Qualcosa di diverso.

di tersicore150187
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un passo indietro ***
Capitolo 3: *** Una realtà nuova ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

Kate fissò lo sguardo  sullo schermo del computer davanti a lei e stette immobile per un attimo.
 
Sentì la testa completamente vuota e pesante, segno che la notte passata in bianco sulle carte non era stata una buona idea. Abbassò le palpebre leggermente e riaprì gli occhi sentendo il collo e la nuca dolerle come non mai.
Questo caso la stava facendo impazzire. Oltre alla solita complessità delle indagini, si erano inseriti degli elementi nuovi con cui fare i conti professionalmente, umanamente ma anche emotivamente e Kate, non essendosi praticamente mai più esposta negli ultimi dieci anni, non sapeva davvero da che parte cominciare. Certo con i parenti delle vittime ci sapeva fare. Non aveva mai avuto bisogno che le spiegassero come fare il suo lavoro. Lei era stata ossessionata dal rapporto invischiato e allo stesso tempo delicatissimo che intercorre tra la giustizia e le vittime con le loro famiglie fin dal giorno in cui si era svegliata consapevole del fatto che una delle persone che amava di più al mondo le era stata portata via per sempre. Così aveva iniziato metodicamente ad elencare e catalogare nella sua mente tutti i dettagli di quei giorni: chi aveva fatto cosa, chi detto quale parola con quale intonazione o fatto quale particolare gesto, affinchè nulla, giusto o sbagliato che fosse, le sfugisse mai più dal controllo. C'erano voluti anni affinché lei capisse che non poteva essere  control freak* in ogni ambito della sua vita, anni solo per farle abbandonare i propositi di ispezioni a sorpresa con tanto di mandato in aereoporto ogni qual volta decideva di fare un viaggio o indagini dell'ufficio di igiene se andava a mangiare un gelato o una pizza in un posto nuovo.
 
Una volta uno a cui aveva quasi fatto revocare la licenza di un piccolo ristorante e che doveva pagare una multa davvero salata, le aveva gridato contro “Ma lei non scopa mai?” evidentemente adirato e colpito dalla “rigidità” che la detective aveva manifestato in quella circostanza.
 
Per fortuna quella sera non c'era Castle con lei, non c'era neanche nella sua vita allora, almeno non come “detective volontario”, braccio destro, partner e neanche lei sapeva cosa ancora altro. E per fortuna stavolta invece sì.  Con il modo di fare più sereno e non curante che conosceva, Castle si era addentrato anche nelle pieghe dell'indagine più delicata, senza fare il minimo accenno ad una situazione di disagio o imbarazzo.
 
A volte quel suo senso di leggerezza le dava fastidio. Si irritava osservando come lui potesse fare con estrema facilità cose che per lei erano a volte addirittura impensabili. A volte quella irritazione mal sopita diventava perfino invidia. Avrebbe voluto quasi dargli un pugno di sfogo sul braccio e dirgli “Ma come ci riesci?”. Ma poi la vita, le esperienze, nonché la sua profonda onestà morale nei confronti delle persone, le avevano fatto rapidamente cambiare idea su di lui. Qualche tempo prima, avendo visto Alexis entrare sconvolta al distretto per quella lite degenerata con il suo fidanzato si era messa in disparte, osservando le ombre dello scrittore e della figlia dietro i vetri smerigliati della sala relax, camminando ogni tanto lì intorno per evitare che qualcuno decidesse proprio in quel momento di andare a prendere un caffè e trovasse Alexis in lacrime con il moccio al naso e la “tosse da pianto” proprio come una bambina piccola. Quando erano usciti finalmente, la figlia col volto lucido, muta, con lo zaino in spalla e un fazzoletto stropicciato in mano e il padre che le trotterellava dietro con atteggiamento da chioccia, lei li aveva guardati sentendo una tenerezza dentro, nel profondo del suo cuore, una tenerezza della quale avrebbe voluto assolutamente fare parte. Poi Castle aveva ricominciato con il suo atteggiamento scherzoso, non esagerando, ma la cosa le aveva dato fastidio. Allora non la aveva confortata dolcemente, non aveva consolato le sue lacrime? La aveva coinvolta in uno dei suoi soliti discorsetti senza senso ridicolizzando il suo litigio? Non poteva crederci, se suo padre si fosse comportato così con lei, quando aveva sedici anni, Kate avrebbe buttato zaino e libri all'aria e sarebbe corsa via rifugiandosi da un'amica e forse non tornando a casa neanche a dormire. Invece Alexis aveva abbassato la testa e si era avvicinata al fianco del padre, al quale stava appoggiata immobile. Dopo un po', con lo stesso tono Castle la invitò a raggiungere Paige che la aspettava nella caffetteria dall'altro lato della strada. Alexis allora alzò un attimo lo sguardo verso il padre, poi gli fece un velocissimo sorriso e mentre se ne andava lungo il corridoio agitò la mano in segno di saluto per gli altri. Castle la guardava allontanarsi con sguardo divertito, quasi beffardo. Beckett, appoggiata alla scrivania vicino a lui, era al colmo dello sdegno e il suo viso lo stava dimostrando, stava per iniziare ad inveire contro di lui che probabilmente con la coda dell'occhio la aveva vista. Aspettava solo che le porte dell'ascensore si richiudessero completamente e nascondessero la ragazza ai loro sguardi, si spostò leggermente e gli fu quasi di fronte, ma in quell'attimo accadde l'esatto contrario di ciò che la detective si sarebbe mai aspettata.
Non ebbe tempo di proferire una parola che Castle cambiò espressione in un secondo. Il suo volto si tramutò come se fosse stato fatto di cera che si stava sciogliendo, facendolo sembrare quasi dolorante. Gli angoli della bocca gli si piegarono come ad una maschera di teatro. Abbassò la testa velocemente probabilmente per non tradire un lontano accenno di quasi pianto e un brivido lo scosse. Respirò profondamente al punto che Kate pensò che stesse per sentirsi male. Al colmo dello stupore, e della vergogna per se stessa davanti alla sua sofferenza, Beckett riuscì solo a sentire uscire dalla sua bocca poche deboli parole “Scusa, ho bisogno di un minuto”. Rimase allibita guardandolo  che si dirigeva verso il bagno degli uomini.
 
