The Moon has three faces

di Artemys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alone ***
Capitolo 2: *** Cinder ***
Capitolo 3: *** Clouds ***
Capitolo 4: *** When it rains ***
Capitolo 5: *** Stares ***
Capitolo 6: *** Queen without crown ***
Capitolo 7: *** How can I do? ***
Capitolo 8: *** Occam and cigarettes ***
Capitolo 9: *** Childish me ***
Capitolo 10: *** Mistakes ***
Capitolo 11: *** Losing my religion ***
Capitolo 12: *** Hounded ***



Capitolo 1
*** Alone ***


D’accordo, premetto che non ho la più pallida idea di cosa stia facendo, né del perché stia postando questa storia. Avevo giurato a me stessa che non avrei mai scritto niente su questo fandom, per un semplice motivo: Bella Swan mi è contro la vista. Il suo personaggio mi da ai nervi, e credo si potrà intuire da quello che scrivo su di lei, perché l’ho completamente stravolto. Questa “cosa” è nata in un momento in cui ero particolarmente girata, e, non essendo io abituata a scrivere in prima persona, ne tanto meno in questo stile, non so valutare come sia uscito questa specie di esperimento. Per me è un tentativo e uno sfogo, non ho la pretesa che possa piacere a qualcuno, ma nel caso i commenti sono sempre ben accetti. Comunque, seppure l’idea per la storia ci sia, non so se la continuerò, ne con che frequenza. Insomma, non è proprio una cosa fatta così, a caso, ma nemmeno ci sono troppo legata, perché la priorità ce l’ha l’altra fic che sto scrivendo.
Detto questo, vi lascio a questo sclero. Baci.
Artemys
 




 
3moon

 

Alone

 

In solitude we are in the presence of mere matter (even the sky, the stars, the moon, trees in blossom), things of less value (perhaps) than a human spirit. Its value lies in the greater possibility of attention.

Simone Weil

 




Al diavolo.
Al diavolo tutto.
Al diavolo la scuola, non me ne frega un cazzo di quel posto pieno di sfigati che si credono chissà chi, solo perché papino gli ha lastricato il vialetto d’oro e pagato l’ammissione al college da quando avevano sette anni. Finiranno tutti a servire al Burger King, o a piegare magliette al Walmart sulla quinta strada.
Al diavolo gli insegnanti, non ce n’è uno che valga la pena di ascoltare. Tanto varrebbe studiare a casa, sono capace anche io di leggere pari pari dal libro di testo.
Al diavolo quel gruppo di deficienti che mi si è appiccicato addosso dall’anno scorso, hanno pure la pretesa di essere miei amici. Certo, come no!
Al diavolo mia madre, lei, la sua immaturità, la sua incoscienza, il suo non sapere assolutamente nulla del mare di merda in cui mi lascia affogare da sei anni.
Al diavolo quel beota di Phil, che, tutto sommato, ha l’enorme utilità di levarmi di dosso la responsabilità di quella svampita e del marmocchio in arrivo.
Lui, o lei, non lo mando certo al diavolo. Se me ne vado è perché mi concedo la speranza che lui non ci debba mai avere niente a che fare.
Non come me.
Non come la nonna. Cazzo, lei ci ha fatto i conti per una vita intera. Se anche le fosse toccato l’inferno, ne ha fatti fuori talmente tanti che sarà bastata la sua fama per farle il vuoto intorno.
È grazie a lei se sono in questo schifo, ma è anche merito suo se sono ancora viva. Mi ha insegnato ciò che mi serve per sopravvivere, il resto, però, ho dovuto impararlo da sola.
Se ne è andata troppo presto, per me.
Chiudo i due lucchetti a combinazione e la cassetta delle armi finisce sul fondo della valigia. Dentro ci sono solo quelle di riserva, le cose importanti me le tengo sempre addosso. Non si sa mai.
Butto un paio di maglioni per coprire la superficie metallica e chiudo il bagaglio, le serrature scattano e il suono mi arriva alle orecchie violento, come un colpo di frusta. Tutto il resto andrà nel borsone. Dopotutto non ho così tanti vestiti pesanti da portarmi dietro, e ,dove sto andando, il top smanicato non metterebbe mai il naso fuori dall’armadio.
Se non altro, la cosa bella di indossare maglioni è che è facile nasconderci sotto una pistola. Basta portali larghi, chi se ne frega se mi faranno sembrare un sacco di patate: va tutto a favore della copertura.
Comincio a fare avanti e indietro dall’armadio, trasferendo maglioni, camicie, pantaloni e quant’altro dagli scatoloni della roba invernale al borsone, aperto sul letto. Mi trattengo dallo scaraventare tutto dentro alla rinfusa, come l'istinto mi suggerisce, ma solo perchè non ho voglia di litigare con la cerniera della borsa dopo. Sono tesa come le corde di un violino, se mi pizzicassero ora nel modo sbagliato, emetterei il suono più stonato, tetro e bellicoso che si sia mai udito. Afferro una pila di jeans e in quel momento parte la suoneria dei White Stripes, diffondendo in tutta la stanza le note decise del basso, a cui si aggiungono presto i colpi di tamburo e gran cassa. Il cellulare vibra sul comodino, facendo un rumore che mi dà estremamente sui nervi, tra l’altro, e siccome sono una casinista patentata, sta pure sul bordo del mobile. Lo prendo praticamente al volo.
“Pronto?”
“Come vanno i preparativi?” trilla la voce di una bionda ossigenata di mia conoscenza.
Sbuffo sonoramente nella cornetta e lancio i jeans dentro la valigia, in barba ai miei buoni propositi.
“Vanno”.
“Mmm… vanno! Loquace come al solito, vedo”
“Ary, che vuoi che ti dica?! Sto facendo le valigie, non mi sembra un’impresa tale da meritare una telefonata di controllo”. Mi butto avvilita sul letto. Questa è una conversazione che non ho voglia di fare, perché so già dove andrà a finire. L'idea di fingere un disturbo della linea e chiudere la telefonata mi solletica, ma tanto so che non mi porterebbe da nessuna parte.
“Vorrei che mi dicessi che hai cambiato idea, per esempio”.
Fantastico. Davvero fantastico.
“Io vorrei che quella, che si suppone essere la mia migliore amica, la smettesse di preoccuparsi per nulla, ma non si può sempre ottenere ciò che si vuole…” sbuffo sarcastica.
“Chiamalo nulla… Te lo devo ricordare io che stai andando in casino alla rocca, tutta sola, lontana da qualsiasi contatto, o ce l' hai bene impresso in quella testolina bacata che ti porti in giro?!”.
Ok, voglio bene ad Arsinoe, ma sta diventando decisamente ripetitiva.
“Lo so benissimo dove sto andando, ti ringrazio per l’interessamento, miss GPS! Tuttavia, non ti sembra che, il fatto che non abbiamo basi da quelle parti, sia un motivo in più per fare un sopralluogo?!”
“Cioè?”
Ecco. La voce della biondina dall’altra parte della cornetta si è abbassata, assumendo quel tono adulto che ha quando è attenta e concentrata. Chissà quanti dei suoi amici hanno mai sentito questa sua voce…
“Ho controllato negli archivi: non ci sono attacchi o morti registrate in quell’area” dico con tono eloquente.
“Da quando?”
“Da mai. È questo che non mi torna, Ary!”.
“Cazzo!”
“Appunto!” sogghigno. Finalmente qualcuno che capisce.
“Cosa pensi che voglia dire?” mi chiede lei, ma posso già sentire le rotelle del suo cervello da genio che partono a tutta velocità. Arsinoe non è una stupida ochetta bionda. È solo estremamente brava a fingere di esserlo.
“Non ho un’idea precisa” abbozzo sincera io. “Ma ho intenzione di svolgere qualche ricerca. In quella zona c’è una delle più antiche tribù di nativi d’America, magari loro sanno qualcosa che noi non sappiamo!”
“Hai già qualche idea su come procedere?” mi chiede lei, la sua mente procede per calcoli e schemi… quando vuole.
Un ghigno si allarga sul mio viso mentre mi rialzo in piedi e prendo dal comodino una vecchia foto di me e mio padre. Avrò sei anni in questa foto, sono in braccio a Charlie, e dietro di noi, sullo sfondo, c’è una spiaggia grigia sotto un cielo plumbeo. In riva al mare ci sono tre ragazzini dai capelli neri e la pelle bronzea.
“Mio padre ha alcuni amici nella riserva, credo che uno sia addirittura un diretto discendente dell’ultimo capo tribù. Comincerò da quello, poi andrò avanti a istinto”.
“Come al solito, dunque!” commenta lei con fare ovvio. Posso quasi vedere quel suo odioso sorrisetto saccente dipinto sulla sua migliore faccia da schiaffi.
Dio, e c’è anche chi crede che quella ragazza sia una specie di ingenua, frivola, oca bionda con in mano dei pon-pon.
“Come al solito. Sai com’è, quando una tattica funziona, non vedo perché cambiarla” aggiungo con tono acido. A buon intenditor, poche parole.
“I cambiamenti sono necessari Bella. Fanno parte de…”
“Ti prego, Ary, non cominciare! Ho già ricevuto la mia dose di cazzate per oggi, tra Renèe, Phil ed Elisabeth. Non ti ci mettere pure tu, perché giuro che non riuscirei a sopportarlo. È inutile che fai tanto la parte di quella matura e superiore, tanto lo so che questa situazione fa incazzare pure te, quindi evita!”
Sento un profondo sospiro nella cornetta e stringo gli occhi, cercando di calmarmi. Devo smetterla di reagire così, faccio solo male ad entrambe. E io non ce l’ho con lei.
“Hai ragione” dice serenamente. “Ogni volta che ci penso vado in bestia. Ogni volta che guardo fuori dalla finestra e vedo i grattacieli mi viene male. E ogni volta che guardo la nostra foto mi sento un nodo alla gola e allo stomaco, perché mi chiedo in che razza di guai ti stai andando a cacciare senza di me… Ma non posso farci niente”.
Il mio sguardo va verso il comodino, dove dentro ad una semplice cornice argentata sta un’altra foto. La più preziosa e importante che ho.
Gli occhi di tre ragazze ricambiano il mio sguardo, sorridenti.
Una, quella a destra, ha una cascata di onde dorate intorno al viso di porcellana, capelli così biondi da risultare quasi bianchi, fini come seta, e occhi blu come gli abissi. Arsinoe.
La seconda, al centro, ha una zazzera ribelle di capelli rosso fiamma, un viso appuntito e spruzzato di lentiggini, gli occhi tinti di uno strano verde chiaro e sporco, tendente al giallo. L’inconsueto abbinamento cromatico le dona un che di misterioso ed inquietante. Fatima.
E poi ci sono io. Viso a cuore, pallida come la morte, occhi color cioccolato, capelli castani anonimi e con un taglio banale.
Sono passati due anni da quella foto, ma io sono rimasta esattamente la stessa.
Isabella Swan è refrattaria ai cambiamenti. Non mi piacciono, né mai mi piaceranno. Perché ogni volta che è avvenuto un cambiamento, nella mia vita, ha portato sempre con sé conseguenze pressoché disastrose.
Eppure ne sto per attuare uno io stessa, facendo queste valigie, nella speranza che, cercandolo, per una volta, il cambiamento avvenga per il meglio. Se non per me stessa, almeno per qualcun altro.
“Tu no” sospiro rassegnata, “ma io sì”.
“È per questo che te ne stai andando, allora” dice Arsinoe, felice di essere finalmente arrivata al nocciolo della questione. Ma non c’è nessuna nota di trionfo nella sua voce, lo so. Sa quanto questo distacco da mia madre e da Phoenix, checché ne dica, mi addolori.
Sospiro. Non ho la forza nemmeno di dire di sì.
“Lo sai che non cambierà niente, vero?! Se è come noi, che tu resti o te ne vada, non fa differenza”. Non sta cercando di convincermi. Vorrebbe solo addolcirmi una pillola che comunque mi scorticherà la gola nella sua discesa.
“Lo so. Ma se invece così non fosse, intendo stargli alla larga il più possibile. Se è destino, almeno lui, o lei, avrà una vita normale. Non sarò certo io a riempirla di mostri” sussurro amaramente, un groppo in gola mi blocca la voce e le lacrime premono per venire fuori. Dovranno restarsene lì e farsene una ragione. Non intendo piangere per l’unica cosa buona che potrò mai fare nella mia vita per quell’agglomerato di cellule che sarà mio fratello, o mia sorella.
“E se invece fosse come te? Se avesse il dono?” la sento sputare quell’ ultima parola come se fosse la peggiore delle bestemmie. Per noi, che con quel dono ci dobbiamo convivere, è peggio di una maledizione. Ci ha portato via la nostra adolescenza, ci corrode l’anima e dannerà la nostra esistenza fino alla morte. Chi lo considera una sorta di grazia divina non è altro che un cieco, un fanatico e un ipocrita.
“In quel caso gli starò vicina abbastanza da tenerlo d’occhio, ma senza interferire nella sua vita. Quando sarà il momento mi prenderò cura io di lui. Non permetterò a nessun altro di addestrarlo” chiarisco io, decisa e combattiva. Farò esattamente quello che ha fatto mia nonna per me, per noi.
Gli insegnerò a proteggere sé stesso e gli altri, e lo proteggerò da quei pazzi fanatici che addestrano i neofiti come dei cani da combattimento. Ma nemmeno questo sarebbe qualcosa di cui andare fiera nella mia vita, non tanto quanto riuscire nella disperata impresa di tenere il mio mondo fuori dalla sua vita.
“Almeno Renèe lo sa?” chiede con un sospiro di rassegnazione Ary, che ormai ha capito quanto sono messa male.
“No” rispondo sicura io. “Credo sia all’inizio del secondo mese e ancora non si è accorta di niente, anche se credo che in questi ultimi giorni qualche sospetto le sia venuto. Per questo è assolutamente necessario che io parta adesso. Prima che lo capisca, che dia la notizia a Phil, che, è matematico, comincerà a dare di matto in giro per casa e a camminare avanti e indietro come una gallina senza testa… prima che lei, felice, preoccupata e sprovveduta com’è, mi faccia gli occhioni da cucciolo supplicandomi di starle vicina, darle una mano con Phil e col bambino, magari strappandomi la promessa di farle da baby sitter quando vorranno avere una serata romantica, e Dio sa cos’altro…
Prima che le si cominci a vedere la pancia, che scopriamo se è maschio o femmina, che iniziamo a pensare ai nomi e a cercare le cose per la sua cameretta… prima che io possa affezionarmi all’idea”.
Mi passo stancamente una mano sulla faccia e crollo di nuovo sul letto. Sono esausta. Non sono particolarmente loquace, e solitamente, quando parlo così tanto, la mia voce è a livelli di volume molto più alti, e il mio approccio è molto più bellicoso. È strano, ma una chiacchierata a cuore aperto con la mia migliore amica è più estenuante di una bella sfuriata con chicchessia.
“Interessante… Ci hai fatto caso che, comunque vada, per te è tremendamente ingiusto?” dice lei, nella voce la stessa nota acida di cui risuonano i miei pensieri e la mia risposta.
“Ma dai? Pensa che avevo cominciato a credere di essere io quella che la vedeva troppo nera!”
Una risata bassa e amara mi sale in gola e una sua gemella fa eco nel ricevitore del mio cellulare.
“Quindi è definitivo. Parti domani” conclude Arsinoe.
“Già”
“Portati l’ombrello” ghigna lei e un moto di stizza mi monta dentro. A Forks non fa altro che piovere per tutto l’anno, e se non piove c’è odore di pioggia per tutto il tempo.
Io odio la pioggia. E non è perché io sia meteoropatica o cretinate del genere. Certo, mettetemi davanti un deficiente che sia allegro quando piove e state certi che non avrà il mio voto per le presidenziali, ma la questione è un’altra. A me la pioggia mette ansia.
Quando piove tutti gli odori sono amplificati e si coprono l’un l’altro. Quando piove i miei sensi, già all’erta, sono come sotto sforzo, e mi mandano in paranoia. Mi destabilizzano.
E io devo sempre avere il controllo.
Ary lo sa. È una delle nostre massime di vita.
La prima regola di nonna Marie.
“Buonanotte, Ary”.
“Buonanotte, Bella”.
Con un click chiudo la telefonata e mi rilascio cadere a peso morto sul letto, il braccio inerte e la mano ancora stretta sul cellulare. Rimango per qualche secondo a fissare il soffitto blu notte.
Era stata un’idea di Arsinoe. Un paio di anni fa era arrivata in camera mia armata di tintura e pennelli, mentre Fatima aveva portato un sacchetto con quelle stelline fosforescenti che poi avevamo attaccato per fare una riproduzione della volta celeste. Al centro avevamo appeso un lampadario a forma di falce di luna. Da allora, a luci spente, camera mia sembra un planetario.
Il loro regalo di addio. Solo che, all’epoca, nessuna di noi lo sapeva.
Volto la testa e tamburello le dita sulla superficie del telefonino, contemplando dubbiosa l’idea di chiamare Fatima.
Forse però è meglio aspettare, dopo la sfuriata di ieri. E poi, probabilmente, è al telefono con Ary in questo stesso istante.
Di noi tre, Arsinoe è sempre stata quella più diplomatica. Sicuramente le sta spiegando i motivi per cui me ne sto andando via da Phoenix, lontano da mia madre, da Elisabeth, dal clan, e da tutto ciò che conosco. Le starà dicendo quello che io, ieri, non sono riuscita a tirare fuori, non con la sua voce che mi strillava nelle orecchie quanto fossi una pazza, una sconsiderata, e un’egoista.
Egoista, io.
Non sono io che ho mollato le mie migliori amiche qui, in mezzo ai pazzi.
Non sono io che mi sono lasciata spedire all’altro capo dell’America e oltre oceano senza battere ciglio.
Io sono quella che è rimasta qui come una cretina, ed è ora che anche io prenda la mia strada.
Esito ancora per un momento, un’ultima occhiata allo schermo del mio cellulare, come aspettandomi di vedere il nome di Fatima comparire su di esso e di sentire la sua voce.
Sospiro pesantemente e mi tiro su dal letto con un colpo di reni.
Al diavolo. Non ho soldi da spendere per chiamare in Francia e litigare di nuovo. O peggio, finire per essere compatita.
Non lo sopporterei.
E comunque è meglio lasciar fare ad Ary, lei sa come prenderci.
Butto il cellulare sul cuscino e finisco di fare i bagagli.
Faccio appena in tempo a chiudere la cerniera della borsa, che l’apparecchio s’illumina e prende a vibrare.
Un messaggio.
 
“Ci troviamo tutti al Black Rose,
 Lance ci ha messi in lista.
Se vuoi venire siamo lì tra un’ora”
 
È di Pam. È entrata a far parte della compagnia che frequento un paio di mesi fa.
Un ordine di Elisabeth, ci scommetto.
Pam non è male, ma è ancora molto inesperta.
Sa che stasera sono impegnata con i preparativi, quindi se mi ha detto di quest’uscita…
O vuole offrirmi l’occasione per divertirmi, oppure ha una pista.
“Il Black Rose…”
Conosco quel locale, ci sono stata un sacco di volte. Ha una grande pista da ballo e due stanze adiacenti, per fumatori e non.
Ma soprattutto, ha un’uscita sul retro che sbuca in un vicolo cieco e buio.
“Ma si, perché no?!” mormoro tra me e me, inviando un messaggio di risposta a Pam.
Non sarà mai come le serate con Ary e Fatima, ma almeno mi aiuterà a distrarmi.
Raggiungo l’armadio e ne estraggo un mini abito nero da discoteca, senza maniche e con un profondo scollo a V.
Sotto ci metterò gli stivali neri, alti fin sopra il ginocchio.
Provocante e comodo.
Più pelle scoperta lascio, meglio è.
I miei occhi sono vuoti, la mia espressione concentrata.
Non sto andando a divertirmi.
Sto andando a caccia.




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Capitolo 2
*** Cinder ***


Eccomi qui. Siccome sono a casa malata e sull’altra fic ho un blocco dello scrittore da far schifo, ho deciso di buttarmi su questa. Così, per distrarmi un po’. Proprio perché è una distrazione, mi scuso, ma non garantisco la qualità del prodotto XP. No, sul serio, non ho la pretesa che sia venuto bene, sinceramente lo posto senza nemmeno rileggerlo, perché non mi va. Se ci sono cose nei contenuti che non tornano mi dispiace, ma non mi va di lavorarci più di tanto. Nella mia testa le cose funzionano, e se c’è qualche dettaglio tecnico che non collima con la storia originale o non è verosimile… beh, mi permetto di obbiettare che “verosimiglianza” e “Twilight” non dovrebbero nemmeno stare insieme nella stessa frase, già adesso mi vergogno per averle separate solo con una “e” XD.
Comunque, a parte gli scherzi, ripeto che non so dove andrà a finire questa storia, va avanti un po’ per conto suo, partendo da un’idea base buttata un po’ lì e prendendo in prestito altri concetti che, chi lo conosce se ne accorgerà, appartengono alla serie manga di Vampire Knight (ebbene si, lo leggo e mi piace ^^ problemi?! *brandisce minacciosa la sega elettrica*).
Ringrazio tantissimo tutte coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi ha recensito, e anche chi ha letto silenziosamente. Davvero, mi ha sorpreso molto che questa storia, fatta così, un po’ per ingannare il tempo, abbia riscosso tanto successo. Non me l’aspettavo! =)
Va bene, chiudo qui e vi lascio al secondo capitolo, decisamente più lungo del precedente. Spero che nessuna sia facilmente impressionabile, è vero che non ho mai scritto niente del genere, in nessun senso, ma non mi sembra comunque di essere stata troppo sanguinaria. Fatemi sapere cosa ne pensate^^
Buona lettura!

Artemys.











3moon


Cinder




You must know,’ said Estella, condescending to me as a beautiful woman might,
‘that I have no heart- if that has anything to do with my memory.
[...] so,’ said Estella, ‘I must be taken as I have been made.
The success is not mine, the failure is not mine, but the two together make me.”
Dickens, Charles. Great Expectations





Le notti a Phoenix sono molto calde.
L’aria è secca, porta con sé gli odori della terra arsa dal sole e dei pochi arbusti che crescono nel deserto. Può sembrare strano, ma anche la sabbia ha un suo proprio profumo.
Una leggera brezza spira da est, portandomi alle narici l’odore di strino della carne bruciata. Da qualche parte, lungo Kingsford Road, qualcuno sta facendo una grigliata.
Adoro la macchina di Phil e il suo tettuccio apribile. Non ho idea di che auto si tratti, mi basta sapere che è veloce, nera e silenziosa.
Grazie al cielo, la mia reputazione di figlia matura e affidabile mi permette di ottenere facilmente quello che voglio.
Il Black Rose si trova in periferia, il che rende le cose più facili. L’entrata principale ha davanti un ampio parcheggio, in cui vedo già le macchine della mia compagnia, con i fari accesi.
Quel cretino di Lance ha i fari con la luce verde… idiota.
Farebbe qualsiasi cosa per distinguersi, per apparire come il ribelle e il trasgressivo di casa. Con gente poco informata potrebbe anche riuscirci, se consideriamo i fari non omologati come l’ultimo dei suoi espedienti.
Ma con me non attacca.
Quando uno è figlio di papà, e fighetto fino al midollo, queste mascherate non fanno altro che dimostrare quanto sia superficiale.
Se non altro, è facile adeguarsi e passare relativamente inosservati, quando si frequentano certe compagnie.
Entro nel parcheggio premendo il piede sull’acceleratore.
Il ruggito del motore annuncia il mio arrivo, accolto da urla e schiamazzi di saluto dal gruppetto.
Sono tentata dal fare una parcheggiata alla Fast and Furious, ma mi trattengo.
Certe cose è meglio che mi abitui a non farle più, non collimerebbero con la maschera che indosserò da domani in poi.
Scendo dall’auto, stando ben attenta che l’orlo del vestito che indosso non salga nel movimento.
Mi arriva fino a metà coscia, cadendo a campana dai fianchi.
Le cose importanti è meglio che restino coperte, e non sto parlando della biancheria!
Trovo Pam che allontana il braccio di Lance, impegnato nel tentativo di ghermirle la vita, muovendo la testa e usando la lunga treccia come una frusta. Si dirige verso di me e mi affianca appoggiandosi alla portiera della mia auto.
Anche lei è vestita di nero, il suo corpo flessuoso è fasciato da un top e un paio di pantaloni di pelle che lasciano scoperta una considerevole quantità di epidermide, e, a parer mio, fin troppo poco spazio all’immaginazione. Vero è che ognuna ha il suo stile, magari quello da "panterona" è il suo, con la sua carnagione olivastra e i capelli corvini che ha può anche starci, ma è così minuta che, al posto suo, avrei puntato su uno stile più "innocente". Bisogna che, prima di andarmene, facciamo un discorso sui tipi di approccio che le convengono di più durante la caccia. È migliorata moltissimo in questi ultimi mesi, ma non mi sento tranquilla a lasciarla qui a fare esperimenti rischiosi se non sono certa che sappia come gestirli. Mi volto per bisbigliarle all'orecchio...
“Ehi, Bella!” mi saluta Lance, passandosi una mano tra i capelli castani e disordinati, come per darsi un tono.
“Lance… Gente…” è il mio laconico saluto. Va beh, magari le discussioni serie le rimando a dopo.
Il gruppo mi saluta con allegria. Un’allegria che mi puzza molto di alcol…
Sì, Trisha e Stacy si stanno contendendo una bottiglia di Vodka ormai agli sgoccioli.
Questi sono già mezzi ubriachi e sono solo le undici.
Intercetto un’occhiata scocciata di Pam, probabilmente l’unica che non ha toccato né alcol né roba fino ad ora.
Guarda te che gente ci tocca frequentare… ma, se non altro, sanno rendersi utili, di tanto in tanto.
Dall’altra parte del parcheggio, un altro gruppo di ragazzi interpreta praticamente la stessa scenetta.
Il solito sabato sera da adolescenti, insomma.
Tra loro ci sono però due persone che sicuramente non sono semplici adolescenti.
Un forte aroma di eucalipto e lillà mi arriva alle narici.
Cerco con gli occhi l’attenzione di Pam, ma lei sta già trafficando con la pochette nera che si porta dietro.
Ne estrae una scatolina di metallo che conosco bene.
La apre, si porta l’indice tra le labbra, lo immerge nella scatoletta e, quando lo tira fuori, ricoperto da un sottile velo di polvere bianca, se lo rimette in bocca succhiandolo.
Nel frattempo, io apro il ciondolo a forma di conchiglia che porto appeso al collo e, come lei, mi porto in bocca una piccola quantità di polverina, succhiandomi il dito come se fosse ricoperto di zucchero.
Vedo Lance che ci fissa, le pupille dilatate dall’ebbrezza dell’alcol.
Starà pensando le sue solite porcate, ne sono certa. Quello non pensa con il cervello.
“Bella, Pam, non ci offrite un po’ di sballo?” biascica Nigel, lo strafattone della banda.
“Come se non avessi le tasche piene di roba…” replica caustica Pam, richiudendo subito la sua scatoletta e infilandola nella pochette.
“Infatti” ghigna lui, con quell’aria da drogato che si porta in giro fin dalle prime ore del mattino. Una volta si è fumato una canna in classe, davanti all’insegnante.
Lo so, è nel banco davanti a me.
“Vedete quindi di non rovinarmi la piazza, voi due. Se vi mettete a darla in giro gratis, poi io a chi vendo?!” chiarisce lui, probabilmente credendo di fare la figura dell’uomo d’affari.
“Tranquillo” rispondo io, sorridendogli angelica. “A noi non piace condividere. E comunque, quando si parla di darla in giro gratis, lo sanno tutti che bisogna rivolgersi a Trisha”.
La combriccola scoppia a ridere, mentre la diretta interessata, assolutamente refrattaria a qualsiasi senso del pudore, mi fa l’occhiolino con aria saputa, per poi buttare le braccia al collo del primo malcapitato essere di sesso maschile a tiro e ficcargli la lingua in bocca.
Il ragazzo in questione è Jason, l’ultimo acquisto della compagnia. È un ottimo ballerino di breakdance, un chitarrista niente male, estremamente carino… sarebbe anche il ragazzo di Stacy, ma né lei né Trisha sembrano considerarlo un ostacolo a questa esibizione.
Nemmeno lui in realtà, visto che le sta palpando il sedere.
Ma dico io...
Quando finalmente i due si scollano decidiamo di entrare, e ci avviamo verso il locale.
Anche l’altro gruppetto sembra avere la stessa idea e ci segue.
Lance si mette tre me e Pam, prendendoci entrambe per la vita.
Nessuna delle due si scompone più di tanto, ci siamo abituate.
Non appena varchiamo la soglie del locale, entrambe pestiamo accidentalmente i piedi di Lance con i tacchi a spillo.
Mentre lui resta dolorante in mezzo all’ingresso, noi due ci inoltriamo in mezzo alla folla del Black Rose, già pieno di gente
La pista da ballo è immersa nella penombra, illuminata dai lampi delle luci psichedeliche, che vanno a ritmo con la musica. Una canzone qualsiasi, di quelle pulsanti, banali, commerciali, eppure irresistibilmente travolgenti. I bagliori simili a flash fanno sembrare che tutti quei corpi si muovano al rallentatore.
Ho già caldo, il mio cuore ha preso a battere ad un ritmo più serrato mentre il mio corpo segue meccanicamente quello dettato dalla musica.
Sto ballando in mezzo a questa massa brulicante, con Pam poco lontana da me. Presto raggiungiamo uno dei cubi ai lati della pista e vi saliamo sopra, guadagnando una visione sopraelevata.
In mezzo a tutti quegli odori: sudore, alcol, profumi, fumo di sigaretta e fumo di ghiaccio secco, intercetto di nuovo quegli aromi freschi e dolci allo stesso tempo. Eucalipto e lillà.
I miei occhi scorrono sulla folla danzante e presto trovo quello che cerco.
Una testa bionda e una bruna, pelle pallidissima, un riverbero appena accennato sugli zigomi quando la luce lampeggia, profonde occhiaie simili a ustioni sotto agli occhi e, posso vederlo anche da qui, una sfumatura sanguigna nelle iridi nere.
Continuando a ballare faccio un segno a Pam, quasi casuale, con la mano verso destra.
Lei mi risponde con un cenno affermativo della testa, che ad altri sarebbe sembrato solo un movimento dato dal ballo frenetico.
Contemporaneamente scendiamo dal cubo, mentre la canzone sfuma lentamente in un’altra e il ritmo cambia appena, accompagnato questa volta dai flash di luci blu e rosse.
Puntiamo verso i due ragazzi, che per fortuna sono alti e si vedono bene anche da terra, considerando pure i dieci centimetri di tacco che mi supportano.
Camminare in linea retta in mezzo ad una discoteca piena di gente è notoriamente impossibile.
Per non farci spintonare troppo da una parte all’altra, continuiamo a ballare, muovendoci sinuose, come seguendo il moto di un’onda.
Finalmente arriviamo vicino ai due, già attorniati dal consueto stuolo di ragazze con gli ormoni a mille. Perfettamente comprensibile.
Certo, non faccio fatica a capire perché sbavino in quel modo. Sono cinica, sono realista, ma non cieca.
La differenza è che io mi aspetto tanta bellezza. Non mi confonde, né mi abbaglia.
Perché so cosa nasconde.
Ma anche io posso essere abbagliante.
Certo, forse solo per quelli come loro, ma posso.
Devo.
Con un gesto deciso, scanso un paio di ragazzine petulanti dal mio cammino, imitata da Pam.
Il profumo di eucalipto è fortissimo adesso che il moro è davanti a me.
Continuo a muovermi languida, lentamente, cercando il suo sguardo.
Solo una formalità, solo per non risultare diversa dalle altre che gli si strusciano addosso, cercando la sua attenzione.
Perfettamente inutile, dal momento che i suoi occhi sono già su di me, completamente dimentichi della ragazza che balla tra le sue braccia.
Faccio in tempo a notare che è un brunetta vestita di rosa, non avrà nemmeno quindici anni, che è già stata messa da parte.
Lui mi si avvicina di un passo, i suoi occhi rossi percorrono tutta la mia figura, soffermandosi insistentemente sul mio collo scoperto.
Con un movimento della testa lascio ricadere i capelli in avanti, coprendo con quella labile barriera la pelle delicata della gola.
Oh sì, gli da fastidio. Lo vedo nella smorfia appena accennata della sua bocca.
Sta facendo di tutto per non mostrare i denti, o meglio, le zanne.
È saggio fare i dispetti ad un vampiro?
Quando sai gestire la cosa, sì.
Quando diventa una delle ultime forme di divertimento che ti sono rimaste, pure.
E poi, perché sprecare un’occasione del genere?!
Un vampiro che ha l’autocontrollo per resistere dentro ad una discoteca piena di adolescenti con gli ormoni in subbuglio, è semplicemente una rarità.
Se fossi meno pratica di queste cose, probabilmente penserei che è meno pericoloso degli altri.
Ma proprio questa sua capacità di controllarsi, di trattenersi, lo rende più letale.
Si avvicina a me, ormai sento il suo odore fresco e penetrante con un’intensità fastidiosa.
Ogni mio muscolo vorrebbe tendersi alla fuga, il mio cuore vorrebbe mettersi a correre… ma la mente prevale sugli istinti1.
Nonna Marie mi ha insegnato bene.
Rimango rilassata, il battito appena accelerato, quel tanto che basta ad incolpare l’emozione o l’imbarazzo.
Sono calma mentre la sua mano mi sfiora ai lati del viso, scostando dietro le spalle le cortine di capelli con un gesto leggero e delicato che colpirebbe chiunque altra. Chi per l’eleganza, chi per la delusione del mancato contatto con le sue dita…
Io ci vedo solo l’astuzia del predatore che non vuole far scappare la preda, ancora apparentemente inconsapevole del pericolo.
Come se non sentissi già da questa distanza il freddo e l’elettricità emanati dal suo corpo.
Si avvicina ancora e mi posa delicatamente le palme sui fianchi. Lo vedo chinarsi per sussurrami all’orecchio, ma so che è solo una scusa per assaporare ancora di più il mio profumo.
D’altra parte, non è certo la mia bellezza ordinaria o la mia discutibile sensualità ad attirarlo.
Il mio odore, l’odore del mio sangue, è particolarmente dissetante, per quelli come lui.
Fa parte della mia natura, del mio dono.
Improvvisamente mi viene in mente l’espressione di Fatima, la prima volta che nonna Marie ci ha spiegato quest’aspetto della nostra maledizione.
“Che botta di culo” aveva sbottato, con la sua solita grazia.
Adesso, come allora, un sorriso mi sale alle labbra. Giusto in tempo perché lui lo interpreti come un assenso alla sua domanda.
“Mi concedi questo ballo?” mi ha sussurrato galante all’orecchio. L'ho sentito benissimo, nonostante il frastuono della musica che pompa dalle casse a tutto volume.
Non posso fare a meno di pensare che la sua voce sia calda e densa. Mi viene in mente lo sciroppo d’acero colato sui pancakes.
Io odio lo sciroppo d’acero.
Troppo dolce, appena lo tocchi ti resta una patina taccolenta sulle dita, e auguri a levarsela.
Suadente, educato, affascinante.
Il sogno di ogni ragazza, roba che Nigel e Lance se la sognano.
Sarebbe facile cadere ai suoi piedi, se non sapessi perché le sue spalle, a cui mi avvinghio per il ballo, sono così solide e scolpite.
Se non sapessi perché, improvvisamente, ho la pelle d’oca per il freddo.
Se non vedessi quel leggero riverbero sulla sua pelle, appena la luce di un riflettore lo colpisce con una particolare angolazione.
Se i miei sensi non fossero abbastanza sviluppati da sentire l’assenza del battito cardiaco quando mi stringe di più a sé, facendo scontrare per un attimo il mio petto col suo torace marmoreo.
Tengo i miei occhi fissi nei suoi e vedo già gli effetti che la mia presenza sta avendo su di lui.
È così impegnato nel controllarsi, che non pensa nemmeno per un istante che possa esistere una creatura in grado di ammaliarlo come lui ha fatto con tutte le ragazze qui attorno.
Nella sua arroganza di essere immortale, non lo sfiora nemmeno l’idea che possa esistere qualcosa di simile a me.
Non immagina nemmeno che io possa costituire un pericolo per lui.
Quello che i vampiri non hanno mai capito, è che esiste sempre un pesce più grosso.2
Ora è come ubriaco.
Continuiamo a ballare, intorno a noi le ragazze che lo accerchiavano mi guardano con odio e invidia.
Fate pure, finché non mi intralciate potete anche trucidarmi con gli occhi.
Io, intanto, tengo i miei fissi in quelli di questa creatura che vi attrae tanto.
Le sue iridi sono scure, deve avere molta sete. Non resisterà ancora per molto, con me così vicina.
Infatti, mentre i bassi della canzone vengono gradualmente sostituiti dagli effetti elettronici di quella successiva, lui accosta di nuovo la sua bocca al mio orecchio.
“Ti va di trovare un posto più tranquillo, per starcene un po’ da soli?” mi alletta con la sua voce bassa e sensuale, un po’ più roca di prima.
Ormai sta cedendo.
Io mi stacco appena da lui, rivolgendogli uno sguardo carico di malizia, e lo prendo per mano.
Per una frazione di secondo cerco gli occhi di Pam, stretta tra le braccia del vampiro biondo come lo ero io un attimo fa.
Lei coglie la mia occhiata, ai limiti del suo campo visivo, e la vedo increspare appena le labbra.
Poi le do le spalle e, col vampiro bruno per mano, mi inoltro nella ressa del locale, cercando di guadagnare l’uscita.
Abbandonata la pista da ballo, mi dirigo con passo sicuro verso quel corridoio, nascosto dietro un paravento con disegni orientale, che porta all’uscita sul retro.
Lungo il percorso non gli lascio mai la mano, tenendolo appena un passo dietro a me, volgendomi di tanto in tanto per sorridergli lascivamente.
Ancora non ho deciso se questa è la parte che mi diverte o mi disgusta di più. Fare la gatta morta non è decisamente nelle mie corde, ma è buffo pensare a quanto può essere facile irretire un vampiro.
La porta antincendio è davanti a noi, spingo sul maniglione rosso e in un attimo siamo fuori.
Anche se l’aria è calda, in confronto alla cappa afosa del locale, qui all’aperto sembra frizzante, fresca.
L’ideale per rimanere lucida.
Ma per il vampiro alle mie spalle non c’è speranza di recuperare la lucidità.
Anche qui fuori il mio odore è forte per lui, ormai gli sono entrata dentro.
Il vicolo è grigio e spoglio.
In fondo ci sono un cassonetto e alcuni bidoni di metallo. Mi torneranno utili, dopo.
Faccio cinque passi in avanti, mi fermo coi piedi paralleli, le gambe leggermente divaricate.
La luce della luna piena cade a picco sulla mia testa, inondando lo spazio angusto del suo chiarore lattiginoso.
Reclino il capo all’indietro, lasciando cadere i capelli a cascata sulla schiena, la pelle morbida e delicata del collo scoperta.
Sembra che me ne stia qui, abbandonata nella contemplazione della volta celesta, in attesa.
Anche ad un essere umano sembrerebbe un invito.
Figuriamoci ad un vampiro.
Lo sento avvicinarsi a grandi falcate alle mie spalle. Veloce, ma non abbastanza perché io non mi accorga del suo movimento.
Si ferma, incombente sulla mia figura minuta.
Posa le mani sui miei fianchi, il suo tocco è leggero, ma non morbido.
Sta facendo di tutto per non chiudere le dita ad artiglio.
L’ho capito fin dal primo momento che questo è uno a cui piace prendersela con calma.
Probabilmente ci prova gusto ad ingannare le sue prede fino all’ultimo istante.
Resto immobile mentre con la punta del naso scende a sfiorarmi la spalla.
Lo assecondo nella sua sceneggiata e appoggio le spalle al suo torace.
Faccio salire il braccio per sfiorargli la nuca con la punta delle dita.
Le passo sui suoi capelli con la stessa lentezza con cui lui fa scorrere il naso sulla mia spalla, lungo la clavicola.
La mia testa è ferma, dritta, e lui porta una mano dal mio fianco alla guancia, ormai completamente dimentico del gelo della sua pelle che si scontra col calore della mia.
Con finta gentilezza mi reclina la testa di lato, mentre col naso arriva all’incavo tra la mia spalla e il collo.
Con altrettanto finto abbandono assecondo il suo movimento, spostando la mano dai suoi capelli al lato della testa, per poi scostarmene appena di pochi centimetri.
Lui pare non rendersene nemmeno conto.
Porta le labbra al mio orecchio.
Io penso intensamente alla leggera pressione del materiale freddo e metallico che preme sulla pelle della mia coscia.
Penso all’esatta sensazione che proverei nel sentirlo nell’incavo della mia mano serrata su di esso.
“Questo ti farà un po’ male…” ghigna sadico il succhiasangue ad un soffio dal mio orecchio.
Il pensiero è più veloce di qualsiasi gesto o parola.
Il suono sordo dello sparo scoppia nel silenzio della notte, rimbalzando sulle pareti del vicolo, mentre contemporaneamente io mi abbasso sulle ginocchia, accovacciandomi a terra.
Porto le mani a ripararmi la testa, nella destra stringo la pistola da cui è partito il colpo.
Vedo pezzi di roccia bianca cadere a pochi passi da me, con attaccate ciocche di capelli bruni.
Mi rialzo in piedi, girando su me stessa.
Il corpo marmoreo del vampiro è ancora in piedi, davanti a me.
La testa non c’è più.
I suoi pezzi sono sparsi a terra.
Sento dei passi dietro la porta antincendio.
Nel momento stesso in cui la vedo girare sui cardini, punto la pistola davanti a me, ad altezza d’uomo.
Sparo.
Di nuovo lo scoppio sordo rimbalza sui muri, attutito dalla musica proveniente dall’interno del locale.
Questa volta vedo la testa del vampiro, quello biondo, saltare per aria, disintegrarsi, mentre io e Pam ci abbassiamo di nuovo per non essere colpite in faccia dai frammenti duri come la pietra.
Pam si rialza in piedi e, senza degnare di uno sguardo i resti polverizzati della sua preda, spinge con noncuranza in mezzo alle scapole il corpo rimasto in piedi, facendolo cadere a terra.
Con altrettanta indifferenza, io faccio lo stesso con la mia vittima, mentre lei richiude la porta di servizio, dando qualche calcio alle gambe del cadavere per agevolare l’operazione.
Io rinfilo la pistola nella fascia che tengo intorno alla coscia, sotto al vestito, ed estraggo dallo stivale il mio fidato coltello.
Mentre a terra i vari pezzettini delle due teste polverizzate cominciano a fremere, Pam li raccoglie uno ad uno.
Io, intanto, mi dedico a tagliare gli arti dai corpi dei vampiri decapitati. La lama del mio coltello affonda come nel burro.
“Vuota due di quei bidoni dentro al cassonetto, dovrebbero fare al caso nostro” ordino a Pam, che esegue subito, in silenzio.
Una volta vuoti, porta i due contenitori metallici vicino a me, e io comincio a buttare dentro ad uno braccia e gambe.
Il trucco è sforzarsi di pensare che siano parti di un manichino.
Nell’altro facciamo entrare i tronchi dei corpi mutilati e Pam butta dentro i frammenti delle teste che ha raccolto.
Nel frattempo le prendo la pochette nera e ne estraggo un fiaschetto da liquori e ne verso il contenuto trasparente nei bidoni.
Passo la pochette a Pam, mentre faccio in modo che la vodka bagni il più possibile i resti di quei mostri.
La mora al mio fianco prende fuori una scatoletta di fiammiferi e ne accende due, buttando prima uno e poi l’altro sul liquido altamente infiammabile.
I cadaveri prendono subito fuoco, producendo due colonne di quel fumo denso, scuro e dolciastro che ha riempito gli anni della mia adolescenza.
Mentre i due falò continuano a bruciare, io e Pam ci dedichiamo a raccogliere gli ultimi frammenti bianchi rimasti in giro, buttandoli di tanto in tanto tra le fiamme.
Una volta terminata anche quest’ultima operazione, ci allontaniamo un po’ dai due incendi e appoggiamo le spalle alla parete fredda di mattoni.
L’aria notturna ci rinfresca la pelle del viso, ma non è sufficiente a scacciare l’odore del fumo di quei roghi.
Pam, al mio fianco, si lascia andare ad un sospiro.
Immagino di sollievo. Queste serate non sono mai una passeggiata, neanche quando ci sei abituata.
Lei, poi, è solo da poco che è passata all’azione sul campo.
Sono comunque grata che Elisabeth l’abbia affidata a me.
È una ragazza in gamba, si adatta a qualsiasi situazione, e non va nel panico.
Ancora non è pronta per andare a caccia da sola, ma mi assicurerò che venga affiancata a qualcuno che sappia finire quello che io ho cominciato.
“Tutto bene?” le chiedo, osservandola mentre reclina il capo contro il muro, alla ricerca di un po’ d’aria che le dia sollievo.
Questo non è un odore a cui ci si abitua facilmente. I primi tempi, anche a me dava la nausea.
Lei annuisce, deglutendo un po’ di saliva. Sicuramente, con l’emozione e il calore, avrà la gola secca.
Prendo di nuovo la pochette dalle sue mani e ne estraggo un bottiglietta mignon contenente del liquido ambrato.
La stappo e ne annuso l’aroma caldo e penetrante. Sicuramente alcolico.
“Che cos’è?” chiedo, con un sospetto in mente.
Lei mi guarda e ghigna sardonica.
“Vin Santo”
Io inarco un sopracciglio stupita e scoppio a ridere, seguita a ruota da Pam.
Certo che questa ragazza ha senso dell’umorismo.3
Scrollo la testa, ancora scossa dalle risate, e le passo la sua bottiglietta di vin santo.
“Che scema sei! Bevi, prima di crollarmi qui”.
Lei, con un’alzata di spalle, ingolla un sorso e mi restituisce il contenitore mezzo vuoto.
“Butta giù! Un brindisi all’ultima caccia insieme” sorride ammiccando.
Io la guardo un momento interdetta, poi faccio come dice e vuoto il resto del liquido nella mia bocca.
Una sensazione di calore mi invade, dandomi una scossa piacevole in tutto il corpo.
Non sono una che beve, ma ogni tanto ci vuole.
Tanto per stasera i miei sensi super sviluppati da cacciatrice possono anche mettersi a riposo.
“Grazie” esclamo restituendole nuovamente la bottiglietta.
Lei annuisce, rimettendola in borsa.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, osservando il cielo stellato.
“Starai bene?” mi chiede senza guardarmi, ma sento l’apprensione nella sua voce.
Che dolce.
Mi ha appena vista sparare a sangue freddo in mezzo agli occhi ad un essere senziente e farlo a pezzi come una bistecca, non è nemmeno la prima volta che mi vede intenta in queste amene attività, lei stessa è stata addestrata ad agire con la medesima freddezza, eppure riesce ad essere così umanamente tenera, preoccupata per la mia sorte.
“Me la caverò” annuisco sicura.
Volto il capo verso di lei e le rivolgo un sorriso sincero.
“Anche tu starai bene. Ho già chiesto ad Elisabeth di affiancarti a Dylan. Sono stata in missione con lei diverse volte, e posso assicurarti che con lei sarai in buone mani. Nel giro di un anno, potresti anche essere pronta per cacciare da sola”
Lei mi sorride, in parte rassicurata, in parte gratificata, in parte malinconica.
“Mi mancherai” dice, so che è sincera.
“Anche tu” le rispondo con altrettanta sincerità.
È una delle tante persone che mi mancheranno.
Ma dopo il distacco da mia nonna, da Arsinoe e da Fatima, ormai ci ho fatto il callo.
Aspettiamo ancora una decina di minuti.
Quando ormai le fiamme hanno divorato i cadaveri dei vampiri, prendiamo i coperchi dei bidoni e li chiudiamo, soffocando le ultime lingue di fuoco.
“Hai la tua macchina?” chiedo mentre mi arrampico sul bordo del cassonetto e ne estraggo due pezzi di cartone.
“Si, possiamo metterli nel mio porta bagagli” dice pragmatica lei, prendendo il cartone che le sto passando e strappandolo in due, come me, per farne delle presine improvvisate.
Con le mani protette dalla superficie arroventata, solleviamo i due bidoni per le maniglie e ci avviamo verso il parcheggio.
Una volta arrivate alla macchina, Pam apre l’ampio baule, mentre io tolgo il coperchio da uno dei bidoni e vi immergo il braccio.
Quando lo estraggo, nella mia mano tengo una manciata di braci.
Già grigie, già fredde.
Faccio per prendere il mio ciondolo a forma di conchiglia, ma Pam mi ferma, tendendomi di nuovo la bottiglietta mignon vuota.
“Ce ne sta di più” dice semplicemente.
Con un sorriso tirato accetto il dono.
Contraggo il pugno polverizzando definitivamente le braci e faccio fluire la cenere dentro il contenitore di vetro.
Pam mi fissa mentre ripeto l’operazione, fino a che la bottiglietta non è piena e richiusa col suo tappo.
“Bella…” mormora quando mi vede buttarla sul sedile del passeggero della macchina di Phil, parcheggiata accanto alla sua.
“Lascia perdere, Pam. È il mio corpo, la mia vita. Nessuno ti dice che devi imitarmi, anzi” dico seccamente.
Lei resta in silenzio qualche secondo, poi ritenta.
“Ma Elisabeth dice che…”
“Elisabeth dice un sacco di cose” sbotto. “Ha detto a mia nonna che io, Fatima e Arsinoe saremmo rimaste insieme, e ora una è a New York e l’altra a Parigi!”
Se mia nonna fosse ancora viva, una cosa del genere non sarebbe mai successa.
Lei sapeva che avevamo bisogno di restare unite.
“Sì, ma…” tenta di nuovo Pam, con scarsa convinzione.
Io mi giro verso di lei, puntando i miei occhi nei suoi.
“Niente ma, Pamela! Mia nonna è stata la più grande Artemide degli ultimi due secoli, è l’unica ad essere morta di vecchiaia, e aveva centoventi anni. Anche alla sua età era abbastanza sveglia e in forze da addestrare me e le mie compagne, ed è grazie alla Cenere Grezza. Se io decido di fare altrettanto, è solo perché sono destinata a prendere il suo posto. Se Elisabeth non lo capisce, è solo perché lei è Selene! Ha ricevuto un addestramento diverso, non è nella sua natura. E comunque, come ti ho già detto e ripetuto mille volte, nessuno ti dice di fare come me” concludo, con un tono che non ammette repliche.
Lei mi fissa ancora un istante, poi, davanti al mio sguardo di ghiaccio, abbassa gli occhi.
“Scusa… Hai ragione, non sono affari miei” mormora.
Io sospiro. Con una scrollata di spalle richiudo il bidone e comincio a caricarlo sulla sua auto.
Lei fa lo stesso, rimanendo zitta.
“Non devi prendertela, non ce l’ho con te” la rassicuro, cercando di mantenere la voce ferma. “Ma ci sono cose che non si possono capire, quando non si ha… la mia prospettiva di vita”.
Lei annuisce, con una smorfia dispiaciuta.
Finiti di caricare i bidoni, chiudiamo la portiera del bagagliaio.
“Portali subito alla base. Deciderà poi Katia quanta cenere mandare in raffineria e quanta alla fusione. Ah, e di a Chris che questa volta la quantità di esplosivo era perfetta: pezzi né troppo grandi né troppo piccoli” le raccomando mentre si appresta a salire in macchina, una jeep verde scuro.
Lei sorride e annuisce, sedendosi dietro al volante.
“Hai qualche ordinazione dell’ultimo minuto? Sono sicura che se mi lasci il tuo indirizzo di Forks non ci saranno problemi a farti spedire scorte…”
“Tranquilla, ho qualche ricarica di munizioni con me, e anche se non mi aspetto di trovare vampiri da quelle parti, ho comunque un deposito d’emergenza nascosto laggiù. Nel caso dovessi avere bisogno di qualcosa, posso sempre fare un salto alla base di Tacoma. E comunque, figurati se alla base non hanno l’indirizzo di casa di mio padre! Sapranno anche il numero di scarpe che porta, come minimo” sbuffo acida.
Pam ride della mia espressione e ci scambiamo un’occhiata complice.
“Allora… buon viaggio e…” esita lei con un sorriso, “Ci vediamo!”
“Ci vediamo” confermo io, sorridendo a mia volta.
Ci salutiamo con un abbraccio, poi ci separiamo.
Lei, diretta per l’ennesima volta al quartier generale, dove consegnerà la cenere di vampiro, di cui una parte verrà filtrata e raffinata per produrre la polvere bianca che usa anche lei, come gli altri, per potenziare temporaneamente le proprie abilità e i propri sensi, mentre l’altra verrà utilizzata per essere fusa insieme ai metalli con cui vengono forgiate le nostre armi, le uniche in grado di uccidere anche i vampiri.
Io, con la macchina di Phil, percorro per l’ultima volta la strada verso casa.
Domani prenderò l’aereo che mi porterà nel piovoso stato di Washington, in cui non metto piede da tre anni. Da domani, indosserò a tempo pieno la maschera della ragazza goffa, matura, timida, imbranata, e incapace di mentire. Quella con cui mi conoscono i miei genitori. Quella che sarebbe la mia vera natura se, a undici anni, non fossi stata attaccata da un vampiro e mia nonna non mi avesse salvata.
Da quel giorno ho cominciato il mio addestramento da cacciatrice e sono entrata a far parte del clan. Quello di cui mia madre non sa niente, perché non ha ereditato il dono da mia nonna.
Da allora è cominciata la mia trasformazione.
Forgiata nella mente e nel corpo, prima dall’addestramento e dagli insegnamenti di mia nonna, poi grazie alla Cenere grezza di vampiro. Quella che nessuno, oltre a mia nonna, ha osato prendere da molto tempo, perché, a differenza della Cenere raffinata nei nostri laboratori, porta mutazioni permanenti. Piano piano, il mio corpo è diventato più forte, veloce e resistente. I miei sensi, già acuiti dal dono, si sono amplificati ulteriormente. E le mie abilità paranormali, come quella di materializzare una pistola dalla guaina legata alla mia coscia nella mia mano, si sono perfezioniate, anche se non sono nulla in confronto a quelle di Fatima e Arsinoe.
Anche loro usano la Cenere grezza, perché anche loro hanno imparato da mia nonna.
Noi siamo state addestrate per essere il prossimo Trio. Quando Elisabeth, l’ultima della vecchia generazione, morirà, diventeremo le guide più potenti che i clan dei cacciatori, sparsi in tutto il mondo, abbiano mai avuto.
Poco importa se per questo dovremo rinunciare a un po’ della nostra umanità.





