Vita REALE

di Selene Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Tentare di scusarsi, non è facile ***
Capitolo 4: *** Subconscio idiota. ***
Capitolo 5: *** Quel sorriso da bambino.. ***
Capitolo 6: *** At the party ***
Capitolo 7: *** ..solo attrazione fisica? ***
Capitolo 8: *** Miss attiradisgrazie ***
Capitolo 9: *** Chiaccherate ***
Capitolo 10: *** "Dove sono i pinguini?" ***
Capitolo 11: *** "God save Harry" ***
Capitolo 12: *** Una sola cosa può cambiare tutta la vita. ***
Capitolo 13: *** Se non lo fai ora, te ne pentirai per tutta la vita ***
Capitolo 14: *** Passion ***
Capitolo 15: *** "Sogno o son desta?" ***
Capitolo 16: *** La temibile divoratrice ***
Capitolo 17: *** Lo scarafaggio e Misterfossette ***
Capitolo 18: *** Ah. ***
Capitolo 19: *** ...è stato un errore? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Piove.
 “Che novità..” pensò Ginevra,  guardando fuori dal finestrone che si apriva sul parcheggio della CER, il centro di ricerche per sviluppo delle energie, dove da pochi mesi lavorava. O meglio, si sforzava di apprendere il massimo e mettere a disposizione le sue conoscenze, facendo da spalla ai veri ricercatori. In fondo lei era solo una studentessa straniera, con ottime prestazioni, che si era trasferita a Londra da poco più di sei mesi dopo aver vinto una borsa di studio per i laboratori di Harlow.  E ora guadagnava 850 sterline al mese, tanto quanto bastava per l’affitto dell’appartamento nella periferia del centro (lei amava definirla così) di Londra, e per mantenersi. Magari mettendo da parte qualcosa per, chissà, un viaggio?
Era un giorno d’Aprile, a casa, in Italia, le piante probabilmente stavano dando già sfoggio di sé e dei loro bellissimi fiori, colorati dai vivaci raggi del sole. Invece lì pioveva. Come ben 113 giorni l’anno. Certo, per almeno un centinaio dei restanti però il sole non faceva neanche capolino, restando coperto da ammassi di nuvole grigiastre. Grigie come quasi tutto lì, eccetto le bandiere britanniche che spuntavano dappertutto, e alcuni angoli delle case, alcuni alberi, ricoperti di verde muschio. Ma ormai si era preparata, dopo aver passato le prime settimane a scordarsene e di conseguenza infradiciarsi o farsi scortare all’auto dai “colleghi”, e aveva sempre con sé il suo grande ombrello con una stampa che riproduceva il cielo sereno (un cielo che le mancava così tanto!).
-Io vado Emm, ci vediamo lunedì- salutò il portiere con un gesto della mano, pronta ad affrontare l’acquazzone di turno. Il suo inglese era migliorato moltissimo, ma manteneva sempre un certo tono italiano, che faceva sempre sorridere tutti.
-Buon weekend Ginny- Emmet Jhonson aveva una voce così flebile per essere uno scuro gigante mastodontico di due metri, che le aveva dato un senso di sicurezza appena lo aveva visto, la prima volta che aveva messo piede al CER. Non era proprio una guardia, in realtà era un semplice portiere, che teneva d’occhio gli oggetti dei ricercatori del padiglione in cui lavorava Ginevra. Ma nonostante questo aveva una pistola alla cintola, “per ogni evenienza” diceva lui, strizzandole l’occhio. Effettivamente il centro di Harlow era importante, altrettanto segreto, tanto che neanche lei conosceva tutti i padiglioni e quello che ci si facesse. E le ricerche che vi si compivano erano altrettanto rilevanti e misteriose, c’era addirittura un padiglione dove si trattavano  quelle che riguardavano il nucleare. Negli ultimi giorni poi era tutto sotto sopra e confuso, erano tutti un po’ agitati perché delle lussuose macchine nere dai finestrini oscurati continuavano a fare avanti e indietro da un padiglione un po’ distante dagli altri, dalla parte opposta del parcheggio dove si trovava in quel momento Ginevra. Giravano voci diverse tra gli scienziati: privati che vogliono comprare la società, i servizi segreti, il capo del governo, addirittura la regina. “E gli inglesi, per far scomodare la loro amata regina …” pensava Ginevra … Nutriva una forte curiosità per il legame che c’era tra il popolo britannico e la Regina Elizabeth. Inizialmente quando si era trasferita in Inghilterra, non capiva quel sentimento patriottico, in quanto lei non era mai stata molto legata al proprio paese, e poi insomma, avevano la camera dei lord e quella dei common, la famiglia reale le sembrava solo una specie di figura di sfondo. Ma ora era attratta, e cercava di capire quel legame. Gli inglesi seguivano la famiglia reale, i giornali erano un gossip unico, e gioivano quando qualcosa andava bene, per esempio si ricordava di quando il principe, nipote della regina, quello più grande, si era fidanzato con la sua storica ragazza. Quasi tutti erano felici dell’unione del principe William e di Kate, a parte alcuni, forse gelosi, forse invidiosi, forse solo per avere un parere diverso da quello degli altri. E lei ancora non comprendeva, non gioiva, non riteneva i reali parte della sua vita. Non ne capiva un bel niente, ma le sarebbe piaciuto farlo. Ma considerava quelle persone talmente distanti dal suo mondo che non la riteneva una priorità, e restava nella sua beata ignoranza.
Le porte scorrevoli si aprirono, e lei uscì avviandosi verso la sua macchina, tentando d aprire l’ombrello. Inutilmente. “Eddai, apriti! C’è tanta acqua da affogare!”. Era ormai sera, c’era poca luce e la pioggia era fittissima, lasciando a malapena vedere la prima fila di auto davanti a lei. Nelle orecchie aveva solo il rumore assordante delle gocce che si schiantavano al suolo, lo scroscio fortissimo. Si fermò in mezzo alla strada, strattonando l’ombrello, con i capelli e il cappotto ormai bagnati e gocciolanti. -APRITI!-
Poi una luce sul lato la illuminò, e si voltò verso la sua fonte, e dopo essere stata abbagliata per una frazione di secondo dalla luce improvvisa, capì che erano due fari di un auto che aveva appena svoltato l’angolo ad alta velocità, e che ora inchiodava sull’asfalto bagnato, stridendo. Non le fu lasciato il tempo per altri ragionamenti.
Sentì l’urto fortissimo, vide la terra avvicinarsi e di nuovo una botta contro l’asfalto del parcheggio, del sangue le annebbiò un poco la vista. Poi rumore di portiere, qualche frase urlata da uomini in nero, lo scorrere delle porte, Emmet che urlava a sua volta spaventato, e un uomo. Capelli rossi. Mani forti sotto le sue braccia. Dolore. Muoio.  Un “Chiamate un’ ambulanza presto!”, una voce profonda, che sfumava lentamente. L’ultima. Poi il nulla la inghiottì.

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
“Ospedale”, pensò. Si era svegliata da poco, con un gran mal di testa, ma non aveva ancora aperto gli occhi. Si sentiva strana, come se il suo corpo non le appartenesse, e per qualche strano motivo aveva preferito aspettare e cercare di capire dove si trovava solamente ascoltando. Ed era rimasta così per quei primi dieci minuti, in una specie di dormiveglia, ad ascoltare quello strano “bip”, il proprio respiro e quello regolare di qualcuno, lo stesso qualcuno che ogni tanto muoveva le gambe o giocherellava con qualcosa di metallico, oggetto momentaneamente non identificato dal cervello ancora  scosso di Ginevra. Ogni tanto qualcosa gracchiava, forse un walkie-talkie.
Aprire gli occhi fu quasi traumatico; venne subito costretta a chiuderli. Non era riuscita a distinguere niente, e le era parso che qualunque fosse il luogo in cui si trovava, le fossero puntati addosso enormi fari teatrali che le impedivano di guardare. “Luce”. Appena chiuse le palpebre le apparse uno stralcio di immagine, un'altra luce, meno forte, più concentrata, al cui pensiero era legato un dolore fisico. I ricordi affioravano alla mente.
“Merda, sono stata investita.” La sfiorò anche il pensiero di essere morta, ma poi si diede della stupida da sola, ricordandosi il monotono “bip” di sottofondo che la aveva accompagnata nel risveglio. Socchiuse lentamente le palpebre, pronta ad accogliere la verità. Piano piano i suoi occhi si abituarono, e cominciò a distinguere e a delineare la stanza in cui si trovava. Non era molto grande, e la luce che le era sembrata tanto forte era quella del sole, che entrava da una larga finestra alla sua destra. Davanti a lei c’era una parete, perfettamente imbiancata, a cui era inchiodato un megaschermo piatto. “Si trattano bene per essere un ospedale…”. Cercò di girarsi lentamente, ma tutto ciò che ottenne fu una fitta tremenda al collo, che la costrinse a fermarsi e a guardare a sinistra solamente girando gli occhi. Seduto su una delle poltrone di pelle azzurrina ( “altra cosa strana per un ospedale)  c’era un uomo, che la fissava. Sembrava un personaggio di un film, con quel suo completo nero, e gli occhiali da sole alzati sulla testa. Guardando meglio scorse una pistola argentea tra le sue mani. Era quella che faceva rumore, quella con cui giocherellava. Lo guardò in faccia, preoccupata dall’apparizione dell’arma, ma trovò un viso calmo che le fece un sorriso forzato.
-Buongiorno. - disse, e poi, estraendo una radiolina dalla tasca della giacca e premendone il pulsante, aggiunse: -Si è svegliata-
Se si fosse aspettato che avrebbe ricambiato il saluto si sbagliava di grosso. Di certo quello non era un medico. E un uomo sconosciuto, per di più armato!, in un ospedale, dove lei si era risvegliata dolorante, attaccata a qualche macchinario, dopo essere quasi morta,  non era di certo rassicurante. La guardia la guardò ridacchiando, davanti all’ espressione stralunata e appena offesa della ragazza, stesa sul letto e attaccata alla flebo.
La porta, accanto alle poltronette, si aprì ed  entrò un uomo probabilmente sulla cinquantina, dai capelli brizzolati, e il viso allegro, le guancie rosse e un sorriso cordiale. Aveva una specie di..divisa, bianca con decori rossi sulle spalle. Ebbene era il camice dei medici di quell’ospedale.
-Grazie- disse rivolto alla guardia, senza neanche voltarsi. Poi le si avvicinò –Bene, vedo che si è svegliata- e le controllò i riflessi degli occhi, e monitorò il respiro. Poi, sempre sorridendo disse :
-Dottor Leyton, piacere. Sono il primario dell’ospedale in cui si trova, signorina Milani. Il King Edward VII hospital.- e le porse la mano – riesce a stringerla?-
Ginevra lo guardò ancora confusa, e dopo un attimo di indecisione alzò il braccio dolorante, constatando con sollievo di non essere paralizzata o cose del genere, e strinse debolmente la mano di quel certo Leyton, che stava riuscendo a ispirarle fiducia.
-Bene, benissimo! Allora signorina, come si sente? Provi a muovere le dita dei piedi, per controllare se il sistema nervoso è tutto a posto-. Le mosse.
-Perfetto, e la voce? Non ho ancora sentito la sua voce, non l’avrà mica persa?-
Okay, dal cordiale stava passando al demenziale, quel tipo. Non era mica una bambina di due anni!
-Allora, sente un punto in particolare dove prova più dolore? Su, signorina Milani, parli!- insistette sempre sorridendo, un perfetto sorriso a trentadue denti bianchissimi.
Ginevra deglutì e si schiarì la gola, poi con voce rauca disse: -No, grazie. Sono solo un po’ dolorante…-
-Ma allora sta benissimo! Devo confessarle che pensavamo le sue condizioni fossero molto più gravi, quando è arrivata qui, ma si sta riprendendo benissimo.- “E se benissimo vuol dire sentirsi come appena schiacciata da un asfaltatore..”-Bene, la lascio riposare, la nostra Emmy, la capo infermiera, le spiegherà tutto nei dettagli. Buona serata signorina Milani.- E indietreggiando, uscì dalla porta.
Emmy arrivò, era una donna paffuta, con un abito bluette con le maniche a sbuffo, che avevano tutte le infermiere al King Edward. Le spiegò, con il suo accento del nord, che era stata investita, era caduta ed si era tagliata alla testa, sotto l’attaccatura dei capelli. Si toccò dietro la nuca, e trovò una linea di punti. Inoltre aveva riportato un paio di minuscole fratture, per le quali non c’era stato il bisogno di alcun intervento, e aveva un paio di costole incrinate, ma niente di cui preoccuparsi, disse Emmy. “Niente di cui preoccuparsi? Sto cadendo a pezzi!”
Ma la cosa che li aveva preoccupati di più era la botta che aveva preso cadendo e che l’aveva fatta svenire dal dolore. Aveva dormito per due giorni. Dopo una serie di termini tecnici le chiese gentilmente se aveva bisogno di qualcosa, le mostrò come alzare lo schienale del letto, come funzionava la televisione, e il menù per la cena. Avevano un menù, per la cena. Emmy rise quando Ginevra sgranò gli occhi a sentirselo dire. La guardia era sempre seduta sulla poltrona, sembrava psrte dell’arredamento. Mentre sistemava alcune cose, e le mostrava le vestaglie che si era fatta consegnare, entrarono altre due infermiere, sempre in bluette,  la staccarono dal macchinario che segnalava il battito del suo cuore e lo portarono fuori. “Caspita, sono al King Edward..” Era l’ospedale, privato, più meraviglioso di Londra, e del circondario.”Mi ha visitato il primario, la capo infermiera sta mettendo a posto le mie cose…”
-Emmy… Chi mi ha investita?-
La donna si girò, quasi imbarazzata e sussurro qualcosa.
-Non capisco..- disse Ginevra. Voleva sapere chi era stato, e cosa era successo di preciso.
In quel momento si sentì un trambusto provenire dal corridoio, qualcuno esclamare frasi come –Lasciatemi passare. Devo entrare, devo vederla!- e infine la porta si spalancò, lasciando entrare l’uomo dalla voce profonda, che aveva sentito la sera dell’incidente.

“Impossibile”. Ginevra non seppe se arrossire, sgranare gli occhi, tentare un inchino dal letto o semplicemente starsene immobile con gli occhi spalancati, pallida e tesissima, come inconsciamente stava facendo.
Davanti a lei aveva appena varcato la soglia, un ragazzo. Alto, i capelli rossi un po’ spettinati, con un paio di jeans e un cardigan blu scuro. Aveva le guance rosse, e gli occhi azzurri sembravano preoccupati. Accorgendosi che lo stavano fissando tutti, si rizzò e si diede una sistemata,mise le mani dietro la schiena.
-Signorina Milani,- disse schiarendo la sua voce profonda, facendo un cenno con la testa –sono dispiaciuto per essermi presentato qui all’improvviso. Le porgo le mie scuse, le prime di una lunga serie.-  E le si avvicinò. L’aveva investita il principe Henry Charles Albert David. Harry del Galles si stava realmente scusando con lei.
 

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Capitolo 3
*** Tentare di scusarsi, non è facile ***


Guardandola negli occhi spalancati, che mostravano tutta la bellezza dei loro riflessi verde-marroni, non poté fare a meno di pensare a quello che era successo.

Esattamente due giorni prima aveva ricevuto l’ordine dall’alto, ovvero dalla nonna, di andare a controllare gli sviluppi di una certa ricerca -importantissima!- aveva detto il tizio che la regina gli aveva appioppato. Ovviamente, ( lui era un militare, uno sportivo, non uno scienziato! ) non aveva capito un bel niente di quello che gli avevano mostrato agitati i due ricercatori, un cinese e uno scozzese, che lo avevano accolto al CER. In fondo pensava di essere lì solo per rappresentare quanto allo stato importassero le loro ricerche, in mancanza del rappresentante più serio, suo fratello William; “che sarà a farsi la sua fidanzatina da qualche parte” aveva sogghignato tra sé al pensiero. Usciti da quella gabbia di cervelloni,pioveva e  si erano fiondati in macchina, lui, le sue due guardie del corpo, e il tizio mingherlino, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che lanciargli occhiatacce e prendere appunti sul suo blocchetto. 
Quella sera aveva una festa, come sempre. Donne, birra e musica. Adorava quelle tre parole. Diede l’ordine all’autista, lui se lo poteva permettere, era il principe!, di accelerare. Doveva lavarsi, profumarsi e indossare qualcosa di decente. Eseguendo, l’autista schiacciò l’acceleratore e svoltò,nella pioggia fitta. Quasi non si resero conto di ciò che stava succedendo. I fari illuminarono una figura davanti a loro, inchiodarono ma ormai non c’era molto da fare. Il tizio mingherlino venne sbalzato in avanti e cominciò a lamentarsi, harry urlò qualcosa alle guardie. Scesero tutti e tre contemporaneamente, un uomo usciva di corsa dal padiglione di fronte alla macchina, ma lui fu il primo a fiondarsi sul corpo steso a terra. Era una ragazza, giovane,  i capelli bagnati. Perse i sensi mentre cercava di rialzarla.
–Chiamate un’ ambulanza presto!- urlò. Il sangue scendeva copioso da una ferita sotto la nuca, ed entrambi erano immersi in una pozza scura. Era abituato al sangue. Ne aveva visto, in Afghanistan. Aveva visto cos’era la guerra, e cosa vuol dire morire. E quella ragazza poteva evitarlo. La stese sull’asfalto, raddrizzandole braccia e gambe, prese un pezzo di stoffa portato dall’uomo, Emmet, lo strinse attorno alla nuca, premendo sulla ferita e tentando di fermare l’emorragia, e aspettò, con le guardie sopra di lui che li coprivano con larghi ombrelli neri. Il mingherlino telefonava.  Alcuni ricercatori, sentendo lo stridio dei freni sull’asfalto e le sirene dell’ambulanza che arrivava, erano usciti e si accerchiavano attorno a loro, alcuni parevano conoscere la ragazza. Chiese alle guardie di prendere informazioni su di lei. Non riusciva a concentrarsi su nulla, guardava solo il sangue che colava, nonostante i suoi tentativi di fermarlo.
-Merda!..-
L’ambulanza arrivò, la caricarono e salì anche lui.

Erano venuti a prenderlo, più tardi, e gli era toccato andare di filata da nonna è papà, pronto per la solita ramanzina.
La regina Elisabetta e il principe Carlo avevano interrotto immediatamente le loro attività essendo venuti a sapere, “guarda un po’, dal tizio mingherlino”, che il LORO Harry era stato coinvolto in un incidente. Suo padre era furioso. “Sei la rovina di questa famiglia! Sei la rovina dell’Inghilterra intera! Bevi, ti droghi,  prendi a pugni i fotografi, ti mascheri da nazista! INVESTI un’innocente ragazzina, solo per andare a una festa!!!”. Avrebbe potuto replicare, -non mi drogo più papà!; non picchio più nessuno!, ho sbagliato ma non lo farò più!Insomma ho ventisette anni!-, ma non ne aveva la forza. Effettivamente, agli occhi della regina, sembrava assai preoccupato, questa volta, per quello che aveva combinato. Infatti, fermò il figlio, e disse:
-  Harry, fai in modo che quella ragazza, si chiama Ginevra Milani, si riprenda perfettamente e il più presto possibile.  Sii cordiale e scusati. E per evitare lo scandalo - aggiunse rivolta a Carlo-  penseremo noi a qualcosa. Prima di tutto, evitare che si sparga la notizia.- e per questo dialogò con le guardie – poi per convincerla a non farlo, un invito a cena? Con la regina?- sorrise.
“Grazie nonna, ma questa volta me le meritavo tutte le urla di papà.” Pensò, e prese congedo.
Per i due giorni successivi non aveva pensato che a lei. Grazie a dio la notizia non si era diffusa, e lui poteva recarsi tranquillamente al King Edward e ricevere sempre la stessa risposta: dorme, ma sta migliorando.

Ed ora si era finalmente svegliata. Ed era arrivato il suo momento.
-Signorina Milani,- disse–sono dispiaciuto per essermi presentato qui all’improvviso. Le porgo le mie scuse, le prime di una lunga serie.-  Okay, le doveva essere sembrato abbastanza formale, ma non notando reazioni continuò il suo discorso, deglutendo e allargandosi nervosamente il nodo della cravatta.
-Ehm, scusa se ti ho investita, ma ero in ritardo- Si era preparato frasi da dirle per due giorni e le aveva detto una cosa stupida e egoista “idiota! Che idiota che sono!”. Lei sbatté le palpebre e sembrò riprendersi dallo stato di shock in cui era caduta, alzò un sopracciglio e gli rispose, con la voce ancora roca, da cui traspariva un tono un po’ seccato:
- Si figuri signor principe…- “Ecco, pensa che io sia scemo. Perfetto” non si sentiva così agitato da tanto, era abituato ad avere tutti ai suoi piedi, e invece sembrava che quella ragazza lo stesse mettendo in ginocchio. C’era rimasto assai male quando lei l’aveva guardato con un espressione scocciata e quelle guancie rosse, che lui pensava accese dalla rabbia. Effettivamente non doveva sentirsi troppo bene, e ricevere semplici scuse non sarebbe bastato… ma lui era il terzo erede al trono! Di certo le ragazzine non ricevono scuse da un favoloso e giovane principe tutti i giorni.
- Bè, veramente – aggiunse cercando di avere un’aria rilassata, alzando gli occhi con un sorriso malizioso, sicuro di stenderla con quello  –non che sia stato io in persona a ridurla così, sono stati i miei  bodyguard visto che erano loro al volante..-
Poi tornò a guardarla, e il sorriso da badboy gli morì sulle labbra. Si aspettava di trovarla sciolta e pronta a perdonarlo, come tutte le ragazze a cui aveva  rivolto QUEL sorriso. Ma lei lo stava fissando con un espressione quasi schifata, le labbra scure che risaltavano sul volto pallido, distorte a esprimere disgusto.
Nessuna aveva mai reagito così. Sembrava che una perfetta sconosciuta, una straniera comparsa dal nulla, volesse fargli crollare tutti i suoi castelli in aria. “Ma chi si crede di essere?”. La preoccupazione che aveva sentito per lei fino a quel momento, si tramutò in fastidio, forse delusione per non aver trovato quello che si aspettava. Poi rifletté, insomma, era ancora traumatizzata, si stava appena riprendendo, e con un ultimo sorriso tolse dalla tasca dei pantaloni una busta gialla e gliela porse:
- Mi scusi, le sarò sembrato un cafone, ma la situazione mi è nuova e non so come comportarmi. “E Dio quanto odio dover parlare così! Che palle” ehm… Mia nonna la regina Elisabetta seconda desidera invitarla a pranzo, quando si sarà ripresa. Ecco.-
Sembrò confusa, prese la busta tra le mani la scrutò, poi alzò la testa verso di lui.  I suoi occhi, circondati da lunghissime ciglia, gli stavano rivolgendo uno sguardo spaurito, per non dire terrorizzato, che lo fece sentire totalmente inoffensivo:
-Io non so come dovrei comportarmi,la regina… cosa fare…come vestirmi..io…- era davvero preoccupata all’idea, e lui le sorrise.
-Manderò qualcuno per fart..farvi insegnare ciò che c’è da sapere. Le auguro di riprendersi presto, arrivederci- E uscì, lasciando a fissare la busta quella ragazza un po’ strana, che gli aveva fatto sentire un gran bel casino di emozioni, in pochi minuti.
“Che tipa..”

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Capitolo 4
*** Subconscio idiota. ***


“Gran brutto ipocrita di merda!” Dopo i primi attimi di incredulità dovuti al fatto che, cavolo, si era trovata davanti un principe, aveva ricordato che solo nelle favole i principi sono teneri, carini, romantici, azzurri e tutte quelle sdolcinatezze che fanno impazzire le bambine (e venire il diabete a quelle che ne capiscono un po’ della vita).
E poi quel tipo non l’aveva mai sopportato. 
Aveva combinato talmente tante catastrofi per l’immagine dell’Inghilterra che anche lei, che di gossip e varie non se ne intendeva affatto, ne era venuta a conoscenza. Già non aveva mai tollerato i puri semplici idioti che fanno i cretini con le ragazze, che fanno i fighi, muovono le mani, bevono e fumano solamente per una ricerca di attenzioni … figurarsi poi uno che avrebbe delle responsabilità. Teoricamente.
“Non puoi non ammettere che è stato carino a scusarsi però..”
Carino? Quasi insultò quello che doveva essere il suo subconscio per essersi permesso di pensare una cosa del genere! Lo aveva visto lontano un miglio che stava solamente eseguendo quello che gli avevano detto di fare, “ovvero pararsi il culo”. E poi come aveva potuto, appena un attimo dopo aver ammesso le sue colpe, scaricare tutto sulle sue guardie del corpo?

Era restata con l’amaro dentro dopo quell’incontro, era agitata e spazientita e non sapeva neanche chiaramente il perché.  “Insomma cosa voglio dalla vita? Si è scusato, forse all’inizio anche con sincerità, la regina mi ha invitata a cena..” guardò la busta gialla sul comodino. Non ne aveva ancora preso coscienza del tutto, mentre era conscia di aver fatto una figura da idiota quando era andata nel panico davanti al principe. Che aria da cane bastonato aveva dovuto avere. Non riusciva più a starsene lì immobile, scese dal letto ed entrò in bagno. Si sciacquò la faccia con l’acqua fresca, cercando di evitare lo specchio.
Troppo tardi.
Lo sguardo le scivolò su quella grande superficie riflettente, e per poco non squittì inorridita. Si era presentata al principe rosso con un viso pallido e smorto, enormi occhiaie sotto gli occhi e labbra così screpolate che sembrava dovessero sbriciolarsi in tanti pezzetti da un momento all’altro. “Oddio chissà cos’avrà pensato.” “Che fai, lo insulti e poi ti preoccupi di come ti possa aver trovato?”
Subconscio idiota.


