Vetro Nero Caramello Bruciato

di loonaty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo di una storia frivola dal profumo di zucchero e tenebre. ***
Capitolo 2: *** Sonetto ***
Capitolo 3: *** Ci sarà molta sfortuna, cioccolata e nebbia rossa ***



Capitolo 1
*** Prologo di una storia frivola dal profumo di zucchero e tenebre. ***


Prologo di una storia frivola
dall'odore di Zucchero e Tenebre

-Io non credo nella magia-

Il sibilo furioso mandò in pezzi il mondo. Una bambina. Il suo sorriso sconfitto riempì tutto in quell’istante. Una bambina mi ha battuto. Con una semplice frase, non pensavo di dipendere dai desideri di una bambina. Poi un rumore di vetri infranti, odore di zucchero e tenebre, e il vento scompigliò i capelli di Sandy. Una bambina fragile aveva sconfitto il re.

 

Il palazzo va in pezzi mentre tutto trema.

E lui resta in piedi al centro della sala.

E lui non si muove e fissa le pareti, le crepe che si rincorrono in un gioco mortale.

E lui, con i suoi occhi spaiati e i capelli di polvero d'oro, lui che è stato vinto, sconfitto, distrutto, disarmato, mentre il mondo gli frana sotto i piedi, lui esita, si ferma, bloccato dalla confusione che lo assale.

E' lui il re delle fate? Di tutte le creature incantate?

 

Caramello bruciato. Puntato nei suoi occhi. Pieno di ingenuità.

-Cosa desideri bambina? Ogni tuo desiderio è un ordine-

- Qualunque cosa?-

-Qualunque cosa- Il sorriso raffinato e pieno di gentilezza che ne nasconde uno di giubilio. Un'altra vittima per il carnefice dal mondo alato. Un altro suddito. Gli umani sono così ingenui e ... Malleabili ...

Caramello bruciato. Esita e continua a guardarlo, ancora tutta la sua ingenuità lo annega. Delizioso! Delizioso! Il ghigno affettato del Re ingannerebbe chiunque.

-Posso esaudire tutti i tuoi desideri- Delizioso! - Sarebbe una magia- Quell'aria sperduta che vacilla un attimo prima del cedimento. Delizioso! Perfetti gli esseri umani, nella loro imperfezione. Perfetti per essere buggerati da creature come lui.

Ci volle un secondo perchè tutto cambiasse.

Caramello bruciato.

Si aggrottano le sopracciglia bionde.

-Io non credo nella magia-

 

Chi lo avrebbe immaginato? Una bambina che non crede nella magia. Dove andrà a finire questo mondo?

E' bastata quell'affermazione per mandare in pezzi il regno dell'impossibile. Per infrangere la sicurezza di chi ha gli umani in pugno come un bambino i suoi soldatini.

E si copre il volto con le mani il re sconfitto.

E con il suo palazzo affonda nelle tenebre del non esistere.

E le fate muoiono come i fiori perdono i petali.

 

"Io non credo nella magia"

 

Quella voce acuta continua a tormentarlo.

-Non è stata per nulla deliziosa -

Mormorò più a se stesso che a qualcun altro.

Seppellisce la sua voce la polvere che riempie la stanza mentre frammenti di vetro e carte da gioco franano su di lui.

Su che cosa era costruito il suo mondo?

- Già, per niente deliziosa, questi umani imperfetti-

E ride il Re sconfitto.

Anche un pedone può fare scacco matto.

