Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove un cane è l'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Refoli di cenere ***
Capitolo 3: *** Misteri svelati ***
Capitolo 4: *** Faville in musica ***
Capitolo 5: *** Solo un ticchettio in più ***
Capitolo 6: *** L'alba di settembre ***



Capitolo 1
*** Dove un cane è l'inizio di tutto ***


1- Dove un cane è l'inizio di tutto
Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon


Dove un cane è l'inizio di tutto


"Vediamo di trovargli un altro padrone, d'accordo?"

(Riza Hawkeye, episodio 13)


Ora: dove nasconderlo?
Ah, in camera sua no di certo: figurarsi se quell'aquila di sua madre non l'avrebbe trovato. E anche tutto il resto del loro appartamento era fuori discussione... ma allora dove?
Un ragazzino pallido con una zazzera nera che aveva decisamente bisogno di essere tagliata se ne stava nascosto nel sottoscala del palazzo in cui abitava, facendo lavorare il cervello più in fretta che poteva.
A un tratto sentì i pantaloni umidi e caldi in modo sospetto: caldi lo erano per forza, con quell'ammasso peloso e grassoccio che teneva in grembo, ma stavano stranamente iniziando a bagnarsi...
- No, eh! - esclamò, alzandolo di scatto e notando un'inconfondibile macchia scura sui suoi pantaloni – Dopo che ti ho salvato... ingrato! -.
Il cagnolino la stava ora facendo tranquillamente per aria, probabilmente ignaro del fatto che quella fosse una terribile manifestazione di ingratitudine.
- Ma quanta ne hai? - fece il ragazzino, rimanendo a guardare lo zampillo finché non si fu esaurito del tutto. Terminato il getto, il cucciolo ricominciò a muovere forsennatamente il moncherino di coda che si ritrovava.
- Sarai anche carino, ma così proprio non va – borbottò il ragazzino – Dove ti nascondo, adesso? -.
L'animale uggiolò in tono fin troppo udibile, e il ragazzo pensò che non era il caso di chiedergli altri consigli. Si guardò attorno dalla propria postazione nel sottoscala, finché lo sguardo gli cadde su una porta: la porta della cantina.
- Mmm... - fece, subito imitato dal cane – Silenzio! -.
Dando una veloce occhiata per assicurarsi che in giro non ci fosse nessuno, uscì fuori dal suo nascondiglio e raggiunse in fretta la porta, lasciando poi appena uno spiraglio perché entrasse un po' di luce.
Non che ne avesse bisogno: conosceva quel posto come le sue tasche, ma ora doveva pensare a dove nascondere il botolo perché nessuno lo trovasse. Innanzitutto doveva essere ben lontano dalla porta, in modo che non fosse facile nemmeno intravederlo. Tra le cianfrusaglie accumulate lì da tutti gli abitanti del palazzo? Ma poteva farsi male: persino lui, una volta, si era tagliato con dei pezzi di ferro arrugginiti e aveva rischiato il tetano. Vicino allo scaffale con le bottiglie? No, no, figurarsi: fin troppo frequentato.
"Trovato!" pensò, per poi dirigersi verso la catasta di legna nell'angolo più buio. Poteva sistemarvi una vecchia coperta e occultarla con qualche grosso ceppo: nessuno prestava mai troppa attenzione a della legna, e con un po' di fortuna nessuno se ne sarebbe accorto.
- Adesso ascoltami bene – fece, rivolto al cagnolino ancora ignaro di aver trovato casa – Io ti terrò qui e ti porterò da mangiare, ma in cambio non dovrai nemmeno aprire bocca. Mi sono spiegato? -.
Non molto, in realtà, perché il cucciolo iniziò subito ad uggiolare per la fame.
- Zitto! - sibilò il ragazzino, chiedendosi chi mai avesse detto che i cani obbedivano assolutamente ai loro padroni. (¹) Non c'era da stupirsi che un botolino così indifeso avesse già preso qualche calcio ben piazzato, al mercato in cui l'aveva trovato mentre rovistava tra le teste di pesce.
- Vado a cercarti qualcosa da mangiare, ma tu stai buono qui – gli ordinò, facendo per alzarsi e uscire dalla cantina.
Dovette però tornare indietro con un'imprecazione malcelata quando gli uggiolii del cucciolo si fecero così potenti da attraversare il legno massiccio della porta, col rischio che lo sentissero perfino in strada.
- Sarà più complicato del previsto – constatò il piccolo Roderich quando tornò a prenderlo, di nuovo allegro e scodinzolante, e lo nascose sotto la giacca.
Mentre saliva le scale silenzioso come un ladro, sperò con tutto il cuore che la riserva di pipì del cane si fosse esaurita nel sottoscala.


In realtà il cucciolo si rivelò molto più giudizioso di quanto sembrava: una volta riempita la pancia, gonfia come un palloncino, si addormentò e non fece più il minimo rumore.
Filò tutto liscio per due giorni interi: di tanto in tanto Rod trafugava qualcosa dalla dispensa di casa- un po' di latte, un pezzetto di carne, mezza pagnotta- per correre poi a portarlo al cucciolo, che diventava sempre più tondo. Non fu difficile: a casa erano tutti presi da sua sorella, che a quanto pareva aspettava un bambino. E dire che non l'avevano mandato giù tanto facilmente, quando un giovane tedesco non ebreo l'aveva chiesta in moglie. Ma la sua famiglia non era più di tanto praticante, di certo non tradizionalista, per cui le poche difficoltà erano state superate; anche perché il giovane- che di mestiere faceva l'orologiaio- aveva assicurato che non l'avrebbe costretta a lasciare la sua fede.
Il lato positivo di tutta la faccenda era che ultimamente i suoi genitori non gli badavano più di tanto, lasciandolo libero di tenere un cucciolo in cantina senza che nessuno se ne accorgesse.
E nessuno si accorse di nulla nemmeno il pomeriggio in cui qualcuno lasciò aperta la porta della cantina, permettendo al cagnolino di arrampicarsi su per i gradini e uscire indisturbato.
Non era solo in grado di rotolare, come ormai temeva Rod: quando si accorse che il cane era sparito, non ci fu verso di trovarlo da nessuna parte, né in casa né lungo la strada.
Provò a chiamarlo a lungo- non gli aveva ancora dato un nome vero e proprio, anche se ogni tanto lo chiamava “Schwarz”-, ma gli risposero solo il rumore di carri e carrozze sull'acciottolato della via e il vociare della gente in giro a quell'ora. E dire che l'animale non mangiava ormai da qualche ora: di solito uggiolava al primo languore di stomaco, più simile ad un mostro marino che a un cucciolo di cane.
Rod provò a fare un giro più largo, allontanandosi dalla sua strada, dando una lunga occhiata in tutti i pertugi e gli anfratti che trovava. Cercò di non pensare che qualcuno poteva già averlo annegato, perché un cucciolo indifeso come quello sarebbe diventato un cane randagio in un batter d'occhio, lo sapeva benissimo.
Seguì la strada lungo il fiume, si infilò in tutti i vicoli che trovò, provò persino a chiedere a qualche passante... senza successo. Si era ormai rassegnato, infilando le mani nelle tasche della giacca come ogni volta che qualcosa non andava per il verso giusto, dirigendosi finalmente verso casa... quando con la coda dell'occhio li vide.
Il suo cane in braccio ad un altro ragazzino. Una decina di metri più avanti, uno sconosciuto biondo stava per entrare in una delle case di quella strada; aveva una borsa in mano e teneva il cane con l'altro braccio. Era il suo per forza: tondo uguale, con lo stesso pelo nero e panna. E quel maledetto stava per portarselo via.
- Ehi, tu! -.


In seguito, ogni volta che le capitava di ripensarci, Eliza rivedeva quella scena come al rallentatore: quell' “Ehi, tu!” indirizzato per forza a lei; quel ragazzino che chissà perché si era lanciato a rotta di collo nella sua direzione; il cagnolino che si era agitato all'improvviso come se l'avesse riconosciuto.
Tutte scene quasi idilliache, se si fossero trovati in uno di quei romanzi strappalacrime che tanto piacevano alle ragazze di sua conoscenza. Ma purtroppo il film non si era concluso lì: quel ragazzino le era saltato addosso afferrandola per il colletto della camicia, erano finiti tutti e due per terra e il pesce della cena aveva descritto un'elegante parabola per aria. Sarebbe stato toccante se perlomeno il cane si fosse gettato fra le braccia di quello che doveva essere il suo padrone, ma se anche ci aveva pensato, quella possibilità l'aveva scartata subito: si era tuffato senza indugio sul pesce, un magnifico luccio fresco di mercato, affondando le minuscole zanne nel punto più morbido.
Cena rovinata.
Eliza si arrabbiò abbastanza da dare a quello sconosciuto una ginocchiata nello stomaco, scrollandoselo di dosso.
- E levati! -.
Afferrò il cagnolino per la collottola senza tante smancerie, decretando con un'occhiata che forse qualcosa si poteva ancora salvare. In fondo si erano sporcate soltanto le squame, che avrebbe comunque dovuto togliere, e poteva tagliare via il pezzo morso dal cane...
- Razza di ladro! -.
Aveva detto a lei? Eliza si voltò, più sorpresa che altro.
- Il cane è mio! - continuò quel ragazzino sconosciuto indicando il cucciolo, impegnato a lanciare languidi sguardi al pesce.
Lei aveva troppe cose da fare per rispondergli per le rime, perciò si limitò a porgli la domanda più logica:
- E io come facevo a saperlo? -.
- Beh, potevi chiedere in giro! Secondo te un cane così piccolo può starsene da solo per strada? -.
Non sarebbe stato né il primo né l'ultimo, pensò Eliza.
- A te l'hanno regalato? - gli domandò.
- Eh? -.
- Il cane, chi te l'ha dato? -.
- L'ho... beh, l'ho trovato -.
Rod udì la sua domanda prima ancora che aprisse bocca.
- E tu come facevi a sapere che non era di nessuno? -.
- Non lo era – non dopo che era stato sballottato come un rifiuto qua e là – Nessuno badava a lui -.
- Beh – fece lei, rimettendo il pesce nella sporta – Anche quando l'ho trovato io non gli badava nessuno. E poi mi ha seguito lui -.
Vide lo sguardo interrogativo di quel ragazzino dagli occhi scuri e allungati, e spiegò:
- Deve aver sentito l'odore del pesce -.
In effetti era più che plausibile, anche se c'era mancato poco che glielo portassero via. Rod guardò il cane, e all'improvviso si vergognò di aver quasi picchiato quel ragazzino che non aveva fatto niente di diverso da lui.
- Riprenditelo, che aspetti? - gli disse Eliza. Il modo in cui si era comportato era stato davvero maleducato, anche se in fondo aveva solo dimostrato di tenere al cane – È tuo, no? -.
- Sì – rispose Rod, prendendolo da terra – Sì, è mio -.
E se ne andò col cane fra le braccia, senza chiedere scusa e nemmeno salutare quel ragazzino biondo che, dal canto suo, entrò in casa senz'altro pensiero che il pesce per la cena.


- Roderich Mühlstein! -.
Il tono di sua madre non prometteva niente di buono, non quando lo chiamava in quel modo.
- Non sono stato io! - esclamò, prima ancora di sapere per cosa doveva essere sgridato.
- Vuoi dire che questo cane non è tuo? - fece la donna sulla soglia, mostrandogli quello che era inequivocabilmente il suo cucciolo.
- N-no – mentì lui. Qualche vicino doveva averlo trovato in cantina, non c'era altra spiegazione. E sua madre sapeva automaticamente a chi imputare certi misfatti.
- Va bene, allora non ti dispiacerà se lo metto in teglia. È bello grasso, mi pare -.
- Vuoi... vuoi cucinarlo? - Rod non le credeva davvero: sua madre era terribilmente sadica, a volte, ma quello... era troppo perfino per lei.
- Sì, ma non per noi. Sai la signora Menschele, quella donna insopportabile... potrei portarle un bel pasticcio di carne – disse, per poi dirigersi con fare risoluto verso la cucina.
D'accordo, forse non scherzava: la signora Menschele le stava talmente sulle scatole che per lei avrebbe anche cucinato un cane. In fondo le aveva già portato un piccione spacciandolo per una quaglia.
- Aspetta! Va bene, è mio! - gridò Rod, correndole dietro.
- Ma davvero? Mi sembrava che avessi detto di no... mi hai forse mentito? - sua madre non era davvero cattiva... non sempre, almeno.
- Sì. Lo stavo nascondendo – era meglio farla finita e spifferare tutto. Magari avrebbe salvato il cane.
- Da quanto tempo? -.
- Solo qualche giorno -.
Sua madre soppesò con un'occhiata le misure del cucciolo, che per una volta se ne stava zitto e buono, come se avesse subodorato il pericolo.
- Penso che una teglia media basterà... - disse fra sé e sé, incamminandosi di nuovo verso la cucina.
- È la verità! L'ho trovato e poi nascosto in cantina... non più di una settimana fa! - gridò Rod, chiedendosi che male avesse mai fatto per meritarsi una madre del genere.
- Almeno hai avuto il buon senso di non portarlo in casa – approvò lei, fermandosi – Ma come avevi già intuito, questo cane non può restare. Trovagli un altro padrone -.
Detto ciò glielo rimise fra le braccia, tornando alle proprie faccende.
Rod non replicò. Senza dire una parola, scese le scale e uscì in strada, fin troppo sollevato di averlo salvato dal forno. Con sua madre non si poteva mai sapere.


Prima ancora di pensare a dove portarlo, si era ritrovato in quella strada. La via in cui aveva visto il cucciolo sottobraccio a quel ragazzino, appena pochi giorni prima.
Ricordava perfettamente davanti a quale porta si era fermato, la porta in cui era poi entrato quando lui si era ripreso il cucciolo. Rod si avvicinò, notando solo in quel momento la targa con il nome appesa fuori. Hochwald... ebreo anche lui, dunque. (²)
Col cane fra le braccia e le minacce di sua madre nelle orecchie, non pensò. Bussò soltanto.

- Sì, chi... cosa? Tu? Che vuoi adesso? - Eliza aveva riconosciuto prima il cane del ragazzo, ma una volta stabilito che era lui si chiese cosa diamine ci facesse lì.
- Senti... lo vuoi ancora il cane? - esordì Rod, senza mezzi termini.
- Ma... è tuo, no? -.
- Non più -.
- Perché no? - pochi giorni prima stava quasi per picchiarla pur di tenerselo, e adesso era venuto fin lì per darglielo? Che assurdità era mai quella?
- I miei non lo vogliono – bofonchiò Rod.
Il sorriso sornione che si allargò sul viso di quel ragazzino lo indispettì, ma sapeva che c'era un prezzo da pagare perché la sua richiesta venisse accolta. Scambio equivalente, lo avrebbero chiamato da un'altra parte. Dall'altra parte.
- E così lo tenevi di nascosto – commentò infatti Eliza.
- Così sembra. Senti, lo vuoi o no? -.
- Perché io, scusa? - domandò lei, sinceramente curiosa – Non puoi chiederlo a qualche tuo amico? Nemmeno mi conosci -.
- Ecco... - come spiegargli che i suoi “amici” avrebbero come minimo provato a vedere quanto sarebbe resistito in apnea in una botte piena d'acqua? O tentato di ingozzarlo di lucertole morte e insetti, fino a farlo scoppiare? - … non sono molto affidabili. Tu mi sembri un tipo a posto -.
Eliza non replicò: aveva visto anche lei cosa si divertivano a fare certi ragazzi della loro età, ed era per questo che aveva raccolto il cucciolo quando l'aveva visto girovagare per strada.
- Va bene. Con me al massimo dimagrirà un po', perché se va avanti così fra un po' rotolerà e basta – disse, allungando le braccia per prendere il cane – A proposito, gli hai già dato un nome? -.
- Mah... - fece Rod, porgendoglielo – Avevo pensato a “Schwarz”... -.
- “Nero”? - Eliza guardò il cane, dubbiosa: sì, in effetti aveva il mantello nero... ma muso, zampe e ventre erano molto più chiari.
- Beh, chiamalo come vuoi. Non è tanto importante -.
- Magari potrei tenere “Schwarz” e aggiungere un altro nome – propose lei.
Rod sorrise: forse quel ragazzino poteva anche diventagli simpatico.
- Io mi chiamo Roderich – si presentò – Rod per tutti, in realtà. Abito qualche strada più in là, non lontano da qui -.
- Vicino al fiume? -.
- Precisamente -.
- Ho capito -.
Rod attese un momento, ma visto che quel ragazzino sembrava solo aspettare che se ne andasse, chiese:
- E tu? Come ti chiami? -.
- Ah, sì. El... - nemmeno in seguito Eliza avrebbe saputo dire cosa le fosse preso in quel momento. Si era resa conto che quel ragazzo- Rod- la credeva un maschio, e in effetti aveva i capelli tanto corti che poteva anche sembrarlo. Inoltre non indossava più un vestito da tanto di quel tempo... della sua taglia in casa non ce n'erano più, e suo padre le dava solamente i soldi per comprare il cibo e le altre cose di prima necessità. Così aveva dovuto adattare alle proprie misure dei vecchi capi di quando suo padre era ragazzo, e lo stesso le stavano grandi.
Vivevano loro due soli da anni, ormai, e assieme a lui era sui libri praticamente tutto il giorno: passavano dai testi sacri alla geografia, dalla storia alla matematica. Studiare con suo padre le piaceva, ma la isolava dai suoi coetanei, e doversi anche prendere cura di lui non faceva altro che renderla ancora più sola. Voleva un amico. Voleva disperatamente un amico. E suo padre diceva sempre: “Uomini con gli uomini, donne con le donne”.
Se le aveva portato il suo cane, forse quel ragazzino sarebbe tornato.
- … Elias. Mi chiamo Elias -.
- Va bene, Elias. Allora ci vediamo – salutò Rod, dando un'ultima pacca affettuosa sulla testa del cagnetto, per poi saltare in strada e tornare fischiettando verso casa.
Eliza richiuse la porta, ancora non del tutto consapevole della propria bugia, rivolgendosi infine a quello che era il suo nuovo cane. Magari poteva chiamarlo “Hayah”, che in ebraico significava anche “essere in vita”: quell'animale era stato tanto fortunato da incontrare ben due persone che tenessero a lui.  
- Allora, veniamo a noi: patti chiari, amicizia lunga – lo mise a terra, guardandolo dritto negli occhi – Il pesce non si tocca, chiaro? -.
 

Quel ragazzino, come aveva previsto Eliza, tornò. Anzi, Roderich prese a farle visita quasi ogni giorno: prima con la scusa del cane, poi perché Elias iniziò a stargli sempre più simpatico. Non era come gli altri ragazzi che conosceva: forse più tranquillo, certo, ma decisamente più arguto. Non gli piaceva combinare guai, ma non aveva paura di niente. E potevano stare insieme quanto volevano: solo nel tardo pomeriggio, quando qualche campanile della città suonava le cinque e mezzo, Elias diceva: “Devo tornare a casa” e se ne andava, mollando qualunque cosa stesse facendo.
Era un tipo strano, ma interessante. Soprattutto, di lui ci si poteva fidare.

Qualche mese più tardi si trovavano insieme sulla riva del fiume, intenti a guardare l'acqua che scorreva. Schwarz Hayah, più cresciuto e decisamente dimagrito, scorrazzava allegramente qua e là, liberando getti di pipì tra i ciuffi d'erba.
- La fa anche in casa? - domandò Rod, seguendolo con lo sguardo.
- Certo che no. L'ho educato bene -.
- Ha proprio un bell'aspetto – allungò una mano e l'animale gli si avvicinò in due salti. Accarezzandone le orecchie vellutate, Rod lo guardò pensieroso – La sai una cosa? Mi hai dato un'idea -.
Detto ciò si alzò e si diresse verso l'acqua, armeggiando con i bottoni dei pantaloni finché non li tirò giù.
- C-che stai facendo? - balbettò Eliza, incredula.
- Dai, vieni qui – esclamò Rod, iniziando evidentemente a far pipì nel fiume – Fammi compagnia -.
Ah, no. Non ne aveva nessuna intenzione. Anche se da tempo Eliza si aspettava una mossa del genere- perché i maschi certe cose si divertono un mondo a farle- non si sentiva ancora del tutto pronta ad affrontarla.
- Ehi, cosa aspetti? Che razza di amico sei? -.
- M-ma non si può – tentò di ribattere lei – Con l'acqua del fiume ci fanno la birra -.
- Appunto – spiegò pazientemente lui.
- Mio padre la beve, quella birra -.
- Anche il mio. Che problema c'è? -.
Eliza trattenne a stento una smorfia, chiedendosi se c'era o ci faceva: forse tutt'e due.
- Comunque io non la faccio -.
- Che noioso che sei – doveva aver terminato, perché si tirò su i pantaloni e riabbottonò tutto – Non vuoi mai fare niente di divertente -.
Non si accorse che il suo amico era rimasto voltato per tutto il tempo che lui aveva impiegato a “liberarsi”. Non si accorse che era viola in faccia, nel tentativo di trovare estremamente interessante un ciuffo d'erba alla propria destra.
Rod non se ne accorse e si gettò accanto a lei sbuffando, sdraiandosi sull'erba.
- È nato – la informò – Il bambino di mia sorella. Anzi, la bambina -.
- Ah, che bella notizia – rispose Eliza sorridendo – Mazeltov (³), allora -.
- Bah -.
Ecco, in quel momento gli avrebbe volentieri dato uno scapaccione dritto in testa: lei avrebbe dato qualunque cosa, perché anche nella sua di famiglia nascesse un bambino. Ma sarebbe stato assurdo anche solo pensarlo.
- Perché “bah”? - chiese invece.
- Le hanno dato un nome assurdo -.
- Cioè? -.
- Winfrieda – rispose lui con voce lugubre – Che razza di nome è? -.
- È un po'... particolare – convenne lei – Ma non è tanto brutto -.
- Per favore, che nome assurdo. Cosa pensano che sia, una Valchiria? -.
Eliza non rispose. Aveva come l'impressione che ci fosse un po' di gelosia, dietro a quello sfogo.
- Ah, ma fosse solo questo – aggiunse Rod, per poi guardarla con una smorfia – È bionda -.
- Anch'io lo sono – osservò Eliza.
- Andiamo, Elias, tu sei un maschio: è diverso. Ma una femmina bionda... - scosse la testa con aria delusa – E poi tutti i Mühlstein hanno i capelli scuri -.
- Beh, ma lei avrà un cognome diverso, no? -.
- Rocher... qualcosa – rispose distrattamente lui, facendo un gesto seccato con la mano.
- Devi volerle davvero bene – non poté fare a meno di commentare Eliza.
- A chi? -.
- A tua sorella, se ti manca così tanto -.
Rod non rispose per un momento, leggermente confuso, spiazzato da qualcosa a cui non aveva mai pensato.
- Sciocchezze – borbottò poi, senza guardare in faccia il suo amico.
- Ma non ti piace l'idea? - cambiò argomento Eliza, che non poteva credere a tanta indifferenza di fronte a una simile fortuna.
- Che idea? -.
- Di essere suo zio -.
Rod sembrò improvvisamente vedere l'intera faccenda sotto una nuova luce.
- È vero... - mormorò, per poi ripetere, come ad assaporarne il suono: - Suo zio... -.
- Già – fece Eliza.
- Non è tanto male – osservò Rod, che di fronte a quella nuova prospettiva poteva anche accettare una nipote dai capelli biondi e con un nome da Valchiria. Poi, in preda ad un'ispirazione improvvisa, si voltò verso Eliza: - Ehi, ti va di vederla? Devono essere ancora a casa mia -.
- Chi? -.
- Mia sorella con la bambina. Forza, vieni! -.
Prima che il suo amico potesse aprire bocca, Rod si alzò e lo agguantò per un braccio, per poi stringergli la testa in una morsa e trascinarlo verso la strada.
- Ehi, cosa fai? Lasciami andare! -.
- Su, andiamo! Sai quanto sarà contenta mia madre, quando vedrà che gente responsabile frequento? -.
Eliza tentò in tutti i modi di districarsi da quella posizione assurda, senza successo.
- Avanti, mollami! -.
- Quando saremo arrivati – fece Rod, scompigliandogli i capelli con la mano libera e iniziando ad incamminarsi in quella strana posizione.
Eliza si sentì gelare. Non aveva la minima intenzione di andare a casa sua: se lui poteva scambiarla per un ragazzo, non era sicura che sua madre e il resto della sua famiglia fossero così ciechi.
- Non posso, devo andare a casa! -.
- Sciocchezze, è troppo presto: te lo stai inventando -.
- M-ma... - non voleva picchiarlo, non adesso che aveva finalmente trovato un amico. Ma se fossero arrivati davvero a casa sua, avrebbe rischiato di perderlo – C'è Schwarz Hayah! -.
- Hmm? - fece Rod, voltandosi a guardare il cane che li stava docilmente seguendo – E allora? -.
- Come allora? Tua madre l'ha buttato fuori di casa, no? E tu vuoi riportarcelo? -.
- Ma può aspettarci fuori -.
- Non credo proprio. Lui è... - in realtà Schwarz Hayah avrebbe obbedito ad ogni suo singolo ordine, come sempre. Ma Rod questo non lo sapeva - … abituato a stare in casa. Non ci sarebbe verso di farlo rimanere fuori -.
- Hmm... sì, forse hai ragione – grazie al cielo – Già una volta ha rischiato di finire in pentola -.
Eliza pensò che doveva aver sentito male, perché aveva ancora il suo braccio premuto contro l'orecchio.
- Come “in pentola”? -.
- Eh? Ah no, niente – finalmente mollò la presa, lasciandola andare con gran sollievo di Eliza – Proprio sicuro di non voler venire? -.
- Sicuro, non preoccuparti – si massaggiò piano il collo, per poi chiedere: - L'hai già presa in braccio? -.
- Chi? -.
- La bambina! - ma se la stava quasi stritolando per portarla a vederla! – Tua nipote -.
- Prenderla in braccio... - rifletté Rod pensieroso – No, mai. Dici che dovrei? -.
Eliza annuì, sorridendo piano.
- Magari scoprirai che ti piace anche bionda -.
- No, non credo proprio – Rod scosse la testa – Ma magari se la vedo da vicino scopro se mi somiglia un po' -.
- Sì, ecco, mettila così – disse pazientemente Eliza.
- Allora a domani! - Rod alzò la mano in un cenno di saluto – Ciao, Elias! -.
- Ciao – aspettò che fosse scomparso alla vista, prima di rivolgersi a Schwarz Hayah con un sorriso un po' tirato – Andiamo, piccolo. Abbiamo una cena da preparare, e nessuna nipote ad aspettarci -.








