Assolutamente perfetto

di L_Fy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: ***


Assolutamente perfetto.
Il suo viso, naturalmente: le ci erano volute ore ma l’abile uso del make up aveva fatto il suo dovere e persino lei stessa, il più impalcabile giudice sull’argomento, non riusciva a trovarsi un solo difetto.
L’incarnato era dorato e luminoso, come si addiceva alla pelle ancora abbronzata di inizio settembre: gli occhi cangianti sul verdino, sensuali, sottolineati dal trucco prugna e oro che faceva parte della nuova collezione autunno inverno di Shiseido: semplicemente perfetto.
La bocca delicatamente imbronciata era quella che aveva subito più metamorfosi prima di quella versione definitiva: prima era prugna, poi è passata a un dorato troppo vistoso per approdare all’attuale neutro lucido. Perfetta.
Capelli lunghi neri, sfilati, odorosi di lacca e più impalcati della Cappella Sistina. Perfetti.
Collo lungo e aggraziato da cigno altezzoso, seno col giusto sostegno ma ben posizionato in vista, vita sottile e sinuosa. Perfetto.
Vestito intero, corto ma non troppo, scollato il giusto, color malva abbinato al trucco e agli orecchini pendenti. Perfetto.
Gambe da urlo, depilate, lisce, abbronzate, con il polpaccio delineato e fatto risaltare dal tacco 10 dei sandali viola. Perfetto, perfetto, perfetto.
Avrebbe usato persino le munizioni pesanti profumandosi di Chopard. Un classico infallibile, la bomba a mano della seduzione.
Sarebbe stata uno schianto. Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto.
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
E infine, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
*          *          *
L’avrebbe guardata e gli sarebbero caduti gli occhi dalle orbite, rimbalzando contro le lenti degli occhiali. L’avrebbe guardata così intensamente che gli sarebbero colati quei dannati bulbi celesti in mezzo alle pagine dei suoi stramaledettissimi libri mentre si sarebbe chiesto disperato come aveva fatto a non notarla prima. Sì, stavolta sarebbe successo. Doveva succedere.
Veronica respirò profondamente, alzando il mento e Byron, il suo Scottish Terrier abbaiò nel modo un po’ monco che gli era caratteristico come per darle man forte. Gli lanciò uno sguardo affettuoso e grato: Byron era l’unico che sapesse di lui. Figurarsi se ne avrebbe parlato con Maria Lucrezia, Maria Beatrice o Maria Vittoria: l’avrebbero guardata come se avesse ammesso di aver contratto una qualche esotica malattia tropicale… anzi, peggio: l’avrebbero guardata come se avesse una stramaledetta, banale, plebea, disgustosa psoriasi. D’altronde, come dar loro torto? Se non fosse successo a lei ma a una di loro, anche Veronica le avrebbe guardate così. E invece questa cosa stava proprio succedendo a lei, in modo del tutto inaspettato, con una rapidità così sconvolgente da non permetterle di correre ai ripari finché era in tempo, con una profondità elementare da disarmarla completamente: lei, proprio lei, Veronica Alberice Scarlini della Torre, si era innamorata di Paolo Bianchi.
*          *          *
Ecco, l’aveva definitivamente pensato, che Yves Saint Laurent la perdonasse. Avrebbe avuto meno difficoltà ad ammettere che aveva contratto la lebbra, ma tant’è, le tragedie vanno affrontate coraggiosamente di testa, nevvero? Persino quelle più aberranti e sconcertanti che la vita propina. E il fatto di essersi innamorata di Bianchi… beh, un tale cosmico sconvolgimento andava affrontato prima o poi, non solo con un interlocutore canino, ma così, faccia a faccia con se stessi davanti allo specchio.
Come fosse successo proprio non se lo spiegava. Conosceva Bianchi dalla prima elementare. Scuola privata, naturalmente: l’istituto comprensivo di Santa Maria delle Rocche, frequentato dai rampolli delle famiglie più in vista della città… nonché dai figli dei bidelli, tali Bianchi, Fagotto, Ratti, Caputo e Bortolotti, per concessione molto cristiana dei genitori Dei dell’Olimpo. Questi villici figuri erano gente che per gli otto anni di scuola dell’obbligo erano stati trattati come sterco bovino da Veronica stessa e dalla sua ristretta cerchia di amicizie (la famosa e spesso citata créme de la créme dell’alta società). Lei e le sue amiche non avevano mai fatto niente di fisicamente sconveniente per ribadire le reciproche, ovvie posizioni sociali; si erano limitate a qualche frecciata verbale, qualche velato commento….
*          *          *
Flashback
Prima elementare: un bimbetto smilzo e sottile, dai fini capelli biondi, gli occhiali a fondo di bottiglia e l’aria timidissima, era fermo impalato al centro dell’aula gremita di bambini accompagnati dalle tate di tante diverse nazionalità. Disorientato, si guardò intorno cercando occhi amici ma incontrò solo ostili sopracciglia alzate sul suo grembiule nero da poco prezzo. Non distante da lui, una ragazzina bellissima, dal volto ovale e dai lunghi capelli neri, lo guardava con un po’ meno indifferenza, diligentemente per mano alla sua governante inglese. Il bimbo, con uno sforzo sovrumano, tentò un sorriso stiracchiato.
“Ehm… c-ciao?” singhiozzò senza voce “Io s-sono… Paolo Bianchi?”
L’agitazione lo faceva parlare sempre in modo interrogativo e non era nella sua indole attaccare bottone, ma si sentiva così solo, aveva così disperatamente bisogno di un amico…
La bambina bellissima pressò le labbra e distolse in fretta lo sguardo, come se si fosse accorta d’un tratto che il bambino biondo era ricoperto di guano.
“Sparisci, scherzo della natura.” disse con voce cristallina e subito dopo si scordò di lui.
*          *          *
Altro flashback
La terza media è dura per tutti, ma mai come per un ragazzino tredicenne e complessato figlio del bidello in una scuola frequentata da semidei snob che minimo minimo hanno tre cognomi altisonanti e talmente tanta puzza sotto il naso da sembrare di avere appeso un tubo fognario alle narici. 
“Ehi, arrivano le Marie e Grimilde” disse Francesco con voce allarmata “Pasquale, Paolo, muovetevi.”
Pasquale Caputo e Paolo Bianchi si lanciarono un breve sguardo terrorizzato alle spalle e poi, contemporaneamente, tentarono di spostare freneticamente dal corridoio il loro progetto di geografia, ovvero il plastico in scala di Parigi preparato con tanta cura e imbullonato a un rettangolo di compensato.
Colpa di Bianchi, notoriamente più lento e lungo di un’era geologica, i tre non fecero in tempo a spostare completamente il lavoro dalla corsia prima che le quattro ragazze arrivassero davanti a loro, precedute da una ventata di profumo costosissimo e accompagnate dal suono perfettamente sincronizzato dei loro tacchi sul marmo del pavimento.
“Alla larga, sgorbi.” sentenziò la voce di Maria Lucrezia, attualmente colei che aveva il grado più basso nella gerarchia sociale del gruppetto e quindi addetta alle pubbliche relazioni con il volgo.
“Sì, su-subito?” balbettò Paolo lanciando un rapido sguardo al Divino Quartetto, perdendo tempo nello spingersi gli occhiali su per il dorso del naso sudato.
Maria Vittoria, spazientita, lo spinse di lato usando appena le unghie curatissime delle dita, ma quel semplice gesto riuscì a destabilizzare il plastico che cadde rovinosamente per terra tra i sospiri costernati di Francesco e Pasquale. Senza nemmeno rallentare l’andatura, Veronica Scarlini della Torre, la regina del gruppetto (ruolo chiaramente evidenziato dalla sua posizione centrale) avanzò oltre senza nemmeno guardare giù, sbriciolando graziosamente la Torre Eiffel in miniatura con il tacco dei sandali Versace.
 “Il mio plastico?” osò sfiatare Paolo sottovoce: ci aveva messo una settimana a prepararlo…
Veronica lo sfiorò appena con un’occhiata di gelida superbia.
“Sparisci, mollusco.” disse poi e di nuovo subito dopo si scordò di lui.
*          *          *
… e va bene: in otto anni di scuola dell’obbligo Veronica aveva trattato Bianchi e la sua combriccola di insetti parlanti con un filino di altezzoso snobismo. Ma si era informata sull’argomento e sapeva che questo succedeva persino alla gente comune nelle scuole comuni. In fondo, erano bambini, no?...
*          *          *
Flashback
Seconda liceo: compito in classe di latino. Paolo Bianchi rimirò soddisfatto la propria traduzione, felice di averla finita con tanto anticipo. Un dito gli pungolò la schiena.
“Ehi, scherzo della natura. Passa il compito.”
Grimilde in persona! Paolo sentì immediatamente le viscere liquefarsi in grembo. Il dito lo pungolò ancora, imperioso.
“Allora?”
Con un sospiro, Paolo accartocciò il compito e lo strinse nel pugno che si portò dietro la schiena: nemmeno a pensarci di disobbedire alla Regina Grimilde. L’ultima volta che ci aveva provato si era trovato un rapporto scritto sul diario e l’accusa di aver copiato pendente sulla testa come una spada di Damocle. Due dita fredde e asciutte gli rubarono in foglio senza nemmeno toccarlo. Paolo sbirciò alle sue spalle, depresso.
“Che ti guardi?” soffiò la voce artica di Grimilde  “Girati, obbrobrio.”
E Paolo si girò con un sospiro rassegnato.
*          *          *
… e si, bisognava ammettere che le cose non erano cambiate un gran che al liceo privato che, tra parentesi, Bianchi aveva potuto frequentare soltanto grazie alla borsa di studio che il padre di Veronica, direttore del gruppo farmaceutico SedLex, aveva istituito per gli studenti più meritevoli.
Era vero, lei non aveva mai valutato l’esistenza di Paolo Bianchi; era vero, per lei era sempre stato a malapena una figura antropomorfa intuibile ai margini del suo campo visivo; fino a quattordici giorni prima nemmeno si ricordavo il suo nome perché per lei era semplicemente lo “scherzo della natura” ed era vero, doveva averlo preso in giro e/o demolito almeno un miliardo di volte nel corso di quei complessivi tredici anni di convivenza scolastica; era vero tutto, si era comportata con lui come una perfetta stronza snob. Poi, cosa diavolo era successo…?
Che Dior la fulminasse se lo sapeva.
*          *          *
Due settimane prima…
Secondo giorno di scuola: in classe il professore di letteratura francese stava spiegando con molto sussiego il programma per il nuovo anno scolastico, in previsione del diploma. Maria Lucrezia Odescalchi, impegnatissima a limarsi le unghie con una lima di platino, nemmeno si degnava di alzare lo sguardo quando il professore le passava accanto. Maria Vittoria Degli Estensi, in compenso, stava svogliatamente appuntando qualcosa sul suo i-Phone ultimo modello; Veronica Scarlini della Torre, momentaneamente disoccupata, era casualmente attenta alle parole del professore. Più che un caso, un evento epocale: in fondo però l’argomento, i famosi poeti maledetti di fine ottocento, le era sempre piaciuto. Così elegantemente fané, con quel tocco di decadenza…
“…quindi” concluse il professore “Ci concentreremo su Corbière, Mallarmé, Rimbaud, Villiers de l’Isle Adam, Desbordes-Valmore e… qualcuno sa chi manca?”
Come no. I ragazzi della classe guardarono il professore come se avesse chiesto chi di loro era disposto a donare un rene.
“Allora? Nessuno sa chi era l’ultimo dei poètes maudits?”
“Verlaine?” mormorò una voce alla destra di Veronica.
Era lo scherzo della natura: figurarsi se quel secchione non lo sapeva.
“Bene, Bianchi” approvò il professore “Sapete, millenni fa, quando ero uno studente come voi, basai la mia tesi di laurea proprio su Verlaine. Naturalmente non mi faccio influenzare da nessuno, ma se ora qualcuno sapesse citare un’opera del mio poeta preferito il mio morale ne risentirebbe alquanto positivamente e ciò si ripercuoterebbe di sicuro nella mia prossima assegnazione dei compiti a casa…”
Purtroppo solo alcuni studenti avevano ascoltato il professore e di quelli che lo avevano ascoltato solo due avevano le capacità intellettive sufficienti per capire quello che aveva ironicamente proposto: una di questi era Veronica Scarlini della Torre, che non sapeva nemmeno che Verlaine fosse mai esistito.
“Peccato” pensò fuggevolmente rimirandosi l’unghia del pollice “Se qualcuno sapesse uno straccio di…”
“Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora, poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente a ritornare a me che la chiamo e l'imploro, poiché questa felicità consente ad esser mia…”
Era di nuovo lo scherzo della natura. Si era levato quei due fondi di bottiglia che si ostinava a chiamare occhiali e fissava il soffitto con aria concentrata. Diamine, sapeva pure la poesia! Era decisamente un mostro, pensò Veronica girandosi a guardarlo. Il sole settembrino illuminava la stanza e i capelli del giovane, la cui voce gradevolmente bassa e pacata donava alle parole della poesia una malinconica sfumatura autunnale.
“… facciamola finita coi pensieri funesti, basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto basta con l'ironia e le labbra strette e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava...”
Che capelli biondi che aveva lo scherzo della natura, notò Veronica fuggevolmente. Non se n’era mai accorta prima. Forse perché li aveva sempre tenuti con un taglio tattico cortissimo alla bersagliera e invece adesso erano lunghi sul collo e sulle orecchie, leggermente mossi. Belli, ammise con una punta di sorpresa. Un biondo Grace Kelly molto chic.
“.. E basta con quei pugni serrati e la collera per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano; basta con l'abominevole rancore! Basta con l'oblio ricercato in esecrate bevande!”
Anche le ciglia erano bionde. Lunghissime come frange di seta sugli occhi celesti alzati sognanti verso il soffitto. Veronica sbatté le palpebre e la luce subì uno strano effetto, concentrandosi sulla semplice camicia bianca che lo scherzo della natura indossava facendola risplendere. Quasi suo malgrado Veronica si trovò a fissare per la prima volta intensamente la figura alta e allampanata del compagno di classe mentre qualcosa dentro di lei iniziava a muoversi: qualcosa di antico, arrugginito dal tempo, solidificato dal lusso e dal cinismo, nascosto da strati di trucco e vestiti di seta. Qualcosa che pulsava, irradiandosi dal centro del petto al resto del corpo.
“… Perché io voglio, ora che un Essere di luce nella mia notte fonda ha portato il chiarore di un amore immortale che è anche il primo per la grazia, il sorriso e la bontà…”
Forse era il cuore. No, impossibile! Eppure sembrava proprio un battito quello che aumentava d’intensità e ostruiva la gola man mano che la voce di Bianchi (ecco come si chiamava! L’aveva ricordato!) arrivava a lei, carezzando dolcemente l’aria, entrandole dentro subdolamente senza nemmeno chiedere il permesso.
“… io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme, da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia, camminare diritto, sia per sentieri di muschio sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino…”
Forse era la poesia, pensò Veronica mentre un sottile vena di panico si insinuava nei suoi pensieri. Figurarsi se tutto quel po’ po’ di emozione era per Bianchi… eppure, per quanto fosse assurdo e alieno, non riusciva a staccare gli occhi dalle sue ciglia bionde e vibranti. Erano lì a un metro da lei, come sempre da 13 anni a quella parte, e lo stesso le sembrava di non aver visto mai niente di così perfettamente bello e puro in tutta la sua vita. Assurdo. Ridicolo!
“… sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita verso la meta a cui mi spingerà il destino, senza violenza, né rimorsi, né invidia: sarà questo il felice dovere in gaie lotte…”
Cos’era? Cos’era? Il panico diventò un fiume in piena nel quale Veronica rischiò di finire travolta. Stava forse avendo un problema al cuore? Infarto? Apoplessia? Trombosi? Quell’affare non poteva battere tanto forte ed essere ancora sano… Doveva forse far chiamare la guardia medica…?
“…E poiché, per cullare le lentezze della via, canterò arie ingenue, io mi dico che lei certo mi ascolterà senza fastidio; e non chiedo, davvero, altro Paradiso.”
Veronica Scarlini della Torre si alzò bruscamente in piedi scostando la sedia con un rumore forte e stonato: immediatamente lo sguardo di tutti si posò su di lei, compreso quello blandamente sorpreso del professore. E quello di Bianchi.
“Sì?” domandò educatamente il professore: anche lui sapeva chi era il padre di Veronica e il tono della sua voce era decisamente premuroso.
Lei però lo ignorò bellamente: stava guardando gli occhi di Bianchi. Erano celesti con sfumature blu pervinca, constatò con accademico interesse. Erano grandi, proporzionati; molto lucidi; di forma ovoidale tipicamente caucasica; sovrastati da sopracciglia ad ala di gabbiano leggermente più scure dei capelli; espressivi, ingenui, timidi; in quel momento erano ancora vagamente persi nell’aere, perplessi, tersi e puliti come laghi di montagna. La guardava dritto e Veronica si sentì trafitta da una lama incandescente. Il respiro le si incastrò in gola come un maledetto osso di pollo.
“Signorina Scarlini? Tutto bene?” osò il professore incerto.
Bene? Ma per un cavolo, pensò Veronica cadendo miseramente in un pessimo linguaggio triviale. Forse sto avendo un aneurisma. O forse no. Comunque era quasi nel pallone.
“Non mi sento bene.” disse con voce flebile.
Abbassò gli occhi e finalmente si accorse di aver trattenuto il fiato: il cuore o qualsiasi cosa fosse quella palla pulsante che le infuocava il petto, batteva ancora come un matto saldamente incastrato in gola.
“Vuole andare in infermeria? Sembra pallida.”
“No. Sì.”
Rettifica: era completamente nel pallone!! Però ora che aveva spezzato il contatto visivo con gli occhi di Bianchi andava meglio perché poteva finalmente respirare.
“Bene, vada pure. Bianchi, potrebbe accompagnarla?”
“Certo.” rispose Bianchi inforcando zelante gli occhiali che aveva ancora in mano.
Nessuna novità karmica: se serviva una persona per accompagnare qualcuno in infermeria, i professori chiedevano invariabilmente a Bianchi… tutti sapevano chi era il plebeo, lì dentro. Chissà quante volte Veronica stessa si era fatta scortare dallo scherzo della natura pur di schivare un compito in classe; magari affibbiandogli la borsa come se fosse un fattorino e liquidandolo alla fine con il solito “evapora, scherzo della natura”.
In silenzio si avviò verso l’uscita, sorpresa di riuscire a deambulare in linea retta. Alle sue spalle Bianchi urtò un banco con il fianco destro, mormorò una scusa, urtò la cattedra con il fianco sinistro, guaì dal dolore, ciabattò verso la porta e fece cadere i gessetti dal loro supporto; aveva decisamente la grazia di un branco di cinghiali allo stato brado, pensò Veronica senza girarsi a guardare. Il fatto che quel pensiero le risultasse orribilmente tenero avallò solo l’ipotesi di stare subendo una qualche lesione cerebrale e le fece allungare il passo. Giunta però a metà corridoio di colpo rallentò e Bianchi per poco non le finì addosso.
“Scusa?” le mormorò ristabilendo rapidamente le distanza.
Quando era agitato parlava ancora in forma interrogativa… anche questo sembrò vomitevolmente carino a Veronica che si girò a guardarlo con aria ostile. Quando se ne accorse, Bianchi sobbalzò penosamente.
“Ehm!” ragliò di colpo spaventato.
Grimilde lo stava guardando. Era ferma in corridoio e lo guardava: non era mai successo prima di allora! Evidentemente stava per accadere qualcosa di epocale: una tempesta magnetica… o forse stava male davvero… o lui aveva combinato qualche catastrofe senza ricordarsene?
“Cosa c’è?” chiese con improvviso affanno, arrovellandosi alla ricerca di una scusa per difendersi prima ancora di essere accusato.
“Niente” rispose Veronica soprappensiero: lo guardava ancora, fissamente. Doveva avere qualche strana macchia sulla faccia, pensò Paolo incerto… poi, sfidando qualsiasi legge fisica, Veronica proseguì: “Stavo andando troppo veloce e ti ho aspettato.”
No, cioè… Grimilde aveva risposto. A lui. Parlandogli direttamente. Senza insultarlo. Impossibile!
L’ipotesi della tempesta magnetica era sempre più plausibile.
“Stai male?” azzardò senza quasi sapere di parlare: era decisamente sotto shock.
Lei inclinò il capo, sbattendo le ciglia.
“Sto male?” chiese sottovoce, come se lui l’avesse contagiata con la sua perpetua forma interrogativa. Sì, Grimilde stava male: decisamente male!
“Speriamo che non svenga qui”, pensò affannosamente Paolo cercando una via di fuga con lo sguardo: se fosse caduta e avesse battuto la testa, avrebbero dato la colpa a lui?… E se si fosse rotta un tacco? Mica gli avrebbero fatto pagare le scarpe come nuove… avevano l’aria di costare di più di un monolocale!
“Vado a chiamare qualcuno?”
“No… non ce n’è bisogno. Credo.”
Sembrava perplessa e smarrita anche lei. Se non fosse stato che lei era Grimilde e  lui lo scherzo della natura, le avrebbe chiesto se voleva appoggiarsi, ma…
“Posso appoggiarmi?”
Paolo era così tramortito che quasi fu lui a svenire.
“Q-u?” gorgogliò completamente alla deriva.
“Appoggiarmi. Forma riflessiva del verbo appoggiare. Devo farti la richiesta bollata o preferisci che abbia un mancamento qui in corridoio?”
Inebetito come un automa, Paolo porse il braccio a Veronica e lei si appoggiò con garbo, riprendendo a camminare lentamente. Senza ucciderlo e senza tramutarlo in pietra con il tocco della mano. L’ipotesi della tempesta magnetica doveva lasciare la pole position alla molto più probabile possessione aliena, meditò Paolo remotamente. E poi era così in tensione che gli sembrava di avere una corona di spine velenose posata sulla spalla al posto della mano di Grimilde. La strada per l’infermeria sembrò più lunga del pellegrinaggio alla Mecca; per poco Paolo non si genuflesse quando arrivarono e la mano elegante di Veronica abbandonò la sua spalla. Trattenne un sospiro di sollievo e Veronica aprì la porta dell’infermeria.
“Grazie.” gli disse poi con voce neutra, chiudendo la porta sulla sua faccia di nuovo completamente basita di fronte a quella impossibile parolina.
*          *          *
Non aveva avuto un infarto: nemmeno un’ischemia né una trombosi. Aveva fatto gli esami del sangue per sicurezza e non era risultato niente di niente, il suo cuore era a posto così come il suo cervello. Solo che così, di colpo, senza nessuna ragione di essere, si era trovata innamorata di Bianchi.
Bianchi lo scherzo della natura. Bianchi il servo della gleba. Bianchi lo sgorbio.
Se lo venivano a sapere Maria Vittoria, Maria Lucrezia e Maria Beatrice l’avrebbero inchiodata alla croce sbattendo il video su You-Tube. D’altronde, lei per prima non si raccapezzava. Eppure era da due settimane che in classe non faceva altro che guardare lui, Paolo- scherzo della natura – Bianchi per cinque maledette ore al giorno senza mai stancarsi. Con suo enorme sconcerto aveva dovuto ammettere che era lui che non vedeva lei. La cosa aveva del fantascientifico e lei per prima faticava a crederci, ma aveva dovuto constatare che era davvero così. Lui non la vedeva nemmeno di striscio: il più delle volte la evitava come la peste, passando per vie secondarie pur di non incrociare Veronica e le sue amiche in corridoio, facendo il giro del perdono in classe pur di non sfiorare il suo banco e tenendosi sempre rigorosamente alle sue spalle. Era stata una autentica sorpresa dover ammettere che poteva guardarlo tutto il giorno a suo piacimento perché tanto lui non si girava mai dalla sua parte. Mai. A scuola seguiva le lezioni con snervante concentrazione e poi filava via a occhi bassi, sbatacchiando un aborto di borsa centenaria contro le ginocchia ossute. E invece di farla desistere da quell’insano interesse, ogni cosa nuova che notava di lui la attraeva sempre di più.
Subito non pensava fosse davvero interesse romantico quello che sentiva; pensava di essersi innamorata del suo colore di capelli e aveva considerato l’ipotesi di risolvere tutto facendosi i colpi di luce, ma poi aveva capito che non avrebbe risolto niente. Non erano i suoi capelli: erano i suoi capelli accessoriati da lui stesso quello che voleva. Vedere da vicino quelle tre ciocche a forma di virgola che gli comparivano sulla nuca quando chinava la testa… avrebbe voluto arrotolarle sulle dita, seguire la linea del suo collo, sfiorare la peluria bionda che certi giorni gli ombreggia le guance, togliergli dal naso quel quintale di silicio che aveva per occhiali e guardare di nuovo l’incredibile color pervinca dei suoi occhi…
E le sue mani. Che belle. Erano lunghe e un po’ goffe; le agitava spessissimo quando si infervorava in una discussione accademica. Era adorabile perché le guance gli diventano lucide e rosse come mele e iniziava a parlare balbettando leggermente. Ma non mollava e in effetti aveva quasi sempre ragione. Qualche giorno prima aveva disquisito per un’ora con la professoressa di latino su come andasse tradotto un passo di Cicerone e alla fine il poveretto sudava letteralmente. Ma l’aveva vinta lui. Aveva sorriso esultante come un bambino e Veronica avrebbe voluto scavalcare il banco, atterrargli tra le braccia e… e non lo sapeva nemmeno lei, l’aberrante visione si era interrotta lì. Per quella volta. Ma c’era il non trascurabile fatto che quando prendeva appunti si mangiava l’unghia dell’anulare: Veronica aveva perso qualche preziosa ora della sua vita a chiedersi imbambolata perché proprio quel dito e non gli altri e il quesito cosmico continua a destabilizzarla. Le sue difese a quel punto erano a un minimo storico e prima o poi avrebbe fatto qualche passo falso, uno scivolone di etichetta e per la Regina, al secolo Veronica Alberice Scarlini della Torre, sarebbe stata la fine.
La situazione era chiaramente gravissima: fino a quel momento era riuscita a tenerla sotto controllo, ma se continuava così prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto. La prima volta che Maria Beatrice le avrebbe detto che l’aveva colta in flagrante contemplazione degli anulari di Bianchi avrebbe anche potuto dirle che aveva avuto un attacco di strabismo (e Maria Beatrice sarebbe stata anche capace di crederci…), ma alla seconda? Alla terza…? Ecco perché aveva deciso di passare al contrattacco… quel giorno stesso.
Quel giorno, quando era assolutamente perfetta. Quel giorno, quando lui si sarebbe accorto finalmente di lei.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Maria Beatrice Finzi Sforza parcheggiò con elegante noncuranza la sua borsa firmata sulla spalla e si aggiustò il rossetto e l’uscita del seno dalla scollatura, a ignaro beneficio dei compagni che entravano a scuola e che non potevano di certo non notare le sue manovre. Qualcuno le sfiorò la spalla e Maria Beatrice si esibì in un dietrofront hollywoodiano degno di una folla di Paparazzi.
“Marialu!” cinguettò all’indirizzo di Maria Lucrezia Odescalchi.
“Mariabe!” rispose a tono la giovane, sparando due bacetti all’aria ai lati del viso di Maria Beatrice.
“Stamattina sei un incanto!”
“Anche tu, tesoro, sei bellissima! Chanel?”
“Dior!”
Nel mentre arrivò alle loro spalle anche Maria Vittoria Degli Estensi.
“Mariavi!”
“Marialu! Mariabe!”
Bacetti in aria.
“Stamattina sei favolosa!”
“Anche tu, tesoro, sei bellissima! Saint Laurent?”
“Hermes!”
Mentre cinguettavano come cinciallegre arrivò con passo stranamente deciso anche Veronica Scarlini della Torre: la scena era destinata a ripetersi con deprimente regolarità.
“Vero!”
“Mariavi! Marialu! Mariabe!”
Bacetti in aria.
“Stamattina sei splendida!”
“Anche tu tesoro, sei spettacolare. Valentino?”
“Gucci!”
Terminati i convenevoli, Maria Vittoria iniziò a raccontare con dovizia di particolari la sua ultima seduta dal personal trainer di yoga mentre Veronica, con fare casuale, si aggiustava i capelli dietro l’orecchio e si guardava intorno. Individuò Bianchi in arrivo dal corridoio, deglutì e sfarfallò le ciglia, arrossendo leggermente senza nemmeno accorgersene: con la coda dell’occhio seguì la sua entrata mentre camminava ciondolando e sbatacchiando la sua logora borsa contro il ginocchio, ignaro di essere osservato così attentamente. Indossava un maglione di cotone e un paio di jeans che offendevano grandemente il senso estetico di Veronica, ma quando si grattò la nuca e per un attimo si intravidero i tre ciuffi a forma di virgola dei suoi capelli, per poco non venne travolta da un’ondata di tenerezza. Bianchi raggiunse uno sparuto gruppetto di persone nell’angolo più lontano dell’atrio normalmente denominato “il muro degli sfiguz”, quello contro cui stazionavano i vari “sgorbio”, “scherzo della natura”, “mostro” e creature similari della scuola. Come al solito salutò una specie di cormorano pelle e ossa chiamato affettuosamente “il Tucano” per le colossali dimensioni del naso e un barilotto basso e rotondo detto “il Ciccio” per motivi più che ovvi. Era ora di entrare in azione, pensò Veronica con un improvviso attacco di batticuore.
“Ho paura che il brillante dell’anello che mi ha regalato mio zio non sia autentico.” esordì di punto in bianco, troncando a metà la telecronaca di Maria Vittoria.
Sventolò persino il suddetto anello in mezzo al gruppo per confermare i suoi sospetti.
“E’ impossibile.” si riprese prontamente Maria Lucrezia, ma l’amo era stato gettato per Maria Beatrice, vero asso nel valutare peso, caratura, qualità e composizione chimica di qualsiasi pietra preziosa.
“Fai vedere.” disse infatti quest’ultima prendendo il monile e avvicinandosi alla finestra per studiare la pietra in piena luce; la finestra era situata esattamente di fianco al muro degli sfiguz e mentre Veronica e le altre si avvicinavano alla finestra i tre contro il muro si ammutolirono all’istante osservandole come se fossero una delegazione vulcaniana discesa sulla terra a scopi bellici.
“A me sembra autentica” valutò Maria Beatrice con aria professionale dopo un attento studio dell’anello contro la luce “E poi dai, figurati se tuo zio ti rifila un falso… non sarebbe da lui!”
“Probabilmente hai ragione” rispose Veronica riprendendo l’anello e facendoselo scivolare al dito: sperava che il Tucano, Ciccio e Bianchi a quel punto stessero guardando di sottecchi dalla sua parte, ma non ne era certa: d’altronde non era normalmente possibile avvicinare uno degli sfiguz più di così senza dover ricorrere a un “evapora, scherzo della natura” che avrebbe mandato all’aria i suoi piani, quindi non arrischiò nemmeno un’occhiata nella loro direzione ma proseguì la conversazione guardando fuori dalla finestra come se le piacesse il panorama.
“Diamine, la scuola è appena cominciata e mio padre ha già cominciato a tartassarmi per i voti” sospirò con voce sufficientemente alta.
Era una balla, naturalmente: suo padre a malapena ricordava con quale delle sue tre ex mogli l’avesse generata, figurarsi se si interessava della scuola.
“Non me lo dire” agganciò subito Maria Vittoria, su cui si poteva sempre contare per un “a me di più” “Mia madre è un tormento! E pensare che siamo a scuola solo da una settimana!”
“Veramente sono tre” rettificò Veronica con nonchalance “Comunque quest’anno è l’ultimo e mio padre pretende assolutamente che arrivi preparata al diploma. Vuole addirittura che prenda lezioni.”
“Ma non ne hai assolutamente bisogno, tesoro!” protestò oltraggiata Maria Beatrice “Una come te che ha sempre avuto la media del sette…” media che era sempre stata regalmente concessa a fine anno, a parte grammatica dove stranamente era un asso, ma quello era un dettaglio “Dì a tuo padre che ci vada lui a lezione da un supplente con l’alitosi!”
“A dire il vero non è male come idea” buttò lì Veronica sempre a occhi bassi e voce piena “Non vorrei arrivare all’esame di stato con delle lacune e dover studiare tutto l’ultimo mese… dopo chi se la gode Bora Bora in luglio con un tale stress alle spalle?”
“Hai perfettamente ragione” rigirò prontamente la frittata Maria Beatrice senza nemmeno mezza remora morale “Un aiuto professionale fin dall’inizio ti toglie metà del lavoro alla fine! Hai bisogno di qualche nominativo conosciuto? Lo sai che mio padre conosce il rettore dell’università e se vuoi il professore migliore sulla piazza non devi far altro che dirmelo e te lo rendo disponibile.”
Veronica cercò di dominare l’agitazione rigirandosi l’anello nel dito.
“Veramente non pensavo di avvalermi di un professore” disse cercando di sembrare noncurante “Non credo di essere poi così indietro col programma.”
“Giusto” approvò immediatamente Maria Lucrezia con un breve sguardo vittorioso verso Maria Beatrice “Nemmeno io scomoderei i luminari dell’insegnamento per delle lezioni private. Hai in mente qualcos’altro? Un centro didattico?”
“Io, ehm, pensavo di più a un… compagno di scuola.”
Ecco, l’aveva detto. E non le era nemmeno tremata la voce. Non guardare verso Bianchi e la sua compagnia circense le costò uno sforzo sovrumano. Però, nemmeno le facce sconcertate delle tre Marie erano un gran bello spettacolo.
“Un compagno di scuola?” domandò Maria Vittoria prudentemente.
“Uno di quelli bravi” spiegò Veronica con naturalezza “Saprebbero già cosa studiare e come affrontare specificamente le materie. Conoscono i professori. Insomma…. A me sembra una buona idea.”
“Fantastica, oserei dire!” enfatizzò Maria Beatrice: benedetta leccapiedi, grazie.
Finalmente Veronica si concesse un rapidissimo sguardo verso il muro degli sfiguz: il Tucano era tutto orecchie e mancava poco che i suoi occhi sgranati cascassero dalle orbite, Ciccio era un po’ meno interessato anche perché, pur essendo a pieno titolo uno sfiguz, non era un secchione come il Tucano, mentre Bianchi guardava per terra. Forse nemmeno ascoltava. Dannazione!
“Naturalmente pagherei profumatamente” continuò Veronica in tono quasi aggressivo “Ma non mi viene in mente nessuno a cui chiederlo.”
“Qualcuno al di fuori della nostra cerchia, presumo” disse Maria Lucrezia con logica inoppugnabile “Non mi viene in mente nessuno che conosco che possa essere abbastanza bravo da dare lezioni.”  
“La persona che cerco è sicuramente al di fuori delle nostre amicizie. Potrebbe essere uno qualunque… magari uno della nostra classe.”
“Già! Magari uno sfiguz!”
Maria Vittoria rise divertita mentre Maria Lucrezia inalberava uno sguardo perplesso e sospettoso.
“Perché no?” rispose Veronica e Maria Vittoria smise bruscamente di ridere “Dopotutto sarebbero solo affari.”
Maria Beatrice non disse niente: si limitò ad aggrottare le sopracciglia prima che la conversazione potesse diventare imbarazzante, suonò la campanella. Grazie a Dio!
“Bene, è andata” sospirò tra sé e sé Veronica andando a sedersi con andatura regale “Non mi resta che aspettare. Come disse Napoleone… il dado è tratto. O forse era Garibaldi?”
Stava per entrare in classe, un filino più rilassata, già pregustando il sottile e peccaminoso piacere di spiare i ciuffetti ribelli dei capelli di Bianchi, quando una voce sorniona la inchiodò sul posto:
“Cosa stai tramando, altezza reale?”
*          *          *
Veronica intuì immediatamente l’errore madornale che aveva fatto: si era dimenticata di includere Tebaldo nel suo accurato piano.
Tebaldo Santandrea della Torre era un lontano cugino. Ma più precisamente, era la temibile, nefasta e pericolosa versione maschile di Veronica, in tutto e per tutto: bellezza, ricchezza, perfidia. Stessi capelli neri, stessa espressione altezzosa, stessa predisposizione a trattare il volgo come concime per orticelli. Tutto a pari merito.
Tebaldo, appoggiato con indolenza al muro, la fissava con le braccia incrociate sul petto e l’aria vittoriosa: se fosse stato un pochino più plebeo, avrebbe sogghignato perversamente, ma non avrebbe avuto una tale caduta di stile proprio davanti a lei, sua pari. Si stava concedendo semplicemente uno scintillio perverso negli occhi chiari mentre Veronica, palesemente colta in fallo, mentiva automaticamente con voce acuta.
“Niente.”
Bugia spudorata e sbagliatissima: i della Torre stavano sempre tramando qualcosa. Sarebbe stato più credibile “Sto progettando un’arma di distruzione di massa”. Il fatto era che Tebaldo l’aveva colta di sorpresa. Era quasi un anno che non si scambiavano nemmeno i saluti di rito: di comune e tacito accordo, si erano allontanati con educata alterigia prima che arrivassero a scannarsi sulla pubblica piazza, come due pescivendoli in lotta per il banco del mercato. Si conoscevano da quando erano bambini per ovvi motivi di famiglia, ma si erano sempre stati reciprocamente antipatici. Naturale, erano troppo uguali per piacersi. L’anno prima tra loro due c’era stato una specie di love affaire quasi obbligato dalle famiglie, dalle convenienze e dalla curiosità. Era iniziato male e finito anche peggio: tradimenti, bugie, noia, crudeltà viziata da bambini ricchi e capricciosi… non c’era mai stato niente di simile al sentimento in quello che si erano scambiati in quel periodo, e forse era stato meglio così. In ogni caso, Tebaldo era un elemento pericoloso e avrebbe dovuto ricordarsi di tenerlo d’occhio. Invece se n’era scordata: e chissà da quanto tempo lui la stava spiando, traendo infine le sue ovvie conclusioni…
Veronica gli lanciò uno sguardo diffidente e spaventato mentre il sorriso di Tebaldo si allargava.
“Andiamo, cuginetta: così me la rendi troppo facile! Va a finire che non è più divertente.” le disse perfidamente soave e canzonatorio.
Fortunatamente, Veronica era una la cui mente lavorava veloce: era stata beccata probabilmente dal suo peggior nemico, doveva correre ai ripari per arginare i danni. Che fare? Prese una decisione su due piedi: afferrò il cugino per il braccio e lo trascinò a passo di marcia verso il bagno.
Tebaldo si lasciò trascinare docilmente, continuando a sogghignare sotto i baffi: solo quando la porta si chiuse alle sue spalle si concesse il lusso di un vero e proprio sorriso, facendo scintillare i denti bianchi sulla pelle abbronzata.
“Wow, un nascondiglio!” sospirò deliziato “Sembra proprio una cospirazione! Andiamo, raccontami tutto: stai organizzando un blitz militare alle sfilate di moda autunno/inverno? O vuoi far fuori la nonna per ereditare il malloppo e fuggire a Monte Carlo?”
“Non c’è niente di niente” sentenziò Veronica con convincente sicurezza “Ho dei… problemi a scuola. Problemi accademici. Ma niente che ti riguardi, niente che generi gossip e niente che possa avere qualche guadagno per te. Quindi, stanne fuori.”
“Veronica carissima” tubò Tebaldo con gli occhi sempre più scintillanti “Così mi offendi. Sottovaluti la mia intelligenza! Posso capire che tu abbia le scalmane per il figlio del bidello, con quei capelli biondi da cherubino quasi quasi scatenerebbe anche le mie di fantasie perverse, ma che non ti vada di condividere l’informazione con i tuoi familiari più cari, beh, questo mi offende grandemente!”
Veronica sbiancò: dunque, se n’era accorto. Proprio lui, Tebaldo, proprio l’ultima persona che doveva accorgersene. Uno dei pochi in grado di distruggerla socialmente, anche con molto meno… E lei che credeva di essere stata prudente!
“Non so di cosa stai parlando.” ringhiò comunque a muso duro, coraggiosamente.
“Le tue amiche sono talmente oche che non si accorgerebbero di un missile nemmeno se ce l’avessero nello sfintere” spiegò Tebaldo ammiccando sereno “Ma io non sono le tue amiche. E i tuoi sguardi con le ciglia sfarfallanti parlano più che chiaro, credimi. Mi stupisce che Bianchi non se ne sia accorto: ma d’altronde anche lui sembra essere uno di quelli del club del missile.”
“Stai prendendo un enorme abbaglio, credimi. Io non guardo mai nessuno, tantomeno Bianchi.”
“Risposta sbagliata” sospirò Tebaldo sempre più trionfante “Per essere credibile avresti dovuto dire, e chi diavolo è Bianchi?, col naso per aria e l’espressione un po’ schifata di chi è costretto suo malgrado a pronunciare qualcosa di oscenamente plebeo. Andiamo, a che pro mentire ancora? Hai una cotta per il figlio del bidello… e che c’è di male? Certo, tu sei Veronica Scarlini della Torre e lui conta meno della polvere che suo padre pulisce dal tuo banco, ma, cieli beati, quando c’è l’amore, nient’altro conta…”
Sospirò estasiato e Veronica non poté fare a meno di arrossire, mordendosi il labbro.
“Certo, sarebbe un po’ meno imbarazzante se lui almeno ti corrispondesse” continuò poi Tebaldo pensieroso “Ma che sarà mai, una malattia venerea sarebbe molto peggio, no?”
La mente di Veronica elaborò di nuovo velocemente: Tebaldo l’aveva beccata, non c’era via di scampo. L’aveva azzannata alla caviglia e non aveva nessuna intenzione di mollare la presa: doveva per forza cambiare tattica.
“Che cosa vuoi?” domandò quindi con voce dura e senza nessun fatuo sorriso.
Le labbra di Tebaldo si stirarono su un’espressione serafica e quanto mai perfida.
“Aiutarti, mia adorata consanguinea. Niente di più di questo! Mettermi al tuo servizio e sostenerti in questo tua esaltante favola del Cenerentolo. Tu sai quanto ci tenga a te: oltre che mia parente, sei anche stata vicina al mio cuore…”
“Tu non ce l’hai un cuore, Tebaldo.”
“Mio incanto, così mi ferisci e mi distrai dal discorso. Davvero, non ho secondi fini.”
Ce li aveva eccome: sembrava un gatto che aveva appena scoperchiato un barile di panna.
“Te lo ripeto, Tebaldo: cosa vuoi?”
Tebaldo le lanciò un breve sguardo da sotto le lunghe ciglia prima di iniziare a controllarsi accuratamente le unghie.
“Lo sapevi che Bianchi ha una fidanzata?” buttò lì quasi a caso con voce neutra.
Colpo basso e potentissimo: Veronica sbatté le ciglia e impallidì leggermente.
“C… cosa?”
“Una fidanzata” ripeté Tebaldo dolcemente “Una femmina della specie umana con cui presumibilmente applica i suoi impacciati e deprimenti approcci sessuali. Non te n’eri accorta?”
D’un tratto, Tebaldo e la sua perfidia passarono in secondo piano, la possibile costernazione delle sue amiche nel sapere di Bianchi scivolò ancora più lontano, tutto subissato da quella innocente, inaspettata dichiarazione.
“Chi è?” chiese a voce bassissima, le labbra quasi bianche dallo sconcerto.
Tebaldo tornò al laborioso compito di controllarsi le unghie.
“Una plebea come lui” rispose con noncuranza “Ha qualche anno in meno, ed è la figlia di un altro bidello. Apparentemente sembrano fatti l’uno per l’altra, non trovi?”
Veronica rimase in silenzio, lottando contro qualcosa che le stringeva il petto e che non riusciva ad inquadrare: Tebaldo le lanciò uno sguardo quasi amorevole.
“Sembri sotto shock, cuore mio. D’altronde, nemmeno io avrei mai pensato che Bianchi si permettesse di avere una propria vita sentimentale senza il tuo benestare, ma coi tempi che corrono questi plebei si intestardiscono a ribellarsi al loro karma. E’ davvero assai fastidioso.”
Qualcosa frullò nella mente di Veronica: non sapeva cosa fosse, ma decise di seguire l’istinto, anche perché non aveva idea di cos’altro avrebbe potuto fare.
“Come si chiama?”
“Chi, la plebea del tuo Bianchi? Colombi. Serena Colombi. Non è da buttarsi via dal ridere? Colombi Bianchi!”
Mentre Tebaldo rideva con una parvenza di sincerità, lo sguardo di Veronica si fece vigile e felino.
“Ah.” disse infine, e la sua voce finalmente era quella dell’autentica, unica ed inimitabile Veronica Scarlini della Torre. Tebaldo se ne accorse e ritornò immediatamente sull’attenti.
“Ah cosa?”
“Ah che anche tu hai dato la risposta sbagliata, diletto cugino. Avresti dovuto dire “ma chi si abbassa a conoscere il nome di una qualunque plebea fidanzata con un plebeo?” Invece conosci nome e cognome. E scommetto che conosci anche qualcos’altro.”
“Non so di cosa stai parlando.”
“Si che lo sai. Com’è che ti sei accorto che io sfarfallavo le ciglia per Bianchi? Forse perché tu stavi sfarfallando le ciglia per questa Colombi?”
Tebaldo inarcò appena le sopracciglia e per quanto intuisse di aver centrato il segno, Veronica non poté non ammirare la sua perfetta faccia di bronzo.
“Cuore mio, ti sembra che sia il tipo che possa sfarfallare per una tizia qualunque che si chiama Colombi? Andiamo.”
“Tebaldo carissimo, mi sono sorpresa a credere questa e ben altre cose. Ma… alla luce di quello che ci siamo detti qui oggi, non dovrebbe essere un problema per nessuno dei due. Vero?”
Si sfidarono lungamente con lo sguardo, soppesandosi.
“Forse, potrebbe essere così.” rispose in fine Tebaldo lentamente.
Veronica annuì, un po’ meno tesa: era chiaro che Tebaldo aveva qualche mira nei confronti di quella Colombi del cavolo (già la odiava a prescindere, per ovvi motivi). Al momento, non aveva nessuna voglia di chiedersi che genere di mire fossero, anche perché se riguardavano Tebaldo, non si trattava di sicuro di qualcosa di socialmente utile. Ma finché quello poteva servirle per nascondere il suo imbarazzante segreto, ben venissero le mire. Anzi, tutto sommato a quelle condizioni, Tebaldo poteva dimostrarsi un ottimo alleato.
“Lei com’è?” chiese quindi con interesse accademico.
Tebaldo, nonostante lo nascondesse benissimo, sembrò sulle spine.
“Lei chi, la Colombi? Piuttosto anonima. Magrolina, con due gambette nervose che sembrano stecchi. Si veste in maniera oscena, con dei vomitevoli straccetti da mercato. Capelli color topo, aria trasandata, occhioni vacui. Un essere mortalmente privo di qualsiasi allure.”
“Ma ti piace.” si sorprese a constatare Veronica.
“Non esagerare” ribatté Tebaldo freddamente “Ho un interesse di tipo quasi entomologico per quella creatura. Normalmente lo scaccerei come si fa con un moscerino, ma al momento sono disgustosamente annoiato da tutto e questa sorta di… alleanza tra me e te… sembra per lo meno divertente.”
Messaggio piuttosto chiaro: finché la situazione avesse continuato a divertirlo, e finché Veronica avesse continuato a non fare domande, poteva avere il suo appoggio. Molto, molto pericoloso… l’interesse di Tebaldo era notoriamente fuggevole e instabile. Ma d’altronde, che alternative aveva?
“Posso allora considerare che questa conversazione rimanga tra noi.” propose con finta nonchalance.
“Puoi. E tra parentesi, la sceneggiata della tua presunta necessità di un tutor è piuttosto buona, ma mi sa che non sarà molto efficace per smuovere il tuo Bianchi.”
“Per via della tua Colombi?”
Stecchetto malvestito del cavolo. Non l’aveva mai vista, e già avrebbe voluto cuocerla allo spiedo.
“Per via di te” rispose Tebaldo con un sorriso “Non credo che si proporrà spontaneamente. In ogni caso, se Maometto non va alla montagna…”
Fece spallucce, allusivo. Veronica decise che farsi consigliare da Tebaldo sul possibile approccio con Bianchi era qualcosa che andava oltre le sue possibilità emotive e tagliò corto.
“Per la faccenda del tutor ci penso io. E per la Colombi… posso sperare che ci giochi un po’ tu per tenerla fuori dai piedi?”
Tebaldo sorrise misterioso.
“Qualcosa mi inventerò.” disse fatuo, e Veronica pensò che se non l’avesse odiata, avrebbe provato pietà per quella povera ignara ragazza.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Eccolo, stava arrivando: si sentiva il brusio delle masse ovariche che sussurravano prima ancora di percepire gli effluvi di profumo sprigionati dal suo giubbotto di pelle di Gucci.
“E’ lui!”
“Sta arrivando!”
“Sì, sì, è proprio lui!”
Un qualsiasi estraneo, a sentire quel rosario isterico, poteva farsi l’idea di trovarsi in presenza di chissà quale mistico nuovo Messia.
“Guardalo, come si muove!”
“Che stile!”
“Che tendenza!”
Che patetiche! Il pensiero scaturì quasi con rabbia e Serena se ne pentì subito.
Serena Colombi era una ragazza solitamente tranquilla e di buon carattere: per descriverla forse l’aggettivo più calzante sarebbe stato anonima. Anche se da un po’ di tempo a quella parte, non riusciva più tanto a sentirsi anonima. Colpa di quel ragazzo: quello per cui le masse ovariche sospiravano deliranti come in un attacco di febbre gialla. Le sue compagne di classe, che normalmente erano espressive come i merluzzi morti sul banco del pesce fresco, diventavano un piccolo e compatto gregge di pecore cerebrolese quando arrivava lui, sprecando tutto il vocabolario del loro piccolo mondo antico in lodi amorose per loro idolo divino.
“Gli salterei addosso!”
“Da mangiare…”
“Cosa gli farei!”
Ci mancava solo che quando passava si strappassero tutte quante la camicia di dosso! Alla faccia del loro snobismo sbandierato in qualsiasi altro momento. Serena pensò remotamente che se fosse stata  in lui, con tutto quel ben di Dio sezionato ed esibito su un vassoio d’argento come una porzione di sushi, sarebbe diventata immediatamente omosessuale. Lui, invece, glissava elegantemente, sorrisetto snob alla mano e consapevolezza di potersi fare tutte quanto e quando voleva. Fortunatamente, la cosa non sembrava dispiacere al gregge. Continuavano a sbavargli dietro esprimendo con entusiasmo il loro unico scopo, la stessa scintilla vitale che animava lo spermatozoo: accoppiamento. Riproduzione. Sesso. Quando arrivava lui, nient’altro contava, nell’universo. 
“Ciao, Tebaldo!” belava il gregge doverosamente al suo passaggio.
Tebaldo Santandrea della Torre. Neanche avesse un nome bello: per chiunque altro Tebaldo sarebbe stato un nome mortificante. Lui invece lo portava in giro come se fosse una tiara.
“Ciao, ragazze.”
Aveva una voce che metteva i brividi: bassa, sexy, sembrava che dicesse sconcezze anche quando chiedeva di passargli una biro. Transitava per il corridoio indolente e arrogante come il Re Sole a Versailles e Serena strinse spasmodicamente la borsa contro il petto, sforzandosi di  non dargli la soddisfazione di guardarlo mentre passava; non doveva sollevare nemmeno gli occhi da terra… e invece li alzò e Tebaldo fece un sorrisetto sardonico. Sì, l’aveva guardato. Mica era fatta di legno, eh: Tebaldo sconvolgeva anche i suoi di ormoni, l’unica differenza era che cercava di tenerli sotto controllo invece di liberarli selvaggiamente come le altre.
“Ciao Serena.”
Un saluto solo per lei, e sapeva persino il suo nome. Il gregge era ammutolito.
“Ciao, Tebaldo.” rispose Serena con voce piatta e aria truce.
Quella novità destabilizzava anche lei. Conosceva Tebaldo dalle scuole elementari e mai lui aveva espresso il benché minimo interesse nei suoi confronti. La ignorava, anzi, il più delle volte nemmeno sapeva che esistesse. D’altronde, lei era una degli invisibili della scuola, mentre lui ne era il Re indiscusso insieme alla Regina, la sua degna versione femminile ovvero Veronica Scarlini della Torre. Erano stati per un po’ la coppia più invidiata e più scontata della scuola, e insieme erano talmente giusti che nessuna ragazza aveva osato pensare di opporsi degnamente alla Regina. Poi si erano lasciati e il fermento ormonale delle masse ovariche aveva raggiunto vette quasi himalayane. Tebaldo aveva fatto strage, una ragazza nuova ogni sera, se non anche due o tre per volta. Al momento però Tebaldo era in panchina, dopo che si vociferava si fosse fatto beccare in compagnia di Elisabetta, figlia del Preside della scuola, ovvero una super cazzolata studentessa universitaria in stage alla segreteria. Quella ragazza, belloccia e ricca da far schifo, col nome e col pedigree nobilare più lungo della regione, era difatti l’attuale fidanzata non ufficiale di Tebaldo, che non confermava né negava niente, la sua solita bocca arrogante ben sigillata su un sorrisetto sardonico. Elisabetta invece faceva la ruota come un esercito di pavoni.
Serena trovava perfidamente simpatico il fatto che avesse avuto la brillante idea di chiamare Tebaldo anche il suo nuovo chihuahua. A Tebaldo senior la cosa non è piaciuta tanto, soprattutto quando Tebaldo Junior, portato in visita alla scuola dalla tata filippina, aveva tentato di pisciare davanti a tutti sulla nobile scarpa del suo omonimo. Quel giorno Serena aveva amato molto gli amici a quattro zampe, ma era successo prima, quando lei era ancora nel mondo degli invisibili. Poi, era diventata visibile agli occhi di Tebaldo e tutto era cambiato. Quando era successo?
*          *          *
Quando, andando alla toilette, aveva beccato Tebaldo e Maria Beatrice Finzi Sforza, una dell’entourage della Regina Veronica, con un metro e mezzo di lingua fuori (lei) e mani saldate a stagno in zona palpeggio (lui): lei sembrava volerlo fagocitare modello pitone che ingurgita il suo topo mensile, lui a malapena si difendeva. Normalmente Serena si sarebbe educatamente eclissata, ma trattandosi di Tebaldo e di Maria Beatrice Ausiliatrice (soprannome coniato ad uso e consumo del gregge) aveva preferito sottolineare doverosamente la figura di merda.
“Ehm.” aveva esordito stampandosi in faccia un’espressione rarefatta.
Tebaldo si era girato e per la prima volta in vita sua l’aveva guardata negli occhi. Serena aveva dovuto ammetterlo, anche se avrebbe preferito dover passare un week end con il chihuahua di Elisabetta, Tebaldo era davvero bello. Anzi, non era affatto bello, non nel senso classico del termine, ma aveva un modo di guardare negli occhi che scatenava inevitabilmente l’ormone. Da dove avesse avuto origine questo suo incredibile tiraggio proprio non lo sapeva: in fotografia non risultava niente di più che appena attraente. Aveva gli occhi chiari molto distanti e un po’ obliqui, zigomi alti, naso lungo e affilato, mento appuntito e bocca sottile. I capelli erano molto neri, la pelle sempre abbronzata. L’espressione era quella di un lord in visita in una discarica, più puzza sotto il naso del duca d’Aosta.
Mentre Maria Beatrice Ausiliatrice aveva balbettato qualche patetica scusa inconcludente, Tebaldo l’aveva fissata a lungo, poi con un sorriso noncurante era andato via, fischiettando e con le mani in tasca. Che stronzo, aveva pensato Serena, lasciare Maria Beatrice Ausiliatrice a sbrigarsela da sola quando era ben noto a tutti che a fatica metteva insieme tre parole di senso compiuto. Il primo impulso era stato quello di raccontare a tutti della loro tresca, ma poi Serena aveva deciso di farsi gli affari suoi e avevo tenuto la bocca chiusa. Risultato: una sorta di sotterranea ammirazione da parte di Maria Beatrice Ausiliatrice e un nuovo, sottile interesse da parte di Tebaldo. Da quel giorno, quando arriva al mattino a scuola incappava inevitabilmente in Tebaldo che la salutava e sorrideva. All’uscita della scuola, che fosse in anticipo o in ritardo, finiva tra i piedi di Tebaldo che di nuovo le sorrideva. Se ci incrociavano sulle scale o davanti all’ingresso, lui la faceva cavallerescamente passare avanti e sorrideva. Tutti quei sorrisi avevano avuto il potere di destabilizzarla parecchio: qualche volta era stata tentata di dirgli dove poteva ficcarsi quei suoi sorrisetti, qualche altra aveva avuto l’impulso malsano di rivolgergli la parola come a un qualsiasi essere umano… poi, aveva optato di nuovo per il silenzio, che secondo la nonna era d’oro e andava preziosamente custodito. Finire per qualsiasi motivo nell’orbita d’azione di Tebaldo Santandrea della Torre era cosa da evitare accuratamente. E poi che diamine, lei aveva un ragazzo, no? Paolo Bianchi, il figlio del bidello. Stavano più o meno insieme da sei mesi, per un totale di 40 uscite di cui 10 cinema, 8 cene da MacDonald’s, 5 visite ai musei e 17 pomiciate poco convinte sulle panchine dei parchi e dietro al portone di casa. Se non era un fidanzamento ufficiale quello!
Era evidente che l’interesse di Tebaldo si riduceva al fatto che apparentemente lei non lo filava: se si fosse messa a filarlo, non ci sarebbe stato più né l’interesse da parte di lui né la dignità da parte di lei. Quindi, che diamine: stringere i denti e andare avanti!
*          *          *
Serena marciò oltre Tebaldo, fissando rigida un punto davanti a sé e per puro caso incappò in un altro paio d’occhi fissi su di sé. Erano anche quelli verdognoli, anche quelli obliqui, anche quelli freddi e bollenti nello stesso tempo: solo che erano incorniciati di mascara e appartenevano a nientemeno che la Regina in persona, Veronica Scarlini della Torre. Il cuore di Serena perse qualche battito mentre continuava a marciare via spedita: che la Regina si fosse accorta che Tebaldo era diventato gentile con lei? Che stesse valutando una punizione tipo la ghigliottina per punirla del fatto che qualche divino abitante dell’Olimpo aveva osato posare lo sguardo su una caccola insignificante come lei?
“Serena, calma” l’ammonì la voce della nonna nella testa “Non sei Lucia dei Promessi Sposi e magari quella ti sta guardando mentre pensa alla suo nuovo chalet in montagna. Da quando in qua pensi che il mondo ruoti tutto intorno a te?”
Eppure, come il calore di un fuoco troppo vicino, sentiva sulla nuca lo sguardo di Veronica che la seguiva, e senza riuscire a controllarsi rabbrividì.
*          *          *
Snervante ma vero, Tebaldo aveva avuto ragione: Bianchi non aveva chiamato. Niente. Nemmeno uno squillo. In compenso doveva averlo fatto tutto il resto della scuola. Il discorsetto davanti alla finestra che doveva essere a uso e consumo del Bianchi l’avevano sentito tutti, dal Trentino alla Calabria e chiunque di loro avesse un minimo di istruzione elementare aveva chiamato al telefono a casa Scarlini della Torre per offrirsi come tutor. Inocencia, la povera governante cilena, era letteralmente impazzita per rispondere picche a tutti! L’unico che non aveva chiamato era stato proprio lui, Bianchi. Dannazione. Come fare adesso?, meditò Veronica scocciata: era ancora davanti al telefono e proprio mentre lo guardava con aria truce l’apparecchio si mise a ronzare sobriamente. Che fosse Bianchi, finalmente?
“Pronto?”
“Signorina Veronica? Buonasera, sono Giulio.”
Il segretario personale di suo padre. Smontata Veronica apprese immusonita che il suo illustre genitore non sarebbe venuto a casa la sera a cena causa un improrogabile impegno di lavoro.
“Ok, nessun problema. Salutalo da parte mia.” rispose e riattaccò.
Ma a chi voleva darla a bere, Giulio? Suo padre non aveva nessun impegno di lavoro alle nove di giovedì sera, aveva piuttosto una nuova segretaria venticinquenne, e Veronica aveva ormai raggiunto l’età per fare due più due. D’altronde Giulio era il segretario personale di suo padre e in qualità di…
Un flash improvviso fece rizzare improvvisamente la schiena di Veronica: un’idea!
Il segretario personale!!
Ovvero, quella persona che fa le cose spiacevoli e/o necessarie al posto di chi ha cose molto più importanti e/o interessanti da fare. Quello che avrebbe potuto telefonare a Bianchi e convincerlo a fare da tutor, offrendogli una montagna di soldi e accampando plausibili scuse accademiche: un ottimo lavoro senza Veronica dovesse sporcarsi la reputazione di regina della spocchia. Sarebbe stato perfetto!!
L’unico problema era che al momento Veronica non aveva un segretario personale (nemmeno gli Scarlini della Torre erano così megalomani da averne uno a testa…). Giulio ovviamente non sarebbe stato disponibile per quel ruolo. Ma come aveva detto Tebaldo? Se la montagna non andava da Maometto, forse Maometto poteva andare alla montagna! Ben camuffato da Buddha per l’occasione, giusto per non perdere la faccia davanti alle masse, naturalmente! Febbrilmente, prima che le passasse il coraggio, Veronica cercò in rubrica elettronica il numero di Bianchi e lo compose in fretta: mentre squillava a vuoto, il suo cuore neonato batteva come se fosse stato un maledetto tamburo africano. Faceva un tale baccano che lo avrebbe sentito anche Bianchi al telefono, quando avrebbe risposto! Se avrebbe risposto: diamine, e la sua voce? Ma no, non si erano quasi mai parlati e comunque Veronica era consapevole che il tono di voce che usava quando parlava con la gleba non era lo stesso che usava normalmente…
Allora? Che faceva quel plebeo, non risponde per davvero? Osava non rispondere a LEI? Ormai non…
“Pronto?”
Era proprio lui, la sua voce. Il cuore di Veronica saltò così alto in gola che non ebbe nemmeno bisogno di camuffarla tanto risultò alterata di suo.
“Ehm… Bianchi?”
“Sì?”
Black out. Che gli avrebbe detto? Aveva uno spaventoso vuoto in testa. A lei, Veronica Scarlini della Torre! Inaudito! Che il cuore saltando avesse fatto saltare anche la centralina dei neuroni?
“Ehm…”
Inizio disastroso. Proprio aristocratico e professionale.
“Bianchi? Voglio dire… Paolo Bianchi?”
“Sì, sono io.”
“Ehm…”
Di nuovo!
“Stia tranquilla. Sono Paolo Bianchi ma non per questo mangio carne umana.” disse Bianchi con voce molto amichevole.
Che carino: aveva capito che era in imbarazzo e stava cercando di metterla a proprio agio. Con un moto di autentica vergogna le sovvenne che non aveva mai fatto niente del genere in vita sua per nessuno…
“Buonasera.” ecco, così andava meglio.
“Buonasera. Mi dica.”
“Io… ehm… sono la segretaria personale della signorina Scarlini della Torre.”
“Chi?”
Sembrava sinceramente ignaro e Veronica non seppe se la cosa la irritava o la deprimeva a morte.
“La segretaria di Veronica Scarlini della Torre” riprese un po’ più aggressiva “Lei non è Paolo Bianchi?”
“Sì sono io.”
“E non è compagno di classe della signorina Scarlini della Torre?”
“Ah… quella Scarlini della Torre…”
Sembra deluso. Bastardo d’un plebeo, come si permetteva!
“Ha qualcosa contro gli Scarlini della Torre in generale o solo con questa Scarlini della Torre qui?”
“Con nessuno degli Scarlini della Torre in circolazione, lo giuro.” rispose con una nota simpatica nella voce: Veronica si rilassò appena un po’ e ammise che se avesse risposo diversamente ci sarebbe rimasta male.
“Meno male.” le scappò infatti di bocca: non sapeva né come né perché le fosse scappato, ma così fu. Forse perché la sua voce era così stranamente sicura e diversa dal solito.
Lui sorrise: glielo sentì nella voce anche se non faceva rumore.
“Nei secoli fedele vale anche per i segretari personali?” chiese allegro.
“Certo. Perché, per chi vale anche?”
“I carabinieri: è il loro motto.”
“Oh. Buono a sapersi. Senta, signor Bianchi…”
“Paolo. Dammi del tu, per favore altrimenti mi agito.”
“Ok… Paolo.”
Paolo. Non lo aveva mai chiamato per nome in tanti anni che si conoscevano. Paolo. Paolo. Suonava terribilmente intimo e le faceva un effetto stranissimo. Emozionante. Esaltante. Tenero.
“Dunque, Paolo…”
“E tu?” la interruppe lui educatamente.
“Tu cosa?”
“Posso darti del tu?”
Poteva? Ma sì.
“Certamente, Paolo.”
“E’ che mi sembri molto giovane. E anche emozionata, anche se non so perché.”
“Ah sì? Oh… il fatto è… che… non è da molto che faccio questo mestiere.”
Davvero. Da appena cinque minuti!
“Tranquilla stai andando bene.”
Chissà se era sempre così carino con quelli in difficoltà. Ogni parola che diceva la invischiava sempre di più in quell’impossibile attrazione che aveva per lui… dannazione!
“Io, ehm, volevo sapere… Paolo…”
“Tu come ti chiami?”
“Io?”
Panico. Come si chiamava?
“Già, tu. Ce l’avrai un nome, vero? Segretaria personale della signorina Veronica Scarlini della Torre è un po’ troppo lunghetto per firmare gli assegni.”
“Io, ehm…”
Veronica si guardò intorno febbrilmente. Specchio… quadro di Guttuso… lampadario di Murano… tappeto Buchara… tavolo Chippindale… Il suo cane Byron che la guardava da sotto in su, la lingua rosa penzoloni e l’aria di godersela un mondo… niente, ispirazione zero! Oh, c’era un mazzo di fiori sul tavolo: gigli, gerbere, orchidee…di getto le uscì un nome.
“Gladiolo.”
“Come?”
Per poco non si schiaffeggiò la fronte da sola: con tutti i fiori che c’erano non poteva venirle in mente qualcosa di meglio, dannazione? Margherita, Rosa, Iris… no, Gladiolo! E meno male che non aveva detto crisantemo! Imprecando mentalmente, Veronica finse noncuranza.
“Gladiolo. E’.. il mio nome… ma gli amici mi chiamano Gladi.”
“Lasciatelo dire, io avrei ucciso i miei genitori se mi avessero appioppato un nome così.” rispose Bianchi con voce sempre più amichevole.
“Mio p-padre era un fioraio…le mie sorelle si chiamano Rosa… Viola e… Margherita.”
“Davvero?”
“M-m.”
Perché diavolo non riusciva a tacere? Colpa di Bianchi: doveva averle manomesso il filtro tra cervello e corde vocali con quella sua dannata gentilezza! E lei doveva imparare a stare zitta o sarebbe finita per impantanarsi in enormi, mastodontici guai!
“Dunque, signor B… Paolo. Chiamavo perché ho ricevuto l’incarico di trovare una persona adatta a dare ripetizioni alla signorina Scarlini della Torre. Ho controllato la lista dei migliori studenti della scuola e il suo nome…”
“Il tuo nome…”
“Ah, sì. Il tuo nome è balzato all’occhio…”
“Davvero?”
Sorpresa ed emozione. Paolo caro, perché la sua voce era così deliziosamente trasparente?
“Sì. Ehm. Dunque, siccome la signorina Scarlini…”
“… Della Torre eccetera eccetera. La conosco, possiamo abbreviare in Scarlini e basta?”
“Sì. Dunque, la sign… la Scarlini ha bisogno di ripetizioni che sarebbero ampiamente retribuite. Studiando le varie schede lei… cioè, tu, mi sei sembrato essere il candidato ideale…”
“Dici?”
C’era una decisa nota di amarezza nella sua voce.
“Ma certo” disse accorata “La tua scheda…”
“Lascia perdere la scheda, Gladi. Sì, sono bravo a scuola e so di esserlo. Studiare mi piace e secondo gli insegnanti sono anche piuttosto abile nell’insegnare agli altri. In effetti, la carriera accademica è proprio quella che vorrei seguire in futuro…”
Voleva diventare un professore? Uno squattrinato insegnante col libro in mano, la testa fra le nuvole e senza un euro in tasca? Scarlini senior uno così se lo sarebbe mangiato a colazione, e gli sarebbe pure rimasto un budellino vuoto. Che pazzo. Che tenero…
“Ma?”
“Ma… posso dirtelo senza che tu vada a spifferare tutto ai tuoi datori di lavoro?”
“Ok. Ma?”
“Non credo affatto di essere la persona adatta ad insegnare a Scarlini.”
Doccia fredda. Ghiacciata, anzi.
“Perché?” domandò Veronica trattenendo a stento un mugolio.
“Perché lei mi terrorizza. E comunque mi odia.”
Doppio colpo basso. Stava quasi per piangere.
“Non credo che questa tua impressione possa corrispondere a realtà.”
Le era uscito di getto, quasi accorato.
“Beh, forse hai ragione… non è che mi odia, è che nemmeno sa che esito.”
Di nuovo amarezza. Veronica deglutì penosamente.
“Perché dici così?”
“Perché è vero. Non voglio offenderla e non ce l’ho con lei, ma ho frequentato la Scarlini dal primo giorno di scuola elementare fino ad ora, vale a dire tredici anni, tutti i giorni per cinque ore al giorno. E mai una volta mi ha rivolto la parola di sua spontanea volontà.”
“Non ci credo.”
E poi non era vero. Quante volte gli aveva detto “evapora, obbrobrio” di piena sponte sua?
“Senti, non ti voglio convincere di niente, ma sono sinceramente persuaso che fare da tutor a Grimilde non sia una buona idea…”
“Grimilde?”
“E’ il soprannome che le hanno dato. La matrigna cattiva di Biancaneve. Sarà puerile, ma dopo tutti questi anni continua a essere azzeccatissimo.”
Ci mancava solo questa! Ogni parola che diceva la feriva di più. E invece che farla arrabbiare come era logico che fosse, cercava solo affannosamente un modo per fargli cambiare idea.
“Senti, io sono solo la segretaria personale, è vero… ma ti posso garantire che la Scarlini… Grimilde… Veronica, o comunque tu la voglia chiamare… non è così male.”
“Nemmeno Mussolini lo era quando bonificava la Pianura Padana ma guarda che fine ha fatto.”
“Stai dando della nazista a qualcuno?”
Glaciale: quando è troppo è troppo!
“Certo che no” rispose Paolo ferito “E’ solo che… credimi, non andiamo d’accordo.”
Tono definitivo.
“Oh. Ne sei… sicuro? E’ davvero… davvero un peccato.”
Veronica stava quasi per piangere. Ormai non la sorprendeva nemmeno questa fragilità, la sua precedente dignità si era decisamente incrinata.
“Ma… Gladi, stai bene?”
Come no: le aveva appena dato della strega cattiva di Biancaneve… “Sto letteralmente schiattando di gioia…”, pensò lugubre.
“Sì. Certamente.”
Le sembrava un incipit da fine conversazione: la peggiore che potesse mai auspicare, ammise abbattuta. Byron ai suoi piedi guaì sottovoce e le diede una leccatina consolatoria alle scarpe scamosciate.
“E’ che… ci tenevo tanto.”
Le era scappato di nuovo qualcosa dalla bocca senza passare dal filtro nel cervello, dannazione!
“Davvero? Perché?”
Genuina meraviglia da parte sua: e visto che per una volta lei non era Veronica Alberice Scarlini della Torre alias la Regina Grimilde, ma la povera segretaria Gladiolo, figlia di un fioraio frustrato e con un reggimento di sorelle dai nomi di fiori, si lasciò andare a un liberatorio attacco di sincerità compulsiva.
“Perché la tua scheda dice che potresti essere il migliore e la tua voce conferma che lo sei. Perché sembri paziente, tenace e gentile e ci vorrebbe proprio uno come te per mettere un po’ a cuccia Grimilde. Perché… ehm, insomma, ecco perché.”
“Wow.”
Veronica non capì se era favorevolmente impressionato o se semplicemente si stava facendo due grasse risate alle sue spalle. Riprese a parlare velocemente, prima che le passasse l’ispirazione.
“Senti, Paolo, non devi darmi la risposta subito: facciamo così, ci pensi un po’ sopra e poi mi sai dire. Dopotutto, non si è ancora parlato del compenso, no?”
“Compenso?” fece lui dubbioso “Che compenso?”
Glielo disse, a grandi linee.
“Merda!” singhiozzò lui, e quella volta Veronica era sicura che si fosse impressionato davvero.
Gli diede anche il suo numero di cellulare privato, quello delle emergenze: da non confondere con quello per le amiche, quello solo per l’entourage di suo padre e quello per il resto del parentado compresa sua madre che erano sei mesi che non chiamava.
“Senti, Gladi, io non penso…”
“Per favore, riflettici su, ok?” lo interruppe bruscamente: non poteva permettergli di chiudere l’unica possibilità che aveva per vederlo da sola. Da vicino.
“E va bene” capitolò Bianchi con un sospiro “Ci penserò.”
“Ok.”
“Ok.”
Stavolta doveva davvero riattaccare.
“Comunque vada, grazie per la proposta, Gladi.”
“Dovere. Te l’ho già detto, la scheda…”
“Certo, certo. La famosa, incredibile, fantasmagorica scheda.”
Aveva di nuovo il sorriso nella voce: era così tenero che Veronica sentì gli organi interni liquefarsi…
“Ti farò sapere. Buona serata.”
“Anche a te, Paolo. E grazie.” aggiunse alla fine, ma lui aveva già riattaccato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Forse fu per colpa del delirio psichico scatenato dalla precedente telefonata: diversamente come avrebbe potuto succedere una cosa che altrimenti non sarebbe successa mai in un milione di anni?
“Pronto?” rispose la voce educatamente sorpresa di Tebaldo e Veronica decise di non chiedersi perché lo aveva chiamato, ma solo di buttare fuori il bolo incandescente che le ostruiva le vie respiratorie.
“Lo sapevi che gli scherzi di natura mi chiamano Grimilde?” sbottò con un ringhio feroce.
“Veronica” gorgogliò Tebaldo, e anche lui aveva il sorriso nella voce, anche se di tutt’altro genere di quello di Bianchi “Devo dedurre che hai parlato col Bianchi? Mi sorprende davvero che siate arrivati a simili confidenze nel giro di un giorno. Avevo largamente sottovalutato la presa del tuo fascino altezzoso sui plebei.”
“Non l’ha detto a me, l’ha detto a Gladi, la mia segretaria personale.”
“Oh. Hai una segretaria personale?”
“No che non ce l’ho. Me la sono inventata.”
Dopo un breve silenzio sconcertato, Tebaldo dall’altro capo della cornetta scoppiò a ridere con sincero trasporto.
“Fammi capire… hai chiamato Bianchi e ti sei spacciata per la tua segretaria?”
Continuò a ridere mentre Veronica arrossiva di umiliazione senza tuttavia riuscire a riattaccare: dopotutto Tebaldo era l’unico che sapesse di quella “cosa innominabile”, se non con lui non avrebbe potuto parlarne con nessuno. E lei aveva bisogno di parlarne con qualcuno: una necessità quasi fisica.
“Quando hai finito di scompisciarti, gradirei una risposta.”
“Beh, diavolo, è stata una mossa davvero astuta. Sono ufficialmente ammirato, Grimilde.”
“Risparmia le tue cattiverie per quando potrai ferirmi davvero: sono furiosa per quel nomignolo!”
“Non è poi così brutto” le confessò Tebaldo di ottimo umore “Pensa alla povera Maria Beatrice Ausiliatrice o a MariaLu Prendilatu. Anzi, ritengo che tutto sommato ti sia andata bene.”
“Bianchi mi odia” buttò lì Veronica di punto in bianco “Sentire quello che pensa di me è stato davvero umiliante.”
“E che altro ti aspettavi?” rispose Tebaldo con tranquilla logica “E’ una vita che ti comporti da reginetta degli stronzi con lui. Ti confiderò una cosa molto preziosa, cuginetta mia… solo perché ti voglio bene e mi stai tanto a cuore... le cose, nel mondo reale, non cambiano solo perché a te girerebbe così. E anche se sei brava a manipolare le persone, ci sono certe categorie ottuse che difficilmente si prestano ai tuoi giochetti. Bianchi fa parte di una di queste.”
“E la Colombi, invece? Lei riesci a manipolarla?”
“Ci sto lavorando” sorrise Tebaldo allusivo “Purtroppo sembra più facile del previsto. Peccato: le cose scontate mi annoiano.”
Cose facili uguale noia; noia uguale fine dell’alleanza fra i cugini della Torre; fine dell’alleanza, uguale disfatta completa della reputazione di Veronica. Promemoria per Gladi: complicare un po’ le cose tra stecchetto Colombi e perfidia Tebaldo, pensò Veronica remotamente.
“Ci sarà però un modo per accelerare le cose e fare in modo che Bianchi mi veda come una persona e non come un drago sputafuoco.”
Ci fu un attimo di silenzio da parte di Tebaldo.
“Scusa, fammi capire: mi stai molto cripticamente chiedendo consiglio? Tu, Veronica detta Grimilde, la Regina delle Regine, che chiede consiglio… a me?”
Scoppiò di nuovo a ridere di cuore, perfidamente.
“Tebaldo, se fai ancora lo stronzo ti faccio diseredare dalla bisnonna.”
“Gesù, non ridevo tanto da anni… Dai, Veronica, cerca di capirmi… quando mai mi capita l’occasione di poterti di nuovo mortificare così? E’ mio dovere approfittarne. Comunque, aspetta che mi calo nella parte del buon samaritano, dispensatore di consigli ponderati e giudiziosi. Eccomi qui, figliola: cosa vuoi sapere?”
Veronica ingoiò metaforicamente un boccone d’orgoglio più amaro del previsto.
“Voglio sapere cosa devo fare col Bianchi.”
“Beh, innanzi tutto se proprio vuoi incontrarlo sul serio, mi sa che almeno qualche passo nella sua direzione devi farlo… e per direzione non intendo destra o sinistra, ma verso il basso. Non puoi aspettarti che lui salga tanto di livello da raggiungerti. Sei in vetta, la pole position delle snob, e non c’è nessuna possibilità che mister cherubino arranchi dietro di te. Devi abbassarti un po’, cuore mio. Un po’ tanto, anzi.”
“Che vuoi dire? Come diavolo faccio ad abbassarmi?”
“Puoi cominciare dalle cose che conosci: i vestiti, ad esempio: hai sempre addosso roba che costa quanto un anno di stipendio di suo padre. Metti soggezione. E i capelli, il trucco. Togli un po’ di roba… semplifica.”
Era un consiglio maledettamente buono, meditò Veronica di malumore. Le scocciava perché sarebbe stato motivo di gratitudine, e pensare di dover esser grata a Tebaldo le faceva quasi venire un esantema.
“Altrimenti, in alternativa, puoi bloccare il cherubino nel bel mezzo del corridoio a scuola e esibirti nel tuo famoso numero del bacio con doppio avvitamento carpiato. Su di me aveva fatto effetto, se sopravvive alla sorpresa magari fa effetto anche su di lui.”
Un breve ricordo incendiò le guance di Veronica che ripristinò compatto tutto il proprio livore nei confronti del perfido cugino.
“Scommetto che anche a te hanno affibbiato uno di quei simpatici nomignoli: sappi che molto presto lo saprò e te lo farò ingoiare insieme a un litro di umiliazione, diletto cugino.”
“Sempre così tenera, la mia dolce Grimilde…”
“”Vai al diavolo.”
“Non essere volgare, cuore mio: si dice vaffanculo.”
“Allora vaffanculo.” grugnì Veronica, e molto volgarmente riattaccò.
*          *          *
Serena Colombi era una personcina romantica: di solito non doveva sforzarsi per vedere il lato positivo delle cose, era appassionatamente sensibile a tutti i temi socialmente scottanti come l’ecologia e faceva volontariato sognando sé stessa che salvava bambini indifesi da case in fiamme, rigorosamente al ralenti come gli eroi dei film americani. Ma la realtà si discostava non poco dalla sua visione fioccosa del mondo.
“Stupida palla di pelo” grugnì all’indirizzo di Sancho, un enorme, puzzolente, ombroso cane meticcio che non aveva nessuna intenzione di farsi lo shampoo che lei gli proponeva inutilmente da almeno un’ora “Dovresti essere grato al mondo intero per aver trovato qualcuno che s’è preso la briga di adottare un avanzo di fogna come te!”
Il lavoro al canile non era affatto romantico: era puzza, era sporco, era rumore, era di nuovo puzza, era escrementi da raccogliere e zecche da togliere, e infine era puzza, puzza, puzza! Sancho era responsabile di almeno un terzo delle emissioni gassose che ammorbavano l’aria, ma questo si erano ben guardati dal dirlo al suo nuovo futuro padrone: Serena era stata incaricata di dargli una parvenza di forma canina prima dell’arrivo del buon samaritano, ma la cosa era risultata praticamente impossibile, vista la strenua resistenza del cane. Sfinita, Serena sbatté la spazzola insaponata contro la rete metallica.
“Allora lavati da solo, discarica pelosa!” strillò gettando letteralmente e metaforicamente la spugna.
 “Non credo che quel cane abbia intenzione di ottemperare alla tua richiesta” la sorprese una voce divertita alle sue spalle “Ha tutta l’aria di piacersi un sacco così com’è, completo di olezzo rivoltante.”
Serena si girò bruscamente quasi incespicando sui suoi stessi piedi: impossibile non riconoscere quella voce indolente e sarcastica dal primo respiro! Infatti lui era lì fra lo sporco, il rumore e la puzza, rilassato e tranquillo come se fosse in una beauty farm. Tebaldo Santandrea della Torre. Lui in persona. Mani in tasca con pantaloni Burberry dalla linea perfetta, giacca di Gucci, sorriso da schiaffi e occhi scintillanti. Fuori luogo in mezzo ai cani che abbaiavano come un lanciarazzi alieno, e tuttavia a suo agio come solo una perfetta faccia da culo come lui poteva essere, dovunque si trovasse. Serena per poco non perse la mandibola, in caduta libera verso terra.
“Tebaldo!” quasi strillò con voce strozzata.
“Spero che tu stessi chiamando me e non il cane” rispose lui piacevolmente “C’è già il chihuahua di Elisabetta che si chiama Tebaldo. Un altro animale col mio nome, e una sfortunata coincidenza potrebbe diventare una moda: non ci tengo affatto. Anche se a questo bastardone il mio nome starebbe molto meglio che a quel topo geneticamente modificato.”
Serena quasi non lo ascoltò: stava pensando con orrore che aveva indosso gli stivaloni da pescatore, il brembiulone con scritto “Macelleria Pappalardo, salsiccie & Co.”, un fermaglio di tartaruga modello Titanic a fermarle i capelli in un nido di cormorano e i guantoni di gomma fino al gomito. Tebaldo aspettò invano una sua reazione per un pezzo, poi quasi leggendole nel pensiero, lasciò affiorare un sorriso lento e irresistibile.
“Ragazza, non ti abbattere così: capisco che possa averti sconvolto vedere un essere umano in mezzo a questi… animali, chiamiamoli così in mancanza di una definizione migliore… ma suvvia, recupera le tue buone maniere e saluta. O almeno, scodinzola.”
Serena decise su due piedi che rimanere lì impalata e molliccia come un invertebrato non poteva che peggiorare le cose: così si riscosse e lasciò che la lingua buttasse fuori qualcosa a caso.
“Ciao.” belò in perfetto stile ovino.
Tebaldo segnò con una mano il triste contorno di reti arrugginite e animali che guaivano.
“Non avevo idea che frequentassi questi posti di fauna, come dire, eccentrica. Ti si vede sotto una luce completamente nuova così, signorina Salsicce & Co.”
“Sei venuto qui per insultare?”
Di sicuro non era venuto per lei, si disse arrossendo al solo pensiero: però era impossibile non trovare strano il fatto che Tebaldo fosse proprio lì, al canile, di fronte a lei.