Note d'autore:
  1. riconoscete le parole di Edward? Dai, su che non è difficile ^^
  2. frase presa da Qui Gon Jinn in “Star Wars- La minaccia fantasma”
  3. ok, il vin santo non è vino benedetto, non so nemmeno se in America lo conoscono, visto che è una raffinatezza che io ho scoperto in Trentino. Mi sembrava ironico però che una cacciatrice si portasse dietro un goccetto di vin santo, sapete no, per quella superstizione secondo cui le cose sacre tengono lontani i vampiri. Cosa che ovviamente non conta per quelli della Meyer, ma mi sembrava carino mettere una cosa del genere, un po’ come la croce antica in casa Cullen.

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Capitolo 3
*** Clouds ***


Salve a tutti! Scusate per la lunga attesa, ma con l’esame in avvicinamento è un miracolo che sia riuscita a buttare giù di corsa questo capitoletto. Si, mi odierete, vado avanti a minipassettini. Prometto che, passato l’orale, posterò un bel capitolone succoso! ;) Davvero, già così rischio tantissimo, dovrei essere a ripassare italiano, ma sinceramente non ne avevo voglia stasera. Che dite, è grave se, a meno di una settimana dall’esame, non sento ancora il panico? Io temo di si. Oh, beh, l’importante alla fine è uscirne.
Comunque, resto coerente con me stessa e prendo questa storia così come viene: non rileggo, non correggo, scrivo di getto, e come va va. Finora ha funzionato piuttosto bene, sicuramente meglio di quando invece divento cretina per incastrare ogni singolo dettaglio e soppeso ogni parola, neanche stessi creando una bomba.
Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno aggiunto questa storia nelle seguite (siete davvero tantissimi, sono commossa ^^), ricordate e preferite (sono commossa anche da voi, ovviamente XD). Grazie mille anche a chi ha commentato, in particolare a Melucchia, che ha anche avuto la pazienza di rassicurare le mie fisime da autrice disorientata dai numerini che salgono (che ci posso fare, non ci sono abituata, e poi a me i numeri fanno paura in generale XD).
Avverto che in questo capitolo non succede poi molto, ma credo si capiscano meglio certe cose di Bella, sia del mondo di cui fa parte, sia della sua personalità che, vedrete, è un po’ (molto) diversa da quella che conosciamo.
Ah, per chi amasse il genere, e avesse voglia di immergersi nell'atmosfera del capitolo, questo è un link utile ;)
Vi anticipo solo che è la musica che ascolta Bella nel capitolo, ma non dico altro. Ora vi lascio alla lettura. Un saluto a tutti
PS: per chi volesse contattarmi, o per avere qualche spoiler di tanto in tanto, questa è la mia pagina facebook

Artemys







3moon
 

 





Clouds









"Nascondi ciò che sono 
e aiutami a trovare la maschera più adatta
 alle mie intenzioni."


William Shakespeare








Finalmente l’aereo è decollato.
Onestamente non amo la sensazione di vuoto che si avverte nel momento in cui il carrello si stacca dal suolo. Ma, d’altro canto, è l’unica parte del volo che mi infastidisce.
Certo, fatta eccezione per quando si incontrano turbolenze e la gente comincia ad andare nel panico senza motivo.
Mia madre, per esempio, è quel tipo di persona che parte elettrizzata per qualsiasi viaggio, mandando fuori di testa tutti i suoi accompagnatori, prima per il troppo entusiasmo, poi per l’isteria da decollo.
Prima, quando ci siamo salutate all’aeroporto, si è fatta prendere da una crisi isterica da madre abbandonata.
Sinceramente non so se attribuire le sue lacrime alla sua comune pazzia o agli ormoni in subbuglio.
Cioè, non che io sia esperta di gravidanze, anzi, ma forse, il fatto che io senta l’odore dei suoi ormoni sballati, non vuol dire che lei ne senta già gli effetti.
Cavolo, se Madelaine quest’anno non fosse rimasta incinta, e non avessi percepito il cambiamento del suo odore durante il semestre, probabilmente non sarei stata capace di accorgermi dello stato di Renèe.
Non così in fretta, almeno.
È incredibile quanto il mio olfatto si sia sviluppato, soprattutto nell’ultimo periodo. Forse perché ho incrementato le dosi di Cenere.
Reclino la testa contro lo schienale. Il rombo delle turbine è quasi assordante, ad ogni virata sento il rumore dei circuiti dell’aereo, e il cambiamento di tonalità dato dalla diversa inclinazione delle ali mentre fendono l’aria.
Sento tutto.
La ventola che crea questa temperatura polare in tutta questa specie di tunnel volante, bianco dentro, fuori, in mezzo alle nuvole, che di bianco non hanno nulla.
Non lo dico io.
Lo dice un pittore, in un libro. Secondo lui la parte di pittura ad olio bianca necessaria per fare una nuvola è veramente minima1.
Punto gli occhi fuori dall’oblò, mentre l’uomo seduto accanto a me si mette il portatile sulle ginocchia e lo accende.
Da quassù è ancora più difficile credere che quelle masse spumose, alte come montagne, non abbiano la consistenza dello zucchero filato.
La cacofonia che mi circonda è insopportabile, non riesco a darvi un ordine.
O meglio, non ne ho voglia.
Mi infilo le cuffie e accendo l’iPod.
Faccio partire la riproduzione casuale, non ho voglia di cercare una canzone adatta alla situazione o al mio umore.
La musica parte, leggera, dalle note basse.
Pochi, lenti, semplici accordi risuonano nelle mie orecchie, chiari come se il pianoforte fosse al centro del corridoio dell’aereo.
Riconoscerei ovunque questa musica, prima lenta, poi crescente in un rincorrersi di arpeggi carichi di energia.
Sempre più veloci, una terzina dopo l’altra, un ricombinarsi continuo delle stesse note. Accordi e arpeggi, prima separati, poi sovrapposti.
Una danza delle due mani che si muovono in sincronia su quella scala a pioli bianchi e neri.
Grumi di note che si accavallano, che si rotolano addosso, sempre più densi.
Come nuvole sospinte da un vento forte e fresco.
Nuvole che solcano veloci i cieli, come avviene solo tra le montagne, o sul vasto oceano.
Nuvole bianche.
È il primo brano che mi ha suonato la mia insegnante di pianoforte, per darmi una dimostrazione di cosa, un giorno, impegnandomi, avrei potuto fare.
Lo imparai tre anni dopo, e lo suonai piena d’orgoglio a mia madre, sul pianoforte a muro che teniamo in salotto.
Renèe adora Einaudi.
Dice che, pur non essendo troppo complicato da suonare, le trasmette sempre una grande emozione, con ogni singolo brano. 
Istintivamente le mie mani si tendono in aria, le dita cominciano a suonare una tastiera immaginaria, inseguendo la musica di uno spartito che non ho bisogno nemmeno di leggere.
L’uomo accanto a me mi sta fissando, probabilmente la musica è così alta nelle cuffie che riesce perfino ad udire la melodia.
Ma chi se ne frega.
Da Charlie non potrò più suonare, nemmeno un piano fantasma.
Non solo perché non ce l’ha, ma soprattutto perché, vedermi suonare, gli mette tristezza.
Già somiglio abbastanza a mia madre, se poi mi metto a suonare il piano, come lei, quello va in depressione profonda.
Onestamente, credo che mio padre non abbia mai superato la storia con Renèe.
I miei occhi tornano a quelle montagne di panna montata fluttuanti fuori dall’oblò, mentre le mani continuano a seguire la musica.
Ricordo che all’inizio odiavo studiare pianoforte, era noioso, e richiedeva un sacco di tempo. Smisi di prendere lezioni a nove anni, dopo un anno di piagnistei con mia madre.
Ricominciai quando ne avevo dodici.
Non tanto perché mi mancasse il pianoforte in sé, per quanto la musica mi sia sempre rimasta nel cuore.
Avevo bisogno di qualcosa che mi tenesse legata a Renèe, al suo mondo, qualcosa che mi facesse sentire ancora la sua bambina.
All’epoca avevo già cominciato l’addestramento con mia nonna, e la mia personalità aveva preso una piega diversa.
A volte mi chiedo che ragazza sarei se, quella notte di sei anni fa, io, Fatima e Arsinoe, non fossimo andate di nascosto in Sala Giochi.
Se, lungo la via del ritorno, non avessimo incontrato quei due bellissimi ragazzi, apparentemente poco più grandi di noi.
Se, usando un minimo di cervello, non avessimo deciso di tagliare per il parco, dopo averli incrociati.
Di una cosa sono sicura, al cento per cento: se non ci fosse stata mia nonna, quella notte, oggi io non sarei qui.
Però chissà, se non fossi mai diventata una cacciatrice, forse sarei esattamente come la ragazza che fingo di essere coi miei genitori.
Forse sarei ancora timida, goffa, introversa, negata per lo sport e priva di qualsiasi altro talento artistico.
A undici anni avevo solo due specialità: i buoni voti e le figure di merda.
E dire che ora sono così diversa.
La mia intelligenza, per fortuna, non è sfumata con l’avanzare in quell’abisso di stupidità e disgrazie che è l’adolescenza.
Per quanto riguarda la goffaggine e la mancanza di coordinazione di braccia e gambe, quelle sono sparite presto. Un po’ per gli allenamenti fisici intensi a cui nonna Marie mi ha sottoposto, e un po’, ma forse più di un po’, grazie alla Cenere. Ora che ci penso, forse è proprio per liberarmi della mia inettitudine che la nonna ha cominciato a dare la Cenere prima a me che ad Ary e Fatima.
E, com’era ovvio accadesse, col maggiore controllo sul mio corpo, è cresciuta anche la mia autostima.
Sono diventata più sicura, ho cominciato a curarmi un po’ di più… ok, questo forse lo devo di più all’influenza di Ary e Fatima, e a tutte le volte che mi hanno trascinato in discoteca.
Quando poi abbiamo scoperto che era facile incontrare vampiri nei locali notturni, Ary è andata fuori di testa.
Ricordo quella volta, una delle tante, in cui piombò sotto casa mia, lei e Fatima già vestite di tutto punto per andare a ballare, con quelli che definivamo “abiti da lavoro” sotto diversi punti di vista, e abbiamo guidato fino a Huston, per poi andare a caccia in quasi tutti i locali della città. Alla fine siamo state via tre giorni.
Con loro, quest’inferno poteva anche essere divertente.
Troppo divertente, in effetti.
Sicuramente abbastanza perché Elizabeth decidesse che avevamo bisogno di stare lontane l’una dall’altra per un po’.
Secondo lei, insieme, eravamo un pericolo, per noi stesse e per i clan.
Diciamo pure che le nostre idee erano pericolose per la sua permanenza nel ruolo di Regina.
Sbuffo seccata dalle narici e arriccio il labbro superiore.
Elizabeth, anche a distanza, ha il potere di farmi incazzare.
Mi basta pensare a quella sua faccia sorridente, solcata da un fitto intrico di rughe, ai suoi capelli di un biondo paglierino, a quel suo atteggiamento da maestrina e alla sua voce insopportabilmente saccente.
Ha sempre l’arroganza di credere di sapere cosa è meglio per gli altri, anche quando non sa niente.
Deve sempre mettere il suo fastidioso nasino appuntito in mezzo agli affari degli altri, e ovviamente dire la sua.
A volte crede anche di avere il diritto di parlare come se fosse mia nonna.
Uno scossone al sedile mi richiama dai miei pensieri.
Mi guardo intorno.
Altro scossone.
Giro su me stessa e vedo che un adorabile marmocchio, seduto giusto dietro di me, si sta divertendo a prendere a calci lo schienale della mia poltrona.
La madre, ovviamente, sta leggendo appassionatamente un libro.
Mi basta un’occhiata alla copertina per capire che è un Harmony.
Oh, Signore!
Il bambino ride e continua a tirare calci.
Mi sta ridendo in faccia questa peste.
Chi l’ha detto che i bambini sono una gioia?!
Adesso lo sistemo io.
Lo fisso negli occhi finché non smette di ridere.
Presto il suo sguardo diventa dubbioso, i suoi piedi sono fermi, penzolano dalla poltrona.
Gli sorrido, scoprendo accuratamente i denti.
Basta concentrarsi un attimo, visualizzare la chiostra di zanne del vampiro a cui ho fatto saltare la testa ieri sera e…
Il bambino spalanca gli occhi, ammutolito.
Strattona il braccio della mamma, che subito si volta, scocciatissima, e comincia a sgridarlo.
Io mi rimetto a sedere composta, un ghigno soddisfatto sulle mie labbra,
I miei denti, assolutamente normali, sono appena visibili.
Una semplice illusione di pochi secondi.
Un gioco da ragazzi.
Fatima è tremila volte più brava, lei riesce a rendere materiali le sue illusioni.
Per qualche istante.
D’altra parte è normale, lei è Ecate.
La magia nera è il suo campo d’azione, coma la caccia è il mio.
“Non ti muovere, non fiatare, non respirare nemmeno, a meno che non te lo dica io o atterri l’aereo” sibila la madre alle mie spalle.
Doveva averla presa parecchio, quell’Harmony.


 
***
 


Nello Stato di Washington, il tempo ha la brutta abitudine di essere… come dire… uno schifo!
Appena scendo dall’aereo, mi investe una nube di aria umida, fredda, e …
odorosa.
Non c’è altro modo di definirla.
Non posso dire che puzzi, perché tutto sommato non mi dispiace l’odore dei pini, dell’erba bagnata e tutto il resto.
È solo la densità, la quantità infinita di odori che mi sta investendo ad infastidirmi.
Mi gira la testa.
Sono troppi, e nuovi.
Credo mi stia venendo da vomitare.
Ah, ecco Charlie.
Con la volante della polizia.
Fantastico.
“È un piacere rivederti Bells” mi saluta.
È un piacere rivederti… a tua figlia?!
No, scusa, è più di un anno che non ci vediamo, e mi saluti così?
Prontooooo!!!
Ah, aspetta, io sono come lui.
Ricorda Bella, non ti piace dimostrare i tuoi sentimenti, parlare, e soprattutto: DEVI INCIAMPARE!
Faccio scivolare il piede sinistro dal suo sicuro punto d’appoggio a una distanza di sicurezza da Charlie: quella da cui può prendermi al volo.
E lui mi acchiappa, con un riflesso automatico.
A undici anni inciampavo circa ogni tre passi, e spesso nei miei stessi piedi.
Sono solo dell’idea che, ad un uomo abitudinario come Charlie, risulti rassicurante constatare che sua figlia è un caso irrecuperabile.
“Non sei cambiata molto. Come sta Renèe?” sorride infatti.
Io sorrido di rimando.
“Mamma sta bene. È bello rivederti papà”.
È bello soprattutto vedere che la tua abilità nel dire la cosa giusta al momento giusto è rimasta, come sempre, ai minimi storici.
Caro papino, oltre all’implicita presa per il culo sulla mia goffaggine, si dice ad una donna che non è cambiata molto quando ormai ha superato i venticinque anni.
Sotto i venti, è come dire che sembra ancora la ragazzina che, a tredici anni, si barricava in bagno, e non ne usciva finché lo specchio, crudele ma sincero compagno di vita, non le avesse confermato la nota e terribile verità: una tavola da surf ha più curve.
Eh si, questi sono traumi.
Comunque Charlie ha poco da sfottere, almeno io mi sono evoluta.
Si, gene dell’asocialità, non mi avrai mai!
Ok, sto impazzendo.
Forks ha una pessima influenza su di me.
Sarà tutta quest’aria piena d’ozono.
Saliamo in macchina, i miei pochi bagagli sono nel baule.
Che cos’è questo…
“Odore di sigari?!” esclamo, incapace di trattenermi.
Charlie mi guarda come se avessi appena detto… uhm… credo che farebbe questa faccia se gli dicessi che ho un ragazzo.
Un giorno potrei provare.
Oddio, da dove viene tutto questo sadismo?
Forks mi fa decisamente male.
“Caspita Bells, Harry è stato qui dentro ieri. Eh, sono decisamente assuefatto al suo fumo passivo” sospira mettendo in moto.
Cazzo. Mi sa che devo stare più attenta.
E quest’odore...
Beh, tutto sommato non mi dispiace poi tanto.
Certo, è forte, ha un che di dolciastro, ma almeno è secco.
A Phoenix tutti gli odori sono secchi, qui invece è tutto intriso d’acqua.
Charlie abbassa i finestrini, per arieggiare, e la nube di profumi  mi investe.
La testa comincia di nuovo a girare.
Fantastico, stiamo giusto passando accanto ad un campo pieno di mucche al pascolo.
Oh,gioia!

 
***
 

La mia camera è rimasta la stessa.
L’unico nuovo ospite è quel rifiuto della tecnologia che staziona sulla mia scrivania.
Si vede addirittura il filo del modem che striscia sul pavimento fino alla presa del telefono.
Sul serio, dove è andato a pescarlo questo bidone di computer?!
Non voglio neanche pensare alle ore che ci metterà per collegarsi.
Questo è uno di quei momenti in cui adoro essere una cacciatrice.
Chiudo la porta, le mie valige sono mollate ai piedi del letto, in mezzo alla stanza.
Le disferò dopo.  
Mi siedo sul materasso ripiegando una gamba sotto di me.
Prendo il mio zaino e ne estraggo un piccolo portatile di ultima generazione.
Per fortuna che ho portato con me il ripetitore per la linea wireless.
Ci metto un attimo ad installare tutto il mio armamentario.
Appena finito di trafficare mi collego.
A volte mi sembra assurdo fare la vita che faccio: da una parte si basa sugli stipendi dei miei genitori, uno sceriffo di polizia di una piccola città sperduta nel nulla, l’altra insegnante di scuola elementare.
Non ci vuole molto per capire che non navigo nell’oro.
Apparentemente.
In realtà potrei avere qualsiasi cosa semplicemente facendo notare le mie esigenze ad uno qualsiasi dei quartier generali dei cacciatori, sparsi in tutto il mondo.
Il più vicino a me, in questo momento, sta a Tacoma.
La nostra organizzazione è vastissima, e i soldi non ci mancano.
D’altra parte, essendo tra i maggiori produttori di diamanti sintetici al mondo, non potrebbe essere altrimenti. Li impieghiamo nella produzione delle nostre armi e munizioni, ma il resto finsce sul mercato.
Copertura perfetta.
Già da molto tempo sapevamo che la pelle di vampiro ha più o meno la stessa resistenza del diamante, e che quindi dovevamo procurarci quanto più minerale possibile per produrre le nostre armi. Abbiamo investito risorse ed energie nelle scoperte tecnologiche fatte nella prima metà del Novecento in questo campo, da lì le nostre attività si sono automaticamente canalizzate in questa direzione.
Non c’è da stupirsi che l’efficienza delle nostre missioni sia aumentata nel giro degli ultimi sessant’anni2.
Una volta, senza le armi moderne, eravamo costretti a ricorrere a metodi che, secondo alcuni, erano troppo drastici. Oggi, per quanto convinti, sono pochi i cacciatori disposti a rinunciare ad un po’ della loro umanità, per essere più forti.
In questo senso, io sono della vecchia scuola.
Comunque, in questo momento non ho bisogno di nulla dal quartier generale.
Mi limito a mandare una mail per avvisare che sono arrivata a destinazione senza problemi, per poi spedirne una uguale a mia madre, Fatima, Arsinoe, Pam, e…
… no, ad Elizabeth non la mando.
In ogni modo io non sono più affar suo.
Sono ufficialmente una Cacciatrice.
Chiudo il portatile e lo nascondo nel comodino accanto al letto.
Sono sicura che Charlie non si metterà a curiosare, ma non è il caso di lasciarlo in giro. Troppe domande.
Sospiro, buttando un’occhiata alla finestra della mia camera.
Se adesso mi avvicinassi, vedrei parcheggiato qui sotto l’aggeggio.
Il pick-up che mi ha regalato Charlie.
Tutto sommato, per come mi conosce lui, è più che naturale che consideri un mezzo del genere adatto a me.
Se anche mi venisse addosso un suv, ne uscirei con appena un paio di ammaccature.
Non posso dire lo stesso per il suv.
Certo, ci manca solo che mi mandi in giro avvolta nella plastica da imballaggio, ma immagino sia il suo modo di dirmi che mi vuole bene.
L’occhio mi cade sulla valigia in mezzo alla stanza, quella con la chiusura di sicurezza.
Mi alzo, faccio scattare il lucchetto e alzo il baule, che ricade rumorosamente sul pavimento, esponendo i miei orrendi maglioni sformati.
Con calma torno al letto, mi risiedo nella stessa posizione di prima, col busto rivolto verso la valigia spalancata.
Inspiro profondamente.
Alzo una mano e mi concentro.
Un’impugnatura zigrinata, che non scivola neanche con le mani sudate, fredda al contatto.
Il cane della pistola si adatta perfettamente alla mia presa.
Tendo l’arma scarica davanti a me, fingendo i puntarla ad altezza d’uomo.
Ad altezza di vampiro.
Con un ghigno nascondo momentaneamente la pistola sotto il cuscino e mi accingo a disfare i bagagli.
Nonostante il cambiamento di ambiente, lo stordimento per gli odori e le condizioni nuove, non ho difficoltà a sfruttare le mie piccole doti magiche.
Lo so, probabilmente qui non incontrerò vampiri, ma è rassicurante.
Dopotutto, abbandonando la mia casa e il porto sicuro del mio clan, ho affermato la mia indipendenza.
Io caccio da sola.
Non sono sotto la supremazia di nessuno.
Non sono tenuta a rispondere agli ordini di Elizabeth.
Ormai sono subentrata al ruolo lasciato vacante da mia nonna, ho raccolto la mia eredità.
Lei è Selene, l’ultima Regina della vecchia generazione, e non può dare ordini a me, la Regina Cacciatrice, Artemide della nuova generazione.
 








Note d'autore:
  1. mi riferisco ad una spiegazione data da Vermer alla protagonista nel romanzo La ragazza con l'orecchino di perla di Tracy Chavalier .
  2. Con l'espressione diamante sintetico si intende un diamante prodotto attraverso un processo tecnologico; al contrario, i diamanti naturali sono prodotti da un processo di natura geologica. Il diamante sintetico è anche conosciuto come diamante HPHT o CVD, sigle che ne denotano il metodo produttivo: High-Pressure High-Temperature (sintesi ad elevata pressione e temperatura) e Chemical Vapor Deposition (sintesi a deposizione chimica da vapore).Numerose richieste di sintesi del diamante sono state documentate tra il 1879 e il 1928, la maggior parte di questi tentativi sono stati analizzati attentamente, ma nessuna è stata confermata. Nel 1940, la ricerca sistematica ha avuto inizio negliStati Uniti, Svezia e Unione Sovietica per sviluppare diamanti usando processi CVD e HPHT. La prima sintesi riproducibile è stata segnalata intorno al 1953. [da Wikipedia]





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Capitolo 4
*** When it rains ***


Ehm si, lo so, il fatto che stia aggiornando così presto vuol dire che ho buttato almeno un’ora di studio. Buttato, dai spero di no ^^ Diciamo che mi sono esercitata per la prova di italiano.
Sto cominciando davvero a prenderci gusto a scrivere in questo modo: è divertente. È strano mettersi nella testa di un personaggio caratterialmente così diverso da me, e farla parlare a vanvera. A proposito, ci saranno dei momenti in cui Bella sbaglierà dei congiuntivi o cose simili: è assolutamente voluto. Sto cercando di riprodurre il monologo interiore di Bella, e sappiamo tutti che il parlato spesso non va d’accordo con le regole grammaticali. Normalmente in forma scritta ci sto molto attenta, ma voglio che questa Bella risulti credibile, per quanto possibile, almeno dal punto di vista umano.  
Non so quando aggiornerò di nuovo, ma ho deciso che appena avrò pronto un nuovo capitolo lo posterò, perché è evidente che per il momento non è possibile per me aggiornare con regolarità. Lo so, posso essere snervante.
Note: la canzone che Bella ascolta in questo capitolo la potete trovare a questo link:http://youtu.be/oz-85wp45XU, si, Bella ha gusti musicali mooolto eclettici. Ci tengo a precisare che molti video di youtube associano a questa canzone immagini di New Moon, ma io la trovo molto adatta a questo contesto, visto le scelte che ha fatto Bella e le sue motivazioni; è una mia interpretazione di questa canzone, spero vi piaccia.
E questo è il link: http://www.facebook.com/pages/Artemys-EFP/179142648790109 per la mia pagina di autore su fb, ne caso voleste contattarmi, o altro.

Ora vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia. Fatemi sapere le vostre impressioni. Baci.
Artemys.


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When it rains


Ecco, sono ufficialmente in crisi.
Sapevo che qui sarebbe stato ancora più difficile rimanere coerente con la mia mascherata, ma non credevo di vacillare così presto.
Sono in piedi davanti al mio letto, indosso i miei jeans porta fortuna, super sbiaditi, e il reggiseno.
Il mio sguardo minaccioso salta insistentemente tra le due opzioni di vestiario che mi stanno facendo perdere ben dieci minuti della mia vita in una scelta assolutamente cretina, ma fondamentale.
Allora, che faccio?
Metto la mia maglia porta fortuna, quella dell’Hard Rock di Tucson, cimelio di quella famosa gita di tre giorni di caccia sfrenata con Fas e Ary. Questo è certo.
Ma sopra che metto?
La maglia ha le maniche lunghe, è di un bellissimo azzurro cielo, e la scritta dell’Hard Rock è fatta con degli arabeschi, delle chitarre e dei caratteri che ricordano molto lo stile tribal.
Quanto vorrei un bel tatuaggio stile tribale, magari quella bella Triskel che abbiamo visto io e le ragazze in quello studio ad Albuquerque.
Farebbe il paio con l’altro…
Uffa! Su Bella, concentrati!
Che mi metto?
La mia bella felpa nera col cappuccio, attillata ma comoda, e con la fantasia a stelle della Converse, mi chiama a gran voce.
La guardo con dolcezza.
Vecchia amica mia, sei troppo bella per Forks. E poi, esprimi personalità, uno stile particolare, un gusto particolare…
Sei un cimelio del mio periodo dark punk, potresti scioccare questa cittadina.
Insomma, qui se vai in giro con una maglia dei Sex Pistols, come minimo al primo vecchietto che passa viene un attacco cardiaco.
E quello dopo, venuto in soccorso, grida allo scandalo, perché qui probabilmente manco lo sanno chi sono i Sex Pistols.
Ora che ci penso, ne ho una bellissima giusto nell’armadio, benedetto eBay.
No Bella! Ti devi concentrare, ma che ti prende stamattina?!
Faccio di tutto per non pensare a quello che sto per fare!
È solo una scuola superiore, che vuoi mai che…
Ferma!
Mi schiaffo una mano in fronte con forza, e mi faccio pure male.
Cervello della malora, smettila di pensare in modo maturo e razionale, e soprattutto non osare formulare quella frase!
Le probabilità che…
Nooo! Zitto! Sono sempre le ultime parole famose quelle!
Ma…
Shhht!!! Tornatene nell’angolino, ora non mi servi.
Conservati per quando ci sono altre persone nei paraggi. Sono gli altri a dover pensare che io sia matura, Charlie soprattutto, a me sta bene rimanere nella consapevolezza di non esserlo.
Uffa!
È questo il problema di gestire una doppia personalità, anche se è per scelta: ci sono momenti in cui l’altra diventa prepotente.
L’alternativa è un’orribile maglione grigio taglia extralarge.
Dio, mi viene caldo solo a guardarlo.
Non è che mi piaccia il freddo, anzi, ma…
Insomma, non sono abituata ad avere addosso troppi strati, o cose così ingombranti.
Infilo la maglia, sentendomi a mio agio con addosso quell’unico pezzo di stoffa.
Sono abituata a metterla quando fa un po’ fresco a Phoenix.
So che non mi limita i movimenti in nessun modo, e lo stesso vale per la mia fidata felpa.
Poche storie Swan. Metti quel maglione, sono certa che ti farà somigliare ad un sacco di patate mooolto goffo.
Oh, si! Certo, adesso mi prendo per il culo da sola.
Agguanto rabbiosa quell’orrore me lo butto addosso.
Mi sposto davanti all’anta aperta dell’armadio, quella che all’interno ha uno specchio a figura intera.
Si, ecco, appunto. Sembro un Barbapapà!
Certo, nasconde perfettamente la presenza del mio fidato coltello infilato nei passanti dei jeans…
Ah, siamo pratici!
Provo qualche allungamento con le braccia.
Qualche mossa da combattimento, per quanto lo spazio me lo permetta.
No, non ci siamo.
Mi dispiace, ma non posso.
Vanitosa.
No, non c’entra. Ammetto che non mi piace infagottarmi, ma qui non si tratta di estetica.
Qui ci vuole senso pratico, e mi dispiace, ma non sono disposta a limitare le mia possibilità di movimento solo per rimanere in tema con… beh, con lei
Non m’importa, se anche le probabilità di incontrare vampiri in questa zona fossero sotto lo zero, io devo potermi muovere liberamente.
È una questione psicologica, tutto qui.
Mi ficco le mani nei capelli.
E ora che mi metto.
Sbuffo e decido di lasciar perdere, per ora.
Scendo dabbasso per fare colazione.
Charlie è uscito prima. L’ho guardato per mezz’ora mangiare, prima di capire che avevo lo stomaco troppo chiuso per ingerire qualcosa.
Così sono scappata di sopra, alla disperata ricerca di qualcosa da mettere.
E ora eccomi punto e a capo.
Passo per il soggiorno, cercando di non guardarmi troppo in giro.
Sono sicura che mio padre abbia messo in ordine prima del mio arrivo.
Ma gli è bastata una serata da solo davanti alla partita di baseball per ridurre la stanza al caos.
È uno scapolo, non è colpa sua, lo capisco.
In cucina trovo ancora la mia scodella e i cereali sul tavolo.
Apro il frigo in cerca del latte.
Lo trovo subito, c’è solo quello. Stasera devo fare la spesa, prima di tornare a casa.
Se ripeto l’esperienza della cena di ieri, giuro che mi mangio la gamba del tavolo!
Mangio svogliatamente i miei cereali inzuppati. Non voglio che il mio stomaco faccia delle presentazioni non richieste.
Guardo fuori dalla finestra e il mio umore, se possibile, si fa ancora più cupo.
Fosse solo per la pioggia…
Cioè non mi piace, la questione degli odori eccetera, ovvio.
Ma non è quello a preoccuparmi davvero, ora.
Insomma, è marzo, siamo a metà semestre, ed è il mio primo giorno di scuola.
Una scuola dove non conosco nessuno, ma dove, per assurdo, tutti conoscono me.
Qui non succede mai molto, e immagino di essere stata il pettegolezzo degli ultimi due mesi per la popolazione di Forks.
La figlia del capo Swan che ritorna a casa dopo anni di lontananza.
Quando mia madre se ne andò, la cosa fece scalpore, soprattutto dopo la fuga d’amore che aveva fatto da cornice al matrimonio lampo dei miei giovani genitori.
E, massimo dei cliché, si sono sposati a Las Vegas.
Chissà che cosa avranno detto di me, o di mia madre. Questo mio ritorno improvviso all’ovile sarà sicuramente stato in parte associato a qualche colpa di mia madre.
Immagino che il suo carattere volubile e la sua tendenza ai colpi di testa siano famosi qui.
Oh, ma chissene! Chi voglio prendere in giro?!
Sarei terrorizzata comunque!
È ridicolo!
Io uccido i vampiri, cazzo!!!
Non posso farmi terrorizzare da un mucchio di adolescenti pettegoli.
Ok, calmati Bella. Loro non mordono.
Renèe ieri mi ha consigliato di pensare che siano tutti in mutande, ma per esperienza, so che non serve a nulla.
A farmi arrossire tutt’al più.
Che… oh, si, sempre meglio. Ora piove anche più forte.
Ma che ho fatto io di male?!
Fossi andata a vivere in un acquario gigante, trovavo meno acqua!
Trovato! Se me la vedo male, basta pensare che abbiano tutti le branchie, le pinne, e… invece di ascoltare quello che dicono, basta far finta che stiano boccheggiando.
Il colpo di genio del secolo!
Si Bella, una cagata così non se la sognerebbe nessuno nemmeno in un secolo!
Oltre che codarda e schizofrenica, adesso sono anche stupida.
Non mi faccio proprio mancare niente.
Scuoto la testa afflitta.
Davanti ai miei occhi c’è il bordo spigoloso del tavolo.
Ha un’aria invitante.
Comincio a sbatterci contro la fronte.
Ah, si! La prima buona idea della giornata…
Cazzo, però fa male. Meglio smettere.
Mi sollevo massaggiandomi la fronte.
Bene, c’è pure rimasto il solco.
Guardo sopra pensiero  l’angolo del divano visibile dalla porta aperta.
Strano, non mi ricordavo che il divano di Charlie fosse verde scuro.
Mi alzo in piedi e raggiungo il soggiorno.
Ah, ecco, volevo ben dire.
È una vecchia camicia da bowling.
Aspetta! Crowa Bowling? Era il team di mia madre.
C’e una foto a casa dove brandisce un trofeo insieme alle sue compagne, aveva circa la mia età.
Deve essere rimasta qui quando se ne è andata. Non ha mai più avuto né tempo né voglia di giocare a bowling.
Fare la mamma è un lavoro a tempo pieno.
Me la passo da un mano all’altra.
È un di bel verde scuro, ha inserti gialli nelle cuciture.
Le camice da bowling non mi hanno mai fatto impazzire, esteticamente parlando.
Sono comode, certo, ma informi.
Io poi sono così magra che nasconderebbero anche le poche curve che ho.
Un lembo di stoffa verde si posa sull’azzurro della mia manica.
Sono due bei colori, separatamente.
Ma l’accostamento è orrendo.
Senza pensarci un momento di più infilo la camicia di mia madre.
Profuma come se fosse appena uscita dalla lavatrice. Chissà, forse Charlie voleva darmela ma poi si è dimenticato…
Rettifico. Voleva darmela, ma poi si è vergognato.
Salgo a prendere la borsa dei libri, infilo l’anonimo impermeabile nero, ed esco nella giornata uggiosa.
Mi sento depressa solo a guardare il mio pick-up, con le ruote immerse in una pozzanghera gigantesca.
Mi assicuro che la porta di casa sia chiusa e salgo nel mezzo.
Ma si, non è così male in fondo.
Avvio il motore e quello emette un ruggito potente.
L’ideale per passare inosservata
Oh, smettila di fare la lagna.
Smettila tu. Fatti da parte, da qui in poi tocca a me.
Ma non eri tu quella timida e remissiva?
Finiscila di giocare a fare la schizofrenica, non è divertente. Comincia a comportarti seriamente.
Come te?
Si, esatto. Esisto per questo, ricordi? Per tenere in vita la Bella Swan che i tuoi genitori credono di conoscere. Per darti l’illusione di non aver perso tutto.
Agli ordini, capo.
Non mi diverto più quando comincio a sbattermi in faccia la verità da sola.
Effetti collaterali di fingere di essere due persone contemporaneamente.
Il problema è che non importa in quanti modi diversi affronti la tua vita. Se fa schifo, fa schifo e basta. Non c’è buon viso che tenga.
Mi dirigo verso la strada principale, tanto so che la scuola sarà nei pressi, come tutto a Forks.
Accendo la radio scassinata, tanto per tenermi compagnia.
 Il segnale è un po’ disturbato, la voce del conduttore radiofonico esce gracchiante dalle casse.
“ E adesso una canzone dei Paramore…”
Non si capisce il titolo, per un onda particolarmente disturbata, ma bastano le prime note della melodia a far crollare definitivamente il mio umore.
Adoro questo gruppo.
Ma proprio questa canzone?
E proprio adesso?!
 
And when it rains
On this side of  it touches
Everything
Just say it again an mean it
We don’t miss a thing
 
Evidentemente si.
L’universo deve avere un crudele senso dell’umorismo.
 
You made yourserlf a be
At the bottom of the
Blackest hole (backest hole)
 
And convinced yourself that
It’s not the reason you
Don’t see the sun anymore
 
Mi sporgo verso il parabrezza e lancio un’occhiata velenosa alle nuvole grigie
“Complimenti, davvero. Mi serviva un po’ di sana ironia” commento ad alta voce, come se qualcuno lassù potesse sentirmi.
Sospiro rassegnata.
visto che quando la vita ti da limoni, tu devi farci la limonata; se ti manda una canzone che ti ricorda che tuoi casini te li sei voluti tu e te li devi risolvere…
… tanto vale cantarla.
 
And oh, oh, How could you do it
Oh I, I never saw it coming
Oh, oh I need an ending so why
Can’t you stay just long enough to
Explain

 
 
 
Il primo giorno di scuola è esattamente come mi aspettavo che fosse: un film dell’orrore.
Ma non del tipo di “The Darkness”, o “The Ring”, che sono anche decenti.
No, il primo giorno di scuola è come uno splatter.
La trama è la fonte principale di orrore: orribilmente banale e prevedibile.
Poi ci sono tutti quegli effetti speciali, che di speciale non hanno niente, perché si vede subito che è tutto finto.
Jessica per esempio, questa ragazza affamata di popolarità che mi si è attaccata come una cicca sotto la scarpa, è esattamente come i litri di ketchup sprecati in quei film e spacciati per sangue che zampilla dalle ferite più improbabili.
Lei sorride sempre, con dipinta in faccia quest’espressione gentile e con quel tono accondiscendente e servizievole. È esageratamente socievole, per non essere fasulla.
Mi sembra quasi assurdo che non se ne renda conto, forse lo fa apposta per prendermi per il culo e farmi saltare i nervi.
Perché è troppo evidente che tutti i suoi sorrisini sono falsi, le sue moine parte di una messa in scena così ostentata da risultare ridicola.
Scommetto che non le sto nemmeno troppo simpatica.
Mi sta appiccicata solo per godere di un po’ di popolarità riflessa.
Certo perché, che mi piaccia o no, avevo ragione, e oggi i riflettori puntano tutti su di me.
Non importa quanti sforzi abbia fatto per rendere il mio aspetto anonimo, per risultare ancora più insignificante di quanto già non sia.
Non importa quanto mi scansi, non c’è niente che possa fare. Oggi le luci della ribalta sono mie, del mio rottame la fuori, della mia camicia da bowling verde su maglia azzurra,  e su Jessica.
E presto capisco anche il perché: Mike Newton.
Uno dei tanti che mi ha attaccato la pezza oggi, anche se gli devo riconoscere una tenacia notevole.
È come una macchia di mirtillo: persistente.
Oddio, che paragone da casalinga fissata
Comunque, è palese che io gli piaccia, come lui piace a Jessica.
È uno dei tanti, oggi avrei anche potuto presentarmi con un cespuglio di baffi posticci attaccati sotto al naso, e avrei comunque avuto la popolazione maschile della scuola ai miei piedi.
Ok, forse coi baffi no, però sarebbe stato interessante provarci.
Domani è inutile, un quarto di loro avrà già perso interesse, e l’esperimento non varrebbe.
L’effetto novità si attutisce in fretta.
Più interessante è la reazione della popolazione femminile, ma comunque prevedibile.
Alcune di loro, le più mature, mi registrano come presenza nuova, mi soppesano un attimo per capire quanto sia strana, e vanno avanti con le loro vite.
Altre, più curiose, e già irretite dai pettegolezzi locali, vorrebbero avvicinarmi e provare a diventare mie amiche, un po’ per genuino e sincero interesse verso un essere umano ignoto, un po’ nella speranza di guadagnarsi uno scoop. In parte è quello che credo stia facendo Jessica.
Ma il suo modo di usarmi è più sottile, più o meno come un cavo da traino, e tempo punti ad agire sul lungo termine. Cioè fino a quando non si sarà assicurata l’attenzione di Mike.
Poi c’è un'altra parte di lei, quella che non mi trova poi così carina, o simpatica, o interessante…
E non a torto!
Taci!
… che la accomuna a quella fazione di invidiose, che o mi ignorano sdegnose, o fanno come lei.
Che bella scuola!
Comunque, a parte tutto questo prevedibile siparietto, le cose funzionano bene.
La mia maschera regge e si consolida, adattandosi perfettamente allo scenario in cui l’ho infilata a forza.
La questione degli odori continua ad essere un problema, ma ci sto lavorando. Si tratta solo di abituarsi.
Certo, ha un risvolto positivo: non ho bisogno di fingere di inciampare tutte le volte.
La testa mi gira così tanto che mi viene quasi naturale.
E, come se ce ne fosse bisogno, il mio colorito è ancora più pallido e il mio aspetto malaticcio.
Ho pure detto di essere mezza albina, e mi hanno pure creduto. E dire che Eric sembra pure un ragazzo intelligente.
Più di Mike sicuramente.
Va beh, amen.
Se non altro, ormai è ora di pranzo, e potrò finalmente mettere qualcosa sotto i denti.
Ho voglia di una bistecca, al sangue magari.
Sogna Bella, questa è una mensa scolastica.
Entriamo nella grande sala della mensa, io, Jessica e Mike, e sento già la depressione farsi strada nel mio stomaco.
La pizza surgelata non è la mia passione, ma me la farò andare bene.
Faccio un paio di passi in avanti, poi qualcosa mi blocca.
Inciampare è inevitabile, ma per fortuna trovo la spalla di Mike come appiglio.
Oddio, dalla sua faccia da pesce lesso non so quanto sia una fortuna.
 Taci.
Sento un odore.
Un odore che mai avrei pensato di poter sentire dentro un edificio scolastico.
Forse durante un ballo, come in uno di quei film splatter.
Ma non durante l’orario delle lezioni.
Mi rimetto in equilibrio e comincio a guardarmi intorno cercando di apparire interessata al nuovo ambiente.
Ci manca solo che si sentano braccati osservati.
Per loro l’interesse di un umano è come un invito a cena.
Capiscono di avere una possibilità di avvicinarlo, perché l’interesse mette per un po’ a tacere il naturale istinto di sopravvivenza, e si servono.
Dalle sfumature degli aromi direi che sono quattro. Forse cinque, ce ne è uno che faccio fatica ad etichettare come puramente vampiresco.
I miei sensi sono ancora disorientati e questa cosa mi terrorizza. Non sono abituata a non avere il perfetto dominio sul mio corpo e sulle mie percezioni.
Deve essere anche la presenza di tutti questi alberi nelle vicinanze, anche intorno agli edifici scolastici. È come se gli odori dei vampiri si fosse leggermente tinto delle sfumature del sottobosco… sento anche un vago afrore di animale, qualcosa di selvatico, ma è davvero appena accennato. Non sono nemmeno certa che appartenga a loro, è tutto così confuso.
Intanto mi lascio guidare da Jessica e Mike.
Prendo qualcosa dal bancone, non so nemmeno io cosa, non ho più fame, e li seguo al loro posto, la testa incassata tra le spalle e l’andatura impacciata.
Ho notato delle macchie bianche ai limiti del mio campo visivo, sedute intorno ad un tavolo. Sono immobili.
Beh, non esattamente, noto mentre mi siedo accanto a Jessica, che mi sta presentando alla tavolata. Che fastidio dover fingere interesse….
Uno di loro ha mosso lievemente la testa, e ora sembrano parlare tra loro.
Sono cinque.
Due femmine e tre maschi.
Tutti giovanti, tutti bellissimi, tutti pallidi come la morte e con occhiaie simili a ustioni.
Tutti con gli occhi neri dalla sete.
Tutti letali.
Come fanno a resistere in un edificio pieno di una formicolante folla di adolescenti in preda agli ormoni?
Come possono sopportare gli sbalzi di odore, l’afflusso continuo di aromi invitanti, il costante pompare di più di un centinaio di cuori intorno a loro?
Poche volte ho visto vampiri in un così avanzato stadio di “disidratazione”, come diciamo noi. Non uno di loro sarebbe stato capace di controllarsi in queste condizioni.
Lo ricordo bene, erano impazziti, completamente privi di senno. Non hanno avuto nemmeno la lucidità per valutare il pericolo, e quelle volte ero in compagnia.
Sono casi pericolosi, perché disperati e imprevedibili. È necessario attaccare in gruppo.
Il nero delle loro iridi mi provoca un brivido freddo lungo la spina dorsale.
So che devo temerli, stare in guardia, ma non posso fare a meno di essere colpita dalla loro resistenza.
Li osservo per un po’ nel riflesso del mio bicchiere. Sicuramente anche loro tengono d’occhio la nuova arrivata.
Aspetto qualche minuto prima di attentarmi a chiedere informazioni.
Faccio finta di guardarmi in giro in modo svogliato, e poso casualmente lo sguardo su di loro.
Li osservò per un po’, direttamente adesso.
La normale curiosità di un normale essere umano che non ha mai visto creature simili.
Chiunque, nuovo o meno a questi incontri, li noterebbe. E tutti gli altri studenti, che stanno alla larga probabilmente perché il loro istinto di sopravvivenza funziona a dovere, fa solo finta di ignorarli. Ognuno di loro, anche inconsciamente, avverte la loro presenza come qualcosa di eccezionale, impossibile da ignorare.
Mi soffermo ancora una volta sui lineamenti cesellati di cinque volti che sembrano essere stati scolpiti nell’alabastro.
Sono bellissimi, ognuno a modo suo.
La bionda, la più appariscente, sembra compiacersi della sua stessa bellezza. Non mi era mai capitato di beccare uno di loro intento a fissare il proprio riflesso in un cucchiaino. Mi viene quasi da sorridere.
Mentre li guardo, l’altra ragazza si alza. È minuta, mora, con una zazzera corta di capelli elegantemente scompigliati ad arte. Il suo viso mi colpisce, e per una frazione di secondo ho come la sensazione di averla già vista. Poi sparisce oltre i battenti della porta.
Assurdo. Non c’è vampiro che abbia incontrato che sia sopravvissuto per raccontarlo.
È un must assoluto dei cacciatori. Nessuno deve poter dire di averci incontrati. Ne va della nostra sopravvivenza.
Per questo non si attacca mai un vampiro, se non si è certi al cento per cento di poterlo eliminare.
Abbiamo anche un archivio dei bersagli pericolosi e tenuti sotto controllo, in attesa di organizzare un blitz efficace, oppure ricercati.
Forse è lì che l’ho vista. Dovrò fare alcune ricerche.
Faccio un respiro profondo, consapevole di stare per gettarmi in un mare di guai.
Ma dopotutto, ho già trovato quello che stavo cercando, e ho solo dovuto affrontare il primo giorno di scuola.
Attiro l’attenzione di Jessica, senza chiamarla per nome, come se già me lo fossi dimenticato.
Oh, si, le da fastidio.
“E quelli chi sono?” chiedo, con un cenno del capo in direzione del gruppetto.
Il tempo che Jessica giri la testa verso di loro, e uno dei tre ragazzi, quello dall’aria più giovane, si volta verso di noi, come sentendosi chiamare.
Segue un imbarazzante scambio di occhiate.
 Imbarazzante per noi povere cretine che ci siamo fatte beccare a fissare un bel ragazzo.
Per fortuna che ci sei tu a tenere presente il lato umano della conversazione.
Dovere.
Io però registro altri fatti.
Primo, lo scarto di secondi che c’è stato tra la mia domanda e la reazione del vampiro. Se fosse stato davvero concentrato su di me e su quello che dicevo, non si sarebbe fatto beccare a voltarsi.
Secondo, ha guardato prima Jessica, poi me. Se avesse reagito involontariamente alla mia domanda, pur in ritardo, come mosso dalla curiosità, avrebbe dovuto guardare prima me, non Jessica.
E invece si è comportato come se qualcuno l’avesse chiamato, e ha guardato l’unica persona di noi due che poteva averlo interpellato
Terzo, è il ragazzo più bello che abbia mai visto.
Semmai, è il vampiro…
Non cambia i fatti.
Certo che li cambia, è tutto finto!
Dici? A me sembra tutto vero!
Ma tu da che parte stai?!
Dalla tua, purtroppo. E visto che il nostro è un lavoro sporco, almeno cerca di vederne i lati positivi, prima di rovinarli  sparandogli una pallottola in mezzo agli occhi!
Mi massaggio le tempie in cerca di sollievo.
Ho un disperato bisogno di parlare con Fas e Ary. Passare troppo tempo nella solitudine della mia testa, con lei, mi porterà alla pazzia.
“Sono Edward ed Emmet Cullen, assieme a Rosalie e Jasper Hale. Quella che se ne è andata era Alice Cullen; vivono tutti insieme al dottor Cullen e sua moglie” mi sussurrò Jessica.
Nomi vecchi, ovvio, l’unico meno desueto è Alice. Naturalmente i cognomi sono una copertura, in qualche modo devono essersi iscritti in questa scuola, anche se non capisco perché.
Jessica mi spiega la situazione famigliare della famiglia del dottor Cullen e, come prima, la parola “dottore” mi suona stonata. Non ho dubbi che anche i genitori adottivi di questi “ragazzi” siano vampiri.
Secondo la mia nuova compagna di merende, la bionda, Rosalie, e l’armadio bruno, Emmet, stanno insieme, così come il biondo in agonia, Jasper, e la svitata del gruppo, Alice.
Edward, quello coi capelli rossicci, il più carino, è l’unico a non avere una compagna.
Questo, a suo tempo, deve aver rappresentato un motivo di speranza per diverse incaute ragazze, compresa Jessica, da quel che capisco.
Per me, vuol solo dire che, se uccido lui, non ci sarà una compagna succhiasangue a vendicarne la scomparsa.
O forse no?
Guardo ancora per un po’ lo strano gruppetto immortale.
In “famiglia” sono sette, almeno dichiaratamente.
È insolito un clan così numeroso.
Jessica dice che sono venuti qui dall’Alaska un paio di anni fa, e questo è ancora più strano.
Conosco solo un clan di vampiri più numeroso e con una residenza stabile, tra l’altro in zona abitata, e non gode certo delle mie simpatie.
Questi però si definiscono famiglia, o almeno, si presentano come tale.
Anche il modo in cui stanno assieme… è insolito.
La campanella della fine della pausa pranzo squilla, richiamando gli alunni in classe.
Seguo passivamente Mike, Jessica, e un’altra ragazza, Angela, che istintivamente apprezzo, anche solo per il semplice motivo che non mi ha tartassata di domande durante il pranzo.
Non so se essere più intimorita o più incuriosita da questi Cullen
Arriviamo all’aula di biologia, la mia prossima lezione, e tutti vanno a prendere posto. .
L’unica cosa che so è che devo starmene buona, e il più lontana possibile da ognuno di loro, fino alla fine delle lezioni.
Una volta a casa penserò al da farsi, anche se escluderei volentieri a priori l’idea di attaccarli da sola.
Intanto, mi prendo le ore rimanenti per osservarli, per quanto possibile, da una distanza di sicurezza.
Hhn …
Che c’è adesso?
Non avresti dovuto pensarle…
Che cosa, di grazia?
Le ultime parole famose!
Percorro con lo sguardo l’aula e noto subito la testa dai capelli rossicci del vampiro chiamato Edward.
Una ventola nella stanza spinge l’aria lontano da me, sottraendo il suo odore alle mie narici.
Una ventola davanti alla quale devo necessariamente passare per entrare in classe e presentarmi al professore.
E dovrò passarci davanti di nuovo, dopo, per raggiungere il mio posto.
Ho la gola secca e devo lottare contro ogni fibra del mio essere perché non scattino quei meccanismi nei mio organismo che identificano paura e nervosismo.
Di puro terrore, è meglio!
Guardo il banco vuoto, l’unico in tutta l’aula, e la mano del mio prossimo compagno di banco scattare a coprire il naso e la bocca, mentre io avanzo di un passo, entrando con tutto il mio corpo nel cono d’aria originato dal quel maledetto ventilatore, che, neanche a farlo apposta, sta sparando tutto il mio delizioso ed invitante profumo dritto in faccia ad un vampiro assetato.

