Chicchi di melagrana

di morgana85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fertilità ***
Capitolo 2: *** Vitalità ***
Capitolo 3: *** Amore ardente ***
Capitolo 4: *** Nuova vita ***
Capitolo 5: *** Buon auspicio ***



Capitolo 1
*** Fertilità ***


Storia Prima classificata al Fruits contest indetto daBloodySisters
Vincitrice del premioLacrima di sole e Miglior fanfiction


Buongiorno a tutti! ^^
Sono ancora emozionata, dopo aver letto i risultati. Sto saltellando dalla gioia!
Solo qualche rapidissima spiegazione: il contest richiedeva la scelta di un frutto da un elenco stabilito,
ad ognuno dei quali erano assegnati cinque prompt, che dovevano essere inseriti in cinque storie (drabble, one-shot, long, ecc… ),
tutte riguardanti un personaggio di propria scelta. La mia è stata:

Personaggio scelto: Daphne Greengrass
Frutto scelto: Melagrana (sole, libero/a, foglio, malattia, ricordo)


Ogni capitolo è stato nominato con una particolare simbologia del melograno, prendendo spunto da
credenze popolari di diverse epoche.
Il titolo è Chicchi di melagrana in quanto ho scelto di raccontare attimi di vita di Daphne, in ordine
più o meno cronologico. Insomma, piccoli chicchi - ricordi, stralci di vita - di quella che può essere
stata la sua storia.
Nell’ultimo capitolo pubblicherò il commento della GiudiciA, che ringrazio ancora infinitamente. Questa volte sei tu che mi hai fatto venire i lucciconi agli occhi! *_*
Grazie a tutti e buona lettura!
Baci
Morgana

~Chicchi di melagrana                  

Primo promptsole                                                     
                                                 

~Fertilità                   

[…] siamo il sogno di una cosa                                                      
siamo lacrime del sole […]                                                       

- The Gang, Lacrime del Sole -                                                       


 

Aprì piano la porta, richiudendosela alle spalle cercando di fare meno rumore possibile.
La camera che l’accolse era spaziosa e ben arredata, un delicato accostarsi di color miele e avorio, che il sole di quel tardo pomeriggio di maggio faceva risplendere di sfumature ambrate e amaranto. Due grandi finestre – i suoi occhi sul mondo, come amava chiamarle– si affacciavano sul giardino, rendendola luminosa e di ampio respiro.
Le era sempre piaciuta quella stanza, era confortevole e accogliente. La considerava un piccolo gioiello di raffinatezza, destinata ad appartenere al più grande dei suoi tesori.
Una domestica stava finendo di sistemare la biancheria nel grande armadio alla sua destra. Non appena si accorse di lei, le rivolse un inchino compito. ‹‹Buongiorno, milady››.
‹‹Buongiorno, Daelys›› le andò incontro, i passi attutiti dai pregiati tappeti che ricoprivano il pavimento. Al contrario di gran parte della servitù, trovava piacevole la compagnia di quella giovane donna dalla carnagione scura. Era discreta ed efficiente, doti che reputava indispensabili in una cameriera. ‹‹Come sta la bambina?››.
‹‹Oh, molto bene direi›› le sorrise la ragazza, volgendo lo sguardo verso il lettino che si trovava poco distante. ‹‹Dorme come un angelo››.
‹‹Bene, ora puoi andare, penserò io a lei››. Mosse solo qualche passo, prima di rivolgerle un’ultima rapida occhiata da sopra la spalla. ‹‹Gradirei non essere disturbata fino all’ora di cena››.
‹‹Come desiderate, milady. Devo avvertirvi quando il padrone rientra?››.
‹‹No, non è necessario. Lo incontrerò più tardi››.
Quando il rumore della porta che veniva chiusa le diede la sicurezza di essere rimasta sola, si concesse un profondo respiro. Si inebriò del profumo dei fiori freschi – gardenie e peonie, i fiori delle regine – che permeava l’aria, misto alla fragranza di pulito.
Le tende ondeggiavano come ali di farfalla, accarezzate dalla lieve brezza che filtrava dalla finestra aperta.
Si stiracchiò pigramente, allungano le braccia verso l’alto e arcuando leggermente la schiena, lasciandosi attraversare dalla piacevole sensazione di tranquillità che percepiva. Alzò lo sguardo verso il soffitto, dove un grande sole campeggiava al centro dell’affresco che lo adornava, attorniato da ninfe danzanti, fiori e piante di melagrana. Aveva richiesto espressamente la presenza di quella pianta, che secondo antiche leggende era foriera di buona sorte.
Immersa nel silenzio, i suoi pensieri persero di consistenza, sostituiti dai suoni allegri e dolci della primavera inoltrata. Avvicinatasi alla culla scostò i tendaggi di morbida organza bianca che, vaporosi come una nuvola, la avvolgevano quasi completamente. Un timido raggio dorato si insinuò in quello spiraglio, illuminando il viso roseo e paffutello di una bambina.
Ed eccolo lì, il suo sole. La stella attorno al quale orbitava il suo mondo.
Lasciò che il tempo scorresse senza alcuna importanza, godendosi la visione di sua figlia tranquillamente addormentata, i pugnetti chiusi vicino al volto. Il cuore le si gonfiò nel petto e un sorriso dolce le incurvò le labbra alla vista di quella creatura, così piccola e delicata.
Era bella come una bambola di porcellana, dalla pelle alabastrina e i capelli chiari.
Ed era sua. E lei la amava come non aveva mai amato altro in tutta la sua vita.
Quando il medimago di famiglia le aveva confermato di essere incinta, dopo l’umiliante resoconto di una serie infinita di referti medici che l’avevano etichettata come sterile, non ci aveva creduto. Non aveva voluto crederci nemmeno osservando il suo ventre crescere e il seno gonfiarsi per il latte.
Solo nel momento in cui le avevano adagiato tra le braccia quel piccolo fagotto, aveva compreso di essere davvero diventata madre e che quello che stringeva al petto era il suo personale miracolo.
Erano passati sette mesi da quel giorno e ad ogni nuovo sguardo che rivolgeva alla sua bambina, la trovava sempre diversa e cresciuta.
Si chinò per poterla prendere in braccio, cercando di non svegliarla. ‹‹La mia splendida Daphne››. Le posò un bacio tra i capelli, cullandola e canticchiando la vecchia ninna nanna che sua madre le sussurrava per farla addormentare. Quasi avesse riconosciuto la sua voce, la piccolina si rannicchiò fra le sue braccia, abbandonando la manina sul seno, proprio accanto al cuore. ‹‹La mia piccola lacrima di sole››.
Una risatina le sfuggì dalle labbra al pensiero di quanto suo marito odiasse quel nomignolo affettuoso. Lo considerava bizzarro e poco adatto ad una futura appartenente all’alta società del mondo magico.
A suo avviso invece era praticamente perfetto.
Quando le avevano chiesto quale nome avrebbe avuto la nascitura, non aveva esitato un solo istante. Daphne.
Come il primo amore del dio Apollo, il sovrano del sole.
Si era imbattuta nella loro storia per caso quando, ancora ragazzina, aveva trovato ad Hogwarts un libro riguardante la mitologia babbana.
Aveva immaginato, con la fervida fantasia di un’adolescente, che anche sua figlia – se mai si fosse sposata e fosse rimasta incinta – avrebbe dovuto portare il nome di quella ninfa, dalla vicenda così disperata e toccante, che era stata in grado di far innamorare di sé il sole. E che probabilmente risplendeva della sua stessa luce.
Nonostante suo marito avesse dimostrato apertamente il suo dissenso, lei era stata irremovibile.
Ora, mentre la guardava, sfiorata dalla luce incantevole del tramonto, ebbe la certezza di aver preso la decisione più giusta.
Quella bambina aveva in sé il sole. Era imprigionato tra i suoi capelli biondi come grano maturo, nascosto nei suoi sorrisi innocenti e sfolgorante nei suoi occhi azzurri come il cielo estivo. ‹‹La mia piccola lacrima di sole››. Lo ripeté ancora una volta, stringendola maggiormente a sé, inspirando a fondo il profumo tipico dei bambini, di buono e pulito. ‹‹La mia Daphne››.