(¹) Chi? Mustang, ovviamente
(²) Hochwald è un cognome ricorrente fra gli ebrei tedeschi
(³) Mazeltov: è un augurio ebraico, si sente soprattutto per i matrimoni


Non so esattamente come classificare questa storia. Chi ha letto il suo sequel sa di chi sto parlando, ma per chi non l'ha letto... non è un'AU, si tratta dei personaggi al di là del portale. Quindi sostanzialmente non sono tenuta a mantenerli IC, anche se spiegatemi come si fa a rendere IC Roy e Riza bambini, peraltro nemmeno nel loro mondo. O_O
Quindi mi sono destreggiata come volevo, divertendomi ad infilare continui riferimenti qua e là.
Lo so che l'idea di base è stra-abusata, anche se per quanto mi riguarda è la prima volta e ho voluto proprio lanciarmi nell'impresa, ma mi è venuta in mente rivedendo le prime puntate della prima serie: Riza aveva i capelli talmente corti che la prima volta che l'ho vista ricordo di aver pensato: "Ma è una donna?". Da qui l'idea.
Questa volta aggiornerò ogni due settimane, visto che i capitoli sono più lunghi degli altri. E poi la sto ancora scrivendo, anche se ce l'ho tutta in mente. Abbiate fiducia!


Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di "Regentage- Giorni di pioggia":
Rain e Ren: veramente la storia è finita con lo scorso capitolo, solo che non avevo ancora messo l'avvertimento "Storia completa"- mea culpa. ^^'
Oh, se ti ho drogato con "In un giorno di pioggia" ne sono più che felice, perché è una delle canzoni più belle che conosco. Anzi, in realtà lo scopo della storia era proprio questo. XD
Direi che chiunque si ritrovasse in una situazione come quella di Ed  e Al- vagamente impossibile, ma cerchiamo di immedesimarci- avrebbe le stesse remore e lo stesso rimpianto nei confronti di un mondo ormai perduto. Ho voluto tratteggiare un po' questo sentirsi ormai slegati da ogni cosa, in una condizione che però è, proprio per questo, traboccante di possibilità: è possibile persino innamorarsi di una ragazza che sembra la propria madre ma non lo è, per qualcosa che più che il complesso edipico si prospetta con uno strano scherzo del destino. Ma il destino ha il senso dell'umorismo, si sa.
Sì, anche Ed sta crescendo- era ora, ormai va per i diciannove!- e pur cercando di restare fedele al personaggio ho tentato di farlo maturare un po', ovviamente sempre insieme a suo fratello. ^^
MusaTalia: sono sempre felice se riesco davvero a far emozionare qualcuno con quel poco che scrivo, e ti ringrazio per avermelo voluto comunicare. È sempre una cosa molto bella da sapere. ^^
Non preoccuparti per la tosse di Tiarnan: a lei non succederà nulla, tranquilla. E puoi ben sperare in un continuo, perché in effetti ho in mente qualcosa...
Per quanto riguarda le citazioni a inizio capitolo, mi sto riguardando per intero la prima serie di FMA, e quando incappo in qualche frase che potrebbe "c'entrare" qualcosa con una storia che sto scrivendo, me la appunto subito!
Ho ancora un sorriso da un orecchio all'altro per la tua bellissima recensione, grazie ancora!

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Capitolo 2
*** Refoli di cenere ***


2- Refoli di cenere Refoli di cenere


"... conosciuto con il nome di Alchimista di Fuoco."

(Roy Mustang, episodio 5)


Rod si stava rendendo conto di trovarsi di fronte al problema più grosso che si fosse mai trovato ad affrontare. Un problema che non capiva nemmeno, perché era tutto totalmente assurdo.
Sospirò, guardandosi attorno e facendo tanto d'occhi quando si accorse di essere solo. Perso nei suoi pensieri, non si era nemmeno accorto di stare camminando senza più nessuno accanto.
- Ehi, che stai facendo? - Elias si era fermato qualche metro indietro, e ovviamente Schwarz Hayah era rimasto al suo fianco. Pensare che l'aveva trovato lui, quel cane – Elias! -.
- Eh? - anche lui sembrava essersi estraniato dal mondo, perché quasi sobbalzò quando l'amico lo chiamò – Ah, sì... arrivo! -.
Nel frattempo Rod l'aveva raggiunto, lanciando un'occhiata perplessa alla vetrina che l'altro stava guardando.
- Ti interessa questa roba? - chiese con una smorfia.
- Cosa? No, certo che no – si affrettò a mentire Eliza, arrossendo leggermente: non poteva permettersi di mostrargli certi lati di sé, non se voleva mantenere una certa reputazione. Lanciò un'ultima occhiata agli abiti da sera, alle giacche e alle gonne esposti in vetrina: sarebbe rimasta ore ad osservarne il taglio perfetto, a studiare le cuciture minute di quei vestiti di alta sartoria, ma non era quello il momento – Forza, andiamo -.
Rod avrebbe voluto ribattere qualcosa, magari prenderlo un po' in giro per quel suo inaspettato “lato femminile”, ma quando gli passò talmente vicino che sarebbe riuscito a contargli i capelli sulla nuca, rimase per un momento senza fiato.
- Beh, che ti prende? - domandò Eliza, quando lo sguardo le cadde sulla giacca che il suo amico era solito portare – Che hai fatto ai bottoni? -.
- Eh? Ah... - in effetti aveva avuto un piccolo “scontro” con altri ragazzi del quartiere. Non si era tirato indietro, ma i suoi abiti ne avevano un po' risentito: qualche bottone penzolava floscio, i fili tirati e quasi strappati – Niente di che... anche se non piacerà a mia madre -.
In effetti l'ultima volta l'aveva minacciato di farlo andare in giro senza pantaloni, e pensare che era arrivato a casa con un danno molto minore di quello: una semplice cucitura sdrucita, nient'altro. Non osava immaginare come l'avrebbe presa stavolta.
- Vieni – Eliza, dopo un'occhiata critica ai suoi bottoni, si voltò nella direzione da cui venivano, Schwarz Hayah subito pronto a seguirla – Forza -.
Rod non aveva idea di cosa volesse fare, ma qualunque cosa potesse ritardare il suo ritorno a casa era ben accolta.
La seguì, ripercorrendo a ritroso la strada che avevano fatto, fino a casa Hochwald.


Era la prima volta che Rod ci entrava, a dire il vero. La prima cosa che lo sorprese fu l'enorme quantità di libri accumulata ovunque, oltre al fatto che non sembrava ci vivesse esattamente qualcuno. L'unica stanza un po' più luminosa e accogliente era la cucina, dov'era seduto adesso. Elias gli aveva detto di aspettarlo lì mentre cercava il filo necessario a riattaccargli i bottoni- anche se non aveva ancora capito come potesse esserne capace- e ora si stava guardando un po' attorno, accarezzando piano le orecchie di Schwarz Hayah.
A un tratto il cane voltò il muso, alzandosi e uscendo nel corridoio, come se avesse sentito qualcosa.
- Ehi, dove vai? Vieni qui! - lo chiamò Rod, seguendolo.
Lo vide infilarsi in una porta socchiusa, e non ci pensò due volte ad andargli dietro. Si ritrovò in una stanza piuttosto buia e polverosa, la cui unica luce proveniva da una finestra dai vetri opachi e cadeva su una scrivania traboccante di fogli. Vide Schwarz Hayah seduto proprio lì accanto, accarezzato meccanicamente da un uomo chino sui libri. Doveva essere uno studioso della legge, pensò Rod, perché aveva lunghi riccioli sulle tempie e il capo coperto dalla kippah, oltre che il talled (¹) a coprirgli le spalle.
Il ragazzo rimase ad osservarlo per qualche istante, quasi chiedendosi se fosse reale, finché quell'uomo sembrò infine notarlo. Dopo avergli lanciato un'occhiata indifferente gli disse qualcosa, che tuttavia Rod non capì.
- Scusi, come ha detto? Potrebbe ripetere? -.
L'uomo ripeté ma, anche se parlava una lingua che somigliava in qualche modo al tedesco, Rod non riuscì a capirlo.
- Ma lei chi... -.
- Ah, sei qui – Elias comparve improvvisamente accanto a lui, con ago e filo tra le mani, per poi rivolgersi a quell'uomo e dirgli qualcosa nella sua stessa lingua.
Lui annuì, dicendole di nuovo qualcosa che Rod non capì e tornando ai propri libri senza più degnarli di un'occhiata.
- Vieni – Elias lo tirò per un braccio, riportando in corridoio un Roderich ancora piuttosto sorpreso.
- Ma chi è? -.
- Mio padre – rispose semplicemente il suo amico.
- E... in che lingua parla? -.
- Yiddish (²) – disse Elias, lanciandogli un'occhiata perplessa – Non lo conosci? -.
- Beh, no... la mia famiglia non segue molto la tradizione. A casa parliamo solo tedesco -.
- Davvero? - il suo amico sembrava davvero sorpreso – Comunque mi ha chiesto di accendere la stufa. Non è che puoi pensarci tu, mentre attacco i bottoni? -.
- Eh? Ah, sì... sì, va bene -.
- Si trova nella stanza qui accanto, la accendiamo solo di tanto in tanto per tenerla attiva. La legna la trovi tutta lì -.
- D'accordo – entrò nella stanza indicatagli da Elias, mentre lui tornava evidentemente a dedicarsi alla sua giacca.
Non gli interessava più sapere come facesse un ragazzo della sua età ad essere capace di attaccare un bottone, come non gli sembrava più tanto strana una famiglia in cui si parlasse solo yiddish. Ora come ora, aveva un problema decisamente più grosso da risolvere.

Sua madre non lo lasciava nemmeno avvicinare a quegli affari, non dopo che aveva seriamente rischiato di dar fuoco alla sua cucina. Non credeva di essere molto portato, ma insomma: se non ci provava non avrebbe mai imparato, no?
Fu con tale convinzione che aprì lo sportello di una bella e grande stufa in maiolica, riempiendola dei ceppi di legno che trovò lì accanto.

- Che stai combinando? - la voce esterrefatta di Elias lo fece sobbalzare e, anche se sapeva di essere nel torto, mise su un certo broncio.
- Accendo la stufa, no? -.
- Così? - Eliza non credeva ai propri occhi, ma da una famiglia di ebrei che non parlava nemmeno yiddish forse c'era da aspettarsi questo e altro.
- Senti, se c'è un metodo ortodosso per accendere il fuoco, io non lo conosco – confessò Rod, tenendo la testa bassa.
- Allora te lo insegno io – fece Eliza senza perdersi d'animo. Si accucciò davanti allo sportello della stufa, proprio accanto a lui, tirando fuori qualche ceppo di troppo.
Allungandosi, prese dalla cassa qualche pezzo di legno più piccolo, assieme a dei ramoscelli sottili. Dispose per bene la legna, aggiungendo poi della carta perché si alimentasse un po' all'inizio, e accese il fuoco.
Poi si sporse leggermente per gettare i ceppi di troppo nella cassa della legna, appoggiandosi un po' a Rod per non perdere l'equilibrio. Lui sentì improvvisamente un gran caldo, e non per il timido fuocherello che stava iniziando a divampare.
- Hai visto come ho fatto? - iniziò a spiegargli tranquillamente Elias, accucciato al suo fianco – Devi  disporre la legna in modo che il fuoco “respiri”, ossia che l'aria possa alimentar... mi stai ascoltando? -.
Si voltò all'improvviso, e nel trovarselo a una spanna di distanza Rod sussultò.
- Non guardare me, guarda il fuoco -.
- S-sì – bofonchiò Rod, costringendosi a portare lo sguardo sulle fiamme. Elias seguitò a parlare di “legna ben disposta” e “ossigeno che alimenta le fiamme”, ma lui non lo ascoltava più. Si era perso un'altra volta in quello che era diventato il suo problema più grande, perlomeno da quando aveva conosciuto quello strano ragazzino che sapeva attaccare bottoni e si rifiutava di fare la pipì nel fiume.
Si lambiccava giorno e notte con domande che rimanevano immancabilmente senza risposta. Ad esempio, non capiva perché ogni tanto si ritrovasse a pensare che gli sarebbe piaciuto toccare quei corti capelli biondi, un po' più lunghi nei ciuffi ai lati del viso. Non capiva perché gli piacesse tanto la forma del suo naso. Non capiva nemmeno perché la notasse, la forma del suo naso, quando non sarebbe dovuto importargliene niente, e in quei momenti sentiva le mani sudate come non mai.
Non capiva o si rifiutava di capire, perché l'unica risposta a tutto ciò era che gli piacesse quello che era ormai diventato il suo migliore amico. Elias. Un ragazzo.
Ci mancò poco che si mettesse a sbattere la testa contro la maiolica della stufa, anche se stava iniziando a scottare.
- Fatto – fece Elias, riscuotendolo dalle sue preoccupazioni – La tua giacca è a posto, vieni -.
Si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Rod che, lasciate le sue elucubrazioni, si sentì nuovamente incuriosito dalla vita di quella strana famiglia.
- Senti, ma... tua madre dov'è? -.
- Mia madre? - domandò l'altro, sorpreso.
- Sì... com'è che sai usare ago e filo? Non lo fa lei? -.
Eliza scosse la testa.
- A dire il vero non ne ho idea, ma in ogni caso non è qui -.
- Vuoi dire che è... -.
- No, non è morta – lo anticipò lei – Se n'è andata anni fa. Lei e mio padre hanno divorziato, o almeno credo. Sai, non me lo ricordo molto bene, ero piccolo... ma da allora ho imparato ad arrangiarmi -.
Nel frattempo erano tornati in cucina, dove Rod si rimise addosso la giacca.
- E tuo padre? - domandò poi, osservando per la prima volta i punti minuti e precisi con cui erano stati riattaccati i bottoni.
- Lui studia -.
- Non lavora? - chiese Rod senza peli sulla lingua, sorpreso.
- Lo studio è un lavoro – replicò l'altro, serio.
- Sì, ma... - forse era il caso che stesse zitto. Elias gli aveva appena risistemato la giacca- salvandolo dalle punizioni di sua madre-, mentre lui aveva solamente rischiato di ingolfargli la stufa – Hai ragione -.
- Bene, usciamo? - propose Elias, dando un'occhiata alla luce calante del pomeriggio – Devo andare a comprare della farina e un po' di mandorle, vieni con me? -.


Circa una settimana dopo Rod si presentò a casa Hochwald subito dopo la scuola, giusto mentre Elias finiva di sparecchiare dopo il pranzo. Non gli sembrava più tanto strano che il suo amico si occupasse di certe faccende: capiva bene che, senza sua madre, parecchi compiti ricadessero su di lui.
- Devo dirti un segreto – gli rivelò.
- Un segreto? - fece l'altro.
Rod annuì:
- Vieni con me -.
Uscirono in strada e, dopo qualche vicolo, Elias si ritrovò in una via poco affollata che non conosceva. Rod fece ancora qualche passo, per poi fermarsi davanti alla bottega di un orologiaio.
- È tuo cognato? - domandò Eliza, anche se non ne era sicura: il nome sull'insegna diceva “Von Armstark”, ma le sembrava che Rod una volta le avesse detto un cognome diverso...
- No, lui vive e lavora in un altro quartiere – rispose infatti l'altro – Vieni -.
Aprì la porta del negozio, facendo suonare il campanello posto sopra lo stipite, ed entrò prima che Eliza potesse dirgli qualcosa. Lei non ebbe quindi altra scelta che seguirlo, come sempre.
- Sono io, signore! - fece Rod, perfettamente a suo agio in quel posto.
Era una bottega poco illuminata ma accogliente, anche se c'era un po' di confusione: diversi orologi a pendolo tappezzavano le pareti, per non parlare degli orologi da tavolo, intarsiati o meno, che riempivano gli scaffali.
- Ah, Roderich! Vieni, vieni! - rispose una voce sconosciuta ma profonda dall'angolo più remoto del locale.
Rod si voltò verso Elias, facendogli cenno di seguirlo, e si inoltrò in quello che doveva essere il retrobottega. Nell'andargli dietro, Eliza poté notare su un tavolo diversi oggetti che non sembravano semplicemente degli orologi, anche se avevano un quadrante e delle lancette: erano delle forme più diverse, andavano dalla giostra alla carrozza, dal cavallo bianco a...
- Eccoti qui! Mi stavo chiedendo quando saresti venuto! - tuonò la voce possente di prima, ora molto più forte. Eliza vide che apparteneva ad un vero e proprio armadio umano, come non ne aveva mai visti: un uomo enorme, sulla cinquantina, che sembrava riempire l'intero e angusto spazio del retrobottega.
Rod lo salutò cordialmente, per poi presentare il suo accompagnatore:
- Lui è il mio amico Elias -.
L'uomo squadrò l'amico un po' perplesso, ma alla fine sorrise divertito, porgendogli una mano grande quanto un badile:
- È un piacere. Alexander Ludwig von Armstark, per servirti -.
I folti  mustacchi biondi sembrarono inarcarsi verso l'alto, mentre sorrideva, ed Eliza sorrise a sua volta mentre ricambiava la stretta. Davvero un bel posto e un signore simpatico, ma...
- Quale sarebbe il segreto di cui parlavi? - chiese, rivolta a Rod.
- Oh, vedo che l'hai rivelato a qualcuno! - tuonò Von Armstark – Dev'essere un tipo fidato, questo Elias -.
Mise un po' troppa enfasi sul suo nome, ma non commentò ulteriormente, cosa di cui Eliza fu grata.
- Beh, hai visto la bottega, no? - fece Rod – Cosa c'era? -.
- Orologi – rispose lei.
- Non solo -.
- Oh, ma forse non ha fatto in tempo a... - stava per intervenire Von Armstark, ma Eliza lo precedette:
- Erano... carillon? - tentò, intuendo in quel momento cosa fossero quegli orologi dalle forme così particolari.
- Esatto – annuì Rod, per poi rivolgersi all'uomo: - È come un falco, non gli sfugge mai niente -.
- Ho notato – convenne l'orologiaio, con uno sguardo di apprezzamento a Eliza.
- E il segreto quale sarebbe? - insistette lei. Poteva anche avere l'occhio di un falco, ma non aveva ancora imparato a leggere nel pensiero.
- Che il signor Von Armstark ha promesso di insegnarmi a costruirli – rivelò finalmente Rod, con malcelata soddisfazione.
No, adesso che le sfuggiva qualcosa.
- Gli orologi? O i... -.
- Carillon. No, niente orologi – precisò Rod.
Eliza dovette fare una faccia decisamente perplessa, perché Von Armstark scoppiò a ridere: una risata che sembrò far tremare l'intera bottega, e poco mancò che i cucù uscissero dai loro rifugi e le sveglie si mettessero a suonare.
- Beh? Cos'è quella faccia? - chiese Rod al suo amico.
- È che... non sembri il tipo – rispose diplomaticamente Eliza.
- È quello che gli ho detto anch'io – le diede ragione Von Armstark – Ma a quanto sembra le apparenze ci hanno ingannato ancora una volta! -.     
- Ma... perché vorresti imparare a costruire carillon? - chiese Eliza, ancora poco convinta.
Rod scrollò le spalle.
- Perché mi piace – rispose semplicemente – Non è una ragione sufficiente? -.
In effetti per lui poteva anche esserla.
- E... perché sarebbe un segreto? - fece ancora Eliza.
Von Armstark scoppiò a ridere un'altra volta, e stavolta la sua risata sembrò l'ululato di un lupo.
Rod gli lanciò un'occhiata un po' seccata, ma non osò dire niente all'uomo che aveva accettato di prenderlo come “apprendista” a tempo perso, oltretutto gratuitamente.
- Beh... eviterei di dirlo a casa – rispose laconico. Non tanto per suo padre, ma se pensava a come avrebbe reagito sua madre... gli veniva il mal di pancia.
- Va bene – sorrise Eliza – Ho capito -.
Rod annuì, per poi guardare di sottecchi l'orologiaio, come a dire: “Ha visto?”.
- Vedo che te li scegli bene gli amici – approvò infatti Von Armstark, asciugandosi le lacrime provocate dalle risate – Mi fa piacere -.
- Quindi... adesso starai qui? - Eliza tirò fuori quelle parole a fatica, ma si costrinse a farlo.
- Come? -.
- Nel tuo tempo libero... immagino che sarai impegnato – accennò al tavolo, agli strumenti e a tutta la bottega attorno a loro - … no? -.
Dopo tutta la fatica che aveva fatto. Ma non importava.
- E io che pensavo che mi conoscessi bene – commentò inaspettatamente Rod – Credi che potrei rimanere concentrato su una cosa sola per tutto quel tempo? Per chi mi hai preso? -.
Eliza non osò credere alle proprie orecchie. Voleva dire che non sarebbe rimasta di nuovo sola?
- Devo anche giocare, io -.
Si ritrovò a sorridere di sollievo senza nemmeno rendersene conto. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse affezionata a quel ragazzo che non sembrava avere alcuna preoccupazione al mondo, a differenza di lei.
- Comunque sia, Roderich, in effetti ti servirebbe un posto dove tenere legno, metallo e strumenti, perlomeno quando avrai imparato un po' – intervenne Von Armstark – E se a casa non vuoi dire niente... -.
- Puoi tenerli da me – lo interruppe d'un tratto Eliza, e Rod le lanciò un'occhiata sorpresa.
- Come? Davvero? -.
- Certo. Hai visto, no, che mio padre sta sempre nella stessa camera? Non ci saranno problemi se usi un'altra stanza -.
- Sentito, Rod? Un laboratorio tutto per te! -.
- Beh... grazie – era la prima volta che gli vedeva un sorriso simile. Non beffardo, non ironico e nemmeno sarcastico: il sorriso della gratitudine, rivolto solamente a lei.
- Non c'è di che -.

Quando uscirono, a Eliza non sembrò vero che la sua recita avesse retto anche in quella situazione. Nel salutarli, il signor Von Armstark le aveva sorriso in modo quasi complice: aveva capito, eppure non aveva detto una parola. Quale adulto fa una cosa del genere?
- Bel tipo, non è vero? - fece Rod dopo un po' – Non lo direbbe nessuno che in realtà soffre parecchio -.
- E per cosa? -.
- Per una ferita al piede riportata in guerra da giovane (³): un colpo di spada, credo. È rimasto zoppo, e gli fa ancora parecchio male -.
- Non l'avrei mai detto, è così gioviale... - commentò Eliza – Senti, ma discende per caso da qualche famiglia nobile? Con un cognome del genere... -.
- Sì, mi pare che i suoi fossero dei baroni. Decaduti, però -.
- Caspita -.
- Tornando a noi, dicevi davvero? Mi lascerai usare una stanza di casa tua come... beh, chiamarlo “laboratorio” è un po' prematuro, ma... -.
- Certo che dicevo sul serio – fece Eliza.
- Già – Rod sembrò ricordarsi con chi stava parlando – Tu non scherzi mai -.
Ad Eliza quella sembrò più che altro un'accusa.
- Non è affatto vero -.
- Sì, invece -.
- No -.
- D'accordo, allora proviamo: fa' una battuta -.
- Una battuta? Adesso? -.
- No, domani! Certo che devi farla adesso: che ne so, una barzelletta, o un gioco di parole... io sono un asso in queste cose -.
- Forse perché sono le uniche cose che ti riescono – ipotizzò Eliza.
- Ecco, bravo: questa era una battuta -.
- Ma io parlavo seriamente -.
Rod si grattò la testa, arruffandosi la zazzera nera.
- Vabbè, lasciamo perdere. Piuttosto, devo ancora ringraziarti per la faccenda dei bottoni: grazie a te mi è andata bene, non oso nemmeno pensare alla punizione che mi sarei beccato altrimenti -.
- La sai una cosa? A dire il vero penso che non ti farebbe male essere punito, una volta ogni tanto -.
Rod le lanciò un'occhiata bieca.
- Spero che almeno questa sia una battuta -.
- Può darsi – rise Eliza.


