Danklon - Living in the Material World di Natalja_Aljona (/viewuser.php?uid=83321)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica ***
Capitolo 2: *** Dove l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni (e si dimentica della ragazza) ***
Capitolo 3: *** Dove si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità del proprietario della Fender ***
Capitolo 4: *** Dove si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la speranza ***
Capitolo 5: *** Dove si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare una grande malinconia ***
Capitolo 6: *** Dove si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere vietati per legge ***
Capitolo 7: *** Dove i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino dell'aspirante filosofo ***
Capitolo 8: *** Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro ***
Capitolo 9: *** Dove si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando Furioso ***
Capitolo 1 *** Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica ***
Danklon
– Living
in the
Material World
Dedico
questa storia alla Sicilia e a Messina, bellissima città di
mio padre
Perché
io, seppure nata e cresciuta al Nord,
Sono
orgogliosissima di essere per metà siciliana
E
perché tutti quelli che chiamano i meridionali “terroni”,
Dovrebbero
vedere il mare di Messina
Dedico
questa storia alla a tutti coloro che, almeno per un minuto,
Hanno
trovato il modo di evadere dal Mondo Materiale
Uno
Dove
l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica
People
say I'm crazy doing what I'm doing
Well
they give me all kinds of warnings to save me from ruin
When
I say that I'm ok they look at me kind of strange
La
gente dice che sono matto a fare quello che faccio
Mi
danno ogni tipo di suggerimento per salvarmi dalla rovina
Quando
dico che sto bene, loro mi guardano in modo strano
(Watching
The Wheels, John Lennon)
-Qui,
o si fa l'Italia o si muore!-
Ettore
Troiano -quando si dice fatalità- sospirò
d'esasperazione.
-Qui,
o si fa il bagno o si va a letto senza cena- precisò,
incrociando le braccia al petto.
Agitò
in direzione del fratello la paperella su cui era stato scritto a
caratteri cubitali, con un pennarello: “soldato borbonico”.
-Giuseppino,
non mi far disperare!-
Giuseppe
guardò scetticamente il fratello maggiore.
-Papà
dov'è?-
Sakis
Troiano, italo - greco di trentasei anni,
era, prima ancora che il padre dei due fratelli, un affermato
pittore.
Affermato
perché la moglie gli aveva rotto un cavalletto in testa, o
perché era conosciuto giusto nel tratto da Messina a Casa
Bianca e, se vogliamo essere generosi, da Via Santa Cecilia al Porto.
-E'andato
a dipingere la spiaggia di Casa Bianca-
-Casa
Bianca, dove abita il Lupo?-
-Penso
di sì... Ma tu come sai queste cose?-
-Me l'ha detto Leen- -Oh,
Voltaire. Benedetta ragazza!-
Giuseppe
inarcò un sopracciglio.
-Chi
è questo Voltaire?-
Ettore
alzò gli occhi sognanti dalla paperella, con un sorriso.
-Uno
mitico quasi quanto il tuo Garibaldi-
Dopotutto,
poteva dirsi soddisfatto di tale definizione.
Con
il quasi non avrebbe contrariato Giuseppe, il quale era
profondamente convinto dell'insuperabilità del suo eroico
omonimo ottocentesco, ma nemmeno svalutato il suo maestro di vita.
-Sicuro?-
-Scherzi?
E' stato il Garibaldi della filosofia, Jean-Marie!
L'Illuminismo è stato la sua Calatafimi. Fidati, fratello. Un
giorno capirai-
-Non
mi interessa la filosofia! Io voglio vedere il Lupo!-
Giuseppe
Troiano, dall'alto dei suoi sette anni e dei suoi capelli quasi
più spettinati di quelli del fratello, talvolta era
un'autentica palla al piede.
Negli
ultimi tempi, però, poté constatare Ettore, ci stava
davvero prendendo l'abitudine.
Colpa
dell'assenza della madre, Natalia Immacolata Giacobello, camionista
sempre in viaggio che tendeva a preferire la Settimana Enigmistica
alla palla al piede e all'aspirante filosofo.
Aspirante
filosofo, già.
Ettorino
-giusto perché chiamarlo Ettore fa troppo conformista- già
vedeva il suo nome accanto a quello del sopracitato Jean-Marie, che a
scanso di equivoci è Jean-Marie Arouet, in arte Voltaire.
Ettore ci aveva messo una vita a spiegarlo ai suoi, ma Jean-Marie e
Voltaire sono, pardon, erano la stessa persona.
Come
Vladimir Il'ič Ul'janov e
Lenin o Richard Starkey e Ringo Starr, ma non confondiamoci le idee,
che Ettorino le ha già belle confuse di suo.
Sarà
stato a causa del suo sangue greco o della massiccia copia
dell'Iliade con testo originale a fronte che il nostro uomo
teneva sul comodino – di cui leggeva solo il testo originale a
fronte, naturalmente – ma la cultura -e in special modo la
cultura greca- era nel suo DNA.
Non
per niente la prima parola di Ettore era stata, a dar retta alle
leggende, Eureka.
Ettore
Troiano, alt, Diomede Ettore Troiano -perché,
se vogliamo rovinargli la reputazione, tanto vale farlo bene- non era
affatto un ragazzo sensibile.
Si
era fatto un bel pianto liberatorio ad otto anni, quando aveva
scoperto la morte di Socrate per assunzione di cicuta, ma poi aveva
messo su un autentico carattere da Spartano e tutto era finito lì.
Dopo
la filosofia, la sua più grande passione era la chitarra.
La
Fender Telecaster bianca che sognava e che vedeva tutti i giorni al
ritorno da scuola, esposta in vetrina.
Scordatela,
Ettore.
Questa
era stata la risposta più elaborata che era riuscito a
ottenere dai suoi, a esclusione dei numerosi grugniti.
Così,
aveva cominciato a risparmiare.
Le
sigarette e le mentine, d'altronde, le scroccava sempre al suo amico
Vincenzo, che la Fender Telecaster ce l'aveva già, anche se
nera e -piccolo dettaglio- mezza scassata.
Era
bello, Ettore Troiano, nonostante il nome.
Bello,
e anche tanto, con i suoi capelli nerissimi e incredibilmente
spettinati, la pelle scura e gli occhi neri neri che scintillavano
come lame di opliti spartani.
Alto?
Beh. Un metruccio e sessantasei scarso -diciamo pure un metro e sessantaquattro mascherato dalla suola degli stivali-, ma, parola mia, compensava
tutto con l'intelligenza.
I
suoi amici di un metro e ottanta gli ridevano dietro senza pudore,
soprattutto quando, prima di una lezione di educazione
fisica, toglieva i fedeli stivali neri -che, detto fra noi, gli
davano un'aria da vero pirata-. In quelle occasioni i due centimetri
della suola se li scordava, e nemmeno se indossava le scarpe da
ginnastica in un battito di ciglia riusciva ad evitare il triste
appellativo di nano da giardino.
Il
lato positivo? Che compensava la discutibile altezza con
l'intelligenza, come dicevamo prima.
Lui
non era un assassino della grammatica.
Per
carità. Era facile che saltasse al collo
-letteralmente, eh- dei suoi compagni di classe che sbagliavano i
congiuntivi -non per niente nella sua classe studiavano tutti, almeno
dopo la sua prima crisi isterica- così come era probabile che,
se per una sfortunatissima congiunzione astrale gli fosse capitato di
sbagliarne uno lui -un congiuntivo, un condizionale, ma pure un
gerundio- si sarebbe buttato nell'Etna senza esitazione.
Era
strano, Ettore Troiano, strano quanto bello, di una stranezza tutta
sua, che impediva qualsiasi genere di paragone.
Era
con buone probabilità il ragazzo più miope
dell'intero Sud - Italia, ma era solito
sbriciolare i suoi odiati occhiali da vista sotto gli
stivali appena uscito di casa, o al massimo sui gradini del Liceo
Classico Francesco Maurolico.
In
genere pagava i suoi amici per saltarci sopra, ma, poiché
amava avere l'ultima parola, il colpo di grazia lo dava sempre lui.
Era
un ritardatario patologico, per di più
con la pessima abitudine di peggiorare il danno rivolgendo al
professore di turno un'autentica perla di filosofia, che di sicuro
onorava la memoria dei suoi illustri antenati greci, ma faceva un po'
meno felice il vicepreside, che si ritrovava ogni mattina per le mani
un diciassettenne a cui probabilmente gli ormoni erano andati un
pochino di traverso, poiché invece
di cantilenare l'ultimo calendario di questa o quella intraprendente
fanciulla, cercava sempre, sempre, sempre di spiegargli la
Questione Tucididea. Fino all'esasperazione.
Una
mattina, con la sua domanda preferita -“Secondo lei erano più
efficaci le strategie militari di Lisandro o quelle di Alcibiade?”-
, gli aveva fatto andare abbondantemente di traverso un cappuccino,
al punto che il pover'uomo aveva tentato di chiudere il ragazzo nel
balconcino della presidenza.
Com'era
andata a finire? Il picciotto era stato salvato al volo dal
professore di matematica, il quale sembrava avere una grande urgenza
di interrogare Ettore, possibilmente senza che quest'ultimo cercasse
di trasformare le equazioni in metafore o sillogismi.
Per
l'interrogazione era stato in seguito reclutato anche il calabrese
-di Gioia Tauro- Vincenzo Caputo, il cosiddetto -da Ettore,
perlomeno- metro e settantanove da strapazzo, nonché
fraterno compagno di sigarette e versioni di greco del nostro
aspirante filosofo.
Erano
tornati al banco con un sei alquanto stiracchiato, un Vincenzo con la
testa quasi completamente nascosta -per l'esasperazione- nel libro di
algebra e un Ettore che discuteva animatamente sull'aggraziata forma
del numero sei, motivo per cui era più che felice di averne un
esemplare sul suo diario – che, piccola precisazione, sembrava
il bisnipote dell'Iliade, per le numerosi citazioni come per il
linguaggio aulico che puntualmente Ettore usava per scrivere i
compiti.
Per
finire, il nostro eroe era arciattaccato alle gonne di Anita
Garibaldi -ma, più che il nome, la cosa davvero sorprendente
che si poteva dire su di lei era la sua probabile discendenza dai
Reali di Borbone-, la santa ragazza che ogni anno condivideva con lui
il rimando in matematica.
Caputo
no, lui era bravino.
Oltre
a loro -Caputo, Troiano e Garibaldi- di degno di nota, nella III B
del Francesco Maurolico, oltre a Francesco Maurolico in
persona -alle coincidenze non c'è mai limite- uno sfortunato
omonimo che cercava di far sparire il registro ogni volta che poteva,
c'era Eileen Ficarra, un' anglo-siciliana che, in quanto sorella
adottiva di Natalia Giacobello, pareva essere nientemeno che la
zia di Ettore.
Era
proprio lei, Leen, la benedetta ragazza che sconvolgeva
l'infanzia del piccolo Giuseppe Troiano, con le sue storie studiate
al dettaglio sul temuto brigante di Casa Bianca Lupo Capuleti.
Una
promettente scrittrice, senza ombra di dubbio, che minacciava di
seguire Ettorino -era stata lei, infatti, la prima a chiamarlo così-
anche all'Università.
Era
proprio lui, Lupo, il più grande idolo di Giuseppe dopo
Garibaldi, colui che avrebbe mandato a farsi benedire il bagno del
piccolo Troiano e il sospirato pomeriggio filosofico del nostro eroe.
Colto
da un'improvvisa folgorazione, quod erat demonstrandum, Ettore
stritolò la paperella borbonica tra le mani.
-Giuseppino!
Tu vuoi vedere il Lupo?-
Il
piccolo Troiano annuì con convinzione.
Ettore
esultò mentalmente, ringraziando uno a uno tutti i filosofi
che conosceva - sé stesso compreso.
-E
allora lavati bene, che dopo andiamo a trovarlo-
-Non
ci credo-
-Piccolo
disgraziato...-
Giuseppe
spalancò gli occhi.
-Ettore!
Lo dico alla mamma!-
-Lei
te ne dice anche di peggio. Ad ogni modo, te lo dico a titolo
informativo, pensavo che avremmo potuto andarci con la bicicletta di
Leen-
Sebbene
la bicicletta di Eileen, Criseide -la passione per la Grecia
era una sorta di virus di famiglia-, fosse il sogno proibito
di tutti i ragazzi di Via Santa Cecilia, Giuseppe non si scompose.
-Non
te la lascia-
A
tali parole, Ettore sfoderò un sorriso da autentico pirata.
-Ma
noi mica glielo diciamo-
Giuseppe
drizzò le orecchie.
Nel
ventunesimo secolo, una bicicletta poteva non sembrare il massimo,
ma, credetemi, la bicicletta di Eileen era tutta un'altra storia.
Oltre
al fatto di essere dipinta di un bellissimo azzurro cielo lucido
lucido e quasi morbido al tatto -ma doveva
essere l'emozione con cui tutti la toccavano-, Criseide era un
meraviglioso esemplare di bicicletta degli anni Cinquanta, con la non
trascurabile fama di essere stata usata in una rapina del Lupo.
