Amare non è mai un errore

di tersicore150187
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1. Per chi suona la campana. ***
Capitolo 2: *** Cap 2. Non posso respirare senza di te. ***
Capitolo 3: *** Cap 3. Così ti amo perchè non so amare altrimenti. ***
Capitolo 4: *** Cap 4. E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore che non sia vero. ***
Capitolo 5: *** Cap 5. E io allora mi volsi a te, orgogliosa stella della sera. ***
Capitolo 6: *** Cap 6. Quando il battito del cuore supera le ombre del passato, l'amore potrà trionfare sul destino. ***
Capitolo 7: *** Cap 7. Ascolterò il linguaggio della tua anima come la pioggia ascolta la storia delle onde ***
Capitolo 8: *** Cap 8. L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere. ***



Capitolo 1
*** Cap 1. Per chi suona la campana. ***


Cap 1. Per chi suona la campana.

 

La sera era limpida e cristallina, dalla finestra spalancata entrava una luce soffusa, quel tipo di luce che solo il cielo nero sa sprigionare, mista a lampioni, insegne luminose e finestre di case altrui. Tutto intorno si spandeva un odore di incenso forte che doveva provenire da qualche locale vicino. Kate uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano intorno al petto e ai fianchi. Si appoggiò rilassata sul divano, prese un bicchiere di vino e lasciò che l'aria che entrava dalla finestra le asciugasse la pelle su cui aveva spalmato qualche goccia d'olio profumato. Un attimo prima che i suoi occhi si chiudessero, vide il lungo abito muoversi dolcemente cullato dalla brezza notturna.

 

Non molto lontano Rick era immerso nei suoi pensieri seduto sul terrazzo di casa sua. La figlia leggeva un libro rilassata su un'amaca che pendeva dal soffitto. Quell'angolo di casa sua che si affacciava su New York era, come tutte le cose che gli appartenevano, un piccolo gioiello. Uno stupendo bar in stile cubano decorato con schegge di mattonelle colorate copriva tutto un lato del perimetro e la zona dove si trovava lui era praticamente un incrocio tra un enorme divano e un futon pieno zeppo di cuscini e drappi morbidissimi. Dal davanzale pendevano dei piccolissimi scacciapensieri che Alexis aveva raccolto nelle sue varie vacanze con il padre. Rick ne guardava uno con un piccolo delfino azzurro, incantato.

Non c'era niente da fare, anche un delfino d'argento gli faceva venire in mente quella donna. La detective Beckett, Kate, la sua Katherine, la sua adorata, amata, voluta, bramata, desiderata...e a volte anche odiata Kate. C'era solo questa piccola cosa che gli faceva male: mentre prima pensare a lei o starle vicino gli metteva addosso un'euforia e un piacere mai provati prima, ora al suo ricordo provava dolore. Già ricordo...già dolore. Perchè di ricordo si trattava, dal momento che erano quasi sei mesi che non la vedeva e, beh, almeno settimane che non la sentiva, o meglio che aveva smesso di lasciarle i suoi continui messaggi in segreteria, di inviarle e-mail, lettere, messaggi. Di chiamarla a qualsiasi ora del giorno o della notte aveva smesso quasi subito. Quasi subito dopo la risoluzione del caso dell'omicidio della madre. I primi tempi era preoccupato per lei, in ansia, triste, sofferente, si svegliava nel cuore della notte sudato e tremante. Poi questi sentimenti avevano lasciato spazio al dolore vero e proprio e alla rabbia. Si chiedeva come avesse potuto succedere che una donna lo riducesse in quello stato e soprattutto come potesse essere lei così stupida da ostinarsi a respingerlo in questo modo assurdo, quando lui sapeva perfettamente che Kate provava gli stessi sentimenti che provava lui, anzi forse lei addirittura più potenti e viscerali, al punto che ne era stata spaventata a morte.

Era stato ancora una volta il suo angelo custode a salvarlo da quella terribile situazione. Una sera una testolina rossa aveva fatto capolino nella sua camera da letto e si era accoccolata al suo fianco mentre lui dormiva. Quando per l'ennesima volta Rick si era svegliato da un terribile incubo aveva trovato Alexis a consolarlo “Papà bevi un bicchiere d'acqua, papà ti prego stai calmo, andrà tutto bene!”. Quella “bambina” parlava piangendo terrorizzata. Castle aveva capito che era arrivato il momento di rientrare pigramente nel corpo di un uomo senza emozioni, certamente non poteva continuare a soffrire in quel modo, privando anche la sua famiglia della sua presenza fisica e mentale. Aveva abbracciato la figlia, asciugandosi gli occhi e il sudore con una manica. “Va tutto bene amore, papà sta meglio. Non preoccuparti cucciolo mio. Kate mi manca tanto, ma vedrai, troverò la forza di chiarirmi con lei e tutto sarà più bello di prima. Shhh”. Non sapeva se stesse rassicurando lei o se stesso.

La voce del suo angioletto lo riportò alla realtà. “Papà io vado a dormire. Faresti meglio a metterti a letto anche tu, domani dobbiamo alzarci presto.”

“Mh? Sì, hai ragione” rispose destandosi dai suoi pensieri.

Alexis gli diede un bacio sulla guancia augurandogli la buonanotte. Castle si alzò pigramente guardando trotterellare la figlia verso la sua camera. Stava per chiudere il terrazzo, quando un impulso irrefrenabile lo spinse ad affacciarsi e guardare la città di notte.

“Kate, a cosa stai pensando?”

 

 

Quasi destata da un pensiero improvviso Kate si alzò dal divano e andò a chiudere la finestra. Per fortuna non aveva i capelli bagnati, si sarebbe ammalata. Non li aveva lavati, non toccava a lei pettinarsi e aggiustarsi almeno per una volta. Si infilò una lunga maglia maschile di seta e si accoccolò sul letto tirandosi una coperta leggera sulle gambe. Chiuse gli occhi sperando di svegliarsi con un viso disteso, sperando di non avere incubi, almeno per una notte.

 

Dopo poche ore i due, in due case diverse, ma immersi in attività e pensieri simili, ammirarono dalle finestre come New York fosse riuscita a fare uno dei suoi soliti miracoli fiabeschi e avesse regalato una giornata a dir poco stupenda. Il sole caldo sfiorava gli alberi fioriti e si poteva addirittura sentire il cinguettìo di qualche uccellino solitario. Tutto intorno un odore di terra umida dava al paesaggio un'atmosfera ancora più fatata. New York, la città di cemento, non era mai sembrata più bella e scintillante.

Kate uscì presto di casa indossando una tuta e portando un borsone piccolo ed un porta-abiti. Davanti a casa sua Lanie in macchina la stava aspettando. “Hey tesoro, ti ho portato il caffè”. “Grazie Lanie”, disse all'amica porgendole un bacio sulla guancia. Ma questa la guardò con aria di rimprovero e disse “Katherine Beckett, nonostante io sia compiaciuta del fatto che tu ti sia sforzata di riposare un po' più del solito e che infatti abbia una discreta cera, non vedo proprio cosa altro potrei fare, se non ammonirti per quel falso sorrisetto che mi hai appena rifilato. Sono io che non ti vado a genio o cosa? Il tuo dottor strizzacervelli non ti dice niente per 50 dollari a settimana?” Kate la guardò imbarazzata. Lanie sospirò profondamente comprendendo che se voleva cavare un ragno dal buco con quella che senza dubbio era la sua migliore amica, doveva cambiare tattica. “Kate ascoltami” le disse prendendole la mano “nessuno di noi ha il minimo dubbio sul fatto che tu sia letteralmente andata all'inferno e tornata, tutti vogliamo proteggerti e ti vogliamo un bene infinito. Siamo la tua famiglia, non ti saremmo stati vicino anche dopo che hai lasciato su due piedi il distretto, che ne dici?” Kate annuì, sapeva che le parole dell'amica erano sincere. “Ma tu devi darci una mano. È arrivato il momento che tu capisca che un briciolo di questa magia che ci regalerà questa splendida giornata deve entrare dentro il tuo cuore.” E così dicendo le mise un dito sul petto, proprio vicino al cuore. “È un giorno importante Kate, non sei felice?” “Sì Lanie, credimi lo sono davvero...” “Ma? Ma cosa Kate? Sei preoccupata per lui? Credi che quando io dico “noi ti vogliamo bene, noi ti vogliamo proteggere, noi qua e noi là...” non mi riferisca anche a Castle? Dio solo sa la pazienza e l'amore che ha quell'uomo per te. Come puoi avere paura di una cosa come questa e soprattutto come puoi permettere che la paura rovini la gioia che hai dentro il tuo cuore per i tuoi amici, che sono come fratelli per te?”. Kate si sentiva ancora male, triste, avrebbe voluto piangere. Poi sentì la mano di Lanie nella sua. “Ok, ce la posso fare!”. La guardò e sorrise. Emozionata, un po' forzatamente, ma sorrise. “Bene ragazza! Sei già bella con questo semplice sorriso addosso, immagina come sarai una volta pronta!” le disse Lanie accarezzandole la guancia. Poi si voltò, mise in moto e partì.

 

In casa Castle intanto regnava un'euforia falsa quanto il sorriso cha Kate aveva mostrato a Lanie prima della lavata di testa, Martha aveva riempito il suo letto di abiti poiché aveva deciso all'ultimo momento che quello che aveva scelto da una settimana non le andava più a genio e Alexis era chiusa in bagno con grande disperazione della nonna che voleva fare una maschera al cetriolo che avrebbe dovuto stare in posa almeno 20 minuti.

Rick beveva il caffè guardando fuori dalla finestra, con l'accappatoio addosso. Quando vide, sull'orologio appeso alla parete, che mancava mezz'ora al momento di uscire di casa, si chiuse in camera e si sedette sul letto. Si sentiva stanco. Non riusciva ad immaginare dove potesse essere andata a finire la brillantezza che lo aveva sempre aiutato a tirare avanti, anche con due divorzi e una figlia da crescere. Sembrava che quella sua verve comica e romantica insieme avesse ceduto il posto ad una tristezza che gli aggobbava le spalle e un paio di bicchieri di scotch. Di donne poi, neanche a parlarne. La sola idea di vedere anche solo una fotografia che non fosse di Kate Beckett, gli sembrava un'eresia. E così se ne stava stanco seduto sul letto. Poi entrò nei pantaloni, nella camicia nel gilet, nella giacca, in tutto ciò che era sistemato sul letto pronto per addobbarlo come un albero di Natale e non si sentì affatto più riposato o felice. “Arriveremo in ritardo” pensò. Ma non era una preoccupazione, anzi, un proposito. “Se arriveremo in ritardo tutti saranno già ai loro posti e nessuno mi vedrà...e io non vedrò...nessuno”. Mentre già aveva capito quanto stupido e infantile fosse quel piano, dato che, oltretutto doveva alzarsi davanti a tutti per leggere il discorso, Alexis entrò dopo aver bussato leggermente. “Hey!” le disse il padre “sei bellissima amore mio”. Era vero. Per quante ore fosse stata in bagno sua figlia era così bella e così naturale che a lui sembrò come se fosse appena uscita dal grembo della sua mamma. La abbracciò, attento a non avvolgerla troppo per non rovinare il trucco leggero o i capelli. “Anche tu papà, sembri un principe. Guarda”. Alexis lo portò davanti allo specchio. Castle si sentiva un barbone, ma sotto lo sguardo ammirato della figlia alzò gli occhi e vide nello specchio un uomo che quasi non riconobbe. “Wow” pensò. “È vero che sto bene”. Alexis si accorse del sorriso del padre che si guardava in mezzo tight nero con panciotto grigio silver e gemelli d'oro bianco e gli disse “Visto?” aggiustandogli la cravatta di seta. “Possiamo andare adesso papà”.

 

Arrivarono alla chiesa di San Patrick, nel cuore di Manhattan, scesero in gran furia facendo rumore con i piccoli tacchetti sul selciato. Esposito diede il braccio a Lanie e l'accompagnò all'ingresso sul sagrato, mentre Kate li seguiva a pochi passi. Si disposero sulla destra dell'ingresso e Lanie fece segno a Kate di scendere un gradino più in basso per non farla sembrare troppo bassa con quei tacchi vertiginosi, mentre Esposito le diede un bacio e le disse “Io vado dentro amore”. Erano tutti molto emozionati, quando videro arrivare una lussuosa Maserati con autista e Kate si volse dietro a dire a tutti “è arrivata”. Ma la persona che scese dalla macchina non era chi lei credeva. Non appena Lanie si accorse che Kate aveva frainteso, la prese per un braccio e la fece voltare verso di lei, mettendola così di spalle alla vettura in strada. “Kate, tesoro, aspetta, ti aggiusto la scollatura dell'abito” “Mh, ok grazie”. Mentre Lanie armeggiava con l'abito e i capelli di Kate, fingendo di aggiustarle un fiore fra le ciocche brune, due donne le passarono a fianco entrando nella chiesa inosservate. “Fatto” esultò Lanie soddisfatta e nello stesso istante in cui Kate si voltò naturale ed incurante, i loro occhi si incrociarono.

 

Tutto si fermò per un istante, anzi per un tempo che ai due sembrò indefinito. Rick era appena sceso dalla automobile che l'autista stava portando via, il fiore al suo occhiello era identico a quello che Kate aveva appuntato nei capelli. Tutto doveva essere stato organizzato perfettamente per quel giorno. Nessuno dei due ci badò. Kate era rimasta immobile con il braccio un po' piegato e il bouquet con nastro che le pendeva sul fianco, Rick la guardava letteralmente perso in quella figura. Gli sembrò di essere morto e stare fluttuando in una dimensione eterea in cui la corporeità non esisteva più, loro erano fatti solo di puro spirito e si fondevano insieme per la forza del loro amore. Lei ara avvolta in un lungo e sinuoso abito di seta chiaro, sorretto da due sottilissime spalline di brillanti. La gonna, aperta su un lato, lasciava intravedere un frammento estremamente sensuale della pelle abbronzata della sua gamba e il suo sandalo legato alla caviglia, dello stesso colore dell'abito. Sembrava una dea, era come se una luce la avvolgesse completamente, la testa, i capelli inanellati, il volto, il collo, le spalle, la vita, le gambe...

Rick prese tutto il coraggio che aveva e salì i gradini che li separavano arrivandole vicinissimo. Tutti i dubbi che aveva avuto in quei lunghi giorni di dolore gli sembrarono svanire in un respiro, non avrebbe esitato un momento a baciarla dolcemente e poi con foga, a stringerla tra le sue braccia, a far scorrere le sue mani avide sotto quell'abito, su quelle gambe marmoree e quella pelle di seta che avrebbe voluto mordere in eterno fino a saziarsi del suo sapore. Mai. Non sarebbe stato mai sazio di lei.

