Danklon - Living in the Material World

di Natalja_Aljona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica ***
Capitolo 2: *** Dove l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni (e si dimentica della ragazza) ***
Capitolo 3: *** Dove si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità del proprietario della Fender ***
Capitolo 4: *** Dove si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la speranza ***
Capitolo 5: *** Dove si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare una grande malinconia ***
Capitolo 6: *** Dove si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere vietati per legge ***
Capitolo 7: *** Dove i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino dell'aspirante filosofo ***
Capitolo 8: *** Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro ***
Capitolo 9: *** Dove si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando Furioso ***



Capitolo 1
*** Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica ***



DanklonLiving in the Material World


Dedico questa storia alla Sicilia e a Messina, bellissima città di mio padre

Perché io, seppure nata e cresciuta al Nord,

Sono orgogliosissima di essere per metà siciliana

E perché tutti quelli che chiamano i meridionali “terroni”,

Dovrebbero vedere il mare di Messina

Dedico questa storia alla a tutti coloro che, almeno per un minuto,

Hanno trovato il modo di evadere dal Mondo Materiale



Uno

Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica


People say I'm crazy doing what I'm doing

Well they give me all kinds of warnings to save me from ruin

When I say that I'm ok they look at me kind of strange


La gente dice che sono matto a fare quello che faccio

Mi danno ogni tipo di suggerimento per salvarmi dalla rovina

Quando dico che sto bene, loro mi guardano in modo strano

(Watching The Wheels, John Lennon)


-Qui, o si fa l'Italia o si muore!-

Ettore Troiano -quando si dice fatalità- sospirò d'esasperazione.

-Qui, o si fa il bagno o si va a letto senza cena- precisò, incrociando le braccia al petto.

Agitò in direzione del fratello la paperella su cui era stato scritto a caratteri cubitali, con un pennarello: “soldato borbonico”.

-Giuseppino, non mi far disperare!-

Giuseppe guardò scetticamente il fratello maggiore.

-Papà dov'è?-

Sakis Troiano, italo - greco di trentasei anni, era, prima ancora che il padre dei due fratelli, un affermato pittore.

Affermato perché la moglie gli aveva rotto un cavalletto in testa, o perché era conosciuto giusto nel tratto da Messina a Casa Bianca e, se vogliamo essere generosi, da Via Santa Cecilia al Porto.

-E'andato a dipingere la spiaggia di Casa Bianca-

-Casa Bianca, dove abita il Lupo?-

-Penso di sì... Ma tu come sai queste cose?-

-Me l'ha detto Leen-

-Oh, Voltaire. Benedetta ragazza!-

Giuseppe inarcò un sopracciglio.

-Chi è questo Voltaire?-

Ettore alzò gli occhi sognanti dalla paperella, con un sorriso.

-Uno mitico quasi quanto il tuo Garibaldi-

Dopotutto, poteva dirsi soddisfatto di tale definizione.

Con il quasi non avrebbe contrariato Giuseppe, il quale era profondamente convinto dell'insuperabilità del suo eroico omonimo ottocentesco, ma nemmeno svalutato il suo maestro di vita.

-Sicuro?-

-Scherzi? E' stato il Garibaldi della filosofia, Jean-Marie! L'Illuminismo è stato la sua Calatafimi. Fidati, fratello. Un giorno capirai-

-Non mi interessa la filosofia! Io voglio vedere il Lupo!-

Giuseppe Troiano, dall'alto dei suoi sette anni e dei suoi capelli quasi più spettinati di quelli del fratello, talvolta era un'autentica palla al piede.

Negli ultimi tempi, però, poté constatare Ettore, ci stava davvero prendendo l'abitudine.

Colpa dell'assenza della madre, Natalia Immacolata Giacobello, camionista sempre in viaggio che tendeva a preferire la Settimana Enigmistica alla palla al piede e all'aspirante filosofo.

Aspirante filosofo, già.

Ettorino -giusto perché chiamarlo Ettore fa troppo conformista- già vedeva il suo nome accanto a quello del sopracitato Jean-Marie, che a scanso di equivoci è Jean-Marie Arouet, in arte Voltaire.

Ettore ci aveva messo una vita a spiegarlo ai suoi, ma Jean-Marie e Voltaire sono, pardon, erano la stessa persona.

Come Vladimir Il'ič Ul'janov e Lenin o Richard Starkey e Ringo Starr, ma non confondiamoci le idee, che Ettorino le ha già belle confuse di suo.

Sarà stato a causa del suo sangue greco o della massiccia copia dell'Iliade con testo originale a fronte che il nostro uomo teneva sul comodino – di cui leggeva solo il testo originale a fronte, naturalmente – ma la cultura -e in special modo la cultura greca- era nel suo DNA.

Non per niente la prima parola di Ettore era stata, a dar retta alle leggende, Eureka.

Ettore Troiano, alt, Diomede Ettore Troiano -perché, se vogliamo rovinargli la reputazione, tanto vale farlo bene- non era affatto un ragazzo sensibile.

Si era fatto un bel pianto liberatorio ad otto anni, quando aveva scoperto la morte di Socrate per assunzione di cicuta, ma poi aveva messo su un autentico carattere da Spartano e tutto era finito lì.

Dopo la filosofia, la sua più grande passione era la chitarra.

La Fender Telecaster bianca che sognava e che vedeva tutti i giorni al ritorno da scuola, esposta in vetrina.

Scordatela, Ettore.

Questa era stata la risposta più elaborata che era riuscito a ottenere dai suoi, a esclusione dei numerosi grugniti.

Così, aveva cominciato a risparmiare.

Le sigarette e le mentine, d'altronde, le scroccava sempre al suo amico Vincenzo, che la Fender Telecaster ce l'aveva già, anche se nera e -piccolo dettaglio- mezza scassata.

Era bello, Ettore Troiano, nonostante il nome.

Bello, e anche tanto, con i suoi capelli nerissimi e incredibilmente spettinati, la pelle scura e gli occhi neri neri che scintillavano come lame di opliti spartani.

Alto? Beh. Un metruccio e sessantasei scarso -diciamo pure un metro e sessantaquattro mascherato dalla suola degli stivali-, ma, parola mia, compensava tutto con l'intelligenza.

I suoi amici di un metro e ottanta gli ridevano dietro senza pudore, soprattutto quando, prima di una lezione di educazione fisica, toglieva i fedeli stivali neri -che, detto fra noi, gli davano un'aria da vero pirata-. In quelle occasioni i due centimetri della suola se li scordava, e nemmeno se indossava le scarpe da ginnastica in un battito di ciglia riusciva ad evitare il triste appellativo di nano da giardino.

Il lato positivo? Che compensava la discutibile altezza con l'intelligenza, come dicevamo prima.

Lui non era un assassino della grammatica.

Per carità. Era facile che saltasse al collo -letteralmente, eh- dei suoi compagni di classe che sbagliavano i congiuntivi -non per niente nella sua classe studiavano tutti, almeno dopo la sua prima crisi isterica- così come era probabile che, se per una sfortunatissima congiunzione astrale gli fosse capitato di sbagliarne uno lui -un congiuntivo, un condizionale, ma pure un gerundio- si sarebbe buttato nell'Etna senza esitazione.

Era strano, Ettore Troiano, strano quanto bello, di una stranezza tutta sua, che impediva qualsiasi genere di paragone.

Era con buone probabilità il ragazzo più miope dell'intero Sud - Italia, ma era solito sbriciolare i suoi odiati occhiali da vista sotto gli stivali appena uscito di casa, o al massimo sui gradini del Liceo Classico Francesco Maurolico.

In genere pagava i suoi amici per saltarci sopra, ma, poiché amava avere l'ultima parola, il colpo di grazia lo dava sempre lui.

Era un ritardatario patologico, per di più con la pessima abitudine di peggiorare il danno rivolgendo al professore di turno un'autentica perla di filosofia, che di sicuro onorava la memoria dei suoi illustri antenati greci, ma faceva un po' meno felice il vicepreside, che si ritrovava ogni mattina per le mani un diciassettenne a cui probabilmente gli ormoni erano andati un pochino di traverso, poiché invece di cantilenare l'ultimo calendario di questa o quella intraprendente fanciulla, cercava sempre, sempre, sempre di spiegargli la Questione Tucididea. Fino all'esasperazione.

Una mattina, con la sua domanda preferita -“Secondo lei erano più efficaci le strategie militari di Lisandro o quelle di Alcibiade?”- , gli aveva fatto andare abbondantemente di traverso un cappuccino, al punto che il pover'uomo aveva tentato di chiudere il ragazzo nel balconcino della presidenza.

Com'era andata a finire? Il picciotto era stato salvato al volo dal professore di matematica, il quale sembrava avere una grande urgenza di interrogare Ettore, possibilmente senza che quest'ultimo cercasse di trasformare le equazioni in metafore o sillogismi.

Per l'interrogazione era stato in seguito reclutato anche il calabrese -di Gioia Tauro- Vincenzo Caputo, il cosiddetto -da Ettore, perlomeno- metro e settantanove da strapazzo, nonché fraterno compagno di sigarette e versioni di greco del nostro aspirante filosofo.

Erano tornati al banco con un sei alquanto stiracchiato, un Vincenzo con la testa quasi completamente nascosta -per l'esasperazione- nel libro di algebra e un Ettore che discuteva animatamente sull'aggraziata forma del numero sei, motivo per cui era più che felice di averne un esemplare sul suo diario – che, piccola precisazione, sembrava il bisnipote dell'Iliade, per le numerosi citazioni come per il linguaggio aulico che puntualmente Ettore usava per scrivere i compiti.

Per finire, il nostro eroe era arciattaccato alle gonne di Anita Garibaldi -ma, più che il nome, la cosa davvero sorprendente che si poteva dire su di lei era la sua probabile discendenza dai Reali di Borbone-, la santa ragazza che ogni anno condivideva con lui il rimando in matematica.

Caputo no, lui era bravino.

Oltre a loro -Caputo, Troiano e Garibaldi- di degno di nota, nella III B del Francesco Maurolico, oltre a Francesco Maurolico in persona -alle coincidenze non c'è mai limite- uno sfortunato omonimo che cercava di far sparire il registro ogni volta che poteva, c'era Eileen Ficarra, un' anglo-siciliana che, in quanto sorella adottiva di Natalia Giacobello, pareva essere nientemeno che la zia di Ettore.

Era proprio lei, Leen, la benedetta ragazza che sconvolgeva l'infanzia del piccolo Giuseppe Troiano, con le sue storie studiate al dettaglio sul temuto brigante di Casa Bianca Lupo Capuleti.

Una promettente scrittrice, senza ombra di dubbio, che minacciava di seguire Ettorino -era stata lei, infatti, la prima a chiamarlo così- anche all'Università.

Era proprio lui, Lupo, il più grande idolo di Giuseppe dopo Garibaldi, colui che avrebbe mandato a farsi benedire il bagno del piccolo Troiano e il sospirato pomeriggio filosofico del nostro eroe.

Colto da un'improvvisa folgorazione, quod erat demonstrandum, Ettore stritolò la paperella borbonica tra le mani.

-Giuseppino! Tu vuoi vedere il Lupo?-

Il piccolo Troiano annuì con convinzione.

Ettore esultò mentalmente, ringraziando uno a uno tutti i filosofi che conosceva - sé stesso compreso.

-E allora lavati bene, che dopo andiamo a trovarlo-

-Non ci credo-

-Piccolo disgraziato...-

Giuseppe spalancò gli occhi.

-Ettore! Lo dico alla mamma!-

-Lei te ne dice anche di peggio. Ad ogni modo, te lo dico a titolo informativo, pensavo che avremmo potuto andarci con la bicicletta di Leen-

Sebbene la bicicletta di Eileen, Criseide -la passione per la Grecia era una sorta di virus di famiglia-, fosse il sogno proibito di tutti i ragazzi di Via Santa Cecilia, Giuseppe non si scompose.

-Non te la lascia-

A tali parole, Ettore sfoderò un sorriso da autentico pirata.

-Ma noi mica glielo diciamo-

Giuseppe drizzò le orecchie.

Nel ventunesimo secolo, una bicicletta poteva non sembrare il massimo, ma, credetemi, la bicicletta di Eileen era tutta un'altra storia.

Oltre al fatto di essere dipinta di un bellissimo azzurro cielo lucido lucido e quasi morbido al tatto -ma doveva essere l'emozione con cui tutti la toccavano-, Criseide era un meraviglioso esemplare di bicicletta degli anni Cinquanta, con la non trascurabile fama di essere stata usata in una rapina del Lupo.

