To Dream Again

di sistolina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** The Sleepers ***
Capitolo 3: *** The Awake ***
Capitolo 4: *** The Sleepwalkers ***
Capitolo 5: *** The Dead Walkers ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


To Dream Again

 

Prologo

 

Parigi e le sue luci, gli Champs-Elysées illuminati a festa, la morbida e festosa atmosfera dell'estate francese.

Il respiro gli si appiccicava quasi al viso mentre camminava spedito verso la libreria. Era in ritardo, ovviamente.

Voltò l'angolo con passo deciso, quasi andando a sbattere contro l'adolescente foruncoloso che lo svoltò nella direzione opposta proprio in quel momento

- Cazzo amico, c'è mancato poco! - lo guardò mentre si controllava le tasche, e continuò oltre. Sospettoso, lui?

Una volta davanti alla libreria si fermò con un sospiro: almeno cinquanta persone si affollavano davanti all'entrata, il suo libro stretto in mano e le gambe ancora pallide che protestavano contro un'estate che non era ancora iniziata per tutti.

Abbassò la testa e si diresse verso l'entrata di servizio, dove una bionda rinsecchita gli offrì un bicchiere di the ghiacciato cercando di aggiornarlo su tutto quello che c'era da sapere su quella dannatissima lettura.
- Cerchi di essere poetico, ma anche naturale, come se non ci fosse nessuno. Sa come funziona, fa queste cose da mesi! - lo guardò eloquentemente, come se l'idea di dover leggere dei particolari più reconditi della sua adolescenza di fronte ad un curioso e affamato pubblico di estranei non dovesse minimamente preoccuparlo. Erano decisamente cazzi suoi, in fin dei conti: era stato o no lui a decidere di scrivere quel dannato libro?

“Non sei tu che scegli lo scrivere ma è lo scrivere che sceglie te”, molto semplicemente. Alla Bukowsky.

Si lasciò guidare come privo di sensi fino sul palchetto, il libro sotto il braccio, una penna nell'altra, un paio di fogli di un taccuino appallottolati nel palmo della mano sudata. Decine di teste che lo fissavano.

Sul tavolino rotondo davanti a lui troneggiava una bottiglia da mezzo litro d'acqua, un bicchiere di carta riverso sul tappo avvitato, e una luce bianca e abbacinante che lo avrebbe fatto sembrare un pallido bastardo balbuziente.

Deglutì e si lasciò camminare, senza prestare attenzione a nient'altro che all'entrata davanti a sé, il marciapiede assolato, l'asfalto che evaporava, il viavai del traffico pomeridiano. Se avesse finto di essere solo, forse gli sarebbe riuscito di proferir parola.

Si sedette e attese che l'applauso educato cessasse, poi iniziò

La prima volta che ho visto un film alla Cinemathèque Francaise – il silenzio totale invase la stanza, e lui poté avvertire la religiosità in quel momento; se non fosse stato fermamente ateo, avrebbe creduto che quelle persone lo ritenessero una specie di divinità. Aveva dato loro qualcosa in cui credere, d'altra parte; che fosse una menzogna o meno, loro erano lì per sentirsela raccontare da lui. Continuò senza nemmeno incepparsi. Era la sua storia in fondo, chi poteva raccontarla meglio di lui?

Il film era “Il corridoio della paura” di Sam Fuller. Avevo vent’anni. Ero venuto a Parigi per studiare francese...”

La lettura non fu così impegnativa, dopo un'ora o poco più la giovane assistente della libreria, quella rinsecchita, cominciò ad applaudire e salì sul palco in un ticchettare fastidioso di tacchi a spillo
- Ringraziamo il signor Olsen per essere qui oggi – il pubblico lo incitò con un applauso più flebile ma rapito, come se precipitare nel vortice di quell'attimo avesse tolto loro il libero arbitrio. Non stavano ringraziando lui, stavano ancora nuotando fuori dalle sue parole.
- Grazie a voi – mormorò tornando il ragazzetto impacciato del 1968 – vi sono riconoscente per questa possibilità – la ragazza sorrise e si voltò verso la platea
- Ora, se qualcuno gradisce porre qualche domanda al nostro scrittore, prego alzi la mano – una ragazza adolescente, un viso anonimo acceso da un paio di occhi dalla rara profondità, sollevò la mano timidamente, ma con la risolutezza di chi imponeva a se stessa il raggiungimento di un obiettivo cruciale.
- Prego – la invitò la bionda con un falso sorriso rifatto di fresco
- Buonasera – salutò la ragazza, la voce ferma ma flebile come quella di un uccellino – io volevo chiederle...ecco...è vero che questo romanzo è autobiografico? Insomma, la storia, i gemelli, la ribellione...lei c'era? - il suo sguardo ammaliatore e intelligente inchiodò il suo in un tacito suggello: stava per calarsi le mutande di fronte ad un pubblico vorace e attento, lontano da casa, immerso vino al collo nel suo passato e nell'aria ormai persa di quei giorni. Già che era in gioco
- E' vero, ero a Parigi nel '68, anche se sono andato via prima che la rivoluzione entrasse nel vivo – ammise – purtroppo –

Un impettito quarantenne sulla sinistra si prenotò
- I fatti sono storicamente documentati? Quanto di quello che ha scritto è reale? - davvero quel coglione gli stava chiedendo della rivoluzione? Davvero non aveva capito un cazzo di quello che aveva inteso dire in quelle pagine? Poteva pulircisi il culo, già che c'era, con il suo fottuto romanzo
- Lo sono, ma non era nei miei intenti essere “storicamente corretto”, io volevo arrivare al cuore. Volevo parlare di crescita e perdita dell'innocenza – storse il naso – non ho scritto l'Almanacco del 1968 – poteva essere un cazzone cinico quello, ma di certo il sarcasmo non gli era sfuggito. Si squadrarono con gelida sfida, dopodiché l'altro abbassò lo sguardo senza nemmeno ringraziare.

Dopo una decina buona di minuti e domande vuote e stupide sul suo curriculum, i suoi progetti futuri e la possibile trasposizione cinematografica del suo romanzo, una donna sulla cinquantina non alzò nemmeno la mano prima di porgli la sua domanda
- E lei, Isabelle, quella è stata l'ultima volta che l'ha vista? - avrebbe preferito che qualcuno gli avesse sparato, o magari anche di condividere una camera d'albergo con il cinico in andropausa, ma parlare di Isa, lì, davanti a quelle persone, era quanto di più difficile gli riusciva di fare. Scrivere di lei era stato semplice, come incontrarla ogni giorno, vederla materializzarsi fra quelle pagine come uno spettro eternamente vergine ed eternamente giovane. Eternamente bella e provocatrice. Eternamente sua. Ma no, quella gente non meritava davvero di sapere quello che di più profondo si agitava dentro di lui.

Optò per una balla, una di quelle confezionate e infiocchettate di paroloni altisonanti e affascinanti. Una bella risposta di quelle “semanticamente corrette e sintatticamente perfette”, una sequela di termini del cazzo per evitare di dire qualcosa che si poteva dire in poche parole, anzi in una sola. Un bel Sì, sarebbe bastato a tutti, ma non a lui.
Prese fiato per zittire il pubblico con una di quelle poetiche conclusioni da scrittori, ma una voce decisa e tagliente raggelò la stanza
- Il bastardo non sa nemmeno che è morta – Matthew sollevò gli occhi dalla penombra, dalle decine di teste appollaiate ai suoi piedi, fino ad un angolo buio in fondo alla sala, una nicchia che avrebbe definito “tranquilla” e “intima”, se non fosse stato che l'uomo lì in piedi braccia conserte, sguardo di sfida, mento sollevato sugli occhi scuri, lo fissava con tutto l'odio che un essere umano poteva contenere senza autodistruggersi.

Decine di teste si voltarono a guardarlo indignate, la vecchina disse qualcosa come “screanzato” e scosse la testa allibita, l'intelligente adolescente dalla profonda timidezza schiantò il suo sguardo su di lui, in attesa. Poteva averlo chiamato Francois, poteva averlo dipinto come un possente ragazzo dai lineamenti decisi e le spalle larghe, poteva perfino aver finto di non riconoscerlo, ma quella innocente ragazza aveva letto il suo libro più in profondità di quanto lui stesso non l'avesse scritto. E aspettava, aspettava di sentire cosa Matthew gli avrebbe detto la prima volta che si fossero rincontrati, dopo dieci fottutissimi anni.
Ma lui non disse niente, rimase zitto a guardarlo, a intrecciare lo sguardo fra i suoi ricci castani ancora indomabili, il lungo naso deciso, gli occhi penetranti e indagatori. Camminò vero il palco con una lentezza estenuante, misurando passi e movimenti, senza staccare i suoi occhi soprannaturali da lui.
- Che mi dici figlio di puttana? Piaciuta la sorpresa? - Matthew deglutì il nulla mordendosi a sangue il labbro inferiore
- Signore, devo chiederle di andarsene o sarò costretta a chiamare la sicurezza – la sua bionda baby sitter non mancò di guadagnarsi il suo salario, avvicinandosi a Theo con incerta ansia. Ma lui la degnò a malapena di attenzione, sempre fisso su di lui, come il mirino di un fucile di precisione. Un istante dopo, quando tutto l'odio che aveva dentro gli fu riversato addosso, si voltò con un sogghigno verso la donna – tranquilla tesoro, me ne vado – e si voltò, con la stessa innaturale calma con cui era arrivato.

