Di Tentazioni e Desideri Inquieti

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - How to Remember ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - (Un)Forgivable ***
Capitolo 4: *** Epilogo - Douce France ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Autore: Nat_Matryoshka
Titolo della fic: Di Tentazioni e Desideri Inquieti  
Tipologia della fic: Long-fic
Evento Scelto: 1897 - Oscar Wilde viene rilasciato dalla prigione
Personaggi principali: Inghilterra [Arthur Kirkland], Francia [Francis Bonnefoy], OC!Irlanda [Niamh Fitzpatrick], OC!Scozia [Ewan MacBarrach]
Genere: romantico, introspettivo, storico
Avvertimenti: shonen-ai
Rating: giallo
Nota dell’autrice: i personaggi citati sono tutti di fantasia, tranne Lord Headlam (amico di Wilde) e, appunto, Oscar Wilde, che ho caratterizzato basandomi sulla lettura delle sue opere principali.
Introduzione: Al solo pensiero che, rinchiuso al Reading Gaol in quel momento avrebbe potuto esserci anche lui, un brivido lo pervadeva da capo a piedi. Cosa avrebbe fatto Lord Kirkland, se avesse soltanto immaginato che suo figlio maggiore si vedeva una volta alla settimana con il suo amante, un affascinante e squattrinato artista francese?
 
 


Di Tentazioni e Desideri Inquieti

 
 


 
 
19 maggio 1897
Dopo due anni di prigionia, Oscar Wilde viene rilasciato dal carcere Reading Gaol, dove era stato relegato con l’accusa di sodomia e indecenza
.
 
Hall Caine, scritture e drammaturgo britannico, aveva definito “la tragedia più orribile di tutta la storia della letteratura” la sua condanna. I londinesi ancora non sapevano quanto due anni di reclusione e lavori forzati avessero potuto cambiare quel commediografo e scrittore un tempo così affascinante ed impertinente, diventato famoso per la sua arguzia.
 
 






Le mattine invernali sono così fredde, a Londra. Tutta la città dorme, sotto una coltre di sottili nubi passeggere, ancora indecise se continuare la loro corsa o fermarsi lì nel cielo, per non smentire la fama di “Terra della Pioggia e del Maltempo” dell’isola Britannica) che sciamano leggere, sfiorando il sole, augurandogli il buongiorno. Quale nobile inglese sarebbe così stupido da svegliarsi all’alba, come un comune bottegaio?
In primavera le cose sono molto diverse. Il clima è più mite, le mattinate sono allietate dal canto degli uccellini e, improvvisamente, anche gli aristocratici si svegliano dal letargo. Alzarsi presto, passeggiare nei parchi ombreggiati di Londra, organizzare feste… quale nobile inglese sarebbe così stupido da non godersi giornate simili?

Arthur Kirkland, ad esempio.

Qualsiasi progetto avessero in mente i suoi familiari o parenti, a lui non poteva importare di meno. Il tacito accordo coi suoi domestici – la povera Catherine, che era stata balia anche del cugino Ewan, e ora si occupava maggiormente del piccolo Peter, e Reginald, il loro anziano maggiordomo – era di svegliarlo ogni giorno al massimo alle dieci passate del mattino, e di non parlare assolutamente di impegni o affari prima della colazione. Cosa c’era di male nello starsene a poltrire a letto, beatamente immerso in un mare di coperte morbide, incurante di tutto ciò che accadeva fuori, mentre i suoi conoscenti si affollavano in luoghi chiassosi e pieni di esibizionisti pronti a tutto pur di farsi notare? Che fosse settembre, gennaio o maggio, le cose non cambiavano, secondo la Prima regola del casato Kirkland: il giovane erede maschio deve essere libero di trascorrere la giornata come più gli aggrada. I giornali e le notizie di attualità in generale, in particolar modo, sono banditi almeno fino all’ora di pranzo.
Peccato che questa regola non valesse per molti membri “acquisiti” della famiglia.
 
Erano appena le otto e trenta del mattino, e nulla occupava la mente del giovane rampollo, se non qualche rimasuglio di sogno indistinto, e la sensazione di torpore donatagli dal sonno che lo invadeva piacevolmente. Niente lo disturbava, come avrebbe desiderato. Neanche il canto degli uccellini, laggiù nel giardino (che se pur flebile iniziava a farsi sentire), né il rumore delle carrozze per la strada. Neanche quel bussare ritmico alla porta della stanza…
Toc, toc, toc.
Semicosciente, il ragazzo nascose la testa sotto al lenzuolo.
No che non mi alzo. Non saranno nemmeno le nove.
Toc. Toc toc!
Non. Mi. Alzo. E basta.
Toc toc …
E va bene, e va bene. Eccomi…
Mugolando infastidito, alzò la testa e si mise a sedere nell’istante esatto in cui Catherine, trafelata, apriva la porta della sua stanza.
“Signorino Arthur! Oh, per fortuna siete sveglio. Mi sarebbe dispiaciuto davvero tanto buttarvi giù dal letto in maniera poco delicata …”

Come se bussare in continuazione alla sua porta potesse essere un metodo piacevole per svegliarlo...

“… Ma la vostra presenza è richiesta di sotto, e padron James mi ha chiesto di farvi alzare per non far attendere l’ospite. Scusatemi ancora… la colazione sarà pronta tra poco. Vi lascio vestire e sistemare!”. Con un piccolo inchino a mo’ di scusa, la domestica abbandonò la stanza, lasciando ad Arthur tempo sufficiente a lanciare un lungo sospiro e tentare, in qualche modo, di riorganizzare la sua mente obbligata ad attivarsi troppo presto.
Vorrei tanto sapere chi diamine ha pensato di venire a disturbarmi a quest’ora.
Non ebbe bisogno di attendere molto prima di scoprirlo: mentre tentava di infilarsi (al contrario) la camicia e la giacca che indossava in occasione della visita di qualcuno, un rumore di passetti affrettati alle sue spalle preannunciò l’arrivo del disturbatore mattutino, seguito dall’ennesimo bussare alla cornice di quercia scura della porta.
“Non c’è bisogno che entri, Niamh. Tra pochi minuti vi raggiungerò giù in salone”.

 
Una chioma rossa, riccia e ribelle brillò per un attimo dei raggi che fluivano dalla finestra semiaperta, per poi tornare al suo posto al tocco delicato della ragazza che si era appena affacciata nella stanza. I suoi occhi azzurri si accesero di un guizzo allegro – la stessa espressione che avrebbe avuto un bambino dispettoso alla realizzazione di uno scherzo a lungo congegnato – ma rispettò la volontà di Arthur, non invadendo i suoi “spazi vitali” più del necessario: sapeva che al cugino acquisito certi moti di entusiasmo davano fastidio.

“Oh, d’accordo, Lord Kirkland junior. Però non puoi impedirmi di preoccuparmi, non vedendoti scendere per colazione quando tuo cugino e la sua ragazza vengono a trovarti… Capisco la pigrizia, ma dai l’impressione di non essere affatto felice della nostra visita!” terminò in tono fintamente drammatico, scoppiando poco dopo in una risata cristallina.
Arthur sospirò, infilando nel taschino l’orologio tondo e seguendo la ragazza giù per le scale. Perché ogni volta che Niamh si presentava alla sua porta sentiva di non poter trascorrere una giornata tranquilla?

***


Niamh Ophelia Fitzpatrick era nativa di un piccolo borgo non lontano da Tullamore, una città sotto Dublino. Nessuno dei Kirkland aveva mai capito come si chiamasse davvero il villaggio: l’accento marcato della ragazza, e l’accanimento nel chiamare il suo paese natale col nome in gaelico irlandese, ne aveva reso impossibile ogni approfondimento da parte dei suoi interlocutori. Ma le sue maniere affabili, la simpatia e la grande intelligenza (anche troppa per una donna, a detta di Lord Kirkland) l’avevano immediatamente fatta prendere a benvolere dai genitori del suo fidanzato, gli zii di Arthur. Lord e Lady MacBarrach erano rimasti sorpresi quando Ewan, il loro figlio primogenito, si era presentato alla loro porta con quella ragazzina rossa per mano, figlia di un diplomatico e di una poetessa che lottava per l’indipendenza dell’Irlanda.. ma, conoscendo il caratteraccio del figlio, avevano finito per accettarla senza troppi problemi; imporgli una futura sposa più ricca e di buona famiglia sarebbe stato completamente inutile, se non addirittura dannoso. Da quel momento, Niamh era diventata parte della famiglia MacBarrach, e, nonostante i due ragazzi fossero fidanzati ufficialmente da poco più di due anni, già si parlava di matrimonio.
Ed eccoli, i due piccioncini, pensò Arthur contrariato, alla vista della “cugina acquisita” che scendeva con passo felpato le scale, splendida nel suo pur semplice vestito “da città”, e andava a sedersi accanto al fidanzato, dopo averlo baciato con dolcezza sulla fronte per salutarlo. Quelle effusioni erano assolutamente normali tra i due, e non c’era volta che Ewan si dimenticasse di aprire la porta della carrozza a Niamh quando uscivano per una passeggiata, o di farle il baciamano quando si incontravano a teatro o ad uno qualsiasi dei ricevimenti dove erano invitati.
Il cugino Ewan sedeva tranquillamente in poltrona, intento a caricare di tabacco la pipa che Reginald  gli aveva appena offerto: quello del fumo era un vizio nato da poco, che Niamh cercava di combattere con tutte le sue forze prendendo in giro il fidanzato e dandogli del vecchio bacucco ogni volta che lo vedeva infilarsi il piccolo oggetto di legno tra le labbra, ma finora non aveva sortito molti risultati. Anzi, strano che non si fosse ancora lamentata di quell’armeggiare, lanciandogli la solita occhiata di disapprovazione che dedicava alla pipa… evidentemente, aveva qualcosa di importante da dire, altrimenti non si sarebbe sistemata con quell’aria tesa sulla sedia di velluto verde scuro del salottino da ricevimento.
Non era un mago in quel genere di iniziative, ma sentiva di dover fare qualcosa per far rilassare un po’ la ragazza (Ewan sembrava averne meno bisogno): chiamò nuovamente Reginald per chiedergli di portare qualcosa per colazione, mentre si predisponeva ad ascoltare Niamh, estraendo l’orologio d’argento dal taschino del gilet e regolandolo come faceva praticamente ogni volta che qualcosa lo preoccupava.
Inaspettatamente, fu la cugina a fare la prima mossa.
“Ti ricordi di mister Wilde, Arthur?”
E come poteva scordarselo? Quel poeta e commediografo così sarcastico ed elegante, che aveva incantato i salotti più alla moda della città e infiammato la critica con le sue commedie, e ancor più l’opinione pubblica con il suo arresto… dimenticarlo era davvero difficile. Se provava a chiudere gli occhi per un istante gli sembrava quasi di vederlo, vestito di abiti bizzarri e ricercati (che lo qualificavano come dandy e ammirato esteta), seduto nel salotto di Lady Mansire, intento a intrattenere e divertire il suo pubblico. Niamh lo adorava: era irlandese come lei, e sua madre Riona conosceva molto bene Lady Jane Francesca, la madre di Wilde, che scriveva poesie e partecipava con passione alla causa dei ribelli irlandesi … e Arthur sapeva che, se la ragazza era giunta fin lì a quell’ora del mattino, un motivo grave e comprensibile doveva esserci per forza.
“Oggi è uscito di prigione, la sua reclusione di due anni è finita.. so da Lord Stewart Headlam che vuole restare qui a Londra, non so per quanto tempo, ma è qui, capisci? Non è più in prigione! Per questo ho pensato che, forse, tu…”
Si interruppe per un attimo. Reginald stava posando il vassoio sul tavolino laccato in stile cinese di fronte a loro.
“… Saresti potuto venire a fargli visita, con me ed Ewan …”