-Dici sul serio?- mormorò, scrutando il fratello con sospetto.

Ettore aveva diciassette anni e, Giuseppe l'aveva imparato subito, dei ragazzi grandi e non garibaldini non c'era mai da fidarsi.

-Te lo giuro su Omero-

Giuseppe riflettè sull'eventualità.

-In tal caso...-

-La accendiamo?- gli sussurrò all'orecchio il maggiore dei Troiano, incrociando le dita nelle tasche dei pantaloni.

-No. Prima andiamo a trovare il Lupo, poi, magari, faccio il bagno-

Il magari del piccolo gelò le speranze di Ettore in un battito di ciglia.

-Mascalzone d'un picciriddo irriverente! Se ti pesco...-

Giuseppe corse a nascondersi sotto il lavandino.

-Frena le ire, fratello, che Achille è passato di moda. Indossa il fazzoletto rosso e abbi la compiacenza di seguirmi oltre la porta di codesto...bagno- la frase d'effetto era andata lievemente a farsi benedire, ma il bambino non ci fece caso.

Ettore studiò gli occhietti grigi e inquietantemente luccicanti del piccolo.

Aveva sette anni, diamine!

-Che farnetichi, Giuseppino?-

Quest'ultimo scrollò le spalle.

-Parlo come te-

Ettore gli lanciò uno sguardo di sfida, appoggiandosi le mani sui fianchi.

-In tal caso sappi che Achille non passa di moda e che, naturalmente, le ire le frenerò soltanto dopo averti decapitato-

-Con il rasoio di papà?- provò a domandare Giuseppe, guardando con apprensione il minaccioso strumento stretto tra le mani di Ettore, ma il fratello non gli fece nemmeno finire la frase.

-Il fazzoletto rosso, poi, lo metti solo tu. Sei un vile mentitore e non ti perdono, ma a Casa Bianca ci dobbiamo andare lo stesso. Devo avvertire papà dell'incidente-

-Hai chiuso Aiace in frigorifero come l'ultima volta?-

Ettore lanciò uno sguardo apprensivo al gatto, Aiace Telamonio -un Turco Van di otto chili acciambellato sulla lavatrice-, lo ricordò smarrito e miagolante tra le caciotte della Valtellina, dopodiché scosse la testa.

-Ho solo bruciato la pasta- rispose evasivo -Un pochino...-

-Sei peggio della mamma- lo rimproverò il piccolo, annodandosi con fierezza al collo un fazzoletto di un bel rosso carminio.

-Fila fuori, furfante-

E con queste parole, all'alba del 17 Luglio 2010, Ettore Troiano strinse la mano al boia dei suoi giorni futuri.


Una volta usciti di casa, Ettore fece segno a Giuseppe di non fare rumore, dopodiché sgattaiolò rasente al muro del suo condominio, fino a raggiungere la villetta a schiera di Eileen Ficarra, appena dietro la stazione.

Il cancello era, come sempre, aperto.

In un baleno Ettore piombò sulla lucida bicicletta azzurra della zia e, dopo averla slegata grazie alla chiave alla chiave di cui aveva fatto una copia durante la notte, vi salò in sella e partì alla volta di Casa Bianca, con il fratello che lo rincorreva urlando.

-Ettore! Sei diventato matto?!-

-No, bricconcello!- gridò Ettore, sfrecciando per le strade di Messina felice di sentire lo Scirocco scompigliargli i capelli.

-Te la fai a piedi!-

Furente per l'imbroglio, Giuseppe scattò verso di lui, fino a che, grazie ad un provvidenziale semaforo, riuscì a raggiungerlo e a saltare sul portapacchi.

-Traditore, traditore, traditore!- gridò, riempiendo di pugni la schiena di Ettore.

-Zitto, peste!- lo mise a tacere quest'ultimo, gridando per sovrastare i rumori della strada e, inevitabilmente, facendo arrabbiare ancora di più il giovane garibaldino.

Ad un tratto cominciò a canticchiare Penny Lane dei Beatles e poco dopo anche Giuseppe, più rilassato, si unì a lui.

Ogni tanto qualche passante si voltava a guardare I fratelli Troiano che cantavano spensierati in prossimità del Porto, ma pian piano che uscivano dalla città la folla si sfoltiva.

Poi la bicicletta azzurra incontrò una curva particolarmente insidiosa, frenò rumorosamente a un metro dalla spiaggia, ed ecco finalmente il mare.

C'era sempre una sorta di atmosfera magica, a Casa Bianca.

Poteva essere l'aria che si respirava, limpida, quasi, in una tremante, quasi dipinta sinestesia, o forse le avventurose leggende sul Lupo, il brigante più famoso di Messina, che aveva scelto come residenza una villa a pochi chilometri dalla spiaggia di Casa Bianca, ma ogni volta che mettevano piede in quel luogo, Ettore e Giuseppe venivano inebriati da un'indescrivibile, straordinaria magia.


-Andiamo a cercare papà?-

Giuseppe annuì, annusando la salsedine che gli pizzicava le narici, con un sorriso che gli era appena spuntato come un fungo prugnolo – e che, detto fra noi, era abbastanza raro suscitare nel piccolo Troiano.

Poi, una voce.

Poi, quella voce.

-Papà può aspettare, non credete?-

Giuseppe indietreggiò.

-Ettore...che succede?-

Avrebbero dovuto aspettarselo.

-Il tuo grande mito, peste. Perché non gli chiedi un autografo?- furono le ultime parole di Ettore.

Nei minuti che seguirono, una pistola puntata sulla tempia e una mano callosa che gli strappava il marsupio gli fecero passare la voglia di fare del sarcasmo.

Il Lupo era arrivato.


Il suo portafoglio nelle sue mani.

La sua allegria morta nel suo sorriso.

L'umiliazione bruciante nella sua risata.

La certezza che non sarebbe mai dovuto uscire di casa, quel pomeriggio.


Per Giuseppino no, per lui era un gioco.

Consegnava le sue poche monetine al Lupo ridendo, implorandolo perché gli raccontasse una delle sue storie.

Il Lupo era l'Eroe di Messina, per i bambini, altro che brigante.

Lui non aveva una Fender Telecaster da comprare.


Su una sdraio poco lontano, una ragazzina ad occhio più giovane e -gli doleva ammetterlo- più alta di lui scriveva scrupolosamente su un quaderno ad anelli quasi più grande di lei.

La nipote del Lupo.

A Messina giravano voci del suo arrivo alla villa del nonno, parente di cui la ragazza sembrava andare particolarmente fiera.

Si diceva che fosse bella, la nipote del Lupo, bella quanto toscana.

Lunghi, lunghissimi capelli biondo-rossicci e due impertinenti occhi di un grigio-blu che a Ettore ricordava il mare d'inverno.

Bella, giovane e alta.

Lei era bella, giovane, alta e menefreghista, stava seduta su una sdraio mentre lui era in piedi, indifferente mentre suo nonno gli aveva appena sequestrato -giusto perché dire “rubato” era poco elegante- la paghetta del mese. La Fender Telecaster bianca dei suoi sogni si allontanava a vista d'occhio.

Così su due piedi, solo per queste caratteristiche, Ettore avrebbe voluto spaccarle la faccia.

Non che fosse un ragazzo violento, lui.

Era una questione di autostima. Era il desiderio di mantenerne qualche grammo almeno fino al diploma.


La ragazza si mosse, scuotendo la folta chioma bionda che immediatamente catturò ogni bagliore solare presente.

Ettore la guardava strizzando gli occhi per la troppa luce -in piena Estate la Sicilia era tutta raggi dorati e mare cristallino-, con la strana, curiosa sensazione di essere diventato ancora più miope di prima.

-Complemento oggetto, complemento di specificazione, soggetto sottinteso e apposizione del soggetto, predicato nominale, costituito da copula e parte nominale...-

Ettore era ancora in piedi, come un tordo appena investito dal camion della Galbani, a guardare la nipote del Lupo e a pensare se qualche precedente penale come annegamento di ragazza/monumento dell'indifferenza avesse potuto compromettere la sua futura carriera di filosofo.

Prendila con filosofia, avrebbe scherzato Vincenzo, come faceva tutte le volte in cui, per un motivo o per l'altro, Ettore non poteva prenderla con filosofia.

In quel momento tutta la sua filosofia si era brutalmente trasformata in bile, la sola vista di quella sirenetta di Copenaghen versione nipote del Lupo gli faceva saltare i nervi come anguille e buonanotte ai suonatori.

-Sei bellissimo...-

Ettore sobbalzò.

-Davvero?-

La ragazza si voltò, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso.

-Analisi logica, ottantaduesima frase. Quello era un predicato nominale-

-Compiti delle vacanze?- fu la prima domanda cretina che a Ettore venne in mente, chiaramente dopo aver scartato quella sulle strategie militari del 404 a.C.

-Ma va. Passo il tempo, sai com'è. Personalmente adoro la grammatica, ma con l'analisi logica ho un rapporto tutto particolare. Meraviglioso-

Ettore annuì meccanicamente, probabilmente senza accorgersi che, sfilatasi definitivamente gli occhiali da sole, la ragazza aveva cominciato a studiarlo con crescente interesse.

-Nemmeno tu sei male, eh! Un po' bassetto, forse-

Grazie.

-Grazie- rispose infatti il bassetto niente male, dopo aver digrignato i denti e salutato l'autostima che si era appena tuffata per raggiungere a nuoto la spiaggia di Patrasso.

-Figurati. Anzi, fatti vedere- gli indicò la sdraio chiusa di fianco alla sua -Te la apri tu, sei un uomo-

Una volta che Ettore si fu sistemato accanto a lei, si sporse a pizzicargli una guancia, scompigliargli i capelli, guardarlo da tutte le angolature, per poi concludere infilandogli un dito in un occhio.

-Carino- commentò infine, annuendo compiaciuta -Gruppo sanguigno?-

-AB positivo-

-Egoista. Data di nascita?-

-25 Febbraio 1993-

-Bei numeri. Luogo?-

-Itaca-

-Forte! Com'è laggiù?-

-Molto...azzurro. Bello-

-Capisco. Il codice fiscale non te lo chiedo, me lo dirai un altro giorno, o al massimo mi mandi una mail. Nome?-

-Diomede Ettore Troiano. Ho diciassette anni, ma fai come se ne avessi sedici-

Siamo di fronte alla frase standard di Ettore Troiano. A lui non piaceva presentarsi come persona potenzialmente nella norma. Eh no, troppo banale.

Lui era il grande Ettore Troiano, figlio di Priamo Sakis Troiano e Natalia Giacobello, promettente filosofo del ventunesimo secolo, illuminista e anticonformista pluridichiarato.

Niente di cui preoccuparsi, insomma.

Anzi! Niente di cui preoccuparsi, esclusa la ragazzina che gli stava davanti.

-Briseide Caterina Asburgo. Tredici anni compiuti alle idi Marzo dell'anno corrente e quattro mesi scoccati esattamente l'altro ieri. Sono nata a Firenze, ma vivo sul Passo della Futa. Bello, sai? Ma non cambiamo argomento. Mi laureerò in Lettere Classiche a ventidue, massimo ventitré anni, perché non voglio perdere tempo. Carpe diem, hai presente?-

Ettore annuì con estrema serietà.

-Quam minimum credula postero. Orazio. Certo-

-Non mi interrompere, bello. Non mi interrompere- Caterina scoccò un'occhiata severa in direzione del messinese, per poi riprendere con foga il suo monologo.

-Non voglio perdere tempo, dicevamo. Infatti, è proprio per questo che mi laureerò ad Atene. Voglio dire, pensaci. Io voglio fare la grecista. Certo, so bene che i miti come Aristotele, Socrate e gli amici loro non resusciteranno per venire a insegnare in facoltà, anche se la sottoscritta lo meriterebbe. E' comunque Atene, bello mio. Se non divento grecista lì, vado a spacciare mentine a Copenaghen. Mi segui? No? Fattacci tuoi, mi registravi. Insomma, io divento grecista e rimango lì, ad Atene e dintorni, finché non sarò più ferrata di Piero Angela e potrò fondare l'Agorà di Caterina, giornale ad alto contenuto culturale con una sede all'Acropoli e una sull'Appennino toscano. Poi scriverò qualche bel saggio, che non fa mai male, e nel tempo libero mi dedicherò alla scrittura della mia serie di romanzi storici. Anche il mio gatto, Egeo, e il mio caimano immaginario, Apollodoro, prenderanno parte al mio successo. Sottinteso. Come ultima spiaggia c'è sempre il salvataggio di capitoni natalizi o il sopracitato spaccio di mentine. Domande?-

-Di cosa vivrai?-

-Di cultura e di mentine-

-E ti sposerai?-

-Con un greco che ne valga la pena-

Ettore sorrise, guardandola con sincera ammirazione.