Ed eccosi alla fine del primo capitolo.
Come avevo anticipato, saranno frammenti della vita di Daphne. E, per iniziare, mi è sembrata la cosa più logica presentarla da bambina, vista dagli occhi di sua madre.
Allora, cosa ve ne pare?
Grazie fin da adesso a chiunque leggerà, commenterà, sorriderà o si commuoverà con questa storia.
Baci a tutti
Morgana

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Capitolo 2
*** Vitalità ***


Secondo promptfoglio                                                                                                     

~Vitalità                                  

 Un foglio bianco                                                                                                      
è un posto sul quale                                                                                                      
adagiare i pensieri                                                                                                      
E una penna                                                                                                       
lo strumento                                                                                                       
per delinearne                                                                                                       
gli evanescenti contorni.                                                                                                       
 
- Barbara Brussa –                                                                                                       
 

Appoggiò mollemente il visino sul palmo della mano, sbuffando annoiata. La piuma d’aquila che stringeva tra le dita oscillò davanti alle sue labbra, facendole il solletico. Abbassò lo sguardo, sperando che il suo desiderio fosse stato esaudito.
Niente. Sbuffò nuovamente, cambiando posizione e inclinando il capo dall’altro lato.
Quel foglio continuava a rimanere ostinatamente bianco. E se c’era una cosa che lei odiava, era proprio il bianco. Era seduta al tavolino della sua cameretta da ore, e l’unica cosa che era riuscita a scrivere fino a quel momento era la data, in un angolo in alto a destra.
Quando bussarono alla porta mormorò uno sbiascicato ‹‹Avanti››, senza mostrare particolare interesse verso il nuovo ospite.
‹‹Ah, eccoti! Stavamo iniziando a chiederci che fine avessi fatto››. Sentì i passi avvicinarsi, attutiti dai morbidi tappeti, e la sedia accanto alla sua che veniva scostata. ‹‹Si può sapere cosa fai qui tutta sola?››. Ignorò la domanda, continuando a fissare il foglio immacolato, come se da un momento all’altro fiumi di inchiostro dovessero comporre le parole che lei stava cercando da tutto il pomeriggio, evidentemente senza successo. ‹‹Daphne, c’è qualcosa che non va?››.
‹‹Si!›› sbottò infine, incrociando le braccia al petto e corrugando la fronte. ‹‹E’ inutile, non ci riesco››.
‹‹A fare cosa?››.
‹‹A spiegare la magia!›› cantilenò, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore. Suo padre la stava fissando con un’espressione curiosa e incerta. Lei alzò gli occhi al cielo, sospirando rumorosamente.
Indicò la piccola pergamena, con lo stesso cipiglio severo che adottava quando cercava di spiegare a sua sorella Astoria che non doveva giocare con le sue bambole, non senza il suo permesso. ‹‹Come può il Folletto del Natale portarmi la magia, se non riesco a fargli capire com’è? Sai, con tutti i regali che devono essere consegnati è facile sbagliare››. Allungò una mano, prendendo un secondo foglio, appena più grande del primo. ‹‹Guarda›› lo porse all’uomo di fronte a lei ‹‹ho provato anche a fare un disegno, ma non credo mi sia riuscito molto bene››.
Lui lo osservò attentamente, girandolo prima in un verso, poi nell’altro, cercando di dare un senso all’insieme disordinato di forme e colori che gli si presentò davanti. Era molto simile ad un’esplosione di scintille variopinte e lacrime di arcobaleno piovute dal cielo. Con un sorriso pensò che non era necessario dare una spiegazione logica al piccolo capolavoro di sua figlia, esattamente come non ne aveva bisogno la magia.
‹‹Allora, cosa ne pensi?›› gli chiese la bambina, dopo quel silenzio che stava durando troppo a lungo per i suoi gusti.
‹‹Trovo che sia splendido Daphne. Io non avrei saputo fare di meglio›› le scompigliò i capelli, scendendo poi con una carezza lungo il viso. ‹‹Ora vieni, la cena sta per essere servita››.
‹‹Papà›› lo chiamò, facendolo voltare nuovamente, la mano già posata sulla maniglia di ottone lucidato. Si morse il labbro inferiore, come se fosse indecisa. ‹‹Tu come lo avresti fatto?››.
‹‹Io?››. L’uomo tornò sui suoi passi, inginocchiandosi davanti a lei, così che i loro occhi potessero essere alla stessa altezza. Li guardò per un attimo, meravigliandosi di quanto somigliassero a quelli di sua moglie, così azzurri da sembrare uno stralcio di cielo racchiuso in una sfera di cristallo.
Prese l’ultimo foglio bianco lasciato sul tavolino, stracciandolo in piccoli pezzi. Li radunò sul palmo della mano e, dopo averle fatto l’occhiolino, vi soffiò sopra.
Nello stesso istante in cui lei gli rivolse uno sguardo stranito, quei candidi coriandoli si trasformarono in variopinte farfalle, dalle ali scintillanti circondate da uno strano alone dorato. Una di loro, dall’intenso color lavanda spruzzato di bianco, si posò proprio sul naso di Daphne, sbattendo le ali lentamente, come in una danza.
‹‹Oh papà, è meraviglioso!›› batté vivacemente le manine, saltellando di qua e di là, uno sfolgorante sorriso ad adornarle il viso, le gote rosse per la gioia. ‹‹E’ proprio questo che intendevo!››. Gli buttò le braccia al collo, mentre la piccola farfalla tornava con le altre, riempiendo l’aria di tonalità incantate.
Lui la sollevò, prendendola in braccio ‹‹Sai qual è la vera magia?››. Vedendola scuotere il capo in segno di diniego, le sorrise dolcemente, posandole un delicato bacio sulla fronte. ‹‹E’ vedere il tuo sorriso››.
‹‹Vuol dire che se sorrido, posso far comparire le farfalle con un foglio di carta?››.
Come risposta le giunse solo la risata di suo padre, profonda e leggermente roca, ma che le dava la stessa sensazione allegra del vento fresco che le scompigliava i capelli
Più tardi, dopo essersi infilata il pigiama e ormai pronta per andare a letto, rilesse ancora una volta le parole scritte su quel foglio finalmente non più bianco. Annuì con un sorriso, soddisfatta.
Lo piegò accuratamente a metà, infilandolo nella busta e appoggiandolo sul davanzale della finestra. Era la notte giusta, la luna era piena e la rugiada aveva bagnato le foglie degli alberi.
Ora non le rimaneva che aspettare.
 