Solo quando fu sparito dal marciapiede di fronte alla libreria Matthew ricominciò a respirare. Non si era nemmeno accorto di aver smesso.Un attimo dopo, cinquanta teste erano di nuovo sincronizzate sulla sua frequenza, e sparavano domande con la stessa rapidità con cui la sua assistente, Marguerite qualcosa, lo faceva alzare e allontanare
- Questa proprio non ci voleva – si lamentò con un pesantissimo accento francese nell'inglese scolastico – chi diavolo era quell'uomo signor Olsen? Un suo amico? - Matthew si trovò sospeso in un limbo nel quale non sapeva nemmeno di trovarsi. Il suo cervello si rifiutava di elaborare le informazioni, lo stava lasciando in balia del panico. Delle due informazioni che aveva elaborato, non sapeva quale realizzare prima. Isabelle era morta. Quando? Dove? Perché? Perché lui non ne sapeva niente? - signor Olsen - lo richiamò la donna, scuotendolo – è un suo amico? - Matthew trattenne un fremito
- Quello è...Theo – e la realtà lo schiaffeggiò nuovamente. No, non era un suo amico: lo aveva amato in un tempo che sembrava eternamente sospeso, e altrettanto totalmente lo aveva perso.

Parigi, la ville lumière, era di nuovo buia, adesso.
Parigi e le sue ombre...

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Capitolo 2
*** The Sleepers ***


The Sleepers

 

I'm not a stranger
No I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore

 

  • Hei bello, vuoi morire? - il taxista gli urlò contro agitando il pugno mentre Matthew raccoglieva da terra il suo libro sgualcito. La macchina era ferma a due centimetri da lui, e mezza Rue du Bac lo stava guardando con gli occhi sgranati. L'uomo nella vettura stava ancora parlando quando Matthew sparì dietro l'angolo col il libro sotto il braccio.

Percorse a passo spedito i cinquanta metri che lo separavano dal suo albergo e salì le scale senza nemmeno salutare il portiere di notte, che di solito amava raccontare delle sue innumerevoli nottate nella marina.

Si limitò a grugnire mentre gli passava davanti, per poi correre letteralmente senza fiato verso la porta della sua stanza.

Una volta al sicuro si appoggiò alla porta chiusa respirando affannosamente, sull'orlo dell'iperventilazione

  • Calmati Matthew. Respira – non aveva mai avuto problemi di attacchi di panico fino a quando non era tornato a casa da Parigi. Poteva svegliarsi la notte immerso nel suo sudore, il respiro corto e il battito accelerato, senza ricordarne nemmeno la causa. Eppure si sentiva oppresso, affannato e spesso esausto. La sua mente rincorreva qualcosa nel sonno, qualcosa che immancabilmente gli sfuggiva.

 

A fragile flame aged
Is misery
And when our hearts meet
I know you see

 

Si avvicinò alla finestra e la spalancò: l'aria calda e umida lo colpì bagnata in pieno viso. Una sensazione schifosa che lo fece sentire meravigliosamente vivo. Vivo e infelice. Bene così, c'era poco altro che volesse sentire.

Aprì l'armadietto dei liquori e si versò un whisky scadente senza ghiaccio, frugò sul fondo disordinato della sua valigia e ne estrasse un pacchetto di carta del pane marroncina, appallottolato come un pugno, e ne estrasse una manciata di marijuana dall'odore pungente.

Certi vizi sopravvivono al ricordo di chi ce li ha trasmessi.

Aspirò una generosa boccata dallo spinello e soffocò un colpo di tosse con un abbondante sorso di whisky, digrignando i denti. La sbobba peggiore che avesse mai bevuto. Meglio.

Lasciò correre lo sguardo oltre il quartiere ancora brulicante, la notte che scendeva velocemente, la sensazione di qualcosa che se ne andava per non tornare, qualcosa che giaceva nell'ombra pronto a prendere il suo posto.

Svuotò il bicchiere e fece un altro tiro, chiudendo gli occhi nel sentirlo arrivare finalmente al cervello. Una nuvola leggera lo avvolse come una mano calda e confortevole, troppo buona per frenare i ricordi di quella vasca da bagno, quando per la prima volta nella vita l'aveva sentita scendere e accarezzargli il corpo. Una rilassata spossatezza, un'appagata mollezza.

 

I do not want to be afraid
I do not want to die inside just to breathe in
I'm tired of feeling so numb
Relief exists I find it when
I am cut

 

Il nulla intorno a lui a ricordargli cosa ne era stato di quel ragazzo. Auto assoluzione provocata da alcool e droga, così innaturale eppure così appagante.

  • Pensavo avessi smesso con quella merda – David apparve nella stanza materializzandosi dal nulla. Il suo pigiama a righe marroni e grige era un vero pugno in un occhio, e lo faceva sembrare ancora più “ebreo ortodosso” di quanto non fosse, notò lui distrattamente prima di rispondergli uno svogliato

  • E' solo una canna cazzo! Fammi arrestare! - il ragazzo si avvicinò con la fronte aggrottata, i capelli corti dal taglio borghese a malapena spettinati sulla fronte, gli occhiali dalla montatura alla moda calati sul naso e leggermente storti, nella foga di sistemarli

  • Perché non mi hai detto che saresti rimasto fuori fino a notte? Ti avrei raggiunto – gli cinse la vita con le braccia, baciandolo – sei un vero bastardo Matthew Olsen. Anche per questo ti amo – era sempre così affettuoso, romantico, espansivo e innamorato. Matthew si sentiva di meritarlo come la merda di vacca merita di essere servita su un piatto d'argento.

  • Non volevo svegliarti – deviò il discorso aspirando l'ultima boccata prima di sprecare inevitabilmente una delle canne più buone che avesse fumato da tempo.

David gli scostò un ciuffo ribelle dalla fronte sudata


I may seem crazy
Or painfully shy
And these scars wouldn't be so hidden
If you would just look me in the eye

 

  • Sei uno schifo – decretò – stai bene? - Matthew lo guardò in faccia con il desiderio più pressante che avesse mai provato di dirgli la verità; aveva mentito sul finale del libro, aveva mentito anche a David sulla maggior parte di quello che aveva scritto. Non poteva confessargli la verità, non poteva farlo con nessuno.

  • Sono solo stanco e strafatto – tagliò corto voltando nuovamente lo sguardo alla finestra

  • Te l'ho detto che sei già abbastanza fuori di testa senza bisogno di respirare quello schifo – David lo guardò in tralice, cercando in lui la risposta alle proprie domande, invano. Poteva amarlo, di certo ne era convinto, ma non lo avrebbe mai conosciuto davvero. Era quel genere di cosa che Matthew non permetteva più a nessuno. L'aveva riposto in un cassetto sigillato della coscienza assieme ad un accendino scarico e i suoi fottuti sogni da adolescente.

David impugnò fra il pollice e l'indice lo spinello che pendeva ignorato dalle sue labbra.

Theo che gli soffiava il fumo in bocca sghignazzando.

David spense la canna con un secco gesto circolare della mano, lasciando sul davanzale una macchia di cenere scura.

Theo che sussurrava “Troppo forte per te?” come si parla ad un bambino.

David soffiò via la cenere, che si disperse nell'umida cappa di umidità parigina.

Theo lo fissava dall'altra parte della vasca, nell'utero in affitto di un'adolescenza che scivola via.

David lanciò la cicca dalla finestra ancora aperta con una piocca stizzita

Theo che appoggiava la testa al bordo della vasca, chiudendo gli occhi.

David richiuse la finestra con un gesto secco.

Theo che tirava via il tappo dalla vasca, lasciando scivolare via tutto. Hendrix, Clapton, il Vietnam e i registi guardoni.

Matthew lo lasciò fare. Era così, non si aggrappava più a niente, nemmeno alle sue illusioni. Semplicemente, le aveva lasciate scivolare via.

 

I feel alone here and cold here
Though I don't want to die
But the only anesthetic that makes me feel anything kills inside

 

  • Sono due giorni che non vieni a letto Theo, devo forse pensare che non ti interesso più? - una semplice domanda posta con un sorriso, come se non significasse nulla. Sollevò lo sguardo su di lei, i capelli legati distrattamente, una camicia da notte che somigliava quasi più a un vestito da sposa, lo sguardo dagli occhi grandi illuminato di ilarità.

