His shoulders and so on

di Kokato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- The apron bet ***
Capitolo 2: *** 2- L'uomo dalle grandi spalle ***
Capitolo 3: *** 3- Il bambino senza emozioni ***
Capitolo 4: *** 4- Come una volta ***
Capitolo 5: *** 9- A sorta fairytale ***



Capitolo 1
*** 1- The apron bet ***


1- The apron bet
 
da Tokyo Babylon
 
Seishiro Sakurazuka aveva fatto un patto con sé stesso, una fredda sera d’inverno mentre tornava dal lavoro -pur avendone un altro in attivo-.
 
Si presupponeva che le cose non potessero cambiare così, davanti ad un insulso e alquanto pacchiano negozio di oggettistica per la casa, di quelle cose che non dovrebbero attirare più di tanto l’attenzione di un uomo sui venticinque anni, se questo non ha l’intenso desiderio di metter su famiglia.
 
Un grembiule da cucina aveva attirato la sua attenzione, là indossato da un manichino come fosse stato un capo d’alta moda. Gravitò sullo stesso punto del marciapiede per un quarto d’ora buono, osservandone il semplice nastro bianco che si annodava dietro la schiena scoscesa della figura femminile plasticata.
 
Il suo cervello fu una landa desolata in men che non si dica, o almeno lo divenne non appena si chiese la ragione di quell’interessamento.
 
Non c’era nulla di particolarmente amabile, né d’interessante, in quel pezzo di stoffa bianca e ricamata. Ma aveva un’idea, che tardava a palesarsi.
 
Un’idea con un fondamento comprensibile, che avrebbe dato un posto sensato a quell’oggetto nel suo mondo. Era così semplice, così immediato e quotidiano.
 
Quel pensiero non aveva potuto fare a meno di sfiorargli la mente: addosso a Subaru sarebbe stato sicuramente molto bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lo aveva comprato e portato a casa del suo ‘amato’ proprio la sera in cui Hokuto era fuori con la sua amica, proprio a causa di quei saldi di stagione che avevano reso quel negozio, solitamente insignificante, così vistoso.
 
“Seishiro san! Perché sei qui?”.
 
Non rispose, non cercò di nascondere l’insolito pacchetto alla sua vista. Era una domanda stupida, di quelle che potevano uscire dalla bocca piccola e sciocca della sua preda predestinata. Una simile ingenuità avrebbe fatto sospirare di tenerezza chiunque, fatto addolcire il caffè più amaro e sciogliere il ghiaccio più freddo, ma non avevano effetto su di lui. Anche perché, infondo, la risposta non era così semplice. Si tolse la giacca e lasciò che Subaru la riponesse dove voleva.
 
“Non hai mangiato nulla?”. chiese, per fingersi interessato di qualcosa.
 
“Stavo pensando di ordinare qualcosa per telefono, anche se effettivamente non ho molta fame”.
 
“Hokuto non ti ha cucinato nulla?”.
 
“Non ne ha avuto il tempo. Mi ha detto lei di fare così”. Annuisce e si siede, comincia il suo esame. Non lo interessa cosa mangerà, né dove sia andata Hokuto anche se sta per domandarlo pur sapendolo già. Nota che Subaru è dimagrito e la constatazione non ha alcuna ulteriore conseguenza.
 
Non cambia nulla dal solito, a parte quello strano acquisto. Decide di dimenticarsene e di seguire il movimento delle gambe sottili di Subaru che si dirigono verso il telefono. Prenderà un numero a caso, ordinando del cibo a caso che lascerà per metà in frigorifero. Almeno in questo non erano poi molto dissimili, il cibo non ha sapore e serve solo a riempire lo stomaco.
 
Poi ci ripensa, torna indietro, si ferma a guardarlo.
 
“Non mi ricordo dove ho messo il numero del take away cinese”. aveva sbagliato la propria analisi, ma non gliene importava. Notò che lo sguardo smeraldino del ragazzo era puntato sulla cassettiera dietro di lui. Non gli chiese di spostarsi un momento, ci si avvicinò sporgendosi addosso a lui verso il cassetto, aprendolo e cominciando a frugare. L’odore del collo vicino al suo naso era forte e sapeva di un sapore dolce, come di uno shampoo alla fragola per donne o bambini. Era davvero dimagrito e il suo peso era inconsistente, la pelle era umida e bianca. Gli rivenne in mente il manichino e non ne trovò dissimile il colore. Provò a leccarlo, e la sensazione non risultò essere altro che umida, appunto. Ma Subaru era scattato indietro, tenendosi la parte lesa e fulminandolo con degli occhi che chiunque altro avrebbe detto essere accusatori.
 