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Capitolo 5
*** Stares ***


Ok! Esami finiti, finalmente posso dedicarmi a quello che mi piace fare. Almeno finché non dovrò partire per i vari campi, che mi terranno occupata praticamente per tutto agosto. Vediamo, in questo capitolo incontriamo un po’ più da vicino Edward, ma non è ancora un momento importante. Invece facciamo la conoscenza di una altro personaggio, che sinceramente a me piace molto. Non vi voglio dire altro, spero che questo capitolo vi piaccia, mi sembra che sia venuto un po’ diverso da quelli precedenti. Diciamo che fa meno ridere, ecco, ma visto che l’atmosfera è abbastanza tesa, mi sembra giusto così.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno aggiunto tra le seguite, ricordate e preferite, ed anche quelli che leggono e basta. Considerando che questa è la mia prima fan fiction in questo fandom, siete davvero tantissimi, e ringrazio tantissimo chi ha recensito, perché mi torna davvero utile sapere cosa ne pensate. E poi mi piace “sentire” le vostre “voci”, soprattutto quando mi dicono che vi piace questa storia XD Si, insomma, da un sacco soddisfazione ^^ Ok, smetto di gongolare, e vi lascio al capitolo, fatemi sapere che ne pensate. Ancora grazie e un bacio a tutti.
Artemys
PS: link per la mia pag di faccialibio, come al solito: http://www.facebook.com/pages/Artemys-EFP/179142648790109


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Stares


Questa situazione è ridicola.
Insomma, perché, tra tutte le persone in questa classe, il mio compagno di banco deve essere un vampiro?!
E tanti cari saluti al proposito di tenermene alla larga.
Vado verso la cattedra e mi presento al professore di biologia.
Mi presento, mi faccio firmare il foglio che mi hanno dato in segreteria e il signor Banner mi da il libro di testo, senza perdersi in presentazioni comunitarie.
Quest’ uomo mi va a genio.
Il professore mi invita a prendere posto accanto al signor Cullen, ed anche se non sapessi di chi sta parlando, non ci vuole una gran fantasia.
Mi dirigo verso il mio posto, l’unico libero, tenendo la testa bassa e incassata tra le spalle curve.
Mantenere le apparenze di ragazza timida e impacciata non è mai stato così difficile e necessario.
So che mi sta osservando. Edward Cullen non ha fatto che tenermi d’occhio da quando il mio odore l’ha investito, e io non sono da meno.
Però io sono più discreta, non lo guardo direttamente, lo colgo appena con al coda dell’occhio.
Lui invece sembra aver perso quel self-controll e quello charm che ha affascinato ragazze come Jessica.
Mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite e tiene la bocca sigillata in una smorfia nauseata.
Potrei prendermela a male, se non sapessi che per lui il mio profumo è quanto di più delizioso ed invitante abbia mai sentito in tutta la sua esistenza.
Almeno si è tolto la mano dalla bocca.
Forza dolcezza, rinfodera gli artigli. Hai voluto stare in una scuola piena di umani?! E mo’ ti attacchi!
Una fila di banchi prima del mio c’è uno zaino che sporge leggermente.
Tanto vale approfittarne.
Infilo il piede nella bretella dello zaino e inciampo, appoggiandomi con le mani al banco.
Ovviamente questa stupida qui davanti non può fare a meno di ridere sotto i baffi.
Ridi iena, ma dovresti fare attenzione quando mangi la torta agli spinaci.
Trascino il piede ancora un po’ avanti e il contenuto dello zaino, aperto, fuoriesce sul pavimento.
Ops, tesoro, gli assorbenti la prossima volta mettili in una tasca con la cerniera.
Sfilo il piede dalla bretella e supero questa bionda ossigenata che si china per terra a raccogliere la sua roba, rossa come un pomodoro.
“Scusa” mormoro con voce sommessa che trasuda imbarazzo e dispiacere.
Oh si, mi dispiace davvero tanto… che dovrò passare la prossima ora con davanti agli occhi la tua ricrescita.
Mi siedo al mio posto tenendo lo sguardo basso, ben consapevole dell’espressione furiosa sul volto di questo Cullen.
Cullen… più ci penso, e più ho la sensazione di aver già sentito questo nome.
È un po’ come pensare al viso di quella vampira-folletto che ho visto in mensa.
Io l’ho già vista, ne sono sicura.
Non faccio in tempo a posare il libro sul banco che quello si allontana il più possibile da me, come se pochi centimetri potessero salvarlo dalla nube calda e profumata che mi circonda.
Lo guardo con la coda dell’occhio e noto che non respira, mi guarda come se volesse uccidermi, e le sue mani sono strette a pugno, probabilmente per impedirsi di sbriciolare il banco.
Interessante.
Decisamente sgamabile, ma interessante.
Spero che non si sia comportato così ogni volta che un umano invitante gli si è avvicinato negli ultimi due anni, o qualcuno potrebbe cominciare a farsi delle domande.
Ma se questa è la sua reazione con una cacciatrice a trenta centimetri di distanza, tanto di cappello.
Se nella prossima ora non mi salta addosso, gli potrei anche fare i complimenti.
Mi viene quasi da ridere, se fossi semplicemente umana, in questo momento penserei di avere qualcosa che non va.
Incurvo le spalle, come per proteggermi dal suo sguardo truce, e faccio calare i capelli in avanti, fino a coprire il mio profilo.
Prendo tra le dita una ciocca di capelli e la annuso, come se temessi che la sua reazione sia dovuta a qualche odore sgradevole che emano.
Sento solo il profumo del mio shampoo alla fragola, che sarà anche il caso di cambiare, perché è così dolce che quasi mi stomaca.
Lascio ricadere i capelli, stando bene attenta a non compiere movimenti che possano inviare ulteriori zaffate addosso al vampiro.
Lo sbircio attraverso la cortina castana che mi nasconde, ha gli occhi puntati sulla lavagna, dove Banner sta spiegando l’anatomia cellulare.
Roba vecchia, non mi interessa. Va beh, prendiamo appunti…
Seriamente, o qui sono indietro col programma, o io ho passato troppe ore in laboratorio con Chris.
Probabilmente ne so più di Banner, riguardo la biologia e la chimica.
Si imparano un sacco di cose, studiando la composizione della Cenere, dei metalli per le armi…
Io poi mi sono sempre divertita a pastrocchiare in laboratorio, e Chris è un ottimo insegnante.
Soprattutto di anatomia, in effetti, ma non cellulare…
Ehm… Bella, non per dire ma: hai un vampiro assetato come compagno di banco. Forse non è il caso di perdersi dietro a Chris in questo momento!
Lo so benissimo, genio! Ma mi aiuta a rilassarmi. E poi scusa, se devo morire, meglio avere in mente ricordi piacevoli!
Potresti evitare la tragedia a entrambe, se ti degnassi di prestargli attenzione!
Uffa! Come la fai lunga… era per alleggerire la tensione! Insomma, si vede lontano un miglio che sta pensando a tutti i modi possibili in cui uccidermi…
E perché secondo te non l’ha ancora fatto? Non dovrebbe avere problemi a sterminare l’intera classe…
È proprio questo che mi tranquillizza. È troppo teso per essere uno che ha seriamente intenzione di togliersi la sete. Sembra quasi invece che si stia trattenendo.
Questo vuol dire che, o vuole attaccarmi dopo fuori, magari attirandomi in un posto isolato, o facendomi un agguato, oppure si sta imponendo di non attaccarmi per niente.
E questo, è davvero molto interessante.
Mi chiedo perché dei vampiri dovrebbero scegliere di vivere in questo modo, in mezzo agli umani, e andando a cacciare molto lontano e a distanza di tempo tra le battute di caccia, visto quanto sono neri i loro occhi. Per forza vanno a cacciare lontano da Forks, non ci sono stati omicidi o scomparse in questa zona.
Lo guardo ancora. Ha le mani serrate a pugno, e anche i muscoli del collo sono decisamente in tensione.
Mi chiedo quanto potrà resistere.
Ha smesso di inalare aria da quando mi sono avvicinata, e questo non mi preoccupa per la sua sopravvivenza.
Figuriamoci.
E comunque a loro non serve respirare.
Però è un riflesso involontario, e poi gli serve.
Sono predatori, hanno bisogno di sentire gli odori per avere una chiara percezione dell’ambiente che li circonda.
Un po’ lo compatisco.
Diavolo, anche io mi sentirei in svantaggio se non potessi sentire gli odori.
Non che sentire l’odore di un vampiro così vicino a me mi mandi in visibilio, il mio istinto di autoconservazione mi sta gridando di scattare in piedi e darmela a gambe.
È così tutte le volte.
Continuo a prendere distrattamente appunti di questa lezione inutile, sbirciando di tanto in tanto il vampiro.
Vedo i suoi occhi fare un movimento millimetrico in direzione della finestra, aperta solo per uno spiraglio.
Probabilmente è in cerca d’aria, di qualcosa che lo liberi momentaneamente dal mio profumo.
La situazione si sta facendo critica.
Un calore improvviso si diffonde dietro la nuca, alla base del collo.
Banana, come se non lo sapessi anche io di essere nei casini.
Mi sento osservata, ma sono occhi che conosco.
Il cellulare vibra nella mia tasca, silenzioso.
Con un movimento lento, quasi distratto, lo faccio scivolare fuori dalla guaina dei jeans, e lo tengo sotto il bordo del banco.
Un messaggio di Fas, ti pareva.
 
Ciao sfigata!
Come ti trovi in mezzo al nulla?
Su col morale tesoro, passerà anche questa…
Fatti coraggio, abbi pazienza, e già che ci sei respira un po’ d’aria fresca! 

 
Ma guarda questa, fa pure dell’ironia.
No Bella, non metterti a ghignare, che non è il caso!
Abbiamo perfino gli sms in codice…
Scruto ancora un attimo Edward Cullen. Si, è decisamente in crisi.
Forse Fatima non ha tutti i torti, è il caso di… Dio, non posso crederci… sto per aiutare un vampiro.
Vediamo… non mi conviene alzarmi e aprire io stessa la finestra, la corrente mi prenderebbe in pieno e saremmo punto e a capo.
Potrei usare quel poco di telecinesi che ho e provare a far scorrere il vetro, ma lui si accorgerebbe subito della variazione nella quantità d’aria, e potrebbe farsi delle domande.
Opto per un profilo più basso.
Mi concentro sul professore, intento a tracciare sulla lavagna il disegno di una cellula animale.
Che noia questa roba, ma non potevo fare come quelle altre due e andare direttamente all’Università?!
Nooo, io dovevo venire a Forks, cioè in culo al mondo, a sorbirmi altri due anni di liceo e a spacciarmi per la timida e goffa figlia dello sceriffo.
Il prof, se ne sta fermo accanto alla lavagna.
Bene, rende tutto più facile.
Mi concentro sull’aria che lo circonda.
Sulle molecole che la compongono.
Che vibrano ad una bassa velocità.
Penso a tante biglie colorate libere nell’aria.
Le biglie cominciano ad agitarsi.
Si muovono, sempre più velocemente.
Si scontrano l’una contro l’altra.
Ed eccola lì, finalmente.
Una solitaria goccia di sudore si forma sulla tempia di Banner e scivola giù lungo il suo volto.
L’uomo si infila due dita nel colletto della camicia e comincia a strattonarlo, alla ricerca d’aria.
Con un paio di passi raggiunge la finestra appena accostata e la fa scorrere sul carrello del suo incastro, lasciandola aperta per metà.
“Scusate ragazzi, ma qui fa un caldo… Allora dicevamo: la cellula procariote si distingue da quella eucariote per la presenza di una membrana nucleare e …”  borbotta tornando alla sua lezione.
Mi basta un’occhiata al vampiro, e la sua espressione è già meno tesa.
Si permette perfino di respirare, visto che la corrente fresca sta spingendo il mio odore lontano da lui.
Un sorrisetto soddisfatto mi sfugge dalle labbra.
È incredibile, questa situazione è sempre più assurda!
Mi attento a guardarlo di nuovo, e questa volta incontro i suoi occhi.
Sembra sconvolto.
È ancora furioso, ma almeno non è più teso come prima.
Le sue iridi sono nere, nerissime.
E adesso perché arrossisco?! Cretina!
Distolgo lo sguardo e punto gli occhi sul quaderno, su cui continuo a scrivere.
Oh, bene, adesso che fai? Mi fissi per il resto della lezione?!
Evidentemente si.
Ok, io sono arrossita, ed è funzionale alla mia maschera, oltre che perfettamente umano.
Infondo, diciamolo, figo è figo!
Però potrebbe evitare di fissarmi così spudoratamente, sembra un maniaco!
Spero solo che nessuno guardi dalla nostra parte, perché io so che mi sta guardando come qualcosa da mangiare, ma gli altri potrebbero equivocare…
E poi… ok, si mi da fastidio!
Cazzo.
Ma girati, no? Adesso ce l’hai bene dell’aria!
Mi sta seriamente venendo il nervoso.
Non è che, ora che può pensare più lucidamente, si è deciso ad attaccarmi?
Tutto sommato è un vampiro, e i pirla esistono anche tra i vampiri.
Porto la mano destra sulla coscia, come in un movimento distratto, e la faccio risalire sul fianco.
Sotto il sottile strato di stoffa della camicia verde, sento il confortante spessore del mio coltello da caccia, assicurato alla cintura dei jeans.
Il mio cellulare vibra di nuovo.
Devio il percorso della mano ed estraggo nuovamente il cellulare dalla tasca.
Questa volta il messaggio è di Arsinoe.
 
Ciao tata ^_^
Lo so che è un momento difficile, ma mi raccomando fai la brava.
Vedrai che andrà tutto bene.

 
Ma sentile queste due!
Evidentemente sono in collegamento e mi stanno tenendo d’occhio, come conferma il calore diffuso alla base del mio collo.
Rimetto il cellulare al suo posto, e me ne torno buona buona a seguire la lezione.
Sapere che mi sorvegliano mi tranquillizza e mi scalda il cuore.
È come ai vecchi tempi: io mi caccio nei guai e loro mi guardano le spalle.
Una con gli occhi puntati in avanti, l’altra a sorvegliare la situazione che mi circonda.
Se loro mi dicono che stando calma non corro rischi, allora mi posso fidare.
E poi cosa volevo fare? Farlo a fette qui in classe?
No, certo che no.
Basterà aspettare la fine della lezione, quando lui mi avvicinerà.
Si presenterà, magari mi offrirà di accompagnarmi alla prossima lezione.
E lui sa che accetterò, perché anche un’umana intimidita, davanti ad un approccio cortese, risponderebbe secondo le convenzioni.
Per lui sarebbe semplice attirarmi dalla parte sbagliata, magari con la scusa di aver dimenticato qualcosa in macchina, e io lo seguirei.
Certo, una volta sparito, qualcuno potrebbe ricordarsi di averci visti andar via insieme, ma fuori piove, gli impermeabili rendono anonimi.
Non mi preoccupa l’opinione pubblica o l’ispezione della polizia, so come depistare i sospetti.
Senza contare che mio padre è lo sceriffo, e io sono appena arrivata.
Nessuno mi conosce, mio padre non potrebbe mai credermi capace di fare del male ad una mosca, e poi potrei facilmente entrare nel database dei computer della centrale e modificare i dati di eventuali indagini.
Quello che mi preoccupa sono gli altri.
Anche sei vampiri sono decisamente troppi da affrontare da sola.
Non che la sfida non mi alletti, ma non sono così stupida da provarci, non senza una strategia preparata a tavolino.
Torno a sbirciarlo, un’ultima volta, prima che la campanella suoni.
Di nuovo i nostri occhi si incontrano.
Vorrei sembrare spaventata, dovrei apparire spaventata, accidenti.
O almeno turbata dall’ira che leggo nel suo sguardo color dell’onice.
Eppure non ci riesco.
Non è solo il mio stupido orgoglio, la mia faccia tosta di ridere in faccia al pericolo.
C’è qualcosa di magnetico in quest’essere.
L’attrazione che solo l’ignoto può esercitare.
Questo vampiro non mi ha attaccata, pur avendo fatto uno sforzo evidente per controllarsi.
Frequenta una normale scuola pubblica insieme ad altri suoi simili, con i quali vive stabilmente, e che si spacciano per una famiglia da almeno due anni.
Tiene lontane le frotte di ragazze che cercano le sue attenzioni, invece di approfittarne.
Perché?
Non capisco.
Certo, se non lo facesse dovrebbe poi abbandonare la città. Ma, dopotutto, cosa se ne fa un vampiro di una casa?
Perché cerca di comportarsi come un… un…
Umano!
No! Lui non è umano! Nessuno di loro lo è! Non c’è umanità nel sacrificare vite innocenti per alimentare una vita di per sé immortale, per placare una sete inestinguibile.
Eppure… perché leggo accusa nei suoi occhi?
E perché, quella piega che tira leggermente verso il basso l’angolo delle sue labbra mi trasmette paura e senso di colpa?
Può un vampiro avere una coscienza?
E come può avercela con me? Teoricamente sono il migliore pasto che potrà mai sperare di avere in cento anni.
Finalmente la campanella suona, liberandomi dal suo sguardo gelido.
Edward Cullen si alza di scatto, e, fulmineo, lascia l’aula in pochi secondi.
Mi sento sbiancare.
Questo è fuori di testa!
E se gli altri avessero notato il suo spostamento decisamente veloce per un umano che, teoricamente, sta solo camminando?!
Rischia troppo.
È su di giri. L’ora passata accanto a me deve aver prosciugato la sua riserva di autocontrollo.
E dire che deve essere uno bravo, nel controllarsi, altrimenti non si spiega come lui e la sua banda siano potuti rimanere fermi in uno stesso posto così a lungo.
Quello che vorrei davvero sapere è perché!

 
 
 
 
Finalmente sono riuscita a scollarmi di dosso Mike Newton.
Uuh… quel ragazzo è più appiccicoso della carta moschicida.
E non c’è verso di fargli capire che NON M’ INTERESSA.
Insomma, per carità, è carino, gentile, ma è troppo ingenuo, e si comporta come se fosse scontato che io diventi la sua ragazza.
Si, sogna ragazzino.
Quelli come te me li mangio a colazione!
Seriamente, l’ultima volta che ho provato ad uscire con un ragazzo normale, è durata una settimana.
Un record, tutto sommato.
E grasso che cola che quando ho troncato non ha fatto troppe storie.
Le mie relazioni al di fuori del clan non sono mai state né facili né durature.
Non è semplice spiegare al tuo ragazzo il perché devi mollarlo a metà serata e sparire nel nulla, o perché non puoi farti stringere troppo per paura che si accorga delle armi che nascondi sotto i vestiti.
Con i cacciatori è più semplice. Non solo perché capiscono e condividono la mia situazione, ma anche perché non si aspettano da me un impegno serio.
Io non sono tipo da legarmi troppo alle persone, non fa per me.
A parte Fas ed Ary e la mia famiglia, non riesco ad affidarmi completamente a qualcuno, a condividere la mia vita.
Ho bisogno dei miei spazi, della mia indipendenza.
E poi, almeno i cacciatori sanno che non è esattamente un affare cercare una relazione stabile con una Regina, con me in particolare.
Non a quest’età, comunque.
Al momento, l’unica di noi che abbia avuto una storia seria, è stata Arsinoe.
È normale, lei è la romantica del trio.
Ed è anche quella più portata per queste cose.
Sarà lei, la Regina Madre, a guidare i clan nella pace e nella prosperità, a proteggerli.
Io e Fatima abbiamo altre priorità, tutt’al più ci concediamo qualche svago.
Noi non siamo fatte per la pace, è una condizione che non ci appartiene.
La Cacciatrice e la Strega sono fatte per lottare.
Negli spogliatoi della palestra di questa scuola, almeno ci sono bagni con le porte.
Mi chiudo dentro al cubicolo e giro la levetta finché non scatta sul rosso.
Non voglio brutte sorprese.
Mi sfilo la maglietta sudata e mi chino sul lavandino.
Mi lavo velocemente facendo scorrere l’acqua ghiacciata.
Una volta finito, raddrizzo il busto e mi asciugo con il mini asciugamano da palestra.
Me lo strofino delicatamente anche sul collo, sotto i capelli che ho raccolto in una coda di cavallo, per stare più fresca.
Mi giro, dando le spalle allo specchio sul muro, e osservo la linea scura che spicca sulla pelle chiara sulla mia schiena, alla base del collo.
Se quelle pettegole di là vedessero il mio tatuaggio dell’iniziazione, scoppierebbe lo scandalo.
Già me lo immagino “La figlia dello sceriffo Swan è una delinquente piena di tatuaggi venuta dalla grande città per disturbare la quiete dell’onesta cittadina di Forks”.
Con un dito traccio le curve delle tre lune impresse sulla mia pelle.
Crescente, piena e calante.
La bianca, la rossa e la nera.
La nascita, la battaglia, e la morte.
La Madre, la Cacciatrice e la Strega.
Un simbolo antico e sacro.
La triplice dea.
La femminilità nei suoi aspetti culminanti, contenuti nel simbolo femminile in quasi tutte le culture.
Il simbolo impresso sulla pelle delle tre Regine dei cacciatori, al loro ingresso nei clan.
Selene, Artemide ed Ecate.
I tre nomi attribuiti dai greci alla Dea luna.
Tre divinità distinte e sovrapposte.
Una e Tre, Tre ed Una.
Ricordo ancora il male cane dell’ago sulla pelle.
E quel calore, come una fiamma che percorre quelle linee nere.
Una fiamma che si riaccende ogni qual volta una di noi tre si trovi in pericolo.
Tre colpi secchi mi richiamano alla realtà.
“Bella! Bella muoviti! Stiamo andando fuori!” mi avvertì Jessica.
“Arrivo!” dico a voce alta, riinfilandomi la maglia azzurra dell’hard rock e allacciando sopra i bottoni della camicia da bowling di mia madre.
Infilo velocemente la mia roba dentro la borsa da ginnastica e esco.
Negli spogliatoi trovo Jessica ad aspettarmi.
“Finalmente! Cominciavo a pensare che ti avesse inghiottito…” lascia cadere la frase.
Forse non vuole darmi l’impressione di essere una ragazza poco fine.
Si dice caduta nel cesso. Puoi dirlo, mica mi scandalizzo.
Tu no, ma io si!
Come sei perbene. E dimmi, Principessa sul pisello, dall’alto della sua finezza, come la vede il fatto che Mike sia lì fuori ad aspettarci?
Cazzo!
Lo dicevo io che Coerenza è il mio secondo nome…
Fuori dalla porta Mike ci guarda con un sorriso ebete sulla faccia, dondolandosi avanti e indietro sui talloni.
Questo ragazzo sembra un cartone animato.
“Allora? Piaciuta la lezione?” è il suo saluto.
Ceerto, sono rimasta giù dal campo a guardare mentre voi facevate quattro partite di pallavolo di seguito.
“Si siete stati  bravi” gli concedo, visto che è alla disperata ricerca di complimenti.
Anche generalizzando col plurale, posso vedere il suo ego gonfiarsi come un palloncino.
Uomini!
Mentre loro giocavano, visto che Mr Clapp mi aveva concesso di saltare le partite per oggi, ne ho approfittato per fare un po’ di corsa lungo il perimetro della palestra, ricordandomi di inciampare di tanto in tanto. La prossima volta però mi toccherà giocare… uffa! Io odio fingere di essere una frana! L’unico lato positivo è che posso colpire le persone con la palla, di tanto in tanto.
“Modestamente, me la cavo nello sport” esclama Mike, passandosi una mano tra i capelli. Probabilmente pensa di impressionarmi…
… Ho deciso, il primo ad essere colpito sarà Mike Newton!
“Andiamo Mike! L’anno scorso hai fatto vincere il torneo provinciale alla nostra squadra!” trillo Jessica, mentre io mi immaginavo una coda che le spuntava da dietro e spazzava il terreno frenetica.
Ah beh, se ha vinto le provinciali!
Vorrà dire che la seconda sarà Jessica.
“Ragazzi, scusate, ma devo andare!” dico frettolosamente, e avviandomi verso la segreteria.
“Ok, allora ci vediamo domani Bella” mi saluta Mike, con una faccia da cane bastonato.
Cos’è? Sperava di accompagnarmi a casa? Sai no!?
“Certo! Ciao!” urlo, ormai lontana, agitando la mano in aria.
È solo il primo giorno, e questa scuola mi sta già asfissiando.
Senza contare la bella sorpresina dei Cullen.
Apro la porta della segreteria, e un profumo dolce e fresco mi investe.
Un profumo tristemente noto.
Quando parli del diavolo…
… spunta Edward Cullen.
Che ci fa in segreteria?
Sta parlando a voce bassa con la signorina Cope.
Ma che pensa di fare con quella voce? Sembra che la debba invitare a cena!
“non ci sono altre lezioni con cui fare cambio? Senz'altro ci sarà qualche ora disponibile. Biologia alla sesta non è di certo l'unica possibilità...” stava dicendo, con una voce morbida e suadente che avrebbe fatto tremare le gambe a qualsiasi essere femminile.
Vuole stare lontano da me…
Che vuol dire? Che non ha intenzione di attaccarmi?
O vuole stare lontano da me, per non destare sospetti, e tendermi un agguato più avanti?
Perché sprecarsi tanto?
O forse, davvero non vuole uccidermi… ma perché lottare tanto per resistere al richiamo del sangue?
Il mio poi, che deve averlo stordito parecchio…
Non è che…
Mi sento sbiancare.
La mano scatta istintivamente alla cintura, sul rigonfiamento del coltello celato dalla camicia slargata e informe di mia madre.
Non è possibile che abbia capito chi sono! Cosa sono!
Nessun vampiro è sopravvissuto all’incontro con una cacciatrice.
È una regola fondamentale!
Eppure la sensazione di familiarità col nome Cullen, e col viso di quella Alice…
Possibile che questi vampiri siano già incappati in qualche cacciatore in incognito e che abbiano capito cosa avevano davanti?
E che Edward Cullen, di conseguenza, abbia capito chi sono io, e voglia starmi alla larga?
No!
È impossibile!
Perché lasciarmi vivere allora?
Il bello dei vampiri è quel loro complesso di superiorità e invincibilità, che gli rende impossibile credere all’esistenza di qualcosa di più pericoloso di loro.
Hanno sterminato i licantropi in Europa senza battere ciglio.
Se solo sospettassero della nostra esistenza, sarebbe guerra aperta.
La porta della segreteria si apre dietro di me, e una corrente d’aria fresca entra nella stanza, portando il mio profumo.
Le spalle di Cullen si irrigidiscono.
Si è accorto solo ora della mia presenza.
La ragazza che è appena entrata mi supera, ignara che nei prossimi secondi potrebbe diventare testimone o vittima.
Alla prima opzione si può facilmente rimediare, alla seconda… non mi prendo nemmeno il disturbo di considerarla.
Uno contro uno è assolutamente fattibile. Senza contare che lui è sovreccitato, al limite del controllo.
In una situazione come questa, potrebbe fregarsi con le sue stesse mani.
Lo vedo girarsi lentamente, benché non abbia dubbi che sappia chi c’è alle sue spalle.
Ed eccolo di nuovo, quello sguardo ferino, quegli occhi neri di sete che gridano morte.
Sembra un demone infernale, e forse lo è.
Non mi è mai stata chiara la teoria sull’anima dannata dei vampiri, anche perché pensarci troppo mi porterebbe a pormi domande anche sulla mia di anima.
E non ne ho nessuna voglia.
Ho già abbastanza casini senza accollarmi anche i dubbi esistenziali.
Mi sta guardando con un odio devastante.
In questo momento mi fa quasi paura.
Tengo gli occhi fissi nei suoi, pronta alla sfida.
Valuto velocemente la situazione.
La sua mano è ancora poggiata sul bancone davanti alla signora Cope.
Ucciderla per lui sarebbe questione di una frazione di secondo.
Se decide di muoversi, la prima che farà fuori è lei.
Sono a cinque metri di distanza.
Anche sforzandomi al massimo, non riuscirei a salvarla.
La ragazza che è entrata dopo di me è in un angolo, infondo alla stanza, intenta a consultare dei depliant sui college.
Io sono troppo vicina alla porta, attaccherà prima me di lei, per impedirmi la fuga.
La ragazza, può farla fuori un secondo dopo, sfruttando il sicuro stato di shock.
Ma non posso esserne sicura.
Una volta fatta fuori me, è difficile che permetta al mio sangue di raffreddarsi.
Faccio un paio di passi avanti. Devo fare in modo che attacchi prima me.
In quel momento lui si gira, il profilo delle sue spalle è immobile, la linea dei muscoli del collo è di nuovo tesa, e le maniche della camicia che indossa, arrotolate fino ai gomiti, rivelano le curve dei muscoli contratti sotto la pelle diafana, i pugni di nuovo serrati.
Non sta respirando.
“Non fa niente. Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso”  dice alla signora Cope, modulando di nuovo la voce in toni suadenti.
Solo io noto lo sforzo che sta facendo per usare quella poca aria che gli è rimasta senza inghiottirne altra.
La segretaria ha fatto istintivamente un passo indietro.
Anche se la voce è calda e rassicurante, il corpo umano reagisce istintivamente al pericolo.
Il vampiro si volta di nuovo, e senza più degnarmi di uno sguardo, mi supera ed esce dalla stanza.
È incredibile! È la seconda volta in un poche ore che la faccio franca.
Ma non è finita, non può essere così semplice. Non ci credo.
Consegno velocemente il modulo firmato da tutti i professori alla Cope.
“Come è andato il primo giorno, cara?” mi sorride la donna, e ancora una volta, noto quanto stia male con quella maglia viola che la fascia orribilmente.
Ma come si fa a vestirsi come una ragazzina alla sua età?
Insomma, un minimo di ritegno, no?!
“Bene” mormoro, modulando la voce in modo che si capisca che sto mentendo.
È una cosa molto divertente, fingere di non saper mentire.
È un modo molto ambiguo per far capire alle persone quello che voglio che capiscano.
Infatti la signora Cope fa una faccia poco convinta.
Quanto sono contorta.
Esco anche io dalla segreteria e raggiungo il mio pick-up.
Mi chiudo nel cubicolo e accendo il riscaldamento.
Qui dentro mi sento stranamente al sicuro.
Mi abbandono contro lo schienale e mi guardo intorno.
Noto gli altri quattro Cullen che camminano insieme attraverso il parcheggio, puntando ad una Volvo argentata.
Lui è già seduto al posto di guida.
Il mio telefono vibra.
Questa volta è una chiamata.
“Bella” esclama la voce non appena avvicino l’orecchio al cellulare.
“Fas! Che bello sentirti!” dico, con un ghignetto sul viso. La litigata dell’altro giorno è già storia vecchia.
“Complimenti! Anche quando si dice che la sfiga ci vede benissimo, tu le allunghi il binocolo!”
“Vuoi proprio sentirtelo dire, eh?” sospiro, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Sarebbe molto carino da parte tua”
“Ok, lo ammetto, essere qui da sola è più rischioso del previsto”
“Non è esattamente quello che volevo sentirti dire, ma è un inizio…”
“Non me ne vado da qui, Fas” esclamo convinta, “Non finché non avrò sbrogliato questo casino. Ci sono troppe cose che non tornano”
“Si, capisco che vuoi dire. Questi vampiri si comportano in modo strano” commenta, la cacciatrice che è in lei pronta e vigile.
“Appena arrivo a casa faccio un po’ di ricerche. Tu cosa vedi?”
“Lo sto tenendo d’occhio, ma c’è qualcosa che interferisce con le visioni”
“Tipo?” chiedo curiosa, mentre osservo la Volvo uscire in retro dal parcheggio e sfrecciare verso la strada.
“È un po’ come se ci fosse una frequenza che si sovrappone ad un’altra, e mi impedisce di vedere chiaramente. Ehi! Non ti sognare di seguirli!” mi urla nell’orecchio.
“Vai tra! Questo catorcio fa troppo casino per passare inosservato. E poi ho con me solo un coltello” la tranquillizzo, muovendo svogliatamente una mano in aria. “Hai Ary sull’altra linea?”
“No, ma è tutta mattina che ci teniamo in collegamento con la Webcam. Ti ho chiamata io per…” comincia titubante.
“Tranquilla Fas, è roba vecchia. Anche io dovevo essere più calma nel dirtelo”
“Naa! Non sarebbe più divertente! E poi se ogni tanto non ci fossimo noi coi nostri battibecchi, Ary si annoierebbe a morte” ridacchia lei.
Questo lo dici tu!” strilla la voce di Arsinoe in sottofondo, leggermente distorta.
Io e Fatima scoppiamo a ridere.
Dio, quanto mi mancano, tutte e due.
“Comunque tranquilla. Da quello che vedo sta pensando di allontanarsi dalla città, verso nord. Ha ancora una mezza idea di fare un salto a casa tua stasera, ma non sembra fargli troppo piacere” dice Fas, piuttosto incredula. Almeno non sono solo io ad avere dei dubbi.
Si, sua sorella gli sta dicendo di andare da Carlisle. È il presunto padre, giusto? Il dottore” aggiunge Ary, parlando attraverso la Webcam.
“Già. Per quanto la cosa mi sembri assurda… Domani magari faccio un salto in ospedale, a controllare la situazione, e stasera chiedo qualcosa a Charlie”
“Buona idea. Ormai è convinto di partire, e non vedo iniziative da parte degli altri, sembrano piuttosto confusi. L’unica che sembra aver capito qualcosa è quella piccola, Alice. Non sembra anche a te che abbia qualcosa…”
“… di familiare. Si Fas, è la prima cosa che ho pensato quando l’ho vista” confermo io, sempre più sollevata di trovare conferma delle mie sensazioni.
La cosa strana è che ha detto che Edward sarebbe andato via prima che lui aprisse bocca
“Quei due sono strani. E queste interferenze nelle mie visioni non mi piacciono per niente” esclama seccata Fatima.
“Ma, Ary, anche tu hai problemi a vedere?” chiedo senza alzare la voce, tanto so che mi sente e che mi sta guardando.
“No, sul presente non ci sono problemi. È solo Fas, come se il futuro non fosse già problematico…”
“Grazie per la comprensione Ary” sbotta Fatima piccata.
“Tesoro, lo sappiamo che per te è difficile” la consola Ary con dolcezza.
“Hai ancora quella sensazione, vero Fas?” chiedo, consapevole di quanto questa situazione metta in crisi la mia amica.
“Sempre. Ma Elizabeth continua a dire che una para mia. Almeno Marie mi credeva…” mormora depressa.
Il silenzio cala su di noi.
Anche separate da kilometri e kilometri di distanza, l’affetto per il fantasma di mia nonna ci fa sentire vicine.
Se n’è andata troppo presto, per noi.
“Ary” esclamo, rompendo la quete. “Cosa sta combinando?”
Ha percorso la statale e ha scaricato gli altri davanti al’imboccatura di una strada sterrata che va in mezzo al bosco, fino ad una villa enorme. Poi è ripartito ed è andato all’ospedale. Adesso sta parlando con un uomo biondo, sulla trentina, forse meno. Lo chiama Carlisle. Il fantomatico padre adottivo sembra Ken di Barbie versione platinata” ci comunica la biondina. Io e Fas ridacchiamo. Spesso, per prenderla in giro, chiamavamo lei Barbie.  
“Il dottore gli ha appena detto di prendere la sua macchia perché ha appena fatto benzina. Sembra che stia andando a Denali”aggiunge un po’ sorpresa, ignorando le nostre risatine.
“Complimenti Bella. Ti basta farti vedere per farli scappare fino in Alaska” sogghigna Fatima.
“Credete che abbia capito qualcosa?” chiedo io, il dubbio mi attanaglia. Come lo riprendo se va fino in Alaska, con questo ammasso di ferraglia.
Non mi va di chiamare i rinforzi.
“No! Figurati! Però sembra spaventato… rifiuta l’idea di attaccarti” mi spiega Fas, nella sua voce avverto lo stesso sgomento che prende me.
Questi vampiri sono proprio strani. Edward Cullen poi, è un vero mistero.
“Se ne va per sempre o programma di tornare?” chiedo, per sapere come organizzarmi.
“In questo momento sta penando solo a mettere quanta più distanza possibile tra te e lui, ma inconsciamente sa che tornerà. Direi che hai una settimana di tempo, gli altri non hanno programmi” afferma sicura Fatima.
“Bene. Allora ho tutto il tempo per prepararmi ad ogni evenienza. A Tacoma c’è ancora Teresa al comando, vero?!” chiedo a entrambe.
“Si, salutacela, mi raccomando” esclama allegra Fas.
“D’accordo” rido, girando la chiave nel quadro, facendo tuonare il motore.
“Fai mettere a punto quel coso, già che vai là. Non puoi fare sempre questo casino”
“Si si… Comunque dubito che lo userò mai per pedinare qualcuno. Non terrebbe dietro a quella Volvo nemmeno se lo pregassi in aramaico”  borbotto io.
Per non parlare della Mercedes del dottore” si infilò Ary.
“Ah! Macchine da soldi i signorini!” 
Sono piuttosto ignorante per le macchine, ma fin lì ci arrivo.
“Adesso vai a far la spesa, e torna dritta a casa!” mi ordina Fatima, il tono di chi non ammette repliche.
“Sissignora” rido io, uscendo dal parcheggio della scuola.
“E prendi da fare le enchiladas a tuo padre, a Charlie piaceranno” mi consiglia, come se non avessi già intenzione di prepararle.
Almeno adesso so che mio padre apprezzerà.
“Grazie per la dritta”
“Ok, allora buon lavoro. Ci sentiamo sfigata!”
“Ciao stronza!”
Fate le brave, cesse!”
La telefonata si chiude, e io non posso fare a meno di sorridere.
Che sceme che siamo.
La pioggia continua a cadere, e io guido tranquilla verso il market.
Un primo giorno di scuola perfetto
.

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Capitolo 6
*** Queen without crown ***


Buona sera! O buon giorno, dipende come la volete vedere: sono le 2:30 !XD Bene, questo capitolo è abbastanza rivelatore, e, per la vostra gioia (di alcuni almeno^^) si discosta dalla trama originale. Il prossimo lo farà ancora di più, quindi preparatevi!

Sono sempre più stupita nel vedere quanti aggiungono questa storia alle seguite/preferite/ricordate, e sinceramente mi fa immensamente piacere^^ Davvero, grazie! Ovviamente, ringrazio anche chi ha commentato, le vostre parole mi danno una gran carica =), ed anche chi legge semplicemente, passando di qua.

Ora, una precisazione da fare sul capitolo scorso. Lo so, dovevo metterla in una nota o qualcosa di simile, lo so che si può modificare il capitolo (e meno male, con tutti gli errori che faccio ^^), però me ne sono accorta dopo un bel po’, e mi sembrava inutile a quel punto. Quindi:

nota: il tatuaggio che Bella ha dietro al collo, identico a quello che hanno Arsinoe e Fatima, è il simbolo che metto all’inizio di ogni capitolo. Ora, come qualcuno di voi ha già notato, è un simbolo molto caro alla tradizione Wiccan, e rappresenta le tre fasi della luna: crescente, piena e calante. Ora, la luna è un simbolo da sempre legato all’universo femminile, e, nell’interpretazione più semplice e basilare, questo simbolo rappresenta le tre fasi della vita della donna: vergine, madre e vecchia. In realtà le interpretazioni e i significati attribuiti a questo simbolo sono molteplici, e non solo nella Wiccan. Non mi metterò a spiegare tutte le varie sfumature acquisite nelle varie culture, anche perché questo non è l’unico simbolo, e solo nella tradizione celtica e irlandese c’è abbastanza materiale da far venire mal di testa. Seriamente, il numero tre nella mitologia e nelle tradizioni popolari ha talmente tanti significati che non basterebbe una vita per studiarli tutti e poi spiegarli a voi, e non mi ci metto, primo perché ho il buon gusto di riconoscere la mia ignoranza, secondo perché non a tutti può interessare perdere tempo in questo modo. Mi permetto solo di spiegare il collegamento che ho fatto io: nella tradizione celtica e nordica c’è la Grande Dea, o Dea Madre, o Danu (trecento altri nomi impronunciabili, ok?!^^), che viene rappresentata in forma triplice; da essa deriva Brighid, che è anch’essa triplice o rappresentante di tutte le dee irlandesi.. poi c’è Morrigan, dea celtica che è guaritrice, guerriera e strega… Io ho purtroppo un’impostazione classica, e quando penso alla triplice dea, la prima a cui penso è quella greca, composta da Selene, Artemide ed Ecate, poi assimilate nella Diana italica. È un discorso molto complicato, e ho l’impressione di aver fatto su un casino ancora peggiore, sinceramente. Il punto è che io ho preso un po’ di qua e un po’ di là e ho creato una mia interpretazione della cosa, che si spiegherà meglio nel corso della storia, spero. Per ora, credo sia meglio che mi tappi la bocca e vi lasci al capitolo ed, eventualmente, se qualcuno fosse interessato a capirci qual cosina di più, vi lascio alcuni link utili che spiegano, sebbene in minima parte, quello che io, nella mia ignoranza, non sono capace di esprimere.

 http://www.satorws.com/simbolismo-triplice-dea.htm 

 http://www.celticworld.it/sh_wiki.php?act=sh_art&iart=325

http://www.astrofilitrentini.it/attiv/lavori/30luna08.html

Buona lettura^^

Artemys

 


 

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Queen without crown

 

La vita a Forks è monotona.

Non succede nulla di interessante, soprattutto quando non c’è un certo vampiro che ti fissa con sguardo omicida.

Almeno ci sono i suoi fratelli.

Sono abbastanza interessanti, tutto sommato.

Lui è partito, e come da programma, non si ripresenterà a scuola prima di lunedì.

Loro, intanto, sembrano abbastanza depressi.

Sentiranno la sua mancanza.

Ieri devono essere andati a caccia, i loro occhi non sono più neri.

Questo però non mi tranquillizza, per niente.

Mi hanno dato solo un altro grattacapo su cui lambiccarmi il cervello.

Per quale cavolo di motivo hanno le iridi dorate?

Cos’è? Hanno bevuto bile invece che sangue?

O forse hanno dissanguato un tizio con problemi ai reni…

Eppure, ieri, non si sono allontanati dalla città.

Non in macchina, almeno.

Certo, col satellite non è stato possibile rilevare spostamenti al di sotto della volta arborea.

E di usare la scansione termica non se ne parla nemmeno, col freddo che c’è qui è perfettamente inutile.

Sono stati bravi a stabilire la loro casa cosi infognata nella foresta, anche se dubito fortemente che fosse per nascondersi dal nostro satellite.

“Bella”

“Jessica” saluto, richiamata dai miei pensieri.

La ragazza che mi si è appiccicata fin dal mio arrivo a Forks, due giorni fa, è in piedi accanto al mio banco.

