuti. Come stai bimbo?”
“Male.”
“Alex
Cross?”
“Siamo
noi!” Fece Monica. Era arrivato il dottore, un ragazzo poco
più
vecchio di loro, evidentemente uno degli ultimi arrivati costretto a
fare il turno di notte. Sembrava fosse appena sveglio.
“Venite
da questa parte.” Jared prese il bambino in braccio prima che
lo
facesse Monica, poi Alex guardò l'infermiera e le fece la
linguaccia
quando fu sicuro che nessuno degli altri adulti presenti lo potessero
vedere. Quella donna aveva fatto arrabbiare la sua mamma, non le
stava simpatica.
Lo
portarono in una stanza più piccola e il dottor Gray lo
visitò,
scrisse qualche cosa nella cartelletta che passò ad una
infermiera
ispanica molto carina che squadrava Jared appena possibile, e si
rivolse a Monica.
“E'
una banale otite, niente di troppo grave. Per questa notte lo teniamo
qui in osservazione, gli diamo un po' di antibiotici. Domani
pomeriggio, se la febbre si abbassa, lo rimandiamo a casa.”
“Grazie.
Posso stare qui con lui?”
“Sì.
Adesso lo abbiamo sedato per farlo dormire da subito, ma quando si
sveglia sarebbe il caso che abbia qualcuno vicino e qualcosa di
suo.”
Monica annuì e si lasciò cadere seduta su un
seggiolino, mentre
Jared le accarezzava le spalle.
“Grazie
Dottor Gray.”
Scese
il silenzio quando rimasero da soli, fino a quando Monica si
alzò
prendendo il telefono.
“Cosa
fai?”
“Chiamo
mia madre. Magari lei può portarmi il pigiama per lui e
qualche
vestito. E Bill, ovviamente. Come abbiamo fatto a dimenticarci Bill,
non lo so.”
“E'
tardi, tua madre starà dormendo. Andiamo noi
adesso.”
“Non
posso lasciarlo solo.”
“Monica,
è tenuto sotto controllo da un intero team di medici tutto
per lui.
Per un quarto d'ora potrà restare senza di te. Andiamo, ti
porto con
la mia auto.”
*non
so come funzionano i documenti in America. Da mille puntate di ER ho
capito, però, che le assicurazioni variano di scaglione in
scaglione. Più paghi più hai le cure. Tranne
negli ospedali
pubblici (Appunto come quello di ER)
|
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Capitolo 11 *** Da nostro Figlio ***
Capitolo
10: Da nostro figlio
L'unico
rumore tra loro in macchina era quello dell'autoradio che senza sosta
passava, per la serata vecchie glorie, canzoni che neppure Costance
aveva mai ascoltato.
A
nessuno dei due piacevano, ma in realtà non stavano
veramente
ascoltando. Stavano entrambi pensando a cosa dire senza la
discussione degenerasse irrimediabilmente in un litigio.
Quel
silenzio era brutto, pesante, opprimente. Qualcosa che Monica si
sentiva addosso come troppe coperte. Non c'era mai stato quello tra
loro. Silenzi complici, tantissimi, silenzi imbarazzanti, soprattutto
all'inizio. L'ultimo silenzio, quello definitivo in spiaggia, per
dirsi addio. Ma quella situazione era nuova e non sapeva come
prenderla.
“Mi
spieghi quella cosa di Shannon?”
“Nulla
di che, mi pare evidente che se la faccia con la tua amica. Era nel
suo letto quando mi ha chiamato.”
“Oh..
Reneè non mi aveva detto nulla.”
“E'
un problema per te?”
“No,
figurati... ognuno è libero di uscire con chi gli pare. E
poi so che
Reneè ha una cotta per Shannon. Ha fatto proprio bene a
provarci.”
il
soggiorno era sottosopra, con le coperte a terra, ma Monica non se ne
preoccupò. Andò direttamente in camera di Alex
lasciando solo Jared
a guardarsi intorno.
Quando
lui entrava li dentro, si sentiva perso per qualche istante. La
presenza di Monica era, ovviamente, così radicata li dentro
che gli
veniva un giramento ogni volta. Il suo profumo lo schiaffeggiava
sempre, riportandolo indietro nel tempo, in una girandola di
sentimenti devastante. Ci metteva sempre un po' a calmarsi e tornare
ad essere il freddo ed oggettivo Jared. Non poteva lasciarsi
trasportare dall'emotività estrema. Aveva il suo piano in
mente,
riprendersela, farla tornare ad innamorare di lui, esattamente come
lui era ancora perso per lei. Doveva restare lucido.
Si
riscosse dai suoi pensieri quando sentì un rumore ovattato
provenire
dalle stanze da letto. Andò a dare un'occhiata e
trovò Monica
seduta sul letto di Alex a singhiozzare con il piccolo delfino fra le
mani. A terra uno zaino pronto.
“Monica...”
“Sono
inutile, non ne faccio una giusta.” ecco, una crisi isterica
non se
l'era aspettata. Ricordava con orrore quando completamente fuori di
testa per il lavoro, arrivava da lui sbraitando e rischiando una
crisi di pianto. Adesso era molto peggio. “Come madre faccio
schifo.”
“Non
fai schifo, anzi. Sei solo capitata in una situazione più
grande di
te.” Si sedette vicino a lei, le gambe si toccarono, ma
Monica era
troppo impegnata ad autocommiserarsi per accorgersene. Fu solo quando
Jared le prese la mano che si rese conto di quanto erano vicini.
“Io
dovrei proteggerlo da ogni evento della sua vita, soprattutto adesso
che è così piccolo. Se non può fidarsi
di sua madre, di chi?
L'avrò deluso.” Jared sospirò.
“Quel
bambino ti ama. È tuo figlio, è parte di te e Dio
santo non avrei
mai pensato di arrivare a fare un discorso simile.” Monica
fece una
mezza risata soffocata da un singhiozzo. “Lo hai detto tu,
è solo
un'otite, niente di troppo terribile. Domani pomeriggio ritorna a
casa e non ci sono problemi. Dai andiamo.”
Lei
tirò su il naso in maniera poco femminile, ma in fondo
davanti c'era
Jared che l'aveva vista in situazione ben più compromettenti
e poco
eleganti.
“Ok,
arrivo.”
“Monica
senti... possiamo sistemare cose come queste, lo sai.”
“Jared
ti prego non ora. Per favore...non è il momento.”
“Va
bene, ma quando torneremo qui e sarai un attimo più calma,
parleremo. E prenderemo una decisione unica.”
Monica
annuì più che altro per sfinimento. Erano quasi
le quattro del
mattino, era stanca morta e avrebbe dovuto dormire in una brandina
scomoda. Non aveva voglia di lotte verbali con il suo ex. Inoltre
sapeva che sarebbe stata una battaglia persa in partenza.
Stranamente
in accettazione non c'era più l'antipatica di prima e
salirono in
pediatria senza domande.
Alex
dormiva in una stanzina tutta per lui, con degli adesivi a forma di
palloncino sui muri azzurri pastello oscurati dalla notte. Vicino
c'era una piccola brandina già pronta e una poltroncina. Il
macchinario vicino al letto monitorava i segni vitali e la flebo di
fisiologica. Tutto pareva tranquillo, anche il leggero russare del
bambino. Monica gli mise vicino il delfino e appoggiò lo
zaino in
uno degli armadietti a sua disposizione, poi si tolse la giacca e si
preparò dei vestiti comodi da indossare appena sarebbe
rimasta sola.
Sgranò gli occhi quando vide che anche Jared si stava
togliendo il
giubbotto e le scarpe.
“Mica
penserai di rimanere qui da sola no?” fece lui anticipando
qualsiasi domanda. “Tu dormi sulla branda, io qui.”
“No,
torna a casa. Staresti scomodo li.”
Ma
Jared si era già seduto. Non era il massimo della
comodità, in
effetti, ma aveva dormito in posti ben peggiori. Vivere in un tour
bus poteva essere terrificante, soprattutto con un fratello che
russava come un trombone, un croato che parlava nel sonno e Matt...
bhe Matt era l'unico normale, durante la notte. Durante il giorno no,
ma almeno di notte stava tranquillo. Quindi una poltrona
dell'ospedale non era così male.
“Dormi
bene”
“Anche
tu...” Rispose Monica cambiandosi i pantaloni senza quasi
imbarazzo.”...e grazie di tutto.” finì
infilandosi sotto la
copertina leggera.
Doveva
per forza dormire un po', anche se il pensiero che Jared fosse li la
tormentava. Avevano dormito nella stessa stanza un sacco di volte, ma
questa era una situazione quasi assurda. Prese un profondo respiro:
doveva solo stare calma, non preoccuparsi, tutto sarebbe andato per
il meglio. Lui voleva solo parlare, mica fare altro?
Si
addormentò prima di darsi una risposta con due grandi occhi
grigi
che la guardavano con infinito affetto.
Purtroppo,
come in ogni ospedale che si rispetti, prima dell'alba il dottor Gray
e l'infermiera del turno del mattino, una signora in la con gli anni
e i capelli grigi, fecero il classico giro visite. Monica si
svegliò
di soprassalto e si sentì rincoglionitissima. Vide Jared
già in
piedi, come se essere svegliato in quella maniera fosse cosa di tutti
i giorni, e poi Alex che si stropicciava gli occhi con la mano.
“Scusate,
ma è la routine. Comunque mi pare che il bambino stia
bene.”
“Ho
sonno...” borbottò lui
“Lo
so, piccolo, adesso torni a nanna.”
“Mamma...perchè
Jared è qui?”
“Era
preoccupato per Te e ha voluto farmi compagnia. Ora torna a dormire,
va bene?” Avrebbe voluto tornare a dormire anche lei, ma il
rumore
che proveniva dall'esterno le impediva qualsiasi riposo. Jared si era
rimesso le scarpe e stava uscendo.
“Vieni,
andiamo a berci un caffè. Magari troviamo i muffins
caldi.”
La
caffetteria era ancora semi vuota: il picco sarebbe arrivato da li ad
una mezz'ora, quindi i due trovarono un tavolino con
facilità.
Monica appoggiò la testa al piano di plastica, fino a quando
un
bicchiere colmo di tea caldo non fece capolino davanti a lei.
Sorrise: Jared sapeva perfettamente che a lei non piaceva il
caffè
lungo che propinavano in America.
“Ti
ho preso una fetta di Cheescake. I muffins non sono ancora arrivati,
a quanto pare.”
“Grazie...
bastava anche solo il tea.”
“So
che detto da me fa un po' ridere, ma devi mangiare un po', sei
terribilmente dimagrita da quando ci siamo lasciati.” Monica
lo
guardò male.
“Sto
benissimo, ok?”
“Certo,
come stava bene Alex, immagino.” lo aveva detto quasi come se
parlasse del tempo, ma il tono velatamente cattivo la fece
arrabbiare.
“Adesso
è colpa mia se ha l'otite?”
“No,
ma poteva essere curato prima.” Monica deglutì.
“Sono
andata dal Pediatra e lui mi ha detto che era influenza. Cosa dovevo
fare?” Jay fece spallucce.
“Portarlo
da uno migliore. Senti, sii onesta con te stessa. Sai bene che con
una assicurazione migliore avresti avuto anche un medico migliore.
Non è giusto, non è corretto, magari il nostro
sistema sanitario
sarebbe da rivedere, ma ora come ora è così che
vanno le cose.”
Si fermò per riordinare i pensieri. Aveva provato quel
discorso
praticamente per tutta la notte. Su quella poltrona aveva chiuso gli
occhi forse per dieci minuti, il resto del tempo lo aveva passato ad
accarezzare la mano di Alex e a trattenersi dal distendersi su quella
brandina vicino a lei. E quindi l'unica cosa che poteva fare era
pensare a come sistemare un po' le cose e soprattutto a trovare un
modo per avvicinarsi in maniera definitiva a Monica. “Fin da
quando
ci siamo conosciuti, sei sempre stata una ragazza indipendente, una
che comunque cercava di sistemare le proprie cose da sola. Sei sempre
stata testarda e orgogliosa, ma erano delle qualità, o dei
difetti a
seconda delle situazioni, che ho sempre apprezzato. Non sei cambiata
molto...Non interrompermi.” Fece con un sorrisino quando
Monica
cercò di dire qualcosa. “Hai fatto un lavoro
incredibile con quel
ragazzino dando tutta te stessa e probabilmente anche di
più.
Però... devi renderti conto dei tuoi limiti.”
“Li
conosco benissimo i miei limiti.” aveva la voce rotta, ma si
tratteneva da dare altre dimostrazioni di dolore. Quelle parole
colpivano come sempre dove facevano più male. Jared era
sempre stato
un maestro nel trovare i punti deboli di chi aveva davanti.
“E
dato che li conosci... non ti pare ora di accettare di avere il mio
aiuto?”
Eccolo
il punto. Monica lo fissò quasi con astio.
“Non
ho bisogno della tua carità o della tua
pietà.”
“Non
si parla né di carità, né di
pietà. Si parla semplicemente di
dare a mio figlio qualcosa per farlo crescere meglio. E aiutare te.
Guardati, sei distrutta. Al di la della giornata faticosa di ieri, ma
sei magra, occhiaie che ti scavano, non sei più brillante,
sei... il
fantasma di te stessa. Onestamente non mi piace vederti
così.”
E
finì il suo caffè.
“Che
cosa vuoi Jared? Sei qui per farmi capire quanto sono patetica?
Quanto la mia vita faccia schifo e io sono poco adeguata a fare la
madre di Alex? Lo so da me, grazie.”
“No,
hai capito male. Io penso che tu sia la madre perfetta per lui, non
sarebbe così speciale se non avesse avuto te a
crescerlo.”
“Mi
stai prendendo in giro.”
“No.”
Sospirò. “Cazzo, è possibile che sei
sempre così sulla
difensiva?” Monica rigirò la forchettina sul
piatto, incapace di
mangiare l'ultimo pezzo di torta. “Non voglio arrivare a
dirti che
andrei da un giudice per chiedere la custodia congiunta, lo sai che
non ho voglia di creare caos.” Monica lo guardava atterrita.
“Preferirei che ci gestissimo tra noi.”
mollò un pugno che fece
sobbalzare tutti coloro che erano intorno a loro. “E' mio
figlio,
diavolo! E mi stai cercando di tenere fuori da tutto anche adesso che
l'ho scoperto.”
“Tu
non ci sei mai! La prossima settimana, mentre io lo porterò
a
scuola, andrò al lavoro e tornerò a
riprendermelo, tu sarai a
cantare nei mille festival in giro per l'America, a scopare le
ragazzine nei tour bus. Tu non ci sarai con lui!”
urlò un'ottava
più alta del suo normale tono di voce.