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Chiedo scusa per aver annoiato con questo breve spezzone sulla mente da psicopatica di Ginevra  *pazza*
ma dovevo inserire le sue impressioni sull'evento :D
Alla prossima
Sere

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Capitolo 5
*** Quel sorriso da bambino.. ***


Sentiva le campane suonare a festa, anche da lì, affacciata alla finestra della stanza di ospedale. La televisione, ovvero il megaschermo tipo cinema, era accesa e trasmetteva le immagini del matrimonio “del secolo”. Tre quarti d’ora prima era entrato a Westminster il futuro sposo, il principe William, poi erano passati quarantacinque minuti di scampanii, ospiti, ospiti, ospiti e ospiti. Era convinta che non l’avrebbe guardato con tutta quell’attenzione che gli stava dando il mondo intero, ma dopo quello che era accaduto aveva deciso che ne doveva assorbire come una spugna più informazioni possibili sulla famiglia reale, su come si sarebbe dovuta comportare con la regina quando sarebbe andata a cena con lei.
“A CENA CON LA REGINA! Dio….”
Il matrimonio le era parso una buona occasione per farlo. Così stava passando la mattinata davanti alla tv. Il suo principe era entrato accanto al fratello, con un’andatura un po’ zoppicante, e non aveva fatto altro che ghignarsela sotto i baffi per tutto il tempo, come un bambino che ha combinato qualcosa. “Non riesce a stare serio neanche un secondo?” questo pensiero la fece sorridere, ma quando se ne accorse mise quasi il broncio, troppo orgogliosa per ammettere che le si era scosso qualcosa dentro.
 
L’avevano dimessa da un paio di giorni, e non stava facendo quasi nulla da quando era tornata a casa.
iente lavoro, non l’avrebbe ripreso se non dopo un mese, “regalino della direzione”, e questo l’aveva lasciata un po’ interdetta, perché non aveva una gran vita sociale fuori da lì, e quindi si accontentava di farsi portare caffè da un fattorino di starbucks e ammuffire sul divano leggendo o rispondendo alle mail che le erano arrivate in quei giorni: mamma e papà o vecchi amici con cui si era tenuta in contatto.  L’unica compagnia di cui poteva realmente godere era quella del suo gatto “Ebbene sì sono una tipica zitella accompagnata dal suo gattino”, che era l’animale più bello e allo stesso tempo pigro, sulla faccia della terra. L’aveva chiamata Avery ed era sopravvissuta al periodo che la sua padroncina aveva passato fuori casa solamente grazie a Joe e Luke, la coppia omosessuale che abitava sullo stesso pianerottolo di Ginevra, e che la –adoraaaaavano-.
E proprio mentre passava il suo tempo a mangiucchiare un muffin al cioccolato, accovacciata su una poltrona mentre leggeva, e mentre la sua testa non era neanche minimamente sfiorata dal pensiero che qualcuno la venisse a cercare, suonò il campanello. Non pensò a chi potesse essere, aveva il cervello off-line, e aprì subito la porta. Passarono attimi e attimi di silenzio imbarazzante e i due visi scioccati restarono fermi a mezzo metro l’uno dall’altro senza esprimere niente. Ginevra deglutì rumorosamente mentre cominciava ad aumentare il rossore sulle sue guance.
-Ehi. . . .- disse il principino.
 
Doveva ammettere che quando il portiere gli aveva detto che la signorina Milani era in casa, si era sentito felice. Non aveva ragionato troppo, finiti appuntamenti e impegni, si era fatto portare al suo indirizzo, era entrato di filata e aveva chiesto di lei. E quando la porta si era aperta era pronto con un sorriso tremendo sulle labbra.
Gli si presentò un po' arruffata, con un paio di pantaloncini e una maglietta larga, che le ricadeva da un lato lasciando scoperte la spalla e la spallina del reggiseno. La pelle non era più pallida come l’aveva vista in ospedale, ma era ritornata del suo colore roseo “si vede che non è di qui”. I  boccoli castani erano raccolti in una coda disordinata che le ricadeva sulle spalle. Non era minimamente truccata, lo stava guardando in una maniera indefinibile: sorpresa, spaventata, furiosa? Un insieme di tutto ciò.
Ma la trovava bella. “stramaledettamente bella”.
Non di quelle bellezze a cui era abituato lui, quelle così convenzionali ormai. Non era una di quelle ragazze ossessionate dalla forma fisica, che andavano in palestra quasi ogni giorno, quelle che quando vedevi sapevi che avevano fatto di tutto per essere perfette, ceretta,rasoio e una bella passata di smalto in tutti i posti giusti, quelle che si credevano delle dee scese in terra, quelle per cui lo specchio era vita, per cui la massima ambizione era quella di farsi un vip, magari un principe, per poi andarlo a spifferare al giornalista di turno per diventare celebrità per pochi minuti. No, lei era diversa. E stava diventando il suo chiodo fisso. Era talmente preso, infatuato da quella giovane italiana che non si rendeva ancora pienamente conto di quello che stava cominciando a provare.
Mentre pensava, smise di sorridere. E probabilmente lei si spaventò perché quando se ne accorse arrossì come un peperone farfugliò qualche scusa, un “entra” biascicato e scappò in fretta nell’appartamento, cercando di mettere apposto un po’ di disordine. A lui tornò il sorriso, e entrò.
-Quindi sei venuto qui per…?- chiese lei, ancora presa dal caos, e rossa in viso.
Ovviamente, aveva una scusa.
-E’ per quanto riguarda la cena..- rispose, guardandosi intorno.
- Ah … - diede un ultima controllata in giro e, soddisfatta, ebbe finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. –vuoi qualcosa? Un tè?-
- Veramente preferirei un caffè – stava osservando quel trilocale con aria interessata  e si accorse solo dopo un po’ che lei lo stava fissando in cagnesco, come dire: se sei venuto  per essere servito, fai prima a portare il tuo bel culo reale fuori di qui.
"Ma sono davvero un idiota allora" Diventò ancora più rosso del solito quando disse: -Scusa, cioè.. quello che vuoi, non volevo…ehm… un bicchiere d’acqua va benissimo.- “Com’è che riesce sempre a sconvolgere i miei piani?”.
- Faccio un caffè, ma come quelli che si preparano a casa mia, caffè vero, non quelle americanate allungatissime che bevete voi- e sparì in cucina.
Aveva caldo, forse per l’agitazione, sicuramente per l’agitazione. Non aveva fatto in tempo a cambiarsi quindi stava indossando quello che riteneva “da lavoro”, pantaloni grigi, camicia, una giacca che tolse e appoggiò sullo schienale della poltrona, slacciandosi anche i primi bottoni della camicia. Quando lei tornò per poco non le venne un colpo, vedendolo seduto sul suo divano, con una mano a scompigliarsi i capelli, e soprattutto  alla vista della pelle chiara e lucente che offriva la camicia leggermente aperta.  Gli porse il caffè e stette in piedi davanti a lui, aspettando quello che aveva da dirle.
- Niente cena.-
-Cosa?- Non seppe decifrare la sua espressione, forse era delusa, forse tirava un sospiro di sollievo.
- La regina Elisabetta non riesce a trovare il tempo, mi dispiace. Ma…- stava per farlo davvero- vorrei che venissi a una festa con me. - Okay, ora lo capiva benissimo che era sconcertata –Cioè insomma, volevo trovare il modo per..uh…sdebitarmi e ..tu sei giovane e quindi ho pensato che.. bè è una normale festa.. ma se non ti va..ecco.. – perché stava sudando freddo? Perché si pentiva di ogni parola dopo mezzo secondo che l’aveva pronunciata? Forse aveva pensato male, forse andare a una festa non l’attirava, forse era lui che..
- Penso che vada bene.-
Quell’incontro era una gara per vedere chi arrossiva di più?
Bevve il suo caffè in silenzio, si alzò e prese la sua giacca e si avviò alla porta, senza mai togliersi dalle labbra quel sorriso da bambino troppo cresciuto, lei lo seguì per aprirgli. Si voltò all’improvviso, ritrovandosela praticamente addosso.
- Passo stasera per le nove?- sussurrò, tanto era vicina. Lei si allontanò velocemente con gli occhi bassi, aprì la porta, sorrise debolmente:
-Okay, a dopo-
-Perfetto-
 
Quando la porta si chiuse alle sue spalle sentì così caldo nel cuore, così tanta felicità, che non ricordava ne avesse mai provata una simile.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Capitolo un po' lunghino..spero vi piaccia.
Tirerò ancora un po' la corda, e vi farò aspettare ancora un po' *muahahah*
Basta che se comincio a annoiare mi fate un fischio, confido in voi xD
Bè dai, pazientate, insomma questa non può che essere una storia DIFFICILE! Tra due tipi così!

Sere

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Capitolo 6
*** At the party ***


Non era mai stata una tipa da feste.  “Ma arriva per tutti il momento di cambiare no?”
In realtà non era mai stata tipa da molte cose. Alle superiori non usciva un granché, né aveva mai avuto migliaia di amici. Si accontentava di pochi, con cui condivideva tante cose. Era uscita nell’arco di cinque anni con due o tre ragazzi, ma la cosa non era andata per le lunghe con nessuno. Era andata un paio di volte in discoteca, forse giusto per la festa della scuola,ma non le era mai piaciuta come serata. Non beveva né sapeva ballare, o meglio muoversi come gli altri saltellando e alzando le mani.
“Perché ho accettato?” . Si era ripetuta questa domanda almeno diecimila volte da quando Henry se ne era andato. L’ultima possibilità che le rimaneva era quella di chiedere aiuto ai suoi due consulenti speciali, Luke e Joe.
La coppia, dopo aver riso di lei per minuti di vergogna interminabili, l’aveva portata di peso in giro per i negozi più “in” di Londra, per cercare un abito adatto. Alla fine avevano puntato sul classico, un abitino nero, busto stretto e balze sui fianchi. –Così valorizziamo finalmente il tuo bel seno e facciamo sembrare un po’ più grande il tuo mini-sederino- avevano detto completandosi a vicenda i suoi adorabili vicini, acidi come limoni acerbi. Forse l’acidità era nella loro natura omosessuale ma le avevano toccato proprio i suoi talloni d’Achille. Battute e risatine a parte, doveva proprio ringraziarli perché avevano tirato fuori un po’ del cigno che era nascosto sotto il suo aspetto da brutto anatroccolo. Aveva raccolto i capelli in uno chignon morbido, con due boccoli che le ricadevano ai lati del viso, e infine aveva atteso.
Alle nove spaccate il campanello era suonato, e lei era corsa alla porta.
- Ehi, wow. –
-Ciao anche a te- aveva risposto lei sorridendo. Poi si era lasciata guidare, fuori, in macchina (con, ovvio, autista). Non si erano scambiati molte parole, soltanto qualcosa come “Ti fa ancora molto male il collo?” “Bene”,e poi avevano continuato a scambi di sguardi. L’aveva fatta scendere in uno spiazzo fuori città, e lei si era ritrovata davanti un elicottero scuro, sgranando gli occhi per la sorpresa.
-Bè, non è proprio un posto vicino..-
Era stata molto più che felice di salire sul grande mostro nero, perché adorava volare. Indossò le cuffie e guardò dal finestrino le case, le luci che si stendevano sotto di loro, neanche accorgendosi di quanto tempo stava passando lì. Lui la guardava sorridere, gli occhi luccicare, e credeva fosse una bambina a cui aveva appena fatto un regalo stupendo. Quando la fece scendere era ancora più splendida di come l’aveva trovata poco prima, perché quasi risplendeva di luce propria, il sorriso le accendeva gli occhi.
“E’ proprio bello..” si sorprese a pensare Ginevra, e a guardarlo così, con la maglia stropicciata con lo scollo a v sotto la giacca, e le mani nelle tasche dei jeans, che sorrideva.
Arrivarono al locale, che doveva essere da VIP vista la marmaglia di gente e fotografi ammassati all’ingresso.  Dentro c’era poca luce, drink e musica assordante. Riuscirono a parlare per i primi minuti, un po’ imbarazzati. Parlarono soprattutto di lei, di come si trovasse in Inghlilterra, se le mancasse l’Italia.
 Poi in qualche modo vennero separati da persone e persone, e caos. Ginevra non capiva più nulla,era circondata da sconosciuti inglesi, la musica le sfracassava i timpani, e si sentiva persa, sola.
Aveva in corpo un po’ di alcool, ma era più che lucida, tanto quanto le bastò, dopo un po’ di ricerche quasi disperate, per vedere Harry “che avrebbe dovuto stare lì CON lei”, che parlava con una bionda. Parlare poi non era neanche troppo il vocabolo giusto, dato che l’ochetta gli era praticamente appiccicata, e sembravano così presi, seduti sui divanetti con i bicchieri in mano. Le venne in mente . Chelsy Davy.
“Okay, l’ho googolata, lo ammetto” e quando l’aveva fatto si era sentita così idiota ma... Era la ex del principe Harry, si erano lasciati e.. bè già la prima foto che era venuta fuori scrivendo il suo nome l’aveva fatta morire dal ridere davanti al computer. Non era certo bella. Però era ricca ed era..all’altezza del principino.
Era ovvio invece che lei non lo era e non lo poteva essere. Ma che pensieri stava facendo? Non ci aveva neanche mai pensato a…stare con lui. “No..?” Che ci faceva lì?
Si avvicinò al bar, e cominciò a ingoiare bicchieri di chissà chè. Tanto non le importava.
 
-Okay, Chelsy basta. Te l’ho detto sono qui con un’amica e devo cercarla o..-
- E’ solo un’amica su, mentre noi due siamo stati molto di più, e non ti piacerebbe..- si avvicinò a lui, ma era ovvio, aveva bevuto troppo.
-Okay, ci sentiamo.- La piantò in asso. Non vedeva Ginevra da un po’, forse troppo. Era andato lì per lei, per tentare di farsi perdonare “e forse per..”. Cominciò a girare per il locale, cercando di scorgere tra la folla il suo viso, e quando finalmente lo trovò si bloccò da quello che le stava davanti. Erano in un angolo poco affollato della discoteca, vicino ai bagni. Lei era appoggiata al muro a piedi scalzi, rideva, il bicchiere appoggiato alle labbra, “e forse non è il primo”, e un tizio schiacciato addosso a lei, le mani sui suoi fianchi, la bocca sul collo.
-Ehi! Staccati- Il ragazzo si gira, lo guarda, biascica: -Che vuoi? La bambolina qui, è di tutti-
Quel tipo lo stava facendo incazzare –Levati immediatamente cretino!- lo prese per la camicia e lo allontanò, lui se ne andò traballante.
-Ginevra, che stai facendo?-  la voce gli tremava per la rabbia, per la paura. Le mise le mani sulle spalle, lei si accasciò al suolo ridacchiando. Si abbassò e la sollevò passandosi un  braccio della ragazza attorno al collo. Al suo tocco sentì un brivido percorrergli la schiena. Lei lo squadrò, gli occhi socchiusi:
-Sei fuori? Quel tipo avrebbe potuto farti qualunque cosa, e tu..-
-Principino?-  aveva sussurrato, la parola storpiata dall’alcool che aveva ingerito, l’alito lo confermava.
- Sei ubriaca marcia. Usciamo.-
-Oh no..mi sto diverr….tanto…ma sh…- appena varcato la soglia dell’uscita sul retro aveva rigettato tutto quello che aveva in corpo, scossa da conati violenti. Lui la sorresse, le spostò i capelli e aspettò che avesse finito. “Quante volte qualcuno ha fatto così con me…”
- Credi di esserti svuotata?- le chiese con un tono dolce.
Gli sorrise amara: -Sì, tu hai finito con la bionda?- Le parole erano sempre un po’ farfugliate, messe assieme a fatica. Ma guardandola negli occhi aveva capito che stava cominciando a riprendersi. E aveva collegato la bionda a chelsy. E sapeva di essere in torto marcio, perché l’aveva abbandonata dopo pochi attimi, quindi non disse niente. La sollevò da terra, e la portò verso la macchina. Aveva bevuto anche lui quella sera e non avrebbe retto ancora a lungo. Si trovavano nel Galles, niente grandi alberghi nei dintorni, e in ogni caso nessuno li avrebbe accettati in quello stato. “Dove possiamo andare?”. L’adagiò sul sedile posteriore, e si mise al volante guidando per un po’ senza meta.
-Devi fermarti.- disse con il viso premuto sul sedile di pelle, la voce flebile.
-Non posso qui-
-Non ce la faccio più, ti prego fermati.-
Vide una baracca con la scritta luminosa “HO-EL”, la T andava a intermittenza. Si fermò.
Quando entrarono l’uomo al bancone lì squadrò. L’aria era densa di fumo, e la ragazza tossì debolmente.
-Una camera per due.- disse Harry, mentre sorreggeva la ragazza.
-Niente camere per due.- li guardava di sottecchi.- E non vogliamo che succedano cose strane qui, a lei- indicò Ginevra.
“Dio”- E’ soltanto ubriaca e non la stuprerò né cose del genere, dacci una camera per due!- urlò sbattendo il pugno sul tavolo, lasciandovi un bel po’ di banconote.
-E’ l’unica che ho.- rispose con aria sospettosa l’uomo, porgendogli le chiavi.
Salirono le scale scricchiolanti ed entrarono nella stanza.
-Bene.- esclamò Harry. Un letto solo. Ginevra si staccò da lui, cercò il bagno a tastoni contro la parete.
-Devo farmi una doccia.-
-Ce la fai da sola?-
 Il suo sguardo fulminante gli bastò come risposta.
Quando la porta del bagno si chiuse, si buttò sul materasso sfinito e con un gran mal di testa, tolse la maglietta e sonnecchiò per un po’.

Dopo pochi attimi lei uscì dalla doccia, avvolta in un asciugamano e lo raggiunse.
-E’ il tuo turno, principe.- era ancora arrabbiata, lo capì dalla voce.
Il rosso aprì gli occhi: lei gli dava le spalle, e contemporaneamente gli offriva la vista della sua meravigliosa schiena. Le si avvicinò, e la accarezzò con un dito la voglia al caffè che aveva tra le scapole.Lei si ritrasse veloce come un lampo, si appiattì contro il muro e strinse l’accappatoio con le mani. Di nuovo gli occhi verdi e  impauriti, velati di lacrime, incontrarono quelli azzurri e pieni di desiderio di lui.
Harry si voltò, entrò in bagno e sbattè la porta violentemente,  per poi abbandonarsi lentamente a terra, la testa tra le mani, la mente sconvolta dall’immagine di lei, dei suoi occhi.
“Ha paura di me.”

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Capitolo 7
*** ..solo attrazione fisica? ***


E’ stata solo attrazione fisica” si ripeté di nuovo. Era un po’, non sapeva dire quanto, che stava sdraiata nel piccolo letto cigolante a pensare. Si era svegliata dolorante, tra i ricordi confusi e la mente in subbuglio, dopo essere crollata la sera prima (o era già quella stessa mattina?) praticamente appena il ragazzo dai capelli rossi aveva sbattuto la porta.
 “Perché mi trovo qui con lui?” lo guardò sonnecchiare sul pavimento, le dava le spalle. L’aveva investita, un paio di settimane prima, si era presentato in ospedale presentandosi come il Principe Henry del Galles, poi era comparso nel suo piccolo appartamento con il suo sorriso sconvolgente, e le aveva chiesto di passare una serata con lui.
“E io ho accettato perché pretendevo qualcosa per quello che mi ha fatto.”
Credeva di riuscire a mentire a sé stessa? Non poteva riuscirci, era una sfida persa in partenza. No, ci era uscita perché si sentiva attratta da lui. Dal suo corpo, dai suoi capelli rossi, dagli occhi azzurro cielo.
E basta?” Ovvio. Le piaceva fisicamente. Non era nulla di più.  Probabilmente aveva sentito voglia di cambiare, per una volta nella sua vita, di potersi divertire anche lei senza pensare alle conseguenze, di dare un taglio alla sua vita sociale da sfigata. Ed era per questo che aveva accettato, che aveva passato gli ultimi due giorni agendo senza pensarci troppo. Ma doveva ammettere che il suo cervello problematico e mai silenzioso le era mancato, ed era tornato proprio all’ultimo, quando stava per accadere qualcosa. Non ce l’aveva fatta a continuare come se fosse un’altra persona, e aveva ceduto.
“Ora niente più cazzate, chiaro?” disse a sé stessa. Ironicamente era fiera di sé stessa per averci provato con uno come lui. Che doveva esserci rimasto di sasso quando si era tirata indietro. Perché, dai, chi non sarebbe caduta ai suoi piedi? E lei non era stata l’eccezione. Fino a quel momento. Perché infine era tornata ad essere la sognatrice di prima, quella che non fa nulla se non crede di essere innamorata veramente.  “E questo non accadrà molto facilmente, dopo tutte le volte che mi sono illusa di esserlo e ho perso pezzi di me stessa. Ah no..”
Si alzò, si sciolse dall’abbraccio dell’asciugamano e prese i suoi vestiti, aprì la porta e scese a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, perché il suo stomaco vuoto e sofferente reclamava giustizia.
 
Aprì gli occhi solamente quando sentì i passi leggeri di lei scendere le scale del malconcio albergo.
Non poteva vederla senza prima aver fatto un po’ di ordine in tutto ciò che gli passava per la testa.
Non è solo attrazione fisica” ne era certo, perché non era il tipo da preoccuparsi tanto per una ragazza. Neanche con Chelsy era mai stato così protettivo e …riflessivo. Perché non l’amava. Perché era tutta una farsa per far contenta la nonna, che pretendeva delle relazioni stabili, dopo quello che era successo a suo padre. E così aveva provato a starci seriamente con la prima ragazza di turno, e l’ambiziosa Chelsy capitava a fagiolo. Voleva arrivare all’apice e lui le era sembrato quello giusto per farlo. Ed erano riusciti ad andare avanti così per quattro anni, ma quando lei aveva chiesto il matrimonio lui aveva troncato tutti i rapporti, perché non era deciso a rovinarsi la vita così. E poi dopo mesi di ragazze che passavano notte per notte, drink dopo drink era arrivata Ginevra. E per la prima volta in vita sua aveva creduto nei colpi di fulmine. Perché non era solo senso di colpa quello che provava nei suoi confronti, ma si sentiva attratto da qualsiasi cosa di lei, dal suo modo semplice di parlare, dalla sua incapacità di camminare sui tacchi. E per lei era cambiato, non si era lasciato distrarre dalle ragazze che di solito lo rapivano con le loro forme e i loro movimenti provocanti, non si era ubriacato.  E si era lasciato trascinare dal sentimento che provava. “Sbagliando”.
Lei non lo voleva, lei aveva paura di lui. Aveva sentito il cuore che si lacerava quando quegli occhi stupendi l’avevano fissato con terrore. Ora pensava fosse giusto tentare di vederla come una persona normale, con cui avrebbe sempre tentato di sdebitarsi per averle fatto rischiare la vita. E nulla di più. Perché altrimenti, continuando così’,  l’avrebbe fatta soffrire inutilmente. E nonostante gli costasse molto, era una prospettiva più rosea di quella che gli si proponeva se avesse dovuto continuare a guardare i suoi occhi impauriti. Quello sì che lo avrebbe fatto stare male, al resto poteva sopravvivere.
Decise cosa fare quel giorno, senza dover rischiare di creare scandali,dove poterla portare, e si rimise la maglietta, uscendo anche lui da quella stanza che gli portava brutti ricordi della sera precedente.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Vi rendo partecipi della mia colonna sonora, i Karmin *_*

 questo pezzo ha creato l'atmosfera giusta per questo capitolo, anche se il testo non c'entra molto.
http://www.youtube.com/watch?v=fRS6s9g_K7Y&feature=bf_next&list=WLB829180D89842B2C&index=4
Fanno delle cover stupende :D, ascoltateli!
Sere

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Capitolo 8
*** Miss attiradisgrazie ***