Il ragazzo sospirò, posando la tazza di tè che aveva sorseggiato a metà e guardando negli occhi Niamh. Cosa avrebbe dovuto dirgli?

“Vorrei salutarlo finché ne ho la possibilità, Arthur. Sai quanto conoscerlo e frequentarlo sia stato importante per me, e come sia stato difficile contattarlo mentre era rinchiuso al Reading Gaol … Ricordo che anche tu eri in buoni rapporti con lui, per questo ti sto chiedendo di accompagnarci. Se tu…”

“Niamh” la interruppe il giovane, alzandosi in piedi e iniziando a passeggiare nervosamente per la stanza, come una tigre in gabbia “ricordi quello che disse mio padre il giorno in cui Oscar fu messo in prigione? Non era felice che io lo frequentassi, affatto. Passi per te, passi anche per Ewan, ma io sarò il futuro capofamiglia dei Kirkland, e non posso scontentarlo ancora. E, oltretutto, non credo si ricordi di me. Eri tu a passare i pomeriggi nel salotto di Lady Jane e a conoscere perfettamente ogni sua opera … Il mio intervento non è né utile, né necessario.”

Ma la ragazza non aveva intenzione di mollare.

“Pensi che tuo padre lo verrebbe a sapere? Ti basterà dirgli che hai deciso di andare a far visita a qualche dama amica dei miei genitori, e nessuno se ne preoccuperebbe.. I giornalisti non sono più interessati a lui, rimarremmo comunque nell’ombra. E non credo proprio che mister Wilde si sia dimenticato di te”.
Arthur si risedette, il viso tra le mani. Quel discorso gli aveva riportato alla mente frammenti scomposti di un passato che non desiderava ricordare: volti, parole, voci che credeva di aver sepolto definitivamente nel suo inconscio si materializzavano intorno a lui, ora terribilmente reali. Non ce la faceva ad affrontarli.. non ora che credeva di essersene liberato, e di essere diventato ormai il nuovo Lord Kirkland che suo padre si aspettava.

Fu Ewan a venire in suo aiuto: con gesto gentile, toccò il braccio della compagna per invitarla ad alzarsi dalla poltrona e ad uscire. La ragazza gli rivolse un’ultima occhiata speranzosa e malinconica al tempo stesso, affiancandosi al fidanzato mentre lasciavano il salotto del cugino.
“Hai del tempo per pensarci, Arthur: ora torneremo a casa, il nostro incontro con Headlam è fissato per le tre del pomeriggio. Tra un paio d’ore torneremo e ci darai la tua risposta, d’accordo? Ora vieni, Niamh, togliamo il disturbo.”
Lei lo precedette, incamminandosi lungo il vialetto costeggiato da vasi di fiori, e girandosi poco prima di giungere al cancello.
“Francis verrà con noi. Non ti invita a seguirci  neanche questo?”
Il flash di un sorriso brillante e di un’ammiccante, strascicata parlata francese passarono rapidamente per la mente di Arthur, mentre osservava i due salire sulla carrozza che li stava aspettando per portarli a casa. Niamh era sempre la solita: quando macchinava qualcosa, non era possibile far finta di nulla e sperare di non restarne coinvolti.

***
 

Francis Bonnefoy era un disegnatore e poeta giovane e brillante, frequentatore di quei salotti che tanto incantavano la giovane irlandese e sua madre, e che raccoglievano altri artisti e letterati, più o meno talentuosi. Smaliziato e pieno di spirito, proprio come Oscar Wilde attirava attorno a sé un vasto pubblico di dame e ragazze che lo ammiravano e, segretamente, avrebbero desiderato sposarlo. Ma Francis era uno spirito libero: non era mai stato legato ad una donna in particolare, a quanto se ne sapesse, e continuava a condurre un’esistenza da scapolo felice, nonostante avesse ormai più di venticinque anni. Francese di Parigi, aveva conosciuto sia Wilde che Niamh durante un tè nel salotto di Lady Jane Wilde molti anni prima, e da quel momento li aveva uniti una solida amicizia, che comprendeva anche Ewan e Arthur.
Doveva essere stata la sua giovane età, pensò l’inglese, mentre tornava in camera sua per non essere disturbato durante quel momento di riflessione. Solo così avrebbe potuto spiegare l’interesse che l’aveva spinto a cercare la compagnia di quello strano francese, sempre col sorriso sulle labbra e una battuta pronta per ogni occasione, che si vantava di essere imparentato nientemeno che con Charles Baudelaire e stupiva le signore facendo apparire dal nulla un fiore di carta piegato con grazia.. la sua giovane età, e quello stupido desiderio di ribellione che lo portava a disobbedire a suo padre sistematicamente, per provare l’ebbrezza di essere un cattivo ragazzo.
 Fatto stava che, per un periodo, erano stati insieme. Le voci che non vedevano il giovane Bonnefoy impegnato con una ragazza erano esatte … perché era un ragazzo, il suo compagno. E, più precisamente, quell’imbronciato e compunto ragazzetto che rispondeva al nome di Arthur Kirkland.
Si erano iniziati a frequentare quasi per caso, senza sapere che quel loro rapporto così strano, fatto di battibecchi e piccoli litigi sarebbe sfociato in qualcosa di più duraturo. Non si era neppure reso conto che, da un giorno all’altro, il sorriso di Francis, quel modo seducente e irritante di chiamarlo Arthùr, o Angleterre (in omaggio alla patria del giovane), persino il modo in cui voltava le spalle dopo essersi congedato da lui, erano diventati motivo di gioia, una piccola puntura di piacere – quasi doloroso – che dal cuore si irradiava in tutto il corpo. Era stato felice, con lui, non poteva negarlo.
C’era andato vicino, al rischio di subire un processo come quello di Oscar Wilde, che aveva imbarazzato l’alta società londinese… e tutto per la sua stupida distrazione, la noncuranza nel lasciare incustodito un biglietto che Francis gli aveva mandato e che chiedeva di incontrarsi in un piccolo locale-albergo di periferia, dove nessun occhio indiscreto avrebbe potuto vederli. Fortunatamente, data l’abitudine del francese di firmarsi solo con l’iniziale, la cosa era passata abbastanza inosservata: avvertito da Reginald dell’arrivo del messaggio, nonostante sulle prime fosse stato insospettito dall’aspetto spiegazzato e non certo aristocratico di quel pezzetto di carta, Lord Kirkland si era limitato ad esortare il figlio a non “compromettersi con ragazze di rango sociale inferiore, per evitare spiacevoli inconvenienti”, senza però sospettare nulla.
Al solo pensiero che, rinchiuso al Reading Gaol in quel momento avrebbe potuto esserci anche lui, un brivido lo pervadeva da capo a piedi. Cosa avrebbe fatto Lord Kirkland, se avesse soltanto immaginato che suo figlio maggiore si vedeva una volta alla settimana con il suo amante, un affascinante e squattrinato artista francese?
La consapevolezza di compiere troppi sbagli, mista al timore delle reazioni del padre e il rimorso per essersi voluto comportare da ribelle a tutti i costi lo avevano convinto a troncare la loro relazione, cercando affannosamente qualche frase di circostanza da presentare come scusa… ma, al contrario di quanto aveva immaginato, Francis non si era offeso, né lo aveva evitato intenzionalmente nelle successive occasioni in cui si erano incontrati casualmente, a qualche ricevimento. Il sorriso triste che gli aveva rivolto, però, faceva più male di qualsiasi frase gridata dietro con rabbia.
E Niamh avrebbe voluto che si incontrassero…?
 
Trascorse tutta la mattina a guardare il paesaggio fuori dalla finestra, tentando di staccare almeno per un po’ i pensieri da Francis, mister Wilde, la prigione e qualsiasi altra cosa che avesse a che fare col suo passato. Peccato che fosse maggio, e che i boccioli in fiore e il sole che splendeva alto nel cielo gli ricordassero fin troppo bene il loro primo incontro.
“Oh Arthùr… in fondo adoro proprio questo lato di te. Sei come un porcospino… un tenero animaletto che, per evitare di essere troppo strapazzato e colmato di attenzioni, si chiude a palla, mostrando le sue spine. Ma, dopotutto, è delizioso anche così.”