“Ti
dà più fastidio che non sia presente per Alex o
che mi scopo le
altre.” Non vide neanche la mano che partiva,
sentì solo lo
schiaffo. “Ok, me lo sono meritato.” Ma bruciava,
eccome se
bruciava.
Monica
si alzò e prese a salire verso il reparto di pediatria, ma
non
arrivò all'ascensore che fu bloccata per un polso. Si
girò e si
ritrovò a meno di dieci centimetri dai suoi occhi, in quel
momento
piuttosto alterati.
“Lasciami
andare. Credo che hai già chiaramente fatto capire come vedi
la
situazione.”
“No.
Tu non hai capito un cazzo, vuoi solo vederla come ti fa
comodo.”
“La
smetti di insultarmi?”
“No,
se questo è l'unico modo per farmi ascoltare da te. Senti,
io posso
aiutarti. La prossima settimana parto, ma posso iniziare ad andare
dall'avvocato per sistemare le prime cose legali, quali
l'assicurazione medica, dato che siamo in tema, e magari un assegno
mensile di mantenimento, come fanno tutti i genitori divorziati. Per
lui non cambierà niente, non ti chiedo visite obbligate o
chissà
che altro. Ma almeno lasciami aiutarvi. Quello lo posso fare.”
“Non
andrai dal giudice per portarmelo via...” Mormorò.
“No,
se tu cercherai di essere conciliante e mi vieni un po'
incontro.”
Si
aprì la porta e due medici li osservarono piuttosto
perplessi del
fatto che un uomo e una donna fossero davanti ad un ascensore a
litigare.
“Dovete
entrare qui?”
“Sì.”
Rispose Jared lasciandola andare “Pediatria... da nostro
figlio.”
continuò calcando sulla parola nostro.
“Stronzo...”
Sibilò Monica. Poi prese un respiro profondo e
cercò di calmarsi.
Il silenzio dell'ascensore la tranquillizzò. Jared, miracolo
del
cielo, aveva deciso di stare zitto per trenta secondi lasciandole il
tempo di pensare a tutto quello che si erano detti in caffetteria.
L'unica cosa che le risaltava veramente nella testa era che lui
voleva solo aiutare, niente giudice, niente cause legali. Nessuna
possibilità di perdere Alex.
D'altra
parte... sarebbe divento in tutto per tutto un padre, o per lo meno
una figura di riferimento. Doveva rischiare che Alex si affezionasse?
Guardò
il bambino che dormiva ancora della grossa, con la coda del delfino
che fuoriusciva dal lenzuolo bianco e russava leggermente,
tranquillo, come se intorno a lui regnasse la calma più
assoluto.
E
Monica capì.
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Capitolo 12 *** Arriverà un giorno in cui ti innamorerai ***
Capitolo
11: Arriverà un giorno in cui ti innamorerai
A
Jared piaceva andare in tour. È vero che apprezzava la
comodità di
un bel letto caldo, ma anche il tour bus aveva il suo
perchè. Non
importava doverlo dividere con altri 3 uomini e la sua segretaria,
perchè in fondo quello che avevano creato era una famiglia.
E con i
loro Echelon la famiglia si era ampliata diventando anche parecchio
disfunzionale.
Era
una bella sensazione che rendeva Jared euforico, anche se alla lunga
diventava uno straccio. Aveva questa tendenza a voler fare mille cose
contemporaneamente e a non riuscire a stare fermo sul serio. Anche se
sapeva che doveva riposarsi per non arrivare alla fine della
settimana sulle ginocchia e distrutto, senza quasi avere la forza di
camminare, non riusciva a stare fermo. Era più forte di lui.
Aveva
troppo bisogno di gratificazione.
Avevano
appena finito di suonare per quel pomeriggio: i festival erano quasi
più divertenti dei concerti veri, se non altro trovavano
gente di
tutti i tipi in giro, ma il problema era che suonavano troppo poco
per poter far vedere appieno le loro capacità questo lo
frustrava
leggermente, lo doveva ammettere.
Davanti
alla porta del bus trovò Emma con una cartella in mano che
lo
attendeva. Sorrise: sempre perfettamente efficiente.
Un
paio di ragazzine ben poco vestite, si avvicinarono a lui, ma si
limitò a salutarle. Non aveva bisogno di grupie in quel
momento.
Magari il giorno dopo. In quel momento era veramente troppo stanco. E
poi aveva qualcosa di più importante da fare. Le ragazzine
potevano
consolarsi con Shannon.
“Sono
arrivate le carte del tuo avvocato.”
“Perfetto.
Questo renderà la serata divertente, avrò
qualcosa di diverso da
fare.”
“Tipo?”
“Leggere
tutto quello che mi ha mandato. Non firmo niente se non so cosa
firmo. Una volta basta ed avanza ad essere inculato.”
Emma
sorrise: era arrivata ben dopo che i Mars avevano firmato il loro
contratto con la EMI, ma sapeva benissimo di cosa stava parlando.
L'interno
era fresco: nonostante fosse solo maggio, faceva già un gran
caldo e
l'aria condizionata era una manna dal cielo. Si sedette sul divanetto
e guardò la sua segretaria che apriva il fascicolo.
Emma
era giovanissima. Forse troppo, eppure terribilmente efficiente. Dopo
un inizio un po' timoroso, aveva capito perfettamente come doveva
porsi con lui, in primis, e con la band in secundis. Niente timore
reverenziale. Lei sapeva come parlargli, in franchezza e tenendogli
testa. Ed era per questo che le piaceva come collaboratrice.
Non
aveva bisogno di leccaculo striscianti che non sapevano dire quello
che pensavano e che si prostravano ai suoi piedi in cerca di
accettazione. Ed Emma, per fortuna, non era così.
E
le voleva bene. Ovviamente solo come una amica. Mai mescolare lavoro
e vita privata.
“Allora
inizia pure a leggere. È lunga la cosa. Ed è
scritto in
burocratese.”
“Farò
lo sforzo.” Emma lo continuò a fissare, senza
lasciar andare le
carte. “Vuoi dirmi qualcosa?”
“Sì,
ma vorrei che tu fossi completamente sincero con me. E niente scherzi
o battute... sono seria.” Jared la invitò a
sedersi vicino a lei,
Emma accavallò le gambe mettendosi comoda. Probabilmente era
pure il
momento della sigaretta, ma non fumava dai tempi della scuola.
“che
cosa volevi sapere?”
“Mi
lascia perplessa questa cosa del bambino. Non ti facevo tipo da
metter su famiglia, soprattutto nel bel mezzo di un tour.”
Jared
sorrise e si accomodò ancora meglio: sarebbe stata una lunga
ed
interessante discussione.
“In
effetti non sono il tipo da figlio, vero?”
“No.”
“Sai
benissimo che non era programmato, ma... credo che quello che sto
facendo sia giusto. Insomma, prendermi cura di lui è la cosa
che
farebbe qualsiasi genitore.”
Emma
aggrottò la fronte.
“E
tu pensi di considerarti un qualsiasi genitore?”
“Ovviamente
no. Essere un padre ti porta a dover fare qualche cosa, a dover
comunque... prenderti cura di tuo figlio, di...”
“Essere
presente nella sua vita?”
“Esatto.
Cerco di occuparmi di lui da qui perchè di più
dubito di poter
fare.”
“Ma
questo significa solo dargli un materasso, mica fare il
genitore?”
“Emma,
sincerità hai detto, vero?”Lei annuì.
“Io non so neanche se lo
voglio fare il genitore. Cioè, Alex è simpatico
ed è un bambino
intelligente. È forte, nonostante tutta quella faccenda di
Iero.
Insomma... per essere un bambino è ok. Ma fare il padre...
diavolo è
qualcosa di troppo grande anche per me. Cazzo, io posso fare tutto e
sono capace di fare tutto, ma il padre?”
“Non
per mancare di sensibilità, ma allora perchè
continui a farti
sentire da lei e da lui? Insomma, se la tua voglia fosse solo di
aiutare, bhe è facile, gli dai un po' di soldi, ti preoccupi
di
sistemare i suoi conti sanitari e hai terminato. Invece sembra che tu
voglia continuare a vederli... Conoscerli, come se volessi far parte
della loro vita e questo esula dal volerli solo aiutare.”
E
c'era anche questo motivo non secondario per il quale Jared aveva
scelto Emma: non era stupida e arrivava molto presto al nocciolo
della questione. Quindi che poteva fare in qual momento? Raccontarle
tutto o mentire spudoratamente? Sapeva dire bugie, lo faceva
praticamente da quando era bambino e anche con un buon successo, ma
odiava mentire alle persone per cui provava una certa stima ed Emma
faceva parte di quella categoria.
“Perchè
la verità è che io voglio stare con loro. Voglio
stare con...lei.”
“Quindi
tutto ciò che ti interessa è la tua ex? Riavere
la tua ex?”
“Da
un certo punto di vista forse hai ragione, ma io non vorrei sembrare
quello che pensi che io sia.”
“Cioè
un egoista?” Jared sbuffò.
“Non
hai capito, visto? Non è così che vedo la cosa.
Certo, l'unico modo
per poter riallacciare qualcosa con Monica è considerare il
fatto
che ci sia anche Alex.”
“Quindi
usi lui per arrivare a lei.”
“No!
Ti ricordi la parte che ti ho detto sul fatto che lui comunque mi
piace? Magari col tempo riuscirò anche ad essere un padre
interessato. O comunque poterlo aiutare. Insomma... è una
cosa buona
no?”
Emma
lo guardò quanto mai perplessa.
“Io
credo veramente che tu debba farti un lavaggio alla coscienza. Non
puoi usare un bambino come merce di scambio per una scopata.”
“Non
è una scopata, di quelle posso averne quante voglio,
Em.” Si passò
la lingua sulle labbra e poi riprese la calma che aveva perso nel
risponderle “Arriverà un giorno in cui ti
innamorerai e capirai
solo allora che saresti disposto a tutto per... lei.”
“Lui
semmai.” Puntualizzò Emma, mentre entrava Shannon
ridacchiando con
Tomo. Dietro di loro un interessato Matt che fissava le ragazzine
ancora fuori. Jared si alzò, facendo finta che tutto quello
che era
stato detto non fosse avvenuto. Prese le sue carte, in modo che
nessuno si mettesse a fare strane domande: gli era bastato l'incontro
scontro con Emma.
“Dove
vai?” Gli domandò Shannon quando lo vide mettere
la mano sulla
maniglia della porticina.
“Vi
lascio il bus libero... immagino che le signorine la fuori vorranno
entrare e io non ho tempo adesso di occuparmene.”
“Non
con me, fratello. Niente sesso durante il tour... so già che
mi
pentirò di questa cosa.” Lo fissarono tutti...
Shannon che
rifiutava una donna era qualcosa da annotare negli annali.
“Non mi
guardate in questa maniera... ho promesso a Reneè di cercare
di fare
il bravo. Sto provando a far funzionare qualcosa e non vedo l'ora di
chiamarla... almeno mi potrò sfogare, finalmente.”
Lo guardarono
leggermente schifati, anche se, tutti loro avevano fatto almeno una
volta nella vita, una sana dose di sesso telefonico. In fondo avendo
le fidanzate lontane, ogni tanto succedeva. “Le lascio a
Jared...
tu continui ad andare con le ragazze, vero?”
“E
con chi andrei altrimenti? Gli uomini non mi interessano, credevo lo
sapessi.”
“Credevamo
che...” iniziò Tomo tentennando.
“Cosa?”
“Che
con Monica di nuovo nella tua vita, avessi smesso di... insomma, di
andare con le altre.”
“E
perchè dovrei smettere? Io e Monica non stiamo assieme mi
pare. E
quindi nel frattempo continuo la mia vita come sempre.”
“Questo
si che si chiama pragmatismo.”
Jared
lanciò un'occhiataccia ad Emma che era stata l'unica ad aver
avuto
il coraggio di rispondergli a tono, mentre i suoi amici, forse
perchè
maschi, non vedevano nessun problema nella sua scelta.
Ma
tanto, che ne poteva capire lei? Scrollò le spalle, si
sistemò
nella sua cuccetta ed iniziò a leggere.
Monica
Aveva rimboccato le coperte ad Alex, si era fatta la doccia e aveva
sistemato i regali al loro nuovo posto. Aveva festeggiato il suo
compleanno a casa di sua mamma che le aveva preparato una cena con i
fiocchi. Il pomeriggio, poi, era andata a fare un po' di shopping con
Rerneè.
Insomma,
a fine giornata si sentiva bene e coccolata. Del resto il proprio
compleanno avveniva una volta sola e a lei era sempre piaciuto
festeggiarlo al meglio. E poi la sua torta con le fragole era stata
un successone, tutti avevano apprezzato, lei per prima.
Quindi
ora si meritava, giusto per viziarsi ancora un pochino, di guardarsi
un bel film, sgranocchiando dei biscottini di frolla e bevendo una
tazza di tea senza che niente e nessuno potesse interromperle
l'idillio.
Era
appena riuscita a mettersi comoda che suonò il telefono.
Prese il
cellulare, lasciando la sua tazza fumante sul tavolino e si sorprese
leggendo chi la stava chiamando.
“Ciao
Jared, finito di suonare?”
“Questa
sera ero fermo, ci stiamo muovendo per la prossima tappa. Anzi, siamo
già in città. Comunque non volevo proprio
chiamarti per parlare dei
miei viaggi, quanto per farti gli auguri.” Sentì
Monica sorridere
al telefono, anzi la immaginò mentre lo faceva.
“Ti
ringrazio, non pensavo te lo ricordassi!”
“Io
mi ricordo ogni cosa di te tesoro.”
“Non
dire così, che quasi potrei crederci.”
“Lo
sai benissimo che è vero. Comunque, il mio regalo te lo
porto appena
torno a Los Angeles. Solo qualche giorno ancora e poi vengo da t..
voi.” Si era corretto appena in tempo.
“Mi
hai preso un regalo? Ma non dovevi!”
“Non
è niente di che, tranquilla, ma so che ti
piacerà. Comunque a breve
è anche il compleanno di Alex... mia madre vorrebbe
conoscerlo.
Posso portarla alla festa?” silenzio. Strano, per Jared. Non
credeva che una richiesta del genere la mandasse in panico.
“Monica?”
“Sì,
certo, non ti preoccupare. Portala pure, sarà un piacere
rivederla.”
Jared omise il piccolo particolare che sua madre era ancor un po'
arrabbiata con lei, ma forse era meglio che Monica non sapesse
niente. “Comunque Alex avrà due feste, quindi tu
parli di quella
con i bambini, giusto?”
“In
che senso due feste.”
“Oh
che bello, ho qualcuno con cui condividere la cosa.” Monica
sembrava quanto meno esaltata per qualcosa. “ci
sarà la festa di
sabato pomeriggio con i suoi amichetti e poi un paio di giorni dopo
una festa speciale.”