-Dici
sul serio?- mormorò, scrutando il fratello con sospetto.
Ettore
aveva diciassette anni e, Giuseppe l'aveva imparato subito, dei
ragazzi grandi e non garibaldini non c'era mai da fidarsi.
-Te
lo giuro su Omero-
Giuseppe
riflettè sull'eventualità.
-In
tal caso...-
-La
accendiamo?- gli sussurrò all'orecchio il maggiore dei
Troiano, incrociando le dita nelle tasche dei pantaloni.
-No.
Prima andiamo a trovare il Lupo, poi, magari, faccio il bagno-
Il
magari del piccolo gelò le speranze di Ettore in un
battito di ciglia.
-Mascalzone
d'un picciriddo irriverente! Se ti pesco...-
Giuseppe
corse a nascondersi sotto il lavandino.
-Frena
le ire, fratello, che Achille è passato di moda. Indossa il
fazzoletto rosso e abbi la compiacenza di seguirmi oltre la porta di
codesto...bagno- la frase d'effetto era andata lievemente a
farsi benedire, ma il bambino non ci fece caso.
Ettore
studiò gli occhietti grigi e inquietantemente luccicanti
del piccolo.
Aveva
sette anni, diamine!
-Che
farnetichi, Giuseppino?-
Quest'ultimo
scrollò le spalle.
-Parlo
come te-
Ettore
gli lanciò uno sguardo di sfida, appoggiandosi le mani sui
fianchi.
-In
tal caso sappi che Achille non passa di moda e che, naturalmente,
le ire le frenerò soltanto dopo averti decapitato-
-Con
il rasoio di papà?- provò a domandare Giuseppe,
guardando con apprensione il minaccioso strumento stretto tra le mani
di Ettore, ma il fratello non gli fece nemmeno finire la frase.
-Il
fazzoletto rosso, poi, lo metti solo tu. Sei un vile mentitore e non
ti perdono, ma a Casa Bianca ci dobbiamo
andare lo stesso. Devo avvertire papà dell'incidente-
-Hai
chiuso Aiace in frigorifero come l'ultima volta?-
Ettore
lanciò uno sguardo apprensivo al gatto, Aiace Telamonio -un
Turco Van di otto chili acciambellato sulla lavatrice-, lo ricordò
smarrito e miagolante tra le caciotte della Valtellina, dopodiché
scosse la testa.
-Ho
solo bruciato la pasta- rispose evasivo -Un pochino...-
-Sei
peggio della mamma- lo rimproverò il piccolo, annodandosi con
fierezza al collo un fazzoletto di un bel rosso carminio.
-Fila
fuori, furfante-
E
con queste parole, all'alba del 17 Luglio 2010, Ettore Troiano
strinse la mano al boia dei suoi giorni futuri.
Una
volta usciti di casa, Ettore fece segno a Giuseppe di non fare
rumore, dopodiché sgattaiolò rasente al muro del suo
condominio, fino a raggiungere la villetta a schiera di Eileen
Ficarra, appena dietro la stazione.
Il
cancello era, come sempre, aperto.
In
un baleno Ettore piombò sulla lucida bicicletta azzurra della
zia e, dopo averla slegata grazie alla chiave alla chiave di cui
aveva fatto una copia durante la notte, vi salò in sella e
partì alla volta di Casa Bianca, con il fratello che lo
rincorreva urlando.
-Ettore!
Sei diventato matto?!-
-No,
bricconcello!- gridò Ettore, sfrecciando per le strade di
Messina felice di sentire lo Scirocco scompigliargli i capelli.
-Te
la fai a piedi!-
Furente
per l'imbroglio, Giuseppe scattò verso di lui, fino a che,
grazie ad un provvidenziale semaforo, riuscì a raggiungerlo e
a saltare sul portapacchi.
-Traditore,
traditore, traditore!- gridò, riempiendo di pugni la schiena
di Ettore.
-Zitto,
peste!- lo mise a tacere quest'ultimo, gridando per sovrastare i
rumori della strada e, inevitabilmente, facendo arrabbiare ancora di
più il giovane garibaldino.
Ad
un tratto cominciò a canticchiare Penny Lane dei
Beatles e poco dopo anche Giuseppe, più rilassato, si unì
a lui.
Ogni
tanto qualche passante si voltava a guardare I fratelli Troiano che
cantavano spensierati in prossimità del Porto, ma pian piano
che uscivano dalla città la folla si sfoltiva.
Poi
la bicicletta azzurra incontrò una curva particolarmente
insidiosa, frenò rumorosamente a un metro dalla spiaggia, ed
ecco finalmente il mare.
C'era
sempre una sorta di atmosfera magica, a Casa Bianca.
Poteva
essere l'aria che si respirava, limpida, quasi, in una
tremante, quasi dipinta sinestesia, o forse le avventurose leggende
sul Lupo, il brigante più famoso di Messina, che aveva scelto
come residenza una villa a pochi chilometri dalla spiaggia di Casa
Bianca, ma ogni volta che mettevano piede in quel luogo, Ettore e
Giuseppe venivano inebriati da un'indescrivibile, straordinaria
magia.
-Andiamo
a cercare papà?-
Giuseppe
annuì, annusando la salsedine che gli pizzicava le narici, con
un sorriso che gli era appena spuntato come un fungo prugnolo –
e che, detto fra noi, era abbastanza raro suscitare nel piccolo
Troiano.
Poi,
una voce.
Poi,
quella voce.
-Papà
può aspettare, non credete?-
Giuseppe
indietreggiò.
-Ettore...che
succede?-
Avrebbero
dovuto aspettarselo.
-Il
tuo grande mito, peste. Perché non gli chiedi un
autografo?- furono le ultime parole di Ettore.
Nei
minuti che seguirono, una pistola puntata sulla tempia e una mano
callosa che gli strappava il marsupio gli fecero passare la voglia di
fare del sarcasmo.
Il
Lupo era arrivato.
Il
suo portafoglio nelle sue mani.
La
sua allegria morta nel suo sorriso.
L'umiliazione
bruciante nella sua risata.
La
certezza che non sarebbe mai dovuto uscire di casa, quel pomeriggio.
Per
Giuseppino no, per lui era un gioco.
Consegnava
le sue poche monetine al Lupo ridendo, implorandolo perché gli
raccontasse una delle sue storie.
Il
Lupo era l'Eroe di Messina, per i bambini, altro che brigante.
Lui
non aveva una Fender Telecaster da comprare.
Su
una sdraio poco lontano, una ragazzina ad occhio più giovane e
-gli doleva ammetterlo- più alta di lui scriveva
scrupolosamente su un quaderno ad anelli quasi più grande di
lei.
La
nipote del Lupo.
A
Messina giravano voci del suo arrivo alla villa del nonno, parente di
cui la ragazza sembrava andare particolarmente fiera.
Si
diceva che fosse bella, la nipote del Lupo, bella quanto toscana.
Lunghi,
lunghissimi capelli biondo-rossicci e due impertinenti occhi di un
grigio-blu che a Ettore ricordava il mare d'inverno.
Bella,
giovane e alta.
Lei
era bella, giovane, alta e menefreghista, stava seduta su una
sdraio mentre lui era in piedi, indifferente mentre suo nonno
gli aveva appena sequestrato -giusto perché dire “rubato”
era poco elegante- la paghetta del mese. La Fender Telecaster
bianca dei suoi sogni si allontanava a vista d'occhio.
Così
su due piedi, solo per queste caratteristiche, Ettore avrebbe voluto
spaccarle la faccia.
Non
che fosse un ragazzo violento, lui.
Era
una questione di autostima. Era il desiderio di mantenerne qualche
grammo almeno fino al diploma.
La
ragazza si mosse, scuotendo la folta chioma bionda che immediatamente
catturò ogni bagliore solare presente.
Ettore
la guardava strizzando gli occhi per la troppa luce -in piena Estate
la Sicilia era tutta raggi dorati e mare cristallino-, con la strana,
curiosa sensazione di essere diventato ancora più miope
di prima.
-Complemento
oggetto, complemento di specificazione, soggetto sottinteso e
apposizione del soggetto, predicato nominale, costituito da copula e
parte nominale...-
Ettore
era ancora in piedi, come un tordo appena investito dal camion della
Galbani, a guardare la nipote del Lupo e a pensare se qualche
precedente penale come annegamento di ragazza/monumento
dell'indifferenza avesse potuto compromettere la sua futura carriera
di filosofo.
Prendila
con filosofia, avrebbe scherzato Vincenzo, come faceva tutte le volte
in cui, per un motivo o per l'altro, Ettore non poteva prenderla con
filosofia.
In
quel momento tutta la sua filosofia si era brutalmente trasformata in
bile, la sola vista di quella sirenetta di Copenaghen versione
nipote del Lupo gli faceva saltare i nervi come anguille e
buonanotte ai suonatori.
-Sei
bellissimo...-
Ettore
sobbalzò.
-Davvero?-
La
ragazza si voltò, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso.
-Analisi
logica, ottantaduesima frase. Quello era un predicato nominale-
-Compiti
delle vacanze?- fu la prima domanda cretina che a Ettore venne
in mente, chiaramente dopo aver scartato quella sulle strategie
militari del 404 a.C.
-Ma
va. Passo il tempo, sai com'è. Personalmente adoro la
grammatica, ma con l'analisi logica ho un rapporto tutto particolare.
Meraviglioso-
Ettore
annuì meccanicamente, probabilmente senza accorgersi che,
sfilatasi definitivamente gli occhiali da sole, la ragazza aveva
cominciato a studiarlo con crescente interesse.
-Nemmeno
tu sei male, eh! Un po' bassetto, forse-
Grazie.
-Grazie-
rispose infatti il bassetto niente male, dopo aver digrignato
i denti e salutato l'autostima che si era appena tuffata per
raggiungere a nuoto la spiaggia di Patrasso.
-Figurati.
Anzi, fatti vedere- gli indicò la sdraio chiusa di fianco alla
sua -Te la apri tu, sei un uomo-
Una
volta che Ettore si fu sistemato accanto a lei, si sporse a
pizzicargli una guancia, scompigliargli i capelli, guardarlo da tutte
le angolature, per poi concludere infilandogli un dito in un occhio.
-Carino-
commentò infine, annuendo compiaciuta -Gruppo sanguigno?-
-AB
positivo-
-Egoista.
Data di nascita?-
-25
Febbraio 1993-
-Bei
numeri. Luogo?-
-Itaca-
-Forte!
Com'è laggiù?-
-Molto...azzurro.
Bello-
-Capisco.
Il codice fiscale non te lo chiedo, me lo dirai un altro giorno, o al
massimo mi mandi una mail. Nome?-
-Diomede
Ettore Troiano. Ho diciassette anni, ma fai come se ne avessi sedici-
Siamo
di fronte alla frase standard di Ettore Troiano. A lui non piaceva
presentarsi come persona potenzialmente nella norma. Eh no,
troppo banale.
Lui
era il grande Ettore Troiano, figlio di Priamo Sakis
Troiano e Natalia Giacobello, promettente filosofo del ventunesimo
secolo, illuminista e anticonformista pluridichiarato.
Niente
di cui preoccuparsi, insomma.
Anzi!
Niente di cui preoccuparsi, esclusa la ragazzina che gli stava
davanti.
-Briseide
Caterina Asburgo. Tredici anni compiuti alle idi Marzo dell'anno
corrente e quattro mesi scoccati esattamente l'altro ieri.
Sono nata a Firenze, ma vivo sul Passo della Futa. Bello, sai? Ma non
cambiamo argomento. Mi laureerò in Lettere Classiche a
ventidue, massimo ventitré anni, perché non voglio perdere
tempo. Carpe diem, hai presente?-
Ettore
annuì con estrema serietà.
-Quam
minimum credula postero. Orazio. Certo-
-Non
mi interrompere, bello. Non mi interrompere- Caterina scoccò
un'occhiata severa in direzione del messinese, per poi riprendere con
foga il suo monologo.
-Non
voglio perdere tempo, dicevamo. Infatti, è proprio per questo
che mi laureerò ad Atene. Voglio dire, pensaci. Io voglio fare
la grecista. Certo, so bene che i miti come Aristotele,
Socrate e gli amici loro non resusciteranno per venire a
insegnare in facoltà, anche se la sottoscritta lo
meriterebbe. E' comunque Atene, bello mio. Se non divento
grecista lì, vado a spacciare mentine a Copenaghen. Mi segui?
No? Fattacci tuoi, mi registravi. Insomma, io divento grecista e
rimango lì, ad Atene e dintorni, finché non sarò
più ferrata di Piero Angela e potrò fondare l'Agorà
di Caterina, giornale ad alto contenuto culturale con una sede
all'Acropoli e una sull'Appennino toscano. Poi scriverò
qualche bel saggio, che non fa mai male, e nel tempo libero mi
dedicherò alla scrittura della mia serie di romanzi storici.