Kate lo guardava senza proferire una parola. In un attimo nella sua mente tornarono ad affollarsi le grida, i litigi, la paura. Era tutto vivido dentro di lei... “lasciami stare Rick, non ti voglio nella mia vita!”.... “non lo capisci che non riguarda me e te? Questa faccenda è più grande di quello che avessi creduto!”... “Non puoi stare qui, è pericoloso!” …. “Io non ti lascio! Perchè vuoi allontanarmi? Dannazione, Kate, rispondimi!” …

Mentre le urla le affollavano i ricordi socchiuse gli occhi e sentì il suo profumo vicino e in un attimo le corsero davanti agli occhi come un film, tutti i frammenti, gli attimi, i battiti in cui lui la aveva fatta innamorare. Vide i suoi occhi che la guardavano, vide il suo dolore nel vederla con un altro, la sua risata, il suo caffè sul tavolo, la sua intelligenza nel trovare sempre soluzioni alternative, fuori dagli schemi...sentì il suo abbraccio che la consolava, la proteggeva, la riscaldava, la amava.

Si stavano ancora guardando mentre udirono un'auto fermarsi alle spalle di lui. Questa volta Castle non avrebbe detto o fatto nulla. Non era per orgoglio, non gli bastava più quella tensione mal sopita. Aveva sofferto come un cane e ora voleva la sua medicina a costo di doverla ingoiare con rabbia. La guardò fisso negli occhi.

Kate sentì dentro di sé una voce che la implorava che quella non fosse un'altra occasione persa, un'occasione per essere felice. E poi si ricordò delle parole che il dottor Miller gli aveva detto qualche tempo prima “Amare non è mai un errore”.

Nello stesso istante in cui la portiera dell'auto si richiuse alle sue spalle, Rick si mosse impercettibilmente per andare verso la chiesa. Fu un attimo. Kate gli prese la mano nella sua e la strinse leggermente. Rich alzò gli occhi visibilmente emozionato facendo appena in tempo a vedere una lacrima che si nascondeva nell'angolo ben truccato dell'occhio smeraldo di Kate.

 

In quell'istante, le campane iniziarono a suonare.  


Angolo dell'autrice:
Carissimi lettori,
spero che questa nuova ff che sta iniziando riscuota in voi critiche positive come sta accadendo per "Qualcosa di diverso".
Sono davvero molto soddisfatta di come sta procedendo il mio lavoro e, proprio per questo, non ho voluto farvi attendere la fine della mia prima ff (ci vorrà un bel po'!) per iniziarne un'altra di stile e tema decisamente differente.

Spero che le più sentimentali tra di voi apprezzino il taglio di questa mia storia.

Questa ff "Amare non è mai un errore" è dedicata a kateRina24, per aver dato all'amore il volto che da tempo cercavo nei miei pensieri.

kateRina24 è anche grazie te se ho deciso di ricominciare a sognare ed emozionarmi sulla "carta" e non solo...

Ancora grazie a tutti e buona lettura.

Con affetto,

Tersicore150187.

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Capitolo 2
*** Cap 2. Non posso respirare senza di te. ***


Cap 2. Non posso respirare senza di te
 
Jenny percorreva la navata con uno splendido sorriso, in una nuvola di tulle e boccoli bianchi e un abito “meringa”...chi era che aveva coniato questo termine? Ah, sì. Era l'abito di Lady Diana che era stato definito così...una nuvola bianca in pieno stile anni '80.
La ragazza si guardava intorno sorridendo in modo innaturale a tutte le persone care che aveva ai lati. Era un po’ nervosa, c’era da capirla. Castle era sempre stato amante dei matrimoni, i suoi due precedenti erano stati sfarzosi e originali, anche se abbastanza intimi. Ma in quel frangente non riusciva a fare altro che guardare Kate che avanzava davanti alla sposa e sorridere. La ammirava rapito. Probabilmente non aveva mai fatto da damigella, o forse questa era un’altra delle cose che non gli aveva mai raccontato. Era perfetta, ma il suo ruolo migliore sarebbe stato un altro. Incedeva elegantemente con passi lenti e misurati, sorridendo in maniera timida, non esagerata, né nervosa, naturalissima, con il volto lievemente chinato su un lato come se volesse atteggiarsi proprio da musa ispiratrice. Sembrava una donna d’altri tempi, la sua eleganza pareva non appartenere a nessun epoca, pensò lui, poeticamente.. L’abito di Kate era un giallino chiaro, molto delicato, le donava con la pelle abbronzata e i capelli castani e in più era dello stesso colore del tailleur di Lanie, che, essendo di colore, stava particolarmente bene vestita con quei toni. Erano le damigelle, ma Lanie, dopo aver scelto il tailleur per sé, si era rifiutata che l’amica lo prendesse uguale. Erano troppo diverse, Kate non avrebbe potuto essere più splendida che in quell’abito lungo di seta e Lanie e Jenny avevano dato indicazioni alla sarta appositamente. Inoltre Kate precedeva la sposa con le nipotine di Ryan ai suo lati, mentre Lanie era entrata con il corteo già prima, al fianco di Esposito.
Castle pensò che era stato carino mettere Kate con quelle due bambine biondissime vicino, sembrava una specie di fata, una creatura magica.
Solo un dettaglio. Come dicevo l’abito era di un bellissimo colore, non era un giallo canarino, ma uno molto pallido, quasi dorato.
Già, peccato che Rick lo vedesse completamente bianco.
 
Kate se ne stava seduta con il piccolo bouquet sulle gambe ripensando alle sensazioni provate fino a qualche istante prima. Gli occhi, quegli occhi che sentiva sul suo corpo, accarezzarle il collo, le spalle velate da un sottilissimo strato di tulle morbido, la schiena…a momenti cercava di riaversi da quei pensieri, concentrandosi sulla funzione religiosa. Ma tutto quello a cui riusciva a pensare era lui. A cosa stava pensando, se la stava guardando, cosa provava dentro di sé, forse le sue stesse travolgenti emozioni. Moriva dalla voglia di girarsi indietro e guardarlo, ma sapeva che sarebbe stato l’equivalmente di alzarsi in piedi sulla sedia e gridare a tutta la chiesa “Io amo Richard Castle!”. Ogni suo piccolo gesto era come un messaggio a caratteri cubitali per tutte le persone che aveva intorno e che, per il suo bene, per il bene di entrambi, non avevano smesso per un solo istante di credere che quei due avrebbero dovuto mettersi insieme e non lasciarsi diciamo…per tutta la vita. Doveva stare attenta perfino a come respirava. Ma nell’istante in cui posò gli occhi sull’altare vide l’unica persona che non avrebbe voluto vedere appoggiare entrambe le mani al leggio e sollevare lo sguardo fin dritto nei suoi occhi.
 
“Carissimi amici” si dovette schiarire la gola, l’emozione era troppo forte “siamo qui riuniti oggi, insieme al reverendo Campbell, ministro della chiesa, per celebrare la sacra unione tra Kevin e Jennifer. Permettetemi, prima di pronunciare il solenne discorso che ho preparato, di ringraziare i miei due carissimi amici, per l’onore che mi hanno concesso, chiedendomi di parlare qui, oggi, a questa festa per loro così unica e importante. Kevin, Jenny, per quante parole io abbia scritto per gli altri nella mia vita, non mi sono mai sentito più onorato ed emozionato di oggi.”. guardò i due sposi e pronuncio un “thank you” sulle labbra. La commozione era fortissima. Tutti nella chiesa tenevano il fiato sospeso. Pensavano ai due sposi e al loro amico sull’altare, che guardava la donna che amava seduta davanti a lui, col viso immerso fra i suoi fiori.
 
“Di solito io mi comporto come un ragazzino. Faccio un sacco di sbagli, errori a volte anche gravi, perché cerco scorciatoie nella vita, che mi portino lontano dalla solitudine che a volte sento.” Rick abbassò la testa sul leggio con un’espressione triste, si vergognava, ma voleva ammettere davanti a tutti quanto lo facesse soffrire il non riuscire ad essere sempre quello che gli altri avrebbero voluto. Quello che Kate avrebbe voluto. Un uomo serio, che restasse dentro gli schemi. Uno scoglio sicuro, non un surf pazzo tra le onde. “Ma oggi, pur cercando di non abbandonare il mio lato comico che potrebbe ritornarmi utile” sorrise imbarazzato “voglio dedicarvi le mie più serie e più sincere parole sull’amore”. In qul momento alzò lo sguardo verso Kate e cercò i suoi occhi. Dovette fare una lunga pausa. Gli mancavano le parole.
 
“L’amore è la cosa più importante che esista al mondo. Non c’è qualcosa che la superi, non i soldi, non la famiglia, che dall’amore stesso nasce, badate, neanche la salute. Si può guarire dalle malattie anche grazie all’amore che si riceve. Ho visto persone morire col sorriso sulle labbra perché avevano al loro fianco la persona che amavano e che li amava a sua volta. Dall’amore nascono i figli, la seconda cosa più importante che esista al mondo. Se questi due ragazzi avranno una bambina buona, dolce, intelligente anche solo la metà di mia figlia, saranno due genitori stra-fortunati e io glielo auguro con tutto il cuore.” Mandò un bacio con la mano alla figlia e iniziò a scendere dai gradini lentamente. “Ok, non c’è bisogno che rimanga lassù per dirvi quello che voglio dire.” Mise una mano sulla spalla dello sposo, che sollevò lo sguardo verso di lui non comprendendo, un po’ curioso. “Vedete, guardatevi intorno. Girovagate con lo sguardo in tutta la chiesa…qui dentro ci sono tantissime persone che si amano. Alcune hanno trascorso tutta la loro vita insieme, altre non si sono ancora dichiarate, altre si stanno cercando e si sono mancate così tanto da non riuscire quasi a respirare per il dolore e non se lo sono mai detto, o forse lo stanno facendo.” Si voltò in maniera molto chiara in direzione di Kate e la guardò. “Molte persone morirebbero per qualcuno qui dentro.” Prese tutto il coraggio che aveva e tornò a guardare verso il suo uditorio. “Io, per esempio, sarei disposto a morire per almeno due persone che si trovano qui fra di voi…non è poco…” poi si voltò verso Martha che lo ascoltava con un enorme sorriso. “Beh, diciamo tre. Non vorrei fare un torto alla più grande attrice di tutti i tempi” e le baciò la mano galantemente. Tutti risero. Jenny iniziò a piangere. Rick andava davvero oltre le aspettative di tutti. Prese un fazzolettino di stoffa dalla sua tasca, si avvicinò alla sposa e si sedette sul gradino ai piedi della sua sedia. “Jenny, tesoro, non piangere! Non puoi, anzi non devi!” le porse divertitò il fazzoletto e continuò “Cosa può esserci di meglio per te? Hai trovato la persona che ti riempirà d’amore per tutta la vita, l’uomo che ti rimboccherà le coperte, che ti starà vicino quando avrai la febbre o peggio il mal di schiena per il pancione, l’uomo che ti regalerà diamanti per il tuo compleanno…beh…almeno per i primi anni!” Jenny rise forte tra le lacrime stringendo la mano di Rick e guardò il marito con un sorriso dolce ed emozionato. Rick continuò “Non è così Kevin?” “Ci puoi scommettere amico!”. “Ragazzi, cosa dovrei dire adesso? Che la vostra vita sarà tutta rose e fiori?” si alzò verso gli ospiti e con le braccia alzate disse “signore e signori, se c’è qualcuno qui che pensa che la vita sia tutta rose e fiori alzi la mano!”. Ancora risate. Tra tutte, quella silenziosa di Kate che gli perforò il cuore come un dardo di Cupido. “Sarei un ipocrita se vi riempissi di parole smielate e inutili. Non ricordo neanche più che cosa avevo scritto su quei dannati fogli.” Tornò a rivolgersi agli sposi “Tutto ciò che mi viene in mente in questo momento è che siete fortunati. Siete davvero fortunati oltre ogni immaginabile aspettativa. Vedere nei vostri occhi l’amore comprensivo, paziente, dolce, passionale che provate l’uno per l’altra mi riempie di commozione. Siate disposti a morire l’uno per l’altra ragazzi, chinatevi verso il basso quando l’altro non riesce a raccogliere qualcosa dal pavimento, alzatevi sulle punte dei piedi quando volete indicargli col dito quanto è lontano il cielo, siate l’uno gli occhi dell’altro, le gambe, le braccia, la forza. Aiutatevi sempre, per tutta la vita. Siate amici. Ridete! Ridete insieme ogni volta che ne avete l’occasione, ogni volta che la vita non vi regala un boccone amaro. Scherzate, tanto, sempre, anche mentre fate l’amore! Si può dire vero padre?” disse rivolto al reverendo, che alzò le braccia al cielo sconsolato, ma divertito anche lui. “Dal momento in cui avete trovato la persona che amerete per tutta la vita, da quando lo avete capito che quella persona era quella giusta, la sola, l’unica…” mentre pronunciava queste parole rivolto agli sposi Rick sentì una mano invisibile afferrargli la spalla e lentamente farlo girare proprio in direzione di Kate, che non gli riusciva a togliere gli occhi di dosso. “…da quando avete smesso di desiderare di respirare se la vostra aria non fosse stata lei…” la voce gli si spezzava in gola “…da quando riuscite a sorprendervi per quello che provate che cresce ogni giorno di più e ogni giorno credete che smetterà di crescere e non è mai così, da quando vi stupite di ogni suo gesto come se fosse il primo, da quando tutte le canzoni hanno improvvisamente senso…la vostra vita è irrimediabilmente cambiata, voi siete cambiati, non siete più le persone che eravate, come se foste nati una seconda volta. E se credete che questa sensazione di provare di più, di più e ogni giorno di più, presto svanirà, smetterà, cambierà col tempo, vi sbagliate. Siete legati da questo sentimento per tutta la vostra vita. Always.”
 
In quell’istante gli occhi di Kate si fecero vivi, come se si fosse risvegliata dal coma. In un soffio si alzò dal suo posto con le mani che le tremavano, si aggrappò alla piega della seta sulla sua gamba e uscì in fretta dalla porta laterale della chiesa sotto gli occhi di tutti.



Angolo dell'autrice:

Carissimi tutti,
voglio solo scusarmi per tutto il tempo che faccio passare tra un capitolo e l'altro. Sono in una fase un po' piena della mia vita, qualcuno di voi già lo sa.

In secondo luogo vorrei dirvi che ho deciso, dal momento che il titolo del primo capitolo era, evidentemente, un omaggio ad Hemingway, di usare per ogni capitolo una frase di un poeta. In calce vi dirò di chi si tratta.

Questa volta  è tratta dalla poesia "Senza te" di John Keats.