“Mi sembra logico che sono venuto per prendere un cane.” rispose Tebaldo alzando un sopracciglio altezzoso, e la sua faccia era così convincente che riuscì a far sentire fuori posto lei in mezzo agli escrementi col grembiulone e tutto, piuttosto che lui col suo pantalone griffato e le scarpe di vernice.
“Un cane?” domandò con voce flebile.
“Già. Proprio un cane. Volevo chiedere un paralume e qualche centrotavola di peltro, ma così, a sentimento, ho avuto la sensazione che il canile fosse il posto giusto per un cane, quindi eccomi qui.”
“No, ma io volevo dire… che ci fai tu con un cane?”
Il sopracciglio di Tebaldo sembrò raggiungere la mesosfera, tanto era alto.
“Beh, ci sono tanti usi interessanti che si possono fare con un cane: si può mettere come paraspifferi sdraiandolo contro le porte, oppure delegargli l’ingrato compito di sotterrare le ossa in giardino, o magari usarlo come arma per tediare un postino particolarmente antipatico. E queste sono solo le prime ideuzze che mi sono venute in mente, così a braccio.”
Serena era arrossita violentemente: non si era mai sentita più stupida e piccola e insignificante, un sasso in una scarpa di una formica, un organismo unicellulare.
“No, ma, io, volevo, insomma, dire…”
A toglierla dagli impicci le venne miracolosamente incontro proprio lui, Sancho la cloaca maxima: come intuendo d’un colpo che il suo nuovo padrone era arrivato, si esibì in un poco convincente sbuffo sonoro (un “uof!” che gli spettinò i baffi spioventi intrisi di sudiciume) e ciabattò scodinzolando verso Tebaldo con i suoi 60 kg abbondanti di carni fetide. Tebaldo se lo vide arrivare addosso, preceduto da un intenso tanfo di morte, e dovette scegliere fra due difficili possibilità: o scappare via più veloce dei saldi di Gucci, o restare e subire il putrido attacco canino. Un breve sguardo verso Serena, ancora impalata con le guance rosa d’imbarazzo e gli occhi scintillanti come gemme, e la decisione fu presto presa: fece un bel respiro, trattenne il fiato e si irrigidì mentre Sancho atterrava sui suoi Burberry, firmandoli in maniera indelebile.
“I pantaloni no!” strillò Serena e Tebaldo gliene fu silenziosamente grato, perché era quello che aveva pensato anche lui.
Sancho non diede segno di aver capito: fece un altro “uof!” che liberò miasmi infernali, sbavò qualcosa di gelatinoso sulle stringate di Tod’s e fissò Tebaldo con un occhio marrone che faceva capolino da sotto una cortina di pelo intrecciato con guano, iniziando a scodinzolare.
“Bravo cane.” ringhiò Tebaldo a denti stretti mentre Serena correva verso di lui prorompendo in uno scoordinato discorso.
“Cazzo, cioè, merda, cioè no, volevo dire, scusa, dovevo lavarlo prima che arrivassi ma Sancho è un tale maledetto zuccone che oddio, i tuoi pantaloni, oddio le tue scarpe… cazzo, cioè, merda, Tebaldo mi dispiace…”
Tebaldo rimase in silenzio a osservarla mentre si lei affannava a togliergli in quadrupede di dosso, divertito suo malgrado dalla sincera costernazione che si leggeva sul suo viso della ragazza: sembrava proprio sul punto d mettersi a piangere.
“Sono solo pantaloni” minimizzò fingendo di dimenticarsi delle scarpe “E questo essere vertebrato dovrebbe essere un cane, quindi ha solo fatto il suo mestiere. Però una lavatina non gli farebbe male, sul serio: nonna Veronica è già debole di cuore, se lo annusa in questo stato rischia un attacco di angina.”
Un po’ con le suppliche, un po’ con le minacce, con qualche sbuffo e qualche sonoro calcio nel didietro, Serena riuscì a spostare Sancho nel recinto con la vasca d’acqua saponata. Ci finì dentro fino al ginocchio insieme al cane, evento che le scatenò una nuova ondata di “cazzo, merda!” a cui seguì il discreto ridacchiare di Tebaldo alle sue spalle, rimasto prudentemente fuori dal recinto. Riuscì persino a tenere a mollo il riottoso cane, a insaponarlo, a tagliare maldestramente qualche ciuffo rasta intorno al perimetro, finché quando la puzza finalmente tornò sotto al livello radioattivo sfinita mollò l’animale che trottò tutto intorno al recinto, guaendo e scrollandosi come un indemoniato con l’acqua santa.
“Bel lavoro.” motteggiò Tebaldo e dopo un rapido sguardo Serena poté appurare che era davvero divertito come sembrava.
“Potevi darmi una mano.” buttò lì giusto per dire qualcosa di non ponderato e probabilmente a sproposito.
“E perdermi lo spettacolo di te e la Furia Miasmatica in lotta nel fango? Avrei perfino pagato il biglietto. Potreste mettere su un business, a ben pensarci.”
“Ecco perché voi ricchi diventate sempre più ricchi, perché avete delle idee di marketing invece di aiutare la gente.”
“Beh, non volevo intromettermi nell’adempimento del tuo mestiere, non ti pagano per questo?”
“Il lavoro al canile è gratis, una cosa plebea che si chiama volontariato.”
“Ecco perché i poveri diventano sempre più poveri, perché lavorano gratis.”
Non era un insulto, ma Serena si sentì lo stesso insultata e si arrabbiò.
“Va bene che c’è stato lo spettacolo della lotta nel fango senza nemmeno bisogno di pagare il biglietto, ma c’è una cosa che non mi spiego: come mai un milord come te ha preferito prendere un cane al canile, un cane che ti ricordo per quanti shampoo faccia rimarrà sempre la Furia Miasmatica, invece che andare a comprare un signor cane con pedigree in un signor allevamento svizzero?”
Tebaldo tornò ad alzare le sopracciglia altezzoso e sembrò quasi dispiaciuto di non essere più divertito.
“Sarebbe bello poter fare il cafone e dirti che non sono affari tuoi, piccola lottatrice, ma i milord vengono educati con la convinzione di dover fornire sempre una risposta, quindi te la fornirò, anche se probabilmente non capirai lo stesso.”
Nemmeno questo era un insulto, ma lo stesso Serena si sentì offesa e si arrabbiò ancora di più.
“Cercherò di far funzionare al massimo questo povero cervellino plebeo.” ringhiò finché lo sguardo scettico di Tebaldo non le fece serrare le labbra.
“Sai, io ho una bisnonna” disse infine il giovane con una leggerezza che suonò leggermente falsa “Una vecchietta tiranna e molto acida. Si chiama Veronica, come una delle sue pronipoti somigliante non solo nel nome; hai presente?”
Serena aveva presente: rabbrividì mentre Tebaldo continuava, fissando un fantomatico punto alle spalle di Serena.
“Questa indisponente vegliarda nella sua vita è stata una vera carogna, per dirla in un gergo che chiunque possa capire. Non starò a spiegarti cosa vuol dire nascere e crescere in una famiglia dove la cosa più carina che ti possa succedere è che la tata si impietosisca e ceni insieme a te, pur di non lasciarti solo con due candelabri e il servizio di porcellana di Limoges… sarebbe ipocrita e ingiusto nei confronti di chi nemmeno sa cosa siano le porcellane di Limoges, vero? Comunque, nonna Veronica ha avuto una progenie più che degna di lei, comprese le tre ex mogli di mio nonno, i due ex mariti di mia nonna e i due fratellastri che ho da parte di padre, di cui uno figlio della mia ex insegnante di tennis.”
C’era una nota amara sotto la grondante ironia della sua voce. Serena la sentì e immediatamente la rabbia sbollì, lasciando il posto a un vago quanto inspiegabile senso di colpa.
“Cani? Certo, ne abbiamo persino un allevamento: Scottish Terrier, mi sembra. Con pedigree lunghi come la vostra plebea lista della spesa. Nonna Veronica detesta quei cani, non li degna nemmeno di un’occhiata. D’altronde, a parte la crème brulée nonna Veronica detesta tutto a questo mondo, persone, animali, vegetali e oggetti inanimati. Probabilmente detesterà più d’ogni altra cosa questo puzzolente ammasso di pelo che ci ostiniamo a chiamare cane, lo prenderà a male parole e lo farà lavare ogni giorno che Iddio manda in terra da un povero cameriere senza colpa. Ma stai tranquilla, le sofferenze della Furia Miasmatica saranno di breve durata: nonna Veronica sta morendo.”
Serena emise un mormorio indistinto e Tebaldo, dopo uno sguardo sprezzante, le girò le spalle, non senza che Serena notasse quanto era assorta e contratta la sua fronte.
“Sì, beh, non ti dispiacere per lei, ormai è abbondantemente ora che la smetta di criticare il mondo: ma non sarei un nipote diligente se non provassi almeno una volta a darle una chance per riscattare quel suo dannato caratteraccio. Magari, lei e Furia Miasmatica troveranno delle affinità elettive insospettate; magari scoprirà di avere un cuore e assolderà un sacerdote induista per celebrare un matrimonio misto; o magari ci fregherà tutti noi nipoti, intestando al cane il suo notevole patrimonio. Giusto per prevenire questa possibilità, facciamo che l’atto di proprietà del cane lo firmo io… non si sa mai che scherzetti abbia in serbo quella vipera centenaria.”
Si girò ed era di nuovo Tebaldo “faccia di bronzo” Santandrea della Torre; a Serena stava battendo il cuore in una maniera spropositata, febbrile. Più di quello che aveva detto, le era rimasto incagliato dentro quello che Tebaldo non aveva detto, ma che era trasparso sotto le sue acide, amare parole. Le sembrò di aver capito anche troppe cose, con quel suo romantico cervellino plebeo in azione. Troppe cose troppo romantiche, per la precisione: cose che avevano il sapore di cuori ingabbiati in scrigni d’oro e altri vaneggiamenti simili.
“Ok” esalò quindi arrossendo senza motivo “Ti... ti faccio firmare l’atto di proprietà.”
Ormai esausto, Sancho smise di scrollarsi e si avvicinò a lei, la lingua pendente e il pelo già arruffato e lanuginoso: Serena lo accarezzò e gli mise il guinzaglio. Alzandosi incontrò gli occhi chiari e obliqui di Tebaldo che per una volta non erano sprezzanti o annoiati, ma solo sospettosi. Anzi, in qualche inspiegabile modo sembravano anche fragili.
“Immagino ti offenderai di nuovo per quello che sto per dire” le disse seccamente “Ma devo chiederti di non essere gossipizzato troppo su questo mio ultimo capriccio a scuola.”
“Va bene.” rispose Serena docilmente: il cuore le batteva ancora fortissimo senza nessun motivo, se non che Tebaldo l’aveva guardata, e non poteva esserci un motivo più sbagliato di quello per far battere il cuore, ma che poteva farci? Quello batteva e basta, fregandosene bellamente di quello che avrebbe dovuto o non dovuto fare.
In silenzio, precedette Tebaldo verso il piccolo, claustrofobico e puzzolente ufficio dove insieme all’addetto del canile sbrigarono alla sventa le pratiche per l’adozione. Sancho li seguì passivamente, ancora spossato per la lotta con Serena la quale si offrì spontaneamente di accompagnarlo fino alla macchina, una Mercedes con autista che aspettava scintillante fuori dai cancelli del canile. L’autista non sembrò per niente turbato quando Sancho gli trottò intorno annusandolo con sospetto.
“Dobbiamo caricarlo” gli ordinò Tebaldo con un gesto vago della mano “Vedi tu dove e come.”
Mentre l’autista eseguiva gli ordini senza perdere un solo grammo della sua impalata eleganza, Tebaldo allungò una mano verso Serena che per un attimo da capogiro pensò volesse toccarla: poi intuì che aspettava il passaggio di consegne del guinzaglio, così glielo mollò in mano come se scottasse.
“Ecco qua” disse precipitosamente arrossendo “A parte le puzze, Sancho è un bravo cane, a tua nonna piacerà.”
“Lo credo anche io” rispose Tebaldo con un sorriso mentre Sancho osservava con altera curiosità le manovre dell’autista “Mi sembra abbastanza scafato da non deprimersi troppo per le future sfuriate della nonna, e credo che alla fine si guadagnerà il suo rispetto. Ma continuo a pensare che il nome più azzeccato per lui sarebbe Furia Miasmatica: ricordati del possibile business, quando cercherai un lavoro retribuito.”
“Non mancherò.” rispose Serena con un sorriso.
Tebaldo alzò la mano come per salutarla e un attimo dopo lui e Sancho erano già stati inghiottiti dal macchinone fumé che si allontanava ronzando discretamente.
Serena, come una scema, restò lì per diversi secondi, chiedendosi perché d’un tratto si sentisse così inspiegabilmente sola, poi scrollò le spalle e rientrò decisa nel canile.
 *         *          *
Veronica smise di botto di camminare e quasi fece cadere la racchetta da tennis che stava svogliatamente facendo dondolare.
“E quello cos’è?” chiese con voce genuinamente sorpresa.
Tebaldo, praticamente sdraiato su una elegante poltroncina di rattan all’ombra della veranda di casa della Torre, aprì un occhio e lanciò uno sguardo di sufficienza alla cugina.
“Veronica cara, capisco che ti risulti difficoltoso recuperare l’archivio mentale delle lezioni di scienze subito dopo una partita a tennis, ma questo è davvero troppo.”
Veronica posò la racchetta e incrociò le braccia davanti a Sancho che si degnò di scodinzolarle felicemente intorno annusandola con entusiasmo.
“Cosa ci fa questo cane in casa mia?” ribadì Veronica allontanando il cane con un calcetto oltraggiato.
“Prima di tutto, questa non è casa tua” rispose Tebaldo annoiato “E’ la casa della nostra cara bisnonna, gentilmente concessa in prestito d’uso al debosciato nipote, ovvero tuo padre, visto che costui di suo non possiede una fissa dimora. A proposito, dov’è adesso il tuo carissimo genitore?”
Veronica non lo sapeva, forse in Svizzera dove c’era la centrale amministrativa della casa farmaceutica che dirigeva o forse in un atollo polinesiano a dettare lettere su lettere alla sua bella segretaria diciottenne. Il punto era che Tebaldo stava tergiversando e Veronica decise di non permetterglielo.
“Il cane” ripeté dura “Chiedevo cosa ci fa qui in questa dimora dove io abito pur non possedendone le mura.”
Tebaldo le lanciò uno sguardo irritato.
“Si chiama Sancho e l’ho preso al canile per fare compagnia a nonna.”
Veronica ci mi se un po’ a elaborare l’informazione.
“Hai fatto prendere un cane al canile?”
“No, l’ho preso io. Guarda i miei pantaloni: reperto dell’accusa protocollo 15/a.”
“Tu sei andato al canile?”
“Sì. Siediti, cugina diletta, mi sembri pallida…”
“Sei andato al canile. Tu, Tebaldo. Perché?”
“Scusami, forse non era così ovvio come sembrava: al canile ci si va per prendere un cane. Ora carissima rilassati, che ti insegno qual è la mano destra e qual è la mano sinistra.”
“Non trattarmi da stupida solo perché ti sto facendo delle domande ovvie! Tu, Tebaldo, non andresti al canile nemmeno per salvare il mondo da un disastro nucleare. E l’idea di un cane per nonna Veronica, andiamo! O hai subito un trapianto di cervello, o stai macchinando qualcosa.”
“Ah, io starei macchinando qualcosa… Gladi?”
Veronica arrossì ma non mollò la presa.
“C’entra la Colombi?”
“Forse” rispose Tebaldo dopo una breve pausa “Fatto sta che la nonna non ha gradito il mio pensiero affettuoso.”
“Te lo dico. Nonna odia i cani.”
“Nonna odia tutti.”
“Compresi i cani, quindi. Questo poi…”
Girarono entrambi gli occhi su Sancho che, sentendosi osservato, scodinzolò e fece un allegro “uof!” sgocciolando di bava le preziose piastrelle di cotto fiorentino ed emettendo un singolare lezzo di caverna tutto intorno.
“Puzza come il demonio” informò Veronica brutalmente “E per quanto qualsiasi cosa infernale possa accomunarlo a quella vecchia diavola di nonna Veronica, non credo che lei gli permetterà mai di avvicinarsi a meno di un chilometro.”
“Esattamente quello che mi ha detto nonna” sorrise Tebaldo “Devo ammettere che è stato uno spettacolo senza prezzo vederla così oltraggiata… le si sono persino arruffati i capelli.”
Veronica tentò di immaginare la cupolosa cofana argentata di nonna Veronica tutta arruffata, ma per quanto si sforzasse non ci riuscì.
“Potresti lasciarlo in custodia alle scuderie.” propose dubbiosa.
“Negativo. Nonna ha bandito Sancho da qualsiasi sua proprietà vicina alla sua persona, pena la decapitazione. Mia, non del cane. Quindi, niente scuderie.”
“Sul serio era così arrabbiata?”
Tebaldo si lasciò scappare un sorrisetto maligno.
“Subito era solo offesa. Ma poi Sancho ha pensato bene di marcare il territorio contro il vaso Ming in veranda e a nonna è partito un ingranaggio: ha maledetto tutte le razze canine una per una, compresa la nostra progenie lei inclusa. Dal nervoso nemmeno se n’è accorta.”
Veronica tentò di immaginarsi nonna Veronica fuori dalle grazie di Dio mentre Sancho urinava contro un vaso da un milione di dollari e le scappò lo stesso sorriso maligno del cugino.
“Povero cane” gorgogliò perfidamente “Chissà com’è rimasto traumatizzato dall’attacco di nonna.”
“Non più di tanto” rispose Tebaldo con una nota di riottosa ammirazione nei confronti del cane, che scodinzolò soddisfatto “Mentre lei eruttava improperi lui annusava il sedere della cameriera, che si è imbarazzata a morte e ha rovesciato il tè.”
“Santo cielo! Nonna non è svenuta?”
“No, ma ha bandito Sancho a vita pena lo scuoiamento, ha licenziato la cameriera e ha bandito anche me, almeno finché non smetterà di schiumare al ricordo del suo vaso Ming violato.”
“Una vera tragedia. Almeno ne è valsa la pena?”
Tebaldo fece una faccia enigmatica e allungò le gambe: Sancho gli si piazzò sotto fedelmente, giusto per ribadire a chi si doveva chiedere il permesso per alzarsi in piedi.
Non aveva ancora capito se ne era davvero valsa la pena: a ripensarci, quella ragazzina gli stava rendendo le cose troppo facili. Se solo pensava a quanto erano sembrati enormi i suoi occhi mentre lui faceva la sceneggiata del nipote scapestrato ma fondamentalmente buono… Fastidiosamente enormi. E puliti. Così puliti da accecare, da dare fastidio.
“Ne è valsa la pena” rispose infine Tebaldo “Voi femmine siete di una prevedibilità impressionante: bastano due frasi smozzicate, un’espressione appena un po’ assorta e vi imbrigliate da sole come delle asinelle da soma.”
“Già, noi femmine siamo proprio patetiche” lo assecondò Veronica a denti stretti “Ma ritornando a una femmina molto poco asinella: come farai con nonna?”
“Aspetterò qualche giorno poi tornerò a trovarla” rispose Tebaldo con noncuranza “Nel frattempo qualche cameriera avrà lucidato male la sua argenteria o la galleria d’arte non le avrà incorniciato l’ultimo aborto di uno dei suoi pupilli artistoidi, e lei si sarà dimenticata di me e della mia Furia Miasmatica.”
“Nome molto più appropriato di Sancho.”
“Lo penso anche io, mio cuore. Come siamo affini nella nostra sublime raffinatezza.”
“Nel frattempo che nonna sbollisca, dove pensi di lasciare quel cane?”
Tebaldo la guardò con gli occhi sgranati e innocenti.
“Cuore mio, se sono qui mollemente adagiato su una tua sedia è perché ovviamente qui sarà la nuova dimora di Sancho!”
Veronica smise di colpo di essere divertita.
“Scordatelo.”
“Vorresti essere crudele con un povero cane indifeso?”
“No, voglio essere crudele con te. Tu l’hai preso, tu te lo tieni in casa, capito?”
Tebaldo rispose con un lezioso sventolio della mano e uno sguardo a palpebre socchiuse molto freddo e calcolatore.
“Suvvia, amor mio, pensaci bene. Credi che la segretaria Gladi sia nella posizione di poter rifiutare una così accorata supplica dal parte del tuo adorato cugino?”
Veronica serrò la mascella per non protestare: dopotutto non era affatto sorpresa, era scontato che Tebaldo avrebbe finito per ricattarla. Lanciò uno sguardo ostile a Sancho che sollevò il muso e la ricambiò, pieno di altezzoso sospetto.
“C’è un piccolo problema. Non credo che Byron sarà contento di avere un ospite.”
“Non credo neanche io” ammise Tebaldo con un sorriso da schiaffi “Prima è arrivato qui, ha visto Sancho, l’ha annusato ed è corso a svenire in quel cespuglio. Tra parentesi, non ne è più uscito, forse sarebbe il caso di dare un’occhiata.”
“Byron!”
Veronica corse a tuffarsi nel cespuglio seguita dalla risata beffarda di Tebaldo.
“Eddai, Veronica, scherzavo” le gorgogliò mentre lei, appurato che Byron non era lì, tornava indietro con gli occhi scintillanti di rabbia “E’ andato a svenire in casa. Comunque Sancho non sarà un problema per voi due: tu e Byron vivete a palazzo, lui vivrà qui nel giardino. Ho già allertato i domestici, provvederanno loro al mantenimento in vita di Sancho. E anche che il suo odore rimanga sotto il livello di guardia: ho già fatto chiamare il disinfestatore per domani.”
Veronica capì di essere stata sconfitta: ma anche questo non la sorprese, sapeva di essere in svantaggio per colpa di Gladi. E comunque, aveva già una mezza idea di come rendere il favore a quella serpe velenosa di suo cugino.
“Molto bene” rispose dopo un breve silenzio che le servì per ingoiare a fatica il rospo “Sancho rimane. Ma solo per qualche giorno: nel frattempo, ti trovi qualche altra volenterosa cugina pronta a farsi ricattare. Sono stata chiara?”
“Cristallina come acqua sorgiva.” ironizzò Tebaldo e Sancho suggellò il patto di sangue con un ultimo “uof!” trionfante.
*          *          *
Il telefono di Serena squillò a lungo prima che si decidesse a rispondere.
“Pronto?”
“Ciao, sono Paolo.”
“Ciao.”
Che gli dico adesso?, pensarono entrambi con insospettabile sincronia.
“Tutto ok?”
“Si si, tutto ok, e tu?”
“Ok.”
Il dialogo di due tuberi lessati: Paolo si fece forza schiarendosi la voce.
“Senti, volevo dirti che ho qualche problema a vederci questa settimana. Sto… sto pensando di dare ripetizioni a uno stud… a una studentessa e sono un po’ incasinato.”
“Nessun problema” cinguettò Serena con tanto trasparente sollievo che Paolo ne fu quasi mortificato “Allora, ehm… ci sentiamo domani?”
“Si, domani, ok.”
Riattaccarono, sentendosi entrambi mortalmente in colpa.
Paolo proprio non riusciva a capire perché continuava a ronzargli nella testa la voce incerta della segretaria Gladi. Chissà perché, quella voce l’aveva rapito subito con quel qualcosa di estraneo e conosciuto allo stesso tempo che aveva pervaso ogni frase.
Serena continuava a pensare a due occhi obliqui e verdognoli incastonati in una faccia da stronzo che non se ne andava mai dalla sua testa, rimanendo fastidiosamente ai margini delle sue percezioni e inquinando la sua pacifica e tranquilla visione della vita.
Tutti e due inconsapevoli di stare facendo un passo in direzioni opposte ma simili.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il giorno dopo Veronica ci mise ben quarantacinque minuti a decidere cosa indossare. La povera Inocencia stava per darle una mestolata in testa e ficcarle un saio addosso, tanto era esasperata e persino Byron, intuendo la sua agitazione, non faceva altro che abbaiare e addentare qualsiasi scarpa trovasse sul suo cammino, comprese la Manolo Blahnik nuove che le erano costate l’intero assegno di mantenimento mensile. Sancho faceva sentire la sua presenza miasmatica uoffando contro il vetro della veranda ricoperto ormai da una poltiglia grigiastra di chiara origine aliena.
“Señorita, si decida!” sbottò alla fine Inocencia, esasperata e visto che ormai era tardissimo per davvero, Veronica si decise: avrebbe indossato i jeans. Di Cavalli, certo, con le bordature di pitone autentico, ma pur sempre jeans. E una camicetta. Bianca. Senza firma. Gliel’aveva prestata Inocencia senza fiatare, ma dalla faccia stava sicuramente pensando che doveva avere una meningite in corso. Bilanciò con le scarpe di Gucci: ok l’implebeimento volontario, ma senza esagerare! Si truccò pochissimo e lasciò i capelli naturalmente mossi. Sembrava quasi una qualunque, pensò guardandosi orgogliosa allo specchio. Maria Beatrice probabilmente sarebbe svenuta dalla costernazione, doveva portarsi dietro i sali. Ma lui… cosa avrebbe pensato lui?
*          *          *
Un bell’emerito niente, ecco cosa aveva pensato lo scherzo della natura. Bianchi non si era nemmeno girato a guardarla, né quando era entrato, né durante tutte le prime due ore di letteratura. Veronica non sapeva bene se bruciarlo come eretico o liquefarsi in lacrime di umiliazione. In compenso Maria Lucrezia non riusciva a capacitarsi dell’orrore rappresentato dalla sua camicetta bianca e continuava a fissarla come se avesse addosso un cadavere putrefatto. Veronica era talmente abbattuta che durante l’intervallo aveva ceduto la posizione centrale del gruppetto a Maria Vittoria che quasi era inciampata per la sorpresa.
“Vero, stai bene?” chiese preoccupata Maria Beatrice posandole la mano sul braccio (evitando accuratamente il suo aborto di camicetta non firmata).
“Non tanto” ammise subito Veronica di pessimo umore “Doveva esserci qualcosa nel sushi di ieri sera che…”
La sua voce venne interrotta dallo squillo di un telefonino: era uno squillo anomalo, imperioso, seguito dal frenetico rovistare nelle rispettive borsette di tutte le quattro ragazze.
“Non è il mio.” certificò Maria Vittoria, ma Veronica aveva già estratto il suo I-Phone e lo stava guardando come se fosse una bomba a orologeria col timer inserito.
“E’ il mio.” balbettò incerta mentre un nome piccolo piccolo lampeggiava sul display, gettandola in un autentico vespaio di confusione.
“Non è la suoneria delle emergenze?” domandò Maria Lucrezia blandamente sorpresa ma Veronica aveva già girato i tacchi e si stava già allontanando a passo spedito, dimenticandosi per una volta di sfilare in passerella e mancando lo stipite della porta per un pelo.
“Pr… ehm, pronto?” rispose affannata quando arrivò fuori dalla portata delle tre Marie (e cioè lontana almeno cento metri: le Marie avevano un udito che rasentava il livello radar, e in più sapevano leggere il labiale, quindi Veronica doveva stare attenta a rimanere di spalle mentre parlava).
“Gladi? Ciao, sono Paolo!”
Che diamine, stava telefonando dalla scuola? Guardandosi intorno febbrilmente, Veronica individuò Bianchi nell’atrio, vicino alle vetrate aperte sul giardino: aveva la mano libera in tasca e col piede disegnava piccoli cerchi per terra. Rapidamente si mimetizzò dietro a una colonna, sperando che le Marie che la osservavano da lontano non si chiedessero se era improvvisamente uscita di cotenna.
“P-Paolo… ciao. Che sorpresa una tua telefonata, adesso.”
“Volevo essere sicuro di trovarti da sola, senza Grimilde in circolazione e siccome so di per certo che adesso è in giro a regalare mele avvelenate qui a scuola... Ti dispiace?”
“Certo che no!”
Glissando sulle mele, ci aveva messo un po’ troppo entusiasmo ma improvvisare non le era mai venuto molto bene.
“Hai già pensato alla mia proposta?” chiese con voce più professionale, giusto per rimediare.
“Più o meno” rispose Paolo prudentemente: mentre Veronica lo osservava di sottecchi da lontano, continuava a fare cerchi con la punta del piede e fissava assorto il pavimento.
“Ancora non hai deciso?”
“Non so. Tu con Grimilde ci hai già parlato?”
“A dire il vero non ancora: si fida del mio giudizio, lei. Dovrei parlarle di te?”
“No, aspetta. Sai… oggi l’ho osservata.”
Quando?, pensò Veronica arrossendo affannata. Non se n’era minimamente accorta! Era stata lei a guardarlo per tutto il tempo fissando con aria truce il suo dannato collo e ordinandogli mentalmente di girarsi ad adorarla senza evidenti risultati apprezzabili.
“E?” chiese con la bocca secchissima, temendo la risposta come un fucile puntato.
“E, effettivamente, sembra non mordere.”
Consolante. Più o meno.
“Direi. Almeno finché non calano le tenebre.”
Paolo rise e Veronica lo vide da lontano gettare indietro la testa: incantata si chiese come facevano quei dannati capelli a sembrare luminosi come un’aureola anche a quella distanza…
“E al calar delle tenebre che succede?”
“Indossa un mantello nero per coprire le ali membranose che le spuntano al tramonto e vola in giro a succhiare sangue alla gente.”
“E tu come lo sai?”
“Io prendo gli appuntamenti, no?”
“Diamine. E io che pensavo si mettesse una tiara in testa e combattesse le forze del male a suon di American Express.”
“Vedi che di lei non sai niente?”
Paolo rise di nuovo e Veronica lo fissò ancora senza quasi respirare.
 “… del compenso.”
“Come? Scusa, mi ero distratta.”
“Ho detto che non ricordo l’ammontare del compenso.”
Nemmeno Veronica se lo ricordava: sparò una cifra a caso, evidentemente ancora più esosa di quella sparata la sera prima.
“Stramerda! Certo che ne hanno di soldi da buttar via gli Scarlini della Torre, eh?”
“Non sono soldi buttati via: sono soldi investiti per l’istruzione.” ribatté Veronica con sussiego.
“Sono buttati via, ti dico: la verità, in confidenza, è che Grimilde non ha affatto bisogno di un tutor…”
Per un attimo Veronica perse il battito cardiaco e trattenne il respiro: lui non pensava che lei avesse bisogno di un tutor! Magari pensava che lei fosse intelligente? Sveglia? Ricettiva?
“Davvero…?”
“Certo. Chiariamo, Grimilde finora ha esternato il livello intellettivo di un paramecio, ma a suo favore c’è da dire che non ha mai dovuto dimostrare il contrario perché primo, il consiglio di classe la promuoverebbe anche se all’esame si limasse le unghie senza profferire verbo, secondo, una parvenza di istruzione è assolutamente sprecata per una che nella vita farà solo shopping, lifting e finti ricevimenti di beneficienza e terzo, fosse anche vero che per qualche strana congiunzione astrale volesse studiare sul serio, il suo caratteraccio la porterebbe a licenziare chiunque osasse anche solo pensare di contraddirla. ”
Mentre parlava faceva di nuovo cerchi col piede e aveva l’aria assorta: Veronica invece stava lottando furiosamente contro un improvviso e inopportuno desiderio di piangere. Quella debolezza era sicuramente tutta colpa dell’influenza nefasta di Gladi, la segretaria sfigata!
“Adesso sei ingiusto” mormorò quando riuscì a non far tremare la voce “Tu… non la conosci affatto.”
“Nemmeno lei mi conosce, ma questo non le ha mai impedito di chiamarmi scherzo della natura. E sgorbio, obbrobrio, mostro…”
Aveva ragione: come contestare una verità così cristallina?
“La gente può cambiare, se gli si dà la possibilità.” tentò Veronica stringendo il telefono con entrambe le mani: lui aveva smesso di fare cerchi col piede e sembrava solo assorto.
“Sei molto saggia e leale, Gladi.”
E opportunista, pensò Veronica con un piccolo moto di vergogna.
“Beh, io parto avvantaggiata. Ho a che fare con la suddetta Grimilde tutti i giorni e non la trovo così terribile. Io la trovo simpatica.”
“Simpatica? Grimilde? A questo punto scommetto che trovi simpatico anche farti infilzare i bulbi oculari con aghi arroventati.”
Il suo scetticismo era davvero avvilente.
“Tu hai mai provato?”
“La faccenda degli aghi arroventati? Francamente no.”
“A parlare con Veronica.”
“A parlare con Grimilde?”
Rise. Così sinceramente da spezzare il cuore.
“Sei di nuovo ingiusto.”
“Scusa. Pensavo a me e a Grimilde che parliamo; come vedere Alien e Biancaneve che prendono il tè insieme.”
“Potrebbe essere. Per lo meno Veronica è un po’ meno antiestetica di Alien.”
“Hai ragione. Sarà anche insopportabile, fredda e snob, ma esteticamente c’è tutta.”
C’è tutta. Era una cosa buona o cattiva?
“Descrivimi con parole tue il concetto di esserci tutta, per favore.”
“Beh, si vede che è bella, sotto lo strato di cerone e la messa in piega. E anche il telaio non è male.”
Il telaio. La carrozzeria. Come quella della Rolls di suo padre? Il respiro di Veronica era corto e affannato come quello di un uccellino. Era un complimento: spurio, debole, forzato ma pur sempre un complimento e la giovane ci si attaccò come una cozza allo scoglio.
“Anche la tua… ehm, f-fidanzata c’è tutta?”
Ecco, l’aveva nominata. L’innominabile Colombi, che la stitichezza se la portasse. Da lontano, Veronica vide Bianchi alzare lentamente la testa con espressione pensosa e socchiudere la bocca per rispondere: poi la campanella suonò e Bianchi si scosse come se si svegliasse da un sogno.
“Scusami, Gladi, è suonata la campanella; devo andare.” sentenziò quasi con sollievo.
“Ok.” Che delusione!! “Mi… ehm, mi chiamerai di nuovo?”
Che mendicante: ma la piccola Gladi se lo poteva anche permettere, no?
“Posso?”
Sembrava contento anche lui: i suoi fondi di bottiglia scintillavano come gemme riflettendo la luce che entrava dalle finestre.
“Certo.”
Non osò dire di più: a Gladi quel giorno era andata davvero alla grande. Alla povera Veronica un po’ meno… per quel giorno aveva ricevuto abbastanza insulti da bastarle per tutta la vita, ma paradossalmente con quel “c’è tutta” c’era ancora una speranza che brillava come un faro nella notte.
*          *          *
Prima ancora di gettare un’occhiata al giardino, la tragedia fu preannunciata da Inocencia che le corse incontro in pieno affanno asmatico.
“Senorita!” strillò mollando di botto l’accumulo di aplomb Scarliniano e recuperando la sua tragica natura sudamericana.
“Calmati Inocencia. Che è successo?”
“Ese perro… quel… cane!”
In un attimo a Veronica si piegarono le ginocchia.
“Sancho…? E’ entrato in casa…?”
La visione orrorifica della Furia Miasmatica a passeggio per le preziose stanze della casa le diede la nausea: quando lo immaginò nei pressi del suo guardaroba, iniziò a sudare freddo.
“No es mi culpa! Ero en la cocina e non ho visto che avevano aperto la puerta…”
“E’ entrato? O santissimi santi! Inocencia, se quella latrina abbaiante si è avvicinata anche solo di un metro al mio guardaroba giuro che…”
“Senorita, no! Sancho non està entrato: è Byron che està uscito!”
“Byron! Gli ha fatto del male? L’ha azzannato?”
“No, senorita, no… non proprio…”
Il sollievo fu tale che per poco Veronica non sorrise.
“Allora è ancora vivo.”
“Purtroppo si, che tragedia!”
“Byron?”
“No, senorita, el perro huele, il cane che puzza!”
“Ma perché avrebbe dovuto morire?”
Inocencia sgranò gli occhi e non ebbe il coraggio di rispondere: Veronica impaziente la scostò decisa e marciò verso il giardino, inseguita dall’angosciata domestica. Arrivata in veranda si bloccò di colpo e rimase per un bel pezzo così, immobile, la bocca socchiusa e lo sguardo esterrefatto a fissare i due cani, il piccolo Byron e il grosso Sancho, impegnati in più che evidente atto di seduzione canina.
Inocencia nemmeno fiatava, arrovellandosi le mani in silenzio. Quando dopo svariati minuti la sua padrona era ancora muta e immobile, azzardò un discreto “ehm!” che sembrò risvegliarla. Veronica si girò a guardarla e nonostante lo sguardo fosse altezzoso e freddo come al solito, qualcosa tremava agli angoli della bocca.
“Se non ricordo male quando l’ho fatto operare, Byron era un maschio.” disse con ammirevole tranquillità.
“Sì, senorita! Ricordo di averci guardato personalmente. E adesso... guardi li! Dios mio!”
“Sì, effettivamente è piuttosto imbarazzante. Non pensavo fosse possibile in natura…”
“El jardinero dice che a volte succede, per stabilire chi dei è il macho dominante… anche se ormai dovrebbero averlo stabilito ore fa… Dios mio, in Colombia estas cosas no suceden. Indecente!”
“Sì, sicuramente poco elegante. Fortuna che nonna Veronica non è nei paraggi, o avrebbe scomunicato anche il papa.”
“E’ peccato mortale anche se sono cani!”
“Già, ma non sembrano molto preoccupati, al momento. Fai una cosa, alla prima pausa accertati che vengano indirizzati in fondo al giardino a stabilire chi è il maschio dominante. Fai creare una zona franca di intimità, possibilmente coperta e non visibile da nessuna parte della casa, e chiudili lì finché non si sono stufati.”
“Ma come senorita… non chiamo il guardiacaccia per farli abbattere?”
“Non essere medievale, Inocencia! Se il giardiniere dice che può succedere, vediamo come va a finire.”
Inocencia non si raccapezzava: cani gay e la sua padroncina che ironizzava su una cosa così blasfema?
“Ma senorita…”
“Fai come ti ho detto” sentenziò Veronica piena di antica arroganza “Io intanto avviso il padrone dello sposo di preparare i confetti per il matrimonio.”
*          *          *
“Tebaldo?”
La risposta del cugino non risultò per niente sorpresa.
“Ancora tu? Comincio a pensare che la storia del villico cherubino sia tutta una scusa per sentirmi e che in realtà tu sia innamorata di me, Grimilde carissima.”
“Dì ancora certe blasfemie e ti sodomizzo con un chilo di mele avvelenate.”
“Cara! Lo sai che tutte le novità a sfondo sessuale mi incuriosiscono.”
“Infatti è per questo che ti ho chiamato. Volevo ufficialmente avvisarti che Sancho e Byron sono diventati una coppia di cani gay.”
“Come?”
“Giuro sulla mia pochette di Prada. Il nostro esperto in materia, il giardiniere, conferma che in natura può succedere, come atto di predominio. Qualunque fosse la ragione del loro colpo di fulmine, gli ho fatto preparare un’alcova segreta in fondo al giardino.”
Veronica si gustò i dieci secondi buoni di silenzio sorpreso dall’altro capo del telefono.
“Davvero?” recuperò poi Tebaldo prontamente “Beh, di Byron l’ho sempre sospettato, con quei fianchi stretti e quel nome da letterato britannico… ma Sancho è una vera sorpresa. Mi sembrava robustamente etero, un bel cane da riproduzione selvaggia. Tu guarda le sorprese che ti riserva la vita.”
“Inocencia è letteralmente sconvolta: vorrei farle capire che per i cani è ostico assorbire il concetto cattolico di peccato mortale, ma al momento non sente ragioni e sta tappezzando il giardino di croci e rosari. Dice che queste cose in Colombia non succedono mai.”
“Allora immagino che in Olanda sarà una cosa piuttosto comune.”
“Quando si dice menare il can per l’Aia…”
“Si rassegnerà, quando i piccioncini finiranno di consumare il loro attimo di passione. Ora mi vuoi parlare del vero motivo della tua telefonata?”
Veronica, suo malgrado, arrossì.
“Perché, essere i proprietari dei due primi cani gay della storia non ti sembra una notizia sufficientemente importante da comunicarti?”
“La notizia non riguarda te personalmente, quindi dal tuo augusto punto di vista non vale niente.
Avanti, dimmi la verità, si tratta ancora di Bianchi.”
“Sei odiosamente sospettoso e cinico.”
“Si, che tragedia, vero? Ora che posso fare stavolta per te in veste di tuo personale sportello psicologico?”
“Devo farti una domanda.”
“Quello che vuoi, luce dei miei occhi.”
“Cosa vuole un ragazzo da una ragazza?”
Tebaldo finse di meditare seriamente la risposta.
“Cosa vuole un ragazzo da una ragazza?” ripeté infine con le sopracciglia ben inarcate “Dico gioia mia… è una domanda retorica o hai avuto un’amnesia selettiva e non ricordi più niente sull’argomento?”
“Specifico: un ragazzo normale da una ragazza normale. Che cosa vuole?”
“Vediamo… qualcosa che fa rima con cuore, sole, amore… ci sono! Vuole guardarle le tette.”
“Tebaldo! Non cadere nel triviale e sii serio.”
“Giuro. Ero un ragazzo anche io fino a cinque minuti fa, lo ricordo bene.”
“Nient’altro?”
“No.”
“Ma dai!”
“Beh… toccargliele, forse.”
Veronica sospirò esasperata.
“La tua inutile volgarità mi infastidisce. E togliendo le, ehm, tette?”
“Mah, senza tette rimane ben poco… a meno che il ragazzo non sia così assurdamente baciato dalla fortuna da poter arrivare direttamente alle mutandine.”
“Ma insomma! A parte il sesso, c’è niente che possa attirare un ragazzo?”
Tebaldo sospirò accomodandosi meglio sul costoso divano di pelle: era rientrato da poco da scuola, e doveva ammettere che quel nuovo, curioso ruolo da fratello confessore lo divertiva parecchio. Inoltre, vedere Grimilde/Veronica Scarlini della Torre così pateticamente confusa a causa di Bianchi (no, dico, di Bianchi!!!! Si scompisciava ogni volta che ci pensava su…) non aveva prezzo, assolutamente.
“Mettiamola così, tesoro: gli uomini sono esseri molto elementari e primitivi e rispondono solo a istinti primari. Una donna per piacergli deve saperli soddisfare, quindi una femmina disposta a fare sesso, cucinare e lasciar dormire il suo uomo in pace è il massimo a cui l’Uomo aspiri nella vita.”
“Vuoi dire che io per piacere a un uomo dovrei imparare a cucinare?” brontolò Veronica poco convinta.
Tebaldo aspettò per un lungo momento perplesso.
“Buon Dio, no. Si parlava di gente comune… la plebe. Il volgo. Quelli che devono giochicchiare coi propri sentimenti perché non possono comprare quelli degli altri. Tu… noi… non siamo soggetti a quelle regole: stiamo sopra, molto sopra! Non siamo come gli altri.”
“Ah no?” mormorò Veronica stranamente scoraggiata: di solito era fiera e orgogliosa di essere nell’elite “E come sono io allora?”
“Tu sei una regina. Tu non devi fare nient’altro che farti adorare, fare shopping e lasciar pagare gli altri. Cosa che fin’ora ti è venuta benissimo.”
Già. La famosa Grimilde. Però da come l’aveva dipinta innocentemente Paolo non sembrava tutta questa meraviglia.
“E se non volessi più essere una regina?” continuò quindi con assorta lentezza “Se volessi interessare a qualcuno a prescindere dalle mie tette o dalla sua carta di credito?”
Tebaldo intuì che il discorso non era frivolo come sembrava: il tono di Veronica appariva sufficientemente cupo da dare l’idea che stesse parlando sul serio.
“Cuore mio!” esordì quindi prudentemente “Quello che metti in gioco è l’essenza stessa di quello che sei… sicura di voler buttare tutto alle ortiche per un essere insignificante come Bianchi?”
Nel mentre la suoneria delle emergenze pigolò dall’altro cellulare di Veronica e questa sobbalzò come se l’avessero punta.
“Devo andare!” strillò alzandosi bruscamente dalla poltrona e impugnando il cellulare come una scimitarra spaziale.
“Grimilde, insomma! E’ estremamente inelegante farsi prendere da un colpo apoplettico solo perché qualcuno ti sta chiamando… quella poi non è la suoneria delle emergenze? Che sia bisnonna che abbia saputo del love affaire di Byron e la Furia Miasmatica…?”
“Non sei spiritoso!” berciò di nuovo Veronica e riattaccò sulla grassa, impudente risata del cugino.
Poi mentre cercava di riportare la respirazione al di sotto del modello mantice, rispose al telefono.
*          *          *
“Pronto?” fece con molta professionalità mentre il cuore batteva come un tamburo africano.
“Ciao Gladi! Sono Paolo Bianchi.”
“Oh, ciao Paolo.”
“Stai lavorando? Grimilde è in giro?”
“No, ehm… Veronica è dal parrucchiere.”
“A fare che? Ha i capelli tanto impalcati che starebbero su un mese da soli senza ritocchi.”
Se aveva telefonato per fare dell’ironia gratuita sui suoi capelli poteva anche finire lì la chiamata, batticuore o non batticuore!
“Non cominciare a fare l’acido, giovanotto.”
“Scusa, dimentico sempre che lei è il tuo datore di lavoro.”
“Già.”
Veronica era troppo contenta per chiedergli il motivo della telefonata, ma Gladi sarebbe stata tenuta a farlo, quindi continuò in tono serioso: “Dimmi, hai pensato alla mia proposta?”
Breve silenzio imbarazzato di Paolo.
“A dire il vero ci sto ancora pensando” rispose infine con un sospiro “Volevo prima spiegarti alcune cose.”
“Sono tutta orecchi.”
Pur di stare al telefono con lui avrebbe accettato chiarimenti su qualsiasi cosa volesse, dalla situazione meteo sulle Prealpi alla ricetta della bagnacauda.
“Grazie. Dunque, immagino che fosse previsto di dover venire lì a dare lezioni a casa Scarlini…”
A dire il vero, Veronica non ci aveva nemmeno lontanamente pensato. E nemmeno Gladi; bella segretaria del cavolo…
“Suppongo di sì, ma non è importante.”
“Lo è invece. Vedi, al pomeriggio devo stare con mio fratello perché i miei sono al lavoro.”
“Oh, non sapevo che avessi un fratello piccolo.”
A dire il vero non sapeva proprio niente di lui al di fuori del presunto stecchetto malvestito. Anzi, neanche dello stecchetto sapeva un gran che. Insomma, non sapeva proprio di niente di lui e basta.
“Non è piccolo, ha due anni più di me. Però a volte ha bisogno di avere qualcuno vicino. Ha la sindrome di Down.”
“Oh.”
Che doveva dire in quei casi? Cosa avrebbe detto una persona qualunque… Mi dispiace? Paolo però non sembrava dispiaciuto, quindi Veronica preferì glissare.
“Potresti portare anche lui qui. Villa Scarlini è davvero enorme e non si annoierebbe di sicuro.”
“Non è tutto. Ho anche due sorelle più piccole, in effetti. Hanno quindici anni, non sono quasi mai in casa, ma hanno bisogno anche loro di un’occhiata ogni tanto.”
“Oh. Siete un’autentica folla. Portare anche loro sarebbe possibile?”
“Scherzi? Laura e Silvia ammesse al castello della Regina? Non sopravvivrebbero allo shock. Sai, frequentano il mio stesso liceo e sono nel fan club di Grimilde… la trovano “assolutamente divina” per usare parole loro.”
Sante ragazze, pensò Veronica deliziata in uno slancio di esaltata gratitudine: almeno qualcuno sano di mente in casa Bianchi c’era. O forse erano amiche dello stecchetto?
“Naturalmente, potrebbe venire anche la tua f-fidanzata.” buttò lì freddamente.
Non vedeva l’ora di avere un tete-à-tete con la Colombi: l’avrebbe stracciata, sublimata come la naftalina.
“No… Comunque non potremmo venire lo stesso. C’è anche Biagio a cui pensare.”
“Un altro fratello? Diamine, dovresti avvisare i tuoi che se facessimo tutti come loro rischieremmo il sovraffollamento mondiale.”
“Biagio è un cane.”
Un altro? La sua vita si stava riempiendo di fastidiosi quadrupedi, pensò sbirciando fuori dalla porta a vetri che dava sul giardino.
“Non c’è problema!” ripose poi quindi con un sorriso ironico “Anche Veronica adora i cani, ne ha due. Potrebbero farsi compagnia. E’ etero?”
“Come?”
“Chiedevo di che razza è.”
“Biagio non ha razza. E’ un bastardone di trecento chili e sembra un incrocio malriuscito tra uno yak e una motofalciatrice. L’abbiamo adottato l’anno scorso dal canile dove lavoro d’estate.”
Anche lui al canile? Che fosse stato sempre quello il romantico luogo d‘incontro con lo stecchetto malvestito?
“E’ vecchio e zoppo” continuava intanto Paolo “Cieco da un occhio e secondo noi è arrivato alla fine dei suoi giorni. Non credo che trascinarlo a Villa Scarlini sarebbe una buona idea.”
“Oh.”
Non c’era nemmeno bisogno che aggiunga una nonna malata, un gatto senza coda e un pesce rosso asmatico per demolirla del tutto.
“Quindi capisci, anche se accettassi non posso proprio pensare di…”
“Potrebbe venire lei da te” propose Veronica rapidamente senza pensarci. Cioè, Gladi lo propose. Col senno di poi, non era stata la pensata migliore che una segretaria potesse fare.
“Come? Grimilde qui?”
Paolo scoppiò a ridere, una di quelle sue snervanti risate a cuore aperto che tanto la umiliavano.
“Grimilde qui! Con Dante che le tira la palla, Laura e Silvia genuflesse in adorazione, Biagio che fa puzzette a tutto spiano spalmato sul divano, Zigote che miagola come se lo avessero crocifisso e nonna Adalgisa che insiste per preparare le frittelle di mele… un film dell’orrore!”
E giù a ridere come se l’avessero imbottito di antidepressivi. A Veronica non sfuggì il fatto che il gatto e la nonna ci fossero davvero: un segno del destino?
“Quando hai finito di sbellicarti potresti prendere in seria considerazione l’idea?”
“Ma dai Gladi! Sarebbe troppo… surreale. Un quadro di Dalì fatto e finito.”
Promemoria mentale per Gladi: informarsi su chi diamine fosse Dalì.
“Sarebbe solo fattibile.”
“Balle. Grimilde non scenderebbe mai così in basso in mezzo alla gleba. Nemmeno con le soprascarpe di Gucci: avrebbe lo stesso paura di contaminarsi.”
Veronica stava cominciando ad arrabbiarsi: la sua definitiva convinzione era una sfida aperta!
“E tu che ne sai di cos’ha paura lei?”
“Non credo che potendo scegliere tra un insegnante privato a domicilio e uno degli sfiguz nel bel mezzo di un appartamento sovraffollato di animali e subumani, Grimilde opterebbe per la seconda possibilità.”
La sua logica era inoppugnabile, ammise scoraggiata.
“E invece sceglierebbe te, se glielo consigliassi io. Lei… si fida molto del mio giudizio.”
Breve silenzio da parte di Paolo.
“Posso anche crederci: dopotutto Grimilde ha dimostrato più volte di preservare il proprio cervello per i posteri e far lavorare quello degli altri. Ma a questo punto sorge un’altra domanda.”
“Quale?”
“Perché tu, Gladi, dovresti proporre me? Persino il più scarpone dei segretari capirebbe che non sarei la scelta migliore.”
Silenzio. Veronica tenne le labbra chiuse, ma la voce di Gladi premeva per uscire e allora decise di lasciarla libera una volta ancora.
“Sì che saresti la scelta migliore. E non solo a livello accademico, ma anche a livello umano. Forse Veronica è davvero vissuta nella bambagia ed è altezzosa, snob, egoista…”
“… nonché incredibilmente stronza?”
“… ma se vedesse com’è una famiglia normale come la tua…”
“… che più anormale di così non ce n’è…”
“… lei, forse… capirebbe… insomma, forse le farebbe bene.”
Paolo prese un grosso respiro pensieroso.
“Gladi, non credo che…”
“Pensaci bene, Paolo: tu guadagneresti un bel po’ di soldi, e ora che mi hai raccontato della tua famiglia penso che ti farebbero parecchio comodo; per Veronica, oltre che mettersi in pari negli studi, potrebbe essere persino terapeutico a livello umano; le tue sorelle sarebbero felici di poter vedere da vicino il loro idolo; tua nonna potrebbe gioiosamente preparare montagne di frittelle e se va tutto bene magari tuo fratello potrebbe procurare una commozione cerebrale alla tua Grimilde tirandole una pallonata in testa e rendendola più buona di Biancaneve. L’unica cosa su cui, da segretaria perfetta, mi permetto di porre il veto è sulle puzzette di Biagio: mentre la mia cliente si trova presso la vostra abitazione, pensi di riuscire a porvi rimedio?”
Paolo rise di nuovo e a Veronica vennero le vertigini al pensiero di come probabilmente stava buttando indietro la testa, facendo luccicare le lenti degli occhiali.
“Oh, Gladi, sei impagabile! Ma…”
Lo interruppe sparando una cifra in euro che poteva essere uno stipendio mensile.
“Cazzo! Volevo dire… diamine, sono un sacco di soldi…”
“Accetti?”
“Non ne ho nemmeno parlato con i miei…”
“Ci sarebbe anche il fattore vendetta privata. Pensa alla tua Grimilde seduta sul divano a fianco di Biagio. Con i peli di gatto che si attaccano permanentemente alla sua gonna di Versace.”
“Sei perversamente diabolica, sai?”
“Ho un master in business administration alla Bocconi.”
“Oh, così si spiega tutto.”
“Accetti?”
Veronica quasi pregò fra sé e sé: aveva definitivamente finito le cartucce.
“Io… sì.”
Dio del cielo, grazie.
“Con diritto di opzione di proroga in caso la prima seduta sia un completo disastro.”
“Mi sembra giusto. E per le puzzette di Biagio?”
“Beh, Grimilde mica lo sa…”
“E poi sono io quella perversamente diabolica, eh?”
“Imparo in fretta anche senza master. A quando la prima lezione?”
“Domani, ore 15,00. Indirizzo?”
Paolo le dettò l’indirizzo e lei (Gladi) lo scrisse diligentemente sulla borsetta, usando la matita per occhi. Il palmare l’aveva lasciato sulla poltrona prima del suo attacco di nervoso e probabilmente si era perso nei meandri delle costose pieghe di cavallino autentico.
“Tu ci sarai?” le chiese Paolo con molta naturalezza. A Gladi, naturalmente.
“No! Io… devo lavorare su… alcuni appuntamenti importanti. E poi devo organizzare il week end alle terme: non hai idea di che lavoraccio mi aspetti, tra prenotare i massaggi ed accertarmi che venga rispettata la dieta macrobiotica di Veronica…”
“Dieta macrobiotica? Allora tanti saluti alle frittelle di nonna Adalgisa.”
“Vedrai che le piaceranno lo stesso. Magari se per friggere potesse usare olio di semi d’uva spina…”
Lui tacque, attonito.
“Sto scherzando.”
“Meno male, ero già in crisi. Che peccato, però.”
“Per l’olio? Può andare bene anche quello di avocado centrifugato, sai?”
“Peccato che tu non possa venire. Avrei… mi sarebbe piaciuto conoscerti.”
Senza un apparente perché, Veronica intuì che era arrossito. Incredibilmente, anche lei aveva le guance in fiamme, e il cuore che ballava il merengue, in aggiunta. Stecchetto Colombi, beccati questo! Nel contempo, come Veronica era anche decisamente disturbata dal fatto che Paolo mostrasse molta più simpatia per Gladi che per Veronica stessa: non era affatto così che doveva andare.
“Dispiace anche a me. Magari un’altra volta.”
“Sì. Ti spiace se ti chiamo ancora? Quando la virago ti lascia libera, naturalmente.”
Promemoria per Gladi: informarsi su cosa fosse una virago. E piantarla di irretire il ragazzo che piaceva a Veronica.
“Volentieri. Mi piace davvero tanto parlare con te.”
E questa da dove le era uscita? La personalità latente di Gladi stava prendendo il sopravvento su Veronica? E Grimilde, dov’era finita? Ok, stava decisamente dando segni di schizofrenia galoppante.
“Alla prossima allora, Gladi.”
“Alla prossima, Paolo.”

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Serena avrebbe dovuto essere felice, e invece erano due ore che aveva un muso lungo come quello di un mastino napoletano. Tutta colpa di Tebaldo “puzza sotto il naso” Santandrea dalla Torre, che quel giorno aveva esaudito le sue silenziose preghiere e non l’aveva salutata. Nemmeno guardata. Nemmeno annusata. Le era passato di fianco ignorandola come se lei facesse parte dell’intonaco scrostato alle sue spalle. Il che era normalissimo per chiunque, compresa lei stessa, tolti gli ultimi giorni e il metaforico meteorite del canile. Quindi, avrebbe dovuto essere contenta di aver ripristinato il normale equilibrio delle cose. Infatti, lo era. Doveva esserlo! Aveva un ragazzo che le voleva bene, forse noioso ma buono e bravo. E anche lei era buona e brava: figurarsi se una ragazza esteriormente banale, mediamente intelligente e socialmente nerd doveva perdere tempo a pensare a due occhi verdognoli e obliqui. Due occhi sospettosi, quasi fragili; a un viso antipatico, indisponente… affascinante. A una voce dura che nascondeva carezze. Certo che non ci pensava. Nemmeno per un secondo. 
“Paolo!” esclamò quasi con sollievo quando lo vide da lontano che ciabattava verso l’uscita buttando le lunghe gambe un po’ a casaccio.
Paolo Bianchi alzò la faccia pensierosa e un sorriso gli illuminò le spesse lenti degli occhiali: colta da un improvviso moto di tenerezza mista a un velato senso di colpa, Serena gli corse incontro e, sullo slancio del momento, lo abbracciò stretto baciandolo sulla bocca.
“Ehi?” rise Paolo arrossendo vivacemente e allontanandosi di un passo: la sua naturale riservatezza lo rendevano sempre un po’ impacciato nelle effusioni, figurarsi quelle in pubblico.
“Ciao” lo salutò Serena, già smontata “Scusami, non volevo metterti in imbarazzo.”
“Macché, mi hai fatto piacere.” balbettò Paolo arrossendo ancora di più.
Era una chiavica anche a mentire, poverino.
“Hai, uhm… ehm… ti accompagno fuori?”
“No devo passare in segreteria per prendere delle fotocopie.”
“Ah, ok. Ci sentiamo dopo?”
“Ok.”
“Bene, ok.”
Di nuovo i discorsi fra due tuberi. Abbattuta, Serena salutò con la mano e un sorriso mesto allontanandosi. Non ci capiva più niente di quello che sentiva per Paolo. Il loro era stato un avvicinamento graduale, da amici: le famose campane, i fuochi d’artificio, le passioni incendiarie tra loro non c’erano mai state. Ma pomiciare con lui era piacevole, aveva un buon odore e un buon sapore. Era dolce e tenero e delicato. “Era una noia.”
No! Insomma, era ingiusto pensarla così. Certo, Paolo non aveva inquietanti occhi verdognoli e non era crudele con qualsiasi cosa osasse respirare verso di lui, ma questo non voleva dire che fosse noioso. Era solo… solo…
“Noioso.”
Serena arrivò in segreteria sbattendo con forza la borsa sul tavolo.
“Mi servono le fotocopie richieste dalla professoressa di biologia.” disse in fretta alla segretaria che la stava guardando col sopracciglio alzato.
Intascò le fotocopie e si allontanò a testa bassa: non riusciva a togliersi dalla testa una certa voce bassa e sprezzante. Una voce da uomo. Paolo aveva una voce così da ragazzo, piacevole ma delicata.
“Noiosa.”
Non noiosa! Dolce. Certo, dei gran paroloni non glieli aveva mai detti… col tempo, forse. Facendo uno sforzo per vincere la timidezza. Anche se poi a conti fatti non era così timido, valutò dirigendosi verso l’uscita. Certo, non aveva la spavalda arroganza di un ricco e viziato rampollo dell’alta società…. Certo, non trasudava sicurezza, non era merdosamente ammaliante anche senza volerlo, non sorrideva in una maniera da far sciogliere i cubetti di ghiaccio nei bicchieri… ma Paolo (perché era a Paolo che stava pensando, ok?!)… Paolo era buono, onesto, pulito.
“Noioso!”
“Adesso basta!” ringhiò sottovoce alzando bruscamente il viso: suo malgrado incappò in uno sguardo obliquo e verdognolo, così gelido da ghiacciare l’Antartide.
Veronica Scarlini della Torre. Con tutto l’entourage intorno, intento a cicalare con un gran movimento di unghie laccate e braccialetti tintinnanti. Fortuna che non l’avevano sentita: Maria Vittoria parlava a raffica, immersa nell’entusiasmante descrizione dell’ultima sessione di shopping, Maria Lucrezia inviava un messaggio dal suo i-phone fingendo di ascoltare Maria Vittoria e Maria Beatrice sbirciava il messaggio di Maria Lucrezia senza nemmeno preoccuparsi di fingere di ascoltare Maria Vittoria. Quando Veronica e i suoi inquietanti occhi verdognoli la abbandonarono, Serena sentì subito meno freddo: finse di armeggiare col rubinetto, si lavò le mani cercando di recuperare il contegno. Sbirciò dallo specchi e vide Veronica che si stava lisciando i capelli stranamente poco impalcati.
“Sapete che ho un nuovo ospite in casa mia?” disse poi nel bel mezzo del discorso di Maria Vittoria, come se quella nemmeno stesse parlando.
“Davvero?” abboccò subito Maria Beatrice, già abbondantemente stufa dei deliri moderecci di Maria Vittoria “E chi è?”
“Cos’è vorrai dire” rispose Veronica con voce morbida: teneva gli occhi bassi, ma chissà perché Serena si sentiva ancora osservata “Si tratta di un cane.”
“Byron?” propose molto argutamente Maria Lucrezia.
“No. E’ un certo Sancho.”
“Spagnolo, allora.” approvò Maria Vittoria: era inguaribilmente esterofila, a sua insaputa.
“Italiano meticcio, credo. E’ un bastardone pulcioso e incredibilmente puzzolente che Tebaldo, per chissà quale aneurisma cerebrale, ha prelevato dal canile per poi scaricarlo nel mio giardino, come se fosse un inutile ammasso di spazzatura. Inocencia è quasi svenuta dalla costernazione.”
A nominare Tebaldo, le antenne delle tre Marie si erano messe a vibrare tutte contemporaneamente come uno stormo di locuste: il nobile cugino si era ripassato più o meno segretamente tutte loro, trattandole malissimo e disprezzandole pubblicamente. Ovvio che lo adorassero e venerassero come se fosse un Dio dell’Olimpo.
“Tebaldo è venuto a casa tua?”
“Ti senti con Tebaldo?”
L’espressione di Veronica lasciò trasparire per un secondo annoiata esasperazione.
“Ragazze, non sto parlando di Tebaldo: sto parlando delcane di Tebaldo parcheggiato a casa mia.”
“Allora Tebaldo è venuto a casa tua!”
“Ma ti senti con Tebaldo?”
Veronica sembrò quasi digrignare i denti: persino Serena, improvvisamente interessata al fatuo discorso, per un attimo fu solidale con il suo evidente sforzo di comunicare con qualcuno di intellettualmente paragonabile a un parasole.
“Si, Tebaldo è venuto a casa mia: mi ha mollato lì un cane dalle eccentriche preferenze sessuali. No, non mi sento con Tebaldo, e non mi ci sentirò in futuro, se non per comunicargli che il suo dannato cane deve sloggiare dal mio giardino che ormai ha più buche di un campo da golf e inizia a puzzare come una latrina a cielo aperto.”
“Oh” fecero quasi in coro Maria Vittoria e Maria Lucrezia: Maria Beatrice, che era rimasta miracolosamente zitta, sembrò improvvisamente connettersi in rete e girò uno sguardo stupefatto su Veronica.
“Ma Tebaldo ha un cane?” esclamò sinceramente costernata “Non lo sapevo!”
Lo sguardo di Veronica diventò adamantino: passò su Serena che comunque si sentiva già un blocco di ghiaccio e finì su Maria Beatrice schiacciandola giù con aria schifata come se fosse stata uno scarafaggio ribaltato che agitava inutilmente le zampette.
“Tebaldo non ha un cane” esalò con voce musicale e fredda come vento artico “Tebaldo non può avere un cane, perché non gliene frega di niente e di nessuno e un qualsiasi essere vivente nelle sue mani morirebbe di crepacuore, fosse anche un cactus millenario. Ha preso questo povero cane per capriccio e quando si è annoiato l’ha buttato via nel mio giardino.”
Serena pensò a Sancho, l’allegra Furia Miasmatica, seduto mogio e triste in un ricco giardino solo e abbandonato da tutti e le si strinse il cuore in una morsa; si girò lentamente, sicura di incontrare lo sguardo di Veronica. Lo incontrò, infatti, persino meno freddo e crudele del solito.
“Tebaldo butta via qualsiasi cosa, quando si annoia.” concluse Veronica tornando a lisciarsi i capelli, parlando a tutti e a nessuno. Parlando a lei, evidentemente.
A Serena mancava l’aria: stava ricordando lo sguardo cupo e tormentato di Tebaldo mentre parlava della sua povera nonna malata e per la prima volta le sembrò una grottesca versione di Cappuccetto Rosso a suo uso e consumo: rivide lo sguardo di Tebaldo com’era di solito, freddo, calcolatore, spietato. “… a Tebaldo non gliene frega di niente e di nessuno…”
Vero. Verissimo. Ne aveva avuto la riprova anno dopo anno: come aveva fatto a credere che fosse diverso? Come aveva potuto farsi abbindolare come una stupida qualunque?
“Ma tu sei una stupida qualunque…” le disse una vocina triste nella testa “Tu sei solo la povera signorina Salsicce & Co e uno come Tebaldo non può che prenderti in giro come e quando vuole.”
Serena girò i tacchi e volò fuori dalla stanza in un silenzioso turbinio di fotocopie e capelli, seguita dal sorrisetto trionfante che stirò le labbra di Veronica.
“Comunque non è vero che Tebaldo butta via tutto” sentenziò una ignara Maria Beatrice dopo una accurata riflessione “L’ho visto io l’altro giorno che indossava un giacchino di Dolce dell’anno scorso… cioè, praticamente vintage!”
“Praticamente.” la compatì Veronica senza lasciar spegnere il sorriso.
*          *          *
Tebaldo si stava annoiando: era indeciso se chiamare il maestro di tennis per una partita volante o se ripiegare su palestra e massaggio. Il cielo nuvoloso suggeriva forse la seconda ipotesi, ma a Tebaldo piacevano le sfide e aveva appena afferrato la racchetta da tennis quando Conception, la sua domestica, fece capolino dalla porta con un’espressione nebulosamente sorpresa sul viso.
“Senor, uhm… la cercano alla porta.”
Immediatamente, Tebaldo tornò di buonumore: non aveva idea di chi poteva essere ma la curiosità era ottima per scacciare la noia. Non chiese nemmeno chi fosse che lo stava cercando.
“Vengo subito.” rispose avviandosi verso la porta con la racchetta in mano.
E fu così che Serena lo vide arrivare: pantaloncini bianchi, maglietta Lacoste sbottonata, aria sportiva… bello e altero da prendersi a schiaffi. Bello e altero da lasciarla senza fiato. Infatti dovette costringersi a respirare mentre le mani le si ghiacciavano immediatamente, pur continuando a sudare. Quando Tebaldo la inquadrò nel vano della porta, sul viso gli si dipinse un’espressione di blanda sorpresa.
“Ma tu guarda” la salutò con voce strascicata e fredda “La signorina Salsicce & Co. A cosa devo l’onore di una visita?”
Solo allora si accorse della presenza vicino a Serena: si trattava di un formidabile donnino alto un metro e un anacardo, largo altrettanto, di età indefinibile e dal viso sorprendentemente simile al muso di un bulldog infuriato. La mano grassoccia del donnino scattò all’insù e afferrò quella di Tebaldo con sorprendente rapidità.
“Signor Santandrea, buongiorno, sono Amaltea Giovinazzi la direttrice del canile comunale. Sono qui con uno dei nostri collaboratori per controllare lo stato di salute del cane che lei ha adottato da noi, Sancho. Possiamo vederlo?”
Anche la voce del donnino sembrava quella di un bulldog infuriato: Tebaldo le fece cadere addosso uno dei suoi migliori sguardi glaciali, uno sguardo che avrebbe rotto chiunque in due come un uovo di quaglia. Chiunque, ma non il metro sferico della signora Giovinazzi, che ricambiò lo sguardo col mento bulldoghiano ben proteso.
“Giovanozzi, ha detto?” cercò di demolirla Tebaldo con fredda alterigia.
“Giovinazzi, signore. Sancho dov’è?”
Bella domanda: Tebaldo girò lo sguardo su Serena che dovette fare appello a tutta la sua forza per non scappare via a gambe levate.
“Già, ehm , noi… vorremmo vedere Sancho, se non ti spiace.” disse in fretta con una voce che sembrò quasi normale.
Tebaldo non perse un grammo della sua alterigia.
“Posso chiedere perché, di grazia?”
“Certo” rispose a raffica la Giovinazzi, come se avesse avuto la bocca piena di petardi “E’ prassi comune controllare che i nostri cani adottavi si siano ben inseriti nel contesto familiare dei loro nuovi padroni. Una specie di check up che ripetiamo più volte nell’arco dell’anno.” 
Tebaldo, dietro la sua maschera di freddezza, stava pensando velocemente: era indeciso se credere che la piccola occhioni da cerbiatto avesse inscenato quella storiella solo per poterlo incontrare o se credere che fosse tutto vero. Dalla presenza del piccolo e scoppiettante bulldog umano si sarebbe detto la seconda ipotesi, ma doveva accertarsene. In maniera che risultasse divertente per lui, ovviamente.
“Sancho non è qui” rispose quindi prontamente “Ma posso garantire che si trova in una delle proprietà di famiglia, in piacevole e sanissima compagnia.”
“Capisco” abbaiò la Giovinazzi per niente scalfita “Ciò non toglie che è nostro dovere verificare lo stato di salute del nostro cane.”
“Mi scusi signora Giovanotti, ma non è più il vostro cane.”
“Giovinazzi, signore. Il nostro cane in senso lato, naturalmente; ci potrebbe accompagnare da lui, dovunque esso sia?”
Quella non mollava l’osso al pari dei suoi degni consanguinei canini, pensò Tebaldo divertito suo malgrado. Forse doveva cambiare tattica, quell’essere rotondeggiante non veniva minimamente scalfito dai suoi modi aristocratici.
“Ne sarei lieto” sorrise quindi cavallerescamente “Ma avrei prima una partita a tennis.”
“Non c’è problema, la aspettiamo.”
“Potrei metterci delle ore, e non vorrei mai rubare tempo a una persona impegnata come lei; chissà quanti figli adottivi deve controllare oggi.”
“Figli?” si confuse la Giovinazzi mentre Serena sembrava sempre più muta e pallida al suo fianco.
“Beh, quasi, si” chiocciò Tebaldo con candore sfoderando un sorriso scintillante “Ho una proposta da farle, signora Giovanelli.”
“Giovinazzi, signore.”
“Come vuole. Si fida della sua collaboratrice?”
“Si, certo.” rispose la Giovinazzi insospettita, più che altro dal colorito cinereo di Serena.
“Allora potrebbe lasciare qui in ostaggio la sua giovane apprendista e finire il giro di visite da sola.”
Lei sola a casa di Tebaldo?, pensò Serena con autentico panico.
“No.” sfiatò ma Tebaldo finse bellamente di non sentirla.
“Poi quando avrò finito la mia partita a tennis mi preoccuperò personalmente di accompagnare la signorina a controllare lo stato di salute di Sancho, e poi a casa, da dove le riferirà tutto quanto necessita sul vostro diletto canide, pelo per pelo.”
“Non se ne parla nemmeno.” si ribellò Serena scrollandosi di dosso il gelo che l’aveva attanagliata.
Tebaldo inalberò una compunta faccia dispiaciuta.
“Io lo dicevo solo per ottimizzare i tempi. Capisco l’urgenza di controllare che il povero e soave Sancho non sia finito in un lager nazista, ma la signora Giovanardi avrà sicuramente mille impegni e noi due, essendo compagni di scuola, potremmo di sicuro passare qualche ora insieme senza destare le ire dei puritani...”
Le stava facendo fare la figura della demente, pensò Serena angosciata: era partita battagliera, convinta di farla pagare a quel bugiardo borioso e crudele… com’è che si stava rapidamente trovando dalla parte del torto?
“Veramente io… devo fare i compiti.”
“Sciocchezze” tagliò corto la Giovinazzi che nel tempo in cui Tebaldo tesseva la sua tela e Serena sprofondava nel guano aveva già tratto tutte le sue conclusioni “Aspetterai il signor Santandrea e ti farai accompagnare a controllare Sancho. Nel frattempo, io finirò il giro da sola.”
Serena pressò le labbra frustrata: non c’era nessun giro da finire, lei stessa ci aveva messo più di un’ora a convincere la direttrice della necessità di quel controllo. Evidentemente, la faccia da schiaffi di Tebaldo aveva confuso anche lei.
“Posso parlarti un momento?” grugnì prendendo la direttrice per un braccio e allontanandosi dall’altezzoso orecchio teso di Tebaldo.
“Che diavolo fai, Amaltea?”
“Che diavolo fai tu, ragazzina” chiocciò spiccia il donnino “Quel tizio è un figo da paura! Adesso capisco la necessità della messa in scena.”
“Che… che messa in scena?”
“Dai dai, ragazzina, ti sembro nata ieri? D’altronde condivido perfettamente, io stessa mi farei bruciare i palmi dei piedi su una bistecchiera pur di vederlo giocare a tennis, tutto sudato… brrr! E poi ti guarda con due occhi. Dai retta a me, se riesci chiudilo negli spogliatoi del circolo di tennis o nelle scuderie o nel primo cantone che trovi e approfitta di lui. Hai la mia benedizione.”
“Amaltea!”
Serena non sapeva se scoppiare a ridere o pensare a uno scherzo grottesco, ma la faccia di Amaltea sembrava terribilmente seria.
“Fidati ti dico, oggi hai diciotto anni e le tette sode come due manghi maturi, ma domani sarai in menopausa, i tuoi manghi sembreranno sacche ripiene di gelatina e uno figo così al massimo ti passerà vicino sull’autobus, peraltro senza degnarti di uno sguardo. Se riesci, saltagli addosso. Adesso. Subito!”
“Tu sei tutta sciroccata!”
“E tu dovresti smetterla di arrossire tutte le volte che ti guarda, lo smonterai di sicuro se continui così. Comunque, non è più affar mio: posso lasciarti qui tranquillamente, ci sono più domestici e telecamere che nel telefilm Dallas. E quel tizio sarà pure uno stronzo snob, ma è un galantuomo, non farà niente di socialmente deprecabile. Quindi, io vado. E tu la prossima volta trova una scusa migliore della salute del povero Sancho per poter vedere il suo fighissimo padrone.” 
“Questa conversazione assurda non è mai esistita” borbottò Serena sconfitta, più che altro per far smettere Amaltea di dire tante cose imbarazzanti “Non c’è stata nessuna messa in scena e ti ho già spiegato il perché di questo controllo! Quel borioso aristostronzo ha fatto anche a te il lavaggio del cervello? Se è così, quindi è inutile discutere. Visto che non mi dai alternative, aspetterò.”
Tornarono verso Tebaldo che sorrideva sornione come se avesse ascoltato tutto. Serena gli lanciò un lungo sguardo di sfida: poteva aver vinto una battaglia, ma non avrebbe vinto di sicuro la guerra! Come leggendole nel pensiero, il sorriso di lui si allargò affascinante, finché Serena non sentì caldo sul collo e il cuore in dolorosa accelerazione.
“Vedremo.” le dissero quelle iridi verdognole e la sicurezza di Serena vacillò pericolosamente.   
*          *          *
Ore 14:55, davanti a casa Bianchi. La Mercedes con autista parcheggiò silenziosamente mentre al suo interno Veronica Scarlini della Torre constatava irritata e sbigottita di stare sudando copiosamente, nonostante l’aria condizionata avesse reso l’abitacolo degno di una baita svizzera.
“Rilassati” le sussurrò Gladi nella testa (era dal giorno prima che quell’irritante presenza faceva capolino nei suoi pensieri quando meno se lo aspettava); comunque era un buon consiglio e Veronica lo seguì. Si era vestita sobriamente almeno secondo i suoi standard, unica concessione al lusso i sandali e la Martha Bag di Jimmy Choo. Si toccò i capelli rigorosamente non impalcati, prese i libri in mano e si decise a uscire dalla macchina.
“Torna tra un’ora.” ordinò all’autista e prima che le venisse a meno il coraggio salì i gradini e si appostò davanti al portone. Ma dov’era il campanello? Ce n’erano un centinaio, con variopinti cognomi appiccicati il più delle volte con lo scotch. Carletti, D’Ambrosio, Rossi, Zanella… Dunque, i Bianchi abitavano in un condominio? Dall’ampiezza della famiglia si sarebbe detto che quel palazzone scrostato fosse tutto per loro. Comunque Veronica non fece nemmeno in tempo a trovare il cognome nell’elenco che il portone si aprì, preceduto da un tragico ronzio.
“Permesso?” azzardò Veronica dopo aver atteso invano per due minuti che un portiere le spalancasse la porta.
“Scarlini?” tuonò una voce su per la tromba infinita delle scale.
“Bianchi?” rispose Veronica cercando di non far somigliare troppo la sua voce incerta a quella di Gladi.
“Su per le scale, terzo piano!”
Veronica obbedì, cercando però di evitare il corrimano così lercio e antico da contenere sicuramente sedimenti preistorici. Finse di ignorare le varie porte che si socchiudevano al suo passaggio, facendo intravedere curiose iridi che la radiografavano come se il reperto fosse lei: in effetti, nonostante la presunta sobrietà, il suo abbigliamento era ancora nettamente da copertina di Vogue. Arrivata al terzo piano, cominciò persino a sentire bisbigli sospetti.
“E’ qui, Paolo, è qui!”
“Stai calma, Lauretta, ti farai venire una sincope.”
“Ma è qui!!”
“Ragazze, spostatevi… Nemmeno stesse arrivando la sultana del Brunei… Dante, metti via quella palla! Nonna, dov’è Biagio?”
“Sul divano.”
“Tiralo via di lì! Silvi, hai buttato fuori Zigote?”
“Sì, ma quel bastardo è rientrato dalla finestra del bagno e adesso è infilato sotto qualche letto. Però ho tolto tutti i peli dalle poltrone, quindi direi che…”
“Paaaallaaaa!”
Tom!
“Dante, ti ho detto di mettere via quella palla o te la faccio mangiare!”
“Io faccio le frittelle.”
“Nonna, non ti ci mettere anche tu, vai in camera tua e inizia a farmi un paio di calzini a maglia, dai. Biagio, giù di lì ho detto! Merda, sta sbavando sul copridivano pulito!”
“Paaaallaaaa!”
Tom! Una palla rossa schizzò fuori dalla porta e Veronica la placcò di riflesso stringendola al petto. La palla fu seguita sul pianerottolo da Paolo Bianchi, decisamente affannato e con gli occhiali storti, da un ragazzone goffo e robusto con gli occhiali ancora più storti e da due ragazze che sembravano due cloni tanto erano identiche; mentre tutti si cristallizzavano sul posto uscì anche una vecchia signora, gobba e gracile come un uccellino.
Veronica sbatté appena le ciglia sentendo il cuore che le atterrava sotto i piedi (reazione più che normale visto che Paolo la stava guardando).
“Io faccio le frittelle.” sentenziò la vecchia cocciuta che era evidentemente cieca come una talpa visto che si rivolse allo stipite della porta invece che al nipote, ignorando l’illustre nuova ospite.
Mentre sui visi identici delle due sorelle si dipingeva la stessa espressione di estasi mistica, Paolo prese saldamente in mano la situazione con insolita presenza di spirito.
“Dentro tutti. Cia… cioè, buongiorno Scarlini?”
Però con lei parlava interrogativo, quindi era agitato. Poverino, che caro, pensò Veronica cercando di rimanere impassibile.
“Ciao Bianchi.”
“Entra pure?”
Il gruppetto sciamò all’interno dell’appartamento e Veronica si chiese con angoscia come avrebbero fatto a starci dentro insieme e se ci sarebbe stata abbastanza aria per tutti. Fiduciosa seguì i Bianchi in quello che doveva essere un salotto e che sembrava un magazzino in cui avessero appena tirato una bomba a mano; c’era un muro pieno di mensole a loro volta piene di libri, c’era un divano di uno sconcertante giallo pus su cui troneggiava uno sbavazzante quadrupede, c’era un tavolo con un centrino all’uncinetto sotto a una biscottiera di finto cristallo con dentro una pianta di ciclamini agonizzanti, c’era un quadro tridimensionale di Padre Pio appeso a una parete, di fianco al calendario di Frate Indovino… c’era insomma talmente tanto di quel ciarpame dozzinale da riempire pagine e pagine di inventari. Veronica li fissava affascinata, osservata a sua volta con estremo interesse da tutta la famiglia Bianchi (compresa la nonna guercia che probabilmente intuiva solo una nebulosa colorata).
“Ehm, bene…?” balbettò Paolo quando si accorse che il silenzio si stava protraendo troppo “Io comincerei anche subito la lezione ma le mie sorelle volevano prima conoscerti…”
“Laura!”
“Silvia!”
Cinguettarono in coro le due ragazze zompandole praticamente addosso con le mani entusiasticamente tese. Veronica strinse prima una e poi l’altra con estremo garbo.
“Veronica.”
“Si, lo sappiamo!”
“Per noi sei favolosa!”
“Hai un look fighissimo!”
“I tuoi capelli sono fighissimi!”
“Tu sei fighissima!”
“Ehm… grazie.” rispose Veronica arretrando leggermente: non era abituata all’assalto delle fan e in quell’ambiente ristretto si sentiva quasi claustrofobica.
“Ragazze” le rimproverò Paolo, stranamente senza punti di domanda “Fatela respirare. Lui invece è mio fratello Dante.”
Stavolta, tra lo sconcerto di tutti, Veronica tese al giovane la palla che stringeva ancor al petto.
“Piacere, Veronica.”
“Ciao” rispose Dante prendendo la palla e aggiustandosi gli occhiali spessissimi per guardarla meglio “Tu sei tanto bellissima.”
Lo disse con una tale sincera naturalezza che Veronica non poté fare a meno di sorridere: nel vedere il sorriso Paolo la fissò come se le fosse spuntato un fungo velenoso sotto la narice.
“Grazie” rispose Veronica ignorando la reazione di Paolo “Sei molto gentile. Merito del trucco e dei vestiti, però.”
Dante annuì e si girò verso Paolo con evidente rimprovero.
“Tu avevi detto che era una strega” lo accusò imbronciato “Ma non ha il nasone.”
“Ehm, Dante…?” tentò Paolo arrossendo furiosamente e Veronica inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
“E non puzza” continuò Dante deciso “Tu avevi detto che puzzava, e invece profuma.”
“Davvero?” domandò Veronica glaciale.
Silvia e Laura magicamente sparirono, evidentemente certe che la strega in questione stesse per trasformare tutti i presenti in rospi gracidanti.
“Io faccio le frittelle.” sentenziò la nonna approfittando del momento di distrazione del nipote per mettere in atto il suo piano culinario e ciabattò via curva e claudicante. Rimasero Paolo, che aveva assunto un delicato color ciliegia e sembrava voler sprofondare al centro della terra, Dante, Veronica e il cane Biagio che continuava a sbavare con costante regolarità senza degnare di attenzione gli umani presenti.
“Andiamo a studiare?” strillò Paolo marciando rapidissimo verso quella che doveva essere la sua stanza, tallonato da Dante e da Veronica.
“Pà… perché hai detto che la strega puzzava? E che era una… srob ergonista?”
“I-io non ho detto che puzzava?” tentò Paolo con affanno, completamente nel pallone.
“Forse ti avrà detto che ho la puzza sotto il naso.” suggerì Veronica incrociando le braccia sul petto.