Anche il mio gatto, Egeo, e il mio caimano immaginario, Apollodoro,
prenderanno parte al mio successo. Sottinteso. Come ultima
spiaggia c'è sempre il salvataggio di capitoni natalizi o il
sopracitato spaccio di mentine. Domande?-
-Di
cosa vivrai?-
-Di
cultura e di mentine-
-E
ti sposerai?-
-Con
un greco che ne valga la pena-
Ettore
sorrise, guardandola con sincera ammirazione.
-Può
darsi che non sappia cosa dico, scegliendo te, una donna, per amico*-
-Non
t'allargare, Troiano. Io non sono amica di nessuno, se non del gelato
che sto per comprare e del libro che sto per leggere-
Ettore
aggrottò la fronte.
-Ossia?-
-Tucidide-
-In
tal caso è semplicemente imbarazzante chiamarlo libro.
Capolavoro rende meglio l'idea-
-Vada
per capolavoro, domator di cavalli-
-Cominci
a piacermi, schiava di Achille-
All'udire
tale epiteto, gli occhi di Caterina si spalancarono e, prima che
Ettore se ne potesse rendere conto, l'intraprendente fiorentina gli
sputò in un occhio.
-Non
t'allargare, ho detto- borbottò tra i denti, stringendosi
al petto La Guerra del Peloponneso.
Il
ragazzo cercò con gli occhi il fratello, che però era
sparito dietro gli scogli con Lupo, che aveva promesso di
raccontargli qualche bella storia in cambio del portafogli di Ettore.
Il
fatto che questo l'avesse specificato dopo, poi, non era che un
dettaglio.
-Mica
scema, la ragazza. Ha un caimano immaginario- commentò
Ettorino, con quella nota di spacconeria che aveva indotto la sua
ragazza, qualche mese prima, a spaccare -tanto per rimanere in
argomento- un vaso Ming su quei suoi bellissimi capelli neri.
-Che
tu dici, bischero? Vuoi uno stivale sui denti o era un
complimento sotto mentite spoglie?-
Ettore
finse di essere di fronte ad una domanda della Sfinge.
-La
seconda-
Caterina
abbozzò un sorriso.
Pensò
che, dopotutto, avrebbe potuto anche offrirgli un gelato con i soldi
che il Lupo gli aveva appena rubato.
People
asking questions lost in confusion
Well
I tell them there's no problem
Only
solutions
Well, they shake their heads and they look at me as if I've lost my mind
I
tell them there's no hurry...
La
gente fa domande persa nella confusione
Io
dico loro che non c'è nessun problema
Solo
le soluzioni,
Loro
scuotono la testa e mi guardano come se avessi perso la testa
Io
dico loro che non c'è fretta...
(Watching
The Wheels, John Lennon)
* Citazione da "Una donna per amico" di Lucio Battisti.
Note
Buonasera
a tutti ;)
Sono
appena tornata da un weekend in Toscana e, durante il viaggio di
ritorno, ho deciso di fare questo esperimento.
Specifico
subito che per quanto riguarda i riferimenti alla città di
Messina e a Casa Bianca -frazione del comune di Messina in cui ho
passato quasi tutte le estati della mia vita- non c'è
assolutamente niente di inventato, poiché nella prima ci è
vissuto per trent'anni mio padre -e ci vivono tuttora mia nonna e mio
zio, proprio in Via Santa Cecilia-, frequentando proprio il Liceo
Classico Francesco Maurolico, e anch'io, essendoci stata innumerevoli
volte, conosco piuttosto bene la città.
Per
riguarda il riferimento a Gioia Tauro -città di Vincenzo
Caputo- era la città di mio nonno, che si chiamava anche lui
Vincenzo. Questo personaggio, se non si fosse già capito, è
dedicato a lui ;)
E
la mia amata Grecia...beh, semplicemente non poteva mancare ;)
Per
quanto riguarda il titolo: Danklon (italianizzato in Zancle, falce)
era il nome greco di Messina quando era una colonia della Magna
Grecia. Living in the Material World, invece, è una bellissima
canzone di George Harrison -il chitarrista dei Beatles- , oltre che
il nome dell'album omonimo (1973). Penso sia abbastanza
rappresentativo, poiché sia Ettore che Caterina, come si
vede già da questo capitolo, sono poco avvezzi al cosiddetto
“Mondo Materiale”, con i loro sogni e le loro bizzarrie
;)
Entrambi
sono due personaggi piuttosto particolari e, soprattutto,
anticonformisti fino al midollo, e mi auguro che la loro storia, per
quanto stravagante, vi possa piacere!
Questa
storia, seppure nata da poco, è già diventata molto
importante per me e qualche recensione mi farebbe davvero piacere ;)
A
presto,
Marty
|
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Capitolo 2 *** Dove l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni (e si dimentica della ragazza) ***
Due
Dove
l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni
(e
si dimentica della ragazza)
-Il
nonno non è cattivo- Caterina diede una bella leccata al suo
gelato -yogurt e nocciola con cialda croccante al cioccolato- poi
tirò fuori dalla tasca una pasta di mandorle comprata da Mami,
la divise a metà e ne porse una ad Ettore. Immerse la sua nel
gelato e continuò a parlare.
-Certo,
ha questo vizietto di derubare i passanti, ma per il resto è
simpaticissimo-
-Immagino
di sì- Ettore rispose con un'alzata di spalle all'occhiata che
Caterina gli aveva lanciato vedendo che non intendeva mangiare la
pasta di mandorle insieme al gelato -Ma per quanto ne so io potrebbe
anche aver annegato mio fratello-
-Non
l'ha fatto- rispose esasperata la ragazza -E' la dodicesima volta che
lo ipotizzi, ma mica è Jack lo Squartatore, sai?-
-Sarà-
Ettore avvertì un'inspiegabile sensazione di freddo e un
attimo dopo si ritrovò con un cono yogurt e nocciola tra i
capelli e innumerevoli briciole di pasta di mandorle nella camicia.
-A
Caterina non piacciono gli scettici. Complemento di termine,
predicato verbale e soggetto-
Gli
occhi di Ettore lampeggiarono di una luce tutt'altro che amichevole.
-Ma
nel dorso tu, no, non pianterai l'asta ad Ettorre, che diritto viene
ad assalirti, e ti presenta il petto; piantala in questo, se
t'assiste un dio- la guardò
con aria di sfida -Iliade, Libro Ventesimosecondo, detto anche...-
-La
morte di Ettore- concluse pacatamente Caterina.
-Traduzione
di Vincenzo Monti. Esatto-
Ettore
aggrottò le sopracciglia. Era consapevole che nessuno dei suoi
amici avrebbe saputo riconoscere quella citazione e il fatto che la
nipote del Lupo -perchè
era così che l'aveva soprannominata, ormai- l'avesse
individuata senza problemi lo lasciò inizialmente perplesso.
-La
gente dice che sono matto- riflettè ad alta voce, cominciando
a camminare verso la spiaggia.
-Incredibile-
commentò Caterina, raggiungendolo e battendogli una pacca
sulla spalla.
-Immagino
che abbiano ragione. Loro vivono nel Mondo Materiale-
-Troiano,
gli scogli!-
Ettore
si fermò un attimo prima di sfracellarsi contro la scogliera.
Si
voltò verso la ragazza, che lo guardava senza ridere,
sorridendo soltanto, con una dolcezza che, era evidente, non era da
lei.
-Dolce
come non sei...come non sei tu...-
poi scosse la testa, incupendosi -Ma c'è qualcosa
che non scordo...*-
Il
Lupo. La “sua” Fender. Caterina, che era sua nipote.
Accidenti.
A
strapparlo da quei pensieri un po' dolci un po' amari, ci pensò
il telefonino.
Sympathy
for the Devil, Rolling Stones.
Non poteva che essere Eileen. Eileen!
-Linny!- gridò
accettando la telefonata, con la stessa identica voce che avrebbe
avuto se gli stessero asportando la milza senza anestesia.
-Criseide- fu
l'amichevole risposta che gli vibrò nell'orecchio
destro.
E ti pareva.
-I should have known
better, with a girl like you..**.- provò ad addolcirla, ma
nemmeno i Beatles servirono a placare la furia che, Ettore lo sapeva,
stava montando nel corpicino di quella pericolosa ragazza.
-Ettorino! Dov'è
la piccola?-
Come volevasi
dimostrare. E dov'era Criseide? Dove?
Ettore socchiuse gli
occhi, pregando perchè qualche magnanimo filosofo gli
suggerisse la risposta.
Quando li riaprì,
una bicicletta azzurra gli sfrecciò a un soffio dal naso,
facendogli rischiare una sincope fulminante.
In quel momento, Ettore
Troiano ebbe la certezza che il Lupo non aveva ucciso Giuseppe.
Pensò che,
dopotutto, sarebbe stato lui ad ucciderlo.
-Ci credi se ti dico
che in questo preciso momento sta sperimentando la spericolata guida
del Lupo con Giuseppino sul portapacchi?-
Credi
agli asini che volano, Ettorino? Purtroppo
sì, ci credeva.
-No-
-Bene,
ti aspetto a Casa Bianca-
Con
queste parole le chiuse il telefono in faccia, fischiettando per la
soddisfazione di essere riuscito a non farsi mettere i piedi in testa
dall'impetuosa zia.
-Oh,
yeah!-
Proprio
mentre stava per riporre il telefono in tasca, però, esso
emise una vibrazione simile al ronzio di un calabrone.
Ettore
lanciò un'occhiata distratta al display.
Oh
luce dei Dàrdani, tu baluardo della nostra speranza, dove sei
stato finora immemore?
Enzo
Un inspiegabile sorriso
gli si dipinse sul volto.
Con
la nipote del Lupo.
P.S:
Non si cita l'Eneide invano!
Ettore
Tempo ventisette
secondi e il telefono ricominciò a vibrare.
Giura!
Dove sei?
Ettore sospirò.
Incastrato
tra due scogli di Casa Bianca. Lunga storia.
La risposta non si fece
attendere.
Vengo
anch'io!
Idiota d'un Vincenzo
Caputo.
No,
tu no!
Un'altra vibrazione.
Ancora un po' e avrebbe
buttato il telefono in mare, ne era sicuro.
You
don't realize how much I need you!***
Es.
324 pag. 166
Anita
Il matematico del
gruppo era Vincenzo, non lui.
Anita aveva da poco
comprato un cellulare touch screen e, non avendoci ancora
preso la mano, continuava a cliccare Ettore al posto di Enzo
– e viceversa.
Se non avesse
memorizzato il numero di Eileen sotto la lettera L -Leen-,
probabilmente, sarebbe impazzita.
Sono
Ettore.
Inoltro
a Enzo, prima che il touch ti uccida.
Ventiquattro secondi.
Brrrrr!
Vibrazione
del cavolo.
Ettore cominciava ad
odiare profondamente il proprio telefonino.
Mitico!
Inoltrato
da Enzo.
Prevedibile.
Finalmente spense il
cellulare.
Si girò,
aspettandosi di vedere Caterina, ma della nipote del Lupo non c'era
nemmeno l'ombra.
Sorpreso, si incamminò
verso la villa del Lupo, venendo subito accolto dall'ombra del grosso
albero di limoni che nascondeva la casa da occhi indiscreti.
Ai piedi dell'albero,
una meravigliosa Fender Telecaster bianca luccicava catturando su di
sé i tiepidi raggi del sole.
Estasiato, Ettore si
inginocchiò davanti al cancello, protendendo le mani per
toccare il sublime strumento.
Ne accarezzò la
tastiera, le corde, i capotasti.
Un
sogno?
Ad un tratto, però,
il ragazzo si accorse della presenza di un corpo estraneo.
Un pezzo di carta,
anzi, un foglio pentagrammato, infilato di traverso tra le corde
della Fender.
Scribacchiate con una
pessima calligrafia, le parole che seguono:
A
Cate
Séan
Ma
se in fondo al cuore tuo c'è un ragazzo, sono io
Ettore riconobbe le
parole di Se bruciasse la città, il grande successo di
Massimo Ranieri, nonché la canzone preferita di suo padre.
Nessuno
sa chi sono io, ma il primo bacio è stato mio
Possibile che qualcuno
avesse dedicato quella canzone a Caterina?
Ettore socchiuse gli
occhi, pensieroso.
Ebbene sì,
qualcuno doveva avergliela dedicata.
Chissà perchè.
Chissà chi.
Chissà dov'era
lei!
Sembrava essere stata
risucchiata dal vuoto.
Impossibile.
In quel momento, però,
non gli importava più di tanto.
Era solo con una
bellissima Fender Telecaster bianca, erano solo loro due, Ettore e
la Fender.
Attimi incantati.
-Ettore...-
sussurrò all'improvviso una voce sottile alle sue spalle,
risvegliandolo dall'estasi.