Infine vorrei ringraziare kateRina24 e madeitpossible per la loro squisita consulenza.

Sempre in attesa delle vostre splendide recensioni,
vi abbraccio forte.

Tersicore150187

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Capitolo 3
*** Cap 3. Così ti amo perchè non so amare altrimenti. ***


Cap 3. Così ti amo perché non so amare altrimenti
 
Kate stava appoggiata con la mano ad una colonna nel bellissimo patio che costeggiava la chiesa. L’altra mano la teneva appoggiata sul cuore come se temesse che da un momento all’altro potesse saltarle fuori dal petto. Aveva il battito molto accelerato e il respiro affannoso, le iniziava anche a girare la testa. Sperava di non svenire. Perché? Continuava a domandarsi. Perché lui aveva voluto colpirla in quel modo? Perché quelle parole lei le aveva sentite come se le arrivassero fin nel profondo del suo animo….era questa la risposta che si stava dando, mentre si guardava le scarpe. Lanie arrrivò alle sue spalle con tutta la fretta che poteva avere una donna con una gonna strettissima e un paio di scarpe tacco 12. Le mise una mano sulla spalla. “Tesoro…”. In quell’istante la spallina di brillanti che adornava la scapola di Kate si staccò. La donna la bloccò con la mano, poi si voltò verso l’amica e con il volto teso e gli occhi lucidi disse “Maledetta spallina”.
 
Mentre la mano di Lanie la conduceva verso il guardaroba, Kate ripensò agli istanti precedenti. Si era dovuta alzare necessariamente, oppure quello che sarebbe accaduto un attimo dopo avrebbe lasciato tutti di stucco. Le sue lacrime. Stava per piangere ma, benchè questo sembrasse un ostacolo aggirabile, essendo nel bel mezzo di un matrimonio durante il quale più o meno metà degli invitati avrebbero o avevano già pianto, non poteva, poiché tutti si sarebbero accorti che le sue lacrime non erano di emozione. Si sentiva male. Sentiva i singhiozzi e le urla di disperazione e frustrazione prendere forma nel suo stomaco e prepararsi a raggiungere la gola e il viso. Sentiva mancarle l’aria, le veniva quasi da vomitare. Se fosse rimasta seduta su quella sedia, investita da quella forza del sentimento che lei profondamente desiderava ma che non sapeva come accogliere, in breve tempo avrebbe dato tanto scompiglio che si sarebbe dovuto metter fine alla cerimonia. Forse ci sarebbe voluta un’ambulanza, pensò lei. Si sentiva letteralmente come se stesse per avere qualcosa di simile ad un infarto.
Lanie la fece sedere su uno sgabello di stoffa davanti ad una specchiera. Era una stanzetta deliziosa, era lì che probabilmente le spose si fermavano a concentrarsi prima di fare il loro ingresso. Kate si voltò di spalle e quando sentì le mani della amica che, in silenzio, le aggiustava la spallina, alzò gli occhi e vide uno stupendo vaso pieno di fiori. In un istante le venne in mente quello che lei aveva scagliato per terra durante il loro litigio, mesi prima. La rabbia glielo aveva fatto scagliare via col braccio e una scheggia le aveva ferito il polso. “Kate!”. Le ritornò in mente la sua voce piena di paura, di preoccupazione, di cura per lei. Le ritornò in mente il tocco della sua mano sul suo taglio e la sensazione di sentirsi scoperta, vulnerabile. Lei non poteva permettersi di perdere un’altra persona a cui teneva, e questo equivaleva a non avere nessuno di importante vicino. Nessuno che, poi, non potesse essere più sostituito. Ma si stava battendo contro qualcosa più grande di lei, la forza del vero amore e quella sensazione era impossibile a sostenere. Le lacrime iniziarono a scorrerle da sole. Non riusciva a parlare. Sentì il suono dei suoi singhiozzi e le mani di Lanie che, tremanti, si staccavano dalla spallina e le avvolgevano le braccia. Si guardarono. Anche l’amica aveva gli occhi lucidi e la guardava con un’espressione sofferente senza parlare. “Lanie…” “Lo so, Kate.” Le disse l’amica con un filo di voce. “Però ha detto delle cose stupende e soprattutto vere, devi riconoscerlo tesoro”. Lanie prese un fazzolettino di carta e tentò di asciugarle le lacrime senza rovinare il trucco, mentre Kate continuava a singhiozzare quasi senza respiro. “Sarà meglio che rientri, non possono mancare tutte e due le damigelle. Cerco di ricompormi e vengo anche io.” Lanie la guardò con dolcezza, le fece una carezza e uscì dalla stanza. Non se ne sarebbe mai andata lasciando la ragazza sola, se non avesse intravisto, nello spiraglio aperto della porta, Rick che le guardava distante pochi passi. Lanie uscì, tenendo la porta alle sue spalle col braccio, gli si avvicnò e gli sorrise posando una mano sulla sua “Bel discorso scrittore”. Rick si sentì un po’ rassicurato e sorrise come un ragazzino adolescente che sta per incontrare la sua accompagnatrice al ballo. “Grazie”. Le strinse il braccio e aprì piano la porta.
 
 
 
Kate sentì la sua presenza alle spalle, non riuscì a spiegarsi come, ma la sentì. Sollevò il viso fino a pochi istanti prima affondato nelle mani e guardò nello specchio davanti a sé. Vide la sua immagine davanti alla porta che la guardava nel riflesso. Nei suoi occhi poteva leggere rabbia e frustrazione, un dolore profondo, quel dolore che si prova solo quando si ama a tal punto da sentirsi spezzare l’anima. Questo la fece tremare di paura. Paura di averlo ferito irrimediabilmente, paura per se stessa, per come avrebbe reagito a lui. Lo guardò attonita nello specchio immobile. Poi rapidamente distolse lo sguardo fingendo di prestare attenzione al suo trucco, un’attenzione che non c’era. “Vai via per favore Castle, voglio stare da sola”. Lo disse senza tono, senza espressione. Non voleva ferirlo ancora, ma la paura che provava le impediva di avvicinarlo, di lasciarsi andare, specie dopo le parole che aveva sentito. Per lei sarebbe stato molto più semplice vedere che lui si era consolato con una attricetta da quattro soldi. Sì, perché questo l’avrebbe delusa al punto da farle credere che l’uomo di cui lei si era innamorata non esisteva, che Castle in realtà era solo un bambino viziato. Invece quell’uomo ora era proprio alle sue spalle e le stava stringendo le braccia con le sue mani. “Kate…”.
Stettero così per un istante. Lei seduta immobile con gli occhi serrati e lui alle sue spalle stringendole le braccia, perquisendo ogni singolo lembo di pelle sotto i palmi avidi delle sue mani, respirando il profumo dei suoi capelli. Come se dovessero recuperare un tempo infinito, un tempo in cui non erano stati insieme e si sentivano perciò denutriti e stanchi.
Lei si alzò fredda, cercando di non cadere in quell’abbraccio ma senza una forza vera che la facesse opporre a quel corpo. Lui la girò verso di sé, facendo appena in tempo a vedere le lacrime sul viso che Kate nascose voltandosi di lato. “Perché mi stai facendo questo Rick?” era quasi un’implorazione. Lui la guardò ancora sentendosi morire per quella vicinanza.
“Non posso fare altrimenti, non capisci? Kate io…”
“No…” la sua voce si ruppe in pianto, lo stava pregando di lasciarla andare con l’unico risultato di affondare sempre di più senza fiato e con tutte le sue lacrime fra le sue braccia, sul suo corpo. “Perché fai così Kate? Cos’è che ti spaventa tanto? Ti prego…smettila di scappare via da me…affronteremo questa cosa insieme…”. Quella parola, insieme, la fece sussultare e singhiozzare ancora di più. “Non potrò mai renderti felice Rick, non lo capisci?”. Lui non ne poteva più. Le prese il mento con due dita e sollevò quel volto verso il suo. Incatenò i suoi occhi lucidi a quelli di lei, persi nel pianto. “Mio Dio Kate…se solo tu sapessi quanto mi sei mancata…quanto mi sono mancati i tuoi occhi, le tue labbra, i tuoi capelli…il tuo profumo…”. Non udì più nulla da quelle labbra, ma gli occhi di lei lo imploravano di lasciarla andare anche se la sua anima gridava di non allontanarsi mai più da lei e lui la poteva chiaramente sentire.
Le accarezzò una guancia con infinita dolcezza e, come un flash, al tocco delle sue lacrime gli tornò in gola tutto il dolore di quesi mesi, l’agonia provata per quella atroce mancanza. Non ne poteva più. La sollevò dalle braccia con forza, facendole quasi male. Si avventò sul suo viso annullando la distanza tra le loro bocche. Le prese il labbro tra i denti e glielo morse leggermente, trattenendo la sua forza che cercava di esplodere, iniziò a morderla come se volesse torturarla, la bocca, la pelle intorno alle labbra, le guance il collo. Lei si lasciò sfuggire un gemito di eccitazione, di stupore ma anche di dolore. Il dolore che provava dentro nel vedere il profondo amore di quell’uomo tramutarsi in angoscia e rabbia. Lui si staccò da lei sconvolto. La guardò negli occhi e lesse tutta la sua paura. Si allontanò immediatamente, ansimando. “Tu mi hai reso felice Kate. Lo hai fatto in passato molte volte. Ma ora mi stai facendo impazzire. Credo che non dovremmo vederci più.”
Così dicendo uscì tirandosi dietro la porta e lasciando Kate distrutta, ma senza più lacrime.

Angolo dell'autrice:

Carissimi,
dopo lunghe attese eccovi il terzo capitolo. 
Abbiate un po' di pazienza con me, cercherò di diventare più costante e non farvi soffrire troppo per l'attesa.

Il titolo di questo capitolo è tratto dal sonetto XVII di "Cento sonetti d'amore" di Pablo Neruda.

Se ci sono titoli di poesie o frasi che vi piacerebbe vedere come titoli dei prossimi capitoli segnalatemeli pure!

Vi ringrazio sempre per l'affetto con cui mi seguite.

A presto,

Tersicore150187.

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Capitolo 4
*** Cap 4. E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore che non sia vero. ***


Cap 4. E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore che non sia vero.
 
“Sembra non aver versato nemmeno una lacrima”. Sì scoprì a dirlo ad alta voce, quando invece credeva di averlo solo pensato. Lo sguardo eloquente di Martha lo fece quasi sorridere. “Una donna volte dietro un trucco perfetto cela il più grande dei dolori, figliolo. Non lasciarti ingannare dalle apparenze”. Si sentiva più calmo. In quei mesi si era allenato a rilassarsi in situazioni nelle quali credeva sarebbe morto dal dolore. Sapeva andare avanti, nel corpo e nei panni di quel signore senza emozioni che ormai era suo amico. Bastava starle lontano a sufficienza.
 
“Kate! Oh Kate grazie!”. La voce di Jenny era quella di una donna estasiata e…melensa, assolutamente. Kate la abbracciò. La luce che entrava dalle finestre del grande salone la fece risplendere come una stella agli occhi di Rick che stava scherzando con lo sposo in attesa del fotografo. Quel posto era stupendo. Tutto il matrimonio era semplice ma ben organizzato, le decorazioni floreali che facevano da tema davano un’aria di dolcezza a tutta la sala e l’atmosfera era calda e affettuosa.
“Ciao Kate”. La donna si voltò e dopo pochi istanti si ritrovò nell’abbraccio di Martha e sotto il suo sguardo dolce e protettivo che le chiedeva come stesse e che leggeva perfettamente nei suoi occhi tutte le bugie che la donna le stava rifilando, annuendo come solo una madre sa fare. La domanda su Alexis non si fece attendere. Martha le disse che era in qualche angolo del giardino a giocare con le nipotine di Ryan e che aveva aspettato a lungo che la folla scemasse davanti alla chiesa per correre ad abbracciarla ma, nella confusione, non era riuscita a trovarla. Certo. Perché Kate aveva impiegato un bel po’ per riaversi dall’emozione della “cerimonia” e aveva ben pensato di raggiungere gli altri in taxi, da sola. “Sai Alexis è esattamente come suo padre. Quando era piccolo, nelle sporadiche riunioni di famiglia a cui andavamo ogni tanto dai miei parenti, lui raccoglieva tutti i suoi cugini più piccoli intorno a lui per farli giocare. Col tempo iniziò a raccontare loro storie fantastiche e così ci agiudicammo un invito fisso ad ogni festeggiamento. Peccato che spesso non potevamo andarci a causa del mio lavoro e così Rick è cresciuto solo, proprio come Alexis”. Quest’ultima parte della frase la disse con una punta di tristezza nella voce. Se voleva imprimere un’immagine di infinita dolcezza nel cuore di Kate ci era appena riuscita. Cuore di mamma.
Spinta da quella strana sensazione Kate gli si avvicinò. Si guardarono per un attimo e Rick ebbe l’impressione, nonché la speranza, che lei gli stesse per dire qualcosa. Nel momento in cui lei tentò di aprire bocca, si udirono le urla concitate della sposa che annunciava l’arrivo del fotografo. Era un destino essere interrotti, ma almeno quello sguardo aveva sciolto in parte il gelo che Kate sentiva dentro al suo cuore.
 
Dopo le fotografie, a volte fianco a fianco, l’aperitivo, il pranzo, fatto di occhiate fugaci e sentimenti ben noti nei cuori di tutti, la serata divenne languida e gli animi si calmarono, dando spazio a dei festeggiamenti più tranquilli, ma non per questo meno sentiti. Qualcuno dei parenti iniziava ad andare via, lasciando regali, prendendo bomboniere infiocchettate, baciando le guance consunte degli sposi, ringraziando per la bellissima festa.
“Si davvero, è stata una festa splendida” disse Kate rivolta agli sposi, riprendendo le parole di una zia che andava via salutando. Sentire quella voce calma, serena, divertita, fu per Castle come un bagno in acqua fresca, una ventata di gioia profonda che gli fece chiedere come lei potesse pensare di non poterlo rendere felice se solo la sua voce gli provocava quella sensazione di infinito benessere. Lui la guardava perso mentre lei ad un tavolo poco lontano si era appartata a chiacchierare con Alexis. Erano state poco insieme durante la giornata. Si erano mancate reciprocamente. Kate si sentiva sempre commossa dalla spontaneità infantile di quella piccola donna, nonché dall’affetto che questa provava per lei. E Alexis la venerava. La prendeva da esempio, aveva sempre voglia di raccontarle le cose che le succedevano e sentiva che Kate la ascoltava veramente. Sentiva che le cose che lei diceva le interessavano davvero. Non poteva essere altrimenti. Entrambe, di riflesso, si amavano attraverso lui, attraverso l’amore che lui, in due modi diversi ed unici, aveva riservato esclusivamente a quelle due donne.
 