E lui, distrattamente abbandonato contro lo schienale del divano, una sigaretta malamente arrotolata in bocca e gli occhi che amoreggiavano con il soffitto.

 

I do not want to be afraid
I do not want to die inside just to breathe in

 

Fece dondolare la sigaretta fra le labbra eloquentemente. Lei non faceva più caso ai suoi silenzi. Probabilmente meno che alle sue parole.

Si strinse nelle spalle e finse di non sentirsi tradita perché aveva preferito un'altra volta la solitudine a lei.

Succede quando si perde chi si ama. Succede specialmente nei gemelli.

Così dicevano tutti; doveva essere vero.

 

I'm tired of feeling so numb
Relief exists I find it when
I am cut

 

Si alzò e infilò con un gesto un paio di jeans slavati e stropicciati. Nel posto dove stava andando nessuno lo avrebbe notato. Anzi, con ogni probabilità, non ci sarebbe stato nessuno nel posto dove stava andando.

Non le disse “torno subito”, non le disse niente. Non le disse perché, né quando sarebbe tornato. Non le disse nemmeno “ciao”, perché la sua destinazione era stata capace di farlo smarrire già molto tempo prima. Cosa avrebbe fatto lei credendo in un “ciao” e ritrovandosi fra le dita un “addio”?

 

Pain
 

La Cinemathèque Francaise era sempre lo stesso edificio del cazzo, un ammasso di pietre del cazzo stagliate contro lo stesso cielo limpido del cazzo. Probabilmente, abbandonate davanti a quel cancello arrugginito c'erano ancora le stesse catene del cazzo che Isabelle aveva usato quel giorno.

Non faceva più troppo male pensare a lei, non con tutta la droga che si sparava per non pensare.

Gli avevano consigliato gli antidepressivi. “Li usano tutti ormai”, diceva sua madre nella totale inconsapevolezza di far parte di quei fottuti tutti. Ma lui non aveva mai amato la sensazione di provare qualcosa offuscato da un velo. Lui amava provare tutto al massimo, fino quasi a morirne. E ne sarebbe morto di certo, si disse, fanculo al mondo.

 

I am not alone
I am not alone

 

Ebbene, era lì, e non stava succedendo nulla. Dopo due anni aveva avuto il coraggio di tornare in quel posto, quel maledetto posto, eppure il fantasma di lei non era sceso a consolarlo, non gli avrebbe accarezzato il viso dicendogli che doveva andare avanti. No, lei non avrebbe sopportato di vederlo andare avanti. Lo avrebbe portato con sé nella fottuta tomba se avesse potuto farlo.

Si accese uno spinello che nemmeno sapeva di avere nella tasca della camicia zuppa di sudore.

Lo accese semplicemente, appoggiandosi al muro.

 

Un bambino che accarezza il suo primo giocattolo. Così si era sentito accostato a quel cancello. Indifeso, malinconico e solo.

Parigi non sarebbe più stata la sua casa, se mai lo era stata.

Il cinema che lo aveva visto muovere i primi passi nella vita, chiuso. Vuoto dentro. Conosceva la sensazione.

Mosse un solo passo echeggiante nel silenzio della notte, poi lo vide.

 

I'm not a stranger
 

Ovvio, dove altro avrebbero potuto incontrarsi? Erano o no dei vecchi cinefili disperati e incazzati? Non si sentivano forse persi? I vecchi sogni erano l'unico posto dove rifugiarsi, perché quelli nuovi erano così sbiaditi da vedersi a malapena.

Un altro passo, e gli occhi dell'uno furono di nuovo sull'altro.

 

No I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore

 

Non avrebbe saputo dire cosa lesse sul suo viso in quel momento, ma era certo di non volerlo sapere. Si fermò ai piedi della scala, semplicemente guardandolo.

Il silenzio pressante fra di loro.

Il fumo dello spinello che saliva verso il cielo in tante spirali disordinate.

Theo.

Il caldo soffocante delle notti di agosto a Parigi.

Theo.

Mille parole che vorticavano loro intorno, mai dette.

Isabelle, presente fra loro, quasi palpabile.

 

But I do not want to be afraid
I do not want to die inside just to breathe in

 

Lo sguardo gelido di lui attraverso la rada nebbia del fumo. E le sue prime parole

  • Che cazzo ci fai qui? Non hai il diritto di stare in questo posto – piatto come la lama di un coltello.

Distolse lo sguardo dal suo, nient'altro che per sfregiarlo ancora un volta, come se i suoi occhi non volessero abbassarsi ad averlo di fronte – è tardi per piangerla -

Matthew aveva amato Isabelle con la cocente innocenza e stupidità del primo amore; l'aveva idealizzata e posta al di sopra di tutto, anche della sua stessa concezione di bene e male. Era accecato. Giovane e posseduto dall'ingenua passione dei suoi vent'anni.

Di lei aveva amato tutto, compreso Theo. Ma di lui, Matthew, aveva conosciuto tutto, visto tutto, comprese le linee di colpa tracciate all'interno. Di lui Matthew conosceva l'intimo dolore, perfino l'indifferenza con cui amava trattare il mondo.

Sarebbe stato bello poterlo incolpare allora per la fine che avevano fatto.

Ma la verità era che Isabelle si era persa molto prima d'incontrare lui, o di amarlo, o di perderlo.


I'm tired of feeling so numb

 

  • Perché non mi hai avvertito? Sarei venuto – Theo sollevò lo sguardo nuovamente

  • Per QUESTO non ti ho avvertito – tirò una boccata dallo spinello e la trattenne a lungo, ad occhi chiusi, prima di espirare – te l'ho detto Matthew, noi siamo uno – aveva dimenticato l'inflessione percettibile con cui pronunciava il suo nome. Ma non aveva dimenticato la nota supponente che amava dare al suo nome.

In quel momento, l'idea di ferirlo, più di quanto già non fosse distrutto, gli accarezzò la mente. Ma era la verità, più che la sconfitta, che avrebbe inflitto a Theo quella notte

  • No, Theo, voi eravate uno. Ora sei solo, perché lei è morta – lo disse con una tale rabbia silenziosa che i suoi stessi capelli crepitarono.

L'altro lo guardò ad occhi spalancati, lo spinello a mezze labbra, in bilico, il corpo abbandonato contro i cancelli della Cinémateque Francaise.

Quella sera sarebbe toccato a lui l'ingrato compito di infrangere i sogni. Quella notte avrebbe svuotato lui la vasca...


Relief exists I found it when
I was cut

(Cut, Plumb)

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Capitolo 3
*** The Awake ***


The Awake



No, Theo, voi eravate uno. Ora sei solo, perché lei è morta – ed era così quindi che ci si sentiva a sentire a verità dalla bocca di qualcun altro. Di tutti, al mondo, la cui bocca si muoveva a sproposito, certo Matthew era l'ultimo da cui si sarebbe aspettato di sentirla.

What started as a whisper
Slowly turned into a scream



Andò a fondo la verità, come un rivolo d'acqua lungo la grondaia, cadendo nel nulla più assoluto. Come era venuta, la verità scivolo via nel vuoto del suo essere.
Non sai di cosa parli – sbuffò alzandosi.
E allora dimmelo tu! - Matthew lo guardò intensamente, dal remoto e più profondo di quegli innaturalmente enormi occhi azzurri. Vide uno sguardo diverso in lui, qualcosa di spento che prima non c'era. Qualcosa di morto – parlami Theo, raccontami. - Theo sbuffò

Searching for an answer
Where the question is unseen



Tu non sai niente. Sei scappato appena hai sentito puzza di guai, e non sei più tornato – lo disse in un modo decisamente meno crudele di quanto avrebbe voluto. Fanculo all'emotività. Inspirò. Una fitta di dolore gli tolse il respiro, schiacciandolo a terra. Un dolore cieco di traverso all'anima, una di quelle lame che non si possono estrarre. La sua Excalibur. Solo qualcuno veramente degno avrebbe potuto tirarla via dal suo cuore e farlo ricominciare a vivere. Ma non esisteva nessuno abbastanza degno da guarire la ferita inferta da Isabelle.
Matthew sbottò
Stavi combattendo per qualcosa che non esisteva Theo! Ti sei trascinato dietro Isabelle senza nemmeno sapere dove stavi andando! - scoppiò in una risata secca
Oh perché tu sì Hendrix? Tu lo sapevi? Non avevi nemmeno mai scopato prima di conoscerci! - lo fissò con un misto di disprezzo e scherno, che così bene sapeva mettere su a piacimento – sei sempre stato solo un dannato ipocrita Matthew. L'armonia dell'universo, ogni forma trova il suo posto nel mondo e quell'altra fottuta marea di cazzate sul Vietnam e la chitarra suonata con i denti. Ma alla fine dei conti, tutta la tua libertà, la tua geniale e rivoluzionaria idea del futuro ti è servita per pagarti il volo di ritorno al calduccio nella tua casetta borghese dei maledetti Stati Uniti! -