“Andiamo? La campanella è già suonata”

Mi guardo intorno. La classe di biologia si sta svuotando velocemente.

Annuisco con un mezzo sorriso e recupero la mia roba sparsa sul banco vuoto accanto al mio.

 Mi alzo e la seguo fuori dalla classe, dirette a ginnastica.

Attraversiamo i corridoi coperti che collegano l’edificio di biologia con la palestra.

Butto uno sguardo al parcheggio, e subito individuo la Volvo argentata dei Cullen.

Negli ultimi due giorni il mio computer ha lavorato come un matto.

Ho cercato di tutto: proprietà, certificati di nascita, documenti relativi al trasferimento dall’Alaska…

Apparentemente è tutto in ordine.

Una legale e immacolata famiglia allargata.

Chiunque si occupi dei loro documenti e dei passaggi di proprietà, è bravo.

Da quel che mi risulta hanno almeno cinque macchine, più un tot di immobili sparsi in giro per gli Stati Uniti.

Dichiaratamente sono tutte eredità di parenti o amici deceduti.

Defunti dei quali non esiste una documentazione fotografica, ovviamente.

Però c’è una curiosa alternanza di nomi e cognomi.

Sempre gli stessi, che ogni tanto rispuntano fuori.

Ne ho dedotto che qualcuno dei cognomi che usano debba corrispondere a quelli che possedevano da umani.

Mi sembra assurdo fare questo tipo di ricerca per dei vampiri, ma dopotutto questi Cullen sono anomali.

Visto l’attaccamento che dimostrano per una parvenza di vita umana, mi sembra logico pensare che l’abbiano anche per le loro identità originali.

Per il momento ho lanciato una ricerca sui cognomi Cullen ed Hale.

Spero solo di non trovare il modem fritto quando torno a casa, visto che gli sto facendo spulciare tutti gli archivi delle persone scomparse e delle morti inusuali negli ultimi duecento anni.

Finchè si tratta dell’archivio dei cacciatori non c’è problema, ma andare a trovare i dati della polizia risalenti all’era pre-computer… non è una passeggiata.

Speriamo bene.

Oggi si gioca a pallavolo, fantastico.

L’intera classe è schierata su una fila bordo campo.

Il coach chiama Mike e un certo Tyler a fare le squadre.

Io sono in fondo alla fila, sto sfoggiando la mia migliore espressione alla “Ti prego, non voglio giocare1 Ti prego, piuttosto mastico vetro!”.

Ma è evidente che Mike Newton, nonostante i suoi decantati successi con le ragazze, non capisce un accidenti di niente.

E io ci conto.

“Bella” mi chiama, tutto sorridente.

Io annuisco, e mi dirigo a testa bassa verso di lui, ignorando gli sbuffi degli altri studenti.

E ancora non sanno quello che gli combinerò.

Mike mi sorride tutto contento.

“Visto? Sei nella mia squadra! Vedrai che schiacceremo tutti” mi sussurra all’orecchio con aria complice.

Io istintivamente mi allontano e gli rivolgo un sorriso tirato.

Se non altro questo ragazzino è assolutamente prevedibile, non sarà difficile manovrarlo in caso di bisogno.

Vorrei solo che non mi stesse così appiccicato.

“Io, veramente, sono un frana a pallavolo…” borbotto, la mia coscienza che si sente in dovere di avvertirlo.

Ma che fa?

Il braccio sulle spalle non lo voglio!

Puzzi!

Signore benedetto, cos’ha al posto dell’ascella?

Una fogna a cielo aperto?!

“Non ti preoccupare, piccola. Ci penso io a te…”

Piccola? A me?

Ok, signor Newton, sei ufficialmente un uomo morto che cammina!

Le squadre si scherano nelle due metà campo e io mi metto direttamente sotto rete.

La palla mi supera in battuta un paio di volte.

Bene, Rachel mi fa un passaggio.

Aspetto che arrivi il più vicino possibile.

Alzo le mani a farmi scudo, e con un riflesso da pura imbranata, rigetto la palla…

… spedendola dritta dritta contro Mike.

Inizialmente l’idea era di colpirlo sul naso, ma c’è qualcosa di perverso e malvagio nel divertimento che mi pervade alla vista di questo ragazzo piegato in due dal dolore, con le mani a coprire i gioielli di famiglia.

Oh, si!

Vendetta! Sublime, tremenda vendetta!

Buahahahah!

 

 

“Sei sicura che non vuoi che ti accompagni?”

“No, grazie”

“Ma per guidare…”

“Tranquilla Jess. Non guido un autobus, e comunque riesco a muovere la mano. Non avrò problemi, davvero. E poi mi dispiace farti far tardi per questa cavolata”

“Se  sei sicura…”

“Sicurissima. Comunque grazie, sei carina a preoccuparti”

“Figurati, a che servono le amiche”.

Guarda, generalmente le amiche ti stanno vicine sempre e comunque, tu, nel tuo modo subdolo e opportunista, immagino ti stia sforzando di essere carina con l’ultima arrivata che, oltre a darti una certa notorietà, è una tale sfigata da slogarsi un polso durante la sua prima partita di pallavolo, e che ora ti sta negando l’ennesimo momento di gloria andando da sola al pronto soccorso.

Usciamo insieme dalla palestra, lei che mi sorride tutta caramellosa, e io che tengo il polso infortunato stretto al corpo.

Bisogna che mi dia una mossa, tra un paio d’ore sarà già tornato a posto e allora addio alibi.

“Ciao Jess. A domani” la saluto sorridendo.

“Ok. Chiamami, così se domani hai bisogno di un passaggio ti vengo a prendere” risponde lei.

“Certo, grazie”.

Infondo è carina.

Certo, probabilmente spera che il polso sia rotto e di essere la prima a saperlo, in modo da diffondere la notizia di prima mano.

Si, siamo a questi livelli di tristezza a Forks.

Se sapessero di avere una famiglia di vampiri assetati di sangue che si nasconde tra di loro, probabilmente andrebbero ad elemosinare autografi davanti alla porta di casa Cullen.

Mi avvio verso il pick-up.

Ora non piove, ma l’umidità è talmente densa che sembra di respirare acqua.

Sono a tre metri dal mio bidone su quattro ruote, ed eccoli lì.

Quattro, bellissimi, pallidissimi, elegantissimi vampiri.

Tutti fuori di testa, è evidente.

Però sono interessanti, davvero.

Non mi era mai capitato di osservare dei vampiri per capirne le personalità.

Non mi era mai nemmeno interessato, per me sono sempre stati solo e soltanto dei mostri succhiasangue con un bersaglio disegnato in fronte.

Tutti uguali.

Catalogati solo in base al livello di pericolosità.

Questi Cullen, invece, sono straordinariamente umani.

È come guardare una trasposizione moderna degli dei dell’antica Grecia.

Ognuno ha un suo stile, una sua camminata, un modo diverso di atteggiarsi.

Tutti loro mirano a passare inosservati, ben consapevoli di quanto sia impossibile, e lo fanno nel modo più composto e affascinante possibile.

A ben guardare, non sono poi così diversi da me.

Solo che io cerco di apparire imbranata e goffa.

Non che non abbia mai pensato ad assumere un approccio simile al loro, solo che mi conosco.

Io tendo ad esagerare, e se esagerassi, per esempio, in palestra, attirerei sicuramente l’attenzione.

Chissà come fanno loro in palestra? Io faccio una fatica dannata a trattenermi.

Invece di giocare da professionista, come so che potrei fare, mi tocca impersonare l’anti-sport.

Ma è meglio così, se mi incastrassero nella squadra di pallavolo, o di basket, o di hockey, o di calcio, non avrei più tempo per vivere.

Eppure sono convinta che anche per loro sia una bella rottura trattenersi.

Insomma, è evidente che Emmet sarebbe il campione della squadra di football, anche trattenendosi.

Certo, sarebbe problematico se qualcuno cercasse di placcarlo.

Il che esclude anche la squadra di hockey, di wrestling…

Ok! Emmet Cullen è un pericolo pubblico, meglio che se ne stia lontano dagli sport.

E comunque mi sembra abbastanza soddisfatto di starsene mano nella mano con la sua compagna.

Lei mi da l’idea di essere una donna vanitosa e tirannica.

Insomma, basta guardare come se lo porta a spasso, anche se lui sta chiacchierando scherzosamente con l’altro fratello.

Scommetto che li ha scelti lei i vestiti che ha indosso.

Lui mi sa più del tipo sportivo, magari anche un po’ trasandato.

Ecco, da tuta.

Sembra un tipo alla mano, non uno da pantaloni in seta, piega perfetta, e maglia a scollo a V di…

… si, quella è di Armani. Vedo l’etichetta che sporge dal bordo inferiore del maglioncino di cotone.

L’unica cosa che mi sembra accennare alla sua personalità è il colletto della maglia tirato su, dandogli un’ aria decisa e spaccona.

Però si abbina benissimo col vestito di lei.

In realtà sono tutti coordinati. Tutti e quattro hanno dei capi bianchi, che si intonano perfettamente al pallore della loro pelle.

Emmet è vestito di bianco, da capo a piedi.

Rosalie ha una lunga sciarpa bianca, e sono pronta a scommettere tutto quello che ho che è di Hermès.

Oddio, perché adesso mi viene in mente “Diavolo veste Prada”?

Sarà per quell’aria altezzosa con cui attraversa il parcheggio, come se stesse facendo una grazia a noi poveri mortali omaggiandoci della sua presenza.

Certo, è bellissima. E sa di esserlo.

Si capisce dal modo in cui tiene la testa alta, il mento leggermente alzato, in modo da mostrare il collo da cigno, e il modo in cui le onde dorate di suoi capelli ricadono sulle spalle esili, incorniciando il suo viso simile alla porcellana, e accarezzando il tessuto pregiato dello spolverino corto grigio perla che la fascia in modo elegante e sensuale.

Si intuisce dalla camminata spedita e studia, la camminata di qualcuno abituato a camminare sui tacchi dodici dei suoi stivaletti neri  e che sa come risultare femminile ed elegante anche dentro un paio di jeans grigi, attillati e strappati.

E poi continua a guardare il suo riflesso ogni volta che passano vicino ad una macchina.

Se non l’avessi beccata a pranzo a fissare intensamente negli occhi il suo compagno, direi che sembra più innamorata di sé stessa che di lui.

Non come Alice e Jasper.

Sapevo che i vampiri si innamoravano, di un amore disperato e immutabile, che va oltre la comprensione umana.

Li ho sempre associati ai lupi per questo, una delle poche specie animali che, una volta scelto un compagno, non lo cambiano mai più.

Alice e Jasper sono in perfetta simbiosi.

Si muovono in modo armonico, come se danzassero.

Ma questo avviene solo quando sono insieme, perché lui si adatta al passo ondeggiante e aggraziato di lei.

Lei si muove come una ballerina classica, magari come una delle fatine della Bella Addormentata.

Lui, quando è lontano da lei, ha un passo marziale, ma comunque elegante.

Lei si prende cura di lui, che mi pare il più debole al richiamo del sangue, viste le espressioni sofferenti che ogni tanto gli sfuggono.

Lui la riverisce e la protegge, come un cavalier servente ammaliato dalla sua dama, anche se mi sembra evidente che lei non abbia niente da temere.

Non perché è una vampira… cioè, anche quello aiuta, sicuramente, ma, anche se fosse umana, ha una personalità così insolita e spiccata, che sono pronta a scommettere che sarebbe quel tipo di ragazza che se ne frega di ciò che le succede intorno ed è assolutamente sicura di sé.

È nel modo in cui si guarda intorno, spensierata, come se sapesse esattamente ciò che vedrà girando gli occhi dall’altro lato, e nel modo in cui afferra con dolce determinazione il braccio di Jasper, quando lo vede in difficoltà, e lo guida.

Come se avesse delle certezze inossidabili strette in pugno.

Un mezzo sorriso affiora sulle mie labbra, senza che possa controllarlo.

Forse ho capito perché Alice Cullen mi è così familiare.

È così simile a Fatima…

Qualcosa spunta nella mia mente, quel fastidioso senso di vuoto di quando dimentico qualcosa-ma-non-so-cosa.

Quella specie di pungolo incorporeo che si limita a torturarti fino a che non gli presti attenzione e non risolvi il mistero.

Il mio pungolo ha un nome: Alice Cullen.

Questo lo so. Lo so bene.

E so anche che non è la somiglianza caratteriale con Fatima, perché l’ho notata solo adesso, mentre questa sensazione nei suoi riguardi ce l’ho sin dal primo istante in cui l’ho vista.

Senza che me ne accorga, i miei passi deviano dal loro percorso originario, mentre un linea d’azione imprevista prende forma nella mia mente.

Mi avvicino ai vampiri, e un secondo prima che apra bocca, mentre sono ancora a tre metri da loro, Alice Cullen volta il viso verso di me.

Per una frazione di secondo, la sua espressione mostra sorpresa.

Fregata!

“Scusate” esclamo fermandomi dove sono.

Non ho intenzione di avvicinarmi ulteriormente, anche se siamo all’aperto, non ci tengo a mettere alla prova la resistenza di Jasper.

Ho già l’attenzione di Alice, ma mi sembrava educato rivolgermi anche agli altri, che ora mi guardano. Sembrano sorpresi, sospettosi, ed anche un po’ ostili.

“Si?” mi risponde educatamente Alice, che mi osserva con aria curiosa.

Mi stringo un attimo nelle spalle, strattonando la cinghia della mia borsa, come se la tracolla fosse un’ancora di salvezza.

Perfettamente calata nel mio ruolo, boccheggio un secondo e mi sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, facendo attenzione a toccare quella piccola sporgenza sul retro del mio orecchino a pendente.

“Ecco… Mi dispiace disturbarvi… Sono Bella Swan. Vostro fratello Edward è mio compagno di banco a biologia” spiego, intuendo il loro disagio nell’avere a che fare con me.

E poi, anche io riesco a tollerare fino ad un certo punto le figure di merda.

“Ah, si” sorride Alice, annuendo, come a rassicurarmi. “Beh, qui tutti sanno chi sei. Benvenuta a Forks, Edward ci aveva detto che eri in classe con lui.”

“Ehm… grazie” sorrido, spostando un attimo lo sguardo ai suoi fratelli.

Emmet sembra incuriosito, Jasper mi sta evidentemente studiando, e Rosalie…

… bellezza, sarà meglio che la smetti di guardarmi così!

Ho un lanciafiamme a casa, e non ho paura di usarlo!

“Comunque… ho visto che negli ultimi giorni non è venuto a scuola. Per caso sta male?” chiedo, fingendo una educata e composta preoccupazione.

Non voglio passare per la ragazzina innamorata e in ansia. Non è proprio il mio caso.

Delle serie: ma nemmeno per finta!

“Oh, no. Si è allontanato da casa per qualche giorno” mi spiega, beccandosi un’occhiata inteneritrice da Jasper e Rosalie, ma ignorandola platealmente.

Questa succhiasangue potrebbe anche piacermi.

“Questioni famigliari, sai com’è. Ma tornerà, tra qualche giorno” dice, senza smettere un attimo di sorridermi con gentilezza.

Parlando abbiamo fatto entrambe un paio di passi avanti, e sembra piuttosto a suo agio con me.

Mi guarda come se ci tenesse a non spaventarmi, eppure avesse voglia di venirmi più vicino.

Credo che il mio odore la incuriosisca.

Come il suo incuriosisce me, d’altra parte.

Ha una nota floreale, calda, come viole… cosa assolutamente insolita per un vampiro.

Di solito i loro aromi hanno sfumature più fruttate e complesse, meno semplici e naturali.

Un’altra anomalia.

“Mi fa piacere. Comunque, non era per farmi i fatti vostri, davvero” mi affretto a dire, premurandomi di mettere nel tono della mia voce tremolante la giusta dose di imbarazzo. “È solo che… ecco… il professor Banner è andato molto avanti con le lezioni in questi due giorni, e la prossima settimana ha detto che comincerà ad interrogare, così…” farfuglio impacciata estraendo le fotocopie degli appunti di biologia degli ultimi due giorni.

Per Angela faccio in tempo a fotocopiarli di nuovo domattina, tanto oggi non sarei comunque riuscita a passare a portarglieli, e poi chissà a che ora tornerà da Seattle.

Certo che anche sua cugina, sposarsi a metà settimana… bah!

“Ho pensato che potessero fargli comodo gli appunti delle lezioni che ha perso” concludo mostrando i fogli scritti fitti fitti nella mia migliore grafia.

Alice mi guarda sorpresa, come se l’avessi presa in contropiede, e sposta continuamente lo gli occhi da me ai fogli come se non potesse crederci.

Il ghignetto sui volti degli altri tre mi fa capire che pensano che debba essere o stupida o infatuata del fratello assente. Come se non sapessi che i Cullen fanno rabbia perfino ai professori per quanto sono bravi.

È una di quelle cose che non bisogna nemmeno chiedere, non quando si ha a portata di mano la regina del gossip. A Jessica non serve una scusa per spettegolare sui Cullen.

Alice invece ha capito la portata di quello che le sto offrendo, anche se non immagina di quanto ne sia consapevole.

Oggetti impregnati del mio odore.

Cinque fogli che, oltre a degli appunti perfetti, trattengono una potente traccia del mio aroma.

Un profumo intenso al quale tutti loro, e soprattutto Edward, potranno assuefarsi con calma, desensibilizzandosi.

Certo, potrebbero anche usarla per ritrovare il mio odore e darmi la caccia, ma tanto sono certa che saprebbero già riconoscerlo, e sanno perfettamente dove abito.

No, non sto fornendo al nemico un’arma.

Mi sto proteggendo.

Vedo Alice tendere la mano verso i fogli e io glieli porgo, facendo attenzione a non sfiorare la sua pelle gelida. Non voglio metterla in allarme.

La vampira fissa incantata i miei appunti e mi sorride.

Sorride sempre. È così dolce.

Ma non come un mastino. È dolce davvero. Sembra un folletto.

 “Grazie. È davvero gentile da parte tua. Sono certa che ad Edward saranno molto utili” cinguetta con voce argentina, inclinando la testa di lato.

Che persona curiosa. Mi viene quasi da imitare il suo gesto.

“Ma ti pare. Dovevo comunque fotocopiarli anche per un’altra ragazza che oggi era assente, così ho pensato che, già che c’ero, tanto valeva farli anche per lui” replico sorridendo imbarazzata, agitando una mano in aria, come a dire che non era niente di che.

A volte è così semplice usare la verità a proprio vantaggio.

“Sei stata comunque molto gentile” ripete Alice e, con un’occhiata di disapprovazione dai suoi fratelli, muove un passo tendendo la mano verso di me.

Un attimo di esitazione.

Che scema che sono!

Mica mi può uccidere con una stretta di mano!

E poi, non qui, in mezzo ad un parcheggio affollato.

La guardo un istante negli occhi, in quelle strane e calde iridi dorate.

È davvero di questo che ho paura?

Senza più esitare le porgo la mano.

Ma che cos’è questa sensazione? Come se questa vampira mi fosse, in qualche modo, simile?

Cos’è questo legame che sento di avere con lei?

“Allora… arrivederci Bella” mormora.

Possibile che lo senta anche lei?!

No! Lo escludo!

Sicuramente è il mio odore che le comincia a dare alla testa.

Annuisco e sorrido timidamente, lasciando con educazione la mano della ragazza davanti a me, dopo una stretta appena accennata e cordiale.

“Arrivederci!” dico sommessamente, e, con un cenno del capo, saluto anche gli altri quattro, che fissano straniti la piccola vampira davanti a loro.

Volto le spalle e, con passo spedito, raggiungo il mio furgoncino.

 

 

Il pronto soccorso di Forks non è molto affollato.

La sala d’aspetto è piccola, ordinata e pulita.

Un sentore di limone aleggia nell’aria, e un tronchetto della felicita stazione in un vaso vicino alla grande porta a vetro dell’ingresso.

Aspetto pazientemente il mio turno, finche l’infermiera non chiama il mio nome.

Mi alzo e mi dirigo verso di lei.

È una signora bassa, cicciottella, sulla cinquantina, con un paio di occhiali dalla montatura ovale e sottile.

Mi fa segno di seguirla attraverso un piccolo corridoio e mi indica lo studio del dott. Cullen.

Quando puoi entrare nel computer del Pentagono, crackare il sistema di un semplice ospedale locale diventa meno di uno scherzo.

Scoprire il giorno in cui Carlisle Cullen ha il turno in pronto soccorso non richiede più di trenta secondi del mio tempo.

Entro nello studio, dove un lettino da ospedale staziona di fronte ad una scrivania ordinata e impersonale.

Segno evidente che questa è una stanza usata solo per le visite di primo soccorso, e da più medici.

Il dott. Cullen è in piedi, dietro alla scrivania, e mi sorride accondiscendente.

Quanto sorridono in questa famiglia.

“Buongiorno Isabella. Sono il dottor Cullen, è un piacere conoscerti” mi saluta educato.

“È un piacere anche per me, signore” esclamo io abbassando gli occhi.

Non è per timidezza.

Oh no!

È per evitare di scoppiargli a ridere in faccia.

Dio, sembra Ken di Barbie! Ary aveva proprio ragione!

Aggira la scrivania, avvicinandosi, e mi fa segno di sedermi sul lettino.

Io lo assecondo, e, quando mi siedo, attendo che lui mi sia esattamente davanti per portarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, premendo di nuovo quella sporgenza dietro l’orecchino.

“Allora, che abbiamo qui?” mi chiede, il tipico tono da medico.

“Sono caduta male dopo un tuffo in una partita di pallavolo” spiego, tendendogli i polso infortunato e pulsante. “Il coach ha detto che potrei essermi slogata il polso. Secondo me è solo una bella botta, ma mi ha ordinato di farmi controllare” dico facendo spallucce, sperando che capisca quanto mi scocci che gli altri si preoccupino per me.

Lui ridacchia tastando con gentilezza l’articolazione, che si sta già rimettendo a posto da sola.

“Effettivamente è solo una slogatura leggera. Più una bella botta, in effetti, ma dovrebbe passarti in un paio di giorni, se non sforzi il polso” commenta rigirandomi il polso tra le mani.

È straordinario come le sue dita fredde, nonostante mi inquietino, risultino piacevoli sulla contusione.

Ancora non riesco a capacitarmi di come questo vampiro possa esercitare da medico.

“Facciamo così” esclama allontanandosi un attimo e prendendo un tubetto di crema e della garza. “Adesso ti do un po’ di questa, così il polso non ti si gonfierà e ti farà meno male. Poi ti faccio una fasciatura, così non potrai muovere troppo il polso. Rifallo a casa stasera e domattina, sono certo che tuo padre ce l’abbia in caso questa pomata, anche lui è piuttosto soggetto a certi incidenti…” dice ammiccando, e io non posso fare a meno di sorridere. Mio padre è una frana per davvero.

“… e vedrai che nell’arco di un giorno o due il tuo polso sarà come nuovo”.

 

 

Niente è mai stato comodo come il mio letto in questo momento.

Cavolo, che giornata.

Però devo ammetterlo, slogarsi il polso apposta ha funzionato alla grande, e l’idea degli appunti è stata geniale.

Le reazioni anticipate di Alice mi incuriosiscono tanto quanto quelle di Edward.

Non c’è dubbio, loro due sono i più strani.

Anche se devo ammettere che il dottore è il più anacronistico dei vampiri, in generale.

Tra i Cullen il più pericoloso è decisamente Jasper.

Con tutte quelle cicatrici da battaglia… deve averne viste parecchie.

Gli altri tre sembrano molto più sobri, come se non avessero mai conosciuto la vita nomade.

Jasper, invece, è evidentemente un combattente.

Non è mai visto un vampiro con così tante cicatrici, e chissà quante ne ha sul resto del corpo.

Sì, è sicuramente l’elemento più temibile lì in mezzo.

D’altra parte ho notato che è quello che gli studenti maggiormente.

Intuiscono la sua pericolosità, anche senza riuscire a vedere quei segni di lotta sulla sua pelle adamantina.

Un urlo di trionfo dal salotto mi comunica la gioia di Charlie. Non ho idea di che partita stia seguendo, ma ringrazio chiunque abbia inventato il televisore e la birra.

Con stanchezza mi alzo e mi avvicino alla scrivania, dove il mio super computer continua a lavorare imperterrito.

l’ho già controllato prima di cena e, come mi aspettavo, la ricerca ha dato fin troppi frutti.

Un sacco di casi di omicidi e persone scomparse in cui sono stati coinvolti soggetti di nome Cullen o Hale.

Troppi risultati per spulciarli uno ad uno.

Per fortuna stamattina mi sono procurata del materiale per la ricerca.

Sfilo con attenzione gli orecchini a pendente ponendoli sul piano della scrivania.

Infilo l’unghia dell’indice nella scanalatura che apre a metà l’orecchino destro, rivelando il congegno al suo interno.

Con molta, molta attenzione, faccio scivolare la minuscola memory card fuori dal suo incastro e la inserisco nel lettore apposito che ho collegato al computer.

Tempo pochi secondi, e le fotografie di Alice e Carlisle Cullen sono sullo schermo.

Ora non mi resta che inserirle nell’archivio dei cacciatori e usarle per fare partire nuovamente la ricerca.

Un trillo proveniente dal computer e un’icona lampeggiante attirano la mia attenzione.

Con un sorriso sulle labbra clicco per accettale la video chat con Fas ed Ary.

“Ehi Bella”

“Comment ça va?”

“Ça va bièn” rispondo scimmiottando la rossa.

“Sai solo queste parole in francese, non è vero?”

“Ovvio. Voi che mi dite”

“Bene. Se escludi i chili di ciccia che mi sta facendo venire la cucina francese” replica acida Fas.

“Se tu evitassi di provare tutti i formaggi e i dolci che ti mettono sotto il naso…” commenta allegra Ary.

“Sentila, lei. Quella che si è mangiata diciassette bomboloni alla crema per colazione e poi ha osato mangiarsi un mega cheeseburger a pranzo!” sbotto io, alzando gli occhi al cielo.

“Si, è poi è magra come uno stecco!”

“Non è colpa mia se ho un metabolismo veloce” cinguetta la biondina, arrotolandosi una ciocca di lunghi capelli intorno al dito, con fare civettuolo.

Io e Fas ci scambiamo un’occhiata eloquente attraverso la webcam, una delle nostre solite occhiate, e alziamo lo sguardo al cielo, invocando pazienza.

Fas si prende la testa fra le mani, immergendo le dita nella sua zazzera rossa e ribelle, e gonfia le guance d’aria, facendo la sua faccia da pesce palla.

Dio, non posso non ridere quando fa quella faccia, ha gli occhi che sembrano venirle fuori dalle orbite.

Io e Ary scoppiamo a ridere.

Grazie al cielo c’è internet.

L’icona della ricerca con le foto lampeggia.

La clicco, aprendo la finestra in modo che non nasconda i volti delle ragazze.

Oddio!!!

Il respiro mi si mozza in gola.

Sento il sangue defluire dalla mia testa.

Potrei svenire, lo sento.

“Bella?” mi chiama allarmata Arsinoe, vedendo il mio volto cadaverico e i miei occhi sbarrati.

“Bella! Che ti prende? Bella!”.

La voce di Fas mi rimbomba nelle orecchie, come un’eco lontana.

Devo rispondere.

Devo rispondere a tutte e due, ma soprattutto a lei.

Lei deve sapere.

Deve sapere che aveva ragione.

Che non è matta.

Che le sue sensazioni, per quanto inspiegabili, erano esatte.

Deve sapere che Elizabeth si sbagliava.

Ma non ho la forza di parlare.

Come in trance, muovo le dita tremanti sul touch pad, ed invio i risultati delle mie ricerche ad Arsinoe e Fatima.

Anche se riuscissi ad articolare qualche suono, non ci crederebbero, se non vedessero coi loro occhi.

Eppure è così semplice, evidente.

La verità che ci era sfuggita, nonostante i nostri occhi potenziati dalla Cenere.

Quella verità che avevamo colto solo con l’intuito, senza capirla, e che poche ore fa, il mio istinto da cacciatrice aveva cercato di mostrarmi.

Quella verità nascosta, obliata per quasi un secolo.

La verità perduta, sotterrata da chi aveva voluto occultarla, e ci era riuscito.

La verità che era sfuggita alla nonna e ad Elizabeth, e che ora, si presentava a noi.

Ed era tutta lì, in due semplici foto messe a confronto.

Una l’avevo scattata io, quel pomeriggio.

L’altra l’aveva scattata un medico, o un’infermiera, circa un secolo fa.

Per la precisione, nel 1920, nel manicomio di Biloxi, Missisipi.

Ritraevano entrambe una ragazza minuta, pallida, coi capelli corti.

Ed anche se, ad un primo sguardo, la splendida e sorridente vampira non aveva niente a che fare con la ragazza dell’altra foto, io vedevo.

Vedevo la stessa linea dritta del naso, la stessa forma appuntita del viso e, nonostante le occhiaie profonde, le guance scavate dalla denutrizione, e il chiarore delle iridi, probabilmente azzurre, vedevo la stessa espressione persa nei suoi occhi. Quella che a volte aveva Alice Cullen, mentre la osservavo.

La stessa che aveva Fatima, quando era in preda ad una delle sue visioni.

Eccola lì, la pura e semplice verità.

Una foto che avevamo avuto davanti agli occhi tante di quelle volte, quella che era stata il tormento e il rimpianto di mia nonna fino alla fine dei suoi giorni.

Il tormento di Fatima, fino ad oggi.

Dopo tanti anni, Fatima potrà finalmente reclamare il suo trono, perché Ecate non lo reclamerà.

Perché la Regina Perduta è stata ritrovata e persa, di nuovo.

In modo diverso, ma più definitivo del precedente.

Perché, anche se reclamasse la corona, è impossibile che i clan la accettino.

Mary Alice Brandon è scomparsa nel 1920, inconsapevole di ciò che era.

Ma non avrei mai pensato che avesse sfuggito la dannazione dei cacciatori, per subirne una peggiore.

Da cacciatrice, è diventata preda.

Alice Cullen è una Regina Perduta.

Una Regina che non ha mai ricevuto il marchio della Triplice Luna.

Una Regina Strega che non ha mai conosciuto le sue sorelle.

Una Regina che ha lasciato i clan nel lutto, e un’erede senza guida.

Una Regina che non potrà mai reclamare il suo trono.

Una Regina senza corona.

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Capitolo 7
*** How can I do? ***


Ciao… Si ok, faccio schifo! Mi scuso per aver fatto passare tanto tempo dall’ultimo aggiornamento. Un po’ l’università, la mancanza di tempo e voglia, impegni vari… insomma, questa storia mi si è un po’ incagliata tra il cuore e il cervello. Doveva essere una cosa cretina e leggera, invece sta diventando psicologica e pesante. Lo dimostra questo capitolo, che non so bene cosa sia, perché a me onestamente fa schifo, ma in qualche modo dovevo comunque scriverlo, e rimandare oltre sarebbe davvero vergognoso. Mi dispiace, non è nemmeno lontanamente sputtanevole come i precedenti, sarà anche perché in questo periodo sono estremamente seria, visto che le mie compagne di follie sono tutte lontane. Comunque, ultimamente mi sono appassionata al manga Claymore, e ci ho trovato diversi parallelismi (ovviamente sono somiglianze che non posso mettere sullo stesso piano, perché la mia è una cretinata, mentre sono convinta che questo manga sia un’opera d’arte), così ho deciso di prendere qualcosa di un personaggio di quella serie e metterlo intenzionalmente in questo capitolo, chi la conosce capirà di chi si tratta. Per il resto…ah, si, sempre perché ci ho preso gusto a linkare video e canzoni nei capitoli per creare l’atmosfera, in questo ho messo una canzone che semplicemente adoro, mi piace un sacco ascoltarla mentre guido, e mi sembrava giusto che Bella ascoltasse anche qualcosa di “nuovo” sull’orizzonte musicale, visto che le ho conferito gusti abbastanza eclettici in fatto di musica.
==> http://youtu.be/be6XXdKv2lE
Vi lascio alla lettura, baci.

Artemys

 


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 How can I do?

 
 
 
Tik Tok
On the clock…
 
“Oh,  ti prego!”
Se sento di nuovo questa canzone metto la testa fuori dal finestrino, e auguri al poveraccio nell’altra corsia.
Sarà almeno la terza volta che la mandano nel giro di un’ora, e mi sono stufata.
Spengo la radio del mio vecchio catorcio e, con una mano sul volante, uso l’altra per selezionare la colonna sonora del mio viaggio sull’iPod, opportunamente collegato alle minicasse che ho appena comprato, appoggiate sul sedile del passeggero.
Ho una voglia matta di ascoltare quell’album che mi ha passato Fas, è un sacco che non ascolto un po’ di musica italiana, mi ha assicurato che la band del ragazzo della sua compagna di stanza è forte.
Metto il volume al massimo, e l’intro della chitarra elettrica riempie l’abitacolo del mio pick up.
 
Come faccio a superare questo scoglio
Io da solo non riesco
E se penso che la colpa è tutta mia
Mi ritrovo nel vuoto
 
E lo so
Sono andato fuori pista ma…
 
“Ehi! Non sono niente male!”
Fas ha sempre avuto ottimi gusti in fatto di musica.
Per fortuna che la nonna si è impuntata per farmi imparare almeno l’italiano, o mi sarei persa un sacco di cose meravigliose.
Certo, all’inizio mi faceva ascoltare l’opera, ma non è che mi abbia mai preso molto.
Ma con la musica moderna, è tutta un’altra cosa.
L’italiano ha una musicalità particolare, diversa dall’inglese, ma non meno affascinante.
Non come il francese.
Quello non c’è mai stato verso di farmelo andare giù.
Quello l’ha imparato bene solo Fatima.
Poco male, almeno la lingua originaria di nonno Marco l’ho imparata.
E dire che, nata da una francese e da un italiano, mia madre sarebbe dovuta diventare una cuoca di prim’ordine.
Invece quando si avvicina ai fornelli è meglio infilare un caschetto protettivo, tenere a portata di mano l’estintore, e il cellulare con selezionato il numero della guardia medica.
Anche in questo caso, le doti di famiglia hanno saltato la sua generazione, e sono arrivate dritte dritte a me.
Avrei anche fatto a meno.
Tamburellando le dita sul volante al ritmo della canzone in sottofondo butto un’occhiata all’orologio.
Sono le 17:30.
Ho ancora un’ora e mezza di viaggio.
Due, se il vecchio col cappello davanti a me non pigia sull’acceleratore.
Ho capito che siamo nella corsia più lenta, però datti una mossa!
Non vedo l’ora di arrivare alla base di Tacoma, così qualcuno metterà a posto questo bidone.
Sono capace di infilarmi nei file della NASA senza problemi, ma di motori non capisco una beata mazza.
Abbasso il finestrino per cambiare un po’ l’aria, e appoggio il braccio sulla portiera.
Un Hummer mi sorpassa sull’altra corsia e un ragazzo coi rasta e gli occhiali da sole mi fischia.
Mostrargli il dito medio è un dovere morale.
Certo che col finestrino abbassato, il vento nei capelli e i Rayban indosso, mi sento molto come se fossi nella scena di un film.
Uno di quelli dove la storia si svolge tutta on the road.
Il mare scintilla sotto un raro sole dorato, mentre le montagne ricoperte di verde dell’Olympic National Park scorrono all’altro lato dell’autostrada 101.
Ho sorpassato da poco Port Angeles.
Tra circa mezz’ora dovrò imboccare la statale 104.
Ci voleva proprio questa gita fuori porta, lontano da Forks.
C’è voluto un po’ per convincere Charlie, ma ne è valsa la pena.
Dopotutto è bastato dirgli che andavo a trovare delle vecchie amiche che abitano là, e ha mollato l’osso.
Non ho dovuto nemmeno dirgli una bugia.
Sono un paio d’anni che non vedo Teresa, ma quando l’ho chiamata era su di giri all’idea di ospitarmi per il week end.
Forse parlando con lei riuscirò a venire a patti con questa situazione.
 
 
 
All’inizio trovavo divertente rimbalzare sul sedile immaginando che si trattasse di un rilassante massaggio.
Dopo mezz’ora ringrazio semplicemente la resistenza del mio pick up.
Questo sterrato fa veramente schifo.
Finalmente arrivo al fabbricato basso e largo che costituisce il garage di Teresa.
La base è situata parecchio fuori città, ma ben mimetizzata.
La pista da moto cross è ancora abbastanza affollata, nonostante siano le 19 passate.
Si vede che stanno sfruttando il più possibile il terreno asciutto, e l’impianto d’illuminazione artificiale è degno di uno stadio di football.
Parcheggio il mio bidone fuori dai piedi e prendo giù le mie poche cose, raccolte un una sacca che butto sulla spalla.
Il garage è in pieno fermento, forse proprio perché stanno per chiudere.
Alcuni motociclisti stanno rientrando, liberando la pista.
Ripuliscono un po’ i loro mezzi impolverati e si liberano delle protezioni.
Alcuni lasciano le moto nel garage di Teresa, altri le caricano su retro dei loro furgoncini, simili al mio, per riportarsele a casa.
C’è un forte odore di benzina, olio per motori e la polvere aleggia nell’aria.
Qualcuno mi tocca la spalla.
Mi giro, davanti a me c’è un ragazzo in tuta da meccanico, con il viso e le mani sporchi di grasso, che mi sorride.
“Cerchi Terry?” mi chiede, facendomi una radiografia con i suoi caldi occhi castani.
Non è una gran bellezza, ha la mascella un po’ troppo squadrata per i miei gusti, e il mento marcato che mal si adatta a quell’espressione birichina, ma non è male.
Gli sorrido in risposta, sicura di poter abbassare la guardia.
Davanti a me c’è un Cacciatore.
Non c’è un segno di riconoscimento particolare, né un odore, niente.
Solo quel leggero pizzicore iniziale alla radice del naso, l’istinto fa il resto.
Solo un Cacciatore può riconoscere un altro Cacciatore.
È un po’ come con un paio di scarpe.
Ci sarà sempre quel paio di scarpe che ti colpisce subito, e poi di tutte le altre non te ne fregherà più niente.
Potrebbero esserci trecento altre paia di scarpe stupende nell’intero negozio, ma tu sai che sono quelle che comprerai, perché sono fatte per te.
Non c’è crudeltà nel paragonare una persona ad un paio di scarpe.
Le scarpe sono gli unici oggetti che possono essere ammessi in quell’assurda teoria dell’amore a prima vista.
Solo loro, punto.
Perché quelle scarpe le metterai appena arrivata a casa, a meno che tu non le metta fin da subito. E poi le metterai ogni volta che ne avrai l’occasione, giorno dopo giorno, adorandole anche quando il tacco si romperà, o la suola comincerà a scollarsi. E non le butterai mai via, le terrai in una scatola vicino alla scarpiera, andandole a riguardare con nostalgia di tanto in tanto, come una vecchia fotografia. Ovvio, non arriverò mai a baciare un paio di scarpe.
L’amore a prima vista è una balla colossale, quando riguarda le persone.
Apprezzo Shakespeare, ma nessuno riuscirà mai a convincermi che Romeo e Giulietta sia una storia d’amore.
Esiste l’attrazione a prima vista.
Esiste la passione travolgente.
Esiste la stupidità adolescenziale.
L’Amore, è un’altra cosa.
Per ora, so solo che la sensazione che sto provando davanti a questo Cacciatore è calda e familiare.
Non è il paio di scarpe della mia vita, ma lo riconosco.
Mi guardo un attimo in giro.
Una ragazza con un caschetto biondo intenta a togliersi gli stivali da moto, un ragazzo coi capelli lunghi e rasta che sta trafficando attorno ad una testata…
Ci sono circa una ventina di Cacciatori in questo garage.
Venti paia di scarpe rosse in mezzo ad una marea di scarpe nere.
Torno a guardare il ragazzo davanti a me, che mi sta studiando.
“Cameron” esclama porgendomi la mano.
Io sorrido e gliela stringo, indifferente all’unto che gli ricopre le dita.
“Bella”.
Il sorriso di lui si allarga e si fa malizioso.
Devo aver appena confermato i suoi sospetti su di me.
Poco importa che sapesse o meno del mio arrivo, un Cacciatore riconosce una Regina.
Onestamente non so come, immagino per lo stesso meccanismo con cui io riconosco Fas e Ary più simili a me di quanto già non lo siano gli altri Cacciatori.
“Che ti porta da queste parti, Bella?” mi chiede, sempre con quel sorriso malandrino sulle labbra sottili, e cominciando a camminare verso una porta scura.
“Beh, vediamo… ho bisogno di qualche ritocco al mio pick up anteguerra, rifornimenti, devo parlare con Terry e, ultimo ma non per importanza, fuga dal claustrofobico ambiente cittadino di Forks” sbuffo con aria tragica.
Cameron alza gli occhi al cielo e scuote la testa per poi lanciarmi uno sguardo comprensivo.
E… eccone un altro con la mania di toccare.
Ma il rispetto dello spazio personale a questi ragazzi non lo insegna nessuno?
Poi tesoro, scusa se te lo dico, non sarà particolarmente commossa la tua ascella, ma ai miei vestiti ci tengo.
Oggi poi che mi sono vestita come diavolo mi pare, non ho proprio voglia di farmeli sporcare di grasso da motori.
Scrollo via il suo braccio dalle mie spalle e supero la porta che lui mi sta galantemente tenendo aperta.
Entro in quello che sembra essere un ufficio.
Scrivania ricoperta di scartoffie e ricevute, un archivio metallico, e un armadio a doppia anta.           
Apre anche quello e con un movimento secco  del braccio sposta lateralmente metà della parete interna del mobile, rivelando uno spazio retrostante.
“Prego milady” esclama il ragazzo, facendo un mezzo inchino e cenno di precederlo.
“Andiamo a Narnia?” rido mentre mi infilo nella piccola nicchia dietro l’armadio.
È ampia più o meno due metri quadri, e alta quanto l’armadio.
È illuminata da una lampada al neon, e di fianco a me, sulla parete, vedo quattro pulsanti numerati, più uno con una T, quello più in alto.
“Qualcosa del genere” ridacchia Cameron affiancandomi, e preme il pulsante 1.
L’ascensore comincia a muoversi, inabissandosi sotto il livello del terreno.
Dopo alcuni minuti, e diversi metri più in basso, le porte si aprono su una stanza e ben illuminata, grande quanto il garage soprastante, ma molto più affollata.
Diverse montagne di scatole sono accatastate lungo la parete in fondo, vicino a quelli che sono evidentemente altri ascensori, destinati allo spostamento dei carichi maggiori.
Dall’altro lato sono allineati diversi mezzi, che costituiscono parte dell’equipaggiamento della base.
Qui tengono ciò che serve nell’immediato.
Quattro jeep, una decina di moto nere che devono aver appena subito una truccatina ai motori, tre macchine che sembrano appena uscite da Fast and Furios e che mi sembrano molto fuori luogo, e poi le file di scaffali e griglie traboccanti armi di tutti i tipi, mentre altre vengono tolte dagli scatoloni e aggiunte al resto dell’arsenale.
Ordinaria amministrazione direi, anche la base di Phoenix ha un garage così, tranne che per quelle macchine dai colori sgargianti.
Cameron nota il mio sguardo dubbioso che indugia sulla macchina arancione che occhieggia dall’angolo della sala.
“Ti piace?” mi chiede, sorridendo malizioso.
“L’avete fregata dal set di Fast and Furious?” replico io con fare polemico.
Meglio non fargli notare che sbavo dalla voglia di farci un giro.
Adocchio subito il tunnel che porta in superficie, l’uscita deve essere mascherata all’interno dell’altro garage o mimetizzata da qualche parte nella boscaglia che nasconde lo sterrato della pista da moto cross.
“Più o meno” ride Cameron, accompagnandomi in mezzo al trambusto del garage.
Pochi sembrano far caso a me, per il momento.
“Le abbiamo vinte alle corse clandestine che si tengono poco fuori città. I raduni sono sempre grossi, e quella gente ha la brutta abitudine di farli in periferia, o anche in mezzo ai boschi, visto che poi sfruttano le strade di montagna per le loro gare. Se un vampiro passa di qua, è facile che si imbuchi, passando anche abbastanza inosservato, puoi immaginare quanto sia strana la gente che partecipa. Mentre tutti sono concentrati sulla corsa, o se devono sbaraccare perché la polizia sta arrivando, sfrutta la confusione per prendersi una preda o due e fare uno spuntino, e nessuno si accorge di niente fino al giorno dopo. È capitato anche che attaccassero le macchine in gara. Non sono rari gli incidenti mortali, e non ci vuole niente a tirare fuori il pilota dall’abitacolo e lasciare che la macchina vada a schiantarsi giù per un dirupo. Così abbiamo preso l’abitudine di mandare una pattuglia sul posto, un paio partecipa alla corsa e gli altri supervisionano la situazione, ed è capitato di vincere qualche volta” mi spiega con fare annoiato, fingendo che la cosa non sia né anomala né sorprendente. Ma non può nascondere quel luccichio orgoglioso nei suoi occhi.
“Hai mai corso con una di quelle?” chiedo, sapendo già la risposta.
Tra un po’ se la fa addosso dalla voglia di dirmelo.
Quelle le ho vinte tutte io, cara” ammicca, gongolando. “Ma non le ho ancora guidate. Le mie bambine sono di sotto nell’officina, a farsi dare una sistemata al trucco. Le ho messe a punto io, sai? Io ho fatto i progetti, io ho fatto le modifiche coi pezzi importati dal Giappone… Hai davanti a te il genio dei motori di Tacoma, non che il miglior pilota in circolazione. E visto che sei un’ospite d’eccezione, mi prenderò cura io del tuo rottame anteguerra”  esclama passandosi una mano unta tra i capelli e sfoggiando un sorriso vincente. Senza accorgersene ha gonfiato il petto in fuori e ha cominciato a camminare a gambe leggermente divaricate e dondolando le braccia.
Giuro che se avesse una pipa in bocca sarebbe uguale a Braccio di Ferro.
Onestamente non so se scoppiargli a ridere in faccia o mollargli uno scappellotto, ma visto che metterà le mani sull’unico mezzo di locomozione motorizzato in mio possesso, opterò per un approccio meno traumatico.
Comincio a girargli intorno, mentre lui continua a camminare, e lo scruto con espressione preoccupata.
“Che c’è?”
“Mm… niente” dico scrollando le spalle, “cercavo solo il pulsante per spegnerti. Sai, con tutte le arie che ti dai, non vorrei che finissi per esplodere”.
Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa.
Oh, poverino, è diventato tutto rosso.
Dai Bella, trattieniti! Non è proprio il caso di mettersi a ridere.
“Bella!”
Mi giro in direzione della voce che mi ha chiamato, un sorriso sincero mi sale alle labbra.
Ho fatto i chilometri per sentire questa voce dal vivo, dopo due anni di lontananza.
Teresa cammina verso di me a lunghe falcate, i lunghi capelli castano scuro che ondeggiano oltre il bacino seguendo i suoi passi.
Mi sorride con quel suo sorriso dolce e rassicurante, quasi materno, con due fossette agli angoli della bocca che le hanno sempre dato un’aria da bambina.
Quando Teresa sorride è come se il mondo, per qualche secondo, trovasse il suo perfetto equilibrio.
Lo scalpiccio di passi veloci rimbomba nel garage e una figura piccola e mingherlina oltrepassa la Cacciatrice davanti a me.
“Bella!” strilla felice una voce di bambina, giusto pochi istanti prima che la piccola scheggia umana mi investa, schiantandosi con la testa contro il mio stomaco.
Non posso fare a meno di ridere, sinceramente e allegra per la prima volta da un po’ di tempo a questa parte.
“Ehi! Ecco il mio Ragnetto” cinguetto stringendo in un abbraccio affettuoso la ragazzina che mi si è abbarbicata addosso.
Nascondo il viso in quella cascata di capelli neri e comincio a farle il solletico, tenendola stretta a me.
La piccola scoppia a ridere, contorcendosi nel mio abbraccio e cercando di divincolarsi.
Presto la risata di Teresa si unisce alle nostre.
“Ti aspettavamo, benvenuta!” mi dice quando rialzo lo sguardo su di lei, ferma a due passi da me.
“È raro ricevere un benvenuto così caloroso, dovrei venire a trovarvi sul serio” sorrido allungando un braccio per abbracciare anche lei.
“Si, dovresti” mormora contro la mia spalla ricambiando la stretta, una nota nostalgica nella voce.
“Ehi, basta con l’abbraccio a sandwich! Mi soffocate!” mugugna con tono lamentoso la ragazzina, provocando una risata a me e Teresa, che ci allontaniamo.
“Allora  Ragnetto, come stai?” dico, incapace di smettere di sorridere. Districo le mani della ragazzina dalla mia schiena, e mettendole le mani sulle spalle la allontano un po’, per vederla in viso.
È come rivedere Teresa a tredici anni.
Stessi capelli scuri e ondulati, stessi occhi blu, stessi lineamenti morbidi e dolci.
Solo il sorriso è diverso, più furbo e birichino di quello di Teresa.
Per il resto le due sorelle sono identiche.
“Io bene! Sono felice che tu sia qui!”
Sorrido commossa e torno ad abbracciare forte la ragazzina.
“Anche io sono felice di essere qui, Bree”.
 