-Può darsi che non sappia cosa dico, scegliendo te, una donna, per amico*-

-Non t'allargare, Troiano. Io non sono amica di nessuno, se non del gelato che sto per comprare e del libro che sto per leggere-

Ettore aggrottò la fronte.

-Ossia?-

-Tucidide-

-In tal caso è semplicemente imbarazzante chiamarlo libro. Capolavoro rende meglio l'idea-

-Vada per capolavoro, domator di cavalli-

-Cominci a piacermi, schiava di Achille-

All'udire tale epiteto, gli occhi di Caterina si spalancarono e, prima che Ettore se ne potesse rendere conto, l'intraprendente fiorentina gli sputò in un occhio.

-Non t'allargare, ho detto- borbottò tra i denti, stringendosi al petto La Guerra del Peloponneso.

Il ragazzo cercò con gli occhi il fratello, che però era sparito dietro gli scogli con Lupo, che aveva promesso di raccontargli qualche bella storia in cambio del portafogli di Ettore.

Il fatto che questo l'avesse specificato dopo, poi, non era che un dettaglio.

-Mica scema, la ragazza. Ha un caimano immaginario- commentò Ettorino, con quella nota di spacconeria che aveva indotto la sua ragazza, qualche mese prima, a spaccare -tanto per rimanere in argomento- un vaso Ming su quei suoi bellissimi capelli neri.

-Che tu dici, bischero? Vuoi uno stivale sui denti o era un complimento sotto mentite spoglie?-

Ettore finse di essere di fronte ad una domanda della Sfinge.

-La seconda-

Caterina abbozzò un sorriso.

Pensò che, dopotutto, avrebbe potuto anche offrirgli un gelato con i soldi che il Lupo gli aveva appena rubato.


People asking questions lost in confusion

Well I tell them there's no problem

Only solutions

Well, they shake their heads and they look at me as if I've lost my mind

I tell them there's no hurry...


La gente fa domande persa nella confusione

Io dico loro che non c'è nessun problema

Solo le soluzioni,

Loro scuotono la testa e mi guardano come se avessi perso la testa

Io dico loro che non c'è fretta...

(Watching The Wheels, John Lennon)




* Citazione da "Una donna per amico" di Lucio Battisti.

Note


Buonasera a tutti ;)

Sono appena tornata da un weekend in Toscana e, durante il viaggio di ritorno, ho deciso di fare questo esperimento.

Specifico subito che per quanto riguarda i riferimenti alla città di Messina e a Casa Bianca -frazione del comune di Messina in cui ho passato quasi tutte le estati della mia vita- non c'è assolutamente niente di inventato, poiché nella prima ci è vissuto per trent'anni mio padre -e ci vivono tuttora mia nonna e mio zio, proprio in Via Santa Cecilia-, frequentando proprio il Liceo Classico Francesco Maurolico, e anch'io, essendoci stata innumerevoli volte, conosco piuttosto bene la città.

Per riguarda il riferimento a Gioia Tauro -città di Vincenzo Caputo- era la città di mio nonno, che si chiamava anche lui Vincenzo. Questo personaggio, se non si fosse già capito, è dedicato a lui ;)

E la mia amata Grecia...beh, semplicemente non poteva mancare ;)

Per quanto riguarda il titolo: Danklon (italianizzato in Zancle, falce) era il nome greco di Messina quando era una colonia della Magna Grecia. Living in the Material World, invece, è una bellissima canzone di George Harrison -il chitarrista dei Beatles- , oltre che il nome dell'album omonimo (1973). Penso sia abbastanza rappresentativo, poiché sia Ettore che Caterina, come si vede già da questo capitolo, sono poco avvezzi al cosiddetto “Mondo Materiale”, con i loro sogni e le loro bizzarrie ;)

Entrambi sono due personaggi piuttosto particolari e, soprattutto, anticonformisti fino al midollo, e mi auguro che la loro storia, per quanto stravagante, vi possa piacere!

Questa storia, seppure nata da poco, è già diventata molto importante per me e qualche recensione mi farebbe davvero piacere ;)

A presto,

Marty







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Capitolo 2
*** Dove l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni (e si dimentica della ragazza) ***



Due

Dove l'aspirante filosofo incontra la chitarra dei suoi sogni

(e si dimentica della ragazza)



-Il nonno non è cattivo- Caterina diede una bella leccata al suo gelato -yogurt e nocciola con cialda croccante al cioccolato- poi tirò fuori dalla tasca una pasta di mandorle comprata da Mami, la divise a metà e ne porse una ad Ettore. Immerse la sua nel gelato e continuò a parlare.

-Certo, ha questo vizietto di derubare i passanti, ma per il resto è simpaticissimo-

-Immagino di sì- Ettore rispose con un'alzata di spalle all'occhiata che Caterina gli aveva lanciato vedendo che non intendeva mangiare la pasta di mandorle insieme al gelato -Ma per quanto ne so io potrebbe anche aver annegato mio fratello-

-Non l'ha fatto- rispose esasperata la ragazza -E' la dodicesima volta che lo ipotizzi, ma mica è Jack lo Squartatore, sai?-

-Sarà-
Ettore avvertì un'inspiegabile sensazione di freddo e un attimo dopo si ritrovò con un cono yogurt e nocciola tra i capelli e innumerevoli briciole di pasta di mandorle nella camicia.

-A Caterina non piacciono gli scettici. Complemento di termine, predicato verbale e soggetto-

Gli occhi di Ettore lampeggiarono di una luce tutt'altro che amichevole.

-Ma nel dorso tu, no, non pianterai l'asta ad Ettorre, che diritto viene ad assalirti, e ti presenta il petto; piantala in questo, se t'assiste un dio- la guardò con aria di sfida -Iliade, Libro Ventesimosecondo, detto anche...-

-La morte di Ettore- concluse pacatamente Caterina.

-Traduzione di Vincenzo Monti. Esatto-

Ettore aggrottò le sopracciglia. Era consapevole che nessuno dei suoi amici avrebbe saputo riconoscere quella citazione e il fatto che la nipote del Lupo -perchè era così che l'aveva soprannominata, ormai- l'avesse individuata senza problemi lo lasciò inizialmente perplesso.

-La gente dice che sono matto- riflettè ad alta voce, cominciando a camminare verso la spiaggia.

-Incredibile- commentò Caterina, raggiungendolo e battendogli una pacca sulla spalla.

-Immagino che abbiano ragione. Loro vivono nel Mondo Materiale-

-Troiano, gli scogli!-

Ettore si fermò un attimo prima di sfracellarsi contro la scogliera.

Si voltò verso la ragazza, che lo guardava senza ridere, sorridendo soltanto, con una dolcezza che, era evidente, non era da lei.

-Dolce come non sei...come non sei tu...- poi scosse la testa, incupendosi -Ma c'è qualcosa che non scordo...*-

Il Lupo. La “sua” Fender. Caterina, che era sua nipote.

Accidenti.

A strapparlo da quei pensieri un po' dolci un po' amari, ci pensò il telefonino.

Sympathy for the Devil, Rolling Stones. Non poteva che essere Eileen. Eileen!

-Linny!- gridò accettando la telefonata, con la stessa identica voce che avrebbe avuto se gli stessero asportando la milza senza anestesia.

-Criseide- fu l'amichevole risposta che gli vibrò nell'orecchio destro.

E ti pareva.

-I should have known better, with a girl like you..**.- provò ad addolcirla, ma nemmeno i Beatles servirono a placare la furia che, Ettore lo sapeva, stava montando nel corpicino di quella pericolosa ragazza.

-Ettorino! Dov'è la piccola?-

Come volevasi dimostrare. E dov'era Criseide? Dove?

Ettore socchiuse gli occhi, pregando perchè qualche magnanimo filosofo gli suggerisse la risposta.

Quando li riaprì, una bicicletta azzurra gli sfrecciò a un soffio dal naso, facendogli rischiare una sincope fulminante.

In quel momento, Ettore Troiano ebbe la certezza che il Lupo non aveva ucciso Giuseppe.

Pensò che, dopotutto, sarebbe stato lui ad ucciderlo.

-Ci credi se ti dico che in questo preciso momento sta sperimentando la spericolata guida del Lupo con Giuseppino sul portapacchi?-

Credi agli asini che volano, Ettorino? Purtroppo sì, ci credeva.

-No-

-Bene, ti aspetto a Casa Bianca-

Con queste parole le chiuse il telefono in faccia, fischiettando per la soddisfazione di essere riuscito a non farsi mettere i piedi in testa dall'impetuosa zia.

-Oh, yeah!-


Proprio mentre stava per riporre il telefono in tasca, però, esso emise una vibrazione simile al ronzio di un calabrone.

Ettore lanciò un'occhiata distratta al display.


Oh luce dei Dàrdani, tu baluardo della nostra speranza, dove sei stato finora immemore?

Enzo


Un inspiegabile sorriso gli si dipinse sul volto.


Con la nipote del Lupo.

P.S: Non si cita l'Eneide invano!

Ettore


Tempo ventisette secondi e il telefono ricominciò a vibrare.


Giura! Dove sei?


Ettore sospirò.


Incastrato tra due scogli di Casa Bianca. Lunga storia.


La risposta non si fece attendere.


Vengo anch'io!


Idiota d'un Vincenzo Caputo.


No, tu no!


Un'altra vibrazione.

Ancora un po' e avrebbe buttato il telefono in mare, ne era sicuro.


You don't realize how much I need you!***

Es. 324 pag. 166

Anita


Il matematico del gruppo era Vincenzo, non lui.

Anita aveva da poco comprato un cellulare touch screen e, non avendoci ancora preso la mano, continuava a cliccare Ettore al posto di Enzo – e viceversa.

Se non avesse memorizzato il numero di Eileen sotto la lettera L -Leen-, probabilmente, sarebbe impazzita.


Sono Ettore.

Inoltro a Enzo, prima che il touch ti uccida.


Ventiquattro secondi.

Brrrrr!

Vibrazione del cavolo.

Ettore cominciava ad odiare profondamente il proprio telefonino.


Mitico!

Inoltrato da Enzo.


Prevedibile.


Finalmente spense il cellulare.

Si girò, aspettandosi di vedere Caterina, ma della nipote del Lupo non c'era nemmeno l'ombra.

Sorpreso, si incamminò verso la villa del Lupo, venendo subito accolto dall'ombra del grosso albero di limoni che nascondeva la casa da occhi indiscreti.

Ai piedi dell'albero, una meravigliosa Fender Telecaster bianca luccicava catturando su di sé i tiepidi raggi del sole.

Estasiato, Ettore si inginocchiò davanti al cancello, protendendo le mani per toccare il sublime strumento.

Ne accarezzò la tastiera, le corde, i capotasti.

Un sogno?

Ad un tratto, però, il ragazzo si accorse della presenza di un corpo estraneo.

Un pezzo di carta, anzi, un foglio pentagrammato, infilato di traverso tra le corde della Fender.

Scribacchiate con una pessima calligrafia, le parole che seguono:


A Cate

Séan


Ma se in fondo al cuore tuo c'è un ragazzo, sono io


Ettore riconobbe le parole di Se bruciasse la città, il grande successo di Massimo Ranieri, nonché la canzone preferita di suo padre.


Nessuno sa chi sono io, ma il primo bacio è stato mio


Possibile che qualcuno avesse dedicato quella canzone a Caterina?

Ettore socchiuse gli occhi, pensieroso.

Ebbene sì, qualcuno doveva avergliela dedicata.

Chissà perchè.

Chissà chi.

Chissà dov'era lei!

Sembrava essere stata risucchiata dal vuoto.

Impossibile.

In quel momento, però, non gli importava più di tanto.

Era solo con una bellissima Fender Telecaster bianca, erano solo loro due, Ettore e la Fender.

Attimi incantati.


-Ettore...- sussurrò all'improvviso una voce sottile alle sue spalle, risvegliandolo dall'estasi.

Un attimo dopo, il più clamoroso occhio nero della sua vita lampeggiava come un segnale stradale sul suo viso.


Note


* Citazione di “Mi ritorni in mente” di Lucio Battisti.