Allora quel suo modo di comportarsi era solo una maschera per coprire la sua sofferenza? Ma cosa gli impediva di aprirsi con lei, col resto del mondo? “Che domanda detective! E soprattutto da che pulpito!” si disse. Allora questo significava che il dolore nel vedere sua figlia soffrire lo aveva sopraffatto così tanto che era riuscito a fare finta di niente davanti a lei per spronarla a reagire positivamente, ma non appena aveva potuto era letteralmente crollato. Questo lei non lo aveva pensato e ora seduta a quella scrivania, con quel fascicolo in mano, si sentiva terribilmente in colpa.
 
Castle si sedette al suo posto, a fianco alla sua scrivania.
Lei lo guardò, con degli occhi che si sforzavano disperatamente di non esprimere pietà ma che, in quella e altre mille circostanze avrebbero voluto dire quello che la donna provava.
Lui resse il suo sguardo per qualche istante, ma non durò a lungo. Quando c'erano di mezzo i sentimenti che provava per le persone care si sentiva fragile, scoperto, vulnerabile. Da quando aveva conosciuto la detective poi, questa cosa gli accadeva sempre più di frequente e aveva dovuto iniziare ad imparare a farci i conti.
Kate raccolse tutte le forze che aveva e disse “secondo te perchè non riusciamo a farci dire da David quello che sa?”
Castle alzo la testa, la guardò meno pensieroso e concentrandosi su quella risposta che conosceva perfettamente, disse: “Stavo pensando che forse non ci stiamo mettendo sufficientemente dalla sua parte. Abbiamo cercato di assecondarlo, o meglio di assecondare quelli che ci hanno detto essere i suoi bisogni, ma non ci siamo chiesti realmente cosa volesse lui. Ci siamo ostinati a parlare con i suoi genitori, ad entrare nei dettagli, ad incontrarlo sempre con la madre e il padre vicino, ma ora credo che abbiamo sbagliato. È un ragazzino di tredici anni, solo perché è diverso dagli altri non vuol dire che dobbiamo presupporre che sia “opposto”. A volte i ragazzi hanno bisogno di avere vicino qualcuno con cui condividere qualcosa, un amico, un compagno di giochi o di scuola, qualcuno simile a loro, con cui mangiare un gelato o fare una gara in bicicletta, senza bisogno di troppe spiegazioni o intrusioni adulte.”
Kate non ci mise più di un secondo a capire che aveva detto quella frase riferendosi ad Alexis.
Quel giorno non solo aveva capito che Castle non era affatto superficiale e leggero così semplicemente come poteva apparire, stava realizzando come compiere alcuni gesti gli costasse molto più di quanto lei potesse immaginare, ma lui, per amore, fosse disposto a farli con un sorriso sulle labbra. Non falso, ma protettivo.
“Rick, io...”
Lo scrittore alzò lo sguardo, sereno, non interrogativo. Sentire che lei gli si rivolgeva così semplicemente gli alleviò quella sensazione di peso sullo stomaco che aveva.
 
“Scusami, mi dispiace”.
 
“E di cosa dovrei scusarti Kate, del fatto che pensi che io sia diverso da quello che sono perchè hai paura di conoscermi realmente? Del fatto che per questo motivo mi stai negando una parte di te? Non potrò mai farti una colpa di questo perchè io so che se io ho sofferto in passato e sto soffrendo con te ora, tu probabilmente hai sofferto e stai soffrendo molto più di me.”
 
Avrebbe dovuto dirglielo, ma non lo fece. Lo penso solamente, con tanta forza che si illuse che dal suo viso calmo e amorevole fosse trapelata la passione di quel travaglio interiore, che da mesi ormai lo accompagnava ogni giorno.
 
Invece fece un profondo sospiro e sorrise.
 
“Non vado fiero di molte delle cose che ho fatto nella mia vita, ma ho comunque tante esperienze, forse alcune in più di te. Spero che un giorno, quando tu avrai un figlio tuo, io possa esserti d'aiuto con il mio bagaglio pesante.”
 
Disse tuo. Avrebbe voluto dire nostro.
 