 
Caro Folletto del Natale,
quest’anno non ti chiederò una nuova bambola come regalo, ormai sono diventata grande.
Però puoi sempre portarla a mia sorella Astoria, così la smette di prendere le mie senza chiedere.
Io quest’anno vorrei la magia.
Si, esatto, proprio quella che mi fa fare le farfalle scintillanti come quelle di papà.
Di solito lui e la mamma usano uno strano bastoncino di legno. Non sono molto belli, io lo vorrei rosa con le stelline. Ma se proprio non
riuscissi a trovarlo, mi accontenterò anche di uno senza stelline.
Spero proprio che tu possa esaudire il mio desiderio! Ho già provato con le stelle cadenti, ma non ha funzionato.
 
                                                                                         Con affetto
                                                                                            Daphne
 
Ah, un’altra cosa… ti ho messo nella busta un disegno di come dovrebbe essere la magia. Così non rischi di sbagliare!


 


Ed eccoci arrivati al secondo capitolo ^^
Qui troviamo una Daphne bambina. Dato che uno dei prompt del pacchetto era foglio, ho cercato di immaginarla alle prese con una delle cose più attese e desiderate da ogni bambino - o per lo meno, io non vedevo l'ora che fosse Natale -: la letterina al Folletto del Natale.
Cosa ne pensate?
Colgo l'occasione per ringraziare chi ha commentato lo scorso capitolo... vi adoro! ^^
E un grazie anche a chi ha inserito la raccolta nelle seguite, nelle preferite o chi ha semplicemente aperto la pagina per leggere. Grazie!
Se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, sarò contenta di leggere i vostri commenti!
Alla prossima!
Un bacione a tutti
Morgana

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Capitolo 3
*** Amore ardente ***


Terzo prompt: malattia
 
 
~Amore ardente
 
L'amore è una malattia senza la quale non si sta bene.
- Anonimo -
 
 
‹‹Mamma! Mamma!››, salì velocemente i gradini che conducevano all’ingresso, spalancando la porta e attraversando il grande atrio di corsa. Il grazioso cappellino di paglia che indossava le scivolò dal capo per l’improvvisa folata di vento, lasciando i suoi lunghi capelli biondi ad ondeggiare sulle spalle. ‹‹Mamma!››. Si diresse verso il salottino degli ospiti, ignorando i rimproveri delle due cameriere che sorreggevano i vassoi per servire il tè e che era riuscita ad evitare per pura fortuna. ‹‹Mamma, è stato orribile!››.
Piombò nella stanza, intima e accuratamente arredata, con la stessa energia prorompente di un piccolo uragano in movimento. Si fermò solo quando raggiunse la poltrona accanto alla finestra, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Cercò di darsi un contegno prendendo un profondo respiro, conscia di non essere propriamente presentabile con l’abitino sgualcito e i capelli arruffati dalla corsa.
Alzò il viso verso sua madre, contemplandola per un momento. Era bella, come sempre. Non aveva mai visto una persona tanto elegante e raffinata quanto lo era lei, nonostante indossasse un semplice abito da casa. ‹‹Una cosa davvero orrenda››.
‹‹Daphne, ti sembra questo il modo di presentarti?››. L’occhiata che la donna le rivolse era piena di rimprovero, ma al contempo il sorriso che le sue labbra riuscivano a malapena a dissimulare, era la conferma del suo divertimento. ‹‹Abbiamo ospiti››. Seguì il suo sguardo, rivolto verso la poltrona di fronte alla sua, occupata da un’anziana signora dall’espressione cordiale. ‹‹Vogliate perdonare l’irruenza di mia figlia, miss Brigitte››.
‹‹Non si dia pena, Elizabeth. Ai bambini è concessa ogni cosa››. La vide poggiare la tazza da tè sul basso tavolino lì accanto, sporgendosi verso di lei con un caloroso sorriso. ‹‹Buongiorno, Daphne››.
‹‹Buongiorno a lei, miss››, le rivolse un breve inchino, come esigevano le regole dell’etichetta.
‹‹Sei cresciuta molto dall’ultima volta che ti ho vista. Quanti anni hai?››.
‹‹Sette, compiuti da due giorni››.
‹‹Ora vorresti spiegarmi cosa è accaduto di così terribile, da farti dimenticare le buone maniere in questo modo?››, la voce di sua madre era più curiosa che severa.
‹‹Oh si, certo››. Al solo pensiero, non riuscì a reprimere una smorfia di disgusto. ‹‹Theodore Nott mi ha dato un bacio! Proprio qui››, indicò la guancia destra, come se in qualche modo fosse ancora visibile una traccia del misfatto. ‹‹Dice di essere innamorato di me››.
La risata di lady Elizabeth risuonò nell’aria, leggera e frizzante come il canto di un usignolo. ‹‹Per Morgana, ha del fegato quel bambino››.
‹‹Non ci trovo niente da ridere››.
Incrociò le braccia al petto, atteggiando un broncio davvero buffo. Avvertì la presa delicata della donna sollevarla per vita, facendola accomodare sulle sue gambe. ‹‹E tu cosa gli hai risposto?››, le passò una mano tra i capelli, in una dolce carezza.
‹‹Gli ho detto di starmi lontano. Non vorrei che questo innaminato, innomerato… oh insomma, quella cosa lì, possa essere una malattia contagiosa››. Cercò lo sguardo di sua madre, gli occhi spalancati e l’espressione leggermente preoccupata. ‹‹Non mi verranno le bolle, vero?››.
 