Ma lui cosa poteva saperne? Sfoderò un sorriso di repertorio, e immaginò come sarebbe potuto essere leccare la sua schiena, lasciata scoperta dal grembiule.
 
“Apri quel pacchetto, Subaru kun”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
C’era un’altra scommessa in gioco.
 
Annotò tutto nella sua mente come se fosse stato un contratto di lavoro, un giorno mentre se ne stava in mezzo alle gabbie piene di animaletti urlanti senza un bel niente da fare.
 
Il patto andava sotto la denominazione contrattazione sessuale: per ogni posizione del libro del Kamasutra -regalatogli da Hokuto- provata con successo, gli avrebbe concesso un mese di vita in più dell’anno pattuito.
 
Ciò detto, bisognava dire che Hokuto non sembrava voler salvaguardare la castità di suo fratello in nessun modo-. “Seishiro!”, lo chiamava, con quella sua voce strascicata, e poiché gli piaceva poteva anche valere una mezz’ora.
 
Sesso col grembiule da cucina, inizio della fine.
 
Era entrato in casa come una furia, perché faceva parte del suo personaggio e perché in ogni caso non poteva dirsi una persona che ha dei ripensamenti. Poiché la sua mente era totalmente occupata dall’immagine di Subaru in grembiule –con solo il grembiule- non aveva avuto modo di studiare un piano né di pensare a nessun altra circostanza traversa della questione.
 
“Seishiro kun?”, spuntò la sua testolina dall’angolo del muro. “Sei qui per… quello?”.
 
Seishiro sorrise senza rendersene conto, il suo viso reagiva in quel modo a prescindere dalla sua volontà. Agli occhi di Subaru il suo volto risplendeva di clemenza per le sue domande stupide e la sua incertezza riguardo quello. “Mi credi così materiale?”. Subaru balbettò in modo adorabile stagliandosi alla fine del corridoio, impiegando qualche secondo prima di riuscire a formulare una frase sensata. Optò per rispondere con un’altra domanda.
 
“Tu mi credi stupido, non è vero?”. Non stupido, solo molto malleabile. Rispose scuotendo la testa e muovendo un passo avanti. Subaru gonfiò le guancie, trattenendosi per non ricambiare il suo sorriso. Era sempre teso e sempre entusiasta per ogni suo gesto, come se fosse sempre in attesa di una qualche catastrofe ed approfittasse di tutto il bene che gli veniva dato. Seishiro non era mai stato un esteta. Non provava nulla per ciò che gli occhi gli comunicavano, esattamente come per l’anima. “Vuoi farmi stare sulla porta tutta la sera?”. Il ragazzo scosse la testa energicamente, facendo gli onori di casa con solerzia.
 
Seishiro si sedette attorno al tavolo della cucina, afferrando un giornale che aprì davanti al volto. “Vuoi qualcosa da mangiare?”, gli fu chiesto.
 
“No, grazie”. Voleva vedere quanto avrebbe impiegato a dimostrarsi impaziente. Fino a che non erano stati amanti, in effetti, la sua recita non gli aveva permesso d’ignorarlo per un solo secondo. Il pensare che la cosa lo incuriosiva, tutt’al più, era un po’ troppo. Si poteva dire che fosse meno stancante.
 
Subaru si addentrava nell’arduo compito di sedurlo. “Sei qui per qualche motivo?”.
 
“Solo per te, Subaru kun, lo sai che ti amo”. Ma lui era sempre scettico, ed in questo non era cambiato. Sgonfiò le guancie in un soffio, prima che gl’indicasse di avvicinarsi con un movimento ondulatorio delle dita, facendolo trotterellare verso di lui. “Tu mi credi stupido”, concluse Subaru, non sembrando comunque molto offeso da quella constatazione.
 
Seishiro scosse le spalle. Non gli interessava cosa avrebbe fatto, non desiderava né che gli si avvicinasse né che gli stesse lontano. Sbirciava dal bordo superiore del giornale con la sua abilità spionistica di prima categoria.
 
“Devo ancora indagare”, rispose infine, rialzando il giornale.
 
Subaru sgonfiò le guancie, avvicinandosi per afferrargli un braccio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Seishiro!” non era un mago della conversazione, ma sicuramente lo era in altri campi e di questo aveva saputo accontentarsi.
 