I don't know where you came from
And I don't know where you've gone
Old friends become old strangers
Between the darkness and the dawn



L'altro si passò una mano fra i capelli biondi appiccicati alla fronte
La MIA ipocrisia signor “libretto rosso”? Hai preso la porta e sei uscito completamente ubriaco a combattere una guerra che non sapevi nemmeno ci fosse – rise amaramente – tu e tutti i tuoi amici a marciare in fila per una libertà di pensiero che vi aveva resi schiavi della stessa ideologia fottuta dei vostri padri! Avete sostituito “consumismo” con “comunismo” e vi sentite degli illuminati! -
Io non sono come mio padre! - imprecò fra i denti.
Matthew scosse la testa, lo sguardo infantile illuminato della stessa luce che Theo aveva conosciuto. La vita, la lotta, la speranza sbatacchiavano ancora disperatamente dentro di lui, venendo fuori in quel conato di parole inconsulte. Lo guardò, come si guardano i bambini capricciosi. Sorridendo
Lo vedi? Hai trentanni e stai ancora a scrollarti di dosso la paura di crescere – si strinse nelle spalle – tu non la amavi davvero Theo. Facevi quello che facevi perché sapevi che tuo padre sarebbe uscito di testa. Hai usato Isabelle per ferire tuo padre e nemmeno – lo colpì, un pugno diretto allo zigomo. Poté avvertire il rumore fradicio della pelle che si lacerava. Matthew cadde a terra, colto alla sprovvista, si tastò il viso e rimase ad osservare il sangue sulle sue mani.
Il sangue rosso della verginità di Isabelle.
Theo rimase immobile, la mano che pulsava abbandonata contro il fianco e una voglia insopprimibile di sparire.

Amen Omen
Will I see your face again
Amen Omen
Can I find the place within
To live my life without you



L'altro si mise a sedere lentamente, e si rialzò con altrettanta calma, senza staccare gli occhi dalla sua mano bagnata di sangue. Poi lo guardò, la delusione e il dolore immenso che solo lui poteva contenere, come un enorme barattolo di vetro.
Theo aveva visto di lui tutto ciò che un uomo dovrebbe vedere di un altro, e anche di più. E lo aveva usato contro di lui, proprio come aveva fatto con tutti, per tutta la sua vita.
Matthew lo aveva guardato negli occhi, e gli aveva sputato in faccia che, fra quei tutti, c'era anche lei. E lui lo aveva colpito, perché dentro di sé sapeva, dalla notte dei tempi, che Matthew aveva ragione.
Ma l'altro non aveva intenzione di dargli una pacca sulla spalla e accompagnarlo a casa con quel sorriso un po' sornione che non era cambiato affatto.
Il tuo Mao sarebbe fiero di te. Testone e violento, proprio un soldato perfetto. Peccato che tu faccia schifo a tirare i pugni proprio come facevi schifo come fratello – si asciugò distrattamente la mano sui pantaloni bermuda beige, ed estrasse dalla tasca un fazzoletto di stoffa – o forse peggio -

I still hear you saying
All of life is a chance
And is sweetest
When at a glance



Lo vide partire nuovamente. E avrebbe anche potuto evitarlo, se avesse voluto. Farlo muovere e stancare, imprecare e sibilare fino a che il caldo soffocante di Parigi non avesse fatto il suo dovere. Ma il dolore era l'anestetico più potente che conoscesse alla disperazione. E lui, di disperazione, ne aveva da smaltire tanta.
Theo mosse un passo verso di lui con rabbia, proprio mentre le parole “come fratello” si delineavano sulla sua bocca, e gli assestò un altro pugno così forte da farlo barcollare. Non più così forte però
Fai pena, non sei nemmeno capace di difenderla? -
Ho passato tutta la vita a difenderla bastardo! Dai tipi come te che volevano solo portarsela a letto e fottersene! - gli occhi scuri e allungati di Theo erano ridotti a fessure, e la gelida patina di autocontrollo era ormai un ricordo. Tremava e imprecava come in preda alle convulsioni – IO ci sono stato per lei! IO non me ne sono andato quando le cose sono diventate difficili. IO NON L'HO SCOPATA E ABBANDONATA COME TE! -
No ma avresti voluto! - quelle parole riecheggiarono immobili in un silenzio innaturale, galleggiando nell'aria umida della notte. - è così no? - continuò lui, consapevole di essere decisamente sull'orlo. Un altro passo e – se avessi potuto scoparla e lasciarla la tua vita sarebbe stata più semplice. Addio. - inspirò leggendo sul viso dell'altro la disperazione e l'ira incontenibile. Sarebbero esplose entrambe, lo conosceva troppo bene. Perciò titillò quel punto del suo cuore già sanguinante, così che per curarlo lui fosse costretto a ritrovarlo.

But I live a hundred
Lifetimes in a day
But I die a little
In every breath that I take



Theo lo afferrò e lo sbatté al muro violentemente
Spiegami adesso perché non dovrei mettere fine alla tua inutile vita – Matthew lo guardo negli occhi e rise, in modo animalesco, quasi primitivo per quello che dalla sua gola venne fuori. Sbattuto al muro della Cinémateque Francaise da una delle due persone al mondo il cui ricordo lo aveva tormentato per dieci anni, Matthew Olsen rise di se stesso, della vita, del dolore, e del modo in cui gli uomini lo usano per farsi del male, il modo in cui lui lo stava usando, per afferrare qualcosa che non sapeva nemmeno se avrebbe trovato in Theo
Perché ho ragione – sussurrò – lo sai che ho ragione – Theo serrò la mandibola e gli premette la mano sulla gola.
Stai dicendo cazzate da quando sei arrivato qui. Non hai fatto altro che dire cazzate per tutta la tua vita – sembrò per un istante arrendersi e lasciare la presa, ma qualcosa che aveva visto in quel battito di ciglia lo irrigidì
E' così uh? Il senso di colpa – la corda dell'amore vibrò fra di loro come un violino scordato. Matthew era l'unica persona a poter dire quelle parole. E anche l'unica a non poterle dire senza scatenarne la reazione.
Un'altra notte. Un'altra vita. La stessa mano sulla sua gola. Stringere e parlare. Stringere e ascoltare. Stringere e soffocare le parole nella sua gola che non voleva sentire. Un'altra notte, un'altra vita, lo stesso amore.
Theo aveva recuperato il controllo; premeva sulla sua gola con pacata ira, un insensato miscuglio di parole per dire che non lo avrebbe lasciato andare, ma nemmeno lo avrebbe ucciso, per ora.
Non lo so. Dimmelo tu – i suoi occhi scuri scintillarono di piacere perverso, come mille altre volte – come ci si sente a sapere che se non te ne fossi andato lei sarebbe ancora qui? - ma ora fu il turno di Matthew di fissarlo con sufficienza. Dentro stava morendo, ma trovò comunque la forza di essere supponente. Era inutile quella conversazione. Tutto era inutile. Le sue mani su di lui, i suoi occhi che lo fissavano in cerca di assoluzione non avevano senso. Theo non era più responsabile di lui della morte di Isa, nessuno dei due avrebbe potuto cambiare le cose, eppure nessuno dei due si sarebbe mai più sentito libero

Amen Omen
Will I see your face again
Amen Omen
Can I find the place within
To live my life without you



E così c'è riuscita, alla fine – sussurrò – a tenerci legati a lei per sempre – Theo granò impercettibilmente lo sguardo, allentando la presa sulla sua gola. E di nuovo sembrò avere vent'anni, lo sguardo allibito di fronte alla scoperta che il mondo stava cambiando
Io sarò legato a lei. Sempre – decretò seriamente – e se lo fossi stato anche tu, lei sarebbe viva -
Perché cazzo non la smetti? Perché non la pianti di cercare d'incolpare qualcuno per qualcosa che nessuno avrebbe potuto cambiare? Isa è morta, Theo, MORTA, ed è successo. Nessuno.. - una fiamma di follia omicida dilatò lo sguardo di lui in modo innaturale. Serrò la presa sulla sua gola e la pelle sul suo viso di tirò d'ira incontrollata
Sta zitto! -
No, adesso tu mi ascolti – Matthew cominciava a sentirsi mancare il respiro, ma non cedette, doveva sapere – la morte è una cosa che non si può controllare, fa parte della vita – Theo strinse ancora, costringendolo a tossire per riprendere fiato
Si è ammazzata cazzo! - urlò rabbiosamente battendo la mano aperta contro il muro, a pochi centimetri dal sua testa – e non l'avrebbe fatto se le persone che amava fossero state lì – la voce si abbassò fino quasi a morire, mentre la presa si sfaceva debole e l'alta figura di lui si accartocciava su se stessa – non l'avrebbe fatto se io fossi stato lì – e così era questo il pugnale che lo trafiggeva da anni. La colpa, inesorabile e attenta, che lo uccideva lentamente ogni giorno.