Rick le guardò ridere e rise anche lui, ma qualcosa gli si ruppe nel petto, gli si incresparono le labbra e una lacrima gli rigò il volto. Caspita quello sì che era un dolore. “Non mollare”. La voce un po’ corretta dal Martini della madre aveva vaticinato il suo oracolo.
In quel momento l’orchestra ricominciò a suonare.
 
“Chi delle due mi concede l’onore di questo ballo?”.
Castle risolse così il suo enigma, con il suo solito fascino e la sua inconfondibile ironia ed ilarità dietro la quale aveva oramai imparato bene a nascondere un uomo dalla profonda sensibilità e capacità di amare. Era sicuro della complicità della figlia e, diversamente, avrebbe comunque ballato con una delle donne per cui era disposto a dare la sua vita.
“Scordatelo papà! Sai Kate, quando papà si è sposato con Gina io mi sono presa un virus e sono stata malissimo per tutta la cerimonia…”
“Povera piccola, ha avuto la febbre e ha rimesso tutto il pomeriggio” disse Castle guardando la figlia teneramente.
“Chissà Castle, forse aveva intuito che la sposa non era una santa e voleva inscenare un sabotaggio”
Kate non perdeva colpi, pensò lui. Ma gli sembrava ancora più bella.
“È esattamente quello che ho pensato mia cara detective, ma questo non mi ha impedito di passare metà della cerimonia nella camera d’albergo sul letto insieme a lei a tamponarle la fronte…”
“E poi abbiamo anche ballato, ma da allora io odio ballare ai matrimoni…lo farò solo quando mio padre si risposerà. Credo che questa volta toccherà a te” concluse Alexis, non specificando se si riferisse al ballo o al matrimonio. Guardò il padre dolcemente e lui la abbracciò riconoscente e fiero di lei e delle sue parole. Subito dopo Alexis diede un bacio a Kate sulla guancia e si allontanò lasciandoli soli.
“Allora…ti va’?”
 
Trovarsi ad ondeggiare sulla pista fra le braccia di Castle era una sensazione indefinibile. Era davvero indefinibile, cioè Kate non sapeva definirla. Non sapeva se stava bene, se era felice, triste, soffrente, emozionata. Provava tutto. Mille cose insieme che facevano battere il suo cuore fortissimo, che di più non si poteva. Lui la avvicinò ancora a sé, stringendola. Non voleva perdersi quell’attimo, quella chance che si era guadagnato e che, per quel che ne sapeva, poteva essere l’ultima. Lei provò a dire qualcosa. Voleva scusarsi per la sua freddezza, dirgli che magari, un giorno, avrebbero potuto prendersi un caffè insieme e parlare, parlare di tante cose. Ma lui la zittì con dolcezza. “Non dire niente Kate, ti prego”. Questa volta era la sua voce ad essere implorante e lei capì, ancora una volta, quanto lui stesse soffrendo. “Voglio solo stare così, abbracciato a te in mezzo a questa pista, sotto queste luci magiche che ti fanno sembrare ai miei occhi più bella e scintillante di quanto tu non lo sia mai stata. Non facciamo niente di male. Siamo solo al matrimonio di Ryan e Jenny, e stiamo ballando innocentemente, come due amici, come due persone che si vogliono bene.” C’era una tristezza infinita nella sua voce. Ma anche una tensione, un desiderio di non perdere quell’attimo, quel dono che sentiva di aver ricevuto.
“Ti prego, restiamo così”. Pronunciando quelle parole la strinse delicatamente e lei sentì un brivido percorrerle la schiena. Si lasciò portare in quel ballo, appoggiando la sua testa poco sopra la spalla di Rick e tenendogli la mano. Era una sensazione indefinibile, ma, qualsiasi cosa fosse, lei era certa di non aver mai provato un’emozione più bella in tutta la sua vita.
 
Dopo vari bicchieri e molte risate si guardarono intorno accorgendosi che la festa era definitivamente giunta al termine. Tutti si sentivano un po’ stanchi, anche per la tensione accumulata. Jenny e Ryan si guardarono dolcemente e si scambiarono un bacio complice sotto gli occhi di tutti. Sul viso rosso e lievemente lucido della ragazza comparve un bel sorriso, il sorriso di una sposa innamorata. Ryan si alzo e fra l’ilarità generale prese la moglie e tutto il suo tulle bianco in braccio e barcollando si diresse verso la loro suite nuziale mentre Jenny sventolava la mano felice verso gli amici.
“Beh ragazzi, non so voi, ma io sono in piedi dalle sei e se mi ci è voluta una vita per stuccarmi in questo modo e acconciarmi la testa come un ananas, ci vorrà poco meno per levarmi tutto questo di dosso, forcine e boccoli compresi!” facendo la sua arringa Lanie si alzò pigramente dalla poltrona ammiccando allusivamente verso Esposito che la guardava con i suoi tipici occhi da cucciolo. “Andiamo a casa?” le chiese con un sorrisetto. “Vengo anch’io con voi” esclamò Kate. “No!” Lanie quasi la interruppe. “Cioè, tesoro, vedi noi non stiamo andando a casa. No, andiamo a bere qualcosa”. Kate la guardò con l’aria di una che ha già capito tutto. “Va bene, mi sembrava di aver capito che fossi stanca. Evidentemente mi sbagliavo” le rispose con un sorrisetto eloquente. “Non ha importanza, prenderò un taxi”. “Beh, credo che qualcuno ti farà compagnia, dopo che il suo autista lo ha mollato qui”. Kate si voltò alle sue spalle sentendo la voce di Esposito e guardò Castle che, ancora comodo sul divano con un bicchiere di brandy in mano disse “Touchè” con uno sguardo alquanto imbarazzato. Non gli dispiaceva affatto fare un po’ di strada con lei ovviamente, ma si sentiva a disagio perché la mossa complice degli amici non aveva tenuto conto degli ultimi eventi della giornata di cui, evidentemente, non erano al corrente. Si sbagliava. Lanie dopo aver stretto la sua amica in lacrime fra le braccia, poche ore prima, si era ripromessa che, a costo di costringerla, le avrebbe fatto trascorrere un po’ di tempo da sola con Castle e quella sembrava un’occasione da non lasciarsi assolutamente scappare.



Angolo dell'autrice:
Carissimi,
non aggiungo altro voglio che le mie storie parlino da sole.
Il titolo è costituito dai due versi iniziali di una poesia di Pedro Salinas.

Grazie a tutti.
Un abbraccio
Tersicore150187

 
 

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Capitolo 5
*** Cap 5. E io allora mi volsi a te, orgogliosa stella della sera. ***


Cap 5. E io allora mi volsi a te, orgogliosa stella della sera.
 
La sera era scesa placida su New York, ornando di goccioline le superfici che fino a poche ore prima avevano goduto del sole di quella splendida giornata estiva. Come in tutte le fiabe che si rispettino, al canto degli uccellini del mattino si era avvicendato un cielo trapunto di stelle e tutto intorno l’aria era fresca e profumava di fiori. Il giardino della villa sembrava un paradiso illuminato da quelle lampade chiare e dalle candele. Castle si domandò perché mai i due amici avevano scelto la cerimonia di giorno. Lui amava la sera, la notte. Gli piaceva il modo in cui l’oscurità cullava le figure rendendole in parte misteriose, in parte vellutate sotto il tocco dei raggi di luna. Il fresco dell’aria contrastava con il calore e l’euforia che gli scorreva nelle vene per la festa, per il vino, per lei. Se ne stavano in silenzio all’ingresso, lui fermo al suo fianco non potendo fare a meno di fissarla, lei intenta a coprirsi le spalle con una stola e a sistemarsi i capelli che, durante la giornata avevano preso un po’ varie forme. Castle sentì la sua mano muoversi verso il viso di Kate e la sua bocca aprirsi e sperò per un istante che il suo corpo ribelle bloccasse quella rivoluzione che il suo cuore aveva messo in atto contro il cervello. Bloccò la mano non appena ci riuscì e in cambio ottenne uno sguardo di lei, profondo, come se i suoi occhi si fossero in un istante tramutati nelle ali di una farfalla, nei petali di una viola o nelle piume di un pavone. Lui voltò la testa e abbassò lo sguardo sempre più triste, sentendosi scoperto, assecondando quel brandy che gli si spandeva dentro e contando i minuti che lo separavano dall’arrivo a casa. Kate fu colpita da quel gesto e gli bloccò la mano con la sua. Esattamente come quella mattina all’ingresso della chiesa, i loro occhi parlarono da soli. “Posso?” le chiese lui con tutta la paura che aveva di sentirsi rispondere di no. Lei annuì leggermente abbassando la testa con un lieve imbarazzo, pur non avendo affatto idea di cosa lui volesse fare con quella mano così pericolosamente vicina. Castle sorrise debolmente, poi appoggiò la mano sulla sua nuca e risalì infilando le dita fra i capelli di Kate. Dovette trattenersi dallo stringere quei capelli nel suo pugno e spingere il suo viso contro di lei. Sentì nel suo cuore una infinita tenerezza per quel gesto e si lasciò guidare. Aiutandosi con l’altra mano trovò i piccoli agganci e li liberò piano, sfiorando con la punta delle dita la testa di lei, il bordo del suo orecchio, la rima della fronte, il collo. Con dei piccoli movimenti riuscì a liberare completamente la chioma che in quei mesi aveva continuato a crescere e, pensò lui, ora la rendeva così diversa dal giorno in cui si erano conosciuti. Le accompagnò i capelli lentamente sulla spalla, lasciando solo sul lato quel fiore che faceva il paio con quello al suo occhiello. Le mostrò la mano aperta con le forcine nel palmo. “È molto meglio così”. Le sue parole sembravano dissipare il buio delle paure di Kate, sembravano dirle che non aveva bisogno di attorcigliarsi i capelli per essere incantevole, per sentirsi adeguata.
Gli chiese “Come hai fatto?”. Lui capì che lei non si riferiva ai capelli. Si riferiva alla sua vita, a quanto era cambiata, sconvolta, diversa. Migliore. Decisamente. Perché entrambi sapevano che emozioni così pure non erano mai esistite nella vita di Kate Beckett prima del loro incontro, perché quel poco di puro che c’era in lei a 19 anni, la madre se lo era sepolto con sé nella tomba. Lo capì e avrebbe voluto semplicemente risponderle che non aveva fatto nulla. Che si era semplicemente ritrovato ad amarla giorno per giorno, così come, quando era nato, si era trovato a respirare l’aria e non più a ciucciare liquido amniotico nella pancia della mamma. Era accaduto naturalmente perché doveva accadere. Era giusto, era bello e, soprattutto, lui non poteva farne a meno.
Le sorrise e le disse semplicemente “Alexis. I suoi capelli sono passati nelle mie mani in ogni forma”. Un’altra cosa da scoprire di lui. Un altro dettaglio che le mancava di quel puzzle. Un’altra piccola sorpresa della vita.
 
Rick si voltò verso l’ingresso della villa. “Mi aspetti qui un attimo? Faccio chiamare un taxi”. “Castle ti..andrebbe di fare due passi?” gli rispose lei con un attimo di esitazione. “Certo”. Lui si sforzo di non farsi aspettative, di non nutrire le speranze che nel suo cuore stavano a bocca aperta disperandosi affamate come demoni. Si sforzò di credere che lei aveva solo voglia di camminare, di godersi quell’aria limpida e tersa e che forse, l’idea di stare seduta vicina a lui, in silenzio, sul sedile posteriore di un taxi non la allettava. Ogni tanto si sorprendeva a fare pensieri pessimistici. Si disse che era un buon modo per proteggersi, per non farsi ferire dai duri colpi che la detective era solita infliggerli nell’ultimo periodo.
“Sono stata molto male, sai”.
La sua voce era debole, incerta, vera. Lui si voltò a guardarla senza dire niente, mentre lei cercava nell’incedere cadenzato dei loro passi sui ciottoli del viale, un ritmo rassicurante che la aiutasse ad aprire il suo cuore.
“Dopo che te ne sei andato intendo”. Kate tentò di usare il tono più dolce che aveva. Se c’era qualcuno a cui addossare le colpe di aver mollato non era certamente lui, ma solo se stessa.
“Kate io non me ne sono andato di mia volontà”. La sua voce era un sussurro, ma era sicura. Lui non poteva non difendere lo strazio che era stato “doversi” allontanare da lei.
“Lo so”.
Lei riprese fiato e corrugò la fronte come se stesse cercando la concentrazione per trovare le parole da dire, mentre davanti a loro si apriva il lungo viale che portava fuori dalla villa.
Castle si portò una mano al collo e sentì qualcosa che gli serrava la gola, ma si sforzò di continuare ad ascoltarla. Quel momento era troppo importante. Era da troppo tempo che lui lo aspettava. Si appoggiò al parapetto col fianco, guardò un attimo la città che si stagliava in lontananza e poi tornò a rivolgersi a lei, in attesa.
“Ho solo cercato di fare la cosa più giusta. Per entrambi”.
Lui rise amaramente. Poi senza neanche guardarla negli occhi disse quello che non poteva più trattenere “Sono così arrabbiato con te Kate, così furioso…che tu faccia del male a me lo sopporto, l’ho fatto, lo farò ancora. Ma tu stai ferendo a morte una delle persone a cui tengo di più al mondo, te stessa. E questo io proprio non lo posso accettare”.
Kate sentì un forte dolore al centro dello stomaco e provò a far uscire dalla sua bocca parole che non nacquero mai. Avrebbe voluto piangere, urlare, lasciar andare tutta quella frustrazione che sentiva, invece era paralizzata e tutto quello che riusciva a provare era il forte dolore che dall’addome le si irradiava al petto, al collo e su verso la testa. Si appoggiò una mano alla fronte con un’espressione sofferente e si chiese il perché. Perché quella frase che lui le aveva detto le sembrava ora così sensata, perché improvvisamente, dopo mesi di lotte con se stessa per tenerlo lontano, ora stargli vicino le sembrava l’unica cosa possibile da fare, l’unica. Perché, se lo amava così disperatamente, di quell’amore che, certamente non poteva essere un’errore, si ostinava a ferirlo e a continuare a ferire anche se stessa. Improvvisamente sentì la mano di lui che le stringeva il polso. “Parlami Kate, aiutami a capire. Non posso fare tutto sempre io, io ti ho cercata per tutto questo tempo, io ti ho parlato oggi in chiesa, io sono corso da te mentre piangevi stamattina, io ti ho fatto ballare stretta al mio cuore. Ora basta. È un’agonia che è destinata a non finire mai con te. Io voglio solo che tu sia felice…ma per quanto mi sforzi di leggere il tuo pensiero e per quanto ci riesca benissimo, in realtà non voglio e non posso fare tutto da solo. Lo capisci questo?”.
“Io…” Kate annaspava cercando il coraggio, ma si sentiva in un vicolo cieco. La sua vicinanza la stordiva, le toglieva lucidità e ogni parola che le veniva in mente le sembrava senza senso.
Lui la guardò e lesse nei suoi occhi che non era pronta. Non voleva forzarla, in fondo, una parte di sé, sentiva di averla già persa per sempre. Non aveva ragione di tenerla ancora stretta per la sua piccola ala spezzata. Doveva lasciarla cadere da sola. Doveva lasciare che imparasse a rialzarsi. Da sola. La guardò e, cercando di spazzare via tutto il male che c’era stato e c’era ancora fra di loro, le disse “Vieni, andiamo a casa”. Camminarono in silenzio fino all’imbocco della strada dove si fermarono in attesa del primo taxi libero.
 