 
 
 
 
* to be a control freak è un'espressione che viene tradotta proprio con “voler avere tutto sotto controllo”.
Giusto per motivare la mia scelta, questa espressione viene utilizzata nel programma  “Between Takes” dell'emittente tv.com da Seamus Deaver (e ripetuta da Nathan Fillion) al quale Stana Katic ha chiesto di rispondere al posto suo alla domanda “What do you enjoy most about playing Richard Castle” and Detective Kate Beckett?”. Nathan, dovendo rispondere per primo chiede scherzosamente a Seamus di rispondere al suo posto, e Stana per stare allo scherzo fa lo stesso.
 
http://www.youtube.com/user/ForeverStanatic#p/u/10/q51nkYOEcWw
 
 


Angolo dell'autrice:

Cari lettori,
questa è in assoluto la prima fanfiction che scrivo e pubblico in tutta la mia vita...e non vi nascondo che una certa emozione mi tradisce un po'.
Vi invito a leggere, commentare, recensire, criticare e richiedere e vi prometto che, se anche non esaudirò tutti i vostri desideri come autrice, sicuramente li terrò in considerazione.

Ringrazio davvero molto advocat per il suo sostegno ed incoraggiamento fondamentale per la scrittura di questo prologo, che è venuto da sè questa mattina, completamente di getto.

Attendo notizie da voi,

Grazie a tutti e.....benvenuta a me!

Tersicore

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Capitolo 2
*** Un passo indietro ***


Un passo indietro.
 
Qualche settimana prima Beckett se ne stava seduta su una panchina del parco di fronte al tribunale con un giornale ignorato sulle gambe, ad osservare i bambini che intorno a lei giocavano nella luce fioca del mattino. Era ancora presto, ma quella piccola area felice dalle prime ore del giorno si riempiva di donne attempate in divisa azzurra con carrozzine e giovani universitarie con grosse sciarpe e un sacchetto per la merenda in mano che guardavano i bambini giocare fra di loro. Kate non andava spesso in quel posto per timore che la notassero e pensassero male della sua presenza. Quando era molto piccola sua madre, uscendo dal lavoro, la portava in quello stesso parco giochi, allora molto diverso. Erano passati quasi trent'anni da allora, Kate non era affatto una bambina e non era nemmeno una tata, né tantomeno la madre di nessuno di quei piccoli.
“In fondo, non faccio niente di male” pensò. Li guardava giocare e correre, vedeva le loro piccole guance arrossarsi, i loro visini spuntare furtivi da enormi cappotti, le loro manine raccogliere piccoli giochi nella sabbia e non riusciva ad ammettere a sé stessa che tutto questo le mancava. Sicuramente sentiva la mancanza di una persona al suo fianco, questo lo aveva ammesso e anche confessato. Ma un figlio suo era qualcosa a cui non riusciva neanche a pensare. Allora perchè se ne stava lì timorosa e imbarazzata come una ladra maldestra? No, lei voleva solo qualcuno che ci fosse per lei, lei ci sarebbe stata per lui e avrebbero potuto immergersi in una storia insieme. Con semplicità. Le venne in mente lo sguardo di Castle mentre lei gli apriva il suo cuore....o meglio...mentre gli confidava qual era la chiave per aprirlo, qual era il meccanismo segreto che le dava quella sicurezza e quella stabilità che sole le consentivano di sentirsi così protetta da potersi lasciare andare completamente e sentire that drive, that passion. Castle...già Castle...
Mentre era completamente distratta da questo pensiero sentì un rumore provenire dalla sua tasca.
“Beckett”.
Pochi attimi di silenzio.
“Ok, sto arrivando”.
 
Lungo il traggitto in macchina verso il distretto lasciò un messaggio a Castle in segreteria. “We have a body, call me back”. Sapeva che, non appena lui si fosse svegliato e avesse preso il cellulare in mano l'avrebbe richiamata. Quella telefonata infatti non si fece aspettare poi molto. Kate aveva appena posteggiato l'auto davanti all'ingresso principale del distretto quando il cellulare per poco non le cadde dalla tasca mentre si richiudeva la portiera della vettura alle spalle.
 
“Castle, mi ha chiamata Montgomery, no, no, non sono sul luogo del delitto, sì ok..ascolta, il capitano mi ha chiesto di passare in centrale, non so ancora nemmeno dov'è stato ritrovato il corpo. Sto entrando adesso, chiamami appena esci di casa, ti dico se raggiungermi qui.”
 
Kate era sempre molto stringata nelle sue comunicazioni e soprattutto odiava quando di prima mattina Castle le faceva perdere tempo con i suoi giochetti al telefono, specialmente se non aveva preso ancora un buon caffè. Non era il caso di quella mattina. Aveva bevuto un cappuccino al chiosco del parco ed era di buonumore (“per la vista di tutti quei bambini?” si chiese), ma il fatto che Montgomery l'avesse richiamata in centrale invece di darle l'indirizzo del luogo del delitto l'aveva messa in agitazione. Qualcosa non quadrava.
 