** Citazione di “I should have known better” dei Beatles.

*** Citazione di “I Need You” dei Beatles.

Mami: Rinomata pasticceria di Messina, la mia preferita. Le paste di mandorle che fanno lì sono qualcosa di celestiale ;)

Ettorre: Potrebbe sembrare un errore di distrazione, ma non lo è. Nella traduzione dell'Iliade di Vincenzo Monti Ettore è chiamato più volte così.

No, tu no!” Visto che mi sono dimenticata di mettere gli asterischi, anche se è abbastanza comprensibile, è una citazione “indiretta” di Enzo Jannacci.


P.S: La Fender Telecaster bianca era il sogno di mio padre ;)


Al prossimo capitolo ;)

Marty


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Capitolo 3
*** Dove si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità del proprietario della Fender ***



Tre

Dove si scopre il nome, il gruppo sanguigno e la dubbia nazionalità del proprietario della Fender



Ettore riaprì l'occhio destro a fatica, borbottando parole incomprensibili.

La ragazza di fronte a lui era vergognosamente alta, spaventosamente nervosa e, soprattutto -ma forse sarebbe più corretto dire per fortuna- non conosceva il greco antico, la lingua in cui Ettore stava imprecando.

Briseide Caterina Asburgo, la nipote del Lupo.

Era giunto il momento di dare un bel calcio nel sedere -gentilmente- alla filosofia e di fare valere lo spartano che era in lui.

-Ela mazì mou- sussurrò tra i denti, non prima di averla afferrata per un polso e trascinata dietro ad una pianta di verdelli.

-Prego?-

-Non ho nessuna intenzione di ripetermi-

-Ma io non ho capito- protestò la ragazza, incrociando le braccia al petto.

-Fattacci tuoi, mi registravi. Citazione-

Caterina spalancò gli occhi.

-Brutto...-

-Risparmiati gli insulti per dopo. Adesso mi spieghi perché diamine mi hai dato quel pugno-

-Non sarai mica uno di quei maschilisti che non accettano di essere menati da una femmina!-

-Sono solo uno di quei tanti che non accettano di essere menati senza una ragione-

-Non dovevi leggere quello che hai letto- spiegò lei con un' alzata di spalle.

-Potevi dirmelo-

-Mi sembra che il mio pugno abbia parlato chiaro-

Ettore si sfiorò con le dita l'occhio ferito.

-L'ha fatto, credimi-

La nipote del Lupo gli lanciò uno sguardo obliquo, per poi rivolgergli un mezzo sorriso.

-Cos'hai detto prima?-

-Ela mazì mou. Vieni con me. E' greco-

Caterina annuì.

-Conosci Séan Liszt?-

Ettore scosse la testa.

-Conosco un Séan, quello a cui ho fatto un occhio nero la settimana scorsa, ma non ne conosco il cognome- scrutò per alcuni secondi l'espressione sorpresa di Caterina, dopodiché decise di continuare.

-Prima di aggredirlo non ero esattamente dell'umore giusto per chiederglielo e dopo non lo era lui per dirmelo. Una brutta storia, insomma-

-Se è lui giuro che ti sposo-

-Coraggio, racconta-

Caterina ci pensò su. Cosa sapeva quel ragazzo di lei?

Che era mezza matta, una maniaca della grammatica e che picchiava come un Mirmìdone.

Molto più di quello che sapevano gli altri, per certi versi.

Si poteva fare.

Si scostò i capelli dagli occhi, fece un lungo sospiro e, dopo avergli preso la mano per motivi a lei stessa oscuri, cominciò a raccontare. Non tutto, naturalmente. Perlomeno il raccontabile.

-E' tedescoungherese -padre di Budapest e madre di Colonia-, ha quindici anni ed è AB positivo, proprio come te. Non mi sono mai fidata degli AB positivi. Io sono 0 negativo e ne vado fiera. Che altro dire? Ha una gran faccia tosta e, tanto per la cronaca nera, è il proprietario della Fender che guardavi nemmeno fossi davanti alle rovine di Delo-

Ettore sorrise tra le righe.

-Ci giocavo da piccolo, tra le rovine di Delo-

-Zitto, tu. Per quanto greco e sfacciatamente fortunato -sacrificherei la mia copia per vedere almeno una volta il Tempio di Apollo- continui ad innervosirmi, con le tue interruzioni. Dicevo? Certo. La cosa che più detestavo di lui era il cognome. Liszt, come Franz Liszt, il compositore. Non ho ancora capito come accidenti si pronuncia e ogni volta che ci provavo lui scoppiava a ridere come un beota-

-Bada a come parli, bella. Mio cugino è di Livadeia-

-E con ciò, razza di decerebrato? Io mica ho dato del beota a tuo cugino!-

Ettore scrollò le spalle.

-E' un beota anche lui-

-Ma perchè è nato in Beozia. Séan Liszt...ecco, mi hai fatto pronunciare il suo cognome! Ad ogni modo, quel bischero è tedescoungherese e incredibilmente cretino. Cretino va bene? Hai dei cugini cretini? Cretini della Cretinia? No? Bene. Séan Liszt, in qualunque modo si pronunci, suona dannatamente bene la chitarra. Suonava, perchè poi il nonno s'è messo in testa di metter su una band e gliel'ha fregata. Ma ben gli sta, a quel pappataci-

-Una band? Il Lupo?-

-Perché no? E' bravino, mio nonno. Tu suoni?-

-In genere preferisco bussare- sorrise -Scherzi a parte, sì, ma sulla Fender/scolapiatti di Enzo non è che si possa fare chissà quale virtuosismo alla Jimi Hendrix. E comunque guarda che Franz Liszt era un grande, eh! Un notturno come Sogno d'Amore, ai giorni nostri, ce lo possiamo giusto sognare. Ma te l'ha dedicata lui la canzone? Voglio dire, Séan. Se bruciasse la città-

Caterina sussultò.

-Non dirlo mai più. Non mi piace neanche, Ranieri-

-Ma ti piaceva-

-Ti piacciono i panda, Ettore Troiano?-

-Animaletti simpatici. Perché?-

-No, perché un occhio nero ce l'hai già. Se te ne facessi un altro saresti decisamente meno carino-

-Mi trovi carino?-

-Prendila così-

-Non possiamo farne un dramma...*-

-Tu sei proprio fissato con Battisti, eh?-

Ettore rispose con un sorriso ambiguo.

-Beh. Se mi conoscessi, sapresti che con George Harrison e Keith Richards sono peggio-

Se mi conoscessi. Caterina non sapeva spiegarsi esattamente il perché, ma quel congiuntivo imperfetto le aveva fatto sentire come un pizzico all'altezza del cuore.

Improvvisamente provò il desiderio di conoscerlo, Diomede Ettore Troiano. Di conoscerlo davvero.

-Comunque ci assomigli, a Keith Richards. A Keith Richards da giovane-

Ettore spalancò gli occhi.

-Sul serio?! E' uno dei miei idoli. Si sarà anche fumato le ceneri del babbo, ma è un mito dalla testa ai piedi-

-Sì, lo penso anch'io-

Ettore le lanciò uno a sguardo tra l'obliquo e il divertito.

Avrebbe potuto ipotizzare che Caterina gli stesse simpatica, ma non ne era ancora sicuro.

-Passata la maninconia?-

-Tanto io lo so perché mi ha lasciato. In Germaniaungheria le ragazze sanno pronunciare il suo cognome molto meglio di me. Io lo facevo ridere sempre-

Se c'era una cosa sicura, era che quello che gli piaceva di lei era il suo modo di riflettere sulla situazione: qualsiasi ragazza di sua conoscenza -escluse Eileen e Anita, sottinteso- avrebbe pronunciato quelle parole con malinconia, magari anche con gli occhi lucidi, la voce sommessa e piagnucolante.

Caterina le pronunciava con stizza, sfida, fastidio, infinita irriverenza. Le pronunciava come se fosse Séan il colpevole della sua incapacità di pronunciare il cognome del ragazzo.

Le pronunciava in un modo che gli avrebbe fatto perdere la testa, se non fossero state parole riferite ad un altro, se non fosse stato un discepolo della filosofia.

-...meno bella certo non sarai- azzardò Ettore, che ti preciso non sapeva come gli fosse venuta quella citazione, ma, semplicemente, gli era sembrata appropriata.

Appropriata, perché era bella, Caterina, con i capelli scompigliati sul viso, le guance arrossate dal sole e gli occhi inquieti.

Bella almeno come Diane Kruger in Troy, a cui aveva dedicato ogni suo accordo di chitarra o pensiero filosofico dagli undici ai quindici anni.

Appropriata, anche mentre riceveva il secondo pugno in un occhio della giornata, proprio dalla bella Briseide Caterina Asburgo, l'irresistibile, intrattabile nipote del Lupo.

Appropriata, perché lui era beota molto più di suo cugino.


Note


*Citazione di “Prendila così” di Lucio Battisti.

Mirmìdone: in questo contesto è inteso come guerriero di Achille – il quale era, appunto, il re dei Mirmìdoni.

Livadeia: Capitale della regione greca della Beozia, i cui abitanti si chiamo proprio Beoti ;)


In questo capitolo si comincia a scoprire qualcosa in più su Caterina -oltre alla sua insana passione per gli occhi neri-, un qualcosa che spero non vi abbia lasciati delusi ;) Ad ogni modo, siamo ancora all'inizio :)

Un grazie sincero a eveline90 per la bellissima recensione e naturalmente anche a tutti i lettori e, in anticipo, a futuri eventuali recensori ;)


Al prossimo capitolo,

Marty



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Capitolo 4
*** Dove si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la speranza ***



Quattro

Dove si vede come dei semplici appunti di storia possono accendere la speranza


I've lived in fear,

I've been out there,

I've been 'round and

Seen my share

Of this sad world


Ho vissuto nella paura

Sono stato là fuori

Mi sono girato e

Ho visto la mia parte

Di questo mondo triste

(Who Can See It, George Harrison)


-Cathy! Ti sembra questo il modo di aggredire i passanti?-

Improvvisamente, fu come se la scena di un film si fosse interrotta.

Pausa, stop, buttata fuori la videocassetta.

Ettore, trovandosi particolarmente vicino al volto di Caterina, potè assistere al repentino cambiamento nei suoi occhi.

Fu come se la sua...unicità, Ettore non trovò altre parole per definire quell'insieme di aggettivi che avrebbero potuto descrivere Caterina e che non esistevano, si fosse indebolita, incrinata, smarrita.

Per un attimo gli parve di scorgere una leggera patina trasparente offuscare gli occhi di quella ragazza tanto simile a lui da fargli quasi dubitare della sua esistenza.

Sentiva il suo cuore battere come il becco di un picchio su un tronco di cemento armato, quella sorta di luce invisibile che le faceva da seconda pelle, rendendola tanto speciale ai suoi occhi, anche se inconsciamente, si era come squarciata.

Una ragazza dai serici capelli rossi raccolti in una lunga treccia e due occhi incredibilmente simili a quelli di Caterina era apparsa sulla soglia della villa.

-Perché, tu come li aggrediresti?- per un attimo tornò ad essere lei, la sarcastica, fiera e battagliera Caterina -E poi lo sai che non devi chiamarmi Cathy-

Poi guardò Ettore, sussurrandogli poche, indimenticabili parole.

-Noi siamo amici?- la sua voce tremava.

Il ragazzo annuì, profondamente stupito dal cambiamento.

Cosa era andato storto? Era successo tutto troppo velocemente.

Caterina cominciò a cercare disperatamente qualcosa nella tasca dei pantaloni, finché finalmente non ne estrasse un foglietto stropicciato e decisamente malridotto.

Vi scribacchiò sopra qualche parola con il mozzicone di una matita reperito nella medesima tasta, glielo mise in una mano, dopodiché alzò lo sguardo.

-Sono contenta- sorrise debolmente -Ma non dirlo a lei... Non a lei- ripeté, scuotendo la testa.

-Questi sono i miei appunti di storia. Abbine cura come può averne un greco che ne valga la pena-

E corse via. Come una foglia scaraventata lontano dal vento autunnale, come strappata dal suo albero, corse via.

Le sue parole riportarono Ettore alla loro prima conversazione.

E ti sposerai?”

Con un greco che ne valga la pena”

Che buffa coincidenza.

Ettore si girò a guardare il vento autunnale, che si avvicinava a vista d'occhio, a quanto potè constatare.

-Sei un amico di quella stupida?- domandò ridendo, facendo ondeggiare la treccia.