* Angolo dell’autrice *
Ebbene si, ce l’ho fatta.
Era da secoli, millenni, che desideravo scrivere una FrUk a base storica ma, per un motivo o per un altro, non ci sono mai riuscita. Poi per fortuna è arrivata Lala e il suo fantastico contest, e le idee hanno cominciato pian piano a susseguirsi.. producendo questa fic, che spero possa piacervi :)
Scozia e Irlanda, i personaggi “di spalla” che compaiono, sono miei OC, e ovviamente Oscar Wilde è stato tratteggiato in base alle testimonianze presenti negli scritti di altri autori.
Dedico questo primo capitolo, e gli altri che seguiranno, alla mia donna-bietatrice-compagnadipairs-FrUkkista TsunadeShirahime, per ringraziarla dell’amore e della disponibilità che mette ogni volta nel leggere le mie fic e darmi dei pareri.. e a tutte le FrUkkiste compagne: TsunadeHime, Sacchan e Subaru-senpai.
E a Lala, per averci permesso di partecipare ad un contest veramente interessante e pieno di spunti!
Come al solito.. recensioni, pareri, critiche e commenti sono sempre beneaccetti :3
Nat

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - How to Remember ***



 
How to Remember
 

 



“The mystery of love is greater than the mystery of death.”
Il mistero dell’amore è più grande di quello della morte.
[Oscar Wilde, Salomé – 1893]
 
 



Si era infilato nella carrozza che l’avrebbe condotto a casa di Lord Headlam quasi automaticamente, senza prestare attenzione a dove si stava realmente dirigendo: la sua mente era così impegnata a rivivere il passato da non lasciargli posto per compiere altre azioni. Alla fine, aveva ceduto. Niamh aveva vinto. Ma desiderava restare solo ancora per un po’, e solo un viaggio in carrozza con l’unica compagnia del cocchiere, impegnato a condurre, gli avrebbe dato tempo per mettere ordine nella confusione che albergava in lui da almeno tre anni.
 
Non aveva mai amato quei ricevimenti pretenziosi, piene di gentiluomini e gentildonne elegantissimi e sfaccendati, né i pettegolezzi e le chiacchiere che giravano in ambienti del genere. Ci andava solo perché suo padre si aspettava che lui ci andasse, perché tutti si aspettavano che il giovane Kirkland partecipasse alle feste del bel mondo londinese, o che, almeno ogni tanto, si facesse vedere. Ma fin da bambino, quando Lady Roxanne, sua madre, lo portava con sé a qualche serata di gala, piuttosto che tentare di socializzare con qualche coetaneo preferiva starsene per conto suo, nascondersi in un angolino e giocare con i suoi amici immaginari, gli unici che lo accompagnavano in quei momenti così noiosi. Era sempre stato un bambino introverso, e anche da adulto aveva mantenuto la sua aria distaccata, che poteva essere confusa per snob solo da chi non lo conosceva bene.
Se avesse potuto scegliere, sarebbe rimasto volentieri a casa a leggere un libro o ad ascoltare musica, ma quello gli toccava fare, e quello avrebbe fatto, anche se la cosa iniziava a pesargli. Tanto valeva cercare di adattarsi ed entrare in qualche conversazione, finché gli ospiti erano pochi. 
Una chioma rossa aveva attirato la sua attenzione: Niamh, la ragazza irlandese che suo cugino Ewan frequentava da poco, era in compagnia di un uomo non particolarmente alto, dai capelli biondi e riccioluti pettinati in un codino e una marsina dall’aria antiquata indosso. Sembravano impegnati in una conversazione animata, e qualcosa nel modo di sorridere della ragazza lo aveva convinto ad unirsi a loro.

“… Mi sono commossa, e ti assicuro che non succede spesso. La raccolta è stata pubblicata da tanti anni, ne avevo undici quando mia madre iniziò a leggermi quelle storie, e ancora non potevo capire … Ewan ha ricordato che mi sarebbe piaciuto leggere entrambe le raccolte di favole di mister Wilde, ed è riuscito a procurarmele. L’Usignolo  la Rosa mi è piaciuta particolarmente, anche se è molto triste. Ma è stato il Gigante Egoista a farmi piangere… era tanto che non succedeva, voglio dire, sono una persona dotata di una certa tempra” aveva ridacchiato, scuotendo i bei ricci rossi. “Vorrei comunicare a mister Wilde quanto ami il suo stile e la delicatezza delle sue storie… Spero di riuscire ad incontrarlo ancora, prima che decida di tornare un’altra volta in Francia. A proposito, Francis, ti sei ricordato di portarmi il libro che mi avevi promesso?”
L’altro aveva sorriso, estraendo dalla tasca dell’abito un piccolo libro rilegato con eleganza: aveva tutta l’aria di essere un manoscritto originale, se non altro dalla delicatezza con cui l’uomo lo maneggiava. Lo porse alla giovane, che iniziò a sfogliarlo lentamente, per paura di rovinarne le pagine. “Le Fleurs Du Mal, il capolavoro del nostro Charles Baudelaire… come già saprai, ma chère, alcune delle sue poesie furono bandite dall’edizione del 1857 perché accusate di offesa al buoncostume. Fortunatamente, però, la mia famiglia possedeva una delle prime copie disponibili sul mercato, e sono riusciti a non farsela confiscare durante il ritiro compiuto dalle forze dell’ordine, per cui… eccola qui. Se ti aspetti la delicatezza delle opere di mister Wilde, però, temo di doverti deludere: monsieur Baudelaire tratta tutto un altro genere di temi, e in maniera completamente diversa … i tuoi genitori potrebbero disapprovare le tue letture” l’aveva avvertita, prendendole il libro dalle mani per leggerne qualche riga. “Questa piccola appendice in fondo contiene le poesie giudicate scandalose. A mio parere, la più bella è Le Léthé, il fiume dell’oblio”.
Aveva iniziato a recitarne i versi in francese, scandendo con cura ogni parola, lasciando che fosse la sua bella voce a illustrare la peccaminosa meraviglia che pervadeva i versi del poeta francese … e ad Arthur erano tornate in mente le sue letture clandestine, partite proprio da quell’opera tanto chiacchierata, che lo aveva colpito come pochi altri libri avevano fatto, fino a quel momento.

“Viens sur mon coeur, âme cruelle et sourde, tigre adoré, monstre aux airs indolents ; je veux longtemps plonger mes doigts tremblants dans l’épaisseur de ta crinière lourde. Dans tes jupons remplis de ton parfum, ensevelir ma tête endolorie, et respirer, comme un fleur flétrie, le doux relent de mon amour défunt … "*
"… Je veux dormir ! Dormir plutôt que vivre ! Dans un sommeil aussi doux que la mort, j’étalerai mes baisers sans remord, sur ton beau corps poli comme le cuivre."** Aveva terminato il giovane inglese, cercando di fare del suo meglio per pronunciare correttamente quelle parole in una lingua che gli era sempre stata parecchio ostica.

Francis gli aveva puntato addosso i suoi splendidi occhi celesti, degnando per la prima volta della sua attenzione il ragazzo.


“Oh la la!” aveva esclamato, in una palese esternazione di sorpresa. “Un inglese che conosce i versi del nostro Baudelaire, non è una cosa che si vede tutti i giorni! Devo desumere che anche a voi piace questo tipo di poesia, signor …”
“Kirkland, Arthur Kirkland” rispose freddamente il giovane, senza tendere la mano per presentarsi o compiere un qualsiasi gesto di cortesia nei confronti dell’interlocutore. Niamh aveva sospirato, cercando di riportare alla precedente armonia il clima, che si stava tendendo un po’ troppo.
“Francis, questo adorabile musone è il cugino di Ewan, il ragazzo di cui ti parlavo – quel ragazzo, ecco. Adesso non sembrerebbe, ma ti assicuro che sa essere tenero, se vuole … Si è commosso anche lui quando mister Wilde ci ha letto dal vivo alcuni dei suoi racconti!” lo spinse leggermente in avanti, irritando ancora di più l’inglese. Non c’era bisogno di strombazzare ai quattro venti che le “favole”, come le chiamavano i detrattori dello scrittore, lo avevano colpito profondamente. Soprattutto, non voleva mostrare le sue debolezze a quel tizio dall’aria tanto superba e ostinatamente raffinata.
“Beh, dimostrate certo di essere una persona sensibile, mon ami” aveva ridacchiato, in maniera ancora più odiosa, rimettendo tra le mani di Niamh il libro. “Visto che avete recitato una delle più belle poesie della raccolta, vi consiglierei altri poeti del calibro di Baudelaire, altrettanto famosi e abili nell’arte dei versi … conoscete Paul Verlaine?”
 
Il loro primo incontro era proseguito in quel modo, mantenendosi sul livello di una conversazione annoiata tra conoscenti … O meglio, tra i tentativi di un affascinante francese colto ed elegante di convincere un annoiato inglese ad appassionarsi alla poesia, tanto da infervorarsi nel discorso, come Niamh già faceva. All’epoca non avrebbe mai immaginato che Francis Bonnefoy sarebbe diventato per lui – anche se odiava ammetterlo – una sorta di ragione di vita.
Si erano incontrati molte volte, dopo quella sera, e piano piano i muri che esistevano tra loro si erano iniziati a dissolvere. Complice l’interesse che, ormai, Arthur provava nei suoi confronti, o forse il desiderio di comprendere un essere così diverso da se stesso, le loro conversazioni si erano fatte più aperte, anche se punteggiate dal solito sarcasmo dell’inglese. Qualcosa era nato. E che quel qualcosa ci fosse sempre stato, o che fosse parte di un sentimento totalmente nuovo, poco importava: l’amore, quando arriva, lo fa senza essere aspettato.
La cosa più incredibile era che anche Francis sembrava provare la stessa cosa per lui, e ciò contribuiva a confonderlo ancora di più.

Avevano raggiunto il tacito accordo di separarsi di fronte a casa del francese, non molto lontana da quella di Lady Mansire, una delle dame più in vista di Londra. Casa di Arthur distava pochi chilometri, forse due, ma il ragazzo si era accordato con Terence, il cocchiere di famiglia, di vedersi davanti a casa della donna circa un’ora dopo l’uscita di tutti gli ospiti. Gli piaceva camminare, e il fresco lo aiutava a riflettere.
In silenzio, camminavano uno accanto all’altro, talmente immersi nel silenzio quasi musicale della natura da non volerlo rovinare con chiacchiere futili sulla serata appena trascorsa. Voleva godersi in pieno ogni momento con Francis, con tutto ciò che li circondava e contribuiva a rendere meravigliose quelle notti.