In realtà Rod era molto più diligente di quanto lui stesso ammettesse, perlomeno finché una cosa lo appassionava sul serio. Si mise d'impegno a seguire le indicazioni del signor Von Armstark, passando da lui buona parte del suo tempo libero, ma senza dimenticare il suo amico. Portò legno e altri strumenti nella stanza che Eliza gli aveva consentito di usare, dove poteva lavorare indisturbato quanto voleva. All'inizio era un po' nervoso per la presenza, costante e silenziosa, del signor Hochwald al di là del corridoio, ma ci fece l'abitudine.
Più di una volta, se Elias non lo avesse avvertito in tempo, avrebbe perfino fatto tardi a cena.
Fu la mattina di un giorno festivo, mentre era impegnato con le delicate piastrine di un meccanismo, che Elias fece capolino dalla soglia per dirgli che si assentava un attimo. Lui annuì, concentrato sul proprio lavoro, e non lo sentì nemmeno quando chiuse la porta di casa, tallonato da Schwarz Hayah.
Ma dopo un po', forse appena una manciata di minuti più tardi, udì la voce di qualcuno: l'aveva sentita una sola volta, ma doveva essere per forza il padre di Elias che chiamava.
Pensò di andare a riferirgli che suo figlio non c'era, ma sarebbe tornato presto. Tuttavia, quanto fu nella stanza in cui quell'uomo se ne stava sommerso dai libri, capì che evidentemente il padre di Elias voleva che lui facesse qualcosa.
- Io... non parlo yiddish – tentò di spiegargli Rod, ma l'uomo continuò imperterrito ad esporgli la propria richiesta.
Ora, anche se Rod non sapeva una parola di quella lingua, era comunque dotato di un buon intuito e gli sembrò che le frase pronunciata dall'uomo fosse molto simile a quella che aveva rivolto ad Elias l'altra volta.
- La stufa? - chiese, accennando alla stanza accanto, e l'uomo annuì – Vuole che la accenda? -.
Altro cenno del capo.
- Beh... d'accordo -.
Uscì in corridoio con la sensazione di aver appena avuto una conversazione piuttosto surreale, ma perlomeno si erano capiti.
Entrò nella stanza con la stufa in maiolica, trovandosi di fronte a due casse diverse piene di legna. In fondo Elias gliel'aveva spiegato l'altra volta come fare, no?


Quando Eliza rientrò dalla sua commissione assieme a Schwarz Hayah, pensò che fosse scoppiato un incendio. Il corridoio era come immerso in una strana foschia un po' puzzolente, che le pizzicava il naso.
- Ma cosa...? - prima di andare ad avvertire suo padre, però, volle sincerarsi di cosa stesse veramente accadendo, e cercò di capire da dove venisse tutto quel fumo.
Dalla stanza con la stufa in maiolica.

- Senti, me l'ha chiesto tuo padre! - protestò Rod quando Elias piombò nella stanza, tossendo per tutto il fumo che c'era.
- Ma se non parli nemmeno yiddish! -.
- Ci siamo capiti lo stesso – assicurò Rod, chiedendosi cosa diavolo fosse andato storto questa volta.
- Ma che legna hai usato? - domandò Eliza.
- Questa – rispose Rod, indicando la cassa da cui aveva attinto.
- Non ti sei accorto che era umida? - fece lei, allibita.
- Ma il fuoco asciuga, no? -.
- Per accenderlo serve legna secca. Era nell'altra cassa! Ecco perché c'è tutto questo fumo! - Eliza corse ad aprire una finestra, anche se ci sarebbe voluto un bel po' per far tornare quella stanza alla normalità.
Poi si dedicò finalmente alla stufa, cercando di respirare il meno possibile e tentando di soffocare con la cenere le poche fiammelle che avevano attecchito sul legno umido.
Tossendo e con le lacrime agli occhi, Eliza riuscì infine a spegnere tutto, lasciandosi poi cadere col sedere a terra. Vide Rod accanto a sé, sporco del pulviscolo di quel fumo nero quanto lei, entrambi col fiato corto.
Si guardarono per un istante, mezzi straniti, e prima di rendersene conto scoppiarono a ridere, con la tosse che si mescolava alle risate. Avrebbe dovuto dirgliene quattro, ma per la prima volta in vita sua si ritrovò a ridere talmente forte che dovette tenersi la pancia perché le faceva quasi male.
Sentiva la gola e il naso bruciare per il fumo respirato, e si rese conto in quel momento che, se qualche mese prima non avesse visto un certo cagnolino per la strada, non si sarebbe mai ritrovata a ridere così.
Rod, dal canto suo, era ben lungi dal sentirsi in colpa per l'ennesima sconfitta subita dalla stufa. Pur ridendo a crepapelle, era totalmente perso a guardare lo spettacolo più unico che raro di Elias che si sbellicava dalle risate, e in quel momento non poté fare a meno di pensare che fosse estremamente... carino. Anche con i capelli biondi sbiaditi dalla cenere, anche se gli colava un po' il naso per tutto il fumo respirato.
E prima che potesse rendersi conto di cosa stava facendo, si sporse e appoggiò le labbra sulle sue, premendo un po'. Avevano un sapore e un odore terribili, ma a dire il vero Rod non riusciva a capire se quelle che sapevano di bruciato e di cenere fossero le labbra che stava baciando o le proprie. Erano anche leggermente screpolate, ma gli piacquero enormemente. Gli piacquero così tanto che, quando venne colpito con violenza sull'orecchio, per un momento non capì cos'era successo.
- Ehi, che ti prende? - domandò stordito, tenendosi con una mano l'orecchio che ronzava.
- A me? - rispose Eliza con voce gutturale, le cui guance sporche di cenere si erano colorate di rosso acceso. Quel colore ardente sotto il grigio sporco le faceva sembrare quasi due pezzi di brace – Sei impazzito? -.
In effetti era una domanda più che legittima, ma Rod si indispettì per quella reazione che trovava un pochino esagerata.
- Datti una calmata, non è successo niente -.
Fino a quel momento non aveva mai visto Elias arrabbiarsi sul serio, ma ebbe abbastanza buon senso da capire che era appena successo.
- Stupido. Sei solo uno stupido -.
- Senti, mi dispiace per la stufa... -.
- Non è la stufa il problema! - gridò Eliza con veemenza.
- Ehi, abbassa un po' i toni! Da quando hai una voce così acuta? -.
- Da sempre! -.
- Beh, se è così non me n'ero mai accorto! - ribatté lui.
- Non è colpa mia se non ci senti... - Eliza abbassò notevolmente la voce, quasi in un sussurro - … e nemmeno ci vedi -.
- Cosa vorresti dire, scusa? -.
Eliza stava per replicare qualcosa, quando sentì suo padre chiamarla e dirle di smetterla con quella baraonda. Rod ovviamente non comprese una parola, ma aveva abbastanza orecchio da intuire quando un adulto lo stesse sgridando.
Senza dire niente si alzò e andò nella stanza che usava come “laboratorio”, dove raccattò tutto quello che riuscì a tenere in mano, legno e strumenti compresi. Poi si diresse deciso verso l'uscita, senza salutare e lanciando solo una breve occhiata a Schwarz Hayah, che gli uggiolò dietro finché non si fu chiuso la pesante porta alle spalle.


Rod aveva sempre saputo di essere un tipo terribilmente ostinato, ma non pensava che Elias lo fosse altrettanto. Dopo una settimana era anche disposto a dimenticare ogni cosa, preferendo sorvolare sul bacio che aveva dato al suo migliore amico. Era più importante che si facesse vivo.
Aspettò e aspettò, innervosendosi tanto che accettò addirittura di fare una commissione per sua madre: pensò che magari, sulla via del ritorno, poteva anche fare un salto a casa di Elias. Era stufo di aspettare i suoi comodi.
Mentre la moglie del macellaio pesava la carne che le aveva chiesto, la sentì attaccare bottone come al solito. Ma lui non era sua madre, e non aveva alcuna intenzione di prestare orecchio ai suoi sciocchi pettegolezzi; non ne aveva alcuna intenzione finché non la udì pronunciare chiaramente il nome “Hochwald”.
- Eh, è un vero peccato... soprattutto per quella povera bambina... -.
- Scusi, come ha detto? -.
- Hochwald – ripeté la donna – Di certo non lo conoscevi: quell'uomo era sempre rintanato in casa, non doveva starci molto con la testa... -.
- Perché “stava”? -.
La donna terminò di pesargli la carne, cominciando ad avvolgerla nella carta.
- È morto qualche giorno fa- riposi in pace- ma in circostanze piuttosto misteriose... - si interruppe, forse ricordandosi che stava parlando con un ragazzino.
- E suo figlio? - chiese subito Rod, non credendo alle proprie orecchie: il signor Hochwald era morto? Com'era possibile?
- Quale figlio? - domandò la donna, sbattendo i piccoli occhietti miopi – Hochwald aveva solo una bambina, che a quanto so è stata mandata a vivere da alcuni parenti in campagna, fuori Berlino... -.
Gli disse il prezzo da pagare, mentre Rod la guardava stranito: quella donna era sempre stata un po' svampita, ma ora pensò che dovesse seriamente avere una rotella fuori posto. Come si poteva scambiare Elias per una femmina?
Tuttavia, in quanto a notizie, era più affidabile del principale quotidiano di Berlino. Pagò e prese la sua carne, uscendo da quel negozio il più in fretta possibile.
Percorse il resto della strada quasi correndo, infischiandosene del fatto che sua madre gli aveva detto di tornare subito a casa. Quando arrivò davanti alla porta degli Hochwald aveva ormai il fiatone, ma non gli importava. Provò a bussare; non gli aprì nessuno. Gli scuri delle finestre erano serrati, e il batacchio della porta rimbombava a vuoto.
- Ehi, ragazzo! Falla finita, lì non ci abita più nessuno! -.
Fu un passante occasionale a lanciargli quella voce, un tizio che nemmeno conosceva. Era così, dunque: suo padre era morto ed Elias se n'era andato. Se n'era andato probabilmente assieme a Schwarz Hayah, senza dirgli niente.
Diede un ultimo colpo al batacchio, sbattendolo talmente forte che sperò di aver lasciato un solco nel legno della porta.
Se ne andò infine per la sua strada, voltandosi di tanto in tanto verso quella casa ormai vuota, calciando rabbioso ogni singolo sasso che trovò.






(¹) Kippah: copricapo ebraico simile a uno zucchetto
Talled: scialle ebraico sfrangiato, in tessuto bianco con fasce più scure
(²) Lingua germanica con contaminazioni slave, parlata soprattutto dagli ebrei dell'Europa orientale
(³) La guerra franco-prussiana (1870-1871)



Avete notato il piccolo riferimento ad un certo colonnello che non può usare la sua alchimia nei giorni di pioggia ma- accidenti!- ogni tanto se ne scorda?
Anche la battuta “Penso che non ti farebbe male essere punito, una volta ogni tanto” l'ho presa da una puntata dell'anime. Inoltre spero che abbiate apprezzato l'entrata in scena di un altro personaggio di nostra conoscenza. ^^
Vi avverto già che tra questo e il prossimo capitolo c'è uno scarto di diversi anni... tanto per attutire un po' la sorpresa.


Rispondendo alle recensioni:
Shatzy: spero che questa storia sia all'altezza delle tue aspettative, perché so quanto tieni al Roy/Ai... comunque no, non ho letto il manga né visto la serie Brotherhood. Magari prima o poi lo farò, è che devo prima fare pace con la grafica: non so, mi sembra che quella della seconda serie l'abbiano fatta "al risparmio". Una volta mi sono imbattuta in un episodio, durante un combattimento, e devo dire che rispetto ai movimenti, alle inquadrature della prima serie faceva un po' pena: se mi metto a paragonarle, mi viene da piangere. Mi sa che a questo punto faccio prima a leggere il manga.
Per quanto riguarda “Regentage”: sono contenta che sia passato il fatto che i due fratelli devono ormai iniziare a considerare questo mondo come il proprio. È un percorso lento, ma inevitabile. La coppia... oh, lo so che è strana; l'ho fatto apposta. ^^ Eppure, man mano che ne scrivevo, mi piacevano sempre di più: ha quel non so che di “risarcimento” per qualcosa che si è perduto, ma incredibilmente beffardo, come è sempre stato il destino con Ed e Al. Comunque ho intenzione di scriverne ancora, e non è detto che a tutti piaccia, tranquilla.
Per l'OOC di questa storia... boh, io aspetterei: se alla fine sarai ancora dell'idea di toglierlo, sarò pronta ad obbedire! ^^
MusaTalia: eh già, "galeotto fu il cane"! La madre di Rod ti sembrerà forse una terrorista, ma riguardando un po' la prima serie di FMA ogni tanto mi imbattevo nei siparietti comici fra Ed e Mustang, così mi son detta: "Visto che il colonnello ha fatto tanto penare Ed, diamogli una madre che faccia penare lui!". Vedi, si tratta di scambio equivalente anche qui. ù_ù
Il finale di questo capitolo sembra lasci forse le cose un po' in sospeso, ma non temere: si rivedranno presto (ovviamente, perché se no la storia non va avanti).
Rain e Ren: sì, hai proprio ragione: ci vogliono la sottigliezza e l'acume di Eliza per completare alla perfezione il carattere impetuoso di Rod. Mi piace il termine “stramba” amicizia, perché in effetti è proprio quello che è; eppure è dalle “stramberie” che arrivano le cose migliori.
Sono davvero contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto! ^^ Spero di essere all'altezza di questa storia, e vedrai che la scoperta della vera natura di Eliza sarà piuttosto... improvvisa. ^^

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Capitolo 3
*** Misteri svelati ***


3- Misteri svelati Misteri svelati


"Ho la sensazione che cercare un libro qui dentro sarà una bella impresa..."

(Lust, episodio 18)


Nell'aggiornare il registro dei prestiti, lo sguardo gli cadde di nuovo su quel nome: "Hochwald, Eliza".
Non era da molto che questa Eliza frequentava la biblioteca, e di solito prendeva in prestito volumi relativi a cucito e sartoria, rivolgendosi solo di rado ad altre aree tematiche.
Era da quando aveva notato per la prima volta quel nome che Rod la teneva d'occhio. Non aveva idea di che aspetto avesse, perché non gli era mai capitato che si rivolgesse a lui direttamente per prendere in prestito un libro, tuttavia stava cominciando a diventare una frequentatrice abituale.
Erano ormai passati anni, e di Elias non aveva saputo più niente. Il tempo trascorso era stato sufficiente perché la rabbia che provava nei suoi confronti evaporasse crescendo, e di quel periodo gli era rimasta perlopiù la sensazione di un vago mistero. Come se qualcosa, di quell'amicizia durata appena pochi mesi, gli sfuggisse ancora.
Dondolò la penna su e giù, terminando di scrivere titoli e date. La biblioteca in cui lavorava era una delle più grandi di Berlino, e ogni giorno c'erano centinaia di persone che andavano avanti e indietro; tuttavia, con un po' di attenzione, sarebbe di certo riuscito ad individuare questa Eliza Hochwald. Chissà, forse era una parente di Elias: magari sapeva che fine aveva fatto.


Si stava rivelando una mattina piuttosto indaffarata: sembrava che mezza Berlino avesse improvvisamente bisogno di consultare i volumi appartenenti ai fondi privati, che solo gli impiegati della biblioteca potevano andare a prendere. Malgrado le privazioni dovute alla guerra stessero ormai seminando la fame anche nella capitale, la classe più agiata sembrava non aver cambiato di una virgola le proprie abitudini, e l'andirivieni dalla biblioteca continuava come niente fosse.
Dopo circa tre ore di arrampicate sulle scale per prendere i faldoni più disparati- che ovviamente si trovavano sempre sullo scaffale più in alto- Rod aveva finalmente trovato il tempo di risistemare i volumi riconsegnati quel giorno. Fece per iniziare il suo giro col carrello dei libri, quando si bloccò e corse al registro dei prestiti, in preda a un'ispirazione improvvisa.
Eccola lì: Eliza Hochwald aveva appena riportato un libro, ma non ne aveva ancora preso in prestito nessuno. Questo voleva dire che, con tutta probabilità, si trovava ancora all'interno della biblioteca. Prese unicamente quel libro- il cui titolo era "Modellistica integrata e fondamenti di confezione"- tanto per dare l'impressione di fare qualcosa, e si diresse verso la relativa sezione.

Quando arrivò lì, notò che c'erano appena un paio di persone: un anziano signore piuttosto curvo e una ragazza bionda, vestita semplicemente e coi capelli raccolti sulla nuca... che fosse lei? Le lanciò un'occhiata di sottecchi, ma non riuscì a scorgerne il viso. Si avvicinò un po', perché doveva comunque risistemare il libro che proprio lei aveva riportato, e così facendo poté sbirciare la pagina su cui era china. Intravide dei modelli di maniche e corpi di giacche, con diverse annotazioni tecniche ai lati.
- Si interessa di sartoria? - fece, tanto per attaccare bottone, ma quando i loro sguardi si incrociarono rischiarono entrambi di far cadere i libri che tenevano in mano.
La ragazza sembrava ammutolita mentre Rod, con occhi sbarrati, riuscì a malapena a farfugliare:
- N-non... non è possibile... -.
Lei non mosse un muscolo, e lui ebbe tutto il tempo di registrare ogni singolo particolare del suo viso, trovandolo sempre più familiare. I capelli dello stesso colore, il naso, la bocca, gli occhi... quegli occhi!
- E... - non credeva davvero a quanto stava per dire. Ma dalla sua gola uscì comunque un suono strozzato, che rese entrambi più sconvolti di quanto non fossero già - … Elias? -.
La ragazza mosse appena le labbra, ma non fece in tempo ad emettere suono che una voce li interruppe.
- Roderich? - chiamò un'altra addetta della biblioteca, una sua collega – Ci sarebbero dei documenti da andare a prendere per una consultazione. Puoi andarci tu? -.
- Io... - no che non poteva. Doveva scoprire chi diavolo fosse quella ragazza - … sì, ci penso io -.
Non si stupì quando, dopo aver portato i documenti all'uomo che li aveva richiesti, non trovò più traccia della ragazza. Lo aveva saputo nell'istante in cui aveva distolto lo sguardo da lei, che sarebbe sparita in un secondo. E sapeva anche che quella notte difficilmente sarebbe riuscito a dormire.

Una ragazza? Elias era sempre stato una ragazza? E lui non se n'era mai accorto?
“Beh, ma...” fu la giustificazione che trovò quella sera, steso sul suo letto, mentre non riusciva a prender sonno “... aveva i capelli corti, e vestiva sempre come un maschio.”
Pantaloni, giacche, berretti, perfino le bretelle sopra la camicia... chi l'aveva mai visto con una gonna? Ai tempi suo padre non gli era sembrato poi così strano, ma se lasciava che la figlia andasse in giro vestita da ragazzo... qualche rotella fuori posto doveva averla di sicuro. Oltretutto era assurdo per una famiglia così osservante: da qualche parte doveva essere scritto che le donne non potevano assolutamente vestirsi da uomo e viceversa... ma in che razza di situazione era vissuta, quella famiglia?
Si rigirò nel letto più volte, concludendo che era inutile farsi tante domande se dovevano rimanere senza risposta. Magari il giorno dopo avrebbe potuto controllare fra i dati degli utenti della biblioteca, per vedere se riusciva a scoprire qualcosa di più.


Il giorno dopo rischiò di cadere dalla scala su cui era salito per raggiungere gli scaffali in alto quando, abbassando lo sguardo, la vide lì sotto ad aspettarlo.
Era lei, innegabilmente lei. Ma era anche lui.
- Chi sei? - le chiese finalmente, quando fu sceso senza infortuni.
Ci fu un momento di silenzio palpabile, mentre teneva lo sguardo fisso sul suo viso, ancora stranito nel riconoscerlo come indubbiamente femminile. E dire che lui ne sapeva ormai parecchio, al riguardo.
- Eliza Hochwald – rispose lei.
Questo si era capito.
- Ed Elias Hochwald chi è, invece? - la incalzò Rod.
La stava osservando così attentamente che notò un sospiro quasi impercettibile, prima che rispondesse:
- Sempre io -.
- Ah -.
- Ascolta, mi dispiace – era strano ritrovarsi subito così in confidenza con una persona che non si vedeva da anni, ma Eliza era sempre stata una persona leale: sapeva di dovergli una spiegazione, ed era tornata appunto per questo – Non è stato corretto, da parte mia, e per quel che può servire me ne scuso -.
- Ma... - quella faccenda aveva decisamente del surreale, e nonostante tutto continuava a sfuggirgli una cosa - … perché? Che senso ha avuto mettere in scena una recita del genere? -.
Eliza si morse la lingua. Sarebbe servito a qualcosa dirgli la verità dopo tutto quel tempo, soprattutto a qualcuno che poteva anche essere diventato uno sconosciuto? Perché erano adulti, ormai, e a quell'età le ragioni dei ragazzini potevano anche sembrare delle patetiche sciocchezze.
- C'erano tanti motivi – rispose laconica – Ma non ho mai voluto prenderti in giro -.
Lo vide portarsi una mano alla testa e grattarsela rassegnato, forse perché si stava rendendo conto che con lei non avrebbe cavato un ragno da un buco. Eliza fece del suo meglio per trattenere un breve sorriso: adulto o no, quell'abitudine di arruffarsi i capelli ce l'aveva ancora.
- Mi avevano detto che eri andata a vivere fuori Berlino, in campagna – fece Rod, cambiando discorso.
- E tu come fai a saperlo? - ribatté Eliza, sorpresa.
- La moglie del macellaio – rispose lui, ricordando quel breve scambio di battute avuto diversi anni prima – Era più informata di un giornale, ricordi? -.
Eliza annuì, e d'un tratto sorrise.
- Schwarz Hayah è rimasto là – lo informò, vedendolo quasi sussultare al sentir nominare il cane – Gli piaceva un mondo scorrazzare per i campi, e mi sembrava una crudeltà riportarlo in città -.
- Già, Schwarz Hayah... - mormorò Rod, ricordando quel salsicciotto che aveva trovato per strada da ragazzino, e che era cresciuto tanto bene con lei. All'improvviso si rese conto che, se non fosse stato per quel cane, non avrebbe mai conosciuto la ragazza che adesso gli si trovava di fronte – Quanti anni ha? -.
- Una decina, ma li porta bene -.
- Hai fatto bene a lasciarlo là, sono certo che starà alla grande... - parlare di Schwarz Hayah li aveva in qualche modo riportati su un terreno comune, quel terreno comune che anni prima avevano condiviso con naturalezza, tanto che Rod si sentì abbastanza a suo agio da chiedere: - E tu? Perché sei tornata a Berlino? -.
Non nominò suo padre; forse una volta le avrebbe rivolto subito qualunque domanda gli fosse venuta in mente- ed in effetti era così- ma al momento stava ancora cercando di capire chi fosse esattamente la persona che aveva davanti. In quella ragazza dai capelli biondi raccolti sulla nuca, vestita in modo semplice ma attento, quanto rimaneva ancora del vecchio Elias? Esisteva ancora, da qualche parte, o era stata una recita anche la sua amicizia?
- Sono apprendista in una sartoria. Al momento lavoro là, ma quando avrò imparato abbastanza ho in progetto di mettermi per conto mio -.
- Sei tornata a casa tua, quindi -.
- No – a Rod non sfuggì che aveva esitato un momento, prima di rispondere – Ho preso in affitto una stanza; non avrebbe senso usare un'intera casa per una persona sola -.
Rod annuì, non molto convinto, ma non insistette.
- Una sarta, quindi... - un ricordo gli attraversò la mente, in un lampo – Ehi, adesso che ci penso... quel bottone! E poi ti fermavi a vedere le giacche e i vestiti nelle vetrine! -.
Mise insieme tutti quei piccoli indizi, trovando finalmente un senso di continuità tra la persona che aveva conosciuto e quella che si ritrovava davanti:
- Ti piaceva anche allora, non è vero? -.
Eliza annuì, sorridendo piano.
- In effetti sì, anche se non era il caso di sbandierarlo troppo -.
- E perché? -.
- Beh... “ti interessa questa roba”? - fece, e anche se non imitò le sue smorfie Rod riconobbe comunque il proprio commento di tanti anni prima.
- Ah, già... scusami. Comunque poi sei stata provvidenziale, in quella faccenda del bottone -.
La vide sorridere, a quel ricordo: il sorriso sincero di quando si ripensa alle cose del passato. E in quel momento si accorse che era bella. Il tipo di bellezza che non tutti sono in grado di cogliere, ma lui non era esattamente un novellino in tale campo: era il tipico esempio di donna che può passare inosservata per un istante, ma se lo sguardo cade su di lei non si riesce più a distoglierlo.
- Cavolo, però! – non poté fare a meno di esclamare – Dovevo essere proprio cieco -.
- Lo penso anch'io – asserì lei.
- Beh, non che i tuoi vestiti aiutassero. E coi capelli così corti, poi... -.
- Sei stato l'unico, però – lo interruppe Eliza – Capitava che qualcuno, a prima vista, mi scambiasse sì per un maschio, ma poi si accorgevano subito che non era così. L'unico che ha continuato ad esserne convinto sei stato tu -.
- Ah... - saperlo non faceva molto bene al suo amor proprio, ma d'un tratto gli venne in mente una cosa e obiettò: - Ehi, anche Von Armstark ci era cascato -.
Capì che non era così prima ancora che lei rispondesse.
- Veramente... mi ha retto il gioco – rivelò Eliza – Anche se non so perché -.
- Tsk, ma tu guarda. Vatti a fidare... -.
- Mi scusi – un signore di mezza età si avvicinò a loro – Mi spiace interrompervi, ma avrei bisogno di consultare un documento -.
- Oh... sì, arrivo subito – rispose Rod, e mentre l'uomo si allontanava di un paio di passi disse a Eliza: - In effetti dovrei lavorare -.
Lei annuì.
- Certo. Ero venuta fin qui per spiegarmi, dato che non sapevo in quale altro posto trovarti, ma adesso ti lascio lavorare. Anzi, devo andare anch'io – gli fece un cenno – Arrivederci -.
Rod rimase per un momento a guardare la sua schiena che si allontanava, attraversando le pozze di luce mattutina che entrava dalle grandi finestre della biblioteca. Vide i suoi capelli farsi dorati nei momenti in cui venivano colpiti dalla luce del sole, e poi più scuri quando passava nelle zone in ombra. Obbedendo ad un impulso istintivo, lo stesso che quella volta gli aveva fatto raccogliere Schwarz Hayah in quel mercato rionale, si voltò un momento verso l'uomo che lo stava ancora aspettando.
- Solo un momento -.
In rapide falcate la raggiunse, vedendola sussultare quando le prese delicatamente un gomito.
- Più tardi, al fiume. Solito posto – sussurrò.
La sorpresa di Eliza durò solo un istante; fece un cenno col capo, poi ognuno andò per la sua strada. Rod tornò dall'uomo che lo stava ancora aspettando, e che aveva assistito all'intera scena con aria piuttosto incuriosita.
- Mi scusi per l'attesa -.