Castle nel frattempo si infilava la camicia che era appoggiata sul letto velocemente, facendo però attenzione a non stropicciarla. Non stava affatto dormendo quando Kate aveva chiamato ma non aveva sentito il cellulare perchè era in camera di Alexis. Cioè...tecnicamente più che nella camera era sulla porta della camera e...beh, la porta era chiusa. Non era tanto il fatto che Alexis non si fosse ancora alzata e non desse cenno di prepararsi per la scuola, cosa che onestamente era scesa all'ultimo posto nelle preoccupazioni dello scrittore quando a nove anni Alexis gli aveva detto che fino a 37 e mezzo non la si poteva considerare febbre ma solo febbricola e che perciò pretendeva di essere accompagnata a scuola per partecipare al progetto di scienze. No, non era la scuola che lo preoccupava, né la febbre. Erano piuttosto le voci, anzi, la voce, che aveva sentito provenire dalla sua stanza quando, in uno strano momento di amnesia, aveva dimenticato di avere la schiuma da barba nell'armadietto del suo bagno in camera ed era andato a cercarla nel bagno degli ospiti che stava dall'altra parte del corridoio subito dopo la camera della figlia.
“Richard cosa diavolo stai facendo?”
Una donna velata di porpora con una mascherina da notte tirata sopra la fronte e un paio di ciabatte piumate faceva capolino dalla porta di fronte. Martha prese il braccio del figlio e lo trascinò in camera sua. “Che succede, non ti fidi più di quella meravigliosa ragazza e hai deciso di farla sorvegliare da una pattuglia?” “ma no, mamma, cosa ti passa per la testa...è solo che sono un po' di giorni che vedo Alexis stanca e depressa. Pensavo che si trattasse degli esami, non che le abbiano mai fatto quest'effetto ma, ho creduto fosse un po' di ansia da penultimo anno. Ma gli esami erano due giorni fa e a quanto pare sono andati bene, ma Alexis è ancora giù”.
“Richard, dalle tempo. Tua figlia è un'adolescente in pieno subbuglio ormonale e…”
“Cosa?” Castle non diede neanche alla madre il tempo di finire la frase. L’idea di Alexis associata a quella degli ormoni produceva nella sua testa una miriade di immagini impossibili da sostenere anche solo per un secondo. Proprio in quell’istante sentirono la porta della stanza di Alexis richiudersi e si voltarono entrambi di scatto.
“Ciao papà, ciao nonna…io vado”. Alexis completamente vestita e con lo zaino in spalla fece per allontanarsi nel corridoio con un sorriso un po’ mesto.
“Hey, non vieni a fare colazione?” le domandò Castle visibilmente preoccupato.
“Prenderò qualcosa con Ashley”.
Il volto di Castle si fece così espressivo che Martha capì all’istante e lo fermò dal poter dire altro con un’occhiata.
 
 
 
Il solito percorso di Kate in ascensore si concluse con il quotidiano saluto con i suoi due “scagnozzi”, diventati oramai come una famiglia.
 
“Yo girl!” fece Esposito con il suo solito modo di parlare ammaliante. “Il capo ci sta aspettando”. “Dov'è Castle?” domandò Ryan con la faccia delusa. Gli ricordava uno dei bambini del parco di quella mattina pensò Kate, stessi capelli castani a spazzola, stesso broncio. “Buongiorno a te Ryan, non riesci a stare neanche un minuto senza il tuo fidanzatino?”. Solita ironia, per smorzare la tensione. “Ok, ho capito...andiamo” fece Ryan stringendosi nelle spalle. Non avrebbero aspettato Castle, Beckett lo avrebbe aggiornato lungo il tragitto, sembrava esserci una certa agitazione per il caso e la detective non voleva perdere tempo prezioso.
 
Entrarono nella stanza del Capitano Montgomery e si accorsero subito che non era da solo.
 
“Capitano”
“Detective Beckett, detective Ryan, Esposito, questa è la dott.ssa Sarah Felder.”
Una donna di mezza età con i capelli sul mogano, decisamente scossa, si alzò dalla sedia per stringere la mano ai poliziotti.
“La dott.ssa Felder è una psicologa e assistente sociale, è la direttrice del MoreSky, un istituto di riabilitazione e assistenza a bambini e adolescenti con disabilità plurime e disturbi dello sviluppo. La vittima era un suo collaboratore.”
 
“Ci dispiace molto per la sua perdita dott.ssa Felder.”.
In queste situazioni laciavano che fosse sempre Kate a parlare. Dentro la sua testa iniziava a farsi chiara la complessità della situazione, ma ancora non capiva il perché di quell’incontro preliminare.
La donna annuì chiudendo gli occhi ancora arrossati per le lacrime.
 
“Detective, quando stamattina è stato ritrovato…” la voce le tremava “quando è stato ritrovato il corpo di Daniel, dopo aver chiamato il 911, ho contattato un assistente del tribunale per informarmi su chi ricadesse la giurisdizione del caso e allora ho subito contattato il capitano Montogomery che con grande disponibilità mi è venuto incontro. La mia cooperativa non si occupa solo di disabilità, per anni io ho lavorato nella tutela minorile in un tribunale in New Jersey e so come vanno queste cose, sapevo che la prima cosa che sarebbe accaduta sarebbe stata un’invasione di poliziotti e tecnici nella mia struttura.” Non parlava con durezza, si poteva intendere che c’era un desiderio di equità e giustizia, ma anche un grande senso di protezione nelle sue parole. “Non potevo permetterlo, i bambini ne sarebbero stati sconvolti. Ma…” tirò un profondo respiro “…allo stesso tempo non voglio che qualsiasi situazione si possa verificare, questo possa essere d’intralcio alle vostre indagini. Per questo ho richiesto di vedervi. Volevo che conosceste la situazione in cui entrerete. Volevo prepararvi.”
Il capitano Montgomery intevenne. “Abbiamo mandato una squadra ridotta insieme alla dott.ssa Parish sul luogo del delitto, il cortile interno dell’istituto. Mi sono assicurato io stesso telefonicamente che mantengano l’area sterile e tengano i bambini il più lontano possibile”.
 