“Sì, ha detto così! Ma però non è vero che puzzi. E’ lui che puzza.”
Indicò Paolo.
“Sante parole, Dante.” approvò Veronica gravemente.
“Io, scu… ehm, mi disp… ehm, è meglio se cominciamo a studiare?”
“Sei un brutto bugiardo, Pà” continuò imperterrito Dante imbronciato “Dillo che sei un bugiardo!”
“Sono un bugiardo. Ora però…”
“E che la strega non puzza ma è tanto bellissima.”
Le guance di Paolo raggiunsero la temperatura della superficie solare: Veronica ne sarebbe stata incantata se non fosse stata sul punto di scoppiare a ridere. O a piangere, chissà.
“V-Veronica…è… tanto bellissima…”
“E non puzza.”
“E non puzza. O-ora io e V-Veronica dobbiamo studiare, ricordi? Mi hai promesso che ci lasci la camera per il tempo necessario…”
“… e dopo mi compri il gelato!” ricordò Dante illuminandosi.
Soddisfatto trottò via a giocare con la palla e Paolo si chiuse la porta alle spalle lentamente, praticamente svuotato e con lo sguardo fisso a terra. Nonostante tutto, Veronica ebbe quasi pietà di lui.
“Così puzzo, eh?” buttò lì con un incredibile batticuore che fortunatamente non trapelò dalla voce.
Paolo, coraggiosamente, le si mise di fronte a testa bassa.
“Mi dispiace. Sono davvero costernato.”
“Però non smentisci.”
Lui azzardò un rapido sguardo per vedere se il miracolo era reale e in effetti sì, Veronica non sembrava per niente offesa.
“Tu… non sei arrabbiata?”
“Ma no. In fondo hai solo detto che sono una strega snob egoista con la puzza sotto il naso, cosa peraltro quasi vera. Se avessi detto che ero malvestita, allora…”
Ammiccò, incerta sulla sua prima battuta di spirito all’eterna vittima della sua spocchia. Ma Paolo era ancora troppo sotto shock per sorridere.
“I-io… mi dispiace davvero, però.”
“Bugiardo. Sarà un secolo che mi dai della strega alle spalle. Ma va bene così, io non ti do del mollusco, sgorbio e scherzo della natura?”
Paolo, sorpreso, sembrò pensarci su.
“Effettivamente…”
“Quindi siamo pari. Ok?”
“Ok. Ma ti prometto che cercherò di contenere le uscite a pera di mio fratello; non è professionale e tu stai pagando per avere lezioni di matematica e fisica, non per farti insultare.”
In effetti, Veronica stava pagando fior di quattrini, per essere lì in quel buco claustrofobico zeppo di chincaglieria dozzinale in compagnia di soggetti sconcertanti, umani e animali. Con Paolo Bianchi, finalmente. Soli. Praticamente impalati al centro della stanza, lei aggrappata alla sua Martha Bag, lui con le mani in tasca e la rigidità di un blocco di travertino. Si guardarono con sospetto.
Lui era il solito Paolo Bianchi di sempre, maglione di cotone slabbrato dal colore indefinibile e jeans dozzinali, capelli arruffati, occhiali sbilenchi… scarpa destra slacciata, anche quello un classico irrinunciabile.
E lei era la solita Grimilde, pensò Paolo fuggevolmente: quasi.
Quasi perché i capelli sembravano normali e non una parrucca congelata; quasi perché, borsa miliardaria a parte, era vestita da essere umano e non da manichino haute couture; quasi perché il suo viso… il suo viso… il suo viso per la prima volta da quando la conosceva sembrava espressivo. E vicino. Molto bellissimo, avrebbe detto Dante azzeccandoci in pieno.
“Allora, cominciamo?” domandò bruscamente distogliendo lo sguardo e Veronica sobbalzò.
“Va bene, cominciamo.”
*          *          *
Tempo dieci secondi e la Giovinazzi era sparita quasi rotolando giù dall’elegante scalone d’ingresso di villa Santandrea: Serena rimase radicata sulla soglia, e anche se indossava i jeans e una dignitosa camicia, si sentiva come se avesse avuto addosso il grembiulone “Salsicce & Co.” e gli stivaloni di gomma. Per niente preoccupato, Tebaldo se ne stava appoggiato allo stipite facendo dondolare con indolenza la racchetta e studiandola con i verdognoli occhi socchiusi.
“Beh?” disse alla fine Serena, incapace di sostenere oltre il suo sguardo “Cominci o no quella partita? Devo davvero andare a studiare, io.”
“Non so perché, ma scommetterei la mia racchetta che questa faccenda dei controlli ai cani adottati non è poi così frequente come avete voluto farmi credere.”
“E invece lo è” rispose Serena con ammirevole muso duro “Allora, ti decidi a muoverti? Ti aspetterò qui.”
Tebaldo, per tutta risposta, le prese il gomito con gentile delicatezza: Serena si sentì letteralmente trascinata dentro suo malgrado.
“Credo che alla fine non la farò quella partita” annunciò lui candidamente con la sicurezza di chi sta sempre dalla parte della ragione “Oggi il tempo è troppo incerto per il tennis.”
“E l’hai deciso adesso?” borbottò Serena palesemente innervosita.
“Certo. Ti dà fastidio?”
“Si.” rispose Serena in un insolito attacco si sincerità.
“Me ne dispiaccio enormemente” sorrise Tebaldo palesemente soddisfatto “Avrei dovuto mandarti il mio programma settimanale dettagliato, ma davvero non ne ho avuto il tempo. Vuoi qualcosa da bere?”
Si avviò verso il salotto tranquillo come una pasqua e Serena non poté far altro che seguirlo.
“No, io… voglio andare da Sancho e chiudere qui la faccenda.”
Tebaldo si versò un bicchiere di spremuta che troneggiava fresca e cristallina su un prezioso tavolo settecentesco.
“Sembri arrabbiata” commentò con gli occhi scintillanti di scherno “Ce l’hai con me per qualche motivo?”
“No, io… beh, un po’ si, ce l’ho con te.”
Al diavolo, pensò Serena in un moto di ribellione: perché doveva fingersi educata con quell’enorme pallone aerostatico di puro ego allo stato gassoso?
“Davvero” sospirò Tebaldo ammiccando “E che cosa ho fatto per perdere la tua simpatia?”
Le allungò il bicchiere di spremuta e Serena lo prese di riflesso, maledicendosi subito dopo.
“Io, ecco… grazie. Per la spremuta, eh.”
“Certo. Non mi permetterei mai di confondere il motivo del ringraziamento con qualsiasi altro. Allora, come mai non ti piaccio più?”
Serena arrossì così velocemente che il suo viso sembrò aver preso fuoco.
“Com… ehm, cosa? Io non ho detto che… cioè, non è che tu mi piacessi anche prima… cioè…”
“Un altro dei discorsi sconclusionati a cui sei avvezza? Hai però dimenticato gli svariati merda e cazzo con cui hai farcito il discorso l’ultima volta, ma forse quello era dovuto all’effetto serra della Furia Miasmatica.”
Serena posò con forza il bicchiere sul tavolino, e strinse i pugni fino a farsi male.
“Non volevo essere scortese, ma in fondo non vedo perché mi devo sforzare così tanto, visto che tu non lo fai. Non mi piacevi prima e ancora meno mi piaci adesso che so che maltratti gli animali.”
“Io maltratto cosa?” si stupì Tebaldo con una tale convincente faccia di bronzo che Serena si fece venire mille dubbi e arrossì ancora di più.
“Tu… gli animali.. quando ti annoi butti via tutto… insomma, dov’è Sancho?”
Tebaldo sembrò riflettere molto e lo fece piazzandole addosso il suo sguardo destabilizzante finché non fu piena di brividi e sudori freddi.
“Farei prima a dirtelo, ma non mi crederesti” rispose infine con lenta arroganza “Quindi adesso ti porto da lui e capirai perché ho dovuto rinunciare alla sua meravigliosa e mefitica presenza.”
Si incamminò e Serena lo seguì di nuovo riottosa: stava per valutare se lasciare sassolini bianchi per ritrovare la via del ritorno o vedere se magari c’erano dei cartelli quando davanti a lei, tranquillo come un bradipo, Tebaldo si sfilò la maglietta Lacoste, scoprendo una schiena abbronzata dagli snelli muscoli delineati.
“Che cazzo fai?!” strillò Serena inchiodando sul posto.
Tebaldo si girò a guardarla pieno di altera impazienza.
“Mi sto cambiando” rispose con la lentezza di chi spiega qualcosa di poco ovvio a un bambino “Vedi, sono davanti alla mia camera da letto, e qui di fianco c’è il mio guardaroba. Voleva cambiare la tenuta da tennis e mettermi abiti quotidiani, ma se la cosa ti disturba tanto desisterò sicuramente dal mio intento.”
Serena era rimasta senza fiato e non sapeva dove guardare.
“Caz… ehm, insomma, perché mi hai fatto venire fin qui se dovevi svestirti?”
“Io mica ti ho detto niente” rispose Tebaldo spalancando gli occhi innocentemente (e rimanendo a torso nudo, scandalosamente bello e impudico, con una tranquillità davvero snervante) “Sei tu che mi hai seguito. Non volevo essere scortese nel rimandarti indietro. E poi, francamente a me non dispiace essere guardato mentre mi cambio.”
“A me si. Dispiace, intendo dire. G-guardare, eh. A-anche essere guardata.”
“Capisco. Quindi sarebbe inutile chiederti di aiutarmi con i ganci del corsetto.”
Accennò all’interno della stanza: un locale ampio, luminoso, con un grande letto di foggia vagamente orientale, una chaise longue di preziosa pelle, un folto e invitante tappeto e fotografie in bianco e nero alle pareti. Un locale intimo e di lusso, chiaramente maschile; elegante, intrigante. “La stanza dove dorme Tebaldo” sussurrò una vocina dritta nell’orecchio di Serena “Dove lui gira mezzo nudo, magari appena uscito dalla doccia, coi capelli umidi e le goccioline d’acqua sulle spalle…”
“Ti aspetto di là!” strillò Serena scattando a correre lungo il corridoio veloce come una lepre. La seguì la risatina di scherno di Tebaldo, così umiliante che per poco non le si appannarono gli occhi. Dopo aver sbagliato un paio di corridoi, ritornò nella stanza della spremuta. Il suo bicchiere era ancora lì: Serena lo agguantò e lo bevve d’un fiato. Quando arrivò Tebaldo, in camicia bianca e pantaloni casual, aveva quasi recuperato la calma. Di sicuro avrebbe tenuto la guardia altissima: si ripeteva che non sarebbe mai e poi mai e poi mai più successo che Tebaldo la cogliesse in così flagrante imbarazzo. Ok, aveva vinto anche questa battaglia… due in un’ora , va bene... ma la guerra era ancora aperta!
“Andiamo?” le domandò Tebaldo con fredda cortesia.
Serena lo seguì: salirono in macchina in silenzio, Tebaldo mormorò qualcosa all’autista e benché Serena avesse una bellicosa e altissima guardia, non la degnò di uno sguardo durante tutto il tragitto. Arrivarono in un’altra villa, anche quella imponente ed elegante, anche quella con una domestica sudamericana rotondetta e con il grembiule bordato di pizzo. Vennero dirottati in giardino, un tripudio di verde e rose così belle da sembrare finte; distratta dalle rose, quasi sbatté contro Tebaldo che si era improvvisamente fermato davanti a una rete nuova di zecca che delimitava un ampio e riparato angolo di giardino.
“Eccoci qua” disse Tebaldo con voce soddisfatta: sentendo la sua voce, Byron e Sancho uscirono dal una principesca cuccia formato famiglia e vennero abbaiando e scodinzolando contro la rete.
“Due cani!” esclamò Serena chinandosi per infilare le dita dentro la rete, in modo che Byron e Sancho potessero allegramente annusarla “Sono due maschi. Ma vanno d’accordo?”
“D’accordissimo” approvò Tebaldo con un sorriso “Come Elton John e David Furnish. Stanno anche già pensando di adottare un piccolo cucciolo di Siberian Husky.”
“Come chi?” chiese Serena disorientata.
“Elton e David… vediamo, qualcosa più alla tua portata… Achille e Patroclo? Batman e Robin?”
Lo sguardo smarrito di Serena lo fece sospirare deluso.
 “Lasciamo perdere. Sono ottimi amici, così va bene? Ottimi e inseparabili amici, e benché mi sia stato difficilissimo separarmi dalla mia diletta Furia Miasmatica, ho preferito lasciare che vivesse qui, in questo giardino chilometrico, felice e vezzeggiato come mai in vita sua. Alla luce di questi fatti, pensi che la dolce Giovanezzi vorrà ancora la mia testa su un vassoio o potrò beneficiare dell’indulto?”
Serena, ancora accucciata, gli lanciò uno sguardo limpido, da sotto in su.
“Allora, non l’hai buttato via?” chiese quasi speranzosa.
“Chi avrebbe buttato via cosa?”
“Tu. Sancho.”
“E perché avrei dovuto farlo?”
“Perché tu butti via tutto quello che ti annoia.”
L’aveva ammesso con tanto candore che a Tebaldo sfuggì un sorriso.
“Chissà perché, questa mi sembra farina del sacco di Grimilde.”
Serena non smentì: rimase in silenzio con i grandi occhi castani sollevati su di lui come in una muta domanda, e Tebaldo pensò di nuovo che erano quasi fastidiosi nella loro pulita intensità.
“Beh, se lo dice la mia cara cugina Grimilde allora sarà vero” buttò lì bruscamente “In fondo è universalmente risaputo che sono uno stronzo egoista e insensibile.”
Serena si alzò in piedi lentamente, regalandosi un’innocua vicinanza con la sua figura alta e patrizia.
“Lo sei?”
“Certo che lo sono: mi chiamo Tebaldo Santandrea della Torre. Per me conta solo quello che non conta niente. Tutto lo sanno, dovresti saperlo anche tu.”
Aveva di nuovo gli occhi verdi e rabbiosi, molto poco aristocratici: lei rimase in silenzio a guardarlo incantata con tutta l’anima negli occhi. Tebaldo allora fece un passo verso di lei e il suo odore costoso e arrogante la avvolse: l’innocua vicinanza divenne pericolosa, densa e rovente come lava.
“Dovresti smetterla di guardarmi così” mormorò Tebaldo a fior di labbra, con quella dannata voce bassa e irresistibile “Quegli occhioni a calamita non ti porteranno niente di buono. Sei tutta esposta lì, quello che senti e quello che non vorresti sentire… Si legge chiaro come il sole cos’è che vuoi. Ma sarò buono e ti darò un consiglio, il primo e l’ultimo della serie quindi fanne tesoro: stammi lontano. Me li mangio a colazione gli agnellini come te.”
Il cuore di Serena era così alto e ben incastrato in gola che non poté nemmeno respirare.
“Io non sono un agnellino.” belò smentendosi clamorosamente.
“Sì, certo. E io mi vesto da H&M.”
Tebaldo fece un passo indietro con un’espressione palesemente scettica sul viso prima di tornare freddo e ironicamente sprezzante come suo solito.
“Allora, soddisfatta della sistemazione del povero e sfortunato Sancho? Lo trovi sufficientemente in buona salute?”
“Si” mormorò Serena abbassando di colpo gli occhi, come liberatasi improvvisamente da una stratta catena “Lui… io… riferirò. Grazie di tutto. Scusa il disturbo.”
Si girò e incespicò via, senza nemmeno salutare Sancho che le abbaiò dietro tutto il suo uoffesco rimpianto.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


“Allora, te lo ridico: un’onda luminosa è emessa da una sorgente monocromatica; la luce raggiunge uno specchio semiargentato H; parte della luce viene diretta verso lo specchio A, mentre parte
raggiunge lo specchio B…”
Paolo parlava e Veronica nemmeno lo ascoltava. Ci aveva provato, davvero, le era venuto il mal di testa a forza di concentrarsi, ma era più forte di lei. Partiva guardando il foglio pieno di formule e finiva per fissare quelle tre virgole di capelli sulla nuca; o il lobo dell’orecchio che spuntava tra le onde bionde quando Paolo ci passava in mezzo la mano con impazienza; o la ruga che gli veniva tra le sopracciglia quando si concentrava; o la più sconvolgente, quella che le faceva perdere completamente il filo della ragione… la punta rosea della sua lingua che si intravedeva tra le labbra quando scriveva qualcosa di particolarmente ostico. L’aveva costretto a riscrivere le formule di Michelson e Morley almeno dieci volte solo per farglielo rifare… Era così adorabile. 
“…lunghezza pari a HB = L1 e HA = L2. Capito?”
Paolo si girò a guardarla e Veronica vide le sue iridi chiare al di là delle lenti: l’unica cosa che aveva capito era che la relatività non le sarebbe mai entrata in testa e che gli occhi di Paolo erano meravigliosamente azzurri.
“C-Come…?” si riscosse come da un sogno.
“Ti ho chiesto se hai capito.”
“Io.. ehm… certo che ho capito. Siamo ancora a Michelson e Morley, vero?”
Paolo sospirò e si appoggiò all’indietro con la schiena, togliendosi gli occhiali dal naso e massaggiandosi gli occhi stanchi.
“Così non va.” borbottò depresso e in quel mentre, senza nemmeno bussare, entrò la nonna ondeggiando non proprio in linea retta.
“Signorina le va un caffè?” chiese con un sorriso sdentato all’attaccapanni, pensando probabilmente che fosse la sua ospite; Veronica l’avrebbe preso anche volentieri se non ne avesse già bevuti tre su quindici sue richieste. Paolo intanto imprecava tra i denti, sottovoce.
“Nonna, la vuoi piantare di interromperci?”
“Le frittelle sono quasi pronte” confidò la vecchia all’attaccapanni, ignorando bellamente il nipote “Adesso gliele porto.”
“Nonna?!?!”
La vecchia era già uscita richiudendo a porta alle spalle.
“Scusala.” borbottò Paolo trucemente: si doveva ancora rimettere gli occhiali con cui giocherellava nervosamente.
“E perché mai? E’ molto gentile.”
“Già. Con l’attaccapanni.”
“Pensava che fossi io. Lo prendo come un complimento, sai? Guarda com’è magro…”
Lui sorrise quasi senza volerlo e Veronica seguendo un impulso momentaneo prese i suoi occhiali (stando bene attenta a non toccarlo… aveva paura di prendere la scossa), frugò dentro la Martha Bag e tirò fuori dall’astuccio dei suoi occhiali da sole una fine pezzuola di seta di Hermes con la quale pulì delicatamente le lenti.
“Grazie.” disse lui sorpreso e Veronica abbozzò facendo spallucce: in realtà l’operazione aveva il solo scopo di impedirgli di coprire quei due gioielli celesti che aveva per occhi, ma lui ovviamente non poteva saperlo.
Mentre stava per parlare la porta si aprì di nuovo, facendo sbucare le teste identicamente bionde di Laura e Silvia.
“Ciao!”
“Ciao!”
“Ragazze!” sbuffò Paolo visto che era già la terza volta che quelle due irrompevano in camera sua “Almeno bussate!”
“Abbiamo bussato!” protestò Laura.
“Sì, tre volte fa!”
“Volevamo un parere da Veronica…”
“… che è la regina dello stile…”
“… per il look di stasera!”
“Perché, dove pensate di andare stasera?” si aggrottò Paolo dimenticandosi di Veronica e del bon ton a lei associato.
“A una festa.”
“In centro!”
“Scordatevelo. E’ giovedì sera, domani c’è scuola e mamma e Dante devono andare in piscina.”
“Embé?”
“Embé chi porta fuori Biagio?”
“Tu, no?”
“No cocca, io l’ho portato ieri e se guardi la tabrutta…”
“La che?” si intromise Veronica incuriosita.
Paolo, ricordandosi della sua presenza, arrossì.
“La… ehm, la tabella degli impegni settimanali della famiglia.”
“E’ talmente odiosa e mal scritta che invece di chiamarla tabella lui la chiama tabrutta.” spiegò Laura.
“Patetico!” commentò Silvia in una inconsapevole ma molto riuscita imitazione di Veronica quando parlava del volgo.
“Avete una tabella degli impegni familiari?” domandò lei per togliere Paolo dall’imbarazzo.
“Già. Mica tutti hanno un segretario personale che organizza la vita.”
“Tu ce l’hai Veronica?” chiese Laura sgranando gli occhi e prima che Veronica potesse rispondere la precedette Paolo stesso.
“Sì, ce l’ha. Una simpatica ragazza che si chiama Gladi.”
Sorrise teneramente dicendo il suo nome (cioè, quello di Veronica) e questo le fece salire la mosca al naso.
“A volte credo sarebbe meglio avere la tabrutta.” mormorò sottovoce e Paolo le lanciò il primo sguardo ostile della giornata.
“A me è sembrata molto brava, professionale, affabile e oltremodo gentile” la contraddisse severamente “Dovresti essere contenta di lei.”
La stava difendendo. Stava difendendo Gladi da se stessa… se Freud fosse stato vivo studiando questa situazione sarebbe caduto in estasi mistica.
“Sono contentissima di lei” sbuffò Veronica arrossendo suo malgrado “Ma non dovresti essere tu a tessere le sue lodi, visto che nemmeno la conosci.”
“Le ho parlato al telefono” si difese Paolo arrossendo a sua volta “E l’ho trovata simpatica.”
“Allora, per quel consiglio?” si intromise Laura, che evidentemente se ne strafregava delle segretarie.
“Manca poco a stasera.” ribadì Silvia sventolandole sotto il naso una maglietta di sintetico rossa e un autentico obbrobrio color spremitura d’uva putrefatta.
Paolo alzò gli occhi al cielo, e in quel momento, grazie agli dei dell’Olimpo, arrivò nonna Adalgisa con un piatto pieno di frittelle fumanti e grondanti di burro, risparmiando a Veronica l’ardua scelta tra l’obbrobrio viola e l’aborto rosso.
“Le frittelle!” esalò scattando in piedi.
Ne prese una ringraziando la nonna che stava maternamente sorridendo alla libreria alle sue spalle. “Sono buonissime.” ammise resistendo all’impulso di leccarsi le dita e di sfuggita si accorse che Paolo la stava guardando a bocca semiaperta e aria molto poco ricettiva.
“…”
“Davvero, le trovo deliziose.”
“….”
“Bianchi, sei vivo o stai sublimando?”
“Che mi venga un colpo.”
“Anche due. Che c’è?”
“Stai mangiando.”
“Ebbene sì, lo ammetto, anche io mi nutro, e non di sola carne umana. Sei proprio una mammoletta a sconvolgerti per una frittella.”
“Non è per la frittella. E’ che…”
“…che non ti aspettavi che Grimilde potesse fare qualcos’altro nella vita a parte rifilare mele avvelenate alle fanciulle innocenti?” concluse lapidaria.
“Grim…? Ehm, no, ehm… chi ti ha detto che…?”
Che Veronica sapesse del suo delizioso soprannome l’aveva colto evidentemente di sorpresa, non quanto vederla allegramente mangiare una frittella ma abbastanza per fargli diventare il viso color amaranto.
“Non ricordo chi me l’ha detto” rispose Veronica con leggerezza (anche se era stato proprio lui a confessarlo alla simpatica Gladi) “Ma non ti preoccupare, non rifilerò una mela avvelenata anche a te solo per questo.”
Gli sorrise. Un po’ le era scappato ma il tempismo era evidentemente perfetto perché lo colse di nuovo di sorpresa. Arrossì fin dentro il colletto ed era così adorabile che se Inocencia non le avesse inculcato fin dall’infanzia la sua estrema pudicizia colombiana probabilmente lo avrebbe baciato. Facendogli così venire un bell’infarto al miocardio, sospettò. Mentre Paolo era ancora in pieno shock anafilattico, entrò Dante con la fida palla sotto il braccio e un sorriso a 180 denti: si era pettinato e aveva la riga da una parte così dritta che sembrava arata di fresco.
“E’ ora del gelato!” strillò con voce assordante “La strega deve andare via!”
Che gioiello di educazione: la nemesi di Ingrid, la sua insegnante svizzera di bon ton.
 Le gemelle e nonna Adalgisa esplosero in strilli costernati ma Paolo chiuse il libro di matematica con aria definitiva (e notevole sotterraneo sollievo). Veronica non sapeva bene se questo la mortificava o la faceva infuriare.
“A quanto pare è finita la lezione.” evidenziò con un tono di voce molto Grimildesco.
“Scusa se mio fratello ha la delicatezza di un bisonte nella prateria” sospirò Paolo girandosi verso di lei pur senza trovare il coraggio di guardarla in faccia “Ma è bravissimo a contare i minuti e il gelato glielo avevo promesso. Comunque questa era solo una lezione di prova… dovevamo solo vedere se, ehm, coff… umpf…”
“Se eri in grado di sopravvivere a un’ora di terapia intensiva con Grimilde?” finì Veronica per lui, profondamente scoraggiata.
Paolo la fissò sorpreso e quasi più scoraggiato di lei.
“Se avresti sopportato la lezione senza voler sterminare l’invadente, maleducata, rumorosa famiglia Bianchi al completo.” corresse poi con lentezza.
Era gentile: Veronica non sapeva bene se faceva così perché non voleva mortificarla o perché lo pensava davvero, ma in ogni caso era ancora più adorabile del previsto.
“Beh, siete ancora tutti vivi, no?” accennò prudentemente.
“Già. Chissà da questo cosa si evince.”
“Chi è che vince?” domandò Dante perplesso “Stavate facendo una gara?”
Caro Dante: piuttosto intuitivo per essere quello che sapeva solo giocare con la palla.
“No, Dante, non stavamo facendo una gara. Deve solo decidere se tornare o no qui a lezione.”
“Chi deve decidere?”
“Veronica.”
Che bello il suo nome detto da Paolo, con quella voce paziente, affettuosamente fraterna. Veronica arrossì senza motivo e la cosa probabilmente venne interpretata dai Bianchi come un chiaro segno che le la lezione non era stata di suo gradimento, con conseguente sgomento da parte di tutti a  parte Dante che continua a sorridere beato e Paolo che sembrava più impenetrabile della sfinge.
“Tornerai, vero Veronica?” anticipò ansiosamente Silvia invadendo il suo spazio vitale.
“Hai ancora bisogno di lezioni, vero Veronica?” aggiunse Laura ancora più ansiosa andandole quasi in braccio.
“Ti do un piatto di frittelle da portare a casa.” buttò lì pure nonna Adalgisa sorridendo amabilmente all’accappatoio di Paolo appeso dietro la porta.
Erano carini, anche se inopportuni, invadenti e rumorosi. Se non fossero i parenti di Paolo, Veronica avrebbe probabilmente chiamato lì suo maggiordomo per sterminarli.
“Beh, io…” iniziò poco convinta: quello che le interessava era che fosse Paolo a chiederle di tornare. Almeno un cenno piccolo così di interesse… almeno una vibrazione di ciglia…
“Non credo che Veronica tornerà.” disse invece d’un tratto lui con freddezza artica.
Un coro di sospiri affranti si levò dal parentado e Veronica non poté fare altro che alzarsi lentamente in piedi, col cuore nel petto che tirava verso il basso tanto era pesante.
“Molto bene” rispose con voce dignitosa: era ora che gli insegnamenti di Ingrid fruttassero qualcosa “A quanto pare è meglio che vada. Il mio autista mi aspetta.”
“Già.”
Paolo l’aveva detto quasi con cattiveria. Come Veronica era affranta, come Grimilde mortalmente offesa. Probabilmente avrebbe detto qualcosa di sferzante e altezzoso se Dante, con un gesto lungo e pieno di entusiasmo, non le avesse allungato sotto il naso il suo mazzo di ciclamini semimorti recuperati in soggiorno.
“I fiori!” strillò convinto sorridendo con aria estasiata.
Veronica li prese automaticamente, disorientata: quei fiori erano i più tristi e deprimenti che avesse mai ricevuto e d’improvviso sentì quasi l’impulso di commuoversi. Quasi.
“Grazie, Dante” mormorò con voce incolore “Sono molto belli. Non… non dovevi.”
“Che galantuomo.” sospirò nonna Adalgisa soddisfatta.
Dante annuì, saggiamente.
“Quando torni ti do le gerbere” le concesse magnanimo “Sono più belle anche se puzzano di pipì.”
Di nuovo le preziose lezioni di impassibilità di Ingrid tornano più che utili a Veronica.
“Sei molto gentile, ma Paolo non vuole che torni.” rispose educatamente.
Il sorriso di Dante si appannò mentre le gemelle giravano un identico sguardo assassino su Paolo e la nonna alzava trucemente il mento verso l’accappatoio.
“Perché non vuole?” chiese Dante spaesato “Paolo, non è mica vero che la strega puzza, l’hai detto anche tu. Anzi, profuma di tanto buono ed è tanto bellissima.”   
“Guarda che è lei che non vuole tornare.” si difese Paolo di nuovo rosso come un gambero ed evidentemente alterato.
Che puerile bugia! Cuore spezzato o no, quello era un affronto che Veronica non poteva lasciare impunito! Si rivolse a Dante con quanta calma riuscì a racimolare.
“Io non gli ho affatto detto che non voglio tornare” scandì con chiarezza fissando Dante negli occhi “Dì al tuo degno fratello che è molto scortese a mentire così sfacciatamente.”
“Cosa devo dirgli?” chiese affannato Dante, confuso.
“Io non stavo affatto mentendo” si intromise Paolo, rosso in viso come la cresta di un gallo “Dì a V-Veronica che s-si vedeva piuttosto chiaramente che n-non voleva tornare.”
Dante questa l’aveva capita: si girò verso Veronica con molta dignità, anche se aveva l’aria ancora decisamente infelice.
“Veronica, Paolo dice che si vedeva che te non volevi tornare.”
“Non è vero.” rispose lei automaticamente, e Dante si girò verso Paolo per riportare l’ambascia.
“Ha detto che non è vero che si vedeva.”
“No!” esclamò Veronica arrossendo ignominiosamente “Volevo dire che non era vero che non volevo tornare.”
Di nuovo Dante tentò diligentemente di riportare quanto detto.
“Ah. Paolo, Veronica ha detto che non voleva… non si vedeva… che non tornava… beh, hai capito lo stesso.”
“Ma sembrava così.” mugugnò Paolo guardando fisso Dante negli occhi: il suo broncio abbinato alle guance color carminio era davvero adorabile, corbellerie a parte.
“Beh, non lo era” sbuffò Veronica e Dante tornò ad ascoltarla con un sospiro rassegnato “Dì al tuo nobile fratello di non usare i miei silenzi per dire quello che vuole lui.”
Dante era ammutolito; Paolo invece più che imbarazzato sembrava arrabbiato.
“No, dì alla tua molto bellissima e profumata regina delle nevi che conosco molto bene il suo sguardo da sparisci, scherzo della natura.”
“Uffa!” esplose Dante facendo un passo indietro e lasciando Veronica e Paolo a fronteggiarsi tutti soli “Se volete litigare parlatevi da soli!”
Veronica non voleva litigare: e nemmeno Paolo, evidentemente, perché si sbollirono tutti e due contemporaneamente. Paolo lanciò uno sguardo timido e ostile insieme a Veronica: l’effetto fu quello di sbloccarle la lingua.
“Io aspettavo che tu mi chiedessi di tornare.” si decise a dire buttando la maschera, e al diavolo Ingrid, l’autista che la aspettava in strada e persino il maggiordomo assassino.
“E io aspettavo di capire se tu volessi tornare o no, ma con te chi ci capisce qualcosa?”
“Però i fiori sono carini.” chiocciò tutta contenta nonna Adalgisa che aveva probabilmente scambiato i due licheni mollicci che teneva in mano Veronica per un rigoglioso mazzo di rose.
“Nonna, che c’entra” sbuffò Laura che si stava bevendo l’alterco tra Veronica e Paolo come se stesse guardando un film “Lasciali finire.”
“Sì, insomma, Veronica torni o no?” supplicò Silvia che evidentemente non aveva capito niente.
Veronica si limitò a fissare Paolo con aria ostile, ricambiata.
“Tu che ne pensi, Bianchi?” mormorò infine saltando il conto terzi di Dante con un accenno di diplomazia nella voce.
“Che dovresti tornare.” rispose lui immediatamente, molto serio e convinto: stava pensando al mucchio di soldi che avrebbe intascato sopportando Grimilde per tre ore a settimana o stava pensando a qualcosa di più ottimistico, tipo che in fondo non era poi così terribile come gli era sembrata per tredici anni? Impossibile dirlo.
“Va bene” sentenziò bruscamente Veronica distogliendo lo sguardo da Paolo senza apparentemente scomporsi di un pollice “Sarò qui dopodomani alla stessa ora.”
Lo strillo di gioia delle gemelle venne soffocato dagli squittii di nonna Adalgisa.
“Studia le formule di Morley.” le suggerì Paolo accompagnandola alla porta.
“Noi prepariamo alcune cosette che abbiamo comprato al mercato da farti vedere, così ci consigli!” trillarono in coro Silvia e Laura saltellandole dietro.
“Io faccio le lasagne.” decise nonna Adalgisa, seguendo le voci. 
“Buone le lasagne!”
“Dante, non le dare corda! Nonna, al pomeriggio non si può…”
“E chi lo dice? Se uno ha fame mangia quando gli pare. E poi la signorina è così magra…”
“Come un attaccapanni” confermò Veronica con un’ombra di sorriso che, stranamente, si rifletté sul viso corrucciato di Paolo “Ancora grazie per i fiori, Dante, sono bellissimi.”
“Ciclamini!” strillò Dante evidentemente emozionato “Ciao strega!”
Il resto dei saluti fu un turbine di entusiasmo e promesse culinarie da cui Veronica fuggì frastornata, con l’unico rimpianto di non aver sentito in quella cacofonia il suono pacato della voce di Paolo che diceva il suo nome.
*          *          *
Veronica entrò nel salotto trattenendosi a stento dal saltellare come una bimba a cui hanno regalato un lecca lecca: si bloccò di colpo quando vide l’alta figura del cugino elegantemente assisa sul divano.
“Grimilde carissima!” sospirò questi sorridendole sardonico “Sei letteralmente radiosa. Devo dedurre che hai seguito il mio consiglio mostrando il tuo regale decolté al povero Bianchi?”
Veronica buttò la Martha bag sulla poltrona, immediatamente sulla difensiva.
“Anche se il lessico è quello di un milord inglese, riesci sempre e comunque a dire delle cazzate, carissimo Tebaldo. Tu che ci fai qui?”
“Sono venuto a vedere se Elton e David godono di buona salute. E ad accertarmi che il tuo incontro con Bianchi sia andato a buon fine, naturalmente. Dalla tua faccia direi di sì: non ti ho mai visto così bella, sei quasi luminosa.”
Era un complimento sincero, intuì Veronica, forse il primo che lui le faceva. Chissà perché la cosa la spaventò.
“Il mio incontro è andato bene” tagliò corto abbassando lo sguardo “E Elton e David sono ancora vivi, nonostante la puzza micidiale che continua ad emanare quella tua sottospecie di cane. Come mai tanto interesse?”
“Luce dei miei occhi, il mio è puro dovere parentale” tubò Tebaldo sgranando gli occhi “Ma ammetto che è davvero un’esperienza alternativa vedere la bella, irraggiungibile, semifrigida Grimilde che ha le scalmane per un gelatinoso secchione con le pezze al culo…sembra, come dire, una sorta di strana giustizia poetica.”
Tipico di Tebaldo sminuire e mortificare qualsiasi cosa non lo riguardasse personalmente: ma Veronica si era decisamente stufata di giocare al suo stesso livello.
“Io non ho le scalmane per Bianchi” rispose quindi con pacata sicurezza sedendosi sul bordo della poltrona “Io mi interesso di Bianchi. Di lui a tutto tondo…”
“Anima e core?”
“Personalità e cervello.”
“Davvero insolito, Grimilde. Non mi risulta che tu sia andata mai più in là dell’interesse per l’underwear.”
Glielo disse con voce vellutata, lanciandole uno sguardo vagamente allusivo.
“Forse perché fin’ora per nessuno era mai valsa la pena.” rispose Veronica lapidaria.
Per niente scalfito, Tebaldo rise divertito.
“Touché! Però dai, Grimi carissima, non mi dire che non sembra fantascientifico il tuo interesse per quel mezzo lombrico occhialuto.”
“E il tuo per lo stecchetto grigiastro, come procede?” cambiò marcia Veronica freddamente.
“Piuttosto bene. Anzi, volevo ringraziarti per l’incentivo del cane… mi ha di molto facilitato le cose.”
“Ne sono lieta. Mi ero accorta che la tuo stecchetto stava origliando una conversazione privata e un po’ mi angosciava l’idea che questo potesse ostacolare i tuoi piani.”
“Ti ringrazio di cuore, ma i miei piani procedono a gonfie vele anche senza il tuo aiuto.”
Sorrise malignamente e Veronica rivide di sfuggita il viso di Serena riflesso nello specchio del bagno della scuola, quell’espressione da cucciolo ferito mentre ascoltava la verità su Tebaldo.
“Sono più che contenta se intendi togliermi lo stecchetto dai piedi” dichiarò giocherellando coi bottoni della camicia “Ma mi chiedevo al contempo che gusto potevi trovarci nel fare del male a una cosina tanto indifesa e insignificante.”
“Io non intendo affatto farle del male. Intendo solo divertirmi.”
“Tu sei un grasso, smaliziato, perfido gatto che giochicchia con un topolino piccolo e tremebondo. Questo non è divertimento, è pura crudeltà.”
“Detto da te risulta assolutamente esilarante. Comunque potrei dire lo stesso di te e Bianchi. Chi ti dice che il mio cuore non batta per il topolino come il tuo batte per il mezzo lombrico?”
“Te l’ho già detto, Tebaldo, tu non hai un cuore.”
“Opinione opinabile, Grimi carissima: il fatto che tu non l’abbia mai voluto vedere non significa che non ce l’abbia.”
Veronica si concesse il lusso di guardare Tebaldo dritto negli occhi con la guardia abbassata: lo colse in un momento in cui il suo sguardo era franco, genuino. I suoi occhi erano bellissimi, come quelli che vedeva riflessi nello specchio ogni mattina, eppure al contempo erano completamente diversi. Era come se assurdamente li vedesse per la prima volta.
“Sono anni che non ti vedo con così poco trucco” mormorò di punto in bianco Tebaldo con aria pensierosa “Mi ricorda quando eravamo bambini e tu eri già una perfida, piccola Grimilde in divenire. Bella da lasciare senza fiato, ma letteralmente pestifera. Impossibile non adorarti.”
Veronica sbatté le ciglia momentaneamente confusa.
“Guarda che eri tu quello pestifero. Quando andavamo a prendere il te da nonna Veronica riuscivi sempre a farmi beccare con le dita nella zuccheriera.”
“E tu riuscivi sempre a farmi sporcare i pantaloni di piquet bianchi. Conception mi faceva una testa così per giorni. Come potevo dirle che sopportavo tutto quello solo per amore?”
Veronica sbatté di nuovo le ciglia.
“Per amore? Tu eri innamorato di me?”
“Cotto come una pera.” le confidò Tebaldo piacevolmente: ma il suo sguardo era ancora franco e genuino e Veronica fu lì lì provare qualcosa di completamente sconosciuto, qualcosa che somigliava alla nostalgia. Poi ripensò al sogghigno segreto di Tebaldo mentre tesseva le sue subdole tele e il suo viso tornò freddo e duro.
“Sta a vedere che adesso salta fuori che è colpa mia se sei diventato così maledettamente stronzo.” commentò appoggiandosi compunta allo schienale della poltrona.
Tebaldo fece spallucce, sospirando ironicamente.
“Mi piacerebbe fartelo credere, ma in realtà credo che sia per colpa di qualcosa di genetico. Però sarebbe molto romantico, non trovi?”
“Sarebbe più romantico se ti impegnassi a non fare troppo male a una ragazza innocente come stecchetto Colombi.”
L’altezzoso sopracciglio di Tebaldo scattò sull’attenti, ironico e sprezzante come al solito.
“Mia carissima Grimilde! Oltre che di Bianchi, ti preoccupi anche di uno stecchetto qualunque che tra l’altro è la sua attuale fidanzata, quindi tua prima e diretta nemica? Se continui così potrei pensare che ti sta crescendo un cuore nel petto.”
“La cosa ti preoccuperebbe così tanto?”
“Beh, tutti i diamanti che ci hai stipato dentro in questi anni dopo dove li metti?”
“Avrei un’ottima sebbene triviale risposta da darti, ma mi trattengo perché sono una signora.”
Tebaldo con un gesto fluido si alzò in piedi mantenendo uno scaltro sorriso stampato sul viso.
 “In confidenza, credo sia stipato di diamanti anche lì.” commentò allegro.
Le strizzò l’occhio e scivolò via con indolenza: quando fu uscito e Veronica riuscì a rilassarsi, le rimase addosso un diffuso quanto inspiegabile senso di malessere.
*          *          *
A scuola l’ora di ginnastica per Bianchi era sempre stata un supplizio. Non era particolarmente atletico, ma se si fosse trattato di comune attività sportiva se la sarebbe cavata più o meno dignitosamente. In quella dannatissima scuola, però, l’ora di ginnastica era l’occasione per sfoggiare le più assurde e improbabili discipline sportive per ricchi e annoiati rampolli dell’alta società. Croquet; polo; equitazione; golf; tennis. Solo la mazza da croquet costava come un intero campo da calcio! Paolo aveva sempre ripiegato sul tennis, l’unico sport che fosse alla sua portata. Quel giorno si apprestava a estrarre la sua vetusta racchetta dall’armadietto in cui veniva custodita quando si accorse che si era rotta.
“Merda secca.” ringhiò tra i denti. Quando gli era successo? Non ricordava di averla tanto maltrattata, l’ultima volta. Sì, la racchetta era vecchia e consunta e le corde avevano un malsano colorito giallastro, ma sembrava intenzionata a durare fino alla fine di quel faticoso ultimo anno scolastico. E invece…
“E adesso come faccio?” brontolò fra sé e sé.
Senza racchetta non poteva giocare a tennis; senza il tennis e tolto qualsiasi cosa somigliasse a un cavallo rimaneva l’esaltante alternativa del croquet, ovvero un bel meno sul registro del professore che inalberava uno snobismo ancora più assurdo di quello dei suoi alunni.
“Prendine una delle mie” lo sorprese una voce alle sue spalle “Ne avrò una decina.”
Bianchi si girò di scatto appiattendosi prudentemente contro il muro: era nientemeno che Tebaldo Santandrea della Torre. Si stava cambiano la maglietta ed era tranquillo come se non avesse fatto altro che parlare con Bianchi, pur essendo la prima volta in 18 anni che gli rivolgeva la parola.
“Oh? Eh?” grugnì Paolo sfiorato dal panico: che Re Tebaldo parlasse con lui non era affatto, affatto una cosa normale. Era come vedere un drago che si metteva tranquillo come un angelo a pascolare tra una mandria di giovenche. Tebaldo gli lanciò un breve sguardo sprezzante.
“Rilassati, anche se mi incantano i tuoi capelli, questa non è una proposta di matrimonio. Ho dieci racchette, oggi ho deciso di non giocare e l’oroscopo diceva che potevo affidare una delle mie proprietà a un villico qualunque con animo sufficientemente sereno.”
Bianchi per un pezzo rimase immobile, lo sguardo dietro le lenti fermamente sospettoso: alla fine, quando cominciava a sentirsi ridicolo, si decise a rilassarsi e a spingersi nervosamente gli occhiali su per il naso.
“Uhm, ah… ok, grazie?”
“Si si, come vuoi. Prendine una e sparisci.”
“Graz…, ehm, volevo dire, ok. Una qualsiasi?”
“Sì, lascia solo indietro quella col manico verde: quella è per Gladi.”
Immediatamente, il sospetto di Bianchi si trasformò in sorpresa.
“Gladi la segretaria di Grim… ehm, di Veronica Scarlini?” chiese precipitosamente.
Non gli sembrava così strano che Tebaldo la conoscesse: dopotutto lui e Grimilde non erano consanguinei? Tebaldo intanto si era girato a guardarlo con aria sorpresa.
“Proprio lei. La conosci?”
“S-no, ehm, cioè, quasi. E’ una donna simpatica.”
“Una ragazza, vorrai dire. Più che simpatica la definirei decisamente decorativa. Giusto?”
Bianchi arrossì abbassando lo sguardo sulla prima racchetta che aveva afferrato.
“Beh, ecco, a dire il vero ci ho parlato ma non l’ho mai vista.”
“Ah. Beh, ti sei perso un bello spettacolo. Ovviamente non è il mio tipo, ho gusti un po’ più raffinati, io. Ma per il volgo deve risultare una preda piuttosto appetibile.”
Bianchi, combattendo una breve lotta intestina fra la timidezza e la curiosità, decise infine di buttarsi allo sbaraglio.
“Che tu sappia è fi-fidanzata?”
Tebaldo nascose un sorrisetto sardonico dietro un’espressione vagamente annoiata.
“Macché, è tutta casa chiesa e virtù. Una tipica brava ragazza: Veronica non saprebbe letteralmente dove sbattere la testa senza Gladi.”
“Allora per caso non sai mica dove ha il negozio suo padre?”
“Negozio.”
“Sì, il negozio di fiori.”
“Fiori? Esilarante. E perché non un negozio di ferramenta?”
“Perché in ferramenta non si vendono fiori, ma tubi e chiavi inglesi, ed essendo il papà di Gladi un fioraio…”
“Un fioraio. Il papà di Gladi. Effettivamente così avrebbe un senso. Diamine, questo pezzo mi mancava, non sapevo dell’attività di famiglia. Ma so che Gladi fa spesso volontariato alla mensa dei poveri.”
“Davvero?” si illuminò Bianchi, ormai dimentico di stare comunicando con Re Tebaldo in persona.
“Sì. So anche che adora le grigliate di carne argentina, e che ha una vera passione per i coleotteri: ha studiato anche entomologia, fra le sue varie attività.”
Gli occhi di Tebaldo scintillavano segretamente: non poteva sapere il povero Bianchi che la dieta macrobiotica di Veronica escludeva la carne e che la ragazza aveva un’autentica fobia per gli insetti volanti. Finalmente però un barlume di sospetto si insinuò negli occhi azzurri di Bianchi.
“La conosci piuttosto bene.” buttò lì freddamente: Tebaldo rispose con un sorriso di blanda intesa maschile.
“Beh, sì, per essere una segretaria è piuttosto interessante. Ma fa troppo la difficile.”
Bianchi interpretò quello scarno commento con l’idea che le avances da principino di Re Tebaldo non avessero avuto presa sulla sua dolce Gladi, e il suo cuore segretamente gioì: il professore di ginnastica arrivò in quel momento a richiamare gli alunni al dovere e Tebaldo indossò prontamente la sua solita maschera altezzosa.
“Quando hai finito rimetti la racchetta nel borsone insieme alle altre” sentenziò con arroganza avviandosi “O se preferisci considerala un regalo. Ma non dire in giro che in realtà sono così buono, o mi troverò con la fila all’armadietto.”
Se ne andò, lasciando Paolo Bianchi col dubbio se stesse o no parlando sul serio.
*          *          *
“Pronto… Gladi?”
“Bi… ehm, Paolo?”
Le telefonava di nuovo da scuola! Veronica si era dovuta rifugiare in bagno, lasciando le tre Marie a chiedersi quale catastrofe nucleare stesse scuotendo le fondamenta della famiglia Scarlini per far suonare il telefono delle emergenze per ben due volte nella stessa settimana.
“Sì sono io! Come stai?”
“Ehm, bene… ma… dove sei?”
“A scuola. Volevo raccontarti come è andato il primo match con Grimilde.”
La voce era allegra e impietosamente ottimista, nonostante le parole non fossero troppo lusinghiere.
“Oh. E com’è andata?” azzardò Veronica coprendosi gli occhi con una mano stanca.
Paolo ci mise un po’ a rispondere e quando lo fece aveva una voce strana, un po’ sorpresa e un po’ titubante.
“Sai che non lo so? Cioè, come insegnante oserei dire che è stato un completo disastro… Grimilde avrà anche un intuito sopraffino per la moda, ma di fisica quantistica ne sa tanto quanto un criceto in cattività e, almeno apparentemente, altrettante possibilità di impararla.”
Veronica premette ancora più forte i pollici sulle palpebre, cercando di non farsi ferire da quelle parole mortificanti dette con quel tono allegro e spensierato. In quel momento non doveva pensare come Grimilde, ma come Gladi. L’imparziale, professionale, maledettissima Gladi.
“Magari sei tu che non le hai spiegato bene le cose” reagì cercando di dominarsi “Gri… Vero… la signorina Scarlini non è affatto scema come la dipingi.”
“La stai difendendo di nuovo” sottolineò Paolo in tono quasi ammirato “Sei la persona più leale che io abbia mai conosciuto.”
Veronica si sentì piccola e viscida come un lombrico appena sgusciato dal terreno.
“Ma davvero la trovi così terribile?” domandò in tono scoraggiato.
Nuova pensatina silenziosa.
“No” ammise poi Paolo lentamente “Cioè, è intera come un esercito di  manici di scopa e sembra sempre che si aspetti di essere incoronata da chiunque le rivolga la parola, ma…”
“Ma?” incalzò Veronica speranzosa.
“Ma insomma, ha mangiato le frittelle di Nonna. Non ha ucciso Laura e Silvia, anche se io stesso le avrei tagliuzzate a fettine tanto sono state invadenti e cafone. E poi è stata gentile con Dante. Gentile davvero, senza tante falsità… Grimilde gentile! Mi aspettavo che Dante cominciasse a declamare endecasillabi, per compensare lo stupore.”
Di nuovo Veronica rimase in bilico tra la delusione e la speranza.
“Quindi?” prese tempo, in attesa.
“Quindi tornerà. E se riusciremo a mantenere rapporti civili, potremmo persino finire il ciclo di venti lezioni. Cavolo… potrei pagarmi l’iscrizione all’università tutto da solo!”
C’era così tanto genuino entusiasmo nella sua voce che Veronica si sentì rapita via.
“Che università vuoi fare?” gli chiese interessata: Paolo glielo disse con dovizia di particolari, facendole anche intuire quanto la sua situazione familiare e i suoi sogni accademici fossero in netto contrasto tra di loro.
“Quindi, come conti di fare con i soldi?”
Paolo le disse anche questo con voce lenta e grave, e Veronica capì quanto ci aveva pensato e sofferto sopra ad alcune decisioni. La scelta di rimanere vicino ai genitori, nonostante le attitudini e i sogni lo portassero lontano, diceva di lui molto più di mille discorsi: diceva che era leale, coraggioso e buono. Ad ogni sua parola Veronica sentiva il cuore gonfiarsi sempre di più di qualcosa mai provato prima: rispetto, forse. Consapevolezza che il valore di una persona è inversamente proporzionale al suo vantarsene, quindi il valore di Paolo cresceva a ogni parola poiché faceva di tutto per sminuirsi. E invece era buono. Buono, dolce, allegro… se lo immaginava camminare buttando a destra e a manca quelle lunghe gambe disarmoniche, con i capelli illuminati modello aureola e le mani gesticolanti e provava una specie di risucchio al cuore, una sensazione di bene, male e malinconia che la facevano sentire debole e timida. Lei, Grimilde! Veronica sorrise mestamente considerando l’assurdità della situazione.
“… e quindi questa storia delle lezioni private è stata una vera e propria manna dal cielo. Già mi vedevo lavorare al porto di notte, a scaricare sacchi di ferro circondato da ex galeotti sfregiati e rasentando i muri per non subire una sodomia… e invece guarda che colpo di fortuna!”
“Te lo meriti.” mormorò Veronica con sincero calore.
Paolo, stranamente, tacque.
“Non dovresti parlarmi così” disse infine lentamente, come ponderando bene le parole “Tu non mi conosci abbastanza.”
“Eppure non riesco a immaginare nessuno più meritevole di te, né appena conosciuto né conoscente di vecchia data.” rispose Veronica prontamente: aveva bisogno di dirlo e dietro la maschera di Gladi, paradossalmente, si sentiva libera di parlare con una leggerezza che mai aveva provato in vita sua.
Ma il silenzio di Paolo si faceva sempre più greve e pesante.
“Bi… Paolo?”
“Sei davvero gentile” rispose infine “E spero che tu lo pensi veramente.”
“Beh, ovvio.”
“Perché vorrebbe dire che in qualche modo, in maniera circoscritta alle sole telefonate che ci siamo scambiati, tu hai davvero stima di me.”
“Beh, ovvio.”
“E questo mi spinge a provare nei tuoi confronti la stessa schietta simpatia che mi dimostri.”
Beh, ovvio ancora? Perché no, meditò Veronica.
“Beh, ovvio.”
Anche se non lo era più così tanto: la temperatura della voce di Paolo era decisamente tropicale.
“Quindi, che ne dici di vederci una sera?”
“Beh, ov… eh?”
Il telefono cadde dalle mani di Veronica divenute improvvisamente mollicce e umide come filetto di pesce decongelato.
“Pronto…? Pronto…? Gladi?”
“Auz… mi è… coff!, caduto il... Ehm!... telefono, scusa. Dicevi?”
“Che mi piacerebbe vederti una sera.”
Oh, si!! Esultò la voce di Gladi nella testa; al contempo, l’umore di Veronica rotolò sotto i piedi.
“Io, ecco, beh, vedi di solito sono molto impegnata…”
“Se non ti va di vederci puoi dirlo subito tranquillamente, sai? Non mi offendo mica, e non voglio obbligarti ad accampare scuse.”
Che era esattamente quello che stava facendo, per il motivo diametralmente opposto a quello che avrebbe pensato lui.
“No, davvero! Io vorrei davvero incontrarti… ma.. c’è un piccolo problema che… mi impedisce… i contatti sociali… ultimamente.”
“Capisco.” mormorò lui: il tono era talmente deluso che Veronica si sentì sciogliere le viscere.
“Davvero Paolo! Incontrarti sarebbe una cosa che mi piacerebbe moltissimo! Ma… adesso non posso. Davvero.”
“Problemi fisici?”
“No, psichici” meditò Gladi angosciata mentre Veronica coglieva la palla al balzo.
“Sì! Ehm, cioè, ho avuto dei… problemi alla p-pelle del… naso… del viso! E, ehm…”
“Allora si piega tutto!” esclamò Paolo con voce deliziosamente sollevata “Capisco che tu non voglia farti vedere in giro, se non ti senti al massimo della forma. E’ imbarazzante per tutti, ma soprattutto per una bella ragazza come te.”
Bella ragazza?, berciò Veronica infuriata mentre Gladi gongolava.
“Se non ricordo male non ci siamo mai visti. Da cosa avresti dedotto che sono una bella ragazza, di grazia? Dalla mia precisione nel prendere appunti?”
“A dire il vero, me l’ha confidato qualcuno che ti conosce.”
Dopo un attimo di puro sconcerto, Veronica, che non era una cima ma la matematica spicciola la masticava piuttosto bene, arrivò all’unica conclusione logica: Tebaldo! Quel lurido viscido stronzo manipolatore!
“Non che avesse importanza per me” si affretto a specificare Paolo “Credo che troverei estremamente piacevole la tua compagnia anche se fossi il mostro della laguna. Ma capisco che per qualcuno abituato a presentarsi in un certo modo, non sia piacevole perdere quella parte di sé che rende i rapporti con le persone molto più facili.”
“Infatti” ringhiò a denti stretti “Beh, quindi capisci perché al momento sono impossibilitata a uscire con qualcuno. Anche se… devo ammetterlo… quel qualcuno sembra essere una persona molto interessante.”
Paolo tacque e Veronica intuì in quei pochi secondi di silenzio tutta la sua emozione: ne venne contagiata suo malgrado, finché la campanella non la salvò da quel momento di impasse.
“Devo andare, Gladi.” disse Paolo con sincero rimpianto.
“Si ho sentito, devi rientrare in classe.”
“Già, mi è persino sembrato di sentire la campanella in stereo!”
Promemoria per Gladi: trovare un locale insonorizzato durante le chiamate scolastiche di Bianchi.
“Allora, ci… risentiamo…”
“Si. Presto, se non ti dispiace.”
“Non mi dispiace.”
“Ok… alla prossima.”
Veronica aspettò che riattaccasse: anzi, in realtà fu Gladi ad aspettare. Alla regina Grimilde non era concesso farsi venire i batticuori per dei biondini occhialuti coi maglioni slabbrati; Gladi invece sì che poteva permettersi tutti quegli stupidi e futili comportamenti da ragazzina qualunque. La Gladi che quasi sicuramente non avrebbe disdegnato qualche canzone di San Remo e una bella bistecca al sangue per cena, la Gladi che paradossalmente, nella sua piccola cerchia di banalità, si sentiva straordinariamente libera. Alla povera Veronica a quel punto, chiusa nella sua torre di pietra, non rimaneva altro che la dolente consapevolezza delle proprie dorate catene.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Davanti al portone c’era Paolo: Serena rallentò di colpo l’andatura, sentendo i piedi ancora più pesanti di quanto non fossero già a  causa dei ripetuti e inutili pensieri che faceva su Tebaldo Santandrea della Torre. Quando la vide arrivare, Paolo si drizzò in piedi e le fece un pallido sorriso.
“Ciao.”
“Ciao.”
La tensione tra loro era tangibile, si poteva raccogliere a cucchiaiate.
“Tutto bene?”
“Si si, tutto bene. E tu?”
“Tutto ok.”
Imbarazzo denso come melassa.
“Tu, ehm… Hai avuto da fare?”
“Ho studiato e ho dato una mano al canile. Hanno adottato Sancho, il bastardone puzzone del 14B.”
Sancho; come dire Santandrea della Torre; come dire Tebaldo.
“Si, ah, lo so, l’ho preparato io per nuovo padrone.”
“Oh. Sul serio?”
“Si.”
“Si troverà bene?”
Ottima domanda… Sancho si trovava più o meno dove avrebbe voluto essere lei.
“Meglio di te e me messi insieme. Il padrone è ricco. Ma brutto. E vecchio.”
Il perché di quell’inutile bugia si perse nei meandri della sua già labile psiche. Passò oltre con uno slancio di pura ipocrisia.
“Allora, ehm… tu … passavi di qui…?”
“Lo so che non era in previsione che ci vedessimo, ma dovevo parlarti.” disse Paolo tutto d’un fiato arrossendo.
Serena annuì sentendosi febbrilmente in colpa: che Paolo avesse intuito che erano giorni che non pensava a lui? Che gli fosse giunto il sentore che i suoi sogni erano pieni di inquietanti occhi verdognoli?
“Io… non so bene come dirtelo, quindi te lo dico così e basta: credo di provare qualcosa per un’altra.”
Serena si sentì presa decisamente in contropiede.
“Come?”
Le orecchie di Paolo divennero rosa acceso, ma il suo sguardo rimase limpido, imbarazzato ma coraggioso.
“Sì, beh, non c’è niente tra noi, l’ho solo sentita… lasciamo stare, sembra già assurdo così anche senza particolari. Fatto sta che mi sembrava disonesto non parlartene. Perché è a lei che penso ultimamente. Io… volevo solo dirtelo, ecco.”
“Lei chi?” le sfuggì di bocca, più per curiosità e stupore che per altro: che ci fosse una femmina oltre lei interessata a Paolo le sembrava sinceramente fantascientifico.
“Non la conosci” rispose Paolo arrossendo ancora di più “Si chiama Gladi e fa la segretaria da una mia compagna di classe.”
“Chi?” ripeté Serena come un disco rotto; Paolo sembrò per un attimo ritentivo, poi cedette abbassando lo sguardo.
“Grimilde.”
Grimilde; come dire Scarlini della Torre; come dire Santandrea della Torre; come dire Tebaldo. Di nuovo! Com’era che tutto in quei giorni sembrava gravitare attorno a lui, dannazione?
“Oh.” riuscì solo a dire: sembrò un ottimo incentivo per Paolo che dopo l’inizio zoppicante partì in quarta.
“Ti giuro che non era programmato, cioè, mi era sembrata solo una ragazza gentile e affabile, ma qualcosa nella sua voce… e poi, insomma, lei è così… fiduciosa… senza nemmeno conoscermi si è esposta a un rischio che potrebbe costarle il posto… e io sono davvero onorato e nello stesso tempo non so cosa possa avere da farle pensare tanto bene di me, ma lo pensa. E’ una cosa molto nuova e gratificante, non lo nego. Magari è solo questo, magari sono solo lusingato e non c’è nient’altro da parte di nessuno. Ma non potevo non dirtelo. Proprio non posso non dirti quello che sento.”
Caro, dolce Paolo Bianchi. Non proprio noioso in quel momento dove coraggiosamente si aspettava come minimo una badilata in testa per l’affronto arrecato.
Ma che poteva dirgli Serena a quel punto? Insultarlo? Poveretto, aveva una faccia così contrita…
“Ho capito.” mormorò a fior di labbra.
A dire il vero, non aveva capito un bel niente, se non che si sentiva più umiliata che triste. E che era snervante il fatto di non potergli dare dello stronzo, perché era palese che faceva di tutto per non esserlo. Da quel punto di vista, erano molto meglio gli stronzi autentici… almeno una povera ragazza umiliata e rifiutata poteva sfogarsi inveendo come una lavandaia a ragion veduta.
“Questo non vuol dire che non ci tengo più a te” si precipitò a dire Paolo arrossendo di nuovo “Anzi, ci tengo moltissimo… e non voglio che il nostro rapporto cambi o che la nostra amicizia ne risenta… io ti voglio davvero bene…”
E bla bla bla: Serena smise di ascoltare canticchiando tra sé e sé una filastrocca, suo infallibile metodo per non farsi ferire dalle parole altrui. Che Paolo sentisse il bisogno di rassicurarla era comprensibile, che lei non avesse nessuna voglia di ascoltarlo al momento lo era ancora di più.
“Senti, Paolo” tagliò via quando intuì che era rimasto a corto di argomenti “Ho capito quello che vuoi dire, ma ancora non mi sento di esprimerti quello che sento a riguardo. Lasciamo stare le cose così per il momento e… vedremo più avanti.”
“Quindi… posso chiamarti?”
“No. Lasciamoci un po’ di tempo per entrambi.”
Forse Paolo si aspettava qualcosa di diverso: qualcosa di meno freddo e calcolato, qualcosa di meno razionale. Per Serena stessa era qualcosa di assurdamente a metà tra il rammarico e il sollievo. Se fosse stata del tutto onesta, sia con se stessa che con Paolo, avrebbe dovuto parlare di Tebaldo Santandrea della Torre; ma parlarne avrebbe voluto dire che c’era un interesse e questo Serena non era ancora disposta ad ammetterlo. Forse non lo sarebbe stata mai.
“Come vuoi.” mormorò Paolo alla fine di un lungo silenzio.
I suoi occhi erano molto azzurri e molto seri, impenetrabili dalla prima volta che lo conosceva. Forse era dispiaciuto, forse era sollevato: quello che vedeva Serena era però un unico muro di pietra.
“Allora, io… vado.”
Che dirgli? Arrivederci? Mi mancherai? Ho paura di fare un sacco di cazzate senza di te?
“A presto, Paolo.”
“Ok, ciao.”
“Ok.”
Due tuberi per l’ultima volta: chissà perché fu proprio quello il pensiero che rese Serena definitivamente triste.
*          *          *
Paolo Bianchi era una persona apparentemente semplice. Di sé stesso pensava sufficientemente bene per concedersi una sana convivenza e non si era mai particolarmente soffermato su cose più complicate del gestire il presente. La faccenda delle ripetizioni a Grimilde erano stata una di quelle cose capaci di sconvolgere il suo piccolo mondo. Innanzi tutto, il fattore economico: dal niente ecco la possibilità di guadagnare abbastanza per pagarsi l’iscrizione all’università tutto da solo. Un motivo di orgoglio per lui e un aiuto per i suoi genitori, quindi qualcosa puramente positivo. Poi, l’incontro (telefonico) con Gladi: una botta di assurdo ottimismo, un’attrazione inconscia e inspiegata, un desiderio improvviso di cambiare il solito e tranquillo tran tran sentimentale per mettersi in gioco… unico neo: il suo lavoro. Era la segretaria devota di Grimilde, sua Nemesi dalle elementari. Quindi non proprio una cosa del tutto positiva: 50 e 50 a darle il massimo.
E poi, Grimilde stessa: Grimilde con tutta la sua spocchia, con i suoi costosi vestiti firmati, con le sue improvvise e bizzarre discese tra il volgo che più che intenerirlo lo sconcertavano. Si era comportata in maniera quasi umana con la sua famiglia: persino con lui. Certo, il giorno dopo la prima lezione a scuola non gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo, ma Paolo non poteva negare di aver avuto un moto di sollievo. Interagire con Grimilde da solo era un conto, aver a che fare con lei con gli occhi di tutta la scuola addosso era un altro! In ogni caso, quel pomeriggio avrebbero avuto il loro secondo incontro, e Paolo paventava e nello stesso tempo aspettava con impazienza quel momento. Perché così, forse, avrebbe cominciato a capirci qualcosa…
*          *          *
Munizioni pesanti: ecco cosa doveva giocare. Veronica aveva rimuginato parecchio sulla situazione e razionalmente sapeva che avrebbe dovuto andare con calma, ponderare bene le mosse e fare un passo alla volta in un’unica direzione. Per blandire Bianchi Veronica Scarlini della Torre doveva riuscire a farsi apprezzare partendo dall’alto, ovvero non dai capelli come avrebbe suggerito la fida Maria Vittoria, ma dal cervello. Purtroppo, con tutta la sua buona volontà, non riusciva a procedere in quella direzione. Perché c’era di mezzo la perfida, invadente Gladi. C’era l’interesse genuino che Bianchi sembrava provare per lei. C’era che si trovava spesso a pensare con la testa di Gladi piuttosto che con quella di Veronica. C’era che doveva finire al più presto quella messinscena, o si sarebbe trovata dallo psichiatra a guarire un grave disturbo della personalità multipla. Quindi, Veronica doveva schiacciare Gladi e vincere in fretta quella assurda gara a chi conquistava per prima il cuore di Bianchi. Da cui, ecco pronte le munizioni pesanti: quando Inocencia vide Veronica pronta per la seconda ripetizione da Bianchi, per poco non le rimbalzò il rosario dal collo.
“Madre de Dios! Come ti sei conciata?” l’apostrofò strabuzzando gli occhi e trattenendosi a stento dal fare il segno della croce.
“Rilassati” la blandì Veronica rovistando nell’armadio “La faccenda di Sancho e Byron ti ha lasciato proprio i nervi scoperti, salti per un nonnulla!”
“Un nonnulla? Un nonnulla è quello che tu hai addosso, mi hija!”
Veronica lanciò uno sguardo soddisfatto alla camicetta di seta trasparente, sotto cui faceva decisamente capolino la lingerie accattivante di Cacharel.
“E’ solo una camicia. Datti pace, benedetta donna.”
“E sotto? Posso vedere il neo che hai sulla coscia, tanto sono stretti quei pantaloni!”
“Madonna, quanto sei medievale!”
“Sono solo preocupada per la tua salute. Non ti circola il sangue, così! E se svieni nel bel mezzo della lecciòn?”
Era una buona tattica da provare, se il Bianchi non mostrava segni di vita.
“Stai tranquilla, non succederà” sorrise Veronica “E comunque sto cercando una giacca, per non sconvolgere tutto il parentado.”
“A Dios non piace esta esposiciòn di mercanzia.” le ricordò Inocencia puntando il naso per aria.
“Allora comincia a dire qualche Ave Maria per me, così non sarò più costretta a mostrare le pudenda.”
Mentre Inocencia mormorava sottovoce un inquietante rosario che sembrava la formula esorcistica, Veronica indossò una morbida giacca di nappa, prese la borsetta e due libri di fisica e uscì a passo spavaldo. Si sentiva sicura di sé e crepitante di aspettativa.
Arrivata al palazzone di Bianchi fece le scale quasi saltellando e si aggiustò i capelli e il rossetto un attimo prima che la porta si aprisse, sfoderando un quasi sorriso sulle labbra rosse.
“Ciao” la salutò Bianchi perfettamente neutro “Prego entra. Scusa il disordine, come al solito… oggi però sono riuscito a depistare le gemelle e Dante e nonna sta facendo un pisolino, anche se gli ci è voluto un narcotico per toglierla da quei maledetti fornelli, quindi dovremmo avere almeno mezzora di relativo silenzio.”
“Bene.” rispose Veronica un po’ perplessa: Bianchi non l’aveva nemmeno guardata di striscio.
Alla faccia delle lenti bifocali, doveva essere cieco quasi quanto la nonna.
Seguì un zelante Bianchi nella stanza e quando chiuse la porta, si piazzò ben in vista davanti alla scrivania.
“Posso togliere la giacca? Fa caldo.” annunciò con voce morbida.
“Fai pure” la invitò lui voltandole le spalle e scartabellando negli appunti “Dunque, hai studiato Michaelson e Morley?”
“Si, ehm… dove la metto?”
“Cosa?”
“La giacca. Questa giacca, vedi? Quella che ho in mano.”
Bianchi le lanciò appena una rapida occhiata.
“L’attaccapanni è lì, non ricordi la tua controfigura, l’ultima volta?”
Un po’ smontata, Veronica appese la giacca e aspettò che Bianchi si girasse verso di lei. Paolo si girò e si sedette col naso ben immerso nel libro di fisica senza nemmeno sfiorarla con lo sguardo.
“Allora, ti ricordi la lezione dell’altra volta?”
Sedendosi sul bordo della sedia Veronica ripeté giudiziosamente la lezione, sentendosi molto stupida e un po’ ridicola, con la sua camicetta da meretrice in bella vista così platealmente ignorata.
“Molto bene!” sorrise Paolo guardandola appena di sfuggita “Possiamo senz’altro continuare col programma.”
E giù col naso così ficcato nel libro che sembrava piantato con l’accetta. Veronica dovette deglutire a secco parecchie volte mentre lui vaneggiava di specchi argentati e formule alchemiche. Persino la dolce Gladi che cresceva in lei era perplessa dall’evidente mancanza di ormoni di Bianchi: Veronica invece non si capacitava, in bilico fra lo scandalizzarsi e scoppiare a piangere dalla frustrazione. Fortunatamente, le severe lezioni di  bon ton di Ingrid le tornarono di nuovo più che utili: rimase impassibile, col viso appena più pallido e serio e la schiena dritta, sorbendosi per un’ora ininterrotta la demolizione dell’etere luminifero. Bianchi era indubbiamente un appassionato della materia e faceva di tutto per contagiarla col proprio entusiasmo: non fosse stata così annichilita, Veronica l’avrebbe persino apprezzato. Invece si limitò a fissarlo con gli occhi verdognoli ancora più ghiacciati del solito. Dieci minuti prima della fine di quella interminabile lezione, si udì un forte trambusto al di là della porta chiusa, comprensivo di uggiolii canini, cicaleccio femminile adolescenziale e rimbalzi di palla.
“Sono tornati i miei” annunciò Paolo vagamente allarmato “Mi scuso già in anticipo per qualsiasi cosa dovessero fare o dire: se hai pensato che peggio dell’altra volta non potrebbe mai andare, purtroppo non sai da che risorse infinite la mia famiglia attinga la sfiga.”
“Indosserò la cotta di maglia.” buttò lì Veronica depressa: pensava di doverlo fare solo in senso figurato, ma quando sentì il rumore di mandria bovina in avvicinamento e il pavimento quasi tremare, valutò che uno scudo e una lancia non sarebbero poi stati così fuori luogo.
Ci fu una specie di colpetto di tosse contro la porta prima che questa si spalancasse e vomitasse all’interno della stanza il figliame Bianchi completo di cane, pallone, borse della spesa, cacofonia vocale e deboli guaiti.
“Eccola!”
“E’ proprio qui!”
“Ci hai mandato via proprio quando stava arrivando!”
“Sei uno stronzo bastardo merdoso!”
“Palla!”
Tom!
“Ragazze…”
“Ci volevi tenere lontano da lei?”
“Fratello cafone!”
“Palla!”
Tom!
Veronica si alzò in piedi e d’un tratto la scena sembrò congelarsi: in barba al precedente sublime disinteresse di Paolo, gli occhi di Silvia, Laura, Dante e persino del cane Biagio si schiantarono sulla camicia trasparente di Veronica come alberi abbattuti dai boscaioli.
“Ehm!”
“Oh, santo cielo…”
“Perdindirindina!” strillò Dante strabuzzando gli occhi talmente tanto che sembravano voler rimbalzare sul suo petto “Ti si vedono tutte le poppe!”
Paolo arrossi con tanta violenza che sembrò prendere fuoco.
“Dante?? Chiedi immediatamente scusa??”
Dante non riusciva a staccare gli occhi dalla camicetta di Veronica che dovette fare uno sforzo sovrumano per non tuffarsi sotto il letto o sotto il tappeto. 
“Ma Pà, guarda! Le sue poppe, le posso quasi vedere!”
“Dante!” venne in aiuto flebile Laura “Si chiama decolté… Non è… cioè, è…”
“E’ una moda…” concluse Silvia ancora costernata.
“Non avevo mai visto le poppe di nessuno” annunciò candidamente Dante “Se non in piscina. E quelle di mamma. Là e Sì non ne hanno quasi per niente.”
“Non è vero!” reagirono in coro le gemelle galvanizzate dall’oltraggio.
“Dante…? Ti prego…?”
“E’ solo una camicia di Hermes…” sfiatò Veronica, così schiacciata dalla situazione che quasi non riusciva a respirare.
“Le avevi viste Pà le poppe di Ve-honica?”
Sembrò la fatidica goccia del fatidico vaso: mentre però Laura e Silvia abbassavano gli sguardi sconfitte dalla vergogna, Paolo Bianchi indurì la mascella, alzò il mento e parlò in tono pacato e senza quasi punti interrogativi nella voce.
“Dante, non è carino parlare delle... di queste cose. Lo sai, te lo abbiamo già detto altre volte. Veronica è vestita alla moda e tu sei molto maleducato a dirle così. L’hai offesa e resa molto triste, perché lei ci tiene tanto a essere sempre ben vestita. Chiedi subito scusa.”
Dante perse di colpo il sorriso per lasciare il posto a una faccia triste triste e confusa: girò uno sguardo azzurro slavato su Veronica con gli angoli della bocca tutti curvi all’ingiù.
“Scusa” gorgogliò con voce querula “Pà non vuole che io parlo neanche di cacca con l’altra gente. Ma io mi dimentico sempre. Non volevo farti diventare triste.”
“O-ok.”
“Davvero, sei molto bellissima vestita così.”
“Grazie.”
“A me piacciono le tue poppe.”
“Basta così, Dante, è più che sufficiente.” intervenne Paolo precipitosamente.
La tristezza di Dante era troppo genuina per non essere ricompensata, così Veronica gli fece anche un timido sorriso che in realtà sembrava una paresi facciale. Dante di riflesso ritrovò il suo solito sorriso raggiante: si girò verso Paolo tutto soddisfatto e quasi gli urlò addosso tutta la sua contentezza.
“Ve-honica non è più triste! Vado a giocare con la palla!”
Trottò via seguito dal cane, annoiato da quegli stupidi discorsi da umani, e dalle due sorelle, chine e pudiche come suorine,  che trovarono così una via di fuga rapida e indolore. Rimasero Paolo e Veronica, uno più imbarazzato a morte dell’altra.
“Mi metto la giacca.” cedette Veronica fiondandosi a raccattare l’indumento.
“Mi dispiace immensamente” mormorò Paolo affranto “Dante è così… non lo fa per cattiveria, è che gli manca il terreno di coltura, le buone maniere con lui non attecchiscono…”
“Non fa niente” replicò Veronica affannata a mantenere la dignità “Forse ho esagerato io con il look. Non ci avevo fatto caso.”
Fortuna che certe bugie le venivano naturali: con la giacca addosso finalmente le stava passando l’agghiacciante sensazione di essere nuda davanti a tutti, ma ancora le orecchie le bruciavano di cocente umiliazione.
“Sono mortificato…”
“Devo andare” tagliò corto Veronica nel più puro stile Grimilde “La lezione è finita per oggi, no?”
Paolo finalmente alzò la testa per guardarla: i suoi occhi dietro le lenti erano così celesti e mortificati che Veronica si sentì improvvisamente avvolta da un senso di ruvida nostalgia.
“Sei arrabbiata?”
“No.”
Era sincera, ma il mento le tremava. Lo sguardo di Bianchi si fermò proprio lì, sul mento tremante, come catalizzato da quel segno di debolezza.
“Non so come dirtelo, ma mi dispiace davvero.”
“Taglia corto, Bianchi” si ribellò Veronica bruscamente “Se ti scusi ancora sembrerà che provi pena per me e scusa tanto ma Grimilde non vuole la pena di nessuno. Grimilde si veste come le pare, se le va di girare con solo un perizoma d’oro addosso lo fa in barba a quelli che non la notano nemmeno di striscio e a quelli che la notano troppo. Ci siamo capiti?”
Le sembrava un discorso innocente, soprattutto visto i precedenti dove Bianchi aveva dimostrato riguardo all’argomento la sensibilità di un trave di cemento armato.
“Guarda che io avevo notato.” puntualizzò Paolo con la faccia perplessa lasciandola praticamente di sasso.
“Tu hai... mica volevo dire che dovevi notare.” ribatté Veronica ma era arrossita fino a farsi friggere le guance: Paolo le fissava il viso con malcelata meraviglia e Veronica si sentì di punto in bianco ancora più nuda e vulnerabile di quando si parlava della sua scollatura.
“Devo andare!” scattò lanciandosi verso la porta e quasi travolgendo la nonna che era arrivata con un trionfante piatto di lasagne fumanti.
“Non starai mica andando via!” berciò minacciosa la vecchia quando intuì l’ombra di Veronica che la mancava per un pelo “E’ ora di merenda!”
“Merenda con le lasagne… andiamo, nonna…”
“Ma le ho appena fatte! Sono buonissime!”
“Davvero non ho appetito, signora.” mormorò Veronica, ed era vero: aveva lo stomaco in subbuglio, non tanto per il dialogo imbarazzante con Dante, ma per quello sguardo finale di Bianchi, così vicino, così caldo: si sentiva ghiacciata e rovente insieme… in poche parole emozionata! Cosa assolutamente nuova e insolita per lei.
“Sciocchezze” ribatté le nonna col naso per aria “Al massimo per cena ti fai solo un brodino. Tieni, assaggia.”
Le piazzò praticamente in mano il piatto di lasagne e Veronica lo prese come se fosse una bomba a orologeria.
“Nonna, ti prego!”
“Davvero, signora…”
“Un assaggino, dai. Mi offendo se non le mangi.”
Così Veronica diligente ne assaggiò un pezzetto con la punta della forchetta, lì in piedi davanti alla porta, con Paolo che la guardava indeciso se ridere o mortificarsi ancora di più.
“Mmmm, signora, sono deliziose.” lodò ingoiando vivo il boccone come se fosse carta.
“Lo so. Vieni a sederti così le finisci, ti togli la giacca…”
“No!” strillarono in coro Paolo e Veronica: la nonna era cieca come una talpa, ma erano entrambi certi che avrebbe trovato il modo per notare le nudità di Veronica e scomunicarle come eretiche con tanto di crocifisso staccato dalla parete e acqua santa recuperata dal frigo.
“Io… devo davvero andare.”
“Ti accompagno.”
I due si volatilizzarono e la nonna rimase sulla porta spaesata e con il piatto di lasagne in mano.
“Torna presto, cara.” disse all’attaccapanni con un caldo sorriso.
Paolo e Veronica, dopo aver scavalcato il gatto Zigote che si era sdraiato nel bel mezzo del corridoio, aver guadato la diga di bava che aveva creato Biagio contro il battiscopa e essersi chinati sotto il bombardamento di palle di Dante che giocava in salotto, guadagnarono vittoriosi la porta di casa.
“Ci siamo!” sfiatò vittorioso Paolo aggrappandosi alla maniglia.
“Uscire da casa tua è come vincere il triathlon.” commentò Veronica col fiatone e Paolo, del tutto inaspettatamente, scoppiò a ridere: lo fece tanto spontaneamente e di gusto che Veronica rimase impalata a guardarlo. Era così carino quando rideva: aveva denti bianchi e forti, fossette dovunque e occhi ancora più turchini e scintillanti del cielo di giugno.
“Scusa” sbuffò Paolo quando riuscì a contenersi “Deve essere un riso isterico: prima Dante, poi la nonna, poi il triathlon… sto morendo di imbarazzo.”
“Si, è imbarazzante” ammise Veronica sinceramente “Ma c’è anche un suo lato divertente che non va sottovalutato.”
Si scambiarono uno sguardo: il primo alla pari della loro esistenza. Il cuore di Veronica prese a battere rapido e leggero come quello di un uccellino spaventato.
“Scusa” disse Paolo in tono franco e diretto “Siamo definitivamente una famiglia di matti. Dobbiamo proprio sembrarti surreali.”
“Come un quadro di Dalì.” buttò lì Veronica dopo averci pensato un po’ su: che diamine, era giunto il momento di sfruttare un po’ le conoscenze di Gladi a suo favore, no?
“Lo conosci?” domandò Paolo con un lampo di interesse negli occhi.
“Non tanto. Preferisco cose meno inquietanti e più rilassanti.”
“Non saprei proprio come rendere questa gabbia di psicotici un ambiente rilassante, ma farò di tutto perché lo sia, la prossima volta… se mi concederai una prossima volta.”
Veronica deglutì: aveva proprio detto così, “se mi concederai”; Paolo intendeva sicuramente parlare in senso accademico e ci teneva a non perdere i profumati introiti delle lezioni, ma per una volta si concesse di essere ottimista.
“Beh, tua nonna potrebbe preparare il brodo.” rispose con un sorriso radioso.
Paolo rimase per un attimo imbambolato a guardarla, poi le sorrise di rimando.
“Addestrerò Biagio affinché ti faccia un ottimo massaggio plantare.”
“Non so se servirà.” meditò pensierosa: stava valutando che per evitare altre scene imbarazzanti avrebbe rimesso piede lì dentro solo indossando burqua e tute da palombaro.
“Allora ci vediamo dopodomani?”
“Va bene.”
Era sulla soglia quando Paolo sembrò volerle dire qualcosa di importante.
“Veronica!”
Col cuore in gola lei si girò cercando di mantenere la calma.
“Si?”
“Porta i miei saluti a Gladi.”
Ma certo, Gladi. Come dimenticarla… sempre tra i piedi anche nei momenti meno opportuni. Maledetta segretaria ipotetica. Lei, che con la su ipotetica gonnellina sopra il ginocchio, i suoi ipotetici occhiali da segretaria, i suoi ipotetici maglioncini, non avrebbe di sicuro mai offeso la pubblica morale mostrando le poppe in pubblico.
“Non mancherò. Buona giornata.”
Un ultimo gelido sguardo e quasi fuggì via, inseguita dal rumore dei rimbalzi gioiosi della palla di Dante sul pavimento di casa Bianchi.
*          *          *
Veronica non fu minimamente stupita di trovare Tebaldo appollaiato su una poltrona in veranda. Nemmeno lo salutò: sbatté la borsa per terra e si buttò a braccia incrociate sulla poltrona di fronte, sfoderando un formidabile muso lungo.
“Oh, come siamo cupe, oggi” la blandì Tebaldo di ottimo umore “Non hai trovato nessun agnellino da dissanguare, Grimilde?”
Veronica neanche gli rispose: si limitò a rimuginare tra sé e sé finché le parole quasi non le scapparono di bocca.
“Voglio sapere cos’ho che non va.”
Tebaldo non provò nemmeno a stupirsi: si accomodò sulla poltrona e finse di impugnare fantomatici penna e taccuino.
“Mi dica tutto, paziente psichiatrica numero 187: intende dire cosa non va a livello conscio, inconscio, subconscio o scosciato?”