Castle diede l’indirizzo di casa della detective al tassista e si abbandonò sullo schienale del sedile ad occhi chiusi. Lei guardava fuori dal finestrino le luci della città scorrerle davanti agli occhi e ripensava ai momenti trascorsi insieme allo scrittore, dal giorno in cui si era andato a prelevarlo alla sua festa privata, a quel maledetto pomeriggio di pochi mesi prima. “Ecco cosa si prova quando si sta per morire allora”, pensò lei. In un certo senso una parte di lei stava davvero morendo, la parte che lui aveva fatto vivere. Chilometro dopo chilometro si fece strada in Kate l’idea che il cuore di quella parte di se stessa stava lentamente cessando di battere e lei, come il miglior medico del mondo, lottava contro il male per cercare di tenerla in vita. Si voltò e vide in lontananza il suo palazzo e capì che, entro pochi minuti defibbrillare non sarebbe più servito a niente. Il suo cervello ordinò a suo braccio di muoversi e la sua mano prese quella di Castle seduto accanto a lei e la strinse forte. Uno, due, tre. Libera.
 
Il volto di Castle era poco diverso da quello di un adolescente imbarazzato alle prime armi. Gli occhi sgranati, i capelli arruffati sulla fronte, il colletto della camicia sbottonato e la cravatta larga per dare aria alla sua gola che implorava respiro. Dopo che i suoi occhi riuscirono a staccarsi da quelli languidi e ornati di rimmel della detective, si puntarono sull’uomo seduto alla guida. “Scenda la prego.” “Cosa?” rispose il tale con un evidente accento straniero. “Non so se ne è a conoscenza ma in genere a fine corsa sono i clienti a scendere e non il tassista!”. Castle frugò nervosamente nelle tasche senza staccare la sua mano da quella della donna e ne tirò fuori una banconota. “Vada a prendersi un bel panino. Gliene darò il doppio quando torna, oltre a pagarle la corsa, si intende.” “Ma…” l’uomo guardava il passeggero stupito ma fu attirato da qualcosa che luccicava “Polizia di New York, vuole farmi la cortesia di scendere dal suo taxi, o preferisce che chiami una pattuglia di rinforzi? Devo perquisire l’interno del mezzo”. Castle più stupito che mai sussurrò guardando il distintivo “Beckett ma questo non è abuso di…” “Sh!” gli intimò lei interrompendolo, mentre l’uomo scendeva velocemente dal mezzo con la banconota in mano e si dirigeva verso un chiosco sul lato opposto della strada.
Castle tentennò un istante guardando la donna che aveva riposto il distintivo e ora teneva lo sguardo basso sulle mani. “Mi sembrava importante che fossimo soli…io…” le disse.
“Hai ragione Castle”, lo interruppe lei. “Hai ragione su tutto”. Alzò lo sguardo verso di lui. “Quando cinque mesi fa sei venuto nel mio appartamento ho capito subito che volevi starmi vicino. Ma ho capito anche subito che non sarebbe stato come mi aspettavo io, che non sarebbe rimasto tutto esattamente come era, non ci sarebbero stati più solo i caffè la mattina, le telefonate, le missioni sotto copertura e le nostre parole piene di significati mai detti. Ho capito che tu eri pronto per andare avanti, per prenderti cura di me sul serio, come non avevi mai fatto prima. E non c’erano più ostacoli. Non c’erano altre persone in mezzo, né omicidi irrisolti che pendevano sulle nostre teste, insomma…non avevo più nulla dietro cui nascondermi. E mi è bastato pochissimo per capirlo, il tuo sguardo, quei fiori, così diversi da quelli che altre volte mi avevi regalato, il modo in cui mi parlavi…io…” distolse lo sguardo, ancora vittima di quella paura che non aveva il coraggio di ammettere. Ma lui glielo impedì. Con un tocco della mano, leggerissimo, la invitò a continuare a guardarlo negli occhi, le fece capire che non aveva nulla di cui vergognarsi, niente da temere.
“Io ero terrorizzata. Avevo paura di non essere alla tua altezza, di non riuscire a starti vicino come tu volevi e permettere a te di entrare nel mio mondo come desideravi. E poi, avevo paura di perderti. Perché ho capito che non ti saresti tirato indietro, che mi avresti seguita in ogni mio passo, che avresti curato le mie ferite, come questa…” lei gli appoggiò il dito sulla sottilissima striatura bianca all’interno del suo polso “…e come questa” gli sollevò la mano e se la appoggiò sul cuore. La sua voce era flebile, ma sembrava trovare forza in ogni parola. Lui non disse niente. Sapeva che quello era un buon momento per ascoltarla in silenzio. “Così ho pensato di allontanarti, dicendomi che era la cosa più giusta per me e per te. Credevo che in poco tempo te ne saresti fatto una ragione…lo speravo almeno…per te, perché volevo sapere che eri di nuovo felice”. Quello era un buon momento per parlare “Kate io…”
“No aspetta…”
“No, ti prego è importante. Tu lo sai che io temo la tua paura, perché so che è l’arma più potente che tu puoi usare contro di me, anzi contro di noi, perché è l’unico sentimento che mi impedisce di starti vicino...che…paralizza anche me, perché mi fa temere di ferirti, di forzare il tuo cuore e…Dio solo sa se non è l’ultima cosa che voglio al mondo…ma, farmene una ragione? Dimenticarti?” le accarezzò una guancia e si avvicinò a lei “Kate, per me è diventato impossibile anche solo non pensarti…”. “Rick io…non posso prometterti nulla, sarebbe come scommettere di vincere la maratona stando su una sedia a rotelle. Io non ho niente. Non ho soldi, non ho una famiglia, non ho una bella vita, al momento non lavoro nemmeno…e quando lavoravo non avevo neanche la certezza di tornare a casa viva la sera. Non ho più un corpo. A volte mi stupisco di pensare a me stessa come ad un semplice involucro, un insieme di arti e organi sui quali non ho controllo. Non ho una mente. I miei pensieri negli ultimi periodi sono…sono un vero caos…non ho certezze, nessuna”. “Ma hai sempre il tuo cuore Kate. E quello è la tua forza”. Lei gli sorrise. “Oh sì Rick, quello c’è e credimi…non avrei mai immaginato che mi desse tanto da fare…”.
Lei gli poggiò un braccio sul petto e avvicinò la sua testa che fu accolta sul torace di Castle, tra le sue braccia. Poteva sentire il suo respiro calmo sui capelli, il suo profumo. Poteva sentire quanto era bello sprofondare in quell’abbraccio, quanto era facile. Il suo corpo, fino a pochi minuti fa un estraneo per lei, iniziò a risvegliarsi fra le sue mani che lo accarezzavano percorrendolo come il sentiero che porta alla felicità. “Proviamoci Kate. Ti chiedo solo questo. Senza fretta, senza più dolore, con tutte le nostre paure, i nostri sbagli, il nostro essere imperfetti”.
Lei lo guardò negli occhi, sollevandosi dalla sua stretta. Poi disse “Proviamoci”.
Scese dal taxi e fece il giro. Lui lasciò una banconota sul sedile e scese fermandosi sul marciapiede a fianco alla portiera ancora aperta, guardandola camminare verso il portone.
Mentre si voltava i suoi capelli brillarono nella luce della notte.
“Non vieni?”
Lui corse verso di lei come un ragazzino innamorato con il cuore nel petto che gli batteva forte, forte, forte.


Angolo dell'autrice:

Carissimi,
spero che questo capitolo vi restituisca un po' di speranza e di fiducia.

Il titolo è tratto dalla poesia "La stella della sera" di Edgar Allan Poe.
Un omaggio al nostro amato scrittore da strapazzo Richard Castle.

Vi abbraccio.

Tersicore150187

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Capitolo 6
*** Cap 6. Quando il battito del cuore supera le ombre del passato, l'amore potrà trionfare sul destino. ***


Cap 6. Quando il battito del cuore supera le ombre del passato, l'amore potrà trionfare sul destino.
 
Mentre salivano le scale lui le prese la mano nella sua. Intrecciò le loro dita, sorridendo complice. Lei si voltò a guardarlo, lo vide lì, fermo in mezzo alle scale con il volto teso verso l’alto, due gradini più in basso di lei. Vide le loro mani incrociate nel buio ed incoraggiata dall’alcool che sentiva in ogni cellula del suo corpo e dalla penombra delle scale, scese un po’ più in basso e si appoggiò contro il suo petto guardandolo negli occhi. Lui quasi si sentì barcollare sotto il suo peso. Le avvolse le braccia intorno alla schiena ma, subito dopo, con un movimento veloce, mise un braccio dietro le sue ginocchia e la tirò su tenendola fra le braccia. “Castle sei impazzito? Mettimi giù!” sussurrò lei divertita. “Non ci penso neanche!”. Ora che l’aveva stretta a sé, non l’avrebbe lasciata andare mai più. Aprì la porta con una mano con la chiave che aveva rubato a Kate. Spinse col fianco la porta d’ingresso e si fermò con la donna fra le braccia in mezzo alla stanza illuminata solo dalla luce che proveniva dai vetri che si affacciavano su New York, ormai addormentata. Senza mollare la presa girò il viso verso di lei e la fissò negli occhi. Gli sembrò di arrivare fino all’anima e non potè fare altro che avvicinarsi lentamente e baciarla. In quel gesto gli sembrò che tutta la tensione, il dolore, la rabbia, fossero svanite. Provò una sensazione liquida, un benessere che lo pervase in pochi istanti. Le labbra di Kate erano mordidissime fra le sue. A stento riuscivano a riconoscere a chi dei due appartenesse un lembo di pelle, un sapore.
Poi lui lo sentì. Un lamento leggero, una voce che sembrava stare per rompersi in pianto. Qualcuno soffriva in quella casa. Si fermò all’istante e si staccò da lei interrompendo il loro contatto. Lascò andare leggermente le braccia facendo tornare Kate al suolo. Lei lo guardò e vide i suoi occhi persi e vuoti. Gli poggiò una mano sul petto, ma lui non reagì. Dei flash gli stavano tornando alla mente. Si voltò verso il pavimento e vide dei vetri rotti a terra. Tornò a girarsi nuovamente attirato da quello che sermbrava il segnale della segreteria telefonica. Vide il telefono lampeggiare e la sua voce uscire dall’apparecchio implorando Kate di rispondergli e continuava a sentire quel lamento, trasformatosi ormai in un pianto di dolore. Gli girò la testa, riuscì a sedersi sul divano, sudato. Kate corse in silenzio a prendere un bicchiere d’acqua e si sedette al suo fianco prendendogli la mano.
 
Esposito era entrato di corsa con un fascicolo in mano che aveva sbattuto sulla scrivania in modo tale che il suo partner potesse leggerne la prima pagina. Poi si era voltato verso Castle che non si era mosso da quella sedia, vicino ad una Beckett fin troppo tranquilla. Era stato tutto…strano. Avevano chiuso quel caso. Avevano chiuso IL caso. Era finita. Kate era stata al cimitero da sua madre con un gran mazzo di fiori. Lui l’aveva vista pregare. Era in piedi alle sue spalle, mentre lei era chinata sulla tomba e non poteva vederla in viso, né tantomeno le sue mani. Ma lui sapeva che lei stava pregando. Lo sentiva, e dentro il suo cuore privo di fede in chiunque, se non nel mistero della vita stessa, lui pregava per lei ogni giorno. Poi tutto aveva cominciato a scorrere normalmente, nuovi casi, nuove indagini, qualche bevuta fuori dal distretto a cui Beckett aveva sempre detto di no, inventando ogni volta qualche scusa. Solita routine. A parte il fatto che tutti si sentivano più spenti. Castle si sforzava di essere protettivo nei suoi confronti, ma lei era sfuggente. Non che non lo fosse sempre stata, ma ultimamente lo era di più. Nessuno di loro si aspettava che una volta risolto il caso dell’omicidio della madre, Kate Beckett sarebbe diventata di punto in bianco solare, dolce e sorridente. La parte dura del suo carattere ce l’aveva dentro da sempre, quella brutta storia l’aveva solo spinta a chiudersi di più. Ma così era perfino peggio. Kate non stava reagendo.
 
Montgomery entrò nella stanza con un bigliettino in mano “Beckett lo hanno trovato”. “Dove signore?” “Si è rifugiato in una baita nei pressi di Ellenville, la polizia del posto si sta già preparando ad intervenire”. “Ok, dite di portarlo qui il prima possibile” rispose la detective fermamente. “Beckett e se ci fosse il bambino con lui? Non possiamo rischiare, devi andare”. “Ma ci vorranno almeno due ore per arrivare!” “Dirò alla squadra del posto di non intervenire e soprattutto di temporeggiare se ci dovessero essere problemi”. Castle si alzò automaticamente e prese la giacca. Lei lo guardò infastidita e lui si sentì male. Capiva Beckett, capiva il suo dolore, stava male anche lui, ma stare sotto quel suo sguardo lo torturava. Nel modo più composto che conosceva disse “Vorrei tenerti compagnia durante il viaggio, se non ti dispiace”. Lei rimase un attimo sorpresa da quella richiesta così insolitamente moderata e annuì col capo, senza parlare.
 
Il viaggio di andata fu quasi completamente silenzioso. Due ore passarono dannatamente in fretta, poiché entrambi erano totalmente immersi nei loro pensieri e questo influì soprattutto sulla lingua di Castle che, diversamente dal solito, non fiatò. Si scambiarono qualche informazione sulla strada, poi, tutto ad un tratto, la detective vide una pista di pattinaggio lungo la strada e le sfuggì un sorriso. Castle se ne accorse e decise di fare di tutto pur di non rovinare quel momento. Sempre in silenzio, appoggiò la sua mano su quella della donna, che teneva la leva del cambio dell’auto. Kate si voltò verso di lui e lo guardò un istante con stupore, lui le sorrise, prima di rivolgere il suo sguardo al vetro davanti ai suoi occhi, senza spostare quella mano.
 