 
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L’ufficio di Teresa non è molto grande, ma è ordinato.
Un’ingombrante archivio metallico occupa due delle pareti, mentre una terza accoglie un vecchio divano con le cuciture logorate, da cui traborda un po’ d’imbottitura giallognola.
Non ci sono finestre, il cielo è molti metri di cemento e ferro sopra di noi.
Mi siedo sul divano dando le spalle alla porta, Teresa si posiziona sul lato opposto.
Non mi ha tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo, da quando abbiamo lasciato il garage e Bree in compagnia di Cameron.
Sa che devo dirle qualcosa di importante, altrimenti non mi sarei fatta tutta la strada per venire fin qua.
Sa bene che le modifiche al pick-up sono solo una scusa, e il rifornimento di armi una balla totale.
Sta aspettando che sputi il rospo, ma io, onestamente, non so come affrontare il discorso.
Con lei, poi, è ancora più difficile; eppure, è l’unica, al di fuori di Fas e Ary, con cui potrei parlare.
Pensare di dover affrontare questa situazione da sola… questa vita da sola, senza di loro, mi uccide.
Come faccio io, che senza di voi ora mi sento nessuno?
Teresa mi scruta paziente, coi suoi dolcissimi occhi blu, acquosi e profondi come l’abisso.
Non posso fare a meno di ricordare l’ultima volta che li ho visti: rossi, lucidi e gonfi di pianto.
Un pianto che ha avuto sfogo solo dopo l’interramento delle bare e il congedo di amici e parenti.
Teresa ha pianto per ore sulla spalla di Arsinoe, mentre Fas teneva sotto incantesimo Bree, che dormiva un sonno senza sogni stesa su questo stesso divano, con la testa sulle mie gambe.
Guardo Teresa e non posso non vedere la differenza tra ora e quando l’ho conosciuta, la scintilla allegra nello sguardo che la morte dei suoi genitori ha soffocato.
Ma il suo sguardo non si è spento. Da allora si è animato di una nuova fiamma, più solida, ardente e calda.
Teresa ha perso la sua aria da eterna bambina, che tutti amavano. Nel giro di pochi giorni, a soli diciannove anni, è diventata orfana, Capo clan, e responsabile della sua sorellina. È cresciuta tutto d’un colpo, per fronteggiare il mondo.
Sono più che convinta che sia una donna migliore di quanto io potrò mai essere.
Per chi nasce all’interno dei Clan, con uno o entrambi i genitori cacciatori, non è poi così raro rimanere orfani, questo di solito aumenta la determinazione e l’odio per i vampiri in un cacciatore, portandolo però spesso a diventare impulsivo e imprudente durante le cacce.
Ma a Teresa non è stato imposto quel periodo di sospensione obbligatorio per i cacciatori rimasti orfani.
Il Clan l’ha eletta come Capo, dandole il posto che era stato di suo padre, e lei è rimasta una roccia.
La cosa sconvolgente di Teresa, quella che solo le persone più vicine a lei sanno, è che lei non odia i vampiri.
Già prima della morte dei suoi genitori, Teresa aveva delle idee strane, che in seguito al suo lutto non hanno fatto che rafforzarsi, creandole non pochi problemi, soprattutto con Elisabeth.
Idee che anche io, Fas e Ary facevamo fatica a comprendere, nonostante tutto il bene e la stima che abbiamo per lei.
Ma sono quelle idee che mi hanno portata qui, da lei.
Perché, ora come ora, è l’unica che potrebbe aiutarmi a capire che fare.
Inghiotto per bagnarmi la gola secca e sospiro.
“Ho bisogno di un consiglio, e credo tu sia l’unica in grado di capire perché” dico tutto d’un fiato.
Teresa fa un mezzo sorriso e si rilassa contro la spalliera.
“Interessante” dice, alzando gli occhi al soffitto, “di solito, quando si chiede un consiglio, è perché se ne vuole uno”.
La imito, raccogliendo le gambe al petto.
“Già, ma se lo chiedessi a chiunque altro, so già cosa mi risponderebbe”.
“Quindi lo chiedi a me perché vuoi sapere se ti darei una risposta diversa, o perché ti aspetti che io ti dica quello che effettivamente vuoi sentirti dire?”.
Mi stringo nelle spalle.
“Un po’ tutte e due” mormoro.
Improvvisamente mi prende l’ansia.
So di potermi fidare di Teresa, ma parlare di questa cosa con qualcuno che non sia Fas o Ary, mi fa sentire come se stessi giocando a carte scoperte.
Questa storia dei Cullen, di Alice, quello che ho scoperto… è talmente straordinario che ho come voglia di proteggerlo.
Assurdo, eh?
Taci pur…
Non è che ci stai prendendo gusto a fare la Nancy Drew della situazione?
Forse. Per questo ho bisogno di sentire un altro parere, anche se comincio ad avere la sensazione che coinvolgere Teresa sia come illuderla.
Sono troppo impaurita da risposte che ancora non ho.
Non della risposta di Teresa, ma di quelle che potrei trovare seguendo questa strada.
“Sentiamo allora!” esclama la cacciatrice, richiamandomi alla realtà.
La guardo dritta negli occhi, e basta il suo sguardo calmo e rassicurante per spazzare via i miei dubbi.
È lei la persona di cui ho bisogno.
Sospiro.
“Ti ricordi, un anno e mezzo fa? Il discorso che mi hai fatto?”
Lei solleva un sopracciglio dubbiosa “Quello sullo staccarti da Elisabeth e dichiarare la tua indipendenza?! Direi che mi hai ascoltata…”.
“No… cioè, si, ti ho ascoltata, ma… io intendevo quello… quello che mi hai detto di tua madre! Di quello che hai pensato quando è morta”.
Il viso di Teresa si oscura, ma non distoglie lo sguardo, che diventa freddo.
Questa è la parte più difficile, so che sto per farle male.
Ma è anche ciò che cerca.
“Vuoi dire quando ha preferito farsi ammazzare piuttosto che fare uno sforzo per continuare a vivere per me e Bree!” dice, la voce inflessibile, ma piena di rancore.
“Terry… non fare questo, non portare rancore a tua madre per una scelta che hanno fatto anche tanti altri di noi… ti prego…”
“Io l’ho pregata, Bella! Tu c’eri, mi hai vista, mi hai sentita piangere e implorarla di provare…per me, per Bree! Ma non bastava! Evidentemente non ci amava abbastanza per combattere la paura e l’odio per quello che era diventata!” ringhiò Teresa, riversandomi di nuovo addosso tutto il dolore e la disperazione che i suoi occhi potevano contenere.
Non ha mai perdonato sua madre per averla abbandonata, per aver rinunciato a combattere per lei.
Suo padre era morto sul colpo, in quella maledetta caccia.
Elena, sua madre, è stata morsa.
La legge dei Cacciatori prevede che quando uno di noi viene morso, può scegliere se essere ucciso fintanto che è ancora umano, o passare attraverso la trasformazione, ed essere ucciso comunque, o per mano di cacciatori o di altri vampiri.
In genere, tutti scelgono la prima opzione, per morire come esseri umani, e per non dover sopportare il dolore e la vergogna della trasformazione in uno degli esseri che sono votati a distruggere.
Chi sceglie la seconda, pochi per altro, lo fanno perché non trovano giusto imporre ai propri compagni il compito di uccidere un essere umano.
Il caso di Elena però, come altri, è stato problematico, perché non aveva mai espresso chiaramente le sue volontà.
Ormai l’esperienza ci ha insegnato che è naturale invocare la morte tra i supplizi della trasformazione in stato avanzato, quindi non sono tenuti in considerazione.
Teresa si è parata tra il corpo sofferente e in preda alle convulsioni della madre e le altre cacciatrici, impedendo l’esecuzione.
Una volta trasformata, Elena ha chiesto di essere uccisa delle sue compagne fintanto che riusciva a controllarsi, nonostante le preghiere e le lacrime della figlia.
Deglutisco, mi odio per essere io a risvegliare questi brutti ricordi nella mente della mia amica.
“Credi ancora che ci sia un modo… un altro modo di vivere come vampiri?”
Lei mi guarda, spiazzata e curiosa.
“Certo!” sbotta. “Ho fatto delle ricerche, i nostri laboratori stanno lavorando per produrre sangue artificiale in grado si “sfamare” i vampiri… E anche se questo non dovesse funzionare, sono certa che il modo ci sia per non vivere come dei mostri! Il problema sta sempre nel trovare qualcuno con abbastanza coraggio per provare la mia teoria! E visto che Elisabeth è stata così carina da proibire la cattura dei vampiri, non ho modo di provarlo!”.
Improvvisamente mi guarda sospettosa.
“Perché? Ti ha mandato lei? Sei qui anche tu per dirmi di smetterla con queste utopie?! Se è così puoi anche andartene, immediatamente!” mi abbaia contro, pronta a scattare verso la porta e sbattermi fuori a calci.
“No!” grido mettendo le mani aperte davanti a me, come per calmarla.
“Non mi manda Elisabeth! Ho smesso di ubbidire a lei… Il fatto è che…”
“Che?”
“Credo di aver trovato le prove che cerchi!”
Teresa è immobile.
Mi guarda con gli occhi sbarrati, a mala pena respira.
“Solo che… non so come comportarmi con loro, ora che li ho trovati”.

 

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Capitolo 8
*** Occam and cigarettes ***


Ehm… Salve! Come si dice: chi non muore si rivede! Quindi via le armi, per piacere, si anche tu là in fondo con quella fionda! Non che non me lo meriti ma…Parlè!
Si insomma, vi chiedo ancora scusa, ormai ci siete abituate immagino =( Questa volta il blocco dello scrittore mi ha colpito in modo brutale e mi sto appena riprendendo. Sono successe diverse cose dall’ultimo aggiornamento, alcune delle quali parecchio brutte, che mi hanno tolto sia il tempo, già scarso, che la forza di scrivere. Deprimente, visto che scrivere dovrebbe essere una valvola di sfogo, e infatti non avete idea di quanto si felice di essere riuscita a riprendere in mano la storia. Mi dispiace dire che questo capitolo non è particolarmente entusiasmante, probabilmente risente del mio stato d’animo ancora un po’ traballante e qua e là, tra una parola e l’altra, potreste sentire qualche cigolio in più del solito. Ma, se avrete ancora un po’ di pazienza, sto oliando gli ingranaggi del cervellino, il criceto sta facendo stretching per poter risalire sulla ruota e tornare a correre come prima… insomma confido che i prossimi capitoli sapranno meno di ruggine =) Buona lettura e grazie per la pazienza!
Artemys

 

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Occam and cigarettes


Rigiro la bistecca un’altra volta e inspiro a fondo il buon profumino che si è addensato nella piccola cucina di Teresa.
“Lasciala un po’ al sangue anche per me, per favore” esclama lei mentre sistema i piatti sulla tavola.
Dal salotto arrivano le risa convulse di Bree, che sta guardando i Griffin.
Teresa si avvicina alla porta e la chiude.
Poi apre un cassetto e ne estrae le posate, che comincia a disporre accanto ai piatti.
“Allora” sospira, “come l’hai scoperto?”
Io sbuffo rigirando ancora la bistecca.
“Me l’ha detto un uccellino”.
“Mm” mormora mentre io spengo il fuoco e metto le bistecche nei nostri due piatti.
Bree ha preferito mangiarsi la pizza davanti alla tv, per lasciarci parlare, visto che in ufficio da Teresa siamo state interrotte.
“I tuoi poteri sono migliorati fino a questo punto?” chiede con aria assorta.
Io annuisco, sedendomi al mio posto.
“A dire il vero le manifestazioni paranormali mi riguardano più a livello fisico che… beh, quello che fanno Ari e Fas. Ma pare che comunicare a livello telepatico con gli animali rientri tra le mie potenzialità” spiego tagliando la mia bistecca a pezzetti.
“Già” dice lei, imitandomi, “dopotutto, essendo tu Artemide, non mi sembra così strano! Esattamente cos’hai visto?”
“Ho controllato la mente di un falchetto perché li seguisse durante la caccia. Mi riesce più facile il contatto con le menti di animali predatori. Comunque, ho aspettato che uscissero di casa e li ho seguiti. Non è stato facile tenere il loro passo, ma sono riuscita a raggiungerli mentre attaccavano un branco di cervi. Edward ha bevuto più degli altri, immagino per rinforzarsi in vista del suo imminente rientro a scuola. Fas è ancora convinta che lunedì riprenderà le lezioni” spiego scrollando le spalle.
È inutile fissarsi su quanto sia strana questa situazione: un vampiro che si sta mettendo di impegno per non uccidermi appena ci troveremo nello stesso edificio. La cosa ha dell’assurdo, ma come si dice…amen!
“Mm. Ciò significa che questa è la loro… dieta ordinaria. Insomma, perché cibarsi di animali per placare preventivamente la sete se hanno la possibilità di cacciare esseri umani?!” osserva Teresa, ripercorrendo le stesse tappe di ragionamento che ho fatto io ieri.
“È incredibile!” mormora dopo qualche secondo di silenzio.
“Cosa? Che delle bestie assassine siano arrivate alla soluzione più ovvia che nessuna di noi ha mai visto? Oppure che, visto lo sforzo che questa soluzione deve richiedere ad un qualsiasi vampiro, suddette bestie assassine tutto sommato devono avere una coscienza umana, dopotutto? Perché, ammettiamolo, scegliere di cacciare animali piuttosto che persone quando il resto della specie non lo fa, sa di scelta etica” sputo fuori con amarezza ogni singola parola, desiderando di strozzarmici.
Minuti di silenzio pesante calano su di noi.
Sento in bocca un sapore amaro, e non dipende dalla bistecca che si sta raffreddando nel piatto.
“Lo sai che cosa vuol dire, vero?!” dice lentamente Teresa, gli occhi persi nel vuoto.
“Si… Che non so più niente” rispondo, il triste sarcasmo di chi sa già che i pilastri su cui si reggeva la propria vita non sono più stabili.
“Quante di noi…”
“E quanti di loro…”
Nessuna delle due finisce la frase. Non c’è bisogno.
Il pensiero è così angosciante che sembra essere qualcosa di concreto.
Una Spada di Damocle che pende sulle nostre teste, e su tutti quelli della nostra specie.
Per secoli abbiamo dato la caccia ai vampiri, convinti che questa fosse una sacra missione.
Erano loro i mostri, non noi.
Questa era l’unica convinzione a cui aggrapparsi quando si uccideva un essere senziente.
Sbircio verso Teresa.
Ha gli occhi spenti, fissa il vuoto davanti a lei.
Posso solo immaginare come debba sentirsi.
Io, in questo momento, pensando a quello che ho fatto negli ultimi anni, ho voglia di vomitare.
Scrollo le spalle e mi passo le mani sulla faccia, come se sperassi di strappar via qualcosa di disgustosamente appiccicoso e sudicio.
Sbuffo.
Devo riprendermi.
“Il punto è… insomma, siamo sincere: non possiamo prendere come presupposto assoluto che la loro sia una scelta puramente etica e soprattutto permanente. Andiamo, possono esserci mille ragioni per cui un clan decide di adottare un diverso stile di vita…” snocciolo gesticolando furiosamente, come a ricatturare il senno che sento d’aver perso.
Mal che vada spedisco Fas e Ari sulla luna a riprenderlo, e gli conviene far presto.
“Del tipo?” chiede Teresa, mettendomi a fuoco solo per guardarmi con aria scettica.
Nonostante le implicazioni di questa faccenda, è esattamente ciò che cerca da anni, e si è già affezionata all’idea.
C’è qualcosa di masochista nell’attaccamento di Teresa alle sue teorie, visto che l’aver ragione non le porterà certo pace, ma cosa dovrei fare?!
“Del tipo… Beh, per esempio se avesse avuto una faida con qualche altro clan di vampiri… o magari coi Volturi stessi. Magari stanno cercando di sparire dalla circolazione, e il modo migliore per non lasciare una scia di indizi è stabilirsi in un posto, adattarsi alla vita sedentaria confondendosi il più possibile tra gli umani, e soprattutto cacciare animali. In questo caso si tratterebbe di una scelta obbligata e comunque temporanea, anche se abbastanza ridicola vista la longevità dei loro nemici, i quali di certo non ritengono il tempo un ostacolo. Ma resterebbero comunque dei mostri, anche se in stand by”.
E questo è quello che la tua mente perversa è riuscita ad elaborare in una notte di intense riflessioni.
Oh, buongiorno anche a te! È un po’ che non ti fai sentire.
Ho avuto da fare. Problemi di etica, sai quella roba su cui hanno scritto mattoni insostenibili per secoli e che alla fine ti lasciano comunque col culo per terra!
Nessuna sorpresa che abbia deciso di chiedere un consiglio a Teresa, anche se ho dovuto ammettere fin dall’inizio a me stessa che non era esattamente la persona giusta a cui rivolgermi per sentirmi dare ragione sulle teorie che volevano a tutti i costi salvare la posizione dei Cacciatori.
È evidente che da sola non combini niente di buono. Devo farti notare che una persona che discute con se stessa sostenendo tesi e antitesi non arriverà mai molto lontano?
E io devo farti notare che mi stai disturbando? Per una volta che non ho bisogno di te, potresti rimanere nel tuo angolino?!
Uffa!
Lamentati quanto ti pare, ma non è colpa mia se hai scelto di complicarti la vita ignorando a priori il rasoio di Occam!
Taci!
Forse anche io sono un tantino masochista. O confusa. O psicopatica.
Insomma, parlo con me stessa! Del tutto normale non posso essere!
E poi diciamocelo, la normalità è sopravvalutata!
Sacrosante parole!
Comunque, ero in un momento di riflessione profonda e drammatica, e tu mi hai distrutto il pathos!
Sparisci inutile voce nella mia testa!
D’accordo, tanto tornerai. Non puoi vivere senza di me!
Santa pace, qualcuno mi fermi.
Abbasso gli occhi e ritrovo un mio vecchio amico.
Spigoloooooo!
Ahi!
Ahi!
Ahi!
“Ehi!” mi richiama Teresa, guardandomi preoccupata, “Hai finito o devo arrotolarti la testa nella plastica da imballaggi?”
Ghigno ma risollevo obbediente la testa dal tavolo.
“Sembra divertente, ma passo” sospiro massaggiandomi la fronte.
“Continui ad usare la tecnica del sono-pazza per sdrammatizzare la situazione nella tua testa?” mi squadra con le sopracciglia inarcate.
“So che sembra strano, ma funziona” dico facendo spallucce.
Con altre persone mi vergognerei come una ladra, ma fintanto che si tratta di Teresa, Fas o Ari, non ho nessun problema a fare di queste figure di merda.
Per anni le ho fatte contorcere dalle risate impersonando ad alta voce le due me, quindi poco male.
Teresa rotea gli occhi fingendo esasperazione, ma so che si trattiene a stento dal ridere.
Sospiro, ritornando sulla serietà della questione.
“Potresti avere ragione” mi concede Teresa, considerando la cosa da un punto di vista razionale. “È un’anomalia che non avevamo mai riscontrato prima, vale la pena di studiarli da vicino. Certo questo comporta un elevato fattore di rischio, nel caso avessi ragione tu, ma se avessi ragione io…”
La guardo e ghigno.
“Beh, onestamente, a questo punto, mi tocca sperare che abbia ragione tu” dico stringendomi nelle spalle.
“Potrei mandare qualcuno dei miei a Forks a farti da supporto. O potrei venire io stessa…”.
La bloccai subito con un’occhiataccia.
“Sai meglio di me che non puoi fare una cosa del genere. Non puoi lasciare la sede del tuo Clan incustodita, ed anche con qualcuno di fidato a cui lasciare l’incarico, non puoi assolutamente lasciare Bree qui da sola!” le dico con tono serio, che non ammette repliche.
Non ho intenzione di dare ordini a Teresa, ma sono pronta a far valere la mia autorità se si intestardisce.
Lei scuote la testa amaramente e dice “Lo so. Hai ragione.”
Inspiro e scrollo le spalle.
“E comunque non c’è bisogno che mi mandi nessuno, anzi. Preferisco fare questa cosa da sola, finchè non abbiamo informazioni certe vorrei evitare di coinvolgere altri dei nostri, senza contare che questa sarebbe la mia prima operazione attivata senza il consenso di Elizabeth, e vorrei evitare di fare troppo scalpore per il momento. Inoltre non mi sembra il caso di tentare ulteriormente questi vampiri. A parte Edward gli altri hanno reagito bene alla mia presenza, il che mi fa supporre che lui sia più sensibile degli altri, per lo meno al mio odore. Inserire nel contesto un altro Cacciatore vorrebbe dire minare anche questo equilibrio… No, posso farcela da sola. Non intendo provocarli, e se me la dovessi vedere male, due o tre sono in grado di farli fuori anche da sola. Ti farò avere mie notizie ogni giorno, nel caso non ricevessi aggiornamenti per tre giorni di seguito beh… in quel caso ti converrà mandare una pattuglia ben armata a vendicarmi”.
Ci guardiamo in silenzio, scrutandoci l’un l’altra con sguardi seri e gravi.
 
 
 
“Pff… Ahahahah”
Ci accasciamo sul tavolo in preda alle risate, ponendo la minima attenzione richiesta a non spalmare la faccia nel piatto.
“Oddio… erano anni che non sentivo una tale sequela di cazzate dette con quella faccia da schiaffi! Oddio! Ahahahah! Non intendo provocarli! Ahahah!” sghignazza Teresa passandosi un dito sotto l’occhio sinistro come ad asciugare le lacrime.
Io la guardo e mi viene ancora di più da ridere.
Ci mettiamo un paio di minuti per calmarci, e alla fine abbiamo davvero gli occhi lucidi.
“Bene, ora che ci siamo tolte la risata isterica… cosa posso fare in concreto per darti una mano? Armi? Munizioni? Cenere?”
Mi ficco in bocca un pezzo di carne prendendomi il tempo di riflettere.
“Mm… ad armi non sono messa male. Il pick-up me lo sta già mettendo a posto il tuo meccanico. A parte il tuo appoggio e la riservatezza sulla questione, in particolare con Elizabeth, non ho molto da chiederti. Ecco, magari un rifornimento di Cenere non mi farebbe poi tanto scomodo, ne sto consumando molta più di quanto avessi previsto quando ho lasciato Phoenix” dico sinceramente.
Teresa annuisce, la fronte aggrottata per la concentrazione.
“Quanta e quando la usi durante la giornata?” chiede spiccia.
“Beh… sai com’è, anche se Fas mi ha assicurato che i vampiri se ne resteranno tranquilli, non può prevedere se cambieranno idea improvvisamente, ed essendo così lontane la nostra comunicazione si limita a ciò che ci offre la tecnologia. Come sai prima ne assimilavo una dose appena prima di una missione, ora sono costantemente “in missione”, quindi ne assumo un pizzico circa ogni due ore, dipende da quanto in fretta lo brucia il mio organismo. Sono sempre all’erta, il che è indispensabile, ma alla lunga sarò costretta ad incrementare gradualmente le dosi”.
Teresa annuisce, lo sguardo perso sulle piastrelle del muro alle mie spalle.
“Assuefazione… spero che questa storia si sbollisca in fretta, avrai bisogno di fare dei periodi di disintossicazione. Non sappiamo quali siano gli effetti sul fisico se sottoposto ad un uso costante e continuato di Cenere per lungo tempo. Cenere grezza poi” inspira profondamente e torna a volgere lo sguardo nei miei occhi. “È un rischio a cui una Regina non dovrebbe sottoporsi, non i questi tempi in cui ne abbiamo un disperato bisogno. Ma d’altra parte non conosco nessun Cacciatore che abbia la predisposizione necessaria a fare un test del genere, oltre a voi tre. Tu in particolare. Quindi…” dice alzandosi improvvisamente, “…vieni con me.”
Senza un’altra parola mi alzo e la seguo fuori dalla cucina. Passiamo alle spalle di Bree, svaccata sul divano con la scatola della pizza aperta sulle ginocchia.
Non si gira nemmeno, ma so che le sue orecchie sono tese a cogliere qualsiasi nostra parola.
Teresa mi conduce in camera sua, accende la luce e si dirige versò il comodino alla sinistra del letto.
Da uno dei cassetti tira fuori un portasigarette in argento inciso con degli arabeschi e motivi floreali.
Lo apre e ne estrae una semplicissima sigaretta rollata.
“Sai cos’è questa?” mi chiede con una scintilla maliziosa negli occhi.
“Un attentato bello e buono al mio buon proposito di smettere di fumare!” mastico acida sedendomi sul bordo del letto.
“E da quando scusa?” mi chiede allibita. La prima volta che ci siamo rivolte spontaneamente la parola è stato per il disperato bisogno di un accendino.
“Da quando quella fumatrice incallita di mia madre, signora indiscussa del predico bene e razzolo male, ha sposato un atleta-salutista della malora, e insieme hanno deciso di revocare il mio sacrosanto diritto a rovinarmi la salute!” sbuffo al soffitto, come se potesse darmi una risposta per le assurdità di questo mondo.
Hn! Ovviamente il “mamma guarda che tanto assumo periodicamente una polverina magica che rigenera e guarisce il mio organismo” non era applicabile.
Grazie per l’immancabile commento, Capitan Ovvio!
Teresa scrolla le spalle e si siede accanto a me, facendo sobbalzare le molle del letto.
“Beh, visto che hai sempre detto che la strada per l’Inferno è piastrellata di buone intenzioni, direi che puoi anche mettere via lo spirito salutista ora che stai a Forks. Tuo padre fuma, no?!”
“Si. Sigari. Schifosi, puzzolenti sigari” ringhio arcigna.
“Ewh! Che schifo… Comunque, ti dicevo, queste sono una nuova invenzione sviluppata nei miei laboratori. Abbiamo cominciato a lavorare a nuove idee per l’assunzione di Cenere in modi che passino inosservati. Dopo il casino che c’è stato a Chicago ci è sembrato il minimo” dice scoccandomi un’occhiata obliqua accompagnata da una smorfia scocciata.
“Si, ho sentito. Alyson e Josh potevano stare più attenti, ma il problema non ci sarebbe stato se Fas o Ary fossero state inviate sul posto. Ma no! Elizabeth ha preferito mandare tre Cacciatrici inesperte e dai poteri minimi per ripulire quel casino, e ovviamente si è rivelato un compito superiore alle loro capacità” sbuffo passandomi innervosita una mano nei capelli.
“Dici che se Ary fosse stata lì sarebbe riuscita a mettere a posto le cose?” chiede lei dubbiosa.
“Lei da sola sarebbe riuscita almeno a cancellare dalla memoria dei presenti sia la rissa sia il momento in cui li hanno visti assumere della polverina bianca…”dico con una punta di sarcasmo, “… ma se ci fosse stata anche Fas probabilmente sarebbero riuscite a ricostruire il ricordo della serata eliminando qualsiasi riferimento ai vampiri, o meglio, alle persone scomparse dopo quella sera”.
“In quel caso, ci sarebbe stato comunque del lavoro da fare per ripulire completamente la cosa, ma non un casino come quello che invece ne è venuto fuori…” constata Teresa, ragionando ad alta voce.
“Perché l’avrà fatto?”.
Le rivolgo un’occhiata colma di esasperazione e sospiro “A parte il fatto che secondo me con l’età sta perdendo la bussola?! Beh, paura credo. Diffidenza, sicuramente. Ma se cominciamo a parlare del perché Elizabeth fa quello che fa ci vogliono dei super alcolici e almeno tutta la notte!”
“No, grazie. Cioè, per i super alcolici volentieri, ma per il resto passo!” esclama Teresa alzando le mani in segno di resa.
Con un ghigno le sfilo dalle dita la sigaretta e me la rigiro davanti agli occhi.
“Rilascio graduato. Ogni sigaretta contiene una dose di Cenere, e come sai neutralizza tutti gli effetti collaterali del fumare… meno la dipendenza, ovvio. Abbiamo preferito per ora limitarci al formato sfuso, un po’ perché è meno costoso e un po’ perché tanto se usi una di queste vuol dire che hai il tempo di farle su, mentre se avessi fretta useresti la Cenere in forma normale. Io le sto sperimentando da un po’… dilazionate nel tempo molto di più di quanto non serva a te, ovviamente, ma mi ci trovo bene. E poi la combinazione di nicotina e Cenere è a dir poco fantastica, ti tiene in tensione ma calma e lucida, impedendoti di andare su di giri. Credo che in questo senso sarebbe un’ottima tecnica per i novellini: smorza l’impatto iniziale sull’organismo e li aiuterebbe a non perdere la testa. E ultimo, ma non per importanza, simula l’uso di una droga legalizzata e socialmente molto più accettabile rispetto ad una sospetta polverina bianca” mi spiega soddisfatta stringendosi nelle spalle.
Mi porto la sigaretta sotto il naso ed inspiro: l’odore del tabacco copre quasi completamente quello dolciastro della Cenere.
“E con le ricerche a livello medico? Una cosa del genere immessa sul mercato farebbe calare i casi di tumore e malattie indotte dal fumo in maniera esponenziale, per non parlare delle altre patologie…”
Teresa sospira e scrolla le spalle. “Procediamo con lentezza. Elizabeth ha aumentato i parametri di sicurezza per il reclutamento nelle carceri, senza contare che già non è poi così semplice trovare dei condannati a morte che accettino di collaborare con la ricerca, anche se garantiamo un livello di sicurezza molto più alto rispetto alle altre case farmaceutiche che ci fanno concorrenza. Per ora abbiamo testato queste su due umani, uno è stato giustiziato il mese scorso, l’altro sei giorni fa, ed entrambi mostravano già segni di trasformazione in atto. I nostri infiltrati addetti alla sanità nelle carceri hanno stilato una perizia che ne decretava la pazzia e nessun medico all’infuori dei nostri ha fatto esami sui soggetti… il secondo era già in preda ai dolori ed invocava la morte quando è stato il momento dell’esecuzione, della quale ci siamo occupati personalmente, ovvio” spiega con calma metodica.
“Si… sono riuscita a visionare solo alcuni tabulati da quando mi sono emancipata da Elizabeth… riesce ancora a tenermi fuori da molte questioni perché ufficialmente non sono ancora Regina a pieno titolo, non finché anche Ary e Fas non riusciranno a fare altrettanto…” dico buttandomi all’indietro su letto. “Comunque da quel che so anche gli altri farmaci a base di Cenere continuano a fare cilecca. Chris diceva che agli umani probabilmente manca qualcosa, forse un enzima, che gli permetta di assimilare la dose minima di veleno contenuta nella Cenere senza che questo vada ad intaccare la struttura del DNA, qualcosa che invece noi abbiamo e che fa si che per noi la Cenere sia una cosa a metà strada tra la droga e gli integratori alimentari…Qualsiasi cosa sia, se riuscissimo ad individuarla e sintetizzarla…”
“Papparapà! Pronti per la Norvegia!” canticchia poco convinta Teresa, sdraiandosi accanto a me. “Anche così sarebbe troppo bello per essere vero, Bella!”
“Sognare non costa nulla…”
“Dillo ai nostri scienziati nei laboratori, hanno bisogno di farsi una sana risata!”
“E quanto costerebbe investire sulla ricerca per il sangue sintetico?”
Nessuna risposta.
Mi volto.
Gli occhi blu di Teresa mi fissano, seri, le labbra sul suo volto sono irrigidite in una linea sottile.
Apre la bocca per dire qualcosa, ma si blocca.
Estrae dalla tasca dei jeans il cellulare, lo schermo che lampeggia per un messaggio appena arrivato.
Prende qualche secondo per leggerlo con calma.
Poi si alza a sedere, estrae dal porta sigarette un’altra cicca, che incastra tra le labbra.
Prende l’accendino nero dalla tasca e si accende la sigaretta. Appena ha preso me lo offre.
Io prendo l’oggetto, senza fiatare, mi accendo la sigaretta, aspirando subito un boccata.
Wow, mi mancava fumare. La gola mi brucia un po’, ma non ho smesso poi da così tanto tempo da trovarlo fastidioso.
Avverto sulla lingua un aroma fruttato.
Alzo lo sguardo su Teresa, ancora intenta a fissarmi.
Si toglie la sigaretta dalle labbra, tenendola tra le nocche di indice e medio e soffia fuori il fumo.
“Hai qualcosa di adatto da mettere o ti presto qualcosa?” ghigna con una nota sardonica nella voce.

 

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Capitolo 9
*** Childish me ***


Bene, eccomi qua, seduta sul divano con il computer sulle ginocchia e il mio dolce micino appallottolato accanto che si muove nel sonno, pronta a postare questo capitolo. Per una volta non ci ho messo una vita a scriverlo. Onestamente non sono ancora del tutto soddisfatta, credo di dover ancora rientrare ben bene nella testa di Bella, ma per il momento diciamo che va bene così. Vi ringrazio davvero tanto, perché nonostante i miei tempi biblici nell’aggiornare, continuate a seguire questa storia, dandomi un sacco di soddisfazione, e soprattutto ringrazio Melunacchia per la sua comprensione.
Come forse noterete, questo capitolo rivela un po’ della bambina che c’è in Bella: i ricordi, i film amati e odiati, la spensieratezza di fronte ai problemi seri, e si, anche l’affetto per Charlie, perché in certi momenti è giusto e bello che una figlia dimostri al padre che è comunque sempre la sua bambina, soprattutto visto che Charlie si è perso molto della vita di sua figlia.
Al momento non mi viene in mente nient’altro da dirvi, forse anche perché sono quasi le 4 di notte xD Un abbraccio enorme e un grazie sincero a tutti (o forse sarebbe meglio dire tutte, visto che mi sa che qui i maschietti non sono frequentanti ;) ). Aspetto di leggere le vostre impressioni, alla prossima =)
Artemys


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Childish me


"Ma dove cazzo è finito?”
“Bella”, la voce preoccupata di mio padre mi raggiunge dal fondo delle scale, “tutto bene?”
“Si!” urlo di rimando, buttandomi alle spalle l’ennesimo oggetto inutile che si è messo sulla mia strada.
No! Ruggisco dentro di me, digrignando i denti.
Il cellulare prende a vibrare nella mia tasca. Tempismo perfetto!
“Eh?”
“Buongiorno anche a te cara!” bercia Fas dall’altro capo del telefono… e dell’Atlantico.
“Che vuoi?” sbotto alzando gli occhi al cielo, mentre mi incastro il cellulare tra l’orecchio e la spalla.
“Sotto il letto…” sospira.
“Eh?”
“Cime tempestose… è sotto il letto…”
“Ah!”
Mi piego a terra e raccolgo il volume impolverato. Deve essere scivolato lì sotto mentre disfacevo i bagagli.
“Grazie” mugugno buttando il libro in cartella. Scommetto la testa che il professore farà un test su questo tomo, se non oggi domani. È una settimana che la mena con le sorelle Bronte. 
“Prego. Ora credi di potermi cagare?”
“No”
“Stronza”
“Grazie!” rido mentre chiudo la borsa dei libri. “Ma… scusa, se ti devo cagare e sono una stronza, tu allora che cosa...”
“Dal tuo ottimo umore devo dedurre che è andata bene a Tacoma!” mi interrompe lei con una risatina amara, che sa molto di invidia.
“Come se tu non lo sapessi” esclamo alzando gli occhi al cielo, mentre vado in bagno a darmi una sistemata ai capelli. Orribili.
“So che con Teresa è andato tutto bene, ma poi ho lasciato perdere. Sai, anche io ho una vita su cui concentrarmi!”.
“Caccia andata male?” ghigno io, mentre risolvo il disastro fermando i capelli in una mezza coda con un fermaglio.
“Una pivellina si è lussata una spalla e rotta una gamba mettendosi in mezzo. Ho dovuto soccorrerla mentre le altre finivano il lavoro” grugnisce lei scocciata.
“Io ne ho fatto fuori uno durante una corsa clandestina. Non mi era mai capitato di lottare sul tettuccio di una macchina ai centoventi all’ora, ma è stato molto divertente. Teresa ha fatto schiantare l’altro con la macchina contro gli alberi e l’ha finito prima che potesse scappare. Non abbiamo nemmeno dovuto brigare tanto per ripulire, la macchina bruciava già che era un piacere!” raccontai tutta soddisfatta.
In virtù delle riflessioni degli ultimi giorni dovrei sentirmi in colpa, ma è più forte di me. Niente ritempra come una caccia andata alla grande.  
“Si si, ho capito! Gongola pure… stronza!”
“Mi dai un po’ troppo facilmente della stronza ultimamente… qualcosa non va?” chiedo guardando di traverso il mio riflesso nello specchio.
“Noo… è che avrei voluto venirci anch’io da Teresa. Mi manca quella stangona…” mugugna con tono lamentoso.
“Lo so. Anche a noi siete mancate, sia te che Ari. Sarà per la prossima volta, dai! Vi saluta tanto e Bree ha detto che non vede l’ora di sfidarti. Pare che sia diventata piuttosto brava nei giochi d’illusione…” le racconto, mentre l’immagine riflessa mi mostra un sorriso.
“Quella piccola peste…” ride Fas, col tono improvvisamente addolcito.
“Già… A proposito di piccole pesti! Ieri sera mi ha chiamata mia madre…”
“Se Dio vuole… Ha finalmente capito?” mi chiede con una risata a malapena trattenuta.
“Ahahah! Pensa che credeva che il ritardo fosse un segnale di menopausa! Ma voglio dire, a nemmeno quarant’anni?! Non sapevo se ridere o piangere, ti giuro” esclamo alzando gli occhi al cielo.
“Che testa Renèe… e quindi? Come ti è sembrata?” mi chiede curiosa.
“Fuori di testa, come suo solito. È emozionatissima, entusiasta direi. L’unica cosa che la preoccupa un po’ è Phil, dice che è andato giù come uno stoccafisso quando gli ha detto di essere incinta. Poi si è messa a pregarmi di andare da loro in Florida. Le ho detto che se quando si avvicina il momento del parto sono incasinati e Phil è spesso fuori casa, andrò per un po’ a darle una mano, ma le ho detto chiaro e tondo che è meglio se io sto con Charlie, così loro potranno trovare il loro equilibrio, e mio padre si sentirà meno solo” spiego con calma, abbassando un po’ la voce mentre attraverso il corridoio per tornare in camera mia.
“Charlie come l’ha presa?”
Esito un attimo nel rispondere. Mi infilo le scarpe con calma e raccolgo la borsa dei libri.
“Bella?”
“Devo ancora dirglielo. Sinceramente sono un po’preoccupata, quella di mia madre è una legnata che non ha ancora smesso di fare male, credo. Non che la ami ancora, penso, ma non l’ha mai superata. Col suo carattere poi… non è esattamente il tipo che la sera va fuori in cerca di storie. Devo dirglielo con calma, ma credo che sapendo che io sarò qui con lui la botta farà meno male. O almeno lo spero” dico incrociando le dita. Sono felice per mia madre, ma non so quanto Charlie sarà colpito da questa cosa.
“Riguardo al resto? Sei pronta per oggi?”
“Fas, è Cime Tempestose! Insomma, l’avrò letto almeno venti volte… il che ha del paradossale, visto che i personaggi fanno a gara per chi mi sta più antipatico!”
“Si, ho un chiaro ricordo di te che leggi mettendoti a ridere e prendendo in giro Catherine ad alta voce. Ora piantala di svicolare e fai per due secondi la persona seria!”
“Da che pulpito viene la…”
“Bella guarda che non scherzo! Ti faccio diventare i capelli verdi!”
“Ahahah! Oh, ti prego, fallo! Muoio dalla voglia di vedere le facce degli abitanti di Forks quando si troveranno davanti la figlia dello sceriffo con la testa verde pisello!”
“Si, e adesso mi dirai anche che ti aiuterebbe a mimetizzarti meglio nella boscaglia…”
“Ma che scherzi?! Per quello ci vorrebbe un verde più scuro, tipo edera andrebbe benissimo, ma non mi formalizzerò troppo…”
“Basta! Isabella Swan, è assurdo che tu mi costringa a dirlo e sappi che non ti perdonerò mai per questo, ma SMETTILA DI FARE LA SCEMA!!!”
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.
Mollo la borsa per terra e mi svacco sulla sedia girevole.
“Ok, ok… devi essere davvero preoccupata se arrivi a questi livelli! Di solito la bacchettona in queste situazioni è Ari…” borbotto cominciando a far trottolare la sedia dandomi la spinta con un piede e raccogliendo l’altra gamba sul sedile.
“Tu credi?!” replica lei con una voce al vetriolo.
“Uffa… insomma, non potrò mai essere pronta al cento per cento. Ho fatto tutto quello che avrei potuto fare preventivamente, ora non resta che affrontare la cosa di petto!” dico con una scrollata di spalle e facendo un’altra trottola su me stessa.
“Giusto… Volevo solo sapere se ti sentivi tranquilla, se avevi bisogno di qualcosa, se, non sia mai, tu avessi un piano…”
“Il piano ora come ora è cercare di avvicinarli. Potendo scegliere, mi sentirei più tranquilla a fare un tentativo con Alice, ma in alternativa credo che anche Edward potrebbe essere un buon canale…”
Altro giro. Devo andare più veloce.
“Certo! Buttati sul vampiro più sensibile al tuo odore! Di che colore hai detto che vuoi la cassa da morto?”
Girogirogirogiro…
“Pensavo ad un bel color mogano, sai, così è in tinta con i capelli. Ma se non ne trovi, anche in rovere può andare...”
Trottolino amoroso…
“E in alternativa il dottore? Forse sarebbe più sicuro…”
“È sposato Fas! Cioè… si insomma… ha una compagna! Lo sai come sono i vampiri!” 
…peloso…
“Fammi capire, tu questa cosa vuoi prenderla di petto o di tette? No, perché altrimenti hai ragione, l’unico scompagnato lì in mezzo è Edward!”
“Che ne sai che Alice non ha un interesse latente per il saffismo?!”
… bavoso…
“Hai proprio deciso di farmi incazzare oggi, vero?!”
“Nah! Questo indicherebbe una buona dose di premeditazione! Io semplicemente prendo la palla al balzo”.
… palloso!
“Te lo dico io dove puoi mettertela la tua palla al balzo!” sbraita Fas.
Sento un rumore di sottofondo di qualcosa che si rompe.
“Che hai spaccato?”
“Un vaso. Era il compito di ceramica della mia compagna di stanza!”
“Brava! E mo’ che fai?” ridacchio io.
“Glielo devo rifare, ecco che faccio! Tutto per colpa tua, dannatissima…”
“Non darmi meriti che non ho, carissima! Comunque, se sei così preoccupata, puoi sempre tenermi d’occhio!” dico io roteando gli occhi, questa solfa comincia a stufarmi.
Metto i piedi per terra. Mi gira tutto…
“Ceeerto! Posso tenerti d’occhio fin che vuoi ma… hai presente come m’incazzo quando guardiamo i film horror, dove c’è la solita cretina che sta per aprire la porta dietro alla quale si nasconde il pazzo omicida, e tu lo sai benissimo che la aprirà, non importa quel che dirai, però continui ad urlarle – Non aprire quella cazzo di  porta! – ? Ecco, se m’incazzo così per una deficiente in uno stupidissimo film, figurati come posso incazzarmi per te nella vita reale!”
“Fas”.
“Che vuoi?”
“Stai urlando” dico osservandomi le unghie, mangiate, trattenendo a stento un sorriso.
“Lo so benissimo che sto urlando!!!”
Altro rumore di ceramica rotta.
“Un altro compito della tua coinquilina?”
“No, questo era mio!”
“Beh, buono!” rido, ormai incapace di trattenermi.
“Ti avverto Swan, la prima volta che mi capiti a tiro ti faccio vedere le stelle!”
“Oh, qui a Forks, quando il cielo è pulito, si vedono benissimo!” dico con voce trasognata.
“Io ti strangoloooo!”.
Io me la rido di gusto e, mentre il suo urlo belluino riverbera ancora nelle mie orecchie, chiudo la telefonata.
Mi butto la borsa in spalla e finalmente vado di sotto, con lo stomaco che brontola.
È ora di dirlo a Charlie.
 