Quando Rod giunse sulla riva del fiume il posto era ancora deserto, ma non aveva il minimo dubbio che sarebbe arrivata. Sembrava quasi assurdo fidarsi così di una persona che si era rivista appena il giorno prima dopo circa dieci anni, eppure non prese nemmeno in considerazione la possibilità che potesse non venire.
Iniziò ad aspettare, e intanto rimase lì: le mani in tasca, a guardare lo Sprea che scorreva sotto il sole del mezzogiorno.

- Non stai facendo niente di osceno, vero? -.
Si voltò e, mentre lei scendeva la riva per raggiungerlo, sbuffò in una specie di risata.
- Ecco perché non volevi mai farmi compagnia! Per forza... – guardò l'acqua, che gli aveva fatto spesso da gabinetto all'aria aperta – E io che pensavo ti vergognassi come un signorino di famiglia ricca -.
- Non è necessario essere ricchi per essere beneducati – ribatté lei.
- E tu non hai idea di quanto fosse divertente, Liza -.
- Mi chiamo Eliza – puntualizzò lei.
- È lo stesso – replicò Rod, alzando le spalle con simulata indifferenza – Posso chiamarti come mi pare -.
- Ah, sì? - fece lei, leggermente infastidita. Era come se il fiume avesse abbattuto ulteriormente le barriere, quelle barriere invisibili che in biblioteca erano ancora ben presenti – E chi l'ha deciso? -.
- Io, ovviamente. Come risarcimento per l'imbroglio di cui sono stato vittima – spiegò Rod, in tono palesemente teatrale.
Eliza scosse piano la testa, ma non replicò: in effetti, non aveva tutti i torti. Anzi, se c'era qualcuno in torto, quella era lei.
- Ehi, guarda che sto scherzando – si affrettò a dire lui, fraintendendo il suo silenzio – Io ne ho combinate di peggiori, sai -.
- Oh, certo che lo so – rispose lei, annuendo con l'aria di chi la sa lunga – Quella povera stufa non si è mai ripresa dal trauma -.
Silenzio.
- Questo è un colpo basso, lo sai? - mormorò lui a voce bassa.
Eliza fece del suo meglio per rimanere seria, anche se non poté evitare un sorriso sornione.
- Non ridere -.
- Non sto ridendo – replicò lei, ora perfettamente seria – Ma immagino sia faccenda vecchia, no? Ormai avrai imparato -.
- Certo – fece Rod, guardando altrove.
- E... hai figli? - chiese Eliza, che si era appena ricordata di quando aveva saputo della nascita di sua nipote, sempre lì al fiume.
- Chi? Io? - sbottò incredulo – Ho l'aria del padre di famiglia? -.
- Beh, non si sa mai. È che mi sono appena ricordata di... come si chiamava? Win... frieda? -.
- Già – annuì Rod – Ma non è che la veda molto. Sono piuttosto impegnato, col lavoro e tutto il resto... -.
- Tutto il resto? -.
- Qualche ragazza qua e là – fece un gesto con la mano, come se stesse parlando dei colori da dare alle pareti di casa – Sai, Berlino è una città piuttosto grande -.
- Oh, certo – convenne lei, stringendo le labbra. E così era diventato un cascamorto, eh?
- È un po' complicato riuscire a destreggiarsi fra tutte, ma faccio del mio meglio -.
- Posso immaginare -.
- Non sarebbe giusto deludere nessuna di loro, ma a volte è davvero faticoso – rincarò lui.
Eliza stava iniziando a stancarsi di quel fare la ruota come un pavone, così non riuscì a trattenersi.
- E tutte queste fanciulle lo sanno, che il primo bacio l'hai ad un ragazzo? - sbottò.
Dopo un attimo di esitazione, perché anche lui stava evidentemente pensando all'ultima volta che si erano visti e a quel che era successo, Rod esibì un sorriso eloquente e rispose:
- Suvvia, Liza. Abbiamo ormai appurato che non sei un ragazzo -.
- Ma tu pensavi che lo fossi – obiettò lei, perfettamente tranquilla – E mi hai baciato comunque. Tutto questo non ti fa pensare? -.
- A cosa? -.
- Al fatto che forse stai insistendo sul... lato sbagliato -.
- Oh, oh! - fece Rod, in tono quasi orgoglioso – Senti senti, quella che non sapeva fare nemmeno una battuta! -.
Eliza non poté fare a meno di sorridere: non le importava che fosse diventato un cascamorto, bastava che non lo facesse con lei. Che si comportasse come faceva un tempo, perché da quel poco che aveva visto il vecchio Rod c'era ancora.
- Senti... - lui fece per grattarsi la testa, ma all'ultimo istante infilò la mano in tasca – Potremmo vederci, di tanto in tanto. Magari senza lasciar passare altri dieci anni, che ne dici? -.
- A dire il vero devo venire in biblioteca. Tra una cosa e l'altra, ho dimenticato di prendere il libro che ero venuta a cercare – confessò Eliza.
“Una cosa e l'altra” era tutto quel che era successo da quando si erano visti, Rod lo sapeva.
- Allora ci vediamo lì – fece – Mi raccomando, chiedi di me -.
Non capì subito perché Eliza avesse d'un tratto assottigliato gli occhi, pensierosa.
- Non mi sembra il caso – obiettò – Quante ragazze “chiedono di te”? -.
- Oh, non vengono certo in biblioteca – sorrise Rod – A richiedere esclusivamente i miei servigi sono le signore sposate e rispettabili, sai? -.
A Eliza sfuggì una risata, perché poteva figurarsi la scena alla perfezione.
- Guarda che è vero! -.
- Oh, me lo immagino. Ma delle due io sono solo “rispettabile”, per cui non credo che valga – scherzò lei.
Rod drizzò suo malgrado le orecchie.
- Anche “fidanzata” sarebbe considerato valido – buttò lì, vago.
- È lo stesso – rispose Eliza scuotendo la testa – Considerami una zitella, se vuoi, ma al momento ho fin troppo da fare -.
- Mi sembra un po' presto per definirti “zitella” - obiettò Rod, chiedendosi intimamente quanto ci sarebbe voluto perché qualcuno se la accaparrasse. Non molto, ne era sicuro: sarebbe bastato il primo tizio onesto e lavoratore con un po' di sale in zucca.
- Non ci vorrà molto, invece. Comunque sia... - abbassò un po' la voce, osservando una fila di donne che, sull'altro lato del fiume, sembravano dirette a procurarsi del cibo da qualche rivenditore che conoscevano. Da quando era iniziata la guerra se ne trovava sempre meno ed era sempre più caro: lei stessa a volte doveva fare i salti mortali per mettere insieme tre pasti al giorno, dato che era ancora un'apprendista - … meglio zitella che vedova -.
Anche Rod aveva alzato lo sguardo, ed entrambi rimasero a guardare il gruppo di donne che avanzava sul lungofiume, i cui mariti si trovavano probabilmente al fronte.
- Senti, conosco un tale che vende panini e salsicce a un prezzo ancora decente – fece Rod – Si trova a qualche isolato da qui, non lontano dalla stazione. Ne hai sentito parlare? -.
Eliza scosse la testa. Le avrebbe fatto davvero comodo scovare i posti ancora convenienti; sembrava che durante gli anni vissuti in campagna Berlino avesse completamente cambiato volto. Parecchi negozi avevano chiuso, altra gente se n'era andata: era come trovarsi in un posto del tutto nuovo.
- Se hai tempo, stasera potremmo farci un salto. Così ti mostro dov'è – propose Rod.
Quella sera avrebbe dovuto portarsi di certo del lavoro a casa, probabilmente un cappotto a cui doveva rifinire la fodera, ma un po' di tempo poteva trovarlo.
- D'accordo. Posso venire io in biblioteca, all'ora di chiusura – rifletté Eliza.
Rod annuì.
- Bene, allora – era meglio che si desse una mossa: il turno del pomeriggio iniziava fra poco, e i suoi ritardi erano già leggendari. Le fece un cenno simil marinaresco – Allora a più tardi, Liza -.
Eliza non commentò: aveva come l'impressione di doversi abituare a sentirsi chiamare così.
- A dopo – si limitò a rispondere, accennando un sorriso.
Mentre risaliva la riva del fiume, Rod si ritrovò a pensare che a nessuna ragazza di quell'età avrebbe mai rivolto un saluto del genere: i suoi baciamano d'altri tempi facevano fremere anche le “rispettabili” signore, figurarsi poi le fanciulle in età da marito. Ma aveva come l'impressione che, se ci avesse provato con lei, si sarebbero esibiti nella replica di una scena già vista diversi anni prima. Una scena che aveva avuto come spettatore una stufa piuttosto che il fiume, ma era lo stesso.
E non ci teneva a beccarsi un altro scapaccione sull'orecchio: se provava a pensarci, quasi quasi ancora gli ronzava.
Ridacchiò fra sé per un bel pezzo di strada, finché arrivò alla biblioteca, così imponente nella sua struttura possente e nelle file di solenni finestre. Chi l'avrebbe mai detto che un posto simile architettasse scherzi del genere?
E pensare che all'inizio non voleva nemmeno lavorarci.


Si videro altre volte prima di quel fatidico sabato: in un paio di occasioni Rod aveva provato a giocare le sue carte da seduttore con lei, per vedere che effetto riusciva a farle, ma al terzo tentativo Eliza gli aveva lanciato la stessa occhiata che in passato riservava a Schwarz Hayah, quando ne combinava una delle sue. Rod si era messo a ridere, e lei gli aveva intimato seccamente di smetterla. Con lei certi trucchetti non funzionavano, lo sapeva da un pezzo.
Eppure, se anni dopo qualcuno glielo avesse chiesto, Rod avrebbe avuto la certezza che quello fosse stato il punto di svolta.
Eliza si era presentata la mattina in biblioteca per prendere in prestito un libro, e mentre Rod glielo porgeva aveva mormorato:
- Hai da fare oggi pomeriggio? -.
In effetti aveva in programma di andare a far visita a una deliziosa brunetta appena assunta in una pasticceria lì vicino, ma non aveva mai visto Eliza con le labbra così pallide.
- No, perché? -.
- Devo fare un salto a casa – non specificò nulla, ma “casa” poteva significare una cosa sola – Vieni con me? -.

- Vorrei venderla, perché ora come ora mi servono soldi – il motivo era chiaro perfino a un bambino: la guerra sembrava non avere intenzione di terminare tanto in fretta, e Rod poteva immaginare che per una giovane donna sola non fosse facile tirare avanti – Gente interessata se ne trova sempre, anche adesso. Credo sia ancora in buono stato, ma prima devo controllare -.
Sembrava molto più tranquilla rispetto a quella mattina; forse sapere che qualcuno sarebbe venuto con lei era riuscito a rilassarla. Anche se Rod non aveva ben chiaro che cosa fosse esattamente accaduto anni prima, e quali circostanze avessero determinato la morte del signor Hochwald, poteva intuire che il tempo non fosse stato che polvere su una ferita del genere.
E di polvere straripava la casa, come poterono constatare una volta che Eliza fu riuscita ad aprire la porta d'ingresso. Già il cigolio così simile ad un lamento umano avrebbe fatto accapponare la pelle a parecchia gente impressionabile, ma fu quando entrarono che Rod si chiese cosa ci trovasse la gente di tanto eccitante nelle storie di fantasmi. Più di una volta era stato inseguito per l'intera biblioteca da qualche appassionato che doveva assolutamente declamargli l'ultimo romanzo letto, il quale prevedeva immancabilmente vecchie case infestate, piene di polvere e ricordi talmente solidi da tornare vivi.
Quel posto gli metteva i brividi, e dire che non aveva mai avuto problemi a fare i turni di notte nell'archivio, quando ce n'era bisogno.
- Guarda qui -.
Eliza aveva aperto una porta, e dal corridoio Rod poté vedere il tavolo su cui aveva fatto i primi progressi nella costruzione dei carillon: il legno e gli attrezzi che aveva lasciato lì il giorno del litigio- della stufa, del bacio e del litigio- c'erano ancora, pieni di polvere e arrugginiti.
Non si sarebbe sorpreso se, d'un tratto, gli fosse apparso il fantasma di se stesso bambino impegnato a tagliare del legno o regolare meccanismi, talmente concentrato da avere la lingua di fuori come Schwarz Hayah. Anche se lui era lì, vivo e adulto.
- Li costruisci ancora? -.
- Certo. Sono diventato un esperto, ormai -.
Eliza sorrise, scuotendo la testa, e si diresse verso quella che era stata la cucina. Risultò che le tubature andavano forse cambiate, ma a quello avrebbe pensato l'eventuale acquirente; la canna fumaria del piccolo camino sembrava invece a posto.
Un'occhiata ad un altro paio di stanze, ed Eliza sembrò soddisfatta.
- Dovremo tornare un'altra volta per sistemare un po', ma direi che può andare. Comincerò già a mettere annunci in giro – sentenziò, obiettiva come un esperto del settore.
Quel “dovremo” detto con tanta naturalezza lo stupì, eppure gli piacque. Eliza dovette fraintendere il suo sorriso, perché si affrettò ad aggiungere:
- Se hai tempo e voglia, s'intende. E non preoccuparti, mi occuperò io di pulire e mettere in ordine -.
- Non mi dispiace aiutarti, sta' tranquilla. Dovrei venire per fare semplice presenza? - replicò Rod.
Da come lei si morse internamente il labbro, in un movimento appena percettibile, Rod intuì che la sua sola presenza le sarebbe bastata, per un motivo che ancora non riusciva ad afferrare. All'improvviso gli venne in mente che, tra tutte le porte aperte e le stanze controllate, Eliza aveva saltato solo quella che era stata del signor Hochwald. E dubitava che si trattasse di una svista, visto chi si trovava davanti.
Aveva conosciuto Elias, e conosceva ormai abbastanza anche lei per sapere che da sola non gli avrebbe mai detto niente. Perciò chiese a bruciapelo:
- Come è morto tuo padre? Era malato? -.
Una Eliza improvvisamente impallidita gli rispose:
- No, da quel che mi risulta non aveva proprio niente. È morto e basta. Ancora adesso non so esattamente come, ma non è mai importato a nessun altro -.
Rod assottigliò gli occhi, come se così facendo avesse potuto vedere attraverso la porta. E fu come se ci riuscisse davvero: poteva immaginare alla perfezione il signor Hochwald in quella stanza, riverso sulla scrivania da cui non si alzava mai.
- E chi l'ha trovato? -.
- Schwarz Hayah -.
- Intendo il primo essere umano -.
Sentì il rumore del suo sospiro, prima che rispondesse: - Io -.
I contorni della porta si fecero confusi, come improvvisamente coperti da un velo, e bastò un respiro per rendersi conto che l'aria non era più satura di fantasmi.
Rod era sempre stato dell'opinione che, spesso, la cosa più sensata che l'uomo possa fare sia seguire l'istinto; e fu l'istinto a fargli posare una mano sulla testa di Eliza, accarezzandole piano i capelli con la punta delle dita. Non era un cane, non era una bambina; ma andava bene così.
Perché una mano calda sulla testa le era mancata per tanto tempo, e avrebbe seriamente rischiato di mettersi a piangere anche per tutto il resto che non aveva avuto, se non si fosse riscossa.
- Direi che possiamo andare – mormorò – Ho controllato quello che dovevo. Vuoi prenderti la tua roba? -.
- La mia roba? -.
Eliza accennò alla stanza che era stata il suo laboratorio.
- Non so gli attrezzi, visto che sono tutti arrugginiti, ma magari il legno può servirti. Hai detto che li costruisci ancora i carillon, no? -.
I carillon. Lo sguardo di Rod corse alla porta socchiusa sul corridoio, da cui si intravedevano gli strumenti sul tavolo, e fu come se li vedesse per la prima volta. Già, i carillon.
- Mi hai sentito? Se non te li riprendi tu, dovrò comunque darli via -.
… che idea fantastica. Come aveva fatto a non pensarci prima?
- Sì... rivendili pure, ci sarà qualcuno a cui possono ancora fare comodo. Io ne ho degli altri -.
- Sei sicuro? Beh, sarebbero comunque soldi tuoi e... -.
- Magari la prossima volta mi offri il pranzo tu, così siamo a posto. Andiamo? -.
Eliza gli lanciò un'occhiata perplessa, chiedendosi perché tutto a un tratto avesse tanta fretta. Ma nemmeno lei aveva voglia di rimanere lì, perciò si diresse alla porta e la aprì alla luce del sole. Represse un brivido quando avvertì i raggi caldi sulla pelle del viso: ma quanto freddo c'era, in quella casa?
- Liza, che fiori preferisci? -.
Aveva assottigliato gli occhi perché non venissero feriti dalla forte luce del pomeriggio, ma li strinse ancor di più quando sentì quella domanda. Lo sguardo diretto al sole si trasformò in un'occhiata sospettosa.
- È una curiosità innocente – si giustificò Rod, alzando le mani come a dimostrare che non aveva nulla da nascondere – Non mi vedrai arrivare con un mazzo di verdura, sta' tranquilla -.  
La fece sorridere, come sempre, e mentre Eliza inclinava la testa per pensarci Rod notò come i suoi capelli sembrassero caldi sotto la luce del sole, e quanto li aveva sentiti morbidi fra le dita, qualche minuto prima. Senza accorgersene, sfregò fra loro i polpastrelli della mano sinistra, come a ricordare quella sensazione.
- La camomilla -.
Sì, in effetti sotto il sole potevano avere quel colore, ma quando si trovava all'ombra erano leggermente più scuri, molto più simili all'orzo che...
- Come? -.
- La camomilla – ripeté Eliza – In campagna ne vedevo campi interi, cresceva spontanea ovunque. Ce l'hai presente, no? -.
Avvicinò le mani per mostrargli la dimensione del fiore, mentre spiegava:
- È simile alla margherita, ma il capolino al centro è più alto, mentre i petali sono disposti tutto intorno. Un po' come una gonna -.
- Fiori di campo e sartoria, dunque – dedusse Rod, pensieroso.
- D'estate avevano un profumo molto buono – continuò Eliza – Dolce e delicato, quasi rilassante -.
Quasi materno, ebbe l'impressione di udire Rod. Non per niente se ne faceva un infuso caldo in grado di calmare chiunque, bambini per primi.
- Questo è quanto – concluse lei – Niente rose o ciclamini, mi spiace -.
Oh, quello l'aveva capito da un pezzo. E, se ci si pensava un attimo, la camomilla era un soggetto interessante... sì, era meglio che andasse subito a casa a buttare giù qualche schizzo. Poi in biblioteca avrebbe cercato qualche libro con delle immagini, così da...
- Tutto bene?  - vederlo d'un tratto così assorto la sorprese non poco – C'è qualcosa che non va? -.
- No, no, è tutto a posto. Ma adesso devo andare, ho delle cose da fare -.
Eliza si morse un labbro; sì, immaginava che genere di cose. Con i capelli lunghi e sicuramente non biondi, abiti graziosi e risatine allegre. Non certo una casa cupa di ricordi e fantasmi.
Rod, dal canto suo, era tutto impegnato a pensare che c'era un certo suo amico orefice che gli doveva un favore, e quindi non avrebbe avuto problemi ad accogliere la sua richiesta... ma prima doveva buttare giù le idee e decidere le dimensioni. Che legno era meglio usare? E la melodia, poi? Ah, quello era sempre il punto più difficile.
Si accorse che Eliza lo stava fissando sempre più perplessa quando si rese conto di essersi infilato una mano tra i capelli, arruffandoli per far prendere aria alla testa e riuscire a pensare meglio.
- Io vado, allora. Vienimi a chiamare, eh? - fece, accennando alla casa – Non sono un granché nelle pulizie, ma cercherò di impegnarmi -.
Eliza annuì, talmente sollevata che un solo cenno della testa riuscì ad esprimere tutta la sua gratitudine.
- Grazie – mormorò, ma fu come se lo avesse gridato ai quattro venti.
Rod le fece un ultimo saluto e si incamminò a passo di marcia verso casa, tutto preso nei suoi progetti.
L'avrebbe fatta restare a bocca aperta, senza alcun dubbio. Altro che un mazzo di verdura.








Eliza che parla senza remore di un bacio potrà sembrare un po' OOC, ma ho pensato che in fondo era passato talmente tanto tempo da rendere la cosa ormai un ricordo- anche abbastanza divertente, da un certo punto di vista.
L'idea per il lavoro di Rod mi è venuta mentre facevo una specie di stage in una biblioteca universitaria: passavo ore a rimettere a posto libri in miriadi di scaffali che riempivano intere stanze, e all'improvviso ho pensato che il nostro Rod ce lo avrei visto proprio bene, non so perché. Non il Mustang che conosciamo noi, magari, ma questo è un personaggio un po' diverso.

Ho visto che qualcuno ha messo questa storia nei preferiti, ricordati e seguiti. Se voleste farmi sapere che cosa pensate di questa storia man mano che va avanti, ne sarei felice. ^^



Rispondendo alle recensioni:
Shatzy: sì, ho notato che il Roy/Ai ti piace in tutte le salse! ^^ Sinceramente un Rod ragazzino che non ha per nulla in mente l'alchimia o l'esercito me lo immagino così: normalmente i grandi “seduttori” da bambini sono stati gli elementi più terribili. E con la faccia tosta ci si nasce...
Sono felice che il bacio ti sia piaciuto! Ce ne saranno altri, non temere. ^^
Comunque sì, Von Armstark è molto più anziano di Rod e Liza: dato che anche ne film Alfons Heiderich era molto più grande rispetto al nostro Al, ho pensato che non ci fosse alcun bisogno che le differenze di età tra i personaggi venissero rispettate. Quindi ho fatto quello che volevo anche in questo caso! Comunque Von Armstark è già stato nominato in “Die Uhr- L'orologio”, anche se indirettamente... più avanti si capirà meglio.
Il lavoro di Rod da grande si vede proprio qui, e a me piaceva troppo l'idea di metterlo in una biblioteca, forse un po' per “la legge del contrappasso” che lega i due mondi. ^^
MusaTalia: sono molto contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, anche perché in effetti era pieno di cose! Malgrado non abbia mai seguito la serie Brotherhood o il manga, conosco qualcosa della trama, e so quindi che il padre di Riza aveva un certo ruolo... ho perciò voluto inserirlo, anche se ho inventato tutto di sana pianta dato che dell'Hawkeye originale non so nulla.
Anch'io adoro Armstrong, e il modo in cui si è spesso comportato con i fratelli Elric! Vedrai che qui avrà un certo ruolo anche più avanti, oltre al fatto che l'ho già nominato in “Die Uhr- L'orologio”... comunque si vedrà. ^^

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Capitolo 4
*** Faville in musica ***


4- Faville in musica Faville in musica


"Oh, e trovati una moglie!"

(Maes Hughes, episodio 25)


Come si poteva chiamare quello che stavano facendo?
Il rumore dei pensieri di Eliza era sovrastato da quello della macchina da cucire, precisa e instancabile come lei.
Quando tolse la stoffa da sotto l'ago, per controllare la cucitura, anche i suoi pensieri si fecero più silenziosi e distesi. Amicizia, ecco come si poteva chiamare. Forse un po' diversa da quella che li aveva uniti anni prima, ma in fondo erano diversi loro stessi.
Eliza sospirò piano, un sospiro che rimase fra lei e l'ago che teneva in mano per sistemare gli ultimi punti, il quale si appannò leggermente a contatto col suo fiato. Era quello che aveva sempre voluto, no? … no?
Mise un po' troppa forza nell'ago, che andò a cozzare contro l'altra mano sotto la stoffa; se non avesse avuto il ditale si sarebbe sicuramente punta. Sfregò con il pollice quella piccola corazza bucherellata, che proteggeva la carne delicata del dito.
… non si poteva certo chiamare “corteggiamento”.
Eliza strinse le labbra, che divennero ancora più pallide: come si costruiva un ditale per l'anima?