-Non è...- “Non è una stupida”, fu tentato di rispondere, ma ricordò le parole di Caterina -Voglio dire, non è molto normale quella ragazza-

-Puoi dirlo forte! Io sono Zoe, la sorella di Cassandra. Io la chiamo così da quando, a undici anni, mi ha confessato di avere una cotta per Pericle, quello dell'Antica Grecia. Roba da manicomio!-

-Proprio- Pericle, grandissimo generale. Ettore trattenne a stento un sorriso.

Fu quando Zoe gli chiese il suo nome, però, che l'aspirante filosofo realizzò che Caterina avrebbe potuto rispondere alla famosa domanda su Lisandro e Alcibiade.

L'unica, forse.

Fu allora che le rispose.

-Alessandro-


Non avrebbe dovuto reagire così.

Lei era quella che si era presentata ad Ettore dopo l'attacco del Lupo, non c'erano altre Caterine lì intorno.

Con Zoe non era mai riuscita ad essere sé stessa.

Lei distorceva, sgualciva, spezzava il suo modo di essere, intrappolando la battagliera e spartana Caterina in una ragazzina fragile e tremante.

Alcuni sostenevano che fossero le sorelle più piccole a rompere la quiete, rubare gli affetti, catturare tutte le attenzioni.

Aveva sempre sospettato che quella di Zoe fosse una sorta di difesa, sebbene lei, inevitabilmente, la percepisse come una vera e propria cattiveria.

Le aveva distrutto l'infanzia, Zoemarie.

Adesso aveva sedici anni ed era a dir poco ridicolo da parte sua accanirsi contro la sorellina tredicenne, una ragazza che, tra le altre cose, era sempre stata sufficientemente autonoma ed indipendente da non ottenere preferenza alcuna da parte di genitori, parenti o amici.

Le faceva male, però, il comportamento di Zoe.

Il modo in cui le strappava le cose dalle mani.

Non avrebbe dovuto reagire così, eppure quel giorno era stata più dolorosa del solito, la vista di Zoe, la consapevolezza che anche quella volta le avrebbe impedito di avere un amico, una vita, un'identità.

Ettore, quel ragazzo così meravigliosamente simile a lei, era nelle grinfie di Zoemarie.

L'aveva salvato, forse, con i suoi appunti e le sue domande.

Ma lui avrebbe voluto fidarsi di lei?

Avrebbe mantenuto quell'ultima, assurda promessa?

Gli avrebbe spiegato la situazione, ma lui avrebbe capito?

Sarebbe stato troppo divertente, quella volta, per Zoe, fare il suo solito gioco.

Strappare la sottile corda che la legava a ciò che aveva faticosamente guadagnato.

Strapparla e via.


Eppure, questo Zoe non lo sapeva, in quei pochi minuti che erano stati insieme, Ettore si era dimostrato molto più vicino a lei e alle sue piccole follie che alle impietose, taglienti realtà materiali.


Non vi è niente al mondo che non mi sia stato rubato da mia sorella”

Ettore avrebbe letto i suoi appunti di storia e avrebbe capito che, da Caterina Asburgo, erano quanto di più prezioso avrebbe mai potuto ottenere.



I only ask, that what I feel,

Should not be denied me now

As it's been earned, and

I have seen my life belongs to me

My love belongs to who can see it


Io chiedo solo che quello che sento

Non dovrebbe essermi negato ora

Così come è stato guadagnato

La mia vita appartiene a me

Il mio amore appartiene a chi riesce a vederlo

(Who Can See It, George Harrison)


Note


Buon giovedì pomeriggio ;)

Prima di qualsiasi altra cosa ricordo che oggi è l'anniversario della morte del caro, vecchio Napoleone Bonaparte. Ei fu, siccome immobile, proprio il 5 Maggio del 1821 ;)

Oggi a scuola sono stata l'unica a ricordarmelo ;)

Fatto un minuto di silenzio per il nano francese, apro una breve parentesi per specificare che, per quanto la cosa mi provochi un leggerissimo imbarazzo -ma nemmeno troppo, sono anticonformista quasi come Caterina- anche io, a undici anni, avevo una cotta -se così si può chiamare- per Pericle, o almeno per l'immagine che mi ero fatta di lui studiandolo.

Attualmente, a due anni di distanza -adesso ne ho tredici- lo considero ancora un grand'uomo e uno straordinario generale -come ha gestito lui la Fasa Archidamica della Guerra del Peloponneso non avrebbe saputo gestirla nessuno-, ma sono lievemente rinsavita ;)

Per quanto riguarda il capitolo, ho messo a nudo una parte piuttosto importante del carattere di Caterina, la sua fragilità dovuta al particolare rapporto con Zoemarie, sua sorella.

Premetto che la loro situazione sarà un po' diversa da quella del classico “odio”-che poi vero odio non è mai, come anche in questo caso- tra sorelle e, anzi, sarà parecchio complicata.

Ettore, però, sebbene ancora parecchio confuso, è talmente simile a Caterina da arrivare a presentarsi a Zoe con un altro nome per salvaguardare quell'amicizia appena nata.

La canzone Who Can See It di George Harrison di cui ho utilizzato alcune citazioni fa sempre parte dell'album Living in the Material World e spero che abbia sottolineato/descritto ulteriormente la situazione ;)

Mi auguro che anche questo capitolo più serio e per certi versi drammatico vi sia piaciuto.

Come al solito un ringraziamento speciale ad eveline90, fin troppo gentile, e a tutti coloro che hanno letto ;)


Al prossimo capitolo,

Marty

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Capitolo 5
*** Dove si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare una grande malinconia ***



Cinque

Dove si scopre che le canzoni dei Beatles e le patelle possono attenuare una grande malinconia



Oh, baby, baby, it's a wild world
It's hard to get by just upon a smile
Oh, baby, baby, it's a wild world
I'll always remember you like a child, girl


Oh, baby, baby, è un mondo selvaggio

E' difficile da ottenere solo con un sorriso

Oh, baby, baby, è un mondo selvaggio

Io ti ricorderò sempre come una bambina, ragazza

(Wild Word, Cat Stevens)



-E' dannatamente presto per poter dire di provare qualsiasi genere di forma d'affetto nei suoi confronti-

Ettore diede un calcio ad una pietra.

-Ho rifiutato l'invito di Zoe a prendere un gelato. Ne avevo già mangiato uno, non sono un ingordo. Le ho detto di chiamarmi Alessandro. Come Alessandro Magno, no? Tutti sentono il bisogno di evadere dalla propria identità, almeno una volta nella vita...no? No, ma al diavolo la diplomazia. Io non sono mai stato un ragazzo diplomatico, accidenti!-

Si buttò nella sabbia, come un bambino al suo primo incontro con il mare.

-In secondo luogo -ma che dico, in primo- mio fratello è nelle mani di un criminale. Povero Giuseppino mio! Eppure ho come la sensazione che preferisca quest'esperienza al bagno serale e alla mia compagnia. In fin dei conti, sono fatti suoi-

Si avvicinò carponi ad uno scoglio e, una volta dopo aver individuato un nutrito gruppo di patelle, provò a staccarne qualcuna.

-E Caterina? A che gioco sta giocando Caterina? A me piace, Caterina. E' bella, è...sorprendentemente uguale a me. Una ragazza come lei, prima, non l'avevo mai incontrata. Mi piacerebbe sapere cosa fare, una volta nella vita. Io sono un filosofo. Non posso stare qui a rompermi le dita con queste stupide patelle e...-

Ettore tacque di colpo.

-Bello, bello e impossibile, con gli occhi neri e il tuo sapor mediorientale-

In tutta la sua vita non aveva mai sentito una voce più stonata.

In tutta la sua vita, non aveva mai pensato di mandare al diavolo la filosofia.

Su uno scoglio poco lontano, Briseide Caterina Asburgo era alle prese con l'ottantatreesima frase di analisi logica, oltre che con una canzone che non sapeva assolutamente cantare.

Raggiungendola, le si inginocchiò di fronte, scrutando quei suoi occhi belli e irrimediabilmente tristi.

Irriconoscibili.

-Ehi, Cate...o chiunque tu sia. Noi siamo amici, soggetto e predicato nominale, ma se non mi spieghi cosa sta succedendo...-

Lei scrollò le spalle, con una piccola smorfia.

-Look what you're doing, I'm feeling blue and lonely, would it be too much to ask you what you're doing to me?-

-Beatles For Sale, 1964. Sai che questa canzone non la conosce quasi nessuno?-

Con una mano le scostò i capelli dalla fronte, guardandola dritto negli occhi.

-Stavi cantando per Séan, prima? Eppure, se lui è tedescoungherese, gli occhi neri...-

-Ce li hai tu-

-Appunto, ma io sono italo-greco, cosa...-

-Lascia perdere...- lo interruppe lei, con un sospiro.

-Lascio perdere? Oh, come vuoi-

Poi inclinò la testa da un lato, guardandola con un mezzo sorriso.

-Hai mai provato a staccare le patelle dagli scogli?-

Caterina sorrise.

-Qualche volta- esitò, dubbiosa -Cosa ti ha detto Zoe?-

-Che sei una stupida, che avevi una cotta per Pericle... Io le ho detto di chiamarmi Alessandro-

In quel preciso momento, la tasca dei pantaloni di Caterina iniziò a vibrare.

Lesse velocemente, dopodichè sorrise.

-Oh, Ginevra-


Strozzala


-Chi?-

-Ginevra, la mia amica-

Ripensò alle parole di Ettore.

Alessandro.

Sorrise.


Le ha detto di essere Alessandro Magno

Cat


La ragazza posò il dito sulla scritta invio, dopodiché alzò la testa di scatto.

-Magno?-


-Beh, no. Mi sembrava poco verosimile-

-In effetti-


No, non Magno. Alessandro e basta.


Si corresse velocemente.


E come hai detto che si chiama?


Lanciò uno sguardo al ragazzo pensieroso di fianco a lei.


Ettore.


Un nome che, dopotutto, le era sempre piaciuto.


Di Troia?


Oh, magari.


Troiano. Ettore Troiano.


Si lasciò sfuggire un sorriso, che durò giusto fino al momento in cui lesse la risposta.


Proprio un nome da incidere sulla fede!


-Cretina- bofonchiò, per poi gettare il cellulare in acqua.

-Che hai fatto?!- gridò Ettore, inorridendo alla vista del povero telefono annegato.

-Che ho fatto?-

-Hai ucciso il cellulare!-

-Era di Zoe-

-Di Zoe?-

-Proprio-

Ettore sorrise.

-Guarda un po' che furbetta-

Caterina alzò lo sguardo.

-Chi?-

Era chiaro che Ettore si riferiva a lei, ma davanti all'ostinata tordaggine di Caterina preferì non ripetersi.

-Questa patella. Non vuole saperne di staccarsi, provaci tu-

-Vediamo un po'-

Cominciò ad armeggiare con le unghie sulla parete dello scoglio, ma poco dopo gettò la spugna, sconfitta.

-Niente da fare-

-Peccato. Mi sarebbe piaciuto portarla a mio fratello...mio fratello!-

Ettore sussultò, scattando in piedi.

-Giuseppe. E' ancora con tuo nonno, vero? Sta bene, vero?-

Caterina alzò le spalle.

-Beh, lo sapremo subito. Passami il cellulare-

Seppur dubbioso, Ettore eseguì.


Nonno, il fratello dell'ostaggio chiede notizie.

Caterina


Digitò velocemente il numero criptato del Lupo, accertandosi che Ettore non la vedesse.

Pochi minuti dopo gli potè mostrare la risposta.


Se n'è andato.


-Oddio, l'ha ucciso!-

Caterina scosse la testa, senza staccare lo sguardo dal display.


Dove?


Scrisse velocemente, per poi lanciare un'occhiata apprensiva ad Ettore.


Con la bicicletta. Ha detto che tornava a casa.


-Sei tranquillo, adesso?-

Ettore sembrava in preda ad una crisi.

-Giuseppino...sette anni...tornato a casa...da solo...-

Caterina gli posò una mano sulla spalla.