Scese le scale velocemente e trovò Ginevra che parlava animatamente con l’uomo alla reception, evidentemente scocciata. “E’ una ragazza qualsiasi” tentò di imporre a se stesso. Lei si voltò, sentendolo arrivare:
-Okay, non c’è nulla da mangiare, ho dormito da schifo e il signore qui pretende di farci pagare un conto assurdo per una catapecchia puzzolente come questa! –
-Senta signorinella, lei è arrivata all’una di notte, conciata da sbattere via, ubriaca marcia e ha preteso una camera! Cosa vuole poi i cameriere personale? – le rispose a tono il tizio puzzolente dietro al bancone. La sigaretta accesa pendeva dalla sua bocca.
-Ginevra, lascia stare- disse allora. Ne aveva già abbastanza di quel posto e voleva allontanarsene il più velocemente, conto spropositato o no,tanto per lui i soldi non erano affatto un problema. Ed era una delle cose che gli piaceva di più riguardo il suo essere uno degli eredi al trono. Mentre una delle cose più sgradevoli era quella che dovunque andassi tutti ti conoscessero già. Solitamente, visto che quel tizio non pareva farci la minima attenzione.
Fortunatamente la sua carta di credito riempiva la tasca destra dei suoi jeans. La tirò fuori e la porse all’uomo che la prese con un’aria che non sembrava affatto riluttante. Il primo sguardo della giornata che Ginevra gli lanciò fu fulminante, e nel senso che lanciava fulmini e saette con lo scopo di incenerirlo e spappolarlo per quello che aveva appena fatto dandola vinta a quell’idiota. Rispose, a fatica, con uno sguardo altrettanto freddo.
Dopo che l’uomo gli ebbe restituito la carta, uscirono ed entrarono in macchina.
-Mi riporti a casa?- chiese lei allacciandosi la cintura.
-Non posso.-
-Cosa?- okay l’aveva squittito con un sorriso isterico sulle labbra. Brutto segno.
- Okay…la carta di credito che ho usato poco fa è praticamente esaurita e quindi non ho abbastanza soldi per chissà quanti pieni che dovremmo fare per tornare in Inghilterra, e direi che abbiamo perso l’appuntamento con l’elicottero. In conclusione, a meno che tu abbia una mazzetta di sterline nascosta da qualche parte o sappia volare e cose del genere, no, non posso portarti a casa.- Praticamente anche la vecchietta che attraversava la strada tre isolati più in là in quel posto sperduto del Galles aveva sentito la sua sfuriata.
Silenzio. Occhi chiusi. Deglutisce. Occhi aperti. Sguardo incenerente. “Paura”
- Ma sei il principe o no? Ferma qualcuno è di qualcosa tipo: EHI MI SERVE LA TUA MACCHINA DEVO TORNARE A CASA! FAI QUESTO PER IL TUO PRINCIPE!- urlò lei stringendo i pugni.
-Si e così io finirei sgozzato da mia nonna e da mio padre in segreto, e la tua vita cambierebbe radicalmente perché non verresti abbandonata un attimo dai giornalisti!? Vuoi che la macchina fotografica diventi il tuo peggior incubo?!? VUOI QUESTO?!- Mentre urlava come un pazzo il rosso fragola delle sue guance si era allargato a tutto il viso e lo faceva sembrare un enorme peperone dai capelli color carota.
L’ira che aleggiava tra di loro sembrò placarsi, come si calmò Ginevra, che riprendendo a respirare normalmente, sussurrò un flebile –hai ragione-  e si rannicchio sul sedile, guardando fuori dal finestrino e accorgendosi che la città attorno a loro si era fermata a fissarli. Il tizio dell’albergo con la bocca aperta sulla porta, autisti di camion nel parcheggio , due bambini in bicicletta e gente ancora in pigiama alle finestre dell’edificio. Tutti a guardarli in silenzio aspettandosi qualcos’altro. Le sfuggì una risatina.
-Che c’è?- chiese lui, guardandola con ancora un po’ di cipiglio, poi guardandosi attorno sorpreso. Sorrise anche lui e mise in moto, sgommando via dal parcheggio dove avevano attirato un po’ troppa attenzione.
Dopo una decina di minuti la ragazza ruppe il silenzio:
-Dove?-
-Ehm..A casa di un amico- con la coda dell’occhio la vide aggrottare le sopracciglia.
-Dove?- ripetè.
-Diciamo che più che un amico è…un fratello. E hanno casa da poco qui vicino e.. è l’unico posto che mi è venuto in mente- “Mettiamo le mani avanti prima di cadere”
-Sai che continuo a non capire.-
-A casa di Will.- “Sorpresa???” In quel momento la cosa che sperava di più era che non lo uccidesse.
-Will sta per William, immagino.- “Esatto babe…”
Distolse un attimo lo sguardo dalla strada per vedere la reazione che avevano avuto le sue parole, e la vide che ci pensava su. Continuò a guidare, aspettando un qualsiasi segno di vita.
-Harry..- “DIO!”  Era la prima volta che lo chiamava per nome! E che brividi gli avevano risalito la schiena! E che sbandata che aveva fatto in mezzo alla strada!
-MA CHE FAI?- urlò lei dopo che il principe sbalordito ebbe ripreso il controllo di sé. –okay, non credo che sia una buona idea andare a casa di tuo fratello-
-Perché?- chiese lui, cercando di nascondere il disagio che gli aveva provocato sentirsi chiamare per nome da Ginevra.
-Perché, bè insomma…perché… sono una..”popolana”? E perché credo di attirare le disgrazie, non ti ho già portato troppi guai?- stava facendo una gran confusione con le parole, e ormai Harry l’aveva capito, quando era agitata staccava un po’ il cervello e il suo bell’inglese si sbriciolava.
-Ehi, tranquilla. Mettiamo il fatto che sia vero tutto ciò che hai detto, miss attiradisgrazie, cosa dovrei fare? Lasciarti qui a tornare indietro da sola? Se, come no…così come minimo un gruppo di banditi ti rapisce, delle vecchie assatanate ti usano come ostaggio per raggiungere la perfezione nei loro riti o… potresti essere rapita dagli alieni, uccisa da mandarini cinesi OGM!- Doveva sdrammatizzare, per non farle capire troppo che la voleva con sé. Le ristate si mischiarono, la voce cristallina di lei, quella profonda di lui.  “Quanto sono stupido..non riesco proprio a lasciarla stare eh..”
-No, davvero…- cercò di riprendere il controllo Ginevra,- non posso andare a disturbare anche i due neosposini..-  gli sorrise, cercando evidentemente di convincerlo.
-Ah no! I tuoi occhioni non mi ingannano! Ahah, ti ho rapita io e ti porto da chi voglio okay?-
-Uhmppf- Finse di mettere il broncio, ma non era così sconvolta come voleva fargli credere, anzi sembrava felice.  
Passarono il ponte che univa le coste del Galles con quelle dell’isoletta dove cercarono poi in mezzo ai prati sconfinati e ai boschetti l’ingresso dello chalet dove abitava suo fratello William. Percorsero la strada sterrata un po’ a fatica.
-Ma il principe William fa questa strada tutte le mattine?- Chiese lei mentre sobbalzava ad ogni buca e sasso che incontravano.
- No, va al lavoro in elicottero-
-Wow.- “E’ la nostra vita…e non è da wow.” Le sorrise con un ombra di tristezza e invidia.
Arrivarono allo chalet, dopo aver oltrepassato una guardiola con due agenti in nero che chiesero loro le generalità; quando Harry ebbe abbassato il finestrino e venne riconosciuto li lasciarono passare senza problemi. Era sabato, quindi trovarono i due neosposi sulla porta ad attenderli. O meglio ad attendere lui.
Ginevra non si lasciava sfuggire nessun particolare. Erano tutti e due in jeans, lei con un maglioncino leggero lui con una camicia a quadri. Erano molto più “scialli” di come li aveva visti tutti in tiro sulle copertine dei giornali. Harry le lanciò uno sguardo di incoraggiamento, poi aprì la sua portiera e scese mentre Kate gli correva incontro e gli si gettava al collo.
-Katie, ehi.- la abbracciò stretta, la sua “sorellona”, e fece un cenno al fratello : -Will, come va maritino?- Lui prese Kate per la vita e se la caricò in spalla:
-Lascia stare la mia principessa piccolo idiota!- Si misero a ridere allegramente. Poi udirono il rumore della portiera che si apriva e Harry fece un sorriso un po’ colpevole, fece il giro della macchina e guardò negli occhi Ginevra, -non mi sono dimenticato di te, tranquilla- sussurrò per poi aggiungere a voce alta mentre tutti lo fissavano:
-Ho portato un’amica,  Ginevra.- la fece uscire con un sorriso a trentaduemila denti, lei tutta rossa che tentava un inchino senza spiaccicare una parola.  “Sei così bella quando arrossisci …” pensò lui per una frazione di secondo, prima di ricacciare quel pensiero da dove era venuto e smettere di guardarla dando attenzione agli altri due, che nel frattempo, totalmente imbarazzati, per come si erano fatti vedere da quella ragazza sconosciuta, si erano staccati e avevano tentato di darsi una sistemata.
-Uhm… quella che mio fratello ha investito presumo..- “Will, idiota. Conosci altre Ginevra con cui mi sarei dovuto cacciare nei casini? La storia la sai, salta questa parte su!” pensò il rosso lanciandogli un’occhiataccia.
-Ehm..esatto.- rispose lei alzando gli occhi. –Ah,..esatto principe..ehm.-
-Ehi, su, non essere così formale- aggiunse Kate per rompere un po’ il ghiaccio, prendendola sottobraccio per guidarla dentro –insomma, ti dobbiamo molto solo per il fatto che non tu abbia spifferato tutto ai giornalisti piccola. Vieni dentro, ti faccio qualcosa, avete fatto colazione?- e la trascinò all’interno dello chalet cominciando a sommergerla di domande. “Grazie Katie..”
I due fratelli restarono quindi soli, fuori. Il più giovane sotto lo sguardo di rimprovero del maggiore.
-Cos’è ‘sta storia Harry?- gli chiese, con un tono dolce, materno.
Lui si passò le mani tra i capelli, mentre entrambi si allontanavano verso le stalle, pronti per una lunga passeggiata dove si sarebbero spiegati tutto.
Gli rivolse uno sguardo un po’ disperato, sussurrando:
-Mi sono innamorato Will. Mi sono innamorato davvero anche io, questa volta.- gli tremava un po’ la voce.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Colgo l'occasione, ora che ho introdotto questi due nuovi personaggi
per chiedervi cosa ne pensate della coppia Kate-William.
Insomma amore o ambizione? Bel matrimonio o evento mediatico?
Voglio sapere cosa ne pensate *_*
Sere


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Capitolo 9
*** Chiaccherate ***


-Allora, è tutto okay? Senti ancora male da qualche parte ora che sono passate tre settimane dall’incidente?- Chiese Kate amichevolmente, dopo averla guidata nella per niente piccola cucina. Le aveva sempre fatto una buona impressione la neoduchessa di Cambridge, con quelle sue maniere semplici. E il suo amore per William poi, durava ormai da anni! L’Inghilterra intera l’adorava, e Ginevra pure.

-No, ogni tanto qualche fastidio al collo ma in generale sto bene, grazie.- rispose un po’ impacciata “sto parlando con la futura regina!!”

-Bene dai, anche se questa non me la sarei mai aspettata da Harry! Insomma sì, divertiti ma..investire una ragazza!?!.. piccolo disgraziato..- sorrideva quando parlava di lui, “certo, è praticamente la sua sorella maggiore, e sono legati da un profondo affetto, si vede. Ne sono forse gelosa?” –allora, visto che la regina Elisabetta non ha potuto riceverti mi aveva detto ti avrebbe portato a una festa, com’è andata?-

Kate le dava le spalle in quel momento, le stava preparando un tè, e quindi non poteva guardarla e vedere che mentiva, quando disse: -Bene, ci siamo divertiti. Era..una bella festa.-

L’altra si girò e le gettò uno sguardo indagatore, con la teiera in mano.

-Non sembri troppo convinta eh..- le disse indicandole la sedia, mentre anche lei ne spostava una e prendeva posto al tavolo di legno al centro della stanza. “Non posso dirle niente..” pensò Ginevra sedendosi e standosene muta.

-Accetto il tuo silenzio, se non me ne vuoi parlare, tranquilla- tornò a sorridere. – Sei italiana, vero? Come mai sei venuta nella grigia Inghilterra?- versò un po’ di te in due grandi tazze.

-Ho vinto un concorso, una specie di borsa di studio. Bè, praticamente studio mentre aiuto gli scienziati al CER. –

- Wow, ti piace studiare?-

- Sono curiosa, e attratta dal nuovo.- aveva maturato quella definizione di sé da anni, ormai.
Silenzio imbarazzante. Entrambe si misero a fissare la superficie tremula del tè nelle loro tazze.

-Quanti anni hai?- chiese dopo pochi secondi Kate, tornando a guardarla con il suo meraviglioso sorriso.

- Ventuno. –

- Sì, li dimostri pienamente: non sei più una ragazzina ma nemmeno una donna completa, anche se può sembrare così all’inizio. Sei bella, e il tuo fisico è maturo ma.. ogni tanto nei tuoi movimenti, nelle guance che arrossiscono e si irradiano di rosso, traspare ancora qualcosa dell’insicurezza di una giovane ragazza, delle sue incertezze e della sua energia infinita.- aveva detto tutto questo con una naturalezza pazzesca, come se fosse normale riuscire a capire completamente una persona in meno di dieci minuti!
Ginevra la guardava scioccata, gli occhi spalancati, la bocca un po’ aperta. Come aveva fatto a leggerla come un libro aperto in così poco tempo? Come aveva fatto ad accorgersi di cose che lei stessa spesso trascurava? Lo sapeva anche lei che spesso si comportava in modo un po’ infantile, per quanto tentasse di evitarlo, e che si non era proprio una donna, ma…

-Come hai fatto?- le chiese senza neanche provare a nascondere il suo stupore.

- Mi piace osservare le persone che mi sembrano interessanti- sorrise e la guardò di sottecchi, orgogliosa per quella sottospecie di complimento che le era stato fatto.

- Dovrei essere più matura?- Chiese Ginevra. Non sapeva il perché ma, riflettendo sulla lettura di lei che aveva fatto quella quasi sconosciuta, aveva diretto i suoi pensieri al principe rosso che le aveva sconvolto un po’ la vita. “Che cavolo! Deve per forza intromettersi nei miei pensieri?” . Perché aveva pensato subito se lui l’avrebbe preferita più matura? Lui non l’avrebbe preferita e basta. Ah no, forse sì, forse per un attimo l’avrebbe preferita. Sì, giusto il tempo di una capatina a letto. Poi puff, e tanti cari saluti alle preferenze ragazzina, donna responsabile ecc.

Kate la stava guardando e ridacchiava: -No, ahah, essere adulti è una vera palla. Credimi, meglio vivere una vita intera da bambini che essere pedanti e maturi. E poi i tuoi quando emerge il tuo lato più tenero sei ancora più dolce e tenera. E scommetto che non lo penso solo io eh?- e continuava a farsi delle risatine sotto i baffi. L’altra nemmeno la stava troppo calcolando, immersa com’era nelle sue riflessioni. Si accorse solo dopo dell’ultima frase, della quale non ne capiva il senso.

Ma la duchessa non le diede il tempo di chiedere spiegazioni, ricominciando a farle domande e a chiacchierare. Il discorso si faceva sempre più piacevole, era sempre più semplice rispondere con leggerezza e naturalezza alle domande che si ponevano, e i sorrisi fioccavano. Poco dopo si ritrovarono a parlare come due vecchie amiche che non si vedevano da tempo.
 


 
- Innamorato? Tu? AHAHAHAHAH- William era piegato in due dalle risate, e ripeteva la domanda incredula e, sì, leggermente sfottente da qualche minuto.

- Grazie tanto Will.- sibilò in risposta Harry,  trucidandolo con lo sguardo. –Mi sei veramente d’aiuto.-

L’altro cercò di ricomporsi, ridacchiando ancora sommessamente.
-Scusa..- ammise infine ritornando il solito –hai ragione. Su dai parla.-

-È che mi rende difficile anche parlare. In realtà non so nemmeno io di preciso quello che sento però… Mi ha stravolto, e quello che dovrebbe chiedere i danni sarei io, sono io quello che è stato realmente investito!- altra risatina di Will, altro sguardo semi-serio di Harry.

- Non ho fatto che pensare a lei, da quando l’ho vista stesa in quella pozza di sangue la sera dell’incidente. Si lo so, all’inizio pensavo che fosse per i sensi di colpa, insomma non è che rischi di uccidere una persona tutti i giorni no? Ma nonostante si fosse ristabilita volevo rivederla, volevo conoscerla, anche se quando sono andato da lei dopo che la nonna ha annullato la cena, le sarei volentieri saltato addosso senza pensarci troppo sopra.- a questo William alzò gli occhi al cielo come per dire “è quello che fai sempre d’altronde”. Riuscì a strappare un sorriso anche a lui, nonostante si sentisse invaso dalla disperazione. “E che è? Depressione post-cazzata?”

-Ma non l’ho fatto. Né l’ho fatto ieri sera quando sono andata a prenderla. Eppure ogni cosa di lei mi attrae. Anzi, non eppure, forse proprio per questo. Comunque, ieri sera c’era Chelsea alla festa. Mi sono distratto un attimo, ma la cosa incredibile è che non mi interessava, non mi interessava lei né altre, il mio pensiero volgeva sempre a Ginevra. Poi non ho bevuto, cioè sì l’ho fatto- si corresse subito allo sguardo incredulo che gli aveva lanciato il fratello- ma non tanto. Non ero ubriaco, mentre lei, cioè Gin, sì. Nel senso che dopo averla cercata come un matto per tutto il locale l’ho trovata completamente sbronza, schiacciata contro al muro da un brutto porco che le metteva le mani dappertutto.- serrò i pungi, ripensando a come avrebbe voluto pestare quel cretino la sera precedente, e a come ancora desiderava farlo. – L’ho portata via allora. Credo che si fosse offesa perché l’avevo abbandonata e..perchè mi ha visto con Chelsy.- ammise un po’ imbarazzato e pentito di quello che aveva fatto.

-E tu credi si sia ubriacata per questo?- Chiede Will con aria interrogativa.

-Bè, credo di sì, ha biascicato qualcosa che me l’ha fatto capire.- rispose tormentandosi i capelli e le mani.- Ma il peggio è successo dopo, quando ci siamo fermati in un albergo, se si può chiamare tale, per la notte. C’era una camera con un letto solo e quando lei è uscita dalla doccia e si è presentata con il solo asciugamano addosso io… Cerca di capirmi.. i capelli bagnati sgocciolavano sul parquet mezzo marcio della stanza, e le sue gambe sinuose si muovevano leggere, e la sua schiena scoperta… è stato il colpo di grazia. Non ho più resistito, la volevo mia e..le ho sfiorato la schiena, ha una voglia al caffè in mezzo alle scapole … era impaurita Will. Si è ritratta veloce come un lampo, e quando mi ha guardato con quegli occhi bellissimi pieni di dolore e terrore  mi sono sentito straziato. Ha paura di me, ma..mi attrae e non posso farne a meno.  È come una calamita. Il mio sguardo la segue in continuazione, segue le sue forme perfette, l’ondeggiare dei suoi boccoli castani… tutti i miei sensi la desiderano, il suo profumo di vaniglia mi inebria. La sua voce mi fa scoppiare il petto. E ci sono attimi in cui la guardo come una bambina bisognosa di protezione, attimi in cui i suoi movimenti mi fanno girare la testa e mi ispirano immagini non proprio caste. Ma non voglio ferirla, e farò tutto ciò che devo per far sì che sia felice. – aveva detto queste parole con quanta determinazione avesse in corpo, e cercando di far capire al fratello che non si sarebbe fermato per nulla al mondo.  Will sorrise, forse per la prima volta Harry ci stava pensando seriamente.

- Non sono ancora sicuro che tu, proprio tu, sia innamorato. Ma te l’avevo detto che mi sarebbe piaciuto vederti tale, Harry. Vedere che tu provi la stessa cosa che provo io per Kate. E forse, e sottolineo forse, è arrivato il momento. Ma lo sai che non è una buona cosa, nel tuo caso, vero?- lo guardò con un misto di tristezza e preoccupazione, aspettando la sua risposta.

-Sì. – chinò la testa, con i capelli tutti arruffati. Stavano ormai tornando verso il cottage, avevano fatto una bella passeggiata.

-La nonna non approverebbe. Ed è pericoloso, per lei e per te, esporsi. L’amore è forte ma.. non so se, nel caso accadesse qualcosa, sarebbe disposta a lasciare la sua vita per quella che viviamo noi.- affermò Will, sul vialetto di ciottoli che portava alla porta di ingresso.

- Lo so.- rispose debolmente il rosso. Sapeva che Will aveva ragione, e sapeva anche che avrebbe dovuto mettere da parte i suoi, primi e veri, sentimenti per cercare di realizzare la felicità della sua dolce Ginevra. –Terrò le distanze da lei, anche perché, ora che ha paura di me, non voglio farla soffire.- Sì, avrebbe cercato di mantenere questa promessa con tutto sé stesso.

- Lo spero per te.- lo incoraggiò l’altro mettendogli una mano su una spalla, ormai erano davanti alla porta del cottage, l’altra mano era sulla maniglia. –Ehm..ora però è il mio turno delle confessioni.- disse un po’ imbarazzato William.

- Spara- cercò di sorridere Harry.

- Io.. noi… bè Kate, Kate è incinta.- e sfoderò uno di quei suoi tipici sorrisi da timidone, che facevano impazzire tutti.

-WOW.- esclamò il principino sorpreso ed estremamente felice. –COMPLIMENTONII, questo vuol dire che… tra poco sarò..zio? –

-Eh già..-

-Ci hai dato dentro eh, fratello!- e scoppiarono a ridere, una risata felice, che fece salire loro il sangue alle guance, facendoli sembrare due grandi fragole sorridenti.

Entrarono, e si diressero con battutine e risate verso la cucina da dove sentivano provenire le voci delle due donne, e quando se le ritrovarono davanti non poterono che essere ancora più felici. Ginevra stava tenendo le mani di Kate, mentre parlavano come due pazze del bambino (evidentemente anche la duchessa, che si sentiva un po’ sola chiusa là dentro, aveva dato la notizia all’amica acquisita) , la gioia trapelava dai loro occhi e dai loro visi e illuminava tutto attorno.  Si scambiarono uno sguardo veloce e si sedettero anche loro, per assaporare quegli attimi di allegria
.


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Rieccomi quaaa! *eimploroumilmenteperdonoperaverviabbandonato*
Scusatemi per il ritardo, ma ho fatto gli ultimi sforzi per la scuola,
e per non ritroiarmi di nuovo con il debito in greco (e su, incrociate le dita per me!)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, sto cercando di migliorare un po' xD
Ringrazio un sacco le fantastiche ragazze che recensiscono, e anche chi legge in silenzio **
chi mi mette tra i preferiti e i seguiti, chi ricorda questo raccontino. Grazie davvero
alla prossima ;P
Sere


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Capitolo 10
*** "Dove sono i pinguini?" ***


Quando i due neo-sposi avevano proposto loro di andare a farsi una doccia calda e a cambiarsi i vestiti che avevano addosso dalla sera prima, non avevano esitato. Harry si era diretto di filata alla sua camera, mentre Ginevra, che non sapeva nemmeno da che parte andare, si era lasciata condurre alla camera degli ospiti, con tanto di giro turistico per lo chalet. Era una casa di dimensioni modeste, “altro che il mio appartamento!”, che le ricordava un po’ la villetta dove era cresciuta, ovvio con qualche aggiunta da famiglia reale. Al piano terra si trovavano la cucina e la sala da pranzo, un grande salotto, la meravigliosa e fornita biblioteca. A parte quei libri che le avevano fatto luccicare gli occhi, scatenando le risate di William e Kate, Ginevra era stata colpita dal lucido pianoforte a coda, bianco come il latte.
-Nessuno dei due è molto bravo- disse un po’ imbarazzato il principe – ma pensavamo, okay certo forse è un po’ troppo presto ma, che magari in futuro al bambino piacerebbe..-
Kate aveva sorriso meravigliosamente al marito, con orgoglio, mentre Ginny aveva affermato fermamente che era un ottima idea, ricordando anche a sé stessa quanto le mancasse poggiare le sue mani sulla tastiera bicromata dello strumento.
Poi avevano proseguito su per le scale, arrivando al piano delle camere. E quante camere. Quella degli sposi, con tanto di bagno signorile e balcone con vista panoramica; quella del fratello, che intanto avevano visto uscire con vestiti di ricambio diretto al bagno; due camere vuote, per ora, riservate alla famiglia che volevano far crescere; e infine la stanza per gli ospiti, ovvero quella destinata a Ginevra. Era molto bella, le pareti di un azzurro pallido, e i mobili color crema. C’era un grande armadio, e un magnifico letto a due piazze, stracolmo di cuscini e sui quali la ragazza avrebbe voluto gettarsi all’istante. Ma si trattenne, prese i vestiti che le porgeva Kate, e li guardò tornare al piano inferiore, mentre parlavano di cosa avrebbero potuto cucinare. Ascoltandoli le venne in mente che non aveva visto personale di servizio, e si meravigliò. Si aspettava che avessero stuoli di cameriere e maggiordomi vari a servirli, invece i due avevano preferito arrangiarsi e, “addirittura”, cucinare da sé per i nuovi arrivati!
Sorridendo per la piacevole sorpresa, infatti non avrebbe retto a lungo sconosciuti che le giravano in giro, si avviò verso il bagno. Quando però aprì la porta e si ritrovò davanti il rosso, con un asciugamano in vita si paralizzò immediatamente.
“Dio. Questo è veramente un Dio.”
Non poté impedire che il suo sguardo scivolasse sul corpo di lui e lo accarezzasse velocemente. I capelli bagnati, il viso accigliato e sorpreso, il torace liscio, il ventre leggermente scolpito, con una leggera peluria biondiccia che scendeva e scompariva nell’asciugamano. Le braccia muscolose stese lungo i fianchi.
“Idiota!Sposta lo sguardo!” si riproverò diventando di tutte le tonalità di rosso conosciute. Infatti distolse subito lo sguardo e strinse gli occhi, pentita di aver indugiato troppo a lungo su quel corpo che le sembrava perfetto.
-Scusa- mugugnò, ma non si mosse di un millimetro. I suoi piedi non volevano andarsene, i suoi muscoli non rispondevano agli ordini che lei stava inviando. Cominciò a sentire un caldo tremendo, e cominciò anche ad andare nel panico, desiderando di poter scomparire e andarsene.
Lentamente riaprì gli occhi, e vide la più totale indifferenza sul viso di lui. Gli occhi azzurri sembravano spenti e glaciali. “Okay, ora qui diventa il Polo Sud”
-Puoi aspettare un attimo fuori, scusa?-
Si sentì raggelare del tutto. Sì, la frase era azzeccata e sensata, ma il tono con cui l’aveva detto le fece spalancare gli occhi per la paura. La sua voce era gelida, la sua espressione di una freddezza assurda. “Dove sono i pinguini?”
Si sbloccò, come se le fosse appena arrivata in faccia una secchiata d’acqua pungente, e annuì girandosi e chiudendo timidamente la porta, per poi appiattirsi contro la parete e scivolare lentamente a terra. Stava ancora stringendo convulsamente i vestiti di Kate, e si accorse che tremava leggermente.
Come poteva quel ragazzo farle quell’effetto? Come poteva cambiare comportamento così radicalmente? E poi perché?
Deglutì impaurita, e cercò di reagire. Cercò di combattere quel freddo che si stava diffondendo anche dentro di lei. Provava un dolore immenso, eppure non doveva contare molto, Harry non doveva contare niente! L’aveva deciso lei stessa, che era stata solo attrazione fisica.
Ma era proprio quello l’errore. Aveva deciso. Non: è così e basta. E al cuor non si comanda.
“Ma che pensi? No, Ginevra, guarda in faccia alla realtà.”
Si sentiva così solo perché sembrava aver trovato qualcuno che la degnasse di attenzioni, finalmente. Ma sapeva bene che lui lo faceva solo per ottenere qualcosa in cambio, e quel qualcosa lei non gliel’aveva dato. Quindi la sua reazione era ovvia, non gli serviva più, si era stancato di lei. Era un uomo. Uno di quelli stronzi e ipocriti, molto probabilmente.
 Un malinconico e furente sorriso cominciò ad allargarsi sulle sue labbra mentre lentamente il dolore lasciava posto alla rabbia.
Era stanca  di essere trattata così, era stanca di soffrire. E quindi non doveva fargliela passare liscia. Non si sarebbe mostrata debole. Non si sarebbe lasciata trattare con freddezza senza ricambiare.
“Ah,no. Te la farò pagare.”
Sorrise fiera di aver preso quella decisione, si alzò e si mise ad aspettare.