“Speciale?
Lo porti a vedere l'acquario finalmente?!
“Ah,
ah, ah. “ fece con tono chiaramente sarcastico lei
“ no caro, per
portarlo a vedere gli squali aspetto te, così te la fai
sotto dalla
paura.”
“Scema.”
“Vedrai
se non è così. Comunque no! Sarà una
festa per me e lui soltanto.
Lo porto a vedere i Chem!!!!!!!!” Il gridolino soffocato di
Monica
gli perforò il timpano.
“In
che senso lo porti a vedere i Chem? Vengono a Los Angeles?”
“A
San Diego veramente. Il mio regalo per lui è il biglietto e
l'hotel
per la sera. Ho prenotato una stanzina carina a modico prezzo vicino
alla venue. Oddio non vedo l'ora sarà felicissimo...
spero.”
“Credo
che sarà più che felice.” Jared si
sistemò sotto le coperte: non
credeva che sarebbe riuscito a dormire, ma almeno poteva provare a
riposare.
“Lo
spero. Sto iniziando a risparmiare per questo.. i soldi che mi ha
dato mamma come regalo li metto nel fondo concerto.” Monica
allungò
le gambe sul divano, godendosi ulteriormente quel momento di pace,
con la voce di Jared nelle orecchie, una sensazione che le ricordava
incredibilmente il periodo che stavano assieme, quando, magari
lontani, parlavano per ore al telefono, senza annoiarsi, senza
sentire la cosa come un peso, ma come una liberazione. Come se stare
lontani, qualche volta, li aiutasse a stare bene quando si sarebbero
ritrovati.
Insomma,
stava bene con lui e sapeva che era pericoloso, ma in fondo... non
poteva sperare un attimo che anche lui stesse bene in egual maniera
con lei? Poteva pensare che forse anche Jared potesse essere ancora
innamorata di lei?
No,
non se lo poteva permettere, si disse, doveva essere razionale: Jared
era un gradino... anzi, dieci gradini sopra di lei. Il suo interesse
era tutto per Alex. Quindi, basta pensarci.
“Monica
sei li? È caduta la linea?”
“Sì
certo, sono qui. Non ti stavo ascoltando.”
“Ecco
perchè non sei andata in escandescenza quando ti dicevo la
mia
idea.” silenzio terrorizzato. Ecco quello che percepiva
Jared.
“Tranquilla, non ti ho chiesto di uccidere nessuno, ma solo
il
permesso di poter venire con voi a San Diego. Potremmo fare un regalo
insieme.”
“Jared!
Ma dai! Pensi veramente di dividere i soldi per i biglietti?”
“No,
pensavo di chiedere a Gerard il pass per il backstage.”
Questo
era un silenzio molto più interessante: era un silenzio di
sorpresa
e soprattutto di donna senza parole. Sorrise vittorioso. “Che
te ne
pare? Mettiamo nella busta dei biglietti anche il pass di Alex e
facciamo un regalo unico di Mamma e Papà.”
“Scusa?”
“Non
ci scriveremo da mamma e papà, altrimenti Alex
sarà convinto che
nano Iero gli ha spedito ogni cosa. Gli diremo che è un
nostro
regalo... mica è così terribile no?”
Ancora
silenzio.
“Monica,
la mia idea fa così schifo?”
“Dovrò
cambiare la prenotazione dell'hotel.” fu il suo unico
commento.
Jared rise.
“Pensavo
dicessi qualcos'altro, ma va bene così. Senti, facciamo in
questo
modo: procurami il biglietto, io penserò all'hotel per tutti
e tre.
E no, non accetto un rifiuto. Tu mi prendi il biglietto, io prenoto
la stanza.”
“Ma..”
“Lascia
fare a me, non te ne pentirai.” e sorrise malefico: per
fortuna che
non poteva vederlo, pensò.
Infilandosi
sotto le sue coperte, in un letto che le era sempre sembrato troppo
grande, si rese conto che non aveva detto una sola parola contro quel
piano per far felice Alex. E l'unica cosa che cercava di capire, in
quel momento, era se lo aveva fatto veramente solo per suo figlio o
anche per una piccola parte egoista di lei. In fondo Jared sembrava
così vicino... così li per lei.
Guardò
il led luminoso della radiosveglia: mancava un minuto alla fine del
suo compleanno. Chiuse gli occhi e decise di esprimere il suo ultimo
desiderio della giornata.
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Capitolo 13 *** Non Scapperò mai più ***
Capitolo
12: Non scapperò mai più
Monica
osservò la tavola: era già quasi vuota. I
bambini, e pure qualche
adulto, avevano spazzolato quasi tutto il cibo che aveva preparato.
Pasticcini, pizzette, tramezzini, torta salata, biscotti...
praticamente un branco di cavallette in Egitto avrebbe fatto meno
danni. Bhe, almeno aveva l'autostima alle stelle.
Per
quel sabato era riuscita a trovare una saletta a prezzo contenuto,
dove i bambini potevano tranquillamente correre e giocare e c'era
anche un giardino abbastanza grande per giocare a palla. Adesso tutti
erano andato fuori a sfruttare la bella e calda giornata di sole.
E
poi c'era Alex: vederlo così sorridente era una gioia per
lei. Era
in pantaloncini e maglietta per non soffrire il caldo e aveva la
faccia rossa per il gran correre. Era felice e non c'era ricompensa
migliore per lei.
Certo,
forse sarebbe stato meglio se quel deficiente di Jared si fosse
degnato di arrivare, visto che lui aveva l'ultima parte del regalo da
mettere nella busta, ma ovviamente stava facendo come sempre di testa
sua.
Mise
sul tavolo l'ennesimo vassoio di pasticcini alla frutta e mousse al
cioccolato che aveva preparato, facendo gli interessi soprattutto
degli adulti.
Sua
madre le sorrise.
“Sta
andando bene, direi.”
“Molto
più che bene... tra un po' tiro fuori la torta... ti
piacerà, anche
se ha molto cioccolato, ma che vuoi, Alex la voleva
così.”
“La
cioccolata non si disdegna mai.” Elisabeth
continuò a fissarla
seria e Monica si sentì sotto esame.
“Che
c'è?”
“Sono
curiosa. Ho sentito voci di un ritorno nella tua vita, ma tu ancora
non me ne hai parlato. Inoltre Alex mi ha detto che qualcuno
è
venuto in suo soccorso quando è stato male. Mi vuoi
spiegare?”
“Che
cosa vuoi che ti dica, mamma? Che Jared è improvvisamente
entrato a
far parte della nostra vita? Lo sapevi già senza che io ti
dicessi
chissà che cosa.”
“Avrei
preferito saperlo da te, non da radio Jaz.”
Monica
scoccò un'occhiata a Jasmine che parlava con altre mamme
della
scuola. Si domandò cosa avrebbe potuto fare per tapparle la
bocca
vita natural durante, così da rendere al mondo un servizio.
Poi
scosse il capo: in fondo, lo sapeva bene, sua madre aveva
più che
ragione.
“Scusa.
Ma ammetto che le cose sono state piuttosto strane. Non avrei neanche
saputo come spiegartelo.”
“Stai
bene?”
“Per
ora si. Aspetto la grande cazzata, quella con la C maiuscola, che mi
prostrerà o peggio, potrebbe uccidere Alex. Spero sul serio
che
Jared non osi sparire improvvisamente dalla sua vita o è la
volta
buona che lo seguo per tutto il tour e lo scuoio. Mi sto fidando di
lui e delle sue buone intenzioni... che non debba pentirmi di
questo.”
“Credo
che per ora la tua fiducia sia ripagata. E' arrivato.”
Monica
si voltò e vide Jared, seguito da una bella donna bionda che
sembrava decisamente emozionata.
“Quanto
tempo che non vedevo Constance.”
“Pure
io.” mormorò Monica.
Jared
era venuto vestito con una canotta bianca dei Deft Leppard, jeans blu
e scarpe da ginnastica. Ray Ban di rito alzati sulla testa e un
sorriso smagliante.
Constance,
invece, aveva puntato su un look totalmente classico, con un tailleur
a pantaloni di color pesca, con una collana di delicata filigrana
d'oro, con delle pietre di ambra. Decisamente molto bella.
Quando
Jared la vide, il sorriso si aprì maggiormente mettendo in
mostra i
denti bianchi. Andò da lei e la abbracciò,
lasciandole un bacio a
lato delle labbra: improvvisamente il silenzio dei genitori si ruppe
e un brusio di voci si alzò. Stavano tutti cercando di dire
la
propria opinione sulla presenza di quell'uomo alla festa di Alex.
“Dov'è
il festeggiato?” Le chiese, mentre le due nonne si
abbracciavano e
parlavano tra di loro. Cnostance stava osservando Monica, che se ne
accorse e la salutò da lontano con un gesto del capo.
“Fuori
che gioca. Lo vado a chiamare, che mi sa che tua madre vuole dargli
il suo regalo. Ah, hai portato il pass?” domandò
abbassando la
voce.
“Certo,
non sono ancora così scemo.” rispose lui
sussurrandole
nell'orecchio. Il fiato caldo sulla sua pelle le fece rizzare tutti i
peli del corpo.
“Io
non ci metterei la mano sul fuoco.” Jared rise, di lei, di
sé e
anche un po' della situazione attorno a loro. Mentre Monica chiamava
il bambino, lui si era messo ad osservare quello che stava succedendo
in quella sala. Da una parte c'era lui, con sua madre e la madre di
Monica che chiacchieravano come vecchie amiche. Dall'altra parte
c'erano i vari genitori dei compagni di scuola, che li stavano
sezionando, morbosi di sapere qualcosa. Per esperienza personale,
sapeva benissimo che il gossip e il farsi gli affari degli altri, era
una delle così più normali nella gente, ma
continuava a dargli
fastidio.
“JARED!!”
Alex arrivò correndo, seguito da alcuni amici urlanti. Senza
neanche
accorgersene, Jared sorrise felice. Forse avrebbe dovuto dire ad Emma
che il progetto iniziale stava rapidamente cambiando.
“Ciao
Bimbo. Auguri!”
“Grazie!
Vieni a giocare?”
“Non
sono un po' troppo vecchio per giocare con voi? Senti, vuoi conoscere
la mia mamma? Lei è tanto curiosa di vederti.”
Alex vide
immediatamente l'unica persona che non conosceva, quella donna bionda
che, non capiva perchè, era prima impallidita e poi era
diventata
immediatamente rossa mentre si avvicinava a lui.
“Ciao
Alex. Io sono Constance.”
“Ciao.”
“Questo
è per te.”
Alex
prese il regalo dalla carta colorata e lo aprì di furia.
Uscì un
libro, piuttosto caro alla Leto famiglia.
“Mamma,
che storia è?”
“I
500 cappelli di Bartholomew Cubbins... non lo so, lo leggeremo
assieme. Ehy!” Alex aveva messo il libro sul banchetto per
tornare
a correre fuori. “Vieni qui, ringrazia prima!”
“Grazie
Signora!” E scappò tirando un malcapitato Jared
per un braccio.
“E'
bellissimo.” Fece Constance deliziata con gli occhi lucidi.
“Merito
di madre natura, ma si, lo ammetto, è un bambino
fantastico.”
“Ti
vedo bene.”
“Si
tira avanti. Anche tu stai benissimo.”
“Sai
che Constance mi stava dicendo che aveva iniziato una sua
attività
di gioielleria? Questa collana l'ha fatta lei.” Si intromise
sua
madre.
Continuarono
a chiacchierare per tutto il pomeriggio, con momenti nei quali
tornava Jared, stravolto a star dietro e venti bambini, ma che vi si
rifugiava appena appena veniva circondato da mamme curiose o, come le
definiva Monica, arrapate e affamate di maschio di qualità.
Lui
si stava divertendo, anche se avrebbe preferito qualcosa di
più...
intimo. Voleva stare con Monica e con Alex, basta. Però non
poteva
certo impedire al bambino di avere la sua festa con gli amici. E del
resto, a breve, sarebbero partiti per andare a San Diego. Solo loro
tre, lontano da tutti. Non vedeva l'ora: forse sarebbe stato
più
eccitato di Alex.
“Mamma
mia, ma sono terribili. E' sempre così?” chiese
Jared mentre si
sedeva su una sedia vicino a Monica. Lei gli passò il suo
bicchiere
pieno di The freddo.
“Quando
si incontrano fanno fronte comune, ovviamente. Quindi si, tenerli a
bada è difficile. Ma oggi non sono neanche troppo male, solo
che sei
stato tirato nel mezzo.” sorrise guardando Alex
“Stai diventando
importante per lui, te ne rendi conto, vero?”
“Certo
e ne sono felice.”
Monica
lo guardò negli occhi in silenzio: grigi, enormi, quasi
sproporzionati per il suo volto, di una profondità infinita.
Erano
occhi che, una volta incontrati, non si potevano dimenticare, come
non ci si poteva dimenticare di Jared: nel bene o nel male, era una
persona incredibile, unica, fantastica. Sapeva risultare irritante,
ma allo stesso modo, irresistibile. O lo si amava o lo si odiava. Di
certo, per Monica, non si poteva non rispettarlo.
E
quegli occhi le erano mancati forse più del resto di lui, da
quando
la guardavano con ironia, a quando la fissavano affamati prima di
spogliarla, o dolci, a letto, quando perdevano ore a parlare di loro
nudi tra le lenzuola, coccolandosi. E quei due specchi grigi, le
riflettevano sempre un'immagine di se che non aveva mai ritrovato,
cioè quella di una donna splendida. Era facilissimo
ammettere che
non si era mai più sentita così perfetta dopo
aver troncato con
lui.
“Grazie.”
“Per
cosa?” fece lui stranito.
“Per
non essere scappato.” Lui le prese una mano, quasi per caso,
ma,
come sapevano tutti e due, con la precisa volontà di farlo.
“Non
scapperò mai più. Non da lui... non da
te.” Era una
dichiarazione quella? Monica si sentì senza fiato e si
alzò di
fretta per andare verso il piccolo stanzino dove aveva lasciato, al
fresco, la torta. Scombussolata si appoggiò con le mani al
piccolo
frigorifero e prese dei profondi respiri, prima che la porta venisse
riaperta e si ritrovasse nuovamente Jared che le porgeva una
candelina azzurra con il numero sette.
Lei
non sapeva cosa dire, sapeva solo che se avesse aperto la bocca
sarebbe riuscita a balbettare qualcosa di poco credibile, quindi
preferì guardarlo mentre, come se niente fosse successo,
prendeva la
torta con la glassa scintillante di cioccolata e ci infilava la
candela.
“Che
ne dici, sta bene?” Lei annuì in fretta: non
riusciva a parlare.
Era riuscito, ancora una volta a lasciarla senza parole e con le
capacità cerebrali a zero. “Ehi, stai
bene?”