Si svegliò all’improvviso, trovandosi seduta sul letto con il respiro corto e il cuore che batteva così velocemente da rimbombarle nelle orecchie. Si passò una mano sugli occhi, cercando di riacquistare un po’ di lucidità, scostando i capelli dal viso e portandoli sulla spalla destra. Un brivido le percorse rapido la schiena, facendole venire la pelle d’oca. Solo in quel momento si accorse di come il lenzuolo di raffinata seta bianca le fosse scivolato dal corpo, lasciando completamente scoperto il seno nudo.
‹‹Tutto bene?››.
Sobbalzò al suono di quella voce roca, ancora impastata dal sonno, ma incredibilmente calda e carezzevole. ‹‹Si si, tutto bene››. Afferrò il lenzuolo, cercando di coprirsi nel miglior modo possibile.
Una mano si posò sulla sua – sconosciuta solo fino a qualche ora prima, ed ora così dannatamente familiare – senza particolare forza ma con fermezza, esprimendo una muta richiesta. La sentì scorrere dolcemente – grande e morbida, piacevole da percepire sulla pelle – fino al lembo di tessuto che ancora stringeva tra le dita. ‹‹Non nasconderti››. Nel breve istante di un sospiro, si ritrovò nuovamente nuda ai suoi occhi e così vicina – troppo vicina – al suo corpo, da essere ubriaca del suo profumo dopo un solo respiro. ‹‹Sei così bella››.
Non ebbe nemmeno il tempo di trovare un pensiero coerente tra le migliaia di parole che si agitavano confuse nella sua mente, prima che lui la baciasse. Sentiva quella bocca delicata e peccaminosa muoversi sulla sua, in un richiamo per lei impossibile da ignorare. Non poté fare altro che arrendersi al languore di quel contatto, incontrando la lingua con la propria e gustando il suo sapore ancora una volta, esattamente come se fosse la prima.
Per Morgana, quanto lo desiderava.
Lo attirò più vicino, premendogli le mani aperte sulla schiena, in un chiaro invito. Un singulto deliziato le sfuggì dalle labbra – così diverso dal gemito di dolore soffocato contro la sua pelle, quando l’aveva reclamata per sé, lui prima di chiunque altro - quando si adagiò su di lei, con quel peso che la sovrastava e che trovava incredibilmente piacevole da sopportare. Ma non vi era brama nei suoi gesti, solo una irresistibile dolcezza che le intorpidiva i sensi. Le sue carezze erano vellutate e sensuali, ma mai esigenti. Si stava prendendo cura di lei, la stava coccolando, e al contempo le stava facendo capire quanta voglia ancora avesse di ciò che poteva offrirgli.
Amore, desiderio, piacere.
‹‹Non volevo svegliarti››, si scusò, quasi imbarazzata, quando si allontanò.
Lui sorrise, in quel modo che le faceva perdere il senno, scuotendo leggermente il capo e posandole un bacio sul naso. ‹‹Se non lo avessi fatto, mi sarei perso uno spettacolo davvero meraviglioso››.
‹‹Possibile che tu non riesca mai ad essere serio quando è necessario?››, sbuffò, spingendolo via e voltandogli le spalle.
Trattenne il fiato e socchiuse gli occhi quando le sue mani le strinsero la vita, abbracciandola. ‹‹La mia permalosa brontolona››, la sua risata le solleticò le orecchie insieme al suo alito che sapeva di menta.
‹‹Ho fatto uno strano sogno››. Fu lei a parlare per prima, dopo aver goduto del silenzio ovattato che li cullava. ‹‹Ricordi il giorno in cui ci siamo scambiati il nostro primo bacio?››, gli cercò la mano, intrecciando le dita con le sue e facendo aderire la schiena al solido petto dietro di sé.
‹‹Certo. Avevamo più o meno sette anni›› un casto bacio sul collo, seguito da un altro, vicino all’attaccatura dei capelli. ‹‹ Ma, se non vado errato, io ti ho baciata e tu mi hai detto di allontanarmi perché non volevi essere contagiata da quella strana malattia››. La sua risata vibrò nell’aria, leggera come profumo primaverile. ‹‹Ed ora cosa ne pensi, mia cara signorina Greengrass?››.
‹‹La mia opinione non è cambiata poi molto››, si girò fra le sue braccia, ancora un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. ‹‹Credo ancora che l’amore sia una malattia contagiosa››. Si interruppe, non resistendo più al desiderio di baciarlo. Gli piaceva baciarlo, era qualcosa di dolce e intenso insieme. ‹‹L’unica differenza è che adesso, se anche ci fosse una cura per guarirne, la eviterei››. Poggiò la fronte contro la sua, inoltrandosi nell’oscurità profonda dei suoi occhi – così diversi dai suoi, azzurri come acquamarina– e inebriandosi ancora una volta del suo calore. ‹‹Ed è tutto merito tuo, mio caro signor Nott››.

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Capitolo 4
*** Nuova vita ***


Quarto prompt: libero/a


~Nuova vita
 

L'anima libera è rara,
ma quando la vedi la riconosci:
soprattutto perché provi un senso di benessere,
 quando gli sei vicino.
 
- Charles Bukowski -
 
 
 