Subaru gli stringeva le gambe attorno alla vita, col suo modo di dilatare gli occhi verdi come quelli di un gatto, con solo il grembiule da donna addosso. Seishiro, da un punto di vista oggettivo, non aveva mai cercato di dare una valutazione dei suoi rapporti sessuali. Era un bisogno fisiologico, come mangiare, bere o andare in bagno, perciò gli sembrava sinceramente ridicolo.
 
“Seishiro, perché mi togli i vestiti?”.
 
“Non ti piace, Subaru kun?”. Che non avrebbe risposto era prevedibile, ma decise di non togliergli il mese conquistato soltanto per questo.
 
In breve aveva conquistato due anni di vita in tre mesi di attività sessuale intensa, e stava vincendo quel gioco su tutta la linea senza nemmeno saperlo. Del fatto che la sua salvezza dipendesse dalla loro attività a letto Subaru non ne aveva la minima idea, né tanto meno di quale fosse davvero il mestiere del suo amante. Il suo sedere aveva meritato due mesi, ed i suoi gemiti ne aveva meritati tre… non parliamo delle sue gambe.
 
‘Questa è l’ultima volta’… ma lui era tornato bagnato perché aveva dimenticato l’ombrello a casa, ed aveva arraffato, così facendo, almeno quattro mesi di esistenza felice tra le sue lenzuola.
 
“Tu sei come un Angel cream *, Subaru kun”, a quella sua affermazione aveva dilatato gli occhi e sbattuto le palpebre per qualche secondo. “In che senso?”.
 
Seishiro sorrise nel suo solito modo plastificato, prima di rispondere: “Potrei mangiare qualcosa di più semplice, preparare del riso, comprare delle brioche al supermercato da lasciare nella dispensa. Eppure, qualche volta, voglio mangiare gli Angel cream. Nessun’altra cosa va bene”.
 
“Eh?”. Subaru non ebbe modo d’indagare granché. Seishiro percorse il suo collo con la lingua, leccandolo come se si aspettasse di vederlo consumarsi come un gelato. “È… è… era per caso un complimento?”.
 
“Può darsi”, esalò sulla clavicola, facendogli venire i brividi.
 
Fu il primo complimento a cui Subaru riuscì a credere.
 
*Gli angel cream sono dei dolci citati in Tokyo Babylon. Non idea di come siano fatti.

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Capitolo 2
*** 2- L'uomo dalle grandi spalle ***


2- L’uomo dalle grandi spalle
 
da X 1999
 
 
Le sue erano spalle larghe.
 
Ispiravano fiducia, solidità, una buona dose di quella concretezza che solo gli adulti hanno. Quando camminavano per strada -e lui gli teneva la mano nonostante le sue proteste- gli coprivano la strada e doveva saltellare come una cavalletta per riuscire a capire dov’era che si stavano dirigendo. Un uomo con simili spalle, con lui, cosa poteva mai avere a che fare? Lo facevano apparire lontano, non più un amico né un corteggiatore, né chiunque altro meritasse di sopportare la noia di stargli vicino. Non c’era un reale motivo per pensare che quell’interessamento sarebbe durato per sempre, anzi, c’era più da pensare che alla fine i rapporti si sarebbero raffreddati, e quell’uomo dalle grandi spalle sarebbe uscito dalla sua vita.
 
Avrebbe potuto aggrapparcisi. Seishiro avrebbe sorriso, senza ritrarsi, avrebbe finto che il gesto gli avesse fatto piacere e inscenato uno scambio di battute -per lui- incomprensibili con Hokuto. Le immaginava calde e scoscese, non facili da approcciare nonostante ogni cosa di lui gli fosse aperta, accogliente e rassicurante. Erano aperte le orecchie, erano aperte le braccia, erano aperte le mani per lui… ma se ci fosse stato un sentiero per scalare la montagna delle sue spalle, era certo che l’avrebbe trovato sbarrato. Ma un giorno prese coraggio, trovò un sentiero per i suoi occhi e chiese:
 
“Quanto sei alto?”.
 
“Un metro e ottantacinque” rispose, semplicemente, gioviale come sempre, tornando ad occuparsi della zampina malata di un gatto.
 
“Sei molto alto”.
 
“Beh, sì, ma è perché sono vecchio. Un giorno crescerai anche tu, e allora capirai che non c’è proprio nulla di straordinario nel guardare il mondo da così in alto!”.
 