 
Ci era riuscito. Nonostante non avesse mai creduto di essere capace, ce l’aveva fatta. Quando Ginevra era entrata a sorpresa in bagno, vederla gli aveva riempito il cuore di felicità, che però in pochi attimi si era mutata in tristezza, mentre ricordava che  non lo voleva, non ricambiava quel sentimento che era nato in lui, ma anzi aveva paura. Aveva quindi messo in atto il suo piano. Per evitare di farla soffrire e per tentare di limitare il dolore che provava lui, aveva deciso di indossare un maschera, di tornare ad essere il ragazzone bisognoso di attrazioni femminili. Gli era sempre riuscito bene no? Da quando sua madre se ne era andata, aveva imparato a mascherare il dolore così. E anche quella volta, anche adesso che il dolore si sentiva quasi più forte, avrebbe fatto allo stesso modo.
Aveva tentato di essere più indifferente possibile, di farle capire che non gli importava nulla di lei, e dalla sua reazione, la sua missione poteva dirsi compiuta. Aveva quasi ceduto quando aveva visto gli occhi di Ginny spalancarsi per la voce fredda che aveva utilizzato, ma era riuscito a resistere. E quando la porta si era chiusa non aveva potuto fare a meno di complimentarsi con sé stesso, per lo sforzo.
 Ma sentiva un dolore forte espandersi dal centro del suo petto, come se qualcosa lo opprimesse. Si poggiò al lavandino e si passò l’acqua fresca sul viso più volte. La desiderava ancora, voleva il suo cuore, e sapendo che non era possibile si sentiva straziato. Si guardò allo specchio, il volto intristito e dolorante.
-Passerà. Tornerò a sorridere.- “E lei non soffrirà più.” Cercò di convincersi.
Ovvio, sarebbe stato così, ed era giusto così.
Tornò a indossare la sua maschera indifferente.
Nessuno avrebbe saputo che stava soffrendo. Bè nessuno a parte Will, che aveva sempre saputo guardare oltre al suo scudo, e che sicuramente l’avrebbe fatto ancora.



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Eccomi qui, di nuovo tremendamente in ritardo!
Quindi di nuovo scusateee!!!!
Allora, devo chiedervi una cosetta...
come cavolo devo abbreviare GINEVRA secondo voi?
E a questo aggiungerei: CCCAVOLO MA COME HO POTUTO CHIAMARLA COME QUELLA TIZIETTA DI MOCCIA?!?!?!?!!?

( -Miscusocontuttelesueammiratricima- Odio,odio,odio Moccia e il suo modo di scrivere, tanto che ho letto solo i primi capitoli di un suo romanzo e poi STOP! E adesso gironzolando sul wwwwwebb ho trovato che anche lui ha usato Ginevra. O_O)
Vabbè, lasciamo da parte il mio ego amareggiato per questa scoperta..
Sperto che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po', se avete suggerimenti scrivete!
Alla prossima :D
Sere

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Capitolo 11
*** "God save Harry" ***


Uscì dalla doccia completamente ristorata e decisa a non lasciarsi fare pensieri positivi e apprezzamenti su una certa persona dai capelli biondo-rossicci. Si vestì con i jeans  stretti e la maglia blu scuro scollata che le aveva prestato Kate. Le calzava tutto a pennello. Non rimase neanche troppo sorpresa di vedersi sulla testa una massa di boccoli gonfi e ribelli, quando ebbe finito di asciugarli col phon. Dopo un attimo di incertezza cominciò a frugare nei cassetti finchè non trovò un fermaglio con cui si appuntò il ciuffo, lasciando gli altri capelli sciolti sulle spalle. Quando fu soddisfatta del suo aspetto diede un ultima occhiata allo specchio e uscì sorridendo.
“Deve almeno ritenermi carina il mollusco. Carina e lontana mille miglia dalle sue grinfie.”
Pensava di essere gelida e indifferente anche lei, ma di continuare a tentarlo. Avrebbe fatto pentire il principe Henry del Galles di essere “un donnaiolo, stronzo e ipocrita”. Quando fu sul pianerottolo però non potè fare a meno di guardarsi intorno e tendere le orecchie per capire se lui era ancora lì. Niente. Scese le scale domandandosi dove fosse, pentendosi di averlo fatto e pentendosi di essersene pentita. Quando poi giunse dietro all’arco di ingresso della cucina si fermò un attimo a pensare come avrebbe dovuto continuare a comportarsi con i suoi due ospiti. Insomma persone normali o futuri regnanti di Inghilterra?
“Sempre stata timida. Conseguenze? Basta guardarmi. Al diavolo.” Con un gran sorriso entrò in cucina.

-…dici? Secondo me invece sarebbero una bella..OH.- stava dicendo Kate prima di essere interrotta dal marito.
-Scusate per il ritardo- si giustificò Gin. “Coppia? Chi e chi?”
-Tranquilla. Anche se devo ammettere che stavamo aspettando solo te- rispose William con un sorriso.
-Sono importante eeh?- ribattè lei sorridendo a sua volta- Ma…aspettavate davvero solo me? Questo vuol dire che Harry..- si rabbuiò un attimo. Effettivamente non l’aveva ancora visto.
-Ah, boh. E’ uscito di corsa prima, quando è sceso. – disse Kate alzando un sopracciglio perfetto e agitando un mestolo per aria.
-Ah.- fu la secca risposta di Ginevra. “Scappi eh…”
-E’ successo qualcosa?- chiese Will, la voce incrinata da un po’ di preoccupazione.
Lei sorrise, di un sorriso spudoratamente falso, che non sfuggì ai due.
-Niente che io sappia. Bè.. cosa si mangia? E’ da ieri sera che non tocco cibo e il mio stomaco ne risente. –sdrammatizzò posandosi le mani sulla pancia e fingendo di lamentarsi. Riuscì a cambiare discorso con successo, poi, appena le fu possibile, si gettò sulla carne e sulle patate che aveva preparato Kate, e mangiò tanto velocemente da ingozzarsi e scatenare delle risate di gruppo che sembrarono non finire più.
-Sai andare a cavallo, Ginevra?- chiese a un certo punto Kate.
-Diciamo che so stare in sella!-
-Ti va una passeggiata allora dopo?- rispose l’altra ridendo di nuovo.
-Se mi dai un breve ripasso allora va bene- le strizzò l’occhio Gin.
Misero a posto assieme le stoviglie e il poco che avanzava dall’abbuffata della ragazza ridendo e scherzando tutti e tre.
"È da tanto che non mi sento così felice in compagnia di qualcuno”  pensò Ginevra mentre asciugava i piatti.
Will e Kate erano…normali. Non certo come se li aspettava lei. Si era aperta subito con loro, ci stava bene, scherzava e rideva senza mentire.
-A che cosa pensi con quel sorriso ebete?- Le chiese all’improvviso il principe sbucando alle sue spalle e risvegliandola dalle sue riflessioni.
-Niente che ti interessi impiccione.- gli fece la linguaccia.
-Eeeeh lasciala in pace Willy!- urlò Kate saltandogli addosso da dietro e cominciando a scompigliargli i capelli. Gin si piegò in due dalle risate.
Quando finalmente ebbero finito (di ridere e lavare) si misero le giacche e uscirono. La giornata non era affatto soleggiata, le nuvole rendevano tutto un po’ grigio e c’era un venticello che scuoteva i rami dei pochi alberi, in mezzo ai prati sconfinati tipici della brughiera.
-Freschino, eh- disse Kate rabbrividendo.
-Dicono sia sempre così qui da voi- le rispose Gin di rimando, pensando al sole che in quei giorni stava molto probabilmente attanagliando la sua patria.
La fecero girare attorno alla casa, c’erano i garage e poco distante le stalle. Prima di recarvisi però si allontanarono, lasciando la ragazza un po’ sbigottita, e si avvicinarono a una specie di dependance, che lei non aveva neanche notato, il giorno prima.
Era piccola, a un piano, i vetri erano stranamente scuri e riflettenti. “E questa cos’è?”
Guardò i volti dei suoi accompagnatori e vide che sorridevano. William batté due colpi sulla porta in legno, e dopo poco questa si aprì, offrendo la vista di un uomo, Afro-americano. “Grande e grosso. Wow.”
-Capitano. Ladies.-disse con un cenno, scoprendo una miriade di denti bianchissimi che risaltavano ancora di più sulla carnagione scura.
-Blame, per piacere, cosa sono queste formalità?- gli disse Will entrando e fingendosi scandalizzato, per poi dargli una pacca sulla spalla.
-Per la nuova arrivata, William- gli rispose di rimando, tirandogli un pugno sulla spalla.-Allora, chi è la signorina?- chiese ammiccando.
-Ce l’ha portata Harry stamattina, a sorpresa. Si chiama Ginevra, sai quella..- disse Kate, alludendo all’incidente e facendo il mimo con le mani e rumore con la bocca.
-Ah, piacere di conoscerti, Ginevra. Io sono Blame, Blame Hackins.- e dicendo così le porse la mano e la strinse con una presa vigorosa, mentre lei arrossiva imbarazzata, come al solito.
-Ovvero- precisò Will ridacchiando -è il nostro orso personale, che protegge me e Kate dai possibili attacchi terroristici e dagli ufo che vogliono rapirci e cose del genere. Vive qui, con altre due guardie del corpo, quelle che stanno alla guardiola più avanti. Sono i nostri angeli custodi.-
Gin si immaginò il mastodontico Blame in un vestitino bianco con le alucce piumate che spuntavano dietro alla schiena, e non potè trattenere delle risatine.
-Ehi orsacchiotto.- disse Kate, beccandosi subito un’occhiataccia affettuosa dal gigante bruno, -oltre che per presentarti Ginevra, saremmo qui per chiederti di Harry. Sai, prima ci ha lasciati leggermente basiti…-
Blame sospirò e sorrise nuovamente. “Ma come fanno a essere così bianchi?” pensò Gin, incantata dallo splendore di quel sorriso.
-God save Harry…È venuto qui infatti, a chiedere agli altri le chiavi della porche. E io l’ho visto poco dopo quando è passato a tutta velocità davanti alla guardiola. Era talmente di fretta che neanche si è fermato a salutarmi.- disse con un’aria un po’ sconsolata ma sempre allegra.
-Ah, e non ha detto dove voleva andare?- insisté la donna, ancora preoccupata per il comportamento del fratellino.
-Se non ho capito male, voleva recarsi dal direttore della RAF a chiedere se poteva svolgere le sue mansioni o essere d’aiuto qui per qualche giorno.- rispose Blame dopo averci pensato un po’ su.
Mentre l’orso pronunciava quelle parole, Gin vide il viso di William intristirsi. Infatti poco dopo disse evidentemente deluso:
-Poteva almeno avvisarmi… Io ci lavoro lì. Insomma.. non penso di non avere nessun diritto di aiutarlo..-
Kate, notando il dispiacere del marito, gli si avvicinò e lo strinse a sé, sussurrando –avrà le sue ragioni, Will. E comunque, puoi ancora raggiungerlo.-

Quando William fu partito a rincorrere il fratello, Gin e Kate si avviarono verso le stalle. Ma quando ebbero sellato i cavalli e fatto il “ripassino” che serviva alla ragazza, esitarono un attimo.
-Effettivamente è da un po’ che anche io non salgo in sella. Da quando..- Kate abbassò lo sguardo, che si posò sul ventre.
Ginevra le sorrise amorevolmente, e le disse che non ci sarebbe stato nessun problema se non fossero andate a cavallo.
-È meglio non rischiare niente.- la rassicurò, e piegando la schiena per abbassare il viso disse facendo delle smorfie –Mi sa proprio che la craturina lì dentro non sarebbe troppo contenta se la facciamo sobbalzare troppo. Non è vero piccolo?-
-Ti piacciono i bambini?-
“Piacciono non è proprio il termine esatto”. Era sempre stata brava  con loro e basta. Ovvio che adorava quei piccoli, ma a volte erano proprio dei mostriciattoli. E lei che era una sorella maggiore lo sapeva bene. Sorrise tra sé e sé
-Sì. E ci sono abituata, ho un fratello più piccolo.- ricordarselo però le fece un po’ male, perché era tanto che non lo vedeva, che non vedeva la sua famiglia.
-Ti mancano?- Kate sapeva leggere le persone nel silenzio, come aveva fatto a scordarsene?
-Sì e…- “Merda!”- Oddio Kate ho assolutamente bisogno di un telefono o.. no meglio un computer!- esclamò tutto d’un fiato. L’altra la guardò un po’ stupita, arrovellandosi su quel cambiamento improvviso.
-Mi sono dimenticata che ogni giorno rispondo alle mail di mia mamma e.. Oddio, spero non sia in panico.-
Dopo un breve silenzio scoppiarono entrambe a ridere, e poi entrarono in casa a scrivere quella benedetta mail. Ginevra aggiunse baci e abbracci anche per il suo fratellino, che ormai non era più neanche tanto piccolo, a 19 anni.
-Sai, ho sempre pensato che essere il minore sarebbe stato decisamente meglio, sono loro i preferiti di mamma e papà no?- disse Kate quando spensero il computer. Lo sguardo vagava lontano perso  nei ricordi. –Ma forse… forse non è così.-
“Non capisco.” Si stava riferendo a lei? O a sé stessa? O a qualcun altro? Gin si sentì un attimo smarrita, ma quando l’altra si girò e la fissò con un’ intensità palpabile, i seri occhi azzurri che sembravano  volerle trasmettere tutta la sua decisione, la tristezza, e un muto avvertimento. La ragazza sperò di riuscire a coglierlo, ma si sentì soltanto in soggezione e non capì a chi quella frase, quell’avvertimento erano riferiti.

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 N~~~~~~ ~~ ~~ 
Scusate per l'assenza, e per il capitolo lunghino. Spero non vi annoi :D
Vi prometto che mi concentrerò di più su Harry e Gin prossimamente, ma non posso lasciar perdere l'altra coppia *w*
Un grazie a tutte quelle che seguono, che mi preferiscono, che ricordano e che leggono in silenzio, GRAZIE
Sere

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Capitolo 12
*** Una sola cosa può cambiare tutta la vita. ***


-Potevi almeno dirmelo… Cazzo..-
Era appena uscito dalla direzione del RAF, e già Will lo stava assillando. Aveva sempre sostenuto di voler fare le cose da solo, senza alcun aiuto speciale, quindi lo ribadì nuovamente, con voce stanca.
-Ma questo non è affatto un aiuto speciale, è un dannatissimo semplice aiuto, quelli che si danno gli amici tra di loro!- ribattè l’altro alzando il tono. Harry preferì non rispondere, e lasciarlo perdere.
Era riuscito a ottenere qualcosa da fare in quei giorni, qualcosa da fare per stare lontano dal cottage per più tempo possibile. In realtà aveva anche pensato di prendere un posto branda nei dormitori della caserma, ma aveva abbandonato subito l’idea. “Per LEI dovrei stare lontano dalla mia famiglia?” Certo che no.
O forse era proprio lei quella da cui aveva paura di stare lontano? Anche questo pensiero lo aveva sfiorato, e lui l’aveva congedato dicendosi che anche se fosse stato così, non gli sarebbe importato. Bè magari sarebbe stato più facile essere distaccato se le fosse stato lontano, ma non aveva abbastanza forza di volontà, anzi non la voleva avere.  E proprio in quel momento smaniava di vederla il più presto possibile, infatti senza nemmeno ricordarsi che c’era il fratello con lui, arrivò a passo svelto alla sua auto e subito mise in moto schizzando via. Will lo richiamò poco dopo, usando la radiolina installata nei cruscotti delle loro due auto. Avevano escogitato quel trucchetto quando erano ragazzini, legando alcuni walkie-talkie delle guardie alle loro due motociclette e collegando i microfoni ai caschi, divertendosi a girare per la loro pista parlando tra di loro. Quando poi erano cresciuti se le erano fatte installare più seriamente.
-Stai facendo tutte queste scene per Ginny?- gracchiò la voce di Will un po’ storpiata dalle frequenze radio.
“Come l’ha chiamata?!?” Si sbalordì Harry.
-Ginny? Che è tutta ‘sta confidenza?- disse allora premendo il pulsante sul volante. Quel po’ di irritazione che quel soprannome gli aveva scatenato trapelò dalle sue parole, destando così un ridacchiare divertito di William. Per ripicca Harry premette ancora di più l’acceleratore, e cercò di distanziarlo, metà irritato e metà vergognoso della sua reazione.
Will non tardò a rincorrerlo, spiegandogli che, mentre lui non c’era,  Ginevra si era aperta un po’ di più con loro e che semplicemente si era cominciato a creare un legame.
“Fa sempre le cose semplici lui eh..”
-Ah.  Bene. Ora è a casa?- doveva saperlo.
-Si, credo. Con Kate. Forse sono a cavallo.- silenzio. –Non riesci a starle lontano eh..- gli chiese allora, con un tono un po’ divertito, ma pensieroso.
Harry non rispose, cosa serviva a fare? La risposta era ovvia. Altrimenti sarebbe sfrecciato via così veloce.
Per il resto del tempo non si parlarono, ma il silenzio era carico delle riflessioni di entrambi.
Arrivati allo chalet, dopo aver parcheggiato si diressero verso le stalle ma vennero dirottati subito dallo scampanio allegro delle risate delle ragazze provenienti dall’interno della casa.
-La cavalcata allora è stata rimandata eh- disse Will dopo che, quasi fosse un automatismo, si erano entrambi girati, orientandosi verso la fonte dei suoni.
-Evidentemente. – annuì Harry. Quando furono fuori dalla porta però fermò il fratello.
–Devo continuare così? E’ difficile.- chiese preoccupato.
-Lo immagino. E penso tu sia anche molto stupido.- gli rispose l’altro.
-Che?-
-Perché hai scelto un metodo strano per staccarti da lei, sempre che sia la cosa giusta da fare eh...-
-E’ l’unico modo. E sappiamo entrambi che sì, è la cosa giusta da fare.- abbassò gli occhi il rosso.
-Ma ci stai soffrendo, e di certo io e Kate non possiamo resistere se entrambi cominciate a uccidervi con lo sguardo. – svelò Will –e poi..penso che neanche lei se la stia passando così bene. Non puoi comportarti come fai con tutte le altre?-
“Come se fosse possibile”sorrise tristemente. –Non posso. Con lei non riesco a essere così, con lei è come se tornassi bambino, quando c’era ancora la mamma.-
La sua voce si affievolì sempre di più quando ricordò, e fece ricordare a William, quei tempi. Il suo fratellone era rimasto quasi uguale, anche se in famiglia tutti notavano i suoi impercettibili cambiamenti, soprattutto Kate e Harry, il quale, al contrario, si era chiuso in sé stesso, e aveva cominciato a crescere come un ragazzino pestifero e scatenato, per poi diventare quello che i media mostravano di lui. Ma quella ragazza riusciva con il solo sguardo a togliergli la maschera e a sbriciolare quel personaggio che si era costruito, tirando fuori quello che cercava di nascondere, il ragazzino solo che era stato, l’uomo bisognoso di affetto che era in quel momento.
I due si guardarono negli occhi cercando di chiudere la mente a quei ricordi, felici e, proprio per questo, tristi. Entrarono.
Kate e Gin davano loro le spalle,  sedute sul divano a guardare gli album che avevano realizzato per il matrimonio. Erano zeppi di foto di Will e Kate, da quando erano bambini fino al fatidico giorno. Erano foto private, di famiglia, mai rese note.  Ce n’erano molte dei due fratellini assieme, e forse era proprio una di queste che aveva scatenato le loro risate.
Kate si girò per prima versò di loro e salutò il marito, che andò subito a abbracciarla affettuosamente.
Erano bellissimi assieme, e il loro amore non aveva mostrato ancora incrinature, soprattutto dopo la notizia della gravidanza in corso. Ma Harry si dimenticò di respirare quando Gin si voltò verso di lui con un sorriso smagliante e immensamente felice.
Non si ricordava che fosse così stupenda.
Che riuscisse a fargli quell’effetto.
Che gli sapesse mozzare il respiro in quel modo.
Si immobilizzò con un espressione ebete, che sparì solo quando il sorriso si spense lentamente, come se anche lei si riscuotesse, e uno sguardo freddo lo sostituì. Ovviamente il principe restò ancora più sconvolto e confuso di quanto fosse prima.
“Me lo sono meritato.” Avrebbe dovuto essere sollevato perché il piano stava andando a meraviglia, ma al contrario sentiva una tristezza tremenda, perché quello sguardo oltre ad essere gelido nascondeva..”delusione?”
Si risvegliò dal coma in cui era caduto e le rispose altrettanto freddamente, sperando di riuscire a tenere bene la maschera. Lei si era già girata dall’altra parte.
 