“Sembra che io sia arrivato. Devi aspettare il tuo cocchiere, Arthùr?”
Il ragazzo aveva annuito, indeciso se avvicinarsi di più per salutarlo o andarsene così, come l’aveva lasciato tutti gli altri giorni. I lampioni rischiaravano i loro visi, mettendo in evidenza ora le sopracciglia folte di Arthur, ora il movimento lieve (causato dalla brezza che soffiava appena) del codino di Francis.
E lui ancora non sapeva cosa dire.
 
Abbracciarlo, chiedergli di rivedersi presto, di aspettarlo la settimana dopo ad un altro ricevimento, gli sembrava troppo patetico, una dimostrazione di debolezza che, ancora una volta, non voleva dargli. Proporgli di salire a casa sua era assolutamente fuori discussione. Ma quale altro modo aveva di metterlo al corrente di quel che provava? Non era mai stato bravo con le parole, e non lo sarebbe di certo diventato in quel preciso momento, come per magia.
Francis, però, aveva altri piani. E, come sempre, non si faceva troppi scrupoli nel mostrargli direttamente cosa aveva intenzione di fare.
Prima che l’inglese potesse comprendere la situazione e fare qualsiasi cosa per fermare il compagno, il francese lo spinse verso di sé, allontanandolo momentaneamente dalla luce, incastrando i suoi occhi celesti, magnetici, in quelli profondi e verdi di Arthur, così scuri nella notte da sembrare l’angolo di una foresta inesplorata. La sua voce era così bassa da confondersi con il sospiro del vento, che pure era quasi impossibile da udire:
“Volevi sfuggirmi, Angleterre? Beh, temo che non sarà molto facile … non ora che anche io sono innamorato di te.”
Non servivano altre parole, a quel punto … Nonostante fosse nuovo a quella situazione, sentiva che non doveva far altro che lasciarsi andare.
 
Il bacio di Francis era stata una conseguenza quasi naturale. Sentire le labbra morbide dell’uomo poggiarsi dolcemente sulle sue, il suo respiro lieve, le mani che gli carezzavano il viso con una delicatezza mai provata prima, da soli erano sufficienti a fargli perdere completamente il controllo di sé stesso. Se si aggiungeva il fatto che lo stava ricambiando con un impeto e uno slancio folle, quasi disperato, la conclusione era che ognuno aveva trovato nell’altro quello che cercava da tanto, troppo tempo.
Si separarono dopo un tempo che parve infinito. Stranamente, il sole non era ancora sorto.

 “Da quanto tempo, tu …”
“Da sempre” sorrise il francese, rivolgendogli uno sguardo che riassumeva quanto era appena accaduto. “Da sempre, Arthùr. Da quando rifiutasti i miei inviti ad illuminarti sulla poesia francese, da quando entrasti nel salotto di Lady Mansire con quella tua aria annoiata … Da sempre. Sei tu a non essertene mai accorto”.
 
Era stato tutto così dannatamente semplice, e sbagliato. Come aveva potuto caderci, tendersi da solo una trappola che avrebbe potuto dimostrarsi un disastro per il suo futuro, se la cosa fosse andata avanti? Tenendosi la testa tra le mani, continuava a colmarla di interrogativi senza risposta, sentendo che una piccolissima parte di se avrebbe voluto che le cose si mantenessero come erano state un tempo.
Stava andando a far visita ad un uomo che aveva denigrato e disprezzato, anche pubblicamente, dopo vari anni di amicizia affettuosa … E, come se non bastasse, avrebbe incontrato il suo ex-amante, quel dannato, odioso, meraviglioso Francis Bonnefoy che aveva cercato di dimenticare per due anni, relegandolo in un piccolo spazio del suo cuore, da dove ogni tanto lasciava fluire qualche ricordo dolcemente amaro, che bastava a distruggere le certezze che tentava di crearsi. Si sentiva un idiota, ed era certo di esserlo.
Sei patetico, Arthur Kirkland. Datti una controllata, invece di comportarti da femminuccia!
Una voce interiore seccata lo riportò sul piano della realtà, proprio mentre Terence frenava dolcemente nei pressi della casa di Lord Headlam: era così preso dalle sue fantasticherie da non essersi neppure accorto di essere già arrivato. Una bella tenuta elegante nel pieno della primavera lo accoglieva, come a dargli il benvenuto solenne che si dedica ad un vero ospite.
Scese dalla vettura, dirigendosi verso l’ingresso con passo malfermo, tanto che il cocchiere lo osservò preoccupato, chiedendogli se avesse avuto bisogno di un aiuto. Il ragazzo fece un cenno di diniego col capo, riscuotendosi e indirizzandosi con più sicurezza verso la sua destinazione.
 

 

Due anni prima
 


Non ha mai visto Niamh così preoccupata e triste. È abituato al suo sorriso radioso, all’allegria che si dipana come un fiume in piena dalla sua persona e quasi travolge tutti coloro che le stanno intorno … per questo, guardarla sedersi in un angolo, gli occhi socchiusi e le mani giunte davanti al viso, lo impressiona particolarmente.
“Avete sentito del processo a Oscar Wilde?”
Nella sala illuminata, molti annuiscono, altri scuotono la testa, pochi, davvero pochi, mostrano un qualsiasi segno di costernazione. La notizia è ormai trapelata, e tutta Londra sa che lo scrittore e commediografo è stato accusato di omosessualità, indecenza, corruzione di giovani e quant’altro. Molti dei suoi amici e ammiratori gli hanno voltato le spalle, chi si dichiarava suo sostenitore ha paura di difenderlo, per non essere etichettato come pervertito o anormale .. solo la piccola irlandese a fianco di Arthur sembra continuare a provare per lui lo stesso affetto incondizionato di quando l’ha conosciuto.
“Ha avuto ciò che si meritava. Un sodomita è una vergogna della natura, e come tale deve essere punito … quell’uomo l’ha fatta grossa, seducendo il figlio di un aristocratico e gettando fango anche sul nome della sua famiglia.” La voce di Lord Kirkland si alza sul brusio generale, zittendo tutte le altre. “Andrà in carcere, come vuole la legge, che a mio parere è anche troppo clemente, con gente del genere.”
“Sembra che siano stati coinvolti parecchi giovani dell’alta società” aggiunge una voce, da un punto imprecisato della stanza.
Lord Kirkland posa il bicchiere di gin che stava bevendo.
“Grazie a Dio, non devo preoccuparmi per i miei figli. Ho un ragazzo eccezionale, il mio degno erede, e un bambino che promette già bene” si avvicina ad Arthur, posandogli una mano sulla spalla. “Tu non ti saresti mai fatto irretire da compagnie simili, vero figliolo?”

Niamh lo sta guardando, il labbro inferiore che trema impercettibilmente.

Il ragazzo deglutisce con forza, fissando un punto imprecisato del pavimento. Sapeva già che sarebbe arrivato un momento della verità, prima o poi, ma che potesse presentarsi durante una delle serate organizzate dai suoi genitori, alla presenza di tutta quella gente … Non può dire che ammira Wilde, che ha letto tutte le sue opere, che, in fondo, ritiene esagerata quella condanna, perché lui stesso è innamorato di un ragazzo, no, non può confessare quello che prova, quello che sente di essere, a suo padre. Guarda di nuovo Niamh, si perde per un attimo nei suoi occhi celesti, tristi, fermi come il mare in una giornata di pioggia autunnale, e un moto di rabbia violento lo afferra, ribaltando completamente ogni suo proposito di essere finalmente sincero verso gli altri e sé stesso.
“No, padre. Non frequenterei mai gente simile, e ciò che ha fatto Wilde è davvero riprovevole. Non devi stare in pensiero per me, sai che desidero essere alla tua altezza e continuare a renderti orgoglioso.”
Parole meccaniche, vuote, che non gli appartengono. Perché continua a pronunciarle? Perché tutti nella sala sembrano considerarlo un bravo ragazzo, tranne la cugina, che lo fissa con lo sguardo di chi si sente tradito e affranto?

Una sedia sbatte fragorosamente sul pavimento. Niamh si alza, pallida, furente, rivolgendogli uno sguardo astioso, che quasi lo spaventa.

“L’hai abbandonato anche tu alla fine, eh? Eri così felice di averlo conosciuto, lo ammiravi, lo stimavi … Davvero ti vendi per così poco, Arthur? Dici di voler diventare un uomo rispettabile, ma il primo a cui manchi di rispetto sei proprio tu, e non riesci nemmeno a essere sincero con il tuo cuore. Mi fai pena!”
Il tono di voce sale sempre di più, mischiandosi ai piccoli singhiozzi di rabbia della rossa. Si allontana dal ragazzo, scostandosi un ciuffo ribelle dal viso. Lui la fissa con sguardo inespressivo, ma non riesce a mantenerlo per molto: gli occhi tornano al pavimento, le parole rimangono dentro e non trovano modo di farsi strada.
Lei esce dalla stanza senza voltarsi. Prima di essere inghiottita dal buio della stanza a fianco, lo fissa negli occhi un’ultima volta e lancia la sua condanna, colpendolo per l’ennesima volta in quel pomeriggio.

“Ricordati di Francis.”
Il brusio torna più forte, le chiacchiere riprendono e riempiono il vuoto creato dal silenzio poco prima. Lord Kirkland osserva il figlio per un attimo, accigliato.
“Francis?”
“Ignorala, padre. Sta delirando”.
 