Jared
aveva capito che forse, in quella sala piena di gente, aveva fatto
qualcosa di troppo. Si era detto di voler andare piano, così
da
riconquistarla pian piano, ma quell'ultima frase, sul non scappare,
forse era stata troppo. Non si era pentito di averla detto,
perchè
in realtà ci credeva sul serio. Non voleva lasciarla. Avesse
potuto
l'avrebbe rapita e portata in giro per l'America con lui.
Ma
quello, forse, era un momento sbagliato.
E
poi si rese conto che li, in quella stanzino, stretti e vicino ad uno
degli elettrodomestici meno romantici del mondo, lei era
così...
indifesa. Dove era finita la solita Monica che tirava fuori le unghie
e i denti e che si costruiva un muro intorno? Sembrava che tutte le
sue difese fossero crollate. Sembrava spaventata. Jared
pensò ad una
cosa sola: ho fatto trenta? Facciamo trentuno.
Si
avvicinò, prendendola per mano, lasciando la torta sul
ripiano del
frigo aperto. Inclinò la testa a sinistra. Quando si rese
conto che
lei lo stava guardando senza fiato, le sorrise leggermente e si
abbassò.
Le
labbra di Monica stavano tremando, come quel lontano settembre ed
erano morbide esattamente come le ricordava: il labbro inferiore
pieno e sodo, mentre quello superiore più duro e piatto. Il
leggero
sapore di the freddo copriva quello che era il suo naturale. Jared le
accarezzò la guancia e si staccò. Nonostante
avesse voluto
approfondire il bacio, giocare un po' di più, decise che
doveva
smettere perchè sarebbe stato troppo.
E
anche perchè solo quel tocco lo aveva fatto uscire di testa
più di
qualsiasi altra cosa avesse mai provato in quel periodo: non c'era
alcolico, droga o sostanza che lo faceva sballare di più del
semplice sapore di lei. *
“Ok,
meglio portare la torta.” ed uscì lasciandola
sola.
Monica
aveva le gambe che le tremavano e la testa piena di confusione. Cosa
stava a significare quello? Era un semplice bacio sulle labbra, un
bacio stampo. Non ne aveva ricevuto uno simile dai tempi del liceo,
eppure si ritrovava con il batticuore e la gelatina al posto dei
piedi. Doveva stare calma. Prese due profondi respiri e
pensò a suo
figlio. La stava aspettando per la torta e per il vero regalo.
Uscì
dallo stanzino ancora frastornata, ma cercando di sorridere, mentre
sua madre richiamava all'ordine i bambini. Alex, con il cappellino
dei Chem in testa, regalo di Reneè, guardava la candelina
felice. Fu
lui a farle dimenticare Jared. Era il suo compleanno, lui veniva
prima di qualsiasi cosa.
Pose
la torta sul tavolo, davanti ad Alex che già voleva
mangiarla e
disse ai bambini di sistemarsi attorno a lui, così da fare
le foto
mentre gli cantavano Tanti Auguri. Jared con il BlackBerry
scattò
esclusivamente dei primi piani di Alex, tanto se ne fregava altamente
degli altri, e poi ne rubò uno di Monica mentre stava
prendendo i
piattini e sorrideva a qualche complimento per la torta.
Quando
Alex spense la candelina e si levarono gli applausi, Monica
tagliò
la torta e distribuì a tutti una fetta. Jared, mangiandola,
sembrava
di stare in paradiso da quanto era buona: del resto era tutta torta
al cioccolato con glassa al cioccolato. Una goduria in barba alle
calorie che stava ingurgitando.
“Grazie
mamma, era buona! Posso tornare a giocare?”
“Certo,
ma... non vuoi il tuo ultimo regalo?”
Gli
occhi del bambino si illuminarono e a Constance venne un mezzo
infarto: con gli occhi spalancati di felicità, era il
ritratto
finito e sputato di Jared tren'anni prima.
Monica
diede ad Alex una piccola busta rossa, mentre Jared si avvicinava a
loro: molti bambini erano già tornati a giocare nel giardino
approfittando del caldo e del sole.
Quando
Alex aprì la busta si ritrovò perplesso: c'era un
cartoncino rosso
con delle scritte nere e sotto un tesserino di plastica, come quello
che aveva la mamma per andare a lavorare.
“Che
cosa è?”
“Leggi
bene, sfaticato.”
“San...Diego...
My Chemical Romance...oh!” Fissò Monica a bocca
aperta. “Mamma è
il biglietto per un concerto!!”
“Sì
amore! Prossimo sabato andiamo a vedere i Chem. Sei felice!”
L'urlo
che ne seguì fu sentito fino alle colline di Hollywood
“E aspetta,
hai visto il regalo di Jared? È sotto il biglietto...
è una cosa
speciale e dovrai ringraziarlo tanto per avertelo regalato.”
Monica
gli prese la busta prima che rischiasse di rovinare qualcosa
“Questo...” E tirò fuori il cartellino
di plastica “... è un
pass speciale. Ti permetterà, a fine serata, di andare sul
retro del
palco a salutare i Chem.”
“Veramente?
Potrò vedere Frank?” chiese Alex a bassa voce.
“Sì.
Spero ti piaccia come regalo.” Rispose Jared. Non si rese
quasi
conto del bambino che lo abbracciò per le gambe urlandogli
grazie,
prima di correre dai suoi amici dando loro la notizia.
Se
il cuore di Jared aveva avuto un leggero sussulto nello sgabuzzino,
in quel momento aveva appena fatto un tuffo carpiato e provò
qualcosa che raramente riusciva a sentire: la commozione. Oltre ad un
incredibile senso di orgoglio paterno.
Capì
anche lui che qualcosa stava cambiando.
*Leggerissima
citazione dalla canzone “Domani” degli Articolo 31
|
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Capitolo 14 *** Ovviamente, Tesoro ***
Capitolo
13: Ovviamente, tesoro.
Il
sole non era una novità a Los Angeles. Come città
era sempre stata
benedetta da un clima invidiabile, dove la temperatura scendeva
raramente sotto i dieci gradi anche d'inverno. La pioggia era rara e
la neve un mito per qualsiasi cittadino medio.
Più
incredibile, per Monica, era avere un venerdì pomeriggio
libero da
passare con la sua migliore amica in giro per negozi.
Doveva
comprarsi le ultime cose prima di partire con Jared ed Alex per San
Diego. La sera dopo ci sarebbe stato il concerto dei Chem e suo
figlio ormai stava dando chiari segni di squilibrio mentale. Gli
piaceva soprattutto andare in giro per casa, qualunque casa, cantando
“I'm not Ok”, la sua canzone preferita, e passando
ore davanti
allo specchio per cercare di ricreare su di lui il ciuffetto
all'insù
che aveva Frank nel Video di Helena. L'unica cosa che riusciva a
farlo stare zitto, era il sonno.
Quindi,
quando sua mamma si era proposta di portarlo al mare insieme a
Nicolas, lei aveva accettato al volo e si era debitamente premunita
di spegnere il telefono. Praticamente irrintracciabile per chiunque.
Si
stiracchiò le spalle portandole indietro, sorridendo al sole
caldo
che le baciava la pelle. Davanti a lei un delizioso e chimico
Frappuccino di Starbucks e la sua amica che girava il liquido
colorato con la lunga cannuccia. Vicino a loro parecchi sacchetti di
carta a testimonianza delle spese effettuate, soprattutto da
Reneè.
Monica si era concessa un paio di libri e una maglietta che l'altra
le aveva obbligato a prendere per il concerto, blu elettrica,
attillata a sufficienza e molto sexy anche se relativamente
accollata.
“Adesso,
mia cara Reneè... voglio che mi racconti di te e Shannon.
Cosa state
combinando voi due? L'altra sera Jared mi ha parlato di qualcosa
simile a castità da tour?”
La
bionda rise, bevendo un po' di bevanda ghiacciata.
“Non
stiamo facendo nulla, solo provando a far funzionare qualcosa tra di
noi. È... divertente come persona, più di quanto
non credessi prima
di conoscerlo veramente.” Si morsicò il labbro,
poi con più
cautela, continuò “...vederlo da fuori, con
l'occhio di una Fan,
credevo che fosse molto più distante dalla vita reale, molto
più...
bhe ammettiamolo, stronzo, invece mi ha stupito. Certo, lui era
convinto che io fossi una delle solite grupie o comunque donne
ingrifate che non capisce nulla, ma ci siamo capiti. E credo, buon
per noi, che ci sia comunque una sorta di rispetto.”
tirò su
l'ultimo sorso di Frappuccino “E se vogliamo veramente
rispettarci,
dobbiamo anche evitare di trombare con il primo che capita.
Soprattutto lui, visto che la mia vita sessuale era un attimo
assopita.”
Monica
fischiò ammirata.
“Complimenti,
lo devi aver proprio fatto uscire di testa per avergli fatto
promettere castità assoluta.”
“Bhe,
gli do comunque qualche fantasia su cui giocare, non lo lascio
proprio del tutto a secco. E poi la sua voce al telefono sa essere
eccitante quasi come dal vivo.”
Monica
aspettò che Reneè terminasse il discorso, ma lei
sembrava esitare.
“Sì?”
“Scusa,
stavo pensando.”
“A
cosa?”
“Al
fatto che comunque Shannon è molto più sexy dal
vivo” Risero
assieme. “No dai, scherzi a parte, non è solo
questo. É veramente
notevole come uomo.”
“Posso
immaginarlo.”
“Ah
si?”
“Certo.
Sono stata con suo fratello per anni e questo, in parte, ha
significato anche stare con lui. Jared e Shannon, all'epoca, erano
ancora più legati di adesso. E Shannon è una
persona a cui io avrei
affidato la vita. È molto leale verso quello in cui crede.
Sono
felice per te, amica mia.”
Camminarono
al parco, per poi avviarsi verso casa dei Genitori di Monica: andava
bene un pomeriggio di svago, ma bisognava andare a riprendere Alex
prima o poi, soprattutto considerando che il mattino dopo dovevano
partire.
“Invece
tu con Jared? Mi spiace non essere venuta alla festa l'altro
sabato...”
“Io
con Jared nulla!”
Monica
non aveva detto a nessuno del bacio. Il perchè? Lei stessa
capiva
che era una scemenza, ma quel momento era stato così bello
che quasi
non voleva condividerlo con nessuno, voleva tenerlo per se ed
assaporarlo nella sua solitudine. Chiudendo gli occhi e pensandoci
intensamente, quasi sentiva il tocco delle sue labbra sottili su di
lei e il suo profumo di uomo mescolato alla leggera fragranza del
cioccolato che usciva dal frigo.
Reneè
si fermò socchiudendo gli occhi e scrutandola.
“Tu
mi stai nascondendo qualche cosa... hai negato con troppa veemenza.
Che è successo?”
“Ma
te l'ho detto... niente” Sapeva di non essere minimamente
credibile, infatti Reneè la fissò seria e Monica
non riuscì a
resistere. Odiava quando la guardava con quello sguardo quasi di
delusione... e lei lo sapeva, per questo non lesinava a farlo!!
Monica sospirò sconfitta.
“E
va bene, smettila con quegli occhioni da cucciolo abbandonato, ti
dirò tutto.” Il sorriso smagliante di
Reneè fece sospirare
Monica. “Ci siamo baciati.”
“COSA?”
“Anzi,
ad essere precisi, mi ha baciato, ma... a stampo, anzi no... anche
meno. Sfiorata, come se niente fosse successo veramente, quindi non
conta nulla.”
“Sei
improvvisamente impazzita?”
“No...
in effetti è così. Cioè lui... ha solo
appoggiato.. quasi non l'ho
sentito.”
“Si
certo e io sono la Monaca di Monza.”
Monica
allora, decise di raccontare ogni cosa, da quando aveva parlato con
sua madre, fino alla fine della festa, quando Jared, salutandola, le
aveva accarezzato la guancia, promettendole che si sarebbero sentiti
molto presto, cosa che era avvenuta la sera dopo. Era vero che voleva
mantenerlo per se, eppure quando si fu liberata della cosa, si
sentì
decisamente più leggera.
“Ok...
quindi ti ha promesso di non scappare e poi ti ha baciato.”
Reneè
cambiò direzione, puntando esattamente verso la zona opposta
a dove
stavano andando e si trascinò dietro una Monica piuttosto
confusa.
“Reneè,
devo andare a prendere Alex, dove mi stai portando?”
Lei
si fermò di botto e con un sorriso che non prometteva niente
di
buono le rispose:
“Vai
a San Diego con il padre di tuo figlio, che ha detto che
starà
sempre con te e che poi ti ha baciato in maniera così casta
e pure
da farti diventare le gambe di gelatina... devi avere le armi giuste
per domani sera. Amica mia, lo devi far impazzire!”
“Reneè!”
si trovarono davanti ad un carinissimo negozio di biancheria intima
nella cui vetrina facevano sfoggio due manichini coperti da due
striminziti baby doll dai tenui colori.
“Ti
prenderai un completo che farà completamente andare fuori di
sé
Jared. Dobbiamo trovare qualcosa che ti riesca a sostenere il seno. E
un bel paio di slip.”
“Ma
tu stai male! Non mi serve niente qui dentro.”
Reneè sbuffò.
“Va
bene che lui ha visto già tutto di te, ma devi stuzzicarlo,
devi...
tenerlo sulle spine.”
“Stai
farneticando.”
Reneè
si girò verso di lei, la prese per le spalle, facendole
sbattere i
sacchetti addosso, senza preoccuparsene.
“Adesso
ascoltami, sono seria. Jared sta facendo grandi cose con Alex, ma se
il suo interesse fosse puramente per lui, col cavolo che veniva fino
a San Diego solo per lui. Ti avrebbe dato il pass e poi tanti saluti
a quando sareste tornati a Los Angeles. Hai idea di quello che
c'è
qui in città domani? Ad Hollywood c'è una delle
feste più
importanti della stagione. Tutti quelli che contano saranno li e
Jared doveva esserci. Ha mollato tutto per essere li con te. Non con
Alex... con te. Ti ha appena detto che non ti avrebbe abbandonato mai
più.” Monica ascoltava senza quasi fiatare,
decisamente atterrita
dalla prospettiva che Reneè stava esponendo e che lei stessa
aveva
immaginato nel suo silenzio. “Il suo interesse per te non
è mutato
e lo sai benissimo. Dimostragli che anche tu lo vuoi in egual
maniera.”
“Non
posso...”
“Sì
che puoi. Segui il tuo cuore, una buona volta, e non la tua testa. So
che potrebbe essere rischioso, ma pensa a quello che potrebbe venir
fuori se le cose andassero bene. Felicità per tutti. Una
famiglia
vera. Strana, magari, ma vera. E non solo per Alex, ma soprattutto
per te.”