I listen to a whisper
Slowly drift away
Silence is the loudest
Parting word you never say



Theo – tentò, realizzando quanto qualsiasi cosa da dire fosse inutile. Pensò fuggevolmente che si sarebbe dovuto prendere quel fottuto pugno e tacere, pensò che sarebbe stato meglio.
Fanculo. Sta zitto – Theo si lasciò andare contro il muro, scivolando a terra senza forze. Se non fosse stato dotato di ossa e muscoli, probabilmente si sarebbe liquefatto sulla nuda pietra. Senza vita.
Io -
STA ZITTO CAZZO! - respirava affannosamente, in preda al panico. Lacrime violente e crudeli gli sgorgarono ai lati degli occhi, e per il modo in cui scivolavano giù in fretta, Matthew pensò che fossero le prime da una vita. Erano state così tanto sul punto di essere versate, da aver quasi bisogno di cadere. Una cosa assurda, se si pensava che le lacrime erano solo acqua e sali minerali.
Ma talvolta, quando il dolore è troppo da sopportare, quando non piangere diventa l'unico imperativo per restare vivi, quando chiudere tutto fuori e smettere di sentire sono le soluzioni ultime di un corpo vuoto, le lacrime sono l'unica cosa a rimanere davvero viva.
Matthew riconobbe quella sensazione, quel soffocamento. Il respiro rarefatto, l'oppressione e i polmoni affamati d'ossigeno.

I put your world
Into my veins
Now a voiceless sympathy
Is all that remains



Era così alla fine, si disse. Il senso di colpa non li avrebbe lasciati mai. Uniti inesorabilmente dal rimorso, ed eternamente divisi.
Non pianse. Si voltò a guardare Theo, il viso contratto, il corpo mollemente appoggiato alla parete, il volto arrossato bagnato di lacrime silenziose, solo un lieve gorgoglio nel petto che faceva vibrare il corpo di spasmi silenziosi.
Così rimase, immobile e guardarlo. A guardarlo svegliarsi.


Amen Omen
Will I see your face again
Amen Omen
Can I find the place within
To live my life without you
(Amen Omen, Ben Harper)

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Capitolo 4
*** The Sleepwalkers ***


The Sleepwalkers



Ci sono abissi che l'amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.
(Honoré de Balzac)



La sala era immersa nella maestosa luce dei candelabri di cristallo, lo Champagne di ottima annata, le chiacchiere educate ma concitate degli invitati, la delicata mescolanza dei profumi delle donne con gli odori naturali dei fiori, dell'amido delle divise dei camerieri, il lucido del pavimento splendente. La sala era un diorama luminescente di luci e colori. I suoni controllati si animavano insieme come un vivace sussurro di vita; ogni tanto, dalla piana consistenza del vociare, saliva il vivace riso di una donna brilla, una tonante risata, un trillo civettuolo. Quella vita, quell'energia, quell'esistere colmo di industriosa vitalità avrebbero scaldato qualunque cuore. Avrebbero...
Matthew sorseggiava svogliatamente un whisky che doveva avere almeno l'età di suo nonno, e osservava la folla con il fastidioso distacco dell'artista, cogliendo le sfumature, gli sguardi, le relazioni fra gli invitati come un invisibile filo rosso.
Non era uno scrittore, “I sognatori” era stato il suo primo romanzo, eppure lo aveva catapultato nell'empireo dei best sellers del New York Times nel giro di un battito di ciglia.
La verità era che era un guardone. Lo era da sempre.
Sempre pensieroso? - David, al contrario, sembrava spassarsela: d'altra parte, l'alta società era il suo ambiente naturale. Capita ai figli dei diplomatici israeliani.
Odio queste cazzo di feste – ribatté lui trangugiando d'un sorso il contenuto del prezioso bicchiere di vetro di chissadove
Oh, siamo in vena di francesismi – David era tipo l'unica persona sulla Terra capace di farlo sentire una merda senza insultarlo lontanamente. Forse era l'espressione scocciata, forse il portamento da “signorina in chiesa”, come amava definirla lui stesso. Forse era solo la sua opinione a contare davvero. Chissà. Il ragazzo si appoggiò accanto a lui, incrociando le braccia senza versare nemmeno una goccia di Champagne – ti decidi a dirmi cosa c'è che non va, o dovrò chiedere un favore personale al Commissario Morel laggiù? - l'uomo in questione era un tipico poliziotto parigino, calvo, i baffi perfettamente ordinati su un viso arcigno e olivastro, la postura di chi pensava di poter fottere il mondo.
Lascia perdere – Matthew si mosso con la poca grazia che lo contraddistingueva da sempre, e David lo afferrò per un braccio, offeso
Dove stai andando? - era decisamente lo sguardo di uno la cui frase sarebbe finita, prima o dopo, con un “se esci da quella porta io...”, ma quella non era decisamente la serata giusta per porlo di fronte ad ultimatum del genere. Non dopo quello che era successo.