Più tardi, mentre era disteso tra le lenzuola morbide del letto di Francis, aveva capito che quella storia non avrebbe potuto continuare a lungo. Continuare a ingannarsi sarebbe stato ridicolo, inutile, e più doloroso ogni giorno che passava. Aveva deciso di indossare una maschera impossibile da togliere senza un numero elevato di sacrifici, e il primo era proprio quello.
“A cosa pensi, Arthùr?” gli aveva chiesto lui, con la sua solita, pacata gentilezza. Le sue dita avevano percorso il contorno del viso del giovane inglese con dolcezza, soffermandosi appena sui ciuffi di capelli disordinati che lo incorniciavano, spostandoli, sistemandoli per rimetterlo in ordine. Era così bello, Francis, con la luce della luna che tingeva di bianco perlaceo il viso e gli occhi, da farlo rimanere in silenzio per un attimo, a fissarlo.
“A niente di che” rispose, un po’ imbarazzato. Non gli piaceva lo sguardo indagatore che gli rivolgeva in quelle occasioni, soprattutto in momenti come quello, in cui aveva bisogno che i suoi pensieri restassero ben nascosti. Ma Francis aveva una capacità speciale di leggergli nella mente: dietro quell’apparenza di superficialità, si nascondeva un animo sensibile e molto attento alle emozioni di chi gli stava intorno; molto spesso si era sentito quasi mettere a nudo dal suo modo di osservarlo, come se solo da un gesto potesse capire tutto ciò che gli passava per la testa.

Si alzò, mettendosi a sedere e rivolgendo un’occhiata alla finestra di fronte a lui.
“Sarebbe meglio se non ci vedessimo più.”
Il francese si era alzato e lo osservava, gli occhi spalancati in un’espressione interrogativa. Fortunatamente era buio, così da non doverlo guardare a sua volta per forza.
“Adesso che mister Wilde è stato arrestato ed è sotto processo, mio padre potrebbe insospettirsi e controllare le mie uscite … Ora che gli ho promesso di essere un suo degno erede, non posso continuare così, e non voglio che la nostra relazione possa arrecarti un qualsiasi danno. Penso sia meglio per entrambi.”
La sua voce, ferma fino a quel momento, si era incrinata. Strinse forte le labbra per evitare che le lacrime mostrassero in maniera evidente i suoi veri pensieri.

Fuori, solo i grilli continuavano a frinire. In lontananza, una carrozza si lasciava dietro il suo fragore di zoccoli e ruote che percorrevano la strada.
“Non mi sembri convinto, Arthùr. Sei sicuro che quello che tu padre desidera per te sia la stessa cosa che desideri tu per te stesso?”
Diamine. Eccolo, il famoso sesto senso di Francis. Come faceva a distruggere una nottata intera impegnata a costruirsi uno scudo di (false) certezze con un’unica, innocente frase?
“Anche se non lo desiderassi, dovrei accettarlo comunque. Fa parte della mia natura. E una vita assieme a te non sarebbe conveniente, per… tanti motivi”.
Aveva iniziato a raccogliere i vestiti automaticamente, mascherando la tristezza che sentiva dentro con una cattiveria che non avrebbe mai voluto esprimere e dei gesti frettolosi, inutili: tutti, da suo padre ai domestici, lo credevano a casa di qualche bella fanciulla, impegnato in chissà quali imprese galanti. Francis seguiva le sue operazioni con uno sguardo diverso, più triste.
Si erano lasciati quasi senza parole, in un’atmosfera di rassegnata malinconia che gravava pesantemente tra loro. Il francese l’aveva accompagnato fino alla porta, sfiorandogli appena un braccio nel momento in cui aveva lasciato la casa.

“Au revoir, Arthùr. So che ci rincontreremo, prima o poi.”
 
Non erano servite altre parole, né addii strappalacrime privi di significato: lasciarlo andare, ricrearsi una vita, dimenticarlo, lasciarlo andare, ricrearsi una vita, dimenticarlo, erano gli unici pensieri di Arthur in quel momento, una sorta di cantilena ripetuta all’infinito che avrebbe dovuto aiutarlo ad accettare la sua decisione.
Si era lasciato quella casa dall’architettura classicheggiante alle spalle, senza voltarsi indietro, con la consapevolezza che Francis era lì, in piedi contro lo stipite, a fissarlo. E solo quando era stato abbastanza lontano da non essere più visto, si era finalmente liberato, sfogando la sua rabbia in una corsa violenta verso casa, lasciando che solo una lacrima scappasse fuori dai suoi occhi socchiusi.

“Au revoir, Arthur”.



* “Vieni sul mio cuore, anima sorda e crudele, tigre adorata, mostro dall’aria indolente; da molto tempo voglio affondare le mie dita tremanti nel folto della tua criniera. Affondare la mia testa dolorante nelle gonne colme del tuo profumo, e respirare, come un fiore avvizzito, il dolce odore del mio amore defunto”.
** "... Voglio dormire! Dormire piuttosto che vivere! In un sonno dolce come la morte, spanderei senza rimorso i miei baci, sul tuo corpo lucido come l’ottone.”
[Traduzione mia da C. Baudelaire, Le Léthé – Les Fleurs Du Mal].

 
 












* Angolo dell’autrice *
Come promesso, eccovi il secondo capitolo !
Pubblicarli “già pronti” (dopo una breve rilettura), mi fa strano, dato che chi ha seguito o segue ancora delle mie raccolte sa quanto sia io lenta ad aggiornare... ma sono più soddisfatta: almeno posso proporvela con una certa regolarità e non farvi aspettare troppo, cosa che sarei costretta a fare tra Uni, esami e studio =w=
Spero che anche questo secondo capitolo possa soddisfarvi! La traduzione agli stralci di poesia da “I Fiori del Male” di Baudelaire sono realizzate da me, la citazione iniziale è tratta invece dalla pagina di Wikiquotes dedicata a Oscar Wilde.
Un grazie grandissimo a TsunadeSenju, TsunadeHime, Tifawow, Orazio il Furetto, Kuro_Renkinjutsushi, Emi_Iino e Dark Amy per aver inserito la storia nelle seguite, e a tutti coloro che l’hanno letta e apprezzata, anche senza commentare.
Alla prossima!
Nat

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - (Un)Forgivable ***




(Un)Forgivable
 
 

 




“All sins, except a sin against itself, Love should forgive.
 All lives, save loveless lives, true Love should pardon.”

L’amore dovrebbe perdonare tutti i peccati, tranne quello contro se stessi.
L’amore dovrebbe graziare tutte le vite, tranne quelle di chi non ama.
[Oscar Wilde, An Ideal Husband, 1895]

 
 







Una cameriera gli aveva appena aperto l’ingresso della villa di Lord Headlam con un sorriso cortese sul volto. “Entrate, prego, il signorino MacBarrach e la signorina Fitzpatrick sono già qui… padron Stewart è impegnato col signor Wilde, ma ha promesso di onorarci della sua presenza il prima possibile. Se vuole seguirmi, signorino Kirkland, le faccio strada verso il salotto…”
L’interno della casa era arredato con cura ed una certa eleganza tipicamente londinese che non era difficile trovare nelle dimore aristocratiche: tende dai colori tenui, mobili di foggia classica alternati a pezzi prettamente art nouveau, una certa dose di fiori freschi, sicuramente coltivati nel giardino adiacente, tappezzerie ricercate… certamente Lord Headlam amava trattarsi bene, rifletté Arthur, passando per un lungo corridoio decorato da quadri antichi, per poi accomodarsi in una sala illuminata da una grande porta a vetri, dove già sedevano il cugino e Niamh. Un raggio di sole pomeridiano, tiepido e invitante, filtrava dalla finestra semiaperta, disegnando arabeschi intricati sulle poltrone e sui muri.

“Oh Arthur! Sapevo che alla fine ti saresti unito a noi” gli sorrise radiosa Niamh, seguita dal fidanzato, che salutò il cugino con un cenno del capo. “Abbiamo già salutato Mister Wilde, dovresti vedere com’è cambiato … Ora è di sopra con Lord Headlam, si stanno accordando sulla sua prossima destinazione, ma se li raggiungi sicuramente ti ci faranno parlare. Ti sta aspettando …”

Lasciò in sospeso l’ultima frase. Arthur avrebbe capito cosa fare.

 
 
Lord Headlam lo aveva accolto con la stessa gentilezza della sua cameriera, spiegandogli che Oscar Wilde non si sarebbe trattenuto molto lì a Londra: una nave per Dieppe lo attendeva il giorno dopo, per condurlo in Francia; ormai, di motivi per restare ancora lì in Inghilterra, non ne aveva più.
L’uomo lo aveva condotto al piano di sopra, fuori dalla stanza degli ospiti che lo scrittore avrebbe occupato quella notte e in cui in quel momento si trovava Niamh assieme ad Ewan, impegnata in un colloquio che, sicuramente, desiderava da tantissimo tempo. La porta era chiusa, per tutelare la privacy dell’ospite (provato da due anni di lontananza dalla sua vita abituale), ma Arthur non gli diede importanza: dopo il salto prepotente nel passato a cui la sua testa l’aveva obbligato qualche ora prima, era il momento di riflettere seriamente su cosa avrebbe potuto dire a mister Wilde. Scusarsi? Ribadirgli che era stato un perfetto idiota, debole e sottomesso a suo padre, e che le cattiverie dette nei suoi confronti non corrispondevano a verità? Chiedergli semplicemente perdono, e aspettare che fosse lui a dire qualcosa – anche un insulto andava bene, purché gli rivolgesse la parola – cercando di essere meno cinico e insensibile di quanto aveva imparato comportarsi ultimamente?
Niente andava bene, niente, dannazione. Per quanto cercasse in lungo e in largo nei meandri del suo cervello, non riusciva a trovare una accidenti di frase che potesse cominciare un discorso. E la visione di una chioma bionda che, all’improvviso, aveva fatto capolino dalle scale, non lo aiutava certo a concentrarsi.
 
Chioma bionda?
La voce di Niamh che lo chiamava all’interno della stanza non aveva dato possibilità di accertarsi di quanto avesse appena visto, ma di una cosa era quasi certo: l’odioso sorrisetto d’intesa che l’individuo biondo e misterioso appena apparso gli aveva rivolto apparteneva sicuramente a Francis. Come aveva fatto a scordarsi che anche lui si sarebbe trovato lì?
Cercò di allontanare il pensiero, almeno fino a che non avesse affrontato quell’incontro con Wilde: aveva bisogno di frugare un po’ nel suo cuore (anziché nella mente, come troppo spesso faceva), per trovare le parole giuste da dire.
 