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Capitolo 2
*** Sonetto ***


SONETTO



-Scacco matto!- Urlò Sandy saltando in piedi entusiasta.
-Io butto dentro, con te non si può giocare!- Una ragazzetta lentigginosa ed imbronciata incrociò le braccia riducendo i suoi occhi a fessura. –Tu bari Sandy – Soffiò tra gli incisivi distanti.
L’amica le fece la linguaccia. –Io non baro … -
-No, certo, giochi secondo regole in cui il re scavalca i pedoni, la regina muove due turni di fila e tutti gli altri restano fermi dove sono!-
Sandy assunse un’espressione sconfortata. –Ma che senso ha usare tutti gli altri pezzi se il re e la regina insieme possono battere tutti? Guarda i tuoi … - Indicò le due pedine nere ai lati opposti della scacchiera. –Sono così distanti tra loro, come fanno a salvare il regno senza aiutarsi a vicenda?-
La ragazza lentigginosa, che inoltre aveva anche i capelli di un arancio sfuggente, la fissò attonita. Probabilmente tentava di capire se l’amica c’era o ci faceva. Anche se, considerando come ora mordicchiava la palle del pollice lappandola con la lingua come un poppante, probabilmente c’era proprio di suo. Sospirò rassegnata. –Tu fumi troppo!-
Sandy sgranò gli occhi color caramello bruciato. – Non è vero! Solo una sigaretta a settimana!- L’amica storse il naso. –I bambini non dovrebbero fumare- Borbottò recuperando la borsa stropicciata che aveva calciato, come una bestia rognosa, in un angolo della stanza, tra il divanetto ed il termosifone. Un po’ discosto dalla scacchiera sul tavolino di finto cristallo che si erano apprestate a sfruttare. La cinghia della tracolla sbatte rumorosamente contro il ferro dello scaldino per poi andare a sistemarsi al suo posto tra la spallina del reggiseno, in rilievo sotto la t-shirt aderente, e il bordo del gilet di jeans che, come ogni giorno da settimane, pendeva sfilacciato oltre la sua spalla. Sandy osservò  la scena con la punta del pollice in bocca. La scrutò, seguendo tutto nei minimi dettagli. I suoi denti, o meglio, il suo dente e mezzo, slittarono sulla superficie gommosa che le ricopriva le unghie lunghe. Il gel bianco perla che aveva comprato l’altro ieri faceva il suo dovere impedendole di rosicchiarsi le mani fino all’osso. –Dove vai?- Le domandò vedendola dirigersi verso la porta. L’altra si girò. –Vado a casa, sono quasi le otto imbranata!- Sandy si guardò in torno in cerca del cellulare, dopo averlo localizzato sull’altra sponda del divano vi si buttò a pesce facendo una capriola e sedendosi sul bracciolo. Afferrò il telefonino e, una volta aperto lo sportellino si accorse che, effettivamente, l’amica aveva ragione e mancavano meno di dieci minuti alle otto, ergo, meno di dieci minuti alle sue lezioni serali. In questo lasso di tempo la chioma arancio evidenziatore di Melissa sparì oltre l’ingresso seguita dalla porta che sbatteva e dal “din-dlon” che precedeva l’aprirsi delle porte dell’ascensore.
Sandy corse su per le scale a chiocciola tentando di far rimanere nei limiti prescritti dal suo fiocco le ciocche biondo scuro sfumate con gocce di cioccolato qua e là. Era una condanna avere i capelli così lisci che niente potesse tenerli a posto. Corse davanti allo specchio afferrando al volo la matita prima che franasse sul tappeto assieme a tutti gli altri trucchi impilati in malo modo sul bordo smussato della toilette rosa antico. Con lo specchio enorme ed ovale che pareva ingoiare la stanza. Mentre tentava con eleganza di non far fare la fine dello spiedino al suo bulbo oculare, cosa non poi troppo elegante, notò di sbircio l’angolo di un foglio a righe che sbucava dal cassetto. La fronte si corrucciò mentre le labbra più o meno carnose si schiudevano sul volto imbronciato da bambina, mettendo in mostra l’incisivo spezzato a cui mancava un buon terzo. La sua mano andò a serrarsi sul manico del cassetto mentre una sensazione di dejavù  la assaliva. Lasciò cadere a terra la matita e tirò con cautela l’angolo spiegazzato. La pagina ne venne fuori con un fruscio lento.  Bianca. Si arricciarono le labbra mentre l’espressione accigliata prendeva vita sul suo volto e dimentica dell’ora si lasciava cadere sullo sgabello imbottito e rivestito di carminio velluto.  Perse entrambi i lati del foglio con le mani e poi lo voltò tendendolo sulle ginocchia.

A te, de l'essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso
Mentre ne' calici
Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;
Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,
E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;
A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana Helevorn,
Re del convito. […]
 