24 ore prima***************************************

Quando è successo? - la tempesta era passata. Così com'era venuto, il pianto disperato di Theo se ne era andato, lasciandoli entrambi sfiancati e silenziosi.
Alla fine, dopo minuti che gli erano sembrati ore, Matthew aveva rotto quel silenzio sacro, ponendo LA domanda, legando insieme parole che potevano, potenzialmente, rompere di nuovo gli argini.
Theo rimase in silenzio, lasciò scorrere tutto senza muoversi, gli occhi chiusi e la testa abbandonata alla nuda pietra, il viso arrossato ormai asciutto, con solo le lunghe ciglia appiccicate l'una all'altra a testimoniare la propria ritrovata umanità.
Si accese una sigaretta senza fretta, osservando la fiamma dell'accendino, come ipnotizzato. Matthew trattenne il fiato. Era quell'accendino. Il loro accendino.
L'altro aspirò una lunga boccata, riprendendo vita quasi magicamente. Poi, con un sospiro che lo fece vibrare dalla testa ai piedi, espirò e rispose
Due anni fa, si è uccisa come Cleopatra, la pazza - sorrise amaramente, così amaramente da sembrare sul punto di piangere ancora. Ma non lo fece, anzi si voltò verso di lui con sguardo malinconico, eppure sottilmente ammirato – non so dove cazzo l'ha trovato un aspide – scosse la testa, sospirando.
Matthew non avrebbe avuto idea di cosa dire nemmeno con un vocabolario fra le mani; conosceva una marea di modi per dire “mi dispiace”, eppure nessuno sembrava minimamente adatto al momento. Tutto sembrava così superfluo, così inutile. E Theo non voleva sentire niente da lui, se non il suo respiro accompagnarlo in quel racconto doloroso. Così tacque, e lo lasciò immergere fino al cuore in quell'affilata lama di passato con la quale così profondamente aveva scelto di ferirsi.
Eppure Theo non aprì bocca, continuando a fumare lentamente, aspirando con un suono sibilante tutto il fumo che riusciva a contenere. Poi spense la sigaretta, ed estrasse dalla tasca dei jeans sbiaditi una busta di tabacco, un paio di cartine stropicciate e un sacchettino di plastica. Si voltò verso di lui e gli porse il tutto
Te lo ricordi ancora come si gira una canna? -
Ho imparato dal migliore – sussurrò piano di risposta, terrorizzato che una sua sola parola rompesse la magia. Afferrò il necessario dalla mano dell'altro e lo sfiorò impercettibilmente. Forse era passato troppo tempo dall'ultima volta che l'aveva toccato, fatto sta che si sentì invadere dal bisogno di sentirlo, come un drogato disintossicato da tempo. Arrossì violentemente, senza volerlo: aveva ancora ventanni davanti a lui, li avrebbe sempre avuti.
Ma Theo gli concesse uno di quei suoi rari sorrisi storti, quelli che aveva imparato a classificare come “autentici”; lo aveva visto sorridere molte volte, ma rare per davvero, senza pensieri, come un comune e spensierato ragazzo della sua età. C'era sempre qualcosa di incompleto, di manipolatore, di doppio nelle sue espressioni. Qualcosa che sfuggiva al suo controllo.
La menzogna era l'ombra oscura nello sguardo di Theo, esattamente come la tristezza lo era in quello di Isa.
Cominciò a preparare lo spinello, sotto lo sguardo quasi intenerito di Theo, in imbarazzo. Tutto cambia, e tutto resta uguale.
E' stata colpa mia – disse alla fine, senza inflessioni, come un dato di fatto. Matthew non si mosse, terrorizzato che quelle parole potessero essere le ultime – l'ho uccisa io – deglutì, sentendo le mani tremare un istante. Poi s'impose di continuare, mentre, finalmente, nuove parole fluivano via da Theo – non me ne frega neanche un cazzo di lei – sbottò in una risata amara – mia moglie, sai, te ne ho parlato? - sembrava nuovamente assente. Matthew scosse la testa, leccando l'estremità appiccicosa della cartina. Dentro era di ghiaccio, proteso verso di lui per paura di perdersi una sillaba – l'ho sposata dopo un mese. Ti rendi conto? Trenta fottutissimi giorni e quella pazza ha accettato di sposarmi – rise di nuovo, con sempre meno allegria. Matthew sentì scivolare via la sua umanità, come se necessitasse di tenere alte le barriere per non crollare. Si pentì di avergli chiesto di lei. Ma doveva farlo. Per entrambi. Batté lo spinello contro il pavimento un paio di volte, perché il tabacco e la marijuana si comprimessero bene all'interno, poi cercò l'accendino nella tasca della camicia, ma Theo lo precedette, porgendogli l'accendino d'acciaio che entrambi conoscevano bene – Usa questo – disse semplicemente, senza guardarlo.
Matthew si sentì morire, ma non gli concesse di vedere quanto anche solo stringere fra le dita quell'accendino lo facesse sentire uno schifo. Forse, se gli avesse mostrato quanto ancora quella parte della sua vita lo tormentasse ancora, Theo non sarebbe stato così duro con lui, non lo avrebbe considerato un vigliacco, non lo avrebbe odiato per averli abbandonati. Eppure qualcosa dentro di lui urlava il contrario. Theo aveva bisogno di odiarlo per odiare meno se stesso. Così sia.
Accese lo spinello con noncuranza, mentre Theo ricominciava a parlare
La prima volta che l'ho portata a casa, Isa non mi ha parlato per tre giorni – era nuovamente gelido come un ghiacciolo, lontano anni luce dal suo corpo – quando le ho detto che sarebbe venuta a dormire da noi è partita per un week end in una SPA del cazzo in Borgogna – un'ombra, impercettibile e definitiva, gli attraversò lo sguardo un infinitesimale istante. Poi passò – quando le ho detto che l'avrei sposata... - il silenzio, denso e opprimente su di loro, parlò per entrambi.
Matthew inspirò una generosa boccata e sentì finalmente gli effetti invadergli la mente: leggero e quasi incosciente si abbandonò a occhi chiusi contro il muro. Poi allungò la mano verso Theo, che accettò lo spinello, tirò a lungo senza espirare, e si lasciò cadere ancor più mollemente accanto a lui. Alla fine si voltò, serio, mortalmente immobile nell'umidità della notte – Uno di noi doveva morire Matthew – sentenziò senza alcun sentimento – e l'altro sarebbe stato libero -
Libertà. Faceva una paura fottuta.
Noi siamo gemelli siamesi. Attaccati qui.
Lo aveva detto in quel bar, toccandosi la tempia quasi distrattamente. Eppure, in quel pomeriggio equivoco e terrorizzante, Matthew aveva capito dolorosamente che il legame fra loro era inconcepibilmente indistruttibile, e altrettanto profondamente deleterio. Si sarebbero logorati a vicenda fino a uccidersi. Lo aveva pensato allora, con la leggerezza e l'ansia di un ragazzo di vent'anni. Lo realizzava in quel momento, con la gelida consapevolezza di un adulto. Niente sarebbe cambiato. Quella parte di lui sarebbe rimasta ancorata a Isabelle per sempre, e l'altra si sarebbe sentita in colpa per non averlo fatto. Bella merda.
Anche io vi ho abbandonati – gli costò una fatica immensa dirlo. Tremenda.
L'altro rise, quasi goffamente per effetto dello spinello.
Lo so – inspirò una boccata e mise le mani a coppa attorno alla bocca. Matthew, colto alla sprovvista, lo imitò, il suo corpo che rispondeva ad un gesto impressionante per quanto era familiare. Theo avvicinò il viso lentamente al suo, lasciando che la marijuana alleggerisse il suo mondo. Infine, senza smettere di fissarlo con quei suoi taglienti occhi scuri, gli soffiò il fumo in bocca, assieme alla definitiva condanna – per questo ti odio – Matthew non era quasi riuscito ad aspirare che la bocca dell'altro era violentemente pressata sulla sua. Se fosse stato chiunque altro, chiunque, si sarebbe tirato indietro. Ma Theo non aveva permesso mai a nessuno di rifiutarlo. A lui meno che mai.
Non fu il bacio che Matthew aveva sognato. Non fu dolce e trascinante, un crescendo di passione e sentimenti rivelati. Fu la rabbiosa e inequivocabile conferma e negazione di tutto. Furono le mani di Theo che gli tiravano indietro la testa, dolorosamente. Fu come soffocare. Fu ingoiare la vita e sputarla via. Fu uno scontro di corpi. Fu qualcosa di trascendentale e pragmatico, tutto e il contrario. Non c'era cuore, solo...carne.
E c'erano loro, l'uno nell'altro, alla ricerca di lei.

*******************************************************

David era ancora lì che lo fissava irritato e sbalordito
Te ne stai davvero andando? - sussurrò fra i denti, attento che le poche teste che si erano voltate a guardarli non capissero – mi stai davvero mollando qui come l'ultimo degli stronzi per andare chissà dove a fare chissà cosa alle mie spalle? - il fatto che avesse usato una parolaccia era già indicativo del suo stato mentale, il suo tono sibilante e disperato insieme, quasi supplichevole nel suo tentativo di essere rabbioso, chiarirono inequivocabilmente che, se Matthew fosse andato via da lì senza avere come minimo una spiegazione valida, non avrebbe trovato nessuna colazione a letto il mattino seguente, se avesse ancora avuto un letto.
Ma lui non voleva essere lì. Lui voleva essere dove sapeva sarebbe precipitato ancora più a fondo nella propria rovina. Lui voleva sentire ancora il suo corpo dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi.
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, mingherlino ed effeminato almeno quanto Theo era attraente e mascolino. Non che fosse una questione di confronto o paragone. Non aveva nemmeno pensato a Theo come ad un essere umano. Era semplicemente lì, nell'empireo dei suoi desideri proibiti.
Ma qualcosa c'era, qualcosa da inseguire e per cui lottare. Lui l'aveva vista. E Theo sarebbe stato costretto ad ammetterlo una volta per tutte. Doveva.
Devo fare una cosa – disse
Matthew. Matthew non farlo ti prego – fu una pena uscire da quella porta. Un dolore di un'atrocità indicibile. Deludere chi amava. Voltare le spalle a quello che era giusto e consono. Essere il bastardo che aveva sempre cercato di soffocare. Essere se stesso.
E così lo lascio indietro. Come niente. Come il resto.
Theo aveva comprato casa in un quartiere semi-residenziale in un quartiere diametralmente opposto a quello dove abitava da ragazzo, e Matthew seppe con certezza che non era stata una scelta casuale.
Rimase immobile ai piedi dell'edificio, osservando la finestra illuminata dell'appartamento.
Si voltò e fece per andare via.
Si fermò in mezzo alla strada e tornò sul marciapiede.
Imprecando si allontanò per poi voltarsi nuovamente.
Con un sospiro seccato maledì se stesso e fece per suonare il campanello, ma il portone era aperto, bloccato da un talloncino di legno di quelli che usano i condomini per portare su la spesa senza aprire e chiudere mille volte.
Salì velocemente le scale, dicendo a se stesso che era forse un segno del destino, che c'era speranza, che non era un perfetto idiota. Che magari...
Si bloccò nuovamente con il cuore a mezz'asta, il respiro corto e la gola secca. Rimase fermo lì davanti per un quarto d'ora, finché non si accorse che anche la porta d'ingresso era aperta. Appoggiata solo allo stipite, sembrava lasciata aperta volontariamente.
Con un sorriso entrò, picchettando il legno giusto per non essere scortese, giusto per non disturbare. Anche se lui lo stava aspettando.
Camminò più in fretta, il cuore che gli sbatacchiava nel petto e la voglia di ridere a crepapelle e lasciarsi alle spalle il dolore. Isa li aveva lasciati per permettere loro di trovarsi davvero. Era così? Era il destino?
Non era mai entrato lì, ma camminò in corridoio davanti a porte chiuse e luci spente.
In fondo, nell'angolo vicino a quello che doveva essere il salotto, una porta era socchiusa ed emanava una tiepida luce arancione.
Con il respiro accelerato e lo stomaco chiuso Matthew si diresse quasi radente il muro verso la stanza.
Come uno stupido si controllò l'alito e il completo che, malgrado il viaggio in taxi, era ancora ben stirato.
Era una cosa stupida, ma quando arriva QUEL giorno, non è che si possa stare lì a lasciare al caso.
Una serie di rumori attutiti lo distolse dall'esame di se stesso, gemiti, ansimi e versi a malapena contenuti accompagnavano la luce calda dell'abat-jour.
Inspirando spinse la porta: una donna dai lunghi capelli scompigliati gemeva senza posa aggrappata ai cuscini del letto matrimoniale, mentre Theo le era sopra e si muoveva ritmicamente, affondando di più ad ogni colpo.
Matthew rimase impietrito. Avrebbe voluto andarsene senza farsi vedere, risparmiandosi l'umiliazione di essere lì. Di essersi nuovamente illuso.
Ma fu allora che Theo sollevò lo sguardo verso di lui. Lo guardò e sogghignò, letteralmente, senza mezzi termini. Affondò un ultimo colpo, poi gettò indietro la testa senza smettere di guardarlo e ridere. Rideva di lui, di quei passi ingenui e speranzosi che l'avevano spinto fino a lì. Rideva delle sue speranze, dei suoi sogni mai veramente sopiti. Rideva del suo amore, come aveva sempre riso di tutto. Mentre raggiungeva l'orgasmo, Theo gli aveva incollato gli occhi addosso infliggendogli l'umiliazione definitiva. Ogni porta aperta, ogni luce accesa di quella notte erano state messe lì per lui. E lui aveva varcato ogni soglia, camminato sotto ogni luce. E lo aveva visto, il diabolico sorriso dell'altro mentre scopava la donna per cui aveva abbandonato Isabelle. Per cui stava mandando a fanculo lui. Il tutto per arrivare a quel punto, per chiarire il punto. Matthew poteva andare a farsi fottere.
In silenzio, lasciò che l'ombra lo avvolgesse, e tornò sui suoi passi.