Prima ancora che facesse di sì con la testa o dicesse qualcosa, Eliza seppe che l'avrebbe accompagnata anche quella volta. Era bastato un guizzo negli occhi, il mutare impercettibile dell'espressione del viso, ed era come se avesse udito la sua risposta.
Gli occhi allenati ai punti più minuti le permettevano di notare spesso particolari a cui la gente non faceva nemmeno caso; particolari fondamentali, che decidevano il corso di una vita e il destino di una persona. La sarta presso cui era apprendista le aveva consigliato di usare degli occhiali, mentre cuciva: non perché ne avesse bisogno, ma per far riposare gli occhi e non sforzarli troppo. “Meglio cominciare ad usarli prima, che averne seriamente bisogno poi”, aveva detto.
Così, quegli stessi occhi che sul lavoro non dovevano sforzarsi più di tanto, avevano iniziato a vedere ancora meglio i dettagli del mondo intorno a loro; i minuscoli punti lungo le cuciture invisibili che tenevano unite tutte le cose.
Il problema era che, nella realtà del mondo, un bottone perduto non si poteva riattaccare; un vuoto lasciato da qualcuno non si poteva rammendare; e non bastavano ago e filo per rattoppare uno strappo tra le persone.
- Cos'ha la mia giacca che non va? Perché la fissi tanto? - Rod si guardò da ogni parte, ma non trovò il minimo difetto nell'abito che indossava al lavoro – Non ci sono bottoni staccati, stavolta -.
Eliza alzò lo sguardo, meditabonda, riscuotendosi dalle metafore sartoriali con cui ogni tanto ragionava sul mondo.
- Appunto, è fin troppo bella: se pensi di darmi una mano vestito così, finirai per rovinarla – la valutò, con occhio esperto – Forse dovresti andare a cambiarti -.
Rod faticò a reprimere un sorrisetto, trattenendosi a malapena dall'osservare che quello sembrava proprio il commento di una mogliettina. Ma Eliza avrebbe potuto rispondergli che poteva anche essere quello di una madre, e quel paragone proprio non gli andava.
- D'accordo, facciamo tappa a casa mia. Visto che hai intenzione di obbligarmi ai lavori pesanti... -.
Eliza non replicò: gli aveva detto mille volte che poteva anche arrangiarsi, ma era lui ad aver insistito, perciò non aveva niente di cui lamentarsi.
- Abiti ancora dai tuoi? -.
- Vuoi scherzare? - Rod fece una smorfia che le ricordò fin troppo il ragazzino di una manciata di anni prima – Sono scappato di casa appena ho potuto, per sfuggire alle grinfie di mia madre -.
Eliza si ritrovò a sorridere: aveva quasi dimenticato lo strano rapporto che c'era tra Rod e sua madre, più simile a quello tra sottoposto e sadico comandante dell'esercito che a quello tra figlio e genitore. Lei abitava per conto suo per necessità, ormai. Ma se una famiglia l'avesse ancora avuta...
- Vivo con mia nonna -.
Eliza si arrestò all'istante, bloccandosi sul marciapiede, certa di aver capito male.
- Che cosa? Tua nonna? - articolò, allibita.
- Sì, ci teniamo compagnia – rispose tranquillamente Rod – Ci siamo sempre intesi bene -.
- E' la madre di tuo padre, allora? -.
- No – ricambiò l'occhiata perplessa che Eliza gli lanciò – Ah, non chiedermelo: da dove sia uscito un colonnello del genere, non l'ha mai capito nessuno -.
Eliza si mise a ridere:
- Magari è una caratteristica che si presenta a generazioni alterne, chi lo sa -.
Non le parve di aver detto niente di tanto sconvolgente, almeno finché Rod non la guardò con l'aria di chi viene costretto ad inghiottire un topo morto.
- Che c'è? -.
- Vuoi dire che... che i miei figli potrebbero... venire fuori così? -.
- Beh, tecnicamente c'è la possibilità che somiglino anche alla... nonna, sì. E' normale -.
- No, non c'è niente di normale! E' un sistema perverso, ecco cosa! -.
- Ma non è detto che... -.
- Senti, ho cambiato idea – Rod si voltò e fece marcia indietro, tanto all'improvviso che Eliza dovette quasi corrergli dietro – Non ho voglia di cambiarmi, è meglio che prenda al più presto in mano una scopa! -.
Se era così pieno di energia, in effetti un po' di pulizie avrebbero potuto calmarlo, rifletté lei. Così non replicò e lo seguì, dirigendosi verso casa Hochwald- anche se lo sarebbe stata ancora per poco, si augurava Eliza.


Quel giorno lavorarono di ramazza per parecchio tempo, riuscendo a risistemare l'intera cucina e un'altra stanza, che si rivelarono davvero in buono stato. Rod sfogò tutta l'ansia relativa ai propri geni, tanto che alla fine si sentì quasi prosciugato di ogni energia.
- Sei stanco? - gli chiese Eliza, vedendolo praticamente sdraiato su una sedia.
- Io? Certo che no. Guarda che ne faccio, di ginnastica -.
- Ma non lavori in una biblioteca? - obiettò Eliza.
- È enorme – replicò lui con aria offesa – Ci sono dei tomi che arrivano a pesare due chili, e non ti dico quante scale faccio ogni giorno per arrampicarmi sugli scaffali. Dovrebbero classificarlo come lavoro pesante -.
Eliza pensò che se fosse scoppiata a ridere si sarebbe offeso per davvero: per quanto teatrali, le sue lamentele sembravano sempre serie.
- E il tuo lavoro com'è, invece? - Rod dimenticò per un istante i propri guai, rivolgendosi a lei.
- Faccio la sarta, te l'ho detto. Cioè, in realtà sarei ancora apprendista, ma non mi manca molto per... -.
- E ti piace? - Rod aggrottò la fronte, ricordando gli episodi d'infanzia che avevano avuto a che fare con ago e filo – Beh, sì, mi ricordo che ti piaceva anche da piccola, ma un lavoro è una cosa diversa -.
- Non dico che non sia duro – ammise Eliza, pensando a quante notti le toccasse stare alzata fino a tardi per finire un abito che non poteva assolutamente essere rimandato – O faticoso, ma... dà un'enorme soddisfazione -.
Le venne in mente una cosa, e sul volto le si aprì un gran sorriso.
- Tu puoi capirmi: hai detto che i carillon li costruisci ancora, no? Capita spesso che debba rammendare o accomodare vestiti, ma quando cucio un abito dal nulla... cioè, partendo da semplici stoffe, è semplicemente... non lo so – si guardò le mani, e solo in quel momento Rod notò dei piccoli calli a cui non aveva mai fatto caso, provocati probabilmente dall'uso indefesso dell'ago – Mio padre diceva che solo Dio può creare, ma credo che a volte l'uomo ci vada molto vicino -.
Era la prima volta che la sentiva parlare spontaneamente del padre, e Rod fu sorpreso del tono dolce che aveva usato. Eliza ricambiò lo sguardo, con un sorriso triste.
- Gli volevo bene, sai. Mia madre se n'era andata, ma lui era rimasto con me – si guardò attorno, nella cucina che sembrava più viva adesso di quando ci abitava – Eppure ho l'impressione che ci si fosse seppellito vivo, qui dentro e fra i suoi libri, ricordandosi solo a volte che esistevo anch'io -.
Rod taceva, ancora immobile sulla sedia.
- A pensarci adesso, forse è vero che non... non stava bene, ma... - Eliza si fece pensierosa, frugando in ricordi a cui aveva cercato di non pensare tanto a lungo – ... ma ho sempre avuto la sensazione che stesse cercando qualcosa, qualcosa che forse conosceva solo lui -.
Dopo un sospiro di Eliza e qualche istante di silenzio, Rod mormorò come fra sé:
- Chissà... forse alla fine l'aveva trovato -.
Eliza scosse piano la testa, mettendo da parte quei ricordi senza capo né coda né spiegazione alcuna, concludendo decisa:
- La prossima volta tocca alla sua stanza -.


Fedele al proprio proposito, la volta successiva Eliza aprì risoluta quella porta che era stata chiusa tanti anni prima e mai riaperta. Ma varcata la soglia si bloccò, come se all'improvviso le fosse mancato il respiro. Rod la spinse gentilmente un po' avanti, per passare e avvicinarsi alla scrivania, ancora ingombra di carte ormai dello stesso colore della polvere.
- Se nessuno le ha mai toccate, allora sono le ultime ricerche che ha fatto – ragionò, raccogliendo alcuni fogli e cercando di capire di cosa trattassero.
... era lì, era lì, era proprio lì. Schwarz Hayah gli aveva spinto una gamba con il muso un paio di volte, ma lui non stava dormendo.
- Non ci capisco niente – ammise Rod, e dire che di manoscritti ermetici ne aveva avuti fra le mani parecchi.
Da come stava con la testa sulla scrivania, sembrava che quella notte non avesse nemmeno toccato il letto. Come tante altre, a dire il vero. La luce entrava opaca dalla finestra, sui capelli biondi del suo stesso colore, e solo in quel momento si era resa conto che non si muoveva. E dire che in quel periodo aveva un leggero raffreddore, per cui il respiro un po' pesante si sarebbe dovuto udire bene nel silenzio di quella mattina.
- Papà? -.
Eliza respirò profondamente, poi si avvicinò alla scrivania dove Rod stava cercando di decifrare gli appunti di suo padre. Non che lei ne sapesse di più, ma forse poteva capirci qualcosa.
Fece istintivamente per sedersi, ma all'ultimo momento si drizzò in piedi, sistemando nervosamente la sedia sotto il tavolo. Nessuno si sarebbe più seduto lì. Nessuno.
- Ehi, Liza – Rod le mise una mano sulla spalla, stringendo un po' – Calmati. È solo una sedia, ormai -.
- Già – ormai. Era passato tanto tempo, e lei era diventata adulta.
- Di' un po', tu ci capisci qualcosa? - Rod le mostrò i fogli che teneva in mano e aveva cercato inutilmente di riordinare. Eliza li lesse con attenzione, corrugando la fronte: gli appunti erano in yiddish e ovviamente riusciva a leggerli, ma da qui a capirli...
- "Circolazione dell'energia" – lesse, chiedendosi se quel mucchio di parole che sembravano scritte a caso potesse davvero avere senso compiuto – "Energia che scorre... in cerchio"? Ma che significa? -.
Rod alzò le sopracciglia, con un'occhiata eloquente.
- Se non lo sai tu... -.
- "Flusso che si può incanalare"... "Scomposizione e ricomposizione degli elementi"... – seguitò a leggere Eliza, scuotendo poi la testa – Detto così potrebbe sembrare che parli di chimica, ma... che c'entrano i cerchi? -.
- Ho idea che le ricerche di tuo padre resteranno un mistero – fece Rod – Ma forse è meglio così -.
Eliza annuì.
- Sì – mormorò in un sospiro, per poi raccogliere i fogli alla rinfusa e sistemarli in una pila ordinata sulla scrivania – Forza, occupiamoci di questa stanza. Puoi aprire la finestra, per favore? -.

Dopo una mezz'ora che lavoravano di buona lena, Eliza si appoggiò alla scopa che teneva in mano, lanciando un'occhiata a Rod.
- Senti, posso farti una domanda? - fece, dubbiosa – Ma tu che ci fai qui? -.
- Ti sto... aiutando? - rispose lui, perplesso, mostrandole lo straccio che teneva in mano a mo' di prova. Nessuna donna, a volte nemmeno sua madre, era mai riuscita a fargli fare le pulizie in quel modo.
- No, volevo dire... c'è una guerra in corso. I giovani della nostra età sono praticamente tutti al fronte – osservò Eliza – A morire non si sa per cosa, ma lasciamo perdere -.
- Ah, sì... io sono stato riformato – la informò Rod, passando lo straccio su un alone simile ad un'aurora boreale su vetro.
Lei lo squadrò da capo a piedi con un'occhiata: a parte una certa tendenza alla pigrizia più sfrenata, era il ritratto della salute e della mancanza di preoccupazioni.
- Ti hanno riformato o ti sei fatto riformare? - indagò.
Rod si strinse nelle spalle, come se la risposta non la sapesse nemmeno lui.
- Chi lo sa... - disse infatti, per poi farsi improvvisamente più serio – No, a te posso dirlo: ti ricordi di Von Armstark, l'orologiaio? Beh, ha ancora i suoi contatti -.
Tacque un momento, rimanendo in attesa di una qualche reazione sul volto di Eliza, guardandola dritto negli occhi.
- Trovi che sia un vigliacco? -.
- Non lo so – rispose lei, scrollando le spalle – Dipende: perché l'hai fatto? -.
- Perché non ho nessuna intenzione di uccidere. O farmi uccidere – rispose sinceramente, senza tanti giri di parole.
- La trovo un'ottima ragione – replicò Eliza, riprendendo a lavorare di ramazza.
Dopo un intenso pomeriggio di lavoro, il grosso era stato fatto. Eliza si riavviò i capelli un po' spettinati, raccolti come sempre sulla nuca; erano pieni di polvere e sudore, ma tanto a lui i capelli biondi non piacevano comunque.
- Ah, non te l'ho ancora detto: mi ha contattato un signore interessato alla casa. Gli ho assicurato che potrà venire a vederla non appena sarà... presentabile – sorrise soddisfatta, lasciando perdere i capelli – Manca poco, ormai -.
- Già – Rod si lasciò cadere sulla solita sedia in cucina, con un'espressione sofferente dipinta in volto – Mi credi se ti dico che non ho mai lavorato così in vita mia? -.
- Non avevi detto che quello di bibliotecario dovrebbe essere classificato come lavoro pesante? - rise Eliza.
- Ma tu ricordi tutto quello che dico? - sbuffò lui.
- Non ci vuole molto, basta ascoltare – replicò lei, richiudendo le finestre dopo aver fatto prendere aria anche a quella stanza.
Rimase ad osservarla mentre chiudeva anche le imposte, riportando la casa al buio forse per le ultime volte, per poi alzarsi e andare ad aspettarla nell'ingresso.
Ormai era pronto, e la prossima volta gliel'avrebbe dato proprio lì; chissà che non la aiutasse a fare definitivamente pace con quel posto.


- Devi andare da qualche parte? - chiese Eliza, notando la borsa che Rod aveva con sé.
- Oh, no. È una cosa che devo dare a una persona – rispose allegramente lui, facendole stringere inconsciamente le labbra. Ormai la casa era quasi a posto, e fra poco non avrebbero più avuto motivo di passare tanto tempo insieme. Quel beffardo gioco del destino la fece sorridere amaramente: a tanti anni di distanza, stava succedendo tutto come l'altra volta.
- Mancano solo un paio di stanze, no? - continuò Rod, che quel giorno sembrava stranamente su di giri. Eliza non poté fare a meno di chiedersi con chi dovesse incontrarsi una volta sistemate le due stanze, ma scosse subito la testa, rimproverandosi mentalmente: non erano affari suoi. Avrebbe fatto meglio a smetterla.
Ormai erano arrivati, e nell'aprire la porta Eliza tornò ai pensieri pratici.
- Dopo voglio anche provare ad accendere la stufa, per vedere se funziona – disse – Non dovrebbero esserci problemi, ma è meglio controllare, anche se è primavera -.
Rod annuì, entrando e chiudendo la porta.
- Liza – la chiamò, mentre lei stava già andando a recuperare stracci e scope. Eliza si voltò, e lui le porse la borsa – Ecco -.
La prese senza pensarci, chiedendosi che cosa dovesse farci.
- Vuoi che te la metta al sicuro? - chiese, maneggiandola con cautela – La appoggio in cucina, sul tavolo -.
Stava già per voltarsi, quando la voce sorpresa di Rod la bloccò.
- No, no, che hai capito? - fu quando lui si passò una mano fra i capelli, sparandoli in tutte le direzioni, che la colse il dubbio. Guardò la borsa che teneva in mano, dentro la quale doveva esserci qualcosa di abbastanza pesante e rettangolare. Sembrava una scatola – È per te -.
Lo osservò per un istante, prima di riportare lo sguardo sulla borsa e aprirla piano. Sì, quello che c'era dentro era proprio una scatola, una scatola di legno.
Quando la tirò fuori, all'improvviso la vide per ciò che era veramente: un regalo. Per lei. Non ricordava l'ultima volta che aveva ricevuto una cosa del genere. Certo, per l'ultimo compleanno le avevano regalato un abito nuovo, pratico e sobrio, ma un oggetto così prezioso... sembrava troppo bello per essere vero.
Sul coperchio, in una cornice di legno, era incastonata una sottile piastra di metallo argentato, intarsiata a fiori: fiori inconfondibili, piccoli e simili a margherite, ma col capolino più alto e i petali disposti intorno a mo' di gonna.
- Vedi? Niente mazzi di verdure – commentò Rod, con un malcelato sorriso di soddisfazione nel vedere la meraviglia di Eliza.
- Non mi dire che l'hai fatto tu – mormorò lei, passando le dita sul fine intarsio.
- Potrei prendermi il merito, ma no: un amico che fa l'orefice mi doveva un favore – accennò al coperchio – Ecco il favore -.
Eliza sorrise, aprendo quello che credeva ormai essere un portagioie: e sgranò bocca e occhi quando dalla scatola si udì uscire una melodia, dolce e pacata come il sole a primavera. (¹) Una musica che le rievocava ricordi che non aveva, ma era come se ci fossero stati.
E solo in quel momento notò la parte interna del coperchio alzato: il legno era stato dipinto da mano esperta, a rappresentare una scena alquanto bizzarra. Un cane bianco e nero davanti alla porta di una casa, con un fiume che scorreva sullo sfondo.
- Ah, vedi quei fili dorati nell'azzurro dell'acqua? - fece Rod, che le si era avvicinato – Non sono oro, se è questo che pensi -.
- Sì, l'avevo capito – sorrise Eliza con aria complice – Un favore anche questo? -.
- Un giudice che frequenta la biblioteca e si diletta di pittura – rispose lui.
- E questa nuvola cos'è? - chiese Eliza, indicando una nube scura che usciva da una finestra della casa, osservandola incuriosita – Sarebbe in arrivo un temporale? -.
- È fumo – le rivelò Rod – Indovina provocato da chi -.
Eliza soppresse una risata, perché quel mosaico di ricordi mescolati in un quadretto bizzarro era quanto di più dolce avesse mai visto. Le parti migliori della sua infanzia.
- È... bello – mormorò, non trovando altre parole.
- Certo che è bello – ribatté Rod, fingendo di essere stato punto sul vivo – L'ho fatto io -.
- A me sembra che tu abbia messo al lavoro un sacco di gente, invece – replicò lei.
- Ma tutto il resto l'ho costruito io. Guarda qui – nel vano che fungeva da portagioie, accanto al piccolo scomparto che nascondeva il meccanismo sembrava ci fosse soltanto legno coperto da velluto leggero. Ma quando Rod vi premette leggermente, rivelò una piccola cavità nascosta, di pochi centimetri quadrati – Von Armstark mi ha insegnato a costruire anche gli scomparti segreti, pensa un po' -.
Eliza, piena di stupore, rispose soltanto:
- Però credo non ci stia nemmeno un ago, lì dentro -.
- Troverai qualcosa da metterci – disse sicuro lui.
- Beh... grazie – non riusciva ancora a crederci. Quella meraviglia era davvero per lei? C'era scritto che era sua in ogni particolare, dalla decorazione di camomilla sul coperchio a quella dipinta all'interno, per non parlare della melodia – Non mi sarei mai aspettata niente del genere -.
- Appunto, non sarebbe stata una sorpresa – replicò Rod, estremamente contento di averla colpita così tanto.
- Non dovevi – Eliza scosse la testa, sorridendogli come per scusarsi – Pensare che ti sto facendo anche lavorare... -.
- Per l'appunto, diamoci una mossa – si sentiva all'improvviso pieno di energia – Quelle stanze non si puliscono mica da sole! -.
Mentre lui si dirigeva verso le camere da sistemare, dimenticando scope e stracci, Eliza si prese un momento per rimirare ancora il suo regalo. Accarezzò l'intarsio sul coperchio, sorrise al cagnolino dipinto e caricò un po' la melodia con la chiave che spuntava dal fondo del carillon. L'avrebbe custodito come un tesoro, perché quello era. Maneggiandolo con estrema attenzione, lo portò al sicuro in cucina.

Dopo un po' che lavoravano di ramazza, in una stanza che si stava rivelando più sporca di tutte le altre messe insieme, Eliza pensò che sarebbe servito qualche altro straccio pulito.
- Senti, faccio un salto nella stanza dove sto a prenderne qualcuno. Dovrei fare in fretta, ma nel frattempo perché non provi ad accendere la stufa? - propose, accennando alla camera accanto – Legna ce n'è ancora, per cui non dovresti avere problemi -.
Mentre lo disse era chinata su un secchio a risciacquare un ultimo straccio nell'acqua ormai lurida, e non vide la faccia che fece Rod. Il quale provvide a cancellare quell'espressione non appena lei si voltò a guardarlo.
- Certo – assicurò – Ci penso io -.

Allora, un po' di legna nella stufa l'aveva già infilata: pezzi piccoli, come gli aveva detto Eliza l'ultima volta. Anzi, come gli aveva detto Elias, in realtà. Fiammiferi ce n'erano, ma gli serviva un po' di carta per avviare la combustione. Eliza era già uscita da alcuni minuti, perciò doveva cercarsela da solo.
In quella stanza non ce n'era, e nemmeno in quelle accanto, già pulite e riordinate in precedenza. All'improvviso si ricordò della camera del signor Hochwald, con la scrivania ingombra di fogli indecifrabili. Vi entrò, e infatti eccoli lì: risme di carte piene di strani disegni, cerchi e simboli. Non erano solo gli appunti in yiddish a rendergli quei fogli incomprensibili: tutti quei simboli, quegli ermetici disegni sembravano... beh, cose di un altro mondo.
Li raccolse tutti, in un pacco voluminoso di fogli che ormai più nessuno era in grado di comprendere. Era certo che Liza non avrebbe avuto niente da ridire.

- L'hai fatto apposta – disse Eliza, incredula, quando tornò con un mucchio di stracci sottobraccio.  
- Se stai parlando con la stufa, hai perfettamente ragione – replicò Rod risentito – È lei che lo fa apposta -.
Eliza tacque un momento, cercando di capire se stesse davvero dando la colpa ad un affare in maiolica non esattamente dotato di vita propria, o se fosse tutta una messa in scena. Optò per la seconda. Forse.
- È uno scherzo idiota – decretò infine.
- Senti, anch'io mi ricordo quello che dici! - replicò Rod esasperato, lanciando occhiatacce al fumo nero che usciva dallo sportello. In quantità minima rispetto all'ultima volta, ma il suo onore ne usciva decisamente leso – Prima ci va legna piccola e asciutta, disposta in modo che il fuoco “respiri” e sia alimentato dall'aria. Per dare il via alla fiamma basta della carta, e io ne ho messa un po'... -.
Eliza lo ascoltava attentamente, riconoscendo le proprie parole di tanti anni prima. L'aveva ascoltata per davvero, allora.
- … ma dove ho sbagliato? - Rod concluse l'arringa in propria difesa allargando le braccia rassegnato. Guardò la stufa come si scruta un nemico più forte, davanti al quale l'unica possibilità è la resa.
Eliza rischiò di scoppiare a ridere, ma si trattenne e rispose:
- Non ne ho idea, a sentire quello che dici hai fatto tutto alla perfezione – si avvicinò alla stufa, che sembrava veramente non avere alcuna intenzione di accendersi. Non con lui, almeno – Ma davvero non ne sei capace? -.
- Liza, non rigirare il coltello nella piaga – bofonchiò lui, estremamente abbattuto – È umiliante per un uomo ammettere certe cose -.
Eliza non disse più nulla, limitandosi a rifare tutti i passaggi già compiuti da lui, notando che i fogli usati per accendere il fuoco erano gli appunti di suo padre. Ne fu sollevata: se non l'avesse fatto lui, non era certa che lei ci sarebbe mai riuscita.
La stufa sembrò riconoscere il suo tocco, perché le fiamme attecchirono in un baleno. Quando si voltò verso Rod, ancora lì accanto a lei, cercando di non ridere, vide che la stava osservando con quel suo sguardo penetrante.
- Liza? -.
- Sì? - fece lei, tornando con gli occhi al fuoco che stava iniziando a divampare. Era bella, quella stufa: forse l'unica cosa della casa che le sarebbe davvero mancata.
- Ci sposiamo? - l'aveva chiesto come si chiede “Che mangiamo per cena?”, ma fu proprio quella semplicità a colpirla direttamente al cuore. Dopo qualche istante di profondo e genuino stupore, si chiese come fosse possibile che al mondo esistesse qualcuno che riusciva a parlarle in modo così diretto.
Non chiese ad alta voce “perché?”, ma era la domanda che aveva in mente.
- Senza di te morirò di freddo, Liza. Mi avrai sulla coscienza – fece lui, melodrammatico come al solito. Ma aveva sentito la sua domanda, senza bisogno di udirla.
Non aveva detto di avere ragazze in ogni quartiere di Berlino? Perché...?
- Se ti stai ancora chiedendo “perché” vuol dire che o sono io un idiota o non hai capito niente tu – le disse.
Magari tutte e due le cose, pensò Eliza. Non aveva ancora detto una parola, ma quella stretta al cuore non poteva ignorarla ancora per molto.
Le fiamme divampavano vivide nella stufa, e lei non aveva neanche pensato ad aprire le finestre. Era ormai primavera, e con quella temperatura tiepida il fuoco sembrava molto più caldo.
Sentì la guancia arrostirsi, e sorrise: almeno poteva far finta di non essere arrossita come un pezzo di brace.
- Va bene -.
Stavolta Rod non obbedì ad un impulso istintivo, ma si avvicinò lentamente, sfiorandole il naso finché non fu tanto vicino da poterle contare le ciglia attorno agli occhi. Erano sempre state così chiare?
- Mazeltov, Liza – le mormorò sulle labbra, così vicino che lei sentì il fiato di ogni singola sillaba entrarle in gola. E subito dopo qualcosa di più caldo del fiato, che le impedì decisamente di rispondere.
E prima di non capire più se il fuoco fosse acceso soltanto nella stufa, riuscì solo a pensare che l'altra volta non era stato così. Aveva l'impressione che le fiamme si fossero propagate per tutta la stanza, circondandoli, ma a dire il vero non gliene importava niente.
Che bruciassero pure.