-Se la caverà benissimo-

-E' caduto. Ha battuto la testa. L'hanno investito. Una pantegana gli ha tagliato la strada!-

-Ettore, sono sicura che non... Una pantegana, dici?-

-Infidi animali! Chissà dove l'avranno portato... Il mio povero fratello! Quando era piccolo mi ha attaccato la varicella, sai? Non gli ho parlato per due settimane. Una volta mi ha morso il naso: ho ancora la cicatrice. Però...però...io gli voglio bene!-

-Dubito che le pantegane siano così intelligenti. Voglio dire, addirittura sequestrare un bambino...-

-Non sottovalutare quei roditori!- gridò Ettore, fuori di sé -Potrebbero averlo indotto a fare qualsiasi cosa. Ma io lo salverò!-

-Ci piomba addosso del furibondo Ettorre la ruina. Oh, gaudio!-

-Libro XI- affermò quest'ultimo, sicuro. Poi afferrò il cellulare.

-Potrebbe avermi scritto!- gridò, esultante.

-Dal covo delle pantegane, si capisce.

Ettore lesse l'ultimo messaggio arrivato e, piano piano, cominciò a riprendere colore.


Pinuccio è con me. E anche Criseide.

Leen


Tirò un sospiro di sollievo, facendo il segno della croce. Poi si lasciò cadere nella sabbia, esausto.

-Hold me close and tell me how you feel- sussurrò poi, guardando distrattamente Caterina -Let me hear you say the words I long to hear-

-Beatles For Sale, 1964- Caterina distolse lo sguardo, imbarazzata -Words of Love-

-Esatto-

-A chi ti riferivi?-

Ettore aggrottò la fronte, socchiudendo gli occhi.

-A nessuno in particolare-

Poi le prese le mani e cominciò a canticchiare.

-She said: I know what it's like to be dead, I know what it is to be sad.And she's making me feel like I've never been born-

Caterina scosse la testa, sorridendo.

-You don't understand what what I said-

Il ragazzo si accigliò.

-No, no, no, you're wrong. When I was a boy...-

Caterina tremò nel pronunciare quelle parole tanto lontane dal suo stato d'animo.

-Everything was right-

-Everything was right*- ripetè Ettore, stringendole la mano -Soggetto e predicato nominale-

-Soggetto e predicato nominale-

All'improvviso, davvero andava tutto bene.



You know I've seen a lot of what the world can do
And it's breakin' my heart in two
Because I never wanna see you a sad girl
Don't be a bad girl


Tu sai che ho visto molto di ciò che il mondo può fare

E ciò ha spezzato il mio cuore in due

Poiché io non vorrei mai vederti triste, ragazza

Non essere una cattiva ragazza

(Wild Word, Cat Stevens)


Note


* Citazioni di “She Said She Said” dei Beatles (Revolver, 1966).


Buon pomeriggio ;)

In questo capitolo ho introdotto Ginevra, l'amica di Cate, personaggio che si dimostrerà in seguito piuttosto particolare.

Caterina non ha ancora spiegato a Ettore la situazione con Zoe, ma ugualmente cominciano a conoscersi, a fidarsi, a piacersi.

E sarà vero che staccare le patelle dagli scogli cantando canzoni dei Beatles aiuta ad attenuare la malinconia? ;)


Grazie ad eveline90 e a KumaCla per aver recensito :)


Al prossimo capitolo!

Marty

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Capitolo 6
*** Dove si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere vietati per legge ***




Sei

Dove si dimostra che certi sorrisi che spezzano cuori dovrebbero essere vietati per legge


All'improvviso, mi hai chiesto: Lui chi è?
Lui chi è?
Un sorriso, e ho visto la mia fine sul tuo viso
Il nostro amor dissolversi nel vento
Ricordo, sono morto in un momento

(Mi ritorni in mente, Lucio Battisti)



-Ti andrebbe un altro gelato?-

Avendo da poco rifiutato l'invito di Zoe, tra l'altro identico a quello che aveva appena fatto a Caterina, il comportamento di Ettore avrebbe potuto sembrare sospetto.

La verità è che a lui andava eccome, un altro gelato, un altro gelato con lei.


Il gelataio sorrise nel preparare i loro coni.

-Neofidanzati?-

Chiese, con una malcelata punta di malizia.

-No, neosposi-

Il poveretto dietro al bancone sbarrò gli occhi.

-Sa, i nostri genitori ragionano ancora come nell'Ottocento. Ci siamo sposati l'altro ieri e stanotte partiremo per la nostra luna di miele a Reykjavik-

Caterina lasciò i soldi per i due gelati nella mano dell'uomo, dopodiché prese sottobraccio Ettore e si diresse verso una panchina, sorridente.


-Reykjavik? Cosa ci andiamo a fare a Reykjavik?-

-Andarci è sempre stato il mio sogno- ammise Caterina, arrossendo di colpo -Ma non necessariamente in luna di miele-

-Si capisce- sorrise Ettore, e in quel momento realizzò lucidamente di essere più che felice di averla incontrata.

-Come sono i tuoi amici?- le chiese a un certo punto, dando una bella leccata al suo gelato.

Caterina alzò gli occhi dal cono.

-Colti, parecchio. Simpatici, soprattutto. I miei migliori amici sono Ginevra, Fiamma ed Enea-

-Enea?- domandò Ettore, incuriosito.

D'altra parte, Enea era il cugino del suo omonimo più famoso.

-Il suo vero nome è Archimede, ma poiché tutti gli ripetono che è una vera e propria impresa eroica portare un nome del genere e -santo ragazzo- adora l'Eneide, lo chiamiamo così-

Sorrise compiaciuto.

-Ottima scelta-

-Uhm, e i tuoi?-

-I miei li conoscerai di persona, cara- Ettore sorrise -E' quasi ora di cena, ma devo necessariamente passare da Vincenzo a prendere Giuseppino, perché è lì che se l'è portato Eileen dopo il fatidico “ritorno di Criseide”-

-E io?-

-E tu vieni con me, no? Vuoi forse tornare da Zoe?-

Caterina scosse la testa.

-Affare fatto, allora?-

-Affare fatto-


Quando suonarono a Casa Caputo, il sole era già calato da un bel pezzo.

Quando suonarono a Casa Caputo, il sole era già calato da un bel pezzo e Vincenzo andò ad aprire alla porta.

Quando suonarono a Casa Caputo e la porta si aprì, il sole era già calato da un bel pezzo, ma Vincenzo, quel sole, ce l'aveva negli occhi.

Caterina lo guardò ed ebbe un attimo di esitazione.

Vincenzo Caputo era l'ultimo ragazzo che avrebbe voluto come amico, poco ma sicuro.

Vincenzo Caputo era l'ultimo ragazzo che avrebbe voluto come amico, aveva il sole negli occhi e quegli occhi erano dannatamente belli.

Due vivaci occhi di un bell'azzurro terso e folti capelli nerissimi e scompigliati.

Vincenzo Caputo, un'interessante combinazione tra Apollo e Poseidone.

Senza contare che sovrastava Ettore di una buona quindicina di centimetri -scarpe da ginnastica, un metro e sessantaquattro-, tanto che quest'ultimo, per la disperazione, camminava in punta di piedi da quando era entrato in casa.

-Ti senti bene?- domandò dolcemente Anita, affiancando l'amico che, decisamente allucinato, faceva oscillare lo sguardo tra Caterina e Vincenzo, pallido come uno spicchio d'aglio accanto a una fetta di pesce spada.

-Come Ringo Starr di fianco a Paul McCartney- bofonchiò Ettore, maledicendo per l'ennesima volta il metro e settantanove, il sorriso travolgente e le bellezza insolente del suo migliore amico.

-Ma, Ettorino, noi ti vorremmo bene anche se non raggiungessi la lavastoviglie-

-Grazie al cielo la supero di ben quarantasette centimetri. Ma i Caputo dovevano proprio comprarsi 'sto Colosso di Rodi, quando hanno riarredato la casa?-

Anita fece un bel respiro, dopodiché cominciò il discorso che si era appena preparata.

-Accidenti numero uno: la tua Caterina è rimasta senza fiato davanti ai begli occhi di Enzo, e questo non va per niente bene. Accidenti numero due: la tua amica arriva abbondantemente alle sue orecchie, mentre tu giusto un paio di centimetri al di sopra delle sue spalle. Qui l'autostima o si suicida o si licenzia. Non potevi scegliertene una più bassa? Senza contare che è pure di terza media. La lavastoviglie dei Caputo, poi, è sì alta un metro e diciassette centimetri, ma devi considerare che Enzo è, dopo sua sorella, il più basso della sua famiglia, e che suo padre passa a malapena dalla porta. Poi, suvvia, un po' di pietà per “Altacomete”. Ha avuto un grandissimo successo!-

Ettore alzò gli occhi al cielo. Si era quasi dimenticato che Aurora Garibaldi, la madre di Anita, era da quindici anni la responsabile di una ditta lavastovigli molto fantasiose e moderne.

Altacomete”, per l'appunto, la lavastoviglie dei Caputo, era stato il modello di maggior successo.

Non è ancora stato specificato, ma immagino che ormai sia sottinteso: Anita, tanto per rigirare il coltello nella piaga, superava Ettore di ben otto centimetri.

-Al diavolo tutto, io sono molto più bello di lui-

-Vero- commentò Anita, con un mezzo sorriso -Ma Enzo è Enzo e il suo fascino, come dire, è il suo fascino-

Ettore aggrottò le sopracciglia, non poco infastidito.

-Con questo vorresti dire?-

Anita arrossì.

-Che dipende dai punti di vista, tutto qua. Per me Enzo è il massimo e tu sei...Ringo Starr di fianco a Paul McCartney, ma io ho sempre adorato Ringo Starr-

-Andiamo bene-

-Ma Ettore, che ci posso fare se tu sei bello e impossibile -nel vero senso della parola, poichè io una ragazza che ami la filosofia, l'Iliade e la Grecia quanto te, esclusa Eileen, che comunque è tua zia, non l'ho mai incontrata- e Vincenzo è bello e normale, o possibile, quantomeno?-

Scuotendo la testa, Ettore finse di ignorare l'amica e si preparò ad assistere al triste spettacolo del suo altamente spaccone migliore amico che si presentava alla meravigliosa, incomprensibile nipote del Lupo.

-Caputo Vincenzo Maria, nato a Gioia Tauro nel lontano 28 Dicembre 1992. o positivo-

Caterina gli rivolse un sorriso radioso.

-Asburgo Briseide Caterina, nata a Firenze nel meno lontano 15 Marzo 1997. o negativo-

Gli occhi di Vincenzo scintillarono.

Quelli di Ettore parevano più simili a due braci consumate e corrose da un velenosissimo fiele.

Uno sguardo incomprensibile, all'apparenza. Una stilettata là dove gli faceva più male.

Il tallone.

-Guarda come la guarda- gli bisbigliò Anita -Scommetto le mie ultime quattordici brioches ceriali e miele che adesso prende il cellulare e lascia la tapina di turno-

Fu quando videro il telefonino di Eileen -apparentemente radiosa, con i capelli sciolti e il gomito destro appoggiato all' “Altacomete”- illuminarsi, però, che i due sperimentarono una rara forma di sincope di coppia.

-Ettore, tu per me sei come un fratello- sussurrò Anita, colta da un improvvisa emorragia alla sua ben nascosta vena sentimentale.

-E tu come una suocera, ma ti voglio bene lo stesso-

Anita gli tirò una gomitata.

-Porta fuori la tua amica, ti prego. Avere Eileen contro è come essere assediati da Gengis Khan-

-Credi che non lo sappia? Oggi le ho rubato Criseide per convincere Pinuccio a fare il bagno-

-E l'ha fatto, poi?-

Ettore allargò le braccia.

-No-

Anita sorrise. Lei era l'unica, fin dalla notte dei tempi, in grado di farsi rispettare da Giuseppino.

-Stasera passo da casa tua e te lo lustro come una monetina. Adoro quel picciriddo-

-Beata te-

-Che facciamo con Enzo?-

-Prima facciamo gli amiconi, poi allontaniamo Leen e Cate dalla stanza e infine gli diamo una botta in testa-

Anita arricciò il naso.

-Cate e Leen? Nella stessa stanza?-

Ettore lanciò uno sguardo a Vincenzo.

Vincenzo, che s'innamorava dell'aria.

Vincenzo, che cambiava idea ogni due per tre.

Vincenzo, il cui collo Ettore avrebbe tanto voluto avvitare da qualche parte, proprio come un cappone in rosticceria.

Fu sua sorella a salvare la situazione. Sua sorella e Giuseppe, che camminava fieramente al fianco di Colomba Caputo, suo primo e unico amore dal giorno del suo quinto compleanno.

Il fatto che lui avesse sette anni e lei quattordici, naturalmente, era relativo.

Ettore scoccò uno sguardo obliquo a Caterina, dopodiché procedette nel presentarle la sorella di Vicenzo.