“Stiamo provvedendo a trasferirli in un’altra area della struttura.” Chiarì la donna “Per fortuna i dormitori sono al piano superiore, ma la mensa dovremo adattarla da un’altra parte.”
 
“è situata all’ingresso attiguo al cortile” disse Montgomery per spiegare ai detective.
 
“Vede Detective, lei è una giovane donna, potrà capirmi….ha figli?”
Ecco, ripensò lei, era una giornata particolare o cosa? Era quasi arrabbiata per quella domanda. Perché lei, una poliziotta giovane, con il corpo di una modella e una vita incasinata e senza un compagno per di più, avrebbe dovuto essere la candidata perfetta al premio “miglior mamma dell’anno?”
 
“Non ancora” Kate si scosse, non era stata la sua voce a parlare, ma quella dell’uomo di fronte a lei. Montgomery doveva aver avvertito il suo disagio. Lo guardò riconoscente.
 
La donna sembrò non essersi accorta di nulla. “A MoreSky vivono, alloggiano temporaneamente o trascorrono metà della loro giornata bambini e ragazzi speciali. Ognuno di loro rappresenta qualcosa per me, ognuno di loro combatte battaglie infinite dal giorno stesso in cui sono nati…”
 
Kate pensò a sua madre. Alla sua infanzia felice e si sentì quasi riscattata. Lei almeno quella l’aveva avuta. E si sentì improvvisamente triste. Mentre la donna continuava a raccontare e spiegare, la detective si rese conto di aver capito perfettamente la situazione e pensò anche che la Felder era stata molto molto brava a richiedere quell’incontro. Molti di quei ragazzi, anche adolescenti, avevano disabilità fisiche e un livello intellettivo basso, pari a quello anche di un bambino di due anni, molti non erano in grado di rispondere a domande poste, alcuni neanche di comprenderle.
 
“Ma sono bellissimi e molto dolci. Sanno fare davvero molte cose, disegni, lavoretti con tanti materiali diversi, recital a Natale e alla fine dell’anno…”
Il capitano Mongomery guardò la dott.ssa Felder, invitandola a proseguire. La donna comprese che era arrivato il momento di giungere all’elemento più importante.
“C’è un’altra cosa. Non ne siamo del tutto sicuri, ma è possibile che uno dei nostri bambini abbia involontariamente assistito alla scena dell’omicidio o ad eventi ad esso collegati.” Tirò fuori dalla borsa una fotografia e la porse a Beckett. “Si chiama David, ha 13 anni. È affetto da autismo”.
Kate guardò l’immagine di quel ragazzino sorridente vestito per Halloween. Come poteva essere un bambino così bello? Sembrava una foto ritagliata da un giornale, sembrava perfetto.
“Stamattina lo abbiamo trovato inghinocchiato nello stanzino degli attrezzi a piano terra, in pigiama. Non ha più detto una parola. Non parla molto neanche solitamente, ma abbiamo capito subito che è turbato da qualcosa.” Gli occhi della donna si riempirono di lacrime “…quei bambini sono tutti figli per me. Aiutarli è la mia missione. Detective, la prego, mi dica che non succederà nulla di brutto a nessuno di loro!”.
 
Kate alzò lo sguardo verso la donna e fece una cosa che raramente faceva in quelle occasioni. Le sorrise. Capì che quella donna ne aveva bisogno e anche a lei fece bene. “Dott.ssa Felder faremo il possibile perché il responsabile venga assegnato alla giustizia. Ci impegneremo senza risparmiare risorse. La prego, si fidi delle mie parole.”
 
Montogomery la guardò soddisfatto. “Se è tutto, dottoressa, le chiederei di accompagnare lei stessa i miei uomini all’istituto.” La donna annuì. “Ci rivedremo per sottoporla ad alcune domande nei prossimi giorni.”
 
Si congedarono. Mentre uscivano il capitano fermò Kate. Lei pensò subito che volesse dile qualcosa del caso. Lo guardò. “Beckett, dov’è Castle?”. Kate pensò di non aver mai avuto un’espressione più sorpresa in tutta la sua vita. “Lui sta…è …lui…lo passiamo a prendere andando in istituto signore.”. “Bene”. Ma insomma? Non riuscivano a stare più di cinque minuti senza di lui? Beckett era allibita. Il suo evidente coinvolgimento nei confronti di quell’uomo le impediva, come al solito, di comprendere le motivazioni reali di quella domanda.
 
Prese il telefono sulla scrivania. Trovò due chiamate di Castle e fece il suo numero.
 
“Ti piace farti attendere, eh detective?”
“Castle aspettaci. Tra venti minuti siamo da te. Ti aggiorno mentre andiamo”
 
Arrivati in strada Beckett comunicò velocemente ai due detective la deviazione. Ryan immediatamente prese dal braccio la psicologa e le disse “Dott.ssa Felder, se vuole seguirmi, prego da questa parte”, indicandole l’auto di servizio.
 