 
***
 

Il cugino e la ragazza erano di sotto. Si erano congedati da mister Wilde abbastanza tranquillamente – Niamh non si era potuta trattenere dall’abbracciare l’uomo, seppur con la sua tenera goffaggine da ragazzina poco abituata a seguire l’etichetta – e ora si dirigevano verso il salotto, ansiosi di sapere cosa aveva loro da dire Lord Headlam.
Arthur, in piedi sulla soglia della camera, aveva rinunciato a cercare un qualsiasi inizio di frase che non lo facesse sembrare un idiota totale. Rimaneva lì, fermo come uno stoccafisso, ad osservare la schiena leggermente curva dell’uomo che sedeva al piccolo scrittoio di legno sotto la finestra, di spalle alla porta e apparentemente incurante del fatto che un inglese ventitreenne dall’aria impacciata si era appena presentato alla sua porta.
Comincerò col classico raschio di gola. È un modo abbastanza neutrale per annunciarmi, no?
Stava per rivelare la sua presenza in quella maniera quasi comica, quando lo scrittore si girò, puntandogli gli occhi brillanti addosso.
“Oh, ma guarda un po’ chi si rivede… Il giovane Kirkland. Anche tu qui stasera, mio caro amico?”
L’inglese rimase fermo sulla soglia, indeciso se chiedere di potersi accomodare o farlo direttamente, in barba a galateo, buona educazione e quant’altro. Wilde doveva essersene accorto, perché ridacchiò divertito. “Avanti, vieni qui a sederti. Sono talmente cambiato che non mi riconosci già più? E io che avevo piacere nel rivederti.”

Gli dava ancora del tu…

Il ragazzo obbedì, sistemandosi sul panchetto che l’uomo gli indicava. Poteva anche essere diventato un altro, dopo quei due anni trascorsi in prigione, ma l’ironia che lo aveva contraddistinto in passato sembrava essere rimasta la stessa, e anche in un momento di tensione come quello non mancava di sfoderarla.
Fortunatamente, fu Wilde a cominciare la conversazione, risparmiandogli ogni possibile imbarazzo circa le parole giuste da usare.
“E’ un peccato incontrarci di nuovo in un’occasione del genere. Se le cose fossero andate in modo diverso tu, la signorina Fitzpatrick e il signor MacBarrach sareste stati miei ospiti alle prime dei miei spettacoli… ma sembra che la vita non abbia voluto concederci questa possibilità” sospirò, chiudendo il foglio su cui, fino a poco prima, stava scrivendo. “Chissà, magari tutto questo significa qualcosa, e solo a tempo debito lo capiremo… Ormai ho rinunciato a cercare una spiegazione. Mi fa piacere di avere ancora persone che credono in me e mi apprezzano, nonostante tutto, e vederle qui, oggi, mi ha aperto il cuore, anche se per poco.”
Arthur annuì.
“La signorina Fizpatrick è stata così… diretta, nel manifestarmi la sua felicità” rise sotto i baffi, sembrando per un attimo meno rassegnato di prima. “Anche lei è cresciuta, ma ha mantenuto quella vena romantica che la rende sempre una bambina. Mi ha raccontato quello che è successo durante la mia «assenza», e ho saputo che –“

“ … Che vi ho diffamato pubblicamente, offendendovi e fingendo di non avervi mai conosciuto?”
 
Ce l’aveva fatta. La verità era spuntata fuori, anche se non come avrebbe immaginato di riferirla. Ma nel più profondo di se sentiva che, in quel momento, l’orgoglio serviva a ben poco.
“Avevo davanti due possibilità: essere me stesso, dichiarare pubblicamente che vi ammiravo, che anche io ero innamorato di un ragazzo e vi consideravo innocente, venendo così disconosciuto da mio padre e dalla mia famiglia, o continuare ad essere quello che ero, un bugiardo dalla doppia vita, nascosto dietro una maschera che gli altri avevano scelto per me… e ho optato per la seconda possibilità. Era più semplice, più adatta al ragazzino insicuro e desideroso di ribellione che avevo deciso di essere. Credevo di potermi nascondere dietro parole grandi, confondermi con la massa e mettere a tacere il me stesso che ero stato fino a pochi anni prima, ma non ha funzionato: ho continuato a pensare a Francis, e a voi. E adesso sono qui come uno stupido, a chiedervi perdono pur sapendo che non ho nessun diritto di ottenere delle scuse…”

Lo scrittore lo osservava, un po’ sorpreso.

“Siete stato voi a dire che l’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori, no? In questo caso, ne ho accumulata parecchia. Se avete dei rimproveri da farmi li accetterò, anche se mi chiedeste di andarmene e non farmi più vedere. Solo… Vorrei che sapeste che mi dispiace, e che se davvero si potesse cambiare il passato, quel maledetto giorno del processo avrei convinto mio padre a non testimoniare contro di voi…”
Avrebbe voluto dire altro, ma un singhiozzo gli bloccò le parole in gola, impedendogli di continuare. E, con suo grande sgomento, un minuto dopo piangeva a dirotto, liberandosi del peso che sentiva nel cuore attraverso le lacrime, che scivolavano copiose giù dagli occhi bagnando i capelli, le labbra, il mento, le mani, tutto quanto. Più si sentiva in colpa, più piangeva. Più piangeva, più la sensazione di essere ritornato un mocciosetto indifeso lo afferrava, facendolo sentire ancora più stupido e, se possibile, più debole di quanto non fosse già. Ma non riusciva a smettere.
Con sua grande sorpresa, le braccia di Wilde si strinsero attorno al suo corpo, come a proteggerlo da quanto il mondo avrebbe potuto fargli in quel momento di cedimento.
“Oh, Arthur, non sei cambiato neanche tu, alla fine… Dalla tua aria altezzosa e posata, mi aspettavo di trovarmi davanti un vero Lord, e invece sto consolando un ragazzino spaventato, convinto di aver combinato un guaio a cui non sa come porre rimedio. Ma alla fine, forse è meglio così… adesso si che ti riconosco davvero”.

Silenzio. Cosa avrebbe potuto dire?

“Abbiamo commesso entrambi degli sbagli, e sappiamo quanto faccia male accorgersi che qualcosa è andato storto. Ma, come ben sai, ho sempre affermato che nessun uomo è abbastanza ricco da poter riscattare il proprio passato… soprattutto se questo può insegnarci qualcosa, a tutt’oggi. Perlomeno, tu di tempo ne hai ancora” lo guardò, dedicandogli un sorriso in cui, per la prima volta in quella giornata, Arthur poté notare un barlume di tristezza. “Io ho scelto per me un amore a senso unico, tu hai avuto la fortuna di essere ricambiato, Niamh mi ha raccontato tutto. Perché dovresti distruggere tutto per seguire una sorte che non ti spetta? Ormai ho… ah, lasciamo stare, odio dover dire ad alta voce la mia età” sbuffò, strappando un sorrisetto al giovane inglese. “Ad ogni modo, per voi ragazzi sono una specie di Matusalemme… ma l’unico consiglio che sento di poterti dare, è quello di non nasconderti. Di vivere la tua vita per quella che è, senza compromessi né tentativi di celare te stesso agli altri. E, in questo modo, di non mancare di rispetto al mio caro amico Francis Bonnefoy, che ho visto più dimagrito e sciupato di quanto lo ricordassi…” terminò, rivolgendogli un’occhiata d’intesa che valeva più di mille parole.
Arthur si alzò, lisciandosi il gilet per sistemarne le pieghe e asciugandosi gli occhi, rivolgendo un’ultima occhiata a Wilde che, lasciatolo andare, era tornato a riempire il foglio che aveva davanti. Dentro di sé, sapeva che forse non l’avrebbe più rivisto: la ruota su cui erano impressi i loro destini girava quasi sempre in maniera diversa da quanto si aspettassero, e gli avvenimenti di quegli ultimi anni glielo avevano provato… ma la loro breve conversazione era riuscita ad aprire un varco nel suo cuore e, ne era sicuro, ci sarebbe rimasta per moltissimo tempo. Nascosta, protetta, custodita come un ricordo felice, perché nessuno potesse portargliela via.

“Si può resistere a tutto, tranne che alle tentazioni, no?”

Non aveva potuto fare a meno di citare un celebre aforisma dell’uomo, che Francis tanto amava ripetere quando si incontravano, di nascosto da tutti e da tutto. E, con sua gioia, il sorriso triste che aveva piegato fino a quel momento le labbra di Wilde si distese in uno più sereno, quasi soddisfatto.
 
La nave per Dieppe partì il giorno dopo. Al porto a salutare lo scrittore, oltre ai pochi amici che lo avevano aiutato nei momenti più difficili di quei due anni di prigionia, c’erano Niamh ed Ewan, Arthur e anche Francis. Conoscevano la decisione di Wilde, e la appoggiavano, nonostante avrebbe significato non rivedersi più.
Niamh lo aveva abbracciato con forza, dimostrando ancora una volta di non riuscire a rispettare l’etichetta quando si trattava di esprimere i suoi sentimenti, ricevendo una carezza sulla testa e la richiesta di continuare a scrivere ed amare la sua Irlanda come avevano fatto già sua madre Riona e la madre di Wilde, Lady Jane. Anche Ewan aveva l’aria triste: si era inchinato con deferenza e aveva salutato lo scrittore con l’affetto di un vecchio amico, senza però la solita vivacità che era sua caratteristica distintiva. In piedi di fronte alla sagoma imponente della nave, i quattro sembravano più piccoli e curvi della loro età, quattro sagome ritagliate da un fondale color cielo e incollate nello scenario di una mattinata ventosa quasi per caso.
La nave lasciò il porto con un fischio. L’ora di crescere, di vivere per ciò che davvero desiderava, sembrava essere arrivata… e Arthur non poteva rimandarla, non dopo che aveva fatto quella promessa a mister Wilde, appena il giorno prima.
Oscar non aveva avuto nessun messaggio particolare per lui: una stretta di mano, un sorriso, i soliti saluti di circostanza che ci si scambiava all’inizio di ogni viaggio. Ciò che aveva di davvero importante da dirgli, lo aveva già affidato al suo cuore… stava a lui decidere cosa farne.
Niamh sventolava il fazzoletto più che poteva, sperando di essere vista dai puntini affacciati sul parapetto, che pian piano diventavano sempre più piccoli. Francis sembrava assorto nei suoi pensieri, il vento che gli scompigliava i capelli e ne portava il profumo dolce e un po’ speziato alle narici dell’inglese. Si voltò per un attimo, incontrando il verde degli occhi di Arthur e sorridendogli, come se il tempo non fosse mai passato, e il loro allontanamento fosse stato causato solo da un banale litigio, qualche ora prima.