Un attimo dopo, il più
clamoroso occhio nero della sua vita lampeggiava come un segnale
stradale sul suo viso.
Note
* Citazione di “Mi
ritorni in mente” di Lucio Battisti.
** Citazione di “I
should have known better” dei Beatles.
*** Citazione di “I
Need You” dei Beatles.
Mami: Rinomata
pasticceria di Messina, la mia preferita. Le paste di mandorle che
fanno lì sono qualcosa di celestiale ;)
Ettorre:
Potrebbe sembrare un errore di distrazione, ma non lo è. Nella
traduzione dell'Iliade di Vincenzo Monti Ettore è chiamato più
volte così.
“No,
tu no!” Visto che mi sono
dimenticata di mettere gli asterischi, anche se è abbastanza
comprensibile, è una citazione “indiretta” di Enzo
Jannacci.
P.S: La Fender
Telecaster bianca era il sogno di mio padre ;)
Al prossimo capitolo ;)
Marty
|
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Capitolo 3 *** Dove si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità del proprietario della Fender ***
Tre
Dove
si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità
del proprietario della Fender
Ettore
riaprì l'occhio destro a fatica, borbottando parole
incomprensibili.
La
ragazza di fronte a lui era vergognosamente alta, spaventosamente
nervosa e, soprattutto -ma forse sarebbe più corretto dire per
fortuna- non conosceva il greco antico, la lingua in cui Ettore
stava imprecando.
Briseide
Caterina Asburgo, la nipote del Lupo.
Era
giunto il momento di dare un bel calcio nel sedere -gentilmente- alla
filosofia e di fare valere lo spartano che era in lui.
-Ela
mazì mou- sussurrò tra i denti, non prima di averla
afferrata per un polso e trascinata dietro ad una pianta di verdelli.
-Prego?-
-Non
ho nessuna intenzione di ripetermi-
-Ma
io non ho capito- protestò la ragazza, incrociando le braccia
al petto.
-Fattacci
tuoi, mi registravi. Citazione-
Caterina
spalancò gli occhi.
-Brutto...-
-Risparmiati
gli insulti per dopo. Adesso mi spieghi perché diamine mi hai
dato quel pugno-
-Non
sarai mica uno di quei maschilisti che non accettano di essere menati
da una femmina!-
-Sono
solo uno di quei tanti che non accettano di essere menati senza una
ragione-
-Non
dovevi leggere quello che hai letto- spiegò lei con un' alzata
di spalle.
-Potevi
dirmelo-
-Mi
sembra che il mio pugno abbia parlato chiaro-
Ettore
si sfiorò con le dita l'occhio ferito.
-L'ha
fatto, credimi-
La
nipote del Lupo gli lanciò uno sguardo obliquo, per poi
rivolgergli un mezzo sorriso.
-Cos'hai
detto prima?-
-Ela
mazì mou. Vieni con me. E' greco-
Caterina
annuì.
-Conosci
Séan Liszt?-
Ettore
scosse la testa.
-Conosco
un Séan, quello a cui ho fatto un occhio nero la settimana
scorsa, ma non ne conosco il cognome- scrutò per alcuni
secondi l'espressione sorpresa di Caterina, dopodiché decise
di continuare.
-Prima
di aggredirlo non ero esattamente dell'umore giusto per chiederglielo
e dopo non lo era lui per
dirmelo. Una brutta storia, insomma-
-Se
è lui giuro che ti sposo-
-Coraggio,
racconta-
Caterina
ci pensò su. Cosa sapeva quel ragazzo di lei?
Che
era mezza matta, una maniaca della grammatica e che picchiava come un
Mirmìdone.
Molto
più di quello che sapevano gli altri, per certi versi.
Si
poteva fare.
Si
scostò i capelli dagli occhi, fece un lungo sospiro e, dopo
avergli preso la mano per motivi a lei stessa oscuri, cominciò
a raccontare. Non tutto, naturalmente. Perlomeno il raccontabile.
-E'
tedescoungherese -padre di
Budapest e madre di Colonia-, ha quindici anni ed è AB
positivo, proprio come te. Non mi sono mai fidata degli AB positivi.
Io sono 0 negativo e ne
vado fiera. Che altro dire? Ha una gran faccia tosta e, tanto per la
cronaca nera, è il proprietario della Fender che
guardavi nemmeno fossi davanti alle rovine di Delo-
Ettore
sorrise tra le righe.
-Ci
giocavo da piccolo, tra le rovine di Delo-
-Zitto,
tu. Per quanto greco e sfacciatamente fortunato -sacrificherei
la mia copia per vedere almeno una volta il Tempio di Apollo-
continui ad innervosirmi, con le tue interruzioni. Dicevo? Certo. La
cosa che più detestavo di lui era il cognome. Liszt, come
Franz Liszt, il compositore. Non ho ancora capito come
accidenti si pronuncia e ogni
volta che ci provavo lui scoppiava a ridere come un beota-
-Bada
a come parli, bella. Mio cugino è di Livadeia-
-E
con ciò, razza di decerebrato?
Io mica ho dato del beota a tuo cugino!-
Ettore
scrollò le spalle.
-E'
un beota anche lui-
-Ma
perchè è nato in Beozia.
Séan Liszt...ecco, mi hai fatto pronunciare il suo cognome! Ad
ogni modo, quel bischero
è tedescoungherese e incredibilmente cretino.
Cretino va bene? Hai dei cugini cretini? Cretini della Cretinia? No?
Bene. Séan Liszt, in qualunque modo si pronunci,
suona dannatamente bene la chitarra. Suonava,
perchè poi il nonno s'è messo in testa di metter su una
band e gliel'ha fregata. Ma ben gli sta, a quel pappataci-
-Una
band? Il Lupo?-
-Perché
no? E' bravino, mio nonno. Tu suoni?-
-In
genere preferisco bussare- sorrise -Scherzi a parte, sì, ma
sulla Fender/scolapiatti di Enzo non è che si possa fare
chissà quale virtuosismo alla Jimi Hendrix. E comunque guarda
che Franz Liszt era un grande, eh! Un notturno come Sogno d'Amore, ai
giorni nostri, ce lo possiamo giusto sognare.
Ma te l'ha dedicata lui la canzone? Voglio dire, Séan. Se
bruciasse la città-
Caterina
sussultò.
-Non
dirlo mai più. Non mi piace neanche, Ranieri-
-Ma
ti piaceva-
-Ti
piacciono i panda, Ettore Troiano?-
-Animaletti
simpatici. Perché?-
-No,
perché un occhio nero ce l'hai già. Se te ne facessi un
altro saresti decisamente
meno carino-
-Mi
trovi carino?-
-Prendila
così-
-Non
possiamo farne un dramma...*-
-Tu
sei proprio fissato con Battisti, eh?-
Ettore
rispose con un sorriso ambiguo.
-Beh.
Se mi conoscessi, sapresti che con George Harrison e Keith Richards
sono peggio-
Se
mi conoscessi. Caterina non
sapeva spiegarsi esattamente il perché, ma quel congiuntivo
imperfetto le aveva fatto sentire come un pizzico all'altezza del
cuore.
Improvvisamente
provò il desiderio di conoscerlo,
Diomede Ettore Troiano. Di conoscerlo davvero.
-Comunque
ci assomigli, a Keith Richards. A Keith Richards da giovane-
Ettore
spalancò gli occhi.
-Sul
serio?! E' uno dei miei idoli. Si sarà anche fumato le ceneri
del babbo, ma è un mito dalla testa ai piedi-
-Sì,
lo penso anch'io-
Ettore
le lanciò uno a sguardo tra l'obliquo e il divertito.
Avrebbe
potuto ipotizzare che Caterina gli stesse simpatica,
ma non ne era ancora sicuro.
-Passata
la maninconia?-
-Tanto
io lo so perché mi ha lasciato. In Germaniaungheria
le ragazze sanno pronunciare il
suo cognome molto meglio di me. Io lo facevo ridere sempre-
Se
c'era una cosa sicura, era che quello che gli piaceva di lei era il
suo modo di riflettere sulla situazione: qualsiasi ragazza di sua
conoscenza -escluse Eileen e Anita, sottinteso- avrebbe pronunciato
quelle parole con malinconia, magari anche con gli occhi lucidi, la
voce sommessa e piagnucolante.
Caterina
le pronunciava con stizza, sfida, fastidio, infinita irriverenza. Le
pronunciava come se fosse Séan il colpevole della sua
incapacità di pronunciare il cognome del ragazzo.
Le
pronunciava in un modo che gli avrebbe fatto perdere la testa, se non
fossero state parole riferite ad un altro, se non fosse stato un
discepolo della filosofia.
-...meno
bella certo non sarai- azzardò
Ettore, che ti preciso non sapeva come gli fosse venuta quella
citazione, ma, semplicemente, gli era sembrata appropriata.
Appropriata,
perché era bella, Caterina, con i capelli scompigliati sul
viso, le guance arrossate dal sole e gli occhi inquieti.
Bella
almeno come Diane Kruger in Troy, a cui aveva dedicato ogni suo
accordo di chitarra o pensiero filosofico dagli undici ai quindici
anni.
Appropriata,
anche mentre riceveva il secondo pugno in un occhio della giornata,
proprio dalla bella Briseide Caterina Asburgo, l'irresistibile,
intrattabile nipote
del Lupo.
Appropriata,
perché lui era beota molto più di suo cugino.
Note
*Citazione
di “Prendila così” di Lucio Battisti.
Mirmìdone:
in questo contesto è inteso come guerriero di Achille –
il quale era, appunto, il re dei Mirmìdoni.
Livadeia:
Capitale della regione greca della Beozia, i cui abitanti si chiamo
proprio Beoti ;)
In
questo capitolo si comincia a scoprire qualcosa in più su
Caterina -oltre alla sua insana passione per gli occhi neri-, un qualcosa che spero non vi abbia lasciati delusi ;) Ad
ogni modo, siamo ancora all'inizio :)
Un
grazie sincero a eveline90 per
la bellissima recensione e naturalmente anche a tutti i lettori e, in
anticipo, a futuri eventuali recensori ;)
Al
prossimo capitolo,
Marty
|
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Capitolo 4 *** Dove si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la speranza ***
Quattro
Dove
si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la
speranza
I've
lived in fear,
I've
been out there,
I've
been 'round and
Seen
my share
Of
this sad world
Ho
vissuto nella paura
Sono
stato là fuori
Mi
sono girato e
Ho
visto la mia parte
Di
questo mondo triste
(Who
Can See It, George Harrison)
-Cathy!
Ti sembra questo il modo di aggredire i passanti?-
Improvvisamente,
fu come se la scena di un film si fosse interrotta.
Pausa,
stop, buttata fuori la videocassetta.
Ettore,
trovandosi particolarmente vicino al volto di Caterina, potè
assistere al repentino cambiamento nei suoi occhi.
Fu
come se la sua...unicità, Ettore non trovò altre
parole per definire quell'insieme di aggettivi che avrebbero potuto
descrivere Caterina e che non esistevano, si fosse indebolita,
incrinata, smarrita.
Per
un attimo gli parve di scorgere una leggera patina trasparente
offuscare gli occhi di quella ragazza tanto simile a lui da fargli
quasi dubitare della sua esistenza.
Sentiva
il suo cuore battere come il becco di un picchio su un tronco di
cemento armato, quella sorta di luce invisibile che le faceva da
seconda pelle, rendendola tanto speciale ai suoi occhi, anche se
inconsciamente, si era come squarciata.
Una
ragazza dai serici capelli rossi raccolti in una lunga treccia e due
occhi incredibilmente simili a quelli di Caterina era apparsa sulla
soglia della villa.
-Perché,
tu come li aggrediresti?- per un attimo tornò ad essere lei,
la sarcastica, fiera e battagliera Caterina -E poi lo sai che non
devi chiamarmi Cathy-
Poi
guardò Ettore, sussurrandogli poche, indimenticabili
parole.
-Noi
siamo amici?- la sua voce tremava.
Il
ragazzo annuì, profondamente stupito dal cambiamento.
Cosa
era andato storto? Era successo tutto troppo velocemente.
Caterina
cominciò a cercare disperatamente qualcosa nella tasca dei
pantaloni, finché finalmente non ne estrasse un foglietto
stropicciato e decisamente malridotto.
Vi
scribacchiò sopra qualche parola con il mozzicone di una
matita reperito nella medesima tasta, glielo mise in una mano,
dopodiché alzò lo sguardo.
-Sono
contenta- sorrise debolmente -Ma non dirlo a lei... Non a lei-
ripeté, scuotendo la testa.
-Questi
sono i miei appunti di storia. Abbine cura come può averne un
greco che ne valga la pena-
E
corse via. Come una foglia scaraventata lontano dal vento autunnale,
come strappata dal suo albero, corse via.
Le
sue parole riportarono Ettore alla loro prima conversazione.
“E
ti sposerai?”
“Con
un greco che ne valga la pena”
Che buffa coincidenza.