 
 
 
Mio padre è seduto al tavolo da pranzo, sta leggendo il giornale.
“Ciao papà” dico allegra entrando. Appoggio a terra la borsa dei libri, vicino alla mia sedia e seguo il profumo di caffè fino alla moca piena e fumante.
“’giorno Bells” borbotta Charlie senza nemmeno staccare gli occhi dal giornale.
Io mi verso il caffè nella tazza e ci aggiungo un po’ di latte.
Silenzio.
Come cavolo glielo dico?!
Ehi, pa, indovina un po’? La tua ex-moglie, mia madre, aspetta un bambino! Pensa un po’, si è risposata, è incinta… si è rifatta una vita! Non sei contento per lei? Si insomma, lei è andata avanti, ti ha abbandonato qui, mentre tuo padre era malato e morente, e ha portato via me, tua figlia, a chilometri e chilometri di distanza. Poi la nonna, sua madre, che ormai viveva con tuo padre, dopo che è morto il nonno, non ce la faceva più a stare in quella vecchia casa da sola, aveva bisogno di un clima migliore perché l’umidità di Forks le faceva male e poi, ovviamente, aveva bisogno di tenermi d’occhio, così se ne è andata anche lei, e tu sei rimasto quassù da solo. E parliamo di una decina d’anni fa! Certo, ora le cose sono diverse, lei si sta facendo una nuova famiglia, la nonna, alla quale ti eri affezionato, è morta pure lei, e tu sei ancora qui, senza una compagna e… però ci sono io! Certo che resto qui con te! Non ho voglia di cambiare pannolini ad ogni ora della notte! Questo è il mio posto… si, insomma, finché non andrò al college, cioè tra un paio d’anni, ma fino ad allora resterò qui a farti compagnia. Non sei felice?
Guarda, la pistola è là  appesa al cinturone sull’attaccapanni, gliela carichi, gliela metti in mano, e vedrai che fa prima a spararsi un colpo in testa che non a risponderti se gli dici una cosa del genere!
Sono una figlia orribile?
Devo anche risponderti?!
Ok, ok, ho capito. Sono solo un po’ impanicata, va bene?
Di’ qualcosa.
Qualcosa.
Molto maturo, davvero!
Sbuffo, che mattina di cacca…
Oh, idea luminosa!
Oh Signore, no! Tutto, ma Cattivissimo me no! Posso accettare che tu ragioni come un cartone animato, ma pretendo un minimo di qualità. Stavolta passi, ma fallo ancora e mi suicido!
Melodrammatica…
Mi bevo il mio caffèlatte, mi appoggio allo schienale della sedia e con tutta calma tiro fuori una delle mie sigarette magiche.
Charlie non si accorge di niente, non scolla gli occhi da quel maledetto giornale.
“Sai papà” dico tirando fuori l’accendino con la sigaretta tra i denti, “ieri sera ho parlato con mamma al telefono”.
Ancora non alza gli occhi.
E va bene!
Faccio scattare l’accendino e accendo la cicca.
Oh, se Dio vuole! Buongiorno Charlie!
Mio padre mi guarda come se avesse appena viso un paio di chele spuntarmi in faccia, o come se avessi improvvisamente tre metri di barba, come se… insomma, come se avesse appena visto sua figlia fumare una sigaretta davanti a lui.
È esattamente quello che stai facendo, rincoglionita!
Nooo! Ma va!?
“Dice che l’altro giorno è andata a fare delle analisi e… beh, lei e Phil stanno per avere un bambino!” dico per poi farmi una bella aspirata.
Charlie continua a fissarmi con la bocca aperta, sembra che sia caduto in trance.
Lo guardo, indecisa se preoccuparmi o mettermi a ridere.
Opto per un diplomatico silenzio.
Mi alzo e tiro fuori da un armadietto il posacenere che aveva nascosto e glielo metto davanti.
Gli offro l’accendino e, finalmente, lui chiude la bocca e inghiotte un po’ di saliva.
Non sto nemmeno a dargli una sigaretta, so già che ha il pacchetto di Malboro in tasca, e infatti lo tira fuori e ne estrae una.
Ha cercato di non fumare in casa e davanti a me da quando sono arrivata, ma so che non è mai riuscito a smettere.
Aspetto con calma che si accenda la cicca e che faccia una prima tirata.
“E quindi… si ehm.. un bambino… tua madre come sta?” chiede, riprendendo finalmente ad avere funzioni vitali.
“Bene sembrerebbe… si, insomma, è eccitatissima anche se è un po’ preoccupata per Phil, che è un po’ agitato, ma in sostanza direi bene.”
“Bene”, altra tirata, espira e scuote un po’ la cicca nel posacenere, “e… tu… che pensi?”
“Sono felice per loro. E poi così mamma avrà compagnia quando Phil sarà lontano per lavoro” dico scrollando le spalle e ciccando anch’io nel posacenere.
Charlie esita un attimo, poi dice: “Non vorresti andare a stare da loro?”
“No” dico subito, chiara e sicura. “Ovviamente se nell’ultimo periodo mamma avesse bisogno e volesse assolutamente che andassi da lei, andrei per darle una mano. Ma non resterei comunque lì. Non voglio interferire nella creazione di un loro equilibrio, e poi io ora vivo qui! Mi piace stare qui con te, mi sto abituando a Forks e non ho voglia di cambiare di nuovo scuola! Voglio finire qui il liceo, e poi… non so esattamente cosa farò, ma fino ad allora qui è ok! Certo, se anche per te è ok…”
“È ok…” dice Charlie guardandomi con occhi un po’ persi e un po’ lucidi.
“Perfetto!” sorrido alzandomi dalla sedia. “Ora è meglio che vada, o farò tardi”.
Infilo il giaccone e prendo la borsa dei libri, sempre con la sigaretta tra le labbra.
“Ok…”
“A stasera!” saluto avviandomi verso la porta.
Aspetta un secondo.
Torno indietro e, arrivando alle spalle di Charlie, mi piego in avanti e gli scocco un bacio sulla guancia.
“Ciao papà!”.
Filo via, prima di vederlo in lacrime. Charlie è un tenerone.
“Ciao Bells!” mi urla, tempi di ripresa permettendo, quando sono sulla porta.
Esco con un sorriso sulle labbra che va da un orecchio all’altro.
Salgo sul mio catorcio e il cellulare vibra.
“Ora mi spieghi come fai ad essere un figlia tanto orribile e a farlo comunque contento!”
Niente da fare, stamattina Fas è socievole come un ippopotamo con l’ernia.
Già meglio come citazione.
Se mi cassavi il Re Leone ti sfrattavo.
“Ehi, io sono una perla di figlia!” protesto seccata.
“Era proprio necessario fumare davanti a lui? Credevo gli venisse una sincope!”
“È l’idea migliore che mi è venuta sul momento! Era talmente scioccato dalla sigaretta che lo shock del bambino è risultato piuttosto blando!”
“Sei un mostro!”
“Non mi ha sconvolto quando me l’ha detto Elisabeth, figurati se mi sconvolge ora!” sospiro alzando gli occhi al cielo e mettendo in moto il pick-up.
“Vedi di non fare nient’altro di stupido oggi… e, per favore, stai attenta!”
“Si mamma” rido e le mando un bacio via telefono.
Devo essere positiva, devo essere allegra, sarà una bella giornata!
Quanto sono snervanti le persone positive…
 
 

La prima volta che ho visto la neve avevo sei anni e mezzo.
Quell’anno, per le vacanze di Natale, mamma doveva lavorare, perché la sua scuola aveva istituito un corso extra per accogliere i bambini i cui genitori dovevano lavorare, a loro volta, durante le vacanze.
Un parcheggio per bambini, così l’aveva chiamato mia nonna, ma senza biasimo per Renèe. Per farmi svagare un po’, decise di portarmi con lei in Francia, dicendo alla figlia che voleva andare a trovare dei lontani parenti di sua madre.
Fu laggiù che vidi la neve, cadeva lenta e incessante, come una pioggia di zucchero a velo su una torta, che ricopriva un piccolo villaggio della Bretagna.
E fu lì che incontrai Fatima.
La vidi raggomitolata dentro un’enorme coperta rossa, seduta sugli scalini del portico di casa sua, che guardava persa i fiocchi cadere.
La porta di casa era aperta e dentro c’era una piccola folla di gente.
Io e la nonna ci avvicinammo in silenzio. Quando le fummo davanti, mia nonna si inginocchiò davanti a lei, uno scricciolo dagli occhi arrossati di pianto.
“Ciao piccola” le aveva detto la nonna, con quella voce dolce e musicale che riusciva sempre a tranquillizzarmi. “Scommetto che tu sei Fatima, vero?”.
La bambina annuì e fece scattare gli occhi dalla nonna a me, nascosta dietro di lei, che non la perdevo di vista.
“Bene” sorrise la nonna, quel sorriso che mi faceva sempre sentire come se fossi la cosa più bella del mondo per lei. “Questa è mia nipote, Bella. Che ne dite di stare un po’ insieme qui fuori, mentre io vado dentro a parlare con la zia?”
La bambina annuì di nuovo, la bocca sigillata e gli occhi spalancati.
La nonna si girò verso di me un momento, mi carezzò i capelli dolcemente e mi disse “Fatevi compagnia”.
Poi entrò in casa, lasciando sempre la porta aperta.
Io mi avvicinai alla piccola bambina, incantata dalle lunghe ciocche fiammeggianti che sbucavano da sotto il cappello di lana. Non avevo mai visto capelli così rossi.
Istintivamente le sorrisi, cercando di sorriderle nello stesso modo in cui le aveva sorriso mia nonna.
Non sapevo cosa le fosse successo, ma vedevo i suoi occhi rossi di pianto e sentivo il bisogno di consolarla.
Più la guardavo, più sentivo di conoscerla, come se il suo viso pallido e spruzzato di lentiggini mi fosse noto e caro.
Lei rispose esitante al mio sorriso, poi disse “Vuoi stare sotto la coperta con me?”
Io annuii, lei aprì la coperta ed io mi sedetti accanto a lei, il più vicina possibile, e ci stringemmo attorno quel caldo rifugio rosso.
Non ricordo esattamente cosa ci dicemmo, so che parlammo di varie cose: scuola, amici, cartoni animati… ricordo l’immensa soddisfazione di essere riuscita a strappare un sorriso a quella bambina inspiegabilmente triste che rischiava tanto di ricordarmi Anna dai capelli rossi, un cartone che, come avevo scoperto, nessuna delle due sopportava.
Solo quella notte, chiuse in camera sua per il nostro primo pigiama party, mentre gli adulti continuavano a parlare di cose strane al piano di sotto, mi raccontò dei suoi genitori. Erano morti in un incidente d’auto tre giorni prima. Per una volta, quella era la verità.
Anni dopo avremmo scoperto che i genitori di Fas, come i miei, non erano cacciatori, e non erano nemmeno figli di cacciatori. Il padre aveva avuto una nonna cacciatrice, ed il gene era rimasto latente per decenni, fino alla nascita di Fas. Fortuna aveva voluto che una delle sue maestre di scuola fosse una Cacciatrice, e che l’avesse riconosciuta.
La nonna aveva organizzato il viaggio in fretta e furia, appena saputo della tragedia.
Passammo una settimana a casa di Fatima, e mentre i grandi continuavano a discutere, io e lei giocavamo insieme come se non avessimo mai fatto altro nella nostra breve vita. Fu lei ad insegnarmi a fare i pupazzi di neve, a fare gli angeli nella neve, con lei feci la mia prima battaglia a palle di neve e la prima corsa in slittino giù per le colline innevate.
Alla fine della settimana, Fatima tornò con noi in aereo a Phoenix.
La versione ufficiale, quella che raccontò a mia madre e a noi due, fu che Fatima era la nipote di sua cugina, la cui famiglia era rimasta a vivere in Francia quando si era trasferita in America coi suoi genitori, e che lei era l’unica parente in grado di occuparsi di lei.
Ogni volta che andavo dalla nonna era una doppia festa, perché in quella casa trovavo anche Fas.
Quando si è piccoli non si capiscono in gradi di parentela, se una è tua cugina lo è e basta, soprattutto quando sei figlia unica e non hai altri cugini. A quel punto una cugina può diventare una sorella.
E poi, quando abbiamo scoperto chi e che cosa eravamo, ormai non aveva molta importanza che fosse vero o no e quale fosse il motivo per cui la nonna aveva voluto che crescessimo insieme.
Ora rivedere la neve mi mette malinconia. E quando sono triste, generalmente, mi parte lo scazzo.
Per questo sono così scorbutica e fulmino chiunque cerchi di colpirmi con una palla di neve e giro riparandomi con una cartellina. Certo, corrisponde con il mio personaggio non esattamente portato a certe dimostrazioni infantili ed attività fisiche che richiedono mira, ma il fatto che sia proprio smaronata aiuta.
Mi chiedo dove sia finito tutto il buon umore e la non chalance di stamattina, e poi, perché ero così tranquilla?!
Io e Jessica entriamo in mensa, e anche qui, stranamente, volano palle di neve.
Comincio a pensare di essere allergica alla gioventù…
Morla!
Che?
La tartaruga gigante della storia infinita! Quella allergica alla gioventù che innaffia Atreyu a ripetizione!
Mi stai paragonando ad un’enorme tartaruga centenaria e rugosa?
Precisamente!
Quindi sarei giustificata se facessi una doccia di starnuti a Mike e Jessica?
Beh…
Mike ha le punte dei capelli ghiacciate… devono averci dato dentro con quella battaglia.
In fondo un po’ mi dispiace… insomma, con questi qua non ci sarebbe gusto, ma se fossi con le ragazze e gli altri…
Ti ricordi il raduno in Russia quattro anni fa?
Brrrr… cavolo, lì si che faceva un freddo cane!
Mmm… a proposito di freddo…
Oh, giusto!
"Cerca di sembrare umano."
"Umano, hai detto?"
 Ci mettiamo in coda per il mangiare, ben attenti a schivare qualsiasi attacco in arrivo.
Un pezzo di ghiaccio vola sulle teste degli studenti e si va a schiantare contro il muro di mattoni alle mie spalle. Sento il crack dei mattoni e del ghiaccio, e con la coda dell’occhio lo vedo frantumato al suolo.
Alcune teste, dei ragazzi più vicini, si giurano in cerca del colpevole, ma guardando tutti dalla parte sbagliata, o non abbastanza lontano.
Per forza, non l’hanno visto arrivare.
Io però so esattamente dove guardare.
Ary mi ha avvertito che Alice è concentrata sulle mie mosse e tiene aggiornati i fratelli, in modo da non farsi trovare impreparati in davanti a me.
Come ho fatto ogni giorno da quando sono arrivata a Forks, butto un’occhiata casuale al tavolo dei Cullen e… ooooh! Ma sono in cinque! Chi se lo sarebbe mai aspettato!
"Molto umano, Emmett! Perché non ti lanci contro il muro dato che ci sei?"
"Sarebbe molto più impressionante se lo facessi tu, piccola."
Il quadretto sarebbe perfetto anche se non potessi sentirli: cinque fratelli che chiacchierano scherzosamente tra loro, tutti con un sorriso allegro, tutti bellissimi, raccolti intorno ad un tavolo. Sembra un’immagine da cartolina.
Ho fatto decisamente bene a prendere un pizzico di cenere, prima in bagno. Insomma, le sigarette sono comodissime e le adoro, ma una piccola scorta in polvere può sempre tornare utile.
Sfodero una faccia sorpresa da manuale: sgrano per un istante gli occhi, dischiudo leggermente le labbra inspirando, secca e breve, poi volto subito la testa. Questo è recitare! Niente scenate, niente di palese e innaturale. Tengo la testa bassa e arrossisco, chi l’avrebbe detto che poter controllare la propria temperatura corporea è anche un utile strumento di recitazione!
Tengo gli occhi fissi sul pavimento, i capelli mi scivolano in avanti, lasciando scoperte le orecchie rosse e bollenti.
E intanto ho sentito le voci anche di Emmett e Rosalie, che male non fa.
Fingo di riprendermi solo quando Jessica, tirandomi per un braccio, richiama la mia attenzione sul cibo: è il nostro turno.
“Pronto? Bella? Tu cosa Prendi?” dice, un accenno di impazienza nella voce.
So che Edward non mi ha ancora guardata, l’unica che mi controlla dev’essere Alice.
Non va bene.
Voglio che mi guardi, devo in qualche modo suscitare il suo interesse.
“Cos’ha Bella?” chiede Mike a Jessica, leggermente preoccupato, come se non potessi sentirlo.
Rialzo gli occhi e scrollo un attimo la testa come riprendendomi da un momento di distrazione.
Vediamo… finora ho adottato la strategia della debolezza e della vulnerabilità, anche alla lezione di biologia l’ho fatto e sembra aver ottenuto un qualche effetto positivo, e poi… dai, si, è abbastanza coerente.
"Niente," dico tranquillamente, la voce calma le limpida: voglio che mi senta bene. "Oggi prendo soltanto una soda”.
"Non hai fame?" chiede Jessica mentre li raggiungo alla cassa.
"A dir la verità, non mi sento tanto bene" dico tenendo gli occhi bassi, ma non riesco a non guardare con invidia il vassoio pieno di pizza e patatine di Mike.
Vanno tutte sui fianchi Bella, pensa a questo!
Si, penso anche che andando a casa mi fermerò a prendere una pizza con salsiccia, funghi, noci e scamorza affumicata.
E le patatine?
Sei pazza? Devo mantenere la linea!
Signore, che ho fatto di male?!
Il cellulare vibra una volta nella mia tasca, e tace.
Bene, è il segnale. Strano che abbia funzionato sul serio, grazie Ary!
Ora che sono certa di aver ottenuto da Edward l’attenzione necessaria perché mi guardasse, posso tranquillamente dirigermi mogia mogia verso il tavolo, seguendo Jess e Mike, senza staccare gli occhi dalla punta delle mie scarpe.
Mi siedo, consapevole di essere abbastanza al sicuro in questo punto, dove non sono sottovento.
 Sorseggio lentamente la mia soda, come se fossi veramente un po’ indisposta.
“Come ti senti, Bella?” dice Mike, girandosi verso di me e guardandomi con apprensione. Ok, o io ci ho messo troppo impegno nel fingermi malaticcia, o lui èleggermente ossessionato. Opto per la seconda.
“Non è niente, Mike, davvero, tranquillo!” dico stiracchiando un sorriso imbarazzato.
“Sei sicura?” mi chiede, avvicinandosi un po’.
“Si, sicura, davvero!” dico io, ritraendomi leggermente.
Questa cosa è davvero ridicola, cioè, qualcuno mi faccia capire, sta approfittando del fatto che sto male per flirtare?!
Dai Bella, non pensar sempre male!
Mmm…
Per fortuna Mike torna a farsi assorbire dalle chiacchiere dei suoi amici, così io posso concentrarmi sui miei vampiri.
Ok, conto fino a dieci, poi li guardo.
1…2…
"Rilassati Edward," dice Emmett. "Onestamente. Così ucciderai solo un'umana. Non è mica la fine del mondo."
…3…4….
"Sapessi..," mormorò Edward, il tono così depresso e intriso d’amarezza da sorprendermi.
…5…6…
Emmett scoppia a ridere. "Imparerai a passarci sopra. Come me. L'eternità è molto lunga per rotolarsi nella colpa."
Baro.
Giro gli occhi appena in tempo per vedere Alice che colpisce Emmett con una palla di neve. Deve averla nascosta nella mano perché non si sciogliesse.
Vedo Emmett ammiccare, sorpreso, e poi sorridere.
"Lo hai voluto tu," dice lui, mentre si abbassa verso il tavolo e scuote i suoi capelli pieni di neve
nella direzione della vampira minuta. La neve, sciogliendosi nella calda stanza, fluisce dai suoi capelli in una densa pioggia mezza liquida, mezza ghiacciata.
"Ehi!" si lamenta Rose, mentre lei e Alice indietreggiano dal diluvio.
Alice ride, e gli altri si uniscoono a lei, completando la scenetta che la veggente ha preparato per me.
Però l’ho fregata. Se le sue visioni funzionano come quelle di Fas, e credo proprio di si, non può prevedere le mie azioni se cambio idea all’improvviso, e io non avevo premeditato di barare.
Un umano furbo, ma soprattutto attento, si chiederebbe come ha fatto a tenere in mano una palla di neve per più di dieci minuti senza farla sciogliere.
Mentre Alice continua il suo teatrino usando il vassoio come scudo contro Emmett, mi concentro su Edward.
Si, ha decisamente una cera migliore dalla settimana scorsa. Deve aver cacciato parecchio per prepararsi a rincontrarmi.
Rispetto ad ora, lunedì scorso si sarebbe potuto difinire… deperito!?
Insomma, deve aver bevuto davvero tanto: è meno pallido, le occhiaie sono appena accennate…
Oh cavolo! Ma è scemo?!
No Bella, non ridere che proprio non è il caso! Anche se…
Dai, ma si può essere più irresponsabili? Capisco il volersi preparare per non fare sciocchezze, ma qui sfioriamo il ridicolo!
Ha bevuto come un deficiente per impedirsi di uccidermi, e quindi di farsi scoprire, finendo col farsi diventare gli occhi di una chiarissima e limpida sfumatura dorata, dopo che io l’ho visto con gli occhi neri di sete da una distanza da cui mi era impossibile sbagliare, rischiando cosi di farsi scoprire da me!
Non deve averci proprio pensato, o forse chissà, mi troverà una buona scusa.
Forse sarà più facile del previsto portarli a scoprirsi, ma prima devo entrare nelle grazie di almeno uno di loro.
Però, devo ammettere che danno proprio un bello spettacolo, se non sapessi che cosa sono, direi tranquillamente che sembrano dei ragazzi normali.
Bellissimi.
Mi chiedo se Alice si ricordi qualcosa della sua vita passata. Dai documenti che sono riuscita a recuperare del manicomio dove era stata internata, risulta che sia stata sottoposta all’elettroshock.
Tutto sommato, forse sarebbe meglio se non si ricordasse niente… da ciò che ho trovato su di lei, la sua non è stata una vita felice.
Degli altri, l’unica su cui sono riuscita a trovare qualcosa è Rosalie, Rosalie Hale. Una ragazza appartenente alla classe media, nata nel 1915; è scomparsa una notte, quando aveva diciotto anni.
Non è poi così strano fare ricerche sui vampiri cui diamo la caccia rifacendoci a ciò che erano da umani: certe abitudini, certi eventi, possono aiutarci a prevedere i loro movimenti, per alcuni aiuta anche a capire il tipo di vittime che prediligono. Per esempio, il fatto che dopo alcuni mesi dopo la scomparsa di Rosalie Hale, il suo fidanzato e alcuni suoi amici e colleghi sono stati uccisi in circostanze misteriose. Coincidenza?
Trovo frustrante non sapere niente di Edward, o almeno, nulla del suo passato. Di lui come è ora, in questo preciso momento, so che è teso. Si, sta sorridendo, ma vedo una leggera rigidità nella sua postura e nella linea delle labbra, come se il sorriso che le stira fosse impostato. Sa che lo sto guardando e vuole farmi una buona impressione.
“Bella, cosa stai guardando?” salta su Jessica, riapparendo nella mia percezione del mondo, momentaneamente limitata al tavolo dei vampiri. Nel giro di un secondo, la testa di Edward scatta verso di noi, come rispondendo ad un richiamo, e i suoi occhi dorati si fissano nei miei. Immediatamente distolgo lo sguardo e chino la testa tra le mani, lasciando che i capelli mi nascondano. Reazione normale all’imbarazzante fatto di essere stata beccata a fissarlo. Non riesco a trattenere un ghigno, ma per fortuna così nascosta nessuno può notarlo. Nella frazione di secondo in cui i nostri occhi si sono incontrati, il suo sguardo non era arrabbiato o accusatorio, come una settimana fa, ma curioso. Perfetto.
"Edward Cullen ti sta fissando” mi sussurra un po’ sorpresa Jessica all’orecchio e ridacchia. Chissà perché, ma malgrado la sua voce non rechi traccia di gelosia, credo che la cosa le roda parecchio.
Bene, anche se trovo strano che stia lì a fissarmi, vale la pena ricordargli che non è la prima volta che lo fa. Oh si, vampirello mio! Me la sono legata al dito! È maleducato fissare le persone a quel modo, e poi sembravi un pazzo maniaco.
"Non sembra arrabbiato, vero?” sussurro in risposta, muovendomi appena, come tentata dall’idea di controllare io stessa, e cavolo, non mi dispiacerebbe.
"No" mi risponde lei, piuttosto sorpresa, e credo che intimamente sperasse di darmi una risposta diversa. "Dovrebbe esserlo?"
"Penso di non piacergli” sussurro io, un po’ mogia, e abbasso la testa sul braccio, come se fossi improvvisamente stanca, o come se sperassi di nascondermi meglio appiattendomi sul tavolo.
"Ai Cullen non piace nessuno" mi tranquillizza Jessica con una smorfia di stizza. "Beh, non fanno proprio granché caso agli altri per considerarli. Ma lui continua a fissarti."
"Smettila di guardarlo!” le sibilo minacciosa, perché effettivamente sta cominciando a stufarmi tutta questa attenzione, non da parte dei vampiri, ma da parte degli umani! Mi alzo leggermente lanciandole un’occhiata di fuoco per controllare che obbedisca, pronta a farle violenza in caso contrario. Jessica può essere utile, ma la sopporto a piccole dosi, e meglio e più a lungo quando tace… cosa che si verifica raramente.
Jessica fa spallucce e torna a prestare attenzione alla conversazione che sta avendo luogo al nostro tavolo. Mike sta organizzando una mega battaglia a palle di neve nel parcheggio, appena saranno finite le lezioni. Jessica ovviamente è entusiasta.
Io sono quasi tentata di partecipare questa volta, giusto per sfogare un po’ di istinti violenti, ma lascio perdere, non mi va di perdere tempo con queste persone. E poi rischierei di incrinare la mia copertura.
Ora mi conviene concentrarmi sulle mie prossime mosse.
Il mio cellulare vibra in tasca.
Messaggio da Fas:
 
Ottimo inizio! Si presenterà a bio, cercherà di essere amichevole.
Andrà tutto bene, ma fai attenzione a quel che dici. Dimostragli che sei sveglia!
 
Perfetto. Allora sfrutterò qualche buona freccia al mio arco.
Mi alzo da tavola e comincio a raccogliere la mia roba.
“Ehi, Bella” esclama Mike, che mi guarda stralunato mentre mi infilo la giacca. “Dove vai? Ti senti male?”.
“No, no, sto bene” dico io scuotendo la testa, “Vado in bagno, tanto tra cinque minuti suona la campanella. Ci vediamo dopo in classe”.
Mi butto la borsa dei libri in spalla e saluto con la mano la comitiva.
Attenta a non guardare verso il tavolo dei vampiri, m’incammino verso l’uscita.
Finalmente esco all’aria aperta.
Vado direttamente all’edificio 4, dove c’è l’aula di biologia, e mi fermo sotto il porticato collegato al corridoio coperto.
Mi siedo sul muretto e appoggio la schiena a una delle colonne.
Con calma estraggo una sigaretta e me l’accendo.
Non mi farà certo male un altro po’ di cenere, e poi l’odore del fumo dovrebbe coprire un pochino il mio profumo.
Aspiro a fondo mentre guardo la pioggia cadere, piccoli aghi scagliati a terra da un cielo biancastro.
La neve si scioglie sotto quell’attacco e, presto, scivola via lungo i canaletti di scolo.
La battaglia di Mike è morta sul nascere.
Un sorrisetto amaro mi sfugge dalle labbra.
La pioggia cade e lava via la neve.
Ma non lava via la mia malinconia, e guardando il cielo bianco di Forks, la mia mente viaggia verso un altro cielo, più grande, più bianco, più lontano e caro al mio cuore, che riversa soffici fiocchetti di fredda bambagia su una campagna completamente imbiancata, su un cortile, su una coperta rossa abbandonata sugli scalini del portico, e su due bambine che ridono costruendo un pupazzo di neve.
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Mistakes ***


Salve a tutte! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, io mi sono divertita un sacco a scriverlo, anche se è stata un’impresa. Credo di essere tornata nella testa di Bella, probabilmente lo sclero da esami ha contribuito in questo. D’ora in poi mi impegnerò per aggiornare una volta al mese, di più, mi dispiace, ma non riesco a fare. Vorrei tanto ringraziarvi perché continuate a seguire questa storia nonostante la mia incostanza. Credo sia arrivato il momento per fare un paio di note: tanto per cominciare, Bella non è una persona equilibrata. Potrà sembrare un’ovvietà, ma credo sia giusto chiarirlo, perché se avete l’impressione che a volte non sia molto gentile, o simpatica, o matura… insomma, che non sia del tutto un personaggio positivo, non è solo un’impressione! Bella è una ragazza con diversi problemi, di alcuni ne è consapevole, altri fanno talmente parte della sua mentalità e della sua personalità che non se ne rende conto. Non è pensata per risultarvi simpatica a tutti i costi, men che meno perfetta. È un personaggio che è pensato al fine di un’evoluzione, a differenza della Bella del libro. Deve crescere, rimettere a posto diverse cose nella sua vita, e una di queste è il rapporto con sé stessa e coi vampiri. Tutto questo per dirvi che la rivelazione di ciò che è ai Cullen non arriverà tanto presto, non sarebbe logicamente accettabile da parte sua, anche perché lei non è ancora del tutto convinta che loro siano “vegetariani” per una scelta etica, ed anche quando se ne convincesse… ci sono troppe cose che devono cambiare prima, non potete aspettarvi che lei ridimensioni tutto il suo modo di pensare e comportarsi in pochi giorni/capitoli. Portate pazienza, questo è il mio modo di elaborare i personaggi. Inoltre, non scambiate l’attrazione fisica per infatuazione. In questo capitolo Bella fa diverse osservazioni su quanto l’aspetto di Edward sia… notevole, ma non per questo dimentica cosa lui sia in realtà. Può scherzarci sopra e fare la furba, ma la consapevolezza su quale sia la natura di lui non può essere superata tanto in fretta. Per quanto riguarda i sentimenti… Bella è un casino, avrete modo di scoprirlo più avanti.  
Ok, per ora direi di aver chiarito il necessario. Ci tenevo a dirvelo perché so che molti vorrebbero che Bella si rivelasse presto, e volevo spiegarvi i motivi per cui non posso fare una cosa del genere. Quando ho detto che questa storia va un po’ avanti così, come viene viene, intendevo nello scrivere, nei dettagli di ogni conversazione e riflessione… la trama c’è, è costruita, semplicemente, a differenza dal mio solito, non ho previsto ogni dettaglio e ogni informazione che verrà fuori in ogni capitolo. =)
Ah, un’ultima cosa, e questa è una domanda che vi faccio: secondo voi dovrei cambiare il rating da arancione a rosso? Onestamente a me non sembra ancora necessario, anche se più avanti probabilmente lo sarà, ma forse mi sbaglio. Fatemi sapere, questo e, ovviamente, in generale, che ne pensate.
A presto.
Artemys.
                            
 

 

 


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 Mistakes 

 
Se Mike Newton non la pianta di guardarmi come un maniaco, giuro che lo espongo a pubblica evirazione!
Eseguirei la condanna io stessa, ma non vorrei che l’idea provocasse in lui una qualche masochistica soddisfazione… certo, col “presentat’ arm!” renderebbe l’esecuzione più semplice e rapida, ma onestamente il pensiero mi suscita un ribrezzo che supera di gran lunga il mio sadismo.
Bella, il solo fatto che pensi cose del genere potrebbe farti guadagnare la nomina nella lista ufficiale dei pervertiti!
Lo so, lo so…
Però… bah, è assurdo!
Cicco, stando attenta a far cadere la cenere oltre il davanzale della finestra.
Bella…
Si! Lo so! È la terza sigaretta del giorno! Posso sapere qual è il problema? Teresa mi ha dato tre cassette di questa roba, non le finirò tanto in fretta!
Porto distrattamente la sigaretta alla bocca e aspiro lentamente, osservando l’ingresso della classe con la coda dell’occhio.
Non è ancora arrivato.
Forse ha deciso di non sottoporsi allo stress di passare l’intera ora seduto accanto a me.
Butto fuori il fumo, soffiandolo con calma fuori dalla finestra aperta.
La civiltà è civiltà.
Lancio un’occhiata a Banner, che sta ancora sistemando il materiale per l’attività di oggi con i microscopi.
Grazie al cielo ero davanti alla porta dell’aula, quando è arrivato con la sigaretta in bocca e le mani alla disperata ricerca di un accendino in tutte le tasche possibili che aveva addosso.
Offrirgli l’accendino è stato un immediato gesto di pura cortesia, che però mi ha fatto guadagnare il tacito consenso di entrare in classe con lui, insieme alla mia sigaretta appena accesa.
Dondolo un po’ la gamba destra, il piede che non tocca il pavimento, e risistemo l’altra, appoggiata sul davanzale interno, su cui mi sono seduta, piegandola maggiormente verso di me.
Fuori la pioggia continua a cadere, più intensa e rumorosa di prima.
So che metà della classe mi lancia occhiate mezze sconvolte, ma chissene!
L’importante è che non mi guardino come sta facendo Mike, evidentemente non abbastanza sveglio per evitare di fissarmi con la bava alla bocca e gli occhi da pesce lesso.
Mi da fastidio.
Mi porto di nuovo la sigaretta alle labbra e il riflesso sulla finestra mi rimanda lo sguardo da morto di…
Bella!!!
… fame con cui segue il mio gesto! Perché devi sempre pensar male?!
Perché sono nella tua testa!
E, visto che ti concedo questo onore, non ti senti in debito quel tanto da riservarmi il beneficio del dubbio?
No!
Faccio spallucce, guardando con ironia il mio riflesso.
Soffio fuori dalla finestra il fumo, un’altra occhiata infastidita allo sguardo di Mike, riprodotto sulla superficie riflettente, e le mie labbra si piegano in sorriso amaro.
Se penso che è per vedere quel tipo di sguardo posarsi su di me, ma di occhi diversi, che ho cominciato a fumare…
Ricordo ancora quanto mi bruciasse vedere Alan Kraine fissare allucinato Flora mentre si portava con eleganza la sigaretta tra le labbra, facendo di un gesto abituale e distratto un movimento pieno di sensualità. Già Flora era più grande, tre anni in più di me, era indiscutibilmente affascinante, così bionda e delicata nei lineamenti, così elegante in ogni suo movimento, persino mentre tagliava a metà con un solo fendente di spada il tronco di un vampiro. All’epoca fu lei la caposquadra della pattuglia in cui mi trovavo durante le vacanze in Cina, e la invidiavo da morire. Ricordo di essermi indignata a morte per essere stata relegata nel ruolo di squadrigliera, mentre altri, più grandi di me, mi passavano avanti di grado.
A pensarci oggi mi darei uno sberlone da sola. Ero convinta che, solo perché ero una Regina, la Regina Cacciatrice, il ruolo di caposquadra mi spettasse di diritto, indipendentemente dall’esperienza, perché mi ero persuasa che, avere le potenzialità per essere la migliore e l’esserlo, fossero la stessa cosa. Ero giovane, arrogante, frustrata e mortalmente gelosa, perché, oltre al mio ruolo logistico, Flora aveva conquistato anche il centro dell’attenzione, e, probabilmente, era quello che mi bruciava di più. Credo che poche cose mi abbiamo insegnato quanto le legnate sui denti prese in quel mese di intensi allenamenti, simulazioni, e missioni sul campo. Alla fine, la cotta fulminante per Alan fu surclassata dall’ammirazione e dal rispetto che Flora riuscì a suscitare in me come leader, e come amica. Si dice che l’imitazione sia la più alta forma di ammirazione. Nel mio caso, ho cominciato ad imitarla in un’abitudine sbagliata, per i motivi sbagliati, ammirandola ed invidiandola per i motivi sbagliati, sapendo di sbagliare, ed ho finito per cercare di imitarla anche in ciò che di positivo mi offriva come modello, ammirandola per i motivi giusti, ma assimilando l’abitudine sbagliata e mantenendola. È strano come un gesto, iniziato come una sfida, a quella che vedevo come una concorrenza da parte sua, almeno sul piano sentimentale, sia diventato qualcosa che con lei condividevo nei momenti tranquilli di relax, chiacchierando di tutto e di più, a volte isolandoci per sfuggire alle attenzioni di Alan ed altri, quando ormai il sentimento, che credevo di provare per il ragazzo, si era dissolto davanti alla presa di coscienza che le sue occhiate mi davano più fastidio che altro. Io fumavo la mia sigaretta per farmi una coccola, mentre mi distraevo e rilassavo con un’amica, o quando volevo riflettere su qualcosa, e la sua attenzione mi disturbava, come un’intromissione nel mio spazio privato.
Ed è lo stesso fastidio che provo ora, anche se la sigaretta me la sto fumando da sola, e non in compagnia.
Sigaretta che, tra una cosa e l’altra, ormai è quasi finita.
Se quel vampiro non arriva, qui va a finire che mi accendo la quarta…
Ah, eccolo, mio eroe!
Oggi il sarcasmo viaggia, eh Bella?!
Non eri tu quella che voleva che mi controllassi?
Spegni quella sigaretta e smettila di fare l’idiota!
Hai notato che, quando non sai come replicare alle mie risposte polemiche, diventi estremamente brusca e dittatoriale?
Lo fai anche tu con me, guarda caso conviviamo nella stessa testa da diciassette anni, qualcosa vorrà pur dire!
Roteo gli occhi, fingendo sempre che il destinatario delle mie risposte gestuali sia il mio riflesso, temporaneo simulacro della mia molesta e polemica, nonché logica, vocina interiore.
Inspiro un’altra boccata di fumo, fingendo di non essermi accorta del ragazzo che si sta avvicinando.
Rimango nella mia posizione raccolta, col viso rivolto verso la finestra e il busto leggermente ingobbito per appoggiare il gomito sul ginocchio piegato, la palla sinistra comodamente abbandonata contro la cornice della finestra, e lo sguardo perso nel vuoto.
Lo sento appoggiare la borsa dei libri a terra, accanto al suo banco, quello più vicino a me, e spostare la sedia, trascinandola un po’ sul pavimento.
Non mi volto, esattamente come se fossi persa nel mio mondo mentre osservo la pioggia cadere, o come se avessi timore di guardarlo.
Ho già fatto un mezzo errore, facendomi trovare qui a fumare in questa posa rilassata, anche se un po’ rattrappita.
Quanto, fumare, coincide con l’immagine di Bella Swan?
Poco, in questo frangente, poi, ancor meno.
Vero… però Bella è responsabile ed educata: sto fumando vicino alla finestra aperta e butto fuori il fumo, mi sembra più che civile.
È il minimo in un edificio scolastico, dove, per inciso, non si dovrebbe fumare proprio.
Vuoi dirlo tu a Banner?
No.
Bene, allora taci.
Come volevasi dimostrare…
Sì, contenta?
Un po’, lo ammetto.
Ok, ora che faccio?
Lascia a lui la prima mossa.
Obbediente aspetto, ma la mia attesa non dura che pochi secondi.
“Ciao” dice, ed anche se è la seconda parola di oggi che sento provenire dalle sue labbra, la voce mi risulta quasi familiare. Volto giusto la testa nella sua direzione e mi stampo in faccia un’espressione tra il perplesso e il preoccupato, come se fossi sorpresa del fatto che questo individuo si stia rivolgendo proprio a me e temessi di ritrovare lo sguardo assassino con cui mi ha colpita la settimana scorsa.
È appoggiato col bacino al bordo del mio banco, stando lontano da me quanto l’educazione e la naturalezza del contesto glielo permettono.
“Il mio nome è Edward Cullen. Non ho avuto la possibilità di presentarmi la scorsa settimana. Tu devi essere Bella Swan” esclama stiracchiando un sorriso educato, ma teso, almeno ai miei occhi.
Bravo signor Cullen, una presentazione semplice, educata, che ti permette di glissare velocemente sull’episodio di una settimana fa. Peccato che tu abbia fatto un minuscolo errore nel tentativo di mettermi a mio agio…
"Co... come fai a conoscere il mio nome?" chiedo, premurandomi di far tremare la voce, giusto un pochino.
Lui mi guarda stranito e sorpreso per una frazione infinitesimale di secondo, un lampo, così rapido che faccio a malapena in tempo ad accorgermene. Si, non ci ha proprio fatto caso.
Ride lievemente, gentile sorride, e noto che sta facendo in modo da non scoprire troppo i denti.
“Oh, penso che tutti sappiano come ti chiami. La città intera ti stava aspettando” dice, sottolineando l’ovvio.
"No. Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella?" chiedo lanciandogli un’occhiata confusa e curiosa. Dai vampirello mio, è la prima volta che mi rivolgi la parola, quindi, a meno che tu non abbia un super udito con cui hai potuto ascoltare le mie conversazioni il primo giorno, dovresti…
"Preferisci che ti chiami Isabella?" mi chiede perplesso.
No, ma è quello che avresti dovuto fare…
"No, Bella mi piace," rispondo, abbassando leggermente la testa da un lato. L’espressione lacerata tra l'imbarazzo e la confusione rimane ben visibile allo sguardo del mio interlocutore. "Ma Charlie, voglio dire, mio padre, quando parla di me credo mi chiami Isabella: a quanto pare qui tutti mi conoscono con quel nome." E qui, come il cacio sui maccheroni, ci sta un bell’arrossamento del viso.
"Ah" dice debolmente, per poi girarsi dall’altra parte, distogliendo lo sguardo dal mio volto.
Eh si vampirello, uno a zero, palla al centro.
Distrattamente cicco un’ultima volta fuori e guardo la mia povera sigaretta, che negli ultimi secondi ha finito di fumarsi da sola.
Il davanzale esterno è umido di pioggia, cosi basta premere un po’ la sigaretta per spegnerla subito. Tiro fuori un fazzoletto di carta dalla tasca, pulisco dove ho sporcato, e nel quadratino di carta, ormai umido, ripongo la cicca spenta, per poi appallottolarlo.
Scendo dal mio trespolo e faccio scorrere la finestra sul carrello, in modo da accostarla, lasciando giusto quei due centimetri buoni che potrebbero garantire la mia incolumità, oggi.
Circumnavigo i nostri due banchi, dandogli il tempo di spostarsi e sedersi al suo posto, dove sarà il muro a porgli il limite massimo di distanza dal mio corpo.
Individuo il cestino marrone sotto la lavagna e, senza pensarci, mi esibisco in un canestro perfetto.
La pallina è ancora in volo, quando realizzo l’immensa cagata che ho appena fatto.
Brava, Bella! Fammi capire, critichi il vampiro perché si frega con le sue mani, e tu cosa fai? Un canestro da tre punti?!
È si e no da due…
Sei un’incommensurabile imbecille!
Si, lo so…
Prega che Mike non ti abbia vista.
Sogna pure, quello non mi staccherà gli occhi di dosso se vede che Cullen parla con me. Hai notato anche tu che facce fa quando i ragazzi mi rivolgono la parola, perfino Ben.
Beh, allora vedi di recuperare la maschera almeno col vampiro, per lui non è niente di eclatante, ma torna nei ranghi!
“Bel tiro!” commenta con un mezzo sorriso Edward.
Oh, si, adesso torni a guardarmi, grazie!
“Ehm, grazie! Pura fortuna, di solito non ci riesco mai…” dico imbarazzata, ma cercando di sorridere un po’, e mi porto distrattamente una ciocca dietro l’orecchio.
Quanto. Sono. Stupida!!!
Con gli occhi piantati sulle punte delle mie scarpe, mi siedo al mio posto, consapevole che anche lui si è sistemato, mantenendosi il più lontano possibile da me.
“Ah, ci tenevo a ringraziarti” aggiunge mentre tira fuori il libro di testo e una cartellina piena di fogli fittamente ricoperti di appunti, “sei stata molto gentile a dare gli appunti ad Alice”.
Ok, qui è meglio arrossire. Non è difficile, mi sto vergognando come una ladra per essere stata così scema da fregarmi da sola.
“Ehm… prego.  Insomma, sia tu che Angela eravate assenti, e già che facevo le fotocopie per lei ho pensato che potessero far comodo anche a te, tutto qui” mi giustifico buttandogli un’occhiata per controllare la sua espressione. Non so perché ma, ora che mi trovo a parlare con lui mi sento un po’… ecco… in soggezione.
È strano, non ho mai realmente intrattenuto una conversazione con un vampiro, fatta eccezione per lo scambio con Alice la settimana scorsa, e, sinceramente, non riesco a considerare Alice un vampiro in tutto e per tutto. So che è illogico, ma… sapere che era una di noi, che era come Fas… me la fa sentire più vicina, e stranamente cara.
“Sei stata comunque molto gentile” precisa lui guardandomi con attenzione, come se cercasse nel mio aspetto una spiegazione per la mia cortesia. Intuisco che per lui deve essere stato strano, nessuno si sarà mai preoccupato di far avere ai fenomenali Cullen gli appunti delle lezioni perse. Considerando, inoltre, che deve essere convinto di avermi terrorizzata, col suo comportamento, è ancora più strano che mi sia dimostrata tanto attenta e generosa nei suoi confronti.
“Beh” faccio spallucce, mentre mi tormento le mani, “se non ci si aiuta tra compagni di banco…” e lascio cadere la frase, sottintendendo l’ovvio.
Accenniamo entrambi un sorriso, un po’ per la circostanza, un po’ perché pensiamo entrambi di aver aiutato l’altro molto più di quanto l’altro pensi: lui mi sta “aiutando” a rimanere in vita, immagino che lui la veda in questo modo, e io l’ho aiutato fin dal primo momento, con la finestra, i fogli, la sigaretta…
“Iniziamo” esclama Banner, interrompendo il filo dei miei pensieri.
Oh, è vero, sono in classe…
L’esperienza di oggi è molto semplice, l’ho già fatta a Phoenix, e anche in laboratorio con Chris. Certo, un conto è osservare le fasi della riproduzione cellulare negli embrioni di coregone, altra cosa è studiare lo stesso fenomeno nelle cellule di vampiri e cacciatori. Parliamo di tutt’altra velocità nel processo, ed è il fattore meno interessante tutto sommato. La vita delle cellule vampiresche è brevissima, si riproducono continuamente e ad una velocità devastante. Chris una volta mi ha detto che, secondo lui, è uno dei motivi per cui la loro sete non si spegne mai: il loro corpo brucia continuamente molta più energia del nostro per auto-rigenerarsi completamente, ed è straordinario pensare che, nonostante questo, sono comunque cento volte più forti e resistenti di noi. Le loro cellule, poi, hanno una struttura molto più complessa delle nostre.
"Prima le donne, collega?"
Questa domanda mi fa scattare, ennesimo gesto stupido.
Mi volto a guardarlo con espressione che, posso solo immaginarlo, deve apparirgli come minimo confusa. Dentro sono basita, allucinata.
E, lo ammetto, incontrare il suo sguardo e il suo viso non mi aiuta.
Quella frase… una voce calda, diversa… un sorriso malizioso, obliquo, come il suo, e un brivido ardente lungo la spina dorsale…
No, Bella, concentrati! Presente, vampiro, aula di biologia!
Giusto!
"Oh, se vuoi comincio io" propone Edward, guardandomi con occhi preoccupati. Ecco, ho appena fatto la figura della ragazzina spaventata, o peggio, ipnotizzata.
"No"mi affretto a dire, cercando di riparare, e deglutisco un po’ di saliva. Ho la gola secca. Perché? "Faccio io."
Lui annuisce, sistema il vetrino sul microscopio da batteri e mi fa un gesto con la mano, indicandomi di procedere.
Avvicino l’occhio alla lente, noto, con la mia vista periferica, che lui sta fissando intensamente qualsiasi cosa si trovi sul tavolo, scattando da un oggetto all’altro, immagino nel tentativo di guardare di tutto tranne la sottoscritta. “Profase ” decreto dopo un breve esame, non ho bisogno di una seconda occhiata. Meglio passare al prossimo vatrino…
“Ti dispiace?” esclama lui, fermandomi nell’atto di cambiare campione. Allunga la mano, un gesto così istintivamente umano da sorprendermi, ma mi costringo a rimanere ferma per non evitare il contatto, per non risultare più strana di quanto già non sia.
Oh, merda!
Il gelo della sua pelle non mi stupisce, sono preparata, ma… è come se da quel mezzo centimetro di epidermide si fosse diffuso alla carne, ai vasi sanguigni, e avesse raggiunto le ossa. Una scossa elettrica ghiacciata che, stranamente, brucia. Immediatamente ritiro la mano.
“Scusami” mormora lui, evitando il mio sguardo. Possibile che abbia provato qualcosa di simile?
… nah!!
Avvicina a sé il microscopio, stando ben attento a non sfiorarmi di nuovo. “Profase” conferma, dopo aver a malapena dato uno sguardo. Scrive la risposta nella tabella, con una grafia che mi fa piangere. Perché? Perché non scrivo così anche io?
Bella, ti senti normale?!
La normalità è sopravvalutata!
Tranquillamente posiziona il secondo vetrino. Un altro sguardo veloce e dice "Anafase".
"Posso?" ribatto io. Ciccio, qui siamo in due a ritenere quest’esperimento una passeggiata, ma non pensare di poter mettere in dubbio la mia valutazione senza che io non faccia altrettanto.
Con un sorriso ironico, fatto più a sé stesso che a me, immagino, mi lascia il posto al microscopio, evidentemente divertito all’idea di poter sbagliare.
Do un’occhiata veloce, ed anche se so che le probabilità sono scarse, una piccola speranza di trovarlo in errore, giusto per togliergli quel sorrisetto dalla faccia, prende a scalpitare. Ovviamente rimango delusa, e non ho intenzione di nasconderlo.
"Numero tre?" sbotto seccata, allungando il palmo aperto verso di lui con indifferenza.
Ti stai seriamente mettendo in competizione con lui per uno stupido esperimento?
Si, e con questo?
Sei senza speranza…
Mai analisi di me fu più sintetica ed accurata.
"Interfase" esclamo sicura, dopo un’occhiata di mezzo secondo. Senza nemmeno guardarlo, spingo il microscopio verso di lui. La tentazione di fargli una linguaccia è troppo forte, se lo guardassi non riuscirei a trattenermi. Andiamo avanti così, fino a che la tabella non è piena, tutte le risposte scritte nella sua fastidiosamente perfetta ed elegante grafia.
Mi lascio andare, scivolando sulla sedia in una posa rilassata. Siamo gli unici ad aver già finito. Mi guardo un po’ intorno: c’è chi alterna ossessivamente i vetrini al microscopio, chi guarda le foto sul libro, aperto sotto al banco, cercando un confronto….
Ma guarda, il piccolo Newton sta lanciando sguardi di fuoco ad Edward.
Prevedibile, ma la civetta che è in me chiurla di soddisfazione. Non me ne frega niente di Mike, però c’è qualcosa di inebriante nel sapere che qualcuno prova gelosia per te. Non sogno certo che gli uomini si battano per me o facciano scenate di gelosia, sarebbe imbarazzante, e sicuramente non vorrei assistere a certi sfoggi di testosterone, ma piccole cose, come le occhiate rancorose e minacciose che Mike sta lanciando ad Edward, sono minuscole iniezioni di autostima.
Mmm… chissà come reagirebbe Edward se…
Piantala! C’è un nome per quelle come te, lo sai vero?!
Si, si chiamano donne. A tutte piace piacere, non dire che non è vero!