“Siamo dietro di te Beck” e anche Esposito sparì nella vettura.
 
Kate entrò nella sua macchina e guardò il sedile vuoto a fianco a sé.
 
Avrebbero avuto tempo per spiegarsi.
 
 

Angolo dell'autrice:

Carissimi lettori,
approfitto di questo piccolo spazio per un motivo molto semplice.

Vorrei ringraziare singolarmente tutti coloro che hanno recensito il prologo della mia prima fanfiction, che mi hanno riservato un'accoglienza calorosa e dedicato veramente dei bellissimi complimenti.

Sono dei ringraziamenti un po' particolari :)

il primo ringraziamento va ad advocat con la menzione speciale "My inspiratione to write". Senza di te questa ff non sarebbe mai stata scritta.

il secondo ringraziamento va a manurau che è stata in assoluto la prima persona a complimentarsi con me per la storia (chissà forse anche la prima a leggerla) nella pagina facebook Richard Castle- Detective fra le righe amministrata da V&G. Manurau sei davvero dolcissima,

il terzo ringraziamento va a tatabond93 che è stata la prima a recensire la ff. Che emozione leggere la prima recensione!

il quarto ringraziamento va a kateRina24 con la menzione speciale "Author who first stole my heart" (l'autrice che per prima mi ha rubato il cuore). la tua ff "Delirio" è stata una delle cose che mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere.

Di seguito ringrazio:

Berenike per il suo messaggio di benvenuto
cutuletta per avermi (addirittura!) chiamata musa
francy091 per il suo complimento "un inizio col botto"
Luli87 per aver detto che è un piacere leggere la mia ff dalla prima riga
Luna Renesmee Lilian Cullen per la sua calorosa accoglienza


Grazie di cuore a tutti. Non scherzo, scrivere non era mai stato così piacevole fin ad ora.


Tersicore150187

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Capitolo 3
*** Una realtà nuova ***


Una realtà nuova.

 

Quando si fermarono all'ingresso dell'elegante edificio a Tribeca, Castle era immerso nella lettura appoggiato con la schiena alla parete. L'auto della detective era posteggiata appena 100 metri prima, così decise di scendere un attimo per attirare la sua attenzione, invece di telefonargli o suonare il clacson in un orario già rumoroso per il traffico. Mentre percorreva velocemente il marciapiede che la separava da lui, Kate guardò i raggi del sole riflettersi sul suo volto e sui suoi capelli e la sua espressione distesa e concentrata. Non sentì farfalle nello stomaco, brividi o la testa vuota. Kate non era una ragazza di quel tipo. O meglio, non più. Quello che provava invece era un benessere maturo, adulto, una serenità che la pervadeva, dal centro del suo corpo si diffondeva fino alla punta della mani e dei piedi. Era come essersi appena risvegliata da un sonno lungo e ristoratore, pieno di bei sogni e di respiri profondi. Poteva sentire nell'aria il profumo di quella sensazione. Odorava di caffè e di prima mattina. Odorava di famiglia.

 

Castle non si accorse ovviamente di nulla di tutto quello che stava accadendo dentro la sua “compagna”. Lui sì che li provava i brividi, quando la vedeva agire guidata da scariche di adrenalina potentissime, quando sotto copertura mostrava lati di sé sconosciuti e nascosti...nonchè posteriori...quando lo guardava con quegli occhi di cristallo e quello splendido sorriso. Era un po' che si era accorto della profondità dei sentimenti che provava per quella donna, ma non aveva avuto il coraggio di ammetterli neanche a se stesso, fino a quando c'era stata quella svolta nel caso dell'omicidio della madre di Beckett. Allora la aveva sentita allontanarsi da lui, aveva temuto di perderla, era come se lei gli stesse scivolando via dalle mani come acqua. Era verissimo. Per quanto banale, lo scrittore dovette ammettere che “si comprende l'importanza di ciò che si ha solo quando si è davvero sul punto di perderlo”.

 

“Credevo che fossi uno scrittore non un lettore”.

Lui le sorrise come se avesse visto una santa.

“Metà del mio lavoro è leggere detective, e comunque questa è lettura personale”.

Si avviarono verso la macchina camminando vicini.

“Come mai la copertina del tuo libro è foderata con quella strana carta natalizia?”

“Ho un grande rispetto per i libri, odio rovinarli” le rispose.

Kate roteò gli occhi come solo lei sapeva fare. Questa volta i suoi occhi dicevano “è una balla mio caro, non me la bevo!”. “Ok, colto il messaggio”. Mentre si sedeva in macchina Castle continuò serio. “Sai mantenere un segreto Kate?”. “Ok Castle, non devi dirmelo se non vuoi...” la detective sembrava aver capito che lui era un po' in difficoltà. “No, no, va bene...è solo che mi vergogno un po'.” Tirò un profondo sospiro e disse “Questo libro che sto leggendo si intitola . Me lo ha dato uno psicologo che lavora a scuola di Alexis, l'ultima volta che sono andato al colloquio con i suoi insegnanti.” “Alexis ha dei problemi?” chiese lei evidentemente preoccupata “Beh..Castle, perchè non me ne hai parlato? Voglio dire io non sono sua madre e certamente non...tua...cioè...ma avrei voluto...” “No, no Kate, hey tranquilla, Alexis sta benissimo....è...è di me che l'insegnante era preoccupata. Quando parlo con loro forse mi dimostro un po' apprensivo e ansioso e il fatto che sia noto che Alexis praticamente faccia da madre a se stessa, a volte mi fa sentire un po'...diciamo in difficoltà. Così ho coperto il libro con la carta per evitare che lei e mia madre leggessero il titolo in copertina”. Kate sorrise e pensò a quello che stava per dire un attimo prima. Dopo pochi attimi Castle ruppe il silenzio. “Allora, che mi dici del caso?”.