Cos’era? Una formula magica? Sandy ghignò. Lo sapeva da quando aveva sei anni, da quando sua madre era morta e suo padre era ormai troppo ubriaco anche per abusare di lei, che la magia era un’inutile invenzione. Se la magia fosse esistita probabilmente ora lei non dovrebbe mantenere suo padre nella casa di cura nonostante i suoi diciannove anni suonati. E poi cos’era quella correzione nell’ultimo verso? Perché sudava freddo?
-Te invoco, o Satana … - Socchiuse gli occhi cercando di ricordare. –Carducci … - Sì, era il frammento di una poesia di Carducci non c’era dubbio. Eppure quella correzione … La scrittura non le apparteneva. La poesia era senza dubbio stata scritta da lei, in giovane età per giunta. L’aveva forse trovata in qualche libretto di poesie della mamma . (Un foglio di carta ben piegato sotto il fondo di un baule) Cosa significava Helevorn? Chi era per essere paragonato a Satana? E perché lei stava lì ad arrovellarsi il cervello su uno stramaledettissimo pezzo di carta (mistero) invece che correre a lezione?
Afferrò il cellulare facendo scattare lo sportellino mentre correva in strada con il cappotto buttato malamente sulle spalle. Maledizione sarebbe arrivata in ritardo di almeno un quarto d’ora. Lei ed il suo stupido scetticismo! (Di questo non sei tu che ti dovresti lamentare)
 
Il banco era stretto e scomodo. I quaderni scivolavano dal bordo come se fosse cosparso d’olio e le biro rotolavano a terra interrompendo ogni volta le parole dell’insegnante che la trafiggeva e si strofinava i baffi, mentre, come olio stesso, i suoi occhi le cadevano nella scollatura e sorrideva, facendole cenno di avanzare di qualche banco, “vieni, tanto c’è posto”, “no grazie, sto benissimo qui dove sto”. L’uomo storse i baffi contrariato. La osservò velenoso, i capillari rossi ben visibili nelle sclere ingiallite dal fumo. Se farà cadere un’altra biro stavolta le metterà una nota. Sandy sospirò tentando di stare attenta. Vorrebbe agguantare il suo fulard grigio perla con le pailette sul bordo inferiore e le frange intrecciate che le aveva regalato la sua compagna di banco dopo la gita in Turchia alla quale non aveva partecipato. Vorrebbe nascondere lo scollo a V della maglietta consunta che aveva dimenticato di cambiare prima di uscire. Con un sospiro sollevò un libro creando una sorta di barriera tra lei e quegli occhi vogliosi di qualcosa che non desiderava dare. E, tra scheggiature e scarabocchi, sulla superficie beige del banco, campeggiava un foglio a righe ordinatamente scritto, con una biro cancellabile. Il sonetto a Satana doveva essersi infilato nella sua tasca mentre veniva a scuola. Strano, perché ricordava di averlo sbattuto sulla sua toilette avviando un effetto domino tra una vastità di campioni vuoti di profumi. Con la stilografica cominciò a tormentare un angolo della pagina. Ascoltava passivamente il discorso di quell’uomo perverso che si definiva professore. La matematica non l’aveva mai ispirata quanto la psicologia eppure ne seguiva un corso serale per restare in pari con quei dannati studi inframmezzati dal lavoro. Non aveva tempo per pensare a scempiaggini come elfi e folletti e fate.
 
… Fata? Oh, no, io non sono una fata. Io sono qualcosa il di più, io sono il Re. Sono vetro nero, come la notte. Di certo non sono una fata. Io le fate le regno.-
Il mantello nero svolazza nell’inchino biondi fili brillano alla luce soffusa.
 
La biro cade.
Non è possibile.

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Capitolo 3
*** Ci sarà molta sfortuna, cioccolata e nebbia rossa ***