Ettore si girò a
guardare il vento autunnale, che si avvicinava a vista
d'occhio, a quanto potè constatare.
-Sei
un amico di quella stupida?- domandò ridendo, facendo
ondeggiare la treccia.
-Non
è...- “Non è una stupida”, fu
tentato di rispondere, ma ricordò le parole di Caterina
-Voglio dire, non è molto normale quella ragazza-
-Puoi
dirlo forte! Io sono Zoe, la sorella di Cassandra. Io la
chiamo così da quando, a undici anni, mi ha confessato di
avere una cotta per Pericle, quello dell'Antica Grecia. Roba
da manicomio!-
-Proprio-
Pericle, grandissimo generale. Ettore trattenne a stento un
sorriso.
Fu
quando Zoe gli chiese il suo nome, però, che l'aspirante
filosofo realizzò che Caterina avrebbe potuto rispondere alla
famosa domanda su Lisandro e Alcibiade.
L'unica,
forse.
Fu
allora che le rispose.
-Alessandro-
Non
avrebbe dovuto reagire così.
Lei
era quella che si era presentata ad Ettore dopo l'attacco del Lupo,
non c'erano altre Caterine lì intorno.
Con
Zoe non era mai riuscita ad essere sé stessa.
Lei
distorceva, sgualciva, spezzava il suo modo di essere,
intrappolando la battagliera e spartana Caterina in una ragazzina
fragile e tremante.
Alcuni
sostenevano che fossero le sorelle più piccole a rompere la
quiete, rubare gli affetti, catturare tutte le attenzioni.
Aveva
sempre sospettato che quella di Zoe fosse una sorta di difesa,
sebbene lei, inevitabilmente, la percepisse come una vera e propria
cattiveria.
Le
aveva distrutto l'infanzia, Zoemarie.
Adesso
aveva sedici anni ed era a dir poco ridicolo da parte sua accanirsi
contro la sorellina tredicenne, una ragazza che, tra le altre cose,
era sempre stata sufficientemente autonoma ed indipendente da non
ottenere preferenza alcuna da parte di genitori, parenti o amici.
Le
faceva male, però, il comportamento di Zoe.
Il
modo in cui le strappava le cose dalle mani.
Non
avrebbe dovuto reagire così, eppure quel giorno era stata più
dolorosa del solito, la vista di Zoe, la consapevolezza che anche
quella volta le avrebbe impedito di avere un amico, una vita,
un'identità.
Ettore,
quel ragazzo così meravigliosamente simile a lei, era nelle
grinfie di Zoemarie.
L'aveva
salvato, forse, con i suoi appunti e le sue domande.
Ma
lui avrebbe voluto fidarsi di lei?
Avrebbe
mantenuto quell'ultima, assurda promessa?
Gli
avrebbe spiegato la situazione, ma lui avrebbe capito?
Sarebbe
stato troppo divertente, quella volta, per Zoe, fare il suo solito
gioco.
Strappare
la sottile corda che la legava a ciò che aveva faticosamente
guadagnato.
Strapparla
e via.
Eppure,
questo Zoe non lo sapeva, in quei pochi minuti che erano stati
insieme, Ettore si era dimostrato molto più vicino a lei e
alle sue piccole follie che alle impietose, taglienti realtà
materiali.
“Non
vi è niente al mondo che non mi sia stato rubato da mia
sorella”
Ettore avrebbe letto i
suoi appunti di storia e avrebbe capito che, da Caterina Asburgo,
erano quanto di più prezioso avrebbe mai potuto ottenere.
I
only ask, that what I feel,
Should
not be denied me now
As
it's been earned, and
I
have seen my life belongs to me
My
love belongs to who can see it
Io
chiedo solo che quello che sento
Non
dovrebbe essermi negato ora
Così
come è stato guadagnato
La
mia vita appartiene a me
Il
mio amore appartiene a chi riesce a vederlo
(Who
Can See It, George Harrison)
Note
Buon
giovedì pomeriggio ;)
Prima
di qualsiasi altra cosa ricordo che oggi è l'anniversario
della morte del caro, vecchio Napoleone Bonaparte. Ei fu, siccome
immobile, proprio il 5 Maggio del 1821 ;)
Oggi
a scuola sono stata l'unica a ricordarmelo ;)
Fatto
un minuto di silenzio per il nano francese, apro una breve parentesi
per specificare che, per quanto la cosa mi provochi un
leggerissimo imbarazzo -ma nemmeno troppo, sono anticonformista
quasi come Caterina- anche io, a undici anni, avevo una cotta -se
così si può chiamare- per Pericle, o almeno per
l'immagine che mi ero fatta di lui studiandolo.
Attualmente,
a due anni di distanza -adesso ne ho tredici- lo considero ancora un
grand'uomo e uno straordinario generale -come ha gestito lui la Fasa
Archidamica della Guerra del Peloponneso non avrebbe saputo gestirla
nessuno-, ma sono lievemente rinsavita ;)
Per
quanto riguarda il capitolo, ho messo a nudo una parte piuttosto
importante del carattere di Caterina, la sua fragilità dovuta
al particolare rapporto con Zoemarie, sua sorella.
Premetto
che la loro situazione sarà un po' diversa da quella del
classico “odio”-che poi vero odio non è mai, come
anche in questo caso- tra sorelle e, anzi, sarà parecchio
complicata.
Ettore,
però, sebbene ancora parecchio confuso, è talmente
simile a Caterina da arrivare a presentarsi a Zoe con un altro nome
per salvaguardare quell'amicizia appena nata.
La
canzone Who Can See It di George Harrison di cui ho utilizzato
alcune citazioni fa sempre parte dell'album Living in the Material
World e spero che abbia sottolineato/descritto ulteriormente la
situazione ;)
Mi
auguro che anche questo capitolo più serio e per certi versi
drammatico vi sia piaciuto.
Come
al solito un ringraziamento speciale ad eveline90, fin troppo
gentile, e a tutti coloro che hanno letto ;)
Al
prossimo capitolo,
Marty
|
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Capitolo 5 *** Dove si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare una grande malinconia ***
Cinque
Dove
si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare
una grande malinconia
Oh,
baby, baby, it's a wild world It's hard to get by just upon a
smile Oh, baby, baby, it's a wild world I'll always remember
you like a child, girl
Oh,
baby, baby, è un mondo selvaggio
E'
difficile da ottenere solo con un sorriso
Oh,
baby, baby, è un mondo selvaggio
Io
ti ricorderò sempre come una bambina, ragazza
(Wild
Word, Cat Stevens)
-E'
dannatamente presto per poter dire di provare qualsiasi
genere di forma d'affetto
nei suoi confronti-
Ettore
diede un calcio ad una pietra.
-Ho
rifiutato l'invito di Zoe a prendere un gelato. Ne avevo già
mangiato uno, non sono un ingordo. Le ho detto di chiamarmi
Alessandro. Come Alessandro Magno, no? Tutti sentono il bisogno di
evadere dalla propria identità, almeno una volta nella
vita...no? No, ma al diavolo la diplomazia. Io non sono mai stato un
ragazzo diplomatico, accidenti!-
Si
buttò nella sabbia, come un bambino al suo primo incontro con
il mare.
-In
secondo luogo -ma che dico, in primo- mio fratello è
nelle mani di un criminale. Povero Giuseppino mio! Eppure ho come la
sensazione che preferisca quest'esperienza al bagno serale e alla mia
compagnia. In fin dei conti, sono fatti suoi-
Si
avvicinò carponi ad uno scoglio e, una volta dopo aver
individuato un nutrito gruppo di patelle, provò a staccarne
qualcuna.
-E
Caterina? A che gioco sta giocando Caterina? A me piace, Caterina. E'
bella, è...sorprendentemente uguale a me. Una ragazza come
lei, prima, non l'avevo mai incontrata. Mi piacerebbe sapere cosa
fare, una volta nella vita. Io sono un filosofo. Non posso stare qui
a rompermi le dita con queste stupide patelle e...-
Ettore
tacque di colpo.
-Bello,
bello e impossibile, con gli occhi neri e il tuo sapor mediorientale-
In
tutta la sua vita non aveva mai sentito una voce più stonata.
In
tutta la sua vita, non aveva mai pensato di mandare al diavolo la
filosofia.
Su
uno scoglio poco lontano, Briseide Caterina Asburgo era alle prese
con l'ottantatreesima frase di analisi logica, oltre che con una
canzone che non sapeva assolutamente cantare.
Raggiungendola,
le si inginocchiò di fronte, scrutando quei suoi occhi belli e
irrimediabilmente tristi.
Irriconoscibili.
-Ehi,
Cate...o chiunque tu sia. Noi siamo amici, soggetto e
predicato nominale, ma se non mi spieghi cosa sta succedendo...-
Lei
scrollò le spalle, con una piccola smorfia.
-Look
what you're doing, I'm feeling blue and lonely, would it be too much
to ask you what you're doing to me?-
-Beatles
For Sale, 1964. Sai che questa canzone non la conosce quasi nessuno?-
Con
una mano le scostò i capelli dalla fronte, guardandola dritto
negli occhi.
-Stavi
cantando per Séan, prima? Eppure, se lui è
tedescoungherese, gli occhi neri...-
-Ce
li hai tu-
-Appunto,
ma io sono italo-greco, cosa...-
-Lascia
perdere...- lo interruppe lei, con un sospiro.
-Lascio
perdere? Oh, come vuoi-
Poi
inclinò la testa da un lato, guardandola con un mezzo sorriso.
-Hai
mai provato a staccare le patelle dagli scogli?-
Caterina
sorrise.
-Qualche
volta- esitò, dubbiosa -Cosa ti ha detto Zoe?-
-Che
sei una stupida, che avevi una cotta per Pericle... Io le ho detto di
chiamarmi Alessandro-
In
quel preciso momento, la tasca dei pantaloni di Caterina iniziò
a vibrare.
Lesse
velocemente, dopodichè sorrise.
-Oh,
Ginevra-
Strozzala
Vì
-Chi?-
-Ginevra,
la mia amica-
Ripensò
alle parole di Ettore.
Alessandro.
Sorrise.
Le
ha detto di essere Alessandro Magno
Cat
La
ragazza posò il dito sulla scritta invio, dopodiché
alzò la testa di scatto.
-Magno?-
-Beh,
no. Mi sembrava poco verosimile-
-In
effetti-
No,
non Magno. Alessandro e basta.
Si
corresse velocemente.
E
come hai detto che si chiama?
Lanciò
uno sguardo al ragazzo pensieroso di fianco a lei.
Ettore.
Un
nome che, dopotutto, le era sempre piaciuto.
Di
Troia?
Oh,
magari.
Troiano.
Ettore Troiano.
Si
lasciò sfuggire un sorriso, che durò giusto fino al
momento in cui lesse la risposta.
Proprio
un nome da incidere sulla fede!
-Cretina-
bofonchiò, per poi gettare il cellulare in acqua.
-Che
hai fatto?!- gridò Ettore, inorridendo alla vista del povero
telefono annegato.
-Che
ho fatto?-
-Hai
ucciso il cellulare!-
-Era
di Zoe-
-Di
Zoe?-
-Proprio-
Ettore
sorrise.
-Guarda
un po' che furbetta-
Caterina
alzò lo sguardo.
-Chi?-
Era
chiaro che Ettore si riferiva a lei, ma davanti all'ostinata
tordaggine di Caterina preferì non ripetersi.
-Questa
patella. Non vuole saperne di staccarsi, provaci tu-
-Vediamo
un po'-
Cominciò
ad armeggiare con le unghie sulla parete dello scoglio, ma poco dopo
gettò la spugna, sconfitta.
-Niente
da fare-
-Peccato.
Mi sarebbe piaciuto portarla a mio fratello...mio fratello!-
Ettore
sussultò, scattando in piedi.
-Giuseppe.
E' ancora con tuo nonno, vero? Sta bene, vero?-
Caterina
alzò le spalle.
-Beh,
lo sapremo subito. Passami il cellulare-
Seppur
dubbioso, Ettore eseguì.
Nonno,
il fratello dell'ostaggio chiede notizie.
Caterina
Digitò
velocemente il numero criptato del Lupo, accertandosi che Ettore non
la vedesse.
Pochi
minuti dopo gli potè mostrare la risposta.
Se
n'è andato.
-Oddio,
l'ha ucciso!-
Caterina
scosse la testa, senza staccare lo sguardo dal display.
Dove?
Scrisse
velocemente, per poi lanciare un'occhiata apprensiva ad Ettore.
Con
la bicicletta. Ha detto che tornava a casa.
-Sei
tranquillo, adesso?-
Ettore
sembrava in preda ad una crisi.
-Giuseppino...sette
anni...tornato a casa...da solo...-
Caterina
gli posò una mano sulla spalla.