Tu guarda, l’ho messa a tacere!
Ehi! Cos’era quello, Cullen?
Oh, si! Era un ghigno! Hai guardato Mike per una frazione di secondo e hai ghignato. Che c’è, sai che ti detesta perché mi stai a meno di un metro di distanza?! Ti diverte la sua gelosia?
Lo studio attentamente, concedendomi di scrutarlo per lunghi secondi.
La linea dritta del naso, le labbra piene, ora strette per evitare di ingoiare aria satura del mio odore, gli occhi bassi, le occhiaie appena accennate, i capelli castano ramati scompigliati ad arte…
I suoi occhi scattano verso di me e si piantano nei miei. Nessuno dei due abbassa lo sguardo, incuranti delle convenzioni. Io dovrei distogliere gli occhi, non è umano fissare così un vampiro!
Ma forse… proprio perché non è umano… va bene… potrei incuriosirlo…
Non più di quanto i suoi occhi ambrati incuriosiscano me, temo. È un colore straordinario, e se penso che quelle che sto fissando sono le iridi di un vampiro…
"Porti le lenti a contatto?" chiedo improvvisamente, ricordandomi della domanda che mi ero messa da parte in mensa. Vediamo se stavolta è un po’ più furbo.
Aggrotta le sopracciglia, espressione confusa.
Male, male…
 "No" e posso vedere che quasi sorride all'idea di migliorare la sua vista.
"Oh" mormorai. "Mi sembrava di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi."
Due a zero per me, Cullen.
Ecco, ha capito di aver commesso un altro errore.
La linea delle spalle si irrigidisce e lui distoglie lo sguardo, cercando il professore dalle parti della lavagna. È evidente che non è abituato a stare vicino agli umani tanto da doversi preoccupare che possano notare certi dettagli. Per forza, c’è anche da dire che, normalmente, gli umani non sostengono lo sguardo di un vampiro come ho fatto io adesso, né gli stanno tanto vicini, abbastanza a lungo, da permettere ai loro cervelli di dare un nome alla diversità che i loro corpi, per istinto naturale di autoconservazione, riconoscono e fuggono. Io sono stata addestrata ad uccidere quell’istinto e a lasciar venire a galla altro.
Il professor Banner si avvicina al nostro banco e allunga il collo oltre la spalla di Edward, per osservare la tabella dell’esperimento.
"Scusa, Edward" dice, guardando le nostre risposte, "perché non hai lasciato usare il microscopio anche a Isabella?"
"Bella" lo corresse lui, come soprapensiero, "A dire la verità, è stata lei a identificarne tre su cinque."
Il prof si gira verso di me e mi guarda con fare scettico. "Hai già fatto prima questo esperimento?"
Sorrido, cercando di sembrare leggermente imbarazzata.
"Non con radici di cipolla."
"Embrioni di coregone?" indaga Mr. Banner.
Mi trattengo dal lasciarmi sfuggire uno sbuffo indignato.
No, con cellule di vampiro!
"Si."
Questo lo sorprende. Immagino che l'esperienza di oggi fosse qualcosa che aveva preso da un corpo avanzato, visto che la classe del corso semplificato a Phoenix non l’aveva fatta. Annuisce, valutandomi con occhi curiosi.
 "A Phoenix frequentavi le lezioni del programma avanzato?"
"Si." Se andasse a vedere la mia scheda, scoprirebbe che io seguivo solo corsi avanzati a Phoenix. Va bene tenere il profilo basso, ma non vedo perché io mi debba pure annoiare. Peccato che qui a Forks l’offerta, dal punto di vista didattico, non sia altrettanto varia.
"Bene" dice il prof, stringendo le labbra e annuendo fra sé. "Penso sia il caso che voi due lavoriate assieme." Banner si gira e se ne va, mormorando qualcosa che suona molto come "Così gli altri ragazzi avranno la possibilità di imparare qualcosa per loro stessi".
Mi mordo l’interno della guancia mentre un ghigno affiora alle mie labbra, mi affretto a far scivolare i capelli in avanti per nascondermi.
Devo seriamente pensare a qualcosa da dire o fare per farlo incuriosire, visto che finora sono solo riuscita a metterlo davanti alla sua imprudenza.
Ohi, non è che adesso se la fa sotto e appena arriva a casa lui e famiglia fanno su le canne e spariscono nel nulla?
Nel caso, li seguo? O è meglio mandare all’attacco qualcun altro?
Ary si divertirebbe un mondo, forse sarebbe anche più adatta, visto la delicatezza della missione.
Ancora meglio sarebbe Fas, visto anche il coinvolgimento di Alice, e sarebbe la scusa per farla tornare in America.
Però… lo spostamento di una delle due dalla loro attuale posizione farebbe scattare sull’attenti Elisabeth, ed anche il mio. Non la voglio in questa storia, non ancora… in realtà la vorrei tenere fuori in assoluto. Ora come ora, se scoprisse cosa sta succedendo, so già quale sarebbe la sua reazione.
Una sua parola, e Forks verrebbe invasa e circondata dai cacciatori. A quel punto si arriverebbe ad un braccio di ferro tra me e lei, uno scontro che non ho la certezza di vincere.
“Peccato per la neve”.
Il commento di Edward interrompe il filo dei miei pensieri, sempre più macabri e angoscianti.
Lo guardo sorpresa, sta veramente parlando del tempo?!
Mi scappa da ridere, ma mi trattengo.
Scuoto la testa e, inarcando un sopracciglio, rispondo con tono un po’ polemico “Non direi”.
È sorpreso.
Bene, ecco la carta vincente: rinunciare ad apparire una persona normale, dire cose strane! Sorprenderlo!
“Il freddo non ti piace”.
Non è una domanda, bravo.
“Nemmeno l’umido” rincaro io, sorprendendomi nel sollievo di dire qualcosa di vero senza dovermi preoccupare di ritorsioni… peccato che stiamo solo parlando del tempo!
Ecco, adesso ho davanti la scena di me ed Edward come presentatori televisivi…
Io faccio l’inviata!
Ok, io il mezzobusto annunciatore...
… ed Edward la meterorina! Vero?! Vero?!
Ovvio! Lo vuoi in giacca e cravatta, maglietta e bermuda o in boxer?
Vedo e rilancio: boxer, più un bikini di noci di cocco e un sombrero in testa!
Mettigli anche una pipa da Gandalf in bocca e ci sto!
Affare e fatto!
Siamo malate…
Perché scusa? Siamo furbe, ottimizziamo le risorse! Mica come quella scema di Lois Laine, che si teneva quel gran figo di Clark Kent come giornalista e per verificare le notizie, invece di verificare altro…
Che hai fatto oggi agli ormoni, cara?
Niente, li sto lasciando passeggiare un po’ a briglia sciolta…sai, stavano facendo la muffa. E comunque ammetterai che Lois è quantomeno egoista! Tenersi tutto quel ben di Dio solo per sé! Almeno fagli fare il meteorino! Così dai un po’ di felicità alle donne americane!
"Per te dev' essere difficile vivere a Forks" osserva Edward, richiamandomi nuovamente alla realtà con una voce bassa, piena, intrisa di una vibrante nota d’accusa.
Potresti rendermi le cose più facili tu…
Aaaargh! Riprendi gli ormoni! Riprendili!
Oh, ma me lo sto immaginando col sombrero e la pipa…
Tu sei pazza, malata, completamente schizzata, ed è evidente che hai bisogno di prendere un po’ d’aria!
È d’altro che ho bisogno, ed anche tu, e non sto sicuramente parlando dell’aria, cara mia!
Perché, perché adesso???
Perché hai un figo pazzesco a meno di un metro di distanza che ti guarda con un’intensità che potrebbe farti sciogliere come burro al sole.
Mi guarda così perché vuole capire perché cavolo sono qui, nonostante mi faccia schifo questo posto!
Beh, potrei suggerirgli un paio di modi per farti cambiare opinione…
Basta! A cuccia, sei in castigo!
“Non lo immagini neppure” mormoro io serrando i denti, così piano che, se non fosse un vampiro, non sarei certa che mi abbia sentito. Spero che attribuisca il mio piccolo scatto di rabbia ad una lotta interiore che non abbia niente a che fare con gli ormoni impazziti della mia vocina inopportuna… cioè, i miei ormoni… però è lei… cioè… insomma… oh, cazzo!
No, di quello non se ne vede da un po’.
Aaaargh! Perché!? Merda!
Ecco, in quella invece ci galleggiamo da un po’, ormai ci siamo abituate…
Signore, ti prego…
Mmm… no, spiacente, non pervenuto. Non in questa vita, almeno.
"Ma allora, perché sei venuta qui?"
Per cadere in uno stato di schizofrenia acuta davanti ad un vampiro!
“È… una storia complicata” dico io, prendendo tempo, mentre mi torturo le mani.
Ok, ora che gli diciamo?
Non lo so, sto ancora cercando di capire perché vorresti vederlo con addosso un bikini di noci di cocco!
Ah ah! Suggestiva come immagine, eh?!
Io direi più ridicola e raccapricciante!
Era solo per ravvivare un po’ il repertorio delle immagini erotiche…
Cosa ci sarebbe di erotico? Insomma, già il sombrero e la pipa…
Quelli li hai proposti tu!
… si, ma ammetterai che LUI sarebbe figo anche con quella roba addosso!
Concordo pienamente, ma allora si può fare lo stesso discorso per il bikini di noci di cocco!
No… insomma… NO!!!
Come sei tradizionalista…
"Penso di poterla capire" insiste Edward, i suoi occhi bruciano di curiosità.
Abbasso i miei sul banco, in parte per raccogliere le idee, e in parte perché non voglio che lui scorga la scintilla di emozione che ha appena brillato dentro di me.
Vuole conoscermi, è curioso di scoprire qualcosa su di me, come io sono curiosa di scoprire tutto il possibile su di lui. Chissà se sarebbe così curioso di conoscermi, se sapesse della psicopatica che alberga stabilmente nella mia testa…
È così strano… questa cosa dovrebbe preoccuparmi almeno un po’, e invece… ne sono felice! Non solo perché ho ottenuto la sua attenzione, ma anche perché questo vuol dire che… ecco, almeno un po’, anche loro possono provare qualcosa di umano come la curiosità.
Risollevo lo sguardo e trovo i suoi occhi, che puntualmente cercano i miei.
“Mia madre si è risposata” dico, di punto in bianco, la voce appena un po’ titubante. Tanto vale dire quanto di vero mi è concesso, se facesse delle ricerche su di me queste sono tutte cose che potrebbe facilmente scoprire, mentire non ha senso.
"Non sembra così complicato" esclama lui, sorridendomi con gentilezza, come se volesse essere comprensivo. "Quando è stato?"
Oddio, ti ho detto che si è risposata, non che è morta!
"Settembre" inspiro pesantemente, ricordando con tristezza il periodo. Il matrimonio è stato carino, una delle solite follie di mia madre, che ci ha trascinati tutti in Messico.
Peccato che quella sia stata l’ultima vacanza che ho fatto con Fas e Ary. 
"E lui non ti piace" tira a indovinare lui, vedendo che non mi presto ad una narrazione continua.
"No, Phil va bene" dico tranquillamente, correggendo la sua congettura. Un po’ mi delude che lui creda che la spiegazione sia così semplice, ma posso capire come, dal suo punto di vista, questa sia la più ovvia. "Forse troppo giovane, ma un bel tipo" aggiungo, con un leggero sorriso al pensiero di Phil, che ha conquistato mia madre un giorno alla volta, lasciandole sempre un mazzo di fiori legato al cancelletto di casa.
Ancora una volta, sembra sorpreso. Secondo i suoi schemi, io dovrei mal tollerare il mio patrigno.
"Perché non sei rimasta con loro?" chiede, la voce carica di quella curiosità che, per qualche strano motivo, mi fa venir voglia di sorridergli. Sembra un bambino che interrompe la favola, per capire tutto e subito.
"Phil viaggia molto. Gioca a baseball. E' un professionista" e qui sorrido davvero, un sorriso un po’ ironico, lo ammetto, ma non posso farne a meno se penso alla scelta di carriera intrapresa da quell’uomo, e a mia madre, che è rimasta colpita anche dal fascino dello sportivo
Anche Edward sorride, e capisco che sta sorridendo con me, partecipe delle buffe vicende della mia famiglia… le poche che possano ritenersi tali, a meno che non si abbia un senso dell’umorismo piuttosto malato e alquanto discutibile. Ma, come si dice a volte, si ride per non piangere.
"Lo conosco?" chiede, e immagino che stia cercando di capire quale, dei tanti giocatori di baseball in circolazione, possa essere il Phil della mamma. "Probabilmente no. Non è un bravo professionista" lo fermo subito, ed ancora, sorrido, perché è evidente che mia madre alla fine si è innamorata dell’uomo, non dell’atleta. "Solo serie minori. Cambia squadra di continuo."
"E tua madre ti ha spedita qui per poterlo seguire" spara sicuro, scegliendo di nuovo l’ipotesi più probabile.
Però, questa volta, mi da un po’ fastidio. L’idea che lui possa pensare che Renèe sia quel tipo di madre: quella che, quando vuole rifarsi una vita con un altro uomo, impacchetta la figlia e la spedisce dal padre, dall’altra parte del Paese, come una scatola piena di cose vecchie, mi disturba.
Sporgo in fuori la mandibola per riflesso e sfrego i molari tra loro in un gesto automatico, che faccio sempre quando devo dire cose che, per qualche motivo, mi indispone dover dire.
"No, non è stata lei a spedirmi qui," dico, premurandomi di imprimere alla voce una nota di nervosismo, come se non mi andasse di parlarne, ed effettivamente è così, ma non per i motivi che voglio che lui intenda. "Sono stata io."
Vedo la sua espressione cambiare: da curiosa si fa indagatrice, da indagatrice si fa confusa, da confusa a completamente persa, e da persa rassegnata.
"Non capisco" ammette e posso immaginarlo mentre sventola con aria smunta una bandierina bianca davanti alla completa mancanza di logica delle mie parole.
Sospiro, preparandomi a dire una mezza verità, consapevole che è la via più sicura per apparire credibile anche in futuro, altrimenti dovrei cominciare a tenere un diario di tutte le balle che invento.
"All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava" spiego lentamente, il tono che diventa più sconsolato ad ogni parola. Mi sento un po’ in colpa, come se stessi sfruttando i problemi di mia madre, ma se penso all’aria spenta che aveva, girando per casa, quando Phil era lontano, mi sento ancora più in colpa e triste per lei. "Era infelice... perciò ho deciso di passare un po' di tempo in famiglia con Charlie" concludo, con un mezzo sorriso. Alla fine, in un modo o nell’altro, sono riuscita a fare qualcosa di buono per ognuno dei membri della mia famiglia, .
"Ma ora sei infelice tu" mormora Edward, come incapace di trattenersi, forse aspettandosi che, ancora una volta, io lo contraddica
No, caro mio, se credi che sia così facile imparare a prevedere le mie reazioni, ti stai sbagliando di grosso.
"E...?" chiedo inarcando un sopracciglio. Mi piace il risvolto che sta prendendo questa conversazione, posso prevedere che idea lui si stia facendo e si farà di me, ma, onestamente, non vedo quale sia il punto nell’osservare il fatto che sono infelice. Non capisco, dove sarebbe la novità?!
"Non mi sembra giusto" esclama, alzando le spalle, vuole apparire indifferente, ma l’intensità del suo sguardo lo tradisce.
Una risata spontanea sgorga dal profondo del mio petto, amara, e, improvvisamente, mi sento vecchia. "Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta."
"Penso di averla già sentita" mormora lui, la stessa amarezza corrode la sua voce.
Lo fisso, questa volta sono io ad essere un po’ confusa. Effettivamente, ora che ci penso, anche lui deve saperne qualcosa dell’infelicità. Dipende dai ricordi della sua vita da umano, o dalla vita che ha ora? Quanto vanno indietro nel tempo i suoi ricordi? È infelice, ora? Vorrebbe non essere ciò che è, come io non vorrei essere ciò che sono, ed è per questo che caccia solo animali?
Il mio arrivo a Forks ha sconvolto la sua vita almeno un decimo di quanto abbia sconvolto la mia?
“E questo è tutto" soffio, scrollando le spalle, cercando di riafferrare la presa sulla situazione. Ci sarà tempo per soddisfare la mia curiosità, ma non è questo.
"Dai buona mostra di te" osserva lui. Parla lentamente, come se stesse valutando accuratamente le parole, così come il suo sguardo passa in rassegna ogni mio lineamento, dal sopracciglio, nuovamente inarcato, alla linea tesa delle labbra. "Ma sono pronto a scommettere che soffri molto più di quanto dai a vedere."
Faccio una smorfia, infastidita. Non sono mai stata il tipo a cui piace farsi compatire, mai! Perciò non c’è niente di incoerente nel mio distogliere lo sguardo, volgendolo ad un punto imprecisato di fronte a me.
"Mi sbaglio?"
No, certo che no! C’ha preso, questo è sicuro, e va bene, tanto vale che capisca anche questo di me, visto che sto facendo questo gioco, mi conviene abituarmi all’idea… ma doveva proprio dirlo ad alta voce?! Insomma, che gli cambiava tenersi le sue deduzioni per sé?
Perché sei così irritabile?
Perché mi da fastidio avere il fianco scoperto!
Mmm… che nervoso! Adesso sorride pure!
Cioè, vede che mi ha fatto girare le scatole, lo sto ignorando, e lui che fa?! Sorride!
No, dico, sorride!!!
"Io credo di no."
Eccolo, lo stronzo! Ho capito perché: gli cambia che gode da matti nell’avere ragione!
È proprio un bambino… ha finalmente trovato il modo di incastrare due tessere di puzzle e gongola per il piccolo successo.
Ma perché deve essere così irritante nel farlo?!
Perché un adulto che gongola è irritante!
"Perché ti dovrebbe interessare?" sbotto, incapace di trattenermi. Sono proprio curiosa di vedere che mi rispondi!
"Questa è una domanda molto sensata" mugugna dopo un momento di silenzio, un po’ spiazzato, e gira la testa dall’altro lato.
Ok, hai fatto un marone!
No, non è vero!
Sì, che è vero!
Cosa volevi che facessi? Che gli dessi una caramella come premio?! Non può insistere così tanto solo per rivendicare il fatto di avere avuto ragione su qualcosa!
E tu che vorresti fargli, una linguaccia?
Non sono una bambina dell’asilo!
Ah, sì?! Perché stavo giusto valutando le offerte di scuole per l’infanzia a Forks! Da quando perdi il controllo in questa maniera?
Disse la ninfomane…
Lo sai che quello era diverso! Devi rimanere concentrata su quello che dici, come lo dici e in base a cosa vuoi che lui pensi di quello che dici, indipendentemente dalle reazioni che ti provoca!
Parli bene tu…
Senti, gli abbiamo dimostrato che: a) non ti piace mostrare le tue debolezze, b) che di conseguenza non ti piace essere compatita, e c) che ti da fastidio che lui ci sia arrivato così in fretta.
No, non è vero, io volevo che ci arrivasse, ma avrei preferito che non me lo sbattesse in faccia.
Il risultato però è quello, lavoraci su!
Agli ordini, sergente di ferro…
"Ti do fastidio?"
Dio, Edward, hai la capacità di fare le domande peggiori del mondo!
Si, mi dai fastidio, ok?!
"Non esattamente" dico, tornando a guardarlo negli occhi, giusto perché la smetta di sorridere in quel modo, che, oltre ad essere irritante, è anche dannatamente…
Sexy?
Vai a gongolare da un’altra parte, lurida doppiogiochista!
"Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto” spiattello imbronciata. Mia madre lo dice davvero, solo che di solito lo dice dopo che io l’ho appena raggirata con una smorfia o una finta-pessima-bugia. Un libro aperto… criptato, forse.
Edward mi fissa, sconcertato. Che ho detto di strano?!
"Al contrario" dice lentamente, una nota di cautela nella voce che mi fa pensare che stia cercando di dirmi qualcosa, senza in realtà dirmi troppo. "Per me tu sei molto difficile da leggere."
Mmm… interessante. So di averlo sorpreso, ma lui mi sta dicendo che non è abituato a farsi sorprendere dalle persone.
"Devi essere un bravo lettore, allora" indovino, imitando la sua tecnica per tirarmi fuori informazioni. Dal piccolo scatto che hanno fatto le sue palpebre, devo dedurre che ho toccato una corda sensibile per la terza volta in meno di un’ora. "Di solito sì" concorda, annuendo.
Ed ora mi sorride… cosa stai cercando di dirmi, Cullen, con questo sorriso a zanne scoperte? Speri che mi ritragga? Che intuisca qualcosa? Vuoi che scappi, o che capisca?
Questo vampiro è proprio strano, e il pensiero mi fa sorridere di rimando.
Banner richiama la classe all’ordine e sento i sospiri rassegnati di chi, disperato, non ha ancora ultimato l’esperienza.
Mi volto verso la cattedra, facendo attenzione a non muovere eccessivamente la testa, ci manca solo che i miei capelli svolazzino e mandino una bella zaffata del mio profumo ad Edward, rovinando tutto il mio lavoro. Il professore procede ad illustrare la correzione dell’esercizio attraverso le diapositive. Accanto a me, Edward sembra abbastanza tranquillo. Presto attenzione per qualche minuto alle parole del professore, non tanto perché dica delle novità, ma per dare l’impressione di essere la studentessa responsabile e diligente che si suppone sia Bella Swan, giusto per riappropriarmi dei panni che ho vestito in questa scuola e in quella precedente e che, per qualche strana ragione, sembrano essermisi ristretti addosso nel giro dell’ultima ora.
Rilasso le spalle e mi infilo distrattamente le mani in tasca, giusto per metterle da qualche parte.
Trovo l’accendino, un anonimo accendino rosso, niente di elaborato, e, sempre per aver qualcosa da fare, lo tiro fuori e comincio a giocherellarci, facendolo scivolare tra le dita.
“Da quant’è che fumi?” mi chiede sottovoce Edward, senza muoversi dal suo posto, e nella sua voce noto un nota di divertimento.
Di nuovo, mi spunta il sorriso. Forse perché è la seconda volta oggi che rievoco il ricordo della mia prima sigaretta.
“Da un po’” rispondo vaga, roteando l’accendino tra l’indice e medio. “Ero riuscita a smettere qualche mese fa” aggiungo distrattamente, “ma il trasferimento ha ridimensionato i miei buoni propositi”.
“Troppo stressante?” chiede con un sogghigno, quando mi volto appena a guardarlo.
“Mmm… anche. Diciamo però che non avere intorno il salutismo di mia madre ha aiutato”  ridacchio sottovoce.
“Ah, ora capisco” dice lui, facendo schioccare la lingua, “in realtà hai lasciato Phoenix solo per poter riprendere a fumare in santa pace!”
Mi copro la bocca con la mano libera per nascondere la risata che mi sorge spontanea.
“Cavolo! Mi hai beccata!” ghigno, le spalle appena scosse dal riso silenzioso.
Lui alza gli occhi al cielo e scuote la testa con fare teatrale.
“Lo sai che quella roba uccide, vero?!” esclama polemico.
Oh, detta da lui questa è proprio bella.
“Lo sai che qualsiasi cosa può uccidermi, vero?!” dico io, imitandolo e inarcando un sopracciglio. “Una fuga di gas, un incidente stradale, un fulmine, un asteroide che potrebbe colpire la scuola nel giro di pochi secondi… volendo, anche tu potresti uccidermi” dico, scrollando le spalle, e noto la tensione irrigidire i suoi lineamenti e tutto il suo corpo. Non ha senso dell’umorismo?!
“Ed anche se così non fosse, ogni secondo che passa, centinaia di cellule nel mio corpo muoiono. Ogni minuto che passa sono un po’ più vecchia e più vicina alla morte. Quindi…” concludo, facendo spallucce. Lui mi squadra, ancora in tensione. Sembra arrabbiato.
“Quindi… Carpe diem[1]!” dice, guardandomi di sottecchi.
“Mmm… diciamo più Memento mori[2]” replico con una smorfia.
“Ah… Vanitas vanitatum et omnia vanitas[3]” fa lui, accompagnando la citazione con un gesto elegante della mano.
“Non val cosa nessuna. I moti tuoi, nè di sospiri è degna la terra. Amaro e noia. La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo[4]” cito a memoria, fissandolo con freddezza mentre osservo la sua reazione alla mia risposta in perfetto italiano. Se è un battaglia filosofico- letteraria che vuole, ha trovato pane per i suoi denti. Scelga la sua arma, signor Cullen.
L’assurdità della cosa non ti sfiora minimamente, vero?!
Shht! Sto pensando alla prossima mossa!
Me ne lavo le mani…
Ah ah, ci sei dentro anche tu! Ah ah!
Edward sembra colpito e, infatti, china il capo, in segno di ammirazione.
“Amante della letteratura italiana?” mi chiede, con un sorrisetto obliquo che lo fa somigliare ad un Peter Pan troppo cresciuto.
Scrollo le spalle. “Solo alcuni autori… Leopardi è uno di quelli che preferisco” spiego.
“E li hai studiati in lingua originale?” esclama con un tono sorpreso che è tutto un programma.
“Beh, qualsiasi poesia, se privata della struttura linguistica e musicale con cui è stata creata, perde d’intensità” spiego con fare ovvio.
Annuisce, lo sguardo assorto mentre mi guarda.
Credo di averlo sorpreso sul serio questa volta.
“Signorina Swan!”
La voce di Banner è come uno schiocco di frusta. Mi irrigidisco e, in un barlume di lucidità, mi premuro di sbiancare mentre mi volto, con cautela, verso la cattedra.
“Vorrebbe condividere con il resto della classe la sua voce spiegando che fase della mitosi è questa” dice, indicando con la mano l’immagine proiettata sul muro bianco accanto alla lavagna, “e descriverne le caratteristiche?”.
Che rompipalle… tutti stanno chiacchierando, tutti! Io non parlo mai! E per una volta che lo faccio mi riprende! Ma vaffa…
“Si tratta dell’anafase, la penultima fase del ciclo mitotico. Durante l'anafase, i cromatidi fratelli si separano tra loro e migrano verso i due centrosomi, ai poli opposti della cellula. Si riconoscono due momenti, chiamati anafase A e anafase B. Nella prima si assiste alla separazione dei due cromatidi fratelli ad opera di un enzima, chiamato separasi, con relativa migrazione degli stessi grazie a proteine motorie, tipo dineine citoplasmatiche, presenti a livello del cinetocore. Nell'anafase B si assiste al reciproco scorrimento dei microtubuli polari del fuso mitotico con conseguente allontanamento dei due centrosomi verso direzioni opposte. Pertanto si ottiene il ripristino, per ogni polo, del numero originario di cromosomi.5”
La mia spiegazione, spiattellata a macchinetta, sembra soddisfarlo, anche se la sua smorfia polemica mi dice che sperava che non sapessi rispondere tanto prontamente.
“Bene” esclama infatti con fare stizzito, passando subito dopo alla spiegazione della fase successiva.
Sbuffo dal naso, infastidita. Chi pensava che Banner potesse essere così meschino.
“Non era del tutto convinto che tu fossi preparata sul programma” soffia tra i denti Edward, forse cercando di non attirare nuovamente l’attenzione del prof.
Imito il suo intento e non giro la testa per guardarlo in faccia mentre rispondo. “Certo, chiunque sarebbe in grado di memorizzare definizione accademica e foto dimostrativa dal libro di testo ed associarle ad un qualunque campione osservabile in laboratorio” commento secca, non del tutto sarcastica però. Alla fine non è che quello affrontato fosse un esperimento dove si richiedeva una capacità deduttiva e di osservazione superiori alla media. Forse Banner pensava che Edward mi avesse aiutata.
“Sì, beh, visti gli esempi che si ritrova in classe…” commenta lui, bloccandosi subito, forse accorgendosi di non aver detto una cosa molto carina.
“Ah ah, effettivamente!” sogghigno io, trattenendomi a stento da lanciare un’occhiata alle mie spalle, dove Mike ha ancora il libro aperto sotto il banco. Edward sorride di nuovo, il suo sorriso da Peter Pan, capendo che non ha fatto la parte del maleducato o dell’arrogante. O forse sì, ma, nel caso, l’abbiamo fatta entrambi. Gli importa davvero così tanto farmi una buona impressione?!
La campanella suona.
È come se una bolla di sapone, che fino ad ora, aveva avvolto l’aula di biologia, improvvisamente fosse scoppiata.
Ci alziamo entrambi, io lentamente, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi che possano creare spiacevoli spostamenti d’aria, e lui, con altrettanta cautela, si muove senza rischiare di sfiorarmi.
Infilo tutto nella borsa e, quando sollevo gli occhi, lui è ancora lì.
Mi ha aspettato.
Che carino…
È un uomo di altri tempi, questo è sicuro.
Stiracchio un sorriso imbarazzato, e, insieme, ci avviamo alla porta dell’aula.
“Che lezione hai adesso?” mi chiede lieve, mentre mi cede il passo per uscire per prima dalla porta.
“Ginnastica” mastico, roteando gli occhi, in modo eloquente.
Lui ridacchia.
Che bella risata…
Sì, lo so… è un vampiro! Ti pare che ci sia qualcosa di apparentemente non piacevole in lui?!
“Tu?” chiedo io, giusto per rimanere sul lieve, tanto conosco già la sua tabella oraria a memoria.
“Spagnolo” esclama asciutto, la materia lo lascia indifferente.
“Beh” scrollo le spalle, “già meglio!”
Lui ride di nuovo. La sua risata è calda, ma leggera. Chissà se era così anche quando era umano?
“Ci vediamo, allora” dico, rendendomi conto che è meglio tagliare.
“Ci vediamo” replica lui, sempre con quel sorriso da Peter Pan, sul quale è meglio che non mi soffermi.
Si volta e s’incammina verso la sua lezione, dalla parte opposta alla palestra.
 
 
 
Qualcuno un giorno mi dovrà spiegare perché qui piove continuamente!
Perché sei sulla costa del Pacifico, piuttosto a nord, ci sono le montagne vicino alla costa…
Miss Ovvietà è pregata di staccare la spina, grazie!
Non posso nemmeno accendermi una dannatissima sigaretta, porca miseria!
E al diavolo la lezione di ginnastica, e, ovviamente, Mike Newton. Quel ragazzo, prima o poi, diventerà calvo, con tutti gli accidenti che gli tiro…
Mi stringo nella giacca a vento e sistemo meglio la cinghia della borsa.
E dire che solo un’ora fa ero di ottimo umore… non posso nemmeno dire di essere meteoropatica, perché tanto qui piove sempre, e quindi il tempo non cambia mai!
Guardo con astio le nuvole sopra di me, e sono sicura che qualcuno, da qualche parte, sta ridendo. Sicuramente quelle due sceme se la stanno facendo addosso dal ridere, ma chissà, forse anche qualche essere superiore trae godimento dalle mie disgrazie, e si premura che queste non debbano mai avere fine.
Infatti il mio dannatissimo pick up è dalla dannatissima parte opposta del dannatissimo parcheggio.
Ehi, ma che… che cavolo ci fa Edward, fermo, sotto la pioggia?
Devo passargli per forza davanti per arrivare al pick up… che faccio?
È lì, appoggiato alla fiancata della sua Volvo argentata, col cappuccio alzato, zuppo di pioggia, che mi guarda.
Oh, sì, mi guarda.
Ok, se è quello che vuoi, Cullen…
Mi incammino, avvicinandomi sempre di più, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata perplessa. Quando sono a tre metri dalla sua Volvo, ma sempre sulla linea per raggiungere la mia macchina, mi fermo in attimo a sorridergli e, ridendo, gli chiedo “Ma che fai?”
Lui ride e scuote la testa. “Aspetto i miei fratelli” esclama in un mezzo sorriso, una goccia di pioggia che gli cade sul naso e resta appesa alla punta per qualche secondo gli da un’aria estremamente umana.
Io scuoto la testa sorridendo, con naturalezza faccio qualche passo verso di lui, senza avvicinarmi troppo però. Posso solo immaginare quanto debba risultare intenso, per lui, il mio odore con la pioggia.
“E non sarebbe meglio aspettarli, al coperto e al caldo, in macchina?” chiedo inarcando il sopracciglio.
“Forse”, dice lui con naturalezza, ma vedo che non sta respirando. “Ma stamattina li ho fatti scendere prima di parcheggiare, e così mi troveranno più in fretta.”
Una spiegazione ottima, non c’è che dire… chissà perché, però, ho come la sensazione che stesse aspettando me, non i suoi fratelli.
“Mm… e aspettare di vederli uscire e solo a quel punto scendere dall’auto per fargli segno?” chiedo, una risatina che preme per uscire.
Lui affila lo sguardo, si è accorto che lo sto sottilmente prendendo in giro. Sottilmente, eh!
“Non a tutti da fastidio la pioggia…” commenta lui, facendo schioccare la lingua.
Io faccio una smorfia divertita, il massimo che mi posso concedere credo. “Immagino che sia così…”
Chissà perché io e lui finiamo sempre a parlare del tempo.
È solo la seconda volta che parlate!
Due su due, ti sembra poco?
“Ah, senti” dico, arrossendo tatticamente, “non è che per caso, tra gli appunti che ho dato a tua sorella, hai trovato un foglio con degli esercizi di trigonometria? Non lo trovo più da nessuna parte, e prima mi è venuto in mente che potrebbe essere rimasto in mezzo a quelli…”
E non l’avresti nemmeno fatto apposta, vero?!
Mi picchietto mentalmente la punta del naso e ghigno alla mia vocina.
Lui mi guarda, sorpreso, ed esclama “Non mi ricordo onestamente… appena arrivo a casa ci guardo”.
Arrossisco ancora di più, immagino che a questo punto le mie guance saranno degne del premio Pomodoro Maturo dell’anno.
“Ti ringrazio e… scusa il disturbo, sono un vero disastro!” dico imbarazzata, alzo gli occhi al cielo in un’espressione di esasperato rimprovero a me stessa. “Ma figurati, nessun disturbo” mi assicura lui.
Un vero gentiluomo.
Un refolo d’aria umida mi porta l’odore dei suoi fratelli. Sono in fondo al parcheggio.
Vorrei parlare con Alice, ma… no, meglio non tirare troppo la corda, ho già sfidato la fortuna a sufficienza per oggi. E poi, con questa pioggia… all’aperto… no, decisamente non è un terreno di gioco favorevole.
“Beh, grazie mille comunque, davvero!” esclamo io, suono così sinceramente grata ed imbarazzata che quasi mi farei un applauso da sola. “Ora vado, c’è un freddo terribile qui fuori” dico, stringendomi nelle spalle, come per immergermi di più nel piumino.
“Certo, per una freddolosa come te, queste sono temperature polari!” esclama lui, con fare serio.
Non capisco, sfotte, o fa dell’autoironia?! Probabilmente entrambe le cose.
Vorrei tanto fargli una linguaccia! Mi limiterò ad una smorfia buffa, arricciando naso e bocca.
Mi allontano sotto la pioggia.
Il suo “A domani” mi raggiunge dopo due secondi.
Mi giro e ricambio il saluto, accompagnandolo con un gesto della mano.
Veloce mi volto di nuovo e cammino velocemente fino al pick up.
Apro con slancio la portiera e butto dentro prima la borsa dei libri. Salto su e, mentre mi volto per richiudere lo sportello, sento un trillante “Ciao Bella!”, che mi fa scattare con gli occhi verso il parcheggio.
Accanto alla Volvo argentata, una figura minuta e col braccio alzato, sventola la mano in aria allegramente.
Allibita, rispondo al saluto agitando la mano allo stesso modo e sorrido, non mi sembra il caso di mettermi ad urlare da qui “Ciao Alice!”.
È una ragazza molto espansiva, evidentemente.
Il vampiro-folletto mi sorride e, saltellando, sale in macchina, nel posto accanto al guidatore.
Accanto ad Edward.
Chiudo la portiera, forte, e mi scrollo di dosso il cappuccio e gli schizzi d’acqua che mi sono arrivati comunque in faccia.
Accendo a manetta il riscaldamento e mi piazzo direttamente davanti alla ventola, sperando che il getto d’aria asciughi in fretta i capelli. Con calma metto in moto il mio mezzo anteguerra, che, con un rumore molto più discreto, grazie alle cure di Cameron, si avvia, e, con gesti fluidi e sicuri, guido fuori dal parcheggio, diretta verso casa.




Note

[1]
Carpe diem (latino classico), letteralmente "cogli il giorno", normalmente tradotta in "cogli l'attimo", anche se la traduzione più appropriata sarebbe "vivi il presente" (non pensando al futuro) è una locuzione tratta dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8). Viene di norma citata in questa forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: "quam minimum credula postero" ("confidando il meno possibile nel domani").
La «filosofia» oraziana del carpe diem si fonda sulla considerazione che all'uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di determinarlo. Solo sul presente l'uomo può intervenire e solo sul presente, quindi, devono concentrarsi le sue azioni, che, in ogni sua manifestazione, deve sempre cercare di cogliere le occasioni, le opportunità, le gioie che si presentano oggi, senza alcun condizionamento derivante da ipotetiche speranze o ansiosi timori per il futuro. Edward cita il Carpe diem, ma non è appropriata come citazione, perché Bella vive si il giorno, ma con uno spirito nichilista che non è propria dell’accezione con cui è intesa quest’espressione latina.
 
 
[2] Memento mori: Memento mori (letteralmente: Ricordati che devi morire) è una nota locuzione in lingua latina.
La frase trae origine da una particolare usanza tipica dell'antica Roma: quando un generale rientrava nella città dopo un trionfo bellico e sfilando nelle strade raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle smanie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse, un servo dei più umili veniva incaricato di ricordare all'autore dell'impresa la sua natura umana: lo faceva pronunciando questa frase. Era il motto di Savonarola. Bella lo riprende perché si avvicina di più alla sua visione negativa delle cose, non vive il giorno perché ogni attimo è prezioso, ma perché tanto deve morire, quindi tanto vale vivere alla giornata.
 
[3] Frase biblica vanitas vanitatum et omnia vanitas e, come il memento mori, è un ammonimento all'effimera condizione dell'esistenza. Edward qui coglie il punto, tutto è vano, qualsiasi cosa si faccia, sia essa bella o brutta, è insignificante davanti alla morte.
 
[4] Giacomo Leopardi, A se stesso, Ciclo di Aspasia. Bella cita Leopardi perché è perfetto per esprimere la sua visione nichilista, ma soprattutto, ed è per questo che è uno dei suoi autori preferiti, perché egli si sente tradito dalla Natura, che gli aveva fatto delle promesse e non le ha mantenute. Non sono qui per fare una lezione di letteratura italiana, ma se ci pensate, di motivi per immedesimarsi nel pensiero leopardiano Bella ne ha parecchi.
 
[5] Anafase: la spiegazione è presa direttamente da wikipedia.

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Capitolo 11
*** Losing my religion ***


Saaalve! Credo di aver capito una cosa sull’ispirazione: arriva nei momenti meno opportuni, e cioè esattamente quando dovrei preparare degli esami -.-‘Allora, finalmente ci siamo, il capitolo dell’incidete. So che molti lo aspettavano e… boh, spero che non ne rimaniate troppo delusi. Intanto vedrete che ho inserito una sorpresina, tanto per movimentare un po’ le cose, per il resto la linea d’azione rimane la stessa. Vi ringrazio tantissimo per la pazienza che portate con me, mi rendo conto che è snervante un andamento così incostante negli aggiornamenti, ma una cosa ve l’assicuro: non abbandonerò questa storia! Potrà passare qualche mese tra un aggiornamento e l’altro, purtroppo i vari impegni, gli esami, e l’ispirazione non sempre favorevole e presente non mi permettono di scrivere quanto vorrei, però non intendo mollare. Tra l’altro in questi mesi ho continuato a elaborare la trama e ormai è diventata talmente fitta e i nuovi personaggi talmente intriganti che faccio fatica a pensare che, all’inizio, avevo cominciato questa FF quasi per scherzo.
Grazie per le bellissime recensioni, le vostre parole mi entusiasmano e rileggerle è sempre un incentivo per andare avanti a scrivere. In particolare nell’ultimo capitolo, adesso non starò a parlare di numeri, ma è in assoluto il più letto di quelli postati finora, cosa che mi ha fatto immensamente piacere. Sia chiaro, mi rendo conto che il merito non è mio, ma del fascino irresistibile di Edward in bikini di noci di cocco che fuma la pipa. Lo so, è davvero sexy in questo outfit sbarazzino e provocante! xD  Ok, finisco di fare la deficiente e vi lasco alla lettura. Volevo solo specificare una cosa, sono diversi capitoli che mi riprometto di farlo, ma me lo dimentico sempre; sapete che, per quanto mi è possibile, cerco di seguire la linea del canon, anche se è evidente che questa storia è tutto meno che canon, e per farlo mi servo fondamentalmente di due fonti: il libro di Twilight e i capitoli, disponibili sul sito della Meyer (sapete tutti la vicenda, non sto qui a spiegare) tratti da Midnight Sun, la versione di Twilight dal punto di vista di Edward.Che altro… ah, sì! Ho creato una nuova pagina facebook ( https://www.facebook.com/artemys.efp.14 ) per il mio profilo di EFP, d’ora in poi cercherò di seguirla meglio, postando di tanto in tanto qualche spoiler e… vedremo ;-)
Spero a presto, buona lettura!!!
Artemys


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 Losing my religion

 
 
Numeri.
Tanti numeri.
Troppi numeri.
Chiudo il file di Excel, l’ultimo per oggi, o rischio seriamente di sbarellare.
Mi stiracchio sulla sedia, allungando i muscoli delle braccia, inarcando la schiena e puntando i piedi come una ballerina. Odio le scartoffie.
Preparo una e-mail da spedire ad  Elizabeth con allegati i file già controllati, così poi non ci penso più… fino a domani. Sbuffo mentre aspetto che si carichi il file zip e gioco con il ricciolo in fondo alla treccia in cui ho raccolto i capelli.
Finalmente!
 


Ciao Elizabeth,

ecco i conti di questo mese dei clan della costa est, ovest e del nord Europa, come sempre il lavoro delle ragazze era perfetto, ma ho controllato tutto comunque. Ti manderò il resto nei prossimi giorni, anche se ti avverto che siamo un po’ indietro sul fronte russo. Bella ha parlato con Sasha, il nuovo Capo- area della Russia asiatica. Ci hanno mandato una serie di dati contraddittori, così ha pensato di chiamarlo, perché ha detto che, conoscendolo, era strano che permettesse che un simile caos venisse fuori dai suoi. Infatti è saltato fuori che stanno avendo un bel po’ di problemi nel Territorio della Tranbajkalia, nel Distretto Federale Siberiano, al confine con la Cina nord-orientale. Hanno registrato un incremento di decessi preoccupante, puoi immaginare in quella zona cosa voglia dire, e hanno mandato una pattuglia in ricognizione. Di 15 sono tornati in 7, 3 feriti gravi. Si sono imbattuti in una compagine superstite di uno degli eserciti di neonati sopravvissuta alla battaglia dei clan vampiri di Daxing’anling avvenuta un mese fa, che ha attraversato il confine e si è nascosta tra le montagne. Il problema è che Syaoran, che supervisiona la provincia di Heilongjiang, non ha comunicato ai Clan di confine nessuna fuga di vampiri dalla sua area di competenza, non si capisce se per inefficienza sua e dei suoi nelle procedure burocratiche, e in quel caso bisogna capire di chi sia la responsabilità e se sia stata una svista o un tentativo di insabbiare un ride fallimentare dei loro ranger condotto con metodi irregolari, che è l’altra possibilità. Sasha ha preteso una verifica, e ha voluto che uno dei suoi venisse mandato sul posto per assistervi. Bella ha contattato Flora, che è già in viaggio per Daxing’anling,  una volta là comincerà a revisionare i verbali insieme a quest’altra, Karina, per cercare di capire che è successo e, nel caso, di chi sia la responsabilità. Comunque, il caos nei dati dei russi è dato fondamentalmente dal fatto che non riescono a capire quanti siano i neonati, quante siano le persone scomparse potenzialmente trasformate, ecc. Il territorio è completamente montuoso e ci sono diverse zone d’ombra, quindi le ricerche sono difficili e rischiose. Sasha sta ridistribuendo le squadre di ranger nella sua area, in modo da poter inviare un contingente adeguato, ma pretende, visto che è una zona di confine e parte della responsabilità è dei cinesi, che Syaoran invii rinforzi, in modo da accerchiare il nemico ed evitare ulteriori fughe. Sono stati allertati anche i Capi clan responsabili dei territori confinanti la zona calda, fortunatamente sono tutti sotto la sovrintendenza o di Sasha o di Syaoran. Di buono, in tutto questo casino, c’è che se i Volturi non sono intervenuti per sedare i tumulti di un mese fa, non interverranno certo per questo, che è decisamente di scala molto inferiore. In ogni caso Bella sta seguendo la cosa da vicino, appena Flora arriverà là scansionerà tutti i verbali, così potrà controllare anche lei, e nel frattempo terrà calmo Sasha, che ovviamente è incazzato come una pantera per tutta questa storia. Sta certa che alla prossima riunione del Consiglio farà pressione su Shang perché Syaoran venga sostituito, è convinto dell’ipotesi dell’insabbiamento e che lui ne fosse informato. A scanso di equivoci, Bella ha già contattato Shang, per metterlo a parte della cosa, ed ha inviato un ordine ai Capi dei singoli clan che hanno partecipato alla soppressione dei tumulti del mese scorso perché mettano a disposizione di Flora tutto il materiale necessario alla verifica e perché redigano un rapporto sull’operato di Syaoran da quando è in servizio e lo mandino direttamente a Shang, il quale ha convenuto con lei che per il momento, fino a che il Consiglio non si riunirà e potrà discutere della questione, è opportuno sospendere Syaoran, la carica passa quindi al suo vice, Jun, che si sta’ coordinando con Sasha per risolvere opportunamente la situazione sul campo. Stai tranquilla, entro la prossima riunione del Consiglio avrai tutti i dati, Bella ha detto che si occuperà lei del fascicolo sull’intera questione e di fartelo avere.

A presto.

 