“Ammesso
che sia vero, non mi servono completi intimi di pizzo.”
“E
qui sbagli. Non puoi presentarti a letto con le mutande della nonna.
Fidati di me.”
Accese
la TV piuttosto svogliatamente, decisamente stanca per la giornata
appena trascorsa. Dopo aver fermato la follia di Reneè
accontentandola con un completo molto molto osè di seta
azzurra, con
dei laccetti rossi che spiccavano ai lati degli slip e al centro del
reggiseno, dove i due ferretti si incontravano, era andata a prendere
Alex che, peggio di un terremoto, aveva ridotto sua madre ad uscire
di testa come le capitava raramente. Sembrava che il bambino si fosse
divertito particolarmente a far finta di suonare la chitarra con il
bastone della scopa, rompendo, accidentalmente alcuni bicchieri. Alla
fine della fiera, tutti stavano ringraziando il cielo che il giorno
dopo tutto sarebbe terminato. Ovviamente neanche a casa era rimasto
tranquillo, urlando come un folle che il giorno dopo avrebbe visto
Frank. Monica aveva chiaramente notato che Alex non lo aveva mai
chiamato Papà e si domandò se quello fosse un
segno positivo o
negativo.
Comunque,
in quel preciso istante, con le immagini di uno show di bassa lega
sul canale locale, non voleva assolutamente pensarci. Le importava
soltanto ricapitolare quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo.
Certo,
se non fosse suonato il telefono.
“Hai
cambiato idea?”
“Riguardo
a cosa?” Domandò Jared dall'altro capo della
cornetta.
“A
domani.”
“Perchè
dovrei?” Monica evitò di chiedergli della festa
super a cui lui
sarebbe dovuto andare e rimase in silenzio. “Semmai volevo
confermarti che ci vediamo per le undici, così massimo alle
due
siamo a San Diego e abbiamo tutto il tempo di andare in hotel, fare
un giretto e poi andare alla Venue. Che te ne pare come cosa?”
“Va
bene.”
“Come
sta Alex?”
“Grazie
al cielo sono riuscito a spedirlo a letto senza usare del Valium, ma
se ci fosse stato ancora un giorno da aspettare forse lo avrei
passato sul gas.” Sentì Jared ridere e non
potè non sorridere di
rimando. Spense anche la TV per goderselo meglio, tanto di li a poco
sarebbe andata a dormire anche lei.
“Deve
essere stato un danno vivente. E per il viaggio di domani?”
“Gli
ho intimato di portarsi un libro e se non basterà, lo
soffocherò.”
“Sei
un po' troppo drastica. Potrei rubare il Nintendo di
Shannon.”
Monica gemette “Hai qualcosa contro i giochetti
elettronici?”
“Diciamo
che poi sarebbe un tormento, ma se non rompe durante la strada lo
posso anche tollerare.”
“Ok,
allora lo metto in lista.” silenzio leggero.
“Uhm... allora, che
stavi facendo?”
“Stavo
per mettermi a fare il riepilogo delle cose da portare
domani.”
“Interessante.
Bene, ti ascolto, così vedo se anche io mi sono dimenticato
qualcosa.”
“Sicuro?”
“Certo.”
Monica
si alzò dal divano e andò in camera sua dove
c'era il piccolo
trolley aperto, in attesa delle ultime cose da sistemare.
“Dunque...
magliette per il concerto. Parlo al plurale perchè le cose
valgono
per me ed Alex.”
“Ovviamente,
tesoro.” Brivido lungo la schiena? Monica evitò di
pensarci
troppo.
“Felpa
per la sera se fa fresco. Pantaloni di ricambio, un libro, macchina
fotografica, biglietti del concerto e domani mattina mettiamo
spazzolino e dentifricio.”
“Ottima
lista. Ma dimentichi un paio di cose.”
Monica
si infilò sotto il lenzuolo leggero e si sistemò
il cuscino al
meglio.
“Tipo
quali cose?”
“Innanzi
tutto il delfino Bill, altrimenti come fa Alex a dormire?”
“Te
lo sei dimenticato che è grande e lui non dorme
più con il
pupazzo?”
“Non
ci credi neanche tu, quindi smettila.” risero assieme, Monica
abbassando la voce più che poteva: mancava solo svegliarlo
il
protagonista delle loro chiacchiere.
“Lo
metterò in valigia domani mattina. La sua pinna caudale sta
spuntando dal lenzuolo.”
“Ecco,
brava. E ricordati la biancheria.” Silenzio. Monica
fissò il
completo ancora nella busta di carta sulla comodino. “Monica,
stavo
scherzando.”
“Come?
Si certo... scherza.” E se l'idea di Reneè di
stuzzicarlo non
fosse stata poi così troppo campata in aria? No avanti, non
poteva
essere. Cercò di recuperare il suo autocontrollo giusto in
tempo per
sentirlo parlare ancora.
“...
tanto quello non ti serve.”
“Cosa?”
“Il
pigiama. Non mi ricordo che tu l'abbia mai usato.”
“Jared!”
“Non
urlare che svegli il bimbo.”
“E
tu smetti di dire queste cose. Ovvio che mi porto dietro una
maglietta per dormire, che cosa ti metti anche a pensare. “
“Anche
se... a me non dispiacerebbe se lasciassi il pigiama a casa.”
|
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Capitolo 15 *** Lui è Frank ***
Capitolo
14: Lui è Frank.
San
Diego era assolata quel sabato. Monica, con Jared al suo fianco e
Alex per mano, camminava sorridendo sul lungo mare. L'arrabbiatura di
poche ore prima era del tutto passata, anche se persisteva una sorta
di preoccupazione per quello che sarebbe successo quella sera.
Erano
arrivati davanti ad uno degli hotel più costosi e di lusso
della
città. Aveva guardato Jared era sembrato tranquillamente a
suo agio
li davanti. Ovviamente quando Monica aveva disdetto la precedente
stanza, non aveva immaginato che l'altro cambiasse completamente
destinazione, senza considerare che la venue era esattamente da
tutt'altra parte. Aveva, ovviamente, protestato, ma a nulla era
servito alzare la voce.
Senza
pensare a quello che era venuto fuori quando erano entrati nella
stanza. No, aveva pensato Monica, stanza era riduttivo. Praticamente
quello era un intero appartamento. Era una suite, con tanto di
Jacuzzi, terrazzo personale e due stanze da letto, se a qualcuno non
fosse bastato il solo grandissimo letto matrimoniale.
Alex
si era fiondato nella seconda stanza e come prima cosa si era messo a
saltare su quello che aveva deciso sarebbe stato il suo letto, mentre
Jared, senza ritegno, aveva aperto la valigietta che si era portato e
aveva tirato fuori alcune cose da sistemare. Sembrava che l'unica ad
avere qualche rimostranza su quella sistemazione.
“E'
solo un letto, è solo una notte.” aveva detto
Jared ed in effetti
non era una cosa sbagliata, ma il problema, almeno per lei, era
sapere con assoluta certezza che non sarebbe riuscita a chiudere
occhio per tutta la notte, non con la consapevolezza di averlo a
pochi centimetri di distanza nello stesso letto. Aveva sbuffato,
protestato, ma alla fine la sua maglietta per la notte era
diligentemente piegata sul cuscino dal lato del letto che aveva
scelto, cioè quello più vicino alla porta. Non si
sa mai che fosse
servito scappare.
Da
lui o da se stessa non cambiava di molto.
Jared
si era fatto, in parte, perdonare, portandoli a mangiare il gelato
sulla spiaggia e comprandole un paio di orecchini molto carini di una
bancherella itinerante. Sperava di ingraziarsela almeno fino a quella
sera, quando i Chem avrebbero fatto il miracolo, facendo felice Alex
come non mai e quindi, per osmosi, facendo felice anche lei.
Lui
sapeva benissimo, fin da quando avevano deciso di andarci assieme a
San Diego, che Monica si sarebbe arrabbiata per quello che aveva
fatto, ma andiamo, l'occasione fa l'uomo ladro e lui non poteva certo
perdere una possibilità del genere. Insomma, sarebbe stato
da
stupidi, e quindi la suite gli era parso l'idea migliore. Inoltre non
l'aveva neanche pagata totalmente: il direttore dell'hotel gli doveva
un favore grande come una casa e quindi Jared aveva ampiamente
provveduto a farglielo pagare.
Ora,
davanti ad un tappeto elastico dove qualche bambino stava saltando
urlando, Jared scrollò le spalle per non stare a pensare
troppo al
fatto che Monica, probabilmente, quella sera avrebbe alzato un muro
di cuscini tra loro, così che lui non potesse avvicinarsi.
Ma si,
quello che sarebbe stato, sarebbe stato, inutile pensarci troppo a
lungo, meglio che vivessero il momento.
“Che
ne dici, Alex, andiamo come i veri a far la fila al
concerto?” Fece
Monica, anche lei abbastanza fremente per andare a vedere i Chimici.
“SI!!!!
Andiamo!!! Jared Andiamo!!”
“Si,
tranquillo, è qui vicino.”
In
fila c'erano già parecchia gente, soprattutto adolescenti
vestiti di
nero, truccati pesantemente e con i capelli tagliati in egual
maniera, neri, con un lungo ciuffo davanti gli occhi. Moltissimi
portavano cravatte a righe nere e rosse. Insomma, non passavano
certo inosservati.
L'orologio
segnava le cinque e mezza e almeno per una buona ora sarebbero
rimasti li. Qualcuno aveva adocchiato Jared e lo fissava con
insistenza, ma lui si era preso Alex in braccio e si era messo a
giocare con il nintendo insieme a lui, così da far capire
che non
voleva essere disturbato e, inoltre, che era poco credibile che Jared
Leto, cantante dei 30 Seconds to mars, fosse in fila con un bambino
di cui sembrava pure il padre. Monica alzò gli occhi: usare
il
proprio figlio per non essere disturbato, proprio da lui. Certo,
doveva ammettere che, seduti uno sopra l'altro, a cercare di prendere
le monetine di Mario Bros (l'unico gioco in cui Jared riusciva a fare
qualcosa), facevano un bellissimo quadretto. Erano splendidi, era
l'unica cosa che Monica riusciva a pensare. Non serviva neppure
spiegare della loro travagliata storia relazionale per capire che
erano padre e figlio. Si spostò leggermente per vedere
meglio la
scena e lasciare loro quella sorta di intimità di cui
avevano
bisogno: si stava sentendo quasi di troppo. Sorrise prendendo il
libro e si perse dietro il nuovo romanzo di Katy Reichs.
Nel
frattempo Jared si sentiva decisamente surclassato da Alex: il
bambino sembrava nato per giocare con il Nintendo, mica come lui che
trovava parecchie difficoltà anche a saltare sopra i
funghetti
marroni che camminavano verso di loro. Del resto aveva già
ampiamente dimostrato nel tourbus che era il migliore in fatto di
computer e simili, ma il peggiore quando si trattava di giochetti
elettronici. Lì il capo indiscusso era Shannon che
ingaggiava epiche
battaglie contro Matt.
Però
perdere del tempo così era quanto meno divertente e ne
approfittò
per consolidare anche fisicamente quel rapporto appena nato. Era
bello sentirlo su di se, in un modo completamente diverso da
qualsiasi altra persona. Gli piaceva quel calore che emanava, anche
se la giornata di per se era stata caldissima, e trovava splendido
passare le mani tra i capelli sottili di Alex che ricordavano
incredibilmente i suoi. Si sentiva orgoglioso di lui, soprattutto
quando le ragazze in fila con loro lasciavano complimenti entusiasti
su quel bambino così bello e così bravo da
giocare con il suo papà.
Suo
papà.
Lui.
Jared
Leto.
Non
riusciva ancora veramente a capirlo fino in fondo, nonostante le
carte firmate, gli impegni presi con Monica e la sua coscienza, anche
nonostante gli sforzi per farlo felice quel giorno. C'è
ancora
qualcosa che mancava alla perfetta quadratura del cerchio.
“Ragazzi,
è ora.” Li richiamò Monica. Alex si
alzò di scatto e saltellò
facendo sorridere qualche persona li vicino. “Vieni qui,
Alex...
Fermo... ALEX!” Il bambino non smetteva di correre e l'ultima
cosa
che voleva era perderlo li nel mezzo. Jared lo acchiappò e
lo prese
in braccio tenendolo fermo, mentre lui rideva. “Resta vicino
a noi,
altrimenti non puoi entrare.”
La
fila si svolgeva rapidamente e in maniera molto ordinata, Monica
tirò
fuori i tre biglietti che passarono allo scanner. Le controllarono la
borsa e rimasero un po' sconvolti vedendo il bambino che saltellava
in braccio a quel tipo che aveva qualcosa di già visto
prima.
Si
posizionarono verso metà del parterre, ma sulla sinistra, in
modo da
vedere meglio Frank. Monica ordinò ad Alex di non muoversi,
se non
voleva rischiare di perdere il backstage a fine concerto e la
minaccia aveva fatto il suo effetto, visto che lui si
aggrappò alle
gambe degli adulti, anche per una sorta di timore riguardo alla
gente. Era la prima volta che si trovava in una situazione simile,
troppe persone. Meglio restare nei paraggi.
Passò
il gruppo di supporto, niente di eccezionale, ma neanche tutto da
buttare. Monica aveva ballato un pochino, chiacchierando con Jared,
che, invece, aveva una mobilità leggermente dismessa.
Insomma, non
era un ballerino favoloso.
La
venue era piccolissima e neanche sold out. I chem, un po' come i
Mars, erano molto più amati all'estero che in patria, ma
Monica
preferiva che fosse così, almeno non avrebbe rischiato la
vita di
suo figlio. Cercò di pensare ai suoi ultimi concerti: aveva
sempre
voluto disertare quelli di Jared per ovvi motivi, ma era riuscire a
farsi qualche serata fuori anche grazie a sua mamma che le aveva
tenuto Alex. Aveva proprio voglia di scatenarsi. Si sistemò
la
maglia azzurra che aveva comprato con Reneè sotto l'occhio
vigile di
Jared e urlò quando le luci si spensero.
“Riesci
a vedere qualcosa?” Urlò Jared sopra la musica ad
Alex che
saltellava.
“Poco.”
“Aspetta...
stai fermo che ti faccio salire.” Prese il bambino e se lo
mise a
cavalcioni sulle spalle, sotto lo sguardo felice di Monica che
già
urlava per l'inizio della canzone.
Il
palco era in proporzione alla venue, quindi piuttosto piccolo: Gerard
nel mezzo, capelli neri e pallore incredibile, grazie ad un sapiente
trucco, che, però, faceva perdere in parte la
profondità dei suoi
occhi verdi. Cravatta rossa sulla camicia nera.