Era tornato, era tornato!
“Finalmente!” stava letteralmente esultando, sentiva le campane nella testa e il cuore che trottava allegro. Solo dopo che ebbe guardato felice gli occhi azzurri, i capelli scompigliati e di quel colore stupendo, dopo che ebbe ammirato quel fisico stupendo, si accorse che la sua felicità la potevano vedere anche gli altri, (e soprattutto Harry) quando invece avrebbe dovuto desiderare l’effetto contrario.  E solo quando fu abbastanza lucida da ricordare il suo piano e poterlo attuare, si impegnò e sfrutto le sue migliori doti d’attrice, lanciandogli un occhiata tremenda. Vide i suoi occhi sgranarsi e poi lentamente tornare freddi. Perché prima no, non lo erano. Sembravano ancora quegli occhi lucenti che aveva visto e osservato tanto nei giorni precedenti. Ma quando lei aveva reagito le si erano chiusi davanti, impedendole di vedere (“o forse immaginare”) quell’Harry che amava tanto.
Si girò e vide Kate a Will che si baciavano leggeri, e senti un miscuglio di felicità e tristezza attanagliarle lo stomaco. Emanavano amore, amore che anche lei avrebbe voluto avere, ricevere, ricambiare. Guardò l’amica che sorrideva, come sollevata. L’aveva osservata tutto il pomeriggio, e aveva notato delle stranezze in lei, sembrava un po’ agitata. Ogni tanto infatti si era persa nei pensieri, altre volte aveva messo una mano sulla pancia e fatto una smorfia strana. Lei aveva subito pensato che non si sentisse bene, ma aveva tralasciato per un po’.  Quando però l’episodio si era ripetuto le aveva chiesto preoccupata se fosse tutto okay.
-Sì, sì. Tranquilla.- e sorrisi forzati. Queste erano state le risposte che aveva ricevuto. Ma l’aria agitata l’aveva mantenuta sempre, anche quando erano state colte dalle risate per quelle foto così buffe dei due bambini.
Ora che William la stava cingendo con le braccia e baciando dolcemente l’agitazione sembrava sparita, lasciando il posto alla solita espressione rilassata e sicura di sé. E anche lei si ritrovò a sorridere.
Kate interrogò Harry fingendosi imbronciata, ma dopo poco gli corse incontro felice che fosse lì. Mentre parlavano si voltò verso di lei, e cercò con lo sguardo di scavarle nella mente, domandarle cosa stessero combinando lei e il rosso. Ginevra si sentì avvampare. Come aveva potuto pensare che quella donna straordinaria non si accorgesse delle occhiate furenti tra i due? Deglutì prima di prendere il respiro e rivolgerle un sorriso e muovere le labbra in modo che solo lei potesse leggere.
“Tu hai i tuoi segreti, io i miei.”
L’altra le rispose nello stesso modo, giurando che sarebbe riuscita a scoprire tutto. Si guardarono divertite ed entrambe certe del legame di amicizia che le stringeva sempre di più.
Kate tornò poi a parlare con Harry, che non si era accorto di quel silenzioso scambio di battute, al contrario invece di William, che non aveva spostato un attimo lo sguardo dalla moglie, e che in quel momento stava sorridendo.  Anche lui doveva essersi accorto dell’improvviso cambiamento del fratello e dell’ospite, e ne dovevano aver discusso assieme quei due. Al contrario di Kate però lui era molto più riservato e non ghignava con aria furba come faceva quella.
Si spostarono in cucina e le due donne cominciarono a cucinare, mentre gli altri due apparecchiavano la tavola, preoccupandosi per prima cosa di aprire un paio di lattine di birra fresche di frigorifero.
Gin si accorse che un paio di volte Kate si era bloccata e aveva spalancato gli occhi, appoggiandosi al bancone del fornello, per sostenersi. Non aveva voluto parlare, perché sapeva che non ne avrebbe cavato nulla, ma quando si era girata per mettere i piatti colmi di pollo e patate aveva notato riflesso negli occhi di William il proprio sguardo preoccupato. Gli occhi di Harry li aveva evitati, ma era quasi certa che fossero identici ai suoi. “Altrimenti sei proprio idiota.” Ma sapeva che era attento alla sua “sorellona”.
Mangiarono, alternando silenzi carichi di preoccupazione e sguardi taglienti spesso interrotti da Kate, a scambi di parole allegre e risate per racconti di episodi buffi . Riuscirono a dimenticare per un attimo le tensioni della giornata, quegli strani mancamenti della donna. Harry e Gin allentarono un attimo la presa dai loro piani e riuscirono a parlarsi, scherzare, ridere senza rovinare l’atmosfera, anche se non riuscirono a guardarsi negli occhi, per paura di trovarci l’uno nello sguardo dell’altro quella freddezza così difficile da sopportare.
“Vorrei fosse sempre così” pensò lei “mi basta questo.” Era felice. In poche settimane aveva trovato una compagnia, un’amica, la voglia di sorridere. Quell’incidente l’aveva riportata a una vita simile a, ma migliore di, quella che aveva prima di trasferirsi nella grigia e affascinante Inghilterra.
Dopo cena Ginevra convinse Kate a fare una pausa e magari farsi una doccia rilassante, e lei acconsentì uscendo subito dalla cucina. Gin restò a lavare le pentole che non erano riusciti a far stare in lavastoviglie e quando Harry si alzò e si mise al suo fianco con lo strofinaccio in mano sentì i brividi percorrerle la schiena e intensificarsi quando il braccio di lui sfiorava il suo, mentre asciugava quello che lei gli porgeva. “Attieniti a ciò che hai deciso.” Si girò a guardarlo minacciosa, ma invece di ottenere l’effetto allontanatimmediatamentestronzochenonseialtro si ritrovò come risposta solamente un paio di risate leggere, la sua voce magnificamente profonda. Il rossore, che evidentemente era già presente sulle sue guance, diventò ancor più purpureo, facendo aumentare le risate. Si sentì offesa, “mi ride in faccia?!?”, e lo schizzò con dell’acqua. Il rosso ammutolì immediatamente, e stavolta furono le sue risate cristalline e quelle divertite di William a riempire l’aria. Iniziarono a schizzarsi tutti con l’acqua, risa e grugniti, facce furenti  e occhi illuminati dalla gioia. La guerra finì con William sulla porta della cucina piegato in due sghignazzante, Harry appoggiato al tavolo completamente fradicio e Ginevra seduta per terra in mezzo a una pozzanghera. Guardò il suo principe, lì di fronte a lei in silenzio, che la guardava serio. L’aveva rivisto. Il suo Harry, mentre si schizzavano, aveva abbassato la maschera, facendole battere il cuore, facendole sperare che lui la volesse.
“Perché devi rendere tutto così difficile?” pensò fissandolo con tristezza. Lui ricambiò lo sguardo e straziandole il cuore.
D’un tratto un urlo spezzò il respiro a tutti e tre.
-Kate!- si drizzò William terrorizzato, gettandosi verso la porta e correndo su per le scale, seguito immediatamente dagli altri due. Ginevra sentì lo stomaco stringersi nella morsa della preoccupazione, della paura. Spalancarono la porta e la cercarono con lo sguardo, senza trovarla. I forti singhiozzi però li attirarono  di corsa verso il bagno.
Era accasciata per terra, la guancia premuta sulle fredde piastrelle del bagno, le mani sul viso. Gli occhi azzurri erano spalancati per il dolore e le lacrime scendevano senza sosta. William le fu subito sopra, si inginocchiò, la prese per le spalle e cominciò a chiamarla e a scuoterla dolcemente. Lei non rispondeva, ma si guardava in giro con gli occhi vuoti continuando a singhiozzare violentemente.
 
 
L’urlo l’aveva agghiacciato.
“Dio, sorellona, che è successo?” L’aveva vista strana durante la cena, e ora temeva per lei.
La trovarono in bagno, in uno stato pietoso. Sembrava fuori di sé, ogni suo singhiozzo era una pugnalata per loro. Quando Will le si gettò addosso, lui e Gin restarono indietro, ma nessuno di loro riuscì a tranquillizzarla né a capire cosa fosse successo. A un certo punto Harry sentì la ragazza, accanto a lui, sussultare, si girò verso di lei e vide gli occhi farsi grandi e sempre più lucidi, le prime lacrime che stavano per uscire. Le sfiorò una spalla (sentendo una scossa, che ricordò più tardi), e lei mosse il braccio, e indicò Kate, la gonna macchiata che sua cognata indossava. Un rivolo di sangue scendeva sulla coscia, e sotto il corpo una pozza rossa cominciava ad allargarsi. Harry sentiva Gin gemere e cominciare a piangere convulsamente di fianco a sé. Il terrore si trasformò in terribile certezza.
Lui non sarebbe più diventato zio. Il bambino non sarebbe più nato. Kate aveva perso il bambino al solo secondo mese.




~~ ~ ~~~~ ~~ ~~~ ~ ~~~ ~ 
...
ho scoperto che non potrei mai scrivere tragedie greche.
Infatti l'ultima parte non è proprio come il mio cervello svalvolato l'aveva immaginata,
ma spero abbiate apprezzato i miei sforziiii
Grazie e tutti/e

Sere

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Capitolo 13
*** Se non lo fai ora, te ne pentirai per tutta la vita ***


Finalmente vide la maniglia della porta muoversi, il dottore uscire dalla porta.
 -Dottore.- disse Harry, che al contrario di lei era riuscito a mantenersi in uno stato decente, nonostante la sua preoccupazione si vedesse lontano un miglio.-Allora?-
Gin si avvicinò ai due, i capelli scompigliati e gonfi per la corsa in elicottero fino a quel piccolo ospedale. Aveva gli occhi arrossati per le poche lacrime mute che le erano scese fino a quel momento, e che ora faticava a trattenere. Si sentiva molto legata a Kate, anche se avevano passato assieme solamente una giornata. “Una giornata durata all’infinito.”
-Vostra altezza, signorina. Non c’è stato nulla da fare, mi dispiace.- soffiò fuori il dottore abbassando lo sguardo. –La duchessa Kate ha perso il feto.-
“No!” Sentì le gambe molli, mancarle il fiato.”Che cavolo..?”
Non riuscì più a fermarsi, e spaventata e stupita dalla propria reazione,scoppiò a piangere. Quella volta i singhiozzi suonarono come pugnalate nell’aria. A vuoto, perché ormai nessuno avrebbe potuto più fare niente. Ormai era finita. Come poteva rimanere calma davanti a una vita che si spegneva, ancora prima di iniziare? Ancora una volta si trovava davanti a…
Forse era per quello che sentiva così tanto dolore per quella quasi sconosciuta a cui si era tanto legata? Le due si erano incontrate per la prima volta quella mattina, eppure sembravano andare d’accordo come se si conoscessero da una vita intera. E in quel momento, dopo quello che era appena successo, stava piangendo disperata per lei. Aveva già visto qualcuno dover patire lo stesso dolore che provava la nuova amica, e ,forse, non riusciva né a fermare quelle lacrime bollenti né a calmare il suo respiro spezzato dai singhiozzi proprio perché quel male l’aveva già vissuto in parte lei. Alzò lo sguardo su Harry, lo vide rabbioso e disperato, mentre cercava di contenersi. Stringeva i pugni spasmodicamente, gli occhi serrati, la mascella tesa e contratta. Per la prima volta da quando erano entrati in ospedale, e ,nonostante il dolore, si erano respinti a vicenda,Gin tese il braccio e sfiorò il suo, leggera, poi strinse la presa, si attaccò alla sua camicia come se fosse l’unica cosa che l’avrebbe potuta sostenere. Come se avrebbe potuto sostenere entrambi.
-Possiamo vederli?- la sua voce era tremolante, le sue parole spezzate dai singhiozzi. Ma era riuscita a chiedere di loro, perché lentamente la preoccupazione per i suoi due nuovi amici stava coprendo il dolore. Se lei e Harry stavano soffrendo così, Kate e Will cosa stavano passando?
-Sì, farò un eccezione alla regola per..- ma Leyton venne interrotto dallo sguardo furente e straziato del principino. Si spostò di lato, e lasciò libero il passaggio permettendo ai due di entrare.
La stanza era azzurra, c’era quell’odore  nauseabondo di ospedale, anestetizzanti e disinfettanti. Nulla ricordava a Ginevra il comfort della camera che le avevano dato al King Edward. Quello era un ospedale in tutto e per tutto.
Appena entrati però la cosa che colpì maggiormente i due giovani fu non vedere la coppia unita, ma Will nell’angolo semi-accasciato su una sedia, lo sguardo perso nel vuoto. Lo ignorarono. Come se non esistesse lo passarono e si focalizzarono solamente su Kate, il viso smunto e pallido, gli occhi rossi e gonfi, niente lacrime. Le aveva già piante tutte.
Per i primi attimi fu come se non li avesse visti, ma quando Harry si chinò su di lei per darle un bacio sulla fronte e Gin le prese una mano tra le sue, sembrò come risvegliarsi e li guardò stranita e spaventata, come fossero due estranei. Poi prese a mormorare e ripetere la stessa frase e una nenia dolorosa riempì la stanza.
-Non c’è più. Non c’è più.-
Gin si issò sul lettino, mettendosi a sedere vicino a Kate, carezzandole i capelli e stringendola a sé, mentre le lacrime ricominciavano a scendere lente e silenziose. William alzò gli occhi, e guardò prima Harry poi Gin e infine la moglie con uno sguardo impaurito e distrutto. Allora il fratello gli si avvicinò e gli posò le mani sulle spalle:
-Ha bisogno di te.-
-Non si è neanche accorta che ero lì.- la voce era incrinata, sapeva di pianto.
- Ora come non mai, ha bisogno di sentirti accanto a sé. So che è difficile superare qualcosa del genere.- avevano già affrontato la morte di qualcuno di caro, una morte che li aveva fatti cambiare.
-Non è giusto Harry.- a queste parole Gin si introdusse timidamente nella conversazione, che lei udiva, al contrario di Kate. “Ho già vissuto questa scena.”
-No, non lo è. È uno schifo, ma devi comportarti da marito, dovete unire le vostre forze. Se non lo fai ora, te ne pentirai per tutta la vita.- lo incitò, la voce ancora spezzata, un accenno di sorriso sulle labbra tristi.
William si alzò, schiacciato dal peso che aveva appena cominciato a portare, e si avvicinò alla sua amata, la abbracciò, incerto, prendendo il posto di Ginevra. Quando Kate riconobbe le braccia che la circondarono si strinse a lui e riprese a singhiozzare, mentre il principe prendeva un po’ di sicurezza, e le sussurrava all’orecchio. Il sorriso di Ginevra si rafforzò un poco. “Si amano, sono forti. Ce la faranno.”
Poi si sentì infuocare all’improvviso, e vide il rosso che la fissava strabiliato, con un intensità tale che era come se la stesse sfiorando con le dita. E in quello sguardo c’erano ammirazione, gratitudine, stupore e…
“Come può rivolgermi certi sguardi, in un momento come QUESTO?!” si girò di scatto verso la coppia e riprese il suo posto accanto a Kate, dimenticandosi totalmente di ciò che aveva fatto il rosso, tornando a concentrarsi sull’amica.
 
Ormai era mezzanotte, la situazione si era un po’ calmata. Harry era riuscito a convincere William a uscire un attimo e cercare di mangiare qualcosa, mentre Gin ormai sola nella stanza con Kate aveva abbandonato l’intenzione di farle ingoiare a forza la crema di patate che avevano portato le infermiere.  La sua nuova amica si era tranquillizzata, circondata da persone che l’amavano, e confortata dalle parole del primario dell’ospedale, che aveva affermato che quello che le era successo poteva  capitare, le prime volte, ma che questo non significava che non avrebbero potuto avere figli, ma anzi avrebbero potuto tranquillamente riprovare il mese seguente. Lei non le era parsa entusiasta all’idea, e ora se ne stava a pensare in silenzio. Ginevra le si avvicinò.
-Capisco il tuo dolore..-
-No.- sorrise amara l’altra.- non puoi conoscerlo.-
Forse no. Ma ci era passata vicina anche lei. I ricordi bruciarono nella sua mente.
-Avevo tre anni e mezzo.- cominciò a raccontare, mentre Kate si faceva attenta. –mia madre era incinta, due gemelli. Passai mesi a sognare come sarebbe stato avere due fratellini, a cosa poter fare con loro, i miei due nuovi bambolotti. Avevo visto mio padre preparare la stanza, l’avevo aiutato a fare ciò che riuscivo. Al quinto mese mia madre ebbe delle perdite. Ricordo la corsa verso l’ospedale, le lacrime della mamma, il volto del papà disperato. E che mi dissero che non avrei più avuto due fratellini. Mi sembrò che fosse la fine. I miei genitori mi sembrarono morti per giorni, e agli occhi di una bambina fu come aver perso tutto d’un colpo. Ma mio fratello nacque, una notte di gennaio, quando tutto era coperto da una coltre bianca e perfetta. Era sopravvissuto, a scapito del suo gemellino. Mia madre aveva raccolto tutte le sue forze e continuato con più determinazione di prima la gravidanza del piccolo, mio padre accanto a lei era riuscito a sostenerla. E quel giorno ricominciarono a essere felici. E io con loro.- ecco. Come aveva consolato Will? Con le stesse parole che aveva udito dire a suo padre.
-Io..non sapevo che..- balbettò Kate.
-No, non lo sapevi. Kate..- “Devi salvarti anche tu. Devi salvare Will e la vostra vita perfetta.”
-Sì?-
-Promettimi che non vi fermerete qui. Che costruirete una bella e grande famiglia.- disse guardandola negli occhi.  L’altra ci pensò su, e poi annuì seria.
-Lo farò.- le sorrise,  di un sorriso un po’ stanco, ma sotto il quale si poteva intravedere di nuovo la forza che aveva con sé.
 
Dopo che era riuscito a rialzare un po’ il morale a Will, Harry rientrò nella stanza con un tramezzino e un tè per Ginevra.
“Gin…”
Quella ragazza non aveva fatto altro che sorprenderlo. L’aveva vista mentre cercava di contenersi, per poi scoppiare a piangere, perché in così poco tempo si era legata alla sua sorellona. L’aveva sentita aggrapparsi a lui, cercando di fare forza a entrambi, e quel contatto lo aveva fatto andare avanti. Aveva avuto i brividi mentre lei con gli occhioni lucidi aveva rimproverato e consigliato William. E in quel momento il suo cuore era sembrato uscire con forza dal petto, tanto forte si era messo a battere. Pur essendo distrutta, dopo essere stata trascinata da LUI stesso fuori dal suo calmo mondo, pur dovendo sopportare quel dolore, aveva tirato fuori la sua forza e la sua determinazione. E li aveva salvati. Aveva salvato la sua famiglia. In quel momento avrebbe voluto urlarle tutto ciò che provava. L’ammirava. Le era grato. La desiderava.
L’amava.
Cercò di scacciare dalla mente quei pensieri così forti, ma ormai sentiva dentro una confusione pazzesca, aumentata ancora di più dall’intorpidimento del sonno. Entrò nella stanza portando il cibo e cercando di ricordare invano se ci fossero buone ragioni per portare a termine il piano,  ma la scena che si ritrovò davanti gli fece rischiare di farsi cadere tutto dalle mani.
Le due ragazze si erano addormentate amorevolmente una accanto all’altra, sfinite per quella strana giornata,e si tenevano strette, mano nella mano. Non seppe definire se gli sembravano due sorelle,o due amiche, ma emanavano puro affetto. Anche Will riuscì a sorridere, vedendole così e vedendo che Kate si era finalmente addormentata. Si sedettero sulle sedie e spossati presero sonno, riflettendo su ciò che era accaduto finché le loro menti restarono lucide.




~ ~~~ ~~~~~~~ ~~ 
E' cominciata l'estateeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! (E MIRACOLOSAMENTE sono promossa!)
Così ora spero di riuscire a scrivere un po' di più, e magari meglio ehh!
Okay, anche in questo capitolo non vi ho salvate dai momenti strappalacrime e strazianti
che tralaltro ho scoperto essere difficilissimi da scrivere perchè ho scelto la terza persona. -Ma con la prima proprio non ci riescooo Q_Q-
Mi riprenderò un po' nel prossimo chappy perchè... bè perchè spero sarà un bel capitolo.
Magari con una bella svolta nella storia? *_* Continuate a leggere!
Grazie ancora a tutte quelle che seguono, preferiscono e ricordano questa storiella
(e alle immancabili lettrici silenziose)
Sere

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Capitolo 14
*** Passion ***


-Preferiamo tenerla qui ancora un giorno. È molto debole e spossata. Inoltre non sappiamo con certezza come reagirà il suo corpo, perché varia da donna a donna.-
Harry alzò gli occhi, ancora intorpidito. Will era sveglio, in piedi accanto al letto, e le parole di un dottore fermo sulla porta erano rivolte a lui.
-Certo. Grazie.- rispose infatti il suo fratellone, in condizioni visibilmente migliori rispetto a ieri. “Il poco sonno che ti sei concesso ti ha fatto bene eh.” A lui invece sembrava aver fatto l’effetto contrario. Si sentiva schiacciato, le ossa e i muscoli doloranti, le palpebre pesanti. Okay, aveva appreso che le scomode seggiole di plastica degli ospedali non sono il massimo per dormire. Non si sforzò nemmeno di cercare una faccia da intelligente quando guardando il fratello biascicò un “Buongiorno”. William gli girò e gli sorrise, nonostante dalla sua espressione trapelasse ancora la stanchezza.
-Ehi, ci siamo svegliati finalmente eh?- gli disse squadrandolo un po’, e cominciando a ridacchiare.
“Ho qualcosa fuori posto?” pensò stiracchiandosi e sbadigliando sonoramente e guardando distrattamente il letto. Le lenzuola erano stropicciate e la sua sorellona stava dormendo pacata, facendo alzare il tessuto bianco a ritmo del suo respiro. Tutto tranquillo. Richiuse un attimo gli occhi, per cercare la forza per alzarsi e fare qualcosa, e soprattutto allontanarsi da quella stupida sedia che lo aveva reso un mucchietto di ossa e muscoli doloranti.
“Aspetta” come se gli fosse suonata una sirena d’allarme nella mente silenziosa aprì gli occhi. Aveva passato ogni istante in cui non era riuscito a prendere sonno a guardarla. La pelle pallida alla luce fioca delle lampade sempre accese nella stanza dell’ospedale. Il suo respiro l’aveva tranquillizzato, come una ninna nanna. “Dove cavolo è Gin?”
William stava ridendo da un pezzo quando qualcuno alle spalle del principino non riuscì più a trattenersi e unì le sue risate cristalline alle altre, facendo sobbalzare e fermare il cuore a Harry.
Prendendo lentamente coscienza del fatto che Ginevra aveva assistito a tutte le sue performance da prima mattina, si girò e la vide in piedi appoggiata allo stesso muro su cui stava la sua sedia, ma che era stato completamente fuori dalla sua attenzione e dalla sua visuale. Stava ridendo anche lei, teneva una mano sulla pancia e una sulla bocca, probabilmente nel tentativo invano di trattenersi, e lo guardava allegra.
-Buongiorno  principe Henry.- gli sorrise ancora ridacchiando. Almeno aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti.
“Merda. Sarò conciato da sbattere via” pensò, per poi sorprendersene, anche se ormai si aspettava di tutto, dopo aver accertato il fatto di essersi innamorato della ragazza che gli stava di fronte. Si passò una mano tra i capelli e notò che sulla testa aveva una massa indistinta di ciuffi rossastri che sfidavano la forza di gravità e sparavano in tutte le direzioni, provocando le risate di quei due idioti che si ritrovava davanti. “Di bene in meglio”. Il sangue gli salì ancor più del normale sulle guance. Gettò di nuovo un altro sguardo a Gin, che stava commentando il tutto con suo fratello, ma non riuscì più a coglierne le parole. La voce della ragazza gli giungeva come una melodia senza più un senso  compiuto, le sue risate erano squilli allegri.
Non riusciva a muoversi, non aveva più il controllo sul proprio corpo, sul proprio sguardo che indugiava sul viso splendido di lei, lasciando perdere tutto ciò che c’era intorno.
I capelli erano scompigliati e i riccioli tutti intricati, li aveva raccolti in una coda mezza sfatta. Sotto gli occhi erano accennate ombre più scure, le occhiaie per la nottata passata. Aveva i suoi difetti, splendidi lo stesso.
“Non dovrei…” ma non riusciva a smettere di ammirarla, nemmeno quando lei si girò e i due sguardi si fusero. Si ritrovò ancorato agli occhi di Gin, due pozzi verde-marroni in cui stava precipitando in caduta libera. Deglutì a vuoto. La risata che lei aveva tra le labbra si spense lentamente, mutandosi in un timido sorriso, che illuminò la stanza. Harry sentì il proprio corpo essere invaso dal calore, un dolce tepore e una calma improvvisa, mentre dal suo cuore si espandevano le fiamme.
“Ti amo.” Era nudo davanti a quello sguardo, a quegli occhi. Nessuna maschera avrebbe retto mai, non poteva resisterle. E così miseramente era crollato quel secondo Harry che aveva faticato tanto a costruire imponendosi freddezza e indifferenza. Perché continuare a lottare? Perché non mostrarsi per quello che era.
 Poi un lampo di incertezza passò sul viso della ragazza e spezzò l’atmosfera. Come se d’un tratto avesse ripreso controllo del suo corpo e contemporaneamente gli avessero dato la scossa, Harry distolse lo sguardo dalla ragazza e scattò verso la porta, chiedendosi cosa fosse successo di preciso. Si era lasciato in cantare e non aveva pensato a quella marea di motivi che lo avevano spinto a tentare di fermare i suoi sentimenti. Era stato tutto sbagliato.
“Quest’amore è sbagliato.”
Eppure, quell’attimo era stato così piacevole…
Uscì chiudendosi dietro la porta e cominciò a girare per l’ospedale riordinando i pensieri.
 
 
“Cosa diavolo è successo?”
Gin guardò completamente imbarazzata verso William, che le rivolse come un occhiata di rimprovero e poi tornò a guardare la moglie, serio e pensieroso. Si sentì avvampare completamente per la vergogna. Ma cos’era saltato in mente al suo principino?
“E cos’è saltato in mente a me?”
Era successo così tutto all’improvviso, un attimo prima stava ridendo con William perché si era trovata davanti un Harry appena svegliato, con gli occhi gonfi e i capelli carota arruffati che lo avevano fatto sembrare un tenero bambino, se non fosse stato per la barba che non veniva tagliata già da un paio di giorni.  Neanche una manciata di secondi dopo si era sentita sondata dallo sguardo del principino, e quando si era girata non era più riuscita a muoversi. La stava guardando, ma non come al solito. Sembrava il primo Harry che aveva conosciuto, quello che le aveva fatto perdere la testa, che le sorrideva e che si sentiva un po’ in colpa per averla quasi uccisa, che l’aveva portata a un ballo e che si era preoccupato per lei. E ora gli stessi occhi azzurri, non più di ghiaccio, si stavano perdendo nei suoi. E si sentiva immensamente felice, perché ogni scudo che si erano interposti a vicenda era scomparso, e il rossore che vedeva sulle guance di lui sembrava essere reale. Sorrise. Perché non buttarsi, perché non tentare una pazza impresa? Se si fosse sentita così tutto il tempo, se fosse successo di più che uno sguardo pazzesco, che sensazioni avrebbe sentito? Altro che paradiso.  In fondo al suo cuore una piccola speranza si accese, e per la prima volta ammise tra sé quello che negava da tempo. Era innamorata. Niente cotte adolescenziali o cose del genere. Lo amava. Poi le mancò il coraggio. Poteva davvero essere così masochista? Il dolore la aspettava dietro l’angolo, ne era sicura, figurarsi poi quanti impedimenti c’erano all’amore tra lei e il principino. Forse le si era letta in faccia l’incertezza, perché proprio in quel momento la magia finì e in pochi secondi Harry si era alzato ed era uscito.
E lei era rimasta lì come un’idiota, immobile, a fissare il vuoto dove prima c’era il rosso.  Poi si era accorta dello sguardo di rimprovero di William e aveva abbassato la testa, sconfitta. Si era illusa?
Decise di cercare di ficcare in un angolino nascosto della sua mente tutto ciò che era successo e cercare di non pensarci per non rovinarsi il resto della giornata. Si staccò dal muro e si avvicinò al letto. Non riuscì a scusarsi con William, probabilmente prima lo avevano messo proprio a disagio.
-Quando pensi che potrà tornare a casa?- chiese invece.
Lo scambio di sguardi era bello che sepolto, la giornata doveva ricominciare in modo migliore.
 