“Intendo dire a livello sessuale” sputò fuori Veronica, arrossendo leggermente “Cioè, mi vedi? Ho messo i jeans attillati che mi fanno il sedere alto; ho usato il trasparente vedo non vedo e la lingerie di Cacharel che mi esalta il decolté; sono stata perfettamente carina e sexy. Non gliel’ho servita su un piatto d’argento, perché cavolo, siamo pur sempre Veronica Scarlini della Torre e Paolo Bianchi, ma sono assolutamente certa di essere stata… accessibile, sì, ecco. Accessibile. Persino suo fratello handicappato ha fatto un elogio pubblico alle mie tette, pur essendo cieco come una talpa e perennemente concentrato sulla sua dannatissima palla. E lui? Niente. Un merluzzo con l’occhio vitreo.”
“Che razza di cafone” chiocciò Tebaldo con gli occhi scintillanti “Beh, cuore mio, io non vedo proprio niente che non possa piacere a un maschio. Sei molto attraente e ti sai sicuramente valorizzare nel modo migliore. Forse sei solo un po’ freddina.”
“Freddina?” domandò Veronica stupita.
“Sì, un po’ algida, distante. Inavvicinabile. E’ una caratteristica che fa parte di te e personalmente, come ben ricorderai, la trovo estremamente seducente, ma non tutti sono affascinati come me dalle cose difficili.”
L’attenzione di Veronica si concentrò su una delle cose che aveva detto Tebaldo con estrema leggerezza.
“In che senso come ben ricorderai? Tu non mi hai mai dimostrato particolare interesse. Per tutto il tempo che siamo stati insieme eri talmente concentrato su di te che nemmeno ti accorgevi che esistevo. Nemmeno se ero vestita Prada.”
“A dire il vero, Grimilde carissima, a me sembrava che fossi tu a essere troppo impegnata nel fare shopping per concedermi qualche minuto del tuo prezioso tempo.”
Veronica si morse la lingua per non continuare quel discorso: erano stati proprio quel genere di litigi a portarli a dividersi. Posto che fossero mai stati uniti: con Tebaldo non si era mai sentita in vera sintonia. Mai fino a quel momento, almeno.
“Tornando al mio incontro con Bianchi?”
“Magari c’è stato qualcosa nel tuo minuzioso piano di seduzione del plebeo che non ha funzionato.”
Veronica si alzò in piedi di scatto, mettendosi ritta di fronte a lui.
“Esatto. Ma cosa?”
Tebaldo le lanciò una rapida occhiata.
“Apparentemente sembra che non ci sia niente che non va.” disse con leggerezza distogliendo lo sguardo.
“Tebaldo, sei un maschio. Guardami bene, per favore.”
Tebaldo la guardò bene: i suoi occhi verdognoli la squadrarono partendo dai piedi, risalendo lungo le gambe snelle, i fianchi, le braccia, il collo, il seno. Veronica non aveva mai sperimentato con tanta vulnerabilità quanto quegli occhi sapessero essere indecenti e allusivi: si ritrovò ad arrossire furiosamente sentendosi quasi nuda col suo reggiseno a vista e i jeans attillati. Nuda, impudica e improvvisamente, inopportunamente eccitata.
“Ok, adesso ti ho guardata.” mormorò alla fine Tebaldo con voce vellutata fissandola negli occhi: le sue iridi erano fuoco liquido, estremamente pericoloso. Veronica si trattenne a stendo dal desiderio di deglutire o di coprirsi il petto con le mani o di scappare via a gambe levate.
“Ok” fece con la gola arida come il deserto “Quindi? Sono proprio così freddina? Dopotutto sono pur sempre Grimilde. Non posso trasformarmi in una ballerina di lap dance in quattro e quattr’otto.”
“Non ce n’è bisogno: si riesce ad essere molto sexy anche senza diventare per forza volgari o terricoli.”
“Non vedo come.”
“Guarda me: non sembro freddo e distaccato?”
Veronica percepì odore di pericolo imminente, ma non riuscì a trovare nessuna scappatoia plausibile per uscire da quella situazione indenne.
“Abbastanza.” rispose prudentemente.
“Eppure, quando voglio so come apparire diverso.”
“Diverso in che senso?”
Era una domanda che non doveva fare, ma lo sguardo di Tebaldo inchiodato su di lei la faceva straparlare senza pensare.
“Diverso in senso interessante. E/o interessato.” rispose lui amabilmente.
“Tu come faresti?”
Altra terribile domanda da non fare: Tebaldo si alzò in piedi lentamente con le movenze di un predatore felino, senza staccare gli occhi dai suoi.
“Come farei? Avvicinandomi piano piano.” disse con quella sua voce ricca di velluto.
Si era avvicinato davvero fino a sfiorarla, ignorando il limite naturale della decenza con arrogante sicurezza: Veronica fu costretta a sollevare il viso per seguire il suo sguardo che, da così vicino, risultava letteralmente devastante e magnetico.
“E poi…”
Sempre con frustrante lentezza, Tebaldo sollevò una mano e con la punta dell’anulare sfiorò la guancia di Veronica, marchiandola a fuoco.
“… toccando appena” continuo con voce quasi rauca “Ma facendo capire quanto sarebbe più bello stringere fino a togliere il fiato…”
L’altra mano andò a circondarle la vita, garbata ma decisa: Veronica dovette attingere a riserve segrete di autocontrollo per non scappare via, o molto più probabilmente, liquefarsi sotto il suo tocco.
“Guardando dritto negli occhi e facendo capire quanto quello che sto guardando… respirando… toccando… sia la cosa più desiderabile del mondo.”
Era a un soffio dal suo viso e Veronica dovette ammettere che quel qualcosa che le aveva d’improvviso riempito il petto fino a traboccare, era il semplice, elementare desiderio di baciarlo. Baciare Tebaldo: esattamente quello che lui aveva pianificato, con quella piccola messinscena. E lei ci aveva messo meno di tre secondi a cadere ai suoi piedi come una pera qualunque. Un record degno di stecchetto Colombi, che almeno ci stava mettendo qualche settimana a soccombere. Il suo sguardo diventò adamantino.
“Non ricordo che tu mi abbia mai guardata n questo modo” riuscì a dire con voce secca “Si vede che non sono mai stata per te la cosa più desiderabile del mondo.”
La mano di Tebaldo cadde immediatamente lungo il fianco: per un secondo, prima che si allontanasse d’un passo, sembrò che i liquidi occhi verdi diventassero incandescenti, poi ripresero la fredda patina sardonica di sempre.
“Grimi carissima” sospirò fintamente affranto “Questo tono non è da usare mai e poi mai durante un atto di seduzione: smonterebbe anche un toro preparato per la monta!”
Con la distanza di sicurezza ripristinata, Veronica recuperò anche un po’ di autocontrollo, pur continuando a sentire nel petto qualcosa di pesante come un macigno.
“Scusa” rispose con alterigia “Non avevo capito che fossimo nel bel mezzo di una lezione didattica sul rimorchio. Mi sembrava di non essere così penosa da necessitare di questo, né che tu fossi abbastanza esperto per la parte del maestro.”
Tebaldo sbatté appena le ciglia senza che il solito sorriso da schiaffi si smorzasse sul suo viso.
“Non so se hai bisogno di lezioni di rimorchio o no” rispose poi lentamente, con voce appena più dura “Dove invece puoi essere sicura di aver raggiunto un imbattibile primato è nell’essere la sola, indiscussa regina degli stronzi. I miei complimenti, Grimilde, sono davvero ammirato.”
Girò i tacchi e se ne andò, lasciando Veronica inspiegabilmente con le orecchie roventi, le mani ghiacciate, la testa leggera e il cuore pesante come un macigno.
*          *          *
Paolo Bianchi era sempre più perplesso. A scuola Grimilde era arrivata algida e indifferente come al solito, come se quel mento tremante e indifeso che l’aveva sconvolto il giorno prima non fosse mai esistito. Non lo aveva degnato nemmeno di mezzo sguardo: se ne stava al suo solito posto sul trono, indossando con altera nonchalance una camicia impudica e trasparente sorella di quella del giorno prima, come a volergli sbattere in faccia che le opinioni della sua famiglia troglodita e medievale non scalfivano minimamente il suo gusto nel vestire. Il che denotava un’apprezzabile sicurezza di sé, pensava Bianchi con riottosa ammirazione osservando le sue nobili spalle. Aveva davanti agli occhi i due opposti, il mento tremante di Veronica e lo sguardo freddo di Grimilde. Uno sguardo lungo tredici anni: non potevano certo bastare due frittelle e quattro parole decentemente cortesi per fargli cambiare idea su di lei. Continuava a pensare che starle vicino fosse pericoloso e deleterio per la sua salute, fisica e mentale. In fondo in fondo però, ben nascosto da anni di poca autostima, c’era l’assurda sensazione che qualcosa nell’atteggiamento di Grimilde nei suoi confronti fosse cambiato. Se non fosse stato completamente assurdo pensarlo, si sarebbe potuto anche supporre che lei… ma no, impossibile. Fantascientifico. Inverosimile.
Eppure… Si era permesso di osservarla di sottecchi: sempre altezzosa come un’imperatrice con lo scettro in mano, sempre tiratissima e griffatissima… ma da qualche giorno tutto quello era, come dire, un po’ meno del solito. Sembrava più accessibile, più vera. O forse era solo l’effetto Gladi?
“Ultimamente i tuoi capelli sono così… naturali” aveva cinguettato persino Maria Beatrice, non senza una punta di sconcerto “Hai cambiato parrucchiere?”
“Si.” aveva risposto Veronica vagamente assente.
Paolo aveva osservato la dritta linea della schiena, il profilo ben delineato, la curva arrogante del seno… beh, bella era bella, doveva ammetterlo. Il giorno prima quando era entrata in casa con quella camicetta scandalosa,  aveva iniziato a sudare come un maiale allo spiedo e aveva dovuto pensare come un forsennato a interminabili partite di calcio per distrarsi e non far cadere l’occhio sulla scollatura. Non sarebbe stato professionale e lei sembrava così noncurante… così fredda, come al solito. Ci aveva pensato Dante a fargli fare comunque l’ennesima figura meschina per l’ennesima volta. Per un attimo persino Grimilde era arrossita: e in quell’attimo di vulnerabilità non gli era mai apparsa così bella. L’aveva sempre guardata come si guarda una copertina di moda, senza grande coinvolgimento emotivo, e per quanto ci provasse a dirsi che in realtà era una ragazza in carne e ossa, continuava a vederla come se li separasse un’ombra plastificata. Come se fosse avvolta dal cellophane. Ma non in quel momento, con le guance rosa e gli occhi molto verdi e molto lucidi.
“Come sta il tuo cane?” aveva cambiato discorso Maria Vittoria, ignara delle elucubrazioni mentali di Paolo Bianchi, invisibile alle sue spalle.
“Oh. Bene.” aveva risposto Veronica sempre con quel tono di voce piatto.
“E il cane spagnolo di Tebaldo, è ancora con te?”
Con la coda dell’occhio, Veronica si era accorta che Paolo Bianchi aveva rizzato improvvisamente la testa: sapeva che lui la stava guardando da un pezzo ed era spossata dallo sforzo di non ricambiarlo.
“Sancho non è spagnolo” aveva risposto appena più interessata “E sì, è ancora a casa mia.”
“E Tebaldo lo viene a trovare?” aveva chiesto Maria Lucrezia speranzosa: già si vedeva il suo cervellino che elaborava complicati piani per introdursi in casa Scarlini durante queste ipotetiche visite.
“No” aveva mentito Veronica “Tebaldo ha altri interessi, attualmente.”
“Quali interessi?”
“Ragazze?”
“Pensa di comprare un gatto?”
Sommersa dal terzo grado delle tre Marie, Veronica si era appena accorta di Paolo Bianchi che usciva dall’aula con sorprendete decisione e rapidità.
*          *          *
Tebaldo di tutto si aspettava, fuorché trovarsi in un corridoio solitario faccia a faccia con Paolo Bianchi in persona. Per lui era cosa abbastanza normale farsi lunghe, rilassanti passeggiate lungo i corridoi della scuola, durante le ore di lezione: a volte incontrava altri sfaccendati riccastri come lui intenti a tediarsi oltre ogni dire, ma più spesso se ne stava per conto suo a rimuginare su chissà quali piani.
“Ciao?” lo apostrofò con voce acuta Paolo quando se lo trovò davanti: forse non si aspettava di incontrarlo, pur avendo tutta l’aria di stare cercando proprio lui. Tebaldo segretamente ne apprezzò l’inusuale coraggio.
“Buongiorno a voi” rispose amabilmente dall’alto della propria alterigia “Stavate cercando qualcuno?”
“S-no, certo, io, cioè… volevo dirti grazie per la racchetta dell’altro giorno?”
Al tono interrogativo, Tebaldo inarcò il sopracciglio.
“Che ti devo rispondere? Non è necessario, ma sarebbe di sicuro un segno di buona educazione, quindi se vuoi iniziare a raffinarti nei modi, puoi senz’altro ringraziarmi.”
“Sì, beh, cioè, allora grazie?”
“Ehm… Prego?”
“Io volevo anche, beh, uhm, ecco…”
C’era puzza di Grimilde nell’aria, valutò Tebaldo con improvviso interesse.
“Coraggio buonuomo, dopo aver usato la stessa racchetta possiamo di certo condividere un pensiero, se non la stessa biancheria intima.”
“C…come? Che b… biancheria?”
“Lasciamo perdere le cose difficili, Bianchi. Avanti, cosa sconvolge il tuo nobile animo?”
“B-beh, ecco, mi è sembrato di capire che tu… ehm, che tu abbia un cane.”
Per la seconda volta in quel giorno, il plebeo Bianchi riuscì a sorprendere lo scafato Re Tebaldo.
“Sancho?” chiese automaticamente “Beh, si, in effetti è più o meno ufficialmente il mio cane.”
Lo sguardo di Bianchi smise di essere sfuggente per piantarsi negli occhi verdognoli di Tebaldo.
“Ah.” disse senza l’ombra di un punto interrogativo.
Tebaldo era indeciso se irritarsi o rimanere divertito.
“Un giorno mi spiegherete perché l’idea che io abbia un cane vi sconvolge così tanto.” sbuffò infine.
“Perché chi è che è sconvolto?”
Tebaldo ci pensò su un attimo.
“La dolce Gladi, la segretaria di mia cugina Veronica.”
Stranamente, il viso di Paolo rimase imperscrutabile.
“Gladi non approva?”
“Gladi pensa che io sia troppo egoista per occuparmi di un altro essere vivente. E’ tanto buona, la cara Gladi.”
“Le sue cure procedono?”
Tebaldo sbatté le ciglia, ma rimase perfettamente rilassato.
“Cure?”
“Per la sua malattia della pelle.”
“Oh, quella… è quasi in via di guarigione. Vedo che però la salute della dolce Gladi ti interessa parecchio. C’è qualche interesse romantico di fondo?”
Finalmente, Paolo si decise ad arrossire.
“Non può esserci interesse se non l’ho mai incontrata.” tentennò prudentemente.
“E che ci vuole? E’ sempre a casa di Veronica.”
“Già. E io sono un noto frequentatore di quella casa.”
Il plebeo sapeva persino fare dell’ironia, meditò Tebaldo ammirato.
“Vediamo… potresti andare a trovare il mio cane, visto che ti interessa così tanto. E’ attualmente parcheggiato da lei… volevo dire, è amorevolmente accudito nei pressi del suo giardino.”
Qualcosa si accese negli occhi di Bianchi, ma chissà perché non sembrava tutta roba buona.
“Sarebbe bello” disse con voce neutra “Ci saresti anche tu?”
Tebaldo sorrise divertito.
“Non pensavo avessi bisogno di una chaperon, ma devo ammettere che non mi perderei per niente al mondo l’incontro fra te e la dolce Gladi.”
“Potrei portare anche una mia amica? E’ tanto affezionata a Sancho. Forse la conosci, si chiama Serena.”
La faccia di bronzo di Tebaldo non ebbe nemmeno mezzo fremito.
“Serena? Che nome deliziosamente borghese. No, non la conosco. Dovrei?”
Aveva parlato con la sua solita sicura arroganza, ma lo stesso la faccia di Bianchi denotava scetticismo e delusione.
“No, non dovresti” rispose con voce atona “Allora, oggi pomeriggio?”
La repentina trasformazione del plebeo in pensieroso ospite di villa Scarlini avrebbe dovuto insospettire Tebaldo, il quale però si lasciò tentare dalla sublime visione di Veronica intenta a trovare una via di fuga per la povera Gladi. L’eventuale presenza di stecchetto Colombi sarebbe stata in qualche modo un problema? Supponeva di no, almeno per quanto lo riguardava.
“Oggi pomeriggio” concesse regalmente “Porta pure chi vuoi, parentado e vecchi amici. Lucida bene i tuoi fondi di bicchiere, o ti perderai un bello spettacolo.”

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


“Fido!”
Niente, era sparito di nuovo: in un lampo, zac!, veloce come un fulmine e silenzioso come un ninja, quel quadrupede finto innocente si era di nuovo defilato chissà dove: possedeva di sicuro dei geni felini, penso Serena cogitabonda. Un gane o un catto. Uhm, troppo corto. Un gacane, allora. O un cagatto. Bello, che neologismo poetico!
Tebaldo, Tebaldo, Tebaldo…
“Fido!” strillò di nuovo Serena per scacciare quello snervante rumore di fondo che le infastidiva le meningi e le valvole cardiache da qualche giorno a quella parte “Dove diavolo ti sei cacciato?”
Mollò la spazzola schiumosa di sapone nella tinozza e si guardò intorno con le mani sui fianchi: i cani dentro le gabbie la guardavano con le teste inclinate, le lingue penzoloni e l’espressione da schiaffi degli alunni di una classe quando la maestra annuncia che sta per interrogare: chi, io? , sembravano dire quegli innocenti occhioni spalancati. Io sono un cane buono e ubbidiente. Mica visto nessun cagatto sparire, da anni e anni a questa parte.
Tebaldo, Tebaldo, Tebaldo…
“Vi odio da morire” berciò Serena in un ringhio accorato “Siete tutti dei pezzi di merda puzzolenti e rumorosi.”
Dopo averlo detto, si sentì male: era meschino e infantile sfogare il proprio malumore su dei poveri cani innocenti, soli e abbandonati. Loro continuarono a  guardarla con le lingue penzoloni e le code frementi, come in attesa di un nuovo curioso attacco isterico dell’Umana di turno.
“Scusate” gorgogliò quindi querula “Non è vero che siete dei pezzi di merda: siete tanto dolci e io voglio bene a tutti voi.”
Un cane sbadigliò platealmente e Serena tornò furibonda con l’intero creato.
“Ah, si sbadiglia qui, eh?” berciò all’indirizzo del povero canide che scodinzolò vagamente perplesso “Solo perché al mondo non dovete fare altro che mangiare e cagare e copulare, non avete il diritto di prendere per il culo chi sta solo cercando di accudirvi!!”
“Accidenti” si intromise una voce secca alle sue spalle, facendola sobbalzare “Stai preparando una recita scolastica sugli effetti devastanti delle droghe o sei davvero così sciroccata di tuo?”
Serena si girò quasi piroettando e si trovò faccia a faccia con Amaltea Giovinazzi, drammaticamente avvolta in un grembiulone così ampio e lungo che la faceva sembrare un tendone da circo.
“Amaltea!” esclamò Serena arrossendo furiosamente “Stavo, ehm, cercando di fare il bagno a Fido… ma è scappato…”
“E tu hai iniziato a recitare il Macbeth solo perché Fido ti è scappato?”
Tebaldo, Tebaldo, Tebaldo…
“No… cioè, si… ma non era il Macbeth… voglio dire…”
Amaltea la interruppe con un gesto secco della mano.
“Guarda che a me non devi nessuna spiegazione, gioia. Fido e gli altri possono sopportare brillantemente i tuoi sbalzi ormonali, non è quello il problema: il problema sei tu. Se continui a tormentarti in questo modo alquanto sconcertante e a non mangiare, rischi di diventare pallida e secca come una canna di bambù. E con le canne di bambù di buono ci vengono fuori solo i mobili da giardino.”
“Ma io non mi sto tormentando affatto. E mangio molto…”
“Avevo un bengalino che mangiava il doppio di te ed è lo stesso morto di fame.” la lapidò Amaltea implacabile.
Serena aprì la bocca per replicare, ma il suo mento, vivendo di vita propria, si mise a tremare incontrollato.
“Sono una scema completa” le sfuggì di bocca in un gorgoglio indistinto “Sono proprio una patetica e sconclusionata canna di bambù.”
“Fase calante” constatò Amaltea con un accenno di sorriso “Bel quadretto autocommiserativo, però puoi fare di molto meglio.”
“E che cosa dovrei fare secondo te?” scattò Serena aggressiva per poi lasciarsi andare a un’espressione contrita “Scusa, Amaltea, sono davvero… ah, non so nemmeno io cosa sono e cosa mi sta succedendo!”
“L’adolescenza ti sta succedendo, cocca” le spiegò Amaltea amabilmente “T’è venuta fuori tutta in un colpo e se i miei nebulosi e remoti ricordi mi aiutano, capisco che non deve essere facile gestire tutto quel discorso endocrino. Soprattutto dopo aver visto il catalizzatore.”
“Dopo aver visto il cata che?” domandò Serena, sinceramente confusa.
“Il catalizzatore” rispose con santa pazienza Amaltea “Il tizio dal nomazzo shakespeariano e gli occhi da stronzo. Quello che quando ti guarda ti accende e ti spegne come il led della televisione. Sono stata chiara o continuo con le metafore?”
Una ridda di confusi pensieri attraversò la mente di Serena.
“Io… lui non mi accende affatto come un led!” strillò spaventata: poi, ravveduta: “Di chi diavolo stai parlando?”
Amaltea sospirò, poi si girò di spalle, fece un bel fischio modulato e potente e Fido, il perfido cagatto, comparve magicamente accanto a lei con l’aria di non essere mai andato da nessun’altra parte. Sotto lo sguardo esterrefatto e furente di Serena, Amaltea schioccò la lingua due volte, segnò col mento la tinozza piena d’acqua saponata e Fido ci saltò dentro a piè pari, quasi scodinzolando.
“Quello è un cane di merda.” ringhiò Serena puntando un dito accusatore verso Fido mentre Amaltea le prendeva lo spazzolone di mano e iniziava a strigliare a dovere il buon Fido che, con l’aria da martire, teneva il muso bello alto e lontano dalla schiuma.
“Non fare quella faccia” sogghignò Amaltea dopo alcuni secondi “Si tratta di esperienza e ogni tanto anche di fortuna. Col tempo si impara che per trattare con certi soggetti ci vuole pelo sullo stomaco, faccia da culo e un bel po’ di determinazione.”
“Stai parlando di me e Fido?”
“Sto parlando di te e del tuo nobilazzo. E di te e Fido, stessa cosa: entrambi non li sai prendere. Sei troppo tonta, che Dio ti preservi i tuoi limiti… non sai quanto ti semplificheranno la vita. Appena ti passerà la cotta per il nobilazzo te ne renderai conto: deve puntare alto solo chi è un razzo. O chi sa usare le ali, tutti gli altri si sfracellano.”
“E io le ali non le ho, vero?”
“Sbagliato” rispose Amaltea con sguardo limpido “Ho detto che non le sai usare, non che non ce le hai. E ora sbrigati.”
Serena sbatté le ciglia confusa.
“A fare che? Strigliare Fido?”
“Quello lo sto già facendo io, non ti pare? No, preparati psicologicamente e ormonalmente… e fossi in te mi darei anche una pettinata, che così sembri un nido di chiurlo devastato dalla tempesta.”
“E perché dovrei pettinarmi? Ai cani il mio nido di chiurlo non ha mai dato fastidio.” rispose Serena piccata.
Amaltea distolse lo sguardo, ma Serena avrebbe giurato di vederle passare un lampo decisamente divertito negli occhi.
“Ma forse al tuo nobilazzo sì. L’ho visto che stava arrivando col suo macchinone da maharaja, ormai ti avrà individuato.”
*          *          *
Serena sbiancò nell’esatto momento in cui Tebaldo Santandrea della Torre sbucava dalla brutta costruzione quadrata dell’ingresso e si guardava intorno con aria rilassata. Indossava una tenuta sportiva che a occhio costava quanto lo stipendio mensile di un impiegato, teneva con noncuranza le mani in tasca ed era figo in una maniera pazzesca, almeno a giudicare dalla quantità industriale di feromoni che Serena riversò nell’aria alla sua vista.
Rimase inchiodata al suo posto mentre lui la individuava, si stampava un sorrisetto sardonico sulle labbra e si avviava verso di lei, incurante della cacofonia canina intorno a lui e dell’odore non propriamente delicato che gli aleggiava intorno. Quando arrivò a tiro, accentuò il sorriso e l’aria maliziosa dello sguardo, facendo incrementare in maniera esponenziale l’emissione di feromoni di Serena.
“Santo cielo, agnellino, che sguardo!” canticchiò deliziato “Giuro che non sono qui per mangiarti…” la squadrò con le fessure verdognole sempre più sornione “.. non ancora, almeno.”
“Che Marcantonio.” lo rimproverò Amaltea sogghignando segretamente e le fessure verdognole di Tebaldo si puntarono su di lei con intatta ironia.
“Signora Giovanotti” sospirò affabilmente “Che piacere rivederla.”
“Si si, immagino” tagliò corto Amaltea rinunciando all’inutile correzione del cognome “Come sta Sancho?”
“Fastidiosamente mefitico, grazie. E lei?”
“Sempre allerta, come i mastini.”
“Adoro le sue metafore canine.”
“Perché sei qui?”
L’ultima battuta venne dal pigolio sfiatato di Serena che si era ripresa a sufficienza per articolare qualche vaga locuzione: si aspettava una delle solite risposte ad effetto di Tebaldo, ma questi la stupì inalberando uno sguardo quasi serio.
“Ti devo parlare” disse posato “In privato.”
Amaltea fece un fischio modulato e accennò col mento una posizione qualunque del canile.
“Spostatevi pure dove meglio credete” suggerì divertita “Col casino che fanno questi maledetti quadrupedi non vi sentirei nemmeno se urlaste a tre metri di distanza. Ma rimanete a vista, non vorrei che il Marcantonio tirasse fuori le zanne e si mangiasse per davvero la mia unica volontaria del giorno.”
Mentre Serena arrossiva e si allontanava con aria colpevole, Amaltea si disinteressò al duetto riprendendo a strigliare il santo e paziente Fido. Tebaldo la raggiunse e Serena, respirando intensamente, si costrinse a mantenere la calma e il sangue freddo: forse Tebaldo voleva parlarle per motivi diversi da quelli che (Sognava? Desiderava?) pensava lei; forse voleva ingaggiarla per un servizio di dog sitting, o semplicemente insultarla per il modo mediocre in cui viveva... O forse voleva mangiarla davvero: da uno con quegli occhi da gatto c’era da aspettarsi davvero di tutto.
“Paolo Bianchi ha intenzione di portarti a villa Scarlini” esordì Tebaldo senza preamboli, lasciandola spiazzata “Ha saputo che ho adottato Sancho e mi è sembrato decisamente basito: ho avuto il nebuloso sospetto che tu non gli abbia parlato di me e del mio colpo di fulmine per la Furia Miasmatica, così ti ho voluto avvertire.”
“Perché?” chiese Serena sparando a caso la prima locuzione che le sovvenne alla mente.
“Per evitarti una brutta figura col tuo ragazzo.” rispose Tebaldo paziente: sembrava già annoiato dalla conversazione.
“Paolo non è più il mio ragazzo.”
Un lampo di interesse accese lo sguardo del giovane.
“Così il cherubino è tornato single? Interessante.”
“Hai delle mire su di lui?”
“Io no, preferisco i bruni e palestrati. Ma cercavo un compagno alternativo per Sancho… sai, se dovesse stufarsi di Byron alla svelta…”
Si stava uscendo dal seminato: Serena riportò il discorso su quello che più le premeva, ovvero sapere il vero motivo per cui Tebaldo era lì.
“Perché non hai detto a Paolo che ci conosciamo?”
“Primo, perché io e te non ci conosciamo, almeno secondo il mio concetto di conoscersi. Secondo, visto quanto sono sporadiche e superficiali le conversazioni tra me e il Bianchi, la domanda dovresti porla a te stessa.”
“Io non ho niente da nascondere.”
“Balla: e non arrossire così, dai… che coda di paglia, ragazza mia!”
“Perché sei qui?” ripeté Serena sfinita abbassando gli occhi.
A quel punto sarebbe stato bene che Serena richiudesse la bocca e aspettasse una delle solite repliche ad effetto di Tebaldo: invece un disgraziato pensiero dribblò il buonsenso e se ne uscì di getto: “Già ti penso anche troppo…”
Subito dopo chiuse gli occhi strizzandoli forte, come si aspettasse una reazione violenta a quelle poche, innocenti parole: invece la voce di Tebaldo le arrivò sembrando quasi dolce.
“Mamma mia, sei più trasparente di un cristallo: non c’è nessun gusto a fare il Marcantonio con te, per dirla come la prode Giovanezzi.”
“E tu allora non lo fare.” sussurrò Serena azzardando un’occhiata.
“E’ un’idea interessante, lo ammetto. Ma sai… no, preferisco essere me stesso.”
“E sei sicuro che il vero te stesso sia davvero così?”
“Così come?”
Serena meditò seriamente sulla risposta.
“Così stronzo.” rispose alla fine candidamente.
Tebaldo la abbagliò per un attimo con il suo sorriso.
“Direi che ne sono moderatamente sicuro, sì.”
“Ma hai mai provato a comportarti diversamente?”
“Vuoi dire a fare il bravo ragazzo nerd come il tuo Bianchi? Mai. Aspetta, forse un po’ alle elementari. Una noia mortale.”
Però aveva di nuovo quello sguardo remoto e un po’ ruvido, tra lo scocciato e il fragile. Che fosse una posa o meno, Serena lo trovava semplicemente irresistibile.
“Perché sei qui?” domandò per la terza volta e Tebaldo si decise a sbuffare.
“Di nuovo? Agnellino, cambia disco!”
“Vorrei una risposta sincera.” gli tenne testa Serena e, stranamente, Tebaldo decise di accontentarla.
“Perché Bianchi sta tramando qualcosa, io mi annoio e tu sei carina.”
Un colpo, come se Tebaldo avesse preso una mazza e avesse usato il cuore di Serena come palla da baseball.
“Davvero… davvero lo pensi?” sfiatò Serena arrossendo.
“Che Bianchi stia tramando qualcosa? Direi di sì, il mio istinto non fallisce mai.”
“No io dicevo per ehm, per il , cof!, per…”
“Per il carina?” le venne incontro Tebaldo incurvando le labbra in un sorriso arrogante “Si, lo penso. Ma è un carina in maniera anomala, disarmante: non ho ancora capito se la tua infantile banalità è candore o superficialità. Il dubbio principale è di non trovarla interessante in ogni caso.”
Brutalmente sincero e deprimente: ma gliel’aveva chiesto lei, no?
“Quindi non è che conti molto il fatto che mi trovi carina.”
“Francamente no. Trovo carine un sacco di cose inutili, come il cioccolatino che i baristi aggiungono alla tazzina del caffè, girare d’estate con le infradito e le sciarpe di seta a disegni cachemire. Trovo carino persino il tuo caro Sancho. Quindi, verrai?”
L’ultima richiesta colse Serena di sorpresa ma la salvò anche dall’ultima, cocente umiliazione.
“Verrò dove?”
“A villa Scarlini, dove Paolo ti chiederà di accompagnarlo.” rispose Tebaldo impaziente: sembrava di nuovo tediato e Serena si sentì ferita senza motivo.
“Non lo so” rispose quindi brusca “Forse. Ma non far preparare la cravatta, non mi formalizzerò se arriverai con le tue amate infradito e la sciarpa a disegni cachemire. Che, fra parentesi, fa molto gay d’alto bordo.”
Il sorriso scintillante di Tebaldo comparve ad abbagliarle gli occhi e il cuore.
“Eh, agnellino, ne hai di strada da fare prima di pensare di offendermi con queste timide battute! Se vuoi posso darti lezioni di cattiveria.”
“Saresti un ottimo insegnante, ma come hai detto tu prima, no grazie, preferisco essere me stessa.”
E chiamando a raccolta tutto il suo coraggio e gli ultimi residui di amor proprio, Serena gli girò le spalle e marciò via a testa alta: l’effetto fu guastato dalla grassa risata di Tebaldo che la seguì per tutto il tragitto senza mai calare d’intensità.
*          *          *
Con la mente un po’ più fredda, ore e ore dopo che il perfido influsso di Tebaldo le aveva scombinato tutti i percettori di pericolo, Serena si rese conto che se Paolo le avesse davvero chiesto di andare con lui a Villa Scarlini, si preannunciava un incidente diplomatico.
Perché a Paolo aveva raccontato la balla che Sancho aveva trovato un padrone stronzo vecchio e brutto quando invece era finito a casa di Tebaldo, che era si stronzo, ma decisamente non vecchio e meno che meno brutto. Tendenzialmente Serena era una che non mentiva mai, non tanto perché fosse virtuosa, quanto perché proprio non le veniva bene. L’accenno di una bugia suonava stonato persino a lei stessa e invariabilmente si dimenticava delle balle raccontate e le smentiva alla prima occasione. Un buon bugiardo doveva avere faccia tosta e memoria. Qualcosa che, per esempio, gli Scarlini avevano nel dna.
Insieme al gene degli occhi verdi e della stronzaggine cronica.”, meditò Serena con livore.
Lei di cognome faceva Colombi e di quei geni non aveva nemmeno l’ombra, così che l’unica balla che le fosse scappata detta con Paolo stava per diventare un problema di dimensioni apocalittiche.
Quindi, a conti fatti: che fare?
Serena, seduta in una gabbia in compagnia di un maremmano zoppo e apparentemente catatonico, enumerò tutte le varie possibilità:
1) Dire a Paolo la verità: soluzione meglio auspicabile, ma Serena per Paolo provava una profonda stima e il pensiero di fare la figura della deficiente davanti a lui le risultava insopportabile. Senza contare il ritorno di fiamma dell’ovvio “Perché?” che la sua ammissione avrebbe scatenato.
2) Trovare un modo machiavellico per rendere credibile la sua balla: idea intrigante, ma per fare questo avrebbe dovuto avere quei famosi geni di cui sopra che lei continuava a non avere, per cui il suo reparto mentale di machiavellerie era deserto come il Sahara d’agosto.
3) Al momento non le veniva nessun punto tre e la cosa la irritava parecchio perché chiunque, anche un primate del Borneo, almeno tre soluzioni decenti le avrebbe tirate fuori!
Paolo Bianchi tagliò la testa al toro e alle sue cupe elucubrazioni comparendo davanti a lei tutto d’un tratto, teletrasportato come l’equipaggio di Star Trek.
“Paolo!” scattò Serena balzando in piedi: il cuore le andava a mille per l’agitazione, ma il sorriso solare di Paolo riuscì a calmarla magicamente.
“Che succede?” le chiese premuroso: ovviamente, tutto l’arrovellamento interiore doveva comparirle dalla faccia e la sua sollecitudine non fece che acuire il già mostruoso senso di colpa di Serena. D’altronde, lui era palesemente lì per affrontare la situazione, per avere un chiarimento: e lei non poteva più tirarsi indietro.
“C’ècheilpadronediSanchoèTebaldoScarlinidellaTorre” vomitò d’un fiato appena aprì bocca, ad insaputa del cervello che rimase esterrefatto dall’exploit indipendente della periferica. “Iopensavochefossepersuononno…” era la nonna in realtà e questa piccola bugia le scatenò una leggera orticaria, che risultò comprensibile nel contesto “… ma hosaputooggicheSanchononèconlanon… cioè, con il nonno, ma con Veronica che però è la cugina…”
Si impappinò sulle parentele, ma il sorriso di Paolo non si smorzò, anzi, semmai diventò ancora più largo e solare.
“Accidenti” commentò piacevolmente “Che dichiarazione sofferta. E io che ero venuto a chiederti in prestito il libro delle traduzioni di latino.”
Serena ci mise un po’ a elaborare l’informazione e quando ci riuscì, arrossendo, si decise ad arrabbiarsi per chissà quale misterioso motivo.
“E hai lasciato lo stesso che mi scusassi con te senza motivo?”
“Ah… erano scuse? Mi era sembrato un vago delirio alcolico.”
“Non sei divertente!”
“E tu sei isterica. E anche un po’ ridicola.”
Lo disse con una voce quasi impietosita, ma sincera: Serena perse di colpo tutta la sua rabbia e lo fissò coi i grandi occhi liquidi spalancati. Se fosse stata nei panni di Paolo avrebbe pensato la stessa cosa, ma sentirlo dire a voce alta era tutta un’altra cosa…
“Perché dici questo?” mormorò ferita.
Paolo aggrottò le sopracciglia, una cosa che faceva sempre quando pensava intensamente: Serena rimase dolorosamente intenerita dal ricordo.
“Perché è come dicevi tu, le bugie non le sai dire, ti viene l’orticaria e balbetti e sudi… ma fin’ora non me ne ero mai accorto, perché non mi avevi mai raccontato bugie.”
Serena aveva una tale voglia di chiedere scusa che dovette mordersi le labbra per lasciarlo continuare imperterrito.
“Quello che però non capisco è perché hai iniziato a cacciare balle adesso… adesso che non c’è nessun motivo di farlo. L’unico motivo per cui avresti dovuto nascondermi che Sancho è finito nelle grinfie di Re Tebaldo è perché pensi che a me importi qualcosa della cotta che hai per lui. Ma puoi stare tranquilla, a me non importa.”
I suoi occhi tersi dicevano qualcosa di diverso: fosse anche solo per orgoglio ferito, o semplice delusione… in fondo in fondo un po’ gli importava, e fu quello più di qualsiasi altra cosa a far sanguinare il cuore di Serena.
“Mi dispiace” disse con voce tremante “Non è che ho una cotta… cioè, è che mi sembrava…”
Paolo sorrise dolcemente e Serena si ammutolì.
“Basta così” le suggerì lui pacatamente “Non hai motivo di preoccuparti.”
Le girò le spalle e fece per allontanarsi.
 “Aspetta!” strillò Serena all’ultimo secondo: Paolo si girò con sguardo interrogativo e lei fece un passo incerto verso di lui.
“Non lo vuoi il libro delle traduzioni di latino?” mormorò timidamente.
Paolo non stette molto a pensarci su.
“No” rispose con un sorriso “Non ho più bisogno di niente.”
E se ne andò, stavolta per davvero, con quella sua camminata distratta che provocò in Serena una nuova ondata di quella strana, profonda malinconia. Perché, santo cielo, se erano solo ricordi riuscivano a fare così tanto male?
*          *          *
Il giardino di villa Scarlini della Torre era occupato da un insolito ospite. Veronica marciò verso di lui battagliera e corazzata come un Panzer della seconda guerra mondiale.
“Ancora tu” ringhiò tra i denti “Mi spieghi perché non appesti la tua ricca dimora con la tua puzza sotto il naso, invece di parcheggiarti giorno e  notte nel mio idromassaggio?”
Tebaldo, con molta grazia, sollevò gli occhiali da sole e le lanciò uno sguardo allegro rimanendo tranquillamente disteso nella vasca come se Veronica nemmeno avesse parlato.
“Grimi carissima” sospirò poi con un sorriso abbagliante “Io so che non vedi l’ora di allietare con qualche voce estranea la tua infelice esistenza in questa casa così grande e vuota; ecco perché ti concedo così spesso l’onore della mia presenza.”
“Che fortuna ad averti come santo benefattore.” ringhiò Veronica di pessimo umore: non aveva nessuna voglia di avere Tebaldo tra i piedi. Normalmente la sua presenza la costringeva a stare sul chi vive e benché da una parte cercasse i suoi consigli relativi alla faccenda di Gladi, cominciava a dubitare che servissero a qualcosa, visti gli ultimi deprimenti sviluppi. In quel momento poi Tebaldo era pure immerso nell’idromassaggio, beato come se fosse perfettamente normale alle due di pomeriggio nel mese di settembre: meno vestiti aveva addosso più risultava molesto.
“Ora, la tua onorevole presenza non potrebbe essere richiesta altrove? In qualche decaduto reame siberiano? In Patagonia? Sull’ultimo anello di Saturno?”
Tebaldo chiocciò una risatina e le fece cenno di avvicinarsi.
“Sai che adoro la tua ironia, Grimi carissima, ma comincio a denotare una certa nota isterica nelle tue battutine: hai bisogno di rilassarti. Come faccio io, vedi?”
Veronica vedeva fin troppo bene: il torso nudo di Tebaldo usciva dall’acqua mirabilmente abbronzato e definito e benché cercasse di ignorarlo, era piuttosto difficile non accorgersi di quanto fosse attraente quel maledetto snob altezzoso coi capelli umidi tirati indietro, le ciglia lunghe come quelle di una fanciulla leggermente abbassate, il viso rivolto verso il sole, le braccia toniche distese sul bordo dell’idromassaggio. Molto, molto difficile.
“Dai, vieni dentro anche tu” le sorrise Tebaldo con un lampo verdognolo sotto le ciglia “Sembri tesa come una corda di un violino. Troppo stress non si confà al tuo incarnato.”
L’idromassaggio era rotondo e intimo, impossibile starci in due senza toccarsi: e lei non aveva nessunissima voglia di toccare quella pelle liscia e fresca. Nessuna, nessuna, nessuna.
“No, ho freddo.”
“Ma sei stai sudando!”
“Ho… appena fatto ginnastica.”
“Con quella camicia trasparente e le Louboutin tacco 12?”
“Saranno affari miei se voglio fare ginnastica con un chiodo piantato nei talloni!”
“Io credo che ti imbarazzi stare nella vasca con me.”
“Perché dovrei essere imbarazzata?”
Tebaldo si alzò in piedi e uscì dalla tiepida vasca idromassaggio, e Veronica masticò panico e livore per la sua aria tranquilla: le si avvicinò aggraziato e a suo agio come se non fosse stillante e impudico e fuori posto. E attraente. Molto attraente.
“Già, perché dovresti?” le disse Tebaldo a voce bassa, dritto di fronte a lei.
“Infatti non dovrei.”
Non doveva fare un sacco di cose che stava facendo comunque. Come produrre quantità industriali di ormoni allo stato brado, per esempio; come avere voglia di scappare e di restare nello stesso momento; come non capire perché fosse tanto difficile tenere a bada il battito cardiaco davanti a Tebaldo. Diamine, lei era Grimilde! Mica poteva agitarsi davanti a chiunque fosse anatomicamente gradevole, nemmeno se quel chiunque aveva una faccia da irresistibile stronzo montata su tutto quel ben di Dio. E due occhi verdi e irritanti, arroganti e ironici.
“Stai ancora sudando” le fece notare Tebaldo amabilmente “Non è affatto da Grimilde sudare. Un idromassaggio ti farebbe proprio bene.”
Veronica aprì la bocca per dire a Tebaldo che doveva farsi gli affari suoi e che era troppo stronzo e troppo vicino e troppo svestito, pur sapendo che lui e il suo sorrisetto insolente non stavano aspettando altro che quella provocazione per… per cosa?
In quel momento squillò il telefono delle emergenze: senza scalfirsi di un pollice, Tebaldo maneggiò il suo fido sopracciglio per esprimere contemporaneamente sprezzo, divertimento e arguzia.
“Il gelatinoso plebeo biondo cerca la dolce e incorporea Gladi” predisse romanticamente “Che favolosa storia d’amore. Mi ha così emozionato che torno a mollo ancora un po’.”
Mentre Tebaldo le girava le spalle e rientrava tranquillo nella vasca, dandole modo di ammirare un lato B più che degno del lato A, Veronica si incasinò per qualche minuto cercando di estrarre il cellulare dalla borsa e rispondere con due mani divenute improvvisamente molli, indisciplinate e umidicce.
“Pronto…?”
“Gladi? Ciao, sono Paolo Bianchi.”
La voce era stranamente più formale del solito: Veronica inciampò sulle Louboutin allontanandosi in fretta dall’idromassaggio, anche se sembrava evidente che Tebaldo, assiso con gli occhi chiusi e perfettamente rilassato, la stava decisamente ignorando.
“Ciao Paolo.” si affannò con quella voce sottile e vagamente acuta che le usciva spontanea quando indossava le vesti di Gladi.
“Disturbo?”
“No, mai.”
Subito dopo arrossì, perché anche detta da Gladi quella sembrava una cosa piuttosto allusiva.
“Ehm, cosa posso fare per te, Bianchi?”
“Avrei bisogno di chiedere un cambio di orario per la lezione di oggi.” rispose Paolo deciso.
“E non potevi chiederlo a Veronica?”
“Avrei potuto, ma so che gli appuntamenti li fissi tu.”
Verissimo, ma a Veronica l’ovvio non bastava.
“Ma se non fosse stato così, l’avresti chiesto a Veronica o avresti chiamato comunque me?”
“Come…? Scusa, non capisco la domanda.”
Verissimo anche quello, che nervi! E comunque perché Bianchi era così formale? Veronica ne era perfidamente felice, a Gladi sanguinava il cuore.
“Scusa, lasciamo perdere… Che cambio di orario proponi?”
“Se Veronica è libera, direi che si potrebbe fare subito.”
Veronica stava aspettando Padavandra, la massaggiatrice ayurvedica a domicilio, ma la cancellò dai programmi seduta stante, esultando.
“Sì, si può fare, non ci sono altri appuntamenti nel pomeriggio.”
E se ci fossero stati, avrebbero fatto presto la fine della massaggiatrice ayurvedica, ma questo Bianchi mica doveva saperlo.
“Benissimo. Tu dove sei adesso?”
Veronica e Gladi concordarono entrambe che quella domanda sembrava sospetta.
“A casa.”
“Villa Scarlini?”
No, la palafitta di famiglia in Polinesia.
“Sì, villa Scarlini.”
“E Veronica è lì con te?”
“Direttamente a portata di occhio.” si spazientì Gladi lanciando un’occhiata allo specchio da dove Veronica la ricambiò perplessa.
“Posso chiedere un altro cambio?”
“Quello che vuole, Bianchi, la nostra agenda è come molle cera nelle vostre mani.”
“Vengo io a villa Scarlini per la lezione.”
Tum! Il cuore di Veronica alias Gladi scivolò giù e andò a schiantarsi giusto sotto l’ombelico.
“No.”
“Eppure, mi avevi detto tu che non c’erano problemi. Anzi, da come sono andate le prime due lezioni credimi, Veronica sarà felicissima di poter stare a casa sua in spazi aperti e lussuosi invece di chiudersi nella scatoletta di sardine piena di invadenti e villani familiari che è casa mia. Senza contare che sarei davvero felice di conoscerti di persona.”
Sembrava una minaccia di morte; un dottore che legge il referto e spara il nome di una malattia orribile e pustolosa. Veronica già sudava quando Galdi iniziò a sudare con lei.
“Non è possibile” disse in fretta cercando di pensare alacremente, anche se il neurone le si era inceppato e vagava sbattendo nella scatola cranica come una falena impazzita contro la lampadina “Stanno… eh, stanno facendo dei lavori di ristrutturazione.”
“Mica dappertutto. Sono certo che ci sarà un metro quadro tranquillo nei cento acri di villa Scarlini dove poter fare lezione.”
“Ma abiti lontanissimo e non hai la macchina… coi mezzi arrivare qui è un delirio.”
“Mi hanno accompagnato, siamo già davanti al cancello d’ingresso. Il tizio alla reception ci tiene sotto tiro.”
Bianchi era alla reception: a meno di 50 metri da lei, a meno di 50 metri dallo scoprire chi era Gladi e chi era Grimilde. Era già sfacciatamente lì, quel piccolo topo domestico trasformatosi di colpo in arrogante visitatore: lì!! Fantascienza pura! Perché Bianchi doveva dimostrarsi così sicuro e deciso proprio in quel momento e proprio in quel frangente? Poi qualcosa, un sospetto freddino, serpeggiò lungo la schiena di Veronica.
“Siamo…? Tu e chi?”
“Io e Dante” rispose Bianchi con una voce che voleva essere tranquilla e invece risultò tesa “Mio fratello volevo lasciarlo a casa, ma quando ha saputo che c’era anche Sancho è voluto venire a tutti i costi. Ma l’ho catechizzato a dovere, si comporterà come un perfetto gentleman.”
Veronica si sentì le gambe molli e il sudore le coprì il labbro superiore mentre il panico cominciava a montarle dentro come la marea. Ma come si permetteva Bianchi di prendersi quelle libertà? Chi gli aveva dato il permesso di arrivare nell’Olimpo di villa Scarlini col fratello palleggiatore a seguito? E poi che diavolo centrava lui con Sancho? Grimilde era letteralmente esterrefatta dalla cafoneria dimostrata dal dolce Paolo. A meno che…
La domanda cruciale: chi aveva parlato a Paolo Bianchi di Sancho?
lo sguardo le scattò repentino verso l’idromassaggio dove Tebaldo stava a mollo con invidiabile noncuranza.
“Hai per caso parlato con Tebaldo? Voglio dire, il cugino di Veronica, Tebaldo Santandrea della Torre.”
“Si, certo” rispose prontamente Paolo, vagamente aggressivo “E’ stato molto cortese a invitare anche la mia famiglia. Allora, ci fai entrare? Il tizio qui fuori ha caricato la carabina, non mi sembra un segno di grande accoglienza.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Lo sguardo che Veronica inchiodò su Tebaldo a quella rivelazione era così incandescente che il giovane dovette captare un’interferenza: si agitò appena nella vasca, socchiudendo gli occhi e aggrottando le belle sopracciglia distese. Qualcosa in Veronica si cristallizzò e diventò adamantino.
“Dammi alcuni minuti che organizzo il tutto.” disse al telefono con una voce secca e professionale degna dell’albo delle segretarie private.
Poi, fu tutto un susseguirsi di movimenti essenziali e decisi: chiuse la comunicazione con Bianchi; fece tra passi verso la poltrona da giardino dove Tebaldo aveva posato i vestiti, le chiavi e il cellulare; avvolse tutto in un fagotto, tranne il cellulare che tenne saldamente in mano; si avvicinò all’idromassaggio dove Tebaldo l’accolse spalancando gli occhi con studiata aria interrogativa.
“Che succede?” Veronica lasciò che chiedesse, poi senza una parola gettò il supercazzolato e costosissimo cellulare nella vasca.
“Ma sei scema!” strillò Tebaldo molto poco studiatamente mettendosi brusco a sedere.
Veronica non rispose, compresa nella sua organizzazione con piglio quasi militare.
Finito il tutto sapeva che si sarebbe presa il tempo per fare shampoo e balsamo a Tebaldo insultandolo in ben tre lingue diverse, forse si sarebbe levata anche qualche sfizio con percosse fisiche che prevedeva violente e soddisfacenti… ma non in quel momento nevralgico, quando uno tsunami di merda stava per sommergere la luccicante e aurea statua di Grimilde sottoforma di insegnante occhialuto dai boccoli biondi (con fratello palleggiatore a seguito).
Quindi, girò le spalle a Tebaldo e alle sue vivaci proteste, inspirò a fondo per caricare la voce e gridò con tutta l’incisività che riuscì a racimolare.
“Inocencia! Salvatore!”
Mentre la panciuta domestica e il dinoccolato giardiniere arrivavano in veranda correndo goffamente (correndo perché la voce di Grimilde era stata più incisiva di quella di un Generale Maggiore), Veronica si diede un’occhiata allo specchio e scrollò i capelli, facendo scivolare via lo sguardo da quella ragazza pallida e determinata.
“Senorita?” ansimò Inocencia arrivando per prima col fiatone “Que pasa? Sta male? E’ caduta dai tacchi…?”
“Ascolta bene, e non fiatare nel mezzo del discorso perché non c’è tempo: chiami Padavandra, la massaggiatrice ayurvedica, e le dici di arrivare immediatamente entrando dal retro, poi la porti subito nella mia camera. Immediatamente. Capito? Poi torni qui con un martello.”
“Martello…?” sfiatò Inocencia strabuzzando gli occhi, al che Veronica ebbe una specie di attacco epilettico.
“Ti ho detto di non fiatare! Devi dire a Padavandra di indossare una delle tue divise…”
“… la m-mia divisa, senorita?...”
“… e di spalmarsi in faccia un tubo intero di crema…”
“… tubo…?”
“… e di avvolgersi i capelli in un asciugamano, poi di sporgersi dalla finestra senza fiatare. Capito? Non. Deve. Emettere. Un. Fiato. Intesi?”
Inocencia, labbra serrate a trattenere un rosario fervidamente recitato, annuì con la testa.
“Ricapitolo: Padavandra. Retro. Divisa. Crema. Asciugamano. Finestra. Tacere. Ci sei, Inocencia?”
La cameriera sembrò rapidamente decidere che l’improvvisa malattia mentale della padrona fosse assecondabile e annuì di nuovo meno legnosamente. 
“Che aspetti allora, lo sbarco dei vichinghi? Fila a fare quello che ti ho detto. Salvatore!”
“Comandi!” scattò di riflesso il giardiniere cercando di non dare a vedere che stava pensando che la sua bella padrona stava andando decisamente fuori di cotenna.
“Tu inizia a martellare per terra.” rispose brusca Veronica, e va da sé che risultò apprezzabile l’impassibilità di Salvatore a quella folle richiesta.
“Forte o piano, signorì?”
“Forte, molto forte: devi fare un baccano d’inferno.”
“Devo battere in una qualche maniera particolare? Non so, devo… devo fingere di uccidere qualcuno o…”
“Ma che stai dicendo?” abbaiò Veronica spazientita.
“Chiedevo, signorì.” fece Salvatore compito.
 “Devi martellare e basta, come se facessi dei lavori di ristrutturazione. E non guardarmi con quella faccia, non sono andata fuori di testa e non sto per mettermi a delirare di uno sbarco alieno: voglio solo che martelli con quanta forza hai sul pavimento. Anzi, contro il muretto di contenimento del giardino, sarà più facile spiegare il danno a mio padre e rimetterlo a posto.”
Sempre che fosse uscita viva da quel bizzarro pomeriggio, aggiunse tra se e se scoraggiata; e sempre che suo padre non decidesse di internarla o di ristrutturarle la faccia a suon di sberle, finita la ristrutturazione improvvisata del giardino.
Nel mentre che Inocencia tornava diligente con un grosso martello professionale, lo sguardo febbrile di Veronica cadde su Tebaldo che, rinunciando a tentare di rianimare il cellulare natante, la fissava con gli occhi verdognoli spalancati e brillanti di curiosità.
“Tu” ringhiò Veronica trattenendosi a stendo dallo schiaffeggiare quella bella faccia impudente “Togliti quel sorrisetto dalla faccia e ricordati che ho messo sul fuoco un ferro rovente che userò per ucciderti, appena esco da questa situazione! Adesso abbi la decenza di rivestirti e di andare a fanculo il più rapidamente possibile!”
Gli girò le spalle furente mentre Tebaldo non riusciva a trattenere una risata sincera: caracollando sui tacchi, sudando freddo ma a testa alta e col viso pallido dall’espressione altezzosa, Veronica percorse il vialetto curvilineo che portava al cancello d’ingresso. Lo fece lentamente, sperando nel frattempo che alle sue spalle si organizzassero secondo i suoi ordini deliranti: un pallido barlume di speranza si accese proprio mentre apriva il cancello e contemporaneamente il secco rumore di un martello riempiva l’aria di rumori incerti. Aprì la porta piano piano, sperando fino all’ultimo in un bizzarro scherzo malriuscito… ma l’aureola bionda dei capelli di Bianchi subito al di là dello stipite le confermò la veridicità del momento. E anche la sua espressione di malcelata meraviglia aveva tutta l’aria di essere più che reale.
“Veronica?” sussurrò mentre Dante arrivava trafelato e sorridente con la fida palla sottobraccio e il sorriso più largo di quello di un coccodrillo.
Il cuore di Veronica, volente o nolente, fece una delirante serie di capriole prima che riuscisse a parlare con ragionevole fermezza.
“Ciao Paolo” disse semplicemente “Ciao Dante. Come va?”
“Ciao strega!” strillò Dante deliziato facendosi sentire da chiunque nel raggio di svariati chilometri “Hai una casa grandissimissima!”
Stava per aggiungere qualcosa di altrettanto entusiastico quando lo sguardo gli cadde sul petto di Veronica e la sua espressione cambiò immediatamente.
“Oooooh” disse roteando drammaticamente gli occhi “Pà, le si vedono ancora le po… ah, è vero che non devo parlarne!”
“Ecco, bravo.” si rannuvolò Paolo già agitato, ma Dante ormai era partito per la tangente.
“Però allora Pà avevi ragione a dire che Veronica le poppe le fa vedere sempre…”
Veronica sobbalzò e Paolo arrossì furiosamente.
“Io non ho affatto detto questo” si affettò a spiegare ritornando immediatamente nel suo ruolo di sfortunato balbuziente “Io ho detto che Veronica veste sempre alla moda come l’altro giorno a casa nostra…”
“… con le camicie trasparenti che le si vedono le po… ehm, i meloni. Posso dire meloni, vero Pà? Sono una verdura, quindi non è una parola sporca… come dire cavolo invece di cazzo!”
“Dante…?” sfiatò Paolo sconfitto.
“Credo di aver capito che non ti piacciono le mie camicie.” si interessò Veronica rivolgendosi a Dante quasi con simpatia: stava cercando di perdere tempo per permettere a Padavandra di entrare nella parte di Gladi e persino parlare delle proprie poppe le sembrava un argomento utile allo scopo. Pardon, dei propri meloni.
“Oh no, a me piacciono tanto le tue camicie!” si addolorò Dante “Tu mi piaci sempre tutta, per me sei tanto bellissima. Non te l’ho già detto?”
Veronica non poté fare a meno di sorridere dolcemente e Paolo dovette sbattere gli occhi come se lei l’avesse abbagliato.
“Si, me l’avevi già detto. Sei tanto caro e dolce, Dante.”
“Lo so” rispose Dante soddisfatto “Me lo dicono tutte. Entriamo?”
Non aspettò risposta e quasi scalzò Veronica dalla sua posizione di vedetta trottando oltre il cancello con estrema sicurezza: Paolo invece le tentennò accanto, aspettando cortesemente il suo permesso.
“Non è che disturbiamo…?” mormorò a occhi bassi.
Adesso ti vengono gli scrupoli, pensò Veronica stizzita: ma la Gladi dentro di lei parlò quasi tubando come una colomba.
“Oh no, nessun disturbo! Vieni dentro.”
Paolo ubbidì e Veronica chiuse il cancello a malincuore: seguì lentamente Paolo verso l’ampia veranda senza avere il coraggio di alzare gli occhi da terra, con l’unico conforto del rumore ritmico del martello in cupo avvicinamento.
Arrivati sulla veranda, cadde un imbarazzato silenzio: col cuore in gola, Veronica si aspettava di tutto, da una nuova filippica sulle sue poppe da parte di Dante a uno scoppio d’ira di Paolo davanti a quella evidente pagliacciata. In effetti, la scena poteva risultare decisamente bizzarra, si accorse quando riuscì a sollevare gli occhi da terra: Salvatore, con la tuta blu da giardiniere tutta sporca d’erba, martellava allegramente il muretto di contenimento del giardino osservato con vivido interesse da Paolo, che appariva quantomeno perplesso; Dante, la fida palla sottobraccio, era invece fermo davanti all’idromassaggio e fissava a bocca spalancata Tebaldo, che era immerso nell’acqua borbottante tranquillo e beato come se fosse in una beauty farm.
“Benvenuti Bianchie  socio.” gorgogliò bello rilassato; vedendo che il perfido cugino non si era defilato ma anzi sembrava più che mai intenzionato a restare e romperle le uova nel paniere, Veronica si inalberò.
“Tebaldo” sibilò tra i denti “Puoi gentilmente finire le tue abluzioni termali e tornare a casa TUA, per favore?”
Dante si riscosse al suono della sua voce e spostò il suo sguardo rapito e affascinato da Tebaldo a Veronica.
“Aldo come Aldo Giovanni e Giacomo? Forte! Sembra Ve-honica da maschio, è suo gemello?”
“Ci mancherebbe solo questo.” ringhiò Veronica aggressiva mentre Paolo iniziava a stare sulle spine conoscendo quello che il suo ingenuo fratello poteva scatenare.
“E’ un suo parente” si affrettò a rispondere mentre Tebaldo, sorrisetto ironico sulle labbra, si alzava di nuovo lentamente e usciva dall’acqua con estrema nonchalance “E si chiama Tebaldo, non Aldo.”
 “Piacere di conoscerti.” disse Tebaldo a Dante con un sorriso gentile, così poco tebaldesco che Paolo lo fissò trasecolato.
Dante invece annuì saggiamente e Veronica pregò che avesse finito i commenti imbarazzanti.
“A voi di famiglia piace stare nudi.” sentenziò invece lui frantumando le sue speranze.
“A me indubbiamente” rispose Tebaldo amabile “Perché a chi altri piace?”
“Dante…” iniziò Paolo allarmato, ma il fratello era già partito in quarta.
“A Ve-honica! Vedi al sua camicia? Ne ha tantissimissime così, è la moda dice Pà, e Ve-honica è moltissimo alla moda. Ma si vedono un po’ le po… i mel… il petto! Le si vede un po’ il petto, no?”
Lo sguardo divertito di Tebaldo, a braccetto col fido sopracciglio alzato, si posò per un attimo su Veronica e la sua impudica camicetta: fu rapidissimo, ma lo stesso lei si sentì letteralmente andare a fuoco.
“Hai ragione” confidò poi Tebaldo cortesemente tornando a guardare Dante con simpatia “Ma non abbastanza, almeno per i miei gusti.”
“E’ che è timida” spiegò Dante mentre Paolo, basito, si portava una mano alla fronte come se stesse per avere un mancamento “Io non posso parlare delle sue poppe perché non è educato e poi Ve-honica ci sta male. Anche se dico meloni invece di poppe ci sta male uguale, secondo me… quindi non ne parlo, ma ha delle poppe proprio belle e fa bene a vestirsi alla moda.”
“Sei un giovanotto davvero saggio, Dante.” sentenziò Tebaldo ammirato, ma il giovane era già distratto da un’altra cosa.
“Che fa quello?” chiese puntando il dito verso Salvatore che, benché continuasse a martellare con costanza e determinazione, si stava palesemente ponendo la stessa domanda, a giudicare dall’espressione dubbiosa del suo viso.
Tebaldo, con un sorrisetto da sberle, fissò Veronica in attesa della sua risposta, gli occhi verdastri e curiosi ben spalancati.
“Ehm” gorgogliò Veronica arrossendo suo malgrado “Ecco, cof!, come vedete noi stiamo, uhm, facendo dei lavori di ristrutturazione…”
“Già” le venne in aiuto Paolo vagamente dubbioso “Problemi col giardino?”
“Sì” raccolse il suggerimento Veronica con gratitudine “Il muretto deve essere, uhm, rifatto perché, ah, i mattoni che avevano usato non erano, uhm, ecologici…”
“E tu, caro Bianchi, sai di certo quanto sia appassionatamente devota alla salvaguardia dell’ambiente la nostra bella Veronica” aggiunse Tebaldo, quasi credibilmente angelico “L’ha contagiata quella santa donna di Gladi, sai.”
“Oh, Gladi” si illuminò Paolo mentre Veronica lanciava uno sguardo decisamente omicida al perfido cugino che si limitò a sbattere le ciglia maliziosamente “Posso… potrei salutarla? Mi farebbe molto piacere.”
A Veronica sembrò di avere improvvisamente una pressione di svariate atmosfere sulle spalle.
“In realtà c’è un problema” disse dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio “Vedi, Gladi è… non è…qui… in questo momento…”
“Davvero?” chiese Paolo improvvisamente freddo e sospettoso “Eppure al telefono mi ha detto che era qui. Proprio davanti a te, fino a qualche minuto fa.”
“L’ha proprio detto, l’ho sentita io.” lo spalleggiò Tebaldo serio mentre alle loro spalle Salvatore e Dante iniziavano a parlare tranquillamente di graminacee e bulbi di tulipani.
“Già, tu senti un sacco di cose interessanti, vero caro cugino?” si infuriò segretamente Veronica: aveva una tale voglia di schiaffeggiare Tebaldo con quanta forza aveva che le prudevano le mani “Tuttavia non mi è facile spiegare a  Paolo certe cose.”
“Se vuoi posso darti una mano” si offrì Tebaldo generosamente “Non ci metto niente a dire a Paolo la verità su Gladi.”
“Perché, che è successo a Gladi?” si informò Paolo sempre più sospettoso.
Inspirando per placare il furioso istinto omicida che le saliva alla testa, Veronica gli rivolse un sorriso mesto.
“Ecco, vedi, eh… è che Gladi ha un problema… di salute…”
“E’ malata? Sta male? Non mi sembrava affatto, dalla voce.”
“Beh, non è che sia propriamente malata… lei… soffre di una temporanea malattia…”
“Si, me lo aveva detto. Una malattia della pelle, se non sbaglio, ma stava guarendo.”
Se n’era ricordato! Veronica quasi sospirò di sollievo e ripartì con voce più sicura.
“Beh, si sembrava così ma poi ha avuto una ricaduta. Una grave ricaduta. Il suo viso è… come dire…”
“Zeppo di bubboni come il cratere dell’Etna” si intromise Tebaldo con aria estremamente dispiaciuta “Sì Veronica, inutile girarci intorno, a Paolo questa cosa andava detta. La povera Gladi attualmente ha la faccia come una pizza farcita, piena di vesciche purulente…”
“Credo che il concetto sia chiaro anche se la pianti qui, Tebaldo.” sferzò Veronica furiosa.
“Hai ragione Veronica, ma davvero non mi capacito di come il viso di quella ragazza così bella e solare sia diventato di colpo un’accozzaglia di orribili tumescenze giallastre… Credi a me, Paolo, stare in pubblico è una situazione decisamente sgradevole e imbarazzante per lei. Soprattutto con te,  ti ha preso in così grande e affettuosa simpatia.”
“Oh” si limitò a dire Paolo con aria dubbiosa “Beh, in questo caso immagino che…”
“Ma sono sicuro che anche Gladi, pur nelle sue avverse condizioni, sarebbe più che felice di darti un saluto. Quindi, perché non la chiamiamo fuori?” lo interruppe Tebaldo pieno di magnanime intenzioni.
“Non è affatto il caso.” ringhiò Veronica affilando tra sé e sé i trecento coltelli con cui avrebbe trafitto il cugino appena finita quella conversazione.
“Ma sì che lo è! Avanti, chiamiamola fuori per un minuto solo, ti va? Gladi!”
Silenzio: Salvatore smise di parlare con Dante per guardare Tebaldo con aria vagamente sconcertata senza comunque profferire il minimo verbo. Veronica trattenne il fiato mordendosi il labbro, la tensione che le spingeva il cuore dritto in gola.
“Gladiiii! Andiamo, vieni fuori solo un secondo, Paolo ti vuole salutare!”
Un lieve rumore fece alzare a tutti la testa: la porta a vetri dello spettacolare balcone che dominava la veranda, a cui si accedeva dalla camera da letto di Veronica, si aprì di un piccolo spiraglio e la testa di Inocencia sbucò fuori quasi timidamente.
“Senor…? Ha chiamato…?” chiese con palese incertezza.
Tebaldo, ancora mezzo nudo ma a suo agio come se fosse in tuta da ginnastica, salutò con la mano per attirare la sua attenzione.
“Inocencia, puoi dire a Gladi di venire fuori un attimo? Inocencia è la domestica di Veronica: una così devota e affezionata persona, è come una madre per Gladi.”
“Senorita…?” ripeté Inocencia cercando con lo sguardo Veronica in cerca di approvazione “Cosa devo fare…?”
Veronica, costretta a stare al gioco, stava ruminando livore fino a farsi venire il mal di stomaco, ma si costrinse a rimanere impassibile.  
“Hai sentito Tebaldo” rispose quindi in tono monocorde “Puoi dire a Gladi di uscire un attimo? Non la disturberemo per più di qualche secondo.”
“Ha detto… Gladi, senorita?”
“Ho proprio detto così, Inocencia. Gladi, la persona che è lì con te con il viso pieno di crema…”
“Veronica ha chiesto alla povera Gladi di lavorare anche in quelle condizioni spietate” spiegò Tebaldo a Paolo “Può sembrare crudele, ma in fondo a Gladi fa bene distrarsi anche se deve soffrire enormemente. Lo fa volentieri perché Veronica non può proprio fare a meno di lei.”
“Oh.” ripeté Paolo con palese rimprovero, ma venne subito distratto da una figura che comparve timidamente sul balcone.
Aveva il viso ricoperto da uno spesso strato di crema, i capelli nascosti da un asciugamano e un ampio camice da cameriera che le cadeva da tutte le parti. Nonostante la bardatura, era piuttosto evidente il colorito scuro della pelle delle braccia e Veronica deglutì a vuoto notando l’aria sconcertata di Paolo mentre i suoi occhi azzurri si alzavano verso la presunta segretaria.
“Che meravigliosa abbronzatura che esibisce la nostra deliziosa segretaria.” commentò allegramente Tebaldo salutando con la mano: mentre Gladi alzava una mano incerta se rispondere o no al saluto, Veronica riuscì a rifilare un doloroso pizzicotto al fianco del cugino mentre Paolo, a naso in su, alzava a sua volta la mano per salutare.
“Sai benissimo che la povera Gladi deve fare milioni di lampade abbronzanti per il suo problema alla pelle.” si inventò poi li per li con estrema disinvoltura: stava diventando una vera fuoriclasse nel raccontare panzane stratosferiche ma si chiedeva come facesse il povero Bianchi a bersele ancora tutte.
“La verità è che la madre di Gladi è africana” confidò Tebaldo a Paolo “Veronica, devi smetterla di trovare sconveniente avere un’etnia diversa dalla tua… se non ti volessi così bene, penserei quasi che sei razzista!”
Se avesse avuto in mano un’arma, una qualsiasi fossero anche stati i bastoncini cinesi per mangiare il riso, Veronica a quel punto avrebbe sicuramente aggredito Tebaldo: venne distratta dalla voce di Bianchi.
“Ciao Gladi! Io sono… Paolo.”
“E io sono Dante!” cinguettò il fratello sorridendo verso l’alto “Ehi, perché hai la faccia tutta incremata? E l’asciugamano in testa? E quel vestito che ti sta tutto largo?”
Gladi, immobile sul balcone, fissava prima Paolo e poi Dante come se fossero stati due orche assassine con le fauci spalancate pronte a inghiottirla viva. Veronica ebbe un fugace attimo di compassione verso la povera Padavandra… e verso se stessa, che dopo quell’esperienza non avrebbe di sicuro più potuto usufruire dei suoi preziosi massaggi ayurvedici.
“Gladi sta sperimentando una nuova cura” intervenne con voce suadente “Non credo che abbia voglia di parlare in questo momento. Puoi rientrare Gladi… e vai pure a casa, l’autista ti riaccompagnerà volentieri… grazie!”
Nemmeno aveva finito che Gladi era sparita, quasi lasciando dietro di sé la nuvoletta di polvere come i cartoni animati: Veronica tirò un segreto respiro di sollievo. Le sembrava un autentico miracolo aver portato a termine quella pagliacciata senza scoperchiare l’intero calderone.
“E a te sembrai il caso di farla lavorare in queste condizioni?” le chiese Paolo con voce molto fredda, confermando che il calderone era ancora abbondantemente a rischio di scoperchiatura.
“Gladi ama il suo lavoro” riassunse Veronica segretamente offesa e avvilita “Ora se non vi dispiace, potremmo fare quella benedetta lezione? Perché sei venuto per quello, vero Bianchi? Non per controllare le condizioni di lavoro dei miei dipendenti.”
Era stata volutamente antipatica e lo sguardo ostile che le lanciò Paolo le confermò che aveva centrato il bersaglio: la Gladi che cresceva in lei però pianse lacrime amare per quel repentino cambiamento. Tebaldo invece sembrava un gatto che aveva appena ingoiato un grasso canarino e Veronica lo odiò con tutte le sue forze.
“Dove possiamo appostarci per la lezione?” chiese Paolo formale.
“Dentro. Ma Dante?”
“Al caro consanguineo penso io” rispose prontamente Tebaldo, lasciando di sasso Paolo e Veronica “Ti va una coca cola, giovanotto?”
“Non può bere Coca cola” si risvegliò Paolo immediatamente, benché stesse ancora palesemente riavendosi dalla sorpresa “Cioè, grazie per l’offerta, se hai un succo di frutta o un’aranciata, magari…”
“Dovrebbe esserci tutto. Vieni con me? Ti porto a vedere Sancho e Byron, se tuo fratello approva, naturalmente.”
“Si!” si illuminò Dante prevenendo le proteste di Paolo “Sancho! Ma chi è Baion?”
“Te lo spiego strada facendo.”
“Ma… tu vieni così nudo?”
“L’hai detto tu che a noi della Torre piace stare nudi, no? Beh, avevi perfettamente ragione.”
“Si, rimani nudo” ringhiò Veronica a labbra strette “Così potrebbe venirti un malore o, se siamo davvero fortunati, una pleurite fulminante.”
“Ti ricordo che la tempra fisica e morale dei della Torre è proverbiale” replicò Tebaldo di ottimo umore “Vieni Dante: voi due pervertiti siete pregati di non guardarci il sedere mentre ce ne andiamo.”
Naturalmente glielo guardarono entrambi, Paolo con imbarazzo e Veronica con puro odio: girò a sua volta le spalle stizzita, rimandando a breve il compito di torturare a lungo e dolorosamente il cugino, terminata la spinosa lezione con il di nuovo distante e remoto Bianchi.
*          *          *
Fu una lezione tutto sommato sopportabile: il giardino era quieto, finito il martellare inquietante di Salvatore, la temperatura gradevole e la solitudine una vera e propria manna dal cielo. Villa Scarlini era un luogo senz’altro più adatto di casa Bianchi per studiare: dopo i trascorsi delle ore prima Inocencia si sarebbe lasciata bruciare viva piuttosto che disturbarli, e anche se le visite moleste di nonna Adalgisa risultavano tutto sommato divertenti, la quiete risultava sicuramente più propedeutica allo studio. Ogni tanto in lontananza Veronica sentiva abbaiare o uno scoppio di risa o i rumori attutiti della palla di Dante: e la voce di Tebaldo, divertita ma per una volta scevra dalla solita grondante ironia. Veronica si trovò più volte ad allungare l’orecchio per cercare di carpire qualche parola, un po’ per timore di quello che Tebaldo poteva tramare nell’ombra per minare i suoi già traballanti piani, un po’ perché sembrava che quei due in fondo si stessero divertendo e non le sarebbe dispiaciuto trovarsi là.
Bianchi era estremamente cortese, calmo, professionale ma anche evidentemente freddo. I piccoli, timidi passi che Veronica aveva fatto nella sua direzione sembravano di colpo insignificanti di fronte al deserto che si estendeva tra loro in quel momento. Colpa di Gladi, pensò Veronica con rabbia repressa: anche senza profferire una parola, anche se conciata come una profuga afgana, anche se apparentemente purulenta, Gladi riusciva a scavalcarla nell’immaginario di Bianchi e questo Veronica proprio non riusciva a digerirlo!  
“Va bene, che succede?” sentenziò a un certo punto, nel bel mezzo di un complicato esercizio sulla rifrazione della luce.
Bianchi alzò lo sguardo celeste e sorpreso su di lei e incontrò una Veronica troppo seria e determinata per fingere che non ci fosse niente di strano.
“Succede che a volte non riesco a sopportarlo.” rispose quindi pacato, gettando la biro sul libro e incrociando le braccia.
Ma quella volta Veronica era troppo esasperata per demoralizzarsi.
“Che cosa non riusciresti a sopportare, di grazia?”
“Il tuo snobismo esagerato. Anzi, il vostro snobismo esagerato: tuo e di quel gioiello di tuo cugino.”
“Togliendo Tebaldo, che fa storia a sé e al momento preferirei avere legami di parentela con un branco di foche monache piuttosto che con lui: spiegami dove avrei dato prova di snobismo.”
“Dovunque!” sbottò Paolo arrossendo leggermente “E’ per come tratti il personale, come tratti gli ospiti, persino come tratti Tebaldo! Tu… sei…”
Veronica, per un meraviglioso, esaltante, liberatorio momento, ci vide rosso: si alzò di scatto in piedi facendo ribaltare la sedia di pelle con un tonfo attutito e si sporse furiosamente verso Paolo appoggiandosi con le braccia rigide al tavolo.
“Cos’è che sarei, sentiamo! Privilegiata? Sì, lo sono, grazie al cielo! Perché dovrei vergognarmene e fingere di non esserlo?”
“Ma Tebaldo…”
“Tebaldo! Sono fin troppo educata e cortese nei confronti di quello stronzo! E i miei dipendenti sono miei dipendenti, non sono miei amici e non voglio essere così ipocrita da fingere con loro qualcosa di diverso! E per quanto riguarda te… tu sei…”
“Un tuo dipendente?” ruggì Paolo alzandosi in piedi a sua volta con la faccia corrucciata, senza però ribaltare la sedia “Avanti, dimmi anche questa, Grimilde!”
Veronica, in quel microsecondo mentre riprendeva fiato, immaginava con relativa sicurezza di proseguire il diverbio con toni sempre più accesi; ma aveva fatto i conti senza il suo alter ego segreto, la piccola e indomita Gladi. La quale, con un guizzo inaspettato, prese il sopravvento e invece di vomitare addosso a Bianchi taglienti e grimildeschi improperi, allungò di slancio il viso verso di lui e lo baciò sulle labbra. Si aspettava così tanto di essere respinta che quando Bianchi le prese il viso tra le mani per attirarla a sé, si sbilanciò e gli finì addosso.
Crollarono sulla sedia che miracolosamente non si ribaltò trasformando quel momento da surreale a ridicolo: così, per un secondo sospeso, Veronica e Paolo si baciarono sul serio, con le labbra e gli occhi socchiusi.
Aveva labbra morbidissime, fu il primo pensiero che tagliò come una lama la stupefatta sorpresa che aveva congelato Veronica sul posto. E sapeva di buono, di dolci fatti in casa e di frutta fresca, e… stava ricambiando il suo bacio. Lo stava ricambiando sul serio.
Prima che quel pensiero terminasse la sua parabola luminosa nel cervello, si erano già staccati, Veronica ritta in piedi immobile e Bianchi seduto sulla sedia, col viso rivolto verso lei.
“Bene.” disse qualcuno con voce estremamente impersonale: sorpresa, Veronica si accorse che quel suono era uscito dalla sua bocca senza nessun input da parte del cervello.
Sono sicuramente posseduta, ridacchiò istericamente tra sé e sé mentre Bianchi rimaneva a fissarla con gli occhioni blu spalancati, così grandi che poteva quasi tuffarcisi dentro.
D’un tratto, in chiaro avvicinamento, Sancho abbaiò e Dante rise: a quel suono Paolo sobbalzò, sbatté le ciglia e sembrò svegliarsi da un breve sonnellino.
“Ok” disse distogliendo lo sguardo e sistemandosi occhiali, colletto della camicia e capelli “Bene, allora per oggi a lezione è… finita?”
“Certo.” rispose Veronica con sicurezza: dal prato sbucò la goffa e irsuta figura di un cane intento in una corsa impazzita, seguito da Dante, allegro e ridente, e da Tebaldo, ancora scandalosamente svestito e a suo agio.
Arrivarono vicini mentre Paolo riordinava i libri e Veronica era ancora intensamente intenta a non svenire come una pera matura.
“Pà, Sancho sta bene!” strillò Dante quando arrivò a tiro di timpani “Ha un recinto grandissimissimo, una cuccia a baldacchino e un moroso! Oh, un moroso maschio, eh? Come il cognato di zia Luciana, quello che non si può dire che ha il moroso ma ce l’ha… solo che quello di Sancho è un cane! Devi vedere che roba!”
Mentre Paolo reagiva con un pallido sorriso, Tebaldo girò uno sguardo sospettoso da lui a Veronica e viceversa.
“Che succede?” chiese piuttosto bruscamente.
“Niente.” risposero immediatamente in coro Veronica e Paolo.
Lo sguardo verdognolo di Tebaldo diventò indecifrabile mentre arricciava il naso arrogante.
“Davvero” commentò con voce strascicata “Eppure io sento puzza di bruciato. Di fulminato, per la precisione.”
“Io non sento niente” sentenziò Dante interessato “Hai acceso la griglia, Ve-honica? Perché noi la sappiamo fare la griglia, sai? Potresti chiederci ci rimanere a cena, a noi piacciono un sacco le salsicce e le costine!!”
“Non ne dubito, ma stasera non è possibile.” tagliò corto Veronica: quel giorno era già stato saturo di avvenimenti anche senza metterci in mezzo altro.
“Dante, andiamo.” borbottò Paolo prima che il fratello protestasse: marciò via mormorando saluti sconnessi senza alzare gli occhi da terra, trascinando Dante per un braccio con decisione.
“Ciao, ciao Aldo, ciao Ve-honica, ciao Sancho!” salutò Dante con un sorriso smagliante “Torno presto e facciamo una grigliata, eh? E beviamo anche la coca cola! Attento alla polmonite Aldo! Ciao! Ciao!”
Veronica salutò incerta con la mano mentre Paolo nemmeno girò le spalle, ignorando completamente Sancho che latrò oltraggiato finché i due non uscirono dal cancello.
Per qualche frazione di secondo, Veronica pensò che quel devastante pomeriggio era finalmente finito finché non incrociò gli occhi sospettosi di Tebaldo.
“Allora, mi vuoi dire che diavolo è successo con Bianchi?” ordinò perentorio, e Veronica sospirò, apprestandosi a una nuova, sanguinosa battaglia.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Veronica fremeva: un po’ per il bacio con Bianchi, un po’ per l’adrenalina del momento, un po’ (tanto) per la rabbia repressa, le sue guance erano rosse, gli occhi brillanti come se avesse la febbre ed era evidentemente e completamente furiosa mentre guardava Tebaldo dritto in faccia senza maschere facendolo quasi indietreggiare.       
“Allora?” gli sputò contro Veronica, divinamente glaciale “Tu che dici allora a me, dopo quella sottospecie di telenovela che hai inscenato prima… “se non ti volessi così bene, penserei quasi che sei razzista, Veronica cara…” Puah! Sono io che dico allora a te, non tu che lo dici a me! Io voglio sapere, io esigo che tu mi dica il sacrosanto perché!”
“Il perché di cosa?” si mise subito sulla difensiva Tebaldo.
“Si può sapere il motivo, il profondo e inconcepibile perché tu debba essere sempre così stronzo? Così completamente, totalmente stronzo?”
“Che ho fatto stavolta?” si lamentò Tebaldo spalancando le fessure verdognole grondanti innocenza ferita.
 “Che hai fatto? Hai tramato tutto il tempo per distruggere la povera Gladi! Tu, sporco bastardo…”
“Sai che mi emoziono se mi fai troppi complimenti.”
“…doppiogiochista…”
“Meglio giocare doppio che non giocare affatto, mi hanno sempre detto.”
“… Bugiardo e subdolo…”
“Scommetto che hai baciato Bianchi.” buttò lì Tebaldo come diversivo: probabilmente aveva sparato a caso, ma la sorpresa dipinse rose scarlatte di verità sulle guance di Veronica e Tebaldo intuì al volo cos’era successo.        
“No…” commentò sinceramente basito “Tu… l’hai baciato davvero?”
“Non ti permettere di rivoltare la frittata in questo modo!” tergiversò Veronica ma Tebaldo non la stava minimamente a sentire.
“Tu e lui…? Cioè, Grimilde, hai seriamente baciato Bambi?”
“Non tirare in ballo le tue inutili metafore Disney!”
“Cioè… Hai davvero lasciato quell’inutile lumacotto vergine infilasse la sua lingua nella tua bocca?”   
Veronica rimase senza fiato e si sporse verso di lui coi pugni così serrati da farsi male.
“Io non… nessuno ha infilato niente a nessun’altro, chiaro? E comunque non sono assolutamente affari che ti possano riguardare, caro signor personificazione della perfidia! Tu piuttosto, cosa ti è saltato in mente di invitare Bianchi a casa mia?”
“Sicuramente non pensando che avrebbe finito per scambiare fluidi corporali con te.” ringhiò Tebaldo di rimando, altrettanto aggressivo.
“Non abbiamo scambiato fluidi!”