Alla
sua sinistra Ray, con i capelli ricci al vento, impossibili da
contenere da qualsiasi elastico. Dall'altra parte, prima Mikey, curvo
sul suo basso, leggermente più indietro, come a volersi
nascondere
da tutti, anche grazie ai capelli che scivolavano davanti al viso.
Dietro di loro capeggiava Bob, biondissimo e scatenato, sulla
batteria.
E
poi, ovviamente, lui, Frank Iero. Gambe aperte, bocca vicino al
microfono a fare da seconda voce, dita veloci sulla chitarra, il
ciuffo nero che si muoveva a ritmo della testa tarantolata, mentre il
resto della capigliatura, cortissima, era tinta di biondo. Anche lui
truccato con un po' di cerone bianco, ma meno di Gerard, e un sacco
di ombretto rosso, sotto e sopra l'iride, che gli davano l'aspetto di
uno zombie più che di un chitarrista.
Camicia
bianca, già con le maniche arrotolate e cravatta rossa anche
per
lui, in tinta con i guantini con le dita tagliate.
“FRANK!!!!”
Alex aveva alzato le braccia e saltellava, per la felicità
di Jared,
che aveva qualche problema a tenerlo in posizione, ma capiva che non
poteva dire al bambino di stare fermo. Quel concerto, per lui,
sarebbe stato distruttivo.
I
ragazzi suonavano canzoni del precedente album e anche di Three
Cheers, in attesa che uscisse, ad ottobre di quell'anno, il terzo. Si
fermavano pochissimo, Gerard parlava molto poco, ringraziava, ma
basta.
Le
luci cambiavano, stroboscopiche e flashanti, blu, rosse, verdi. Un
arcobaleno di felicità che si rifletteva sui volti di tutti
coloro
che erano li. Che avessero problemi in famiglia, con la scuola o il
lavoro, che fossero depressi cronici oppure persone assolutamente
tranquille, in quel momento erano tutti uguali, felici, uniti dal
linguaggio universale che era la musica. Tutti uguali, presi nelle
note frenetiche delle canzoni che scivolavano via una dopo l'altra,
così come il sudore dalla fronte di Frank, carichissimo che
urlava a
tutto spiano davanti al suo microfono.
Alex
era felicissimo, riusciva a vedere benissimo tutto il palco grazie a
Jared che lo teneva in alto, e si divertiva un sacco seguendo,
soprattutto, Frank Iero, che non stava fermo un attimo, tranne quando
doveva cantare. Urlò il più possibile quando lui
si buttò a terra
e suonò la chitarra da disteso. Apoteosi.
Poi
iniziò Helena: Alex si buttò, senza avvisare
Jared, verso sua
madre.
“Ahi!
Che fai?”
“Mamma!”
“Vieni
ti prendo io.” Prese in braccio Alex e lo strinse a se,
cantando
insieme il dolore dei Way verso una persona amata che non c'era
più.*
Jared
li fissò sconvolto, mentre Monica Saltava facendo ridere
forte il
bambino, girando su se stessa, urlando, ridendo, in un qualcosa di
tutto loro. Ed eccolo quel rapporto Madre/figlio di cui lui, per ovvi
motivi, era tagliato fuori. Ma si sorprese di non provare
più quella
invidia dei primi tempi, quanto una sorta di accettazione e
determinazione per riuscire a creare i suoi di momenti speciali con
Alex.
Quando
Finì la canzone, e quindi anche lo spettacolo, Alex
tornò con i
piedi per terra e urlò felice.
“E'
la canzone preferita della Mamma e noi la balliamo sempre
assieme.”
“E
siete stati bravissimi.” Fece Jared, mentre Monica cercava
qualcosa
da bere per tutti quanti.
Aspettarono
che la maggior parte della gente se ne andasse fuori, poi fecero
uscire i loro piccoli pass. Monica aveva deciso di tenere anche
quello di Alex... il bambino era talmente elettrizzato che era capace
di perderlo perchè ormai la testa era da un'altra parte.
Andarono
verso una delle bodyguard e Jared spiegò la situazione.
L'uomo diede
un'occhiata ai piccoli badge di plastica e li accompagnò
dietro il
palco. Alex guardava tutto con occhi e bocca spalancati, incantato da
quel mondo fatto di Cavi, urla e suoni che non aveva mai visto prima.
Monica era quasi spaventata, mentre Jared era l'unico che stava
tranquillo. Del resto quello era un mondo dove lui viveva
più che
bene.
L'uomo
della Security li portarono davanti ad una porta e bussò.
Appena si
sentì un leggero avanti sopra le risa, la aprì e
loro tre
entrarono.
“Ehy,
eccolo qui, Jared Leto! L'addetta stampa ci aveva detto che saresti
venuto, ma quasi non ci credevo.” Gerard si fece
immediatamente
avanti e lo abbracciò. Monica si sentiva improvvisamente una
aliena
e non capiva veramente quello che stava succedendo, mentre Alex si
Faceva piccolo piccolo dietro le gambe di sua madre. Alla fine di
tutto era un timidone.
“Ciao
Ragazzi, come va? Ottimo show stasera, bravi!”
Salutò Tutti e poi
finalmente passò alle presentazioni “Sono venuto
qui per portarvi
due persone speciali. Lei è Monica.”
“Quella
Monica?”
“Proprio
lei.”
“Hai
parlato di me?” Sussurrò lei lanciandogli
un'occhiataccia.
“Ne
ho parlato con Alicia... e lei deve aver parlato con Mikey.”
Rispose lui a bassa voce, poi riprese “Mentre lui
è il vostro più
grande Fans e si chiama Alex. Alex, vai a salutarli.”
“Ciao.”
Fece lui con gli occhi resi ancora più enormi dall'emozione
di
averli di fronte. Soprattutto Frank, che lo stava guardando con un
sorriso dolcissimo e tranquillo. Senza trucco sembrava un bambino.
“Mamma, lui è Frank.”
“Lo
so, perchè non vai a salutarlo bene?”
Jared
osservò suo figlio che andava a dare la mano a Frank,
dimenticandosi
di chiudere la bocca, troppo emozionato per vederlo veramente davanti
a se.
“Tu
sei troppo figo!” Gli urlò fin da subito.
“Grazie,
è bello avere dei fan così simpatici.”
fece Frank ridendo. Fece
una linguaccia a Gerard “Vedi, sono più figo di
te!”
“Assolutamente
si! Tu suoni la chitarra, lui no.” Monica si mise la mano
davanti
alla faccia e scosse il capo: beata giovinezza e franchezza.
“Amore,
non è bello dire queste cose, a te piacciono tutti i
Chem.”
“SI!!!!!
I'm not ok è la mia preferita!” tutti risero, in
fondo avevano
capito che quel bimbo non voleva trattare male nessuno di loro,
voleva solo esporre a tutti una semplice preferenza. E poi aveva
sette anni, glielo si poteva perdonare.
“Hai
un figlio bellissimo.” fece Gerard bevendo una Red Bull.
“Mi
fa penare, ma si, è forte. E grazie per avergli reso tutto
questo
possibile.”
“Non
devi ringraziare noi, quanto Jared. Mi ha chiamato per giorni per
fargli avere questi pass. La produzione non ne voleva dare altri,
oltre a quelli stampa... diciamo che il tuo bello ha l'incredibile
capacità di rompere le palle come pochi.”
“Lui
non è il mio bello.” Un'occhiata obliqua, con
sorriso poco
rassicurante fu la sua prima risposta. Monica provò un
brivido,
doveva capire se di terrore o di eccitazione: non si era mai resa
conto di quanto fosse carino. Certo, solo carino, anche
perchè se lo
metteva in relazione con il suo grande ex amore, impallidiva (Chiedo
scusa a tutte le Fan di Gerardino, ma per me è
così). Che poi, a
ben pensarci, Ex amore? Bha...
“Certo,
facciamo finta di credere che Leto abbia voluto tutto questo solo per
far felice un bambino.”
“Lo
ha fatto solo per quel motivo.” sibilò Monica,
credendoci fino ad
un certo punto.
“Sicuro.”
Ecco,
più dubbi che certezze, come al solito. Con Jared era sempre
così.
Scrollò
il capo, non voleva pensarci: quella era la serata di Alex. Quello
stesso Alex che stava raccontando ad un estasiato Frank e ad una
ragazza dai capelli castani e occhi enormi scuri, di quando lui
suonava a casa la piccola chitarra giocattolo regalatagli dalla
nonna.
“Tesoro,
secondo te dobbiamo dirgli che è tempo di andare?”
le domandò
Jared dopo che aveva salutato anche Ray.
“No...
guardalo, è così Felice.” poi si rese
conto che l'aveva chiamata
tesoro, ma si ritrovò felice più che infastidita
e si disse,
allora, che andava bene così: non poteva mentire a se
stessa,
pensare di essere importante per lui la gratificava e le dava quella
piccola speranza che non tutto fosse finito, che forse, ma solo
forse, qualcosa tra loro si poteva salvare e far crescere dalle
macerie della loro precedente relazione.
“Mamma!
Lei è Jamia, la signora di cui mi parli sempre.”
“Lo
so, è la fidanzata di Frank. Piacere.” le due si
diedero la mano.
“E'
fantastico. Spero che mio figlio diventi come lui.” Frank
divenne
rosso in faccia e scappò verso Mikey. I discorsi famigliari
lo
spaventavano un pochino.
“Sposerai
Frank?”
“Se
lui si decide a chiedermelo forse anche sì.”
“Quindi
lui non può diventare il mio papà.”
fece pensieroso. “Mamma
devo trovare un altro papà.”
L'uscita
lasciò Jamia perplessa, mentre Monica lo prendeva per mano.
“Andiamo
a dormire, ormai si è fatto tardi.”
“Aspetta,”
fece Jared “Foto con loro. Vai Alex, nel mezzo che poi la
incorniciamo e ci facciamo il poster.” Alex si mise in piedi,
con
Gerard e Frank accucciati vicino a lui, mentre Ray, Bob e un
monoespressivo Mikey si posizionarono dietro. Alex sfoggiò
uno dei
sorrisi più scintillanti che avesse mai fatto in vita sua e
fece il
segno della vittoria.
Quando
furono finalmente in albergo, dopo un breve tragitto in macchina
sommersi dalle chiacchiere entusiaste di Alex su quando fosse
fantastico Frank più di chiunque altro, Monica costrinse il
bambino
a fare una doccia veloce e poi ad infilarsi a letto. Era quasi l'una
di notte e lei stava crollando di stanchezza, mentre lui sembrava
posseduto da un poltergaist. O dallo spirito di un grillo.
Jared
se la rideva anche se gli dava intimamente fastidio che Alex non
parlasse di lui nella stessa maniera in cui parlava di Frank.
Sospirò: del resto lui neanche sapeva che fosse suo padre.
Quando
il silenzio scese nella stanza, vide Monica uscire dal bagno con una
lunga maglietta bianca e un paio di castissime mutandine bianche.
Alzò un sopracciglio.
“Certo
che se il tuo intento era quello di non stuzzicarmi, ci sei riuscita
al 100%.” Cosa in realtà non del tutto vero,
perchè le gambe le
vedeva e gli sarebbe piaciuto accarezzarle lentamente, partendo dal
ginocchio e risalendo fino al fianco. Praticamente un'utopia.
“Non
ti devo stuzzicare, devo solo dormire, cosa che dovresti fare anche
tu. Buonanotte Jared.” Così dicendo si
tirò il lenzuolo fino sul
naso, quasi a voler scomparire dalla visione dei suoi occhi grigi,
poi, però ci ripensò. “Jared?”
“Uhm?”
“Grazie.
Per tutto quanto.”
“Non
serve che mi ringrazi.” Monica si girò di lato
fissandolo.
“Invece
serve, dato che Alex non lo farà mai abbastanza. Gli hai
dato una
giornata unica, speciale ed indimenticabile. Facendogli conoscere i
Chem lo hai reso felice come non lo è mai stato. E non
importa se
non sono stata io ad aiutarlo ad essere felice, l'importante
è che
lo sia. E devo ringraziare soltanto te.”
Jared
inclinò la testa e allungò una mano fino a
posarla sulla guancia:
calda, morbida, così Monica.
“Lo
abbiamo fatto felice assieme, perchè insieme siamo i suoi
genitori.
Gli voglio bene e cercherò di fare del mio meglio,
sempre.”
Ed
era una promessa a se stesso, prima che a chiunque altro.
*Helena
è stata scritta da Gerard per la nonna Helena Lee Way,
figura per i
fratelli fondamentale durante la loro crescita.
|
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Capitolo 16 *** Tu Conosci il mio Papà? ***
Capitolo
15: Tu conosci il mio papà?
La
stanza era al buio e Jared al solito non riusciva a dormire.
L'insonnia era sempre dietro l'angolo e quella sera non faceva
differenza. Sentiva il leggero respirare di Monica contro il cuscino.
Non era praticamente cambiata nel tempo, dormiva alla stessa maniera,
addormentandosi all'inizio a pancia sopra, con una mano sotto il
cuscino e l'altra stesa a fianco, per poi muoversi con una certa
continuità, di lato, per poi terminare a pancia sotto,
lasciando,
molto spesso, le spalle scoperte. In quel momento era alla fase
laterale, con la schiena rivolta verso di lui. Praticamente vedeva
soltanto una lunga massa di capelli scuri sul cuscino.
Sospirò,
deciso a non restare ancora un minuto in più in quel letto,
con una
voglia matta di saltarle addosso sapendo di non poterlo fare
realmente. Accese la luce del bagno e gli sembrò di morire
accecato.
Era stanco e pure parecchio, quindi si appoggiò con una mano
al
muro, mentre espletava i suoi bisogni. Doveva dormire, ma sapeva che
non era per nulla semplice. Troppi pensieri, troppi problemi e
preoccupazioni. Due ore di sonno erano una benedizione per lui.
“Non
dormi.” Jared si voltò di scatto, sorpreso della
voce che aveva
rotto il silenzio della suite. Alex era in piedi davanti a lui,
vestito solo con una canottiera bianca e un paio di slip. In mano il
fedele Bill.
“Neanche
tu.”
“E'
più grande del mio.” disse indicando il pene di
Jared che,
Intanto, si tirò su i pantaloni e si lavò le mani
cercando di
nasconderlo. Che avrebbe fatto un padre normale in una situazione
simile? Padri e figli parlano delle dimensioni dei loro membri? Si
domandò confuso.
“Crescerà.
Fidati.”
“Come
mai non dormi?”
“Soffro
di insonnia e tu?”
“Uhm...
anche io?” Jared sorrise.
“Vieni,
andiamo sul terrazzino, non vorremo mai svegliare la mamma
vero?”
il bambino annuì e si sedette su una sedia di plastica
vicino a lui.