Da lassù Subaru doveva sembrargli piccolo ed insignificante. Un bambino da prendere in giro e da confondere con paroloni e dichiarazioni plateali.
 
Talvolta lo trovava divertente. Seishiro ed Hokuto se la intendevano così bene che avrebbe potuto semplicemente sedersi a guardarli, come fossero stati uno spettacolo di cui lui era soltanto una comparsa.
 
In un trio comico lui sarebbe stato quello un po’ tonto, che gli altri due ingannavano e prendevano in giro ridendo sotto i baffi, e a lui andava bene. Sorrideva e si fidava, quanto tutto ciò sarebbe durato non lo sapeva, ed in ogni caso non dipendeva da lui.
 
Quando Hokuto morì non ne fu stupito. Lui fin dall’inizio non aveva avuto braccia per calare giù il sipario né grandi interpretazioni da offrire. Quando Hokuto morì desiderò diventare grande, avere spalle larghe per sostenersi da sé. Desiderò di aver guardato Seishiro negli occhi, sotto il ciliegio, accettando la morte e il suo giudizio. Desiderò di esser stato in grado di vedere il mondo e le epoche dall’alto e di capire che era giusto così.
 
“Tu per me non sei niente”.
 
Io sono un oggetto. Sono la luna di cartone dietro la scenografia.
 
Non dovrai porre il tuo pensiero su di me per molto. Non dovrai uccidermi né assassinarmi. Sono un oggetto, e dovrai distruggermi. Sono di cartone e dovrai strapparmi. Posso reggermi in equilibrio fin tanto che aspetto il tuo arrivo.
 
Ma l’uomo dalle grandi spalle era una torre di pietra mal costruita, e bastava la frusciante caduta di un foglio di carta per farlo crollare.
 
Dalla sua posizione Subaru capì che da lassù non si vedeva niente.
 
Io non sento nulla.
 
Tremò e il suo desiderio mutò ancora, facendolo restare fermo sul posto a ripensare a cosa era stato un tempo. Il nuovo Sakurazukamori vide il fantasma del suo predecessore apparirgli davanti agli occhi, sul ciglio del balcone del suo appartamento.
 
“Io ti…”.
 
“Tu non sapevi come fare, non è vero?”. Sentirsi saggio non lo aiutò a sentirsi meglio. L’apparizione sorrise muovendo un passo nell’aria, ripetendo la sua confessione a metà.
 
“Io mi sono fidato di te, e tu mi hai lasciato a sostenere il peso della tua umanità. Non è questo che volevo da te”. Riuscì a non piangere, ma non fu meno triste.
 
Lo spettro non cambiò espressione, le ampie spalle contorcendosi.
 
Sangue scorreva tra le sue mani mentre il suo volto diventava diabolico. Scomparve quando Subaru chinò la testa, soffiando fumo da una sigaretta nella sua direzione. Per un momento i loro sorrisi furono identici.
 
Un giorno crescerai anche tu, e allora capirai che non c’è proprio nulla di straordinario nel guardare il mondo da così in alto!
 
L’uomo dalle grandi spalle lo aveva lasciato solo, sul ciglio di un precipizio senza fondo.

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Capitolo 3
*** 3- Il bambino senza emozioni ***