“E ci mancherebbe!”
“Ehi, nessuno ti ha elevato al rango di supremo supervisore dei miei fluidi!”
“Forse è di quelli di Bianchi che mi preoccupo!”
“Oh, certo! Mister perfidia il nuovo paladino difensore dei fluidi maschili! Preoccupati di quelli della tua colomba bianca che vola peggio di uno stormo di oche, grazie!”
“Lei per lo meno non si lascia mettere la lingua in bocca da tutti quelli che passano!”
“Io non mi lascio affatto…”
Non terminò la frase perché a forza di aggredire Tebaldo verbalmente, arrivandogli a un palmo dal naso, nel bel mezzo della filippica si ritrovò le sue labbra premute sulla bocca.
Non le fu ben chiaro se fosse stato lui o lei stessa, in preda a qualche raptus psichiatrico… in ogni caso, ancora più imprevedibilmente, il suo corpo rispose a quel bacio come attivato da un radar esterno: un attimo e Veronica era già spalmata contro il corpo seminudo e solido di Tebaldo, le dita infilate fra i suoi capelli neri, il seno premuto contro il suo petto.
Se baciare Bianchi era stato buono e dolce come mangiare un pasticcino alla frutta, baciare Tebaldo fu come scolarsi d’un fiato una pinta di vodka liscia. Anche se in vita sua l’aveva baciato un bel po’ di volte, non era mai stato con tanta veemenza. Il signorino snob che normalmente a malapena concedeva una stitica partecipazione, la stava stringendo saldamente fino a farle male e la sua bocca, le sue labbra, la sua lingua, non avevano proprio niente di gentile né di fruttato. Erano imperiose, esigenti, cattive… e sapevano esattamente cosa e come prendersi quello che volevano.
Ed era piuttosto evidente che volevano lei: tutta lei, ogni centimetro, ogni debole angolo del suo corpo. Le mani di Tebaldo la percorsero con durezza, senza pudore e senza grazia: uno schiaffo di puro desiderio, così potente che Veronica cominciò a tremare. E benché Gladi la stesse fissando con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, Veronica si concesse di godersi quel bacio fulminante con una partecipazione che non aveva mai sperimentato con niente e con nessuno.
Fu Tebaldo a staccarsi da lei e lo fece bruscamente, quasi spingendola via. Per un millisecondo i loro sguardi si incrociarono e Veronica ebbe la fuggevole, assurda sensazione di non essere l’unica a tremare: ansimavano entrambi e persino Tebaldo aveva momentaneamente appannato la sua aura composta e strafottente.
Veronica non fece nemmeno in tempo a indietreggiare del tutto che la sua mano partì di scatto mollando una sonora sberla sulla guancia del cugino che scattò di lato quasi al rallentatore.
“Non ti permettere mai più!” strillò oltraggiata la voce di Gladi uscendo dalla gola di Veronica “Non ti azzardare ad allungare mai più una sola delle tue untuose ditaccia verso di me, chiaro?”
Ci fu un secondo di cristallino e immobile silenzio: poi Tebaldo si raddrizzò ed era di nuovo freddo, altezzoso e impenetrabile come sempre. Benché stesse chiaramente avendo una crisi da personalità multipla e fosse sconvolta e ancora assurdamente e dolorosamente eccitata, Veronica non poté che ammirare la sua capacità di ripresa.
“Beh, ammetterai che la prova di quello che avevo appena affermato su di te è piuttosto palese, alla luce dei fatti.” la informò con voce ironica.
La luce dei fatti era che Veronica aveva baciato Bianchi e Tebaldo nel giro di dieci minuti scarsi. Mancava giusto un bacetto a Salvatore per fare l’en plein e confermare al 100% la teoria del perfido cugino.
“Sei tu che mi hai baciata!” reagì lei arrossendo furiosamente “Io di sicuro non ne avevo nessuna intenzione!”
Tebaldo serrò la mascella e per un attimo i suoi occhi lampeggiarono di un verde intenso, fosforescente: le si avvicinò di nuovo a un millimetro dal naso e Veronica non osò muovere un muscolo per paura delle proprie irragionevoli reazioni.
“Bugiarda” le soffiò contro Tebaldo con voce sprezzante “Bugiarda, ipocrita e manipolatrice. Tu…”
Si interruppe ed ebbe un attimo di incertezza quando si accorse che gli occhi di Veronica erano pieni di lacrime. Ne sembrò stupito, ma mai quanto lo fu Veronica stessa che indietreggiò e dovette distogliere lo sguardo per non cedere del tutto.
“Io sarò anche bugiarda” sussurrò con voce bassa “Ma se parli di ipocrisia e manipolazione parli solo di te stesso, Tebaldo. Tu che continui ad intrometterti nelle mie faccende per il solo intento di umiliarmi, senza una sola ragione al mondo.”
“Ti ricordo che sei stata tu a coinvolgermi nelle tue faccende” sottolineò Tebaldo “Mi hai telefonato, mi hai cercato, mi hai chiesto aiuto. Tutto questo sapendo bene come sono e cosa faccio quando mi intrometto.”
“Non pensavo di sicuro che il tuo concetto di aiuto usasse un modo così subdolo e bastardo di intromettersi!”
“Perché, Grimilde, io e te conosciamo un altro modo?”
“Io sì. Tu invece sei l’unico essere che non posso nemmeno chiamare persona capace di baciare qualcuno solo per dimostrare di avere ragione, pur continuando ad avere torto marcio.”
Tebaldo sbuffò, per niente impressionato.
“Senza una sola ragione al mondo?” la scimmiottò sprezzante “Non riesci proprio a guardare al di la del tuo prezioso nasino, Grimilde carissima. E la tua sceneggiata da virtù offesa è piuttosto patetica. Doverosa, per carità, ma risulta quasi surreale vedere Grimilde che finge così male di essere il virtuoso e integerrimo agnellino Gladi.”
“Io non sto recitando! Io sono… incazzata!”
Tebaldo indietreggiò di un altro passo sollevando appena il mento e il solito sopracciglio.
“Davvero un ottimo e oculato uso del temine volgare per dare peso al concetto: diventi sempre più brava a fingerti Gladi. Ma tu, haimé, non sei Gladi. Sei la perfida Grimilde che ha macchinato per avere Bianchi per sé, fregandosene della sua ragazza e dei suoi stessi desideri, perché se Grimilde vuole qualcosa, Grimilde se lo prende e basta.”
C’era un fondo di verità in quello che diceva, inutile negarlo: era il fatto che diventarne consapevole facesse così male che risultava davvero inconcepibile.
“Immagino che tu sia convinto di sapere chi sono in verità” tremò la voce di Veronica sorprendentemente dignitosa “Te le lascio le tue limitate convinzioni: il problema è solo tuo, visto che non riesci a vedere quella parte di me che è Gladi.”
Tebaldo rizzò le spalle e le gettò un ultimo, definitivo sguardo ricco di alterigia.
“Tu sei Grimilde, dalla punta dei piedi alla cima dei capelli” affermò serio “Questo non vuol dire solo che sei la più bella del reame, ma anche che l’unico cuore con cui hai mai avuto a che fare è rinchiuso in uno scrigno. E non è nemmeno tuo.”
Detto questo, girò i tacchi e uscì di scena, lasciando Veronica alle prese con qualcosa di estremamente doloroso e pulsante al centro del petto: forse non poteva essere il cuore di Grimilde, ma qualcosa di simile lo era di sicuro… e faceva un maledetto male d’inferno.
*          *          *
Serena si accingeva ad infilarsi sotto le coperte, dolcemente avvolta dal pigiama preferito e armata di un tomo di letteratura russa, quando la testa di sua madre sbucò da dietro al porta senza nemmeno bussare.
“C’è uno che ti cerca.” disse telegrafica.
Intanto, era strano che sua madre non bussasse prima di entrare: se la tirava sempre un sacco sbandierando al vento la propria accortezza nel salvaguardare la privacy dei figli e quello era un chiaro strappo alle regole. Poi, solo quando era agitata le veniva quella voce acuta e la parlata stile telegramma. Serena quindi rinunciò al diritto di replica e mollò subito il tomo russo sul letto.
“Chi è? chiese rassegnata: a quell’ora tarda non aveva proprio idea di chi potesse essere.
“Non me l’ha detto” rispose sua madre cupamente “Quando gliel’ho chiesto mi ha buttato un tale sguardo oltraggiato dall’alto in basso che tra un pò ci resto secca, come se fossi tenuta a sapere chi diavolo è quel bellimbusto con la faccia antipatica!”
Serena ebbe un immediato tuffo al cuore e sbiancò di colpo sgranando gli occhi: benché risultasse assolutamente impossibile che fosse proprio lui, la descrizione calzava a pennello a una sola persona…
“Tebaldo!”
“Cosa?”
“Quel… quel tizio… è T-Tebaldo Santandrea della Torre.”
“Il nobilazzo della scuola?” sembrò ammansirsi leggermente la madre “Beh, vedi tu. Ma per favore, fagli sapere che il pedigree non lo esonera dalla maleducazione, se pensa di arrivare a casa di estranei a quest’ora di notte senza nemmeno presentarsi.”
Certo, come no, pensò Serena soffocando in gola una risata isterica: Serena Colombi che dava a Tebaldo Santandrea della Torre del maleducato. Come dire, una puntata di Star Trek. Scapicollandosi in corridoio, a malapena arrivò alla porta ancora in piedi e mentre sgusciava oltre la soglia (figurarsi se faceva entrare Tebaldo nella propria microscopica e plebeissima casa!!!) si ricordò di essere in pigiama, cosa che le provocò un immediato mutismo.
“Buonasera” L’accolse Tebaldo con un arrogante sopracciglio alzato “Wow, che look elegante. Seratona con l’ambasciatore al Golf club, immagino.”
Benché stesse praticamente affogando nella vergogna, Serena riuscì a mantenere un tono di voce sufficientemente dignitoso.
“Che diavolo ci fai qui?”
“Visita di cortesia” rispose lui brevemente, riuscendo con quella sua altezzosa faccia da schiaffi a sembrare comunque quello dalla parte della ragione “Non mi fai entrare?”
Aveva un’espressione strana, notò Serena fuggevolmente: dietro la solita facciata altezzosa sembrava stranamente teso, pallido, agitato.
“Nemmeno per idea” sbottò quindi con sincero sbigottimento “Si può sapere adesso perché sei qui? Il perché vero, non un’altra delle tue solite scuse snob.”
Tebaldo le lanciò un’occhiata tiepidamente curiosa.
“Il perché vero non ti piacerà” confessò “Sono qui per concupirti.”
“Balle.” reagì Serena con convinzione: se quello stronzo pensava di poterla abbindolare come una scema qualsiasi…!
Ok, sì, poteva: la sua valvola mitrale era partita rombando come una moto da corsa al solo pensiero di avere Tebaldo così vicino, ma d’altro canto era stufa di fare sempre la figura della vittima. Perché dopotutto con Tebaldo non si era mai dimostrata niente di più di quello che lui le imponeva di essere, ovvero una ragazzetta svaporata e poco interessante con la spina dorsale di un celenterato. Per cosa, poi? Dimostrarle in tutte le salse che lei era un mollusco che non valeva niente e lui poteva averla quando gli pareva? Eh no: non gli avrebbe permesso di relegarla di nuovo a quel ruolo insulso e passivo.
“Se non ti spiace devo andare a dormire” ribatté quindi in tono dignitoso “Domani c’è scuola e nessuno dei due ha tempo da perdere in queste pagliacciate. Buonanotte.”
Ma Tebaldo non si mosse e siccome nemmeno lei poteva rientrare in casa perché si era chiusa fuori, la filippica perse di colpo tutto il suo virtuoso effetto nell’immobilità forzata.
Tebaldo lasciò perfidamente passare qualche secondo di imbarazzato silenzio prima che le sue labbra si incurvassero in un sorriso divertito.
“E così, siamo ancora qui.” commentò quindi prendendo una posizione rilassata: solo allora Serena si accorse di quanto era stato teso fino a quel momento.
“Te ne puoi andare, per favore?” singhiozzò quindi, rinunciando in un attimo al suo nuovo ruolo di eroina coraggiosa.
“Rilassati” la blandì la voce tranquilla di Tebaldo mentre si appoggiava indolente allo stipite della sua porta, costringendola ad allontanarsi per non sfiorarlo “Stranamente vengo in pace. Stasera non ho intenzione di mangiare cane umana.”
“Non sono tesa.” pigolò Serena tesissima e Tebaldo fece una risatina di scherno, ma con dolcezza.
“Se questo ti fa stare meglio, ti posso giurare che non ti bacerò.” la rassicurò poi con un velo di ironia.
Serena combatté ferocemente contro il sollievo  e la delusione.
“Bene. Comunque non avevo nessuna intenzione di farmi baciare, per la cronaca.”
“Si invece che ce l’avevi. Anche se ti ho messo in guardia dalla prima volta, tu ti sei presa una cotta per me, e se solo lo volessi ti lasceresti baciare eccome.”
“Ma tu senti… che presuntuoso!”
“Indubbiamente. Presuntuoso ma non bugiardo. Non questa volta, almeno.”
Aveva ragione, naturalmente: ma che glielo spiattellasse in faccia con tanta altera sicurezza rendeva tutto umiliante e decisamente snervante.
“Questa è l’opinione di un perfetto egocentrico: magari invece se provassi a baciarmi ti dare una sberla.”
Un attimo, un battito di ciglia e Tebaldo fu davanti a lei, dritto e travolgente con quei due occhi magnetici che le bloccavano il respiro e qualsiasi altra funzione endocrina.
“Davvero?” le sussurrò vicinissimo, così vicino che poteva sentire il calore delle sue parole sulla guancia “Vuoi che proviamo, agnellino?”
Serena iniziò a tremare, socchiudendo suo malgrado la bocca.
“Io… io…”
Certo che voleva. Ogni cellula del suo corpo agognava il contatto con Tebaldo e vibrava come un diapason nell’attesa.
“Tu non sei venuto qui per baciarmi” soffiò fuori quasi senza pensarci “Sei venuto qui perché sapevi che sarebbe stato facile ottenere quello che volevi… qualsiasi cosa fosse. Ma ti prego, sappi che più è facile per te, più è doloroso per me. Non… non lasciare che questo non conti niente.”
Alle sue parole, Tebaldo sbatté le ciglia e si immobilizzò, disorientato. Dopo averla fatta bruciare per un bel po’ sotto il suo sguardo, si allontanò senza averla nemmeno sfiorata.
“Da una parte sarei tentato di baciarti davvero” disse con voce piana, tornando ad appoggiarsi allo stipite “Sei una cosina così tenera e dolce… tanto dolce. Troppo dolce. Indigesta.”
Serena ci mise un po’ a recepire le ultime parole: quando carpì il significato, il cuore le precipitò di colpo sotto i piedi.
“Indigesta?” pigolò di nuovo, stavolta con voce tremante.
Tebaldo le lanciò un lungo sguardo che non bruciava più: anzi, era quasi uno sguardo di compatimento, di simpatia.
“Sei una cara ragazza, Serena Colombi: non particolarmente frizzante e simpatica, ma sei fondamentalmente buona e questa oggi come oggi è una qualità che nemmeno un pricipino viziato come me riesce a sottovalutare. Anche se sì, ero venuto qua apposta per baciarti proprio perché sei dolce e tenera. Ma hai ragione, naturalmente: sono solo uno stronzo e per una volta dovrei almeno provare a comportarmi bene.”
“Ok” sfuggì dalle labbra di Serena “Vedi… vedi che avevo ragione io…?”
“No che non ce l’hai. Principalmente se non ti bacio è perché so che in fondo non ci proverei gusto a baciarti. Se fossi stata una stronzetta qualunque l’avrei fatto lo stesso; per sport, per noia, per blanda curiosità… per un qualsiasi futile motivo che di solito spinge un principino viziato a fare tutto quello che fa.”
La bocca di Serena tremava forte: gli occhi le si appannarono mentre quelle crude parole le cadevano addosso, pesanti come macigni.
“Ma allora… perché cazzo sei venuto qui?” riuscì a dire tra le labbra insensibili.
Tebaldo girò lo sguardo in su: sembrava remoto e distaccato, ma persino lei nel suo stato confuso e dolente riuscì a vedere quanto gli costava mantenere ferma quella maschera.
“Perché sono qui stasera? Perché ti tratto male? Perché fingo di corteggiarti? Sempre per lo stesso motivo, mia cara. Perché sono uno stronzo. Il principino viziato di cui poc’anzi.”
“Non è vero” intuì Serena “Altrimenti mi avresti baciata. L’hai appena detto tu, no?”
Tebaldo sorrise.
“Intuitiva, piccolo agnellino. Ma non abbastanza per capire tutto.”
E invece Serena d’un tratto capì. Era una cosa talmente scontata che si sentì molto stupida per non esserci arrivata prima, anzi, si stupì che tutto il mondo non avesse già capito anche prima di lei.
“Tu sei innamorato.” esclamò con genuina meraviglia.
Tebaldo inarcò le sopracciglia, divertito e scettico.
“Spiacente di deluderti, cara, ma io non sono innamorato di nessuno. A parte di me stesso, naturalmente.”
“Si, è vero” ammise Serena ispirata dall’intuizione del momento “Ami te stesso più chiunque altro al mondo. E sei anche uno stronzo che non sa far altro che ferire la gente. Proprio per questo te la fai sotto e ti comporti da merda con tutti, perché hai paura di non riuscire a fare di meglio con le persone a cui tieni veramente.”
“Non c’è nessuno a cui tengo veramente” sentenziò Tebaldo con convinzione, ma al contempo si allontanò da lei come se la sua vicinanza gli bruciasse “Devo dire che la tua identità da dottoressa Cuori infranti è ancora più stucchevole e noiosa di quella della brava e dolce verginella. Vado via prima che mi venga il diabete, con tutto questo zucchero nell’aria.”
Aveva paura, intuì Serena in un flash sconvolgente: aveva paura di lei, di quello che gli stava dicendo… perché stava sfiorando la verità o perché stava semplicemente smascherando il suo gioco?
“Come vuoi” rispose dolcemente “Però ricordati, la prossima volta che vuoi venire a casa mia e svegliare tutta la mia famiglia per non baciarmi, fammi uno squillo prima, magari facciamo due chiacchiere davanti a una bella fetta di torta e un caffè.”
La faccia di Tebaldo per un attimo assunse un’espressione indecifrabile: soddisfatta, Serena pensò che forse, da quel incontro di boxe in pigiama sul pianerottolo, era uscita stranamente vincitrice.
*          *          *
Qualcosa di sospetto crepitava nell’aria quella mattina. Maria Vittoria aveva il naso troppo fino per non accorgersene subito e sfruttò la prima ora di inutile lezione di filosofia per analizzare la situazione e cercare di capire cosa non andasse.
Punto primo: Maria Beatrice e Maria Lucrezia avevano due facce strane quella mattina. Capelli freschi di lacca per Maria Beatrice, borsetta di Gucci nuova per Maria Lucrezia, look impeccabile per entrambe. Avevano chiacchierato amabilmente del più e del meno e nessuna aveva detto o fatto niente di particolare. Solo che Maria Beatrice sfoggiava un sorrisetto strano, quello che lei pensava sembrasse misterioso e leonardesco e risultava invece vagamente idiota e imbarazzante. Maria Lucrezia, per dirla in maniera triviale ma spiccia, sembrava invece avere qualcosa di appuntito infilato nello sfintere, saltellava rigida come un manico di scopa e inalberava l’espressione colpevole di chi si ritrova smutandato in pubblico. Quelle due avevano fatto qualcosa, realizzò Maria Vittoria con brillante acume: qualcosa che rendeva Maria Beatrice felice come una Pasqua e Maria Lucrezia imbarazzata come una vergine la prima notte di nozze. Ma non era tutto lì il problema. C’era il punto secondo, ovvero Veronica. Indescrivibile, quella mattina! Maria Vittoria si sentiva fondamentalmente una ragazza virtuosa; ok, a volte esagerava con lo shopping, a volte aveva anche il sospetto che passare tre ore dalla manicure fosse un po’ eccessivo… ma si riteneva una ragazza di buon cuore, nonché di ottimo look. Si sentiva quindi in serio dovere di aiutare un’amica in pericolo: quell’amica era Veronica e il pericolo era dato dalla mancanza di buon gusto che sembrava averla assalita quella dolorosa mattina. I suoi capelli erano in disordine: Maria Vittoria quasi non se ne capacitava, in tanti anni che conosceva Veronica non aveva mai visto i suoi capelli meno che impeccabili, disciplinati e assolutamente perfetti. Quella mattina, invece, erano normali. Semplici capelli senza lacca e senza l’evidente mano del parrucchiere. Maria Vittoria era basita. Sarebbe stata meno scandalizzata se avesse visto Veronica nuda nata con un piercing al capezzolo. Senza contare che quei capelli normali sormontavano una faccia pallida, seria, immobile come se fosse fatta di marmo. Non che Veronica fosse una tipa espressiva e piena di spirito, al massimo si limitava a sguardi arroganti o sorrisetti ironici, ma era comunque evidentemente diversa quella mattina. E il vestito… era quello di lino che aveva indossato il lunedì precedente. Cioè, un vestito indossato due volte la stessa settimana… inaudito!! Sembrava quasi che Veronica si fosse buttata addosso la prima cosa che aveva trovato in casa. Come dire, ecco aperte le porte degli Inferi con demoni svolazzanti tutto intorno tipo sciame di mosconi.
Non era nelle corde di Maria Vittoria chiedere chiaramente “c’è qualcosa che non va?” alle amiche: non funzionava così tra di loro. In caso di comportamento anomalo di solito c’era chi si nascondeva a costo della vita e chi tentava di scoprire le carte usando mezzi subdoli e piccoli raggiri. Così durante le prime ore di lezione, Maria Vittoria studiò qualche oculata domanda da sganciare alle amiche e quando finalmente suonò la campanella dell’intervallo scattò pimpante in mezzo al gruppo, più battagliera che mai.
“Allora, avete visto Tebaldo ieri?” chiese cinguettando: in caso di tragedia latente se c’era qualcosa di sicuro al mondo era che doveva essere coinvolto Tebaldo Santandrea della Torre.
Veronica infatti reagì con una specie di scatto epilettico a metà tra il ribrezzo e l’istinto omicida mentre Maria Beatrice si leccava i baffi miagolando e Maria Lucrezia guaiva nascondendosi la coda tra le gambe.
“Si.”, “Forse.”, “Assolutamente no!” risposero in perfetta sincronia, lanciandosi subito dopo uno sguardo sconcertato.
“Oh!” gorgogliò Maria Vittoria esultante “A quanto pare il nostro dottor Stranamore ha fatto un intenso giro di visite, ieri.”
“Ieri dopo la scuola era a casa mia” ringhiò Veronica con autentico risentimento “Si è comportato da iena più del solito così l’ho mandato fuori di casa a calci nel deretano. Cosa abbia fatto dopo essersi incoronato re degli stronzi non ne ho idea. E francamente non me ne frega.”
Sembrava vero, tanto era cupa e depressa.
“Io non l’ho visto.” pigolò Maria Lucrezia smentita subito dopo da un imbarazzante rossore sulle guance.
“Io invece sì” esclamò Maria Beatrice che non vedeva evidentemente l’ora di spiattellare la cosa in faccia alle amiche “L’ho visto molto bene, molto da vicino e in certi momenti anche molto svestito.”
“MariaBe!” sfiatò Maria Vittoria quasi scandalizzata, ma la cosa più comica fu vedere il rossore sulla faccia di Maria Lucrezia sfiorare vette violacee.
“Ma per favore!” strillò infatti esagitata “E quand’è che Tebaldo si sarebbe fatto vedere mezzo nudo da te?”
 “Ieri sera, mia cara. Sarai mica gelosa!”
“Gelosa io! Di una sporca bugiarda come te!”
“Mi stai davvero dando della bugiarda, Maria Lucrezia?”
“E’ esattamente quello che sto facendo, Maria Beatrice. Perché è tassativamente impossibile che tu abbia visto Tebaldo ieri sera, visto che era occupato con… altra compagnia.”
“Che grandissima… bugiarda che sei!”
“Io!”
“Tu!”
“Ragazze” le interruppe Veronica con voce secca “Non accapigliatevi come lavandaie in piazza, per favore. Per Tebaldo, poi!”
“Ma questa piccola faina bugiarda dice…”
“Ehi, a chi stai dando della gallina?”
“Faina, ho detto faina, e comunque hai ragione, gallina è molto più appropriato…”
“Ragazze!” esclamò Maria Vittoria deliziata “Sono confusa… State dicendo che siete uscite entrambe con Tebaldo ieri sera?”
Maria Beatrice e Maria Lucrezia non avevano evidentemente preso in considerazione quell’ipotesi: le loro facce sbiancarono mentre le bocche si schiudevano con un suono come di ingranaggi difettosi. Maria Vittoria stava crogiolandosi nel suo ruolo di gossip girl, vagamente disturbata dal pernicioso dubbio del perché Tebaldo non fosse andato a cercare anche lei, la sera precedente, quando successe una cosa stranissima.
Dai meandri bui che attorniavano l’area dorata delimitata dalla loro presenza, sbucò la figura allampanata di un giovane dai capelli biondi e l’aria impacciata. Maria Vittoria lo riconobbe immediatamente: Paolo Bianchi, lo scherzo di natura loro compagno di classe. Normalmente non lo avrebbe degnato di un’occhiata, ma il villico si era permesso di entrare nel loro aureo cerchio e quindi si sentì autorizzata ad inalberare il suo classico sguardo da “Sparisci dalla mia visuale, mollusco verminoso”.
“Buongiorno.” si permise di dire quello, e senza nemmeno un accenno di tono interrogativo nella voce.
Le tre Marie rimasero così esterrefatte per quell’insulto che rimasero tutte a bocca aperta, quasi dimenticando l’incidente diplomatico di poc’anzi.
“Ciao.” rispose a sorpresa Veronica e le tre Marie si girarono di scatto a guardarla come se avesse appena rigurgitato un bolo di bile verdastra sulle loro scarpe.
“Ciao, Veronica. Scusa se disturbo.”
Gli occhi delle tre Marie rimbalzarono su di lui, schoccati come se avesse aggiunto altra bile verdastra alla immaginaria montagnola fumante sulle loro scarpe.
“Non disturbi.”
Rimbalzo interrogativo su di lei.
“Ti volevo chiedere… forse mi dirai di no, ma ecco…”
Rimbalzo schifato su di lui.
“Prova a chiedere. Non mordo, stamattina.”
Rimbalzo attonito su di lei.
“Mi chiedevo se ti andasse oggi di venire con me … io avrei… avrei bisogno di parlarti.”
Rimbalzo flashato su di lui.
“Co… come? Uscire con te? Oggi?”
Rimbalzo comprensivo su di lei.
“Io… si.”
Rimbalzo omicida su di lui.
“Ok.”
A quel punto, forse incentivate dal continuo sbatacchiamento del cervello nella scatola cranica dovuto a tutti quei rimbalzi, le tre Marie erano così confuse da non saper più dove guardare.
“Oh, bene. Allora… ci troviamo al canile? Oggi sono di turno lì.”
“Al canile? Wow, che posto… romantico. Ok, ci sarò.”
“Bene. Ah, ok, bene. Allora a dopo.”
“Va bene, a dopo. Ciao.”
“Ciao.”
Bianchi se ne andò lasciando dietro di sé una scia silenziosa così densa che poteva raccogliersi col cucchiaio. Fu Veronica stessa a interrompere il momento d’impasse con una decisa scrollata di spalle.
“Allora, finitela di guardarmi in quel modo. Neanche avessi ucciso un cristiano.”
“Peggio!” sfiatò Maria Lucrezia che non vedeva l’ora di sfogare la sua frustrazione e il suo imbarazzo si qualcun altro “Hai accettato un appuntamento con Bianchi!”
“Bianchi lo scherzo di natura!”
“Bianchi il secchione sfigato!”
“Bianchi chi? Come cavolo si chiama Bianchi? Nemmeno lo so! Quello nemmeno esiste nel nostro mondo, Veronica! Che ti è saltato in mente di fare?”
Veronica si passò stancamente una mano sulla faccia: non sapeva ancora se nella sua testa urlasse più forte Gladi, esultando per l’invito di Bianchi, Grimilde, piangendo la propria totale rovina sociale, o Veronica, ammutolita dall’ultima performance del perfido cugino.
Di per certo sapeva solo che non aveva nessuna voglia di parlarne con le tre Marie. Né con nessun altro, a dire il vero.  
“Devo uscire.” disse di punto in bianco e prima ancora che una delle tre amiche potesse dire Gucci, le piantò in asso marciando via a passo spedito, sentendosi assurdamente meglio di prima.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


*** NOTE DELL'AUTRICE: Scusate se non rispondo ad personam alle recensioni, ma questa settimana prioprio non ho il tempo materiale... le ho lette e apprezzate tutte, giuro!! Ma non me la sentirei di rispondere a uuna si e a una no, quindi mando un sincero ringraziamento e un bacio cumulativo a tutti, sperando di poter fare meglio la prossima volta... Grazie, grazie davvero!! ***




Tebaldo Santandrea della Torre era di pessimo umore: questo singolare evento era evidenziato dal fatto che il suo solito sorrisetto sardonico era stato sostituito da un’espressione arcigna e cupa. Qualcuno votato al suicidio avrebbe potuto fargli presente che così somigliava in maniera pazzesca a sua bisnonna Veronica, ma nessuno osava avvicinarsi a Re Tebaldo quando era di cattivo umore. E quel giorno lo era, palesemente.
Tebaldo quindi passeggiava per il corridoio in perfetta e funerea solitudine quando una figuretta esile sbucò dall’angolo e, vedendolo da lontano, esclamò con voce concitata:
“Tebaldo!”
Qualche incauto passante trattenne il respiro a quella chiara violazione delle norme di sopravvivenza nr. 10/A, ovvero non respirare nemmeno nella direzione di Re Tebaldo quando questi è arrabbiato; altri si defilarono semplicemente, troppo sensibili alla vista del sangue reale o metaforico che stava per essere versato; altri ancora si prepararono allo spettacolo pirotecnico, rimpiangendo la mancanza di popcorn e bibita d’intrattenimento.
Tebaldo al suono della voce si girò lentamente in quella direzione, la faccia di pietra e gli occhi verdi duri e accesi come diamanti. La figuretta esile si aggiustò i capelli e in barba alla corsa affannata di poco prima, si avvicinò a Tebaldo con andatura elegante.
“Ciao Tebaldo” sospirò Maria Beatrice con la voce gutturale che lei pensava essere sexy e che risultava invece maschile e vagamente inquietante “Ti posso parlare un secondo?”
Allungò persino una mano per posarla con confidenza sul braccio del giovane.
Gli occhi glaciali di Tebaldo si posarono su quella mano e Maria Beatrice la tolse di colpo, come se si sentisse bruciare.
“No.” rispose poi Tebaldo con voce pericolosamente fredda.
“Ti prego, è importante.”
Insistere non era mai una decisione saggia, meno che meno in quel momento: infatti scrollando le spalle, Tebaldo lanciò a Maria Beatrice un tale sguardo da farla letteralmente rabbrividire.
“Ho da fare.” scandì deciso, ma Maria Beatrice non era intenzionata a demordere: anzi, più Tebaldo le sfuggiva, più le veniva istintivo stringere la corda, nonostante questa fosse legata al proprio collo.
“Devo chiederti di ieri sera” lo ignorò quindi parlando rapidamente, incurante di quelli che li ascoltavano più o meno sfacciatamente “Non che abbia davvero bisogno di conferme… cioè, già il fatto che tu sia venuto a cercarmi a casa è più che sufficiente a smentire quella gallina… ma in fondo sei rimasto appena un’ora, insomma te ne sei andato subito dopo… cioè, era assurdamente tardi e lo so che hai voluto fare il gentiluomo e non trattenerti troppo per non disturbare i miei… ma vedi, quella infame vipera… oh, inutile parlare come una lady! Quella grandissima zoccola di Maria Lucrezia vuole farmi credere che sia andato anche da lei ieri sera. Capisci? Quella stronzetta invidiosa! Come se pensassi che tu ti possa abbassare a stare con una insulsa come lei, cioè…”
Ridacchiando istericamente, Maria Beatrice lanciò un’occhiata ansiosa a Tebaldo aspettando la sua smentita, ma lui continuava ad avere gli occhi duri come diamanti e la bocca serrata senza nemmeno una parvenza di sorriso. Quella che venne dopo, invece, fu una dichiarazione secca e arrogante, definitiva come una sentenza di morte.
“Mi piacerebbe indagare su quale ovarico e misterioso impulso ti abbia spinta a questa umiliante sparata, ignorando la mia palese repulsione per la tua presenza: ma vedi, non ho tempo e meno che meno voglia di ricordare perché ieri sera sia stato così devastato dalla noia da venire a cercare te e la tua degna compagna. Tenendo poi conto del fatto che non mi siete state utili, prometto che la prossima volta lascerò che la noia mi uccida piuttosto che scatenare di nuovo il vostro oppressivo interesse.”
Maria Beatrice, evidentemente disorientata, non aveva capito una parola di quanto Tebaldo aveva detto, ma il tono di voce la fece nebulosamente insospettire.
“Stai dicendo… stai dicendo che è vero? Stai sul serio affermando che ieri sera sei stato con me… e poi sei andato a anche con quella gallina?!?!”
Al pubblico che seguiva la diatriba quel succulento particolare piacque parecchio e qualcuno accennò sospiri eccitati.
“A dire il vero l’ordine cronologico non lo ricordo bene” sbuffò Tebaldo per niente scalfito dall’isteria generale “Siete così simili che non mi ricordo chi è l’una e chi è l’altra.”
Maria Beatrice recepì abbastanza chiaramente l’ultimo insulto.
“Sei un porco!” strillò quindi saggiamente.
“Lo ero ben prima di ieri sera, e tu ne eri perfettamente conscia” ribatté Tebaldo tranquillo “Ora che ti sei sfogata possiamo concludere questa tediosa conversazione? Avrei da fare.”
Maria Beatrice non aveva nessuna intenzione di concludere: prese fiato e aprì la bocca per protestare quando accadde qualcosa che le strozzò le parole in gola. La faccia di Tebaldo si animò di interesse e perse un po’ del suo smalto perfido quando una anonima e insulsa ragazzetta dai capelli color topo e il resto circa lì sbucò dall’angolo del corridoio, arrivando come lei in precedenza trafelata e alla chiara ricerca di Tebaldo.
“Tebaldo!” sfiatò infatti la ragazza ignorando Maria Beatrice che rimase interdetta da quello scandaloso e incivile comportamento “Ti ho trovato finalmente!”
“Ciao agnellino” rispose questi prontamente “Qual buon vento ti porta?”
Maria Beatrice si girò a guardarlo a bocca aperta, letteralmente senza parole: che Veronica, causa aneurisma o qualsiasi cosa le stesse succedendo, prestasse orecchio alla voce del volgo era un conto, ma che lo facesse anche il freddo, supersnob, spocchioso Tebaldo le risultava assolutamente inconcepibile. Lo stesso dovevano pensare gli astanti che dopo la smerdata pubblica a Maria Beatrice e l’apparente dialogo con una persona del basso proletariato, da Tebaldo si aspettavano di tutto, da un improvviso numero di tip tap allo sterminio tramite bazooka opportunamente estratto da un cappello a cilindro.
“Ho bisogno di parlarti” disse la villica continuando sfacciatamente ad ignorare Maria Beatrice “Possiamo… in privato?”
“Ma certamente” chiocciò Tebaldo vagamente divertito “Se la cosa non spaventa te: io ho disponibili due orecchie grandi… per ascoltati meglio, bambina mia.”
“Non mettermi ansia” sbottò la ragazza guadagnandosi la stima del pubblico “E’ importante. Vieni?”
Tebaldo la seguì senza aggiungere parola: Maria Beatrice rimase impalata nel mezzo del corridoio guardandoli andare via, la villica e l’imperatore. Dai meandri scandalizzati del suo subconscio cominciarono ad arrivare le domande importanti, tipo: chi diavolo era quella tizia? Quando aveva conosciuto Tebaldo? Di che cosa doveva parlare con lui? Ma soprattutto, la domanda che le fece accantonare il momentaneo livore nei confronti di Maria Lucrezia per correre a cercare da lei la risposta: quel color topo dei capelli era naturale o era l’ultima tendenza per la nuova stagione?!?
*          *          *
Quando Veronica arrivò al canile aveva il cuore talmente alto in gola che quasi faceva fatica a respirare. Si toccò i capelli e controllò per la millesima volta se il look andava bene. Si era arrovellata per ore nel dilemma su cosa indossare per un incontro con Bianchi al canile: ovviamente non poteva affidarsi a una delle sue collaudate camicie, decisamente fuori luogo in mezzo a quel miasma infernale. La location purtroppo inficiava qualsiasi velleità sexy, ma Veronica era riuscita comunque ad apparire moderatamente raffinata ed elegante con un paio di calzoni scozzesi di Vivianne Westwood abbinati a preziosi anfibi in daino verde scamosciato e a una maglietta altrettanto verde di cachemir che faceva risaltare i suoi occhi. Aveva optato per una morbida e alta coda di cavallo non tanto perché le valorizzava gli zigomi, quanto perché la schifava l’idea che i capelli si impregnassero di quel vomitevole odore di sterco canino. Comunque, si sentiva a posto, disinvolta come Grimilde ma semplice come Gladi.
Apparentemente quindi era serena e tranquilla: internamente, in realtà, si sentiva come se stesse ballando bendata sull’orlo di un precipizio. Socialmente stava decisamente tentando il suicidio: le tre Marie erano ancora troppo sconvolte dall’accaduto per raccapezzarsi, ma presto avrebbero realizzato che Veronica Scarlini della Torre aveva accettato un appuntamento al canile con un rigurgito umano come Paolo Bianchi. Compresa la portata di questo evento alieno, l’avrebbero attaccata, sbranata e risputata a pezzettini grandi come francobolli per poi relegarla con sprezzo fuori dal cerchio dorato che le divideva dalla plebaglia.
Veronica ne era ben conscia e se dentro di lei Grimilde tremava, alla Gladi che le cresceva in petto non importava poi un gran che. Quando si concedeva di abbassare un po’ la guardia e riusciva a guardare al di là del vecchio ermo colle del proprio orizzonte, Veronica riusciva persino a comprendere che scendere dal trono di Grimilde non era poi tutta questa gran tragedia. Perla prima volta da che c’era dentro, intuiva con stupore che il cerchio che la divideva dal resto del mondo forse non era poi così dorato ed esclusivo,  ma rosso e soffocante, e che vivere con tre sorridenti avvoltoi uncinati alle spalle poteva anche non essere l’unico modo di passare l’adolescenza. Anche se questo la riempiva di meraviglia e di elettrizzante aspettativa, era comunque spaventata a morte; frenata dai dubbi ma con i piedi pronti a ballare. E chissà perché, l’unica persona con cui avrebbe voluto parlare per condividere quella ridda confusa di pensieri, era Tebaldo. Dopo aver inutilmente lottato contro quella lampante consapevolezza, Veronica aveva concluso che il perché di quel suo assurdo istinto era dovuto al fatto che Tebaldo era l’unico a poter comprendere e spiegare in termini a lei comprensibili il motivo del suo nuovo orientamento. Lei e Tebaldo parlavano la stessa lingua, usavano la stessa ironia, analizzavano gli eventi dagli spessi punti di vista: in mezzo a quello sbatacchiamento emotivo che la sconvolgeva, le mancava il punto fermo della voce altezzosa del cugino che le spiegava la natura delle cose. Dopo il loro ultimo furioso litigio era impensabile che lei si abbassasse a chiamarlo, naturalmente, ma ciò non toglieva che Tebaldo era l’unica persona che avrebbe voluto vicina, in quel momento. Probabilmente avrebbe demolito i suoi pantaloni scozzesi e l’avrebbe fatta sentire una stupida con qualche battuta salace: ma sarebbe stato lì, e lei non si sarebbe sentita così fragile e spaventata.
“Veronica!”
Bianchi sbucò da dietro una gabbia e le apparve davanti con la sua solita aria goffa e impacciata: indossava un camice dal dubbio colore grigiastro che gli stava come a uno spaventapasseri e aveva le guance rosa ciclamino che la dicevano lunga su quanto fosse rilassato in quel momento, in piedi davanti alla temutissima Grimilde senza nemmeno la scusa delle lezioni di fisica.
“Ciao Paolo.” riuscì a dire Veronica nonostante l’ostruzione esofagea dovuta al panico.
“Ecco, sei venuta davvero” balbettò lui e sembrava ancora più impanicato di lei “Bene bene, ecco, vero, bene bene… Senti, ah!, so che ti sembra strano come posto per parlare, ma ecco… è che mi devi dare una mano, è successo un casino e hanno bisogno… puoi degnarti di fare la volontaria per cinque minuti, vero? Solo… solo cinque. Anzi, due.”
“Posso degnarmi.” rispose Veronica, intenerita dalla sua evidente confusione.
“Oh, bene, sono contento” borbottò e invece di contento sembrava… deluso? Continuava però a non guardarla in faccia quindi Veronica non poteva leggergli i laghetti azzurri e capire cosa stesse pensando “Allora vieni, anzi no, aspetta, prima il camice.”
“Il camice… sul cachemir?”
Ma Bianchi non aveva colto il tono oltraggiato della sua voce e con sacrosanto zelo le porse un camice se possibile ancora più grigiastro e più dubbio di quanto lo fosse il suo.
“Devi metterlo” borbottò allungandole il camice sempre con gli occhi conficcati a terra “Non mi perdonerei mai se ti sporcassi uno dei tuoi indumenti da un milione di dollari. E dovrai mettere anche la cuffia.”
Subito”, avrebbe risposto Gladi.
Nemmeno decapitata!” avrebbe risposto Grimilde.
“E’ proprio necessaria?” sfiatò Veronica incerta.
“Si, si tratta solo di qualche minuto, ti giuro… Coraggio, non ci guarda nessuno. Di che hai paura?”
Di non piacerti.” avrebbe risposto Gladi.
Di niente!” avrebbe risposto Grimilde.
“Di sembrare ridicola” ammise invece Veronica mestamente “Non sono abituata a… queste cose.”
“Già, lo so” farfugliò Bianchi azzardando un fuggevole sguardo “Continuo a chiedermi perché tu lo stia facendo, adesso.”
“Non è evidente?” rispose Veronica col cuore che le batteva altissimo in gola.
Bianchi le fissò le iridi concentrato per un pezzo, come se si stesse davvero sforzando di leggerci dentro la risposta.
“No, non è affatto evidente” rispose alla fine sfiancato distogliendo lo sguardo “Tieni la cuffia. Andiamo.”
“Dove?”
Ma Bianchi era partito a passo di marcia e Veronica gli corse dietro ficcandosi alla bell’è meglio la cuffia in testa, una patetica sacca verde a fiorellini rosa stile anteguerra sbiadita dai lavaggi.
“Allora, dove…?”
“Metti anche i guanti” le suggerì Bianchi porgendole un paio di guantoni di gomma rosa culetto di neonato “E’ qui, ci vuole solo un secondo.”
Si era fermato davanti a una gabbia apparentemente vuota e dolorosamente piena di guano canino, con due grosse cucce di legno a un lato.
“Qui?” chiese incerta Veronica alzando lo sguardo su Paolo: aveva una strana sensazione addosso e stava concentrando tutte le proprie energie nel tentativo di non ascoltare la voce di Grimilde che borbottava incessantemente dai meandri della sua psiche.
“Qui” confermò Bianchi sempre con lo sguardo basso “Prego, dopo di te.”
Veronica entrò a passo incerto, conscia che gli anfibi di daino scamosciato non sarebbero usciti vivi da quell’esperienza. Poi, quando fu dentro, capì, prima ancora di udire il cigolio della porta metallica della gabbia che si chiudeva alle sue spalle.
*          *          *
Non può essere.” bisbigliò Gladi esterrefatta.
Lo sapevo!” ruggì Grimilde, infuriata.
Veronica non pensò niente: rimase rigida e immobile mentre il chiavistello veniva chiuso dalle mani maldestre di Bianchi e due enormi cani evidentemente imparentati con la famiglia dei brachiosauri uscivano incuriositi dalle gabbie e iniziavano a girarle intorno, annusandole i preziosi anfibi.
“Non sono pericolosi” disse la voce di Bianchi alle sue spalle “Sono solo molto invadenti, ma non ti faranno mai del male. Ragazzi! Potete uscire.”
Due teste sbucarono da dietro una gabbia e l’intuito di Veronica arrivò a identificarli prima ancora di vederli a figura intera: Francesco Colasanti e Pasquale Caputo, i due secchioni invisibili che con Bianchi facevano parte della congrega degli scherzi di natura. Dopo, non fu difficile intuire anche il perché della loro presenza: vendetta.   
Veronica, sempre immobile, si concesse di chiudere gli occhi per un secondo mentre il mondo le crollava intorno. Doveva aspettarselo, in fondo: il comportamento sconclusionato di Bianchi era stato fin troppo evocativo e se solo avesse lasciato parlare Grimilde per un secondo, avrebbe capito tutto prima di finire impantanata in quella gabbia a subire le ovvie conseguenze. Doveva proprio aspettarselo, dannazione.
Ciononostante, quasi lo sentì realmente il rumore come di un ramoscello secco, mentre il suo cuore, quell’organo debole e neonato che aveva preso a batterle nel petto da così poco tempo, si spezzava.
“Bene bene.” chiocciò la voce di Francesco mentre si avvicinava.
“Grimilde dietro le sbarre” sospirò Pasquale con voce tremula “Pensavo che sarebbe stato un sogno impossibile poter vedere questo spettacolo, e invece… Paolo, tanto di cappello, giuro che d’ora in avanti sarai il mio Maestro Jedi.”
Paolo, occhi bassi e faccia determinata, non guardò nessuno.
“Era una cosa che andava fatta” disse con tenace autoconvinzione “Veronica, guardami: capisci perché sei qui, vero?”
“Perché sei una strega cattiva” rispose Francesco, dal momento che Veronica sembrava ignorare completamente la loro presenza “E tutte le streghe prima o poi finiscono male. Ci vuole solo un po’ di pazienza e bisogna saper cogliere al balzo le occasioni. Bianchi, sei stato geniale! Pasquale, tira fuori il cellulare e spara un video su tutti i social network su cui riesci a collegarti.”
Veronica continuò a rimanere immobile mentre Francesco e Pasquale armeggiavano concitati con i loro rispettivi aggeggi elettronici. Ancora non c’era dolore: c’era una sorta di anestesia post trauma dove tutto aveva contorni irreali, ovattati.
Stava accadendo qualcosa di terribile, anche se ancora non quantificabile: ma d’istinto sapeva che se avesse giocato bene le sue carte e fosse riuscita a sopprimere Gladi prima della fine dell’anestesia, magari sarebbe anche riuscita a non soffrire. Chissà. Quello non era comunque il punto principale all’ordine del giorno: la cosa più urgente era affrontare il fatto che Bianchi, il piccolo, plebeo, pidocchioso Bambi delle favole con l’aiuto di quei troll malriusciti dei suoi amici stava buttando Grimilde giù dal piedistallo per trascinarla nel fango. E se ormai non poteva più impedire la caduta, per lo meno doveva fare in modo di cadere in piedi, a qualsiasi costo!  
Lanciò quindi a Bianchi e compari uno sguardo da sopra la spalla e lo sorprese rosso in viso che teneva i pugni chiusi ficcati in tasca.
“Oh” disse con voce neutra “Le cose stanno così.”
“Certo che stanno così” ribatté Bianchi mentre Pasquale e Francesco smettevano un attimo di armeggiare per ascoltarli “Perché, come dovevano stare le cose? Con Grimilde che demolisce il povero nerd con l’ennesimo tiro mancino?”
“Tiro mancino?” chiese educatamente Veronica.
“Si, tiro mancino” continuò Bianchi, febbrile e esagitato “Cosa credi, che non l’abbia capito che Gladi non esiste…?”
“Gladi?” sussurrò Francesco a Pasquale, ricevendo per risposta una dubbiosa scrollata di spalle.
“Oh, certo, ci stavo quasi per cadere con i piedi e le scarpe… L’hai recitata proprio bene quella parte! Ma anche un deficiente come me alla fine arriva a capire l’ovvio: a un certo punto le cose cambiano anche nella vita reale, Grimilde carissima.”
“Spiegami cos’è che avresti capito.”
“Il vostro sporchissimo gioco!” strillò Bianchi esternando tutta la propria frustrazione “Tu e il tuo degno cugino... ma chi credete di essere? Quanto pensate di poter giocare con i sentimenti, anzi, con la vita stessa delle persone? Io non lo so cosa vi spinge a tramare in questa maniera, né che razza di divertimento possa essere quello di far credere allo sfigato di turno che una come te provi interesse per lui… arrivare a inventarsi una segretaria per demolirmi meglio, per arrivare a ferire più in profondità… come puoi pensare che io me la beva, dopo tutti questi anni di grimilditudine da parte tua?”
“Già” rispose Veronica tranquilla mentre i due cani discendenti di brachiosauri continuavano a girarle intorno, sbavandole sui pantaloni scozzesi e sollevando nuvole di polvere di guano da terra “Come potevo pensare che tu mi credessi sincera?”
“Sincera! Ti sei inventata di sana pianta una persona che non esiste… hai speso dei soldi, hai persino mangiato le frittelle di mia nonna! Se ci penso, mi viene la nausea. Sì, Grimilde, l’aggettivo giusto per te è proprio questo: nauseante.”
Franscesco e Pasquale stavano a testa china, inconsciamente imbarazzati. Veronica non commentò: era molto pallida mentre uno dei due brachiosauri, presa confidenza con la nuova arrivata, iniziava a saltellare per attirare la sua attenzione, insozzandola di cacca e facendola vacillare pericolosamente. Quando anche il secondo mastodonte le abbaiò contro agitando la poderosa coda e saltandole praticamente sulla spalla con le zampe anteriori, Veronica capì che doveva capitolare.
“Molto bene” disse quindi con voce arrochita “Avanti allora, fate quello che dovete fare e tiratemi fuori di qui: devo ovviamente andare dal parrucchiere, dopo questa pagliacciata.”
Era così completamente Grimilde in quel momento che Bianchi e soci non si fecero scrupolo a impugnare i loro cellulari e a immortalare la scena impietosamente. Veronica attese pazientemente, il mento alzato e lo sguardo fiero nonostante la cuffia, i guantoni, il camice, i cani e la cacca che volava dappertutto.
“Fatto” approvò Franscesco dopo un tempo sufficientemente lungo che a Veronica sembrò eterno “Già pubblicato, anche. Comincio già a vedere dei contatti!”
“Che roba!” si esaltò Pasquale “Sono proprio tutti in rete, in questo momento!”
“Se posso consigliarvi” intervenne Veronica pacata “L’impatto sarebbe sicuramente più incisivo se metteste anche una gigantografia a scuola. Però dovreste intaccare il vostro gruzzolo da pezzenti pro università, e forse non ne vale la pena per una banale smerdata pubblica.”
“Potresti finanziarci tu.” ribatté Bianchi aggressivo: gli rodeva da morire che Grimilde nonostante tutto sembrasse sempre una reginetta snob e rimanesse ancorata a quel maledetto piedistallo con le unghie e coi denti… non rientrava nell’ordine naturale delle cose. Anche il fatto di non provare nessun senso di trionfo o di gioia ma che anzi di sentirsi una merda completa per quello che stava facendo non rientrava nell’accurato piano che aveva progettato per l’umiliazione pubblica di Grimilde.
“Effettivamente i soldi non mi mancano” meditò Veronica, quasi tra sé e sé “Ma per esperienza so che non possono comprare il rispetto. Cosa che invece tu, a differenza di quei molluschi dei tuoi colleghi, avevi in abbondanza e assolutamente gratis. Ovviamente, con questa tua infantile ripicca te lo sei giocato tutto… posto che ti interessasse mantenerlo.”
“Mi interessava avere il rispetto di Gladi” ringhiò Bianchi con insolita forza “Lei era… lei mi piaceva. Era onesta, genuina, semplice, simpatica. Per lei ho persino lasciato la mia ragazza. E poi… poi niente, in realtà Gladi non esiste. Che barzelletta! Proprio da morire dal ridere. Spero solo che vi siate fatti abbastanza risate per compensare lo spreco di risorse.”
Con un fischio ordinò ai due brachiosauri di andare a cuccia, poi aprì il cancello con mosse stizzite, allontanandosi di qualche passo e aspettando che Veronica uscisse dalla gabbia: Pasquale e Franscesco fecero due passi indietro, come aspettandosi che Grimilde potesse balzare fuori e sbranarli come una leonessa..
Lei usci; si tolse la cuffia, i guanti, il camice; con una rapida occhiata, si accorse che i pantaloni scozzesi e gli anfibi erano da buttare, ma il maglione di cachemir si era salvato; toccò la coda di cavallo che si era un po’ abbassata, ma sopravviveva ancora indomita.
Sopravviveva. Indomita.
“Sai Bianchi” disse con voce calma e ispirata ignorando volutamente i due pavidi compagni “In fondo sono contenta: credevo di essere stronza perché ho tutti questi soldi e sono una privilegiata, ma tu mi hai dimostrato che si può essere totalmente stronzi e meschini anche senza avere un soldo in tasca. Te ne sono davvero grata.”
“Io non sono stronzo” reagì Bianchi arrossendo “Sei tu a esserlo per due. Questa non è una vendetta, è che a forza di spargerne in giro, finalmente di sei sporcata anche tu con la tua stessa merda.”
Veronica non replicò, limitandosi a fissarlo negli occhi: scavando nell’azzurro terso, si accorse che oltre la rabbia e la confusione, Bianchi in fondo stava soffrendo. Fu quello a far iniziare il processo di disgelo: sentì le punture di spillo della circolazione che si riattivava intorno al suo povero aborto di cuore, il respiro di fece discontinuo e rotto e gli occhi iniziarono a bruciarle come tizzoni ardenti.
Era ora, per Grimilde, di ritirarsi nei propri regali appartamenti.
“Spero che tu abbia avuto quello che volevi” disse quindi rapidamente con voce metallica “Dopotutto, te lo sei proprio meritato. Lascia solo che ti dica una cosa, a cui non crederai, ma che mi sembra doveroso farti sapere: quel bacio, ieri, era vero. Anche Gladi era vera. Solo che si chiamava Veronica.”
Aspettò una risposta che non venne: allora alzò il mento altezzoso e se ne andò via senza girarsi indietro, chiedendosi come faceva un cuore così piccolo e atrofico e inesistente a pesare come un maledetto macigno.
*          *          *
“Pallaaaa!”
Tum!
“Allora bastaaaa! Tu e la tua stramaledetta palla, se la lanci ancora una volta contro la parete giuro che te la faccio ingoiare intera, capito?”
“Pà ha detto che posso giocare un pochino.”
“Un pochino, saranno due ere geologiche che ci scassi i coglioni con quella cazzo di palla!”
“Uè, signorina, vedi di non usare certe parole, capito?”
“Ma nonna, palla si può dire!”
“Ma taci, Dante!”
“Io non taccio e ascolto solo Pà perché è grande, tu invece sei una sorella piccola e quello che dici non conta niente. E poi al mattino ti puzza il fiato.”
“Ma che stronzo!”
“Signorina, il linguaggio!”
“Nonna, perché non vai a fare delle lasagne, eh?”
“Palla!”
Tum!
“Alloraaaaaa porco cazzoooo!”
“Santo cielo, Paolo, vuoi dire qualcosa ai tuoi fratelli?”
Paolo Bianchi si decise a distogliere lo sguardo dal muro e a fissarlo sulle facce congestionate dei suoi consanguinei: il suo pallore superò l’ostico muro della cecità della nonna che gli si avvicinò premurosa.
“Santo cielo,che faccia! Hai il vomito? Ti faccio una camomilla?”
“Che ti è successo?” si intromise subito Silvia, più per curiosità che per amore fraterno: Paolo, a sorpresa, le rispose subito e anche sinceramente.
“Succede che mi sono comportato da stronzo per la prima volta nella mia vita dopo averlo sognato da sempre e mi ritrovo a sentirmi uno schifo quando pensavo che mi sarei finalmente sentito bene e fiero di me invece mi sento una cacca spiaccicata anche se non capisco perché visto che obbiettivamente se lo meritava eccome, dopo tutti quegli anni a subire e a pensare che se solo avessi potuto fargliela pagare e che prima o poi sarebbe capitata l’occasione giusta, e infatti è capitata ma lei con quella sua dannata spocchia non ha fatto l’isterica per niente, sembrava Giovanna d’Arco sul rogo, solo che Giovanna d’Arco è una martire e anche se Grimilde non lo è di sicuro continuo a sentirmi sporco e deficiente e se tornassi indietro, anzi vorrei proprio poterlo fare perché ecco io… non lo rifarei.”
La sparata di Paolo ebbe il miracoloso effetto di placare gli animi dei presenti: nonna Adalgisa e Silvia si scambiarono uno sguardo perplesso mentre Dante, la bocca aperta e la palla sottobraccio, sembrava concentrato nello sforzo abnorme di cavare un senso dalle parole sconclusionate del fratello.
“Pà non ho capito” si arrese alla fine corrucciato “Chi è questa Giovanna? Una tua compagna di scuola?”
“Tolta la parte quando hai ammesso di essere stronzo, cosa che penso anche io con tutto il cuore, il resto non l’ho capito neanch’io.” confessò Silvia allegramente.
“Meno male che non avete capito nemmeno voi” sospirò la nonna con voce querula “Pensavo di essere rimbambita tutto in un botto per colpa di quella roba tedesca, lo Jagermeister…”
“Tu no hai né l’Alzheimer né lo Jagermister, nonna” ribatté Paolo con un pallido sorriso “Anche se adesso come adesso sarei tentato di chiedertene un goccetto.”
In quel momento, con un gran sbattimento di porte e urletti scandalizzati, arrivò Laura trafelata col viso rosso e congestionato e la coda di cavallo tutta storta.
“Tu!” strillò puntando il dito contro il fratello “Cosa… hai… fatto…?”
“Ha messo Giovanna sul rogo” spiegò Dante soddisfatto “Giovanna è una sua compagna di scuola. Ma Pà, che cos’è un rogo? Una specie di tavolo?”
“Cos’è successo?” si animò Silvia.
“E’ successo che quel facciadaculo di nerd di nostro fratello insieme a quegli aborti dei suoi amici hanno pubblicato su Internet un video orribile su Veronica!”
“Ma non era Giovanna?”
“Oh, zitto tu! Giovanna d’Arco era una metafora.”
“Povera Veronica…”
“Un’anfora…? Giovanna? E Ve-honica cosa c’entra?”
“Cosa? Chi? Di chi state parlando? Paolo, sei sicuro che non ho lo Jagermeister, vero?”
“BASTA!”
Il tono era stato perentorio e definitivo: Paolo si era alzato in piedi e la sua esasperazione traboccava da ogni poro tanto che la nonna e le sorelle con aria colpevole si fecero piccine piccine. Invece Dante sembrava di nuovo intento a meditare dolorosamente sui discorsi appena fatti.
“Pà, secondo me non sei davvero arrabbiato con noi” concluse alla fine di tanto titanico sforzo “Non so se sei arrabbiato con Ve-honica o con l’anfora amica tua, ma tu mi dici sempre che bisogna parlare per farsi passare la rabbia. Adesso, non so come farai a parlare con un’anfora… io infatti parlerei con Ve-honica che non è per niente un’anfora, ne sono sicuro! A proposito, quando torniamo a casa sua? C’è un giardino bellissimissimo e Aldo che gira nudo dappertutto!”
Laura e Silvia alzarono gli occhi al cielo: evidentemente il resoconto di Dante sulla Favolosa e Inimmaginabile Visita a Casa Scarlini della Torre se lo erano già sorbite centinaia di volte e non intendevano ripetere l’esperienza.
“Ti sei semplicemente comportato da schifo” riassunse Laura lapidaria “Quando ho saputo della merdata che avete fatto, è stata la prima volta che mi sono vergognata di averti come fratello.”
Le gemelle girarono le spalle e sparirono, in silenzioso accordo: Dante fece spallucce e trottò via anche lui, già pronto a buttare la palla contro qualsiasi muro; nonna Adalgisa meditò un po’ in silenzio, la faccetta rugosa ben concentrata.
“Faccio i cannelloni.” decise alla fine ciabattando poi via con aria soddisfatta.
Paolo Bianchi tornò a guardare il muro, relegando gli strepiti ormai lontani dei famigliari a rumori di fondo: aveva pensato che parlare di quello che era successo e di come si sentiva in quel momento avrebbe potuto aiutarlo a stare meglio, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era di stare peggio.
“Avrei dovuto saperlo” pensò amareggiato “Alla fine sta a vedere che chi vince è comunque  sempre lei… maledetta Grimilde!” 
*          *          *
Veronica si decise a riaccendere i vari cellulari solo la mattina successiva, mentre l’automobile con autista la portava a scuola. Aveva passato una serata solitaria e strana, bizzarramente subacquea. Gladi era morta e la sua vocetta acuta aveva smesso di tormentarle le meningi; al contempo, Grimilde aveva smesso di ruggire e l’anomalo silenzio l’aveva avvolta come un grembo materno per ore e ore di inusuale inattività. Niente cellulari, quindi niente Marie a cicalarle inutilmente nelle orecchie. Niente Tebaldo a sparare commenti all’acido muriatico. Niente Inocencia, che aveva preso in gestione i pantaloni scozzesi senza azzardare un verbo e che le aveva portato la cena in camera, composta da un leggero brodo vegetale con cubetti di tofu. Il pasto di quando era ammalata, notò Veronica con segreto affetto.
Un po’ Inocencia aveva visto giusto: distesa sul prezioso copriletto di seta, per la primissima volta in vita sua, Grimilde era stata male. Male davvero, come solo un’adolescente ferita può stare. Male come chi si presenta alla vita con la guardia abbassata, piena di speranze e di aspettative, e… puah, nemmeno in un momento schifoso come quello riusciva a cucirsi addosso qualche svenevole lirismo adolescenziale! L’autocommiserazione non era fatta per lei: aveva passato il pomeriggio a elaborare più che altro la rabbia e lo sconcerto, entrambi rivolti a sé stessa per essersi comportata da perfetta mentecatta. La cotta per Bianchi le aveva offuscato i sensi: col senno di poi si rendeva conto di aver servito agli scherzi di natura l’occasione per ferirla su un piatto d’argento. Aver inventato Gladi era stata una mossa decisamente infelice, anche se doveva ammettere che essere lei le era piaciuto, le aveva fatto respirare una boccata d’aria di novità e libertà a cui non avrebbe voluto rinunciare. Cosa che però era assolutamente necessario fare: Gladi non poteva sopravvivere nel mondo di Grimilde, punto e basta. Veronica non avrebbe mai più permesso che qualcuno potesse andare di nuovo oltre il suo coriaceo mantello da strega e potesse farla soffrire o umiliarla… o anche solo toccarla.
Nessuno. Mai più.
Quando era giunta a quella conclusione, il resto era venuto da sé. Non si sarebbe vendicata di Bianchi. Non avrebbe cambiato né scuola né identità e nemmeno, per l’amor del cielo!, colore di capelli. Avrebbe semplicemente affrontato la situazione con addosso uno splendido abito di Chanel adattissimo, nero e severo con un colletto di pizzo ecrù che all’acquisto le era sembrato molto gran dame, ma che era perfetto per quella nuova, dignitosa Grimilde che voleva presentare al mondo. Senza gioielli o girocollo di perle? No, niente perle… troppo signora di mezza età. Anche se dentro si sentiva emotivamente morta, esteriormente aveva ancora 18 anni, che diamine! Meglio non esagerare, aveva pensato quella mattina fieramente dritta davanti allo specchio.
In macchina, quindi, aveva riacceso i cellulari ma il continuo stridio elettronico dei centinaia di messaggi ricevuti le diede così fastidio che li tornò a spegnere subito. Arrivata davanti alla scuola, scese con la solita alterigia anche se le gambe le erano diventate pesanti come macigni. Ignorò volutamente gli studenti intorno a lei, alzò il mento e sforzandosi di mantenere un passo elastico e rilassato entrò nell’edificio. Impossibile non sentirsi addosso il peso di centinaia di occhi puntati su di lei: tutti la guardavano. Tutti. Bisbigliavano e la guardavano, alcuni la indicavano col dito senza nemmeno preoccuparsi di nascondersi. Evidentemente, non vedevano l’ora di sputtanare pubblicamente quell’antipatica di Grimilde, pensò Veronica amaramente.
In quel momento si sentiva così sola che se avesse avuto un cuore collegato ai dotti lacrimali avrebbe pianto.
“Bel vestito” disse improvvisamente una voce nota alle sue spalle “Indubbiamente d’effetto, il colletto di pizzo fa molto eroina vittoriana . Ma non è il look che ti si addice di più e sono certo che il buon vecchio Dante Bianchi sarebbe d’accordo con me nel preferire una di quelle tue deliziose camicie trasparenti.”
Tebaldo. 
Veronica si girò a fronteggiarlo e sconcertata si rese conto di provare il fortissimo e malsano impulso di scoppiargli a piangere sulla spalla. Inimmaginabile! Piuttosto avrebbe preso un gancio da macellaio e si sarebbe autosgozzata nel bel mezzo dell’atrio della scuola.
“Ciao cugino” mormorò a voce bassa per non far sentire che tremava “Se proprio ti piacciono tanto, te ne posso regalare un paio delle mie camicie: sono certa che le porteresti con estrema disinvoltura, visto quanto sei abituato a portare in giro senza vergogna la tua faccia da deretano.”
Tebaldo fece un fischio mentre gli occhi gli scintillavano divertiti.
“Accidenti, Grimilde, hai proprio in canna le munizioni pesanti! Vorrei però ricordarti che non è a me che dovresti rivolgere i tuoi missili telescopici, ma al tuo caro e candido Bambi e gli altri caprioli amici suoi.”
“Tranquillo che ognuno avrà quel che si merita” tagliò corto Veronica duramente “A parte te che invece di stare qui a godere delle disgrazie altrui meriteresti un bel bagno in una vasca di guano molle.”
“Cosa che a quanto pare hai meritato anche tu” ribatté Tebaldo piacevolmente “Sarebbe bello sapere il perché di tanto livore nei miei confronti. Posso giurare con assoluta buona fede di non aver mai e poi mai istigato il branco di cerbiatti ad attaccare la strega cattiva, anche se chiunque avesse visto il film di Biancaneve avrebbe potuto prevederlo…”
Veronica avrebbe voluto ribattere sfogando almeno in parte la tensione che le stringeva le viscere, perché dopotutto interagire con Tebaldo, per quanto l’interazione fosse molto simile a un litigio, era comunque camminare su un terreno conosciuto… ma fuggevolmente, con la coda dell’occhio, individuò un terzetto intento a confabulare e le parole le si bloccarono in gola. Le tre Marie, le riconobbe Veronica con una improvvisa accelerazione dei battiti cardiaci.
“Ecco” le sfuggì quindi dalla bocca con voce flebile “Sono arrivate le orche assassine. Mettiti pure in un angolo a goderti lo spettacolo: scommetto che dopo esserti scompisciato con il video degli scherzi di natura, vedere il branco di orche che mi fa a pezzi sarà qualcosa che ti renderà luminosa la giornata. Non trattenerti sull’applauso finale, mi raccomando.”
“Sempre la solita prevenuta” sospirò Tebaldo con aria dispiaciuta “Quando col senno di poi vorrai chiedermi scusa strisciando, sappi in anticipo che ti perdono per la tua insulsa cafonaggine.”
“Quanto sei magnanimo.” ringhiò Veronica.
Ma era distratta dal pensiero delle tre Marie a pochi metri da lei: prima o poi doveva affrontarle, pensò battagliera, ed era meglio prima che poi. Via il dente via il dolore, no? Quindi decise di alzare coraggiosamente una mano per attirare la loro attenzione.
Ecco, l’avevano vista; ecco, confabulavano sottovoce fissandola come i coyote fissano le prede prima di azzannare; ecco, partivano in gruppo compatto avvicinandosi a lei. Tebaldo sembrò dileguarsi nel nulla: Veronica se ne accorse anche senza guardare perché le mancò il conforto della sua presenza alle spalle. Posto che fosse confortante avere un cobra velenoso alle spalle, ma era quello che le aveva sempre passato il convento.
Maria Beatrice, in pole position rispetto alle altre due, era ormai a pochi metri da lei. Veronica poté vedere i suoi occhi scintillare eccitati, ma non abbassò lo sguardo: aspettò fieramente, metro dopo metro, che Maria Beatrice la raggiungesse, tallonata da Maria Vittoria quasi ansimante e da Maria Ludovica, pigramente ultima.
“Veronica!” squittì Maria Beatrice a voce altissima.
“Buongiorno.” Rispose Veronica con le labbra insensibili: stava aspettando la prima, micidiale domanda con tutti i nervi tesi e il viso pallidissimo. Fu per questo che subito non capì bene quando Maria Beatrice, eccitatissima, sparò a trecento decibel tutta la sua ammirata curiosità:
“Adesso mi dici come hai fatto a convincere il cantante X-Aj a fare con te e Tebaldo quella meravigliosa pubblicità con i cani!”

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


“Si, Veronica, che colpaccio!”
“Ma perché non ci hai detto niente? Avrei pagato a te e a Tebaldo una stola di visone pur di essere con voi sul set!”
“Siete proprio due vipere… due vipere baciate dalla fortuna!”
Veronica, muta, si limitò a sbattere le ciglia: saggiamente decise di non fare domande ma di aspettare che le tre Marie palesassero il loro gioco, o la loro dipartita mentale, a seconda di quale fosse il reale motivo di quell’assurdo farneticare.
“Sì, ieri dopo che ho visto su You-tube quell’infamante video su di te confesso che ho pensato…”
“Eh, ma poi è stato pubblicato subito dopo quello con X-Aj… cioè, voglio dire, X-Aj!!”
“Giuro che quando stamattina ho visto la gigantografia sono…”
…gigantografia???
“… stramazzata a terra dall’invidia!”
 “Naturalmente l’avete fatto per una causa molto nobile, ma ti ricordo che anche io sono sempre stata favorevole al volontariato e avrei potuto…”
“… e chissà da quanto tempo ci stavate lavorando sopra, tu e Tebaldo! Ecco il perché di tutte quelle sue visite a domicilio…”
“… senza contare che in quella gigantografia sei favolosa! Quel cappello così trendy è quello della collezione Frankie Morello?”
Cappello… quella mortifera cuffia a fiori?
“Morello… no, quello è un… pezzo vintage.”
“Sei proprio un’icona fashion!” sospirò Maria Beatrice estasiata.
“Si già… e, ehm, dov’è che avrebbero piazzato questa gigantografia?”
Le tre Marie si lanciarono uno sguardo divertito e Veronica temette la gaffe diplomatica.
“Che sciocchina” chiocciò alla fine Maria Lucrezia magnanima “Non devi per forza fare la finta modesta… non con noi, almeno! Cioè, siamo o non siamo le tue migliori amiche?”
Veronica per un pelo non scoppiò a ridere istericamente.
“E comunque la gigantografia fa davvero un figurone, così davanti alla scuola!” sospirò Maria Vittoria girando il viso estatico verso l’uscita.
Veronica, quasi in trance, si avviò malferma in quella direzione, seguendo una traiettoria rettilinea.
La gigantografia c’era proprio, non era un miraggio… ed era proprio enorme! Per forza le Marie l’avevano presa in giro, passando davanti alla scuola era impossibile non vederla. Il fatto che le fosse sfuggita era un chiaro segnale dell’assurdo livello di stress durante il suo tragico ingresso a scuola. Veronica, a naso in su, osservò la gigantografia cercando di non far trapelare la meraviglia dal viso: in un satinato bianco e nero, divisa in tre fotogrammi, l’immagine riprendeva tre persone diverse intente ad accudire dei cani evidentemente rinchiusi nelle anguste gabbie di un canile.
La prima era una tizia dall’espressione un po’ assente con due cani enormi che le saltavano intorno giocosi; apparentemente quella tizia non faceva niente, se non stare lì con dubbio entusiasmo. Veronica faticò a riconoscersi in quel serioso bianco e nero, eppure con quella cuffia in testa non poteva essere che lei! Nel secondo fotogramma un bel ragazzo dal mento volitivo e l’aria un po’ arrogante spazzolava amorevole un grosso bastardone con la lingua penzoloni e l’aria soddisfatta. Tebaldo, in tutta la sua spocchiosa bella presenza, faceva la sua porca figura anche con addosso il grembiulone d’ordinanza e gli stivali da cavallerizzo; Sancho invece era più signorile e fotogenico di Gary Cooper. Nel terzo, il famosissimo cantante X-Aj coi suoi rasta al vento e i suoi tatuaggi in bella vista rovesciava dei croccantini in enormi ciotole assaltate da un’orda di cuccioli. Una scritta attraversava i tre fotogrammi a caratteri cubitali: BASTA UNA MANO, E PUO’ ESSERE LA TUA.
Cavolo, proprio una frase ad effetto! Sotto, discreti ma ben visibili, il logo dell’ente protezione animali e qualche sponsor, tra cui la casa farmaceutica gestita dal padre di Veronica.
Mentre ancora era a naso in su, una sensazione strana perforò il guscio annichilito che la avvolgeva: sollievo. Una immane, liberatoria leggerezza le sciolse le spire che le bloccavano il respiro, lasciandole addosso quasi un senso di languore.
Accidenti, se c’era andata vicino… dopo aver sfiorato la rovina sociale, trovarsi ancora incolume grazie quella foto le stava provocando quasi un senso di vertigine. Povera Gladi morta invano per una causa che non era nemmeno nata, pensò poi quasi con tristezza: Grimilde non disse niente, gongolando malvagiamente con lo scettro lucente in mano.
Niente, constatò Veronica esilarata, la schizofrenia non voleva abbandonarla… ancora di più si sentì tremare quando dalle acque del subconscio emerse il nome del deux ex machina di quel salvataggio in extremis: Tebaldo. Chi altri poteva essere se non lui? Veronica ne fissò l’immagine in bianco e nero, il sorrisetto allusivo anche in quella posa bizzarra, l’eleganza studiata, l’assoluta, snervante tranquillità con cui sembrava trovarsi a proprio agio dovunque… Una ridda confusa si sensazioni contrastanti accompagnò l’immagine del giovane.
Quell’incredibile cugino: se lo trovava sempre di fianco, quando inciampava e rischiava di cadere rovinosamente a terra… meglio non mitizzarlo però…
Quel machiavellico manipolatore: chissà com’era venuto a conoscenza di quel casino? E come gli era venuta in mente quella brillante soluzione? Magari era pure stato lui a ordire il tutto!
Quel porco patentato! E magari doveva anche essergli grata…
“Senorita, non ricominsar con le crisi de personalidad multipla” la rimproverò interiormente la voce riveduta e corretta di Inocencia: probabilmente era in lizza per prendere il posto della defunta Gladi come surrogato di coscienza, ridacchiò Veronica tra sé e sé.
Ma comunque: Tebaldo. Beh, ovvio che ci fosse il suo zampino di mezzo, quel maledetto riusciva a infilare quel suo aguzzo naso antipatico dovunque. Minimo doveva ringraziarlo: uffa, l’aveva anche preso a pesci in faccia, quella mattina… ecco perché sembrava ridersela tanto! L’ipotesi che Tebaldo in realtà fosse il sobillatore di Bianchi al solo scopo di umiliarla era sempre più plausibile. Mentre ancora le tre Marie stavano arrancando sulla sua scia, incerte sia per i tacchi 12 dei loro sandali sia per il contegno bizzarramente silenzioso dell’amica, Veronica fece dietrofront e marciò di nuovo all’interno dell’edificio.
“Ma dove vai?” si decise a strillarle dietro Maria Beatrice, frustrata.
“La nostra amica è un po’ strana stamattina” approvò Maria Ludovica a voce altissima, certa che gli astanti intorno non vedessero l’ora di sapere i rapporti che legavano quelle tre splendide Dee con la ragazza del cartellone “La nostra amica Veronica, quella che conosce X-Aj così bene da convincerlo a fare una pubblicità insieme!”
Aggiunse una risata acutissima e Maria Beatrice e Maria Vittoria si girarono a fissarla meravigliate, del tutto ignare dei moti mentali che la motivavano.
“MariaLu, ma ti senti bene?” si preoccupò Maria Vittoria mentre Maria Beatrice, più prosaicamente, si infilava di nuovo sulla scia di Veronica, seguendola dovunque questa stesse andando: in quel momento l’amica era la stella della scuola e Maria Beatrice era decisa a vivere il più possibile di luce riflessa, anche se quello voleva dire starle appiccicata come una cozza allo scoglio.
“Veronica, aspettaci!” gorgogliò quindi affannata, ticchettando sul pavimento di marmo dell’atrio come una diligente dattilografa sui tasti della macchina per scrivere.
Fu così che Tebaldo le vide arrivare: Veronica per prima, nel suo dignitoso abito nero con colletto di pizzo, e le tre Marie dietro, intente in una improbabile gara di corsa sui tacchi all’inseguimento dell’amica del cuore (leggi: fama e popolarità).
“Santi numi” mormorò mentre le labbra gli si stiravano in un sorriso sardonico “L’intera delegazione delle streghe di Eastwick in grandi ambasce: speriamo che non siano a digiuno.”
Serena Colombi, che quasi spariva anonimamente al suo fianco, accennò un sorriso incerto, ma subito si perse ad osservare Veronica che si avvicinava. Non l’aveva mai vista così da vicino, la mitica Grimilde Alberici Scarlini della Torre: accidenti, era davvero bella. Gli occhi verdognoli, così dolorosamente simili a quelli di Tebaldo, spiccavano sul volto pallido incorniciati dai capelli neri in un allure drammatico e altezzoso, ma indubbiamente di grande effetto. Una Regina fatta e finita, senza nessun dubbio.
“Tu!” esclamò con voce imperiosa detta Regina quando arrivò a un metro da Tebaldo: gli si fermò fieramente di fronte senza nemmeno sfiorare Serena con lo sguardo, che non poté fare a meno di sentirsi un po’ mortificata.
“Vostra Maestà ha chiamato?” ironizzò Tebaldo con un inchino.
“Non credere che ti dica grazie!” ruggì Veronica corrucciata e Tebaldo fece spallucce indifferente.
“Infatti non dico niente. Sono molto diplomatico, io.”
“Si, diplomatico! Il re dei burattinai manipolatori. Comunque, beh… grazie.”
“Avevi detto che non me l’avresti detto.”
“Duecento metri quadri di cartellone e neanche un grazie… nemmeno nonna Veronica oserebbe tanta cafonaggine. Forse solo tu potresti.”
“Un grazie e un vaffanculo nella stessa frase, che classe! Come ci riesci?”
“Come sei riuscito tu, vorrei sapere.”
“A fare cosa?”
“Il cartellone. La celebrity. Il bianco e nero patinato. Lo slogan. Il cane che non è morto appestato dalla tua presenza. Soprattutto, l’informazione: come sapevi dei piani di Bianchi? Li hai ventilati tu poi ti sei pentito? Ti hanno rapito gli alieni e ti hanno detto di farlo? Spiegami, dai: qualsiasi ipotesi mi sembra buona.”
Nel frattempo erano arrivate le tre Marie che ben lungi dal considerare la faccenda degli alieni, si persero tutte a fissare Tebaldo con evidenti sentimenti contrastanti. Maria Vittoria sembrava vagamente intimorita, Maria Beatrice famelica e Maria Ludovica omicida.
“Buongiorno” salutò Tebaldo educatamente “Colgo i famosi due piccioni con una fava presentando a te, Veronica, l’alieno suggeritore e presentando la stessa ospite, la signorina Colombi, a Maria Beatrice, Maria Vittoria, Maria Ludovica. Non so bene quale nome associare a quale cofana di capelli, quindi fate voi…”
“Piacere.” pigolò Serena: gli sguardi delle quattro ragazze caddero su di lei quasi di schianto, facendola sentire di colpo piccola e insignificante come un seme di girasole: lo sguardo di Veronica, in particolare, le pesò addosso come un gigantesco macigno.
“Chi è?”
“Cos’è?”
Chiesero quasi in coro le Marie rivolte a Tebaldo, abbastanza scandalizzate.
“Colombi” sentenziò invece Grimilde con voce e sguardo freddi come se li avesse appena tolti dal frigo “La fidanzata di Bianchi.”
“Ex fidanzata.” dissero in coro Serena e Tebaldo.
Si guardarono e Veronica, per qualche assurdo motivo, si trovò prossima ad azzannare la ragazza per la giugulare.
“Devo parlarti in privato.” ordinò subito al cugino con voce così perentoria che persino Tebaldo non se la sentì di disobbedire e con un sospiro rassegnato, la seguì lontano dallo orecchie indifese di Serena e da quelle frustrate delle tre Marie. Veronica marciò per i corridoi senza meta e quando fu certa che nessuno avrebbe potuto seguirli né ascoltarli né leggere il loro labiale, si girò verso Tebaldo e gli arrivò bellicosa a un millimetro dal naso.
“Spiegami” ringhiò tra i denti “Avanti, raccontami tutto, scandendo bene le parole così anche una persona semplice come me può capire. Cosa c’entra il topolino grigio?”
“Lavora al canile e ha notato alcune manovre strane di Bambi e dei suoi amici. E’ venuta a riferirmele e io, memore della faccenda di Gladi dopo l’ultima visita dei Bianchi a villa Scarlini, ho pensato che fosse meglio preparare un piano di battaglia per parare il culo della mia diletta cugina in caso di crisi diplomatica.”
“Perché?”
“Perché sono tragicamente bello e buono e questa illuminazione d’immenso dona tantissimo al mio profilo in fotografia.”
“Perché Topo Gigio è venuto a riferirti le manovre di Bianchi, intendo dire.”
“Mah… è una plebea, e chi lo sa quali assurde motivazioni muovono i cervellini atrofici di quegli esseri subumani… forse gentilezza d’animo? Ma no, che dico, quella cosa si è estinta coi dinosauri…”
“Smettila di fare il buffone e dimmi la verità!” minacciò Veronica visibilmente alterata.
“Non la capiresti” rispose Tebaldo pacificamente “Come fatico a capirla io. Ci ho messo due giorni per arrendermi e accettare il fatto che non c’è stato nessun motivo recondito per cui lei mi abbia avvisato, se non la pura, elementare equità. Semplicemente, l’ha fatto perché le sembrava giusto farlo: ha seguito quella cosa che a noi manca completamente dalla nascita, Grimi carissima, ovvero la voce della coscienza.”
“Stai parlando di Santa Maria Goretti o di topo Gigio?”
“Piantala con questa storia del topo.”
“Hai ragione, la poverina somiglia di più a una di quelle ciabatte in lana cotta che si usano in montagna. Ovviamente, al pari delle ciabatte, pure per la Colombi ci sarà un motivo esistenziale, anche se al momento mi sfugge.”
“Che cattiveria allo stato puro! Non è da Grimilde accanirsi così tanto, di solito il disinteresse è la sua arma preferita; dovrebbe forse chiedersi perché ce l’abbia tanto con lei. Comunque si chiama Serena.”
“Chi?”
“La Colombi. Serena Colombi.”
“Ti ricordi pure nome e cognome… diavolo, questo è vero amore!”
“Non capisci proprio niente, Grimilde.”
“Smettila di chiamarmi Grimilde!”
“E come dovrei chiamarti? Biancaneve? Bambi due la vendetta? O vuoi insistere a mettere di mezzo la povera Gladi?”
“Gladi è morta.”
“Pace all’anima sua.”
“L’hai uccisa tu, ti ricordo. Non ti dispiace neanche un po’?”
“Sono ovviamente dilaniato dal dolore per la perdita, ma non lo do a vedere perché sono un gentleman.”
“Eppure mi sembrava che Gladi ti fosse simpatica, visto come apprezzi il basso volgo ultimamente.”
“La trovavo teneramente folkloristica, la povera Gladi, e vorrei farti notare come sono divinamente diplomatico nel non insistere sul fatto che la prima a interessarsi al basso volgo sia stata proprio tu, con la tua assurda cotta per Bambi.”  