L'aria della notte era fresca e Jared apprezzava sentirla sul petto
nudo. Guardò Alex: muoveva su e giù le gambe, con
le mani che
tenevano il bordo della sedia e lo sguardo perso verso il mare.
“Sei
troppo piccolo per soffrire d'insonnia. Sei solo tanto emozionato per
il concerto.”
“Oh...
quindi non sono come te.”sembrava deluso.
“E
spera di non esserlo mai. Non è bello non riuscire a dormire
sai.
Uno vorrebbe fare tanti bei sogni, invece resta a guardare il
soffitto.”
“Puoi
parlare con me.”
“Certo,
è quello che sto facendo.” E gli
accarezzò i capelli. “Ti sei
divertito oggi?”
“Si!!!
Tantissimo. È stato supermega incredibile. Frank
è magnifico.
MITICO!” urlò, mentre Jared gli faceva cenno di
abbassare la voce.
Si voltò verso Monica che si era girata, ma continuava a
dormire. “E
poi Gerard ha cantato da dio. E Ray WOW! Bellissimo.”
“Mi
fa piacere che per te sia stata una gran serata.”
“E
il Gelato sul lungo mare? Buonissimo, più di quelli di Los
Angeles.
E la mamma sta bene con gli orecchini che le hai regalato.”
“Dici?”
“Oh
si, quando alla mamma piace qualcosa, fa quel sorriso strano e gli
occhi diventano grandi e felici.” Jared ammirò la
capacità di
osservare di suo figlio. Quelle espressioni tipiche di Monica le
conosceva perfettamente e si stupì che un bambino di 7 anni
riuscisse a descriverle così bene. “Mi piace
quando è felice.”
“Anche
a me lo sai. Come quando ha quelle due fossette quando ride.”
“Ma
allora la sposi.”
“Perchè
vuoi che la sposi?” non sapeva se ridere o piangere, era un
terreno
veramente minato. Monica gli aveva spiegato che in passato Alex aveva
tentato di fare da consulente matrimoniale tra lei e qualsiasi figura
maschile vagamente interessante.
“Perchè
vorrei che fosse felice sempre.”
“E
credi che per esserlo deve essere sposata? Lei è felice
quando sta
con te lo sai, come è normale che sia.” Alex mosse
ancora un po'
di volte le gambe, mordicchiandosi il labbro. Jared aveva
già notato
che quando faceva così, lui voleva semplicemente dire
qualcosa, ma
aveva paura di dirla. “C'è qualcosa che vuoi
chiedermi?”
“Anche
tu sei felice con la tua mamma?”
“Molto.
Anche mia madre è molto bella, te la ricordi, alla tua festa
di
compleanno?” Alex annuì.
“Mi
ha regalato il libro.”
“Esatto.
La vedo poco perchè sono spesso via, ma sono felice con
lei.”
“E
con il tuo papà?”
Jared
si immobilizzò. La storia della sua infanzia non era
qualcosa di cui
gli piacesse parlare, anzi, era il il discorso più
tabù che ci
potesse essere, ma qui si parlava di un bambino di 7 anni, suo
figlio, che voleva parlare con lui.
“Vieni
qui in braccio.” Alex si sedette sulle sue gambe e lo
guardò negli
occhi: gli faceva strano guardare Jared così, sembrava di
guardarsi
sullo specchio. Erano belli i suoi occhi, perchè erano come
i suoi.
“Quando ero poco più piccolo di te, mio padre
è andato via. Mi ha
lasciato, anzi ha lasciato me e e mio fratello Shannon. Siamo
cresciuti senza un papà, ma solo con la mamma e la
nonna.”
“Come
me.”
“Sì,
un po' come te.”
“Ma
è andato via perchè siete stati
cattivi?” Jared deglutì più
pesantemente del solito. Erano passati decenni, ma non era mai stato
facile parlarne. Vide Monica muoversi sotto il lenzuolo,
apparentemente tranquilla ed addormentata.
“Certo
che no. Quando i genitori si lasciano lo fanno perchè hanno
paura di
qualcosa. Non c'entrano mai i bambini. Loro sono vittime innocenti
tra gli adulti.” Alex si appoggiò con la testa sul
suo petto.
“Quindi
il mio papà non è andato via perchè
ero cattivo.” in quel
momento Jared stava cercando un modo gentile per uccidere Monica
nell'altra stanza. Quella frase era stata così dolorosa e
così
vicino a quello che lui e Shannon avevano domandato per mesi a
Constance che si ritrovò a vivere in un dejavù
terribile.
“Alex,
sei un bambino fantastico e io so che tuo papà ti ama alla
follia.
Il fatto che non ti sia stato vicino mentre crescevi non significa
che non ci sarà da ora in avanti.” Sapeva che
Monica non voleva
dirglielo o che comunque voleva aspettare che Jared fosse
perfettamente integrato nella loro vita, ma lui non ce la faceva
più.
“Tu
conosci il mio papà?”
“Uhm...
non è Frank,” innanzi tutto voleva togliere quella
cosa dalla
testa a suo figlio. Frank nano Iero, per quanto simpatico, non era
suo padre. Inoltre aveva imparato che bisognava cambiare il discorso
per evitare di dire cose scomode. “Tu sei un bambino
speciale,
Alex. Il migliore che abbia mai conosciuto e solo un pazzo vorrebbe
lasciarti, ma in passato ci sono stati dei problemi, nei quali tu non
c'entravi assolutamente, che hanno portato il tuo papà ad
andare
via. Se non fosse successo questo, lui sarebbe sempre rimasto con
te.” Lo strinse a se, fino a sentire l'odore di bambino
entrargli
dentro le narici per imprimersi nel cervello quel profumo da portare
con se durante le turneè che doveva arrivare. Voleva suo
figlio con
lui il più possibile.
Guardò
il mare e deglutì: un qualcosa nel cuore si era sciolto,
come se
fosse un nodo che non voleva saperne di scendere fino a quel momento
e che improvvisamente si dissolveva, come per magia.
“Tu
mi vuoi bene Jared?”
“Tantissimo.”
“Come
vuoi bene alla mamma.”
“Sì
e forse anche di più.” Alex ridacchiò.
“Non
è vero. Alla mamma vuoi troppissimo bene. Si vede.”
“Voglio
tantissimo Bene, non troppissimo.”
“No
è Troppissimo che è meglio di tantissimo,
perchè è di più!” I
due risero assieme e Jared guardò l'orologio: erano le tre
del
mattino, doveva far dormire Alex.
“Dai,
è tardi cucciolo. Andiamo a letto.” Lo prese per
mano e lo portò
verso la sua stanza. “Adesso dormi e domani mattina andiamo a
fare
un ultimo giro e magari a mangiare un gelato.”
“Uhm...
Jared?”
“Dimmi.”
“Posso
dormire nel lettone con voi? Qui è buio e sono solo. E...
Bill ha
paura.” Jared sorrise e lo prese in braccio. Lo
fissò prima negli
occhi, poi seguì il suo profilo dolce, la bocca sottile
simile alla
sua, quel nasino piccolo.
“Certo,
non vorrei mai che Bill avesse paura.”
“Grazie.”
Lo
appoggiò sul materasso e Alex andò velocemente a
nascondersi sotto
il lenzuolo, vicino a Monica con un sorriso splendente. Quando anche
lui fu sistemato nella sua parte di letto, Alex chiuse gli occhi
felice e si addormentò in pochi minuti.
Jared
si si appoggiò su una mano mettendosi di lato e, grazie alla
leggera
luce del suo BlackBerry, osservò il sonno del bambino:
Tranquillo,
in pace con se stesso e il mondo.
E
stranamente lui ripensò ad Emma e alla sua discussione con
lei
riguardo ad Alex. All'epoca era molto più interessato a
riavere
Monica che ad allacciare un rapporto con un bambino che, francamente,
gli interessava fino ad un certo punto. Ma adesso stava pensando che
se la sua segretaria le avesse posto le stesse domande di allora, la
risposta sarebbe stata totalmente diversa. Sapeva benissimo che le
avrebbe detto che era vero che voleva tornare con la sua ex a tutti i
costi, ma che, soprattutto, voleva diventare un vero padre per Alex.
E non per piacere di più a Monica, quanto per piacere ad
Alex, per
essere suo padre. Non sapeva spiegarlo in maniera migliore: aveva in
testa e nel cuore una confusione pazzesca.
Chiuse
gli occhi pensando al fatto che voleva essere presente al primo
giorno di scuola dell'anno avvenire, che voleva scartare assieme a
lui i Regali di Natale e poi a festeggiare in pantofole l'anno nuovo.
Voleva che lui fosse presente sul palco ad un qualche show, magari
durante l'estate. E voleva essere lui a dargli consigli sulle ragazze
quando sarebbe andato alle superiori. Sarebbe stato lui il suo punto
di riferimento per il futuro.
Si,
tutto questo avrebbe detto ad Emma e non solo a lei. Doveva
assolutamente dirlo anche a Monica.
Riaprì
gli occhi e spostò la luce verso di lei, stupendosi di
trovarla a
guardare lui.
“Sentivo
le tue rotelle fino a qui.” gli sussurrò.
“A che pensavi?”
“A
noi tre. Pensavo che a Natale voglio stare con lui.” Lei
sorrise.
Entrambi guardarono Alex che ormai russava.
“Natale
non è poi troppo lontano.” lo prese in giro.
“E
al suo prossimo compleanno. E quando dovrà farsi la barba la
prima
volta. E quando si sposerà.”
“Mi
sembrano progetti a lungo termine.”
“Appunto.”
Monica
sapeva che lui non stava mentendo: lo conosceva troppo bene e sapeva
quando lui diceva una cazzata o quando era sincero, come in quel
momento. E, a differenza del solito, non sembrava in uno di quei
momenti dove pensava a mille cose e ne diceva una tutta diversa.
Era
Jared, il suo Jared. Quello di cui si era innamorata e di cui era
innamorata in quel momento.
Tirò
fuori dal lenzuolo il braccio e portò la mano sopra la testa
di
Alex: prima gli accarezzò i capelli con delicatezza, poi
allungò la
mano verso Jared e gli chiese una cosa sola E lui capì: si
appoggiò
al cuscino e le porse la sua mano.
Le
dita si incrociarono e lentamente, senza dire una sola parola in
più,
si addormentarono. O, almeno, Monica si addormentò, Jared
continuò
a guardarli per tutta la notte.
Monica
si svegliò la mattina dopo riposata come non le era capitato
da
anni. Una luce tenue proveniva dalla finestra e un leggero russare
dal bambino vicino a lei, ancora con il sorriso sulle labbra. Jared
non c'era, il suo lato del materasso era freddo.
Sospirò:
probabilmente era sceso a fare colazione.
Si
controllò i vestiti e rimase soddisfatta ritrovandosi con la
maglietta e le mutandine come le aveva messe la sera prima, segno che
non si era spogliata e che aveva mantenuto una certa dignità
di
fronte a suo figlio. Era decisamente soddisfatta di se stessa.
Si
alzò e andò senza far rumore in bagno: con Alex
che dormiva così
profondamente, aveva tutto il tempo per darsi una sistemata in tutta
tranquillità e cercare di tornare ad avere un aspetto degno.
Il
bagno era grandissimo, praticamente quasi grande come tutto il suo
appartamento, diviso, più o meno in due, da un leggero
muretto che
faceva da mensola alla vasca, che stava nascosta. Il box doccia era
abbastanza grande per contenere tre persone e Monica evitò,
come al
solito quando entrava lì, di chiedersi se Jared l'avesse mai
provata
con compagnia. Gelosa lei? Figuriamoci. Il lavandino di porcellana
brillantissima era sovrastato da uno specchio enorme che le
rifletteva l'immagine di una donna stranamente rilassata. Forse
l'aria di San Diego le faceva bene.
Si
lavò la faccia, fece i suoi bisogni e si spogliò
per andare in
doccia e mollò un urlo quando, dalla vasca vide uscire la
testa di
Jared: i capelli bagnati erano tirati tutti indietro e ben incollati
alla testa, la leggera barbetta si ritrovava le goccioline che
scendevano veloci da ogni pelo. Le ginocchia erano piegate e fuori
d'acqua. Sul lato della vasca una candelina accesa che lasciava un
buon profumo di vaniglia, mentre dietro di lui un asciugamano bianco
che quasi toccava l'acqua.
Uno
spettacolo devastante che poteva azzerare il cervello di qualsiasi
donna, ivi inclusa Monica che rimase ad osservarlo a bocca aperta per
un bel po' prima di risvegliarsi del tutto.
“Che
diavolo ci fai li dentro?!” Prese il primo asciugamano che
trovò
li vicino che a malapena riusciva a coprirle qualcosa.
“Mi
lavo?”
“Non
dire cazzate!”
“Non
le sto dicendo! Insomma, sono a mollo a rilassarmi un po' e nel
frattempo mi lavo. Lo sai che apprezzo di più un bagno di
una
doccia, quando ho tempo da spendere.”
“Non
è questo il punto!”
“E
quale altrimenti? Tu mi hai chiesto che ci faccio qui e io ti ho
risposto.”
“JARED!
Cristo sono entrata dieci minuti fa! Potevi dirmi che c'eri anche tu
dentro, avrei aspettato che uscissi.” Jared rise di gusto.
“Non
credo che ci sia niente di te che non abbia già visto e lo
stesso
vale per me, tesoro. Non sono cambiato molto nel tempo.”
“Lo
so, piccolo vampiro.”
Come
lui si alzò nella vasca, Monica si girò a prese a
raccattare la sua
maglietta lasciata per terra per poi andare verso la porta.
“Monica...”
“No,
niente Monica... Copriti.”
“Io
so che non lo vuoi.” la voce era troppo vicina e lei era
troppo
nuda. Non poteva farsi fregare così, lei doveva essere
forte,
resistergli, dimostrargli che non era una bimbetta che lo idolatrava.
Si girò verso di lui: era totalmente nudo, ancora bagnato e
assolutamente perfetto.
“Ammesso
e non concesso che io ti voglia così davanti a me, non
è il caso
adesso. C'è Alex di la.” Jared sorrise malandrino.
E le si
avvicinò: ormai le sue labbra erano a pochi millimetri di
quelle di
lei.
“Vuoi
dire che ci saranno altri momenti per noi, senza Alex, dove io
uscirò
da una vasca da bagno e tu vorrai entrare in una doccia?”
“Forse.”
gli soffiò sulla bocca.
“Mi
basta.”
Jared
annullò le distanze e finalmente tornarono all'ultima volta
che si
erano baciati, sulla scogliera, ma mentre quella volta il bacio
sapeva di sale a causa delle loro lacrime amare, in quel momento tra
loro c'era solo il sapore del dentifricio usato quella mattina.