-Se
la caverà benissimo-
-E'
caduto. Ha battuto la testa. L'hanno investito. Una pantegana gli ha
tagliato la strada!-
-Ettore,
sono sicura che non... Una pantegana, dici?-
-Infidi
animali! Chissà dove l'avranno portato... Il mio povero
fratello! Quando era piccolo mi ha attaccato la varicella, sai? Non
gli ho parlato per due settimane. Una volta mi ha morso il naso: ho
ancora la cicatrice. Però...però...io gli voglio bene!-
-Dubito
che le pantegane siano così intelligenti. Voglio dire,
addirittura sequestrare un bambino...-
-Non
sottovalutare quei roditori!- gridò Ettore, fuori di sé
-Potrebbero averlo indotto a fare qualsiasi cosa. Ma io lo
salverò!-
-Ci
piomba addosso del furibondo Ettorre la ruina. Oh, gaudio!-
-Libro
XI- affermò quest'ultimo, sicuro. Poi afferrò il
cellulare.
-Potrebbe avermi
scritto!- gridò, esultante.
-Dal
covo delle pantegane, si capisce.
Ettore
lesse l'ultimo messaggio arrivato e, piano piano, cominciò a
riprendere colore.
Pinuccio
è con me. E anche Criseide.
Leen
Tirò
un sospiro di sollievo, facendo il segno della croce. Poi si lasciò
cadere nella sabbia, esausto.
-Hold
me close and tell me how you feel-
sussurrò poi, guardando
distrattamente Caterina -Let me hear you say the words I long to
hear-
-Beatles
For Sale, 1964- Caterina distolse lo sguardo, imbarazzata -Words
of Love-
-Esatto-
-A
chi ti riferivi?-
Ettore
aggrottò la fronte, socchiudendo gli occhi.
-A
nessuno in particolare-
Poi
le prese le mani e cominciò a canticchiare.
-She
said: I know what it's like to be dead, I
know what it is to be sad.And she's making me feel like I've never
been born-
Caterina
scosse la testa, sorridendo.
-You
don't understand what what I said-
Il
ragazzo si accigliò.
-No,
no, no, you're wrong. When I was a boy...-
Caterina
tremò nel pronunciare quelle parole tanto lontane dal suo
stato d'animo.
-Everything
was right-
-Everything
was right*- ripetè Ettore, stringendole la mano -Soggetto
e predicato nominale-
-Soggetto
e predicato nominale-
All'improvviso,
davvero andava tutto bene.
You
know I've seen a lot of what the world can do And it's breakin'
my heart in two Because I never wanna see you a sad girl Don't
be a bad girl
Tu
sai che ho visto molto di ciò che il mondo può fare
E
ciò ha spezzato il mio cuore in due
Poiché
io non vorrei mai vederti triste, ragazza
Non
essere una cattiva ragazza
(Wild
Word, Cat Stevens)
Note
*
Citazioni
di “She Said She Said” dei Beatles (Revolver, 1966).
Buon
pomeriggio ;)
In
questo capitolo ho introdotto Ginevra, l'amica di Cate, personaggio
che si dimostrerà in seguito piuttosto particolare.
Caterina
non ha ancora spiegato a Ettore la situazione con Zoe, ma ugualmente
cominciano a conoscersi, a fidarsi, a piacersi.
E
sarà vero che staccare le patelle dagli scogli cantando
canzoni dei Beatles aiuta ad attenuare la malinconia? ;)
Grazie
ad eveline90 e a
KumaCla per aver
recensito :)
Al
prossimo capitolo!
Marty
|
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Capitolo 6 *** Dove si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere vietati per legge ***
Sei
Dove
si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere
vietati per legge
All'improvviso,
mi hai chiesto: Lui chi è? Lui chi è? Un
sorriso, e ho visto la mia fine sul tuo viso Il nostro amor
dissolversi nel vento Ricordo, sono morto in un momento
(Mi
ritorni in mente, Lucio Battisti)
-Ti
andrebbe un altro gelato?-
Avendo
da poco rifiutato l'invito di Zoe, tra l'altro identico a quello che
aveva appena fatto a Caterina, il comportamento di Ettore avrebbe
potuto sembrare sospetto.
La
verità è che a lui andava eccome, un altro gelato, un
altro gelato con lei.
Il
gelataio sorrise nel preparare i loro coni.
-Neofidanzati?-
Chiese,
con una malcelata punta di malizia.
-No,
neosposi-
Il
poveretto dietro al bancone sbarrò gli occhi.
-Sa,
i nostri genitori ragionano ancora come nell'Ottocento. Ci siamo
sposati l'altro ieri e stanotte partiremo per la nostra luna di miele
a Reykjavik-
Caterina
lasciò i soldi per i due gelati nella mano dell'uomo,
dopodiché prese sottobraccio Ettore e si diresse verso una
panchina, sorridente.
-Reykjavik?
Cosa ci andiamo a fare a Reykjavik?-
-Andarci
è sempre stato il mio sogno- ammise Caterina, arrossendo di
colpo -Ma non necessariamente in luna di miele-
-Si
capisce- sorrise Ettore, e in quel momento realizzò
lucidamente di essere più che felice di averla
incontrata.
-Come
sono i tuoi amici?- le chiese a un certo punto, dando una bella
leccata al suo gelato.
Caterina
alzò gli occhi dal cono.
-Colti,
parecchio. Simpatici, soprattutto. I miei migliori amici sono
Ginevra, Fiamma ed Enea-
-Enea?-
domandò Ettore, incuriosito.
D'altra
parte, Enea era il cugino del suo omonimo più famoso.
-Il
suo vero nome è Archimede, ma poiché tutti gli ripetono
che è una vera e propria impresa eroica portare un nome
del genere e -santo ragazzo- adora l'Eneide, lo chiamiamo così-
Sorrise
compiaciuto.
-Ottima
scelta-
-Uhm,
e i tuoi?-
-I
miei li conoscerai di persona, cara- Ettore sorrise -E' quasi ora di
cena, ma devo necessariamente passare da Vincenzo a prendere
Giuseppino, perché è lì che se l'è
portato Eileen dopo il fatidico “ritorno di Criseide”-
-E
io?-
-E
tu vieni con me, no? Vuoi forse tornare da Zoe?-
Caterina
scosse la testa.
-Affare
fatto, allora?-
-Affare
fatto-
Quando
suonarono a Casa Caputo, il sole era già calato da un bel
pezzo.
Quando
suonarono a Casa Caputo, il sole era già calato da un bel
pezzo e Vincenzo andò ad aprire alla porta.
Quando
suonarono a Casa Caputo e la porta si aprì, il sole era già
calato da un bel pezzo, ma Vincenzo, quel sole, ce l'aveva negli
occhi.
Caterina
lo guardò ed ebbe un attimo di esitazione.
Vincenzo
Caputo era l'ultimo ragazzo che avrebbe voluto come amico, poco ma
sicuro.
Vincenzo
Caputo era l'ultimo ragazzo che avrebbe voluto come amico, aveva il
sole negli occhi e quegli occhi erano dannatamente belli.
Due
vivaci occhi di un bell'azzurro terso e folti capelli nerissimi e
scompigliati.
Vincenzo
Caputo, un'interessante combinazione tra Apollo e Poseidone.
Senza
contare che sovrastava Ettore di una buona quindicina di centimetri
-scarpe da ginnastica, un metro e sessantaquattro-, tanto che
quest'ultimo, per la disperazione, camminava in punta di piedi da
quando era entrato in casa.
-Ti
senti bene?- domandò dolcemente Anita, affiancando l'amico
che, decisamente allucinato, faceva oscillare lo sguardo tra Caterina
e Vincenzo, pallido come uno spicchio d'aglio accanto a una fetta di
pesce spada.
-Come
Ringo Starr di fianco a Paul McCartney- bofonchiò Ettore,
maledicendo per l'ennesima volta il metro e settantanove, il sorriso
travolgente e le bellezza insolente del suo migliore amico.
-Ma,
Ettorino, noi ti vorremmo bene anche se non raggiungessi la
lavastoviglie-
-Grazie
al cielo la supero di ben quarantasette centimetri. Ma i Caputo
dovevano proprio comprarsi 'sto Colosso di Rodi, quando hanno
riarredato la casa?-
Anita
fece un bel respiro, dopodiché cominciò il discorso che
si era appena preparata.
-Accidenti
numero uno: la tua Caterina è rimasta senza fiato davanti ai
begli occhi di Enzo, e questo non va per niente bene. Accidenti
numero due: la tua amica arriva abbondantemente alle sue orecchie,
mentre tu giusto un paio di centimetri al di sopra delle sue spalle.
Qui l'autostima o si suicida o si licenzia. Non potevi scegliertene
una più bassa? Senza contare che è pure di terza media.
La lavastoviglie dei Caputo, poi, è sì alta un metro e
diciassette centimetri, ma devi considerare che Enzo è, dopo
sua sorella, il più basso della sua famiglia, e che suo padre
passa a malapena dalla porta. Poi, suvvia, un po' di pietà per
“Altacomete”. Ha avuto un grandissimo successo!-
Ettore
alzò gli occhi al cielo. Si era quasi dimenticato che Aurora
Garibaldi, la madre di Anita, era da quindici anni la responsabile di
una ditta lavastovigli molto fantasiose e moderne.
“Altacomete”,
per l'appunto, la lavastoviglie dei Caputo, era stato il modello di
maggior successo.
Non
è ancora stato specificato, ma immagino che ormai sia
sottinteso: Anita, tanto per rigirare il coltello nella piaga,
superava Ettore di ben otto centimetri.
-Al
diavolo tutto, io sono molto più bello di lui-
-Vero-
commentò Anita, con un mezzo sorriso -Ma Enzo è Enzo e
il suo fascino, come dire, è il suo fascino-
Ettore
aggrottò le sopracciglia, non poco infastidito.
-Con
questo vorresti dire?-
Anita
arrossì.
-Che
dipende dai punti di vista, tutto qua. Per me Enzo è il
massimo e tu sei...Ringo Starr di fianco a Paul McCartney, ma io ho
sempre adorato Ringo Starr-
-Andiamo
bene-
-Ma
Ettore, che ci posso fare se tu sei bello
e impossibile -nel vero senso della parola, poichè
io una ragazza che ami la filosofia, l'Iliade e la Grecia quanto te,
esclusa Eileen, che comunque è tua zia, non l'ho mai
incontrata- e Vincenzo è bello e normale, o possibile,
quantomeno?-
Scuotendo
la testa, Ettore finse di ignorare l'amica e si preparò ad
assistere al triste spettacolo del suo altamente spaccone
migliore amico che si presentava alla meravigliosa, incomprensibile
nipote del Lupo.
-Caputo
Vincenzo Maria, nato a Gioia Tauro nel lontano 28 Dicembre 1992. o
positivo-
Caterina
gli rivolse un sorriso radioso.
-Asburgo
Briseide Caterina, nata a Firenze nel meno lontano 15 Marzo 1997. o
negativo-
Gli
occhi di Vincenzo scintillarono.
Quelli
di Ettore parevano più simili a due braci consumate e corrose
da un velenosissimo fiele.
Uno
sguardo incomprensibile, all'apparenza. Una stilettata là
dove gli faceva più male.
Il
tallone.
-Guarda
come la guarda- gli bisbigliò Anita -Scommetto le mie ultime
quattordici brioches ceriali e miele che adesso prende il
cellulare e lascia la tapina di turno-
Fu
quando videro il telefonino di Eileen -apparentemente radiosa,
con i capelli sciolti e il gomito destro appoggiato all'
“Altacomete”- illuminarsi, però, che i due
sperimentarono una rara forma di sincope di coppia.
-Ettore,
tu per me sei come un fratello- sussurrò Anita, colta da un
improvvisa emorragia alla sua ben nascosta vena sentimentale.
-E
tu come una suocera, ma ti voglio bene lo stesso-
Anita
gli tirò una gomitata.
-Porta
fuori la tua amica, ti prego. Avere Eileen contro è come
essere assediati da Gengis Khan-
-Credi
che non lo sappia? Oggi le ho rubato Criseide per convincere Pinuccio
a fare il bagno-
-E
l'ha fatto, poi?-
Ettore
allargò le braccia.
-No-
Anita
sorrise. Lei era l'unica, fin dalla notte dei tempi, in grado di
farsi rispettare da Giuseppino.
-Stasera
passo da casa tua e te lo lustro come una monetina. Adoro quel
picciriddo-
-Beata
te-
-Che
facciamo con Enzo?-
-Prima
facciamo gli amiconi, poi allontaniamo Leen e Cate dalla
stanza e infine gli diamo una botta in testa-
Anita
arricciò il naso.
-Cate
e Leen? Nella stessa stanza?-
Ettore
lanciò uno sguardo a Vincenzo.
Vincenzo,
che s'innamorava dell'aria.
Vincenzo,
che cambiava idea ogni due per tre.
Vincenzo,
il cui collo Ettore avrebbe tanto voluto avvitare da qualche
parte, proprio come un cappone in rosticceria.
Fu
sua sorella a salvare la situazione. Sua sorella e Giuseppe, che
camminava fieramente al fianco di Colomba Caputo, suo primo e unico
amore dal giorno del suo quinto compleanno.