“E’ questo che ti brucia? Il fatto che io abbia notato qualcuno che non era della ristretta cerchia di Re Tebaldo? Sta a vedere che alla fine sei stato tu stesso a istigare la vendetta di Bianchi!”
“Anche se ammetto che sembra fantascienza pensare che Bambi possa avere idee proprie e spontanee, è offensivo che quando il tuo piccolino fa qualche marachella cerchi di mettere in mezzo me. O è perché non puoi fare a meno della mia presenza?”
“Ma sentilo! Sai cosa ti dico?”
“No, cosa mi dici, avanti!”
“Ti dico…”
Voleva dirgli un sonoro e liberatorio vaffanculo, ma era troppo vicina, gli occhi di Tebaldo lampeggiavano fosforescenti e come in un onirico dejà vù Veronica si trovò stampata contro le sue labbra prima ancora di pensare di finire la frase.
Di nuovo.
Come la volta precedente non fu un bacio calcolato o studiato o appena concesso: fu come inciampare e cadere in un burrone infinito, con l’adrenalina che intasava la gola e un unico desiderio impellente che lampeggiava come un neon, quello di stringersi a Tebaldo, avere le sue mani addosso, sentire il suo respiro dappertutto, il suo sapore dovunque… una sete alimentata dall’acqua di mare delle sue labbra, che invece di placarla la acutizzavano ferocemente.
Come la volta precedente, durò un secolo o un millesimo di secondo: Tebaldo si staccò bruscamente e Veronica non cadde lunga distesa per terra solo perché causalmente si appoggiò al muro alle sue spalle, ansimante e febbricitante. Tebaldo si riprese subito, aggiustandosi il colletto della camicia in un gesto così inusuale per lui che Veronica vi inchiodò sopra gli occhi affascinata.  
“Accidenti, Grimilde” gorgogliò lui e la sua voce era quasi rauca “Capisco la crisi d’identità e tutto il resto, ma non è che puoi finire per saltarmi addosso tutte le volte che litighiamo!”
“Io!” lo interruppe Veronica quasi strillando “Ma se sei tu che ogni volta che mi avvicino mi pianti quella tua stupida bocca addosso!”
“Ho dovuto strapparti la camicia dalle dita, dai!”
“E le tua mani dov’erano parcheggiate, di preciso?”
“Tu…”
Erano di nuovo vicinissimi e per un attimo da capogiro Veronica si sentì ancora calamitata verso di lui con la potenza atavica di un polo magnetico. Li in mezzo, in quella manciata di nulla che li separava, si addensò un desiderio quasi tangibile, insopportabile: Veronica dovette conficcarsi le unghie nei palmi per non cadere di nuovo addosso a Tebaldo e alle sue (maledettissime!) labbra. Tremando dallo sforzo di resistere, vide riflesso lo stesso suo sconcerto negli occhi di Tebaldo, e questo la aiutò a fare un passo indietro, un passo che le esaurì le forza lasciando che si appoggiasse debolmente di nuovo contro il muro. Tebaldo fece altrettanto, muto: e quel mutismo e quello sconcerto erano così ridicolmente palesi che nessuno dei due se la sentì di fingere che non esistessero.
“Ok” mormorò Tebaldo con voce asciutta “Evidentemente i tuoi cambiamenti atmosferici interni provocano qualche ripercussione anche alla sfera di chi ti sta troppo vicino, quindi forse è meglio se… stai un po’ lontana.”
“Non capisco.” ammise Veronica in un insolito slancio di sincerità.
“Credo che qualcosa ci voglia dire che sul piano fisico siamo abbastanza compatibili.”
“Forse. Ma non succederà mai che io e te torniamo insieme.”
Le era scappato di bocca, più come per esorcizzare una paura inconscia che per dire qualcosa che pensava realmente. La faccia di Tebaldo, per un momento, assunse una comica espressione scandalizzata.
“Insieme… io e te? Certo che no! Chi ti ha messo in testa quest’idea apocalittica?”
Già, chi gliel’aveva messa in testa? Il fatto di trovarsi Tebaldo spalmato addosso ogni santa volta che gli stava a meno di un metro non poteva di sicuro essere un motivo valido!
“Io pensavo… ti sei fatto in quattro per aiutarmi con la faccenda di Bianchi e del suo piano per rovinarmi che io…”
Tebaldo rise: la classica risata tebaldesca grondante schermo, quella capace di mortificare persino una regina come Grimilde
“Ma davvero, tu  pensavi! Grimilde carissima, proprio non ti riconosco più! Te lo spiegherò con parole semplici, così capisci, qualsiasi cosa stia succedendo al tuo povero cervellino placcato d’oro: l’unico motivo per cui ti ho aiutato è che siamo cugini e la tua rovina sociale significa la mia rovina sociale. Mi è toccato correre ai ripari per non finire con te nel ridicolo. Fine, punto. Ma davvero credi che io potrei essere innamorato di Grimilde?”
Innamorato… innamorato? E chi aveva mai parlato di amore? Chi aveva mai voluto anche solo ventilare l’ipotesi… perché, c’era un’ipotesi? Veronica era del tutto scombussolata: doveva aver esaurito tutto il suo sangue freddo il giorno prima con Bianchi perché in quel momento, pur scavando il fondo del barile, non ne racimolava nemmeno un pò.
“Perché, Grimilde e una creatura così spiacevole?” fu l’unica pietosa domanda che riuscì ad articolare. Tebaldo le riservò uno dei suoi lunghi sguardi sprezzanti.
“Si lo è” disse infine, lapidario “Grimilde è sostanzialmente una superficiale che diventa profonda solo quando intende essere crudele. Non gliene frega di niente e di nessuno. Io innamorato di una strega simile? Fammi il favore. Francamente, cerco di meglio.”
Lè, sistemata Grimilde una volta per tutte; inchiodata da poche scarne parole al suo trono, la faccia di pietra e il cuore di ghiaccio. Com’era che Veronica sentiva ancora e sempre più potente quel pungolo ritmico in mezzo al petto che doleva come un cuore infilzato? Senza porsi altre domande, alzò impercettibilmente il mento, pallida come se tutto il sangue le fosse defluito dal corpo.
“Non ti sei nemmeno accorto che ti sei fatto l’autoritratto” ribatté con voce asciutta “Grimilde ringrazia, comunque, per la chiara esposizione dei fatti. E’ anche contenta che il tuo infallibile istinto per le persone buone, quello che indubbiamente ha mosso il tuo cuore in questi 19 anni di vita, ti abbia avvicinato alla tua bianca Colomba. Perché immagina che sia lei la perla rara che stavi così affannosamente cercando, no?”
In mezzo al suo viso di pietra, lo sguardo di Tebaldo era verdognolo e impenetrabile.
“Forse.” rispose piano.
Veronica, chissà perché, pensò a un muro crollato, pieno di macerie grigie e polverose.
“Che cosa sorprendente” continuò, sempre con quella voce che veniva da una bocca piena di ovatta “Se me l’avessi detto prima che cercavi una donzelletta a cui raccattare il fazzoletto da terra, avremmo potuto farci due grasse risate molto tempo fa… questa parte di te mi è completamente nuova.”
“Grimilde non ha mai voluto sapere niente di me che andasse al di là della marca delle mie cravatte.”
“Può darsi. Grimilde è un po’ stronza, in effetti.”
La dichiarazione sembrò sorprendere Tebaldo che le riservò uno sguardo blandamente incuriosito.
“Comunque” tagliò corto Veronica allontanandosi di un passo “Quello che conta è che la regina sia salva, Bianchi sistemato e  tu e Topo Gigio per sempre felici e grigiastri insieme. Che favola deprimente: devo farmi fare un massaggio o mi verranno le rughe a pensarci. Beh, ancora grazie, caro cugino, Grimilde trova lodevole il tuo attaccamento alla dignità della famiglia Scarlini della Torre. Ah, Grimilde saluta e ringrazia anche Topo Gigio, falle avere l’ambascia quando la vedi.”
“Non mancherò” rispose Tebaldo altrettanto asciutto “Ma attenta: parlare di se stessi in terza persona è sintomo di profonda instabilità mentale.”
Veronica fece un altro passo lontana da lui, e irragionevolmente sentì freddo.
“Forse ti sfugge il fatto che parlando di Grimilde non parlo più di me stessa.” mormorò a voce bassa: poi non attese risposta, girò i tacchi e se ne andò via a testa alta.
*          *          *
Eccola, era finalmente arrivata: Paolo Bianchi sentì lo stomaco scendergli sotto i piedi quando Veronica Scarlini della Torre entrò in classe, seguita quasi a passo di danza dalle tre Marie. Era regalmente sobria e modesta in quell’abito nero che sembrava impallidirla: le lunghe ciglia nere frangiavano gli occhi abbassati, quasi indifferenti al brusio eccitato che l’accompagnava. Un’eroina vittoriana, pensò Bianchi inchiodato al suo banco senza sapere di condividere il pensiero di Tebaldo Santandrea della Torre: una stramaledetta eroina che faceva pure la pudica stando tutta sulle sue, accettando regalmente i complimenti con un mesto sorrisetto. Paolo non sapeva se esserne ammirato o disgustato: in ogni caso, doveva togliersi il peso di parlarle, perché non aveva chiuso occhio quella notte e anche se al mattino, arrivando a scuola, la gigantografia all’ingresso l’aveva tramortito come trovare il Santo Graal sulla via di Damasco, continuava a sentirsi fastidiosamente in colpa ed era già stufo di arrovellarsi nei rimorsi. Gli ci era voluta giusto una notte in bianco per capire che la vendetta non faceva per lui. A dire il vero erano poche le cose che riguardavano Veronica Scalini della Torre e che facevano per lui. Forse.
Già, forse.
Perché dopo il rimorso, ciò che più gli intorpidiva le budella erano le parole buttate lì da Grimilde, con quel tono piatto che poteva voler dire mille cose o forse nessuna.
“Quel bacio era vero.”
Francesco e Pasquale lo avevano interrogato due ore su quella frase, di che bacio stesse parlando Grimilde, chi avesse baciato chi o cosa, se bacio era una metafora freudiana o se stava a significare qualche minaccia di stampo mafioso… e poi a casa,  la propria crocifissione a opera delle sorelle… e poi di nuovo all’ingresso della scuola, davanti a quel mega cartellone, sorelle e amici associati a chiedere cosa diavolo fosse successo, proprio a lui che era l’ultima persona che poteva sapere qualcosa! Non aveva avuto tempo materiale per pensare al bacio di Grimilde. A essere del tutto sinceri, non aveva voluto pensarci: quel bacio aveva scoperchiato il vaso di Pandora della consapevolezza che Gladi non esisteva, da cui era scaturita tutta una serie confusa di cose, la delusione, la convinzione di essere di nuovo per la millesima volta preso per il culo, la rabbia, la sete di vendetta. E dopo, il rimorso, di nuovo la rabbia ma stavolta con se stesso, l’esasperazione… solo in quel momento di relativa calma, a lezione appena iniziata, aveva effettivamente il tempo e la voglia per pensare a quel bacio. Quell’assurdo, surreale contatto con la bocca di Grimilde, quella delizia folle nel sentirsi inondare la narici dal suo profumo buono e costoso, quella sorpresa nel sentire la morbidezza delle sue labbra… all’inizio non era sicuro che gli fosse piaciuto perché era troppo sconvolto. Ma in quel momento, con la regale schiena di Veronica rigida nel banco di fronte, con la voce soporifera della professoressa di latino che parafrasava Ovidio, poteva finalmente chiederselo e rispondersi che si, in fondo gli era piaciuto. Se solo non fosse stata Grimilde…
“Quel bacio era vero.”
Beh, forse non era Grimilde in quel momento. Peccato non fosse stata Gladi.   
“Anche Gladi era vera.”
Gladi non esisteva.
“Solo che si chiamava Veronica.”
Oddio, che confusione! Ormai ogni convinzione che aveva stava vacillando: era sicuro di odiare Grimilde e di apprezzare Gladi, ma dopo quel bacio e dopo il putiferio scatenato da quel suo aborto di vendetta infelice e maldestra, Paolo non era più sicuro di niente.
Ci mise un’intera giornata di lezione per rielaborare tutto e di nuovo giunse alla conclusione che doveva parlare a Grimilde. Scusarsi, anche se non ce n’era più bisogno perché, a quanto pareva, le aveva fatto un favore, vista la botta di popolarità che quella foto aveva scatenato. In ogni caso, popolarità o no, lui doveva fare qualcosa per smettere di avvelenarsi il sangue a quel modo. Quindi al termine dell’ultima lezione, schizzò in piedi come sparato dal cannone per placcare Grimilde sulla porta, ma si trovò ostacolato dal muro umano dei compagni di scuola che si accalcavano per complimentarsi con la nuova star del momento. La quale, inalberando sempre quella sua nuova e aristocratica modestia, veleggiò tranquilla lungo tutto l’atrio della scuola senza che lui riuscisse a vederne più di un pezzo alla volta e mai in viso. Quando erano quasi all’uscita, in uno slancio degno di un mezzofondista olimpico, Bianchi riuscì a guadagnare la posizione al suo fianco.
“Veronica, ti devo parlare.” si affrettò a dire tutto d’un fiato all’altezzoso profilo della ragazza: non aveva capito che Veronica aveva rallentato in prossimità di un’altra strana coppia che si stava dirigendo verso di loro. Si ritrovò quindi quasi di colpo in un tete à tete a quattro con Grimilde, il temibile Tebaldo Santandrea della Torre e…
A sorpresa, la piccola ed evanescente Serena Colombi, quasi aggrappata al suo fianco. 
*          *          *
Serena non era abituata ad essere guardata: di solito la gente nemmeno si accorgeva della sua presenza ed era talmente abituata a quello stato dell’arte che in quel momento, dove la stavano guardando tutti, si trovava in forte difficoltà.
“Tebaldo” sussurrò quindi al giovane che le camminava vicino “Mi dici perché devo seguirti?”
Lui non rispose: se ne stava crucciato con le mani in tasca e lo sguardo fisso, come se andasse da qualche parte ma non sapesse bene dove.
“Tebaldo” lo chiamò di nuovo Serena a voce più alta “Mi senti? Puoi… puoi sbarcare di nuovo sulla Terra e darmi udienza, per favore?”
“Lo sai che quel crotalo cornuto ha osato dire che l’idea della vendetta di Bianchi sia mia?” sbottò lui perfettamente a sproposito come se continuasse un discorso lungo di ore.
“Si” rispose Serena con un accenno di impazienza nella voce “Me l’hai già detto più volte. Quello che non so di preciso è cosa sia un crotalo cornuto, ma visto che ti riferisci a Veronica non deve essere niente di buono per forza. Ah, e continuo anche a non sapere perché sono qui.”  
Tebaldo stavolta sembrò averla sentita perché il suo sguardo cupo si animò mentre fermava impettito la sua marcia prussiana.
“Buongiorno.” disse poi affabile e solo allora Serena si accorse che si era fermato davanti a una coppia che probabilmente appariva surreale e disarmonica quanto lei e Tebaldo affiancati: si trattava di Veronica Scarlini della Torre, magnifica e inappuntabile col suo bell’abitino nero, e Paolo Bianchi, biondo, evanescente e tutto sghembo in jeans spiegazzati e maglioncino azzurro col bordo slabbrato. Lo sguardo di Serena scivolò via da Veronica e si fermò sugli occhi di porcellana azzurra di Bianchi, spalancati dalla sorpresa. Per un attimo fu paralizzata da un improvvisa e lancinante nostalgia: l’azzurro degli occhi di Bianchi era così pulito e noto, tiepido e chiaro, come l’abbraccio di una vecchia coperta pulita. E dopo la cacofonia imbarazzante dei fan di Tebaldo, i bisbigli alle spalle, le occhiate gelide delle Marie e la demolizione verbale ad opera di Grimilde, Serena sentiva di avere tanto bisogno di una coperta calda.
“Ciao.” pigolò quindi con voce tremante.
“Ciao?” rispose Bianchi ancora flashato dalla sorpresa.
“Anche a tutti voi, saluti e ossequi vari” aggiunse seccamente Veronica “Ora che ci siamo dimostrati così educati e riguardosi gli uni nei confronti degli altri, se permettete andrei a casa a farmi un idromassaggio disintossicante, grazie.”
Ma per quanto si sforzasse, non riuscì a partire: guardava Serena e benché il suo sguardo fosse ostile, c’era anche della curiosità e… del timore, si avvide Serena con malcelata sorpresa,
c’era proprio del timore negli occhi di Grimilde. Che avesse paura di lei? Lei, Serena Colombi? E perché? C’era… no, impossibile… ci poteva essere l’assurda e remota ipotesi che la Regina Grimilde potesse vedere lei, il topino grigiastro, in competizione…?
“Immagino di doverti dei ringraziamenti” disse ad un tratto detta Regina, rivolgendosi palesemente e pubblicamente a lei “Non so bene in che misura e in che maniera, ma visto che il caro Tebaldo intende farsi portavoce della tua beatificazione, non posso che condividere il suo entusiasmo.”
Le sorrise magnanima, come se si aspettasse una riverenza: Serena fu lì lì per farla davvero.
“Oh, ah… graz, ehm… prego?” balbettò invece arrossendo.
“E il caro Bianchi l’hai ringraziato?” sospirò dolcemente Tebaldo “Senza il suo fervente aiuto niente di tutto questo sarebbe stato possibile.”
Veronica lanciò una breve occhiata a Paolo, come se si  fosse accorta solo in quel momento di lui: Paolo infiammò di colpo e strisciò i piedi abbassando pudicamente lo sguardo.
“Io, ehm, ero qui proprio per, cof!, dire che… io sono uhm, sono, ecco... volevo parlare con te, Grim… ehm, cof!, Veronica.”
“Parla.” suggerì lei con voce polare.
“Si, Bambi, sentiti libero di esprimere te stesso liberamente.” rincarò la dose Tebaldo con un sorriso da pescecane.
“In… privato?” tentò Paolo ma lo sguardo di Veronica non ebbe bisogno di essere verbalizzato.
“Io sono… ci ho pensato e devo dire che… non so come dirti che… mi dispiace.”
L’ultima parola la disse sottovoce, sfinito. Strizzò gli occhi bassi e poi trovò il coraggio di alzarli e fissare lo sguardo terso e azzurro su Veronica.
“Davvero” aggiunse con voce un po’ più ferma “Mi dispiace.”
“Come minimo.” sussurrò Serena con un palese tono di rimprovero per il quale subito dopo sembrò la più sgomenta di tutti.
Bianchi sembrò diventare ancora più rosso e disperato, ma non abbassò gli occhi e suo malgrado Veronica ne apprezzò il coraggio.
“Ho sbagliato tutto” mormorò ancora “Sono stato un pirla. Persino chiederti scusa mi sembra una stronzata, perché non ho scuse. Volevo solo che sapessi che ho capito e che mi dispiace sul serio.”
Tebaldo, con lo sguardo soddisfatto del gatto che ha sotto la zamba un grasso canarino, stava per aprire la bocca e demolire Bianchi con poche affilate parole, e persino Serena e i curiosi intorno che fingevano indifferenza e origliavano assetati sapevano che quella sarebbe stata la naturale evoluzione di quel dialogo. I plebei in qualche maniera sarebbero stati demoliti, mai perdonati, messi alla berlina, insultati senza una sola parola sconveniente. Persino Bianchi, la vittima sacrificale, aspettava paziente sull’ara, sperando solo che si facesse presto.
Fu per tutti quindi una spiazzante sorpresa sentire Veronica precedere di un pelo Tebaldo e con voce impersonale e viso di marmo rispondere in maniera impossibile.
“Ok.”

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Sui quattro cadde un silenzio stupefatto: Serena e Tebaldo, ma persino Paolo, fissarono Veronica come se avesse appena rigurgitato bava verdastra dalla bocca invece che sussurrare quel semplice monosillabo.
“Ok?” fu il primo a riprendersi Tebaldo e lo fece con una drammatica alterazione nella voce solitamente composta.
“Si, ok” rispose semplicemente Veronica “Sono stufa di tutta questa faccenda. Chiudiamola qui e chi s’è visto s’è visto.”
“Ok?” ripeté Tebaldo minaccioso come se lei nemmeno avesse parlato “Cioè, questo mollusco con gli occhioni da rana rifila a Grimilde il più clamoroso pacco della sua vita, mi costringe a prostituirmi con tutte le conoscenze altolocate che ho per salvarle il culo, mi fa pensare che come minimo lo inchioderai per i pollici sforacchiandogli i bulbi oculari con i tacchi della tua collezione di sandali Dior e tu… tu dici Ok?”
“Hai detto bene” ribatté Veronica con voce piatta “Bambi ha rifilato a Grimilde il più clamoroso pacco della sua vita, ma siccome non voglio che quello che succede a Grimilde sia più affare mio, ho detto ok.”
“Hai detto ok?”
“Sei sordo? Si, e lo ridico, pure: ok! Bianchi mi hai sentito? Ok, ti perdono con benedizione plenaria e annullamento della Sacra Rota!”
“Tu non perdoni uno stramaledetto niente!” tuonò Tebaldo facendo un passo avanti minaccioso “Tu sei Grimilde e quello che devi fare è ingoiare vivo questo celenterato, masticarlo e centrare la sputacchiera con i suoi miserabili resti!”
A quella minaccia Paolo sbiancò ma Veronica non lo stava nemmeno guardando.
“Da quando in qua mi ordini tu quello che devo o non devo fare?”
“Da quando ti comporti come se fossi posseduta dallo spirito di una suor missionaria! Non puoi essere tu a parlare così!”
“Invece sono io. Se il mio comportamento ti sconvolge tanto perché non lo fai tu?”
“Perché non è me che ha sputtanato in mondovisione! Perché non puoi permettere che un così insignificante e inutile ragazzetto possa arrivare a te e comportarsi così!”
“Così come? Ammettere di aver sbagliato e chiedermi scusa pubblicamente? Perdonami se non mi sembra una cosa così orribile da subire, visto che è la prima volta in vita mia che qualcuno che mi ha ferito mi chiede scusa… al contrario di un certo nobile cugino, che nemmeno conosce il significato della parola.”
“Ci avrei scommesso che alla fine lo stronzo di turno sarei stato io!”
“Forse perché tu sei sempre lo stronzo di turno!”
“Non chiamarmi stronzo, regina di spocchia!”
“Non chiamarmi regina di spocchia, ghiacciolo!”
A forza di insultarsi si erano avvicinati fino a sfiorarsi: tacquero di colpo con i nasi a un millimetro di distanza, occhi furenti negli occhi furenti, così fastidiosamente simili e belli da sembrare davanti a uno specchio magico. Bianchi e Serena, che avevano seguito la diatriba girando gli sguardi dall’uno all’altra come in una interessante partita di ping pong, rimasero cristallizzati a guardarli che si guardavano, percependo quasi l’energia che si trasmettevano.
Veronica, assurdamente, guardava fisso la bocca di Tebaldo: era strano che nel bel mezzo del discorso le fosse bastato far inciampare lo sguardo sulle sue labbra per perdere completamente il filo e accorgersi con elementare semplicità di desiderare di baciarlo. Nient’altro che quello: toccare quelle labbra con le proprie, assaporarle, sentirne il calore. Quelle labbra che l’avevano già baciata, oh si, tante e tante volte: da fredde e scostanti agli ultimi baci arrabbiati e roventi. Mai niente che andasse al di là di Grimilde e Re Tebaldo che si scambiavano la reciproca freddezza. In quel surreale momento nel bel mezzo dell’atrio della scuola, con Bianchi e la Colombi come pubblico e gente intorno più o meno curiosa, Veronica invece non sentiva altro che il desiderio potente e primordiale di baciare Tebaldo per davvero, con calore, con passione, con…
No, quello non poteva nemmeno pensarlo!
Come se l’avesse improvvisamente morsa la tarantola, Veronica fece un salto indietro andando quasi a sbattere contro un tizio curioso che si era avvicinato troppo per origliare meglio la loro conversazione. Tebaldo ondeggiò come sbilanciato da un filo invisibile che li legava insieme, ma si rizzò subito ed era ancora più furente di prima: Bianchi e Serena si ritrassero impercettibilmente davanti a quella furia cupa e contenuta, rivelata solo dalla mascella contratta e dallo scintillio pericoloso degli occhi verdi.
“Molto bene” ringhiò Tebaldo e chissà perché sembrava che lo avesse perso anche lui il filo del discorso “Dunque le cose stanno così. Beh, Grimilde, la vita è tua: se stai andando fuori di cotenna e invece di demolire Bambi gli vuoi dedicare una serata di gala, fai pure.”
“Farò senz’altro come Re Tebaldo graziosamente concede” ribatté Veronica col respiro segretamente rapido e discontinuo come se avesse la febbre “La serata di gala è davvero un’ottima idea. Una bella festa a Villa Scarlini… naturalmente a scopo benefico.”
“Giusto e per rimanere in argomento il tema della serata potrebbe essere “Adotta un plebeo”. La nobiltà aderirà a frotte.” 
“Indubbiamente. Tu sarai in prima fila col tuo Topo Gigio, immagino.”
“E tu sul palco d’onore col tuo celenterato. Sarà solo un dramma abbinare i vostri look.”
“L’invito arriverà per posta e in carta satin riciclata, per non rovinare il mood eco-chic della serata.”
“Sarà favoloso.”
“Si, davvero speciale.”
Si stavano di nuovo guardando in cagnesco, da prudente distanza: Serena e Paolo si lanciarono uno sguardo spaesato prima che lui trovasse il coraggio di sfiatare.
“Una festa…?”
Lo sfiatò abbastanza forte da farsi sentire dalle tre Marie, in affannoso arrivo claudicanti sui tacchi.
In barba alla loro risaputa pochezza neuronica, le tre captarono la parola chiave “festa”, le facce furiose dei due cugini, quelle pallide dei due plebei tirapiedi e dedussero tutto il deducibile in un lampo magicamente contemporaneo.
“Una festa!” trillò deliziata Maria Beatrice “E’ scandalosamente troppo tempo che non ne date una, voi Della Torre! Davvero un’idea favolosa!”
“Finalmente ho la scusa per comprare quell’abito di Givenchy!” sospirò sognante Maria Ludovica.
“Quale sarà il tema?” si informò invece Maria Vittoria, entusiasta.
“Adotta un plebeo” rispose di rimando Tebaldo velenoso “Ormai la nostra piccola Grimilde non può fare altro.”
“Oh… originale!” esclamò Maria Vittoria con appena un filo di dubbio.
“Molto moderno!” sentenziò Maria Beatrice, che forse non ne era così convinta ma che per partecipare a una festa in casa Della Torre avrebbe smembrato il proprio padre con una mannaia, purché fosse firmata Dior.
“Un plebeo qualsiasi o di una categoria particolare?” si informò invece Maria Ludovica già pragmaticamente alla ricerca di qualcuno da adottare.
Si misero a parlottare fitto fitto, contagiosamente eccitate.
Gli unici palesemente muti erano i due plebei ovvero Paolo e Serena: il primo con aria sconcertata, la seconda via via sempre più rannuvolata.
“Scusate” proruppe alla fine con voce sottile ma incontenibile “State scherzando, vero?”
Persino Paolo, insieme a una nutrita schiera di curiosi, si girò a guardare il Miracoloso Evento, ovvero Serena Colombi che trovava il coraggio di intromettersi in una discussione fra gli dei del Walhalla scolastico.
“Certo che no!” precedette chiunque Maria Ludovica mentre ancora Tebaldo e Veronica erano intenti a scuoiarsi con lo sguardo “Una festa è proprio quello che ci voleva! A proposito… ma tu cosa sei? La plebea adottata da Tebaldo?”
“Sono Serena Colombi, ci hanno presentate poche ore fa. E intendevo contestare proprio questa cosa dell’adotta un plebeo, la trovo semplicemente…”
“Divina!” la precedette Maria Vittoria squillante.
“… ridicola, politicamente scorretta e degradante.”
“Davvero?” si informò Maria Beatrice blandamente confusa “Degradante per chi?”
Serena, esasperata, si girò verso Bianchi.
“Tu non dici niente?” supplicò sottovoce.
“Non posso” rispose lui con aria abbattuta “Sono qui per fare ammenda e il mio istinto mi dice di tacere e subire.”
Serena allora cercò aiuto con lo sguardo fra i compagni assiepati intorno a loro: un ragazzone di dimensioni e lineamenti taurici si fece coraggiosamente avanti accolto dal sorriso incoraggiante di Serena.
“Se cercate un plebeo vero sono qui io” la spiazzò il ragazzone parlando tutto d’un fiato e pieno di speranza “Mio padre è un metalmeccanico.”
“Lo puoi dimostrare?” chiese subito Maria Ludovica freddamente.
“Mia madre è casalinga” si intromise un’altra ragazza precipitosamente “Posso portare la carta d’identità!”
Serena rimase a bocca aperta mentre intorno tutti cominciavano a spintonare.
“Prendi me, ho un nonno invalido e uno zio disoccupato!”
“Io abito in un appartamento Gescal!”
“I miei hanno un mutuo a 25 anni!”
Sembrava di giocare in borsa le azioni di chi era più sfigato: Veronica e Tebaldo si distrassero dal reciproco livore quel tanto che bastava per rendersi conto della situazione e infuriarsi ancora di più l’uno con l’altra.
“Hai visto che putiferio hai scatenato?” sibilò Veronica.
“Io! Ma se l’idea è stata tua!”
“Non provare ad addossarmi la colpa! Adesso ci toccherà farla davvero questa cavolo di festa!”
“Ci?”
“Si, ci! Se pensi che mi metta a organizzare da sola la tua pagliacciata, stai fresco!”
“Ne approfitti perché sai che sono un gentiluomo che non posso dire no!”
“Tu un gentiluomo! E io sono un allevatore di renne norvegesi!”
“Insulta quanto ti pare, basta che all’allestimento della sala ci pensi io: non oso pensare a come ridurresti il salone di Villa Scarlini, tu e le tue puzzolenti renne.”
“Piuttosto pensa a dove parcheggiare quel bisonte sodomita del tuo cane, io penserò alla musica e al buffet!”
“Bene, Grimilde, come vuoi!”
Veronica si stampò un “vaffanculo” sulla faccia pressando le labbra affinché non le uscisse dalla bocca, poi girò i tacchi e veleggiò via, lasciando la scuola a delirare in pieno fermento per la “favolosa festa sociale dei Della Torre”.
*          *          *
Oleana Odescalchi, ramo Riccobono, forse per la prima volta in vita sua era senza parole. L’evento apocalittico le era capitato d’improvviso tra capo e collo: in temporanea visita a casa dei nonni a Villa Odescalchi, se ne stava tranquillamente per i fatti suoi assisa su un imponente divanetto ottomano in posa e pensieri lascivi, quando la cugina di terzo grado Veronica Scarlini della Torre le era piombata quasi addosso in un delicato effluvio di Hermes con una domanda cosmica così stonata sulle sue labbra che aveva avuto il potere dirompente di ammutolirla di colpo.
“Come si gestisce un maschio plebeo?”
Oleana era rimasta con la bocca semiaperta e lo sguardo vacuo di un pesce morto.
Un tempo, un bel po’ prima dell’evento che le aveva del tutto ribaltato le prospettive, ovvero l’avvento degli ormoni, Oleana, Veronica e il cugino comune Tebaldo avevano passato parecchie estati in vacanza insieme nella tenuta in costa Smeralda di parenti comuni. Non avevano di certo passato il tempo a raccogliere lucertole o altre simili mancanze di etichetta, ma Oleana ricordava con affetto i crudeli sgobbi che si erano divertiti ad architettare alle spalle della mononeuronica vicina di casa, l’algida Maria Carla della Mirandola Santogiacomo. Poi, erano cambiati gli obbiettivi, Oleana si era dedicata alla dilettevole attività di concupire quanti più maschi possibili mentre i due perfidi cuginastri avevano continuato a demolirsi a vicenda, con un semi-fidanzamento in mezzo dal chiaro e reciproco intento omicida. Comunque, a parte le feste comandate nel castello o nella villa di qualche zio in vena di riunire la famiglia, Oleana e Veronica si erano gradualmente allontanate, fino a quell’improvvisa domanda.
Veronica, dopo qualche secondo di paziente attesa, aveva scrollato le spalle infastidita.
“Oleana, non solo le mosche potrebbero entrarti in bocca, se la tieni così aperta. Puoi darmi una risposta, possibilmente breve ed esaustiva, grazie?”
Oleana recuperò la favella, forse per quel “grazie” così educato e snob che aveva prontamente ripristinato le giuste prospettive.
“Buongiorno anche a te, Veronica cara” sospirò quindi incerta rizzandosi prudentemente a sedere “Si certo, godo di ottima salute, che gentile a preoccuparti così! Ma in effetti tu sei sempre stata una premurosa e attenta cugina, sono io una vera cafona a non saper che dire… cieli beati, dopotutto sono solo sei mesi che non mi rivolgi la parola!”
Sul viso di Veronica passò un’ombra corrucciata, ma poi fissando l’espressione canzonatoria di Oleana non poté fare a meno di sorridere sotto i baffi.
“Cieli beati, eh?” gorgogliò ammansita “Hai ragione, devo essere veramente fuori di testa a comportarmi in questo modo paleozoico. Ancora di più se non mi rendo conto di farlo e ho bisogno delle imprecazioni vittoriane di mia cugina di terzo grado per arrivare a scusarmi.”
“Così va meglio” sorrise Oleana già di buon umore: era per natura allegra e benché la nobile cugina le fosse sempre stata particolarmente sul piloro per la perfida superiorità con cui trattava tutto il parentado, in qui giorni in visita dai nonni si stava annoiando e l’arrivo di Grimilde in evidente stato confusionale poteva dimostrarsi un interessante diversivo “Erano delle scuse quelle, vero?”
“Diciamo che più di così non intendo scucire. Comunque, ehm… ciao, Oleana, ti trovo davvero bene.”
“Grazie” rispose Oleana divertita “Anche tu , sei sempre vomitosamente gnocca.”
“Vomitosamente…?”
“Hai introdotto tu per prima l’argomento plebeo, quindi non ti lamentare del mio lessico. Allora, spiegami: cos’ha combinato stavolta Tebaldo?”
Veronica, curiosamente, arrossì.
“Che c’entra lui? Ma io non l’ho nemmeno nominato… quel verme schifoso doppiogiochista ficcanaso velenoso.”
Oleana le lanciò un lungo sguardo scaltro.
“Andiamo Veronica, solo perché sono del ramo Riccobono e non della Torre non vuol dire che non sappia fare uno più uno. Qualcosa in grado di farti andare così fuori di cotenna può essere solo opera di Tebaldo.”
“Non necessariamente. E comunque non è di lui che voglio parlare, ma di Paolo Bianchi.”
“Paolo Bianchi! Che nome deliziosamente proletario. E’ lui il famoso plebeo di cui sopra?”
“E’ lui.”
“E cosa c’entra con Tebaldo?”
“Ma chi ti ha detto che deve c’entrare con Tebaldo! Non ha niente a che fare con lui, sono come il giorno e la notte, Mercurio e Plutone… il Diavolo e l’Acqua Santa…come…”
“Dior e la Coop? Ok, non fare quella faccia, stavo scherzando! Avanti, spiegami cos’ha questo Bianchi di tanto incredibile da farti portare il tuo regale culo fino qui. Possiede per caso occhi di puri zaffiri? Capezzoli di rubini? Manganello di platino?”
“Oleana!”
“Non fare finta di scandalizzarti, per favore: se diventi puritana la conversazione finisce qui.”
“Non sono scandalizzata. Beh, un po’ si. Ma per via degli occhi di zaffiri, non per il manganello di platino.”
“Però ce l’ha?”
“Il platino? Non ho potuto verificare nemmeno il manganello.”
“Oh, bella battuta. Sei arrossita lo stesso, ma andiamo già meglio. Allora, sei qui per parlarmi del manganello di Bianchi.”
“Io non… non voglio parlare di manganelli…”
“... per il momento…”
“Come vuoi: sono qui perché sei l’unica persona della mia cerchia di conoscenze che è fidanzata con un plebeo.”
“Un signor plebeo, vorrei specificare: si chiama Marco Ferri, un nome quasi più proletario del tuo Paolo Bianchi. Non ha zaffiri e rubini, ma ha due pettorali d’acciaio inox 18/10, un sedere di marmo di Carrara e un…”
“Ok! Ok, ho inteso il notevole concentrato di durezza naturale del tuo fidanzato. Ma, ehm, non è per questo che volevo la tua consulenza.”
“Fammi ricordare che hai detto prima… come si gestisce un maschio plebeo? E’ questo che vuoi sapere da me?”
“Più che altro, vorrei sapere come si interagisce con uno della loro specie. Con Paolo Bianchi mi sembra di avere a che fare con una razza aliena: ogni volta che tento un approccio, va fuori di testa e combina una stupidaggine.”
“Che i maschi SIANO una razza aliena è il festival dell’ovvietà. Dipende il tuo esemplare quanto sia alieno rispetto alla media nazionale.”
“Al primo appuntamento mi ha chiuso in una gabbia con due cani randagi e ha mandato in mondovisione il video di me con una cuffia di plastica in testa mentre venivo immerdata da tali canidi puzzolenti.”
“Uhm… bella cazzata…”
“Quindi, sapendo che la tua relazione col plebeo invece procede brillantemente…”
“…notizia che mia madre usa come scusa per farsi prescrivere fior di  antidepressivi…”
“… ho pensato che forse tu potessi….”
“… aiutarti?”
“Suggerirmi. Qualche approccio, per esempio. Tu come hai fatto con Marco?”
“Io mi sono nascosta nuda dentro il suo armadio.”
“Oh! Stupefacente. Ha funzionato bene?”
“Mi sono beccata una polmonite, quindi poteva andare meglio, ma tutto sommato non mi lamento.”
“Non credo che potrei infilarmi nuda nell’armadio di Bianchi. A parte che casa sua in tutto è grande come un armadio, non è esattamente nel mio stile. E Bianchi probabilmente morirebbe pietrificato. E’… sembra… molto prude.”
“Che noia. E’ un ragazzo carino?”
“Non saprei… forse lo sarebbe se non fosse così mortalmente sfigato.”
“Oh… ora capisco cosa c’entra Tebaldo.”
“Ancora! Guarda che ti sbagli.”
“Pensaci: Bianchi plebeo, Tebaldo patrizissimo; Bianchi sfigato, Tebaldo figo e arrapante. Non ci vedi niente?”
“Oleana, mi prendi in giro? Sono diversissimi!”
“Appunto!”
“Scusami, ma la tua logica mi sfugge: d’altronde, non è facile capire perché una persona possa arrivare a nascondersi nuda in un armadio. E comunque non… non lo è. Non così tanto. Cioè, immagino che dipenda dai punti di vista, ma…”
“Adesso sono confusa: di chi e che cosa stai parlando?”
“Tebaldo. Arrapante.” ammise Veronica dopo un po’, arrossendo suo malgrado.
“Oh. Hai ragione. Una sordocieca che ha perso il senso del tatto e dell’olfatto può effettivamente trovarlo poco interessante. Ma non mi sembra il nostro caso, vero? Altrimenti non diventeresti rossa come un vestito di Valentino a nominare il suo nome.”
“Sono arrossita perché ho detto la parola arrapante. Confesso che anche io sono noiosamente prude.”
Oleana si permise un attimo di silenzio fissando la cugina con uno sguardo apertamente interessato: Veronica si sentì improvvisamente a disagio.
“Cosa c’è? Essere prude è tornato ad essere così fuori moda da farmi meritare la scomunica?”
“No. E’ che pensavo che deve essere proprio brutta.”
“Chi?”
“La tua cotta.”
“Io non ho una cotta. Non è elegante avere una cotta, solo i plebei possono avere una cosa così banale e dal suono così incivile. Io, semmai, posso essere sessualmente ed emotivamente interessata.”
“Tu non sei interessata, tu hai una cotta mostruosa. Ed è per questo che non sai che pesci pigliare e ti affanni a cercare aiuto, per tentare di inquadrare la confusione che senti. Ma avere una cotta è così, non la si deve gestire, la si deve vivere… buttarsi…”
“Nuda dentro un armadio?”
“Anche. Vedi che cominci a capire?”
“Il tono era ironico, sordocieca.”
“Però sei ancora qui ad ascoltarmi, è questo è un segno piuttosto forte: Grimilde sarebbe già sparita da un pezzo, anche prima del manganello.”
“Sapevo che sarebbe tornato fuori quell’argomento. E comunque sono stufa marcia di sentirmi chiamare Grimilde. Non lo sopporto più.”
“Tebaldo, eh?”
“Tebaldo cosa!”
“Tebaldo ti chiama così.”
“Si, e tu puoi smettere di nominarlo ogni due secondi?”
“Ok. Possiamo parlare di Bianchi, allora, fra un manganello e l’altro.”
“Già, sono qui per questo!”
“Ehi, non ti scaldare: in qualità di consulente ufficiale di plebeitudine, se vuoi sapere come ti devi comportare con lui, posso risponderti solo che dipende da che risultato vuoi: temporaneo o duraturo?”
“Al momento, mi basterebbe che non ci fossero spargimenti di sangue nell’immediato futuro.”
“Vuoi uscire con lui? Un appuntamento a scopo copulativo?”
“Io?!?… Abbi pazienza, Oleana, non sarò più Grimilde ma non potrei mai dichiarare pubblicamente di volere un appuntamento a scopo copulativo con un plebeo sfigato che mi ha appena smerdata in mondovisione. Cioè, nessuna donna con un minimo di dignità potrebbe farlo!”
“Hai ragione. Scusami se sono così diretta, ma a parlare per metafore non sono brava, mi fa venire un cerchio alla testa… devo capire in che modo questo Bianchi ti interessa, se vuoi che ti reciti dei sonetti di Petrarca o se ti fa sangue.”
“S…sangue?”
“Ma in che mondo vivi? Se ti fa sangue, come una fiorentina… Se ti ispira sesso violento.”
Nella mente di Veronica passò rapida l’immagine di lei e Bianchi aggrovigliati in tenuta sadomaso sopra un letto dalle lenzuola nere. “Madre de Dios!” berciò la voce di Inocencia nella sua testa prima che la scacciasse via con un deciso battito di ciglia, non senza prima essersi trovata totalmente d’accordo con lei.
“Il sesso violento non è tra i miei progetti per il prossimo semestre, soprattutto con Bianchi.”
“E con Tebaldo?”
“Oleana!”
“Guarda che se nemmeno un topone come Tebaldo ti ispira sesso violento vuol dire che qualcosa nei tuoi ormoni non circola bene. Fatti curare, gioia mia!”
“Se nomini quella serpe ancora una volta, giuro che ti schiaffeggio!”
“Ti ricordo che sei venuta tu a chiedere la mia consulenza. E anche se la tua bocca parla di questo Bianchi, il tuo corpo va a fuoco solo quando parlo di Tebaldo.”
“Perché sono incazzata a morte con lui!”
“Oh, finalmente una parolaccia! Adesso si che posso chiamarti Veronica e non Grimilde. Spara, cos’ha fatto Tebaldo per farti incazzare?”
“Non. Voglio. Parlare. Di. Tebaldo! Voglio sapere come devo fare con Bianchi alla festa.”
“Che festa?”
“Quella che faremo a Villa Scarlini e che tu mi aiuterai a organizzare: ci occuperemo della musica e del buffet.”
“Wow, ganzo… aspetta, hai detto organizzare? Io e te?”
“Ovvio. Il tema della festa sarà “adotta un plebeo”.”
“Ah, ora capisco l’ovvietà del mio coinvolgimento, dopo tanti anni di silenzio stampa. Bel tema, direi, socialmente all’avanguardia. Chi l’ha concepito?”
“Tebaldo.”
Oleana scattò in piedi sul divano puntando vittoriosa il dito verso Veronica.
“A-ha! Vedi che Tebaldo c’entra?!?”
“Diavolo, è vero… c’entra marginalmente. Ora siediti, mi hai fatto venire un infarto. L’idea della festa doveva essere una provocazione, poi c’era lì Topo Gigio che faceva la suffragetta…”
“Chi…?”
“Topo Gigio… Serena Colombi la ex fidanzata di Bianchi; e la futura concubina di Tebaldo, a quanto pare.”
Di nuovo lo sguardo di Oleana si fece penetrante e Veronica dovette sforzarsi di non farsi prendere dall’agitazione.
“Non che me ne importi qualcosa di Tebaldo e le sue concubine, sia chiaro. Questa Colombi poi è un tale stecchetto tutto sui toni del grigio, esteriormente e interiormente, che verrebbe da chiedersi cosa diavolo ci possa trovare Tebaldo… se la cosa ci interessasse, ma a noi non interessa, ovviamente.”
“Parla per te” la basì Oleana incrociando le gambe per accomodarsi meglio sul divano “Io sono interessatissima: per piacere a Tebaldo, qualcosa di speciale ce lo deve avere di sicuro. Cioè, fino a ieri pensavo che l’unica al mondo in grado di scalare quella gelida montagna di bonaggine e stronzitudine fossi tu. E invece… credi che possa essere lei ad avere la patatina di platino, alla fine?”
“Patatina…?”
“Eddai, Veronica!! Anche voi regine cattive dovrete pur dare un nome al vostro apparato sessuale!”
“Preferirei parlare della festa piuttosto che della patatina di Topo Gigio, grazie. E vorrei anche bere uno sherry, a questo punto credo di averne bisogno.”
“Niente sherry: Grimilde si farebbe uno sherry. Pensi che Veronica possa gradire una grappa?”
Veronica ci pensò un po’ su, la testa inclinata e l’aria curiosa: era così totalmente diversa dalla regina snob che era sempre stata che Oleana capitolò e decise che Grimilde era morta. Evviva Veronica!
“Ok, vada per la grappa. Ma con un cubetto di ghiaccio e una scorzetta di lime.”
“Come Sua Maestà ordina. Mentre io vado a prendere la grappa, tu riordini le idee e ti prepari per raccontarmi tutto per filo e per segno, partendo dal tuo primo incontro con Bianchi fino ad arrivare alla patatina di Topo Gigio. Passando naturalmente per il manganello di Tebaldo: su quello voglio una relazione scritta con tanto di grafico a istogramma.”
“Oleana!”
La ragazza uscì ridendo e lasciando Veronica turbata e istericamente divertita. Ma anche con qualcosa di nuovo, una sensazione strana di calore e complicità che non sentiva da svariato tempo e che se non fosse stata tanto smaliziata avrebbe anche potuto scambiare per amicizia.
*          *          *
“Serena! C’è di nuovo il nobilazzo dell’altro giorno alla porta!”
Mentre sua madre strillava in mondovisione, Serena si trovò a non provare nessuna sorpresa: il comportamento di Tebaldo Santandrea della Torre rimaneva sconcertante, ma stava diventando quasi prevedibile. Nel senso, cioè, che Serena pensava a quanto di più assurdo potesse succedere e Tebaldo arrivava circa lì: inquietante, ma anche confortante, dopotutto.
Come la volta precedente, Tebaldo era rimasto educatamente dietro la porta ma il sorriso con cui l’accolse non aveva niente a che fare con la dura tensione che gli aveva deformato il viso la volta scorsa.
“E’ pomeriggio” la salutò con quella sua voce morbida “E lo so, dovevo chiamarti per darti il tempo di preparare il caffè e la torta, ma siccome io da vero principino snob mi nutro solo di torte fatte dal mio pasticcere di fiducia e il caffè che bevo è della miglior miscela arabica importata dal Brasile, ho pensato che fosse meglio non metterti in difficoltà e piombarti qui tra capo e collo.”
“E a mani vuote” sorrise Serena col cuore che batteva a mille “Potevi portare una torta del pasticcere di fiducia. Noi mica ci offendevamo.”
Gli fece cenno di entrare ed entrambi beccarono in flagrante la madre che si volatilizzava in cucina trascinandosi dietro uno straccio e il Vetril con cui aveva dato una sommaria ripulita al salotto.
“Accomodatevi!” strillò la mamma armeggiando ai fornelli “Vi faccio una tazza di tè!”
“Mamma, lascia perdere…”
“… e i biscotti olandesi al burro, quelli nella scatola di ferro! Serena, prendili, sono nella credenza.”
Arrossendo furiosamente, Serena obbedì mentre Tebaldo tratteneva a stento un sorriso malefico sotto i baffi.
“Scusa” mormorò Serena sedendosi sul divano a prudente distanza e posando la scatola di biscotti sul tavolo “Non siamo abituati ad avere ospiti.”
“Ho sentito tua madre che mi chiamava il nobilazzo” rispose Tebaldo con perfida nonchalance “Sono lusingato dall’attenzione. Il tè è molto appropriato, very british.”
“Noblesse oblige” ribatté brevemente Serena “Allora, mylord, qual buon vento ti porta alla mia umile dimora?”
“Sono qui per scusarmi” rispose Tebaldo prontamente “Il comportamento oggi a scuola di Grimilde è stato assolutamente ingiustificabile. Sono costernato. Ti prego di accettare le umili scuse da parte sua.”
Serena normalmente avrebbe accettato a occhi chiusi le plateali scuse di Tebaldo (anche se proprio in virtù dell’essere così pubbliche perdevano metà della loro importanza), ma c’era una cosa che la infastidiva e le pungolava il costato, come una spina fastidiosamente conficcata sottopelle: era qualcosa di sottile e poco evidente, invisibile, appena intuito… ma allo stesso tempo potente, come sentire sotto le suole gli echi di un terremoto in agitazione nel nucleo terrestre. Era qualcosa sfuggito agli occhi, ma recepito da sensori nascosti: era come si erano guardati Tebaldo e Veronica per una frazione di secondo.
“Strano” disse quindi con voce piatta “A me è sembrato che l’idea dell’adotta un plebeo fosse tua.”
Tebaldo si appoggiò con la schiena dritta allo schienale del divano: forse non si aspettava una risposta tanto fredda, pensò Serena, ma tanto meglio se riusciva anche lei a sorprenderlo, una volta ogni tanto.
“La mia era ovviamente solo una provocazione.” specificò compunto.
“Davvero? Anche l’idea di masticare Paolo e centrare la sputacchiera coi suoi resti era solo una provocazione?”
Tebaldo si concesse qualche secondo per fissarla con gli occhi verdognoli ben aperti e l’espressione insondabile: se non fosse arrivata sua madre a portare il vassoio con sopra due tintinnanti tazze di tè, Serena sarebbe probabilmente morta liquefatta sotto quel raggio rovente.
“Senza zucchero per me, grazie” mormorò Tebaldo mentre la mamma di Serena si volatilizzava di nuovo in cucina “Quindi, devo dedurre che non verrai con me?”
Per poco Serena non si rovesciò la bevanda bollente sul maglione: posò la tazza con precauzione sul tavolino prima di rispondere con voce acuta.
“Venire dove?”
“Al ballo. Ti sto invitando ufficialmente.”
Serena deglutì tre volte, travolta da sentimenti diversissimi tra loro. Quello che prevalse alla fine fu la rabbia.
“Direi proprio di no” sentenziò con la voce che vibrava appena “Ma ti ringrazio di aver pensato a me per il ruolo di tirapiedi plebea e adorante. Sono certa che non mancheranno le sostitute.”
Un sorriso divertito incurvò labbra di Tebaldo.
“Dovevo immaginare che ti saresti offesa… scusami, non ho spiegato bene le mie intenzioni: intendevo chiederti di partecipare al ballo come mia dama ufficiale. Ammetto che l’idea di adotta un plebeo abbia avuto una Genesi infelice e offensiva, ma a conti fatti potremmo sfruttarla come un’ottima opportunità per ridere sopra alle nostre differenze e divertirci.”
“Tebaldo, chi vuoi prendere in giro? Noi, voi, le Marie, Paolo, Grimilde… tutti insieme a Villa Scarlini a scambiarci pacche sulle spalle, bere vino e mangiare tarallucci? Dai, non sarebbe possibile nemmeno se succedesse davvero!”
“Per i tarallucci hai ragione… sai, il buffet lo organizza Veronica. Per il resto, perché no?”
“Per un milione di ragioni!”
“Le stesse che tu ripudi pubblicamente, mi è parso. Vuoi davvero dimostrare che si devono azzerare le differenze tra classi sociali? Dimostralo! Questa è o non è un’ottima opportunità?”
Serena scosse la testa confusa: sapeva che Tebaldo voleva convincerla per chissà quali reconditi scopi e benché sentisse in cuor suo che la stava abbindolando, in quel momento con i suoi occhi così vicini e il suo dannato profumo a inondarle le narici, non riusciva a pensare con sufficiente lucidità per controbattere a dovere.
“Non lo so” ammise alla fine riottosa “So solo che sarebbe sbagliato.”
“Sbagliato cosa, partecipare a una festa alla quale parteciperà tutta la scuola? La prima in tanti anni? Dopo secoli di indifferenza e divisione? Ti sembra davvero sbagliato fare qualcosa che ci avvicini e ci accomuni? O forse inizi a capire perché agli altri sembra miracoloso?”
“Ma il tema…”
“Il tema è un pretesto: partecipare dimostrerebbe una buona dose di autoironia e intelligenza. Qualità che tu stessa possiedi in abbondanza più di chiunque altro in quella scuola. Proprio tu mi stai dicendo di no?”
Si era avvicinato, maledetto lui: da così vicino era impossibile non notare quanto il suo viso fosse bizzarramente ammaliante, con quella bocca irresistibile, quelle ciglia nere e lunghe, quella mascella perfettamente sbarbata e liscia…
“I-i-io… devo bere il tè.”
Serena afferrò la tazza e la frappose tra Tebaldo e la sua bocca, trangugiando la bevanda rovente e scottandosi il palato.
“Ahia, caz… insomma, detta così mi fai sentire l’unica scema che… ma sono sicura che se solo potessi pensarci bene io… e poi non ho niente da mettermi.”
Suonava patetico persino alle sue stesse orecchie: gli occhi di Tebaldo scintillavano già di vittoria.
“Potrei farti avere il più bel vestito che tu abbia mai visto” la blandì tornando ad avvicinarsi e obbligandola quasi a spalmarsi contro il bracciolo del divano, la tazza di tè convulsamente stretta tra le dita “E portarti dal parrucchiere. Farti plasmare dal migliore make up del paese. Potresti essere Cenerentola per un giorno, quello più bello. Non l’hai sempre sognato da bambina?”
“No, io giocavo con i Lego.”
La risatina di Tebaldo le fece venire i brividi lungo la schiena.
“Dai, Serena, non farti pregare: io vorrei… io voglio… andare a quella festa con te.”
E lei voleva baciarlo, realizzò Serena molto placidamente, lo voleva così intensamente che si sentiva le membra addormentate dallo sforzo di non cadergli tra le braccia. Fine dei giochi, resa completa: la bianca colomba era stata rapita definitivamente dall’aquila reale e da quei suoi cazzuti occhi ammalianti.
“Perché” non si trattenne dal sospirare “Perché Tebaldo perdi tanto tempo con me?”
Tebaldo inarcò le sopracciglia ma non si allontanò. 
“Perché perdo tempo con te? Perché mi annoio a morte e il fatto che proprio tu, l’esserino più noioso del mondo, sia la cosa meno noiosa della mia vita in questo momento mi riempie di sorpresa e curiosità.”
“Non so se è un insulto o un complimento.”
“Nessuno dei due: è la verità.”
“Quindi sei qui perché ti annoi?”
Tebaldo, quasi sovrappensiero, allungò una mano e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: dove le sue dita le sfioravano la pelle, Serena si sentì lambire da una scia di fuoco.
“Se ti dico che sono qui per baciarti mi mandi a quel paese, quindi dovrò pure trovare una scusa alternativa.”
Serena fece l’errore di guardargli le labbra: come se fosse stato un segnale di via, il suo inconscio cedette e senza che se lei ne rendesse conto chiuse gli occhi, prese il viso di Tebaldo tra le mani e con molta delicatezza lo baciò. Lui, dopo un attimo di immobilità, rispose al suo bacio con altrettanta lentezza. E benché se ne rendesse conto solo con una parte di sé (il resto chissà dov’era finito…), Serena pensò che non aveva mai baciato niente di altrettanto dolce, succoso e peccaminoso di quelle tremende labbra. Fu Tebaldo a staccarsi da lei, ma lo fece dolcemente: Serena preferì tenere gli occhi ostinatamente chiusi, un po’ per continuare a sognare e un po’ per vergogna.
“Mi era sembrato di capire che non ci tenessi per niente ad essere concupita da me” gorgogliò Tebaldo con voce divertita “Quindi, questo cos’era?”
Serena aprì gli occhi: Tebaldo sorrideva, né perfido né amorevole, tranquillo come se si fossero scambiati una stretta di mano.
“Lo chiedo a te.” rispose quindi immediatamente fingendo un controllo che non possedeva minimamente.
“A me sembrava un bacio.”
“Anche a me.”
“Allora direi che lo era.”
“Ma?”
“Chi ti dice che c’è un ma?”
“Per te non è contato niente.”
“Diciamo che mi hai colto di sorpresa.”
“Quindi, adesso che succede?”
Tebaldo sembrò pensarci seriamente su.
“Vieni alla festa con me?” chiese alla fine, come se fosse una risposta.
In veste di cosa?, avrebbe voluto chiedere Serena: plebea adottata, amica, fidanzata… ma aveva davvero importanza? O l’unica cosa che contava era avere la speranza di poter assaggiare di nuovo quella bocca… ancora e ancora e ancora?
“Verrò” capitolò sottovoce quasi con rabbia “Sapevi che avrei detto di si.”
“Sei proprio un agnellino” sospirò Tebaldo quasi con tristezza “Ma vedrai, farò il bravo con te.”
Si alzò in piedi agilmente e Serena per qualche motivo sentì uno strappo al cuore.
“Te ne vai?”
“L’etichetta me lo impone” sorrise lui ironicamente “Grazie per il tè. Ti farò sapere per il vestito.”
Non gliene importava un fico secco del vestito, constatò Serena: ma qualsiasi cosa andava bene pur di poterlo risentire.
“A presto Tebaldo.”
Lo guardò uscire, chiedendosi dove diavolo avrebbe finito per far scivolare il suo cuore…. Se all’Inferno o in Paradiso. Purtroppo, con Tebaldo di mezzo, le sembrava molto più probabile il primo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Paolo Bianchi stava studiando chino sui libri; per un osservatore esterno sarebbe sembrata una scena surreale, in quanto la sua aria concentrata e composta stonava con il contorno, ovvero il fratello Dante intento a giocare con una palla che gli faceva la riga in mezzo ogni volta che rimbalzava contro il muro, due sorelle che cicalavano passando dal bagno alla camera alla sala, una nonna petulante che le seguiva sbagliando regolarmente stanza, un cane che ogni tanto palesava la sua presenza con rumori di varia natura e un gatto affamato che si strusciava contro la sua caviglia. Dalla cacofonia rumorosa che riempiva l’appartamento non si sarebbe notato probabilmente nemmeno un martello pneumatico a pieno regime: Paolo invece riuscì persino a sobbalzare sorpreso quando il campanello iniziò a suonare insistentemente.
“Porta!” esclamò sollevando il naso dal libro, ma nessuno lo sentì, o volle sentirlo.
Siccome il campanello continuava a ronzare fastidiosamente, Paolo chiuse il libro con un sospiro e guadagnò il citofono.
“Chi è?” chiese rassegnato.
“Bianchi! Maldito, ci hai messo una vita!”
Per un attimo Paolo ebbe un tuffo al cuore: Gladi! La stessa voce acuta, apparentemente sicura ma sotto sotto incerta… ma Gladi non esisteva. Non era mai esistita. Gladi era Grimilde travestita da agnellino.
“Veronica?” domandò dubbioso.
“Esatto! Vieni giù che quiero hablar.”
“Hablar… parlare?”
“Te l’ho appena detto, no? Handale!”
Bianchi ci mise un po’ a decidere di scendere per davvero: chiamare su Veronica era fuori discussione in mezzo a quella bolgia infernale. D’altronde, averla sottocasa che per qualche misterioso motivo gli parlava in spagnolo, lo rendeva decisamente inquieto. Non si era del tutto bevuto la favola di Grimilde che lo perdonava magnanima. Benché con la sua coscienza fosse finalmente a posto e gli dispiacesse sul serio del danno che aveva causato, avere intorno Veronica non era affatto rassicurante. Scese quindi le scale titubante: Veronica era davanti al portone che guardava su verso il cielo: indossava una pelliccia viola e stivali in tinta ed era perfettamente anacronistica così elegante e chic in quel contesto popolare. E anche bella da togliere il fiato, meditò Paolo, col viso rivolto verso il pallido sole, gli occhi socchiusi e l’aria rapita.
“Veronica?” domandò dubbioso.
Lei sembrò risvegliarsi bruscamente: aprì gli occhi, ondeggiò un attimo e finalmente lo inquadrò.
“Bianchi? Era ora! Ti aspetto da un millennio, dove ti eri nascosto?”
“Stavo studiando.” rispose Paolo sul chi vive: Grimilde era innaturalmente cordiale e il suo sorriso largo e falso come una moneta di cioccolato.
“Sempre dietro studiare, il povero Bianchi… vaya por Dios!” gorgogliò infatti mollandogli una pacca sulla spalla: Paolo si irrigidì ancora di più.
“Allora, ehm… avevi bisogno?”
Veronica ci pensò un po’ su.
“Certo che avevo bisogno. Sennò cosa ci farei qui? Oh… ma guarda che cielo….maravilloso.”
Si perse di nuovo a fissare il cielo con aria vagamente sognante: l’inquietudine crebbe a dismisura nel petto di Paolo.
“Veronica, stai bene?” domandò preoccupato.
Veronica ripeté la performance del brusco risveglio, ondeggiamento e inquadratura.
“Bianchi! Ah, giusto… come? Certo che sto bene. Va de mùsica! Volevo prenderti le misure per lo smoking. Sai, è da ordinare… uno smoking come si deve va fatto su misura, no? Càrgate de razòn! Non vorremo mica sfigurare.”
“Scusami, ma non capisco di cosa tu stia parlando.”
Veronica gli piantò gli occhi in faccia e a Paolo sembrò che ci mettesse qualche secondo di troppo per metterlo a fuoco.
“Lo smoking per il ballo” gli disse poi scandendo bene le parole “Non me ne importa un fico se il tema adotta un plebeo ha offeso il tuo animo gentile di servo della gleba, mi devi ettari e latifondi interi di favori, dopo la smerdata che mi hai rifilato al canile con quella ridicola cuffia… Non azzardarti a fare la suffragetta anche tu!”
“Io non ho detto niente.” si difese Bianchi sulla difensiva, ma Veronica sembrava improvvisamente partita per una tangente tutta sua.
“Ma ti rendi conto che mi sono messa quella cuffia per te…? Cioè, io, Veronica Scarlini della Torre… mio bisnonno era parente acquisito dei Savoia… Ancora non riesco a capire come ho potuto permetterlo… credo sia tutta colpa dei tuoi occhi azzurri come il cielo.”
Tornò a puntare il naso in su con aria ispirata e Paolo fece del suo meglio perché la mandibola non gli si schiantasse per terra.
“Hai sempre avuto quei cavolo di parabrezza che chiami occhiali a coprirli, ma quando decantavi Verlaine li ho visti per bene e, maldito!, sono così… azzurri! Come in una di quelle dozzinali poesiole che vi scambiate voi plebei, quelle farcite di sole, cuore, amore… Io ho avuto sempre e solo un sacco di oro, intorno. L’oro è giallo, non ha niente a che fare con l’azzurro. Ragazzi, que estùpida a pensarci sempre.”
 “Veronica…?”
“Io non lo so se è colpa tua o colpa mia, l’età, l’oroscopo o un massaggio ayurvedico venuto male… non so nemmeno perché te ne parlo visto che è crollato tutto e almeno io dovrei rimanere in piedi. Ma sono così stanca di stare in piedi. A che pro, poi?”
Tornò ad abbassare gli occhi e a guardare Paolo con una franchezza disarmante.
“Ho voglia di mettermi a sedere, Paolo. Perché non posso?”
Bianchi, completamente frastornato, fu assalito dal forte sospetto di stare avendo un’allucinazione.
“Ti… prendo una sedia…?”
Il pallido sorriso di Veronica in risposta risultò quasi triste.
“Ma che sedia e sedia… che cabron. Voi maschi siete l’apoteosi della mancanza di tempismo: se dovete muovervi non lo fate nemmeno a mettervi un petardo tra le chiappe, e quando dovreste stare fermi partite a muzzo come i cani quando sentono odore di tartufo. D’altronde, perché poi mi aspettavo che sarebbe stato facile? Solo negli Harmony lei incontra un lui etero che è bello, sensibile e figo come un gay. E’ proprio vero che quella robaccia tossica ti rovina la vita. Aveva ragione Inocencia a lasciare in giro solo la Bibbia e il Financial Time.”
Bianchi decise di non tentare più di capire il filo del discorso di Veronica: in fondo, non era così importante. Quello che contava di più, si sorprese a scoprire, era ascoltarla parlare: con quel tono complice, con quella voce un po’ sognante e un po’ pragmatica, con quel viso bellissimo e curiosamente sconosciuto…
“E’ questa Inocencia che ti ha insegnato lo spagnolo?” chiese quindi, perché gli sembrava la cosa più innocente da dire.
Claro che si! Come lo hai capito?”
“Così… intuito. Chi è Inocencia?”
“La mia governante. O meglio, il mio surrogato di madre. L’unica persona a questo mondo fornita di sufficienti testicoli da osare contraddirmi. A parte Tebaldo: ma lui è un testicolo unico, dalla testa a i piedi. Come tutti i della Torre, del resto. Del tal palo, tal astilla!”
“Occhio a quel che dici: non sei una della Torre anche tu…?”
“Io devo aver preso dal ramo aggiunto, come i Riccobono. Ma non troppo, spero, perché se sono davvero sciroccata come quell’Oleana Odescalchi, potrei ritrovarmi senza volere nuda nel tuo armadio. Morta soffocata dai palloni di tuo fratello Dante, però.”
“Veronica… ma hai bevuto?”
“Solo un paio di grappe: e che sarà mai, anche la dieta macrobiotica contempla lo spuntino del pomeriggio!”
“Tu sei tutta matta.”
Lo disse piano, col sorriso nella voce e la leggera titubanza di chi prende confidenza senza essere certo di poterlo fare: Veronica gli lanciò uno sguardo in tralice.
Hay que estar a la ùltima.” disse poi sostenuta, avvicinandosi a Paolo tenendo lo sguardo fisso su di lui.
“Che vuol dire?”
“Che bisogna adattarsi alle cose nuove. Che se la vita ti dà limoni, devi fare limonate. Anche se io personalmente farei maschere astringenti… è molto più nelle mie corde.”
Bianchi sorrise e quasi senza accorgersene si avvicinò anche lui, come a voler proteggere quel neonato barlume di confidenza che aleggiava tra di loro.
“Io invece farei crostate” le confidò poi sottovoce “Vado pazzo per la crema di limone. Ma non dirlo a nonna Adalgisa, o comincerà a sfornare una torta ogni dieci minuti fino a sterminare tutti gli agrumeti amalfitani.”
Veronica rispose al suo sorriso: poi, con un gesto che risultò spontaneo e allo stesso tempo sconvolgente, alzò la mano e gliela posò sulla guancia. Paolo trattenne il fiato bruscamente e arrossì come un pomodoro da sugo… ma non si spostò.
Non disse niente, rimase lì in un silenzio che diventava via via sempre più denso, ma non fastidioso. Veronica allora, con lentezza, gli tolse gli occhiali e lo guardò intensamente, come se volesse scavargli dentro e trapassarlo da parte a parte.
“Perché non è facile?” mormorò poi quasi a se stessa “Anche in questo momento… basterebbe un attimo, solo il momento dove tu ti avvicini e mi baci, come negli Harmony. E invece no, è sempre tutto complicato e nebuloso e incerto. Penso a te o non ci penso? Sei uno stronzo o sei un agnellino? Voglio baciarti o voglio strozzarti? Tu mi vuoi baciare o semplicemente ti terrorizzo?”
I suoi occhi erano così pieni di sincerità che Paolo smise di trattenersi e lasciò che qualcosa di se fluisse verso di lei.
“Facciamoci una domanda per volta” suggerì con la voce che tremava “Tu… pensi a me?”
“Si” rispose Veronica in un soffio dopo un lungo silenzio “E tu sei uno stronzo?”
“No. E tu mi… mi vuoi…?”
“Si. E tu…?”
Non finì la frase perché Paolo finì per baciarla davvero.
Con una dolcezza struggente, posandole le dita tremanti sulla guancia come per accertarsi che stesse succedendo davvero. E benché fosse mezza brilla e le venisse spontaneo esclamare qualche colorito epiteto spagnolo, Veronica si rese conto che quello era forse il momento più limpido e autentico che aveva vissuto con Bianchi. Si baciarono a lungo, con discrezione. “Bueno” gorgogliò la voce di Inocencia nella testa di Veronica “Che momento hermoso. Beh, niente castagnole dell’ultimo dell’anno, ma chi l’ha detto ti deve per forza scoppiare il cranio a furia di ormoni ogni volta che qualcuno ti bacia?
A quel pensiero così giusto e allo stesso tempo così deprimente Veronica si staccò da Paolo e riaprì gli occhi: non erano nemmeno appannati, mentre quelli del giovane sembravano fatti di nuvole.
“Ciao.” le disse lui: appannato anche dentro, povero Bianchi.
Ora non ti azzardare a sentirti in colpa” la sgridò la voce di Inocencia severamente “Andrà meglio. Diablo!, el chico è o non è un secchione? Imparerà adelante, e dopo vedrai, altro che castagnole! Sembrerà capodanno a Napoli!”
“E adesso che succede?” continuò Paolo senza recepire la benché minima increspatura.
Già, ottima domanda. Veronica fece un passo indietro e si schiarì la voce, cercando faticosamente di fare mente locale.
“Adesso la prima cosa a cui pensare è lo smoking” decise netta “Perché è chiaro che verrai al ballo, vero?”
“Sì” rispose Paolo sempre con quella vocetta sognante “Anche se questo mi fa sentire un po’ come una Cenerentola fuori posto, visto che mi sono sempre immaginato dalla parte del principe.”
“Un cambio di prospettiva non può che giovare all’esperienza di vita.” sentenziò Veronica con la voce della loro professoressa di filosofia e Paolo ridacchiò.
“E’ tutto così surreale” disse poi quasi dispiaciuto “Tu che parli spagnolo, io che indosserò uno smoking… poi, cos’altro succederà?”
Dopo una breve meditazione, Veronica realizzò che proprio non lo sapeva.
“Come hai saggiamente detto tu poc’anzi, facciamoci una domanda per volta” suggerì posandogli le mani sulle spalle “Quindi, la prossima che dobbiamo porci è: sarà il caso di baciarci ancora un po’ o ti fai prendere subito quelle benedette misure per lo smoking?”
*          *          *
Quando Tebaldo entrò nel locale, un buon terzo di teste femminili si girò a guardarlo: Oleana Odescalchi si costrinse a non sorridere serafica mentre il cugino la individuava, le faceva un cenno con la testa e si avvicinava al suo tavolo, seguito dal terzo di occhiate, arrivato ora ai ¾ dell’utenza.
“Non è fastidioso se tutti ti guardano il culo mentre cammini?” chiese Oleana senza preamboli mentre Tebaldo si chinava a sfiorarle le guance con due baci di benvenuto.
“Qualche domanda cominci a portela solo se ti guardano la faccia come se fosse il culo.” rispose con nonchalance il giovane sedendosi e alzando un sopracciglio arrogante verso la cameriera che si fiondò diligentemente al loro tavolo.
“Allora, cugina Odescalchi, qual buon vento? Per me un Dry con due olive, grazie.”
“Sei sempre il più schifosamente figo, cugino della Torre. Per me un tè caldo con biscotti, invece.”
“Tè caldo? Siamo in fase rehab?”
“No, ma come ti ho detto al telefono ho dovuto supportare la nostra comune cugina Grimilde mentre si concedeva una sbronza pomeridiana a base di grappa e visto che qua non vedo nessun palo da lap dance per sfogare eventuali esuberi alcolici, forse è meglio se mi contengo.”
“La tua inaspettata telefonata” disse Tebaldo con la faccia inespressiva e le ciglia calate sui begli occhi verdi, disegnando con le dita pigri ghirigori sulla tovaglia “Non potevo certo resistere a una tale accozzaglia di gossip e mala informazione. Mi sembra ancor impossibile che Veronica sia davvero venuta a cercarti.”
“Già. E’ per questo che ti ho chiamato. Posso parlare con te?”
“Sono qui ad ascoltarti.”
Oleana si allungò verso di lui posandogli una mano sul ginocchio e ignorando il suo altezzoso ritegno.
“No, Tebaldo, te lo chiedo sul serio: possiamo parlare? Fuori dai denti, senza inutili giri di parole? Non c’è davvero tempo per le solite guerriglie verbali. So che sei bravissimo a infiocchettare i discorsi fino a renderli assolutamente inutili, ma questa volta… puoi non farlo, per favore?”
“Dovrei?” chiese Tebaldo arrogante ma Oleana non abbassò gli occhi.
“Dovresti.” rispose flemmatica.
Tebaldo finse un sospiro esasperato e con un gesto stizzito della mano la esortò a proseguire.
“Sai, Veronica mi ha raccontato della fantastica festa che state organizzando, tra una litigata e un massacro famigliare” disse quindi Oleana salottiera “Lasciatevelo dire, dal momento che avete iniziato a coinvolgere persone innocenti nella vostro reciproco massacro, le cose cominceranno a degenerare.”
“Hanno cominciato a degenerare già da un po’” rispose tranquillo Tebaldo, sempre con gli occhi ostinatamente bassi e inespressivi “Speravo quasi che fosse una cosa positiva. Una specie di catarsi da cui rinascere come arabe fenici.”
“E invece Grimilde sta mollando tutto per uno stoccafisso biondo dalla personalità di un brodino scondito.”
Tebaldo azzardò un breve sguardo sospettoso.
“E tu che ne sai del biondino?”
“Un cazzo, come al solito, ma intromettermi e sparare giudizi non ponderati è la mia specialità, quindi lascia che faccia il mio mestiere senza interrompermi, grazie. Grimilde oggi mi ha cercato. E questo è già un segno importante, perché Grimilde non cerca mai nessuno, tantomeno me, la cugina scomunicata perché implebeita. Quando è venuta da me sai che ho visto?”
“Come hai amabilmente suggerito, non ti interromperò con inutili supposizioni, ma mi limiterò ad ascoltarti sorseggiando il mio Martini.”
“Ho visto che Grimilde è morta. Così, di botto. Chissà che brutta malattia si è beccata per andarsene così in fretta. Ho persino pensato che si fosse davvero innamorata di quel tale, Bianchi.”
Fece una pausa fissando Tebaldo con aria scaltra, ma lui si limitò a rigirare le olive nel proprio bicchiere cogitabondo.
“Andiamo, Tebaldo” sbottò infine Oleana “Non hai niente da dire a riguardo?”
“E che cosa dovrei dire?” rispose Tebaldo con voce insolitamente dura “Grimilde è morta, si, ho visto anche io. Pace all’anima sua. Veronica però è viva e a quanto pare sta facendo le sue scelte, giuste o sbagliate che siano. Io… sono io che ho sbagliato a litigare con lei e a mettere su questa inutile farsa della festa. Non volevo rassegnarmi all’idea che le potesse piacere davvero quel capretto sacrificale di Bianchi, ma come dici tu, lei è innamorata e…”
“Io non ho detto che lei è innamorata di Bianchi. Ho detto che per un attimo l’ho pensato. Ma poi ci ho ragionato su e mi sono accorta che questo non può essere vero. Perché Grimilde non doveva morire per avere Bianchi; bastava che allungasse un artiglio e se lo sarebbe potuto pappare a colazione in qualsiasi momento. No, Grimilde doveva morire per un motivo ben diverso. Doveva morire perché Veronica voleva venire finalmente fuori, visto che si è innamorata.”
Tebaldo si concesse uno sguardo perplesso.
“Scusami, ma non ti seguo più.”
“Veronica è innamorata, Tebaldo.”
“Sì, fino a qui sembravamo d’accordo entrambi.”
“No, tu ti ostini a non ascoltarmi. Veronica, non Grimilde, è innamorata. Di te, non di Bianchi.”
Tebaldo rimase in silenzio con lo sguardo di pietra mentre Oleana sorrideva sicura di sé.
“Esco con una ragazza” puntualizzò di punto in bianco Tebaldo riabbassando gli occhi sul proprio intatto aperitivo “Una certa Serena Colombi. Ex di Bianchi. Plebeissima. Insignificante. Veronica la chiama Topo Gigio.”
Oleana sembrò sorpresa soltanto per un secondo.
“Ah, ecco il perché delle grappe. Povera Veronica. E tu, che cazzo combini?”
“In che senso?”
“Perché esci con questo Topo Gigio se sei innamorato di Veronica?”
Tebaldo fece per alzarsi in piedi ma Oleana lo bloccò posandogli la mano sul ginocchio.
“Tebaldo, siediti. Avevamo detto di parlare fuori dai denti, no?”
“Parlare, non farneticare” ribatté Tebaldo di evidente pessimo umore “Adesso cosa mi dirai, che i venusiani sono sbarcati nel tuo salotto?”
“A cuccia, Fido! Madonna, che suscettibile che sei… va bene che sei Tebaldo e i veri Tebaldi non devono chiedere mai come le pubblicità degli aftershave, ma insomma, così diventi quasi caricaturale. Sii umano, almeno per oggi. Non è poi così improponibile! E che sarà mai, ammettere di essere cotti…”
Di nuovo Tebaldo cercò di alzarsi e di nuovo Oleana lo ricacciò giù sulla sedia.
“… cotti, stracotti, fatti a puré, tu e Veronica siete una poltiglia disossata… che male c’è? Non pensi che sia finalmente ora? Avete più di diciotto anni. Non vedete che è ora di crescere e di chiamare le cose col loro nome da adulte?”
“Tu non sia nemmeno perché sei al mondo, cugina cara” sibilò Tebaldo inviperito “Francamente non accetto consigli da una mentecatta sessuomane che parla esclusivamente perché si ritrova la lingua in bocca.”
“Sei cattivo” rispose Oleana alzando il mento “E’ il tuo metodo di difesa. Mica solo il tuo, sai… tanta gente sputa veleno per paura di scoprirsi troppo. Anche Marco fa così. Ma io ho la fortuna di essere rivestita da questo tessuto liscio e idrorepellente, su cui nessun insulto riesce ad aggrapparsi. Mi scivola via, puf!, già sparito. Quello che invece rimane, mio buon cugino, è che tu e Veronica siete fatti l’uno per l’altro. E non ho detto Grimilde e Reuccio della Torre… ma Veronica e Tebaldo. Voi, i vostri veri voi. Capisci la differenza abissale?”
“Capisco tante cose” ribatté Tebaldo alzandosi in piedi definitivamente “La più importante è che tu sei una povera cosina che spara boiate in do maggiore. Non ho abbastanza tempo né il buon cuore necessari a sopportarti.”
“Ok, metabolizza pure” gli concesse Oleana bloccandogli garbatamente la falda della giacca “Quando avrai elaborato abbastanza ne riparleremo. Ma sbrigati, perché a forza di incaponirvi a farvi piacere i due plebei, rischiate di crederci per davvero. E allora si che sarebbero guai.”
Tebaldo quasi le strappò la falda della giacca dalle mani.
“Fatti curare.” sibilò marciando via a testa alta.
“A presto anche a te, cugino adorato!” gli trillò dietro Oleana, arraffando e vuotando il residuo di Martini prima che la cameriera si accorgesse che avevano finito.
*          *          *
Tebaldo se ne stava steso sulla chaise lounge di pelle lasciando che Sancho lo emulasse stravaccato sul Buchara del salotto, con Byron che a rispettosa distanza che li guardava perplesso. Quando Veronica entrò con passo riflessivo, Byron la avvisò dell’anomalia con un discreto guaito, puntando poi subito lo sguardo accusatore sull’umano colpevole dell’atroce mancanza di etichetta.
“Lo so, Byron, lo so” sospirò Veronica lasciandosi cadere sul divano “I cani non potrebbero nemmeno annusare il Buchara, ma Tebaldo sai che ha delle regole tutte sue. Di Sancho scusami, ma non ho ancora capito se è un cane o un bisonte naturalizzato.”
Tebaldo le lanciò un breve sguardo meditabondo mentre Sancho, intuendo l’incidente diplomatico, si rotolò sulla schiena mostrando magnanimamente la pancia arruffata a Veronica per farsela grattare.
“Non ti toccherei nemmeno con un bastone disinfettato.” lo smontò Veronica lapidaria e Sancho, versato l’obolo, tornò a stravaccarsi sul fianco, con la lingua leggermente penzoloni e l’aria beata di chi non ha un solo pensiero al mondo, tranne il proprio benessere.
Un insolito silenzio calò sul salotto: Veronica si decise a lanciare un breve sguardo a Tebaldo che la stava fissando aggrottato.
“Sei sbronza” la informò poi lui con voce tranquilla “O almeno, lo sei stata nelle ultime ore. Hai causato qualche deragliamento cosmico mentre eri sotto il delirio alcolico?”
Veronica arrossì di rabbia e sconcerto: eppure, si era sciacquata la faccia e i polsi, aveva fatto i gargarismi col colluttorio e aveva ripetuto a fior di labbra tre volte di fila uno scioglilingua prima di esibire al cugino la propria recuperata sobrietà!
“Non ho causato proprio niente” ringhiò offesa, prima di rettificare “E non sono sbronza!”
“Guarda che non era un’accusa” sospirò Tebaldo accomodante “Francamente, mi sono stufato di provocarti: ho bisogno di un po’ di sana, piacevole, inconsistente conversazione con la mia cugina adorabilmente ubriaca. Avanti racconta a zio Tebaldo, chi ti ha condotto sulla via della perversione?”
“Tua cugina Oleana.” si decise ad ammettere Veronica: inutile contestare le verità incontestabili di Tebaldo… e poi anche lei si era stufata di litigare. E aveva pure lei voglia di conversare con quello stronzetto snob del cugino, una voglia intensa e puerile che solo gli ultimi residui alcolici potevano provocare.
“Oleana” abbozzò Tebaldo “Odescalchi ramo Riccobono.”
“Più fiorito che mai.”
“Incontro fortuito o mossa strategica?”
“Mossa strategica: l’ho arruolata per organizzare un catering adatto anche ai plebei. Non vorrei sprecare del buon caviale scambiato da qui buzzurri per glassa decorativa.”
“E’ vero che Oleana si è fidanzata con un plebeo: sua madre continua a usarlo come scusa per strafogarsi di antidepressivi. Se dovessero mollarsi, chissà cosa dovrebbe inventarsi… anche se non penso succederà a breve: ho visto Oleana scandalosamente felice di sé e del plebeo. Le cose stanno ancora così?”
“Fastidiosamente si. Ovviamente ti contatterà per vedere come abbinare il buffet alle decorazioni che sceglierai… sperando non siano a tema sciopero in fabbrica, non saprei proprio che bevande analcoliche collegare agli striscioni sindacalisti.”
“A dire il vero stavo pensando a qualcosa di più agreste e bucolico: che ne dici del tema l’allegro salumificio rurale?”
“Direi che se molli Sancho in una stanza due ore prima, ti ritrovi poi con l’ambientazione perfettamente adeguata. Sul serio, sto già soffocando nel puzzo e sono qui solo da due minuti… come fai a resistere?”
“Sono raffreddato” si scusò Tebaldo con un sorriso “E comunque sono più sorpreso di te nel dover ammettere che apprezzo la sua miasmatica compagnia. Sancho è così perfettamente a suo agio in ogni dove: è puzzolente, antiestetico, fatidioso e pure gay, e lui in barba a tutto e a tutti invece di vergognarsi di sé sta come un pascià dovunque lo metti. Mio malgrado, lo adoro.”
“Già. E’ uguale per te.” si lasciò sfuggire Veronica cogitabonda: Tebaldo le piantò addosso due chiari occhi incuriositi.