A MusicDanceRomance, perchè se lo merita                                                                                    
 
 
Il tonfo sordo degli zoccoli del suo cavallo sul terreno era un suono che riusciva sempre a tranquillizzarla.
Regolare, vigoroso, possente. Sincronizzato con il battere del suo cuore.
Ombre e colori del paesaggio che la circondava scivolavano davanti ai suoi occhi come nastri di seta agitati dal vento. L’aria fredda di quel mattino d’inverno penetrava oltre il mantello e tra i vestiti, pungendole il viso e costringendola a cavalcare a capo chino e il più vicino possibile al collo del cavallo, nel tentativo di riuscire a catturare in qualche modo un alito del tepore che emanava. La lunga treccia in cui aveva raccolto i capelli, ormai quasi completamente sciolta, ondeggiava ad ogni nuova falcata.
Un piccolo sorriso compiaciuto le incurvò le labbra alla vista del grande albero secolare, caduto probabilmente durante le abbondanti piogge dell’autunno, occupare il sentiero a qualche metro da lei.
Spronò il suo stallone frisone proprio in quella direzione, avvertendo il piacevole formicolio dell’adrenalina pervaderle il corpo. Se sua madre l’avesse vista, sicuramente le avrebbe dato dell’incosciente. Quando l’animale si protese in avanti per superare l’ostacolo, non fece altro che assecondare i suoi movimenti.
In quegli attimi, le sembrava quasi di volare.
Le piaceva quella sensazione, quel rapido vuoto allo stomaco, la potenza dei muscoli del suo cavallo guizzare sotto di lei e poi quel momento infinito in cui più niente la legava alla terra.
Adorava sentirsi libera.
Libera dalla gravità, dagli obblighi, a volte persino da sé stessa. Libera da quella strana tristezza che si era impadronita di lei da qualche giorno e a cui non sapeva trovare una ragione.
Quando atterrò oltre l’ostacolo, lasciò l’animale libero di scegliere l’andatura con cui proseguire. Giunta sulla sommità della collina, tirò con decisione le redini. Rimase immobile per qualche istante, gli occhi alzati verso il cielo, quel giorno molto simile ad un morbido panno di velluto azzurro e grigio. Inspirò profondamente il profumo di resina e sottobosco, lasciando vagare lo sguardo lungo il declivio, ai piedi del quale si aprivano i giardini di Greengrass Manor. Se socchiudeva gli occhi, poteva scorgere in lontananza i servitori indaffarati nella preparazione del grande ricevimento che si sarebbe tenuto quella sera.
Lei odiava i ricevimenti.
Davvero non riusciva a capire cosa ci trovassero di così entusiasmante le sue compagne di Casa ai tempi della scuola, che andavano in fibrillazione ogni qualvolta ci fosse un ballo. A suo avviso erano invece incredibilmente noiosi.
Troppa gente, troppa musica, troppa confusione.
Proprio per quel motivo e per la prima volta da che ne aveva memoria, si era letteralmente ritrovata a fuggire di casa. Come se le parole di suo padre avessero avuto il potere di rendere ogni stanza angusta e soffocante, l’aria impossibile da respirare.
‹‹Esigo che al ricevimento di questa sera tu sia cortese e disponibile con ogni cavaliere. Hai quasi vent’anni, i tempi sono maturi perché tu prenda in considerazione l’idea del matrimonio. E’ giunto il momento che tu comprenda le responsabilità che il tuo nome comporta, Daphne. Sei una Greengrass, e sei la primogenita››.
La voce con cui le aveva parlato era stata autoritaria e senza alcuna possibilità di replica.
Suo padre l’aveva definita una grande opportunità. Per lei significava semplicemente che, in un modo o nell’altro, non sarebbe mai più stata libera da quei legami – sentimentali e non – che aveva accuratamente evitato fino a quel momento.
Non che non avesse amici. Solo si premurava di mantenere i rapporti ad un livello che si confaceva al suo essere indipendente, senza particolari emozioni che potessero scalfire il suo tanto amato equilibrio.
Ben pochi, nella ristretta cerchia delle sue conoscenze, potevano vantare il privilegio di conoscerla davvero. Forse solo Theodore. Ma con lui era diverso. Molto diverso.
Al solo pensiero, la triste malinconia che aveva cercato di dimenticare tornò prepotente, lasciandole un retrogusto amaro sul palato.
Scosse il capo sbuffando, ‹‹Andiamo Brego (*), è ora di tornare a casa››.
 
Dopo un ultimo volteggio, si inchinò aggraziatamente all’ennesimo cavaliere di quella sera.
Ormai aveva perso il conto delle braccia che l’avevano stretta per danzare, o dei sorrisi educati e cortesi che aveva dovuto rivolgere ai giovani uomini che le erano stati presentati dai suoi genitori, tutti appartenenti all’alta borghesia del Mondo Magico.
Sentiva di non poter resistere ancora per molto. Aveva bisogno di aria – pura, libera, fresca - di svuotare velocemente la testa dalla lista infinita di nomi che era stata costretta ad imparare, per non recare offesa a nessuno dei gentiluomini presenti alla festa.
Con una scusa si congedò, dileguandosi tra la gente che affollava il grande salone. Maledisse il lungo abito di velluto blu che la rendeva impacciata nei movimenti e le rallentava il passo.
Incurante del freddo invernale, uscì sulla terrazza che dominava i giardini della villa, fiocamente illuminati dalla luce argentea della luna e dalle migliaia di torce magiche sparse un po’ ovunque.
Il silenzio che l’accolse le parve la cosa più bella al mondo.
Si appoggiò alla balaustra, improvvisamente stanca. Inspirò un paio di volte, profondamente e senza fretta, lasciando che la tensione scivolasse via dal suo corpo.
Andava già molto meglio.
‹‹Signorina Daphne, mi dispiace disturbarla››. Sobbalzò al suono di quella voce, maschile e profonda. Completamente assorta nei suoi pensieri, non si era accorta della presenza alle sue spalle. Sollevò piano la testa, ricomponendosi, senza tuttavia voltarsi. ‹‹Volevo solo sapere se… ››.
Se desidera danzare, sono desolata di dover rifiutare››. Strinse con forza le dita attorno al marmo freddo ‹‹Non credo di sentirmi molto bene››.
‹‹Ma la mia è un’offerta a cui non puoi dire di no››.
Si voltò di scatto, non appena avvertì il tessuto morbido di un mantello che le veniva posato sulle spalle. Gli occhi si allargarono per l’incredulità e il respiro si fermò in gola. ‹‹Cosa ci fai tu qui?››.
‹‹Che accoglienza calorosa››. Una risata – quella risata – le giunse in risposta. ‹‹Non mi aspettavo di certo che facessi i salti di gioia, ma quantomeno potresti ringraziarmi per averti risparmiato un malanno assicurato››.
‹‹Grazie››, mormorò appena, abbassando il viso per nascondere il rossore che sicuramente
Lo sentì avvicinarsi, avvertendo il suo profumo – muschio e vento – prima ancora del calore delle sue dita a contatto con la pelle, mentre le prendeva la mano tra le proprie per depositarvi un casto bacio.
‹‹Te lo avranno già detto in molti questa sera, ma… sei splendida››.
Sorrise, scuotendo il capo. ‹‹A dire il vero sei il primo››.
‹‹Questi giovani d’oggi. Non sono nemmeno in grado di corteggiare una fanciulla››.
Rise con lui, stringendo i lembi del mantello e immergendosi nel suo odore. Da quando ne sentiva la mancanza? ‹‹Come mai ti trovi qui?››.
‹‹Ma come, non è lampante?››. Lo guardò dubbiosa, mentre un lungo brivido le percorreva la schiena. Da quando Theodore la faceva tremare? ‹‹Sono uno dei pretendenti della regina di questa festa››. Le si avvicinò, le labbra che quasi le sfioravano la pelle sensibile vicino all’orecchio, ‹‹E sai una cosa? Credo di poter sbaragliare la concorrenza senza particolari problemi››.
Lo spinse via, non riuscendo a trattenere l’ennesima risata. La tristezza di quei giorni, che le erano sembrati lenti e tutti uguali, era solo un ricordo lontano. Da quando aveva quell’effetto su di lei? Solo un istante dopo quel pensiero, le sue mani le stringevano i fianchi in una stretta dolce e possessiva insieme. Prima ancora di poterlo capire, si ritrovò ad assecondare il lento dondolio dei loro corpi vicini, al ritmo di quella musica antica e languida che proveniva dal salone alle loro spalle.
La consapevolezza di sentirsi libera in quell’abbraccio, vicino a quel ragazzo che era parte della sua vita praticamente da sempre, la colpì con la stessa intensità della pioggia fresca di primavera. Ogni cosa le sembrava improvvisamente più semplice. Era libera di scegliere, e mai decisione le sembrò più giusta.
Appoggiò la fronte contro la sua spalla, abbandonandosi completamente a lui. ‹‹E se fossi davvero tu la mia scelta?››, sussurrò appena, il fiato che si infrangeva contro il tessuto della sua giacca.
Per un attimo, quel breve istante di silenzio e immobilità che le fece mancare un battito al cuore, temette di aver frainteso ogni cosa.
Forse lui non era lì per quello, forse la stava prendendo in giro, come era solito fare quando erano a scuola. Quando cercò di svincolarsi dalla sua stretta, lo sentì stringerla con maggiore forza. ‹‹Non penserai davvero che ti lasci libera adesso››. Le sollevò il viso, posandole due dita sotto il mento. Sorrideva, e lo stava facendo in quella maniera che aveva sempre riservato a lei soltanto. ‹‹Non dopo aver finalmente sentito le parole che aspettavo da una vita››.
‹‹Allora è un si?››, deglutì a fatica, cercando i suoi occhi ancora una volta.
‹‹Si››. Fu l’unica cosa che disse, prima di baciarla.
 