“Il mare resterà calmo, non preoccuparti. Mister Wilde passerà una traversata tranquilla”. Ewan confortava Niamh, che si asciugava una lacrima col fazzoletto che aveva finito di sventolare. Alzò un braccio e cinse le piccole spalle della ragazza, stringendola accanto a se, come un uccellino spaventato. E, con grande sorpresa di Arthur e divertimento di Francis, la ragazza se li tirò dietro entrambi, costringendoli in un abbraccio collettivo che li univa.
Le dita di Francis toccavano appena le sue, quasi inavvertitamente. Ma bastava a trasmettergli il calore che desiderava, da tanto tempo.

 
 

 
 





Angolo dell’autrice
Ed eccoci al terzo capitolo!
Per riempire il solito spazietto a fine fic (che adoro!), inizio ringraziandovi per l’amore che avete mostrato nei confronti di Irlanda, la mia OC: non mi capita di creare molti personaggi originali, ma quando vedo che vengono apprezzati non posso che esserne felice!
E sono davvero molto, molto contenta che “l’assetto” della fic e i riferimenti a Oscar Wilde siano convincenti; adorandolo, mi sono documentata il più possibile su tutte le sue opere e la sua vita, e ho cercato di intrecciarle alla storia. Come mi rende sollevata sapere che non ho reso Francis o Arthur OOC <3

Detto questo… Un ringraziamento (come sempre) a tutti coloro che hanno letto e commentato il capitolo, a chi lo ha letto e apprezzato anche senza recensirlo, e a FeEChAn e noriko per aver inserito la storia nelle seguite! Mi riempite di gioia ogni volta <3

Al prossimo capitolo, col gran finale!
Nat

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Capitolo 4
*** Epilogo - Douce France ***




Douce France
 




 


“They say, Lady Hunstanton, that when good Americans die they go to Paris.”
“Indeed? And when bad Americans die, where do they go to?”
“Oh, they go to America.”

“Si dice, Lady Hunstanton, che quando gli Americani buoni muoiono vadano a Parigi.”
“Sul serio? E quando i cattivi Americani muoiono, dov’è che finiscono?”
“Oh, in America”.

[Oscar Wilde, A Woman of No Importance, 1893].
 
 




 
Parigi, 1910.


Era molto tempo che non tornava a Parigi. Della città dell’amore, la splendida capitale francese, la città dell’arte e dei divertimenti, si era fatto per anni un’idea tramite le cartoline portate dalle dame loro amiche ai suoi genitori, i libri illustrati e i racconti di Francis, che non perdeva occasione di cantarne le lodi, rammaricandosi di quanto gli mancasse il suo cher pays, con gli Champs Elysées, la Tour Eiffel e il novero di musei che costituivano l’orgoglio della sua nazione. Si era riproposto molte volte di visitarlo, quel paese di cui aveva tanto sentito parlare, ma vari eventi indipendenti dalla sua volontà non gliel’avevano permesso, almeno fino a quando non aveva deciso di trascorrerci qualche periodo dell’anno.
Sballottato a destra e a sinistra dalla guida fin troppo sportiva del tramviere, Arthur si godeva i primissimi minuti del suo ritorno nel peggiore dei modi: il viaggio in nave gli aveva provocato la solita nausea (col suo seguito di disturbi intestinali che era meglio non approfondire in dettaglio), facendogli sperare che, almeno a terra, si sarebbe potuto rilassare con un piacevole giro turistico della città…  ma evidentemente si sbagliava. Del resto, lo aveva sotto gli occhi un esempio di francese modello, con le sue bizzarrie e le complicazioni che aggiungeva ad ogni azione, anche la più dannatamente semplice: come poteva non averci pensato? Se ci aggiungeva il fatto che non riusciva ancora ad abituarsi a quella dannata lingua così diversa dal suo splendido inglese, gli sembrava di diventare pazzo.
La sua compostezza tutta britannica, però, era difficile da far vacillare, almeno in apparenza, e anche in quel caso riuscì a controllarsi; lo aspettava una visita importante, e sentiva di poter resistere a quel pazzo che aveva deciso di attentare alla sua digestione almeno per un altro po’.
Il sole splendeva, più caldo e vivace che a Londra, doveva ammetterlo. Dopo tante giornate trascorse con l’impermeabile addosso, a correre da una parte all’altra per non farsi bagnare dai rivoletti gelidi che sembravano provare piacere nel colargli lungo il viso e i capelli, sentirsi accarezzare dolcemente dai raggi di un sole ancora tiepido di aprile era decisamente gratificante. Chiuse gli occhi, beandosi di quel “regalo” concessogli dalla sorte, e proseguì per il suo cammino, addentrandosi per le strade affollate della città.
Era più di un anno che non si vedevano, ma aveva deciso che, prima di rincontrarlo, sarebbe andato a far visita ad un altro amico che avrebbe molto gradito la sua presenza. Non era molto pratico della zona, nonostante Francis abitasse a Parigi dalla nascita – soggiorni inglesi a parte – e l’avesse portato in giro praticamente per mezza città, ragion per cui si era fermato a chiedere informazioni in un caffè sulla riva della Senna, esibendo il suo pessimo accento forzato che lo qualificava come anglais già a sentirlo parlare da una certa distanza.
Il Père Lachaise, il cimitero monumentale più famoso di Parigi e, forse, di tutta la Francia, aveva l’aria di un luogo maestoso, col suo portale imponente in marmo che accoglieva i visitatori in silenzio. E il silenzio albergava ovunque passasse (sarebbe stato difficile aspettarsi il contrario, anche in un cimitero famoso come quello), dando ad Arthur la sensazione di essere passato attraverso un portale per un’altra dimensione. Un’avventura da racconto di fate, come quelle che credeva di vedere da bambino e che avevano occupato un posto nel suo immaginario anche durante l’adolescenza, nonostante non amasse ammetterlo.
I mausolei erano moltissimi, e ogni tomba aveva una sua particolarità, che fosse una decorazione diversa dalle altre o il segno del passaggio degli ammiratori del defunto, che avevano lasciato messaggi, fiori e quant’altro. Ecco Abelardo ed Eloisa, i celebri amanti la cui storia aveva sempre commosso Niamh, ecco Jacques-Louis David, il pittore neoclassico, ecco Georges Bizet e Frédéric Chopin, musicisti che ricordava dagli esercizi di pianoforte di suo fratello minore, Maria Taglioni, ballerina, Eugéne Delacroix, il pittore preferito da Francis … ogni stradina che girava gli portava un ricordo alla mente, e lui era lì per ricollegarli tra loro con pazienza, con cura, come un bambino che si diverte a cercare conchiglie sulla spiaggia.
La tomba che voleva raggiungere era nel settore più nuovo e, già da lontano, sembrava essere stata visitata da molti: una bella corona di fiori freschi spiccava sul bianco della lapide, rallegrandolo con una nota di colore arancio-rossastro. Rose e gerbere.
Si chinò, depositando il suo piccolo mazzo di viole e accarezzando il marmo freddo con un dito, pensieroso, sillabando a mezza bocca le lettere in rilievo come se non ne comprendesse il significato.
“Lacrime sconosciute riempiranno l’urna della Pietà per lui. Avrà i lamenti degli uomini esiliati … “
“… Per gli esiliati esiste solo il pianto” terminò una voce inconfondibile, col terribile accento indurito dalla pronuncia inglese che la caratterizzava. Gli occhi magnetici di Francis sorridevano assieme alla sua bocca, felice di aver sorpreso il ragazzo in quel momento di raccoglimento. L’aveva sempre pensato, in fondo, che il suo Arthùr era un tipo sensibile.
“Come hai fatto a capire che ero qui? Non ti ho neanche detto a che ora sarei tornato!”
“Oh, mio caro Angleterre, sei più prevedibile di quanto tu non creda di essere” ridacchiò l’altro, spostando indietro i boccoli biondi con uno scatto e sistemando un mazzo di gigli in uno dei vasi di bronzo della tomba. “Volevi visitare un vecchio amico ed era così urgente da farti dimenticare di precisare a che ora saresti stato a casa … visto che solitamonte frequenti noiosi inglesi e qui en France godi unicamente della compagnia dello splendido sottoscritto, ho subito pensato a monsieur Wilde. E ho avuto ragione!” terminò, soddisfatto, contemplando la composizione floreale che aveva creato. I fiori erano tanti, e bellissimi.
Arthur decise di non ribattere: Francis, a dirla tutta, gli era mancato. Quella maniera insopportabile di masticare le parole e restituirle impregnate della sua parlata strascicata, i suoi commenti stupidi e fuori luogo (per di più espressi ad alta voce) sulle signore che incrociavano nei locali notturni, durante le loro “serate mondane”, il ficcanasare continuamente nei suoi affari, come se la vita dell’inglese fosse di dominio pubblico e lui avesse tutto il diritto di sbandierarne al mondo i segreti più inconfessabili … e il modo in cui lo considerava parte integrante della sua vita, un ultimo tassello del puzzle che era andato componendosi per più di dieci anni e che, finalmente, sembrava essersi completato.
“Idiota. Ad ogni modo, hai fatto bene a portargli dei gigli … sembra che non siamo stati i soli, a ricordare che a mister Wilde faceva piacere la compagnia” accennò un sorriso, indicando il marmo dove era segnato il nome dello scrittore. Accanto alle lettere, qualcuno (una donna, a giudicare dal rossetto) aveva stampato un bacio.
 