“Se permetti, smentisco appassionatamente: io non puzzo, sono bellissimo, garbato e certamente etero.”
“Intendevo per il resto… quella cosa dello stare come un pascià dovunque ti metti e ... e il resto, insomma.”
Il sorriso di Tebaldo splendette ironico ma anche segretamente complice.
“Vuoi dire che mi trovi adorabile? Uhm, non so se devo prenderlo come un complimento. Facciamo di si, dai: voglio essere accomodante.”
“Evento singolarmente epocale. Il Tebaldo stronzetto e snob si è preso una pausa meditativa?”  
Tebaldo fece spallucce, rilassato e ancora sorridente.
“Non so: a volte mi diverto da impazzire a vedere la gente che si arrabatta per non rendersi ridicola, a volte sono semplicemente stufo di tutto e di tutti. Adesso è uno di quei momenti.”
“Ah, a proposito: mi sono fidanzata con Bianchi.”
Tebaldo sbatté le ciglia: il suo sguardo rimase insondabile e il suo viso liscio, il sorriso indulgente.
“Perfetto: immagino sia prematuro dirti auguri e figli maschi. Anche perché ti augurerei di più la sterilizzazione, non vorrei davvero che un invertebrato come Bianchi si riproducesse.”
“Il solito caro cugino… non eri in pausa meditativa?”
E quel fremito di ciglia… c’era stato davvero? Cos’era significato?
 “Lo sono, ma ammetterai che la notizia merita. Avete già copulato? Devo preoccuparmi per il discorso della sterilizzazione di cui sopra?”
“Non abbiamo copulato. Ci siamo solo baciati. E gli ho preso le misure per lo smoking.”
“Siete proprio a un passo dal matrimonio, allora.”
“Ho anche mangiato le lasagne di sua nonna. Buone, devo dire la verità, anche se mangiare lasagne al pomeriggio suona strano…”
“Come bere grappa per aperitivo?”
 Veronica gli lanciò uno sguardo oltraggiato ma il sorriso di Tebaldo era ancora intatto, stranamente pacifico.
“Dì la verità, tu hai parlato con Oleana.”
“Non eri nemmeno uscita da casa che mi stava già chiamando. Mi ha fatto il terzo grado su Bianchi, raccontato tutto della sua liason con un certo vichingo finlandese e plebeo, descritto locuzione per locuzione il vostro precedente frizzante dialogo, e tutto in meno di un minuto. Le ho dovuto sparare una cannonata a salve in segno di rispetto per l’ammirevole gestione del fiato in apnea, che le verrà sicuramente utile in svariate e interessanti occasioni. Comunque mi ha invitato fuori per un aperitivo e ha farneticato un po’ di romanticherie assurde… l’ho piantata in asso quando mi è parsa vicina all’estasi mistica.”
“Quindi, hai incontrato Oleana dieci minuti fa e lo stesso hai finto di non vederla da mesi. Chissà perché tutte le volte che ti dimostri un porco bugiardo continuo a sorprendermi.”
“Che bugie ti avrei detto, scusa?”
“Hai ragione, riformulo la frase: chissà perché tutte le volte che ti dimostri un porco manipolatore della verità continuo a sorprendermi.”
“Touché. Non vuoi sapere quali sono state le impressioni di Oleana?”
“Su cosa? Il tema agreste e bucolico della festa?”
“Su te e sul tuo pasticcio sentimentale con Bianchi.”
Veronica si agitò leggermente a disagio.
“Beh, se aveva qualcosa da dire poteva dirlo a me direttamente.”
“Magari l’ha fatto ma con il tuo consueto egocentrismo non l’hai ascoltata.”
“Proprio tu che dai dell’egocentrica a me! L’asino che da del somaro al… a chi lo dava? Al mulo?”
“Mi cogli vergognosamente impreparato.”
“Comunque Oleana l’ho ascoltata parola per parola. Mi ha detto che ho una cotta. Come se fosse possibile che in una della Torre attecchisca qualcosa di così indecoroso.”
“Curiosa coincidenza: ha detto la stessa cosa a me. Inconcepibile, vero?”
Veronica gli piantò gli occhi addosso, ma Tebaldo non si scosse d’una virgola.
“E per chi avresti la cotta, signor della Torre?”
“Suppongo dovrei averla per la piccola Colombi. A proposito, anche io mi sono fidanzato ufficialmente con lei.”
Veronica sentì così chiaramente uno scricchiolio dentro il suo petto che dovette alzarsi bruscamente a sedere, per non farlo sentire anche al cugino.
“Oh” disse a voce alta attirandosi lo sguardo curioso di Byron e di Sancho “Beh, ah… complimenti. Insomma, magari terrò per me la certezza che potevi trovare di meglio, ma con qualche meches, un buon push up e una rivisitazione completa del look potresti tirarci fuori qualcosa di passabile da quella pecorella mal rasata.”
“Non sei molto carina con la mia neo fidanzata” suggerì Tebaldo sorridendo “Ma in qualità di parente e ex fidanzata ti concedo il privilegio di dirmi liberamente cosa pensi di lei.”
Veronica ci pensò un po’ su.
“La Colombi mi sta sulle balle” sentenziò infine in un chiaro rigurgito alcolico “Mi irrita il fatto che sia tu che Bianchi le abbiate ronzato intorno. Me la trovo sempre fra le scarpe quando si tratta dei miei uomini.”
“Oh. Capisco Bianchi, ma anche io sarei un tuo uomo?”
“Atenciòn, querida…”
“Sai cosa intendo dire.”
“No che non lo so.”
“Non importa. Comunque auguri. E figli maschi, naturalmente.”
“Grazie.”
Si guardarono: c’era qualcosa di speculare tra loro, e non era solo il colore degli occhi. Poteva essere una domanda, forse…
“Sei felice?” pigolò Veronica quasi senza accorgersi di parlare.
“Come un esercito di coniglietti pasquali. E tu?”
“Certo che sono felice. Non si vede?”
“Una volta da piccola ti regalarono la Barbie Beverly Hills che volevi da un mese, solo che non avevano potuto comprartela prima perché non era ancora in produzione. Quando finalmente riuscisti ad avere la bambola, ancora fresca di fabbrica, sorridesti con gli occhi lucidi, le guance rosa e gli occhi splendenti. Si vedeva che eri felice. Adesso, non sembri così.”
Infatti, Veronica non si sentiva felice. Era moderatamente arrabbiata, inesplicabilmente triste e furiosamente stufa. Anche se non sapeva perché e con chi. Forse era colpa del dopo sbronza: in quel momento aveva solo voglia di ficcarsi sotto le coperte e piangere.
“Una cotta è una cotta” spiegò la voce saccente di Inocencia nella sua testa “Forse aver un novio plebeo fa sentire così.”
Possibile che, dopo tutto ciò che aveva rivoluzionato di sé stessa per sentirsi più felice, avere finalmente un ragazzo la facesse invece sentire così sbagliata?  
“Devo andare.” disse bruscamente alzandosi in piedi: Tebaldo la imitò e con una faccia insolitamente seria le si parò davanti.
“No, sono io che devo andare” ribatté con voce piana “Se ti sto sempre intorno è per forza dell’abitudine. Tediarti ormai fa parte dei miei compiti quotidiani, come farmi lucidare i mocassini e la passeggiata a cavallo. Credo sia ora di darci un taglio.”
No!, strillò disperatamente una voce dentro Veronica. In barba a quella di Inocencia e quella della defunta Gladi, quella voce non era estranea, ma era proprio la sua stessa e medesima.
“Reuccio Tebaldo preferisce andare a tediare la sua fidanzatina della gleba?” brontolò sottovoce: le veniva quasi da piangere al pensiero.
“Serena?” sorrise Tebaldo indulgente “Non reggerebbe nemmeno dieci minuti con reuccio Tebaldo. Ma mi piace passare del tempo con lei e sorprendermi di quanto possa essere ingenua e divertente una ragazzetta così onesta… è così delicata. Così fragile. Io sono uno stronzo di natura e per me è normale ferire: anche senza volere rischio di farle male sempre.”
“Quindi, ti limiterai a fare sesso con lei per non ferirla?”
“Può darsi” rispose Tebaldo dopo averci pensato su “O forse lascerò che il vero io sia quello che sta con lei senza demolirla. In ogni caso… credo sia arrivato il momento di lasciar stare te. Anche se mi… addolora ammetterlo, non è più tempo di battibecchi inutili. Perché stai cambiando davvero. E non per capriccio, ma perché non puoi fare altrimenti. Magari stai diventando grande, Grimilde.”
“Dio ci scampi.” sussurrò Veronica spaventata e Tebaldo le sorrise: fece una mossa strana con la mano, come se avesse voluto accarezzarla e poi avesse cambiato idea all’ultimo secondo.
“Non devi aver paura.” le disse poi dolcemente.
Allora Veronica sentì fortissimo un impulso che le veniva da dentro, da una profondità che non pensava nemmeno di possedere. Un impulso che fu come sete improvvisa nel deserto, che la fece tremare, diventare debole. Un pensiero più grosso della sua stessa mente, la sua voce limpida senza accenti spagnoli che supplicava: Stringimi.
“Veronica? Stai male?”
Veronica sbatté le ciglia perché aveva gli occhi così appannati che a malapena riusciva a mettere a fuoco Tebaldo in piedi davanti a lei.
Stringimi, Tebaldo. Avvolgimi col tuo odore, sgridami, prendimi in giro, litiga con me… poi baciami. Lasciami senza fiato. E stringimi ancora, forte, fortissimo, non farmi mai andare via…
 “Si” disse con la gola secca “Anzi, no, cioè… forse ho bevuto troppa grappa oggi. Beh, naturalmente hai ragione, cioè… v-vai da Topo Gigio, allora?”
Aveva gli occhi enormi e tratteneva il fiato: Tebaldo si sforzò di distogliere lo sguardo spostandolo su Sancho che si era rizzato a sedere e li fissava con un orecchio su e uno giù, interrogativo.
“Si, vado da Serena.” sentenziò con voce malferma.
Veronica dovette stringersi i gomiti con le mani: le sembrava che sennò le sarebbero cadute le braccia per terra, tanto si sentiva a pezzi.
E’ perché aspetto che tu mi stringi, Tebaldo… stringimi, per favore…
“Ok. Beh, allora ciao.”
Tebaldo non rispose e se ne andò, leggero come un gatto. Veronica non riuscì a smettere di tremare nemmeno quando sentì chiudersi il portone… nemmeno quando Sancho si parcheggiò con tutto il suo miasmatico peso sui suoi piedi, guardandola da sotto in su con occhi pieni di fiduciosa comprensione. Veronica lo scostò con un calcio che suscitò l’abbaiare oltraggiato di Byron, cercando qualcosa da urlare che potesse esprimere il confuso, esterrefatto disagio del momento.
“Porco cazzo.” disse infine, ma non si sentì per niente meglio.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
Oleana arrivò a casa Scarlini in piena notte: Inocencia le aveva detto di parcheggiare nel cortile sul retro e Oleana ubbidì, eccitata dalla novità e dall’aura di mistero della cosa. Non aveva nemmeno chiesto a Inocencia perché l’avesse chiamata a quell’ora tarda della notte, con la voce ansiosa e cospiratrice: si era solo preoccupata di avere un look giusto, leggins neri e maglioncino dolcevita nero abbinati a scarponcini dalla suola di gomma. Peccato non aver trovato un passamontagna… in alternativa, aveva scelto un colbacco di martora che suo padre le aveva portato dalla Russia e con quello in testa sgattaiolò rasente il muro fino alla porta di servizio che dava sulle cucine.
“Senorita… che diablo es esta cosa che tiene su la cabeza?” sentì la voce dubbiosa di Inocencia che le fissava il colbacco come se si aspettasse che la azzannasse da un momento all’altro.
“Un accessorio di scena” spiegò Oleana paziente “Per entrare meglio nella parte.”
Lo sguardo eloquente di Inocencia diceva che la parte della mentecatta le era entrata a pennello anche senza quella palla di pelo in testa, ma sorvolò educatamente mentre la faceva entrare di soppiatto dalla porta sul retro.
“Sembriamo due contrabbandieri di argenteria” gorgogliò estasiata Oleana mentre Inocencia le chiudeva furtiva la porta alle spalle “Non hai una teiera dell’epoca Ming da spacciare?”
“Senorita, non è il momento” berciò Inocencia, sorprendentemente poco servile e molto, molto preoccupata “La senorita Veronica es di sopra.”
“Adesso mi spieghi cosa è successo? Si è per caso drogata o ubriacata?”
“Non dopo l’ultima volta con lei, senorita Oleana” Velato sguardo di rimprovero subito contenuto “Es muy peggio: esta sera ha saltato el peluchero.”
La faccia di Oleana assunse un’espressione palesemente delusa.
“Oh. E mi hai chiamato qui nel cuore della notte perché Veronica ha saltato il parrucchiere? Potevo lasciare a casa il colbacco, se sapevo così.”
“Voi non capite” si agitò Inocencia arrovellandosi le mani “Esta es una cosa muy grave. La senorita Veronica non salta mai el peluchero. Nemmeno quella volta che teneva la febbre da caballo e diceva che c’erano dei cerbiatti che le correvano todos intorno.”
“E va bene” si arrese Oleana “Ammettiamo che Veronica sia gravemente spettinata. Cos’è successo in precedenza da sconvolgerla così profondamente?”
Inocencia la guardò con severo sospetto.
“Senorita, es per esto motivo che l’ho chiamada.”
“Logica inoppugnabile “ammise Oleana con un sospiro “Dov’è adesso la povera e prostrata cugina?”
Inocencia l’accompagnò attraverso le ampie sale della villa: mentre attraversavano il salotto dalla porta finestra sulla veranda si intravidero le figure di Sancho e Byron intenti in pubblici amplessi amorosi e Oleana si fermò doverosamente perplessa a osservare la scena.
“Inocencia” disse poi lentamente “Quei due cani sono gay.”
“Un abominio” berciò la cameriera facendosi il segno della croce “Jesus punirà los dos pecadores facendoli bruciar all’infierno per toda la vida. La senorita es di sopra. Me racomando: tatto e gentilesa, por favor. Gracias.”
Dopo un ultimo sguardo verso la focosa coppia di cani, Oleana salì le scale e spalancò la porta della camera di Veronica senza nemmeno bussare.
“Allora?” esordì mentre Veronica, stesa pensosamente sul letto, sobbalzava con un grido strozzato “Cos’è sta storia che salti il parrucchiere?”
“Avevo detto tatto e gentilesa!” tuonò la voce di Inocencia dalla base delle scale, seguita da un misterioso rosario in spagnolo in rapido allontanamento.
“Oleana” ansimò intanto Veronica con una mano sul petto “Tra un po’ ci rimango secca… ti sembra il modo di entrare in camera di qualcuno nel cuore della notte?”
“Mica stavi dormendo” sottolineò Oleana andandosi a sedere con nonchalance sul bordo del letto della cugina “E poi a quanto pare è un’emergenza. A dire il vero, i tuoi capelli mi sembrano decenti e tu sufficientemente sobria da evitare il ricovero coatto, ma evidentemente qualcuno in questa casa è convinto che tu sia entrata in una fase di profonda crisi depressiva. Quindi coraggio, ormai che mi sono macinata 20 Km per venire a vedere cos’hai, ti conviene parlare.”
Veronica si limitò a fissare la cugina con aria palesemente esasperata.
“E’ stata Inocencia a farti venire qui? Io la licenzio in tronco, quella botola ficcanaso!”
“Non lo farai mai perché le vuoi un bene dell’anima” rispose Oleana lapidaria “Almeno quanto lei ne vuole a te, per chissà quale misterioso motivo, visto che è l’unica ad aver sondato in tutte le direzioni il tuo subdolo animo Grimildiano. Ma il fatto fondamentale è un altro…”
“Lo vedo. Hai in testa qualcosa di peloso: mica sarà vivo, vero?”
“Questo no, ma la tua idea non è da scartare del tutto. Dici che potrebbe essere la nuova frontiera del fashion?”
“Oleana, che vuoi?”
“Chiederti perché sei infelice.”
La secca risposta lasciò Veronica senza parole: soddisfatta, Oleana si tolse il colbacco e lo posò sul comodino con gesti precisi e affettati.
“Adesso potresti dire che non sei affatto infelice” suggerì poi con un mezzo sorriso “In genere funziona così. Ma lo sei e non sai perché e questo ti manda in confusione: ecco perché ultimamente fai tante cazzate.”
“Perché, che cazzate avrei fatto?” sibilò Veronica punta sul vivo.
“La faccenda di Bianchi, per esempio: è un’unica, colossale, gigantesca cazzata. Comprensibile, eh? Siamo tutti grati al buon Bianchi per essere stato la chiave di volta di questa tua specie di rebird…”
“Forse volevi dire rebirth? Rebird suona come ri-uccello.”
“Beh…”
“Oleana!”
“Ok, torniamo a noi: Bianchi, dicevamo. Forse sarebbe utile capire quando ha iniziato a interessarti. Te lo ricordi?”
Se lo ricordava: la poesia di Verlaine, Bianchi con l’aureola di capelli biondi.
“E’ stato a scuola” disse riflessiva “Bianchi stava citando una poesia.”
“Vuoi dire che sei ancora una di quelle che si calano la crinolina per il primo eunuco che sospira due frasi in rima? Non ti sembra di aver sbagliato secolo?”
“Non è stata la poesia. E’ stata… la luce…”
“Quella in fondo al tunnel?”
“La luce intorno a lui e nei suoi occhi. Qualcosa che nel complesso trasmetteva pace. Emanava  serenità, il piacere semplice di apprezzare piccole cose. Io mi sono sentita così…”
“Invidiosa?”
“Rapita.”
“Quindi invidiosa.”
Veronica lanciò a Oleana un lungo sguardo impaziente.
“Perché ci devi sempre mettere del veleno nel descrivere tutto quello che mi succede?”
“Perché nonostante le apparenze e la convinzione segreta delle tue amiche Marie, anche tu sei umana. Quindi, anche tu sei obbligata a provare tutta la gamma di emozioni umane, dalle più elevate alle più meschine. Ergo, anche tu, Veronica, sei invidiosa.”
“Cioè, fammi capire: secondo te io invidio Bianchi? La sua casa grande come una scatoletta di piselli? Il suo cane pulcioso e i suoi imbarazzanti parenti?”
“No: invidi la sua luce. La sua pace. La sua serenità. Il suo piacere delle piccole cose. Siccome sei Veronica Scarlini della Torre, queste cose tu non le hai mai avute: tu non ti sei mai dovuta sudare niente, hai sempre avuto talmente tanta magnificenza intorno a te che le piccole cose sono diventate invisibili. Quindi, non potendo vedere le tue personali, hai pensato bene di andarti a prendere quelle di Bianchi. Con un giro un po’ tortuoso, a dire il vero: passando da Gladi, che poveretta è nata e morta proprio sottouna cattiva stella, calpestando qualche insignificante cuore qua e là, tipo quello di Topo Gigio…”
“Mi fai sembrare una perfetta stronza, così.”
Oleana le sorrise materna.
“Ma tu lo sei, Veronica. Sei davvero una stronza.”
Lo disse con una tale franchezza che Veronica nemmeno riuscì ad arrabbiarsi.
“Oh, grazie tante.”
“Non fare la permalosona, dai. Ognuno di noi ha i suoi difetti. Non è che con un aggettivo solo si esaurisca tutto quello che c’è da dire di te, sai? Sei anche… snob, arida, superficiale. Coraggiosa. Determinata. Fondamentalmente corretta. Senza contare che il tuo senso estetico è pazzesco.”
“Oh, me ne faccio molto del mio senso estetico.” grugnì Veronica: avrebbe voluto essere arrabbiata e offesa, e invece aveva solo voglia di piagnucolare.
“C’è gente che ci vive con solo quello, sai? Come al solito, non sai vedere l’importanza delle piccole cose.”
“Guarda che ho fatto senza queste tue dannate piccole cose per tutta la vita…”
“… e sei infelice. Quindi, forse, è il caso di cominciare a cercarle, no? Ma le tue, non quelle di Bianchi o di qualcun altro. Le tue piccole cose Veronica. Quelle che ti fanno stare bene senza doverle pagare. Quelle che costa tanto cuore farle o riceverle. Prova.”
“Non mancherò, Ora se il maestro zen ha finito di parlare, vorrei provare a dormire: ho un’emicrania che mi spacca la testa…”
“Doposbronza?”
“No, allergia al pelo di colbacco. Porta quell’affare impagliato fuori di qui, prima che cada in shock anafilattico, va.”
Oleana si alzò fluidamente, imitata da Veronica. Poi successe una cosa strana: Veronica si sporse verso di lei e l’abbracciò. Oleana rimase inchiodata sul posto, le membra rigide e gli occhi spalancati mentre la cugina, dopo due amichevoli pacchette sulle spalle, la lasciava andare tornando in posizione eretta.
“Buonanotte, sensei.” le disse con un sorriso ironico alla vista della sua espressione palesemente sconvolta.
“Cos’èra?” gracidò Oleana sospettosa.
“Una piccola cosa” rispose Veronica candidamente spingendola verso la porta “E piantala con quell’espressione schifata, è mortificante.”
“oh, ah… no, è che… cioè, mi hai colto di sorpresa…”
“Può ancora succedere alla Odescalchi che di è beccata una polmonite per essersi infrattata in uno sgabuzzino nuda come una banana sbucciata? Non ci credo. Ora vai, che devo meditare.”
“Oh, ok… ciao.”
“E grazie.”
Veronica lo disse mentre già la porta si chiudeva alle spalle di Oleana: anche così però riuscì a percepire il suo singulto sconvolto e sorrise.
*          *          *
Tebaldo resistette per ben tre giorni: quando Veronica disertò la scuola il primo giorno, si limitò a mantenere un broncio moderato; il secondo fece ferocemente finta di niente e girò per la scuola altero e rapace come sempre, con l’unica eccezione di avere gli occhi così verdi da risultare fosforescenti. Il pomeriggio del terzo giorno non resistette: telefonò a villa Scarlini con studiata aria “ennuyée” e chiese informazioni a Inocecia riguardo a Sancho, guardandosi bene dal nominare Veronica, ma confidando nel fatto che se qualcosa era successo a Grimilde, Inocencia se lo sarebbe sicuramente fatto sfuggire. Ma la brava donna gli sciorinò via telefono un paio di interi sermoni natalizi sul prossimo avvento dell’Apocalisse che avrebbe sterminato tutte le creature viventi di sesso incerto, ma non scucì una sola parola sulla sua algida padrona, così che Tebaldo dovette riagganciare ancora più frustrato e cupo. La mattina del quarto giorno, non vedendo ancora Veronica a scuola, tentò la carta delle Marie. Dovette subire lo strusciamento incrociato di Maria Beatrice e Maria Ludovica per poi venire a sapere che Grimilde non si era nemmeno sprecata a chiamare le sue degne dame di corte per ventilare una qualsiasi spiegazione per la sua assenza. Bianchi veleggiava tre le aule e nel suo più classico stile mimetico confondeva la sua pallida faccia con le pareti circostanti; anche Serena era più inconsistente del solito.
Quel pomeriggio a pranzo Oleana, sfruttando la sua fitta rete di informatori, riuscì ad imbattersi “casualmente” in un Tebaldo più cupo e nervoso che mai.
“Caro cugino!” cinguettò sedendosi al suo tavolo, platealmente non invitata “Anche tu qui? Che fortunata coincidenza!”
Tebaldo grugnì qualcosa di indecifrabile: Oleana sbirciò di sottecchi il piatto appena spiluccato, l’evidente broncio sul bel viso del cugino e sorrise sotto i baffi.
“Allora, Tebaldo, come vanno le cose con la tua innamorata?”
Tebaldo scrollò le spalle stizzito.
“Per la millesima volta, Oleana, Veronica non è la mia innamorata.”
“Davvero. Interessante. Io comunque intendevo chiederti come vanno le cose con la piccola e grigiastra plebea.”
A Tebaldo tremò appena un angolo della bocca: Oleana fu molto soddisfatta di come riuscì a trattenere a forza un sogghigno malefico.
“Si chiama Serena” tergiversò Tebaldo brusco “Sarebbe carino riferirsi a lei con quel nome. E comunque va bene, grazie. Tu e il  tuo finnico proletario?”
“Meravigliosamente” sorrise Oleana estasiata “Mi sta aiutando un sacco con l’allestimento della festa.”
“Che festa?” sfuggì a Tebaldo: Oleana gli sgranò innocentemente gli occhi in faccia.
“Ma come, Tebaldo! “Adotta un plebeo”, la festa tua e di Grimilde. Pardon, di Veronica.”
“Umpf.” rispose Tebaldo ancora più cupo: moriva dalla voglia di chiedere a Oleana se avesse visto o sentito Veronica, ma si sarebbe infilzato con uno spiedo piuttosto che farlo sul serio.
Oleana gongolò sadicamente mentre cianciava del più e del meno, sommergendo un Tebaldo sempre più imbronciato di inutili futilità.
Poi, di punto in bianco, si alzò in piedi, sventolò due baci volanti al silenzioso cugino.
“Ora devo andare” sospirò allegra “Immagino che sia superfluo dirti che se vuoi sapere come sta Veronica, devi andare da Veronica.”
“Io non ho chiesto niente a nessuno.” ribatté Tebaldo di nuovo reattivo.
“Per l’appunto. Forse avresti dovuto.”
“Che intendi dire?” chiese Tebaldo aggrottato.
Ma Oleana, dopo quella sibillina affermazione, girò i tacchi e quasi volò fuori dal locale.
Tebaldo decise che era arrivato il momento di prendere in mano la situazione: con piglio deciso ordinò all’autista di portarlo a villa Scarlini e lì arrivato bussò perentorio.
Dopo un tempo che sembrò infinito, Inocencia andò ad aprire uno spiraglio di porta da cui lo fissò tra il preoccupato e l’ostile.
“Oh, senor Tebaldo… buenas dias.” borbottò impacciata: era così palesemente infelice di vederlo lì che Tebaldo, temendo il peggio, non perse tempo con le buone maniere e l’ironia.
“Fammi entrare, Inocencia.” ordinò perentorio.
La donna sembrò titubante.
“Beh, ecco, uhm, cof! La senorita non c’è…”
“Balle. E raccontando balle si va all’inferno, Inocencia, ricordatelo. Insieme a quei peccatori di Sancho e Byron.”
La donna impallidì vistosamente.
“Beh, ecco, uhm, cof!, la senorita c’è ma sta… facendo… un… massaggio…”
“Dopo l’exploit dell’altro giorno Padavandra non verrebbe a villa Scarlini nemmeno per un quintale di monete d’oro. E non ci credo che Veronica si faccia massaggiare da chiunque altro. Mi fai entrare si o no?”
“Non puede” piagnucolò Inocencia accorata “La senorita me mata… dice che me chiude in giardino con los perros peccatores… por dias e dias e dias!!! No puede, senor…”
Ma Tebaldo, con uno scatto fluido e felino, infilò un piede nella porta e sgusciò dentro. Inocencia fece appena in tempo a iniziare a strillare che se lo trovò a salire le scale a quattro a quattro, diretto come un fuso alla stanza di Veronica.
“Senor, fermo!” berciò la domestica accorata, ma Tebaldo guadagnò la porta della camera da letto con uno slancio degno di un centometrista e la spalancò.
Per un attimo rimase sulla soglia, cupo e concentrato, quasi scintillante di preoccupazione e attesa. Poi, il suo corpo si rilassò e il suo classico sorriso da serpe gli stese decisamente le labbra.
“Grimilde carissima!” esultò poi allegro “Ma tu hai… l’influenza!”
*          *          *
Veronica si girò e aprì laboriosamente un occhio: avvolta tipo crisalide nelle coperte, l’unica parte di sé che sporgeva erano i capelli aggrovigliati e il viso congestionato e febbricitante.
“Debaldo” gorgogliò con sfinito livore “No, ber favore, du no… Idogenzia! Di uggido!”
“Senorita!” ansimò la domestica arrivando trafelata sulla porta “Perdona me, el senor si è infilado como un serpente tentador…”
“Si, non prendertela con la povera Inocencia” chiocciò Tebaldo di ottimo umore “Ce l’ha messa proprio tutta per tenermi fuori di casa. Ma tu lo sai come riesco a essere ostinato, quando voglio. Inoltre, ho fatto atletica per due anni, e scartare una pallottola borbottante non è stato poi così difficile. Vai pure, Inocencia, ora alla cara futura estinta ci penso io.”
“Dio salvabi.” borbottò Veronica sparendo all’interno della crisalide.
Tebaldo sogghignò e si avvicinò indolente al letto.
 “Cara, che prostrante esperienza vederti così congestionata. Se solo non fossi stato tanto preoccupato, mi sarei portato la macchina fotografica… è assolutamente un momento da immortalare, questo.”
“Gobe hai fatto a sabere?” sbuffò Veronica facendo riemergere il naso dalle coperte.
“L’ho intuito. I segnali c’erano tutti, d’altronde… Ma è stata davvero un’ottima mossa mantenere il silenzio stampa con le Marie. Tutti si chiedono dove diavolo tu sia, ma nessuno osa esternarlo per paura di fare una figuraccia e sentirsi rispondere che magari sei sul panfilo del sultano del Brunei, o cose così. Come stai?”
“Da berda” rispose lei: una mano vagante con un ampio fazzoletto emerse dal bozzolo, arrivò a soffiare rumorosamente il naso poi tornò a sparire rendendo di nuovo Veronica una perfetta mummia egizia, avvolta in chilometri di puro piumino d’oca e seta “Essere balati è uno sghifo. Dod bi rigordo biù debbedo l’ultima volda che è suggesso.”
“Effettivamente, qualsiasi cosa tu ti sia presa ti rende deliziosamente antiestetica” gioì Tebaldo osservando estasiato la faccia chiazzata e gonfia della perfida cugina “E così plebea! Una banale, comunissima influenza. Capisco perché la tieni nascosta, fare outing e ammettere di averla sarebbe un completo suicidio sociale. Stai prendendo medicine?”
“Sono drogada bargia” confermò Veronica corrucciata “Ba se ti azzardi a dide in gido che sono bessa gosì ti sbello vivo. Anzi, beggio: di addacco il virus. E gredibi, dod so se sobravviverai.”
“Passiamo direttamente alle minacce, eh?” gongolò Tebaldo “E io che ero venuto qua per scongiurare il peggio. Invece, ormai è successo.”
Veronica, a fatica, emerse dalla crisalide e gli puntò addosso due occhietti rossi e cisposi.
“In ghe senso?”
Tebaldo la indicò tutta, da capo a piedi.
“Ma ti vedi? Cos’è quel catafalco che hai addosso?”
“Un bigiaba” rispose Veronica sostenuta “Gosa dovrei betterbi, un baby doll?”
“E i capelli… santo cielo, Veronica, vien voglia di vedere se lì in mezzo ci sono uova di upupa da covare…”
“Se sei venudo gui ber offendere buoi anghe addare in giardino a far gombagnia a guello zozzone del duo gane.”
“Dopo, magari. Tu hai sentito nessuno durante i suoi deliri virali? Il tuo bell’innamorato, per esempio?”
“Bianghi? Do.” borbottò Veronica sottovoce.
“Più che logico, no? Tre giorni che non ti fai sentire, con tutto quello che c’è stato prima. Si sarà mangiato tutto il fegato nel chiedersi cosa ti sia successo.”
“Se gli inderessava sabere gobe sdavo bodeva delefonare.” grugnì Veronica.
“Forse aspettava in cenno da parte tua. Sai, i plebei non capiscono le ragioni sociali di noi divinità dell’Olimpo. Vuoi che lo chiami io?”
La crisalide con dentro Veronica sussultò.
“Ber garidà…”
Con una risatina di scherno, Tebaldo andò a trafficare tra la pila di medicine sul comodino poi le porse un bicchiere di carta con dentro una mistura schiumosa dal vago odore di dentifricio.
“Su, bevi questo. Poi soffiati il naso. O hai intenzione di parlare come Kunta Kinte per tutta la giornata?”
“Sbiridoso gome sembre.” grugnì Veronica, ma ubbidì.
Poi raddrizzò la schiena contro i cuscini, si sistemò un po’ i capelli, si aggiustò il colletto del pigiama e gli lanciò uno sguardo sprezzante. L’effetto era quasi tenero, su quella faccia arrossata e pateticamente indifesa, e Tebaldo nascose un sorriso dietro a un’espressione solenne.
“Oh, così va meglio: vedo un barlume di Veronica dietro a questa creatura molliccia infagottata in un… come hai chiamato quel coso stermina-ormoni che hai addosso?”
“Pigiama” rispose Veronica sforzandosi di mantenere un’aria truce “E vedremo come ti vestirai tu durante il tuo personale delirio virale: sto dirigendo tutte le mie più perfide spore aerobiche verso di te, entro domani comincerà già a colarti il naso… e io sarò lì al varco, a sogghignare come fai tu adesso.”
“Ma io non sto sogghignando.” ribatté Tebaldo, sogghignando platealmente.
“Già. E io sono madame Curie.”
“Sì, l’avevo intuito dal colorito radioattivo della tua faccia. Allora, cara cugina idrofoba, ora che sono qui non posso far altro che il tuo damo di compagnia, anche se devo ammettere di non essere ferrato in emissioni mucolitiche e linguaggi negroidi. Che si fa in questi casi?”
“Che ne so io? Basta che non intendi stare qui tutto il giorno a dirmi quanto sia livido e antiestetico il mio incarnato oggi…”
“Sai che detesto evidenziare l’ovvio” tubò Tebaldo con un sorriso scintillante “No davvero, il mio buon cuore sanguina nel vederti così depauperata. Dimmi, cara, cosa posso fare per te?”
Veronica ci pensò un po’ su, fissandolo di sottecchi: Tebaldo era come al solito schifosamente elegante e disinvolto, abbronzato e bello da farsi prendere a schiaffi. Forse era per la febbre o per la debolezza, ma Veronica non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
“Potremmo giocare a carte.” rispose poi perfidamente: l’aveva detto per demotivarlo, ma a sorpresa Tebaldo schizzò in piedi e andò a cercare un mazzo di carte.
Molto cerimoniosamente, mescolò il mazzo come un consumato biscazziere e diede fuori le carte. Giocarono per un bel pezzo, entrambi sogghignando dietro un’aria solenne e giudiziosa. Tebaldo insegnò a Veronica i fondamenti della Canasta, Veronica ricambiò il favore insegnandogli la variante Teresina nel poker. Nel frattempo, continuarono a insultarsi sottovoce con piacevole inconsistenza, segretamente e vergognosamente speranzosi che quel pomeriggio sonnacchioso non finisse mai.
Veronica, col passare dei minuti, riuscì a rilassarsi e a contenere l’istinto suicida che l’aveva attanagliata all’ingresso di Tebaldo nella sua camera. Era andata in confusione perché l’ultima cosa che voleva al mondo era che Tebaldo vedesse quanto era orribile in versione struccata e devastata dalla febbre: ma a dispetto delle sue battute ironiche, Tebaldo non l’aveva guardata con l’orrore che si era aspettata. Anzi, il suo sguardo si era addolcito come non mai, facendo scintillare gli occhi verdognoli di una luce soffusa, quasi… quasi… tenera? Ma no. Impossibile. Comunque, in quel momento, a Veronica non sarebbe importato un gran che persino se avessero appeso fuori dalla scuola l’ennesimo cartellone con lei sopra avvolta nella sua crisalide con fuori solo il naso color ciliegia e i capelli a nido di upupa. Sorrise a Tebaldo che finalmente metteva via le carte, ma lui la ricambiò uno sguardo aggrottato.
“Che c’è?” chiese brusco.
“Niente. Ti ho sorriso. Perché?”
“Perché hai la faccia di uno che si è appena fumato un chilo di erba jamaicana… fammi sentire.”
Le mise una mano fresca e asciutta sulla fronte rovente e Veronica socchiuse gli occhi con sollievo.
“Lo sapevo, scotti come una bistecchiera.”
“Dentro esta crisalide si sta muy calienti.”
“Oddio, adesso parli in spagnolo come quando sei sbronza… avanti, prendi un’altra aspirina.”
Veronica sogghignò di sottecchi mentre lui scartabellava di nuovo tra le sue medicine sul comodino.
“Un’aspirina! La panacea universale contro todos los malos. Sei raffreddato? Tomar un’aspirina. Sei giù di morale? Tomar un’aspirina. Sei incinta? Dios, tomar subito un’aspirina!”
“Ecco, ci mancava solo che cominciassi a delirare!”
Tebaldo le passò una mano delicata dietro la nuca e l’aiutò a ingoiare una compressa, poi a bere un sorso d’acqua.
Veronica sorrise di nuovo e di nuovo Tebaldo rimase cupo e aggrottato. Lo sguardo febbricitante di Veronica era inquietante: lucido, aperto... così verde. Così esposto. Così fastidiosamente diretto e disarmato. Non era da Grimilde avere le difese così scandalosamente abbassate.
“Ma infatti, io non sono più Grimilde…”
“Allora, è tutto pronto per la festa?” chiese distogliendo lo sguardo.
“Todo bien” gorgogliò Veronica con aria sognante “Il catering ha chiesto un sovrapprezzo per i panini caciotta e salame, ma la querida cugina ramo Riccobono assicura che sono assolutamente plebei e quindi indispensabili.”
“Lo smoking per il tuo boccoluto accompagnatore è pronto?” buttò lì Tebaldo guardandosi le unghie.
“Todo listo. E gli sta anche piuttosto bene. Il Bianchi es muy lindo, una volta che lo si è lucidato a dovere.”
“Oh. Così lo hai lucidato?”
Il sorrisone di Veronica perse un po’ del suo smalto onirico.
“Perché mi sembra una domanda col doppio senso?”
“Ha tutti i sensi che gli vuoi dare tu.”
“Io non ho lucidato Bianchi” borbottò Veronica con un broncio infantile “Ci siamo solo baciati. Baciati senza bum.”
“Bum? E’ un acronimo per qualcosa di imbarazzante e femminile?”
“No, bum è solo bum. Bum è quello che una si aspetta che succeda quando bacia qualcuno. Posso dirti una cosa segreta?” sussurrò Veronica con una vocetta sottile da bambina.
“Se stai vedendo alieni verdi cavalcare unicorni rosa, è facile che la febbre sia salita ancora.”
Veronica scosse giudiziosamente la testa.
“Niente unicorni. E’ un segreto che non dobbiamo dire a nessuno, soprattutto a Tebaldo.”
“Sarò muto come una tomba.” sorrise Tebaldo ironico.
Veronica lo prese per il bavero e lo attirò vicino: a dispetto dell’influenza, delle medicine e della crisalide, il suo profumo era leggero e fiorito, quasi primaverile.
“Tebaldo fa bum.” sussurrò convinta.
“Credo di non capire.”
“Ma dai, es claro! Tebaldo è un tale stronzo…”
“Queste parole menzognere mi feriscono nel profondo, mia cara.”
“E’ perfido. Cafone. Antipatico. Snob.”
“Mi sembra tanto un autoritratto, Veronica cara.”
Veronica lo strattonò per il bavero della camicia, avvicinandolo ancora di più.
 “Tebaldo è un agglomerato di sterco. Eppure quando mi bacia lui…”
Senza finire la frase, venne scossa da un brivido lungo la schiena che Tebaldo percepì chiaramente.
Trattennero entrambi il fiato: di colpo non stavano più discutendo o prendendosi in giro.
Si guardavano, dolorosamente consapevoli della vicinanza, del calore sprigionato fra di loro, che non aveva niente a che fare con la febbre.
Lei gli fissava le labbra con una sete negli occhi così elementare e puerile che Tebaldo sentì il cuore balzargli in petto dolorosamente. Ciò lo sconvolse nel profondo: non era abituato ai movimenti volontari e non del proprio atrofico cuore. Pensava si fosse cementato secoli prima, e invece era ancora lì a ostruirgli la gola mentre guardava gli occhi disarmati di Veronica, la sua bocca rosa così tenera e vera, senza trucco…
“Cazzo, Veronica” mormorò rauco “Non guardarmi così…”
Per tutta risposta, Veronica gli circondò il collo con le braccia, inclinò il collo attirandolo a sé e lo baciò. Ad occhi socchiusi, languidi, arrendevoli.
Tebaldo girò il viso con uno sforzo che gli costò quasi tutte le sue riserve di determinazione.
“Che diavolo fai?” ruggì sottovoce.
“Ti bacio.” sospirò Veronica con la pazienza di una maestrina a un alunno particolarmente duro di comprendonio.
“Non dovresti.”
“Perché?”
“Come perché? Mi hai appena dato dell’agglomerato di sterco.”
“Infatti lo sei. Ma non posso farci niente: quando sei vicino non penso nient’altro che a questo. Baciarti. E ancora. Ancora e ancora…”
Gli prese delicatamente il mento e lo girò di nuovo verso di sé: le sue labbra lo cercarono gentili ma determinate, assolutamente convinte.
Tebaldo non si soffermò un solo millisecondo di più a pensarci su: le afferrò le braccia e la strinse forte con brusca prepotenza.
“Mia” pensava intanto rabbioso e irrazionale “Veronica mia…”
Veronica si abbandonò al bacio avidamente, forse per la prima volta in vita sua… di sicuro, per la prima volta con Tebaldo. Poteva dare la colpa alla febbre, al fatto che fosse così debole e spossata: in realtà si lasciò andare perché sentì che farlo era terribilmente giusto, ineluttabile. Si strinse a Tebaldo trascinandolo con sé sul letto: gli infilò le dita fra i serici capelli neri e assaporò il bacio nella sua lenta, devastante completezza. Tebaldo posò sul suo viso due mani ferme e asciutte, delicate ma nello stesso tempo imperiose mentre le sue labbra fresche rispondevano al bacio nel modo più seducente possibile. Veronica si dimenticò di avere la febbre, si dimenticò di Bianchi,  di Gladi, di Grimilde e si lasciò andare all’emozione incredibile che l’aveva avvolta annientandola, rendendola incapace di reagire. Tutto il suo essere era semplicemente concentrato nell’assorbire la meraviglia di quel momento, l’odore della pelle di Tebaldo, la consistenza setosa del suoi capelli tra le dita, la solida e liscia fluidità con cui il suo corpo aveva aderito al proprio, il tocco delicato della sua lingua e il sapore sulle sue labbra… quasi non si accorse di accarezzarlo, di cercare con le dita la morbidezza della sua pelle sulla nuca. Quasi non distinse il mormorio rotto del suo respiro mentre la sua bocca le scivolava sul collo, sulla spalla. Ma quando lui le mordicchiò la base del collo, stringendola fianchi contro fianchi, l’arrivo di un desiderio arcano e incontenibile la lasciò senza fiato con la forza di una cannonata. Gemette piano e Tebaldo strinse ancora di più, una mano a tenerle ferma la nuca, l’altra che vagava sul fianco, incatenata dal tessuto fluffoso del pigiama.
“Maledetta crisalide…” borbottò evidentemente frustrato: per Veronica fu come una seconda fucilata, sentire la sua voce alterata dal desiderio, così poco studiata e così autentica…
Senza nemmeno sapere da dove le venisse l’impulso, scalciò le coperte finché la crisalide non finì in fondo al letto. Senza smettere di baciarsi, in un sincronismo che aveva del predestinato, Tebaldo le fece scivolare via i pantaloni del pigiama e Veronica quasi gli strappò via la camicia di dosso. Le dita di Tebaldo risalirono lungo il fianco, sfiorarono il costato sotto la camicia del pigiama, accarezzarono l’addome che sussultava leggero per il respiro irregolare. Lei si aggrappò alla sua schiena liscia e solida, imprimendo a fuoco le dita sulla sua pelle mentre vertebra dopo vertebra si spingeva sempre più giù, fino a oltrepassare il confine della cintura, fino a posarsi sulle sue natiche per stringerlo contro di sé. Dalla gola di Tebaldo uscì un verso nuovo, sconosciuto, quasi animalesco. Aprì con forza quasi brutale le ginocchia di Veronica, carezzando la coscia con dita dure ed esigenti mentre la sua bocca le lasciava una scia rovente lungo il collo, sulla clavicola. Strattonò la camiciona del pigiama facendo saltare due bottoni e rivelando un comunissimo reggiseno bianco, lontano anni luce dalla lingerie costosa e raffinata che di solito Veronica indossava, ma proprio per quello ancora più eccitante agli occhi avidi di Tebaldo. Con poche energiche scrollate di spalle Veronica si liberò della camicia del pigiama e con l’aiuto di Tebaldo anche del reggiseno. Rimase quindi nuda e indifesa ai suoi occhi, ma non riuscì a vergognarsi di sé e del suo essere così impreparata: lo sguardo di Tebaldo le vagò sul corpo con una tale intensità da risultare densa, da lasciare senza fiato.
“Sei bellissima.” mormorò appena con voce roca, e Veronica fu assolutamente certa della sua sincerità.
Lo attirò contro di sé, sussultando al contatto del suo petto fresco contro il proprio seno, caldo di febbre di desiderio. Tebaldo mormorò contro le sue labbra parole sconnesse che morirono soffocate dai loro baci, le sue mani la sondarono centimetro per centimetro, la sua bocca le bruciò la pelle lungo la clavicola, il petto lo sterno.
E’ il Paradiso” pensò remotamente Veronica con le dita aggrovigliate ai capelli di Tebaldo: gemette piano e con assoluto abbandono quando le mordicchiò il seno con lenti, lunghi, spossanti baci.
Senza curarsi di sembrare spudorata, mosse di nuovo i fianchi contro di lui e la risposta che sentì fu fin troppo pronta, travolgente di primitiva eccitazione.
Io ti voglio” pensò Veronica: e non c’era niente di sbagliato in quel pensiero, niente fuori posto. Quello ne portò subito un altro, ancora più grande e ineluttabile: “io ti amo”.
Ma non riuscì mai ad arrivare ai sensori della sua coscienza perché in quel momento un sonoro bussare alla porta la ributtò bruscamente nel mare gelido della realtà. La voce di Inocencia sembro quasi quella del boia che sancisce la pena di morte:
“Senorita? C’è qui el senor Bianchi che chiede de vederla.”

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Veronica e Tebaldo, immobili come statue di marmo, si fissarono negli occhi con crescente consapevolezza e orrore. Il tempo sembrò rallentare a fissare affascinato i due giovani che, nel giro di un respiro, passarono dal più puro coinvolgimento sessuale a una sorta di parodia del fedifrago beccato in flagrante.
“Senorita? Puede aprire la puerta?”
La voce lineare di Inocencia ebbe il potere di sbloccare il momento catartico: in perfetto sincronismo i due si mossero, Tebaldo rotolò di lato fino a cadere dal letto e Veronica recuperò la crisalide tirandola fino al mento, avvolgendosi in un bozzolo confuso di pigiama strappati, piumino e lenzuola.
“No!” strillò a gran voce “Io… cof! Manda via Bianchi immediatamente!”
“Porque?”
Ma Inocencia doveva proprio fare domande scomode in quel dannato momento?
“Adesso non posso!” strillò Veronica in preda al panico “Io… cof! Devo… ehm, sto tossendo!”
“Non es un buon motivo” continuò la voce petulante di Inocencia: persino in quel momento di sublime imbarazzo Veronica riconobbe il più altero tono accusatorio/puritano della domestica. “El senor Bianchi è stato così gentile da venir a trovarve. Con un mazo de flores. Muy hermoso, lo siento. Yo crede che la senorita puede ricevere altre visite, oltre los parientes. Quindi yo credo che apro esta puerta, ahora mismo.”
Detto, fatto. Aprì la porta con decisione e Veronica tirò le lenzuola fin sopra il capo.
“Inocencia!” ruggì frustrata: se avesse avuto addosso qualcosa di più di un paio di mutande sarebbe sicuramente balzata dal letto per azzannare la domestica al polpaccio “Se ti pago uno stramaledetto stipendio mensile è perché tu faccia quello che dico io! Non che tu fai entrare e uscire chi ti pare e piace come se avessi quattro anni!”
“A quatro anos teneva più giudicio che ahora. De la cama, senorita, fuori dal letto. O vengo a sacarte.”
Capacissima di arrivare davvero a trascinarla fuori dal letto per i capelli: in pieno attacco di panico, Veronica fece sbucare la punta del naso dalle coperte e dalla millimetrica fessura creata dalla cortina di lenzuola e i capelli aggrovigliati vide Bianchi in piedi sulla porta che dondolava incerto sommerso da un completo, dilagante imbarazzo; davanti a lui la semisferica domestica colombiana la fissava a braccia conserte e labbra pressate, lo sguardo severamente aggrottato e accusatore.
“Oh, ah… ciao P-P-Paolo… “ gracidò Veronica senza fiato “Come, ehm!, va?”
“Ciao Veronica” sussurrò Bianchi con aria decisamente infelice: strisciò i piedi fissando terra così dolorosamente che sembrava sul punto di metterci un cerotto “Io sto bene, e tu?”
“Donde esta el senor Tebaldo?” intervenne Inocencia a muso duro.
Il panico raggiunse la gola di Veronica rendendo il passaggio dell’aria impervio e sibilante.
“Chi?”  
“El senor Tebaldo. El suo cugino. Pariente stretto.” Peccatore, lampeggiava al neon la vignetta sopra la sua testa “Entrado aqui come una furia hace tres horas. Dònde està?”
La temperatura sotto le coperte raggiunse quella della fusione del piombo.
“Ah, ehm, Tebaldo, certo… è… non è… è uscito.”
“Da dove?”
“Dalla porta.”
Le migliori bugie nascevano sempre da un fondo di plausibilità, dopotutto.
“No he visto.”
“Non è di sicuro colpa mia se sei cieca come una talpa.”
Per un attimo lo sguardo febbricitante di Veronica e quello ombroso di Inocencia si scontrarono, facendo quasi scintille: sudando, quasi sul punto di capitolare, Veronica tentò la carta della copertura di Grimilde, sapendo però che era la sua ultima chance.
“Magari è passato a salutare il suo puzzolente cane pederasta. Se hai tanta voglia di vedere Tebaldo, prova a fare un giro per il giardino. Senza dimenticare l’acqua santa e il rosario, naturalmente.”
La sua voce risultò fredda e decisa persino a lei stessa, ma la svuotò completamente: se Inocencia avesse tentato un passo verso di lei, si sarebbe messa a strillare come una maledetta sirena.
“Bueno.” borbottò invece la domestica  scrollando secca le spalle “Me voy.”
“Ecco, brava.”
“Ma no tiengo nessuna intention de cerrar la puerta. Claro?”
“E lasciala aperta, così oltre alla febbre mi viene anche la broncopleurite e tu finalmente potrai seppellirmi contenta.”
Inocencia uscì senza replicare e Veronica rimase sola, spossata e senza forze in compagnia di Bianchi. E di Tebaldo probabilmente nascosto sotto il letto… ma a quello non aveva il coraggio nemmeno di pensarci.
“Ariciao” gracidò sprofondando sul cuscino ma stando ben attenta che nemmeno un millimetro di sé uscisse dalle coperte “Che ci fai qui?”
Bianchi, con i fiori ancora in mano e l’aria più desolata che mai, strisciò di nuovo i piedi: se fosse stata un po’ più in sé, Veronica l’avrebbe trovato mortalmente tenero… o mortalmente patetico, se Grimilde fosse sopravvissuta.
“Ehm… io? Ehm… ciao, V-Veronica… cioè, so di non aver nessun diritto di essere qui, ma, ehm? Io ero… preoccupato…?”
Com’era dolce, in quell’impaccio così tipicamente Bianchesco: e com’erano biondi i suoi boccoli, rosee le sue guance imbarazzate. Veronica, debole e febbricitante, non poté fare a meno di commuoversi.
“Potevi telefonare.” berciò sottovoce, ammorbidita: non aveva nessuna voglia di trovarlo tenero… ma era più forte di lei.
“Lo so, ma ehm! Io… volevo… eh, uhm, cof! Vederti…?”
Il suo rossore raggiunse livelli quasi incendiari: povero, dolce Bianchi… chissà quanto gli stava costando quella confessione in piedi, coi fiori in mano, in pieno territorio nemico…
“Sei stato carino a venire.” si trovò a mormorare Veronica senza nemmeno volerlo: Bianchi sorrise illuminandosi come un albero di Natale, e Veronica lo ricambiò.
“Oh, no!” protestò la Veronica interiore virtualmente non influenzata “Fino a dieci secondi fa eri sul punto di copulare con Tebaldo, e sei ancora nuda come un pollo disossato con addosso il suo odore… non puoi fare la carina con Bianchi proprio adesso!!”
Vero; sacrosanto! Veronica smise subito di sorridere e tossicchiò per tornare seria.
“Senti, Bianchi, io devo dirti…”
Ma Bianchi la interruppe di colpo: come aspettando solo il via della sua voce per buttarsi da una scogliera, mollò i fiori per terra e quasi si tuffò a sedere sul letto, armeggiando tra le coperte per trovare la sua mano da stringere.
“Oh, Veronica” disse con voce rotta mentre lei ripiombava nel panico e si irrigidiva sotto le coperte “Per un attimo ho pensato… che stupido a dubitare di te! E mentre io pensavo male, tu eri qui ammalata… sono proprio uno stronzo! Mi perdoni?”
Che dire? Che fare? Veronica ansimava come un locomotiva, completamente nel pallone: la freddezza di Grimilde sarebbe stata benedetta in quel momento, ma si era evidentemente consumata tutta nel combattere quel maledetto virus influenzale.
“Io… certo che ti perdono… ma di che?”
“Di aver pensato che tu mi stessi prendendo in giro per l’ennesima volta. Non una parola, né a scuola né per telefono… sono impazzito dal sospetto. Ma mi sbagliavo. Cara!”
La sua voce era così sinceramente emozionata che Veronica ammutolì.
“Dovevo avere più fiducia nella Veronica che mi ha parlato in spagnolo e che mi ha baciato, qualche giorno fa…  tu sei stata onesta e sincera con me, e io ho dubitato della tua limpidezza. Mi sento malissimo… ma non succederà più, te lo prometto.”
Aveva trovato la sua mano, aggrappata alle lenzuola come un naufrago alla zattera.
“Veronica! Ma hai le mani ghiacciate…”
Dolcemente, le staccò dito per dito dalle lenzuola, prese la sua mano e se la portò alla bocca, lasciandole un piccolo bacio. I suoi occhi la fissarono, così puliti e grandi e azzurri…
“Paolo… per favore, ascoltami…”
Bianchi si sporse delicatamente verso di lei, che non potendo fuggire da nessuna parte lo attese come se fosse la scure del boia: le posò un delicato bacio con labbra fresche e morbide, dal sapore quasi di zucchero.
“Grazie, perché mi dai la possibilità di riscattarmi dagli errori che faccio e mi permetti così di essere migliore. Sei una grande, bellissima persona, Veronica Scarlini della Torre.”
La baciò di nuovo sulle labbra mute, gelide e dure come pietra: quando si scostò, Veronica non riuscì nemmeno ad aprire la bocca. I suoi occhi si riempirono di stelle lucenti, ma il suo viso rimase immobile, pallido, infinitamente bello e fragile.
“Ora vado via… non volevo disturbarti. O preferisci che rimanga qui?”
Veronica accennò appena un diniego con la testa: le tremava talmente il petto che non si azzardò a profferire un fiato per paura di scoppiare a piangere, ragliando come un asino da soma.
“Ok. Posso… posso tornare domani? Ti prego. Ho tanto bisogno… vorrei vederti, ehm. Posso?”
Come dire di no a quei laghetti celesti e accorati?
Un nuovo cenno affermativo, rigido come se l’avesse fatto un sasso, riuscì a far illuminare il viso di Bianchi con un altro sorriso.
“Bene! Allora a domani, Veronica…” si avvicinò di nuovo alle sue labbra, titubante “Cara Veronica.”
La baciò un po’ più a lungo, malinconico e struggente come un tramonto di fine estate.
Poi si alzò: imbarazzato raccolse i fiori e li sistemò sul tavolino. Le carezzò le dita timidamente e poi un po’ goffo, salutandola con la mano, uscì dalla stanza, chiudendosi educatamente la porta alle spalle.
*          *          *
Dopo alcuni secondi di assoluto silenzio, Veronica intuì un frusciare stizzito e la testa di Tebaldo emerse dal bordo del letto.
“Mi aspettavo quasi che iniziasse a suonare la cetra” bofonchiò sferzante “Non se ne andava più!”
Si alzò in piedi agilmente, si passò una mano tra e capelli e scrollò le spalle, di nuovo a suo agio e altero come se non fosse successo niente. Veronica, svuotata, era ancora immobile con le coperte tirate fino al mento e gli occhi socchiusi.
Tebaldo le lanciò un breve, insondabile sguardo.
“Guarda che adesso puoi respirare” le disse con voce piana “Il cherubino è uscito.”
“Mi sento una merda.” mormorò Veronica sovrappensiero: di sicuro, potendolo elaborare, non lo avrebbe detto così.
Tebaldo si mise ad armeggiare tra le coperte con aria indifferente.
“E perché? Sei stata ammirevole: hai detto il minimo indispensabile e sei rimasta fedele al tuo personaggio… molto algida, molto gran dame. La grande, bellissima persona che è Veronica Scarlini della Torre.”
Veronica girò lo sguardo appannato su di lui.
“L’hai sentito?”
“Ogni singolo punto interrogativo. Caro, dolce Bianchi. Veronica, che bella persona che sei, tu rifulgi di candida luce come una stella, t’amo pio bove… blah, mi sembrava di avere una palla di pelo di zucchero filato conficcata in gola, ancora un po’ e morivo soffocato. Hai visto la mia camicia?”
Veronica si mise a sedere, lentamente, laboriosamente: rovistò in mezzo alle coperte finché non emerse un indumento e glielo porse.
“Quello è tuo pigiama” le fece notare Tebaldo, sempre con quella voce impersonale e metallica “Mettitelo, se non vuoi prendere davvero la broncopleurite.”
Veronica obbedì diligente, come un automa: dalle manovre emerse anche la camicia di Tebaldo, tutta stazzonata e col colletto piegato. Lui se la mise con gesti rapidi e precisi, lisciandosela sul petto. Pochi minuti e sembrò di nuovo tutto normale: Tebaldo in piedi, vestito di tutto punto, e Veronica a letto, col viso pallido e così serio da sfiorare il triste.
“Beh, allora vado anche io” sbottò Tebaldo evitando di guardarla in faccia “Non temere, sguscerò da un anfratto buio all’altro, sfuggendo abilmente al radar del tuo dobermann colombiano. E ovviamente, mi guarderò bene dal tornare domani. Per quanto sia risultata esilarante tutta la faccenda, non vorrei dover visitare di nuovo il sottobosco del tuo talamo. Fammi sapere come procede la broncopleurite, ok? Ossequi.”
Si girò bruscamente e Veronica riprese di colpo la propria dispersa vitalità.
“Tebaldo!” gracidò: buttò le coperte di lato e fece per scendere dal letto.
Tebaldo le lanciò un breve sguardo da sopra la spalla.
“Stai ferma, che nemmeno ti reggi in piedi… Che vuoi?”
Veronica dovette deglutire un paio di volte: qualcosa le bloccava la voce in gola, qualcosa di atavico e dolente, intriso di orgoglio, di caparbietà e di pudore. Ma il male che sentiva al cuore risultò più forte e riuscì a sciogliere quel nodo almeno in parte.
“Non te ne andare Tebaldo.” disse quindi in un soffio.
“Perché? Il cherubino ti ha fatto una bella dichiarazione d’amore, mi sembra. Un po’ moscia per i miei gusti, così vittoriana e sdolcinata. Io non sarei mai in grado di partorire una cosa così diabetica, ma a voi femmine dovrebbe piacere una cosuccia Austeniana, quindi… che vuoi di più?”
Veronica boccheggiò: la schiena di Tebaldo era così slanciata e vicina e nello stesso tempo così rigida e lontana… se Veronica fosse stata coerente con sé stessa a quel punto avrebbe dovuto riprendere in mano le redini del suo status quo, avrebbe dato una risposta sferzante al caro cugino e l’avrebbe visto uscire dalla porta e dalla sua vita, forse per sempre. Ma quel pensiero era troppo dolorosamente inaccettabile per lasciarlo avverare.
“Tebaldo…”
Non voleva che lui uscisse dalla sua vita: non voleva, punto e basta.
“Stai qui con me, per… per favore.”
Le costò la forza di una vita intera dire quelle ultime due parole.
Tebaldo, dopo qualche attimo di annoiata immobilità, si girò lentamente. Finalmente, i suoi occhi incontrarono quelli di Veronica che poté vedere quanta immane fatica gli stesse costando fingersi così indifferente. Fu decisamente uno shock: per reazione gli tese una mano e lui, quasi sovrappensiero, quasi contro la sua volontà, la prese e la tenne stretta…e Veronica, nonostante la febbre e il rimorso e lo schifo che sentiva di essere, si sentì vergognosamente meglio.
“I tuoi ossicini sembrano dei maledetti ghiaccioli.” borbottò Tebaldo tra i denti.
Era arrabbiato perché non riusciva a lasciarla andare: anzi, era furioso. Anzi, era terrorizzato.
“Che devo fare?” pigolò Veronica con occhi supplichevoli “Ho provato a dire a Bianchi di starmi lontano… ma lui non me l’ha permesso… ed ora non so se essere arrabbiata con lui o continuare a sentirmi così sporca e… ecco, simile alle Marie… non so con che altro paragone insultarmi…”
Tebaldo scrollò le spalle stizzito.
“Puoi ancora scegliere di archiviare il nostro incontro come un imprevisto incidente pomeridiano dovuto ovviamente a virus influenzale, dimenticarlo e buttarti ancora virtualmente vergine fra le braccia del tuo biondo principe plebeo.”
Veronica sembrò quasi meditarci sopra seriamente: suo malgrado, il cuore di Tebaldo tremò. Il cuore o qualsiasi cosa risiedesse momentaneamente nella scatola toracica permettendosi di mandargli impulsi dolorosi lungo tutto il corpo.
“Non posso.” rispose alla fine Veronica, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio per guardarlo negli occhi.
“Non puoi essere virtualmente vergine?”
“Non posso dimenticare. E tu piantala di volermi ferire a tutti i costi. E’ già abbastanza difficile parlare con te senza che ti metti a fare lo stronzo di turno.”
“Oltre che difficile, parlare di queste inutili fesserie  potrebbe essere anche sbagliato.” ringhiò Tebaldo gelido: ma non mollò la sua mano. 
“Lo è sicuramente” meditò Veronica cupa “E se avessi scelta, di sicuro non sarei qui in pigiama, coi capelli bisunti e la faccia struccata a supplicarti di restarmi vicino.”
“Ma tu ce l’hai una scelta” disse Tebaldo con voce metallica “Hai sentito quello che il cherubino ha detto di te: onesta, sincera, cristallina… Dove lo trovi un altro essere umano con una tale elevata opinione di te? Dopo tutto quello che hai combinato per accaparrarti Bambi, ovvero mettere al mondo e poi uccidere Gladi, i sotterfugi, le lezioni e le lasagne… che ci stai a fare qui con me. E’ ovvio che devi scegliere lui.”
“Dovrei. Cazzo, lo so che dovrei.”
“Non diventare volgare.”
Veronica lo guardava con occhi così grandi… maledizione!
“Dovrei e basta, senza nemmeno un perché.”
“E allora piantala di guardarmi così.” sbottò Tebaldo di punto in bianco con cattiveria.
“Non ci riesco!” rispose Veronica, con altrettanto livore “Credi che non sarebbe mille volte più facile mandarti fuori di qui a calci nel culo e sentirmi una persona migliore vicino a un ragazzo dolce, onesto, bravo… una persona che ho cercato e voluto fino a rendermi ridicola davanti a tutti, fino a giocarmi ogni singolo credito guadagnato in tutta la mia vita, pur di ottenere la sua attenzione… credi che vorrei davvero te se avessi scelta?”
 “Cosa vuoi che ti dica? Che anche io ti voglio? Che ti chiami anche io cara Veronica, ti porti i fiori e ti dia i bacini casti e puri sulle mani? Io non sono un maledetto biondo eunuco, Veronica.”
“Lo so.”
“A volte vorrei strozzarti e il più delle volte detesto la tua spocchia e la tua convinzione di poter girare la realtà a tuo schifo piacimento.”
“La cosa è assolutamente reciproca, Tebaldo.”
“Per me non sei né pura né santa come la Madonna reincarnata. Anzi. Sei subdola e calcolatrice e machiavellica… e a volte anche meschina.”
“Lo so. Lo so, uffa, lo so!”
“Se lo sai non guardarmi così!”
“Baciami, Tebaldo.”
Ecco, l’aveva detto. D’altronde, non voleva altro, in quel dannato momento. Rimase col fiato sospeso e gli occhi enormi, seduta sul letto col pigiama allacciato storto e la mano nella sua. Tebaldo le lanciò uno sguardo di puro furore.
“Tu sei una stronza integrale, Veronica. Lasciatelo dire.”
“Ok. Concordo e sottoscrivo. Sono una stronza, snob, senza cuore e senza cervello, morirò e brucerò tra le fiamme dell’Inferno in eterno. Ma adesso mi baci, porco cazzo?”
Tebaldo la tirò forte per la mano fino a farla alzare in piedi, la prese per la vita con rude impazienza e la strinse forte. Le sue labbra asciutte le baciarono l’orecchio, la guancia, il naso, la bocca, con una stizza che sembrava chiedere pietà. Veronica si lasciò andare contro di lui con un sospiro di resa.
Basta, Tebaldo aveva vinto. O forse Grimilde aveva vinto. O era stata Veronica? Forse non aveva vinto nessuno: eppure, mentre baciava Tebaldo stringendosi a lui, Veronica si sentiva decisamente sul gradino più alto del podio, senza assolutamente saperne la ragione.
“Ce ne pentiremo amaramente.” trovò il tempo di dirle Tebaldo, bocca contro bocca: prima che lei potesse rispondere, le mordicchiò il mento facendole quasi perdere il filo logico… posto che ci fosse mai stato.
“Si…” rispose poi, inebriata dal contatto ruvido della guancia di Tebaldo contro le labbra.
“Arriveremo a odiarci.” gorgogliò di nuovo roco, passandole la lingua sulla vena che pulsava impazzita sul collo. Le sue mani la percorrevano con impazienza, ma tremavano ed erano quasi gentili. A Veronica sembrò di avere il cuore enorme tanto batteva furioso nel petto.
“Noi ci odiamo, già, Tebaldo.” precisò azzeccando l’argomento per pura combinazione astrale.
“E allora, che stiamo facendo?”
Come poteva dirgli che non lo sapeva e che, nello stesso tempo, lo sapeva perfettamente? Non c’era una ragione precisa: Veronica sentiva che doveva essere così e basta. Le si spezzava il cuore a pensare al faccino dolce di Bianchi, ma non poteva farci niente… Era Tebaldo che le faceva scorrere il sangue nelle vene, Tebaldo che la chiamava a sé come un magnete, facendola sentire sicura e ferma al centro dell’universo solo se stretta fra le sue braccia.
“Finiremo in un mare di guai.” sussurrò Tebaldo togliendole la giacca del pigiama e carezzandole le braccia nude coi palmi aperti, ingordi di contatto di pelle.
“Adesso chiudi quel maledetto becco.” ordinò Veronica trascinandolo con sé sul letto.
A onor del vero, Tebaldo non chiuse del tutto il suo maledetto becco, ma Veronica per le ore successive non ebbe più di che lamentarsi.
*          *          *
Prima di aprire gli occhi, la mattina successiva, Veronica visse un’esperienza così anomala che aveva dell’extrasensoriale. Per qualche minuto intessuto di silenzio, si sentì come mai si era sentita in vita sua, ovvero completamente e definitivamente rilassata e in sintonia con l’universo. Nemmeno il più invasivo massaggio ayurvedico di Padavandra era mai riuscito il quell’intento: c’erano sempre cose da fare, amenità a cui pensare… Certo, quelle cose c’erano ancora: ma in quel momento di perfetta armonia, ancora non avevano trapassato le soglie della percezione e l’unica cosa che rimaneva a permearle i sensi era la pace. Pigramente, Veronica pensò che era così che la gente comune doveva sentirsi dopo aver passato una notte di (amore…?) buon sesso, coadiuvato da una probabile overdose di aspirine. Pensare a quanto aveva snobbato i plebei… e loro che avevano sempre avuto tanto di più. Alla faccia del suo tanto palese snobismo.
Veronica sorrise mentalmente, ma in realtà non osò muoversi: aveva la testa posata sul petto di Tebaldo e ancora non si capacitava di quanto il suo respiro tranquillo contribuisse al senso di pace assoluta che la pervadeva.
Era stata una notte fuori dal tempo, quella appena passata: aveva perso il conto di quante volte si era persa in un onirico mondo fatto di pura essenza di piacere.
Fortuna che aveva porte insonorizzate in tutta la casa: non osava ancora immaginare a cosa avesse pensato Inocencia della sua porta chiusa, del vassoio della cena ancora sul carrello davanti alla suddetta porta, del suo ostinato mutismo. In realtà al pensiero della faccia dubbiosa della domestica lei e Tebaldo si erano fatti delle sghignazzate assurde sotto le coperte, come due bambini colpevoli di qualche marachella.
Lei e Tebaldo.
Solo a pensare al suo nome, il cuore prese a batterle più velocemente nel petto.
Quella notte il perfido cugino era stato qualcuno di completamente nuovo e allo stesso tempo la presenza consolatoria di sempre. Era stato dolce e ruvido, esigente e generoso, silenzioso e ciarliero. Era stato… presente. Accessibile. Era stato così vicino che Veronica aveva potuto toccarlo dentro. E la stessa cosa era successa a lei: mai in tutta la vita si era concessa di lasciarsi andare così completamente, sia fisicamente che emotivamente. Nonostante fossero già stati a letto insieme, in precedenza, era stato come fare l’amore per la prima volta. Per lei sicuramente... ma anche per lui, Veronica ne era certa.
Già il fatto che fosse rimasto con lei tutta la notte, era un evento che non aveva precedenti: a un certo punto erano rimasti abbracciati per un tempo lunghissimo e Veronica si era quasi convinta che Tebaldo si fosse addormentato o caduto in coma (non poteva rimanere in quella posizione così palesemente anti-tebaldiana di sponte propria, continuava a sottolineare incredulo il suo pensiero) quando la sua voce sorniona l’aveva sorpresa, bassa e morbida e ridanciana:
“Ti avviso che se vuoi amputarmi il braccio il momento migliore è adesso: sono tre ore che ho perso i contatti con quella mia appendice.”
Veronica aveva sogghignato, ma non si era spostata: e nemmeno lui si era mosso, benché avesse brontolato e bofonchiato tutto il tempo.
Ah, era stato davvero… bellissimo. Non c’erano altre parole.
Veronica sospirò, completamente appagata. Poi recepì qualcosa di anomalo.
(No, non ancora, per favore! Realtà, stai fuori dalle balle…)
Un odore. Anzi, un profumo sottile e persistente di fiori. I fiori che aveva portato Bianchi.
(No, no, no, niente fiori, niente pensieri! Niente di niente, per favore…)
Veronica strinse gli occhi e trattenne il fiato.
“Stai facendo le prove di apnea o ti sta venendo una disfunzione all’apparato respiratorio?” domandò sorniona la voce ben sveglia di Tebaldo.
“Chiudi il becco e dormi” ruggì Veronica strizzando gli occhi ben decisa a non aprirli “E mettiti comodo, perché questo momento non deve finire per i prossimi cento anni, cazzo.”
Tebaldo ridacchio sottovoce.
“Credo abbia detto più o meno la stessa cosa Giulietta la mattina dopo il matrimonio con Romeo, anche se lei vaneggiava di allodole e usignoli mentre tu, cuore mio, sei stata un filino più prosaica.”
“Shakespeare non fa testo. Anzi, lo fa… Ora che ci penso, anche secondo lui Tebaldo è il nome del cugino cattivo e stronzo.”
“E persino la balia si chiamava davvero Innocenzia. Da brivido la precisione di certe coincidenze.”
Veronica spalancò gli occhi e alzò la testa bruscamente.
“Dai, non è vero.” minacciò sospettosa.
“Infatti, non lo è. Però ho ottenuto lo scopo, ti sei spostata e adesso posso finalmente riprendere a respirare. Sei del tutto sveglia, adesso?”
A malincuore, Veronica annuì. Spaziando con l’occhio pigro intorno alla stanza, identificò il mazzo di fiori di Bianchi dove lo aveva lasciato. Aveva un’aria depressa e appassita: il soffuso senso di benessere sparì bruscamente sostituito da un progressivo senso di disagio che dovette trasparirle dal viso perché anche Tebaldo, con un mezzo sospiro, si rizzò a sedere immediatamente.
Si guardarono per un attimo, incerti: Veronica dovette ammettere che in vita sua non aveva mai visto niente di più mortalmente sexy di Tebaldo a torso nudo, con i capelli spettinati e l’aria languida del risveglio. In compenso, lei si sentiva vergognosamente antiestetica e arruffata: raccolse le lenzuola e se le arrotolò intorno alle spalle, scatenando il ritorno del sopracciglio altezzoso di Tebaldo.
“Non insistere col seppellirti in quella specie di burqa” le suggerì allegro “Ormai ti ho vista.”
“Sono orribile.” si difese Veronica burbera.
“Si, e tale visione mi rimarrà impressa nelle retine per secoli a venire, ma ormai è appurato che posso sopravvivere anche così.”
“Sei proprio uno stronzo.”
“Va là, che sei bellissima.”
Lo disse in maniera quasi schiva, sfuggendo al suo sguardo: Veronica non poté fare a meno di sentirsi emozionata come una bimba il giorno del suo compleanno, ma poi lo sguardo le cadde di nuovo sul mazzo di fiori appassito e il sorriso si spense prima ancora di nascere.
“Merda” mormorò affranta “Oggi è un altro giorno.”
“Da Giulietta a Rossella O’Hara nel giro di un minuto: la professoressa di letteratura sarebbe fiera di te!”
“Sai cosa voglio dire.” ribatté Veronica stizzita: le era un po’ passato il buonumore e la realtà le premeva addosso con una pressione di cento atmosfere.
“Certo che lo so.” disse Tebaldo: la sua voce era sempre sorniona, ma si sentiva che il suo sorriso era sparito.
Con molta grazia, si alzò dal letto e cominciò a rivestirsi, finché non intercettò lo sguardo cupo di Veronica su di sé.
“Che c’è?”
“C’è che mi sento una merda completa e vorrei poter chiedere scusa al mondo per la mia stronzaggine espiando la mia vergogna con 50 colpi di scudiscio uncinato… e nello stesso tempo vorrei che tu tornassi qui sotto le coperte con me.”
Le ultime parole le disse con una voce scorbutica e piccina, vergognandosi a morte. Tebaldo continuò a vestirsi come se niente fosse, ma il sorriso tornò magicamente nella sua voce.
“L’idea dello scudiscio uncinato non è male: se lo abbini a un body in latex e la mascherina da cat woman dimmi qualcosa che ti vengo a riprendere con la telecamera.”
“Ho paura, Tebaldo.”
Veronica lo disse in un soffio, e non era mai stata più sincera. Tebaldo armeggiò concentrato con la cintura dei pantaloni.
“Che vuoi fare, adesso?” le chiese poi molto formale.
“Non lo so. Dovrei dire a Bianchi che non è più il mio pseudo fidanzato, o qualsiasi cosa pensasse di essere. Ma come faccio…? Io… io non posso farlo.”
“A no?”
La voce di Tebaldo era glaciale, la raffreddò fin dentro l’anima.
“Cerca di capire, Tebaldo. Lui è… così dolce. Non voglio comportarmi da Grimilde per l’ennesima volta: almeno per lui voglio essere migliore. Ho bisogno che qualcuno come Bianchi mi consideri una brava persona.”
Le intenzioni di Veronica erano davvero buone, per una volta: sapeva di aver agito ancora una volta da Grimilde, ghermendo l’innocente Bianchi con i suoi artigli e voleva lasciarlo andare dolcemente, in modo da non ferirlo più del dovuto. Ma qualcosa le diceva che Tebaldo non stava affatto recependo la faccenda  in quella maniera.
“Capisco. Vuoi dire che non te ne frega niente di apparire come perfetta stronza con persone che non meritano la tua stima, come la tua pseudo madre Inocencia, la tua pseudo coscienza Oleana o il tuo pseudo sex toy il caro cugino Tebaldo… ma te ne frega di rimanere la “cara Veronica” per un eunuco biondo che a malapena sa di essere al mondo. Interessante.”
Lo sguardo di Veronica si fece duro: passata la febbre, rispuntò ostinata la base adamantina del suo orgoglio, cosa che la rese immediatamente distante e fredda.
“A quanto pare, la stima di suddette persone non riuscirò mai ad averla, qualsiasi cosa faccia. Quindi si, a costo di ferire il mio sex toy sono convinta che sia opportuno con Bianchi muovermi secondo i tempi che riterrò più giusti.”
Tebaldo si alzò in piedi agilmente: il suo viso era di nuovo apparentemente altero e disinteressato.
“Capisco. Quindi lascerai che Bianchi ti consideri la sua, come dire… fidanzata.”
“Per il momento.” rispose Veronica lentamente: era per il loro stesso bene… come poteva non capirlo?
“Lui oggi verrà qui e penserà di poterti legittimamente stare vicino. Toccarti. Metterti la lingua in bocca, magari. E tu, immagino, glielo lascerai fare. Sarà solo il tuo modo di immolarti per la causa, si capisce.”
“Tebaldo, non fare lo stronzo.”
“Io? Quando mai. Mi limito a prendere atto. A me sta più che bene. Povera Gladi, si rivolterà nella tomba.”
“Stai dicendo delle pericolose vaccate.” lo ammonì Veronica sottovoce.
“Ah, io sto dicendo delle vaccate!”
Le lanciò uno sguardo lungo, durissimo: ferì Veronica più delle parole, più che se le avesse mollato uno schiaffo. Lo vide andare verso la porta con passo fluido ed elastico e sostare lì elegantemente, sfidandola con lo sguardo.
“Tebaldo, non lo fare.” sfiatò Veronica stringendo le lenzuola al petto.
“Che cosa?” tubò lui sorridendo.
“Qualsiasi cosa tu stia per fare. Ti conosco… conosco quello sguardo da bimbo cattivo. Non rovinare tutto, ti prego. Vieni qui e parliamo.”
Tebaldo buttò indietro al testa e rise.
“Parlare io e te! Ma dai, Grimilde… torna sulla Terra. Io e te non riusciamo a parlare. Al massimo possiamo scopare, ma immagino che oggi sia il turno di Bianchi di ripassarti a dovere.”
Veronica impallidì.
“Per favore, Tebaldo.”
Per tutta risposta, lui aprì la porta e si affacciò con decisione.
“Inocencia!” chiamò a gran voce con feroce allegria “Ehi, piccolo mastino colombiano, dove sei? Diamine, mi aspettavo che fosse qui a origliare da ieri sera…”
Inocencia arrivò trafelata correndo su dalle scale.
“Senor… senor Tebaldo? Da dove es entrado? Non hai visto passarla…”
“Infatti” rispose Tebaldo: la sua voce scricchiolava di cattiveria mentre si girava verso Veronica che lo guardava muta e immobile come se fosse di  pietra “Diletta cugina, ora tolgo le tende, ma da parte mia devo dire che stanotte la parte del sex toy si è dimostrata essere piuttosto piacevole, quindi se volessi trastullarti ancora con me non aspettare la prossima influenza per chiamarmi… mi metto a tua completa disposizione. Solo un consiglio, cambia le lenzuola prima di far passare da lì anche il povero Bianchi… non è igienico.”
Inocencia trattenne il fiato: guardò Tebaldo, poi Veronica, a lungo e intensamente. Lentamente, poi, abbassò gli occhi e con voce molto contrita sussurrò:
“Vado a prendere lenzuola pulite.”
Se ne andò silenziosa e con la schiena incurvata. Veronica sentì il petto farsi incandescente, come se ci avessero buttato dentro una colata di piombo.
“Questo non lo dovevi fare.” mormorò Veronica con la voce rotta.
“Che ti importa? E’ solo una domestica no?”
“Ti odio.” disse Veronica, e lo sentiva davvero, in ogni sua fibra.
“Anche io” sorrise Tebaldo “A presto Grimilde.”
Se ne andò via lasciando la porta aperta.
Veronica attese il silenzio, e quando arrivò lo trovò pesante come un macigno. Solo allora chiuse gli occhi e senza emettere un suono, pianse.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Paolo Bianchi stava pensando a Veronica. Sentiva di avere la faccia cupa come se stesse pensando a qualcosa di molto difficile e molto brutto, quando invece avrebbe dovuto essere l’esatto contrario: questa cosa Paolo proprio non sapeva spiegarsela. Rivedeva Veronica nel suo letto (alla faccia del letto… sembrava una nave da crociera) (ma che importanza aveva il suo letto?), il viso struccato bello e disarmante, gli occhi enormi, verdissimi… come se avesse avuto paura di lui. Di lui, Paolo Bianchi! Forse aveva paura di quello che provava (lui ce l’aveva di sicuro. Terrore puro. Di lei).
Cioè, insomma, un po’ di paura era legittima, no? Lei era Grimilde. (No, non più).
Ok, lei comunque era quella che si mangiava a colazione chiunque intralciasse il suo cammino (No, non era più così! Era cambiata!) (Ma si può davvero cambiare così tanto?).
Per Paolo fidarsi di lei era uno sforzo continuo, che lo esauriva nelle sue già esigue energie (… e poi, il sapore delle sue labbra…).
Anche solo starle vicino era uno sforzo. Gli metteva agitazione, confusione, disagio. Perché allora le aveva detto quelle cose? (Perché era un vigliacco!)
Non era un vigliacco. L’aveva colto di sorpresa, ecco, forse era così. Era stato quasi patetico, e non era affatto da lui… Perché? (Forse perché si era sentito una merda a provare sollievo nel fatto che lei potesse essersi comportata di nuovo come Grimilde…?)
No! (Sì)
Beh… forse. Ecco, l’aveva detto! (No, pirla, lo hai pensato).
Ma le cose non stavano così! (… e poi, il sapore delle sue labbra…).
Ok, si deve parlare del sapore delle sue labbra?
(Parliamone!) Era buono.
(Acqua, acqua…) Era delizioso.
(Però?) Però niente.
(Coraggio, ragazzo! Esterna la presenza di testicoli!) No!
Paolo si scosse bruscamente e riaprì il libro di filosofia. Era un ragazzo molto intelligente, dotato di pazienza, costanza e con uno spiccato senso del dovere… ma una fantasia quasi nulla. Infatti per quanto si sforzasse non riusciva a immaginarsi di fianco a Veronica Scarlini della Torre. Era un pensiero troppo fuori dalla sua portata.
(… e poi, il sapore delle sue labbra…). Era dolce, ok, basta pensieri cazzoni, doveva studiare!
(Però) Però niente, concentrati sul libro.
(… però le labbra di Veronica non erano dolci come quelle di Serena).
Serena. Ecco che era venuto fuori. Quel pensiero latente che stagnava sotto tutti gli altri, che li alimentava e li contaminava. Serena. Bastava quel nome e Paolo si sentiva strizzare qualche organo interno fino a dolere (E’ il cuore, pirla due volte).
Serena non gli metteva agitazione, confusione e disagio. Con Serena era stato tutto facile e naturale. Quando era con lei, non gli venivano inutili punti interrogativi nella voce per via dell’agitazione. Con lei… era se stesso: senza sforzarsi, senza doversi difendere.
(… e il sapore delle sue labbra?) Era dolcissimo. Struggente. Delicato e intenso allo stesso tempo, unico. Suo.
(Ti manca da morire, eh?) Si. Terribilmente. Profondamente. Dolorosamente.
(... sei ancora innamorato di lei?)
“Adesso basta.”
Paolo lo disse a voce alta.
(Perché sai già la risposta, ma ti caghi sotto ad ammetterla).
Poi chinò il capo sul libro e iniziò a studiare.