L’operazione fu veloce. L’uomo crollò e venne fuori che non aveva il bambino con sé. Lo aveva lasciato ad una anziana vicina di casa, a poche miglia di distanza dalla baita. Un sequestro per la custodia, finito male. C’era scappato il morto, un ragazzo che faceva da guardia all’istituto in cui il bambino era alloggiato. Nel correre via, il ragazzo aveva fermato il padre che teneva il bambino di sei anni fra le braccia, non volendo mollare la presa. C’era stata una forte colluttazione e l’uomo era riuscito a liberarsi, infilandosi velocemente in macchina col bambino, non accorgendosi che il ragazzo che aveva spinto via con forza era caduto battendo la testa. Omicidio colposo. Non era la più leggera delle accuse, ma forse l’uomo non si sarebbe lasciato sopraffare dal dolore e avrebbe lottato per rifarsi una vita, una volta uscito, per poter stare con suo figlio. Certo, restava comunque una tragedia.
 
Castle si appoggiò alla macchina alla quale era stato sempre vicino e guardò il cielo sperando che non si mettesse a piovere. Beckett scorgendo una leggera preoccupazione nei suoi occhi si affrettò ad accertarsi che tutto fosse in regola, con gli agenti del posto e in pochi minuti fu pronta per ripartire. Sarebbero arrivati in città a sera inoltrata.
 
Lui non sopportava di vedere sul viso della donna quell’espressione cupa, triste e, adesso, anche rassegnata. Dopo la chiusura di un caso come questo si sarebbe aspettato di vedere quel guizzo, quella leggera euforia che lei era così brava a celare, ma che la rendeva comunque la miglior detective della città. La gioia della vittoria. La giustizia. Il bene che trionfa sul male.
Provò a buttarla sullo scherzo. “Hey, che ne pensi di prenderci una camera in uno di quei deliziosi motel che abbiamo visto lungo la strada?” “Castle, ma sei impazzito?” rispose lei. Se non altro non aveva un tono arrabbiato, un po’ di battibecco old style ci stava per smorzare un po’ la tensione. “E dai detective, sto solo scherzando…lo so che tu sei un tipo da playroom a cinque stelle”. Kate non potè fare a meno di sorridere e rispondergli a tono e per qualche istante a tutti e due sembrò che la magia fra di loro non si fosse mai spenta. Mentre chiacchieravano ancora un po’ “animatamente” ma in maniera più distesa, la macchina iniziò a singhiozzare.
 
“Che diavolo…” Kate era visibilmente stupita. Girò le chiavi e provò a riavviare il motore un paio di volte. Niente, la macchina non partiva. Mente Castle elencava tutte le possibili cause di quella situazione inattesa, con tono irritante secondo la detective, si trovarono davanti al cofano anteriore della macchina, aperto. Kate allungò la mano e Castle la bloccò gridando “Uoh Beckett che vorresti fare? Il motore sarà bollente non puoi toccarlo!” “Castle lascia fare a me!” rispose lei evidentemente nervosa. “No, io dico solo che forse dovremmo…” “Cosa?” Kate lo interruppe con voce irritata. Non era proprio quello il momento per battibeccare, assolutamente. No Castle.
Le loro voci che si sovrastavano l’un'altra furono interrotte da un forte rumore. Solo allora si accorsero che il buio della sera aveva ben camuffato le nuvole scure che popolavano ormai il cielo. Un lampo squarciò il manto nero e i due si ritrovarono a richiudere il motore con veloci movimenti e rifugiarsi in macchina.
Erano bagnati, seduti in un’automobile ferma, di sera, sotto un temporale, nel mezzo del nulla.
A Castle la situazione faceva terribilmente ridere, ma si trattenne per non innervosire Kate che, soprattutto in quelle situazioni, diventava terribilmente irascibile. All’improvviso sentì un lamento soffocato e pensò che la detective stesse per piangere dalla rabbia, si voltò piano verso di lei, preoccupato, e la guardò e quello che vide non fu assolutamente un pianto. Kate Beckett stava trattendendo visibilmente le risate con una mano premuta sulla sua bocca. Quando i loro occhi si incrociarono lei inziò ad indicargli il viso senza riuscire a proferire una parola, con le risate che le toglievano il respiro in gola. Rick si guardò nello specchietto retrovisore e capì la ragione di tanta ilarità: doveva essersi accidentalmente sporcato con del grasso del motore dalle mani di Kate e toccandosi la guancia si era disegnato un simpatico baffo nero. Rick decise di cogliere quella imperdibile occasione. Le risate di Kate gli aprivano il cuore come finestre di un vecchio castello, chiuse per anni, si riaprono e fanno entrare la luce del sole. Si avventò su di lei e prese a farle il solletico dicendole “Non me lo sarei mai aspettato da te! Ridere così di me, detective!”. Kate lo implorò di smettere e lui desistette ammirandola mentre si asciugava le lacrime che erano scese da sole, indomabili. La guardò a lungo, cercando di ricomporsi e, soprattutto, di trovare una sola ragione per cui fosse sbagliato essere così perdutamente innamorato di quella donna. Non ci riuscì ed in cambio ottenne un’occhiata eloquente e una frase secca.
“Forza, troviamo un modo per andare via di qua Castle”.
 
Chiamarono il soccorso stradale, i pompieri, il capitano, Castle volle aspettare ad avvisare Alexis e Martha per non farle preoccupare. La linea era disturbata a causa del forte temporale che si era abbattuto, ma riuscirono a comunicare. Tuttavia, ottennero sempre la stessa risposta. Dovevano aspettare. C’erano troppi pochi mezzi di soccorso, la strada interna avrebbe potuto subire frane in vari punti e tutti erano all’erta. Fin quando il tempo non fosse migliorato nessuno poteva andare a prenderli, anche perché non avevano coordinate precise in merito a dove si trovassero. La connessione ad internet del cellulare di Castle era disabilitata a causa della linea che andava e veniva. Per fortuna, pensò Beckett, almeno il suo gps sarebbe stato rintracciabile…fin quando…fin quando la batteria non avesse ceduto!
“Tu avresti bisogno di una baby-sitter, fai tanto la donna in carriera indipendente che non ha bisogno di avere nessuno a fianco e poi ti dimentichi perfino di caricare il cellulare in questi momenti critici”. “Castle non era previsto nessun momento critico! Ho un caricabatteria sia in ufficio che in macchina ma, chiaramente, non posso rischiare di azionare la riserva di batteria dell’automobile in queste condizioni!” “Avresti dovuto essere un tantino più lungimirante detective!”. Lei era al colmo del nervosismo. Portò la mano allo sportello e fece per scendere. “Dove vai?” urlò lui. “Se non vogliamo rimanere qui tutta la notte sarà meglio che metta sulla strada i segnali di emergenza, sperando che qualcuno passando li veda e si fermi!” urlò lei di rimando. “Oh sì certo, e tu credi che ti lascerò uscire là fuori con questa tempesta con quella giacchettina che ancora più bagnata di così risulterà inservibile?”. Così dicendo Castle prese nervosamente una busta di plastica che giaceva sul tappetino davanti a lui, la rivoltò e tentò di coprirsi come meglio poteva. Uscì rapidamente, aprì il portabagagli e raccattò, oltre ai segnali di emergenza, tutto ciò che poteva essere utile in quel cofano. Corse velocemente sotto l’acqua a circa cinque metri di distanza contando i passi come meglio poteva, mise i segnali bene in vista e tornò velocemente in macchina coperto da quella plastica sottile.
 
Quando si avvicinò alla vettura, Beckett gli aprì lo sportello per farlo entrare e lo aiutò a liberarsi le mani dagli oggetti che teneva. Una bottiglia d’acqua, una busta di crakers salati, un pacchetto di caramelle, dei fazzolettini, un k-way, un giornale arrotolato, qualche busta ermetica isolante, tipo quelle dei surgelati, e, infine, una piccola coperta. Subito lei si voltò a guardare verso il suo finestrino. Si sentiva a disagio in quella situazione, perché sapeva che stare da sola con lui avrebbe fatto venire a galla tante cose che lei stava tentando di affogare nel mare del suo animo. Ma, più di ogni altra cosa, si sentiva come un vetro rotto, tagliente, qualcosa da maneggiare con cura per evitare di essere feriti. E lei non voleva ferirlo.
 
Castle tentò di rompere il ghiaccio chiacchierando sull’utilità delle cose che la detective teneva nella sua auto. “Castle, sono un poliziotto. Devo essere preparata a situazioni di emergenza. Tu non lo hai notato, ma nel vano laterale ho una cassetta del pronto soccorso e sono addestrata ad usarla” lui deglutì vistosamente “Non su di te, che hai capito!”. “Ah, detective. Pensavo volessi torturarmi”. Lo disse senza una vera intenzione giocosa e lei se ne accorse. Si voltò per guardarlo e vide che tremava per il freddo. “Stai bene?” gli chiese. “No, cioè vedi… il fatto è che quando siamo rientrati in macchina mi ero abituato alla temperatura dell’abitacolo, ma quando sono riuscito di nuovo credo che la seconda acqua e il freddo mi abbiano infastidito un po’ troppo”. Abbozzò un sorrisetto e Beckett gli toccò il cappotto, non era bagnato, ma umido e decisamente freddo. “Levalo, andiamo” lui la guardava perplesso. “Su, prenderai un malanno!”. Lo aiutò a togliersi velocemente il cappotto, per fortuna quel giorno Castle indossava una maglia a girocollo invece della camicia, sicuramente quell’indumento faceva al caso suo in quel momento. “A me è andata meglio” disse la detective togliendosi a sua volta il cappotto e poggiandolo sulle braccia e sul petto dello scrittore. “L’acqua è scivolata sopra e poi io sono uscita una volta sola dalla macchina”. Lui la guardò con dolcezza e riconoscenza, pronto ad ammettere una sua debolezza davanti alla donna. “Grazie” le disse leggermente. “Di niente. E poi chi ti sopporterebbe malato?” “Oh beh, vedi il lato buono, se mi ammalo non vengo al distretto almeno per qualche giorno e non ti do’ noia”. Non era da Castle autocensurarsi in questo modo, Beckett si sentì quasi in colpa. “Scocceresti tua madre e tua figlia. E io sarei costretta a venire a trovarti e a beccarmi anche i tuoi microbi. Non credi sia abbastanza?”. Lui rise sommessamente, un po’ tirato su da quelle parole giocose. Lei lo guardò e gli disse “Ok Castle, ora sfregati le mani con forza sulle braccia, sul petto e sulle spalle. Produrrà un po’ di calore. Ma attento a non agitarti troppo, devi cercare di non sudare”. Colpita da quelle sue stesse parole così premurose, Beckett gli sistemò il cappotto addosso, mentre lui iniziava a massaggiarsi per ottenere il desiderato tepore. Dopo di che, si appoggiò con la testa sul sedile, reclinandolo leggermente e chiuse gli occhi per un istante.
 



Angolo dell'autrice:

Cari lettori,
vi ringrazio sempre per l'affetto con cui mi seguite e vi chiedo scusa se, a volte, lascio passare molti giorni tra un capitolo e l'altro. Cercherò di rimediare in futuro.

Il titolo del capitolo è tratto da un brano del romanzo "Il segreto nel cuore" di Nicholas Sparks.

Un abbraccio a tutti,

Tersicore150187

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Capitolo 7
*** Cap 7. Ascolterò il linguaggio della tua anima come la pioggia ascolta la storia delle onde ***


Cap 7. Ascolterò il linguaggio della tua anima come la pioggia ascolta la storia delle onde
 
Quando riaprì gli occhi Kate Beckett giurò di avere sentito una mano accarezzarle la guancia, ma pensò di ricredersi, dal momento che, con quel freddo non aveva grande sensibilità cutanea. Castle tossì un paio di volte, lei si voltò e lo trovò concentrato a mangiare alcuni craker. “Avevo fame” le disse porgendogliene un pacchetto eloquente. “No grazie” disse lei “sono più che altro molto stanca”. Castle le toccò una mano, ma non con un gesto dolce o sensuale, ma quasi inquisitorio. “Sei fredda detective”. Lei non capiva. Sbattè le palpebre e mise a fuoco l’abitacolo. Si accorse che aveva di nuovo il suo cappotto addosso, oltre che un gran mal di collo, e che Castle si riferiva al fatto che lei avesse effettivamente le mani fredde. In effetti anche i piedi non stavano meglio. Si trovò anche la piccola coperta addosso e capì che Castle l’aveva coperta mentre dormiva. Non solo. Capì che più al caldo di così non avrebbe potuto sentire, visto che le cose con cui coprirsi erano finite, ed erano tutte addosso a lei, nessuna a lui. Si sentiva stanca, dolorante, infreddolita e anche un po’ in colpa. Si tirò leggermente su, toccò il cappotto di Castle, appeso dietro il sedile e vide che andava meglio e, improvvisamente ebbe un’idea. Il sedile posteriore era lungo e ampio, si sarebbe potuta sdraiare comodamente per dormire un paio d’ore in attesa dei soccorsi. Lui le lesse nel pensiero, guardandola rivolta verso dietro e le disse “Stenditi. Io mi metto al posto di guida che è più comodo, inclino il sedile e ti faccio compagnia mentre ti addormenti. Lei rispose passiva e anche un po’ indebolita. Sussurrò semplicemente un flebile “ok” desiderando più che mai scappare da quella situazione. Per di più continuava a piovere decisamente e lui continuava ad essere premuroso, dolce, sempre di più, sempre di più. Si spostò agilmente scavalcando lo spazio tra i sedili, si tolse i veritginosi tacchi, si sistemò al meglio la maglia e decise che era il caso di tenere la copertina e dare il suo cappotto a Castle ancora per un po’, almeno fin quando il suo non si fosse asciugato. Ma lui si oppose. “Prenderai freddo se ti addormenti, io sto bene. Senti!” le prese le mani nelle sue e lei sentì la differenza di temperatura tra quelle dell’uomo, fresche ma mordibe e le sue ghiacciate e rigide. Kate rabbrividì a quel tocco, per la temperatura, forse. Castle la guardò sbarrando gli occhi. Le sembrava un corpo senza vita. “Mettiti giù” le disse quasi come un ordine “e non ti azzardare a protestare”. Quando mise la sua mano stretta sulla gamba di Kate, ben sopra il ginocchio, e soprattutto, molto più in alto di quanto gli fosse consentito, la ragazza ebbe un sussulto e si tirò a sedere con le guance a fuoco. Almeno in viso non aveva più freddo.
“Castle!” disse in una condizione di totale imbarazzo e assoluta vergogna. “Beckett avrò anche la mano sotto il cappotto, ma c’è almeno uno spesso strato di stoffa dei tuoi pantaloni tra la mia mano e la tua gamba. Cosa devo fare, stare a guardare mentre tu muori di freddo?” e detto questo iniziò a sfregarle la mano lungo la gamba esercitando una pressione costante, sperando che sotto quel movimento l’indumento producesse un po’ di calore sulla pelle di Beckett. Già la sua pelle. Ecco perché lui stava così bene. Averla così vicino, pensare al suo corpo, immaginare tutto ciò che non poteva vedere di lei, stare a guardarla dormire, udire il suo respiro calmo, lo facevano andare a fuoco. Una forza gli partiva dalla bocca dello stomaco e un calore immenso gli si irradiava dal petto, e non solo…era una tortura passare quelle mani su quei vestiti che lui avrebbe senza esitazione strappato via con un colpo secco. Si sforzò di trasferire questo calore, questa emozione, questa passione fino alle sue mani e tentò di passare tutto con forza al corpo della donna, alle sue gambe. Doveva funzionare perché Kate dopo un po’ disse che stava meglio.
Lui sperò che non fosse stata tutta una tattica per farlo allontanare dal suo corpo, le sorrise e staccò le mani. Si mise il cappotto, ora in condizioni decisamente accettabili, si accomodò reclinando leggermente il sedile, tanto da non dare fastidio a Kate, e si appoggiò su un fianco, restando a guardare mentre si addormentava.
 