 
 
 
 
 
(*) il nome del cavallo di Daphne è una citazione del Signore degli Anelli, di J. R. R. Tolkien.

 

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Capitolo 5
*** Buon auspicio ***


Quinto prompt: ricordo
 
 
~Buon auspicio
 
 
La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda
e come la si ricorda per raccontarla.
 
- Gabriel Garcia Marquez –
 
 
 
Il discreto bussare alla porta la distolse dalla lettura, facendole alzare il capo e posare il libro in grembo. ‹‹Avanti››, rispose, leggermente scocciata. Si affacciò una giovane cameriera, tutta riccioli rossi e occhi verdi. La vide rimanere rispettosamente sulla soglia, quasi intimidita. ‹‹Cosa succede Iryn? Sai che non desidero essere disturbata quando mi trovo qui››.
La ragazza abbassò il capo, le gote arrossate, ‹‹Mi dispiace milady, sono davvero mortificata. Ma ci sono visite per voi››.
Aggrottò la fronte, perplessa. Non aspettava nessuno quel giorno. Chi mai poteva essere?
Iryn sembrò intuire la domanda inespressa che aleggiava nel suo sguardo, ‹‹Vostra figlia e vostra nipote attendono di essere ricevute››.
Un improvviso sorriso, dalla delicata sfumatura dolce, le incurvò le labbra, ‹‹Falle accomodare››. La ragazza titubò accanto alla porta, spostando rapidamente il peso da un piede all’altro. ‹‹C’è altro?››.
‹‹Mi domandavo se…››.
‹‹Si››, la anticipò, rivolgendole uno sguardo tranquillo, ‹‹Le aspetterò qui››.
La vide sgranare gli occhi, decisamente incredula. ‹‹Come desiderate››, rispose infine, in un mormorio confuso.
Una piccola risatina le sfuggì dalle labbra quando la porta si chiuse e fu nuovamente sola. Non poteva certo biasimare la piccola Iryn per la sua indecisione. Solitamente riceveva i suoi ospiti in uno dei salottini di rappresentanza o nel patio che si affacciava sul giardino, ma mai – mai – in quella stanza.
Quella era una sua personale esclusiva, qualcosa che apparteneva a lei. Solamente a lei.
Anche a Greengrass Manor ne aveva avuta una molto simile. A quei tempi, sua sorella Astoria l’aveva ribattezzata la Camera dei segreti (**), in quanto poche persone potevano accedervi ed esclusivamente in sua presenza. Per molti anni anche suo marito aveva rispettato quel silenzioso divieto, fino a quando non era stata lei stessa a permettergli di entrare.
Perché lì, tra quelle mura, custodiva il ricordo di una vita intera.
Si alzò, muovendo qualche passo per la stanza, senza cercare qualcosa in particolare eppure cogliendo ogni singolo dettaglio, come se fosse un ospite curioso. Passò le dita sugli intarsi dell’enorme scaffale in pregiato legno scuro, alto quasi fino al soffitto, che custodiva i suoi libri preferiti; si inebriò della fragranza delicata dei fiori – aveva sempre amato i fiori freschi, fin da bambina – che riempivano il vaso di cristallo sul tavolino accanto alla finestra. Aprì il carillon posato sul secretaire alla sua destra – ricordo di sua madre – e avvertì le lacrime pizzicarle gli occhi.
Ogni cosa parlava di lei, molto più dettagliatamente e profondamente di quanto avesse potuto farlo un diario scritto di suo pugno.
Per questo non aveva mai concesso a nessuno di entrare in quel piccolo mondo. Sarebbe stato un po’come dare libero accesso al suo cuore. E da brava Slytherin quale era stata, non poteva certo permettersi di rivelare ciò che la rendeva vulnerabile e imperfetta.
Ma, data la sua età, poteva ritenersi ormai libera da qualsiasi vincolo o restrizione. Era giunto il momento che anche sua figlia entrasse a conoscenza di quell’angolo di universo. Perché la amava, ed era il modo giusto per dimostrarglielo.
Una risata argentina e lo scalpiccio di piedi sul pavimento la avvisò dell’arrivo di sua nipote, prima ancora di poterla vedere. Passò solo qualche secondo, prima che la porta si spalancasse e una bambina dai lunghi capelli chiari, avvolta in un trionfo di tulle e merletti, le piombasse letteralmente addosso.
‹‹La mia bellissima Elaine››, la prese in braccio, stringendola forte.
‹‹Ciao nonna Daphne››, la piccola le schioccò un bacio sulla guancia, buttandole le braccia al collo. ‹‹Sei contenta che sono venuta a trovarti?››.
‹‹Certo, non potevi farmi regalo più bello››, strofinò il naso contro il suo, in un gesto affettuoso.
‹‹Ciao mamma››.
‹‹Vivienne››. Rivolse la sua attenzione alla donna ferma sulla soglia, composta ed elegante. Posò la bambina a terra, avvicinandosi per poterla abbracciare. ‹‹Sono davvero contenta di vederti››. Prese le mani tra le sue, soffermandosi a guardarla. Con i capelli scuri e lucidi e gli occhi chiari come acque limpide, portava in sé il ricordo di lei e di suo marito in egual maniera. ‹‹Sei sempre più bella››.
‹‹Per te il tempo invece sembra non passare mai››. Risero insieme, con la stessa risata dolce e melodiosa.
‹‹Vieni, avrai molte cose da raccontarmi››. Si accomodarono sulle poltrone di velluto blu accanto al camino. ‹‹Allora, come procedono le cose lassù, in Scozia?››, domandò, sorseggiando il tè bollente che Iryn aveva appena servito.
‹‹Direi bene. Elaine ha cominciato da qualche tempo a prendere lezioni da un precettore››. Vivienne cercò con lo sguardo sua figlia, intenta a giocare con una piccola sfera di cristallo piena di neve. ‹‹Dice che è molto sveglia per la sua età››.
‹‹Ha preso tutto da sua nonna››. Risero nuovamente, come se non fossero passati mesi dall’ultima volta in cui si erano incontrate.
Vivienne si guardò attorno, gli occhi attenti ‹‹Non ricordo di essere mai entrata in questa stanza››. Posò la tazza di fine porcellana sul tavolino li accanto, ‹‹Non hai mai voluto››.
‹‹No, hai ragione. A dire il vero, solo tuo padre ha avuto il permesso di entrarvi, per lo meno fino ad ora››. Si abbandonò contro l’alto schienale della poltrona, rilassandosi completamente ‹‹Qui conservo tutto ciò che amo di più al mondo. Non parlo solo di oggetti, ma anche di ogni singolo ricordo che a loro è legato››. Guardò nuovamente Vivienne, con tutto l’amore che una madre prova per sua figlia, ‹‹Volevo che sapessi che ne fai parte anche tu. Ne hai sempre fatto parte››.
‹‹Mamma io…››.
La fermò con un gesto dolce della mano, rivolgendosi poi a sua nipote ‹‹Elaine, potresti portarmi il libro che ho dimenticato sul tavolino?››. La bambina le trotterellò incontro, porgendole il piccolo volume rilegato in cuoio scuro, dal dorso consumato e le scritte quasi illeggibili. ‹‹Grazie cara, sei molto gentile››.
‹‹Che cos’è nonna Daphne?››, domandò curiosa la bambina, lasciando che la donna la prendesse e la facesse accomodare sulle sue gambe.
‹‹E’ un libro che racconta una storia davvero speciale. Ti va di ascoltarla?››. Elaine annuì entusiasta, battendo le mani e sorridendo a sua nonna. Rivolse un’altra occhiata a Vivienne, prima di cominciare, ‹‹Tutto cominciò molti anni fa, quando una ragazza di nome Daphne…››.
 