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Capitolo 5
*** The Dead Walkers ***


The Dead Walkers


Non c’è travestimento che possa alla lunga nascondere l’amore dov’è, né fingerlo dove non è.
(François De La Rochefoucauld)


Te l'avrei succhiato anche gratis – sorrise l'altro ripiegando lentamente le banconote che gli aveva appena dato. Notò che aveva un sorriso giovane, troppo giovane per uno che faceva le marchette all'angolo della strada. Troppo giovane per chinarsi di fronte a vecchi porci lascivi nei vicoli puzzolenti. Troppo giovane per guardarlo in quel modo, come se avere incontrato lui, quella notte, fosse un regalo gradito. Non avrebbe dovuto esserlo.
Quanti anni hai? - gli chiese estraendo una Gauloises senza filtro dalla tasca posteriore dei jeans. Il ragazzo lo fissò interdetto, i grandi occhi azzurri dilatati per la paura. Si passò nervosamente una mano fra i capelli biondo paglierino, lunghi fino alle orecchie, fin troppo puliti per uno che faceva quella vita
Cosa sei? Uno sbirro? Sono maggiorenne e vaccinato. Vuoi vedere i documenti? - lo sfidò.
Theo aspirò una generosa boccata di fumo e lo fissò. Troppo giovane e basta.
Easy tiger – non si era nemmeno reso conto di aver parlato inglese. Conosceva il perché, esattamente come la pianta sa sempre dove si trova il sole. E sfidò la natura stessa di quel pensiero, ricacciandolo indietro caparbiamente – Non ti scaldare, era solo per sapere – gli porse il pacchetto, e il ragazzo estrasse due sigarette. Ne tenne una fra le labbra mentre infilava distrattamente l'altra dietro l'orecchio. Un anellino di quello che sembrava argento gli brillò al lobo. Troppo giovane.
Diciannove, venti fra una settimana – vent'anni. Cristo, ricordava ancora perfettamente la sensazione. Il potere, la fame, il bisogno di avere tutto, subito, ancora prima di chiederlo. Quel ragazzo, malgrado tutto, poteva permettersi di guardare dall'alto in basso chiunque, anche lui. Poteva prostituirsi per il motivo che voleva, anche se dubitava fossero i soldi, ma era comunque lui a vincere. Ogni volta che un quarantenne frustrato, un cinquantenne arrapato, un sessantenne disperato si avvicinava a lui, lo abbordava, lo pagava, lo guardava, lui vinceva. Vinceva perché era giovane, era bello, era vivo, e lo sarebbe stato malgrado tutto, malgrado il sesso a pagamento, malgrado lo schifo o l'umiliazione, lui aveva tempo. Non c'era sofferenza al mondo che valesse quel tempo.
Eppure lui, Theo, aveva dimenticato quanto potesse essere bello. Aveva dimenticato quanto potesse essere prezioso. Aveva dimenticato ogni cosa da quando lei se ne era andata. Perfino a vivere.
Come diavolo fai a fumare questo schifo? -
Spero mi ammazzi presto – ribatté semplicemente soffiando via il fumo.
Come ti chiami? - Theo sollevò un sopracciglio
Vuoi inciderlo su un albero in un cuore? - il biondo rise, di una gentile innocenza che non avrebbe dovuto appartenergli. Così lontana da lui, così vera che gli fece sentire freddo sulla spina dorsale. Aveva mai riso così lui?
No, voglio mandarti un biglietto d'auguri a Natale – si strinse nelle spalle – io mi chiamo Julien – un'auto accostò al marciapiede e strombazzò; una manciata di ragazzi, dall'aspetto troppo giovane anche per poter entrare in un bar, si avvicinò ammiccando alla portiera del passeggero. I due, appoggiati all'incrocio del vicolo, lanciarono un'occhiata distratta al guidatore che si guardava febbrilmente intorno – un verginello – dichiarò Julien spegnendo la sigaretta contro la fredda pietra del muro dietro alle sue spalle – non sa chi scegliere, ha paura degli sbirri, probabilmente stasera farà cilecca per la tensione – sogghignò guardandolo fisso negli occhi – tu hai l'aria di uno che bazzica qui spesso invece – Theo inspirò
Ognuno ha i suoi hobby -
Sei sposato – non era una domanda – tua moglie lo sa? - stava decisamente cominciando a fare troppe domande
Non c'è niente da sapere. Faccio quello che mi piace, non ha niente a che fare con lei – Theo non era mai a disagio. Era una cosa che non lo toccava. Non era mai stato a disagio, nemmeno quando Isabelle lo aveva costretto a masturbarsi davanti a lei e Matthew, nemmeno quando li aveva sentiti fare l'amore a pochi metri da lui, quando aveva sentito la verginità di sua sorella strappata via da un americano idealista con gli occhi più grandi che avesse mai visto. Mai.
Chi riguarda allora? Da chi scappi? - quella era la prima volta che si sentiva così, come se qualcosa che non era imbarazzo, confusione o senso di colpa, ma li era tutti insieme, gli solleticasse il petto. Lo era perché il suo viso era apparso fra i suoi pensieri con una naturalezza così disarmante da seccargli la bocca. Aveva vinto alla fine il bastardo. Contro ogni logica razionale si era preso quello che voleva. Malgrado i suoi tentativi, e Isabelle, il dolore, la disperazione e la colpa; malgrado la rabbia e Theo, malgrado la stessa natura umana, Matthew aveva vinto.
Theo sogghignò...aveva vinto, e non lo avrebbe mai saputo.
Si voltò verso il ragazzo senza smettere di sorridere, senza sapere nemmeno il perché stava lasciando che lui vedesse il fondo di quello che i suoi occhi dicevano. Semplicemente gli permise di guardare la dolorosa consapevolezza di un uomo che dell'incoscienza aveva fatto la propria ragione di vita. Ma lui era tornato, e a poco valeva aggrapparsi all'umanamente intelligibile. Non c'era niente. Prima di lui. Dopo di lui. Nemmeno lei.
Aspirò una feroce boccata di fumo, la trattenne finché non sentì la testa leggera, e la lasciò uscire assieme ad un sospiro liberatorio.