-Colomba Lisa Caputo ha quattordici anni e due mesi, è 0 positivo come Vincenzo e frequenta il primo anno del Liceo...- fece una smorfia -Coco, dillo tu-

-Scientifico- replicò Colomba, sorridendo -Ettore ha sempre avuto problemi con questo nome, ma, d'altra parte, è un aspirante filosofo-

-Coco vuole studiare astronomia- spiegò Vincenzo, ammiccando in direzione di Caterina.

-Questo è troppo, però- gemette Ettore all'orecchio di Anita, la quale sfoggiò il più smagliante dei suoi sorrisi, bello ma terribilmente fuori luogo.

-Enzo che è un rubacuori nato-

-Questa aveva tutta l'aria di essere un'allusione-

Anita ridacchiò.

-Continua a fare il filosofo, tu-

Gli doleva realizzarlo, ma a cosa gli serviva la filosofia, in quella situazione?

Vincenzo sorrideva. Caterina pure.

Di colpo Ettore capì che, dopo la sua autostima, anche il suo cuore aveva fatto le valigie.



Yes I'm lonely wanna die
If I ain't dead already
Ooh girl you know the reason why


Sì, sono solo, vorrei morire

Se non sono già morto

Ooh, ragazza, tu sai perchè

(Yer Blues, The Beatles)


Note


Ed ecco il primo incontro di Caterina con gli amici di Ettore...anzi, con un amico in particolare ;)

Personalmente io adoro il personaggio di Vincenzo. Sarà che è quasi interamente ispirato a mio nonno, e di conseguenza ha lo stesso carattere del mio adorato nonnino -che, nonostante l'età, era un grande dalla testa ai piedi- ma adoro scrivere di lui ;)

Mi auguro che gli amici di Ettorino abbiano cominciato a farvi una buona impressione -dico “cominciato” perchè in questo capitolo non c'è ancora stato modo di conoscerli tutti del tutto- e che il capitolo in sé vi sia piaciuto.


Ringrazio Techno4ever e ulisse999 per le recensioni, tutti coloro che hanno letto e che hanno aggiunto questa storia nelle seguite/preferite :)


A presto,

Marty

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Capitolo 7
*** Dove i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino dell'aspirante filosofo ***



Sette

Dove i ragazzi di Via Santa Cecilia fanno il bagno al fratello garibaldino dell'aspirante filosofo


Io credo che lassù

C'era un sorriso anche per me

(Vent'anni, Massimo Ranieri)


-Giuseppino, stai fermo, per l'amor del cielo!-

Anita scoccò un'occhiata severa all'amico.

-Calmati, Et. Pinuccio bisogna sapere come prenderlo-

-Et?!- bofonchiò Ettore, ma la Garibaldi ormai non l'ascoltava più.

Giuseppe Troiano si dibatteva come un capitone natalizio nella vasca da bagno, lanciando “paperelle borboniche” da tutte le parti.

Anita fece un cenno a Vincenzo e ad Ettore.

-Bixio, Crispi, in posizione!-

Poi si girò di scatto verso il bidet, che, teoricamente, avrebbe dovuto rappresentare il trono di Francesco II di Borbone, ergo Leen.

-Dove accidenti s'è andato a ficcare Franceschiello?-

-Ordine, marinai! Ero andata a prendermi un'aranciata-

-“Ordine marinai”?!- gridò Anita, nervosa come una biscia -Tu sei il Re dei Borboni e dici “Ordine marinai”?!-

Eileen scrollò le spalle, tornando a sedersi sull'orlo del bidet.

Non contenta, Anita rincarò la dose.

-E poi, bella, fammi capire. Qui si conquistano le Due Sicilie e tu ci tradisci per una vile aranciata?- fece un lungo sospiro, dopodiché si rivolse a Nino Bixio e Francesco Crispi, alias Vincenzo ed Ettore, alias i due dementi che si contendevano il gabinetto.

-E voi due? Cosa dovrei dire di voi due? Siete garibaldini, mica due piccioni intordonuti!-

Quello, i ragazzi di Via Santa Cecilia lo sapevano da tempo, era l'unico modo di fare il bagno a Giuseppe, pestifero garibaldino arcifissato con l'Unità d'Italia.

Caterina osservava la scena da dietro la tenda della doccia, piuttosto colpita dalla particolarità della situazione.

-Abbiamo fatto l'Italia- proclamò ad un certo punto Giuseppe, guardando con sufficienza il traffico di “patrioti” intorno a lui -Ora dobbiamo fare gli Italiani-

Di fronte a tali parole, semplicemente, Ettore non ci vide più.

Saltò in piedi e a poco servirono gli strilli di Anita di fronte alla sua ira funesta.

In poco tempo fu addosso al fratello, che si ribellava scalciando e spruzzando acqua saponata dappertutto.

-Ri-ti-ra-ta!- si sgolava la povera Anita, sbracciandosi e saltando per attirare l'attenzione dei due fratelli Troiano.

-L'Italia è fatta, il bagno pure. Vogliamo anche scannarci, giusto per non perdere tempo?- gridò, per poi dirigersi a passo svelto verso la porta e schiantarsi contro lo stipite con un fragore che dire preoccupante era dire poco.

-Anituccia, tutto bene?- le chiese sogghignando Eileen, beccandosi un calcio negli stinchi e uno sguardo truce dalla sopracitata fanciulla.

-Non è giornata per le uscite di scena- dichiarò infine quest'ultima, percorrendosi la fronte dolorante con i polpastrelli.

Vincenzo provò ad alzarsi dal gabinetto per aiutarla, ma un alquanto seccato Ettore lo trascinò di nuovo giù, facendogli la linguaccia.

-Non è che tutte le ragazze presenti debbano necessariamente sperimentare la tua dubbia galanteria, bello-

Vincenzo si strinse nelle spalle.

-Beh, Anituccia è anche amica mia-

Studiando l'espressione corrucciata dell'amico, Vincenzo Caputo venne a conoscenza di un'assiomatica verità.

Decisamente, non era giornata.


Ma poiché, si sa, è sempre bene motivare un'affermazione, ecco la cruda conferma della sopracitata verità.

Quando nella tenda della doccia di Casa Caputo qualcosa cominciò a vibrare, quasi -quasi- tutti i ragazzi della Via Paal di Via Santa Cecilia capirono che non si trattava di un nuovo effetto della kryptonite.

-Il telefono!- gridò Caterina, portandosi una mano alla bocca.

Ettore inarcò un sopracciglio.

-Il telefono, e allora?-

Caterina scosse la testa, fulminandolo con lo sguardo.

Afferrò il cellulare e accettò la chiamata.

-Ciao, Zoe-

Le girava la testa e il suo cuore batteva molto più forte del necessario, ma lei era Briseide Caterina Asburgo, una soluzione avrebbe pur dovuto trovarla.

Li guardò tutti, i ragazzi di Via Santa Cecilia.

Anita Garibaldi, la ragazza delle uscite di scena.

Vincenzo Caputo, il bellissimo Vincenzo, o se volete Francesco Crispi.

Eileen Ficarra, che preferiva l'aranciata alla conquista delle Due Sicilie, che la guardava storto ma sotto sotto le sorrideva, l'antitesi di una ragazza comune.

Giuseppe Troiano, mezzo garibaldino e mezzo delinquente.

-Dove sono? Sono con i miei amici. Amici che non mi potrai rubare-

Guardò Ettore, silenzioso, ferito Ettore.

Dubbi non ne aveva più.

-Avrei cercato di nascondertelo, in un'altra occasione. Ti avrei detto di essere in gelateria, in spiaggia o a fare una passeggiata, se fossimo state a Firenze, o comunque in un'occasione sotto il tuo controllo-

E, per finire, il suo pezzo forte.

-Ma il cor mi rode acerba doglia, in pensando che rapirmi il mio un pari s'ardisce, e del concesso premio spogliarmi prepotente. E' questo, questo il tormento, il dispetto, la rabbia, onde l'alma è angosciata*-

I ragazzi di Via Santa Cecilia avevano il fiato sospeso e ci mancò poco che Anita applaudisse.

Sulle labbra di Ettore era comparso un sorriso mai visto, accecante, indescrivibile.

Senza preavviso le tolse il cellulare di mano e con quella voce da eroe omerico che era solito conservare per le occasioni importanti, quella voce capace di destabilizzare il migliore oratore, diede il colpo di grazia:

-Una donzella, di valor ricompensa, a me prescelta da tutto il campo, e da me pria coll'asta conquistata per mezzo alla ruina di munita città, questa alle mie mani l'ha tolta l'orgoglioso Atride, come a vil vagabondo*-

E chiuse la chiamata, anche se forse c'erano e ci sarebbero state ancora molte cose da dire.

Ma le andate cose sien poste nell'oblío; chè l'ira viver non debbe eterna.*



Note



Chiuse la chiamata e, inavvertitamente, il telefono gli scivolò nel gabinetto.

Scusate ;)

Non è mia intenzione rovinare un finale ad effetto, ma non sono riuscita a resistere.

Procediamo con le note, va ;)


*Iliade, Libro Decimosesto, “Achille cede alle preghiere di Patroclo”, traduzione di Vincenzo Monti.

L'ultima parte, quella detta da Ettore, nell'Iliade è l'immediata prosecuzione di quella di Caterina, ed è sempre Achille a parlare, riferendosi a Briseide. La citazione gioca sul fatto che il primo nome di Caterina è, appunto, Briseide, e guarda a caso anche la frase omerica che meglio si addiceva al contesto ;)

Ah, ultima nota. Penso che si fosse capito, ma, a scanso di equivoci, l'Atride della situazione è Zoe ;)

Inoltre, ho chiamato Eileen, Anita, Ettore e Vincenzo “i ragazzi di Via Santa Cecilia” perché -oltre al fatto che ho riletto I Ragazzi della Via Paal proprio ieri sera, e un po' deve avermi influenzata-, anche se non l'ho ancora specificato, abitano tutti in quella via, tranne forse Eileen, che abita vicino alla stazione, che però è comunque vicinissima a Via Santa Cecilia, dal momento che quando dormo a casa di mia nonna sento il rumore dei treni ;)

Via Santa Cecilia è esattamente a due passi dal porto, di cui offre una visuale meravigliosa -se non fosse che il balcone di mia nonna si trova al quarto piano e io soffro di vertigini perfino sulle scale ;)


Grazie di cuore a ulisse999, eveline90 e bethpotter -che mi ha quasi fatta commuovere- per le recensioni, mi auguro che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative ;)

E naturalmente sinceri ringraziamenti anche ai lettori silenziosi :)


A presto,

Marty




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Capitolo 8
*** Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro ***


Otto

Dove si parla degli innumerevoli pregi dei panini al burro

(e dei non trascurabili pericoli dell'avere un amico

di un metro e settantanove)

Briseide Caterina Asburgo, come ogni aspirante greca che si rispettasse, aveva una gran fiducia nel Fato.

Il Fato che aveva sottratto Ettore ad Andromaca, il Fato che aveva indirizzato la freccia di Paride nel tallone di Achille.

Il Fato che aveva determinato la distruzione di Troia, lo stesso che, anche se in un episodio meno conosciuto, aveva spento la luce negli occhi di Ettore nel momento in cui erano entrati in casa.

Quando Vincenzo le aveva chiesto di accompagnarlo a comprare dei panini al burro, aveva chiaramente percepito Lachesi, la Moira che tesseva il filo vitale di ogni uomo, dare una leggera -ma nemmeno tanto- tiratina al suo filo.

Uno strattone, per essere precisi.

I panini al burro, le aveva spiegato il baldanzoso Caputo, erano una prelibatezza alla quale non era mai stato in grado di rinunciare.

In genere un corriere li consegnava al mattino direttamente a casa, insieme al Corriere della Sera per suo nonno Filottete, ma poche ore prima il corriere era andato a sbattere contro un cartello pubblicitario della Lines, incidente al seguito del quale era rimasto per quindici minuti abbondanti in ebete contemplazione degli assorbenti da notte con ali, dopodiché, vantando un bernoccolo di due centimetri e mezzo, aveva deciso di rinunciare al giro di consegne del giorno. Aveva lasciato il carrello con panini al burro e Corriere della Sera in mezzo alla strada e se n'era andato, saltellando e fischiettando come un leprotto di prateria, a comprare la Settimana Enigmistica all'edicola vicina.

Per quanto surreale, l'episodio aveva particolarmente impressionato i Caputo, i quali avevano pensato bene di mandare il loro baldo giovane -altrimenti detto Vincenzo Maria- in edicola e in panetteria.