La giornata era andata meglio di quanto potessero sperare, ma ora si sentivano entrambi distrutti. Sposarsi era davvero faticoso, nonostante la loro cerimonia fosse stata quanto di più semplice si potesse organizzare, perché in tempo di guerra i grandi fasti erano preclusi alla gente comune, oltre che di cattivo gusto.
Ma adesso era finita. Anzi no, era appena cominciata.
Rod si stava godendo lo spettacolo di Eliza che, in camicia da notte e coi capelli sciolti, terminava di distendere le lenzuola- secondo lei poco tese.
- Guarda che non dobbiamo apparecchiarci la tavola, lì sopra – commentò – E poi ora di domattina saranno da risistemare di nuovo -.
- Anche un letto deve essere in ordine – ribatté lei, finendo di piegare l'angolo – Fatto. Non è decisamente meglio, adesso? -.
Rod finse di scrutare attentamente il grande letto matrimoniale, osservando con la coda dell'occhio Eliza che ci si sedeva sopra. Gli sembrò che fosse esattamente identico a prima, ma quella sera era l'ultimo dei suoi pensieri. O forse il primo, anche se non erano esattamente le lenzuola ad interessargli.
Si avvicinò e, chinandosi su Eliza, iniziò ad accarezzarle piano i lunghi capelli finalmente sciolti, scostandoglieli dal viso quasi uno per uno.
- Sei davvero bella – osservò, continuando scrupolosamente il proprio lavoro.
La vide arrossire prima ancora che il sangue le affluisse sulle guance, colorandole di scarlatto, osservando solo il modo in cui lo guardò.
- Anche se sono bionda? - domandò Eliza, che malgrado il calore al viso non aveva mai dimenticato quel caustico commento sulla riva del fiume, tanti anni prima.
- Non puoi proprio farne a meno, vero? - chiese lui con un sospiro.
- Di fare cosa? -.
- Di ricordarmi tutti i miei momenti di stupidità -.
Sul volto di Eliza si dipinse un'espressione di stupore.
- Credevo mi avessi sposato apposta – fece, seria.
In verità scoppiò a ridere l'istante dopo nel vedere la faccia di Rod, quando all'improvviso si sentì piombare addosso una federa fresca di corredo matrimoniale. Eliza ammutolì: cioè, le aveva appena tirato addosso un cuscino? Cominciavano bene.
- Io credo invece che la mia influenza inizi a farti seriamente male – lo sentì commentare – Ma la tua non potrà farmi che bene, quindi credo sia... uno scambio equo. Equivalente -.
- Il matrimonio sarebbe uno “scambio equivalente”? E questa da dove salta fuori? -.
- Boh, ho avuto un'ispirazione improvvisa – fece Rod, per poi ondeggiare sul materasso facendolo sobbalzare – Questo letto è fantastico -.
Sì, i cuscini li aveva già saggiati lei.
Rod le scostò i capelli di nuovo, accarezzandole una guancia, ed Eliza sentì un brivido correrle su per la schiena. Le aveva toccato solo il viso, e già si sentiva come se avesse la febbre.
- Non li taglierai mai più, vero? - chiese Rod, rimirando le lunghe ciocche facendole scorrere fra le dita. Avevano lo stesso colore dell'orzo, quello dei campi che aveva visto solo le poche volte in cui era uscito da Berlino. Chissà se avevano anche lo stesso profumo.
- “Mai più” è un periodo di tempo piuttosto lungo, per poterlo dire -.
- Anche l'avermi come marito si prospetta un periodo piuttosto lungo – Rod si decise ad annusarle i capelli: sapevano davvero d'orzo o era solo una sua impressione? Aveva sentito dire che l'amore è cieco, ma che facesse impazzire persino l'olfatto... inspirò a fondo, strofinando il naso contro il suo collo, vicino all'attaccatura dei capelli.
La sentì fremere e farsi più vicina; la sua testa poggiarsi nell'incavo della sua spalla.
… quello era veramente profumo d'orzo. Poggiò le labbra sul punto che aveva annusato, assaporandolo piano, e cercò di stare calmo quando lei ebbe un sussulto improvviso. Il sospiro leggero che gli si insinuò tra i capelli lo fece tremare; d'impulso, la cinse con le braccia, portandola ancora più vicina, avvertendo un'onda calda che dai piedi si propagò per tutto il corpo.
Si permise di baciarla solo in quel momento, perché si sentiva ormai pronto a perdere la testa, se mai l'aveva avuta. Quando la perse, esattamente?
Nel momento in cui le affondò il naso nella guancia, approfondendo il bacio, e lei gli infilò le dita tra i capelli? O quando si permise finalmente di toccarla, sopra e sotto la camicia da notte, sentendola fremere ovunque? Quando caddero finalmente distesi sul materasso, e lei mormorò a fatica di andare sotto le coperte, e Rod impazzì di nuovo nel sentire la sua voce farsi dolce e quasi affaticata? Una voce che avrebbe udito lui e soltanto lui, per tutti gli anni a venire.
Se fosse esistito un altro se stesso da un'altra parte, sperava che non fosse tanto stupido da lasciarsela sfuggire.







(¹) Per la musica del carillon immaginatevi “Kibō” (colonna sonora di “Full Metal Alchemist”) fino a 1:22



Il Rod che si fa riformare passatemelo: personalmente trovo che, se non si vuole uccidere la gente, andarsi ad infilare nell'esercito sia un comportamento proprio idiota. Ma senza Mustang colonnello non si potrebbe nemmeno parlare di “Full Metal Alchemist”, quindi va bene.
Per la melodia del carillon ho nuovamente attinto alla sterminata colonna sonora di “Full Metal Alchemist”- che adoro- per dare maggiore continuità alla storia. Tra l'altro “Kibō”- titolo della melodia- significa “speranza”, “desiderio”: decisamente adatto, non trovate?  

Rispondendo alle recensioni:
Hanako_Hanako: esatto, sono proprio loro al di là del portale. ^^ Nei primi due capitoli hanno un'età tra gli undici e i dodici anni, mentre nel terzo sono ormai passati una decina d'anni (più o meno, le età sono indicative). Spero che la storia continui a piacerti!
Ezzy O: grazie per avermelo fatto sapere! ^^ Il fatto è che mi sembra di prendermi sempre un sacco di libertà con i personaggi, con quest'ambientazione del tutto libera al di là del portale, per cui a volte mi chiedo se non dovrei limitarmi un po'... se mi rassicurano che non mi invento delle castronerie, scrivo con molto più slancio! ^^
Come vedi, comunque, non c'è stato poi molto da convincere; ne erano entrambi piuttosto sicuri, anche se il carillon ha fatto la sua parte...
MusaTalia: sette capitoli in tutto, anche se l'ultimo credo che lo posterò più avanti... perché nel mezzo ho intenzione di far succedere un po' di cose, ma non ne sono ancora sicura. Comunque anche il numero dei capitoli ha un significato. ^^
Sì, anche a me piacciono i salti temporali, come hai potuto notare: trovo molto più interessante accennare a periodi di tempo dove non succede niente di incisivo per la storia, che doverli descrivere passo passo...
Se mi dici che il padre di Eliza somiglia molto a quello originale, mi viene da pensare che il carattere stesso di Riza suggerisca molto della propria storia: è difficile che una persona nata e cresciuta in una famiglia allegra e rumorosa diventi poi così severa e riservata. La propria storia si scolpisce anche nel carattere, in fondo. Spero che il capitolo ti sia piaciuto, ma dimmi: avevi indovinato che si trattava del carillon? Sono certa di sì! ^^
Shatzy: beh, dato che la storia si intitola “Storia di un carillon” era anche ora che saltasse fuori, no? ^^ Mai detto che Rod fosse intelligente, anche se più che altro ci fa... hai visto che in questo capitolo mi sono impegnata? Sì, perché certe scene io faccio una gran fatica a tirarle fuori, e mi ci vuole il doppio del normale... comunque adesso sono sposati (hotaru spunta la lista delle cose da fare: questa è fatta). Il problema, come Liza ha ormai capito, è che non si sceglie affatto di chi innamorarsi- è il problema più vecchio del mondo, purtroppo.
Non è mica finita, comunque: nel prossimo capitolo mi ricollegherò ulteriormente alla trama de “Die Uhr- L'orologio”. Spero però che ti sia piaciuto il piccolo riferimento finale al Roy/Ai originale. ^^

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Capitolo 5
*** Solo un ticchettio in più ***


5- Solo un ticchettio in più Solo un ticchettio in più


"Fare in modo che un bambino accetti la morte è sempre un'impresa molto difficile."

(Izumi Curtis, episodio 27)


Quando Rod e Eliza erano solo una coppia appena sposata, che non aveva ancora pensato se e quando avere dei figli, si videro arrivare in casa la nipotina di Rod: la bambina bionda col nome da Valchiria, come l'aveva definita suo zio anni prima in riva al fiume.
Nell'ultimo periodo della guerra c'erano stati dei bombardamenti sulla città, e fra le case colpite si trovava anche quella della sorella di Rod, morta sotto le macerie assieme al marito. Gli orologi del suo laboratorio che non erano stati distrutti si erano fermati, e la bambina era rimasta orfana.
Win era sempre stata affascinata dagli orologi che suo padre riparava, ma non aveva mai veramente pensato al valore del tempo: nel giro di un minuto, un minuto che aveva trascorso a giocare in una casa di un altro quartiere, l'intera sua vita era cambiata. Le due persone più importanti che aveva erano morte, la sua casa era crollata, e per alcuni istanti lei era rimasta in sospeso sul bilico del nuovo ticchettio. L'ora era scoccata, la lancetta si era spostata, e lei non aveva potuto farci niente.
Il tempo faceva quello che voleva: nessuno poteva fermarlo, né tanto meno controllarlo.
A che serviva costruire orologi?


I primi tempi furono difficili, davvero difficili. La bambina spariva in continuazione, rintanandosi negli angoli più bui della casa, a piangere assieme al suo cagnolino. In un certo senso era stato lui a salvarla: se si era trovata in un altro quartiere, dai cugini del suo migliore amico, era stato anche per scegliere uno dei cuccioli nati dalla loro cagnetta. Aveva già ottenuto il permesso dai suoi genitori- anche se non aveva capito perché sua madre le avesse raccomandato di non nasconderlo in cantina, oltretutto ridendo- ma non avrebbe mai immaginato che, quel cane, casa sua non l'avrebbe mai vista.
Però si sentiva meglio, quando le si addormentava in braccio, e quel fagottino caldo sulle gambe mentre se ne stava seduta per ore sul freddo pavimento era l'unica cosa che la consolasse almeno un po'.
- Win... frieda? - il volto di Eliza comparve quando scostò la tenda dietro la quale si era nascosta la bambina. Cercò di sorridere, anche se erano settimane che non riusciva a capire da che parte prendere quella ragazzina dal nome impronunciabile – La cena è pronta, vieni? -.
Win annuì, buttando dietro le spalle i lunghi capelli che le erano finiti in faccia, e prendendo con cautela fra le braccia il cagnolino addormentato. Avrebbe messo il suo Ned nella cuccia in cucina, mangiato due cucchiai di minestra e sarebbe poi rimasta sulla sua sedia, chiusa nel mutismo più assoluto.
Malgrado il legame di sangue e il dolore comune, Rod non aveva la minima idea di come comportarsi, anche perché quella ragazzina che aveva ereditato gli occhi azzurri e i capelli biondi del padre gli sembrava quasi un'estranea. Non ci aveva pensato due volte a prendersela in casa, dopo quel che era successo- e comunque, dove avrebbe potuto andare?-, permettendole di portare con sé il cagnolino a cui teneva tanto. Ma ora gli sembrava di avere per nipote una statua di sale con un gran grumo di dolore in gola, invece che una bambina.
Non si era mai ritenuto una persona sensibile, e stava cominciando a pensare che quello andasse decisamente oltre le sue capacità.


Quella sera, mettendosi a letto, Eliza pensò che non si poteva andare avanti così. Quando si erano sposati e trasferiti lì, aveva promesso a se stessa che quella non sarebbe mai stata la casa di cupi silenzi in cui era cresciuta lei: e invece lo stava diventando, con un piccolo fantasma che si aggirava per i corridoi e nessuno che sapeva come comportarsi.
- Io credo che... dovremmo fare qualcosa – non aveva la minima idea di cosa, ma parlarne con suo marito era il primo passo che le fosse venuto in mente.
Rod aveva poggiato la testa sul guanciale, apparentemente già addormentato. Eliza poteva anche capire che nemmeno lui sapesse cosa fare, ma evitare in quel modo il discorso non li avrebbe portati da nessuna parte.
- Non puoi far finta di niente. Ha perso i genitori, Rod, è sola. Deve affrontarlo – cercò di guardarlo negli occhi, anche se lui si ostinava a tenerli chiusi – E anche tu -.
Rod aprì gli occhi, premurandosi di guardare da un'altra parte.
- Io sto bene, è lei il problema -.
Una manciata di parole che le fecero venire voglia di picchiarlo; ma se l'era sposato lei, perciò doveva tenerselo.
- Innanzitutto lei non è un problema – mise in chiaro Eliza con voce arrabbiata, cercando però di parlare piano perché non si sentisse nella stanza a fianco – E tu ti stai comportando allo stesso modo -.
- Forse ci vuole solo un po' di tempo – rispose Rod con voce atona.
Eliza trattenne un sospiro sconsolato: erano già passate alcune settimane e aveva come la sensazione che, se quella situazione non fosse cambiata in fretta, sarebbe entrata in una specie di stallo in cui nessuno avrebbe più potuto fare niente.
Capì che per quella sera l'unica soluzione era dormire ma, prima di voltarsi dall'altra parte, mormorò in un sussurro:
- Il tempo da solo non può fare proprio nulla -.


A dare una mano al tempo fu un amico di Win, il cugino dei ragazzi che le avevano dato Ned. Rendendosi conto che l'amica non si vedeva più da nessuna parte, il piccolo Edmund si decise a bussare alla porta di quella casa sconosciuta; quando ad aprirgli fu una donna bionda che gli chiese sorpresa chi fosse, fece appello a tutto il suo coraggio e le chiese di Win.
Ora, lei aveva detto di non voler vedere nessuno; e anche se in linea di massima Eliza tendeva a rispettare i desideri altrui, era dell'idea che quella situazione avesse bisogno di una bella scrollata. Aprì perciò la porta a quel ragazzino che a prima vista sembrava più piccolo di sua nipote, indicandogli vagamente il corridoio e la tenda dietro cui era solita nascondersi la bambina.
Anche se Win non voleva vedere nessuno, Edmund non si sentì minimamente in imbarazzo. Lui non pretendeva di essere visto.


- Oggi è successa una cosa – disse quella sera Eliza a Rod, quando si furono entrambi sistemati sotto le coperte.
Il marito le lanciò un'occhiata interrogativa, chiedendosi perché non gliene avesse parlato prima, magari durante la cena.
- Che cosa? -.
- Si è presentato qui un amico di Win – Rod alzò le sopracciglia sorpreso, ma non la interruppe – Ha detto di chiamarsi Edmund -.
- E... lei? Come ha reagito? -.
- Non lo so – ammise Eliza – È andato dietro la tenda dov'era lei ed è rimasto là fino all'ora di cena, quando se n'è tornato a casa. Ho sentito che ogni tanto diceva qualcosa al cane, ma nient'altro -.
- Nient'altro? Cioè, non ha nemmeno provato a parlare con lei? - chiese Rod, meravigliato.
- Ho cercato di essere discreta, ma non ho sentito niente. Nemmeno un sussurro – confermò Eliza.
- Però. Tipo strano, questo... come hai detto che si chiama? -.
- Edmund. È piccolo e biondo, anche se i suoi capelli sono un po' più scuri di quelli di Win -.
Rod non commentò, ma prima di chiudere gli occhi disse soltanto:
- Chissà se si farà ancora vivo -.


Edmund non solo si fece vivo anche il giorno dopo, ma si presentò a casa Mühlstein ogni pomeriggio per un mese di fila, rimanendo seduto sul freddo pavimento accanto a Win senza dire una parola. Quando arrivava l'ora di tornare a casa, andava a salutare Eliza in cucina e usciva dalla porta senza bisogno che lei lo accompagnasse, tanto aveva preso confidenza.
Rod, al corrente di tutto grazie alla moglie che lo aggiornava ogni sera, una volta che tornò presto dal lavoro volle assolutamente vedere quello strano ragazzino. Pur avendo vissuto in prima persona un'amicizia del genere, era sorpreso che il rapporto tra lui e sua nipote potesse essere così diverso da quello che lo aveva unito a Eliza anni prima.
- Dov'è? - domandò in un sussurro alla moglie, china sulla macchina da cucire, come se si fosse trattato di una cospirazione di guerra.
- Dietro la tenda con Win, come al solito – Eliza alzò la testa per guardare fuori dalla finestra – Ma credo che fra un po' andrà a casa. Vado a preparare la cena -.  
Ormai alla porta, vedendo che Rod non aveva intenzione di muoversi, gli chiese:
- Vuoi appostarti e coglierlo di sorpresa? Guarda che è solo un bambino -.
- Davvero divertente, Liza – rispose lui, torvo, seguendola in cucina.

Quando Edmund passò a salutare la signora Mühlstein, si stupì nel trovare anche lo zio di Win, che appena lo vide gli disse:
- Aspetta, giovanotto. Ti accompagno alla porta -.
A Edmund quella prospettiva parve piuttosto una minaccia, mentre Eliza dovette trattenere un risolino nel vedere che Rod stava trattando quel soldo di cacio come un potenziale pretendente di Win, anche se la situazione era ben diversa.
Quando furono entrambi sulla soglia, Edmund tentò timidamente di salutare per poi svignarsela, ma Rod lo batté sul tempo:
- Come... come sta? - chiese, trovando leggermente assurdo doversi rivolgere a un ragazzino tanto piccolo per sapere qualcosa su sua nipote.
- Si sente sola – gli riferì lui, in tutta sincerità. Ah, quindi lo zio di Win era solo preoccupato per lei: Edmund tirò mentalmente un sospiro di sollievo, e si preparò a tirare fuori tutto quanto.
- Già, lo immagino... -.
- Anche perché pensa che voi qui non la vogliate – incassò la testa tra le spalle, facendosi ancora più piccolo. Ma doveva dirglielo, non c'era altra soluzione.
- Cosa? - Rod era sbigottito – Te l'ha... te l'ha detto lei? -.
Il ragazzino scosse la testa, guardandolo con quegli strani occhi che avevano quasi lo stesso colore dei capelli.
- L'ho capito -.
- L'hai... capito – ripeté cautamente Rod, quasi faticando a focalizzare il suo piccolo interlocutore.
- E si chiede anche se lei sia davvero triste per la morte di sua sorella – ormai aveva deciso di rivelare tutto, e doveva arrivare fino in fondo.
- Che cosa? - Rod fece tanto d'occhi – E avresti... capito anche questo? -.
Edmund annuì.
- Mi scusi, ma... - si sentiva un po' a disagio a dare un consiglio ad un adulto, ma il pensiero di farlo per Win gli diede coraggio - ... perché non va a sedersi vicino a lei? -.
- Vicino a lei? -.
- Per terra – spiegò semplicemente lui – Magari stasera -.
Rod non rispose, ammutolito da quel candido suggerimento, mentre Edmund approfittò del suo silenzio per salutare e tornarsene finalmente a casa. Lasciandolo basito a chiedersi se una certa dose di saggezza superiore non fosse insita nelle persone con i capelli biondi.


Quella sera dopo cena, mentre Eliza rigovernava la cucina, Rod si decise a seguire il consiglio di quel ragazzino. Andò nel corridoio, scostò piano la tenda dietro cui se ne stava raggomitolata Win e si sedette accanto a sua nipote. La sua unica nipote, gli venne in mente. E all'improvviso ripensò a quel pomeriggio sulla riva del fiume, quando aveva detto a Eliza- anzi, a Elias- della sua nascita, e lei gli aveva fatto notare che era diventato zio.
Forse era arrivato il momento di esserlo davvero.
- Ti ammalerai se continui a startene seduta per terra, sul pavimento freddo. Va' a metterti almeno vicino alla stufa -.
Win non rispose, ma si sarebbe stupito se l'avesse fatto. Tuttavia temeva sul serio che prima o poi si sarebbe presa perlomeno un raffreddore, e non aveva senso che...
Un ricordo improvviso fece capolino tra le pieghe della mente, scrollandosi di dosso la polvere accumulata nel tempo.
- Tua madre te l'ha mai raccontato? -.
La vide sussultare quando nominò sua sorella così d'un tratto, e anche Rod si stupì di aver parlato senza pensare. Ma Eliza aveva ragione, quando diceva che sia lui che Win dovevano affrontarlo: perché, madre o sorella che fosse, avevano perso entrambi la stessa persona. Insieme, ma dovevano andare fino in fondo.
- Ti ha mai detto che le sarebbe piaciuto fare il medico? Una volta che avevo un po' di raffreddore mi somministrò una specie di ricostituente preparato da lei -.
Tacque un momento, e quando sentì la voce di Win si ritrovò a ringraziare con estrema gratitudine quel ragazzino.
- E funzionò? -.
- Sì. Quella notte andai in bagno cinque volte -.
Non gli serviva vederla per sapere che stava sorridendo. Poté quasi udirne il suono.
- Poi, ovviamente, io mi vendicai -.
Tacque di nuovo. Attese, e non venne deluso.
- E come? -.
Doveva costruirgli un monumento, a quel piccoletto.