 

Quando arrivarono davanti all'istituto Castle scese dall'auto e andò incontro ai due “colleghi” per augurare loro il buongiorno. Mentre si dirigeva verso l'auto notò la donna uscire e capì che si trattava della dottoressa di cui Beckett gli aveva appena parlato. Si avvicinò alla donna e le porse la mano con un espressione seria. “Buongiorno, immagino lei sia la direttrice dell'istituto” “Sarah Felder, molto lieta” disse la donna stringendo la mano a Castle. “Dott.ssa Felder io sono Richard Castle, collaboro in qualità di volontario con il dipartimento di polizia di New York, assisterò i detective nello svolgimento delle indagini se lei non ha nulla in contrario.”. “Ero già stata informata della sua presenza signor Castle, non mi sembra possano esserci ostacoli a che lei svolga il suo lavoro come sempre. D'altro canto la conoscevo già per fama, solo come scrittore si intende, ma se il capitano Montgomery le consente di svolgere questo lavoro, non c'è dubbio che abbia fiducia in lei, perciò non vedo perchè non dovrei averne io. Certo, lei capirà la mia diffidenza...è una situazione molto delicata.” “Non si preoccupi dott.ssa Felder, posso garantirle che utilizzerò il massimo della mia discrezione e delicatezza, quanto alla polizia...posso assicurarle che a guidare le indagini c'è la migliore detective che questa città abbia mai avuto”. Mentre pronunciava questa frase i suoi occhi incontrarono quelli di Kate che, da lontano, osservava la scena, e gli sfuggì un sorriso e nel suo cuore sentì un lieve palpito. La dott.ssa Felder lo guardò, comprendendo la sincerità delle sue parole. “Lo spero”, disse con la voce tremante, mentre una lacrima le rigava la guancia. Castle le prese una mano con dolcezza. Quella donna avrebbe potuto essere sua madre e vedere quel dolore così innocente nei suoi occhi lo colpì. “Andiamo” le disse “non c'è tempo da perdere.

 

Quando entrarono nell'edificio Beckett sfruttò il tempo durante il quale percorsero il corridoio per prepararsi. La struttura non era stupenda, un caseggiato di quattro piani in cemento armato, sembrava essere stato una scuola in precedenza, lo si poteva immaginare dalla disposizione delle finestre, dalla guardiola, dal cortile spoglio intorno, tipico delle scuole pubbliche degli anni '70. sul davanti c'era un grande cancello dipinto da poco. La facciata era spoglia, ma pulita.

Ma l'interno di quel posto era senza ombra di dubbio qualcosa che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato. Le pareti dell'ingresso erano dipinte di azzurro decorate con delle grandi nuvole bianche fra le quali spuntavano le lettere colorate della scritta “MoreSky”. Tutto il corridoio era decorato da disegni attaccati o dipinti direttamente sui muri, festoni, decorazioni, stelle e farfalle di carta che pendevano dal soffitto, fotografie di bambini scattate in varie occasioni, cartelloni con progetti, collage di immagini e foto, frasi di favole e di canzoni. Si poteva chiaramente capire che tutto era opera dei bambini e degli operatori dell'istituto. Non erano opera di un decoratore professionista, non erano affatto perfetti. I colori uscivano dai bordi, le immagini erano ritagliate con margini fastellati e zigrinati in vari punti, le parole erano a volte storte e pendevano da una parte. Ma nessuno degli ospiti sembrò notare nulla di tutto ciò. Quel posto infondeva speranza, pensò Kate. In fondo era vero che ci poteva essere “ancora più cielo”. Intorno regnava un silenzio particolare. Kate si chiese se venivano somministrati psicofarmaci a quei bambini, ma poi pensò che nessuno imbottito di pillole e gocce avrebbe potuto fare dei disegni così belli. “I bambini sono andati a Central Park con un pulmino. Volevamo portarli al museo di storia naturale ma è stato difficile organizzare un'uscita così all'improvviso. Per molti di loro c'è bisogno dell'autorizzazione dei genitori e inoltre le strutture devono essere avvisate prima quando ricevono visite da gruppi di disabili.” La dottoressa Felder sembrava leggere nel pensiero. Dopo pochi passi entrarono in una saletta che dava accesso al cortile interno dell'istituto dove era stato trovato il corpo. Il medico legale, la dottoressa Parish era appoggiata ad un tavolino con dei documenti in mano.