Avendo però percepito un distinto grugnito proveniente dal suo stomaco, quest'ultimo aveva dichiarato di volersi recare come prima cosa in panetteria, come se non bastasse accompagnato dalla disponibilissima Caterina.

Si stavano giusto apprestando a scendere i due gradini davanti alla porta di Casa Caputo, quando Eileen aveva fatto un paio di riti satanici mentali sui due fedifraghi e Vincenzo era inciampato nel nano da giardino strategicamente posizionato sul secondo gradino, trascinando con sé Caterina, della quale stringeva avidamente la mano destra.

“Ben ti sta, Paolo Malatesta!aveva sogghignato Eileen a mo'di maledizione, ma nessuno dei due pionieri dei panini al burro aveva udito la sua voce gelida.

Errasti il colpo, né Giove, come dianzi cianciasti, il mio destin ti fe'palese!” aveva declamato Caterina guardando severamente il nano, mentre Vincenzo, molto più schiettamente, aveva redarguito l'ignara statuetta con un meno elegante “Stupido nano da giardino!”, al quale Ettore, ancora sulla soglia, aveva deglutito per diciassette volte di fila prima di convincersi che l'esclamazione non era rivolta a lui - e che comunque non era il caso di scotennare il migliore amico in presenza di minori.

“Un metro e sessantaquattro/sessantasei con la suola degli stivali è molto più dignitoso della tua faccia tosta, Vincenzo Maria Caputo!” si era limitato ad urlargli dietro, causando la grande sorpresa dell'amico, il quale si era domandato più volte se il caro Ettorino non fosse per caso vittima di devastanti disturbi di personalità.

Anita, la povera, innocente Anita, era rimasta inerte al fianco di Ettore, lanciando di tanto in tanto sguardi imploranti ad Eileen, perché quest'ultima smettesse di battere il piede sinistro per terra a mo' di martello pneumatico.

Ritroverai la tua magia, piccola stella innamorata”, aveva avuto la bella idea di dirle, citando Andrea Bocelli ne La luna che non c'è.

All'incirca mezzo minuto dopo la meno pacifica Leen le aveva pestato un piede con tanta forza da farle passare tutta la vita davanti, compreso il suo grande desiderio di laurearsi in Archeologia, sposare un tedesco biondo e avere quindici figli italo-tedeschi - biondi, possibilmente.

Così, con molto ottimismo ed allegria, i tre se n'erano rientrati in casa, incrociando le dita perché Vincenzo e Caterina andassero davvero solo a comprare i panini al burro e il Corriere della Sera.

A questo proposito zoomiamo sui diretti interessati, ormai in prossimità della panetteria.

-Ho sempre amato i panini al burro- sussurrò con voce suadente il baldo Caputo -Li ho sempre trovati meravigliosamente...dolci, ecco-

A quelle parole, Caterina gli rivolse un sorriso dolce quasi quanto i panini.

-Non penso di averli mai assaggiati, ma...mi piacerebbe molto-

-Non lasciarti scappare quest'occasione d'oro, piccola Cat! Prova a dargli un morso e vedrai...desidererai passare così ogni singolo giorno della tua vita-

Arrivò il loro turno e dodici panini al burro vennero loro consegnati.

Uscirono in gran fretta, ansiosi di addentare quelle chiare meraviglie che altro non erano che soffici pagnottelle calde calde, ancora cosparse di farina.

Un morso diede lui, sul volto l'ombra un sorriso nascente, ignaro che alle sue spalle un nervoso e basso individuo studiasse ogni sua movenza.

Lo porse all'avvenente fanciulla al suo fianco, con un sorriso che mai il nervoso e basso individuo avrebbe dimenticato.

Alzò lo sguardo, lei.

Amor che al cor gentile ratto s’apprende

Morse il panino di Vincenzo, ma sorrise ad Ettore.

Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse

Ettore, i grandi occhi neri spalancati davanti a ciò che mai e poi mai avrebbe desiderato vedere.

Vedi ‘l grande Achille, che con amore al fine combatteo

Vincenzo e i panini al burro dei suoi stivali.

E caddi come corpo morto cade

Note

Buon pomeriggio!

Ecco l'ottavo capitolo, in cui non potevano mancare i panini al burro che adoravo quand'ero piccola, poiché davvero, quando ero a Casa Bianca, veniva il corriere a portare il pane e il Corriere della Sera per mio nonno ;)

Quanto al nome del nonno di Enzo, Filottete, è un omaggio all'eroe che con le frecce di Eracle uccise Paride.

Questa volta le citazioni -a parte "Errasti il colpo[...]", citazione del duello tra Ettore e Achille- sono di Dante, per questo dedico il capitolo a bethpotter ;)

Grazie, appunto, a bethpotter, a Techno4ever e ad eveline90 per le recensioni!

Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto :)

A presto!

Marty

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Capitolo 9
*** Dove si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando Furioso ***



Nove

Dove si parla di un frate certosino e di due vecchie reclute dell'Orlando Furioso


-Ehi, Mil...Ora et labora!- esclamò Caterina, con una voce squillante che fece sussultare Frate Dolore.

-Cat, quello è il motto dei Benedettini!- sussurrò Angelica Asburgo all'orecchio della figlia, cercando di mascherare in un sorriso imbarazzato la sua soggezione nei confronti del Frate.

Quest'ultimo guardava accigliato la famigliola, e pareva proprio stesse cercando di trattenere un lungo sospiro.

-E non chiamarlo Mil- bofonchiò Orlando, lisciandosi i baffi -Siamo in un convento, diamine!-

-Monastero- lo corresse il Frate a denti stretti.

Il fiorentino distolse lo sguardo, iniziando a fischiettare con nonchalance.

-Voi dovevate chiamarlo Medoro- rifletté ad alta voce la terzogenita di Orlando e Angelica Asburgo.

-Medoro? E' un nome da gatto!- reagì Zoe, corrugando la fronte.

Caterina alzò gli occhi al soffitto dipinto della Certosa di Pavia.

-Ed è anche quello dell'amante di Angelica, magari-

Orlando Asburgo sgranò gli occhi, facendo un passo indietro.

Con aria preoccupata ruotò lentamente la testa verso la moglie, ch'era impallidita.

-Tesoro...che dici?-

-Ma sì, avete presente quel vecchio poema cavalleresco del Ludo?-

-Poema cavalleresco?-

-Ludo?-

Caterina si morse con forza il labbro inferiore, sussultando violentemente.

-Ludovico Ariosto, avete presente?-

Orlando parve ingranare.

Un lampo di luce gli attraversò gli occhi azzurri, dopodiché annuì vigorosamente, sfoggiando un sorriso vittorioso.

-Oh...ma non scrive più, ormai!-

Sebbene stesse attraversando la cinquantaduesima fase di una rara forma di sincope a scatti, Briseide Caterina Asburgo mantenne il controllo.

Deglutì, tormentando il bottone decorato dai pastori uzbeki che usava come portachiavi della sua penna USB dalla sua seconda estate a Tashkent.

-No, da qualche anno a questa parte-

Orlando aggrottò le sopracciglia.

-E quanto prende di pensione, questo Ludo?-

Caterina digrignò i denti.

-No-

-Non la prende?-

-No-

-Oh, mi spiace molto per lui-

-Anche a me-

-Ehi, Cat, c'è mica bisogno di sibilare! Lo sappiamo, lo sappiamo che le ingiustizie non ti piacciono. Senti, se ce lo presenti potremmo invitarlo a cena, uno di questi giorni. Così magari ci spiega meglio questa storia del profeta quattrocentesco...-

-Quella era la prospettiva, caro- lo corresse Angelica, sorridendo comprensiva.

-La Prospettiva Nevskij?- chiese subito Zoe, che dopo il Liceo voleva fare la studiosa di letterature slave.

-La situazione sta diventando demenziale- commentò gelidamente Caterina, seguendo con un certo interesse i movimenti di Frate Dolore, il quale stava sgranando il rosario per la terza volta da quando gli Asburgo erano entrati nel Monastero.

-Sentite, ricapitoliamo. Ora et labora non glielo posso dire, che poi magari se la lega al dito e per chiedergli scusa devo aspettare quattro anni. Non lo posso nemmeno chiamare Mil, perché siamo in un conv...monastero- si corresse, sorridendo al Frate in religioso silenzio di fronte a lei.

-Venendo al dunque: cosa gli dico?-

-Salutalo!-

-Abbraccialo forte!-

-Ma senza frantumargli le costole!-

-Ricordagli che ci manca tanto!-

-Digli che ho trovato la sua scarpa destra! Sai, quella che aveva perso sotto al letto a dodici anni-

-Digli che gli ho fregato i vinili dei Rolling Stones!-

-Chiedigli se posso costruire una casa sull'albero sull'appendiabiti di camera sua!-

-Chiedigli se l'estate prossima viene in Russia con noi!-

-Chiedigli se si ricorda cosa c'era nella valigia che abbiamo dimenticato in Uzbekistan!-

-Chiedigli se è ancora in tempo per tornare un ragazzo normale!-

-V...va bene-

Caterina indietreggiò, finendo inevitabilmente contro il monumento funebre di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este.

Ora probabilmente capiva come mai a ventisei anni e tre mesi Milziade Asburgo avesse preferito la pace di un convento monastero all'eterno trambusto di casa sua.

Ai Frati Certosini era permesso di incontrare un solo parente per un solo giorno all'anno e, secondo i turni che gli Asburgo avevano segnato sui calendari dei prossimi sette anni, il 2010 toccava a Caterina.

Angelica e Orlando ricordavano ancora con una stretta al cuore il giorno in cui i loro figlioli, Milziade, Zoemarie e Briseide Caterina si erano dovuti separare.

Miliziade aveva la vocazione.

Avrebbero dovuto capirlo dai quindici giorni che aveva voluto passare in isolamento sul Passo della Futa in occasione del suo quindicesimo compleanno, forse.

Avrebbero dovuto capirlo dal giorno in cui, durante l'estate 2008, in Uzbekistan, si era aggregato ad una comitiva di Suore Carmelitane di Tashkent.

Avrebbero dovuto, probabilmente.

E qui il condizionale passato dice molto, signori miei.

Un bel giorno Milziade aveva annunciato ai parenti la sua decisione, Orlando si era soffocato con un'oliva greca e aveva passato tutta la notte e il giorno successivo in ospedale, Angelica aveva pensato di convertirsi all'Islamismo, Zoemarie aveva confuso Dostoevskij con Tolstoj e Caterina aveva risolto un'equazione.

Piano piano, poi, le cose erano migliorate. Gli Asburgo avevano assimilato la notizia.

Orlando era stato dimesso e aveva aperto una nuova confezione di olive greche, Angelica aveva rinunciato a convertirsi all'Islamismo, Zoemarie era tornata a dividersi tra L'Idiota, Guerra e Pace, Delitto e Castigo e La morte di Ivan Il'ič con cognizione di causa e Caterina aveva sbagliato le successive quattordici equazioni.

Ma non c'era stato niente da fare.

Milziade era diventato un Frate Certosino, Frate Defunto, e gli Asburgo avevano dovuto farsene una ragione.



Note


Ebbene...ho aggiornato.

Con due mesi di ritardo, ma aggiornato.

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, ma ci sono stati gli esami, l'altra mia Originale che mi risucchia l'anima, le vacanze ad Atene...

Ma adesso ho aggiornato.

In questo capitolo, di cui sono, diciamo, abbastanza soddisfatta, ho presentato tre nuovi personaggi: Milziade, Orlando e Angelica Asburgo.

Tra parentesi, io sono un po' come Caterina e un po' come Zoe.

Mi divido tra la Grecia e la Russia, e vorrei andare in Siberia, Kazakistan, Uzbekistan...ma per adesso mi accontento della Grecia e dell'ex Cecoslovacchia.

Chiusa la parentesi personale...spero che questo capitolo e questi nuovi personaggi vi siano piaciuti - diciamocelo, io ho un debole per gli Asburgo -.

E' da quando sono stata alla Certosa di Pavia che sogno di scrivere di un Frate Certosino, e adesso mi si è presentata l'occasione.

Specifico che, però, attualmente alla Certosa non ci sono più i Certosini, bensì i Carmelitani, perciò mi sono presa una “piccola” licenza poetica ;)

Un grande ringraziamento per le recensioni del capitolo scorso ad eveline90 e a bethpotter, ovvero Cecilietta ;)


A presto, spero!

Marty





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