47. Emozioni
3 - Il bambino senza emozioni
 
AU
 
Subaru Sumeragi è letteralmente adorato dalle sue colleghe di lavoro -tutte donne, nessuna esclusa-. Un insegnante d’asilo neo laureato carino e a modo che riesce nel suo lavoro perché, in pratica, non è molto diverso dai bambini con cui lavora.
Non che sia stupido, né tanto meno ritardato, è semplicemente… candido, tonto, ma in modo carino, come il personaggio di un manga. Se gli si chiede di andare a prendere un caffè o un tè reclina la testa da un lato, sorridendo e pigola che non può senza specificarne il motivo. Non se ne comprende il motivo, è riservato in maniera irritante per un nugolo di donne pettegole ed ammaliate.
All’apparenza può sembrare un insegnante troppo indulgente di cui gli alunni si approfittano, ma non è affatto così. I bambini sono ipnotizzati da lui in una maniera misteriosa, come se avessero udito la melodia del pifferaio magico.
Ma c’è un bambino che neanche lui riesce a domare.
Le insegnanti ne sono da sempre terrorizzate, ma non perché sia rumoroso, o particolarmente pestifero. Seishiro Sakurazuka, otto anni, è il bambino più silenzioso che si sia mai visto nell’intero circuito scolastico… ed è questo il problema. Subaru non sa come trattarlo, anche perché Seishiro sembra avercela in particolar modo con lui. Lo guarda, sempre. Con una capacità di concentrazione ed estraniazione assurda per un bambino di dieci anni, Seishiro puntava il suo sguardo sul maestro Subaru dal primo all’ultimo suono della campanella, senza mai distoglierlo.
Se gli si dava un esercizio teneva gli occhi sul foglio solo per il tempo necessario alla risoluzione dello stesso, poi rialzava di nuovo gli occhi su di lui. Non rispondeva alle domande, non apriva bocca, non chiedeva mai di andare in bagno. Durante la ricreazione tentava di seguirlo persino in sala insegnanti e, siccome non poteva entrare, aspettava lì fuori fissando la porta fin quando non si decideva ad uscire.
Quel suo silenzio aveva inquietato molte maestre, ma per Subaru pare avere una fissazione a dir poco maniacale. Un giorno Subaru si decise ad interrogarlo su quello strano comportamento, prendendolo per le spalle in corridoio, inginocchiandosi davanti a lui e ricambiando, per una volta, il suo sguardo.
“Perché mi guardi in continuazione, Seishiro?”.
Quello non aveva risposto per qualche secondo, senza dar segno di aver notato un cambiamento nella situazione che c’era stata tra loro fin dall’inizio dell’anno. Poi, lentamente, si dipinse un sorriso sul suo volto.
“Perché sei emozionante”.
 Dapprincipio Subaru non seppe cosa rispondere. Si passò una mano tra i capelli, per prendere tempo. “Cosa vuoi dire?”.
“Che mi fai emozionare. Niente ci riesce, di solito. Non ho emozioni”.
 “Cosa intendi dicendo che non hai emozioni? È impossibile! Tutti gli esseri umani ne hanno”.
Quello aveva fatto spallucce, allargando il suo sorriso e protendendo entrambe le braccia per aggrapparsi alla stoffa dei suoi pantaloni. “Mia madre dice che è normale non averle”.
“Ma sai cos’è un emozione?”.
Il bambino, senza scomporsi, aveva lasciato scorrere il tempo come se sapesse modulare la suspense, come se sapesse come tenerlo sulle spine. “Una cosa che ti fa battere il cuore più forte del solito, che ti rende diverso dal solito”.
“Beh sì, più o meno. Forse…”, Subaru cominciò ad essere sinceramente confuso. “Quindi io ti faccio battere il cuore?”. Seishiro fece su e giù con la testa, per poi tornare immobile esattamente come prima.
“E perché? Cosa faccio di tanto diverso dalle altre maestre?”. Il bambino tacque di nuovo per qualche secondo prima di rispondere. Sembrava che lo facesse apposta, perché non pareva impegnato, in quel tempo, a trovare una risposta alle sue domande. “Non lo so”.
“Non lo sai?”.
“Non lo so”.
“Ma deve pur esserci qualcosa che ti… piace, di me? Non so proprio cosa… forse è perché sono un maschietto come te?”.
Il bambino scosse la testa. “Ho avuto altri maestri maschi”.
“E allora cosa?”.
“Mi fai emozionare”, ribadì, sorridendo poi in maniera malefica. Subaru capì che era inutile provare a capire le ragioni della strana predilezione che Seishiro provava per lui. “E perché mi fissi sempre, quindi? Il fatto che io ti faccia emozionare ti fa piacere?”.
Seishiro scosse la testa in segno affermativo. “Più ti guardo, più mi emoziono”.
Subaru arrossì, senza sapere cosa rispondere. Si alzò in piedi, notando che il bambino rifiutava categoricamente di staccare le mani dai lembi di stoffa che era riuscito ad afferrare. Gli ordinò di lasciarlo, ma quello non lo ascoltò minimamente, e, di sicuro, non poteva di certo trascinarlo via. “Subaru san, tu sei mio”.
Pur assurdo che fosse, quella semplice frase, pronunciata da lui, avevano avuto l’effetto di mandare una scarica di puro terrore lungo la sua schiena. “Non tutto ciò che ti fa emozionare diventa tuo!”.
Seishiro non aveva risposto, rimanendo appigliato a lui mentre tentava di tornare in classe, sotto l’occhiata dei bambini che tornavano dalla ricreazione proprio in quel momento. 
 