Ci sarà molta sfortuna, cioccolata e nebbia rossa



Le molle del letto scricchiolano sotto di lei, mentre stando in piedi su di esso continua a leggere a mente quel brandello di poesia.
I calzini bianchi affondavano nelle coperte mentre con una mano si teneva a distanza dal soffitto continuando a molleggiare. Con l’altra teneva ferma sotto il naso la pagina.
Le era troppo familiare.
A tratti la sapeva a memoria.
Il letto mandò un ultimo disperato scricchiolio per poi cedere ed affossarsi dotto i suoi piedi. Sandy si lasciò cadere indietro cozzando con la testa contro la spalliera di legno. Con un mugugno si voltò di lato e cadde dal letto. Si mise seduta mezza arrotolata nelle lenzuola. Il foglio ancora in mano. Lo scrutò ancora una volta, roteò gli occhi al cielo e gattonò fino alla giacca che era planata a terra nell’istante stesso in cui l’appendi abiti si era suicidato con un carpiato dal muro a cui era stato affisso per una settimana. Tempo record. Frugò nelle tasche cercando il cellulare, drasticamente deceduto nell’istante stesso in cui compose il numero di Melissa. Il carica batterie doveva essere da qualche parte … L’ultima volta l’aveva poggiato sulla scrivania … Fissò con biasimo le macerie che campeggiavano sul suo tavolo da lavoro. Cominciò a scavare. L’ultimo oggetto, in fondo alla marea di roba che le sarebbe bastata spostare per trovarlo, era appunto il caricabatterie. Rotto. Il dente della spina si era piegato di lato in modo patetico. Ed era ormai l’una del mattino passata. Perché il taxi che aveva preso al ritorno si era perso. Ed il tassametro non era partito quindi il conducente aveva deciso di rifare daccapo la strada per constatare che, effettivamente, gli doveva davvero molto meno di quanto lui pretendesse.
Ci aveva messo ore se non anni a trovare le chiavi di casa. Non le era nemmeno passato per la testa il fatto di poterle aver dimenticate sotto il banco. La telefonata puntuale di Melissa l’aveva avvisata in tempo che stava venendo da lei per restituirgliele.
Vista l’ora non era proprio il caso di uscire per andare in negozio, dato che ovviamente sarebbe stato chiuso. Il giorno dopo era domenica … Bhè, avrebbe sempre potuto fare un salto da Melissa e magari restare a dormire da lei. Scrollò le spalle decidendo che probabilmente era quella l’idea giusta.
La sua giacchetta beige stretta in vita da una cintura bigotta ed altamente tamarra di una marca non meglio identificata di “Baci e abbracci” mai sentita in diciannove anni di vita, poteva effettivamente poco contro il diluvio universale con tanto di arca che le era precipitato sulla testa appena uscita. L’ombrello si era rotto tre giorni prima.
Il fondo era giugno. Un acquazzone a giugno è ridicolo. Tanto ridicolo che una volta giunta a destinazione avrebbe esultato se non si fosse trovata Nemo nelle mutande.