Lasciarono il Père Lachaise e si addentrarono per le strade di Parigi, sospinti da una brezza leggera. Senza meta, andavano dove le gambe li portavano, trovandosi a percorrere l’Avenue de Champs – Elysées dopo un breve tragitto in tram, stranamente più tranquillo del precedente.
“Allora, come va la vita nel freddo nord?” chiese scherzosamente il francese, sicuro di irritare Arthur, che non mancò di rispondere, sbuffando.
“Freddo nord. Come se abitassi in Islanda! Ad ogni modo, va bene. Ogni volta che torno a casa, mi sembra di essere mancato per una vita intera … anche se le cose, più o meno, sono sempre uguali. Peter sta per sposarsi, a quanto pare … si è trovato una ragazza straniera, viene dall’Australia, pensa te. Mia madre è ovviamente contenta, almeno un figlio ha seguito la strada che lei aveva sempre desiderato.”
Sembrava amareggiato. Francis cercò di riportare la conversazione ad un livello più leggero. “Ah, tuo fratello è sempre stato un tipo originale… Che mi dici di Doireann, invece? Ormai dovrebbe avere sei anni, no?”
Niamh ed Ewan avevano avuto un figlio, ormai grandicello, nato poco dopo il loro matrimonio. Una bambina l’aveva seguito qualche anno dopo, riempiendoli di felicità e rendendo Niamh entusiasta della sua famiglia, tanto da propinare continuamente ad Arthur quegli adorabili e pestiferi nipotini. Circondato da tante famiglie che si formavano, tassello dopo tassello, perfette nel loro amore e nella loro completezza, dichiarare ai suoi genitori che aveva intenzione di trascorrere il resto della sua vita con un uomo non era stato semplice, per Arthur. Ma aveva dovuto affrontare anche quell’ostacolo, con la consapevolezza che la strada per la vita che davvero desiderava non era semplice da percorrere, né tantomeno indolore.

“Li ha compiuti da poco. Lei e Oscar sono due ragazzini fin troppo svegli…  Fanno un sacco di domande, sono due pesti” sospirò, passandosi una mano sul viso con fare stanco. “Per fortuna mia madre e mio padre hanno avuto la delicatezza di non coinvolgerli nelle nostre discussioni. Per il breve periodo che passo con loro si comportano normalmente, vogliono assolutamente imparare il francese e giocano con molta energia, come sempre. Un giorno te li farò conoscere”.
Continuavano a camminare, attraverso le strade di una Parigi che diventava sempre più familiare mano a mano che avanzavano. Insegne, alberi, le prime, sparute automobili che facevano bella mostra accanto ai caffè tirati a lucido, i gruppi colorati di persone che si accalcavano attorno a qualche artista di strada… non era possibile descrivere con poche parole il meraviglioso spettacolo che tutte quelle vite offrivano, in una volta sola. Anche passandovi in mezzo, riuscivano a coglierne solo dei minuscoli frammenti… ma forse, il bello era proprio quello.

Arthur si fermò un attimo, lasciando che Francis lo superasse per guardarlo camminare davanti a se. Ne aveva passate tante, nei tredici anni che erano trascorsi da quel pomeriggio di maggio in cui Oscar Wilde era stato liberato dalla prigione … qualcuno li aveva lasciati, qualcun altro si era affacciato alla vita, matrimoni, imprevisti, riconciliazioni e unioni si erano alternati, come a scandire un ritmo già prestabilito. Nonostante fosse decisamente cresciuto, nel corpo come nella mente, aveva avuto anche lui dei momenti di cedimento, in cui mollare tutto o trovare un motivo per cui desistere dalla sue decisioni sembravano le scelte più augurabili: i suoi genitori non avevano certo preso bene il fatto che fosse omosessuale. Ma in fondo sapeva che sua madre, nella sua dolcezza sempre pronta a perdonarlo, provava per lui lo stesso amore che aveva provato da sempre. Aveva provato ad attaccarsi all’alcool, a fuggire, a tentare di affogare nuovamente in un’immobilità di sentimenti il suo amore …ma non erano soluzioni, quelle, non lo erano mai state: lo aveva compreso dopo altre cadute, dolori, fallimenti.
Oscar Wilde aveva segnato il punto d’inizio della loro amicizia, il capo del filo che aveva unito le loro esistenze da quel giorno lontano del 1894. Aveva rappresentato per loro un artista da ammirare, un poeta di grande fama, un amico, un compagno, e il suo insegnamento permaneva ancora nei loro gesti, nella loro mente, nonostante fossero passati ormai dieci anni dalla sua morte. Perderlo dopo averlo ritrovato era stato, se possibile, come perderlo due volte … ma smarrirsi nei rimpianti non serviva a nulla, se non a rendere le cose più difficili. Il messaggio che mister Wilde gli aveva affidato era stato chiaro: non nascondersi più. Ed era stato proprio il ricordo dello scrittore irlandese e del loro colloquio a dargli coraggio nelle sue scelte successive.
Aveva deciso di abbandonare Londra e di dedicarsi a quella vita da vagabondo per inseguire il sogno di un’esistenza come la desiderava, libera da ogni decisione costretta, libera da chi avrebbe voluto staccarlo dalla compagnia di quello stupido francese, che stava ovviamente facendo il cascamorto con un’amica incontrata per caso, una giovane attrice creola che entrambi avevano conosciuto al Folies-Bergère.
Se qualcuno gli avesse proposto di ricominciare tutto, risparmiandosi tanti dolori ed eliminando gli “errori di percorso” che l’avevano caratterizzata, rinunciando però all’amore di Francis, sapeva che avrebbe risposto di no.

“Arthùr! Qu’est-ce-que tu fais? Non puoi restare lì impalato!”
 
Sorridendo, il giovane inglese si affrettò a raggiungere l’altro, fingendosi scocciato. Ripresero a passeggiare, immersi così tanto nel tepore della giornata di aprile da dimenticare persino dove si trovassero.
“Ti vedo fin troppo pensieroso, Arthùr. Sei sicuro di star bene?”
“Che vuoi che abbia? Certo che sto bene! Devo riabituarmi al clima francese, da noi non spira questo bel venticello” sbuffò, spostandosi un lembo della giacca per rimettersi in ordine. “E le tue manacce dappertutto non mi aiutano.”
Francis tolse la mano dal fianco dell’inglese, sospirando. “Oh Arthùr, tante volte sei così strano che mi viene il dubbio che tu esista veramente. Forse i tuoi amichetti immaginari ti hanno rapito e sostituito con uno di loro travestito da Lord inglese … Aimai-je un rêve?”* concluse, recitando la frase con tono esageratamente drammatico.
“E questa da dove ti viene fuori?”
“Stéphane Mallarmé, mon ami … Imparerai a conoscerlo, non temere”.
 
Arthur Kirkland, trentasei anni da compiere, la tempra silenziosa e impassibile del perfetto inglese, mista ad una dolcezza nascosta e, per questo, ancor più straordinaria. Francis Bonnefoy, quasi trentanove anni, gentiluomo francese dall’apparenza bohemiénne e dai modi da artista romantico, irrimediabilmente innamorato del suo inglese, forse l’unico in grado di tirar fuori i suoi veri sentimenti.
Due uomini completamente diversi ma che, per un bizzarro e splendido gioco del destino, ora camminavano vicini, le dita che si sfioravano con delicatezza, i passi che si sincronizzavano quasi automaticamente, un unico percorso da costruire insieme.
Uniti come le lettere di una parola, continuavano a camminare nel sole del primo pomeriggio, i raggi che li accarezzavano e delineavano i loro corpi, dipingendo le ombre sul marciapiede come affreschi in una cattedrale.
 




*”Ho amato un sogno?” [da “L’Aprés-Midi D’Une Faune, Stéphane Mallarmé]
Referenze delle citazioni: “Les Fleurs Du Mal”, Charles Baudelaire (poesia: Le Léthé) ; "L’Aprés-Midi D’Une Faune" (Stéphane Mallarmé) ; Wikiquotes e la pagina di Facebook "Le Migliori Citazioni di Oscar Wilde" per gli aforismi. Quelli all’interno del discorso di Wilde appartengono a “Lady Windermere’s Fan” (1892) e “An Ideal Husband” (1895).









* Angolo dell’autrice *
… Ed eccoci alla fine!
Mi fa davvero strano vederlo scritto alla fine di una fanfiction, nonostante l’abbia terminata da un bel po’ e ora la stai solo postando: è il termine di un percorso iniziato dopo tantissimi tentennamenti (perché, nonostante adorassi la coppia, mi sembrava sempre di trattarla con poca accuratezza, o di sbagliare qualcosa nel descrivere gli avvenimenti storici o i sentimenti dei personaggi) e terminato con un secondo piazzamento al contest di Lala, davvero inaspettato ma che mi ha portato tantissima gioia. E sapere che la mia storia, i miei OC, la mia caratterizzazione di Francia e Inghilterra vi siano piaciute, mi fa davvero impazzire di felicità… Per questo, e per tutti i commenti, complimenti e incoraggiamenti che mi avete dato, credo che non potrò mai ringraziarvi abbastanza, ragazze <3
Trasmettere il mio amore per Oscar Wilde, Charles Baudelaire e l’atmosfera tipica dell’Età Vittoriana e della Belle Epoque è quasi naturale per me, e credo si sia capito, se non altro da tutte le citazioni che ho sparso qua e là.. E in questo capitolo ho accennato a due personaggi che non vengono nominati direttamente, vediamo chi riesce a riconoscerli XD *i giochini infami di Nat, parte uno*
Penso di scrivere ancora sulla FrUk (e su Scozia e Irlanda, sui quali sto già lavorando su una storia a parte) … Che dire, mi piacerebbe ritrovarvi come pubblico anche in futuro!
Grazie mille a Mareike Tiaycia per aver inserito la storia nelle preferite, e a Color__by che l’ha messa nelle ricordate! Grazie anche a tutti voi recensori e, come sempre, a chi legge e non commenta (ma se vorrete farlo, sappiate che vi risponderò comunque, anche dopo aver terminato di pubblicare).

Alla prossima, e … Più FrUk per tutti! *-*
Nat

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