Il
fatto che lui avesse sette anni e lei quattordici, naturalmente,
era relativo.
Ettore
scoccò uno sguardo obliquo a Caterina, dopodiché
procedette nel presentarle la sorella di Vicenzo.
-Colomba
Lisa Caputo ha quattordici anni e due mesi, è 0 positivo come
Vincenzo e frequenta il primo anno del Liceo...- fece una smorfia
-Coco, dillo tu-
-Scientifico-
replicò Colomba, sorridendo -Ettore ha sempre avuto problemi
con questo nome, ma, d'altra parte, è un aspirante filosofo-
-Coco
vuole studiare astronomia- spiegò Vincenzo, ammiccando in
direzione di Caterina.
-Questo
è troppo, però- gemette Ettore all'orecchio di Anita,
la quale sfoggiò il più smagliante dei suoi sorrisi,
bello ma terribilmente fuori luogo.
-Enzo
sì che è un rubacuori nato-
-Questa
aveva tutta l'aria di essere un'allusione-
Anita
ridacchiò.
-Continua
a fare il filosofo, tu-
Gli
doleva realizzarlo, ma a cosa gli serviva la filosofia, in quella
situazione?
Vincenzo
sorrideva. Caterina pure.
Di
colpo Ettore capì che, dopo la sua autostima, anche il suo
cuore aveva fatto le valigie.
Yes
I'm lonely wanna die If I ain't dead already Ooh girl you
know the reason why
Sì,
sono solo, vorrei morire
Se
non sono già morto
Ooh,
ragazza, tu sai perchè
(Yer
Blues, The Beatles)
Note
Ed
ecco il primo incontro di Caterina con gli amici di Ettore...anzi,
con un amico in particolare ;)
Personalmente
io adoro il personaggio di Vincenzo. Sarà che è quasi
interamente ispirato a mio nonno, e di conseguenza ha lo stesso
carattere del mio adorato nonnino -che, nonostante l'età, era
un grande dalla testa ai piedi- ma adoro scrivere di lui ;)
Mi
auguro che gli amici di Ettorino abbiano cominciato a farvi una buona
impressione -dico “cominciato” perchè in questo
capitolo non c'è ancora stato modo di conoscerli tutti del
tutto- e che il capitolo in sé vi sia piaciuto.
Ringrazio
Techno4ever e
ulisse999 per le recensioni,
tutti coloro che hanno letto e che hanno aggiunto questa storia nelle
seguite/preferite :)
A
presto,
Marty
|
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Capitolo 7 *** Dove i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino dell'aspirante filosofo ***
Sette
Dove
i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino
dell'aspirante filosofo
Io
credo che lassù
C'era
un sorriso anche per me
(Vent'anni,
Massimo Ranieri)
-Giuseppino,
stai fermo, per l'amor del cielo!-
Anita
scoccò un'occhiata severa all'amico.
-Calmati,
Et. Pinuccio bisogna sapere come prenderlo-
-Et?!-
bofonchiò Ettore, ma la Garibaldi ormai non l'ascoltava più.
Giuseppe
Troiano si dibatteva come un capitone natalizio nella vasca da bagno,
lanciando “paperelle borboniche” da tutte le parti.
Anita
fece un cenno a Vincenzo e ad Ettore.
-Bixio,
Crispi, in posizione!-
Poi
si girò di scatto verso il bidet, che, teoricamente,
avrebbe dovuto rappresentare il trono di Francesco II di Borbone,
ergo Leen.
-Dove
accidenti s'è andato a ficcare Franceschiello?-
-Ordine,
marinai! Ero andata a prendermi un'aranciata-
-“Ordine
marinai”?!- gridò Anita, nervosa come una biscia -Tu
sei il Re dei Borboni e dici “Ordine marinai”?!-
Eileen
scrollò le spalle, tornando a sedersi sull'orlo del bidet.
Non
contenta, Anita rincarò la dose.
-E
poi, bella, fammi capire. Qui si conquistano le Due Sicilie e tu ci
tradisci per una vile aranciata?- fece un lungo sospiro, dopodiché
si rivolse a Nino Bixio e Francesco Crispi, alias Vincenzo ed
Ettore, alias i due dementi che si contendevano il gabinetto.
-E
voi due? Cosa dovrei dire di voi due? Siete garibaldini, mica due
piccioni intordonuti!-
Quello,
i ragazzi di Via Santa Cecilia lo sapevano da tempo, era l'unico modo
di fare il bagno a Giuseppe, pestifero garibaldino arcifissato con
l'Unità d'Italia.
Caterina
osservava la scena da dietro la tenda della doccia, piuttosto colpita
dalla particolarità della situazione.
-Abbiamo
fatto l'Italia- proclamò ad un certo punto Giuseppe, guardando
con sufficienza il traffico di “patrioti” intorno a lui
-Ora dobbiamo fare gli Italiani-
Di
fronte a tali parole, semplicemente, Ettore non ci vide più.
Saltò
in piedi e a poco servirono gli strilli di Anita di fronte alla sua
ira funesta.
In
poco tempo fu addosso al fratello, che si ribellava scalciando e
spruzzando acqua saponata dappertutto.
-Ri-ti-ra-ta!-
si sgolava la povera Anita, sbracciandosi e saltando per attirare
l'attenzione dei due fratelli Troiano.
-L'Italia
è fatta, il bagno pure. Vogliamo anche scannarci, giusto per
non perdere tempo?- gridò, per poi dirigersi a passo svelto
verso la porta e schiantarsi contro lo stipite con un fragore che
dire preoccupante era dire poco.
-Anituccia,
tutto bene?- le chiese sogghignando Eileen, beccandosi un calcio
negli stinchi e uno sguardo truce dalla sopracitata fanciulla.
-Non
è giornata per le uscite di scena- dichiarò infine
quest'ultima, percorrendosi la fronte dolorante con i polpastrelli.
Vincenzo
provò ad alzarsi dal gabinetto per aiutarla, ma un alquanto
seccato Ettore lo trascinò di nuovo giù, facendogli la
linguaccia.
-Non
è che tutte le ragazze presenti debbano necessariamente
sperimentare la tua dubbia galanteria, bello-
Vincenzo
si strinse nelle spalle.
-Beh,
Anituccia è anche amica mia-
Studiando
l'espressione corrucciata dell'amico, Vincenzo Caputo venne a
conoscenza di un'assiomatica verità.
Decisamente,
non era giornata.
Ma
poiché, si sa, è sempre bene motivare un'affermazione,
ecco la cruda conferma della sopracitata verità.
Quando
nella tenda della doccia di Casa Caputo qualcosa cominciò a
vibrare, quasi -quasi-
tutti i ragazzi della Via Paal di Via Santa
Cecilia capirono che non si trattava di un nuovo effetto della
kryptonite.
-Il
telefono!- gridò Caterina, portandosi una mano alla bocca.
Ettore
inarcò un sopracciglio.
-Il
telefono, e allora?-
Caterina
scosse la testa, fulminandolo con lo sguardo.
Afferrò
il cellulare e accettò la chiamata.
-Ciao,
Zoe-
Le
girava la testa e il suo cuore batteva molto più forte del
necessario, ma lei era Briseide Caterina Asburgo, una soluzione
avrebbe pur dovuto trovarla.
Li
guardò tutti, i ragazzi di Via Santa Cecilia.
Anita
Garibaldi, la ragazza delle uscite di scena.
Vincenzo
Caputo, il bellissimo Vincenzo, o se volete Francesco Crispi.
Eileen
Ficarra, che preferiva l'aranciata alla conquista delle Due Sicilie,
che la guardava storto ma sotto sotto le sorrideva, l'antitesi di una
ragazza comune.
Giuseppe
Troiano, mezzo garibaldino e mezzo delinquente.
-Dove
sono? Sono con i miei amici. Amici che non mi potrai rubare-
Guardò
Ettore, silenzioso, ferito Ettore.
Dubbi
non ne aveva più.
-Avrei
cercato di nascondertelo, in un'altra occasione. Ti avrei
detto di essere in gelateria, in spiaggia o a fare una passeggiata,
se fossimo state a Firenze, o comunque in un'occasione sotto il tuo
controllo-
E,
per finire, il suo pezzo forte.
-Ma
il cor mi rode acerba doglia, in pensando che rapirmi il mio un pari
s'ardisce, e del concesso premio spogliarmi prepotente. E' questo,
questo il tormento, il dispetto, la rabbia, onde l'alma è
angosciata*-
I
ragazzi di Via Santa Cecilia avevano il fiato sospeso e ci mancò
poco che Anita applaudisse.
Sulle
labbra di Ettore era comparso un sorriso mai visto, accecante,
indescrivibile.
Senza
preavviso le tolse il cellulare di mano e con quella voce da eroe
omerico che era solito conservare per le occasioni importanti, quella
voce capace di destabilizzare il migliore oratore, diede il colpo di
grazia:
-Una
donzella, di valor ricompensa, a me prescelta da tutto il campo, e da
me pria coll'asta conquistata per mezzo alla ruina di munita città,
questa alle mie mani l'ha tolta l'orgoglioso Atride, come a vil
vagabondo*-
E chiuse la chiamata,
anche se forse c'erano e ci sarebbero state ancora molte cose da
dire.
Ma
le andate cose sien poste nell'oblío; chè l'ira viver
non debbe eterna.*
Note
Chiuse la chiamata
e, inavvertitamente, il telefono gli scivolò nel gabinetto.
Scusate ;)
Non è mia
intenzione rovinare un finale ad effetto, ma non sono riuscita a
resistere.
Procediamo con le note,
va ;)
*Iliade, Libro
Decimosesto, “Achille cede alle preghiere di Patroclo”,
traduzione di Vincenzo Monti.
L'ultima parte, quella
detta da Ettore, nell'Iliade è l'immediata prosecuzione di
quella di Caterina, ed è sempre Achille a parlare, riferendosi
a Briseide. La citazione gioca sul fatto che il primo nome di
Caterina è, appunto, Briseide, e guarda a caso anche la frase omerica
che meglio si addiceva al contesto ;)
Ah, ultima nota. Penso
che si fosse capito, ma, a scanso di equivoci, l'Atride della
situazione è Zoe ;)
Inoltre, ho chiamato
Eileen, Anita, Ettore e Vincenzo “i ragazzi di Via Santa
Cecilia” perché -oltre al fatto che ho riletto I
Ragazzi della Via Paal proprio ieri sera, e un po' deve avermi
influenzata-, anche se non l'ho ancora specificato, abitano tutti in
quella via, tranne forse Eileen, che abita vicino alla stazione, che
però è comunque vicinissima a Via Santa Cecilia, dal
momento che quando dormo a casa di mia nonna sento il rumore dei
treni ;)
Via Santa Cecilia è
esattamente a due passi dal porto, di cui offre una visuale
meravigliosa -se non fosse che il balcone di mia nonna si trova al
quarto piano e io soffro di vertigini perfino sulle scale ;)
Grazie di cuore a
ulisse999, eveline90 e bethpotter -che mi ha
quasi fatta commuovere- per le recensioni, mi auguro che questo
capitolo non abbia deluso le vostre aspettative ;)
E naturalmente sinceri
ringraziamenti anche ai lettori silenziosi :)
A presto,
Marty
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Capitolo 8 *** Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro ***
Otto
Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro
(e dei non trascurabili pericoli dell'avere un amico
di un metro e settantanove)
Briseide Caterina Asburgo, come ogni aspirante greca che si rispettasse, aveva una gran fiducia nel Fato.
Il Fato che aveva sottratto Ettore ad Andromaca, il Fato che aveva indirizzato la freccia di Paride nel tallone di Achille.
Il Fato che aveva determinato la distruzione di Troia, lo stesso che, anche se in un episodio meno conosciuto, aveva spento la luce negli occhi di Ettore nel momento in cui erano entrati in casa.
Quando Vincenzo le aveva chiesto di accompagnarlo a comprare dei panini al burro, aveva chiaramente percepito Lachesi, la Moira che tesseva il filo vitale di ogni uomo, dare una leggera -ma nemmeno tanto- tiratina al suo filo.
Uno strattone, per essere precisi.
I panini al burro, le aveva spiegato il baldanzoso Caputo, erano una prelibatezza alla quale non era mai stato in grado di rinunciare.
In genere un corriere li consegnava al mattino direttamente a casa, insieme al Corriere della Sera per suo nonno Filottete, ma poche ore prima il corriere era andato a sbattere contro un cartello pubblicitario della Lines, incidente al seguito del quale era rimasto per quindici minuti abbondanti in ebete contemplazione degli assorbenti da notte con ali, dopodiché, vantando un bernoccolo di due centimetri e mezzo, aveva deciso di rinunciare al giro di consegne del giorno. Aveva lasciato il carrello con panini al burro e Corriere della Sera in mezzo alla strada e se n'era andato, saltellando e fischiettando come un leprotto di prateria, a comprare la Settimana Enigmistica all'edicola vicina.