Nel buio della notte, nell’abitacolo, si poteva scorgere solo la luce del cellulare di Castle che scambiava messaggi con la figlia. Avrebbe voluto giocare, ma non voleva correre il rischio di scaricare la batteria e lasciarli così isolati, beccandosi anche una sgridata di Beckett. Già, lei a volte era severa con lui, ma certamente a lui un po’ di rigore non faceva male ogni tanto. Aveva smesso di piovere e se non fosse stata già mezzanotte passata, sicuramente sarebbe sceso un po’ a curiosare intorno, ma le condizioni e la temperatura certamente non lo permettevano. Mandò la buonanotte ad Alexis, rassicurandola e si voltò verso Kate per ammirarla. Fu a quel punto che notò qualcosa di preoccupante. Un lieve rossore sulle nocche delle mani, sulle punte delle dita, sulle guance e sulla fronte. La toccò in viso e sulle mani. Ancora gelata. Ma cosa diamine aveva in corpo quella donna che non riusciva a scaldarsi? Castle decise di rischiare e svegliarla, avrebbe dovuto farle bere qualcosa di caldo, ma non aveva assolutamente nulla, inoltre anche lui stava inziando a sentire davvero freddo e questo voleva dire solo una cosa: la temperatura esterna stava scendendo rapidamente. Capì all’istante che c’era una sola cosa che poteva essere utile e sorrise mentalmente, ma il suo volto restò paralizzato al pensiero della reazione della detective.
Calore corporeo. Decise di agire in fretta, prima che Kate riprendesse del tutto consapevolezza.  Abbassò del tutto il sedile del passeggero per allargarsi il passaggio, sollevò delicatamente la donna e si sedette vicino a lei appoggiandosela al petto. Rimase un istante sopraffatto da quella sensazione ed ebbe paura di non riuscire a controllarsi. Ma sì, avrebbero fatto sesso, no di più, avrebbero fatto l’amore tutta la notte. I loro corpi da freddi, sarebbero diventati tiepidi, caldi e poi bollenti. Al diavolo il gelo, al diavolo l’escurzione termica, al diavolo l’ipotermia! Un paio, o più di “giri” sulla giostra ben fatti. La loro vita sarebbe cambiata. Un atto così semplice, puro, unico e naturale, li avrebbe salvati e fatti rinascere. Si sorprese a stringerla forte e si ridestò dai suoi pensieri come da un sogno. Ma che diamine stava pensando? Era impazzito? Sarebbe stato meglio per lui riuscire a strofinarsi un po’ a Beckett senza evidenti fini, se non voleva passare la notte fuori dalla macchina. Se lo sarebbe meritato d’altra parte. Provarci spudoratamente in un casino del genere. Da sedicenne, senza ombra di dubbio. Idea bocciata.
Restò immobile mentre Kate apriva gli occhi e si  guardava intorno incredula per poi guardare lui. Spostò il suo sguardo dai suo occhi alle sue mani, sgranando gli occhi e restando a bocca leggermente aperta. Con la voce impastata dal sonno gli urlò “Castle ma che avevi intenzione di fare?”. Lui strinse la presa per impedirle di staccarsi. “Kate sei ghiacciata, guardati le mani, sono piene di chiazze rosse sul dorso. Cercavo un modo per riscaldarti. Io…” lei lo interruppe mettendosi a sedere e staccandosi leggermente. “Ok, forza, io sto congelando. Mettiamo in pratica questo tuo geniale piano!”. Gli appoggiò le mani sulle braccia, sforzandosi di restare impassibile. Castle iniziò a massaggiarle piano le spalle e la schiena, con un tocco gentile, ma deciso. Lei sentiva i muscoli delle braccia di lui contrarsi e rilassarsi sotto le sue mani. Si sforzò spostando le sue “carezze” sul petto, e non fu meglio. Anche lì i muscoli di Castle erano sodi e tesi e le torturavano i pami delle mani. Era possente, ecco cos’era, era una roccia, uno scoglio, sicuro. Qualcosa a cui appigliarsi. Kate spostò le braccia sulle sue spalle spassando sotto l’incavo delle ascelle. Sfregò i suoi palmi sulle scapole con forza, mentre Castle spostava le sue mani sulla schiena di lei. Stava avendo effetto, qualunque fosse il motivo, stavano iniziando a sentire il calore. Quando ebbero le braccia quasi avvolte l’uno intorno all’altra, i due corpi si avvicinarono magneticamente e la stretta si trasformò in un abbraccio. Kate si aggrappò alla stoffa sulle spalle dell’uomo e strinse i pugni. Lui aprì le mani coprendole quasi completamente la schiena e fece aderire i loro corpi con una lieve spinta. Continuò a fare scorrere le sue mani sulle spalle di lei, non solo con l’intento di tenerla calda, ma soprattutto desiderando sentirla sua e imprimere quella sensazione nella sua mente. Respirarono a lungo e profondamente. Kate nascose il viso sulla spalla di Castle e sussurrò vicina al suo orecchio “Credo che ci siamo riscaldati abbastanza”. Castle, come se gli avessero gettato dell’acqua gelata sulla schiena, sgranò gli occhi e allargò lievemente le braccia per lasciarla libera. Provò ad allontanarsi ma non ci riuscì. Solo un attimo dopo si accorse che Kate non si era mossa, sentiva i suoi pugni ancorati sulle spalle. “Kate” disse con un lievissimo filo di voce “se stai un po’ meglio perché non ti stacchi da me?” si stupì dentro se stesso di come gli fosse venuta fuori quella domanda. Ma lui sapeva che non poteva forzarla, quella donna forte come l’acciaio e delicata come il cristallo. Lei aprì la bocca per parlare. Lui la sentì muoversi sulla sua spalla, tenendo sempre stretta la presa. Poi, una piccolissima risposta. “Non posso”.
 
Rick sentì sciolgliersi dentro di sé tutto il gelo del mondo. Gli sembrò che d’ora in avanti l’inverno non sarebbe mai più esistito. Si lascio andare un sospiro di stupore ed un “wow”. Accolse la donna con tutto il suo piccolo corpo fra le sue braccia e continuò ad accarezzarla ancora, ancora e ancora.
Lei sollevò gli occhi e li fissò nei suoi. Nel buio potevano guardarsi senza vergogna, come se quelle persone non fossero state loro. Avevano paura, nonostante tutto, ma si desideravano come non mai. Lei gli posò un bacio all’angolo della bocca. Lui si mosse leggermente e avvicinò le loro bocche. Appoggiarono le labbra le une alle altre e stettero così per un tempo interminabile, sentendo solo il sapore l’uno dell’altra, solo il tocco innocente di quelle bocche. Avevano bisogno di quel contatto come ossigeno. E la passione crebbe, crebbe e crebbe ancora. Rick se la portò a sedere a cavalcioni su di lui e lei gli prese il viso tra le mani baciandolo con passione e accarezzandogli la pelle con i suoi capelli lunghi. Incuranti del poco spazio, della posizione scomoda, del freddo, dei lividi che probabilmente avrebbero trovato sulle gambe e sui fianchi, fecero l’amore esattamente come nella fantasia di Castle, pochi minuti prima. Non era stato facile eliminare scomodi e inutili indumenti, ma ogni movimento era stato eseguito dai due come se facesse parte di un rituale, un gesto magico, irripetibile. Non c’era malizia, in quegli sguardi, non c’era divertimento, non era gioia…era passione certo, ma, soprattutto, il più completo abbandono. Kate sentiva sciogliersi a poco a poco i lacci che avevano stretto il suo cuore con tanta forza, sentì cedere quelle catene invisibili e tutto si fece buio dentro di lei. Ogni tensione, ogni dolore, ogni barriera andava lentamente sgretolandosi sotto le mani dello scrittore, le sue mani abili che la esploravano con pazienza, con ardore, con devozione. Castle tentava di non perdere lucidità, immerso in quel corpo che lo aveva accolto come un manto, che gli calzava perfettamente, come se Kate fosse un abito cucito apposta per lui. Si muovevano insieme in perfetta sincronia, e con ogni spinta lui si faceva strada dentro di lei, insinuando anche la fragilità che quell’incontro di anime avrebbe sprigionato. Per lei fu come iniziare a ricevere colpi di lame affilate nei fianchi, nel petto, nella schiena, nel collo. Iniziò a sentire il suo sangue disperdersi come, anni prima, quello della madre. In quel momento in cui era viva come non mai, poteva sentire con quanta forza la morte si fosse impossessata di lei, del suo spirito, del suo corpo, del suo cuore. Iniziò a gemere, sentendo la gola stringersi, poi quel gemito divenne un pianto, prima asciutto, poi umido di lacrime salate, a cui presto ne fecero compagnia molte e molte altre. Kate si aggrappò con le unghie alla schiena di Rick, sforzandosi di sollevare il viso per non bagnarlo, per nascondere il segno così tangibile del suo dolore e del suo essere scoperta, senza protezione, senza pelle. Lui la sentì tremare contro il suo corpo e si bloccò guardandola stupito. Con il volto coperto di lacrime Kate gemeva. “No, no…no…”.
Rick sapeva benissimo che quel dolore non era per lui, non era lui che stava respingendo, ma si sentì ugualmente male nel vederla così indifesa, così vulnerabile e sofferente. Temette di aver contribuito, di aver esagerato, ma in quell’istante tutto ciò che voleva era farla sfogare e calmarla, farle capire che era al sicuro. Non fece nulla, non si mosse, restò fermo dentro di lei mentre con le braccia la stringeva e la accarezzava e le poggiava la testa sulla sua spalla. Poteva sentire i suoi singhiozzi contro il suo petto e in quell’istante, cuore contro cuore, Rick seppe che non era mai stato più grato di aver vissuto un giorno in tutta la sua vita. Prese la camicetta di Kate con una mano e la appoggiò sulle spalle della ragazza. Lei si staccò e lo guardò smettendo per un istante di piangere. Si portò la mano alla bocca e singhiozzò silenziosamente per coprire il rumore dei suoi respiri. Lui le spostò la mano e la baciò piano sulla bocca. Con dolcezza le fece mettere le braccia nelle maniche, poi la prese dalle spalle e la portò sul suo petto mentre si stendeva sul sedile. La tenne stretta a sé, mentre goffamente cercava di rivestire e coprire entrambi con i cappotti e la coperta. Se la strinse a sè più forte che potè e sentì i singhiozzi che riprendevano e il pianto che gli bagnava il mento. La appoggiò sul suo petto ancora nudo e mentre con il braccio con cui la avvolgeva la cullava dolcemente, portò l’altra mano sulla sua fronte e prese a carezzarla con un tocco leggero. Era solo il primo passo. Stare abbracciati, sotto la pioggia che aveva ripreso a scendere, cullarla, accarezzarla, lasciare che il cuore le sussurrasse parole che asciugassero le lacrime meglio di fazzoletti e lenzuola, e accarezzarla ancora, cullarla ancora, dirle “basta piangere” e “andrà tutto bene” e “sono qui con te”. Era solo il primo passo per curare la ferita antica. La ferita a causa della quale Kate non poteva più amare.

Angolo dell'autrice:
Carissimi lettori,
questo capitolo è forse il punto cruciale della storia che tutti aspettavate.
Il mio animo profondamente romantico anche questa volta non si è tradito.

Il titolo è tratto da "Le ali spezzate" di Kahlil Gibran.

Grazie per le stupende parole che ricevo da voi.

Un abbraccio,

Tersiore150187

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Capitolo 8
*** Cap 8. L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere. ***


Cap 8. L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere.
 