Erano le nove di sera, e Gin era sulla porta della stanza d’ospedale, indossava la giacca e si dondolava sulle punte, irrequieta.
“Come hanno fatto a convincermi?” lanciò un occhiataccia alla coppia che si trovava davanti. Kate era stesa a letto, ancora pallida e debole, aveva passato gran parte della giornata a dormire, ma avevano anche scambiato qualche parola. Will era stato sempre al suo capezzale, riempiendola di attenzioni, se non per pochi minuti di telefonate. E ora la fissavano con strani sorrisetti. Lei rispose con uno sbuffo esasperato.
-E dai Ginny, si tratta solo di una sera, domani torneremo a casa anche noi.- ammiccò Kate.
-Guarda che non è questo che mi preoccupa!-disse offesa, cercando di mascherare tutto il suo imbarazzo. E che mi sento agitata a lasciarti qui da sola. Cioè c’è sempre Will ma..- si rese conto di essere arrossita violentemente. Discutere con loro non aveva senso.
-Possiamo andare?- la voce profonda di Harry la fece sobbalzare. Era serio, e aveva evitato il suo sguardo tutto il giorno.
“Diamine, come ho fatto a cacciarmi in una situazione simile?”
-Sì- rispose senza voltarsi e gettando un ultimo sguardo supplichevole ai due. Loro ripresero a ghignare.
-Buona notte, allora.- disse con acidità. Loro se ne sarebbero stati lì tranquilli e lei avrebbe dovuto sorbirsi tutto il viaggio di ritorno e un’intera nottata allo chalet da sola con Harry. Maledetti sposini.
 Il piano era quello di barricarsi in camera sua appena arrivati, quindi quello che la preoccupava era il viaggio in macchina.
Will e Kate li salutarono sorridendo e augurando una buona notte e lei si voltò, a seguire Harry, che le mostrava le spalle larghe. Cominciava la tortura. Non che fino a quel momento l’avesse trattata male, ma anzi, la considerava appena, facendole pensare di essere o imbarazzato o, cosa molto più probabile, arrabbiato. Forse quella mattina aveva esagerato.
Arrivarono al parcheggio dell’ospedale, Harry si era fatto preparare una macchina, nera e tirata a lucido. Salirono e subito lui mise in moto. Non si scambiarono neanche una parola. Gin passò la maggior parte del tempo a guardare fuori dal finestrino le luci della strada e dei paesi che brillavano nel buio. Il cielo era scuro e nuvoloso, non si vedevano né stelle né la luna, ma in lontananza si vedevano le schiarite di alcuni fulmini. Harry guidava silenzioso, ma a un certo punto allungò il braccio e accese la radio e la musica invase l’abitacolo. Dopo aver vagato su strade sconosciute per un po’ Gin riconobbe il vialetto che portava allo chalet.
-Forse dovremmo fermarci da Blame e fargli sapere un po’ come stanno le cose. Sembrava preoccupato ieri, al telefono.- ruppe per prima il silenzio, la voce bassa. Avrebbe voluto sembrare forte e sicura, ma la verità era che si sentiva stanca per la giornata dura, per il dolore, stanca di resistere, di tutto. E anche il capo delle guardie del corpo dei due sposi se ne era accorto quel pomeriggio, quando era stata lei a rispondere alla sua chiamata. Blame aveva inviato due dei suoi all’ospedale, ma non gli era stato permesso di andare di persona, e questo lo aveva reso inquieto e aveva aumentato la sua preoccupazione, ma lei era riuscita a rassicurarlo un po’.
-Si, hai ragione.- le rispose il principino, con un tono stanco a sua volta. Voltò nella strada sterrata della dependance e vi si fermò davanti. Blame probabilmente gli aveva già visti arrivare, perché uscì quando loro non erano neanche scesi dalla macchina e si avvicinò facendo segno di non scomodarsi per poi picchiettare sul finestrino. Era teso e preoccupato, e così serio con la sua mole immensa fece quasi paura a Gin.
Il principino abbassò il finestrino.
-Ehi orsacchiotto- Gin sorrise allo stesso soprannome che usava Kate e che Harry aveva adottato. –Sembri preoccupato- ridacchiò il rosso.
-Scherzi? Come sta?- rispose l’altro scuro in volto.
-Bene, si sta riprendendo. E comunque non credo che ci vogliano rinunciare-
A queste parole Blame espose nuovamente il suo splendente sorriso, e si rilassò rincuorato.
-Bene. – disse soddisfatto, poi si sporse per vedere Ginevra, seduta sull’altro sedile.-‘Sera signorina, sono riusciti a convincerti a tornare con la “furia rossa” eh? Almeno voi riposerete tranquilli qui a casa.-
-Ciao Blame.- disse lei e finse di spararsi alludendo alla serata col principino che le dava le spalle.
Il grande uomo nero scoppiò a ridere e diede una pacca sul cofano della macchina:
-Via, via. Porta la signorina al sicuro Harry.- e ritornò verso la dependance continuando a ridere come un pazzo.
Grosse gocce cominciarono a segnare i vetri dell’auto.
 
Era riuscito a non saltarle addosso per tutta la durata del viaggio, e si sentiva orgoglioso di sé.
Per Harry era stato difficilissimo sopportare quell’ora passata con lei in uno spazio così ristretto dopo quello che era successo quella mattina. Si sentiva attratto da lei ancora più di prima nonostante avesse cercato di ricomporsi e di tornare ad indossare la “maschera”, ma nessun tentativo gli era riuscito. Ora finalmente stavano uscendo dalla macchina, dove gli era sembrato di impazzire tanto gli pareva che il profumo di vaniglia della pelle di Ginevra fosse forte, e altrettanto invitante. Fecero una corsa verso la porta, cercando di evitare il più possibile le enormi gocce di pioggia che cadevano pesantemente a terra. Quando entrarono però entrambi erano bagnati, non completamente inzuppati ma ci erano andati vicini. Lei gli sorrise imbarazzata e si strizzò i capelli bagnati, che gocciolarono allargando le pozze che si stavano fermando ai loro piedi.
-Ehm… forse è meglio che ci cambiamo e..- abbassava in continuazione gli occhi, lui non riusciva mai a cogliere un suo sguardo, né si impegnava a farlo. -..e andiamo a dormire eh? Sono spossata..-
Harry non riuscì a fare molto, mentre sperava che si allontanasse più velocemente possibile da lui, e mugugnò qualcosa in risposta, per poi restare a guardarla che, un po’ alterata da quella sua maniera di rispondere, saliva le scale. Deglutì mentre se ne stava impalato a fissare la schiena coperta dal maglione blu chiazzato, e quei fianchi fasciati dai jeans che ondeggiavano.
“Devi starle lontano.” Si ripeté di nuovo per cercare di controllarsi, e si avviò anche lui su verso la sua stanza per vedere scomparire Gin in bagno.
Quella ragazza gli stava rendendo la vita veramente difficile. Prima il senso di colpa per averlo quasi uccisa, quel senso di inquietudine quando si era sentito attratto da lei, la fatica di cercare di allontanarla da sé con quei toni freddi, la tristezza e ora il dolore quasi fisico per la sua lontananza, nonostante fosse nel bagno che si trovava proprio tra le loro due stanze. Sospirò mentre si buttava sul letto, era distrutto e cercò di riposare un attimo, pur non avendo sonno. Quando sentì la porta del bagno aprirsi e poi quella della stanza di Gin chiudersi, si ricordò di essere zuppo, e prendendo una maglietta e un paio di pantaloni della tuta andò in bagno anche lui. Si liberò dei vestiti bagnati e esitò un attimo prima di buttarli nella cesta. Vedeva i vestiti della ragazza, quelli che lei aveva appena tolto. Con un moto di stizza gettò i suoi abiti e sbatté il coperchio della cesta. Sì appoggiò al lavandino, stringendo rabbioso e impotente le mani sul bordo di marmo.
“Stai anche diventando paranoico.”
Dopo essersi sciacquato più volte il viso con l’acqua gelida sembrò aver ripreso il controllo di sé e ,indossati i vestiti asciutti uscì dal bagno camminando lentamente e scuotendo con una mano i capelli ancora umidi.
Quando però senti schioccare la porta della stanza di Gin si immobilizzò di colpo girandosi leggermente in quella direzione. Lei stava uscendo, sporgendosi timidamente. La osservò, era a piedi nudi e le gambe erano scoperte fino ai corti pantaloncini che portava, allo stesso modo la canottiera non copriva le spalle, dove si poggiavano morbidi i boccoli un po’ bagnati. Dire che era arrossita è poco, le guancie erano color pomodoro maturo e sembrava accaldata. Si avvicinò a lui a piccoli passi, attenta a non alzare mai lo sguardo.
Harry si accorse di essere teso come una corda di violino, abbassò il braccio e poi non mosse più un muscolo, trattenendo addirittura il respiro.
-‘Notte.- sussurrò lei prima di alzarsi sulle punte e schioccargli un bacio sulla guancia, per poi ritirarsi veloce come i lampi che illuminavano a tratti la casa mentre il temporale imperversava.
Ma si bloccò, rimbalzando indietro di colpo, sbattendo quasi violentemente sul suo petto.
L’aveva tirata a sé, l’aveva fermata stringendole un braccio, agendo d’istinto, fulmineo e scattante, senza nemmeno avere il tempo di riflettere, e lei era stata trascinata come un esile giunco scosso dal vento. La sentiva, calda contro il suo corpo. Non pensava più, la mente era completamente svuotata, aveva ceduto a quell’istinto che aveva da tempo. Abbassò il capo, alzandole delicatamente il mento con la mano libera e si fiondò vorace sulle sue labbra, chiudendole nelle proprie. Erano così morbide, così calde e accoglienti, il profumo di vaniglia lo inebriava, e finalmente i suoi occhi trovarono quelli di lei. Vi lessero paura e cercarono di trasmettere tutta la rassicurazione e il desiderio che aveva. La strinse ancora più a sé scendendo con la mano sulla schiena, mentre si appoggiava con le spalle al muro. Portò l’altra mano dietro lì orecchio di lei, la sfiorò come se fosse un delicato fiore, da proteggere. Poi vide gli occhi verde-marroni chiudersi, sentì le dita di lei che risalivano lentamente  sulla sua nuca, i polpastrelli leggeri e poi possessivi che lo fecero percorrere da brividi di piacere. Gli strinse i capelli avvicinandosi ancora di più, sentì il
corpo bollente della ragazza spingere verso il proprio mentre le sue labbra si schiudevano. Gin stava rispondendo con una passione inaspettata al bacio. Era nel più bello e caldo e sensuale e meraviglioso e indescrivibile paradiso.


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Appena tornata dalla Croazia, finalmente trovo interneeeet e posso pubblicare quello che ho scritto viaggiando per le bellissime isole croate.
Spero che vi sia piacuito,(fatemelo sapere nelle recensioni, le aspetto w.w) perchè ogni volta che lo rileggo mi viene voglia di modificare qui, ritoccare là e...combino pasticci, bah. Alla prossima, grazie a tutte *_*

Sere

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Capitolo 15
*** "Sogno o son desta?" ***


“Non è possibile. No, non lo è proprio”

Poteva benissimo essere un sogno no? Poteva fare parte tutto della sua immaginazione. Ma nella sua immaginazione, in quei sogni che aveva cercato di nascondere anche  a sé stessa, non aveva mai sentito le scia bollenti che le lasciavano sulla schiena le mani di Harry mentre si muovevano  lentamente e sensualmente. Non aveva mai sentito il suo profumo così intenso. Non lo avrebbe mai baciato con così tanta foga, perché aveva sempre immaginato qualcosa di straromantico e diabetico.
Invece in quel momento era tutto così. E tutto reale.
Il principe Henry Windsor la stava baciando, passionalmente (cosa che non avrebbe lasciato fare al primo che capita, ma cavolo! Con lui era tutto così diverso. LEI era diversa!) e lei rispondeva al bacio. Ovvero, praticamente, gli si stava strusciando addosso. Sentiva i suoi meravigliosi capelli scorrerle tra le dita, le labbra di entrambi che si fondevano, le lingue che si rincorrevano veloci. Era tutto così cambiato quella sera, dal freddo glaciale che era stato il principino con lei in quei giorni, al caldo più caldo che avesse mai sentito, e che la stava contagiando. Si sentiva bruciare, ma non dolorosamente, anzi lentamente e così piacevolmente. Delle scosse di energia l’attraversavano provocandole brividi.

“Dio vorrei restare sempre così ti prego!”

Sentiva il calore estendersi nel suo corpo, tra le cosce, sul petto, dappertutto. E gli stava..anzi STAVANO avvinghiati da un bel pezzo, quando dovettero staccarsi.

“No, no…non è ABBASTANZA..” Se stava impazzendo dalla gioia prima, ora le era sembrato quasi un dolore fisico staccarsi dal rosso. Lo fece controvoglia, lasciò lentamente la presa su di lui, che stava facendo lo stesso, per mettersi al suo fianco.
Estasi. Avrebbe voluto urlare e saltare per quanto era felice, per quanto si sentiva su di giri. Invece se ne stava li immobile, con le spalle al muro e il fiato corto. E nella sua testa ricominciarono a scorrere i pensieri, veloci e confusi come non mai. Avrebbe dovuto dire qualcosa? Parlargli? Saltargli addosso di nuovo? Smaterializzarsi?
Mentre nella mente sembrava fosse scoppiato il caos, fuori si sentivano solo i loro respiri corti e spezzati, che faticavano a tornare normali, e qualche tuono, preceduto dai fulmini che illuminavano a giorno il paesaggio che si vedeva dalla finestra dell’anticamera.

“Non posso guardarlo.” Non riusciva e non lo desiderava. Guardarlo, ovviamente. Per quanto riguardava il desiderarlo, fisicamente, non l’aveva mai fatto così intensamente!

Tecnicamente era stato lui a cominciare, ma Gin si sentì di nuovo avvolgere da dubbi e incertezze, e sprofondò nell’imbarazzo. Voleva sapere se lui la stava guardando, ma non riusciva ad alzare gli occhi. Che diavolo sarebbe successo da quel momento in poi? Non poteva ancora a immaginarlo.

-‘Notte.-
La voce profonda di Harry, che quella volta le pareva più roca del solito, la scosse dai suoi pensieri.
“Se ne va? Di già? NO!”  ma non riusciva a muovere un muscolo. Sentì il fruscio della tuta mentre si allontanava, poi la porta della sua stanza aprirsi e richiudersi. Click. Click.

Solo allora tirò un sospiro di sollievo e riuscì a sbattere le palpebre. Era stato tutto meraviglioso. Dentro di sé stava urlando a squarciagola tutti gli aggettivi che le venivano in mente, ma non sembravano essere abbastanza per descrivere quello che era successo. Mentre credeva di avere una folla di gente gioiosa dentro il cervello, come se fossero autonome le sue gambe presero a muoversi e la riportarono in camera.
Si buttò immediatamente sulla montagna di cuscini colorati e morbidi che l’attendevano sul letto.
“Morbidi certo..ma non come le sue labbra…” e ripercorse velocemente quello che era successo, mentre sentiva ancora su di sé le mani del principino, ed era scossa da sensazioni fortissime. Non era nemmeno riuscita a calmare il suo respiro, e si sentiva ancora così in fiamme, che le sembrava che il rossore che probabilmente aveva sul viso, si propagasse in giro come a segnalare: è qui! È pazza di gioia e in preda ad una specie di orgasmo da bacio! Ora può morire in pace, angeli venite pure a prenderla!
Sprofondò la faccia in un cuscino e cominciò a urlare come una fuori di testa (bè, era quello che era no?) mentre le soffici piume soffocavano la sua voce. Dio, si sentiva completamente andata, quasi ubriaca. Era tanto felice che se ne stette stesa sul materasso per un’eternità con un sorriso ebete sulla faccia, arrossendo e ridacchiando ogni tanto, mentre vagava su quello che era appena successo con la fantasia (e decidendo di rimandare le spiegazioni, che doveva a sé stessa e che riguardavano passato ma soprattutto futuro, a più tardi. “Anche a mai, se fosse possibile. Voglio restare così per sempre!”) Per la prima volta in vita sua sentiva che la sua parte di adolescente, quella che sognava baci di quel tipo, quella che era rimasta in lei, aveva cominciato (forse un po’ tardi?) a essere soddisfatta.

Quando cominciò a passarle quella strana sensazione di essere finalmente in pace, aveva perso totalmente il sonno e non sapeva più che fare. Prese il computer e lo accese, pensando di rispondere alle solite mail. Restò ancora imbambolata e sognante per i dieci minuti buoni che ci mise il portatile ad avviarsi completamente e poi aprì la sua casella di posta.
Mamma, Joe e Luke, di nuovo Mamma, un paio di amiche. Bene, era una lunga lista e l’avrebbe tenuta sveglia per un po’. Ovviamente la mamma chiedeva sue notizie, se stava bene (gliel’aveva detto almeno diecimila volte, dopo l’incidente!) e…
-Cosa?NO!- le sfuggì, giusto per farsi maledire mentalmente un paio di volte, per aver alzato la voce. “Magari faccio preoccupare qualcuno se urlo così..” pensò, immaginando il principino e ricominciando a sbavare, metaforicamente. No, di sicuro non era sveglio ad ascoltare, di sicuro stava dormendo beato. Lui ci era abituato ai baci come QUELLO. Sospirò.

Mamma,
Assolutamente no! Non c’è bisogno che tu venga qui! Sto benissimo, davvero. Mi scuso se non rispondo ma non è che devi per forza pensare che io stia MORENDO, se ritardo un paio di volte. Ok?
E no, non sto lavorando (“Dio, quante volte gliel’avrò già scritto?!”). Tornerò al lavoro tra un paio di settimane, ma per poco, perché mi considerano ancora studentessa (perché effettivamente lo sono mamma!!!) e quindi ho le vacanze di tre mesi per l’estate, come stabiliva la borsa di studio-lavoro. Forse faccio un salto da voi.
Adesso vado, qui è tardino (ops, anche lì vero?)
Salutami papà e Matte, baci, mi mancate
Ginnie

p.s. Non sono a casa, quindi non rispondo alle chiamate su fisso. Se volete potete contattarmi allo chalet di..

Appena dieci secondi dopo aver battuto “p.s.” si rese conto della cazzata che stava facendo. Ovvio. MAMMA PAPA’ HO APPENA BACIATO UN EREDE AL TRONO D’INGHILTERRA! Ovvio. Ovvissimo. Riveliamo al mondo intero le cazzate che combina quell’idiota di Gin, e procuriamo imbarazzanti gossip sui reali ai famelici giornalisti inglesi, e del mondo! In pratica: come farsi odiare dai suoi nuovi amici (e lui –sospiro- ,lo considerava solo amico?). Come poteva essere così stupida?
“Cogliona.” Cancello in fretta il post scriptum, vergognandosi di aver anche solo pensato una cavolata del genere, e inviò.
Le altre mail erano le solite, di un paio di amiche italiane, e ovviamente (come aveva potuto tirare un sospiro di sollievo il giorno prima?) Joe e Luke. Con le loro assillanti domande sulla festa, sul perché non fosse tornata, sul fatto che avessero dovuto dare da mangiare al suo “spocchioso gatto”. Gin alzò gli occhi al cielo e sorrise. In fondo in fondo li adorava. Scrisse poche parole di risposta e inviò, perché il sonno si faceva finalmente sentire. Alle cinque del mattino. “Allelujahh” Chiuse il computer e crollò sul letto, addormentandosi con il sorriso sulle labbra, le stesse labbra che sembravano ancora formicolare per quella strana sensazione di benessere che le aveva lasciato il bacio del suo principe rosso.
 
 
 
Si svegliò lentamente, restando a crogiolarsi un po’ sul letto morbido in quello stato di dormiveglia in cui si cade appena si aprono gli occhi, con un sorriso ebete stampato in faccia. Riuscì a girare la testa (“Dddio, che sforzoo..”) e a guardare fuori dalla finestra. C’era un sole sfavillante e tutto risplendeva, perché le gocce di pioggia della notte riflettevano i raggi solari. Poteva benissimo essere in paradiso, mancavano solo gli uccellini cinguettanti per trasformare definitivamente il suo dolce risveglio in un risveglio da favola. Poi all’improvviso si rizzò a sedere, come avesse preso la scossa.
“Toast caldi e …” fece di nuovo un respiro profondo per sentire meglio il profumo che aleggiava in camera, e che proveniva dalla cucina.
“Croissant…Mmmm” Cominciarono a luccicarle gli occhi, mentre il cuore ricominciava a correre all’impazzata, i ricordi si riaccendevano vividissimi e la mente galoppava al piano di sotto, dove l’unica persona che avrebbe potuto prepararle una colazione stupenda come quella che stava sognando grazie ai profumi (nonché unica persona a casa oltre a lei) la stava aspettando. Per un attimo fu assalita da un sacco di domande –lo starò facendo aspettare troppo? Devo prepararmi in qualche modo? E se ha fatto tutto per sé?- ma poi scosse la testa come per liberarsene e si alzò. Se fosse stata in un film di quelli sdolcinati e stupendi che aveva guardato fin da piccola, in stile Singin’ in the rain, avrebbe cominciato a ballare e cantare per la stanza, ma nella dura e…nient’affatto cruda! ma cotta e profumata, realtà si stava limitando a continuare a sorridere come un’idiota e a inseguire quel sogno con la mente, che già si perdeva a immaginare il principino con un grembiule da cucina che le scaldava la colazione. Uscì dalla sua stanza. Dio quanto era felice, le sembrava di sfiorare il cielo con un dito. Si chiuse la porta dietro le spalle e inalò un'altra boccata di buon odore, per poi fiondarsi giù dalle scale. Se ci stava veramente tentando, l’aveva presa per il punto giusto. La gola.

Non si accorse del rumore di pneumatici sulla strada e di portiera sbattuta, tanto era presa dalla fame. Infatti si bloccò a metà scala quando il campanello suonò. Aveva interrotto i suoi sogni (con tanto di musichetta romantica). Dopo essere restata interdetta per alcuni attimi si chiese chi poteva essere. Will e Kate? No, era troppo presto (o aveva dormito così tanto?) e in ogni caso avrebbero usato le loro chiavi. Il suo cervello ancora mezzo intorpidito si sforzò di fare solamente quella proposta per poi tornare alla disgrazia per quell’interruzione. Le veniva quasi da battere i piedi per terra e cominciare a strillare. Poi il suo angelo caduto dal cielo uscì dalla cucina e si diresse verso la porta di legno massiccio, interrompendo il tentativo infantile di fare i capricci. Gin non si perse mezzo movimento di quel corpo da urlo, della sua schiena e del suo fondoschiena, coperti solo dalla maglietta e dalla tuta che aveva messo quella notte dopo la doccia. Prima di… “Aaaah…” si perse di nuovo nel mondo dei sogni. “Però ha il grembiule!” sorrise tra sé.
Lui non la vide, o almeno non parve farlo (“meglio, almeno lo posso guardare evitando di diventare color peperone e cominciare a balbettare davanti a quei suoi occhi stupendi”), e andò subito ad aprire la porta. Poi fu come se il tempo si fosse fermato. Lui se ne stava immobile davanti alla porta, lei sulle scale, e a quanto pareva anche l’ospite se ne stava fermo sul pianerottolo, lasciando intravedere solo i folti capelli castani. Poi successe l’imprevedibile, per come la pensava Gin.
L’ospite abbracciò Harry con foga, e gli stampò un sonoro bacio sulla guancia (forse troppo, troppo vicino alle sue labbra) mentre gli si attaccava al collo, con le sue graziose e eleganti mani tra i capelli rossicci di lui (“I miei capelli!” pensò Gin stizzita) e il viso che si affacciava sopra la sua spalla. Il tutto accompagnato da un: -Haaarrrryyyyyyyyyyyyyy- urlato sopra i centomila decibel.
-Ehi..- rispose al saluto il principe.

La verità le si abbatté addosso come una secchiata di acqua gelida e graffiante. Ovvio, la stava aspettando. Come poteva aver pensato che la stupenda colazione fosse per sé? Figuriamoci! Come poteva aver pensato che qualcuno sulla faccia della terra, tralaltro qualcuno di bello e importante, ricambiasse anche in minima parte i suoi sentimenti? L’unica cosa che la stupiva ora è come avesse fatto quel donnaiolo di Harry, principe de sto cazzo, a non approfondire il contatto della sera prima, visto che era talmente inebetita che avrebbe potuto offrirgliela su un piatto d’argento con tanto di fiocchettino e biglietto d’auguri senza accorgersene. “Idiota. Idiota. Idiota. Ci sei cascata di nuovo”

Rimase così, completamente spiazzata e a bocca aperta, finchè la ragazza si accorse della sua presenza.
-Oh,- le sorrise.- tu devi essere la ragazzina che harry ha investito!-
Sentì il proprio sguardo farsi di ghiaccio puro, affilato e tagliente.
Ragazzina?” se prima era stupita, ora era furente. Per l’abbraccio focoso, per il bacio a un millimetro dalle labbra, per l’epiteto che miss lato b del secolo le aveva appena appioppato, per il fatto che era nata così stupida da cascare nella stessa trappola un miliardo di volte. Trattenne la rabbia a stento. Perfetto. La sua mattina stupenda era andata completamente a farsi fottere, assieme al suo umore.
I due intanto si sciolsero dall’abbraccio, e Harry si girò sorridendo, mentre la ragazza si avvicinava alle scale mostrando i denti perfetti e le guanciotte alla cip e ciop, tendendo una mano verso di lei.
-Gin, questa è Philippa.- si rivolse a lei il principe.
-Ma puoi chiamarmi benissimo Pippa!!!- disse lei piena di entusiasmo e tendendo ancor di più il braccio, senza però azzardarsi a salire le scale.

“Già, davvero perfetto” pensò Gin scendendo le scale e tentando di sorridere, quasi sicura che il suo sorriso assomigliasse di più a una smorfia, per poi stringere la mano della Middleton minore
.