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Capitolo 4
*** 4- Come una volta ***


X Seishiro Sakurazukamori/Subaru Sumeragi, "This deep sigh coiled around my chest" ("Slow love slow" - Nightwish)
 
 
4 -Come una volta
Da X 1999
 
 
Sembrava che lo avesse imitato anche allora.
Stringeva il bicchiere colmo di un liquore ambrato con presa ferma. Il movimento con il quale lo fece muovere entro i bordi, lento, con onde rotonde ed increspature accennate, rivelava un modo di vivere che aveva preso in prestito senza neanche averne buona cura.
Beveva posando le labbra gonfie sui bordi del bicchiere, delicato, gentile, elegante come ci si sarebbe aspettato da lui. Pur continuando la sua recita, sul vetro spesso aveva lasciato un’impronta che era soltanto sua, di una bocca che non si apriva spesso e che, quando lo faceva, gettava poche concise parole in conversazioni di poco conto. Subaru non era più bello come una volta. Era stato allungato a forza e le gambe erano sottili, nervose, consumate. Aveva accavallato e stretto le gambe sotto il bancone quando Seishiro aveva cercato d’infilarci una mano in mezzo, ma non si era ritratto ed aveva sentito le lunghe dita muoversi e palpare nel piccolo spazio che la sua stretta aveva lasciato loro.
Chissà se era vergine, chissà se lo aveva aspettato.
Nell’atrio dell’hotel di lusso il rumore di un paio di tacchi sul pavimento di pietra lucida aveva accompagnato il ticchettio di un orologio, disturbando solo appena il chiacchiericcio sommesso del piano bar in piena notte. Seishiro non lo aveva degnato di alcun speciale trattamento, lo aveva abbordato come qualunque altro essere umano fosse servito ad alleviare i suoi pruriti, e lui non si era dimostrato indignato, offeso. Aveva annuito e lasciato che la grande mano agguantasse il suo membro, in anticipazione, senza scomporsi.
Subaru era pudico come una volta, era solo diventato molto bravo a nasconderlo. Quel profondo sospiro si avvolse attorno al suo petto, impediva loro di toccarsi per quanto si avvicinassero. Si avvinghiò al suo collo mordendo, infliggendogli un piccolo dolore.
Respirava troppo, divorava l’aria silenziosamente. La camicia scorse giù dalle spalle adagiandosi sul letto della camera, e la bocca di Seishiro scese a mordere i pettorali larghi e troppo asciutti, la mano destra toccò il sedere scarno e poco accogliente -avrebbe avvinto in il suo membro in una morsa di pietra, fredda ma soddisfacente-.
Il sospiro gli lambiva la faccia, scaldava a malapena quel rapporto amputato, concesso per rassegnazione, incorniciato di baci ansimanti. Il collo sotto le sue labbra ondeggiava, il petto si riempiva e svuotava d’aria sotto le sue dita.
“Non puoi soffiarmi via come un foglia, Subaru kun…” no, non era certo così semplice “… e non puoi tenermi lontano con un sospiro”.
“Io non voglio tenerti lontano”.
Vieni, vieni da me. Vieni dentro di me di modo che io possa imprigionarti, strapparti ogni confessione ed ogni residuo di umanità, ogni goccia di sperma sulle mie labbra, di sudore, ogni minimo tremolio del tuo corpo.
Subaru non era più altruista come una volta. Seishiro lo aveva spezzato così irrimediabilmente da renderlo intoccabile, fragilissimo. I suoi baci erano morsi affamati, le braccia si aggrappavano alle sue spalle ed il suo corpo non sopportava niente, nemmeno le lunga dita che lo esploravano e che lui stesso aveva desiderato.
Vai via, vai via da me. Esci da me di modo che io possa liberarmi, riavere ogni confessione ed ogni residuo di umanità, ogni goccia di sperma sulle tue labbra, di sudore, ogni minimo tremolio del mio corpo. Anche quando prese in mano il suo membro fu gentile, meticoloso, e quando lo mise in bocca Seishiro sentì ogni respiro, ogni schiocco, ogni turbinio d’aria fuoriuscisse dalla sua gola, ed era meno piacevole di quanto avrebbe potuto aspettarsi un uomo senza pretese come lo era lui. Si leccò le labbra, il corpo di Subaru piombò all’indietro mentre gli sfilava i pantaloni.
Subaru non era piccolo come una volta, ma i suoi occhi ingrigiti conservavano un’ingenuità orgogliosa e frantumata che esplose quando lo penetrò. La linea del suo corpo cambiò, sollevò il sedere per accompagnare i movimenti meccanici e deformò il volto banale per far credere che ne soffrisse. Seishiro aveva infranto la sua devozione come aveva infranto i respiri condensati che gli uscivano dalla bocca e la sua difesa.
Subaru non vedeva oltre la linea delle sue spalle, come oltre la linea di un orizzonte lontano. Trattenne tra le labbra la sensazione di spaccarsi, piegarsi e sfiorare un dolore umido, sfolgorante… e pianse. I suoi occhi rilasciarono lacrime che strisciarono lungo il suo viso, lente, prima di bagnare le lenzuola, prima che si coprisse il viso con il braccio nudo e collassasse, arrendevole ai movimenti imposti. Le gambe avvolte alla sua vita erano un limite che Seishiro non poteva superare, per un attimo condivisero la stessa aria raccolta in un bacio, i cigolii del vecchio letto, le unghie conficcate nelle rispettive schiene.
Seishiro venne in un corpo morto, che non lo imitò. Il membro di Subaru rimase eretto tra le sue gambe, lo fissò con indifferenza mentre usciva da lui con uno schiocco e lo abbandonava lì, con le braccia aperte che fuoriuscivano dal bordo del letto.
“Forse avresti dovuto farlo”.
Subaru pianse e trattenne il sospiro che proveniva dal fondo dei suoi polmoni, piangendo per un minuto sospeso, prima di alzarsi e chiedere “Cosa?”.
La camicia lasciava ancora una delle sue spalle nude “Stare lontano da me”.
Come se avessi potuto.
Subaru era come quella volta, quando il cuore gli si era fermato nel petto per un attimo ed aveva capito di essere condannato a vedere Seishiro andare e venire, uscire ed entrare dentro di lui, afferrarlo e gettarlo via.
“Vattene via”.
Seishiro uscì dalla stanza, chiudendo silenziosamente la porta dentro di sé.