Kate era da parecchi minuti sotto l’acqua calda della doccia. Sentiva ancora freddo e le faceva male la testa per quanto aveva pianto. Si sentiva svuotata. Il risveglio era stato brusco, si era sentita come se le avessero strappato un arto quando si era dovuta allontanare da quel corpo che la aveva protetta durante quelle ore. Il soccorso stradale era arrivato presto, aveva armeggiato parecchio per preparare la macchina da trainare mentre loro se ne stavano sul ciglio della strada, guardandosi con dolcezza, ma anche tristi entrambi. Il viaggio era stato silenzioso. Sotto casa della detective, Castle le aveva proposto di prendere un caffè, ma lei aveva rifiutato debolmente, incapace di sostenere altre relazioni per quella giornata.
Il suono del campanello le arrivò ovattato dentro la doccia. Si mosse lentamente sperando che, chiunque fosse, aspettasse qualche minuto. Non aveva voglia di vedere nessuno ma la sua vita doveva pur continuare. Si mise un’asciugamano addosso, si coprì con l’accappatoio e si avviò alla porta tamponandosi i capelli. Quando aprì se lo trovò davanti che armeggiava davanti alla porta con un meraviglioso fascio di fiori in braccio. “Kate!” si sorprese lui. Lei rimase immobile in silenzio sulla porta. “Non ho insistito alla porta, ho creduto che magari stessi riposando, volevo solo lasciare ecco…beh…insomma…sì sono….tieni”. Le porse i fiori, mentre lei a bocca aperta lo guardava stupito. Lui aveva uno sguardo triste e teneva gli occhi a tratti bassi, a tratti sul viso di Kate. Prese una risoluzione e si voltò facendo per andarsene. “Castle” la voce della giovane donna lo bloccò “entra”. “Accomodati” disse lei sforzandosi di essere più dolce possibile. “Se mi dai un attimo per vestirmi ti faccio un caffè”. Lui si sedette sul divano annuendo.
Kate tornò dopo pochi minuti in una tuta morbida di cotone e i capelli ancora bagnati. Lui la guardò un attimo restando a bocca aperta. Provò a parlare. Scosse la testa vistosamente per riprendersi. La luce del sole si rifletteva sui capelli di lei renderdoli lucenti, mentre le ricadevano umidi incorniciandole il viso. Castle capì improvvisamente che ogni parola aveva un suo esatto corrispettivo nella realtà, in quel momento la parola per Kate era “scintillare”. Se lo appuntò mentalmente, sicuro che, ogni volta che in una pagina di un suo libro avesse usato quel termine, gli sarebbero venute in mente quelle ciocche brillanti. Non appena si riprese dall’immagine luminosa di Kate nella sua mente, la pregò di andare ad asciugarsi i capelli, ma lei insistette per restare. Doveva dirgli poche cose e sarebbe stata veloce. Quello che era accaduto non era certamente uno sbaglio, era forse ciò che più lei intimamente avesse desiderato negli ultimi anni della sua vita, ciò di cui aveva bisogno. Ma lei ci voleva andare piano, non sapeva quanto e se era pronta ad avere una relazione. Sistemò i fiori in un vaso sorridendo, preparò il caffè mentre si scambiavano un paio di battute anonime, con tono leggero. Solo quando lei gli porse la tazza fumante i loro occhi si incontrarono e lei potè vedere quanto Rick fosse combattuto e triste e, forse, sembrò a lei, quasi colpevole.
Lo guardò inquisitoria per capire il motivo di quell’espressione e prima che lei potesse parlare lui disse “Mi dispiace Kate. Mi dispiace se io…insomma, in quella situazione di stanotte, mi sono lasciato prendere da…ho esagerato. Mi sento uno schifo, ti prego perdonami”. Lei non riusciva a credere alle sue orecchie. “Castle!” esclamò sorpresa richiamando la sua attenzione. Gli prese la mano invitandolo silenziosamente a guardarla negli occhi “siamo due persone adulte, secondo te se non avessi voluto che accadesse non ti avrei fermato? Insomma non sei certo il primo maniaco sbucato dall’angolo, io ti conosco…” dicendogli quest’ultima frase gli poggiò una mano sul braccio dolcemente e lo accarezzò. Voleva fargli capire che, per una volta, neanche per scherzo lui doveva sentirsi “rimproverato”. Giocare ai ruoli andava bene, ferirlo per questo no.
Lui appoggiò la mano sulla sua sorridendo poco convinto e poi le disse “Allora…è tutto ok?”. Lei distolse lo sguardo sentendosi colpevole per la marcia indietro che stava per fare e abbassò il viso. “Kate è tutto ok?” ripetè lui preoccupato. “No perché…l’espressione che hai in questo momento sul tuo viso mi fa più pensare che tu non voglia mai più vedermi in vita tua…e a questo punto…non capisco.”. Lei inziò a comportarsi esattamente come una fidanzata che sta per lasciare il suo amoretto della giovane età…gli disse che lui era una splendida persona, che non era colpa sua, che era lei ad essere sbagliata. Rick si sentiva come uno dei protagonisti di un film d’amore di seconda categoria. Gli girò lievemente la testa e si accorse di avere una tremenda paura. Paura di perderla.
La interruppe bruscamente. Le prese le mani e le disse “Kate, perché fai così?”. Il suo tono era quasi supplichevole. Avrebbe usato qualsiasi arma in suo possesso per tenerla a sé. Nessuno dei due, in quella che stava per diventare una lite, si rese conto che erano entrambi troppo fragili per avere quella discussione. Lui troppo impaurito, lei troppo ferita.
“Kate io non posso immaginare una vita senza…”
“Castle non dirlo, non farlo…non voglio sentire quello che stavi per dire!”
Kate si stava innervosendo, ma Rick si sentiva come il legittimo vincitore della gara a cui viene negata la medaglia. Non avrebbe mollato.
“  “Castle”? Mi chiami “Castle” dopo la notte che abbiamo trascorso insieme? Dopo che io avrei dato la mia vita per farti smettere di piangere anche solo per un secondo? Oh mio Dio Kate, guardami, sono qui! Ti sto dicendo che io per te ci sono, ora!”
Kate lottava contro se stessa mentre una voce dentro di sé la implorava di lasciarsi andare e di fidarsi di quella persona. Ma tutto il buio del suo passato sembrava fagocitarla e lei continuava a ripetersi sottovoce “non ce la faccio”.
“Lasciami stare Rick, non ti voglio nella mia vita!”
“Non puoi decidere tu Kate, non hai scelta! Io ci sono e ci resterò anche se tu proverai ad allontanarmi. Perché sei diventata troppo importante per me…sei…”
Lei lo interruppe con rabbia “Non lo capisci che non riguarda me e te? Questa faccenda è più grande di quello che avessi creduto!”.
Lui si avvicinò e provò a calmare quel dolore come aveva fatto poche ore prima. La prese dalle braccia e cercò di avvicinarla a sé, di cullarla, di avvolgerla. Ma Kate non era la stessa ragazza della sera precedente. Ora erano alla luce del giorno e lei non si sarebbe più potuta tirare indietro. Dentro o fuori. Si divincolò con forza, non usò tutta quella che aveva in corpo, gliene bastò una piccola dose per liberarsi da quelle mani protettive ma fragili allo stesso tempo. Per entrambi fu un doloroso strappo. Kate bilanciò male il peso del suo corpo e si riequilibrò col braccio per non cadere a terra, sfinita dalla lotta del cuore. Ma la sua mano andò dritta a colpire il vaso che cadde infrangendosi al suolo in mille pezzi intorno ai fiori e all’acqua che si spandeva sul tappeto. Il rumore li colse all’improvviso. Si voltarono un istante verso i cocci del loro amore appena sbocciato, prima di vedere un rivolo scuro correre lungo il polso di Kate.
Rick si gettò su di lei terrorizzato gridando “Kate!”. Le posò immediatamente la mano intorno al piccolo polso, incurante del sangue che gli sporcava le dita. “Ti fa male? Vieni dobbiamo disinfettare…”. Non fece in tempo ad avvicinarla al lavandino della cucina, che udì la sua voce debole. “Non puoi stare qui Rick, è pericoloso”. “Kate sono solo due vetri rotti, che vuoi che sia…ora puliamo e torna tutto a posto non preoccuparti”. La sua voce era dolce e rassicurante. Lei gli strinse la mano con forza, costringendolo a guardarla negli occhi, e poi fece “no” con la testa, sussurrando “non torna a posto…” mentre costringeva le lacrime a restare là dove erano, in bilico sul davanzale delle sue ciglia. “Vai via ti prego”. Gli occhi erano migrati su un altro angolo della stanza, la mano aveva lasciato la presa, sporca del suo stesso sangue. “Vai via”. Un sussuro, un’implorazione. “No, io non ti lascio! Perchè vuoi allontanarmi?...dannazione, Kate, rispondimi!”. Lei non disse niente, troppo distrutta per parlare. Prese un canovaccio abbandonato sul mobile della cucina e se lo annodò attorno al polso che non smetteva di sanguinare. Si avvicinò alla porta di casa e la aprì. Restò immobile mentre le lacrime le scendevano silenziose senza un gemito sulle guance, inarrestabili. Impossibile anche solo pensare di fermare il dolore che le stava invadendo il corpo. Vide oltre il suo sguardo appannato l’ombra dell’uomo che a testa bassa usciva, mentre le sue urla riecheggiavano ancora nell’appartamento. Non appena i pezzi dello scrittore ebbero varcato la soglia, lei richiuse l’uscio con forza, girando la chiave nella toppa per assicurarsi che Rick non potesse rientrare spinto da ciò che avrebbe udito.
Infatti non provò nemmeno a zittire quel pianto e quelle urla furiose che volevano uscire dalla sua gola. Anni di sofferenze, rabbia, paura, stavano solo in quel momento iniziando ad uscire dal corpo e dalla mente di Kate, grazie alla minuscola breccia che, col suo stesso corpo, Rick Castle aveva aperto in lei quella notte. Subito sentì la voce dell’uomo che invocava il suo nome oltre la porta, sentì il rumore della maniglia che lui provava a forzare, i suoi pugni che bussavano contro il legno, disperati. Si accasciò sul pavimento, con le spalle appoggiate alla porta, tappandosi le orecchie, sorreggendosi la testa che sembrava volesse esplodere e urlò e pianse con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre le lacrime, la saliva e il suo stesso sangue le macchiavano il volto, quel volto che un tempo era stato felice e spensierato.
 
Il rumore lo scosse. Alzò lo sguardo e vide Kate entrare nel soggiorno dal corridoio a piedi scalzi. Diresse lo sguardo in basso, attirato dalla mancanza dei sandali vertiginosi della sua dama e solo allora vide dei vetri sul pavimento. Pensò di avere le allucinazioni fin quando non si accorse che il bicchiere d’acqua da cui lei gli aveva dato da bere Kate, gli era scivolato. Sorrise un attimo pensando di avere un deja vu, poi allungò un braccio velocemente ammonendo Kate di non muoversi, se non voleva tagliarsi. “Ho combinato un disastro, scusami”. Disse lui più gentilmente che poteva, sperando che quell’imprevisto non avesse esiti inaspettati. “Hey” gli disse lei, facendo il giro del divano dall’altro lato “Non fa niente. È solo un bicchiere. Ora mi metto le scarpe e pulisco tutto, ok?”. “Ok” sussurrò lui rassicurato, con il volto disteso. “Kate, come mai sei a piedi scalzi?”. Si sedettero sul divano vicini, mentre la ragazza si raccoglieva i capelli e si tirava il vestito leggermente sopra le ginocchia per comodità. Lei lo guardò con dolcezza e un po’ di imbarazzo e Rick non potè fare a meno di pensare che, oltre che bellissima, gli sembrava serena. “Ho notato che hai avuto una reazione forte quando sei entrato nell’appartamento…io capisco che…insomma sono successe cose molto drammatiche l’ultima volta che…insomma è quasi insopportabile pensarci”. Solo allora Rick, abbassando la testa, si accorse dei libri che Kate aveva poggiato vicino a sé. Lei si accorse del suo sguardo e con un po’ di imbarazzo gli disse “Ecco, insomma…mi sono tolta le scarpe andando in camera da letto…sai la stanchezza…eh…c’erano questi sul mobile…sì insomma. Castle sono i miei diari.” Lui sorrise al pensiero che lei, nell’imbarazzo, lo aveva di nuovo chiamato per cognome, e prese fra le mani uno di quei diari, aprendolo e riconoscendo la scrittura di Kate. “Li ho scritti durante questi mesi, me lo ha chiesto il…cioè, è stato un bene, lo ammetto”. Kate aveva ancora difficoltà ad ammettere che era dovuta tornare a riprendere un percorso che anni prima aveva solo lasciato in sospeso, col dottor Miller. Non ci fu bisogno di parlare. Era molto più di quanto entrambi si fossero aspettati. Quella giornata era inizata come una favola, ma i loro cuori erano pieni di paure ed ora, nel buio della notte, tutto sembrava stare tornando lentamente al suo posto. C’era solo un’ultima cosa da fare. Mettere a posto due corpi stanchi, stanchi per la festa, stanchi per l’amore, stanchi per la lunga attesa.
 
Kate guardò dolcemente Rick chiedendogli se stesse bene. Lui annuì riponendo il diario insieme agli altri, pensando a che rivelatrici verità avrebbe scoperto fra quelle pagine, chiedendosi se ne avrebbero parlato insieme, come una vera coppia, come due persone che si sostengono a vicenda, sul serio.
Si alzarono e insieme raccolsero i pezzi di vetro del bicchiere, attenti a non ferirsi questa volta. Kate prese un grosso sacco di plastica e Rick tirò via il sottile tappeto, per fortuna non proprio prezioso, ormai troppo pieno di schegge per i piedi sempre nudi di Kate. Quando ebbero finito lei si ritrovò a guardarlo di nascosto appoggiata allo stipite della porta, mentre, con meticolosa cura, si preoccupava di ispezionare angoli in cui potevano essere schizzati altri pezzettini del bicchiere. Gli si avvicinò e gli prese la mano facendolo distrarre dal suo impegno. Lo guardò negli occhi con un sorriso un po’ impaurito, di quella paura però adolescenziale, la paura dell’amore che si ha a sedici anni quando si sa che il cuore vorrebbe buttarsi, ma non sa come fare. Poi si ricordò delle sue paure di un tempo, si ricordò delle sue ultime parole…“non torna a posto…”.
“È tutto a posto Rick” gli disse lievemente. Sollevò il polso, dove ora non c’era più ombra di sangue, tirando la sua mano con sé. Con passi leggerissimi e lenti, uno di fronte all’altro, camminarono verso la camera da letto, Kate di spalle. Non smisero di guardarsi. Lei lo svestì lentamente, mentre lui con estrema dolcezza e un tocco quasi innocente le liberava il corpo da quella seta giallina morbidissima. Sempre con infinita pace lei si appoggiò alla spalla di lui con la testa e accompagnò le sue braccia a cingerle la vita. Lui la strinse con dolcezza, reclinando la testa sulla sua e senza sciogliere l’abbraccio, la portò con sé sul letto che li accolse. La freschezza della stoffa delle lenzuola fu come un tuffo in un fiume di acqua fresca dopo una lunga passeggiata sotto il sole. Kate alzò la testa e fissò il suo sguardo nel suo, lui prese ad accarezzarle i capelli e la guancia con un tocco lievissimo. Si mossero leggermente fin quando i loro corpi non trovarono quella posizione perfetta, unica. Erano davvero come ying e yang, si completavano a vicenda. Lui posò un lungo bacio sulla fronte della ragazza sentendo il suo profumo invaderlo fino all’anima. Lei sollevò la testa ed incontrò le sue labbra. Era perfetto. In quel singolo bacio, pensarono entrambi, c’era tutto l’amore del mondo.
 
Ora era veramente tutto a posto.




Angolo dell'autrice:

Carissimi, 
è finita. Questa storia  che si è portata via un pezzetto del mio cuore, è finita.
Forse un giorno scriverò un seguito, non lo so.
Ora voglio solo credere che quei due staranno per l'eternità abbracciati immersi nel loro amore e che, in virtù di questo sentimento, tutto sia davvero "a posto".

Il titolo del capitolo è un aforisma di Herman Hesse.

Grazie di cuore a tutti tutti quanti, a tutti coloro a cui qualcosa dentro è cambiato, anche qualcosa di piccolissimo, dopo aver letto queste mie parole.

Vi abbraccio con affetto,

Tersicore150187

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