~ ~~~ ~~~~~~~ ~~ 
Anche se sembrava fossi morta, non lo sono, e invece mi metto in ginocchio sui carboni ardenti perchè non pubblico praticamente da una vita!
Sono stata un po' impegnata, tipo con vacanze impreviste..
indovinate un po'? L-O-N-D-O-N!  *_____,*
Avrò tempo di raccontare la mia visita in uno dei prossimi capitoli (io che penso con espressione da pazza isterica e con gli occhi che luccicano di una luce strana: "Masssì! Sbattiamoci dentro un po' di riflessioni assurde! muahahaha")
Nel frattempo incrocio le dita e spero che quello che ho scritto fin ora vi sia piaciuto,
e che qualcuna di voi lasci una recensione (cosa che adddoro.)
Saluto anche le magnifiche lettrici silenziose tipo *CiaosonoLillaefacciopartedellelettricianonime*
Graziegraziegrazie se siete arrivate fin qui
Sere

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Capitolo 16
*** La temibile divoratrice ***


-Allora? Come te la passi, mio Capitano?- ridacchiò Pippa mentre entrava e si dirigeva verso la cucina, come se fosse stata casa sua, e non di sua sorella. Harry avrebbe dovuto immaginarselo che sarebbe arrivata, ma era stato preso da altri pensieri (e cavolo! Che pensieri!) e… l’aveva cancellata dalla lista delle sue priorità. Conseguenza? Ora si trovava nei guai. Come al solito.
Momentaneamente, inoltre, il suo cervello era in pieno black-out, causato dalla scarica di energia pura che lo aveva attraversato mentre baciava quella meraviglia di ragazza di Gin, e si rifiutava di rispondere alla Middleton con un po’ più di lucidità di quanta ne avesse avuta in generale fino a quel momento, tra la notte passata in piedi a sognare ad occhi aperti e le cavolate che aveva già fatto quella mattina in cucina. Fece un sospiro e si sforzò di dire qualcosa.
-Bè..bene.- “Wow, mi sono proprio sprecato eh!?”
 Non riusciva proprio a concentrarsi con Gin lì accanto, visibilmente spiazzata dall’arrivo imprevisto di Pippa. Con la coda dell’occhio la osservò sorridere debolmente a Blame che, scocciato, stava alzando gli occhi al cielo mentre sistemava le valigie dell’ospite vicino alle scale.
Dio. Era bellissima. Bè, bellissima per quanto potesse esserlo una dea che si è appena svegliata e, per come aveva intuito dai capelli scompigliati e gli occhi gonfi, dopo una notte che doveva essere stata abbastanza lunga e tempestosa. Ma era stupenda in ogni cosa. Si sentiva un idiota, un ebete con la bava alla bocca e non avrebbe dovuto farlo notare anche a Pippa, altrimenti sarebbe stato il finimondo.”Diavolo in che casino mi sono cacciato” Facendo uno sforzo enorme riuscì a distogliere l’attenzione da Gin e a entrare in cucina, allontanandosi sofferente dal suo miracolo personale.
-Cazzo! Sono buonissimi Capitano!- Esclamò Pippa in quel momento, facendo rizzare i capelli a Harry, che si bloccò sul posto, interdetto.
“No. Merda merda merda. Non i biscotti di Gin.”
Esatto,i biscotti di Gin. Perché quella mattina si era alzato incredibilmente di buon ora per cucinare. Lui, che non aveva mai fatto granché per una ragazza,praticamente gli erano sempre cadute ai piedi (bè non proprio come aveva fatto LEI stramazzando al suolo svenuta ma….), e che neanche aveva mai toccato i fornelli se non per cucinarsi qualcosa al college… si era messo a fare i biscotti per lei. Era partito pieno di sé, con tanto di grembiulino da cuoco, pensando che “tanto sarà una passeggiata” e si era trovato, a metà dell’opera, ricoperto di farina, con le mani impappettate nelll’impasto appiccicoso, e in caduta libera nella depressione post-disastro culinario, esperienza nuova per lui. Aveva seriamente temuto di vederla scendere dalle scale e beccarlo in quel momento così imbarazzante, ma grazie a dio non era successo. Anche se in fondo non avrebbe importato molto, perché sarebbe scesa prima e lui avrebbe avuto più tempo per guardarla, per potersi perdere nei suoi lineamenti delicati e nei suoi occhi da incanto e… oddio. Com’era diverso con lei. Non voleva saltarle addosso (no. Cioè. Sì che lo voleva. Ma non solo per semplice sesso..), voleva solo che… lo amasse. Dio, com’era cambiato.
Alla fine, frutto dei suoi sforzi da cuoco inesperto, erano usciti dei meravigliosi biscotti-capolavoro, che aveva affiancato a un paio di toast e croissant. E adesso doveva salvare le sue piccole creazioni dalla temibile divoratrice. Doveva assolutamente fermarla. Si buttò.
-Pippa veramente quelli…-
-Che?-  lo interruppe subito la Middleton, gracchiando sdegnata.
Tentativo di salvataggio fallito.
 - Capitano ho detto a lei di chiamarmi così, non a te! Non ti ricordi nemmeno chi sono?- mugugnò ridacchiando mentre si infilava altri due biscotti in bocca. Harry sorrise.
-La mia Commando.- rispose alzando gli occhi la cielo affettuosamente. Eccola lì. La sua Pippa, sempre pronta a scherzare.
Da quando l’aveva conosciuta, anni prima, aveva sempre pensato che fosse il tipo di ragazza perfetto per lui. Bella, con un fisico da paura, che sapeva divertirsi (tanto!) ma non pretendeva fedeltà assoluta.
Erano la versione della stessa persona al femminile e al maschile. E se si pensava a quante feste avevano rallegrato con le loro performance canore, di ballo e di cazzate in generale (ovviamente ubriachi marci!)…
Poi da grande amicizia il tutto si era trasformato in qualcosa di più, ma di meno dell’amore. Si erano frequentati. Erano andati a letto assieme. Anche quando entrambi erano fidanzati ufficialmente con altri. Ma non si era mai andati oltre, non fino a quel momento. Anche perché nessuno dei due conosceva un oltre né lo desiderava, ma era sempre andato bene così, una sveltina ogni tanto ed erano a posto. D’altronde lui era sempre stato quel tipo di ragazzo. Prima di Gin.
-Quanto mi mancava sentirlo dire da te!- rispose, ridendo e saltandogli al collo, e Harry non poté far altro che rispondere all’abbraccio. Era come se fosse la sua migliore amica, e effettivamente gli era mancata. Ruppe i pensieri teneroni appena  si accorse che stava masticando gli ultimi biscotti sopra la sua spalla, e la allontanò ridacchiando:
-Sei un maiale!- disse scoppiando a ridere quando la vide mentre si ficcava in bocca l’ultima delle sue creature. Si era mangiata in pochi minuti tutti i biscotti che lui aveva preparato!
-Si maa… guarda che linea!!!- masticò fuori lei, mettendosi in posa e indicando il fisico perfetto che aveva. Chili, o forse tonnellate, di dolci nascosti chissà dove. I misteri della natura.
Harry scosse la testa sorridendo, e poi si rivolse a Gin con un tono di scusa misto a  finta scocciatura:
-Dovrai accontentarti del resto..- fece spallucce accennando alle brioches e ai toasts.
-Veramente…non mi sento troppo bene, non ho molta fame.- biascicò lei distogliendo lo sguardo. D’un tratto gli suonarono nella mente campanelli d’allarme: stava male?
La guardò, mentre di colpo la preoccupazione saliva a mille. Era un po’ pallida, e aveva la mascella tesa, i pugni stretti ai fianchi. In un attimo le fu accanto, e le prese le spalle delicatamente, cercando invano di riallacciare lo sguardo al suo, di trovare nei suoi occhi incantevoli qualcosa che lo avrebbe rassicurato, che avrebbe smesso di farlo sentire così agitato. Era stupito del proprio comportamento iperprotettivo ma…magari era solo un po’ stanca o… magari stava per morire di qualche malattia sconosciuta!!!! “Calmati idiota…”
-Cos’hai, devo preoccuparmi?- Si, tanto ormai l’aveva già fatto.
Poi lei lo guardò, prima di rispondergli.
-Non ho niente davvero….-
Si pietrificò. Stava male davvero. Aveva gli occhi lucidi e tratteneva le lacrime, lo vedeva lontano un miglio. Okay, c’era qualcosa che non andava, seriamente. Senza neanche lasciarla finire la frase la stava già trascinando verso la porta della cucina.
-Andiamo in ospedale! Potrebbe essere qualcosa di grave e … Pippa stai dietro di noi e se sviene prendila e ..-
-Harry!- Gin lo strattonò e sfuggi alla sua presa, bloccandosi nel bel mezzo della cucina e guardandolo con gli occhi ancora velati di lacrime come per dire ma che cavolo stai facendo?!!
-Ho solo un po’ di nausea!- squittì, abbassando gli occhi.
“E chissenefrega!!!” Lui stava impazzendo. Nausea, lebbra, aviaria, peste, infarto, pelo incarnito: sempre pericolo! L’avrebbe portata in ospedale anche solo per una sbucciatura sul ginocchio tanto si stava preoccupando per lei!
-..quella delle donne…- aggiunse spazientita non notando alcun tipo di reazione nel principino che era restato fisso a guardarla preoccupato.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, poi Pippa si mosse dall’angolo in cui se ne era stata immobile fino a quel momento a osservare la situazione, e si avvicinò a Gin. Erano quasi alte uguali, ma la Middleton superava il suo angelo di un paio di centimetri, merito dei tacchi che portava. Mise una mano sulla spalla di Gin e gli disse con un tono calmo e sorridendogli:
-Capitano, vuoi calmarti? Adesso io e Ginevra saliamo e lei si mette al caldo o fa quello che vuole ma senza avere te che le ronzi attorno preoccupato, okay? Poi torno giù da te,e –aggiunse- stai tranquillo, tra donne ci si intende.-
La situazione gli stava sfuggendo un po’ di mano, pensò, mentre annuiva e cercava di calmarsi. Doveva convincersi che era normale e che non avrebbe potuto fare nulla per evitare di farla soffrire. Era solo un mal di pancia da mestruo. Guardò Pippa mentre la prendeva sottobraccio e usciva, puntando alle scale. Nonostante la preoccupazione che gli stava ancora divorando lo stomaco, era una bella scena. La sua migliore amica, e la ragazza più…più incantevole che avesse mai conosciuto, che camminavano a braccetto, come se fossero amiche. E magari lo sarebbero diventate e sarebbe stato tutto perfetto.
Eppure… c’era qualcosa che non andava nello sguardo di Gin…
 
 
Cercò di reggere la farsa ancora per pochi minuti. Aveva sudato freddo mentre recitava la parte della donnina con le proprie cose e il mal di pancia, ma alla fine ci avevano creduto tutti e due, per fortuna. A parte il fatto che era infuriata con Philippachiamatemipippa Middleton perché aveva interrotto un dolcissimo risveglio, poi che cavolo, quando oltre alla miss ci si era messo anche il suo cervello… Perchè se era stata in un sogno fino a poco prima ora stava cadendo a tutta birra verso un inferno di incubo. Mentre se ne stava in cucina a guardare Harry e la sua amichetta conversare amabilmente, abbracciarsi e fare scenette ridicole aveva desiderato con tutta sé stessa di scomparire, anche perché proprio nessuno la stava calcolando. Si era sentita di troppo, profondamente delusa dalle immagini che si era costruita con la fantasia di una fantastica e romantica colazione irreale, che si erano frantumate miseramente. E poi il legame tra quei due era quasi palpabile, e quando si era resa conto che in fondo lei era soltanto una delle tante, e che il suo rapporto con Harry non sarebbe mai stato come quello che stava guardando ora si era sentita crollare. Avrebbe voluto scoppiare a piangere come una fontana, ma se ne sarebbe pentita in eterno, e quindi aveva inventato una scusa per dileguarsi. E sarebbe andato tutto liscio se il principino non avesse avuto un attacco di panico improvviso (si sentiva ancora in dovere di proteggerla, dal giorno dell’incidente??? O forse teneva soltanto a lei…). Ma grazie a dio Pippa, che nel frattempo le aveva fatto passare l’appetito, oltre ad aver mangiato tutti i suoi biscotti, era venuta in suo aiuto. E ora stava salendo le scale con lei. Bè, in fondo si era rivelata gentile.
Arrivate in cima alla rampa, nella piccola anticamera, Pippa si staccò da lei e si diresse verso la stanza degli ospiti, dove stava Gin, aprì la porta e entrò. Gin la seguì, si sedette sul letto e le rivolse uno sguardo di ringraziamento, velato da una finta sofferenza.
-Grazie- disse con la voce tremolante. Recitare le veniva proprio bene, pensò orgogliosa.
Ma quando vide l’inespressività assoluto sul viso dell’altra, il suo sorriso si spense. La fissò stupita, chiedendosi cos’avesse. Pippa indietreggiò e chiuse la porta, sempre guardandola negli occhi.
-Mettiamo in chiaro un paio di cose, ragazzina.- disse, con il tono più tagliente che Gin avesse mai sentito, e che ascoltava con gli occhi strabuzzati per la sorpresa. “Che?!? Mi rimangio tutto quello che ho pensato sulla gentilezza e tante palle varie!”
-Cerca di tenere le tue manine e i tuoi occhioni lontano dal MIO principe. – continuò. Okay, da una tipa come lei tutta risatine, urletti e abbracci, Gin si sarebbe aspettata più una scena tipo adolescente mezza andata e esaltata che urla cose senza senso e insulta in tutte le maniere possibili l’oggetto della sua ira. Una cosa del genere l’avrebbe considerata patetica. Invece Pippa era restata glacialmente seria e sicura di sé, con un tono di voce basso e calmo. E questo l’aveva terrorizzata.
-e comunque, non pensare di avere speranze contro di me. Continua così, fa che il tuo mal di pancia duri un bel po’ e lasciaci in pace, da soli. Capito ragazzina?-
Gin aveva capito tutto perfettamente, ma era troppo basita e sconcertata per il cambiamento improvviso e quella minaccia aperta che aveva appena ricevuto. Ma in quella famiglia erano tutti con qualche rotella fuori posto?
Pippa le diede le spalle e fece per aprire la porta, poi si fermò con un ghigno sulle labbra.
-Ehi ragazzina. – “Dio! Chiamami ancora in questo modo e ti spacco la faccia a suon di schiaffi.” –sai perché Commando?-
Commando? Come l’aveva chiamata Harry mentre parlavano tra di loro? No, non lo sapeva e non voleva darle l’impressione di volerlo sapere, quindi rimase di nuovo impassibile.
-Al matrimonio non avevo l’intimo. Sono sempre pronta all’azione, come i commando, e Harry lo sa bene…- disse sottovoce mentre usciva e si richiudeva la porta alle spalle.
Gin restò con gli occhi spalancati e la rabbia che le trapelava da tutti i pori.



___________________________________________________________________
Finalmente riesco a pubblicare qualcosa dopo mesi di stop!!! Scusate ma la scuola mi ha messo sotto e ho scribacchiato frase per frase quando avevo un attimo di tempo.
Spero che nonostante tutto il risultato vi piaccia! In ogni caso lasciate pure una recensione eh, che non mi fanno mai male haha!
Aspetto i vostri pareri, alla prossima
(ovviamente grazie a tuttissime come al solito *_* )

Sere

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Capitolo 17
*** Lo scarafaggio e Misterfossette ***