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Capitolo 5
*** 9- A sorta fairytale ***


Fanfiction prima classificata al contest Segui la traccia di Setsuka.
Potete trovare le one shot dalla 5 alla 8 QUI.
Prompt: "E non vissero felici e contenti".




9. A sorta fairytale*
Da Tokyo Babylon
 
 
La luce della luna piena illuminava il corpo nudo sul letto come una pagina bianca, filtrava nella camera affinché Seishiro potesse leggere ogni cosa sulla sua pelle mentre Subaru dormiva profondamente. Parlò piano, in sussurri appena accennati che seguivano il ritmo della mano che scendeva sul bordo stropicciato delle lenzuola, cosicché neanche il suono della sua stessa voce avrebbe disturbato la sua osservazione del campo di battaglia.
Iniziò dai capelli neri sparsi sul cuscino, non abbastanza lunghi da calarli sul bordo della finestra e sperare che un principe valoroso ne afferrasse le estremità. Avrebbe potuto strapparli dallo scalpo, per il gusto di vedere il sangue impregnare il cuscino come un’aureola e la minuscola inattesa speranza infrangersi e cadere in pezzi.
Seishiro tamburellò con le dita fino alle palpebre, sentì i bulbi oculari vibrare sotto i polpastrelli. Erano occhi ingenui, occhi che non riconoscevano il lupo sotto il travestimento da uomo.
“Guardami bene” sussurrò, e Subaru si agitò come se un’ombra del pericolo avesse tutt’ad un tratto oscurato i suoi sogni.
“Che te ne fai, se non mi guardi?”.
Seishiro sorrise, sfregando le unghie sulle ciglia e pensando a che bel boccone avrebbe potuto fare dei suoi occhi, come caramelle alla menta viscide e dolci al palato.
“Potrei risvegliarti” disse sottovoce, scendendo alle labbra appena schiuse da un lieve respiro “con un bacio”, o divorarle con un morso e lasciarti ad azzannare l’aria con i denti insanguinati, con le guance lacerate dalla mia inspiegabile crudeltà.
Il sorriso di Seishiro si allargò, attraversò il collo e il petto con una carezza fino alla pancia.
“Sono dolci le mie lusinghe, non è vero?” sussurrò, ancora più soave “Te ne ingozzerai fino a scoppiare, fino a quando non riuscirai più a muoverti né tanto meno a fuggire da me.”
Cuocerai nel mio forno giusto un poco, giusto quanto basta per ammorbidire ancora la tua carne già tenera.
Seishiro sfregò con le unghie fino alle gambe nude, alle caviglie fragili come i rami di un giovane albero da frutto. Arrivò quella sensazione di potere che sfrigolava sotto la pelle, fino quasi a dargli un’impressione rarefatta del piacere che prova un tiranno di fronte al suddito che s’inginocchia senza ricevere alcun ordine.
Non dovresti dare via la tua voce, né le tue pinne e neanche le tue squame, soltanto per camminare tra gli uomini intonarono i suoi pensieri ironicamente, mentre le sue grandi mani facevano su e giù tra le cosce rilassate di Subaru, percependo la pelle incresparsi e le anche sollevarsi un po’. Ma per me lo faresti, non è vero?
Afferrò il piede destro, le piccole dita di Subaru si tesero sotto il palmo della sua mano mentre Seishiro lo avvicinava alle labbra per posarvi un bacio. Era un piede sottile, bianco come le piume di un cigno, e Seishiro immaginò una scarpetta abbastanza stretta da stritolarlo, da piegare le piccole ossa da uccello fino a che Subaru non sarebbe più riuscito a camminare, costringendolo a strisciare e lasciare una lunga scia rossa nella sua fuga.