Con sollievo immenso si infilò sotto il portico della casa dell’amica dando per un istante le spalle alla porta. Guardò la strada allagata e la pioggia che scemava. Accartocciato in un palmo il foglio di carta che era misteriosamente scampato alla furia divina con tanto di tuoni da far tremare i morti nelle loro calde e comode tombe. Era sicura che Melissa fosse sveglia a quell’ora. Forse perché quella figlia dei fiori, strano anello di congiunzione tra una stilista esaltata e una Luna Lovegood particolarmente abbronzata, aveva il fuso orario di una civetta delle nevi. Per non parlare della sua innata capacità di dormire in piedi come un cavallo e con gli occhi aperti. Quest’ultima tattica era andata sviluppandosi negli anni di scuola serale. Posizionava sul banco libri e quaderni (che non amavano il bungi jumping come i suoi e che quindi non continuavano a saltare nel gran canion che distanziava la loro postazione dai compagni davanti quanto bastava perché questi potessero, almeno, respirare.) dopo questa accurata preparazione ed uno sguardo verde bottiglia che sicuramente significava “non svegliarmi, ma se il prof passa guai a te se mi lasci scoprire” Cercava un punto fisso: uno scarabocchio sul muro, la forfora sulla maglietta nera del ragazzo davanti … E dormiva. La cosa sorprendente e che annuiva anche quando il prof chiedeva “Avete capito?” Era sorprendente.
Come volevasi dimostrare il naso lentigginoso di quella donnaccia della sua migliore amica le apparì davanti. Non aveva visto la porta aprirsi.
Melissa sorrise e ricordò vagamente lo stregatto mentre aggiustava la frangia del caschetto arancione. –Sei venuta per un pigiama party?-
Se voleva terrorizzarla ci era riuscita. Prima che potesse fare dietro front e correre fino a casa, la punta di una scarpa da tennis finì sotto lo zerbino in un impeccabile effetto catapulta il quale fece accomodare il suo muso sulla moquette rosso bordeaux dell’ingresso caldo. Melissa se la rise. – Vabbè che non vedevi l’ora,ma potresti anche evitare di romperti anche l’altro dente correndo in casa mia!- Sandy passo la lingua con rammarico sul suo unico segno particolare, quell’incisivo spezzato, il frutto di un gioco imbecille di una bambina imbecille. No, non era volata dal motorino. No, non era caduta da un albero e nemmeno in bici, o sui pattini … Era inciampata mentre giocava a campana con le bambine a cui faceva da babysitter. Erano state traumatizzate dal sangue. Bisogna anche dire che venne licenziata?
Qualche minuto dopo si ritrovava accoccolata sul letto dell’amica con in dosso un accappatoio profumato, una maschera idratante ed i capelli avvolti in un turbante rosa pallido. Fra le mani stringeva la tazza bollente da cui si levava una nuvola di vapore che si divertiva a deviare con il suo respiro.
-Allora? Che ci fai così tard … Ehm, presto, a casa mia?- Domandò Melissa sprofondando nel letto accanto a lei.
Sandy sollevò il foglietto porgendoglielo. L’amica corrucciò la fronte e lo stese tra di loro come un prezioso cimelio. Dopo aver letto si esibì in un lungo fischio.
-Sembra una formula magica!- Si esaltò.
Sì, Melissa era anche un raro esponente della razza dei creduloni. Sulle sue mensole campeggiavano da tempi immemori raccolte di racconti fantasy, ed invece dei poster del cantante preferito aveva le pareti ricolme di stansil a forma di creaturine alate, il certificato della sua vittoria al torneo di Magic e qualche mezzo miliardo di disegni ricalcati da libri illustrati.
Cosa, cosa si sarebbe potuta aspettare da Melissa?
La vide scattare in piedi e posizionarsi al centro della stanza, sul tappeto peloso rigorosamente rosa che vi risiedeva. Si schiarì la voce e con un gesto maestosamente ridicolo si portò il foglio davanti al viso e proclamò convinta la “formula”.
Sandy sgranò gli occhi.
-Smettila!- Strillò con la voce che si assottigliava, pericolosamente acuta. Melissa arrivò fino alla fine poi sorrise felina alla ragazza ancora seduta con sguardo perso.
-Cosa c’è? Hai paura?-
-Secondo te? Io non credo in queste sciocchezze!- Fece una smorfia. –Nella magia, non credo nella magia-
Melissa fece il gesto di trafiggersi il cuore per poi cadere lunga distesa a terra.
Sandy sollevò un sopracciglio e siede un sorso alla sua cioccolata. Dopodiché si alzò, scavalcò l’amica e si diresse in bagno per lavarsi la faccia. Quando tornò nella stanza trovò la ragazza seduta a gambe incrociate sul pavimento con il foglio accanto.
-Bhè, che facevi?- Le domandò sbadigliando Sandy. L’altra si accigliò. –Ma non lo sai, razza di scettica eretica miscredente che ogni volta che qualche lingua biforcuta pronuncia codeste parole si rischia di creare un guaio cosmico lì nell’altro mondo?-
-No- Riacchiappò la sua tazza e la svuotò velocemente per poi arrampicarsi sulla brandina tirata fuori per l’occasione. –Non lo sapevo. ‘Notte.-
Sentì Melissa sibilare parole velenose e spegnere la luce. Poi sentì il calore del suo fiato su una guancia. –Se proprio non ci credi perché sei venuta qui da me stasera?-
-Mhnf! Dormi … -
Si appoggiò al suo fianco con entrambe le mani scuotendola. – Tu un po’ ci credi vero?-
-No – Yawnh – Sandy la spinse di lato verso il suo letto per poi rigirarsi con la testa sotto il cuscino.
- Se proprio non ci credi leggila! Leggila ad alta voce! Adesso!- Si gettò su di lei quasi facendo ribaltare il letto.
-Va bene! Basta! Se la leggo mi lasci in pace?!-
Melissa si rialzò dal pavimento su cui era stata graziosamente calciata durante lo scoppio d’ira della coetanea e riaccese la luce. Fece per porgerle poi il foglio ma Sandy scosse la testa.
-La so a memoria- Dichiarò non senza un filo di imbarazzo.- L’ altra prese un’espressione beffarda senza però commentare.
-Allora … -
Sandy prese fiato e chiuse gli occhi.


-A te, de l'essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso
Mentre ne' calici
Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;
Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,
E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;
A te disfrenasi
Il verso ardito …
-
Sandy aprì gli occhi, le parole la chiamavano disegnando una nebbia scarlatta davanti ai suoi occhi spalancati. Melissa la fissava composta mordendosi l’interno di una guancia.

-Te invoco … -
Le labbra fruttate schioccarono mentre le parole venivano leccate dalla lingua morbida.
- … o He … Ma scusa chi è questo Helevorn?- Fu come un disco da cui veniva bruscamente sollevata la puntina.


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