Dopo quella sera Win si era spostata da dietro la tenda ai gradini della scala, ed Eliza l'aveva interpretato come un buon segno.
- Ehi – fece quella mattina, chinandosi sulla nipote accoccolata sullo scalino – Hai voglia di fare un giro al mercato? -.
Quando Win annuì, Eliza si ritrovò a sorridere come non faceva da tempo.
- Andiamo, allora -.
Fecero una certa spesa, e per tornare allungarono un po' la strada. Il sole di quella mattina era leggermente velato da qualche nuvola passeggera che proiettava la propria ombra sul marciapiede, tanto che, volendo, ci si poteva saltare dentro.
Eliza si attardò un momento davanti alla vetrina di una merceria: le servivano giusto dei bottoni e un po' di filo, ma mentre era distratta Win corse leggermente avanti. Non era mai stata in quella parte della città: sembrava più antica rispetto alla zona dove abitava prima, con tutte quelle case addossate le une alle altre, le botteghe risalenti al secolo prima e...
Un'altra nuvola oscurò il sole e tutto il mondo, passato e presente.
Win si sentì come se il cuore le si fosse fermato per un istante, per ricominciare poi a ticchettare invece che a battere, all'unisono con tutti i suoi compagni esposti in quella vetrina. Prima ancora di decidere se entrare o no, si ritrovò dentro.
C'era quell'odore. A scuola le davano della pazza quando diceva che gli orologi avevano un odore: un misto di legno, olio per gli ingranaggi e polvere, perché non si riusciva mai a pulirli a dovere in tutti i loro anfratti. Era l'odore stesso del tempo che passava, che l'uomo non poteva fermare, ma solo vivere finché non si fosse esaurito.
E allora l'orologio sarebbe rimasto, ma l'uomo no. Gli orologi erano i messaggeri del tempo che passava e portava chiunque via con sé, prima o poi. Perché non aveva preso anche lei?
- Era da tempo che una così bella signorina non entrava nel mio negozio! -.
Win sussultò: non solo per la voce improvvisa che aveva sentito, ma anche perché le parve che la parola “tempo” fosse stata pronunciata da qualcuno che ne comprendeva davvero il significato.
E solo un orologiaio poteva esserne in grado.
Alzò lo sguardo e vide dietro il banco un omone grande e grosso, che si faceva crescere dei mustacchi biondi come la sua controparte al di là del portale. Anche se, a differenza del maggiore Armstrong, la sua mole era data per lo più da depositi di grasso, supportati da un grande ventre gonfio di birra. Era piuttosto invecchiato rispetto a quando aveva insegnato ad un certo apprendista a tempo perso a costruire carillon, ma la sua corporatura degna di un maestoso orologio a pendolo non era cambiata.
- Hai bisogno di qualcosa? Ho articoli graziosi anche adatti ad una signorina come te... - Von Armstark sembrò accorgersi solo in quel momento del modo in cui la sua cliente stava osservando gli orologi sparsi dappertutto, ammassati come ad una festa – Non ti ho mai vista da queste parti. Sei del quartiere? -.
- Abito qui da poco – rispose Win – Da... dai Mühlstein -.
- Allora tu sei la nipote di Roderich! - tuonò gioioso Von Armstark. Sapeva bene da dove venisse quella ragazzina e quali circostanze l'avessero portata lì, ma non l'aveva ancora vista. La squadrò da capo a piedi – Non gli somigli molto, sai? -.
- Io... - somiglio a mio padre. Anche lui riparava orologi – Già -.
La porta si aprì all'improvviso, facendo entrare una Eliza leggermente inquieta, che non si rese subito conto di dove si trovava.
- Ah, sei qui! - di norma non si sarebbe preoccupata di dove fosse andata una ragazzina di quell'età- lei stessa faceva quello che voleva, all'epoca- ma con Win non si sentiva ancora del tutto sicura – Sei sparita all'improvviso, pensavo che... che fossi tornata a casa -.
- Toh, chi si rivede – solo quando udì quella familiare voce tonante, Eliza si rese conto di dove fosse entrata – Elias, presumo -.
Per quanto invecchiato, rivedere Von Armstark dopo tutti quegli anni le fece lo stesso effetto di un salto nel tempo.
- Già – rispose Eliza con un sorriso.
- Guardi che mia zia non si chiama Elias – intervenne Win, chiedendosi se quel tizio non fosse un po' matto. Ma forse, a forza di ascoltare ticchettii, si iniziava a sentirli perfino dentro la propria testa.
Quasi a confermare la sua teoria, quell'uomo scoppiò a ridere: una risata che fece tremolare il ventre gonfio come un barile e rimbombare le casse dei pendoli. Win lo fissò sgomenta, chiedendosi come facesse un tizio con le dita che parevano salsicce a maneggiare i delicati ingranaggi di un orologio; le dita di suo padre erano state lunghe e affusolate, simili a quelle di un pianista.
Senza accorgersene, Win si guardò le mani: doveva crescere ancora, lo sapeva, eppure le sue dita sembravano aver preso dal ramo paterno, come tutto il resto di lei. Più di una volta aveva aiutato suo padre, maneggiando pinzette e minuscole ruote dentate con un'abilità tutta ereditaria.
- In realtà dipende da come le si usa – disse Von Armstark, chinatosi in avanti sul bancone, interrompendo i suoi pensieri – Il segreto sta nel movimento -.
Manovrò abilmente una pinzetta che aveva afferrato al volo, tanto piccola da scomparire fra le sue enormi dita, e Win rimase a bocca aperta.
- Mi dà l'impressione che anche tu non sia proprio una novellina con queste – continuò l'uomo – Se ti va, qualche volta puoi venire a trovarmi. Continueresti la tradizione di famiglia -.
Win lo osservò incuriosita, chiedendosi di cosa stesse parlando, non osando rispondere a quell'offerta allettante. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe più avuto a che fare con quei congegni che servivano solo ad ingannare l'uomo e a dargli l'impressione di poter controllare il tempo, ma era come se gli orologi continuassero a cercarla. Tanto valeva che li affrontasse, lei che aveva ormai capito il loro inganno.
Si voltò verso sua zia, lasciando a lei l'ultima parola, e non capì perché si sentì tanto sollevata quando Eliza rispose:
- Perché no? Puoi venire quando vuoi, in fondo non è lontano da casa -.
Per una frazione di secondo, Win ebbe come l'impressione che gli orologi l'avessero appena incastrata.


Quando quella mattina Rod sentì sua moglie cacciare un urlo, pensò che fosse appena sbarcato un esercito nemico venuto da chissà dove- magari da un altro mondo, chi lo sa. Oppure che lo Sprea fosse esondato tanto da inondare la loro camera da letto. O che avesse trovato Win accoccolata sul pavimento, intenta a rimuginare su quello che li aveva visti fare quella notte.
Non poteva trattarsi di nulla di meno grave, anche se gli urli di sua moglie non erano certo come quelli delle altre donne: sembravano più che altro esclamazioni di sorpresa, ma dopo lunghe considerazioni Rod li aveva finalmente classificati come grida femminili.
- Oh – esclamò invece Eliza, che si era seduta di scatto – E tu che ci fai qui? -.
Quando Rod si decise ad aprire gli occhi e a controllare quale fosse la minaccia, vide soltanto il piccolo Ned sistemato in fondo al letto, infilato a metà sotto le coperte.
- Scusa, ti ho svegliato? - gli chiese la moglie, e Rod poté constatare che doveva essere ancora molto presto: la luce del sole cominciava appena a filtrare tra le imposte, incerta come poteva esserlo solo all'alba – Mi ha fatto prendere un colpo: ho sentito qualcosa leccarmi i piedi e mi sono svegliata di soprassalto -.
Eh, no: quello non andava per niente bene. Anche Rod si mise seduto, lanciando un'occhiata truce al cagnolino e mostrandogli un dito minaccioso.
- È la mia donna – chiarì al salsicciotto scodinzolante – Trovati una cagnolina -.
- Piantala, e mandalo giù -.
- Cosa? - fece lui, sgomento – Ma... ma non possiamo. Avrà freddo, poverino -.
- È un cane, Rod. Ha il pelo apposta. E poi può mettersi sul tappeto -.
- Da quando sei così cinica e crudele? -.
Eliza si chiese seriamente se cacciare dal letto il cucciolo o il marito, che si era messo a fissare l'animale come se gli fosse improvvisamente venuta una grande idea.
- Liza, prendiamo un altro cane? Così avrà più compagnia -.
Sì, decisamente suo marito.
Comunque alla fine Ned fu fatto scendere dal materasso, e senza tante cerimonie si accucciò sul tappeto ai piedi del letto, come aveva previsto Eliza. La quale pensò che tanto ormai era sveglia, e poteva anche scendere di sotto ad occuparsi di qualche faccenda. Sarebbe rimasta volentieri a letto ancora un po', ma...
- Liza? - bofonchiò suo marito, che si era ridisteso sul materasso – Fa freddo... -.
- Va bene, vado ad accendere il fuoco – fece lei, rassegnata e già pronta a poggiare i piedi sul pavimento gelato. In fondo quella clausola aveva fatto parte della sua proposta di matrimonio, quindi era inutile lamentarsi.
- No, che hai capito? - Rod le circondò la vita con un braccio, trascinandola nuovamente sotto le coperte.
- Ma... c'è Ned! - ribatté lei, come se si fosse trattato di un bambino.
- E allora? - Rod lanciò un'occhiata verso i piedi del letto, anche se il cucciolo non si vedeva – I cani le sanno per istinto, certe cose -.
- Non stai cercando di “marcare il territorio”, vero? - fece lei, sospettosa – La faccenda di prima non c'entra niente, spero -.
- Cavolo, quanto sei diffidente – ribatté lui, tirando le coperte sopra le loro teste – È solo per mettere bene in chiaro le cose -.
La luce nebulosa dell'alba gli era sempre piaciuta.


L'autunno era ormai alle porte, e in effetti quella mattina si rivelò ben più frigida del giorno precedente. Eliza era andata a comprare delle stoffe per un abito che le era stato commissionato, e in quel periodo ogni minima possibilità di lavoro era indispensabile. Win era di sopra a leggere, ma Eliza non sarebbe rientrata prima di un'ora e la temperatura in casa si andava facendo sempre più rigida.
In cucina, Rod lanciò un'occhiata alla stufa che fungeva anche da cucina economica: non provava ad avvicinarsi a uno di quegli affari dal giorno della sua proposta di matrimonio, ma non poteva certo lasciare la sua unica nipote al freddo.
Magari aveva fatto progressi: come poteva saperlo se non provava?

Quando Rod aprì trafelato la porta della stanza vide la nipote sussultare, ma non aveva tempo per scusarsi.
- Win! Vieni subito! - lei alzò gli occhi dal libro sui meccanismi degli orologi che le aveva dato Von Armstark – Di sotto, veloce! -.
Win, che non aveva la minima idea del perché suo zio si fosse messo a dare ordini come un colonnello dell'esercito, si precipitò giù per le scale. E quando entrò in cucina, si chiese cosa diamine fosse successo e da dove saltasse fuori quella nube puzzolente.
- Ma zio... cosa succede? -.
Rod, intento ad aprire la finestra e a fare aria con un giornale, rispose affannato:
- Si è messa a fare un sacco di fumo -.
- Che cosa? -.
- La stufa! - il viso di suo zio era esasperato, con un pizzico di disperazione che minacciava di aumentare di minuto in minuto – Sai come funziona quest'affare? -.
Indicò la cucina economica, dal cui sportello aperto usciva fumo nero come dalla bocca di un vulcano appena risvegliatosi dal suo lungo sonno.
- Beh... sì – rispose incerta Win – Di solito -.
- Allora falla funzionare -.
Win si mise d'impegno, dato che il destino della cucina sembrava dipendere da lei: dopo che Rod ebbe aperto la finestra, riuscirono ad estrarre il pezzo di legno che mandava tutto quel fumo, e ad infilarlo in un secchio di metallo. Una volta portatolo sul retro, nel piccolo cortile in comune con altre case, la stufa non sembrò più la tana di un drago.
- Allora la mamma non scherzava – constatò sorpresa Win, pulendosi col dorso della mano il naso gocciolante per il fumo ancora nell'aria – È vero che hai litigato con un demone del fuoco! -.
- Eh? - Rod, impegnato a capire che cosa fosse andato storto stavolta, si voltò stupito verso la nipote – Avrei litigato con un che? -.
- Un demone del fuoco – rispose tranquillamente Win, lo sguardo serio e corrucciato.
Ah già, le storie di sua madre: era sempre andata matta per tutti i racconti su demoni e spiriti di cui straripava l'immaginario ebraico.
- Beh... se c'è, vorrei tanto sapere che cosa gli ho fatto – brontolò Rod – Non mi sembra di aver mai maltrattato nessun demone del fuoco -.
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Rod avrebbe risposto torvo che quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi; eppure, a volte, sembrava esserci qualcosa in grado di compensare i guai più grossi. Qualcosa che rovesciava la medaglia di continuo, facendoci vedere i lati migliori e peggiori della vita.
E quando sua nipote gli rivolse un gran sorriso divertito, Rod si rese conto che qualcuno aveva appena rovesciato la sua medaglia.
- Che è successo qui? -.
Acc... rovesciata di nuovo.
- Lo zio Rod ha cercato di accendere la stufa, che si è messa a fumare come un drago addormentato, così io sono venuta a salvarlo – prima che Rod potesse pensare a qualunque scusa minimamente plausibile, Win sciorinò d'un fiato una versione che lo faceva sembrare una donzella in pericolo.
Dovette pensarlo anche Eliza, perché cercò di trattenere un sorriso. Non sembrava arrabbiata, e il motivo venne chiarito quando disse:
- Sì, è un po' ingolfata. Già ieri sera ha fatto qualche capriccio, e pensavo di pulirla prima di preparare il pranzo -.
- Cos... e perché non me l'hai detto? - esclamò sbigottito Rod: quindi non era stata colpa sua, stavolta.
- Beh, contavo sul fatto che tu non la toccassi, come ogni giorno da quando ci siamo sposati – replicò tranquillamente Eliza.
Dal canto suo, Win se ne stava zitta, occupata ad osservarsi le ciocche sporche di cenere puzzolente. Appena se n'era accorta, aveva iniziato a studiarsi i capelli con la fronte corrucciata, come meditando su qualcosa.
- Vieni in bagno, ti aiuto a lavarli – si offrì gentilmente Eliza, ma Win non sembrò nemmeno accorgersene, tutta impegnata a rimuginare sui propri capelli.
Quando rialzò lo sguardo, disse qualcosa che fece dimenticare a tutti i presenti la stufa ingolfata e il drago- o demone? - nascosto nei suoi anfratti di cenere.
- Posso tagliarli? -.
- Ma... sono solo sporchi. Non c'è alcun bisogno di... - tentò sua zia, sorpresa.
- Lo so – la interruppe Win – Ma io vorrei tagliarli -.
Eliza si voltò verso Rod, chiedendo la sua opinione con lo sguardo, ma lui fece spallucce.
- Per me non c'è problema. Non sarebbe la prima ragazza con i capelli corti – le ricordò, al che Eliza sorrise e annuì.
- Beh... d'accordo. Se ne sei convinta, possiamo già farlo questo pomeriggio -.


Anche se la zia Eliza e lo zio Rod non le avessero detto che stava bene, Win lo sapeva di suo. Quando si passò una mano sulla nuca, sfiorando i morbidi capelli tagliati con la sfumatura alta, ebbe come un brivido di felicità. Finalmente.
Edmund non se n'era nemmeno accorto finché non gliel'aveva detto lei, ma Win non se l'era presa. Edmund si accorgeva solo delle cose importanti, e quella lo era solo per lei.
Un paio di sere dopo il taglio, Win era in cucina ad aiutare sua zia; lo zio Rod non era ancora rientrato, ma per il suo ritorno la cena sarebbe stata pronta.
Avevano scambiato solo un paio di chiacchiere di poco conto, quando Eliza disse, senza alcun preavviso:
- Sembra che ti piaccia parecchio andare da Von Armstark -.
Se c'era una cosa che aveva imparato di sua zia, era che non si poteva mai sapere quando avrebbe attaccato, e da che lato: come un falco che ha individuato la preda e punta al suo obiettivo, infallibile.
- Mi ha detto che sei molto portata -.
Win mise un piatto sul tavolo. Oh, lo sapeva già: era figlia di un orologiaio, l'aveva dimenticato?
- Posso chiederti una cosa? Tuo padre li riparava soltanto, gli orologi, o ne costruiva anche? -.
Win si bloccò a mezz'aria, con in mano un bicchiere: era la prima volta che sua zia nominava i suoi genitori, e tutta quella disinvoltura la sorprese. Comunque provò a rifletterci su.
- Uhm... no, mi pare che li riparasse e basta. Perlomeno, io di costruiti da lui non ne ho mai visti -.
Non capì perché sua zia avesse sorriso finché non le spiegò:
- Allora hai preso anche dall'altro ramo della famiglia. Quello di tua madre -.
All'espressione sorpresa della nipote Eliza sorrise di nuovo, togliendosi poi il grembiule e dicendole:
- Vieni con me -.
Senza fare domande, Win la seguì. Su per le scale, nella stanza sua e dello zio Rod, sotto una camicia da notte nella cassettiera dell'armadio.
Che poteva mai esserci sotto una camicia da notte?, si chiese Win. Estremamente incuriosita, si sporse finché dalle pieghe del tessuto non uscì una scatola in legno dal fine decoro intarsiato sul coperchio.
- È... un carillon? - chiese, a bocca aperta. Ma che ci faceva lì dentro?
- Von Armstark dice che hai parecchio talento anche nel costruire, non solo nel riparare – Eliza glielo mise fra le mani – Questo l'ha fatto tuo zio -.
- Lo zio Rod? - fece Win stupita, rendendosi conto che, anche se non era un orologio, quello era davvero un oggetto di pregevole fattura.
- Esattamente -.
Era veramente bellissimo. Provò ad aprirlo, sentendo scattare subito la dolce melodia che custodiva, facendo tanto d'occhi quando Eliza la informò che anche il meccanismo era opera di suo zio.
- Ma... perché lo tieni qui dentro? - Win accennò al comodino, e poi al cassettone sull'altro lato della stanza – Non sarebbe più bello lasciarlo fuori, in modo che tutti possano vederlo? -.
- Non è un soprammobile – rispose Eliza, mentre Win le porgeva il carillon e lei lo rimetteva con cura al suo posto – È una dichiarazione. Non è necessario che "tutti" possano vederlo, l'importante è sapere che c'è -.
- Davvero? - Win si illuminò – Ti ha chiesto di sposarlo quando te l'ha regalato? Sul serio? -.
- Non ti racconterò i particolari, se è questo che speri. Non oggi, almeno – Eliza sorrise al pensiero che la nipote doveva trovare quella storia estremamente romantica. Se le avesse chiesto il significato della decorazione all'interno del carillon, però, avrebbe scoperto che di romantico c'era ben poco.
- Ehi! Dove siete finite? Liza? Win! -.
La voce di Rod al piano di sotto rimbombò fino a loro, facendo sospirare Eliza.
- Ma dove crede che viviamo, in un castello? Pensa che se non urla non lo sentiamo? - si alzò, non notando Win che ridacchiava sotto i baffi, per poi tornare di sotto.
Prima di seguirla, la ragazzina lanciò un ultimo sguardo all'anta dell'armadio che nascondeva un cassetto dentro al quale, fra le pieghe di una camicia da notte, era custodito un tesoro.
E così, una parte della sua famiglia era in grado di costruire meraviglie simili. E forse un po' di quel talento l'aveva ereditato anche lei.
Von Armstark le aveva detto subito che con i capelli così stava benissimo, e visto il grande cambiamento aveva deciso di insegnarle subito qualcosa di nuovo. Era diventata la sua piccola apprendista, senza sapere che sarebbe stata lei la sua erede, colei che avrebbe continuato la sua attività nel quartiere.
Senza sapere che alcuni anni più tardi, quando Von Armstark sarebbe morto, le si sarebbe spezzato il cuore. Un'altra volta.

 
Quella sera, al termine della giornata di lavoro, Rod si rese conto per l'ennesima volta che tanta gente non sarebbe più tornata. Un paio di giovani che prima della guerra lavoravano in qualche biblioteca decentrata non avevano più fatto ritorno, e la gente sembrava sempre più stanca. Come se la guerra, in realtà, non fosse mai finita.
Dopo aver salutato i colleghi, scendendo in strada vide una ragazza seduta sui gradoni d'ingresso della biblioteca. I vestiti erano logori, i capelli scarmigliati e, anche nel buio, si vedeva bene la sua pelle scura... Una zingara, probabilmente.
Era tutta rannicchiata su se stessa, un po' come- Roderich si stupì di aver subito fatto un simile collegamento- Win, i primi tempi che era arrivata a casa loro.
Rimase a guardarla per qualche istante, ma poi proseguì. Bambini resi orfani e poveri dalla guerra ce n'erano tanti, non poteva certo raccoglierli tutti; sua nipote era un conto, ma una piccola zingara...
Dopo aver percorso qualche metro si voltò, attento a non rimanere nella pozza di luce di un lampione: a quella ragazza, comunque più grande di Win, si era avvicinato un gatto randagio.
La vide alzare piano la testa e allungare una mano verso l'animale... esattamente come aveva fatto Win con il suo Ned, solo alcune settimane prima.
Rod sospirò, prima di tornare sui suoi passi e vedere se quella giovane zingara decideva di dargli fiducia.

Quando si era avvicinato lei era subito indietreggiata, pur rimanendo seduta. Rod aveva cercato di apparire il più gentile possibile, mentre le chiedeva se aveva un posto dove andare quella notte.
La ragazza non rispose, guardandolo come un animale spaurito; tuttavia allungò una mano verso di lui. Rod rimase un po' perplesso, ma obbedì a un impulso istintivo e gliela strinse, come se stessero facendo conoscenza.
Non capì perché, ma tutto d'un tratto la ragazza si rilassò, e sembrò guardarlo con occhi nuovi.
- No – disse infine, incredula della fortuna che le era capitata – Non ho un posto dove andare -.
Sorrise.
- Mi chiamo Noa -.







E qui ci ricolleghiamo al primo capitolo de "Die Uhr- L'orologio", il pretesto per questa serie.
Se ve lo state chiedendo... sì, l'ho fatto apposta. Ho fatto apposta a mettere Mustang come unico parente rimasto a Winry, l'unico con cui lei può in effetti condividere il dolore. Proprio lui che era stato l'assassino dei suoi genitori dall'altra parte del portale. Uno scambio equivalente, non trovate?
So perfettamente che Edmund non somiglia proprio per niente ad una certa controparte... è fatto apposta, sapete. OOC anche lui.
Per quanto riguarda demoni e spiriti dell'immaginario ebraico, se volete saperne di più vi consiglio i libri di Isaac Bashevis Singer: sono assolutamente affascinanti, credetemi.
Il prossimo capitolo non sarà più un prequel ma un sequel, dato che sarà ambientato dopo la fine de "Die Uhr- L'orologio". Per cui rivedremo i nostri Ed e Al, e devo dire che mi mancava un po' poter scrivere di loro.


Rispondendo alle recensioni:
Ezzy O: felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. ^^ Sì, l'ultima frase era un "leggero" suggerimento ad un certo colonnello di nostra conoscenza...
Hanako_Hanako: se lo scorso capitolo ti è piaciuto così tanto, non posso che esserne contenta. ^^ Avevo il dubbio che il carillon fosse un po' troppo complicato, ma se non lo è meglio così!
Shatzy: caspita, hai praticamente indovinato questo capitolo! Tra Win e Noa, l'hai praticamente azzeccato tutto. ^^
Tranquilla, ribattezza i titoli come vuoi, tanto li metto doppi apposta. Felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, in effetti mi sono scervellata abbastanza. Sì, mi baso parecchio sugli avvenimenti originali, come in una sorta di contrappasso. Sono convinta che ci sia una sorta di scambio equivalente universale che regola i due mondi, e mi sbizzarrisco alquanto! ^^
Hughes non pensò ci sarà: in fondo nel film abbiamo visto che abitava a Monaco, mentre qui siamo a Berlino... però è una buona idea, chissà che non mi venga in mente qualcosa al riguardo...

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Capitolo 6
*** L'alba di settembre ***


6- L'alba di settembre L'alba di settembre

"I bambini non nascono al quinto mese, chiaro?"

(Riza Hawkeye, episodio 5)


La prima volta aveva avvertito un vago malessere mentre rifiniva la manica di un vestito, peraltro venutole particolarmente bene. Si bloccò un momento, respirando a fondo, pensando che fosse strano perché era quasi ora di cena: non poteva essere stato qualcosa mangiato a pranzo, dato che l'aveva già digerito da un pezzo.
Comunque dopo qualche minuto le passò, dandole il tempo di completare l'abito, che mise su una gruccia e coprì con della carta.
Era sera, ormai: da qualche giorno aveva iniziato a piovere a dirotto, una pioggia che al momento era stata interrotta da un terribile vento giunto da chissà dove. Mugghiava inferocito per le strade, facendo tremare i vetri come se stesse bussando alle finestre di tutta Berlino.
In cucina infilò un ceppo nella stufa, perché a breve sarebbero tornati quelli che erano ormai i tre uomini di casa. Mentre spostava le pentole per far posto ad altre padelle, si ritrovò a sorridere: chi l'avrebbe mai detto che la sua casa sarebbe diventata così... calda?
Era come se la donna che era adesso e la bambina che era stata fossero due persone completamente diverse, vissute in due mondi divisi da un portale: un portale che non aveva nome eppure, ogni volta che le capitava di pensarci, non poteva fare a meno di venirle in mente il viso di suo marito.
Allora si chiedeva che razza di ragionamento avesse fatto, da dove diavolo saltasse fuori l'idea di un “portale” e perché stesse arrossendo come una ragazzina.
Inoltre- continuò a riflettere, mentre tagliava la carne che era riuscita a procurarsi e la disponeva sul tagliere- si chiese, per l'ennesima volta, come una persona così riservata e schiva quale era sempre stata lei, potesse ispirare tanta fiducia. Anni fa, Noa si era comportata come se fin dall'inizio avesse saputo che da loro non le sarebbe venuto alcun male: e dire che, in quanto zingara, non dovevano averla sempre trattata così bene. Mentre adesso saltavano fuori questi due ragazzi, mandati appunto da Noa, che si erano subito ambientati altrettanto in fretta.
Quando erano piccoli Rod aveva asserito che lei era come un falco, a cui non sfuggiva mai niente- e ogni tanto lo ripeteva ancora. Eppure, malgrado Eliza sapesse che il suo intuito non sbagliava quasi mai, aveva creduto di avere le traveggole quando si era ritrovata a pensare che... beh, che sembrava che quei due ragazzi la conoscessero.
Perché, nonostante non si fossero mai presi troppa confidenza, le si erano sempre rivolti con una naturalezza tale da farle pensare di averli già conosciuti, in qualche tempo e in qualche luogo. Perché quando le dicevano qualcosa sembravano già sapere come avrebbe reagito, e i giorni in cui era di cattivo umore le giravano alla larga quasi istintivamente.
Non avrebbe saputo spiegarlo né provarlo, eppure era una sensazione che l'aveva lasciata fin da subito piuttosto perplessa. Si ritrovò a corrugare la fronte per l'ennesima volta, mentre tagliava delle cipolle e le buttava in padella per soffriggerle. Avrebbe avuto qualche senso se avesse preso uno dei due fratelli in disparte- magari il più giovane, non ce lo vedeva proprio a mentire- e gli avesse chiesto: “Ma dove mi avete conosciuto, voi due?”. Perché, appurato che l'altro non era Edmund- ma lei l'aveva sempre saputo- era certa di non averli mai incontrati in vita sua. Chissà se suo marito sapeva qualcosa al riguardo: negli ultimi tempi le era sembrato un po' scosso, come se le stesse nascondendo chissà quale segreto. Che i ragazzi gli avessero rivelato qualcosa?
Non fece in tempo a pensare a quanto fosse stupida quell'idea, che qualcos’altro provvide a distrarla: qualcosa che le fece spostare immediatamente la padella dalla cucina, la costrinse a mollare tutto ciò che stava facendo e a correre in bagno. Dove riuscì- appena in tempo- ad inginocchiarsi di fronte alla tazza e a tirarsi indietro i capelli.
Quanti anni erano che non vomitava?
Mancandole completamente la voglia di stare a rimirare i resti della sua digestione, si allungò verso lo sciacquone e lo tirò. Mentre l'acqua portava via quella roba dall'odore nauseabondo, il dubbio arrivò galleggiando, quasi sorgendo dalle profondità della tazza.
Oh, si era accorta di aver saltato il ciclo di gennaio: ma lei non era mai stata molto regolare- forse l'unica parte di lei che non lo era- e pensava che la stanchezza degli ultimi tempi potesse aver contribuito... non ne sapeva poi molto, al riguardo. Le sue conoscenze mediche erano sempre state piuttosto limitate.
Ma non era così sprovveduta da non rendersi conto che il giorno dopo avrebbe fatto bene ad andare da un dottore.
Fece un salto nel laboratorio di Win, dicendole che si sentiva poco bene e chiedendole se potesse occuparsi lei della cena; prima che la nipote potesse domandarle qualcosa, andò in camera a sdraiarsi.
Stesa su quel letto troppo grande per una persona sola, prima di rendersene conto portò le mani al ventre.
Poteva davvero esserci qualcuno, lì dentro?