Nessuno dei due, in realtà, si stava interessando della
menta,
quanto il fatto che finalmente le loro labbra erano nuovamente
incollate e che, fregandosene di qualsiasi cosa, i loro corpi erano
di nuovo vicini. Monica sentiva la pelle bagnarsi, la dove le mani di
Jared andavano a sfiorarla, accarezzandola, oppure stringendola verso
di se. Il torace duro e caldo, si accostava al seno morbido e alle
curve così tipicamente femminili che aveva, mentre le lingue
si
intrecciavano felici di essere nuovamente assieme. Monica gemette
quando Jared le passò una mano tra i capelli sciolti e lei
restituì
il favore accarezzando il membro che stava iniziando a risvegliarsi
sotto le stimolazioni che lei gli stava dando.
Era
una cosa così giusta, così perfetta,
assolutamente loro, unicamente
loro.
Nonostante
fossero passati sette anni dall'ultima volta che si erano baciati
così, sembrava che non fosse passato un giorno, che alla
fine
fossero stati sempre assieme.
“Wow...
ok...uhm...” La prima a staccarsi, per modo di dire, visto
che
aveva le mani sulle braccia di Jared rimanendo, così, ancora
agganciata a lui, fu Monica “.. Dovrei... vado di la. Quando
hai
finito fai un fischio.”
“Monica...
guardami.” Lei alzò il viso e lo guardò
negli occhi: enormi,
profondi, e pieni di quello che lei sapeva essere amore.
“Sono
serio.”
“Lo
so.”
Lui
sorrise e la lasciò andare.
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Capitolo 17 *** Epilogo: Come te ***
Eccoci qui!!
E' la fine! (Finalmente, direte voi, non ne possiamo più di
questo buonismo, vogliamo un po' di sano Pop-porno)
Ebbene sì, sono al lavoro con due storie, una solo sui Mars,
molto molto particolare e molto molto rossa, e una su Glee, dove ci
sono anche i Mars, ma solo marginalmente. Ma tanto voi non vedete l'ora
di leggere quella porno sui mars, io lo so già, anche se
pioveranno critiche di far diventare i Leto degli oggetti e vederli
solo come vibratori umani.
Francamente me ne infischio, come diceva qualcuno di più
importante di me.
Ma non perdiamo ancora troppo tempo.
Vorrei ringraziare una per una tutte voi che avete letto e messo la
storie nelle vostre preferite/seguite/ricordate.
Vorrei anche ringraziare tutte colore che hanno perso del tempo (Alcune
veramente tanto tempo) a fare delle recensioni incredibili.
Però ci tengo a ringraziare due persone in particolare e non
me ne vogliano le altre.
Il primo ringraziamento va a lei, la mia Reneè. Shannina,
senza di te non sarebbe la stessa cosa. Senza di te non starebbe
succedendo tutto quello che ci sta capitando di bello ultimamente. E'
solo grazie a te che uno dei nostri sogni si sta avverando.
Solo ed esclusivamente Grazie a te. E di questo te ne sarò
grata in eterno.
Il secondo va alla mia Bedda Donnina: Lory ci manchi!
La tua vita è più importante di qualsiasi Fan
Fiction, ma non ti nascondo che ci manca la tua presenza
perchè non solo sei una scrittrice incredibilmente
fantastica, ma sei anche, e soprattutto, una ragazza unica, rara e
splendida.
Grazie di esserci sempre.
Detto ciò.... Buona lettura.
Epilogo: Come te
La
giornata era splendida, il sole splendeva caldo sulla spiaggia, un
leggero venticello accarezzava le pelli di tutti le persone presenti
sotto un piccolo e fiorito gazebo. In lontananza il mare lambiva la
sabbia era bollente nonostante fosse settembre inoltrato. La bella
stagione stava aspettando per declinare e aveva, soprattutto,
aspettato che i 30 Seconds to Mars tornassero dalla fresca
Inghilterra per poter celebrare al meglio l'evento mondano dell'anno.
Monica
guardò fuori dalla finestra della sua nuova casa: con Jared
avevano
deciso che era giunto il momento, dopo quasi un anno di nuova
relazione, di dar via a quella che doveva, da sempre, essere una
famiglia, ma che per un po' di tempo si era... diciamo... persa in
altre cose. E per la gioia di Alex, avevano trovato un villino a
pochi passi dal mare, non molto grande in effetti, ma comunque con
una stanza per il bambino e un piccolo giardino per i cani di Jared.
La cucina era perfetta per Monica e le sue creazioni e Jared aveva un
suo studio dove poteva creare a qualsiasi ora del giorno, visto che
aveva insonorizzato la stanza. E quel giorno era più
splendente che
mai: Monica, insieme a Constance, si era premunita di tirarla a
lucido perchè voleva che tutto fosse più che
perfetto.
“Faccio
bene a sposarmi?”
“Non
vedo perchè non dovresti. Lui ti ama da impazzire, quindi
perchè
tentennare?”
“Perchè
è passato troppo poco tempo. Insomma, stiamo insieme da poco
più di
un anno...”
“E
quanto vorresti aspettare? Non siete più di primo
pelò, Reneè, non
potete fare un lungo fidanzamento e aspettare anni.”
Monica
tornò a guardare la sua amica. Aveva scelto un abito color
perla,
leggermente lucido, con un corpetto lavorato con delle perle inserite
nei ricami. La gonna scivolava leggera fino al ginocchio. Un paio di
Jimmy Chu in tinta con il vestito completavano l'abito. Per i capelli
aveva deciso di tenerli sciolti, ma sempre molto ricci. Alcune
roselline erano incastrate nei riccioli a creare una deliziosa
acconciatura. Il trucco leggero e sapiente, la rendevano perfetta
oltre ogni dire.
“Lo
so, ma neanche un anno? E ci siamo fidanzati appena un mese fa...
oddio, e se si stancasse di me?”
“Sei
troppo deliziosa perchè lui possa stancarsi,
Reneè.”
“Ma
con tutte quelle che trova in giro più giovani e belle
e...”
“E
niente! Se ha scelto te un motivo c'è, ricordatelo. Tu non
sei come
le altre che Shannon ha attorno: sei intelligente, sei sveglia e sai
sempre di cosa sta parlando. E cosa più importante, ti
ama”
“Monica
ha ragione. Allora, come sta la mia futura cognata?” Jared
era
entrato per vedere com'era la situazione in casa: tutti gli invitati
erano arrivati, il giudice di pace era già in attesa,
Shannon era
nervoso e pronto a dire sì, mancava solo la sposa.
“Nel
panico.”
“Non
devi Reneè, sei stupenda. E poi quando Shannon si butta in
una
pazzia, tipo matrimonio in meno di un mese, è probabilmente
la mossa
migliore. Quando pianifica di solito non funziona mai nulla. Il tuo
matrimonio funzionerà alla grandissima, fidati.”
“Grazie
Jay. E neanche tu sei niente male.” in effetti il completo
scuro di
Calvin Klein, praticamente fatto su misura per lui, gli cadeva
così
bene addosso che sembrava una seconda pelle.
“Potrei
quasi essere gelosa dopo questo scambio di effusioni fra di
voi.”
“Tranquilla
Monica, ho già il mio Leto da impalmare... Jared lo lascio a
te.”
Reneè fece un profondo respiro, prese il suo bouquet di rose
bianche
e velo da sposa e si preparò ad uscire. Monica e Jared
corsero al
gazebo, visto che tutti li attendevano li, essendo i testimoni degli
sposi.
Una
leggera musica proveniente da una una arpista, diede il via alla
cerimonia. Il primo a calcare il tappeto rosso posato sulla sabbia,
fu Alex. Anche lui come Jared si era vestito elegante e tutto di
nero, con un piccolo cravattino bianco. Portava le fedi su un piccolo
cuscino rosso e sorrideva a tutti, facendo poi ciao ciao con la
manina a Constance che si tratteneva dallo scoppiare in lacrime
così
presto. Arrivato davanti a Shannon, si voltò verso Jared che
lo
richiamò vicino a se. Erano così simili,
così uguali, vestiti,
oltretutto, in maniera quasi identica che l'associazione padre/figlio
nasceva in automatico, anche da parte di persone che non li
conoscevano.
Poi
entrò Reneè, sotto braccio a suo padre, con un
sorriso
scintillante: evidentemente aveva messo da parte tutti i dubbi e le
incertezze e stava andando dal suo uomo in pace con se stessa e il
mondo. Monica la guardò e si commosse. Era così
felice per lei. E
per lui, ovviamente. Shannon era teso come la corda del violino di
Tomo e non aveva occhi che per Reneè. Aveva un sorriso ebete
stampato in faccia da quando lei aveva fatto capolino.
La cerimonia era
scivolata tranquilla tra i singhiozzi di mamma
Constance e le lacrime di gioia di metà del popolo
femminile. Monica
si era chiesta più volte se piangevano di gioia o di
disperazione
perchè Shannon si era accasato.
La
notte era illuminata da decine di torce. Gli invitati ballavano
intorno alla coppia di sposi che, incuranti di chiunque intorno a
loro, si lanciavano in danze e appassionati baci che lasciavano di
stucco le persone presenti.
Alex
si era divertito a giocare con alcuni bambini, figli di amici, e
quindi, per Monica e Jared, era come se non ci fosse stato per tutto
il giorno e si erano potuti prendere un po' di pausa. Terminati i
compiti di rito dei testimoni, si erano potuti dare alle danze e
soprattutto ad una lunga camminata sul lungo mare insieme ad Alex. Il
bambino correva avanti ed indietro, mentre i due adulti, mano nella
mano, chiacchieravano del matrimonio: Monica teneva in mano i sandali
blu notte, in tinta con l'abito corto al ginocchio che si era presa e
camminava con i piedi nell'acqua bassa e fresca dell'oceano.
“Alex,
attento a non bagnarti!” Praticamente impossibile.
“Shannon
sembrava proprio felice eh?”
“Direi!
Sai che ho beccato mamma e nonna a scommettere, un po' di tempo fa,
in quanto tempo Reneè sarebbe riuscito ad
accalappiarlo?” Monica
rise.
“E
su di te, non hanno mai scommesso?”
“No.
Nonna ha detto che quando ha visto Alex ha capito immediatamente che
io e te saremo tornati assieme e lo sai che la nonna ha le sue
visioni che quasi sempre azzeccano tutto. Ha detto che scommettere su
di noi era come sparare sulla Croce Rossa, troppo facile.”
“Per
lei era facile, doveva provare a mettersi nei miei panni.”
Jared la
strinse per la spalle e ridacchiò. “Che ti ridi
tu?”
“Anche
io sapevo che tu saresti di nuovo caduta bella mia rete.”
“Sbruffone.”
“MAMMA!!!”
Alex si buttò a peso morto tra le gambe di Jared e Monica
per
cercare di separarli. Adorava Jared, ma da un po' di tempo a quella
parte dava segni di chiara gelosia genitoriale. La psicologa del
consultorio che li aveva seguiti da quando Alex era nato, aveva detto
che era una reazione piuttosto normale, succedeva spesso anche con
bambini che avevano sempre vissuto con entrambi i genitori.
“In
braccio dai!”
“No
Alex, pesi.”
“Ti
prendo io salta su.” Jared se lo prese in braccio: Alex
teneva la
testa sulla sua spalle, le braccia intorno al collo e le gambe
intorno alla vita. Praticamente un Koala.
“Ho
un po' di sonno.” disse il bambino sbadigliando.
“A
quanto pare la nostra camminata romantica subisce uno stop.”
“Domani
riprendiamo. Senti, occupati degli invitati, io vado a mettere a
dormire Alex e poi arrivo.”
“Va
bene.” Diede un bacio sulla testa del bambino e poi uno un
po' più
lungo a Jared, fino a quando Alex non protestò.
“Si amore, sono
tutta tua. Scemotto di figlio.”
“Posso
sapere se anche io sono un po' tuo?” Fece Jared con il suo
solito
sorriso malizioso.
“Giusto
un po', altrimenti lui mi diventa geloso.”
“Giusto.
Ah..” Lo prese per il braccio e lo avvicinò a
sé. Aveva le labbra
a pochi millimetri dal suo orecchio, poteva sentire il leggero odore
di sudore dovuto alla lunga serata e alle danze fatte assieme, ma non
le dava fastidio, anzi lo trovava ancora più eccitante.
“Jared...
ti amo.”
“Ti
amo anche io.” sussurrò in risposta, poi
andò verso casa.
Non
ci era voluto molto tempo, dopo San Diego, per mettersi insieme
definitivamente: entrambi lo volevano ed era bastata una camminata
alla vecchia diga, un discorso sulle storie serie, una carezza, un
gioco di sguardi e il gioco era stato fatto. Doveva semplicemente
rinascere, niente di più. I siti di gossip avevano
pubblicato
qualche foto e qualcuno, specie le Stalker più incallite,
stavano
cercando di scoprire chi fossero Alex e Monica.
Alex,
che nel frattempo, stava diventando suo figlio a tutti gli effetti:
lui non lo chiamava ancora papà, ma con Monica avevano
deciso di
dare il via al cambio di cognome e quindi di farlo diventare, oltre
che biologicamente, anche legalmente un suo genitore. Di li a poco
Alex si sarebbe chiamato Alex Leto.
Jared
avrebbe voluto già pensare ad un matrimonio, ma conosceva
Monica e
per lei sarebbe stato troppo presto. Comunque era sicuramente il
prossimo argomento di cui discutere, magari al termine del tour
promozionale di Abl.
Aiutò
il bambino a togliersi i vestiti e poi lo spedì in bagno per
lavarsi
i denti. Entro dieci minuti sarebbe schiantato e lui sarebbe andato
ad aiutare Monica a sistemare qualcosa sulla spiaggia.
Lo
seguì in bagno e lo trovò, al solito, che faceva
finta di suonare
lo spazzolino.
“Cosa
suoni?”
“Helena
per la mamma.”
“Ah
certo, avrei dovuto capirlo dalle note.” lo prese in giro
senza che
Alex ne fosse minimamente scalfito.
Alex
si mise sotto le lenzuola e attese la solita carezza da parte
dell'uomo e qualche chiacchiera. Bill lo guardava dal comodino, visto
che da un po' non gli faceva compagnia.
“Ti
è piaciuto come ho suonato?”
“Certo.”
“Bene.
Domani mi insegni a suonare ancora un po'? Prometto che sto attento
ad Artemis.”
“Va
bene, vedremo di suonare qualcosina, ora dormi.”
“Voglio
imparare a suonare bene sai? Così da grande farò
il chitarrista in
una band e diventerò famoso!!” Jared storse
leggermente il naso.
“Come
Frank?”
Alex
inclinò la testa poi si alzò di scatto e lo
abbracciò, per poi
tornare disteso a letto.
“No,
come il mio papà. Come te.”
FINE
Allora? Abbastanza Rosa per tutte?
Ci vediamo alla prossima!
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