…aspettava Pansy davanti ai Tre manici di scopa. Come suo solito, era giunta notevolmente in anticipo rispetto all’orario stabilito.
Si guardò intorno, senza sapere cosa fare. Le strade della cittadina erano affollate e un allegro chiacchiericcio riecheggiava in ogni angolo. Il sole riscaldava piacevolmente l’atmosfera, portando le prime avvisaglie della primavera, e l’aria fresca di metà pomeriggio le faceva ondeggiare i capelli attorno al viso.
Sbuffò annoiata, incamminandosi lungo la via principale e confondendosi tra la gente. Se doveva perdere tempo, almeno lo avrebbe fatto in maniera piacevole.
Si fermò di fronte alle vetrine di Madama McClan, dove facevano bella mostra di sé abiti da sera dalle diverse fatture e dai meravigliosi tessuti. Sorrise al suo riflesso sulla vetrina al ricordo di quanta eccitazione aveva accompagnato la prima uscita a Diagon Alley, in occasione del Ballo di Yule.
Nonostante lei odiasse le feste, le era sembrata una buona occasione per comprarsi un nuovo abito.
Quella stessa sera aveva ricevuto il suo primo bacio.
Scosse la testa, arrossendo ancora al pensiero, decidendo di passare oltre. Acquistò un libro al Ghirigoro, per poi soffermarsi indecisa davanti alla Gelateria Fortebraccio. Le rimaneva giusto il tempo per un cono vaniglia e lampone – il suo preferito– prima di tornare al luogo dell’appuntamento.
 
‹‹Nonna Daphne, ma coma fai a raccontare la storia senza leggere?››, la interruppe Elaine, tirandole la manica.
La donna rise di gusto, scompigliandole i capelli, ‹‹Te l’ho detto, è una storia molto molto speciale. Questo››, indicò il libricino chiuso sulle sue ginocchia, ‹‹è il libro che la ragazza acquistò quel giorno››.
‹‹Vuol dire che eri tu?››.
‹‹Esattamente››, annuì, gettando uno sguardo fugace a sua figlia. ‹‹E quello che ti sto raccontando, è uno dei miei ricordi più belli››.
 