Seishiro sospirò: non sapeva cosa stesse cercando. Ripercorse il corpo di Subaru con un’occhiata (capelli, occhi, labbra, pancia, gambe e piedi), ma ancora l’armonia dei suoi arti gli parve quella di una bella statua di porcellana che si potesse mandare in frantumi con uno schiaffo. Subaru si mosse nel sonno rannicchiandosi contro di lui, sporse le mani inguantate verso le sue spalle e sollevò le ginocchia fino a toccare la propria pancia, come se avesse percepito lo scrutinio cui era stato sottoposto e ora cercasse di nascondersi alla vista.
Perché cerco una via di scampo per la mia stessa vittima? Si chiese Seishiro, mentre i loro corpi s’incastravano l’uno nell’altro e Subaru si rilassava di nuovo contro il suo petto. Seishiro sfregò la punta del naso contro le ciocche scure sulla testa di Subaru, percepì quello strano senso di trionfo che lo aveva pervaso scemare e colare via dal solco tra carne e pelle.
Non cambiava niente, assolutamente niente.
Tutto rimaneva ancora lontano, come se lo osservasse attraverso una barriera di vetro. Provò a strofinare le labbra contro la sua fronte, come fanno gli innamorati, provò a non pensare al corpo di Subaru senza che un imminente senso di distruzione arrivasse a stuzzicargli la gola fino a farlo scoppiare a ridere.
Lo baciò e Subaru rispose senza svegliarsi, muovendo le labbra e la lingua contro la sua, emettendo brevi mugolii di sorpresa man mano che il sonno calava dalle sue palpebre.
“Seishiro?” lo chiamò senza aprire gli occhi, e Seishiro lo abbracciò attorno alla vita per avvicinarlo a sé. Subaru s’irrigidì, posò la fronte sulla sua spalla mentre un rossore pudico gli pervadeva le guance.
“Non sono stato un perfetto cavaliere, se ancora t’imbarazzi quando ti bacio” disse Seishiro mentre Subaru lo abbracciava a sua volta.
Subaru scosse la testa; la stretta attorno ai suoi fianchi gli toglieva il fiato, ma Seishiro sapeva che non avrebbe detto nulla, perché il letto in cui si trovavano era una perfetta illusione di un posto sicuro, un altare esorcizzato da ogni spirito maligno, un castello fatato protetto da un’invalicabile foresta.
“Sono io a non sapere cosa fare” rispose infine Subaru.
“Non devi fare nulla” gli sussurrò Seishiro all’orecchio “Dormi, ci sono io qui con te” rise sommessamente “Il tuo principe azzurro.”
Subaru annuì arrossendo ancora di più, poi Seishiro sentì le piccole labbra rosa dischiudersi sulla pelle della sua gola mentre riprendeva sonno. Le nuvole avevano oscurato la luna nel frattempo, e se anche Seishiro avesse voluto baciarlo ancora non avrebbe saputo dove trovare la bocca di Subaru nel buio, non senza prima sfiorargli le guance o il naso per errore.
“E non vissero felici e contenti” sussurrò sorridendo sotto i baffi.
Prega che il mio bacio non ti faccia mai risvegliare.
 
 
 
 
 
  *Titolo scippato da una canzone di Tori Amos.

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