Qualche sera dopo, mentre si stavano preparando per la notte, aveva esordito con un indifferente: “Ti ricordi di Hanukkah?”, a cui Rod aveva risposto:
- È stato poco più di un mese fa, Liza. Certo che mi ricordo -.
Eliza lo guardò a lungo, prima rispondere: era certa che non avesse dimenticato ciò che le aveva detto quella famosa sera- né quel che avevano fatto dopo, perché di certo Hanukkah doveva averlo ispirato parecchio.
Ma forse non ci aveva creduto più di tanto nemmeno lui, perché erano sposati ormai da anni e di bambini non ne erano mai arrivati. A parte una bionda che non somigliava a nessuno dei due, ma Win non contava in questo senso.
Eliza sorrise sorniona: chissà se ci sarebbe arrivato. Voleva godersi al massimo quel momento, così si sporse verso di lui e, a un palmo dal suo naso, mormorò sibillina:
- Risolvi questo indovinello: qual è l'orologio che inizia a ticchettare ad Hanukkah e che, a differenza di ciò che diceva qualcuno, per esistere ha per forza bisogno di due creatori? -.
Lo vide corrugare la fronte, chiaramente perplesso, ma non si spostò né aggiunse indizi. Avrebbe potuto contare i secondi di silenzio sospeso, vedere gli ingranaggi che lavoravano dietro la sua fronte, mormorargli nell'orecchio la risposta esatta.
Ma aspettò. Aspettò finché le sopracciglia di Rod non si alzarono tanto da scomparire nel ciuffo di capelli che da un pezzo gli andava dicendo di tagliare.
- Cioè, tu... io... lì dentro... -.
Quando si vide additare la pancia, Eliza scoppiò a ridere.
Forse era ora di finirla con tutte quelle metafore sugli orologi; da quel momento in poi sarebbe stato meglio chiamarlo col suo nome... anche se non ne aveva ancora uno. Ma avevano nove mesi per pensarci.


Quando l'avevano saputo, Ed e Al non avevano voluto sentire ragioni: si sarebbero trovati un alloggio per conto loro, dato che ormai avevano entrambi un lavoro. Un conto era non pesare economicamente sui Mühlstein, un altro essere di disturbo in un momento importante come la nascita di un bambino. Ed sentiva qualcosa scioglierglisi dentro quando pensava che si stava creando una nuova famiglia; lo erano già, certo, ma niente si poteva paragonare ad una nuova vita, qualcosa che “chiudeva il cerchio”, a dirla da alchimista. Che suggellava il patto. Il sangue che richiama un'anima, ma non in una trasmutazione umana.
Una mattina d'inizio aprile che si era beccato un bel raffreddore ed era ancora disteso a letto, si ritrovò ad osservare il soffitto e a perdersi nei suoi pensieri come non gli capitava da tempo. Forse aveva qualche linea di febbre; forse era la prospettiva dell'ennesimo spostamento, ma rimuginò per quasi un'ora su quella parola che l'aveva ossessionato per quasi tutta la sua esistenza. Di là e di qua; come alchimista e come essere umano. La vita.
Alzò il braccio con l'automail, guardandosi la mano nella dolce luce d'aprile che entrava dalla finestra. Ma perché l'uomo non può creare la vita? Con le proprie mani, ovviamente; in modo razionale e programmato. Artificialmente, si poteva dire. In effetti, nonostante i suoi studi attuali concernessero la chimica e non più l'alchimia, il concetto di fondo era sempre lo stesso: ogni cosa che esiste è un meccanismo, un sistema, che segue regole ben precise e fondamentalmente immutabili. Ciò che mutava, seguiva altrettante regole. Eppure il mistero riguardante la vita perdurava, come se davvero fosse stata cosa che agli uomini non era dato sapere.
Come? Perché?
Sorrise, quasi divertito: malgrado tutto ciò che era successo, era ancora lì a chiederselo. E avrebbe continuato per sempre, ne era sicuro.
Si tastò la fronte: forse gli era salita la febbre.

Nel pomeriggio si sentì abbastanza bene da scendere di sotto. Win non c'era, sarebbe tornata solo all'ora di cena: era andata da un cliente che abitava dall'altra parte di Berlino, il cui pendolo si era messo a suonare a ore alterne. L'una, le tre, le cinque... quando gli pareva, e a volte la mezzanotte durava tredici rintocchi. Uscendo, Win aveva detto che sarebbe andata ad esorcizzare il fantasma che lo infestava, estremamente divertita perché un caso simile non le era mai capitato.
Così adesso in casa rimanevano solamente lui ed Eliza; forse poteva farle piacere un po' di compagnia.
- Posso? - Ed aprì piano la porta della stanza del cucito, interrompendo il ronzio della macchina da cucire.
- Certo, non devi neanche chiederlo – rispose Eliza, indicandogli una sedia – Accomodati. Come va il raffreddore? -.
- Meglio, comunque Al ha promesso di portarmi qualcosa dalla farmacia -.
- Sai, non ho tutta questa esperienza di uomini, ma ho idea che tu sia un esemplare piuttosto bizzarro – commentò Eliza, lanciandogli un'occhiata.
- Eh? E perché? -.
- Dovresti vedere mio marito quando sta male: con il naso un po' intasato, pretenderebbe di stare a casa dal lavoro per una settimana! -.
Con il naso un po' intasato il colonnello avrebbe insistito per un ricovero retribuito, pensò Ed. Gli scappò un leggero sorriso, che a Eliza non sfuggì.
- Ti va di darmi una mano? - gli lanciò un'occhiata penetrante, ma Ed c'era abituato da parecchio. Da molto prima di conoscerla – Qualcosa mi dice che saresti abile quanto tuo fratello nella segnata, ma al momento non ho stoffe da tagliare -.
Eliza si alzò, prendendo un grande abito bianco da un manichino e facendo molta attenzione mentre lo posizionava sul tavolo. Qualche secondo dopo, Ed si ritrovò fra le mani quello che era indubbiamente lo strascico di un abito da sposa.
- Non fare quella faccia – commentò Eliza, mentre si occupava del pizzo sul colletto – Il tavolo più grande è occupato, e su questo lo strascico penzolerebbe a terra. Devi solo reggermelo per un po', non attraversare la navata come damigella d'onore -.
Mentre Eliza si occupava del colletto e di alcuni ricami sul petto, Ed guardò distrattamente fuori dalla finestra. Si trovava nella stanza di una sarta che da un'altra parte era un cecchino, in una città che fino a pochi anni prima nemmeno sapeva potesse esistere, a reggere lo strascico di un abito da sposa. Per un attimo, fu quasi come se si fosse estraniato da tutto: da tutti i mondi, due o più che fossero; da tutto ciò che aveva fatto e che avrebbe dovuto fare; da tutte le responsabilità che si era sempre preso.
Ma era stato così inevitabile, finire lì?
- Cosa facevo io, nell'altro mondo? -.
- Il tenente nell'eser... -.
Ed ammutolì. Lo stava dicendo ad alta voce? Se l'era immaginata, quella domanda buttata lì come per caso? Guardò Eliza, apparentemente intenta al suo lavoro, tranquilla come sempre. Come se non gli avesse appena fatto una domanda così incredibilmente assurda, prendendolo in contropiede mentre era distratto.
No, doveva esserselo immaginato. Forse gli era salita ancora la febbre.
- Nell'esercito, addirittura? Una donna? - strabuzzò gli occhi quando lei alzò lo sguardo dall'abito e continuò il discorso con tutta la naturalezza del mondo – E cosa facevo esattamente? -.
Stringendo fra le dita il tulle dell'abito, Ed passò dallo stordimento improvviso al sollievo inaspettato. Suo marito doveva averglielo detto, dunque. Beh, certo: figurarsi se il tenente non avrebbe saputo ogni cosa del colonnello.
- È il miglior cecchino dell'esercito – Ed si sporse un po', con fare quasi confidenziale. Mai avrebbe pensato che quella giornata potesse prendere un corso simile – E, anche se è un subordinato, fa rigare dritto un certo colonnello. Però lui adesso è stato degradato, per cui non so se... -.
- Un cecchino, eh? Beh, anch'io ho una buona vista – ammise Eliza.
Oh, quello non era certo l'unico punto in comune con il tenente Hawkeye: Ed avrebbe potuto mettersi a elencarli tutti, se glielo avesse chiesto. Invece Eliza gli domandò:
- E tu e tuo fratello, da quanto tempo siete voi due soli? -.
Finora non gli aveva mai rivolto quella domanda per non rischiare di essere inopportuna, ma adesso era diverso. Avrebbe voluto che, se fosse capitato a suo figlio, qualcuno glielo avesse chiesto. Una conseguenza dell'essere incinta, probabilmente: per la prima volta si rendeva conto che al mondo tutti erano figli di qualcun altro.
- Si nota così tanto, che siamo abituati a cavarcela per conto nostro? - domandò Ed, sorridendo quasi colpevole – Comunque da parecchio, se è questo che vuole sapere -.
Si trattenne dall'aggiungere che loro non avevano mai avuto degli zii, ma lo pensò. Chissà se sarebbe stato diverso.
Iniziava ormai ad intravedersi un po' di gonfiore all'altezza del ventre di Eliza, e anche se dalla sedia non riusciva a vederlo, Ed venne improvvisamente colpito da un'immagine. Un'immagine a cui non aveva pensato, quando aveva conosciuto la signora Hughes.
Cercò di scavare a fondo nella memoria, ma senza alcun risultato; tentò ancora e ancora, scartando un ricordo dopo l'altro.
… niente da fare, non se la ricordava. Ma in fondo sua madre doveva essere rimasta incinta di Al quando lui ancora non sapeva mangiare da solo. Pensare di conservare ancora ricordi così lontani nel tempo forse era un po' eccessivo. Eppure la sola idea di sua madre col pancione gli faceva sentire una specie di calore dentro, un calore legato ad una sensazione che doveva aver provato. Anche se a dire il vero non ricordava nemmeno Al neonato, malgrado Trisha Elric gli avesse raccontato che all'inizio lo trattava un po' come il suo bambolotto personale.
- Edward -.
Ed tornò nel presente, chiedendosi se quella sfumatura materna nella voce se la fosse immaginata.
- Ricordati che qui, una casa in cui tornare l'avrete sempre -.
Una casa in cui la famiglia ti aspetta. Era così che l'aveva definita, quando col maggiore Armstrong avevano fatto ritorno a Resembool per riparare i suoi automail. Lui e Al casa loro l'avevano bruciata, eppure zia Pinako e Winry erano sempre state pronte ad accoglierli. E ora questa donna gli stava dicendo che, forse, una casa l'avevano trovata anche in quel mondo.
Avrebbe dovuto sorriderle e ringraziarla, lo sapeva. Anche se Eliza non sembrò certo pretenderlo, perché tornò subito alle sue occupazioni, mentre Ed si chiedeva se quello non fosse di nuovo il principio della fine.
Perché una l'avevano bruciata e l'altra abbandonata per sempre, sigillata in un altro mondo. A questa, cosa sarebbe successo?


Ed e Al non avevano grosse pretese, e grazie a qualche contatto di Rod riuscirono a trovare un alloggio rispettabile ad un prezzo decente. Così vi si trasferirono quando Eliza era al quinto mese, non senza la promessa di tornare a cena da loro una volta alla settimana. All'inizio Win sentì l'ennesimo strappo al cuore, ma quando si rese conto che stavolta chi se ne andava si sarebbe allontanato di appena due isolati tirò un sospiro di sollievo. Cominciò a ricambiare le visite settimanali, e una volta che un cliente le pagò una riparazione con una bottiglia di liquore di segale rischiarono la sbronza tutti e tre.
Man mano che la gravidanza avanzava, il pancione di sua zia si faceva sempre più prominente, tanto che nell'ultimo periodo ogni tanto era costretta a sdraiarsi per il mal di schiena.
Secondo Eliza era perché il bambino se ne stava comodamente stravaccato nella sua pancia, il che era un preoccupante sintomo che avrebbe ereditato la sfrenata pigrizia del padre.
Win rideva sempre quando sua zia se ne usciva con certe cose, e un pomeriggio di metà agosto dall'aria fin troppo fresca le disse:
- Vai a sdraiarti un po', ti porto del brodo -.
Quando la raggiunse nella stanza, la trovò sistemata di fianco, stanca ma in attesa, gli occhi vigili sulla porta.
- Ecco qua. Corposo e bollente! - scherzò.
- Oh, io non ho problemi, lo sai. Se si vuole che faccia un po' d'effetto, il brodo deve essere bello caldo – rispose Eliza, mettendosi seduta e prendendo la tazza che Win le porgeva, non senza una certa fatica.
La ragazza fissò lo sguardo sul pancione ormai evidentissimo della zia, così pronunciato che volendo avrebbe potuto appoggiarvi la tazza.
- Com'è? - non poté fare a meno di chiedere.
- Molto buono. Ti è venuto davvero bene -.
Win scosse la testa ridendo:
- Non il brodo – indicò il rigonfiamento all'altezza del ventre – Com'è... avere qualcuno dentro di sé? -.
- Molto... strano, quando in effetti mi metto a pensarci. Soprattutto quando si muove – si toccò piano la pancia, dove era convinta che suo figlio se ne stesse comodamente stravaccato – Ma è anche così... naturale. Giusto. Perché è così che vanno le cose -.
- Che una volta tanto vadano come dovrebbero andare? - mormorò Win.
- Esatto. Di tanto in tanto succede anche questo – sussurrò sua zia di rimando.
Win si riscosse subito, colpita da un'idea improvvisa.
- Ehi, gliel'hai fatta sentire? - domandò, illuminandosi.
- Che cosa? - chiese Eliza sorpresa.
- La melodia del carillon -.
- Come? … no, veramente no -.
- Allora che ne dici di fargliela ascoltare un po'? Tanto per mettergli in chiaro dove si troverà a vivere -.
- Sì, perché no? - sorrise Eliza.
- Posso? - fece Win, accennando all'armadio, sicura che il carillon fosse ancora nascosto là, sotto una camicia da notte.
Al cenno affermativo di sua zia, si alzò prontamente dal letto e andò a vedere, riverente come se le fosse stato concesso un grande onore. Eliza la osservò inginocchiarsi davanti alla cassettiera, pensando all'unica altra volta in cui sua nipote aveva visto il carillon: era passato tanto tempo, da allora, ed erano cambiate così tante cose. Possibile che tutti quegli anni fossero trascorsi così in fretta?
Quando tornò da lei, Win stringeva tra le mani il carillon. Lo caricò e ne aprì il coperchio; per tutto il tempo in cui la melodia risuonò, lo tenne vicino al pancione di Eliza. Quando la carica terminò, dopo un attimo di silenzio sorrise complice a sua zia:
- Senti, adesso credi di potermela raccontare? - alzò il carillon ancora aperto, mostrandole la decorazione all'interno. Quella col cane, il fiume e la nuvola di fumo – La storia di questo, intendo. Perché scommetto tre orologi che questa è opera dello zio Rod -.
Quando Eliza vide che stava indicando la nuvola dalla finestra, scoppiò a ridere. Sì, era davvero passato un sacco di tempo. Chissà se... si toccò la pancia, accarezzandola piano.
Chissà se l'incompatibilità col fuoco era ereditaria.


Quando Win uscì in corridoio, quella sera di settembre, era palesemente scioccata.
- Mio Dio – ansimò, sconvolta ma felice – Dove sono i miei orologi? -.
Se Rod fosse stato uno spettatore esterno, avrebbe anche potuto mettersi a ridere; ma non lo era, e in due secondi aveva posato le mani sulle spalle della nipote, preoccupato al limite del possibile.
- Come sta? -.
- Stanno bene – Win sospirò, sorridendo come non mai – Stanno bene tutte e due -.
Senza pensarci due volte Rod entrò, beccandosi qualche rimbrotto della levatrice che stava lavando in una bacinella un paio di fasce intrise di sangue, ma non ci fece nemmeno caso.
Chiudendo la porta dietro di sé e appoggiandovisi contro, Win sorrise di nuovo e si passò una mano fra i capelli, scoprendosi parecchio sudata. Oh beh, si sarebbe lavata più tardi: adesso doveva andare a dare la notizia ad un paio di persone.


- Una bambina? Ma è meraviglioso! - esclamò Al, felice di sapere che fosse andato tutto bene.
Anche suo fratello sorrideva sollevato sotto la luce della lampada, accesa dopo che gli ultimi lampi aranciati del tramonto si erano spenti a ovest.
Una bambina, come Elycia Hughes: Ed sperò che quella piccola che aveva appena un'ora di vita fosse più fortunata di lei.
- E come l'hanno chiamata? - si informò.
- Anche se gli zii non hanno mai voluto dirmi che nome avevano in mente, prima che uscissi dalla stanza la zia Eliza mi ha detto che una femmina volevano chiamarla Alba -.
Al guardò perplesso fuori, nel buio:
- Ma... è nata al tramonto, no? -.
Win si strinse nelle spalle, come a declinare ogni responsabilità.
- Che volete che vi dica? Se mio zio si mette in testa una cosa, non c'è verso di fargli cambiare idea -.


- Se fosse stato un maschio ci avrebbe trovati del tutto impreparati. Non hai mai voluto saperne di pensare a un nome! - Eliza era appoggiata contro il cuscino, visibilmente stravolta, mentre Rod si stava rimirando il viso della bambina alla soffice luce dei lampioni che entrava dalla finestra.
La stanza era ormai avvolta nella penombra, ma nessuno dei due aveva ancora voglia di accendere una lampada.
- Non mi serviva pensarci. Lo sapevo già – rispose tranquillamente Rod, chiedendosi come facesse un neonato a respirare con un naso così piccolo.
- E avresti deciso senza consultarmi? Si può sapere come avresti chiamato nostro figlio? - malgrado la domanda, Eliza non aveva nemmeno la forza di accigliarsi. Sentiva gli occhi sempre più pesanti, e cercare di mettere a fuoco l'ombra del marito e della figlia contro la finestra andava facendosi sempre più difficile.
Rod sorrise, di un sorriso paterno che, anche nella penombra, a Eliza sembrò piuttosto un sogghigno.
- Che domande. Elias, ovviamente -.


- Dite, non trovate che mi somigli? -.
Ed e Al si scambiarono un'occhiata perplessa, senza commentare alcunché.
- Zio... è bionda – si azzardò a contraddirlo Win.
- Ma guarda il viso! Lo sguardo! È proprio il mio ritratto! - ribatté Rod, spostando leggermente la piccola come a fargliela vedere da un'altra angolazione.
Ed stava osservando quella scena ad occhi sgranati, quando udì il commento di Al che si era chinato a sussurrargli qualcosa:
- Perché si sta comportando come Hughes? -.
- Chissà... forse è una caratteristica di tutti i neopadri – ipotizzò lui, anche se poco convinto.
- Ma guardatela! - Rod mise loro la bambina sotto il naso, e per un folle istante a Ed sembrò che la piccola lo stesse guardando con uno sguardo che conosceva. Lo sguardo di un certo colonnello, sul viso di una bambina nata appena il giorno prima.
La piccola Alba aveva ereditato i suoi occhi, su questo Rod aveva ragione.
- Guarda gli zii, Alba: lo zio Ed e lo zio Al... - continuò lui, in tono cantilenante.
“Diavolo, è impazzito”, pensò Ed, rendendosi conto con uno sguardo che lo stesso pensiero aveva attraversato la mente di tutti i presenti. Persino di Eliza.
Però la bambina era carina per davvero, con quegli occhi allungati e scuri come la pece, tanto pallida che le si vedevano le venuzze azzurre scorrere lungo i polsi. Un organismo perfetto; un cerchio completo in cui scorreva l'energia.
Il cerchio completo si rese conto in quel momento di avere fame, e lo comunicò a tutti con una prova generale delle corde vocali, perfettamente funzionanti.
- È meglio che andiamo – rise Al – Suppongo ci stia sbattendo fuori di qui, senza tanti complimenti -.
Percorrendo i due isolati che li separavano dal loro alloggio, non parlarono per un po', godendosi la brezza ancora eccezionalmente mite. Erano gli ultimi languori dell'estate che stava morendo, e loro non avevano ancora la minima idea di dove andare a recuperare la famosa bomba che stavano cercando.
- Aveva un buon profumo... - fece d'un tratto Al, mentre passavano sotto un lampione – Sapeva di latte -.
- Vorrai dire che puzzava di latte! - lo corresse Ed, con una smorfia.
- Andiamo, fratellone. Non è gentile, lo sai -.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, Ed ridacchiò fra sé. Al gli lanciò un'occhiata interrogativa, chiedendogli senza parlare cosa ci fosse di tanto divertente.
- Spero che adesso non sarai geloso – fece Ed, rispondendo alla sua tacita domanda.
- Mh? Chi, io? E perché? - chiese Al, guardandolo sorpreso.
- Beh... - Ed sorrise sibillino, alzando lo sguardo verso il cielo ormai scuro e stellato di quella dolce giornata settembrina. Non capiva perché si sentisse d'un tratto tanto bene: era tutto merito di quella bambina? – Non sei più l'unico “Al” in circolazione, ormai -.





Scusate il ritardo di questo capitolo, ma ho aspettato un minimo di ispirazione decente, che è arrivata un po' per gradi.
Sapete che la parola “chimica” deriva da “alchimia”? L'ho scoperto poco tempo fa, ma in fondo si tratta in entrambi i casi di una scienza che cerca di svelare i misteri della natura e delle relazioni fra gli elementi. Ma guarda un po'! ^^
Se amate le storie ambientate oltre il Portale, vi consiglio di leggere assolutamente “.cosmo” di Elos. Una perla di fic, forse l'unica- non lo so, non ho mai letto tutte quelle che ci sono nel fandom- sull'incontro tra Edward e Alfons Heiderich. Io stavo per mettermi a piangere, sul serio.
Ora, prima dell'ultimo capitolo in teoria avverranno un  po' di cose... e in mezzo ci saranno altre storie- credo, se avrete voglia di leggerle. Ma intanto lancio una piccola sfida al vostro spirito di osservazione: avete notato qualcosa di particolare nella ripartizione dei capitoli? In special modo nei titoli? Avanti, è facile! ^^

Comunque sia, il seguito di questo capitolo sarà da ritrovarsi in un'altra storia: “Hausmärchen- Fiabe del focolare”. Vi avverto che ci sarà un certo scarto temporale, anche lì.
Ah, tutto questo tedesco è stato quasi profetico: a settembre- guarda caso- partirò per un anno di Erasmus in Germania... anche se io non vado a Berlino, ma un salto conto di farcelo. ^^

Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: oh, studi filosofia? Bello, bello: dimmi un po' di teorie sul tempo, che poi vado a studiarmele. ^^ Tra l'altro, in questo periodo mi sono fissata con il manga/anime “Pandora Hearts”, dove tempo e orologi hanno un ruolo che definire fondamentale è poco.
Spero che questo capitolo non ti abbia deluso, e grazie come sempre per il commento così accurato!
CioccoMenta: innanzitutto, bel nick. Mi hai fatto subito venire voglia del mio gelato preferito. ^^ Poi ti ringrazio per avermi fatto sapere cosa pensi della storia: sono molto contenta che ti piaccia, visto che è prima RoyAi effettiva che scrivo. ^^
Shatzy: ma scherzi? Innanzitutto, come hai visto, nemmeno io sono esattamente in orario con la pubblicazione di questo capitolo... e poi le storie non scappano: uno le legge quando vuole. O quando può. ù_ù
Sai, quando scrivo certe scene o certe battute ti penso sempre, quindi hai un certo ruolo anche nell'esistenza stessa di certi momenti. XD Anch'io sono per il romantico “particolare”, e mi sono scervellata non poco per la storia di Rod e Liza.
Sono contenta che ti sia immaginata Edmund così bene: anch'io tendo a “vedermi” le scene nella mente, quando scrivo, come se fossero effettive puntate dell'anime. Mi aiuta molto a descrivere espressioni e atteggiamenti, per non parlare dei dialoghi.
Comunque, come hai visto, ci hai azzeccato ancora una volta: è finalmente arrivato il bambino- anzi, la bambina. Commenti? ^^

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