 

“Hey Lanie”

“Buongiorno Kate” le sorrise l'amica “dal momento che Montgomery mi ha informato che sareste arrivati più tardi ho finito l'ispezione e stavo già scrivendo il rapporto, ma ho voluto aspettarvi per far portare via il corpo. Comunque qui abbiamo finito”.

“Grazie. Cosa mi dici della vittima?”

“Daniel Soldier, 28 anni, bianco caucasico, apparentemente sano e privo di altre lesioni esterne che non siano riconducibili alle ferite inflittegli dall'assassino. L'ora del decesso, a giudicare dalla lividità e dalla temperatura direi tra le undici di ieri sera e l'una. La causa vera e propria della morte è il dissanguamento provocato da queste tre ferite inflittegli all'altezza del rene destro. Questo indica che il nostro assassino non è molto alto, direi all'incirca tra il metro e quaranta e il metro e sessanta. Infatti le pugnalate sono state inflitte orizzontalmente. Le ferite non sarebbero state mortali se la vittima non avesse perso i sensi sbattendo su questo bordo. L'entità del danno cerebrale deve essere piuttosto lieve, ma dovrò verificare con l'esame autoptico l'eventuale presenza di emorragie interne.”

“Ma escludi che la causa della morte sia il trauma cranico perché...”

“Perché, mia cara, poiché la temperatura di questa notte si aggirava intorno allo zero, il freddo, favorendo la vasocostrizione, avrebbe dovuto in qualche modo limitare l'emorragia, consentendogli di camminare o strisciare o urlare, seppur dolorante, chiedendo aiuto. A giudicare dalla macchia scura e poco estesa si è dissanguato lentamente, ma la quantità di sangue che ha perso è decisamente una quantità in grado di privare della vita la persona che lo perde. Inoltre guarda le sue mani.”

“Sono pulite!” intervenne Castle.

“Ottima osservazione Mr Conan Doyle. Se Daniel fosse stato cosciente si sarebbe premuto la ferita con le mani per attutire l'emorragia o il dolore e si sarebbe sporcato di sangue.”

“Ci sono segni di lotta?” era ancora lo scrittore a parlare. Voleva fornire un quadro chiaro a Beckett.

“Lievi Castle, ma ci sono. Non c'è segno di ematomi, né microfratture, ma ci sono dei sottili graffi sugli avambracci e dei tessuti sotto le unghie che dovrò fare analizzare.”

“Perciò Daniel e il nostro assassino vengono qui in cortile, parlano, forse litigano o discutono ma Daniel non si difende a sufficienza, non può o forse non vuole, così il killer riesce ad infliggergli tre colpi all'altezza dei reni e Daniel per il dolore cade sbattendo la testa sul rialzo di pietra del marciapiede. Così, privo di sensi e ferito, muore dissanguato”.

La teoria si Kate non si era fatta attendere. Castle pensò che i suoi “aiuti” ancora una volta avevano funzionato.

“Non esattamente mia cara. Guarda qui”. Spostò la gamba della vittima scoprendo la parte esterna della caviglia del jeans che il ragazzo indossava. C'erano delle macchie rossastre, sembravano di terra.

“Cos'è? Sembra sabbia...” disse Castle.

“Non lo so con certezza, ma la posizione di questa macchia mi fa credere che il killer abbia....beh...abbia fatto uno sgambetto alla vittima per farlo cadere”.

“Cosa?” Kate era allibita.

“Chiaramente non credo che volessero giocare prima che lui lo uccidesse!”

Kate guardò l'amica cercando una spiegazione.

“Abbiamo detto che l'assassino è un po' più basso della vittima. Beh, c'è la possibilità che sia anche...meno forte. Credo che Daniel non si sia difeso abbastanza e l'assassino, subito dopo averlo pugnalato, ha colto l'occasione per dargli un leggero colpetto con il piede dietro la caviglia facendolo cadere. Non è un calcio, infatti non c'è livido sulla gamba. Cadendo Daniel ha sbattuto perdendo i sensi e la ferita aperta ha fatto il resto.”

“Quindi l'assassino forse non aveva intenzione di uccidere Daniel ma solo di ferirlo” disse Castle.

“C'è di più” Kate lo guardò dalla sua posizione accovacciata “l'assassino aveva paura che Daniel, nonostante il dolore per la ferita ricevuta, riuscisse a reagire e magari a chiedere aiuto o peggio, ferire a sua volta il suo aggressore. È così Lanie?”

“A giudicare dalla profondità e dallo spessore del taglio, Daniel era perfettamente in grado di difendersi anche dopo essere stato ferito. Esatto detective”

“Dell'arma che mi dici?”

“In base alle considerazioni appena fatte, potrebbe trattarsi di una qualsiasi arma da taglio appuntita, lunga circa dieci centimetri, non seghettata. Banalmente anche un coltello da cucina.”

Beckett pensò un attimo.

“Quindi, in base a questa ricostruzione è probabile che Daniel conoscesse il suo aggressore, qualcuno più basso e più debole di lui, qualcuno dal quale non si è difeso a sufficienza, qualcuno che gli ha procurato delle ferite che, da sole, non sarebbero state mortali.”

 

Castle le si avvicino e si inginocchiò a fianco a lei vicino al corpo. Le mise una mano sulla spalla. Lei si voltò a guardarlo e lui ricambiò lo sguardo, serio.

 

“Qualcuno come un ragazzino”.

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