*          *          *
Inocencia stava pulendo un tavolo: la visione di quell’attività era piuttosto inquietante, primo perché il tavolo splendeva da quanto era pulito e l’inutilità di quell’accanimento terapeutico era palese, secondo perché la figura rotondeggiante della donna che si agitava aveva una sorta di movimento liquido che inquietava. Veronica rabbrividì, purtroppo non di febbre. Rabbrividì perché era angosciata senza sapere di esserlo: dopotutto l’angoscia non faceva parte del suo esiguo bagaglio di conoscenze a livello di sentimenti.
“Inocencia.” la chiamò, piano.
La domestica le lanciò un breve sguardo e continuò a pulire.
“Si, senorita?”
“Dobbiamo parlare.”
“Tienes fame? La cena està listo pronta.”
“Non mi interessa la cena.”
“C’è il manzo.”
Veronica odiava il manzo: la puerile ripicca di Inocencia sarebbe stata anche divertente se il suo viso non fosse stato così sofferente.
“Inocencia, fermati.”
Inocencia smise di colpo di pulire e rimase con lo strofinaccio giudiziosamente in grembo, in impenetrabile attesa.
“Dica.” la incalzò freddamente.
Veronica aprì la bocca ma non parlò. Sinceramente, non sapeva che dire: certe parole non esistevano nel suo vocabolario.
“Senorita, c’è molto da fare, se non le dispiace. Tengo que limpiar.”
“Non è vero che devi pulire: sono ore che non fai altro, questa casa brilla come un maledetto diamante. Forse è ora che mi ascolti.”
“Io escucho. Ma ella no habla.”
Veronica fece un profondo sospiro e chiuse gli occhi.
“Non so come dire certe cose.”
“Qué cosas?”
“Cose tipo scusa.” buttò finalmente fuori, ma Inocencia non batté ciglio.
Si guardarono negli occhi. Quelli scuri di Inocencia sembravano inflessibili, ma erano così scuri e… dolenti. “Ti vuole tanto bene” mormorò la voce di Gladi dall’aldilà “E’ forse l’unica persona che sempre te ne vorrà”.
“Mi dispiace.” riuscì quindi finalmente a dire Veronica.
“De tener fornicado con el senor Tebaldo? Sotto el mio naso? A quién le importa: sono solo una domestica.”
“No, Inocencia. Non sei solo una domestica, e lo sai. Poi non è di questo che mi voglio scusare.”
“Allora de cosas?”
Difficile da dire. Impossibile quasi. “Ma per te Veronica niente è impossibile, adesso” la incoraggiò di nuovo la rediviva Gladi.
“Non mi dispiace aver fatto sesso con Tebaldo” disse quindi con voce ferma, lentamente “Io…”
“Tu lo ami?” chiese meravigliata Gladi nella sua testa. Veronica sobbalzò.
“No! Cioè… Inocencia, mi dispiace di averti ferito.”
Finalmente la maschera di inflessibile freddezza di Inocencia cominciò a incrinarsi.
“Te dispiace di aver ferito me?”
“Si. Scusa.”
Lasciando Veronica di stucco dalla sorpresa, Inocencia sbatté per terra lo strofinaccio che aveva in mano con tutta la forza che aveva.
“Por todas le maracas de Caracas!” strillò di punto in bianco, furiosa “No te deve dispiacere por mì! Te deve dispiacere por tì! Tu Veronica sei mucho mejor de così! Tu no es una comune chica che se chiude in camera con el primero bribòn che passa! Donde està la tua educaciòn? La tua dignidad? Porque te butti via così? Con un serpiente como el senor Tebaldo? Tu sei fuerte, inteligente… No puedo ver che te sminuisce così!”
“Tebaldo non è una serpe.” rispose automaticamente Veronica con una voce strana.
E Inocencia, che forse era davvero l’unica persona che amava Veronica incondizionatamente e che conosceva di lei tutte le sfumature, capì. Il suo viso assunse una profonda e genuina espressione esterrefatta.
“Beata Virgen Maria de la Mercede del Carmen…” mormorò sottovoce.
“Non fare quella faccia” la interruppe precipitosamente Veronica spaventata “Erano molto meglio le maracas di Caracas.”
“Mi pequena… la mi pobre nina!”
Lasciando di nuovo Veronica completamente di stucco, Inocencia corse ad abbracciarla amorevolmente, avvolgendola con pietosa dolcezza.
“Cosa mi è successo, adesso?” gorgogliò Veronica soffocata dal suo petto “Ho una malattia terminale?”
“El senor Tebaldo… dovevo entiendere que la mi chica non se comportava da puta de Babilonia con todos…”
“Guarda che lo capiscolo spagnolo, mi hai dato della puta di Babilonia!”
“…seguro que él es un gran picaro, una canalla…”
“Ma chi?”
“El senor Tebaldo!”
“E ti viene in mente adesso che è una canaglia? Dopo vent’anni che lo conosci?”
“Ma prima de ahora non avevo capito!”
“Capito cosa?” chiese Veronica, disorientata: era così felice che Inocencia dimostrasse di nuovo di volerle bene che aveva un po’ perso per strada i suoi discorsi a pera.
“Que tu lo amas!” declamò la domestica con un sorriso radioso che però si spense subito alla vista del viso di Veronica che andava man mano a riempirsi di orrore.
“Oh mi chica… ma nemmeno tu lo sabe!”
“Qui nessuno sa niente!” berciò Veronica allontanando bruscamente Inocencia da sé “Che non ti venga mai più in mente… non ti azzardare mai più a dire una cosa così… indecente! Capito?”
“Si, senorita.” rispose Inocencia ricomponendosi lestamente.
“E non fare quella faccia!”
“No estoy facendo nada!”
“Si invece! Fai la faccia da gatto, la riconosco. Pensi di saperne più di me, vero? Come quando ero piccola e nascondevi i biscotti sicura che non li avrei mai trovati!”
“Biscotti?” tergiversò Inocencia giudiziosamente, ridendo sotto i baffi “Hoy fatto el manzo per cena.”
“Era una metafora! E poi guarda che a volte li trovavo i tuoi dannati biscotti.”
“A volte” concesse Inocencia con un sorriso leonardesco “Me voy a cambiare la cena: ti faccio el tofu.”
Scivolò via leggera come una piuma lasciando Veronica dubbiosa di soffrire pesantemente degli effetti allucinogeni della recente influenza.
*          *          *
Paolo Bianchi pensò fuggevolmente di possedere un radar interno davvero notevole: nonostante il cicaleccio di sottofondo di Laura e Silvia in salotto, il rumori dei rimbalzi della palla di Dante, il brontolio della nonna che vagava per le stanze rassettando quello che animali e umani guastavano sistematicamente al suo passaggio, fu l’unico della casa a sentire il discreto trillo del campanello.
“Porta!” ululò senza molta speranza di essere ascoltato: i suoi familiari erano completamente sprovvisti di radar, anzi, già sulla presenza di un normale apparato uditivo Paolo riponeva i suoi dubbi. Difatti, nessuno lo considerò: rinunciando ad un secondo tentativo, Paolo si alzò sospirando dalla scrivania su cui stava studiando e ciabattò verso la porta, borbottando tra se e se sull’inettitudine di certa gente e risultando suo malgrado sorprendentemente simile alla nonna.
Aprì la porta con disinvolta rassegnazione, pensando al postino, o alla madre che aveva scordato qualcosa in casa, o alla vicina che aveva finito lo zucchero. Invece, si trovò davanti Tebaldo Santandrea della Torre, in tutta la sua altera ed elegante presenza. Rimase a bocca aperta senza profferire verbo, mentre Tebaldo inarcava un sopracciglio con aria tra il perplesso e il disgustato.
“Buon Dio, Bianchi, recupera quella mascella” lo rimproverò poi altezzoso “Non ho mai visto niente di più molliccio e disarticolato addosso a un maschio della tua età. Uno spettacolo raccapricciante.”
Ma il cervello di Paolo non ne voleva sapere di riprendere le normali funzioni neurovegetative, quindi il giovane rimase immobile, in piedi con la bocca aperta e lo sguardo azzurro dietro le lenti completamente appannato dalla sorpresa.
Le gemelle Bianchi, che forse non avevano un radar per il campanello ma ce l’avevano eccome per le interferenze neurali del fratello, sbucarono curiose da sotto le sue ascelle come due funghi biondi, uno per parte: quando videro chi c’era al di la della soglia, esclamarono a turno: “Merda!” e “Cazzo!” poi lasciarono che le rispettive mascelle si tuffassero per far compagnia a quella di Paolo nelle profondità del centro della Terra.
“Gesù.” Mormorò fra i denti Tebaldo alzando gli occhi al cielo: un’ombra di sorriso passò dietro le fessure verdognole dei suoi occhi e solo allora Paolo si rese conto di quanto fosse stato serio e cupo fino a quel momento.
“Tebaldo?” strillò allora di punto in bianco facendo sobbalzare i funghi biondi sotto le ascelle, che si ritirarono rapidamente per ricomparire da sopra le sue spalle con gli occhi azzurri sgranati e le bocche a “O” come angeli di porcellana.
“Già, a quanto pare” rispose Tebaldo lentamente, come se temesse qualche scoppio di materia organica se avesse parlato troppo velocemente “In carne, ossa e stringate di Tod’s appena comprate. Lo dico perché vorrei evitare che radiografaste anche quelle, tutto quest’uranio nell’aria non gli si confà di sicuro.”
“Che succede?” ragliò la nonna a quel punto, attratta anche lei probabilmente dall’inquietante silenzio dei nipoti: non trovando posto da sopra le spalle di Paolo, sbucò da sotto l’ascella testé lasciata libera dai funghi con i sospettosi occhiali rotondi spessi un dito.
“E lei chi è?” domandò diffidente mentre da sotto l’altra ascella compariva la testa color sabbia di Dante.
“Aldo!” esclamò poi felice e precedendo le cavalleresche spiegazioni di Tebaldo, sgusciò davanti a Paolo e lo avvolse con un voluminoso e stritolante abbraccio.
Fu il turno di Tebaldo di inalberare una faccia trasecolata e sdegnata, ma il gesto spontaneo di Dante sembrò finalmente sbloccare l’immobilità della restante famiglia Bianchi, i cui componenti si mossero contemporaneamente in direzioni diverse, esplodendo in imbarazzanti frasi sconnesse a voce altissima.
“Tebaldo della Torre è qui!” strillò Laura con la stessa venerazione che avrebbe dedicato alla discesa del Messia su suolo terreno.
“La macchina fotografica!” ruggì invece Silvia, più pragmaticamente. Saggia ragazza: che senso ha vedere il Messia se poi non si può provare alle masse di averlo visto?
“Le faccio una torta di mele.” sentenziò la nonna con piglio deciso, lanciandogli un’occhiata ammonitrice che avrebbe prosciugato in chiunque qualsiasi accenno di protesta.
Tebaldo non avrebbe avuto tempo comunque di protestare perché in pochi secondi Dante l’aveva trascinato in casa e prima ancora di potersi raccapezzare si era trovato in salotto seduto con una palla in mano fra un cane asmatico e maleodorante e una sorridente gemella mentre l’altra li fotografava rimbalzando intorno come un canguro.  
“Adesso basta ragazze” tentò di dire Paolo quando intercettò lo sguardo verde e sempre più incandescente del nobile ospite “Tebaldo, scusale. Io, ehm… vuoi una tazza di te?”
“No, grazie. Ma vorrei recuperare un minimo di spazio vitale, se alla famiglia Bianchi non dispiace.”
Alla famiglia Bianchi dispiaceva: Paolo sprecò i successivi dieci minuti a tentare di trascinare via uno dei rumorosi e ingombranti parenti, ma ci rinunciò quando vide che Tebaldo, con il solito altero sarcasmo, in fondo in fondo se la stava cavando egregiamente da solo.
“Così è qui che la cara e nobile cugina veniva per le ripetizioni” commentò quando finalmente Laura e Silvia rimasero senza batterie nella macchina fotografica e Dante fu distratto dall’opportuno lancio della palla lungo il corridoio “Davvero pittoresco.”
“Già, uhm, ehm” tossicchio Paolo terrorizzato: che gli si dice a un cobra velenoso venuto strisciando in visita a casa tua? “Tu cosa… cioè, ehm… vuoi una tazza di tè?”
“Me l’hai già chiesta e ti ho già detto di no. Tuttavia, tu puoi senz’altro bere un paio di tazze, magari corrette cognac così ti torna un po’ di colore in faccia. O se sempre stato pallido così, Bianchi? Francamente, ti ho osservato sempre troppo poco.”
Gli lanciò uno sguardo ostile, indagatore: Paolo sentì brividi di terrore corrergli lungo la schiena. Non aveva mai percepito prima Tebaldo come un nemico, il più delle volte aveva subito il suo sublime disinteresse, se non il suo velato e leggero fastidio. Ultimamente, un paio di volte in tutto, si erano scambiati due parole apparentemente innocue. Ma quello sguardo, quei felini occhi verdi… da quando Tebaldo lo guardava così? Perché? Come era diventato suo nemico?
(Veronica).
E che diamine, logico, no?
“Io non le ho fatto niente.” disse in fretta con un tono accorato che risultava quasi falso.
Tebaldo non si scompose di un pollice.
“Dovresti aspettare di bere il tè corretto cognac prima di parlare a vanvera.” gli suggerì magnanimamente.
E poi, pensò Paolo fulmineamente, qualcosa gli aveva fatto, a Veronica: la faccenda della smerdata al canile, pubblicata in mondovisione su Internet… Tebaldo lo sapeva bene, il qualcosona che aveva fatto!
“Cioè, a parte quella volta del canile, ma lì… cioè, a guardarla obbiettivamente ci stava…”
“Capisco. Che sostanza stupefacente hai usato, Bottondoro? Voglio il nome del pusher.”
“P-pusher…? Ma io non mi drogo.”
“Mio caro, nessuno lo fa, certo che no. E’ illegale, vero? E noi siamo personcine ligie al dovere.”
I suoi occhi lo deridevano, sprezzanti. Paolo, invece che offendersi, si sentì ancora più confuso e sperduto.
“Perché sei qui Tebaldo?” domandò cercando di mantenersi calmo per lo meno apparentemente.
Al perfido della Torre tornarono gli occhi sottili e indagatori mentre si accomodava meglio sul pulcioso divano. Nonostante la baraonda al suo arrivo e i numeri da circo di Dante e gemelle, sembrava a suo agio anche lì, maledetto lui: persino Biagio, annusando l’aura regale, aveva ceduto il proprio regno sgusciando via con un guaito.
“Volevo dirti qualcosa prima che lo sapessi da qualcun’altro” sorrise Tebaldo con voce musicale “Sai, quando si tratta di donne certi discorsi è meglio farli diretti. Vis à vis, per intenderci.”
 “Cioè, c-cosa? Donne? Discorsi di donne?”
“Si, donne, Bianchi. Quegli esseri vertebrati ricchi di ormoni che facendo ondeggiare lunghe chiome femminee avvelenano l’aria e i nostri maschi sensori. Hai presente?”
“Ho presente.” rispose Bianchi affannato: Veronica? Era lì per parlare di Veronica?
“Io, Tebaldo,  posso non essere tante cose: ma sono un uomo d’onore, e mi piace giocare pulito. Quindi sono qui per parlarti della tua ragazza.”
Serena. Serena, non Veronica. Di colpo Paolo si ricordò di aver visto Tebaldo e Serena fianco a fianco, a scuola, che parlavano fitto fitto. Ed erano insieme quando lui aveva chiesto scusa a Veronica. Ecco perché il perfido cugino era lì! Serena, la sua Serena… Quel nome iniziò a lampeggiare in testa a Paolo come se fosse marchiato a fuoco.
“Sono tutto orecchi.” disse improvvisamente asciutto e interessato.
“Ammetto che è stata una cosa improvvisa. Nessuno dei due se lo aspettava, giuro. Ma… è successo.”
La faccia di Tebaldo mentre parlava era compunta e giudiziosa, ma i suoi occhi… oh, che spiritello malefico che si agitava dietro a quegli occhi! E Bianchi, il povero Bianchi che non aveva mai provato un’emozione negativa in vita sua, sentì qualcosa di alieno e anomalo montargli dentro il petto, qualcosa generato dalla confusione, dalla paura e da qualcosa di verde e bilioso che non aveva mai provato prima in tutta la sua breve e candida vita.
“Cosa è successo?” domandò con le labbra secche e tese.
Tebaldo gli lasciò cadere addosso uno sguardo fintamente comprensivo e pietoso.
“Beh, mio caro, mi dispiace dirtelo così… capisco che sembrerà un po’ brutale, ma la verità è meglio dirla come si deve. Via il dente via il dolore, non credi?”
“Dimmi quello che mi devi dire!”
Anche se in realtà non voleva saperlo… non voleva avere quel nodo di roba puzzolente e dolorosa ficcato in gola, quella smania di alzarsi e urlare e prendere una sedia e spaccarla in testa a quell’azzimato e infido serpente che gli strisciava intorno e che stava per dirgli qualcosa su Serena, la SUA Serena… qualcosa che avrebbe fatto riemergere un primitivo prurito alle mani, alla gola, al cuore, qualcosa che lo avrebbe alla fine spezzato, lo sapeva.
“Beh, allora te lo dico” continuò Tebaldo con quel sorriso da schiaffi dipinto sulla faccia “Mi sono sbattuto la tua fidanzata.”
Bianchi sfarfallò le ciglia una volta appena. Bel colpo, pensò una remota parte del suo cervello: il perfido cugino era proprio un fuoriclasse nel ferire la gente. Doveva essersela studiata proprio bene quella manciata di parole affinché gli finisse addosso come una rosata di pallini da caccia, acuti e dolorosi proiettili di cattiveria sparati con tanta noncurante delicatezza. In quel breve battito di ciglia, Paolo vide con fotografica chiarezza le mani aristocratiche e lunghe di Tebaldo spiccare come neri uccellacci sulla pelle bianca e indifesa di Serena. Vide la sua testa rovesciata indietro mentre Tebaldo le baciava la gola; vide il suo viso e sentì i suoi sospiri mentre Tebaldo si prendeva qualcosa che non gli apparteneva, qualcosa che era SUO… vide persino la faccia felina della serpe, il suo sorrisetto storto e malvagio. “Mi sono sbattuto la tua fidanzata”. Oh, sì, proprio un colpo da maestro.
“Mi dispiace.” aggiunse Tebaldo con educata pietà.
Paolo si schiarì la voce: in realtà non riusciva a respirare tanto si sentiva le braccia e il petto pesanti.
“Scusa, puoi ripetere?”
La sua voce veniva da lontanissimo, proprio da un’altro pianeta.
“Si, sono stato un po’ brusco, perdonami… Ho detto che sono stato insieme alla tua fidanzata. Ho passato con lei tutta la notte, ore e ore di ottimo e soddisfacente sesso. Scusa se te lo dico così brutalmente, ma non voglio che ci siano fraintendimenti, fra noi. Non voglio che ti arrovelli nel chiederti cosa c’è o non c’è stato. Te lo dico chiaro e tondo: c’è stato tutto, e più volte. Molte, apprezzatissime volte.”
La visione flash back di Serena e Tebaldo divenne dentro la testa di Paolo una stampa a colori di insostenibile chiarezza. Lei che ansimava, che chiamava il nome di Tebaldo con voce rotta e lasciva. Lei che lo stringeva, che lo accarezzava. Lui che sogghignava baciandola, avvolgendola in spire sempre più strette, sempre più rosse… Rosse?
Si, spire di un bel rosso vivo, perché stava proprio vedendo rosso, una cortina pesante che gli appannava la vista e i sensi, intorpiditi come da una improvvisa anestesia.
“Capisco che tu adesso sia un po’ annichilito, ma so che col tempo apprezzerai il fatto che io sia venuto a dirtelo. Apprezzerai anche la mia schiettezza… dopotutto è meglio così, credimi. Tanto mi avresti odiato comunque, così ti lascio modo di farlo in maniera totale e pulita.”
A Paolo venne quasi da ridere: oh, che meravigliosa faccia tosta… e che incredibile prurito che gli era venuto alle mani! Se le guardò, sorpreso di trovarle pulite quando gli sembrava di avere mille formiche rosse che gli mordevano i polpastrelli.
“Si, caro Bambi, vedrai che un giorno apprezzerai.”
“Fammi capire” chiede Paolo di nuovo con quella lontanissima voce aliena “Mi vieni a dire che ti sei fatto la mia ragazza… e secondo te mi stai facendo un favore?”
“Beh, ovvio che sì.”
Tebaldo avrebbe dovuto sospettare che Paolo era sul punto di esplodere: ma forse non gli importava, o forse era proprio quello che voleva. In ogni caso, il suo successivo sorrisetto sardonico fu proprio la classica goccia che fece traboccare il classico vaso.
Senza nemmeno sapere bene la dinamica, Paolo sentì il suo braccio vivere di vita propria e il suo pugno destro stringersi convulsamente mentre colpiva la mascella di Tebaldo, facendola scattare all’indietro.
Non molto all’indietro, a dire la verità: Tebaldo non crollò già dal divano e nemmeno si sfracellò contro il muro. Rimase semplicemente lì con la testa girata come se si stesse momentaneamente disinteressando alla conversazione. In compenso, Paolo sentì le dita della mano improvvisamente insensibili, poi di colpo piene di aghi infuocati che gli infilzavano la carne.
“Ahia!” mormorò piano. Poi la mano iniziò a dolergli sempre di più, sempre più forte.
“Ah… che male!” strillò allora schizzando in piedi e tenendosi il polso destro con la sinistra.
Al suono della sua voce, la famiglia arrivò compatta tutto in un colpo: la nonna con in mano una ciotola da cucina in cui stava mescolando l’impasto per la torta, Laura e Silvia con in mano fogli stampati pieni di fotografie, Dante con la fida palla fra le mani e il cane con la lingua penzoloni.
“Che c’è?”
“Che succede?”
 Paolo sarebbe anche stato imbarazzato se la mano non gli avesse fatto così tanto male: il dolore spazzò via qualsiasi altra cosa, compresa la dignità.
“Mi sono fatto male!” agonizzò con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime “Forse… forse mi sono rotto qualcosa!”
“Ma dai!”
“Ma come hai fatto!”
“Prendo la cassetta dei medicinali!”
“Presto, fate bollire l’acqua!”
Tebado, in mezzo a quella confusa cacofonia di tragico e sconclusionato soccorso, si limitò ad accarezzarsi il mento, come se controllasse il livello di crescita della barba.
“Ti sei fatto male davvero, Bianchi?” chiese poi con voce educata mentre Silvia e Laura rumoreggiavano come sirene dei pompieri intorno al braccio del fratello.
“Si” rispose Bianchi mordendosi il labbro “Non riesco a muovere il polso…”
“Ma che razza di imbecille… fammi vedere…”
“No!”
“Fammi vedere, ti ho detto.”
Toccandolo solo con due dita delicate, Tebaldo controllò il braccio di Paolo, che si era piegato in un angolo innaturale e stava iniziando a gonfiarsi pericolosamente.
“Porco cazzo, Bianchi… ti sei rotto un polso!”
“Oddio!” strillò la nonna alzando le braccia al cielo e mollando la ciotola per terra “Mio nipote! Sta male, presto, chiamate l’ambulanza!”
“Paolo!” ulularono in coro le gemelle, bianche in viso come se fossero sul punto di svenire “Paolo ti prego, resta con noi! Non svenire!”
“Palla!” sentenziò Dante riprendendo a giocare contro il muro, già stufo di quella situazione angosciante che non era per niente divertente.
Tebaldo, dopo alcuni secondi di imbarazzante confusione, decise di prendere in mano le redini di quella surreale situazione: si alzò in piedi deciso trascinando Paolo con se tenendolo per la spalla.
“State calme, donne!” ruggì con una voce sorprendentemente decisa e autorevole “Porto io Paolo al pronto soccorso: voi state qui, telefonate ai vostri genitori e avvisateli, mettete a sedere la nonna da qualche parte, rendete inoffensivo vostro fratello con quella dannata palla e pulite questo macello… il cane lo sta già portando in giro per tutta la casa.”
Così distratte, le donne iniziarono a ronzare come api volenterose mentre Tebaldo, sorreggendo Paolo che cominciava a tremare dallo shock, guadagnò l’uscita facendo lo slalom tra il gatto, il cane, l’impasto della torta e cocci di ciotola rotta.
“Da non crederci” bofonchiò irato quando finalmente salì in macchina “Altro che film dell’orrore… qui siamo in piena satira surrealistica! Vengo qui in pace, mi dai un cazzotto e ti rompi un polso… e adesso mi tocca pure portarti all’ospedale! Lasciatelo dire, sei proprio una mezza sega, Bianchi. Cosa ci trovi in te Veronica non lo capirò mai. Ma ti avverto, non me ne frega un cazzo se hai le ossa di maledetta porcellana e lei non vuole romperti, va bene? Io voglio Veronica. La voglio e basta e se è necessario ti romperò in mille pezzi come una cazzo di teiera Ming, se questo servirà allo scopo. Hai capito? Bianchi? Ci sei?”
Ma Bianchi non c’era: era svenuto sul sedile, il braccio offeso inerte in grembo e gli occhiali tutti sghembi sul volto pallido e sofferente.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
Paolo Bianchi prese coscienza di sé con lentezza subacquea e la prima cosa che recepì, infiltrato a tradimento tra la densa ovatta dei medicinali, fu un profumo di donna. Non era quello ben noto di sua madre, e nemmeno quello di borotalco di sua nonna. Meno che meno era quella roba caramellosa e stomachevole delle sue sorelle. Era piacevole, suadente, sottile, ma impossibile da ignorare. Il profumo di Gladi? No, Gladi era morta… evviva Gladi… Non era nemmeno quello pulito e frizzante di Serena, la sua Serena. Come una stilettata, una reminescenza del pensiero di lei tra le braccia di Tebaldo (“mi sono sbattuto la tua fidanzata”) infilzò l’ovatta dell’incoscienza e Paolo spalancò gli occhi. Subito ci vide sfocato, poi doppio, poi di nuovo sfocato.
“Sono cieco.” biascicò accorgendosi di avere la bocca piena di pasta dentifricia collosa e densa.
“Non sei cieco, sei solo drogato marcio.” ribatté una voce paziente e dolce, nonché vagamente divertita “E poi non hai addosso i tuoi fanaloni spessi un dito. Aspetta che ti aiuto a metterli.”
Due mani gentili armeggiarono per posargli qualcosa di duro e freddo sul naso, accentuando il profumo di femmina intenso e buono e chiarificandogli miracolosamente la vista. Il viso che si parò avanti a Paolo fu quello vagamente sorridente di Veronica Scarlini della Torre.
“Veronica” gorgogliò lui tra la pasta che aveva in bocca: Oddio, tra tutte le persone che non avrebbe voluto vedere aprendo gli occhi, proprio quella in pole position?  “Cosa ci fai qui?”
Era così palesemente scontento di vederla che il sorriso di Veronica si accentuò ancora di più: era un sorriso tra l’ironico e il triste, che rendeva i suoi occhi verdi limpidi e bellissimi. Diavolo, era tutta bellissima, Veronica: così davanti a lui, senza quasi trucco, coi capelli soffici e quel sorriso da monna Lisa, era così bella da prendersi a schiaffi. Se gli fosse importato qualcosa di lei. E se non avesse avuto un polso un po’ troppo rotto per schiaffeggiare qualsiasi cosa.
“Sono stata urgentemente convocata dalle tue sorelle” spiegò Veronica pazientemente “A quanto pare, prese dal panico del momento, hanno chiamato tutti i contatti della rubrica, dal 112 al salumiere passando per lo zio che abita in Canada. Il salumiere e lo zio hanno declinato l’invito a venire ad omaggiare la tua salma, mentre i carabinieri hanno sollecitato severamente i tuoi genitori a preparare l’isterica prole per futuri eventuali incidenti domestici. Io sono qui in veste di visitatrice estemporanea incastrata da tua madre che si è dovuta assentare.”
“Dov’è andata?” piagnucolò Bianchi: gli era venuto un inopportuno ma fortissimo, infantile bisogno della sua mamma.
“E’ andata a casa di volata a preparare qualcosa per cena al resto della famiglia Bianchi, che provata dall’esperienza non sa più nemmeno aprire una scatoletta di tonno in autonomia. Ma stai tranquillo, li raggiungerai per l’ora di cena: non ti trattengono in ospedale, la tua frattura al polso è minima ed ha richiesto un gesso leggero. Sei qui solo perché a quanto pare non ti decidevi a risvegliarti, dopo essere svenuto come una pera cotta.”
Bianchi decise di non soffermarsi sull’umiliante tono canzonatorio di Veronica, era già troppo impegnato a combattere il fortissimo senso di nausea e la voglia irresistibile di scoppiare a piangere come un neonato.
“Puoi chiamare per favore l’infermiera” borbottò iniziando a sudare “Sto per vomitare…”
Veronica, pazientemente, premette un pulsante e ronzando il letto si inclinò portando Bianchi in posizione quasi seduta: la nausea passò d’incanto, ma non la voglia di piangere.
“Puoi chiamare lo stesso l’infermiera, per favore? Io non…”
Ma le cateratte si aprirono prima che potesse finire la frase e, completando l’umiliazione a 360°, Paolo scoppiò in un pianto dirotto lasciando Veronica blandamente sorpresa a guardarlo con un sopracciglio alzato.
“Diamine, Bianchi, quel polso deve farti un male d’Inferno. Ti offrirei un antidolorifico, se non te ne avessero già dati circa due chili.”
Infatti il polso non gli faceva male. Per la verità, non sentiva niente da nessuna parte del corpo, come se gli si fossero spenti tutti i ricettori del dolore, tranne quello proveniente dal cuore che pungeva e pulsava oscurando tutto il suo orizzonte.
“Lo odio!” ragliò Paolo tra i singhiozzi tastando col braccio indenne sul comodino per cercare il pacchetto di fazzolettini di carta.
“Chi odi così tanto? Il polso, il dottore, l’antidolorifico…”
“Tebaldo!! E’ lui che mi ha fatto questo!” alzò la mano fasciata davanti a Veronica, come se invece di un gesso avesse un uncino montato su un moncherino putrescente “Quel porco! Schifoso! Merdoso!”
Il sopracciglio di Veronica si inarcò ancora di più, ma il tono di voce rimase freddo e quasi colloquiale: si avvicinò a Paolo fin quasi a sfiorargli il naso, fissandolo dritto negli occhi.
“Mio cugino Tebaldo? Che c’entra col tuo polso?”
“Lui è… è venuto a casa mia… quel maiale… è venuto a dirmi che era appena stato a letto con Serena!”
La faccia di Veronica, sublimemente ignorata da Paolo tutto preso dal proprio delirio piangereccio, divenne di colpo bianca e immobile come il marmo.
“Anzi… che se l’era sbattuta, come ha detto lui. Sbattuta! La mia Serena! Come se fosse… un dannato tappeto polveroso!! E me l’ha detto con una faccia… con quegli occhi da Lucifero che brillavano… come ci godeva a farmi sapere che si era… sbattuto… Serena!”
Ora che aveva buttato fuori il veleno che gli amareggiava l’anima, Paolo si sentì di colpo svuotato: crollò con la testa sulla spalla di Veronica piangendo tutta la sua rabbia e il suo dispiacere e Veronica gli posò una mano sulla spalla, immobile.
Fu così che li vide Tebaldo, inquadrati dal rettangolo della porta come immortalati in una foto d’epoca in bianco e nero. La testa bionda e la testa bruna vicine, due corpi abbracciati quasi con disperazione.
Il suo viso patrizio non si scalfì minimamente: i gelidi occhi verdognoli non emisero una sola fiammata, non vibrò un solo muscolo. Semplicemente, dopo alcuni immobili secondi densi come lava, Tebaldo si girò e se ne andò via in silenzio.
*          *          *
Serena era da sola in casa, quindi quando sentì suonare il campanello pensò che fosse meglio non rispondere. Dopotutto, non aveva staccato il telefono a caso: non voleva che qualcuno la chiamasse. Qualcuno… Tebaldo, più che altro. Il cellulare muto e chiuso nel cassetto era un sollievo. Ma aveva fatto i conti senza l’oste: il potenziale disturbatore si attaccò noiosamente al campanello finché sbuffando Serena non mollò il libro sul divano e ciabattò fino alla porta.
“Chi è?” ruggì rinunciando a sbirciare dallo spioncino della porta.
“La derattizzazione” rispose allegra una voce inconfondibile “A quanto pare ci sono milioni di scarafaggi che fuoriescono dalle sue tubature, una vera ecatombe… fossi in lei aprirei al più presto. Anche perché qua fuori fa un freddo cane, vorrà mica avere sulla coscienza la mia prossima polmonite.”
Tebaldo della Torre, senza nessun dubbio: il cuore di Serena schizzò così in alto che quasi rimbalzò in gola. E che diavolo! Erano giorni che lo aspettava, che lo sfuggiva, che agognava la sua presenza, che pregava perché lui la ignorasse… e lui niente nemmeno un fiato! Poi eccolo lì, bello e impudico come il sole. Quando ormai iniziava a rassegnarsi (con sollievo) all’idea di averlo del tutto e definitivamente stancato.
“Tebaldo!”
“Che nome meraviglioso per un derattizzatore, vero?”
Vorticosamente, Serena pensò all’orrore che dovevano risultare i suoi capelli, ai pantaloni sladronati del pigiama, alla casacca scoordinata con il colletto liso e fu tentata di correre a nascondersi sotto il letto.
“Inutile pensare di scappare” la precedette Tebaldo “Ho già fatto bloccare tutte le vie di fuga. Dai, aprimi.”
Fu il tono di quelle due ultime parole a convincerla: un tono suadente, da incantatore… irresistibile.
Aprì la porta.
Già prima ancora di guardarlo in faccia, Serena capì di essere nei guai. C’era qualcosa che irradiava da tutta la sua persona, una specie di fuoco invisibile, terribilmente caldo. E i suoi occhi, quando li incontrò, erano quasi fosforescenti, ammalianti.
“Ciao, colombella.” mormorò con un sorriso storto.
“Ciao Tebaldo” rispose lei con la voce più normale che riuscì a racimolare, che risultò tristemente simile al gracidare di un intero stagno “Che ci fai qui?”
“Ti sono venuto a trovare, come da accordi precedenti.” rispose lui con estrema ovvietà: senza chiedere il permesso entrò in casa, obbligandola a indietreggiare pur di non toccarlo.
“Il tuo look da casa non è proprio migliorato” sorrise disinvolto mentre Serena chiudeva nervosamente la porta e si allontanava il più possibile verso la cucina “Quella cosa lì sotto, al posto dei pantaloni… li indossano di solito i dervisci durante le loro esibizioni.”
Serena, non sapendo assolutamente cosa fosse un derviscio, glissò drasticamente.
“Stavo studiando” borbottò nascondendo le mani sotto le ascelle e stringendosi il corpo come se avesse paura di farselo scappare.
“Hai il cellulare staccato.” la informò Tebaldo noncurante e Serena rabbrividì al pensiero di Tebaldo che provava a telefonarle. Proprio a lei! Il festival del surreale, ecco cos’era.
“Stavo studiando.” ripeté come un mantra religioso.
Tebaldo, ignorando il suo tono scontroso, girellò per il salotto, sistemò il centrino sulla tavola e prese e ributtò subito sul divano il libro che lei stava leggendo: Serena stava quasi per rilassarsi quando lui le lanciò un breve sguardo che la fece di nuovo agitare come se avesse in corpo un milione di litri di caffè.
“Allora, non mi offri nemmeno un bicchier d’acqua?” la blandì sornione.
“Non credo tu sia venuto qui per bere” rispose coraggiosamente Serena “Che sei venuto a fare?”
Tebaldo le si avvicinò con disinvoltura: il cuore di Serena si mise a battere forte come un tamburo.
“Ogni volta che vengo q trovarti mi tratti malissimo e dici sempre le stesse cose, come un disco rotto. Perché sei qui, Tebaldo? Sono qui perché mi va di essere qui, ovviamente.”
“Tebaldo.”
“Uffa. La scusa del vestito per la festa l’ho già bruciata?”
“Si, mi pare di si.”
“Non mi resta che la dirti la verità.” disse Tebaldo con voce semiseria e gli occhi scintillanti.
Serena avrebbe voluto indietreggiare, ma era già praticamente contro il muro quindi non le restò altro che stringersi ancora più forte le braccia addosso.
“Forse sarebbe meglio.”
“Uhm… sei da sola in casa?”
“Si.”
Un lento sorriso da schiaffi stirò le labbra di Tebaldo mentre si avvicinava ancora di più.
“Bene. Anzi, ottimo, direi.”
Sembrava il lupo di Cappuccetto Rosso: Serena capì di aver sbagliato completamente strategia.
“C-cioè, i miei stanno per tornare…”
Tebaldo allungò una mano e con languida lentezza le scostò i capelli dalla guancia, aggiustandoglieli dietro l’orecchio.
“Non le sai proprio dire le bugie, agnellino” constatò quasi con tenerezza “Non devi inventarti fandonie perché hai paura di stare sola con me.”
Era a pochi centimetri dal suo viso: il cuore di Serena ora batteva come l’intera sezione percussioni di un’orchestra africana.
“Che cosa vuoi?” sfiatò iniziando a tremare.
Tebaldo attese un lungo attimo prima di risponderle, un tempo lunghissimo in cui le fissò le labbra così intensamente da fargliele bruciare.
“Voglio baciarti.” disse alla fine con disarmante sincerità.
Serena sussultò come se gli avesse detto “buh!”.
“Perché?” chiese con la bocca improvvisamente secchissima.
Lui sembrò meditare seriamente sulla risposta.
“Mi sembrava che lo volessi, l’ultima volta. Allora non ero pronto, ma ora lo sono.”
“Perché?” ripeté Serena ostinata.
“Perché sono stufo, infelice e arrabbiato e la tua bocca in questo momento mi sembra la cosa più dolce e piacevole con cui dimenticare come mi sento.”
Era una ragione ottima, pensò Serena nebulosamente.
“Oh.” rispose quindi a corto di argomenti.
“Posso?”
“Fare cosa?”
“Baciarti.”
“In teoria no… sarebbe meglio di no. Non dovremmo. Noi… non ha senso.”
“Nemmeno i tuoi centrini hanno senso, ma ne hai la casa piena. Posso?”
“No che non puoi. Ci abbiamo già provato e ho capito che tu non pensavi affatto a me… Voglio dire… non sei qui perché ti interesso, ma perché sono una distrazione abbastanza forte da distoglierti dal momento…”
“Vero. Gradirei che fossi però una distrazione più silenziosa e consenziente. Posso baciarti, adesso?”
Serena cercò un argomento qualsiasi per dire di no e ne trovò troppi, quindi annuì.
Tebaldo le posò le labbra sulle sue, con sorprendente gentilezza. Il respiro di lei era rapido e tiepido, quello di lui profondo e aromatico. Sapeva di caffè e di tabacco costoso, deliziosamente maschio: Serena non potè fare a meno di cercare un contatto più deciso e le labbra di lui la assecondarono, scorrendo pigre sulle sue. Serena sospirando si arrese e socchiuse la bocca, facendo timidamente guizzare la lingua sulle sue labbra. Tebaldo non ci mise molto a rispondere: la baciò profondamente, languidamente, con un’attenzione e una lentezza brucianti.
Baciava bene? Peggio. Baciava da Dio. Serena si ritrovò a circondargli il collo con le braccia attirandolo a sé, lasciandosi stringere dalle sue mani che sapevano esattamente quando e dove avvolgerla senza spaventarla. Con Paolo non era mai stato così: Paolo era timido, impacciato, disarmonico. Tebaldo invece era sicuro, seducente e fluido: aveva già infilato le mani sotto la sua maglia e le accarezzava con pigra perizia la schiena prima ancora che lei se ne accorgesse. Eppure, Serena non riusciva del tutto a spaventarsi: sentiva l’eccitazione sessuale montare dentro di lei come una improvvisa marea, ma non riusciva a trovarlo sbagliato… solo un po’ triste.
“Come sei dolce…” le sussurrò Tebaldo all’orecchio.
Serena rabbrividì. Era triste?
Perché triste? Perché mentre lui le faceva scivolare la maglia di dosso come se non avesse mai fatto altro nella sua vita, sentiva che c’era qualcosa che mancava?
Eppure, sembrava esserci tutto: c’era lei, bruciante e ansimante dopo appena qualche bacio e qualche strusciatina sopra i vestiti, c’era la casa vuota, c’era lui che sapeva bene come e cosa fare… maledettamente bene… troppo bene. Serena si concesse di guardarlo un attimo negli occhi e lo sorprese con la guardia abbassata, indifeso. C’era tutto quello che serviva sapere, lì. Era davvero stufo, infelice e arrabbiato. Oh si, era bravissimo a baciare, sapeva perfettamente come eccitarla e probabilmente avrebbe potuto anche portarsela a letto, lì, in quel momento. Ma lui non era realmente con lei, e ogni suo gesto perfetto, ogni suo bacio perfetto era assolutamente privo di anima.
Un semplice sguardo bastò a Serena per recuperare di colpo l’autocontrollo: fece cadere la braccia lungo i fianchi e Tebaldo smise subito di baciarla.
“Che c’è?” chiese rudemente.
“C’è che non serve più.” rispose Serena con semplicità, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Cosa non serve?”
“Che ti impegni tanto. I tuoi baci…”
“Non ti piacciono?”
Serena respirò coraggiosamente.
“No. Non mi piacciono. Manca qualcosa.”
Tebaldo si allontanò da lei, immediatamente raffreddato.
“Strano. Di solito le ragazze mi dicono che non manca proprio niente.”
“Beh, io non sono le tue solite ragazze. Ho baciato a malapena due ragazzi nella mia vita, ed erano entrambi due perfetti imbranati, quindi la mia opinione non fa di sicuro testo rispetto alle tue conquiste che sono di certo consumate baciatrici. Io… non sono un’esperta, ma so capire quando qualcuno mi bacia perché mi vuole bene e ci tiene a me. E questo nei tuoi baci manca.”
Tebaldo alzò un sopracciglio altezzoso.
“Questo mi sembrava chiaro fin da subito.” sottolineò freddamente.
“Già. Scusami: era palese per te che mi stavi offrendo solo… come lo chiamiamo, sesso occasionale? Il fatto è che non era chiaro per me. Noi ragazze, noi ragazze inesperte intendo, tendiamo sempre a confondere le cose: sesso con sentimento… la solita vecchia storia. Beh, te ne sono molto grata, Tebaldo, ma ora che so cosa vuol dire a conti fatti, direi che possiamo anche chiudere qui.”
“Quindi non ti piace essere baciata da me?” chiese lui compunto: sembrava vagamente che la risposta lo avrebbe toccato più di quanto volesse far intendere.
“Certo che mi piace” rispose lei con sincerità “Se solo non fossi così… bravo. Accademico. Mi fa pensare che baceresti così anche un pezzo di merluzzo, visto che anche con lui non ci metteresti un filo di sentimento.”
Tebaldo sembrò per un attimo sorpreso dalla sua risposta: si riprese subito, però.
“Dipende. Se fosse cucinato all’acqua pazza, ci metterei moltissimo sentimento” ironizzò infilandosi le mani in tasca “Ora però sono un po’ confuso: l’altra volta sei stata tu a baciare me, e sono sempre stato molto onesto su quello che poteva esserci o non esserci tra di noi.”
“Lo so, Tebaldo. Mi dispiace. Sono una ragazzina molto sconclusionata e molto stupida, mi rendo conto che rischio di sbagliare tutto e di perdermi occasioni importanti, ma… non so, ci sono cose che valgono di più dell’occasione. Ci sono persone che non possono scegliere di essere diverse, e io sono una di queste. Vorrei poter fare sesso con te e riuscire a tenere il ricordo semplicemente in un cassetto e basta… ma non posso, ecco. Non sono io. Penserei sempre e solo al merluzzo di prima, al fatto che io o lui per te sarebbe stata la stessa cosa… e io voglio essere di più di un merluzzo.”
Tebaldo alzò un sopracciglio che diceva chiaro e tondo: qualcosa più? Illusa.
 “In realtà credo che nemmeno a te piaccia un gran che baciarmi. E’ che è quello che ci si aspetta da te, e tu lo fai. Anche se potresti fare di meglio.”
“Senti da che pulpito, o mia insospettabile psicologa.”
Ma si, che diritto aveva lei di dire certe cose a Reuccio Tebaldo? Serena arrossì e abbassò lo sguardo, sentendosi molto scema. Ma subito Tebaldo le alzò il mento, sorridendole senza cattiveria.
“Mi sembra un buon proposito per il futuro, in effetti. Quindi… non si farà sesso occasionale tra queste opportunamente vuote mura?”
Serena accennò un piccolo sorriso.
“Devo ancora iniziare a fare sesso stabile… magari lo faremo quando l’amore mi sarà venuto a noia, tra una decina d’anni… chissà.”
“Dieci anni… diamine, è un sacco di tempo per mantenere intatta un’erezione.”
Al vago pensiero che Tebaldo potesse avere davvero un’erezione per lei, la faccia di Serena diventò di bragia fino alla radice dei capelli.
“Oh, ah…” balbettò quasi spalmandosi contro il muro.
“Mamma mia, come sei prude” sorrise Tebaldo ironico “Con voi non si può proprio uscire di un millimetro dal seminato. E’ proprio questo a far venire ancora più voglia di stuzzicarvi, quando vi compare quella specie di imbarazzo negli occhi, e diventate tutte bianche e rosa come dolcetti glassati.”
“Voi chi?”
Tebaldo tornò bruscamente serio e anche vagamente infelice e arrabbiato.
“Voi donne, no?” rispose con forzata nonchalance.
“No, non credo” sfuggì a Serena, meravigliata “Tebaldo… non vorrei dire, ma insomma,… tu hai parlato di dolcetti glassati.”
“E allora?”
“Dolcetti bianchi e rosa, Tebaldo.”
“Al mondo esiste di peggio, no?”
“Esistono anche cose palesi che non vuoi vedere. Te l’ho già detto, Tebaldo, tu stai pensando a qualcun’altra. Non ti arrabbiare con me adesso, non è che sono così perspicace: è che c’è stato più fuoco nei tuoi occhi quando hai a malapena pensato a lei di quanto ce ne fosse mentre mi baciavi.”
“Non c’è nessun’altra.” rispose Tebaldo deciso e convincente, ma ormai era troppo tardi.
“Andiamo, Tebaldo… certo che c’è.”
Tebaldo alzò un impenetrabile muro così alto da oscurare qualsiasi luce.
“Non c’è nessuno, né per te né per me, piccolina.”
Il suo tono artico mise Serena in allarme.
“Cosa vorresti dire?”
“Che è palese che anche tu preferisci il biondo boccoluto a me, per chissà quale strana combinazione astrale. Il bello è che non riesco nemmeno più a incazzarmi per una così palese mancanza di buon gusto! Ma da quello che ho visto l’ultima volta in ospedale, a quanto pare lui ha preferito… ha preferito lei.”
Prima ancora di capire a chi si riferisse Tebaldo parlando di biondo boccoluto, per Serena fu lampante chi fosse “lei”: da come lo diceva, non poteva che essere Veronica Scarlini della Torre. La serpe con gli occhi verdi. La perfida Grimilde.
Allora il biondo boccoluto non poteva che essere Paolo Bianchi. Quello senza secondo cognome altisonante. Quello con gli arti disarticolati, con gli occhiali a fondo di bottiglia, con le braccia lunghe, impacciate, avvolgenti. Quello che la baciava maldestro e senza sapere dove mettere le mani, ma facendola sentire la ragazza più importante del Paradiso.
Paolo e Grimilde.
Un sacco di pensieri esplosero vorticando nella testa di Serena, rimbalzando impazziti uno contro l’altro e moltiplicandosi a ogni urto. Una parola di Tebaldo in particolare, però, sfuggì dalla confusione accendendosi come un faro al neon.
“Ospedale?” sfiatò Serena sentendo improvvisamente un freddo gelido attanagliarle le ossa.
“Si, ospedale. Non puoi saperlo perché hai il telefono molto opportunamente staccato, anche se so di per certo che i Bianchi hanno tentato in massa di contattarti, quando hanno visto che per risvegliare il bello addormentato ci voleva il bacio magico di una principessa. Ma è arrivata prima Grimilde, ed a lei è toccato l’ingrato compito di sbaciucchiare il cadaverino sul suo letto di morte.”
Serena, senza sapere bene come, comandò ai suoi piedi di fare dietrofront e marciare verso la porta di casa.
Paolo era in ospedale. Paolo era in ospedale. Paolo era in ospedale.
Nient’altro faceva presa nel suo cervello, né la voce divertita di Tebaldo che le chiedeva dove stesse andando con addosso le brache da derviscio e il reggiseno, né la fastidiosa idea di flagellarsi per la stupida ripicca per la quale aveva spento il cellulare, impedendosi di sapere che Paolo era in ospedale… Paolo era in ospedale…
Arrivò alla porta e la spalancò. Avrebbe proseguito la sua folle corsa verso l’ospedale e Paolo che là giaceva aspettando che lei arrivasse, se non avesse sbattuto con forza contro qualcuno che sostava sulla porta. Qualcuno che dal contraccolpo si allontanò di un passo, facendo risuonare cristallino il suono costoso di due autentici tacchi Laboutin. Qualcuno che aveva addosso un profumo costoso, femminile, prepotente ma raffinato. Qualcuno che possedeva due occhi verdognoli al momento ben fissi e stampati su Serena con blanda sorpresa.
*          *          *
D’un colpo, la mente di Serena si snebbiò provocando uno strillo acuto, come se sulla porta si fosse scontrata con un liocorno o qualche altra creatura inaspettata e ultraterrena.
Veronica Scarlini della Torre. Grimilde in persona, in tutta la sua profumata, costosa magnificenza.
“Oddio!” gridò Serena.
“Non ancora” sospirò Veronica con un guizzo di inaspettata ironia “Comunque che tempismo, non avevo ancora bussato…”
Le parole si smorzarono mentre alle spalle di Serena compariva la testa bruna e altera di Tebaldo.
Serena realizzò solo remotamente la sensazione di elettricità statica che pervase l’aria nel momento in cui gli occhi dei due cugini ci incontrarono al di sopra della sua testa arruffata. Le parve, solo per un momento, che Veronica trasalisse e… avrebbe giurato di vedere un lampo di dolore insopportabile attraversare le sue pupille verdi. Come se le fosse arrivata una fucilata al cuore… se ne avesse avuto uno. Era noto, dopotutto, che la Scarlini della Torre preservasse il proprio prezioso muscolo cardiaco in cassetta di sicurezza svizzera. Dopo un breve battito di ciglia, infatti, la sensazione passò: li occhi verdognoli di Grimilde passarono da Serena a Tebaldo al reggiseno in bella vista.
“Oddio!” vagheggiò di nuovo Serena, rendendosi conto di avere addosso non solo un reggiseno, ma addirittura un modello olimpionico della Coop, reso grigiastro dai lavaggi.
“Ciao Grimilde.” salutò Tebaldo con estrema disinvoltura.
Gli occhi di Veronica passarono di nuovo in rassegna la faccetta congestionata e tutta occhi di Serena, il viso impassibile di Tebaldo e il reggiseno di Serena.
“Nientemeno.” disse infine, non senza un certo sforzo.
Serena non provò nemmeno a pensare alla situazione, le premeva di più un’altra cosa.
“Come sta Paolo?” chiese con voce rotta mentre il mento cominciava a tremarle.
Tebaldo fece un passo avanti, prese con familiarità Serena per la vita e la strinse a sé, come se non avesse fatto altro da millenni.
“Già, come sta il povero piccolo piccione con l’ala spezzata?”
Veronica fissò lo sguardo sulla mano di Tebaldo posata con grazia sul fianco di Serena: se solo gli sguardi avessero davvero potuto emettere fiamme, avrebbe già polverizzato sia lui con quella faccia da stronzo che lei e il suo reggiseno dozzinale.
Dopo un secondo, sbatté le ciglia e alzò gli occhi verdi e stranamente opachi su Serena, che si trattenne a stento dal prendere un crocifisso e sparare a muzzo una qualche formula esorcistica.
“Sta bene” disse con voce atona “Ha solo una sospetta frattura al polso. E’già andato a casa.”
Il sollievo afflosciò il cumulo di spavento/angoscia/allarme che reggeva in piedi Serena: la ragazza si accasciò a sedere sul pianerottolo, ringraziando con una fervente preghiera Iddio e tutti gli angeli del Paradiso. Tebaldo e Veronica rimasero in piedi a guardarsi negli occhi. Quelli di Tebaldo erano fissi e cattivi, quelli di Veronica spenti, come se qualcosa li avesse asciugati e resi aridi.
“Che sei venuta a fare qui?” chiese lui bruscamente: non gli piaceva quell’espressione sul viso di Veronica. Non doveva sembrare così fragile. Doveva essere furiosa, combattiva, perfida e stronza come lo era lui. Che diamine, questo ci si aspettava da un della Torre. Così avrebbe potuto sputare veleno e ferirla e mordere… e provare un po’ di sollievo da quel tormento che lo stava mangiando vivo da quando aveva visto Veronica e Bianchi abbracciati su quel letto di ospedale.
Invece Veronica rimaneva innaturalmente immobile e passiva. Spenta.
“Allora? Che ci fai qui?” ripeté seccamente.
D’un tratto, senza nessun preavviso, gli occhi di Veronica si riempirono di lacrime. Una goccia opalescente si aggrappò alle lunghe ciglia nere e spiccò il salto sulla guancia, rigandola di luce.
“Proprio un bel niente.” rispose poi Veronica con voce rotta.
Prima che lui potesse anche solo cambiare espressione del viso, Veronica gli aveva girato le spalle ed era corsa via, lasciando dietro di sé solo un alito del suo meraviglioso profumo.
*          *          *
Passarono due giorni di domande senza risposte e cellulari staccati. Serena si affannava a chiamare quello di Paolo che rimaneva ostinatamente muto. Tebaldo ogni tanto cedeva alla rabbia e provava a chiamare Veronica per vomitarle addosso qualche bomba H, ma trovava sempre il suo numero irraggiungibile. Bianchi non veniva a scuola causa infortunio; Veronica, a detta delle tre Marie (alquanto confuse dalle ripetute e ingiustificate assenze della propria regina), era in giro per terme e/o shopping e/o qualcosa di certamente ludico e costoso. Tebaldo, dopo aver gelidamente congedato Serena sul pianerottolo ed essere marciato via a meditare sul perché si sentisse un tale schifo quando era piuttosto evidente la sua vittoria sociale sulla cugina, si era aspettato di vedere Veronica e l’eunuco ingessato veleggiare per la scuola mano nella mano, finalmente liberi di tubare come cinciallegre davanti alla plebe estasiata dalla presunta favola tra Grimilde e Cenerentolo.
E invece… spariti entrambi. Perché? Quel brusco cambio di programma non rientrava nei suoi piani. Nemmeno il sentirsi per la prima volta in vita sua una completa e gigantesca merda lo aiutava a superare la situazione.
Non solo, come i telefoni, anche le porte di casa divennero ostili: quella di Paolo Bianchi per Serena fu ripetutamente bloccata da un familiare sorridente e mortalmente imbarazzato che sussurrava “sta dormendo, non voglio disturbarlo..” mentre alle sue spalle Dante, cane e gatti schiamazzavano come durante un concerto di trash metal rendendo impossibile il sonno a un sordocieco, figurarsi a una persona sana come Paolo; le porte di casa Scarlini erano invece apertissime, e pertanto chiunque poteva godere della vista degli amplessi omosessuali dei due cani di casa. Ma in compenso la padrona era “in visita a el primo, tia, tatarabuela della Torre…” . Quale? Yo no lo sé, rispondeva Inocencia innocentemente. Oh, si che lo sé, piccola vipera colombiana, meditava Tebaldo ribollendo a fuoco lento.
Ma la bocca di Inocencia era chiusa ermeticamente e il suo sguardo identico a quello di un coguaro a cui minacciano i cuccioli spegneva sempre qualsiasi cosa Tebaldo intendesse minacciare.
Vedendo Serena che si trascinava per la scuola in stato vegetativo/catatonico e non provando per lei nient’altro che sublime irritazione, Tebaldo capì di doversi dare una scrollata. Anche perché aveva visto qualcosa di spaventosamente simile nello specchio, guadando se stesso, e il pensiero di risultare così invertebrato agli occhi della plebe lo riempiva di puro, orrorifico sgomento.
Ma che fare? Ovvio: chiedere aiuto alla famiglia, in puro stile mafioso popolare. Piombò quindi in casa della cugina Ramo Riccobono e bussò furiosamente alla sua porta finché Oleana non venne ad aprire con addosso una camicia evidentemente non sua, i capelli arruffati e nient’altro addosso.
“Che cazzo vuoi.” esordì costei senza dargli nemmeno il tempo di salutare.
 “Ti devo parlare.” rispose Tebaldo contrito: gli stava per sfuggire “ho bisogno di parlare”, ma un della Torre non ha mai bisogno di nessuno, quindi si corresse all’ultimo secondo.
“Ora no. Sto facendo sesso.” gli spiegò Oleana con estrema chiarezza e avrebbe chiuso lì il discorso se alle sue spalle non fosse apparso un vichingo biondo a torso nudo vestito di sole mutande che era il naturale possessore della camicia indossata da Oleana.
“Ehi, ciao.” salutò il tizio addentando una mela, completamente a suo agio come se non fosse mezzo nudo di fronte a uno sconosciuto, ma a un party in piscina.
“Buongiorno.” rispose di rimando Tebaldo: ultimamente aveva sviluppato una forte allergia per i biondi, ma quel tizio irradiava una sensazione di forza e di calma che, chissà perché, lo rendevano accettabile.
“Tebaldo stava per andarsene, così noi possiamo continuare a fare sesso.” cinguettò Oleana con un saccente tono da maestrina, ma l’affermazione non scosse apparentemente nessuno dei due giovani maschi.
“Tebaldo!” si illuminò il vichingo sorridendo e mettendo in mostra una più che notevole chiostra di denti “Il perfido cugino della Torre! Che piacere conoscerti. Io sono Marco, il fidanzato di Olena.”
“Oh, piacere…” rispose questi contrito, stringendo formalmente la mano tesa del biondo.
“Ok, presentazioni fatte, ora sciò, cugino, che devo…”
“Fare sesso, ho capito. Oleana, stai calma, sembri una assatanata.”
“E lo sono, diavolo! Hai visto con che po’ po’ di biondone devo copulare, no? Ti vuoi togliere dai piedi ora?”
“Amore mio, cuccia, fai entrare il perfido cugino.” sorrise Marco pacifico e Oleana sbuffando una comprensibilissima sequela di invettive, si scostò per far entrare Tebaldo, trascinato dentro dal fidanzato vichingo ancora bellamente quasi nudo.
“Era un pezzo che volevo conoscerti” dichiarò allegro Marco continuando ad addentare la mela “Il cuginato femminile della famiglia sparla di te in mille maniere perverse, lo sai? Ma è tutto vero?”
“Certo che no.” rispose Tebaldo compunto.
“Oh, si invece” sbuffò Oleana piombando sul divano e facendo così intuire piuttosto chiaramente di non portare né reggiseno né mutande sotto la camicia “Anzi, sono sicura che quello che si sa è solo la punta dell’iceberg.”
“Troppo buona, cugina. Ma credo invece sia tutto più fumo che arrosto. Se posso permettermi, ora, potreste gentilmente rivestirvi? Non mi sento a mio agio a parlare con due tizi quasi nudi che fino a due secondo prima stavano facendo sesso.”
“Perché non ti svesti tu?” lo apostrofò Oleana ancora evidentemente stizzita.
“Perché primo, le cose a tre o multipli di tre le faccio solo se i due terzi del gruppo sono femmine, secondo, sono una primadonna naturale e il fisico di questo bellimbusto mi metterebbe in ombra. Quindi per favore, cuginetta, mettiti almeno il tanga. E tu, cugino acquisito, almeno una canottierina, anche maranza. Grazie.”
Mentre Oleana sbuffando come una teiera andava a cercare qualche infrattato pezzo di biancheria intima, Marco si infilò fluidamente in una tuta da ginnastica senza smettere di addentare la mela e sparare domande a raffica.
“Senti, perfido cugino, ho sentito di quella volta con la parente tedesca… nel casino di caccia…”
“Per la caccia alla volpe o quella al fagiano?”
“Oh, è successo due volte?”
“Una volta con Algunde e una volta con Hildegunde, le gemelle della prozia Kunigunde. Ma non mi chiedere chi era con il fagiano e chi con la volpe.”
“Diamine, perfido cugino… sei proprio uno stronzo patentato!”
Ma lo disse con un tale tono di ammirazione che sembrava lo stesse incoronando. Oleana, tornando con la stessa camicia addosso, si ributtò sul divano imbronciata.
“Algunde era con la volpe” ricordò burbera “Da quel giorno la poveretta non mangia più carne.”
“Ma la volpe non si mangia.” obbiettò Marco aggrottato.
“Si, vallo a spiegare ad Algunde. Dunque, caro Tebaldo, dicevamo: che cazzo vuoi?”
“Le mutandine, avevamo detto…”
“Non le ho trovate. Ma non tergiversare!”
“Non è venuto qui per la Sistina?” chiese Marco piacevolmente, lasciando Tebaldo leggermente confuso.
“Per chi…?”
“La Cappella Sistina: quel mostro di piacevolezza che è il mio fidanzato si riferisce a Veronica.”
“Perché?”
Oleana provò a spiegarlo con una prolissa descrizione della cugina, confondendo ancora di più Tebaldo, poi Marco sintetizzò tutto con semplice chiarezza.
“Perché è un monumento alla gnocca.”
“Oh. Detto così si che è chiaro.”
“Veronica non è qui.” sottolineò Oleana evasiva.
“Ed è un gran peccato” ribadì Marco sorridendo “Quella faccenda dei due terzi con Oleana e lei sarebbe stata davvero una figata.”
“Marco!” strillò Oleana scandalizzata: il giovane le accarezzò la testa sogghignando.
“Dai che scherzo. Volevo provare a provocare il perfido cugino, ma sta sfoggiando un aplomb britannico davvero invidiabile. Mi stai simpatico, sai?”
“Lietissimo. Vorrei dire altrettanto, se solo non continuassi a chiamarmi perfido cugino. Se non è qui allora dov’è?”
“Magari in visita al Algunde e Hildegunde” ridacchiò Marco pescando da qualche parte una seconda mela e addentando pure quella “Ti direi di raggiungerla là, ma se non sbaglio pende una taglia sulla tua testa in tutta la Foresta Nera fino alle repubbliche baltiche.”
“Quindi proprio per questo Veronica potrebbe essersi nascosta là per davvero” borbottò Tebaldo scurendosi in volto “Quella carognetta farebbe di tutto per evitarmi.”
“Se mi spieghi cosa vorresti dirle di preciso vis à vis posso farle avere io il tuo messaggio.” propose Oleana finalmente ammansita: l’idea di riuscire a ficcanasare negli affari dei due cugini era abbastanza allettante da mettere in ombra l’idea di fare sesso. Ma Tebaldo si mise immediatamente sulla difensiva.
“Beh, no. Preferirei che i fatti nostri rimanessero in questo emisfero, grazie.”
“Almeno potresti riassumerci gli eventi che hanno portato la perfida cugina a fuggire in teutonia.” non mollò Oleana, disinvolta e suadente.
“Non sarà mica andata per davvero a Francoforte?”
“Chissà. Potrei lasciarmi sfuggire il suo rifugio… se mi convincessi che ciò che devi dirle è davvero importante.”
“Stronza.” ringhiò Tebaldo tra i denti, stringendo gli occhi in due fessure malvagie.
“Si, lasciatelo dire, dolcezza, sei perfida quasi quanto i tuoi perfidi cugini.” sospirò ammirato Marco che aveva finito la seconda mela e stava già addentando uno snack dietetico.
“Grazie, troppo buoni” sorrise con aria pudibonda Oleana abbassando lo sguardo “E’ solo una questione genetica. Allora, perfido cugino numero uno, mi spieghi perché la perfida cugina numero due si è così improvvisamente eclissata?”
“Avrà avuto le sue buone ragioni” rispose Tebaldo amabilmente “Vista la tua risaputa discrezione mi sorprende che non te le abbia confidate, perfida cugina numero tre.”
“Oh, ma lo ha fatto” ribatté Oleana godendo dell’espressione contrariata di Tebaldo “Ragioni abbastanza vaghe, a dire il vero. Allergia, mi pare di aver capito. Vero Marco? Non aveva detto che soffriva terribilmente di allergia, quando è venuta qui lacrimando come un cero pasquale?”
“Non saprei” ammise Marco con disarmante candore “Ero troppo distratto dal notare quanto fosse gnocca.”
“Piantala di dire che Veronica è gnocca.” scattò Tebaldo, pentendosi mortalmente subito dopo: gli aveva fatto abbassare la guardia il venire a sapere che Veronica aveva pianto… per lui? O per Bianchi?
“Oh, finalmente una reazione umana!” esultò Marco “Diamine, cominciavo a pensare che voi perfidi cugini foste davvero dei cyborg.”
“Veronica stava piangendo?” reagì Tebaldo: chissà perché non riusciva a sopportare quel semplice pensiero.
“Non far finta di non saperlo, cattivello: non sei stato come al solito proprio tu la causa di quella tremenda allergia?”
Certo che era stato lui: aveva voluto far piangere Veronica con tutte le sue forze. Eppure, se ripensava a quella lacrima piena di luce che si tuffava dalle ciglia nere e attraversava la sua guancia, invece che di esultare trionfante gli veniva voglia di prendersi a sberle. Ma forte forte.
“Certo che sono stato io” ammise rabbioso “Pensavo che si sarebbe subito consolata con l’eunuco albino…”
“Chi?” chiese Marco perplesso tornando dalla cucina in cui era sparito per andare a prendere un vasetto di Nutella e un cucchiaino.
“Lo sfigatello plebeo di Veronica” spiegò Oleana sottovoce, poi incoraggiò Tebaldo a continuare “Ma…?”
“Ma invece niente, è sparita. Senza l’eunuco albino, che si è barricato in casa con la nonna come sentinella alla porta.”
“Non puoi corrompere la sentinella, visto che pur essendo nonna è pur sempre femmina, pertanto non immune al tuo fascino virile?” domandò Marco con leggerezza.
“Io non piaccio alle nonne” rispose burbero Tebaldo “Nemmeno alle mamme, a dire il vero: mi salvo con le sorelle, purché non siano già delle universitarie. E hanno ragione, io non dovrei piacere: già che sono nato con la camicia, già che ho soldi a palate e che non sono esteticamente rivoltante, ci manca solo che sia anche fortunato in amore.”
“Ma sentilo” si schifò Oleana “Tebaldo Santandrea della Torre che si sdilinquisce in un banalissimo delirio autocommiserativo come un qualsiasi plebeo che soffre… se me l’avessero detto un anno fa, non ci avrei creduto.”
“Io non sto affatto soffrendo” protestò Tebaldo piccato “E di sicuro non mi sdilinquisco.”
“Certo che ti sdilinquisci. Sei querulo. Vero Marco?”
“Oh, quanto vi ammiro” confessò Marco “Vorrei provare a parlare come voi con mia madre. E’ finlandese, sai, perfido cugino: ci metterebbe un mesetto a coniugare il verbo “sdilinquire” in modo comprensibile, mentre tu lo hai buttato li come se dicessi “cacca”. Credo di amarti.”
“Marco”!” protestò Oleana con le labbra che tremavano per il sorriso.
“Tranquilla: dopo tu hai detto “querulo” e subito sono tornato ad amare te.”
“Ah ecco.”
“Se dovete propinarmi solo cazzate posso anche andare via, grazie.” sbuffò Tebaldo alzandosi in piedi poco convinto.
“Amore!” schiamazzò Marco in direzione di Oleana “Ha detto “cazzate!”, hai sentito?”
“Ho sentito, tesorino. Tebaldo, che pretendevi? Che ti dicessi dov’è Veronica?”
“Sarebbe stato un inizio.” rispose altero Tebaldo.
“Stai fresco, perfido cugino. Mi stai simpatico, lo sai, ma dopo che ho visto Veronica… dopo quello che le hai fatto… ti menerei, guarda. Se avessi addosso almeno un tanga a coprirmi le pudenda, ti prendere proprio a calci in culo.”
“Perché, cosa le avrei fatto?”
“Beh, tu…”
“Zitta, amore, è un tranello” la interruppe Marco “Scusami, perfido cugino, normalmente starei dalla tua parte… solite ragioni testosteroniche…”
“Ma c’è un limite anche all’essere stronzi” si riprese Oleana tornando seria “E stavolta l’hai superato.”
“Guarda che è lei che si è comportata da regina delle stronze!” sbottò Tebaldo, per la prima volta seriamente alterato “Far finta di essere… cioè, la notte più… mi guarda come se… cazzo, come se fosse vera, e poi bella come il sole dice che non vuole ferire i suoi sentimenti. I suoi! Ti rendi conto? Nemmeno mezza giornata dopo essere venuta a letto con me, si va a strusciare contro di lui come se fosse… e poi io sono lo stronzo di turno! Questa non la posso proprio sopportare!”
“Dieci euro!” sbottò Marco trionfante: Tebaldo lo fissò incredulo mentre Oleana gli rispondeva con un gestaccio.
“Scusa, perfido cugino” sogghignò Marco per niente scalfito “Avevamo fatto una scommessa: Oleana diceva che non eravate finiti a letto insieme, io invece ero per il si. E dalle tue farneticazioni, direi proprio che i dieci euro me li becco io!”
“Non riesco a credere che sei stato così merdosamente bastardo” sibilò Oleana, e stavolta il suo tono non aveva niente di leggero “L’hai portata a letto e poi l’hai mollata lì per andare con la plebea… praticamente davanti al suo naso?”
“Non è andata esattamente così.”
“Già. Però tu sei qui davanti a me, integro e incavolato, mentre Veronica è… a pezzi.”
“Già, immagino! Grimilde non si spezza. Certe cose non cambiano mai.”
Oleana si alzò in piedi: stranamente seria e dignitosa, lo guardò dall’alto in basso con una espressione di disgusto che lo ammutolì immediatamente.
“Credi quello che vuoi, Tebaldo. In fondo, non è quello che hai sempre fatto? Demolire la gente non è più il tuo hobby, ma il tuo mestiere. E non hai sempre voluto vedere Grimilde e mai Veronica? Hai fatto di tutto per schiacciarla, ma per farlo dovevi renderla umana e vera. Beh, adesso lo è. Vera e infelice. Tebaldo vince la battaglia e la guerra, viva Tebaldo! Bravissimo, ti arriverà a casa la medaglia. Ora, smetti di appestare con la tua perfidia l’aria che mi serve per respirare e vattene affanculo da qualche altra parte.”
Tebaldo aprì la bocca, ma Oleana marciò via senza nemmeno aspettare risposta. Marco, continuando imboccarsi di Nutella in silenzio, si alzò in piedi a sua volta: lo sguardo che si posò di lui era quasi di simpatia. A Tebaldo venne la pelle d’oca per il disgusto di se stesso.
“Immagino dalla tua faccia che non fosse quello che ti aspettavi” meditò Marco gentilmente “D’altronde, Oleana l’ha sempre detto: Tebaldo ha un ego talmente grande che copre tutta la visuale e non vede al di là delle proprie esclusive necessità.”
“Immagino che quel gioiello di mia cugina non l’abbia detto proprio così.”
“Infatti, ha detto che se il tuo pisello fosse grosso come il tuo ego avresti un luminoso futuro come pornodivo.”
“Ecco, questo si che mi sembra un discorso tipicamente da Oleana. La paternale su di me è tutta vera: ha ragione ovviamente.”
“Lo sappiamo tutti che lo ha detto per provocarti. Un po’ sarà anche vero, ma per quanto mi riguarda, conoscendoti da solo tre minuti, mi concedo l’ingenuità di credere che sia solo apparenza.”  
“E se non lo fosse?”
“Problema tuo. E di Veronica.”
“Lei dov’è?”
Marco sorrise ancora di più, sempre gentile ma quasi sornione.
“Cugino bello, se te lo dicessi non vedrei la mia focosa fidanzata nemmeno col binocolo per almeno un mese. E lo ammetto, anche a costo di sembrare il sessuomane che invece non sono, non posso resistere senza di lei così tanto. Oleana fa tanto la sborona, ma sta malissimo per questa situazione. Tiene molto ai suoi perfidi cugini. Faceva più progetti matrimoniali su di voi che su me e lei… Era divertente ascoltarla. Ma poi Veronica è venuta qui ed era… proprio giù. Non è stato più per niente divertente.”
Tebaldo strizzò forte gli occhi: improvvisamente stava male anche lui. Anzi, non era mai stato così male in vita sua, pur stando fisicamente benissimo. Si sentiva un perfetto escremento. Voleva urlare e menare qualcuno. Aveva voglia di piangere. Ma più di tutto, quello che lo faceva dolere fino a togliergli il fiato era in desiderio di avere Veronica davanti a sé  e chiederle scusa, scusa, scusa…
“Ok” disse asciutto: la sua voce sembrava venire da mille chilometri di distanza “Ok, vado. Però…”
“Non chiedermi niente, perfido cugino, sai che non posso rispondere.”
“Merda!”
“Sante parole. Non disperare, però. Se mi concedi l’ardire, vorrei darti una perla di saggezza tipicamente plebea: non tutto è perduto! So che tra voi nobilazzi le cose rotte siete abituati a buttarle via per comprarne delle nuove. Ma a volte, nel mondo reale, le cose rotte si aggiustano.”
“Mi sa che stavolta sono proprio irrecuperabili. Merda!”
“E due. Stai rapidamente scendendo la china delle plebeitudine, caro cugino. Non ti si addice. Coraggio!”
Si alzò in piedi gli circondò le spalle con un braccio e molto gentilmente ma con fermezza lo spinse verso la porta.
“E’ una velata allusione o vuoi sbattermi fuori a pedate?” chiese Tebaldo assecondandolo.
“Ma che dici! Non certo a pedate!”
“E va bene, me ne vado. Però puoi farmi un favore?”
“Se è nelle mi e plebeissime mani, certo che si.”
Tabaldo sembrò di colpo ancora più corrucciato, quasi in imbarazzo. Sentiva un bisogno immenso, quasi fisico, di vedere Veronica sorridere. O alzare quei maledetti altezzosi sopraccigli. O fare shopping. Insomma, vederla star bene… ma come dirlo senza sembrare un perfetto pirla? Come dire che avrebbe pagato tutto l’oro dei della Torre per cancellare quello che aveva fatto e rendere Veronica felice come si meritava?
“Dovunque essa sia… controlla che la perfida cugina numero uno abbia con sé la sua crema idratante” si limitò a dire neutro “Si sveglia di pessimo umore se non ce l’ha e poi le vengono un sacco di chiazze antiestetiche e… sarebbe molto alterata. Di conseguenza, lo sarebbe chiunque avesse la sfortuna di transitarle davanti. Senza contare che rovinerebbe il buon nome della famiglia.”
“Certo” sorrise Marco sotto i baffi “Ma tu stai allegro, perfido cugino numero due. Pensa a qualcosa di ludico per tirarti su… cos’è che diverte voi nobilazzi? Una partita di Polo col principe di Galles? Un bicchiere di Veuve Clicot bevuto in barca a vela sul Nilo?”
“Adesso come adesso, la cosa più ludica che mi viene in mente è portare un cane gay a farsi un bagno. E ciò la dovrebbe dire lunga sul mio stato d’animo.” borbottò scoraggiato Tebaldo mentre Marco apriva cerimoniosamente la porta.
“Ottima idea. E, uhm… posso darti un consiglio da uomo a uomo? Arriva un momento nella vita dove bisogna smettere di fare gli stronzi, comprare un mazzo di fiori e mettersi a novanta gradi davanti a una donna. Con tutta probabilità la prenderai molto profondamente e dolorosamente nel culo, ma è sempre meglio di dover passare la vita a chiederti come sarebbe stato, se l’avessi fatto. E ora, addio e tante belle cose.”
Prima ancora che Tebaldo potesse mitragliarlo di nuove domande, Marco lo spinse fuori e gli chiuse con decisione la porta  in faccia.
*          *          *
Nella stanza accanto, Oleana fissava sospettosa la cugina Veronica che se ne stava immobile con la fronte premuta contro la porta. Non aveva emesso un fiato da quando Tebaldo era entrato, ignaro che lei fosse lì ad origliare a meno di tre metri di distanza.
L’arrivo di Veronica era effettivamente stato la fotocopia sputata di quello di Tebaldo. La cugina aveva beccato Oleana proprio in procinto di fare sesso con Marco, con la differenza che appena il vichingo biondo si era presentato in mutande sgranocchiando un panino, Veronica era scoppiata in lacrime come le fontane di Versailles e Oleana non se l’era sentita di mandarla a fare in culo altrove. Dopo un bel po’ di tempo, tra lacrime e spiegazioni smozzicate, quando ormai Oleana pensava di riuscire a schiodare il nobile culo della cugina dal suo divano liberandolo così per le sue future copule, ecco che era squillato di nuovo il campanello. Marco sbirciando dallo spioncino della porta aveva sussurrato che un testimone di Geova molto snob e decorativo sembrava del tutto intenzionato a convertirli al Vangelo: in gergo fu subito chiaro ad Oleana di chi si trattasse effettivamente. Veronica era quindi stata sbattuta senza tante cerimonie in cucina e la scena dell’ingresso si era ripetuta, con sommo gaudio di Marco che in una botta sola aveva conosciuto finalmente entrambi i protagonisti dei divertenti pettegolezzi intrafamigliari di Oleana.
Quando Tebaldo se ne fu andato e il silenzio cadde sull’appartamento, Oleana scambiò con Marco un lungo sguardo complice.
“Così, questi sono i perfidi cugini della Torre” sentenziò Marco di ottimo umore “Ti dirò, non sono poi antipatici e snob come li avevi disegnati. Bellini si, eh: si vede che il ceppo è buono, telaio notevole anche se accompagnato dall’occhio verde catarro e dall’espressione sempre schifata.”
“Certo che lo sono” replicò burbera Oleana “Solo che oggi li hai beccati entrambi in una versione apocalittica. Non li ho mai visti così umani. Veronica che piange lacrime vere e non essenza pura di Chanel, e Tebaldo spettinato… ti giuro che questo momento rimarrà negli annali della storia dei della Torre.”
“Devo ammettere però che non ho ancora capito cosa cacchio sia successo tra quei due” sospirò Marco posando finalmente sul tavolo il vasetto di Nutella “Sono andati a letto insieme poi si sono cornificati subito dopo?”
“Che il cielo mi spari addosso un tanga se lo so. Come potrei saperlo? Sono talmente concentrati su loro stessi, talmente egocentrici, da pensare che il mondo esterno sappia i cazzi loro per osmosi.”
“Sarebbe carino se non sparlassi di me come se non fossi qui.” si decise a dire Veronica con voce dura ma flebile.
“No, sarebbe veramente carino se tu mi lasciassi sola col mio fidanzato a fare finalmente sesso.”
“Per me può restare e partecipare senza problema.” si offrì cavallerescamente Marco con un sorriso scintillante.
“Zitto tu, pervertito. L’avresti fatto anche con Tebaldo tra i piedi!”
“Amore mio, sono finlandese, sai che noi nordici siamo ragazzoni di compagnia.”
“Perché è venuto qui?” sbottò Veronica staccandosi dalla porta con aria esausta “Cosa diavolo vuole ancora da me? Devo davvero emigrare in Germania per togliermelo definitivamente dai piedi?”
“Veronica, sto cominciando a spazientirmi” rispose Oleana, insolitamente secca “Tu e Tebaldo avete un sacco di cose da risolvere, e non tutte sono problemi. Ma siete due tali teste di cazzo… si, caro, ho proprio detto teste di cazzo… che invece di disarmarvi e guardare avanti insieme e fidarvi l’uno dell’altra, continuate ad armarvi fino ai denti e a farvi la guerra. Così l’unica cosa che otterrete è farvi del male l’un l’altra, sempre di più. Se non riuscite a venire fuori da questo circolo vizioso, o qualcuno ci rimetterà il culo o la reputazione. Sai che ti dico? Cazzi vostri. Pensavo che bastasse darvi un colpetto leggero per farvi prendere la giusta direzione, e invece solo a sfiorarvi schizzate da una parte all’altra come le palle di un flipper… si, caro, ho detto palle di un flipper, lo so che le mie metafore non sempre sono comprensibili dalle masse… in ogni caso, ci ho perso il gusto, siete troppo ottusi persino per me. Quindi, come direbbe il conte di Montecristo, fanculo i cugini, e arrivederci.”
“Mi stai suggerendo di andare via?” chiese Veronica, leggermente scandalizzata.
“No, Veronica, ti sto proprio mandando via a calci.”
Veronica era esterrefatta.
“Ma… io.. dove vado? Come faccio con quello stronzo di Tebaldo? Quello è capace di aspettarmi fuori con una tanica di benzina pronto a darmi fuoco solo perché non gli rispondo al telefono!”
“Sciocchezze” tagliò corto Oleana lapidaria “In realtà io credo che, nel suo modo snob e tebaldocentrico, sia attanagliato dai sensi di colpa.”
“Attanagliato?” commentò Marco sorridendo divertito “Amore, ma tu conosci parole che voi umani non potreste mai immaginare…!”
“Non so cosa farmene dei suoi sensi di colpa” ringhiò Veronica incrociando battagliera le braccia sul petto “La crema idratante! Non gli viene in mente nient’altro che questo, quando pensa a me. Che io abbia la mia crema così non mi chiazzo la pelle e non divento isterica, fomentando la tranquillità emotiva della famiglia.”
“Affanculo!”
“Oleana!”
“No, basta! Sono stufa di sorbirmi queste inutili solfe. Non sai cosa fare, cugina cara? Non fare niente! Tebaldo vuole ridurti a essere una disperata plebea? E dagli una cazzo di disperatissima plebea!!”
“Oleana!”
Stranamente, Veronica non sembrava più quella scandalizzata: anzi, guardava Oleana con un misto di curiosità e interesse, quasi di ammirazione.
“Sai che non hai tutti i torti? Quella iena vuole una plebea… E una plebea avrà. Una plebea che per una volta gli infilerà quella sua stronza boria molto profondamente in…”
“Veronica!!”
“… gola! Che c’è, Oleana, fin’ora hai parlato come un taxista idrofobo e per una volta che posso sfogarmi come cazzo mi pare, non me lo lasci urlare ai quattro venti?”
“Certo, cara, urla quanto vuoi. Ma ti suggerisco di farlo mentre vai a fare un plebeissimo shopping ai grandi magazzini… o, ancora meglio, al mercato!”
“Mi stai sbattendo fuori come il tuo fidanzato ha sbattuto fuori Tebaldo.” le fece notare Veronica mentre Oleana, con fermezza, la spingeva verso la porta.
“Già, non è meraviglioso? Ora su, da brava, vai a fare un bel giro in centro, tra i negozi di frutta e verdura e l’arrotino, così sfoggi ben bene il tuo nuovo lessico da lavandaia e ti compri un paio di sandali infradito sul banchetto degli indiani. Che ne dici?”
“Dico che questa era la tua ultima possibilità per essere mia complice” sentenziò Veronica afferrando la borsetta e veleggiando verso la porta “Ma visto che vuoi essere neutrale come la Svizzera e preferisci un pomeriggio di sesso invece di sostenere la causa della tua cara cugina bisognosa, i nostri rapporti finiscono qui.”
“Ok. E tanti auguri per lo shopping, cugina bisognosa.” sorrise Oleana aprendo la porta.
“Tornerò.” promise Veronica minacciosa varcando la soglia.
“Non avevo dubbi. Non prima di tre ore, però.” rispose Oleana chiudendo la porta senza troppa grazia.
Poi, si voltò verso Marco che, appoggiato allo stipite della porta, le sorrideva con aria sorniona.
“Ancora sconvolto per il mio lessico triviale?” domandò allusiva.
“No, mi sono prontamente ripreso.”
“Quindi… pensi che alla Svizzera basteranno tre ore per demolire la Finlandia?” domandò lei iniziando a sbottonarsi al camicia.
“Non credo, ma ce li faremo bastare.” rispose Marco pragmatico, prendendola in braccio. 

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