David si aggrappò con le dita esangui al lenzuolo, e si afflosciò sul materasso con un sorriso appagato e gli occhi chiusi. Matthew si lasciò cadere stancamente accanto a lui, afferrando un bicchiere d'acqua ghiacciata sul comodino; ne bevve un lungo sorso, poi osservò una goccia scivolargli lungo il petto, giù, fino all'ombelico. La guardò scorrere come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto, mollemente acciambellato in se stesso e nella consapevolezza, appiccicosa e calda, del resto della sua vita.
Era andata così, David l'aveva perdonato: si era incazzato come mai in vita sua, gli aveva tirato contro un vaso di fiori orribile, e terminata la sua scena madre era scoppiato a piangere disperatamente, abbracciandolo. Matthew si era sentito una merda, non tanto per come lo aveva lasciato, ma per come stava tornando a riprenderlo, come se non avesse altra scelta. Si era fatto ampiamente perdonare, tre volte. È ampiamente tre volte? Si chiese.
Si lasciò scorrere l'ultimo sorso d'acqua ghiacciata giù per la gola, e pensò che per Theo non sarebbe stato affatto “ampiamente”. Poi pensò che Theo stava probabilmente scopando sua moglie, ridendo ancora di lui, e smise di chiedersi quanto, per lui, fosse “ampiamente”.
Si alzò, sentendosi la pelle che si staccava dal corpo, un disagio strisciante di essere se stesso, come se vivere in lui fosse troppo da sopportare, e prese a gironzolare per l'appartamento, con la stessa idea di dove stava andando di un cane che si morde la coda.
L'aria della stanza era viziata, con un vago sentore di sudore e alcool di qualche genere; al di sotto, un profumo di pulito che, coraggiosamente, cercava ancora di resistere alla sopraffazione dell'incuria. Spalancò la finestra che dava sulla strada, e un'afa appiccicosa lo accolse sogghignando delle sue speranze. Ovunque si trovasse, quell'estate a Parigi, sembrava che qualcuno avesse acceso i riscaldamenti. Non era solo il sole a mietere vittime, era proprio l'umida calura soffocante che si appiccicava lungo la gola ad ogni respiro, così tanto e così insistentemente che Matthew aveva pensato di aver infilato la testa in una tinozza di acqua calda per sbaglio. Dal marciapiede salivano odori diversi, mescolati malamente insieme, di fogna, asfalto incandescente e fiori. Lasciò correre lo sguardo sulla città illuminata, e vi si perse con un tale abbandono che quasi non lo vide. Quasi, perché non avrebbe potuto ignorarlo, nemmeno se la Tour Eiffel si fosse alzata da terra e avesse cominciato a ballare.
Theo alzò lo sguardo sulla sua finestra e soffiò fuori il fumo della sigaretta; l'unico saluto che avrebbe avuto da lui. Matthew ebbe la tentazione di chiudere le imposte e lasciarlo dove si trovava, con lo sguardo affilato rivolto alla sua finestra sbarrata, eloquente risposta ad ogni richiesta, illazione, proposta o accusa fosse andato a fare lì. Ma Theo lo precedette voltandogli le spalle con indifferenza, e allontanandosi ciondolando lungo la strada.
Per niente al mondo avrebbe accettato un altro rifiuto da lui, si disse mentre scendeva le scale a due a due coperto solo da un paio di boxer trovati abbandonati sul braciolo del divano.
Che cazzo ci fai qui? - urlò per richiamare la sua attenzione.
L'altro si voltò con una lentezza esasperante, aspirando un po' di fumo, godendoselo appieno, e poi soffiandolo via, dal naso e dalla bocca distesa in un sorriso beffardo
E tu con quella bocca baci tuo marito? - sembrava godersela un mondo, come al solito. Matthew lo fissò in collera, umiliato per quello che entrambi avevano appreso la notte precedente, amareggiato, sorpreso e curioso. Da qualche parte, al di sotto di tutti questi sentimenti, ancora speranzoso. Quelle parole avevano spento ogni altro afflato di speranza sopita in lui che Theo potesse anche solo lontanamente capire, men che mai ricambiare, quella scintilla di passato che rivederlo aveva acceso in lui. A Theo non importava niente della donna per cui aveva lasciato che Isa si uccidesse, perché mai avrebbe dovuto sprecare un solo secondo della sua giornata a pensare a come stava e cosa provava lui, Matthew, di cui aveva palesemente chiarito che non gli poteva importare di meno?
Così soppresse quella speranza, e la spinse sul fondo della vasca, di nuovo, aspettando solo che il tempo, questa volta, togliesse il tappo.
Fottiti – gli sputò in faccia quella parola con la rabbiosa determinazione che segue il rifiuto. E Theo, con la stessa indifferente tracotanza che lo caratterizzava, sogghignò e aspirò il fumo della sua irrespirabile sigaretta francese
Non essere impaziente – lo canzonò
Come mi hai trovato? - era facile deviare il discorso su quei binari neutri, sul futile e il cordiale. Parlare, parlare e ancora parlare, per evitare di dover ascoltare quello che nessuno dei due stava per dire
Ho chiamato la tua segretaria e le ho procurato un orgasmo al telefono. Gliene ho promesso un altro, se mi diceva dove stai – cazzate, un'invalicabile marea di cazzate solo per non ammettere che aveva sprecato del tempo a cercarlo
Quanto sei stronzo – Theo si strinse nelle spalle, lasciando cadere la sigaretta a terra, poi sollevò lo sguardo su di lui, e qualcosa cambiò nell'aria. Matthew non avrebbe saputo come definire la sensazione, il senso di vibrante attesa e silenziosa ansia. Un battito di cuore di troppo.
Sei venuto – lo disse senza inflessioni, senza mostrare emozioni, come un dato di fatto. Si appoggiò ad un albero con le braccia incrociate dietro il corpo, la camicia colorata appiccicata alla pelle, umida del sudore innaturale che era il marchio di fabbrica di quell'estate incandescente. Matthew avrebbe venduto un rene al mercato nero pur di non dover affrontare quell'argomento, eppure doveva, gli era necessario come respirare. Mettere un punto fermo a quella situazione. Smettere di temporeggiare. Tirare via il tappo definitivamente
Già – abbassò lo sguardo sulle scarpe di tela consumate sulle punte.
Lo sapevo – avrebbe voluto sputargli in faccia, ma si limitò ad alzare lo sguardo
Stronzo. Cosa pensavi di dimostrare eh? Che sei ancora un fico? Che puoi fotterti chi vuoi e quando vuoi? Che hai ancora ventanni? COSA VUOI DA ME THEO?! - la bile era salita alla gola e non sarebbe più tornata giù. Lui non era così, lui non sapeva fottersene degli altri e fumarsi una maledetta sigaretta. Lui le sentiva le cose cazzo!
L'altro rimase immobile una manciata di secondi, premendo la punta delle scarpe sulla sigaretta accesa. C'impiegò una vita, minuziosamente, concentrato e attento che non rimanesse nemmeno una scintilla. Sembrava in trance.
Alla fine, quando si degnò di alzare lo sguardo su di lui, scrollò le spalle.
Bon – disse in francese, con noncuranza
Al diavolo – imprecò Matthew. Theo sorrise malignamente, avvicinandosi a lui di un passo
Non cambi proprio mai eh?! Sempre a rincorrere qualcosa che non avrai mai... - glielo disse per ferirlo, per schiacciarlo e sottometterlo, come faceva con tutti. Mosse ancora un passo, e fu distante a malapena un respiro. Si avvicinò, così tanto che Matthew poteva avvertire il suo fiato che odorava di fumo, e la schiuma da barba, e qualcos'altro, sapone, forse – Ma quand'è che la smetterai eh? Quand'è che la pianterai di sognare il tuo finale perfetto? Quando crescerai un po' Matthew? Quando cominceranno a caderti i capelli? Quando ti opereranno alla prostata, quando? Quando il tuo maritino dovrà cambiarti i pannoloni? -
Vattene all'inferno – sibilò
Io ci sono già – lo afferrò per l'orlo della camicia e lo baciò, a labbra serrate, con rabbia. E lo spinse via – vattene a casa Hendrix, il tuo maritino ti aspetta – tirò fuori un'altra sigaretta e se la porto alle labbra – Hai da accendere? - chiese dopo un secondo.
Matthew espirò frustrato e arrabbiato. Lo fissò negli occhi, e per un attimo cercò il ragazzo che aveva conosciuto un assolato pomeriggio d'estate davanti alla Cinematheque Française. Non era mai stato innocente Theo; nemmeno a ventanni. Nemmeno mai, pensava Matthew talvolta. Non puoi essere innocente quando hai una sorella come Isabelle. Non puoi essere innocente quando il peccato è scritto a lettere cubitali nel tuo DNA. Non puoi essere innocente quando ami il sangue del tuo sangue come nessuno dovrebbe mai amare la propria gemella. Eppure lui non aveva mai superato quella soglia: aveva giocato, aveva vinto e aveva perso, ma era rimasto sempre più in là, dove la vera sconfitta non sarebbe mai arrivata. Era rimasto a guardare dall'alto, con quel suo sorriso storto e oscurato dallo sguardo implacabile dell'arbitro. Aveva giocato sempre una partita truccata perché non ci aveva mai messo il cuore. Isabelle lo amava, ma Theo aveva amato di più se stesso. Avrebbe amato sempre se stesso.
Fanculo pure tu – Si voltò e cominciò a camminare
C'è un posto che devi vedere – gli urlò Theo quand'era ormai ad un passo dal portone. Matthew non si voltò, né si fermò. Spinse la pesante porta verde scuro e fece per entrare – non puoi andartene di nuovo senza salutare... - sapeva che avrebbe fatto centro, lo sapeva. Lo sapeva, e aveva aspettato l'ultimo secondo, dell'ultima notte, dell'ultimo giorno della sua permanenza per dirglielo. Bastardo.
Inspirò, si voltò e soffiò fuori l'aria con rabbia
Fammi almeno mettere una cazzo di camicia! - Theo sorrise, fra i denti una sigaretta appena iniziata, negli occhi un lampo di vittoria. Il burattinaio aveva tirato nuovamente i fili.

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