Per quanto surreale, l'episodio aveva particolarmente impressionato i Caputo, i quali avevano pensato bene di mandare il loro baldo giovane -altrimenti detto Vincenzo Maria- in edicola e in panetteria.
Avendo però percepito un distinto grugnito proveniente dal suo stomaco, quest'ultimo aveva dichiarato di volersi recare come prima cosa in panetteria, come se non bastasse accompagnato dalla disponibilissima Caterina.
Si stavano giusto apprestando a scendere i due gradini davanti alla porta di Casa Caputo, quando Eileen aveva fatto un paio di riti satanici mentali sui due fedifraghi e Vincenzo era inciampato nel nano da giardino strategicamente posizionato sul secondo gradino, trascinando con sé Caterina, della quale stringeva avidamente la mano destra.
“Ben ti sta, Paolo Malatesta!” aveva sogghignato Eileen a mo'di maledizione, ma nessuno dei due pionieri dei panini al burro aveva udito la sua voce gelida.
“ Errasti il colpo, né Giove, come dianzi cianciasti, il mio destin ti fe'palese!” aveva declamato Caterina guardando severamente il nano, mentre Vincenzo, molto più schiettamente, aveva redarguito l'ignara statuetta con un meno elegante “Stupido nano da giardino!”, al quale Ettore, ancora sulla soglia, aveva deglutito per diciassette volte di fila prima di convincersi che l'esclamazione non era rivolta a lui - e che comunque non era il caso di scotennare il migliore amico in presenza di minori.
“U n metro e sessantaquattro/sessantasei con la suola degli stivali è molto più dignitoso della tua faccia tosta, Vincenzo Maria Caputo!” si era limitato ad urlargli dietro, causando la grande sorpresa dell'amico, il quale si era domandato più volte se il caro Ettorino non fosse per caso vittima di devastanti disturbi di personalità.
Anita, la povera, innocente Anita, era rimasta inerte al fianco di Ettore, lanciando di tanto in tanto sguardi imploranti ad Eileen, perché quest'ultima smettesse di battere il piede sinistro per terra a mo' di martello pneumatico.
“ Ritroverai la tua magia, piccola stella innamorata”, aveva avuto la bella idea di dirle, citando Andrea Bocelli ne La luna che non c'è.
All'incirca mezzo minuto dopo la meno pacifica Leen le aveva pestato un piede con tanta forza da farle passare tutta la vita davanti, compreso il suo grande desiderio di laurearsi in Archeologia, sposare un tedesco biondo e avere quindici figli italo-tedeschi - biondi, possibilmente.
Così, con molto ottimismo ed allegria, i tre se n'erano rientrati in casa, incrociando le dita perché Vincenzo e Caterina andassero davvero solo a comprare i panini al burro e il Corriere della Sera.
A questo proposito zoomiamo sui diretti interessati, ormai in prossimità della panetteria.
-Ho sempre amato i panini al burro- sussurrò con voce suadente il baldo Caputo -Li ho sempre trovati meravigliosamente...dolci, ecco-
A quelle parole, Caterina gli rivolse un sorriso dolce quasi quanto i panini.
-Non penso di averli mai assaggiati, ma...mi piacerebbe molto-
-Non lasciarti scappare quest'occasione d'oro, piccola Cat! Prova a dargli un morso e vedrai...desidererai passare così ogni singolo giorno della tua vita-
Arrivò il loro turno e dodici panini al burro vennero loro consegnati.
Uscirono in gran fretta, ansiosi di addentare quelle chiare meraviglie che altro non erano che soffici pagnottelle calde calde, ancora cosparse di farina.
Un morso diede lui, sul volto l'ombra un sorriso nascente, ignaro che alle sue spalle un nervoso e basso individuo studiasse ogni sua movenza.
Lo porse all'avvenente fanciulla al suo fianco, con un sorriso che mai il nervoso e basso individuo avrebbe dimenticato.
Alzò lo sguardo, lei.
Amor che al cor gentile ratto s’apprende
Morse il panino di Vincenzo, ma sorrise ad Ettore.
Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse
Ettore, i grandi occhi neri spalancati davanti a ciò che mai e poi mai avrebbe desiderato vedere.
Vedi ‘l grande Achille, che con amore al fine combatteo
Vincenzo e i panini al burro dei suoi stivali.
E caddi come corpo morto cade
Note
Buon pomeriggio!
Ecco l'ottavo capitolo, in cui non potevano mancare i panini al burro che adoravo quand'ero piccola, poiché davvero, quando ero a Casa Bianca, veniva il corriere a portare il pane e il Corriere della Sera per mio nonno ;)
Quanto al nome del nonno di Enzo, Filottete, è un omaggio all'eroe che con le frecce di Eracle uccise Paride.
Questa volta le citazioni -a parte "Errasti il colpo[...]", citazione del duello tra Ettore e Achille- sono di Dante, per questo dedico il capitolo a bethpotter ;)
Grazie, appunto, a bethpotter, a Techno4ever e ad eveline90 per le recensioni!
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto :)
A presto!
Marty
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Capitolo 9 *** Dove si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando Furioso ***
Nove
Dove
si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando
Furioso
-Ehi,
Mil...Ora et labora!- esclamò
Caterina, con una voce squillante che fece sussultare Frate Dolore.
-Cat, quello è
il motto dei Benedettini!- sussurrò Angelica Asburgo
all'orecchio della figlia, cercando di mascherare in un sorriso
imbarazzato la sua soggezione nei confronti del Frate.
Quest'ultimo guardava
accigliato la famigliola, e pareva proprio stesse cercando di
trattenere un lungo sospiro.
-E non chiamarlo Mil-
bofonchiò Orlando, lisciandosi i baffi -Siamo in un convento,
diamine!-
-Monastero- lo
corresse il Frate a denti stretti.
Il
fiorentino distolse lo sguardo, iniziando a fischiettare con
nonchalance.
-Voi dovevate chiamarlo
Medoro- rifletté ad alta voce la terzogenita di Orlando
e Angelica Asburgo.
-Medoro? E' un
nome da gatto!- reagì Zoe, corrugando la fronte.
Caterina alzò
gli occhi al soffitto dipinto della Certosa di Pavia.
-Ed è anche
quello dell'amante di Angelica, magari-
Orlando Asburgo sgranò
gli occhi, facendo un passo indietro.
Con aria preoccupata
ruotò lentamente la testa verso la moglie, ch'era impallidita.
-Tesoro...che dici?-
-Ma sì, avete
presente quel vecchio poema cavalleresco del Ludo?-
-Poema cavalleresco?-
-Ludo?-
Caterina si morse con
forza il labbro inferiore, sussultando violentemente.
-Ludovico Ariosto,
avete presente?-
Orlando parve
ingranare.
Un lampo di luce gli
attraversò gli occhi azzurri, dopodiché annuì
vigorosamente, sfoggiando un sorriso vittorioso.
-Oh...ma non scrive
più, ormai!-
Sebbene stesse
attraversando la cinquantaduesima fase di una rara forma di sincope a
scatti, Briseide Caterina Asburgo mantenne il controllo.
Deglutì,
tormentando il bottone decorato dai pastori uzbeki che usava come
portachiavi della sua penna USB dalla sua seconda estate a Tashkent.
-No, da qualche anno
a questa parte-
Orlando aggrottò
le sopracciglia.
-E quanto prende di
pensione, questo Ludo?-
Caterina digrignò
i denti.
-No-
-Non la prende?-
-No-
-Oh, mi spiace molto
per lui-
-Anche a me-
-Ehi, Cat, c'è
mica bisogno di sibilare! Lo sappiamo, lo sappiamo che le ingiustizie
non ti piacciono. Senti, se ce lo presenti potremmo invitarlo a cena,
uno di questi giorni. Così magari ci spiega meglio questa
storia del profeta quattrocentesco...-
-Quella era la
prospettiva, caro- lo corresse Angelica, sorridendo comprensiva.
-La Prospettiva
Nevskij?- chiese subito Zoe, che dopo il Liceo voleva fare la
studiosa di letterature slave.
-La situazione sta
diventando demenziale- commentò gelidamente Caterina,
seguendo con un certo interesse i movimenti di Frate Dolore, il quale
stava sgranando il rosario per la terza volta da quando gli Asburgo
erano entrati nel Monastero.
-Sentite,
ricapitoliamo. Ora et labora non glielo posso dire, che poi
magari se la lega al dito e per chiedergli scusa devo aspettare
quattro anni. Non lo posso nemmeno chiamare Mil, perché
siamo in un conv...monastero- si corresse, sorridendo al Frate
in religioso silenzio di fronte a lei.
-Venendo al dunque:
cosa gli dico?-
-Salutalo!-
-Abbraccialo forte!-
-Ma senza frantumargli
le costole!-
-Ricordagli che ci
manca tanto!-
-Digli che ho trovato
la sua scarpa destra! Sai, quella che aveva perso sotto al letto a
dodici anni-
-Digli che gli ho
fregato i vinili dei Rolling Stones!-
-Chiedigli se posso
costruire una casa sull'albero sull'appendiabiti di camera sua!-
-Chiedigli se l'estate
prossima viene in Russia con noi!-
-Chiedigli se si
ricorda cosa c'era nella valigia che abbiamo dimenticato in
Uzbekistan!-
-Chiedigli se è
ancora in tempo per tornare un ragazzo normale!-
-V...va bene-
Caterina indietreggiò,
finendo inevitabilmente contro il monumento funebre di Ludovico il
Moro e Beatrice d'Este.
Ora probabilmente
capiva come mai a ventisei anni e tre mesi Milziade Asburgo
avesse preferito la pace di un convento monastero
all'eterno trambusto di casa sua.
Ai Frati Certosini era
permesso di incontrare un solo parente per un solo giorno all'anno e,
secondo i turni che gli Asburgo avevano segnato sui calendari dei
prossimi sette anni, il 2010 toccava a Caterina.
Angelica e Orlando
ricordavano ancora con una stretta al cuore il giorno in cui i loro
figlioli, Milziade, Zoemarie e Briseide Caterina si erano dovuti
separare.
Miliziade aveva la
vocazione.
Avrebbero dovuto
capirlo dai quindici giorni che aveva voluto passare in isolamento
sul Passo della Futa in occasione del suo quindicesimo compleanno,
forse.
Avrebbero dovuto
capirlo dal giorno in cui, durante l'estate 2008, in Uzbekistan, si
era aggregato ad una comitiva di Suore Carmelitane di Tashkent.
Avrebbero dovuto,
probabilmente.
E qui il condizionale
passato dice molto, signori miei.
Un bel giorno Milziade
aveva annunciato ai parenti la sua decisione, Orlando si era
soffocato con un'oliva greca e aveva passato tutta la notte e il
giorno successivo in ospedale, Angelica aveva pensato di convertirsi
all'Islamismo, Zoemarie aveva confuso Dostoevskij con Tolstoj e
Caterina aveva risolto un'equazione.
Piano piano, poi, le
cose erano migliorate. Gli Asburgo avevano assimilato la notizia.
Orlando
era stato dimesso e aveva aperto una nuova confezione di olive
greche, Angelica aveva rinunciato a convertirsi all'Islamismo,
Zoemarie era tornata a dividersi tra L'Idiota,
Guerra
e Pace,
Delitto
e Castigo
e
La morte di Ivan Il'ič con
cognizione di causa e Caterina aveva sbagliato le successive
quattordici equazioni.
Ma
non c'era stato niente da fare.
Milziade
era diventato un Frate Certosino, Frate
Defunto,
e gli Asburgo avevano dovuto farsene una ragione.
Note
Ebbene...ho
aggiornato.
Con
due mesi di ritardo, ma aggiornato.
Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace, ma ci sono stati gli esami,
l'altra mia Originale che mi risucchia l'anima, le vacanze ad
Atene...
Ma
adesso ho aggiornato.
In
questo capitolo, di cui sono, diciamo, abbastanza soddisfatta, ho
presentato tre nuovi personaggi: Milziade, Orlando e Angelica
Asburgo.
Tra
parentesi, io sono un po' come Caterina e un po' come Zoe.
Mi
divido tra la Grecia e la Russia, e vorrei andare in Siberia,
Kazakistan, Uzbekistan...ma per adesso mi accontento della Grecia e
dell'ex Cecoslovacchia.
Chiusa
la parentesi personale...spero che questo capitolo e questi nuovi
personaggi vi siano piaciuti - diciamocelo, io ho un debole per gli
Asburgo -.
E'
da quando sono stata alla Certosa di Pavia che sogno di scrivere di
un Frate Certosino, e adesso mi si è presentata l'occasione.
Specifico
che, però, attualmente alla Certosa non ci sono più i
Certosini, bensì i Carmelitani, perciò mi sono presa
una “piccola” licenza poetica ;) Un grande ringraziamento per le recensioni del capitolo scorso ad eveline90 e a bethpotter, ovvero Cecilietta ;)
A
presto, spero!
Marty
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