Gin restò pietrificata dalla rabbia per una decina di minuti, con i pungi stretti, e una tavolozza completa di emozioni che le svolazzavano confusamente in testa.La cosa che le era più chiara era che Pippa si era esplicitamente dichiarata sua nemica, e che sembrava sicura di sé. E in un primo momento lei si era sentita tanto inferiore, tanto senza speranze, da essere lì lì per scoppiare a piangere e cadere in depressione e autocommiserazione assoluta. Poi una vocina le aveva suggerito che.. se aveva notato qualcosa, se strafigaMiddleton si era preoccupata di mettere bene in chiaro i fatti e pregarla, o meglio minacciarla, di tenere le sue mani lontane da Harry un motivo c’era stato, che forse la miss si era accorta di un particolare atteggiamento del principino nei suoi confronti o che comunque la considerava una valida avversaria. “Forse..”
Dentro di sé sentiva speranza e disperazione alternarsi in una lotta sfrenata. Se fosse stata la Gin di sempre, avrebbe mollato subito qualsiasi progetto, convinta che tanto non ce l’avrebbe mai fatta e un sacco di altre palle assurde che erano state la sua filosofia di vita per anni. Ma qualcosa non stava andando per il solito verso. Qualcosa, qualcuno, una strana voglia di cambiare, di lottare seriamente per ottenere ciò che voleva, la stava trattenendo lì. Perché lei poteva farcela, poteva strappare un po’ di felicità anche per sè.
Era così tremendamente stanca di vivere nell’ombra, di lasciare perdere tutto ciò che pensava fosse fuori dalle sue capacità, di lasciarsi trascinare dalla pigrizia con la scusa che “tanto non ci riesco…”. Lo ammetteva solo in quel momento che era una scusa così fragile… Come aveva fatto a non accorgersene prima? Voleva vivere. Voleva lottare. E decise cosa avrebbe fatto per avere Harry. La partita era aperta.
Insomma. D’altronde lui l’aveva baciata no? Quindi un minimo di possibilità che fosse interessato a lei c’era (la concorrenza con Pippa l’aveva spinta ad accettare questo fatto. Finalmente.) E lei di sicuro non avrebbe permesso a quella di mettere i suoi artigli su di lui. La domanda che ora le frullava nella testa era come?
Di sicuro era stanca di stare lì immobile a far niente, mentre da basso chissà cosa facevano mentre pensavano che lei avesse un cazzo di mal di pancia. Ma non poteva neanche scendere e saltellare allegra –mi è passato!- , non sarebbe stata affatto credibile. Merda. La scusa che aveva inventato le si era rivoltata contro. E stava per impazzirne.
Socchiuse la porta, e ascoltò ogni suono che le era possibile captare. Sospirò scocciata quando riconobbe le risate profonde del suo principe … accompagnate da quelli squittii da topo di Pippa. “Dio che nerviiiiiiiiiiiiiii”.
Cominciò a camminare avanti e indietro nella stanza cercando una via di uscita. Poteva benissimo stare lì nella sua stanza finché non fossero tornati William e Kate, e nel frattempo le cose da basso si fossero evolute. Al solo pensiero le venne un moto di stizza. Idea abbandonata. Come poteva passarle miracolosamente il mal di pancia? Con un farmaco. E probabilmente c’era qualche antidolorifico in casa. Ma a chi avrebbe dovuto chiederlo? A Harry o a Pippa? “SCORDIAMOCELO.” Forse nella dependance di Blame e delle altre guardie del corpo lo potevano avere, e piuttosto che starsene lì ferma avrebbe fatto volentieri un giro da quelle parti, e anche se non lo avessero avuto avrebbe colto la possibilità di svagarsi un attimo e schiarirsi i pensieri. Senza rifletterci troppo aprì la porta e scese le scale di corsa, fece per uscire direttamente ma poi si ricordò che doveva avvisare la coppietta, o meglio avvisare Pippa che non si sarebbe lasciataschiacciare facilmente, “non sono uno scarafaggio”. Si affacciò alla porta della cucina con un sorrisino un po’ sofferente, come prevedeva la commedia, e i due si voltarono subito verso di lei. Erano seduti al tavolo, vicini, “troppo”, e parlavano amichevolmente, ovvero, con suo grande sollievo, Pippa non gli era ancora saltata addosso. Gin incrociò subito gli occhi di Harry e ci mancò poco che non svenisse sul posto. Erano azzurro vivo e penetrante, con un velo di preoccupazione, non più gelidi come poche sere prima, e ora sì che le costava fare la finta malata e non sciogliersi in un sorriso a trendatuemila denti solo per lui.
-È successo qualcosa?È peggiorato il mal di pancia?- mentre il principino lo chiedeva facendo per alzarsi, Pippa gli mise una mano sulla gamba e lui si fermò guardandola per un attimo stupito, per poi ignorarla e concentrarsi di nuovo su Gin.
“Oh Harry.” Voleva sciogliersi, sciogliersi, sciogliersi. Si sentiva come energia pura, e il petto le stava per esplodere.
-No è..è sempre uguale e, no ecco. – non poteva tirare fuori la storia dell’antidolorifico - Blame mi ha detto di raggiungerlo un attimo per sistemare alcune cose, centra qualcosa il CER credo e, visto che sono costretta dovrò sopportare il dolore…-
“Ma che diavolo di cavolate sparo?!?!?” Cercò di sorvolare su quella scusa idiota che si era inventata e salutò con la mano: -Ci vediamo dopo allora!
Sorridendo come un’idiota per lo sguardo che le aveva lanciato Harry prima che si volatilizzasse, uscì velocemente e si incamminò verso la dependance. L’aveva guardata come dire: “fermati, resta.” E questo la faceva sentire importante, desiderata.
Mentre ancora si gongolava, suonò al campanello della dependance. Una voce sconosciuta gracchio attraverso il citofono di ultima generazione accanto alla porta. “Sembra una cosa da James Bond”
-Chi è?- boh. Era una voce calda, ma non profonda e tonante come quella di Blame.
-Ehm..Ginevra, cercavo Blame.- Imbarazzata, mentre attendeva una qualche risposta, cominciò a dondolarsi sulle punte dei piedi. Forse era stata una cattiva idea. Insomma, non aveva considerato che Blame potesse non esserci o… il suo flusso di pensieri venne interrotto dal movimento della porta che si spalancava. Rimase paralizzata. Non dalla paura, dalla timidezza, dai ripensamenti, ma da puro stupore.
La porta era stata aperta da un modello. O bé, perlomeno era quello che aveva pensato Gin appena si era ritrovata davanti un ragazzo, e che ragazzo!, alto e tremendamente bello. Pelle color caffelatte e capelli scurissimi, quasi neri. Le sorrise splendidamente, un sorriso che gli accese anche gli occhi cioccolato.
-Ciao- la voce dal vivo era diecimila volte meglio che al citofono:aveva perso la sua gracchiosità e restava invece calda e suadente.
-Ciao- rispose ancora con gli occhi spalancati. Che diavolo ci faceva un modello lì dentro?
-Entra pure- disse facendole cenno di entrare.
Gin si guardò attorno, facendo poco caso all’arredamento e alla casa di per sé, continuando a chiedersi che cosa ci facesse lì un tipo come quello. Mentre lei se ne restava lì impalata, il “modello” la guardò sempre sorridendo e ridacchiò quando notò che era ormai passato un minuto buono, e loro erano ancora lì fermi. Gin si rese conto della figura di merda, rassegnandosene “D’altronde sono portata per i momenti imbarazzanti” sospirò tra sé e sé.
-Cercavi Blame giusto?- ammiccò lui, sempre con un tono un po’ scherzoso.
-Ehm sì.- biascicò lei impicciata.
-È ancora all’ingresso della proprietà, ha ricevuto una telefonata dal duca, ed è andato ad attenderli.- spiegò lui con calma.
-Ah.- E adesso?
-Avevi bisogno di qualcosa?- insistette lui sempre con il sorriso stampato sulle labbra, scoprendo i denti bianchissimi. Gli si aprivano anche due piccole fossette ai lati della bocca. –Se vuoi puoi usare la nostra postazione e chiamarlo, dovrebbe essere alla guardiola.-
Avrebbe dovuto chiamarlo per un antidolorifico? Bè avrebbe dovuto trovarlo quel cavolo di coso.
-Se non è un problema…- accettò la proposta del “modello”, sempre titubante.
Lui la guidò in una stanza accanto all’ingresso, piena di schermi e computer e si mise a armeggiare su quello che mostrava l’interno della guardiola e il faccione di Blame. Questo ricevette subito il segnale di chiamata e si aprì in un sorriso quando vide Gin, che ricambiò. Il “modello” uscì dalla stanza e gli lasciò così soli, per modo di dire.
-Ehi signorina. Successo qualcosa con la furia rossa?- chiese Blame, corrugando la fronte.
-Ehm no, no. È che avevo solo bisogno di un antidolorifico. – rispose mentre le guance le andavano in fiamme. Dio che scuse stupide che aveva inventato in quell’ultima mezz’ora. Dopo alcuni attimi di silenzio la guardia del corpo fece un sorriso comprensivo.
- È per la signorina Middleton vero?- Gin si paralizzò. “Che?” – Ginevra, ma c’era bisogno di inventarsi questa balla?- Scosse la testa girando gli occhi al cielo.
Come cavolo aveva fatto a intuire tutto?!?
-E Harry ti ha lasciata uscire per un antidolorifico?- chiese lui diffidente.
“Tanto vale raccontargli tutto…”
-No… ho detto loro che tu mi avevi chiamato per delle questioni al CER…- ammise più rossa che mai.
Blame scoppiò a ridere, e la risata fu contagiosa, perché e Ginevra si accorse di tutte le cavolate che aveva fatto. Poi cominciarono a parlare, lei gli spiegò come si era sentita, lui ascoltò in silenzio, annuendo e ridacchiando di tanto in tanto.
-Signorina, - disse poi fingendo rassegnazione –sei proprio un piccolo disastro eh?- al sorriso imbarazzato di lei aggiunse -…chiedilo a Lucas quell’antidolorifico. Qui sono arrivati i nostri reali.-
Gin lo vide guardare fuori, salutarla e uscire per raggiungere Will e Kate. Sentire che erano arrivati la sollevò ancor di più di quanto non avesse già fatto la chiacchierata con Blame. Si alzò anche lei, e aprì la porta.
Lucas, bel nome per un modello, era appoggiato alla parete, sempre con quel suo sorriso smagliante, e stava giocherellando con una scatola di Nurofen.
-Ma come…?- chiese lei stupita, “leggi forse nel pensiero??” .
Lui le sorrise sghembo, scoprendo le fossette, e indicando con una mano l’auricolare microscopico che aveva nell’orecchio.
Merda.
Aveva ascoltato tutto.
-Hai…hai sentito tutto?- abbassò gli occhi e tese una mano verso di lui, pretendendo la scatola.
-Ogni parola.- la scatola cadde nel palmo aperto di Gin.
Ora quel perfetto sconosciuto, sbucato fuori da una rivista, sapeva tutto quello che aveva raccontato, ormai senza difese, a Blame. Merda. Non riusciva ad alzare gli occhi, ma era tremendamente imbarazzata e fremente di rabbia. Lucas le si avvicinò abbassandosi e sfiorandole i capelli con una mano.
-Piacere di aver fatto la tua conoscenza, Ginevra.- le sussurrò, raggelandola e facendola scaldare nello stesso istante, per poi rialzarsi e ricominciare a sorridere allegro e raggiante –ma.. adesso devo proprio dare il cambio di guardia a Blame, visto che sono arrivati i duchi. – si avviò con le mani in tasca verso la porta.
Okay. Ora era spaventata a morte, oltre che a essere incazzata nera. Lucas le sembrava così perfetto, così un bravo ragazzo tutto solare e sorridente, così terribilmente bello, ma quando le aveva sussurrato aveva sentito i brividi. Solamente l’imbarazzo le impediva di picchiarlo per l’azione, per la frase, per il tono seducente.
Avrebbe potuto spargere la voce, e oltre alla storia dell’incidente sarebbe saltato fuori anche un nuovo scoop sulla vita privata del principino. O.. non voleva pensarci. Senza avere più il coraggio di guardare quel ragazzo così strafigo, che l’aveva spaventata e mandata su tutte le furie, uscì dalla dependance con la scatola di antidolorifici stretta in mano, giusto in tempo perché dalla macchina la vedessero e si fermassero.
Quando dal finestrino abbassato spuntò il viso sorridente di Kate, si sciolse anche lei in un sorriso e corse verso la macchina.
A misterfossette2011 avrebbe pensato più tardi.




~~~~~~~~~~~~~~~~~
Ehii! Eccomi qua con un altra delle mie cavolate, a sperare che vi sia piaciuta e tutto...
Le recensioni sono sempre graditissime (Grazieee Roxyyyy) ma va benissimo anche se seguite, preferite o ricordate
o se siete semplici lettrici anonime e silenziose <3
Al prossimo chap.

Sere

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Capitolo 18
*** Ah. ***


“Dov’è? Perché non torna?”
“Calmati sveglione, e occhio a Philippa. Non sembra gradire molto la tua agitazione e le tue continue occhiate alla porta.”
Harry ringraziò la propria coscienza e sorrise a Commando, anche se non aveva la minima idea di cosa stesse dicendo.
Gli stava sfuggendo la cosa di mano. Gin era praticamente appena uscita e già lui non ce la faceva più. Senza pensare poi che si stava immaginando qualsiasi cosa avrebbe potuto fare mentre era via, perché neanche per un secondo aveva creduto a quella stupida assurda scusa del lavoro. E allora perché era uscita?
“Ha un flirt con Blame! Sta di nuovo male, o … oddio sta scappando da me!” Mentre già vedeva chiaramente Gin che rubava una macchina e la metteva in moto, per poi sgommare via dalla proprietà per mettere quanti più chilometri possibili tra loro, gettò un occhiata ansiosa verso l’orologio appeso alla parete della cucina. Poteva essersi sentita male durante il tragitto…
-…Capitano.-
 …o visto che era così brava a combinare disastri avrebbe potuto…
- HARRY!-
La sua coscienza l’aveva chiamato? Poco probabile.
“Io te l’avevo detto di smetterla. Quanto sei stupido.” Quell’ immancabile vocina dentro di lui aveva un tono da so-tutto-io che gli dava sui nervi. E quella che lo aveva chiamato era semplicemente Commando, visto che non se la stava filando neanche di striscio e probabilmente se ne era accorta.
-Uh? Cosa?- rispose emergendo dai pensieri tormentati e mise a fuoco Pippa, davanti a lui, che lo guardava indignata soffiando come un gatto arrabbiato. Merda. Pippa, Pippa, Pippa. Doveva concentrarsi su di lei.
-Ma non sentivi? Ti stavo chiamando da un pezzo.- se avesse potuto, la sua cara amica l’avrebbe volentieri ucciso con lo sguardo, che gli stava inviando scariche elettriche. –Non mi stavi ascoltando. – Fulmini – non mi stavi ascoltando per niente.- Saette – sei distratto. –  Qualcos’altro. Niente desiderio di assassinarlo, ma uno sguardo che non aveva mai notato. Cos’era? Disgusto, fastidio, rabbia?
Mentre pian piano si accorgeva che non era proprio il caso di far arrabbiare la sua migliore amica né di raccontarle ogni particolare dei suoi rapporti con quell’attira disastri che gli stava sconvolgendo tutto, si impegnò nel fare il sorriso più strepitoso che potesse e gli occhi dolci, quel mix da rubacuori che faceva si che le ragazze cadessero ai suoi piedi. Pippa non avrebbe resistito.
-Scusa Commando, mi era venuto in mente di Will e Kate. Non arrivano e...- disse con una voce mielosa e un tono da imploro perdono umilmente mia principessa – Stavi dicendo?-
Come calcolato le guancie di Pippa si velarono di rosso, mentre lei sorridente tornava a blaterare di chissà cosa, tutta contenta, e Harry si perdeva di nuovo nei propri pensieri, preoccupandosi di annuire o sorridere ogni tanto.
Avrebbe voluto davvero stare attento a quei discorsi, ma c’era Gin. Gin dappertutto, nella sua testa.
E si prendeva tutto lo spazio, tutti i suoi sensi. Gli sembrava di vedere i suoi capelli che svolazzavano, di sentire il suo profumo,  di sfiorare quella pelle morbida e quelle labbra, di ascoltare quel rumore di pneumatici sul vialetto che portava allo chalet…
Pneumatici? Una macchina?
Senza badare a Pippa che,  sbigottita,  gli gettava sguardi stupiti, si alzò di scatto e si fiondò alla porta per poi spalancarla.
Erano tornati. Finalmente.
Corse incontro alla berlina scura proprio mentre si aprivano le portiere. Will aiutò Kate a uscire, assieme a Gin. Per un attimo Harry restò incantato, poi si riprese e si gettò sulla sua sorellona, stringendola a sé delicatamente, attento a non farle male.
-Katie- disse quando lei ricambiò l’abbraccio –stai bene?-
La sua sorella acquisita era un po’ pallida, e la sua stretta non troppo vigorosa ma traballante, però si reggeva bene sulle gambe e nei suoi occhi azzurri era tornata la luce, quella forza e quella determinazione che l’avevano sempre caratterizzata. Era tornata la sua Kate, non più la donna distrutta che aveva visto due giorni prima.
-Harry.- rispose lei affettuosamente - mi sento un po’ debole ma sto alla grande. Willy mi ha fatto trattare da regina.- staccandosi da lui gli sorrise, e poi sbirciò dietro di lui –Ginny mi aveva detto che Pippa era già qui.-
-Oh si. Credo vi aspetti dentro.- Le rispose senza neanche voltarsi, un po’ infastidito da quel “Ginny”che sembrava loro tanto naturale, come se tutti fossero in confidenza con lei. Tutti, tranne ovviamente lui. Ma non riuscì a irritarsi davvero e non si preoccupò nemmeno di dare una voce a Pippa, che probabilmente non si era accorta che erano tornati, perché era troppo preso da qualcos’altro.
Gin lo stava guardando, con un sorriso timido. All’inizio non lo notò neanche, ma dopo essersi perso abbastanza nei suoi occhi, dopo aver nuotato in un mare verde-marrone per un po’, si accorse che c’era qualcosa che la turbava. Oltre a essere timido, quel sorriso era anche…teso. E notò anche che continuava a torturare una scatoletta di cartone che aveva tra le mani. Un lampo di preoccupazione lo attraversò da capo a piedi.
-Sì sì, è dentro.- disse riprendendosi e quasi spingendo la cognata verso la porta della casa e facendo cenno di entrare al fratello. Will gli scoccò un occhiata penetrante di rimando, chiudendo gli occhi a fessura con aria pensosa, ma poi si girò e seguì Kate in casa dove già si sentiva squillare allegra la voce di Pippa. Anche Gin fece per accodarsi, ma lui la prese per un braccio mentre gli passava accanto. Lei si irrigidì e deglutì fissandolo accigliata.
Forse non era stato proprio dolce, anzi, l’aveva un po’ strattonata. Si pentì subito e si sentì in imbarazzo, ancora una volta non sapeva come comportarsi con quella ragazza che lo rendeva così insicuro e indifeso. Arrossì violentemente, chiedendole scusa con lo sguardo, e allentò la presa, senza però lasciarla andare.
-È..è tutto okay?- Stavolta era stato lui a deglutire rumorosamente. Si sentiva così stupido, e questo lo faceva incupire, ma così come gli provocava queste sensazioni, allo stesso tempo Gin lo calmava e lo rilassava. O molto probabilmente lei era la causa solo delle ultime due, e la rabbia era solo provocata dal fatto che non era abituato a dover lottare per ottenere una ragazza, come non era abituato a preoccuparsi per lei.
Gin sembrò addolcirsi, e lui fu quasi sul punto di stringerla a sé e prenderla, quando lei batté le lunghe ciglia e lo guardò imbarazzata e sorridente. “Hai fatto la mossa giusta, principino” gli sussurrò la sua saccente coscienza.
-Sì, grazie. Ehm..Ero a prendere un antidolorifico e li ho incontrati…-
Antidolorifico? Non doveva chiarire qualcosa a Blame? Senza capire Harry corrugò la fronte, ma le sorrise e decise di non chiederle altro. Lei non smise di torturare la piccola scatola, e abbassò gli occhi.
-Harry..- sentì i brividi percorrergli la schiena, una gioia immensa e allo stesso tempo un senso di paura attanagliargli lo stomaco. Lo aveva chiamato. Gioia. Brividi. Ma il tono non era proprio quello di un allegro richiamo. Lo aveva pronunciato quasi sottovoce, incerta, impaurita. E nient’affatto sorridente. Anche il suo sorriso si spense di rimando, mentre cercava di ritrovare il suo sguardo. Era successo qualcosa. E lui era ancora più preoccupato di prima.
Poi lei strinse gli occhi e scosse la testa, come per allontanare qualche pensiero cattivo. E cercando di sorridere disse:
-..No, niente. Ho conosciuto Lucas, sai, la guardia. Simpatico.- buttò fuori tutto di un fiato, parlando velocemente. Stando attenta a non incrociare mai il suo sguardo.
-Ah…- Detto così non sembrava affatto preoccupante. Una guardia simpatica. Tirò un sospiro di sollievo, ma poi ci pensò su. Lucas. Ovvero, come lui e Will lo definivano, il fustacchione. E Gin lo aveva appena definito simpatico.
-Ah.- ripetè, secco.
Il suo cervello cominciava a mettere assieme i pensieri.  Gin aveva conosciuto un fustacchione simpatico. Gin aveva parlato con una sottospecie di modello, simpatico. Gin. Fustacchione. Gin lo aveva detto quasi con paura. Gin se ne era quasi vergognata. Gin. Fustacchione. Mentre la voce di Gin e “simpatico” gli rimbombavano nelle orecchie, fece due più due. Gin, la sua Gin, aveva conosciuto Lucas, quello sgorbi etto insignificante con un fisico che Katie definiva “da urlo”, e molto probabilmente si era chiesta e richiesta cosa l’avesse spinta a baciare uno come lui (la sua autostima era chilometri sotto di lui). Gin si era pentita. E probabilmente era imbarazzata perché lui era il principe d’inghilterra, probabilmente non le era stato facile tentare di rifiutarlo. La certezza si addentrava dentro di lui.
Pentimento, rifiuto.
“Stai correndo troppo.” Gli disse la coscienza scocciata “ma non pensavo fossi in grado di fare ragionamenti del genere, complimenti.”
-Allora…Entriamo?-
Evidentemente era una domanda retorica perché Harry si riscosse e si voltò in tempo per vedere Gin che entrava sgusciandogli via da davanti gli occhi. Restò immobile e confuso fuori, guardando tristemente il nulla davanti a sé, finchè non sentì la voce di Pippa che lo chiamava, e allora si avviò mesto verso la porta.

Non può essere.

“Non è, idiota. Sei solo un masochista che si vuole complicarsi la vita inutilmente.”


 
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Uccidetemi. Cioè, praticamente due mesi senza pubblicare niente! D:

In più mi sento completamente incapace di rendere lo stato confusionale in cui si ritrova il povero Harry in questo momento. Ed è la mia coscienza (che sì, è moooolto simile a quella del nostro principe, perché saccente  e sfracassa palle)  che salta fuori ogni due secondi “questo non va bene.” “okay, è assurdo, ma smettila e datti all’ippica” ecc.
Se mai mi perdonerete, vi ringrazio in anticipo (anche perché stavolta non ho affatto scusanti), e vi assssssicuro che non lo faro piùpiù! (“Se, come no. Non ti crederanno più” by coscienza cacca)
Grazie Grazie Grazie  a R o n n i e  e  r o x a n n e( tu poi  Roxie, che sei una commentatrice costante <3 ) che hanno recensito, e un grazie enorme anche a quelle che seguono, preferiscono e ricordano. *immensamentefelice*
Spero che vi piaccia anche questo capitolo, anche se, di fatto, è un po’ un capitolo di pensieri e collegamenti, forse noioso (spero di no!)

Al prossimo chappy

Sere

 

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Capitolo 19
*** ...è stato un errore? ***


Ci era mancato davvero poco.
 
Ma se lo avesse detto ad Harry, lui come avrebbe reagito?
“Strangolandomi.”
 Lo aveva appena cacciato in un  sacco, in un mare, in un immenso e sconfinato universo di guai!Certo, non consciamente, dato che Lucas aveva ascoltato di nascosto la conversazione che aveva avuto con Blame.  E ora, mentre probabilmente quell’odioso ma dannatamente ultrasexy ragazzo stava spifferando tutto in giro, non sapeva come risolvere il casino che aveva combinato. 
 
 “Quanto tempo ho prima che sia accusata di danno alla corona d’Inghilterra?
Quanto prima che Harry cominci a odiarmi?”
 
-Allora passata bene la notte?-
 
“Come. Posso. Fare?” Zero idee.
 
-Ginnie?- cercò di riportarla alla realtà Will.
-Uh? Cosa?-  biascicò arrossendo per il fatto di trovarsi beatamente tra le nuvole. In un nanosecondo precipitò nel salotto dello chalet, e si ritrovò seduta sul bracciolo del divano dove stavano chiacchierando Kate e Pippa. Di fianco a lei, sprofondato in una poltrona, c’era William, che stava ridacchiando per la sua figura.
-Dicevo, com’è andata?- le richiese, con un sorriso alla Monna Lisa che Gin non riuscì a decifrare.
La notte prima? Perfettamente: “Mi ha baciata”
-Mmm. Bene.- rispose non troppo convinta, mentre le sue guancie diventavano ancora più rosse e i ricordi si fiondavano su di lei velocemente. Si morse le labbra e abbassò gli occhi, poi cercò di cambiare discorso.
-Voi?-
William la squadrò ancora un po’, guardò Harry seduto sull’altra poltrona con la testa appoggiata al palmo della mano e un espressione da ebete, e poi tornò a raccontare a Gin della notte in ospedale, che lui e la sua adorata moglie avevano passato parlando e piangendo. Poi anche lui si intromise nella conversazione tra Kate e Pippa, e lei se ne restò di nuovo sola con i suoi pensieri.
Stava per cedere alla tentazione di alzarsi e, disperata, cominciare a girare per la stanza con le mani nei capelli urlando tutto quello che aveva combinato e scoppiando a piangere per la tensione davanti a tutti, quando Kate sorridendo disse che aveva fame. La cucina era un’ottima occasione per stare sola e pensare, quindi si propose subito.
 
-Me ne occupo io, tranquilli. Continuate a parlare..- e cercando di apparire serena e senza pensieri fece per svolazzarsene in cucina. Ma Will le doveva guastarle la festa.
 
-Hey Furia, dalle una mano su!- accennò al fratello. –Noi tre ce ne stiamo qui okay?- disse con un sorriso sghembo e soddisfatto che irritò moltissimo Gin. Ma che diavolo. Lei doveva pensare, e stare sola con Harry nella stanza non l’avrebbe aiutata per nulla. Il rosso si alzò, svogliato, e mugugnò qualcosa tenendo lo sguardo basso, dirigendosi poi verso la cucina.
 
Cominciarono ad armeggiare in cucina, impacciati e imbarazzati. Talmente tanto che dopo solo dieci minuti lei si era ritrovata la maglia completamente inzuppata di salsa di pomodoro e lui sbrodolava scuse assurde per avergliela rovesciata addosso.
 
Il problema era che mentre si parlavano sopra, tra “scusa” e “non è successo niente”, erano così distanti che non si accorgevano di quanto la situazione fosse ridicola. Gin era sull’orlo delle lacrime, si sentiva in colpa.
E ora Harry la guardava, con uno sguardo triste e tanto intenso da farle tremare le ginocchia.
 
“Sa qualcosa.”
Il panico si impossessò di lei. Cosa doveva fare? Scusarsi e dire tutto prima che lo sapesse lui da altre fonti? Probabilmente si sarebbe arrabbiato di meno. Ovvero  forse non le avrebbe fatto pagare una multa con talmente tanti zero che non le sarebbero bastate nove vite per saldarla. E soprattutto forse non avrebbe perso completamente l’idea di lei che si era fatto. Non avrebbe odiato con tutto sé stesso la ragazza che aveva baciato la sera prima. Quindi..
-Scusa per Lucas.- sussurrò, ricambiando lo sguardo. –Io non ne avevo intenzione.. è che ..-
-Tranquilla.- la interruppè lui, scuotendo leggermente la testa. –Capisco…-
 
 
“Capisci?”
In tutte le cose che avrebbe potuto urlarle contro o dirle per farla sentire in colpa capisco non rientrava proprio.
Lo guardò, assumendo col passare dei secondi un’espressione sempre più stupita.
Capiva cosa? Che per sbaglio aveva raccontato del bacio, dei propri sentimenti, a uno sconosciuto? Che il mondo intero avrebbe saputo di lì a poco che lei era innamorata? Che era stupida?
Restando immobile si guardò attorno cercando di capire cosa intendesse Harry, che la stava cominciando a guardare frastornato.
Capiva che?

Ma che...
 
-No scusa, non ho capito. Cosa?- gli chiese dopo aver abbandonato le sue riflessioni.
-Cosa cosa?- disse lui corrugando la fronte.
-Cosa hai capito.-
-Ah.- abbassò gli occhi. Quanto era amabile? –Che..- si fermò, torturando con le mani il bordo del lavello. “che?”
Gin stava odiando quella dannata pausa, le si stava rodendo il fegato. Lo invitò con gli occhi a proseguire.
-Bè, che non mi vuoi. Lo capisco.- “Che?” –Insomma, sì, Lucas è molto più carino di me, diciamo che è.. poi io sono ciò che sono e…  Uh. Poi… Okay, hai capito. –
Il rosso alzò finalmente gli occhi puntandoli nei suoi come fari azzurri.
Gin deglutì, cercando di rimanere seria.
 
-Stai scherzando vero?- disse e senza riuscire più a trattenersi scoppiò in una risata di liberazione.
 
Non sapeva niente, anzi. Le veniva da urlare, tanto si sentiva felice. Harry era triste perché pensava, ancora non aveva capito come, che lei lo avesse…rifiutato? Era una cosa talmente impossibile da essere ridicola. Si appoggiò ai fornelli con la schiena, e continuò a ridere, euforica.  Si sentiva come se si fosse drogata con un po’ di felicità pura.
Il principino la guardò stupito, poi si lasciò coinvolgere dalla risata argentina di lei e unì allo scoppio di ilarità anche la sua voce profonda.
 
-Oddio,oddio,oddiiiiio, Capitanooo, vieni qui subito!- l’interruppe Pippa, con un tempismo perfetto.
Gin sentì voci da televisione, e con Harry andò in soggiorno. Un passo dopo l’altro pensava a cosa poteva essere. Magari stavano guardando il telegiornale. Magari era una notizia che li riguardava da vicino. Magari era su Harry.Gin si paralizzò appena prima di entrare in salotto.
Lucas l’aveva fatto. Il mondo sapeva. E Harry si stava mettendo davanti al televisore proprio in quel momento. Era la fine. L’apocalisse.
-…entornati a Marrying prince Harry, ed eccoci qui con la prossima aspirante moglie, dal Missisipi, Usa, Tara Wilkinson-
Pippa si rotolava dalle risate, “insopportabili” secondo Gin, William e Kate scuotevano la testa divertiti e Harry era ancora imbambolato davanti allo schermo, tutto preso dalla trasmissione.
Lei invece era ferma sulla soglia della porta e aveva appena ripreso a respirare normalmente.
-Come se una di loro potesse mai arrivare al mio Capitano- risata insopportabile –sono così lontane dall’idea di ragazza che potrebbe mai piacerti che..- altra risata insopportabile.
Gin si fece più attenta e guardò lo schermo. Era una trasmissione abbastanza stupida, e venivano intervistate delle ragazze, un po’ stalkers, ma più o meno normali.
-Certo sì, se mettessero assieme tutti i loro patrimoni forse riuscirebbero a arrivare al livello delle vostre amicizie, forse..-e scoppiò di nuovo a ridere.
Gin deglutì. Quello che diceva Philippa era forse vero? Gli altri non stavano più ridendo..
Poi la Middleton minore le gettò uno sguardo veloce, e sorrise, come fosse pronta a darle uno spietato colpo di grazia.
-Cosa arriverebbero a fare per farsi notare? Credo, Capitano, che si butterebbero addirittura sotto la tua macchina- rise. In salotto si sentiva solamente il suo starnazzare.
“Che puttana!”
Ora sì che sarebbe volentieri scoppiata a piangere. Lucas e Pippa sarebbero stati una coppia perfetta, visto che stavano riuscendo proprio bene nel rovinarle la vita. Ma, sebbene fosse di ceto così inferiore al loro, sebbene fosse così plebea, contadina, non avrebbe versato neanche una lacrima davanti a lei, il suo orgoglio glielo impediva. Indietreggiò, ma fu bloccata dalla presa salda della mano di Harry sul suo braccio.
-Commando...-disse rivolto a Pippa.
-Stavo solo scherzando, vero Ginnie?- disse sorridendo.
Mentre nella testa di Gin si affollavano tremila insulti diversi in lingue diverse, cercò di sorridere, e poi tornò in cucina, seguita da Harry. Le era uscito il sorriso più falso che avesse mai fatto, e, ora sì, aveva cominciato a piangere.
Voleva andarsene: sarebbe stata la soluzione migliore,  avrebbe risolto ogni suo problema. Se si fosse nascosta in Micronesia, o in una landa desolata, sarebbe riuscita ad allontanarsi da quella peste di PhilippachiamamipurePippa e dalla furia di Harry, quando avesse scoperto che Lucas, e quindi il mondo, sapeva.
Guardò fuori dalla finestra e cercò di calmare le lacrime che lente e silenziose le rigavano le guancie.
-Ehi. – le sussurrò il principino e la voltò, prendendola delicatamente per le spalle. Corrugò la fronte quando vide che piangeva. –Non darle peso, sappiamo entrambi che quelle cose non stavano né in cielo né in terra.-
Gin non riusciva a credere completamente alle sue parole, ma quando si accorse che il rosso, così teneramente arrossito, la sfiorava, non potè più trattenersi.
-Lucas, la guardia..-
-Per cui tu non provi niente vero?- sorrise preoccupato il principino, scostandole un boccolo dal viso.
-No- sorrise, sentendo il salato delle lacrime sulle labbra- non interrompermi.-
-Scusate, vostra altezza.- Harry muoveva gli occhi da quelli di lei, alle sue labbra. Erano così vicini…
-Lucas, credo sappia del fatto che..ci siamo baciati.-
L’aveva detto, aveva appena firmato la sua condanna a morte. “Complimenti Ginevra.” Per la prima volta l’argomento bacio veniva tirato fuori e lei lo aveva collegato al fatto che la notizia si sarebbe sparsa. “Chissà che bel ricordo ne avrà Harry d’ora in poi…”
Aveva fermato tutto ancora prima che cominciasse, se lo sentiva. Sentì le lacrime riaffiorare.
-Mmm.- disse lui, sempre puntandole gli occhi addosso. –E’ stato un errore?-
Il cuore di Gin cominciò a galoppare, così come il suo respiro si fece più veloce, per la vicinanza di Harry, per la dannata paura che aveva della sua reazione, della fine.
-Sì, e non è stata mia intenzione giuro, lui mi ha ascoltata di nascosto mentre ne parlavo con Blame, di lui ci si può fidare, credo.. oddio, io. Mi dispiace..-cominciò a blaterare velocissima, abbassando il viso.
Lui le rialzò la testa con una mano.
Era terribilmente serio, le labbra dritte come una riga. Gli occhi però, quelli tentennavano. -Intendevo il bacio.-
Ah. Il bacio. Bè, era un’altra cosa. Ma era stato un errore o no? Gin restò ferma per un attimo, le lacrime bloccate, concentrata sull’azzurro degli occhi del rosso.
Poi parlò.
-Il più bello della mia vita.-
E Harry sorrise, visibilmente sollevato.
-Posso rifarlo? Ti prego?- Ecco di nuovo quello sguardo da bambino. “Un bambino furbo eh.”
Ma quella volta fu lei a gettarsi sulle sue labbra, morbide come le ricordava.
E impazzì per la gioia, in quel bacio salato di lacrime, schiacciata contro la finestra dal suo personale, forse momentaneo “va bene così”, principe.




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*risorge dalle tenebre*
Dopo altri mesi di assenza (La scuola-elapigrizia-mi stanno uccidendo) rieccomi con un capitolo che spero vi piacerà, anche se buttato giù di fretta tra una pausa e l'altra..
Fatevi sentire, e sì, fatemi pure il cazziatone per avervi abbandonato così.. *in un angolo piange, sa che se lo merita*
Vi aspetto alla prossima pubblicazione, spero più prestoooo

Sere


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