Stava per entrare, quando ebbe la sensazione che qualcuno avesse pronunciato il suo nome. Tornò sui suoi passi, le orecchie tese verso quel suono debole eppure insistente. Era come se conoscesse quella voce, quasi fosse l’eco di un ricordo.
Avanzò senza badare a chi le stava intorno, urtando chiunque le si presentasse davanti. Si ritrovò a correre, finché non giunse in un quartiere poco frequentato.
Una figura, seduta all’angolo di una via stretta e scura, che puzzava di umidità, attirò la sua attenzione.
Sotto gli indumenti sgargianti – turbante giallo, mantello azzurro, tunica fucsia e scarpe verdi - che la facevano sembrare una macchia di colore su una fotografia in bianco e nero, si intravedevano i lineamenti di una donna. Non avrebbe saputo dire quanti anni avesse, ma doveva essere giovane. Stava intrecciando coroncine di fiori, canticchiando a labbra socchiuse. ‹‹Benvenuta, bella fanciulla. Avvicinati, voglio farti un regalo. Una bella coroncina di ranuncoli starebbe bene tra i tuoi capelli››.
Guardò a destra e poi a sinistra, accorgendosi di essere completamente sola. ‹‹Veramente… veramente ho molta fretta. Magari la prossima volta›› mormorò prima di girare sui tacchi, cercando di allontanarsi senza sembrare scortese.
‹‹Posso leggerti il futuro… le carte mi parlano di ogni cosa››.
Si bloccò, un piede quasi a mezz’aria. Tornò a voltarsi, trovando sorprendentemente la donna in piedi, a pochi passi da lei. Notò per la prima volta i suoi occhi, di un intenso viola bluastro, che sembravano appartenere a una creatura di un altro mondo.
‹‹Avvicinati. Non avere paura››. La donna si presentò come una Veggente errante di nome Myra, l’ultima della sua stirpe. Sollevò un sopracciglio, scettica, quando le venne chiesto di scegliere una carta dal mazzo logoro e scolorito. Non aveva mai creduto nella Divinazione, eppure non aveva saputo resistere alla curiosità. ‹‹Oh, molto bene bella fanciulla. La melagrana››, la vide annuire convinta, rivolgendole un sorriso accattivante. ‹‹E’ di buon auspicio. E ora, dammi la mano››.
Guardò con sospetto la mano che le veniva tesa, prima di accettare l’invito. Vide le dita di Myra correre veloci lungo il palmo, seguendo linee che lei non riusciva a comprendere. ‹‹Sei nobile, bella fanciulla. Tutto in te parla di nobiltà. Avrai scelte difficili da affrontare, i tempi si faranno bui e rischierai di perderti tra le ombre››.
‹‹Non avevi detto che la carta era di buon auspicio?››, ribatté piccata, cercando di ritrarre la mano.
Ma la veggente la trattenne, scuotendo il capo divertita. ‹‹Sei impaziente, bella fanciulla. La melagrana impiega mesi per dare vita ai suoi succosi frutti››. Rimase nuovamente in attesa, mentre la donna tornava a concentrarsi. ‹‹Ci sarà qualcuno che illuminerà i tuoi pensieri. Una presenza costante, come la luce delle stelle nelle notti estive. Sarai felice con lui, bella fanciulla››. Arrossì a quella rivelazione, abbassando leggermente il viso. ‹‹E il vostro amore darà un frutto meraviglioso. Una bambina››.
‹‹Sono solo un mucchio di idiozie››, si divincolò con forza, arretrando.
‹‹Forse, bella fanciulla, forse››. Rabbrividì alla vista del sorriso enigmatico che Myra le rivolse. La vide frugare nel cestino che portava appeso al braccio, ‹‹Questa è per te, bella fanciulla››. Le porse una splendida coroncina di ranuncoli, dai colori del sole al tramonto. ‹‹Un ricordo, così che tu non possa dimenticare le mie parole››.
Se ne andò senza ringraziare, allontanandosi a passo svelto.
 
Sfogliò rapidamente le pagine del libro, fermandosi in un punto ben preciso. ‹‹Quando tornai nel mio dormitorio, quella sera, trovai questa nella tasca del mantello››. Sollevò una carta, dall’aspetto vissuto e consumato. Rappresentava una pianta di melagrana. ‹‹Non so come ci sia finita, ma da quel momento l’ho sempre portata con me››.
‹‹Perché?››, le chiese Vivienne, la voce stranamente tremante.
Alzò il viso verso sua figlia, accorgendosi di come i suoi occhi fossero umidi e il sorriso che le incurvava le labbra fosse dolce. Ricambiò quel gesto, sorridendo a sua volta, ‹‹Perché, nonostante per molto tempo abbia convinto me stessa a non credere a quelle parole, tutto quello che Myra mi predisse si è avverato, dando voce al mio sogno più grande››.
‹‹E qual era, nonna Daphne?››, domandò Elaine, curiosa.
Prese la coroncina di ranuncoli che giaceva ancora abbandonata tra le pagine, intatta come molti anni prima, posandola sulla testolina della bimba. ‹‹Myra mi disse che avrei avuto una bambina. Qualche anno dopo, quando sposai tuo nonno, mi aggrappai a quella speranza, perché non c’era niente al mondo che desiderassi di più di un figlio››.
‹‹E l’hai conservato qui dentro per tutto questo tempo?››.
‹‹Per quale motivo non avrei dovuto? Te l’ho detto, qui sono raccolti i miei tesori più grandi››. Si guardò attorno, lasciando che lacrime di gioia e commozione le scivolassero lungo il viso. ‹‹Cosa ci può essere di più importante del ricordo del giorno in cui mi è stata predetta la tua nascita?››.
Ogni altra parola, venne soffocata dall’abbraccio impetuoso di sua figlia.
 
 
 
 
 
(**)questo è un omaggio a J. K. Rowling.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                      
Ed eccoci arrivati all'ultimo capitolo.
Se siete arrivati fin qui, spero che almeno qualcosina in questa raccolta vi sia piaciuta ^^
Quasi quasi mi dispiace averla conclusa, ci sono affezionata. Lo considero uno dei miei esperimenti meglio riusciti.
Ma ovviamente il giudizio finale lo lascio a voi.
Vi rubo solo un'altra riga, per ringraziare le splendide persone che hanno commentato e chiunque abbia seguito, letto o inserito la storia tra le preferite, ricordate, o seguite.
Grazie davvero di cuore.
Ed ecco a voi, come promesso il commento della GiudiciA, a cui dico ancora grazie grazie grazie grazie! E’ stato un contest davvero divertente e stimolante.
 
 
~ Chicchi di melagrana– di =Morgana di Avalon=
Vincitrice del premio “Lacrima di Sole
Vincitrice del premio “Miglior fanfiction
 
 
Grammatica e sintassi 15/15
Lessico e stile 10/10
Attinenza alla traccia e sviluppo 10/10
IC 15/15
Gradimento personale 2/2
Totale 52/52
 
Note: Inizio col dire che queste tue one-shot mi hanno letteralmente inumidito gli occhi sin dall’inizio, e poi alla fine non sono riuscita a trattenere il flusso corrente di lacrime che continuava a sgorgarmi dagli occhi.
Davvero, mi hai letteralmente fatta scoppiare a piangere!
Non ho trovato nessuna pecca in nessun parametro di giudizio: grammatica perfetta, stile di scrittura molto scorrevole e lessico semplice ma allo stesso tempo molto ampio e vario. Utilizzi parole molto ricercate e sai metterle sempre al posto giusto.
Per quel che riguarda l’attinenza al tema e l’IC, non ho potuto far altro che darti anche in questi campi il massimo del punteggio: hai rispettato tutte le regole da me imposte al contest, e anche se di Daphne non sappiamo molto tranne il fatto che è bionda, con gli occhi azzurri e Purosangue, hai saputo delinearne i tratti perfettamente, quasi fossi tu la scrittrice originale e non la Rowling.
Ho voluto assegnare due premi alla tua fanfiction: il primo, richiama ciò narrato nella prima one-shot, e si riferisce alle lacrime che sei riuscita a strapparmi alla fine di tutto; il secondo, si riferisce semplicemente al fatto che, tra tutte le storie partecipanti, la tua è indubbiamente la migliore. :)

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