Invio la mail incrociando le dita. Situazioni del genere capitano di tanto in tanto, ed Elizabeth sa bene come gestirle, ma so già che storcerà il naso. Con Bella mi sento in una botte di ferro, io, ma lei sicuramente avrà da ridire. Mi alzo dalla sedia e mi sgranchisco un po’ le gambe facendo su e giù per la stanza. Mi avvicino alla finestra, la vista del cortile del campus pieno dell’allegro via-vai della vita universitaria non riesce a rasserenarmi. Sono tesa, e purtroppo non a causa del triplo caffè che mi sono scolata. Beh, forse quello contribuisce al battere tachicardico del mio cuore.
Controllo per l’ennesima volta il quadrante del mio orologio da polso: le 10:30.
Bella è seduta nella sua cucina a Forks, sta facendo colazione con una mega tazza di cereali inzuppati di caffè-latte. Tre parti di caffè, una di latte, ovviamente. Ha due occhiaie che, ne sono certa, fanno concorrenza alle mie. È stata una lunga notte, passata a sbrogliare questi casini burocratici e non, che hanno richiesto una non piccola dose di pazienza e diplomazia.
Per fortuna Bella è in buoni rapporti con Sasha e Shang da prima che venissero eletti Capi-area, io li ho incontrati solo una volta e non avrei saputo gestirli. Poi, con Flora sul posto, saremo tutte più tranquille, anche se sono certa che Elizabeth avrebbe preferito una Cacciatrice più anziana.
Vorrei che questo casino non fosse saltato fuori proprio adesso, o almeno, avrei voluto poterne tenere fuori Bella, che ha altro a cui pensare, ma ieri sera non c’è stato modo di mettere da parte la cosa. Sono sicura che ha preferito distrarsi, concentrandosi sulle problematiche dei clan, per non farsi prendere dal nervosismo, ma non credo che questa nottata in bianco sia stata una mossa saggia.
Sono preoccupata per lei, la vedo instabile, più del solito.
Fa errori, è imprudente, si distrae e le sfuggono particolari che, normalmente, le salterebbero agli occhi.
Come il fatto che Edward l’ha capita perfettamente quando ha citato Leopardi in italiano. Voglio dire, ok il latino, ma l’italiano?
È troppo coinvolta, troppo affascinata da questi vampiri, e non ha nemmeno un vero piano.
Senza contare che, se Elizabeth scopre cosa sta succedendo, viene giù il finimondo.
Bella ha un bel da dire “Tienila lontana”, ma Elizabeth non vede l’ora di beccarla col piede fuori dal tracciato, e quello che sta facendo è molto, molto fuori dal tracciato. Sta mettendo in discussione tutto
È vero, la prima reazione sarebbe condurre un attacco per eliminare la famiglia di vampiri… “famiglia”… ancora non ci credo… ma Bella non si rende conto di quelle che potrebbero essere le conseguenze per lei. O forse lo sa, ma non le importa, e questo mi preoccupa ancora di più.
Il mio letto ha un’aria così invitante…
Lentamente, con movimenti da bradipo sulla via del letargo (ma i bradipi ci vanno in letargo?), mi dirigo verso le soffici coltri turchine, che mi chiamano soavi con la voce di Morfeo.
Avrei proprio bisogno di riposarmi, ma la mia mente si rifiuta di spegnersi e, di nuovo, non so se sia per colpa del triplo caffè o se per l’ansia.
Sarà sempre così?
Ogni giorno che Bella si alzerà per andare incontro ad una giornata in cui rischia di essere fatta a brandelli da un vampiro con disturbi comportamentali, io avrò questa insopprimibile ansia che mi fa correre il cuore a ritmo forsennato, indipendentemente da quanto possa essere stanca?!
Forse è ora di tagliare col caffè… e incrementare le sigarette.
Chissà quando arriverà il pacco di Teresa…
Vago con gli occhi, spostando la mia attenzione sugli oggetti familiari che occupano la mia stanza da collegiale. Ringrazio mille e mille volte l’influenza di Elizabeth, che mi ha permesso di ottenere una singola. Ho bisogno dei miei spazi e della mia privacy.
Tra tre quarti d’ora ho lezione… porca-vacca-ladra-la-miseria!!!
Con un colpo di reni mi tiro su dal letto, agguanto il beauty dal comodino, l’accappatoio appeso al gancio dietro la porta insieme all’asciugamano, infilo le ciabatte ed esco in corridoio, ben attenta a tirarmi dietro la porta, diretta al bagno comune, per farmi una doccia.
Cammino rasente al muro per evitare di essere investita dalle ragazze, che fanno su e giù dalle loro stanze nel cambio d’ora correndo come se ne andasse della loro vita per recuperare un libro, o che so io. La vita universitaria è folle, ma mi piace.
Mi infilo nel bagno, due ragazze del mio anno hanno conquistato due dei lavandini e disposto il loro arsenale di cosmetici sulla mensolina dello specchio. Storco il naso e mi viene da ridere guardando la più bassa delle due alzarsi sulle punte e protendersi verso lo specchio armata di rossetto. Sporge le labbra sottili in fuori, in una posa che Fas definisce, con tutta la sua finezza, “a culo d’uccello”.
“Ciao Arsinoe” mi salutano in coro, distogliendo appena gli occhi dal loro riflesso.
“Ciao ragazze” sorrido, accennando un saluto con la mano.
Punto alle docce in fondo alla stanza e mi infilo in uno dei cubicoli.
Sarò al sicuro qui dentro?
“Passato una bella nottata?” trilla la nana, la voce acuta resa ancora più fastidiosa dall’eco riverberato dalle piastrelle.
Domandaevidentemente inutile. Oh, non sta zitta manco mentre si mette il rossetto!
“Ho studiato fino a tardi per un parziale della settimana prossima…” replico scocciata, so che non le sono sfuggite le mio occhiaie, altrimenti avrebbe fatto come le persone normali e chiesto se avessi dormito bene.
Mi svesto velocemente e accendo l’acqua della doccia, prima che mi attacchi la pezza.
Grazie al cielo non è in corso con me, già condividere il piano del dormitorio è uno strazio. Devo ricordarmi di mettere in guardia Andrew, l’ultima volta che è venuto a trovarmi gli ha fatto una radiografia così sfacciata che avrei voluto cavarle gli occhi dalle orbite.
Sotto il getto d’acqua fresca mi sento rinascere. Mi sfrego bene con la spugna, il mio docciaschiuma alla vaniglia sprigiona il suo profumo, la mia coccola giornaliera.
Vorrei lavarmi i capelli, ma non faccio in tempo… va beh, più tardi magari, ora l’importante è darmi una svegliata.
Giro la manopola della temperatura tutta sul blu, l’acqua diventa gradatamente gelida e, stringendo i denti, faccio lentamente due giri su me stessa, rimanendo sotto il getto.
Giro la manopola tutta sul rosso e di nuovo, giro lentamente due volte.
Ripeto il mio rituale tre volte finché, soddisfatta e con la pelle notevolmente arrossata, chiudo completamente l’acqua della doccia.
Mi asciugo alla bell’e meglio con l’asciugamano, infilo le ciabatte e mi avvolgo nel mio accappatoio celeste, faccio su velocemente le mie cose ed esco dal cubicolo.
Le altre due, per fortuna, se ne sono andate, il bagno è tutto per me.
Mi lavo i denti, la faccia, deodorante… e via, di nuovo in camera.
Appena entrata controllo l’orologio: sono le 10:50, precisa come un orologio svizzero.
Appendo asciugamano e accappatoio al gancio della porta, metto nel cesto i vestiti da lavare e, nuda come mamma mi ha fatta, mi piazzo davanti all’armadio aperto alla ricerca di qualcosa da mettere.
Ho giusto finito di indossare l’intimo quando qualcuno bussa alla porta.
“Amore, sono io, ci sei?”
La voce del mio ragazzo mi arriva leggermente ovattata, ma ha comunque il potere di farmi sussultare il cuore per l’emozione.
Bella e Fas morirebbero dal ridere se mi vedessero in questo momento, mentre scavalco con un saltello la piccola montagna di vestiti che ho buttato a terra, sacrificati sull’altare della moda e dell’umore variabile nella mia ricerca quotidiana dell’outfit perfetto, e ancheggio maliziosa, come se già lui potesse vedermi, verso la porta.
Giro la chiave nella toppa e apro, senza pudore, presentandomi al mio ragazzo sbalordito in mutande e reggiseno.
È interessante come, dopo due mesi che stiamo insieme, si faccia ancora sorprendere da queste mie uscite. Meglio, è più divertente così.
Andrew spalanca i suoi meravigliosi occhi castani e la sua bocca resta bloccata a metà via tra il suo dolcissimo sorriso, con cui aveva progettato di salutarmi, e una O di stupore. Il risultato, nemmeno a dirlo, è alquanto comico.
Resta sgomento sull’uscio ancora qualche secondo, mentre io me ne sto con una mano sulla porta e il peso appoggiato su una gamba, una posa che ritengo sia sufficientemente rilassata e apprezzata dal mio ragazzo, che vedo spostare indeciso lo sguardo dalla curva del mio seno a quella disegnata dall’anca.
Per fortuna si riscuote, credo ricordando che il nostro è un dormitorio misto e che solo un corridoio separa un’orda di universitari in calore dal mio intimo bianco in bella vista. Entra nella mia stanza, sospingendomi indietro e richiudendo la porta alle sue spalle.
Sorrido maliziosa quando vedo la sua mano correre a girare la chiave.
“Ciao” esclamo, come se niente fosse e mi avvicino con un passo, arrivando a sfiorargli il mento con la punta del naso. Adoro che si più alto di me, è una cosa che mi ha sempre fatta impazzire il modo in cui un ragazzo si deve chinare su di me per potermi sfiorare le labbra, come sta facendo Andrew in questo momento.
“Ciao” sussurra con voce roca, accendendo un brivido che dalle mie labbra si propaga fulmineo a tutto il mio corpo, un attimo prima di calare su di me in un bacio dolce ma intenso.
I baci di Andrew sono così, di una dolcezza spiazzante, che mi disarma completamente. Parte piano, con sfioramenti quasi timidi, casti, per poi crescere, come ora, con maggiore pressione, mordicchiandomi il labbro inferiore. Un mano posa delicata sul mio fianco nudo mentre l’altra cerca il mio polso, che sfiora con le dita, massaggiando con lievi tocchi circolari le linee bluastre sotto la pelle. Sale in una carezza leggera, facendomi qualche grattino, che mi fa mugolare soddisfatta sotto le sue labbra sempre più esigenti. Poi, quando la sua mano si sposta, cercando di raggiungere la mia nuca, e con la lingua chiede accesso alle mie labbra, con un passo indietro mi allontano.
Lui rimane lì per un secondo, sorpreso per l’ennesima volta, con le mani sospese in aria dove prima c’era il mio corpo.
A me, ovviamente, scappa da ridere.
“Dispettosa” mugugna imbronciato, mentre io gli mostro un palmo di lingua, proprio come una bambina.
“Devo vestirmi, casanova!” rido, dandogli le spalle e tornando al mio armadio.
Lo sento borbottare qualcosa come “Ah, sì, perché adesso è importante…” mentre si siede sul mio letto.
Controllo di nuovo l’orologio: le 10:55.
Bella sta uscendo di casa… la strada è ghiacciata, meno male che Charlie le ha montato le catene alle ruote prima di uscire. Un pensiero in meno per me! Grazie Charlie!
Vediamo… oh, che cavolo, quant’è difficile ritrovare questi vampiri quando Bella non gli è vicino!
Ah, eccoli, stanno partendo adesso. Edward e Carlisle sono andati a caccia stanotte e… Edward vuole andarsene?!
Se solo si riuscisse a capire qualcosa di più! Tutti questi dialoghi fatti a metà… più li osservo più mi convinco che Edward legga nel pensiero! Alice e gli altri non parlano quasi mai con lui, ma lui sembra sempre rispondere a domande e affermazioni non fatte. Devo parlarne con Bella, appena si degnerà di prestare attenzione. Stanotte ha evitato in tutti i modi di soffermarci sul discorso “Cullen”… forse avrei dovuto insistere di più io, ma con la storia di Sasha e dei cinesi…
“Ehi”.
La voce di Andrew, soffice, calda, vicina al mio orecchio, mi richiama alla realtà. Con le labbra mi sfiora la spalla e la curva della gola, dove deposita un bacio leggero, mentre le sue braccia mi avvolgono in vita, senza costringermi, ma in una stretta abbastanza solida da assicurarsi che, questa volta, non possa sgusciar via. Non che ne abbia l’intenzione.
“Qualcosa non va?” mi chiede, alitandomi sul collo. Io scuoto la testa, non fidandomi della mia voce, e mi appoggio stancamente con la schiena al suo petto, beandomi della serena consapevolezza che la sua figura mi avvolgerà e sosterrà, forte e protettiva, come sempre.
“Mmm… sicura? Non è che magari quei jeans ti hanno offesa?! Li stai guardando male da un po’…” ride contro il mio collo.
Rilasso i muscoli del viso, accorgendomi solo ora di aver corrucciato gli occhi e la bocca mentre osservavo i vampiri  allontanarsi dalla loro casa nel bosco, a bordo della Volvo argentata di Edward.
Scuoto di nuovo la testa, le braccia di Andrew si serrano maggiormente attorno ai miei fianchi e lo sento sospirare contro la mia pelle, inspirando profondamente.
“Ha a che fare col motivo che ti ha tenuta sveglia stanotte?” mi chiede stancamente, una nota amara nella voce. Faccio di nuovo di no con la testa e gli accarezzo un braccio.
“Deduco che tu non sia stata in piedi pensando a me, altrimenti avresti potuto tranquillamente mandarmi un messaggio…”
“Eri di pattuglia stanotte” puntualizzo, infastidita dalla lieve accusa che sento nelle sue parole.
“Ma non stamattina, dalle 4:00 in poi. Lo sai!” rincara, il tono piatto, tranquillo. Forse sono io che ci sento un rancore che non c’è.
“Nel caso ti avrei lasciato andare a riposare, so bene quanto siano pesanti le ronde. Comunque no, visto che ci tieni tanto, non sono rimasta sveglia pensando a te come una principessa imprigionata nella torre nell’attesa spasmodica del suo principe azzurro” replico acida, cercando di divincolarmi dalla sua presa.
Lui allenta la stretta, ma solo per farmi girare verso di lui e poi rinserrare la morsa delle sue braccia intorno ai miei fianchi. Forte, ma mai tanto da farmi male.
Assicurandosi di avermi ben salda contro di lui, con una mano corre alla punta della mia treccia, sfregando la ciocca dorata tra i polpastrelli di indice e pollice.
“Sì” sussurra, “Lo so che non sei una principessa”.
 I sottointesi di cui sono intrise le sue parole mi si riversano sulla pelle come una pioggerella estiva.
Sì, lui lo sa.
Sollevo lo sguardo, e lui è lì, con i suoi dolci e caldi occhi castani che mi fissano, mi cercano, attendendo risposte, spiegazioni, che sa perfettamente che potrebbero anche non arrivare, sa anche questo, ma ogni volta che, invece, gliene do, per lui hanno un significato molto più alto del contenuto delle mie parole: sono un passo in più che io faccio verso di lui.
Rispetto a Bella e Fas, io ho meno problemi ad instaurare legami profondi con i ragazzi che frequento, anche se non è mai un processo facile, né per me, né per loro, ed ogni volta che, alla fine, mi arriva puntualmente la consueta legnata sui denti, è sempre più difficile aprirmi. Ma almeno io ci provo.
Inspiro profondamente ed esclamo “Ho fatto nottata lavorando con Bella ad un problema tra dei clan al confine tra Russia e Cina”.
Lui rimane un momento a guardarmi, studiando le ombre sotto ai miei occhi e le mie labbra martoriate dal brutto vizio di mangiarmele quando sono concentrata su un problema. D’altra parte, fatte fuori unghie e pellicine, mi restano o loro o i capelli.
No, i miei adorati capelli no!
Andrew sospira e si china sul mio viso, ma solo per appoggiare le labbra sulla mia fronte in un bacio tenero, protettivo, che chiede scusa e contemporaneamente ringrazia per torti e favori, che non sono tali, ma che scorrono sotto parole e respiri come correnti sotto le onde. Rimaniamo così, lui appoggiato con le labbra e il mento alla mia fronte, io appoggiata a lui con tutto il mio corpo. Forse, se mi appoggiassi completamente a lui, con tutto il mio peso, potrei cadere dentro di lui, sparire, e non dovrei preoccuparmi più di nulla, ci penserebbe lui a proteggermi.
Non potrei mai farlo, non scaricherei mai su nessuno le mie responsabilità, non ce la farei.
Sono io quella responsabile, mi piace esserlo, è solo che… sono così stanca, è così difficile avere Bella e Fas lontane. Mi sento sola, debole, scoperta, non importa quanto possa essere brava a difendermi da sola, senza di loro mi sento… sono vulnerabile. Anche se ci sentiamo tutti i giorni, anche se posso controllarle coi miei poteri, è tutto diverso: non è come averle vicine, come prima.
Mi mancano terribilmente.
Ed ora, con questa storia di Bella… ho paura.
Ho una fottuta paura di perderla, di non poter fare abbastanza per aiutarla, per proteggerla… Perché, cazzo, non sono con lei! E nemmeno Fas!
E…
E…
Scivolo di più tra le braccia di Andrew che, come avvertendo il mio bisogno, si stringono maggiormente intorno a me. La mano, che prima giocava coi miei capelli, si sposta sulla nuca, segue il mio movimento mentre scorro con la fronte lungo il profilo della sua mascella, appena un accenno di barba che mi gratta la pelle, e trovo rifugio nell’incavo tra il collo e la spalla. Ecco, qui, stretta tra le braccia di questo ragazzo premuroso, caldo, dolce e comprensivo; qui, con gli occhi chiusi premuti contro la carne morbida della sua gola, dove posso sentire il flusso del sangue attraversare l’arteria, mi sento al sicuro.
“Sono preoccupata per lei” mormoro, un sussurro, ma so che lui mi ha sentita.
“Per Bella?” chiede, la voce bassa vibra sotto la mia guancia e contro la mia fronte, mi culla rassicurante, come le carezze gentili che mi sta facendo sulla schiena.
Annuisco appena, di nuovo non fidandomi della mia voce. Ho la bocca secca.
“Sta male?” propone dopo qualche secondo di silenzio, gettandomi un amo cui poter abboccare per dare spiegazioni più consone.
Esito un momento. Bella sta male?
Sì, ma non fisicamente. Non per il momento, almeno, e spero mai.
Sta male da un po’ di tempo e, onestamente, il “da un po’” è cominciato da prima che andasse a Forks.
“Lei è da sola” dico, riassumendo in quattro parole il vero problema di Bella, ciò che la sta corrodendo, che ci sta corrodendo, e che costituisce la mia vera fonte di preoccupazione. La voce, traditrice, mi si spezza sull’ultima parola. Fas ha dei parenti in Francia, amici, compagni Cacciatori che la tengono occupata, al sicuro e in famiglia. Io ho il Clan di New York, che mi ha accolta dopo il mio trasferimento, ho delle amiche qui. Ho Andrew, col quale posso essere completamente me stessa e a mio agio.
Bella non ha nessuno.
Nessuno che la conosca davvero, che possa capirla, sostenerla, proteggerla.
La nostra piccola, coraggiosa, fragile, pazza Bella…
Per forza si è così attaccata a questa storia dei Cullen.
Se solo potessi andare da lei… ma non posso, non senza scatenare Elizabeth.
Potrei provare a mandarle qualcuno, anche solo per qualche giorno… lei non vuole rinforzi, ma se fosse la sorpresa di qualche conoscente… Potrebbe aiutarla a sentirsi meno sola, meno abbandonata, e io starei più tranquilla, almeno per un giorno o due…
Esco dal mio nascondiglio in cerca d’aria fresca, guardo il collage di foto appeso al muro alle spalle di Andrew e gli occhi mi cadono fortuitamente su di una fotografia, quella giusta!
Posso quasi sentire lo scampanellio che accompagna l’accensione della classica lampadina nella mia testa.
“Se la caverà, vedrai” mi rassicura Andrew, inconsapevole di avermi dato indirettamente un’idea su come attenuare le mie preoccupazioni.
Torno a guardarlo negli occhi, il sorriso sereno che tende le mie labbra sembra stupirlo. Probabilmente si era già preparato psicologicamente ad un crollo emotivo in piena regola.
Gli allaccio le braccia dietro al collo e sorrido ancora di più, divertita dalla sua espressione confusa.
“Lo so” esclamo, facendo spallucce, come ad evidenziare l’ovvietà della cosa.
C’è un gigantesco punto interrogativo lampeggiante sulla sua testa, me ne rendo conto, ma non riesco ad esimermi dal ridacchiare, prima di gettarmi sulle sue labbra in un bacio entusiasta.
Nello slancio lo trascino verso di me, facendogli perdere l’equilibrio quel tanto da doversi appoggiare con una mano contro l’anta dell’armadio alle mie spalle. Di nuovo saldo sui piedi, intensifica la presa sui miei fianchi, premendoli contro il suo corpo, costringendomi ad inarcarmi contro di lui. Un sospiro strozzato mi sfugge dalle labbra mentre lui ne traccia il contorno con la punta della lingua, per poi tuffarla dentro la mia bocca. Nessuna muta richiesta da porre, nessun muto consenso da elargire. Per quanto mi riguarda negli ultimi cinque minuti… almeno, credo che siano cinque minuti… l’ho fatto impazzire abbastanza da potergli concedere tutto quello che vuole. Concessione che sono ben lieta di fare, non sia mai detto che non sono una persona corretta e generosa. Se poi mi stuzzica proprio in quel punto del collo… oddio…
Mordicchia, succhia, lecca alternatamente un punto alla base del collo che sa essere particolarmente sensibile e… sì, mi sta decisamente facendo un succhiotto. Non m’importa, posso sempre mettere una sciarpa. Mi aggrappo più saldamente a lui ed infilo una mano nello scollo della maglietta, alla ricerca di un contatto più intimo con la sua pelle.
La sua bocca torna a cercare la mia, ed il bacio è più profondo, più appassionato di prima. Labbra, lingua, denti, niente viene tralasciato dall’esplorazione profonda che fa della mia bocca, in un bacio che nulla ha dei suoi baci soliti, quelli con cui mi saluta o che ci scambiamo tra una lezione e l’altra, in corridoio, in cortile, al bar con gli amici o da soli… Nulla, se non il disperato bisogno di farmi sentire quanto tiene a me, quanto sia preziosa per lui, quanto mi consideri una ragazza normale, fragile, come e più delle altre, prima ancora che una Regina. Perché anche adesso, nonostante la profondità del suo bacio, la sua invadenza, non c’è traccia di forza nei suoi gesti, non c’è arroganza o voglia di dominarmi. Anche ora, che avverto il freddo dell’anta dell’armadio contro la mia schiena, non mi sento sopraffatta dalla sua presenza, non mi sento schiacciata dal suo corpo incombente, premuto addosso al mio. Mi sento protetta, voluta… la parola con la A sfiora la mia mente, ma la scaccio con una stretta al cuore. È troppo presto. Ogni volta che arrivo a pensare di esserlo, ecco che arriva la sprangata sui denti. No, ancora no. È troppo presto.
La mano destra di Andrew scende lungo il mio corpo: segue la linea della clavicola, accarezza quasi con reverenza il profilo del seno, sfiora in punta di dita le costole, come contandole un ad una, accompagna la curva del fianco, sul quale si sofferma qualche secondo per giocare con l’elastico delle mutandine, e poi di nuovo giù, lungo la coscia, fino appena sopra il ginocchio, dove si arresta, per afferrare con ferma gentilezza la mia gamba e sollevarla, premendosela contro il fianco e spingendo contemporaneamente il suo bacino contro il mio. Con quest’unico movimento mi strappa un gemito più forte degli altri, che si infrange sulle sue labbra, calate di nuovo voraci sulle mie.
Sono ardentemente consapevole di essere mezza nuda e, dannazione, lui è ancora completamente vestito. Lascio cadere le mani dalle sue spalle e le porto sui suoi fianchi, sotto la maglietta.
“Ary…” sussurra sulle mie labbra, ma io non sento. Sono troppo occupata a tracciare alla cieca il disegno dei muscoli sulla sua pelle, seguendo i piani e i profili affusolati, facendogli i grattini sulla schiena e davanti, sugli addominali appena accennati, andando dal basso verso l’alto, poi dall’alto verso il basso, sempre più vicino al confine della cintura…
“Ary…”
…dentro il confine della cintura…
Bi-bip… Bi-bip… Bi-bip…
Che cos’è questo? Un allarme?
Eppure sono sicura il mio ragazzo non porti una cintura di castità di ultima generazione. Sicuramente non fino all’altro ieri, comunque!
Ah, no, che scema! È il mio cellulare che mi avverte che tra dieci minuti devo essere a lezione.
Sento le sue labbra distendersi in un sorrisetto stanco e appoggia la fronte alla mia. Sospira sulla mia pelle, provocandomi un ulteriore brivido.
“C’è la Bargan oggi” mi ricorda con voce roca e rassegnata. La mia mente necessita di qualche secondo per collegare le sue parole ad un pensiero coerente, poi realizzo: il dibattito.
Mugulo contrariata e mi abbarbico ancora di più al corpo di Andrew, che ridacchia, nascondendo un ghigno tra i miei capelli.
“Forza, fai la brava e vestiti. Se ci muoviamo facciamo in tempo anche a mettere qualcosa nel tuo stomaco” sospira allontanandosi lentamente dal mio corpo, mentre io cerco di non sentirmi abbandonata. Lo so che ha ragione, però…
Andrew scorge la delusione sul mio volto e, con un sogghigno raro quanto eccitante sulle labbra, si avvicina al mio orecchio e sussurra roco “Dopo la Bargan abbiamo due ore buche… Ho tutta l’intenzione di rifarmi di questa notte”. Prima di scostarsi di nuovo, mi da un bacio da urlo sul collo. Ma chi se ne frega della Bargan, io lo butto sul letto e mi rifaccio io di questa notte!
Allungo le mani verso il suo collo, ma lui scivola via ridendo e facendomi l’occhiolino.
Io sbuffo e pesto i piedi davanti al suo odioso autocontrollo e mi giro di nuovo verso l’armadio, decisa ad ignorarlo. Quando avremo finito con la Bargan ho una mezza idea di mandarlo in bianco. Oppure potrei approfittarmi bassamente di lui… vedremo di che umore sarò dopo la lezione. Un ghignetto che sarebbe l’orgoglio di Bella e Fas mi si disegna sulle labbra. Infilo i jeans, una camicetta bianca e ci butto sopra un pullover blu con lo scollo a V, e sono pronta.
Mi giro verso il mio ragazzo, seduto sul mio letto. Mi osserva con un sorrisetto furbo, i suoi occhi fanno una panoramica del mio corpo, soffermandosi per un istante sulla scollatura, non profonda ma allettante, e sui fianchi fasciati dai jeans. Sgrano gli occhi quando vedo la sua lingua accarezzare le labbra in un gesto lento e provocatorio.
Basta, questo ha deciso che oggi vuole essere stuprato! Dopo la Bargan lo lego al letto e non se ne parla più!
Andrew si alza in piedi, mi si avvicina e mi prende per mano, “Andiamo” esclama, e mi conduce alla porta.
Io trascino i piedi, agguanto i cellulare dal comodino e…
“Ah” gemo, portando le mani dietro la nuca, dove il tatuaggio ha preso a bruciare intensamente.
Il panico mi prende allo stomaco, un nodo di ansia mi chiude la gola.
… un fischio acuto, un frenata sull’asfalto del parcheggio ghiacciato. Bella è in piedi, di fianco al fanale posteriore del suo pick-up, un furgoncino blu scuro, ormai in testa-coda, che punta dritto verso di lei ad una velocità folle e senza controllo, ed Edward Cullen, a quattro auto da lei, che la fissa terrorizzato.
Bella potrebbe spostarsi, ma…
Bella muoviti! Fregatene! Ti prego!
“Bella!”
 
 
 

* * *

 
 
 
“Bella…”
Tyler Crowley sta sicuramente tentando di uccidermi.
Insomma, non vedo nessun’altra spiegazione: prima mi si butta addosso con il suo stupido furgoncino, poi, non essendo riuscito a centrarmi, e complice il dannatissimo sistema ospedaliero che mi tiene inchiodata a questa stupido lettino, applica l’insuperata tecnica del rompicoglioni: tediarmi a morte con inutili scuse.
Ho perso il conto di quante volte ha detto che gli dispiace ormai.
Dio, che mal di testa!
Tra lui e l’asfalto… preferisco l’asfalto.
Mi è andata bene che ho la pellaccia dura, quando Edward mi ha buttata a terra, con la sua grazia da elefante, e ho battuto la testa, ho avuto veramente il terrore di essermi ferita. Grazie al cielo è stata solo una botta, i tagli in testa sanguinano in modo vergognoso e, davvero, mi ci manca solo quello.
È stato un bel rischio in effetti…
Già, ma ne è valsa la pena!
Solo perché Edward ha reagito esattamente come sperato. Pensa se se ne fosse rimasto fermo dov’era!
Non posso impedirmi di ghignare, ho fatto una mezza follia, come al solito, ma devo avere qualche santo in paradiso, perché anche stavolta è andata alla grande. Anzi, anche meglio di quanto avessi pensato. Non solo Edward si è lanciato in mio aiuto, buttando alle ortiche tutta la sua copertura da umano in preda ad un raptus di follia indotto dal suo ormai evidente complesso da cavaliere, ma sono anche riuscita a strappargli la promessa di una spiegazione.
Certo, per un momento me la sono vista davvero grigia…
 
 
 
Il rumore di una macchina che corre più forte delle altre arriva dalla Main Street, troppo forte per essere sicuro in una mattinata in cui l’asfalto è ricoperto da lastroni ghiacciati.
A quattro auto parcheggiate di distanza da me ci sono Edward e Alice, gli unici Cullen rimasti vicino alla Volvo. Quando sono arrivata erano già qui, ho fatto di tutto per fingere di non averli ancora visti, non volendo mostrarmi così sensibile alla loro presenza. Anche adesso sento addosso gli occhi di Edward, ma sono certa che se mi voltassi lo troverei intento in una fitta conversazione con la sorella.
La macchina è entrata nel parcheggio, ancora non ha rallentato.
Alice annaspa forte, sento la sua voce strozzata esalare un “NO” terrorizzato.
Possibile che…
Il rumore dei freni arriva un secondo dopo quello delle gomme che slittano sul ghiaccio.
Mi volto, ma dalla direzione da cui arriva il rumore posso già indovinare verso cosa, o meglio, chi stia puntando il mezzo.
Infatti.
La legge di Murphy: se qualcosa può andar storto…
Ho circa quattro secondi per saltare al sicuro sul cassone del pick-up, ma…
Mi giro, Edward mi sta fissando terrorizzato, come tutti gli altri. Se saltassi mi muoverei ad una velocità esagerata per un essere umano, e sarebbe una performance davvero notevole per una ragazza che si suppone sia l’incarnazione dell’anti-sport. Mi stanno fissando tutti… non posso. Io non posso.
Ma Edward… è l’occasione perfetta!
E poi come si dice: di necessità virtù.
Torno a guardare il furgoncino. È come se tutto andasse al rallentatore.
Cazzo quant’è vicino!
Ti prego… Ti prego… TI PREGO!
Ecco l’impatto, ma per fortuna arriva dalla parte che speravo.
Sento come una sbarra di gelido acciaio avvolgermi la vita e trascinarmi a terra, fuori dalla traiettoria di quel missile gigante di lamiere che si sta accartocciando contro il retro del pick-up.
L’istinto è quello di ripararmi nella caduta, ma ci stiamo muovendo troppo velocemente. Mi faccio violenza per costringere il mio corpo a non reagire, rimanendo floscia come un sacco di patate. Guarda te se devo riporre la mia fiducia in un vampiro.
Ahi!
Cazzo che male, la testa!
Ti prego, fa che non stia sanguinando, ti supplico!
Edward però è concentrato sul furgone, che ci sta tornando addosso. Lo sento distintamente imprecare quando mi lascia andare per fermare con entrambe le mani il mezzo, finendo con l’andare addosso alla macchina parcheggiata accanto alla mia: il suono metallico della carrozzeria che si deforma attorno alle sue spalle è davvero agghiacciante.
Il furgoncino è fermo a mezz’aria. Vampiro dei miei stivali, non osare mollarlo adesso, o il cerchione mi fracassa le gambe!
Ma che bravo, una frazione di secondo e mi riprende per la vita, sfruttando l’istante in cui il furgone rimane sospeso in aria grazie alla spinta che gli ha imposto. Mi stringe a sé mentre mi gira in modo da mettere le mie gambe al sicuro, il furgone trattenuto di nuovo, ora con una mano sola.
Lo sento rilasciare un sospiro prima di lasciare andare la lamiera, ormai deformata, ed il mezzo si schianta al suolo in un inquietante tremore metallico.
Sento il mio nome echeggiare ovunque attorno a me, urlato, strillato istericamente. Il panico scatenato dall’incidente è assordante, fastidioso.
“Bella? Tutto a posto?”
Ecco, l’unica voce che non sta strillando è anche quella che esprime maggior preoccupazione. Mi ci mancava solo il vampiro col complesso da eroe.
Sei viva grazie a lui!
“Sto bene” dico, la voce stranamente lontana. Il colpo alla testa l’avrei volentieri evitato.
Hai pure la faccia tosta di lamentarti?!
Ehi! Non è colpa mia se lui si è lanciato come un cazzo di superman addosso a me e mi ha buttato per terra con la grazia di un elefante con le mutande sopra i pantaloni!*
Se non sapessi che riesci ad evocare immagini così assurde quotidianamente direi che la botta in testa è piuttosto grave…
Scuoto il capo, ho bisogno d’aria. Sono acutamente consapevole del corpo freddo e solido contro cui sono schiacciata, non è una sensazione che mi metta propriamente a mio agio.
Lungi dall’essere immobilizzata dal terrore o infiacchita dallo shock, sento l’adrenalina scorrermi nelle vene, il mio corpo è teso come una corda di violino, i miei sensi iper-ricettivi stanno urlando a causa della pericolosa vicinanza con il vampiro che, a conti fatti, mi ha salvato la vita.
E di nuovo mi faccio violenza per non scattare come una molla lontana da Edward, ma accenno solo un goffo tentativo di mettermi seduta. L’odore dolciastro della sua pelle mi sta dando alla testa, ma colgo nuovamente una nota di pino e resina di sottofondo. Deve essere andato a caccia stanotte.
“Attenta” mi avverte, allentando appena la stretta del suo braccio intorno alla mia vita, come riluttante all’idea di lasciarmi libera di muovermi. “Mi sa che hai preso una bella botta in testa.”
Ma va?!
Calma Bella, dovresti essere confusa e in stato di shock!
Mi porto una mano alla testa, curiosa di tastare l’entità del danno. “Ahi!” esclamo, simulando sorpresa per coprire il sollievo nel sentire sotto le mie dita solo l’incipiente rigonfiamento di un bernoccolo e non i profili slabbrati di un taglio o l’umido del sangue fresco fra i capelli. D’altra parte non sento odore di sangue, potevo evitare di preoccuparmi…
Ok, forse sono un pochiiino sconvolta. Giusto un po’!
“Come pensavo!” esclama Edward al mio fianco, nella voce l’accenno di una risata, il suo sollievo è evidente. Immagino fosse preoccupato anche lui per il sangue, si è già esposto parecchio per salvarmi.
O forse è davvero preoccupato per me?!
Perché?
Per lo stesso motivo per cui si è fiondato in tuo soccorso?!
Sì, forse… ma perché? Cioè… ecco… ci contavo, non avrei rischiato se non avessi pensato che ci fosse questa possibilità ma… perché?
Forse questo è il momento migliore per aprire una strada a tutti i nostri “perché”. Si è esposto, non avrai un’occasione migliore di questa per portarlo allo scoperto.
E se scappasse?
Hai appena rischiato la vita per un’intuizione, hai un’occasione d’oro per avvicinarlo e stai a valutare i pro e i contro?!
Scuoto nuovamente la testa. Non è questo il momento di farsi prendere dagli scrupoli, devo seguire l’istinto.
Sbarro gli occhi. “Come diavolo…” esclamo ritraendomi da lui in cerca d’aria. “Come hai fatto ad arrivare così in fretta?”
È questione di pochi secondi, l’ilarità e il sollievo scivolano via dal suo viso, lasciando il posto ad un’espressione seria e tesa. “Ero qui accanto a te, Bella” dice con voce ferma, fissandomi attento.
Lo so cosa cerchi di fare, ma non attacca vampirello, sono una bugiarda migliore di te e conosco i trucchi del mestiere.
Mi divincolo dalla sua presa e stavolta lui mi lascia andare completamente, anch’egli ansioso di guadagnare una decente distanza di sicurezza dal mio odore, per quanto lo spazio angusto tra le auto ce lo permetta. Se io sono intossicata dal suo odore, posso solo immaginare lo sforzo che sta facendo lui… credo che stia cercando di non respirare, ma se il mio odore è intenso come lo è il suo per me, tanto da avvertirlo anche sulla lingua, decisamente sono meno tranquilla adesso di quando aspettavo pacificamente che il furgone mi arrivasse addosso.
Ci scrutiamo intensamente, io tentando di costringerlo ad abbassare la guardia, lui impegnato nell’impresa di darmi a bere la sua versione. La sua espressione è ferma, calma e benevola, come se stesse cercando di convincere una bimbetta che non ci sono mostri sotto al letto.
Spiacente Cullen, ne ho visti troppi di mostri in vita mia, e forse tu lo sei meno degli altri, ma…
Certo, se solo i suoi occhi non fossero così assurdamente dorati e… disperati? Cosa mi stai chiedendo Cullen?
Di cosa hai paura, vampiro?
Non distoglierai lo sguardo, vero? È troppo importante per te che io non faccia altre domande.
Forse hai ragione tu. Non ora, non qui.
Simulo confusione e abbasso gli occhi. Dopotutto, forse, è più facile sostenere lo sguardo indemoniato e tinto di rosso di un vampiro che cerca di uccidermi, piuttosto che quello dorato e caldo di uno che mi ha appena salvato la vita. In fondo glielo devo un momento di tregua.
Mi guardo intorno, è pieno di gente che cerca di raggiungerci. Qualcuno sta gridando perché tirino fuori Tyler dall’auto, dev’essere il guidatore.
Spero che stia bene, anche se Charlie dovrà assolutamente togliergli la patente!
Provo a mettermi in piedi, la testa mi pulsa per la botta, ma per il resto sto benissimo.
Una mano fredda si posa sulla mia spalla e mi rimette a terra con fermezza. “Per adesso resta qui” mi intima seriamente, di nuovo un velo di preoccupazione nella sua voce attira la mia attenzione.
“Ma fa freddo!” mi lamento in un debole tentativo di riaffermare il mio status fisico: sto bene! Attualmente i miei unici problemi sono il culo ghiacciato, un bernoccolo in crescita e un vampiro in preda all’istinto da crocerossina.
Oddio che brutta immagine! Edward in camice e veletta da infermiera, stile Pearl Harbor, è una visione che fa il paio con la meteorina in bikini di noci di cocco-sombrero-pipa-da-Gandalf e supereroe con le mutande sopra i pantaloni e la proboscide.
Ultimamente stai sviluppando una vena artistica per il grottesco.
Nooo, tu dici? E questa deduzione l’hai fatta prima o dopo il sogno con Gollum che balla la Disco?!
Ti prego, basta!
Ah ah! Ehi! Guarda, Edward ghigna!
Se potesse leggermi nel pensiero non so se riderebbe ma… che abbia la guardia abbassata?
Ritentiamo.
Mi concentro sul suo viso ed esclamo con sicurezza “Tu stavi laggiù.”
“Eri accanto alla tua macchina” aggiungo, accennando col capo a sud, oltre le lamiere accartocciate dei due furgoni.
“Invece no”  afferma lui, di nuovo serio.
Sporgo in fuori il mento corrucciata e insisto “Ti ho visto”. Meglio battere il chiodo finché è caldo, finché è incastrato qui con me e non può sfuggirmi.
“Bella, ero qui accanto a te e ti ho spinta via appena in tempo” rincara, infondendo nello sguardo un’intensità che mi urta e quasi mi fa ritrarre.
Se pensavo di avere gioco facile con questo qui, mi devo ricredere. Non che mi aspettassi una confessione così su due piedi, ma speravo di trovarlo più confuso, vulnerabile.
Stringo forte i denti, la tensione nel mio corpo è ancora tanta e tale che le spalle e il collo cominciano a dolermi.
“No” sibilo.
Nonostante tutto, non ho intenzione di lasciarlo andare a mani vuote.
Anche lui è teso, lo vedo dalla linea della mascella.
Cosa stai architettando, Cullen? Vuoi minacciarmi? Farmi paura? Cosa ti frulla nella testa…
“Per favore, Bella” disse, nella voce una preghiera intensa, disperata, negl’occhi un bisogno di… fiducia.
Sono spiazzata, completamente.
Come può un vampiro essere così... così… Umano.
Cosa mi stai chiedendo, Edward?
“Perché?” chiedo sulla difensiva, incapace di distogliere lo sguardo da quelle iridi dorate. Vorrei che fosse merito del mio incrollabile spirito combattivo, ma forse è meglio così, perché proprio ora che vorrei sottrarmi al suo sguardo, è lui a trattenermi. È come se i miei occhi fossero magneticamente attratti dai suoi, cosa che mi impedisce di cedere alla debolezza e voltarmi perché… l’intensità di questo sguardo mi spaventa.
“Fidati” insiste, lo stesso tono nella voce, la stessa domanda negl’occhi.
Dici poco Edward… come faccio a fidarmi di un vampiro?
L’hai già fatto. Gli hai affidato la tua vita.
Avrei potuto schivarla all’ultimo!
Non ne puoi essere certa, e non lo sapremo mai, perché lui ti ha salvata. Tu hai creduto in lui.
Sarai la mia rovina.
Tradotto: sarai la rovina di te stessa.
Touchè.
“Prometti che poi mi spiegherai tutto?” chiedo, fingendo un’ingenuità che non mi appartiene.
“Promesso.”
“Promesso” gli faccio eco con lo stesso tono. Se è il cavaliere che ha tentato di essere fino ad ora, per lo stesso principio per il quale mi ha salvata, gli potrebbe rodere abbastanza, non dico la coscienza ma almeno l’onore, da cercare in qualche modo di mantenere la parola data.
È un tentativo disperato, non ci credo molto nemmeno io ma… è una possibilità.
Tutto ciò che ho.
 
 
 
L’infermiera che si sta occupando di Tyler comincia a svolgere la fasciatura intorno alla testa del ragazzo, che almeno per un paio di secondi tace.
Uhm… è messo male.
Inspiro profondamente e l’odore ferruginoso del suo sangue mi colpisce come un pugno nello stomaco.
Porca miseria! Già prima era fastidioso, ma così, libero dalle bende, l’odore è quasi insopportabile. Mi gira la testa…
L’ultima volta non lo ricordavo così intenso… deve essere per via della Cenere, non ne ho mai assunta tanta per un periodo continuato così lungo. Va beh, non è che possa smettere proprio adesso.
Mi giro dall’altra parte e respiro con la bocca aperta, in cerca di un po’ di sollievo.
Non è ironico?!
Tu che dici?
Un po’ troppo ironico…
It’s like raaaaaaiiiiiiin…**
Deficiente!
Grazie!
Oh, finalmente ha finito.
L’infermiera si allontana e Tyler riattacca con la sua cantilena. “Davvero Bella, non sai quanto mi dispiace…”
Per tutti i demoni dell’inferno, adesso lo investo, così siamo pari!
La porta della stanza si apre, l’infermiera ne esce, ma un refolo d’aria mi porta una zaffata dell’odore di Edward. Mi sta osservando. Vorrà accertarsi che non dica niente sull’incidente… Poco male, ho già raccontato a Tyler la versione riveduta e corretta dei fatti , quella che fa comodo a tutti e due. Come se fossi una che va in giro a dire che Edward Cullen mi ha salvato la vita fermando un furgoncino a mani nude! E poi cosa? Ah, sì! Parlo da sola con un'altra me stessa che alberga stabilmente nella mia testa… Mi faccio di ceneri di creature mitologiche… No, non si preoccupi dottore, stringa pure quella camicia di forza quanto vuole, tanto con l’addestramento da Cacciatrice che ho ricevuto scapperò dal manicomio prima che lei possa dire Supercalifragilistichespiralidoso!
E Crowley ancora non tace!
Serro gli occhi e fingo di essermi addormentata, forse la smetterà!
“Ancora non capisco come sia potuto accadere…”
Ho tre parole per te Tyler: acceleratore, ghiaccio, stupidità! Ecco come è potuto succedere!
Qualcuno lo zittisca, o giuro, su tutto ciò che è sacro, che lo zittisco io! Definitivamente!
Un passo leggero sul pavimento di linoleum annuncia l’ingresso di Edward.
Ed ecco che Crowley riattacca con la sua filastrocca. “Edward…” parte in quarta, ma uno “schh” a fior di labbra lo interrompe.
“Dorme?” mormora.
Edward Cullen, mio eroe!
Per questo… non per la macchina!
Ovviamente!
Sei senza speranza…
Apro di scatto gli occhi, tanto non è possibile che lui credesse davvero che stessi dormendo, non mi stavo impegnando per fingere. Ed eccolo lì, bello come il sole, che mi sorride pacifico e allegro, mentre io sono inchiodata a questo cavolo di lettino col re del senso di colpa accanto, dopo che ho ripetuto milioni di volte che sto bene.
Dio! Anche se mi fosse venuto un trauma cranico, probabilmente a quest’ora si sarebbe già riparato da solo, vista la quantità indecente di cenere che ho in circolo.
Lo guardo male, malissimo!
E lui ghigna… Ma vaffanculo!
“Ehi, Edward, mi dispiace tanto...” ritenta Tyler, e a questo punto mi chiedo: se lo strozzassi seduta stante, Cullen mi aiuterebbe ad occultare il cadavere?
Silenzio per silenzio, ci aggiungo un drink gratuito per lui, e il gioco è fatto!
Con una non-chalance da  vero gentiluomo alza un dito, bloccando le scuse del ragazzo, e dice seccamente “Niente sangue, niente danno”.
Ma guarda, il vampiro fa dell’ironia. Che carino, sorride tra sé e sé della sua battuta… ci manca giusto Kronk che si canta la colonna sonora da solo. ***
Edward si avvicina e, senza mai perdere il contatto visivo con il mio sguardo, si siede ai piedi del letto di Tyler, ponendo così una distanza di sicurezza tra i nostri corpi che ritengo quantomeno opportuna. Non ci tengo a rivivere presto la situazione di stamattina.
Aspetto, Tyler è ricoperto di sangue! Se il suo odore da fastidio a me, figuriamoci ad Edward!
Tuttavia il vampiro non sta dando segni di cedimento, non sembra in difficoltà. E bravo Cullen, ancora una volta riesci a stupirmi col tuo autocontrollo… perché devi rendere tutta questa storia così dannatamente interessante?! Lo sai che quasi non ci dormo la notte, accidenti a te!?
“Allora, qual è il verdetto?” chiede, il sorriso sghembo ancora sulle labbra, come a prendermi in giro. Certo, perché con un “padre” medico che lavora in questo ospedale tu non sarai di certo riuscito a dare una sbirciata alle mie radiografie!
“Non mi sono fatta neanche un graffio, ma non vogliono lasciarmi tornare a casa. Com'è che tu non sei legato a una barella come noi?” sbotto sporgendo il mento in fuori con fare bellicoso e concentrando tutto il mio sdegno in un’unica occhiata. Perché non ho lo sguardo laser, PERCHÉ?
“Tutto merito di chi sai tu” dice leggermente senza smettere di sorridere, “Ma non preoccuparti, sono venuto a liberarti.”
C’ha preso gusto a fare l’eroe?
La risposta è sì, sento l’odore di Carlisle Cullen spirare dalla porta tre secondi prima che la oltrepassi, entrando nella stanza come uno dei medici di Grey’s Anatomy: inverosimilmente bello, composto e sorridente. Spero per me e per questo pover’uomo che sua moglie non abbia una macchina rosa, o giuro che non sarò più in grado di incontrarlo senza rischiare la morte per accesso di risa.
“E allora, signorina Swan, come stiamo?” esclama il vampiro biondo, avvicinandosi a me tenendo tra le mani quella che deve essere la mia cartella.
“Benissimo dottor Ke… Cullen”
Deficiente!
Lo so! … oddio ti prego fa che pensi mi sono solo incartata!
Sorride benevolo, probabilmente pensa che sia un idiota, ma è praticamente impossibile che abbia capito che lo stavo per chiamare come l’omino di Barbie.
Attacca le mie radiografie al pannello luminoso sul muro accanto al mio letto ed esclama “Le radiografie sono buone. Ti fa male la testa? Edward dice che hai preso un brutto colpo.”
“Sto bene” sbuffo per l’ennesima volta dando però un’occhiata alle immagini. Sì, non c’è niente, a parte i segni delle contusioni guarite che ho collezionato negli anni. Ok, la maggior parte sono un regalo della sbadataggine di Renèe, Dio solo sa quante volte mi avrà fatta cadere, ma due o tre sono trofei di caccia… cacce disastrose, ovviamente. Se mi avessero fatto esami più estesi, probabilmente qualcuno avrebbe chiamato i servizi sociali e denunciato i miei genitori per maltrattamento di minore.
Il vampiro-dottore si avvicina ulteriormente a me e mi posa le dita sulla nuca, tastando leggermente il cranio fino a che non trova il bernoccolo. È strano come l’inquietudine scatenata dal tocco di un vampiro si scontri col sollievo che il freddo dei suoi polpastrelli dona alla zona lesa. Carlisle Cullen non mi spaventa più di tanto dopotutto… in un certo senso, ammiro questo vampiro.
Il contrasto prolungato del freddo contro il bernoccolo leggermente pulsante mi fa rabbrividire e mi contorco appena sul posto. Carlisle si accorge del mio disagio e chiede pragmatico “Sensibile?”.
Serro la mascella e scrollo le spalle ostentando indifferenza, “No, davvero” dico, notando con la coda dell’occhio il ghigno che mi rivolge Edward. Probabilmente gli faccio tenerezza, o pena; per buona misura gli lancio un’altra occhiataccia. A questo punto è quasi sicuro che mi trovi buffa, o quanto meno assurda.
“Bene” esclama Carlisle. “Tuo padre è in sala d'attesa, puoi farti riaccompagnare a casa. Se hai capogiri o problemi di vista, però, torna subito.”
Povero Charlie… beh, se non altro è in ospedale: il posto migliore per un padre ad un soffio dall’infarto. Se sapesse che mi sono quasi fatta investire “di proposito” mi scuoierebbe viva!
Ma viste le dinamiche dell’incidente mi aspettano almeno due settimane di “coccole”… certo, nello stile di Charlie, ma va bene lo stesso. Quella che mi preoccupa davvero è Renèe, è impossibile che papà non l’abbia chiamata, e quella è capace di essere già su un aereo.
Speriamo solo di riuscire a trarre qualche vantaggio da questo casino…
Una zaffata dell’odore di Carlisle mi colpisce… hmm… sono decisamente più sensibile. C’è una nota di candeggina e di disinfettante che smorza l’aroma dolciastro… mi piace. Però ora basta, devo uscire da qui, mi sento soffocare.
 “Posso andare a scuola?” chiedo speranzosa, anche se non ci credo nemmeno io, avrei proprio bisogno di una full immersion nella routine. Senza contare che a scuola non posso rispondere alle telefonate isteriche di madri e migliori amiche.
“Forse per oggi dovresti stare tranquilla” suggerisce Carlisle con un sorriso paterno. E dire che cominciava a starmi quasi simpatico… grazie mille dottore!
Edward ghigna, lo stronzo. Lo fulmino con lo sguardo, “Lui invece può tornare?”
 “Qualcuno dovrà pur diffondere la notizia che siamo sopravvissuti, no?” dice, continuando a ghignare come una iena ridens.
“A dir la verità,” corregge Carlisle, prima che io sputi una risposta al vetriolo che farebbe tremare tutte le icone sacre nel raggio di venti chilometri, “Sembra che metà dell'istituto sia in sala d'attesa.”
“Oh, no” gemo prendendomi la testa fra le mani. Fantastico, davvero fantastico! Pure la gimcana tra la folla preoccupata mi toccherà fare. Da quando la scuola lascia uscire in massa gli studenti durante l’orario di lezione per motivi che non coincidano con calamità naturali o… che ne so… un attacco terroristico?! È solo un incidente d’auto, porca miseria! Andrò a lamentarmi col preside!
“Vuoi restare?” chiede Carlisle, giustamente intenerito. Faccio pena anche a un vampiro, pensa te!
“No, no” dico velocemente, ruotando le gambe fuori dal letto e balzando in piedi sul pavimento. Mi rendo conto con un secondo di ritardo che questo è un movimento troppo disinvolto per una persona “nelle mie condizioni”. Meglio inciampare!
Vacillo in avanti, muovendo le braccia per bilanciarmi ma, prima che possa compensare da sola lo squilibrio, Carlisle mi acchiappa e mi tiene ferma.
E con questa sono due…
Taci!
Arrossisci debosciata, prima che tutta la tua pantomima vada a farsi benedire!
“Sto bene” dico, prima che Carlisle possa commentare, e ubbidendo alla mia vocina ragionevole lascio affluire un po’ di sangue alle guance.
 “Prendi dell'aspirina contro il dolore” mi istruisce il dottore lasciandomi andare. 
“Non fa così male.”
Carlisle sorride mentre firma le carte per le mie dimissioni. “A quanto pare sei stata molto fortunata.”
Hn... chissà, forse non sono l’unica che si prenderà una bella strigliata oggi.
Mi giro verso il vampiro più giovane, presumo, e lo fisso decisamente negli occhi.“Fortunata perché Edward si trovava lì accanto a me.”
“Oh certo, sì” concorda velocemente Carlisle. Sono certa che nessuno dei due si è perso il sottinteso sospetto nella mia voce e nelle mie parole.
“Grazie mille” sussurra Edward, veloce e silenzioso, un bisbiglio così basso che solo Carlisle e io potevamo coglierlo. Me lo sono immaginato il pungente sarcasmo nel suo tono?
Le labbra di Carlisle si piegano in su mentre si gira verso  Tyler, un movimento veloce, insignificante per un occhio distratto, ma per me no.
 “Purtroppo, tu dovrai restare qui un po' più a lungo” dice il dottore, prendendo a svolgere le bende del primo soccorso per analizzare i tagli lasciati dai vetri dei finestrini rotti. Non so se il rimescolio nel mio stomaco sia più dovuto all’odore che mi urta i sensi, di nuovo, o alla consapevolezza di dover lasciare un vampiro così vicino ad un umano sanguinante, ma non posso fare altrimenti.
Mi volto verso Edward, ora o mai più. Mi avvicino a lui abbastanza da essere certa che il mio odore sia per lui una presenza ingombrante. Se è sopraffatto dal mio profumo non sarà tentato da quello del sangue di Tyler. Finora si è comportato benissimo, ma se mi sento di scommettere sulla resistenza di Carlisle, non posso permettermi di fare altrettanto con Edward. Effettivamente sono fin troppo vicina, il suo odore è intenso, dolce. Io ho sempre preferito il salato.
“Hai un minuto? Ho bisogno di parlarti” sibilo caustica, forse troppo, ma ho bisogno di uscire da questa stanza. Troppi odori forti, il bernoccolo un po’ ancora mi pulsa, se non guadagno un po’ di ossigeno rischio che mi venga davvero un giramento di testa.
Edward barcolla un passo indietro, fuggendo il refolo d’aria intriso di profumo che è il mio respiro. Forza Cullen, sei stato bravissimo fin qua, non mi mollare ora, ancora uno sforzo.
 “Tuo padre ti aspetta” mi ricorda, la mascella serrata nel tentativo di nascondere il fatto che sta trattenendo il respiro. Bel tentativo, ma no, non ti libererai di me così facilmente.
Lancia un sguardo verso Carlisle e Tyler, alle mie spalle. Mi ci gioco la testa che il “padre” non si sta perdendo nemmeno un dettaglio della scena. Ma chi controlla di più, Edward o me?
“Vorrei parlare con te, da soli, se non è un problema” insisto a bassa voce, cercando di suonare meno inquisitoria questa volta. Si sente già alle strette, meglio non esagerare; però dobbiamo uscire da qui, entrambi abbiamo bisogno d’aria, e lo voglio lontano sia da Tyler che da Carlisle. La presenza di un altro vampiro è un deterrente troppo ingombrante perché possa sperare di riuscire a scucirgli qualcosa.
L’espressione è corrucciata, lo sguardo teso, quando si gira per incamminarsi fuori dalla porta. Lascio che faccia strada lui, non conosco bene l’ospedale, ma confido che possa trovare un luogo tranquillo e abbastanza lontano da Carlisle. Tuttavia non so quale sia la portata dell’udito di questo vampiro, sperare che non senta niente della nostra conversazione è forse pretendere un po’ troppo dalla mia fortuna.
Percorriamo un paio di corridoi, solcati in entrambe le direzioni da medici e infermieri, ma nessuno fa caso a noi. Edward procede ad ampie falcate davanti a me, che mi premuro di incespicare di tanto in tanto, mentre mi preparo ad affrontare questa conversazione. Onestamente, non sono sicura di cosa aspettarmi, ho fatto un salto nel vuoto, un azzardo, e potrebbe anche non portarmi a niente.
Il vampiro si ferma, siamo in fondo ad un corridoio, accanto alla porta di un magazzino per il materiale medico, nessuno in vista.
 “Cosa vuoi?” esclama secco, voltandosi verso di me. Il tono è freddo, il volto inespressivo, ma gli occhi mandano lampi.
Mi ritiro leggermente, la sua ostilità non mi sorprende, ma mi rendo conto che se questo vampiro sta cercando di farmi paura non posso non reagire come una semplice umana. Sbarro gli occhi e simulo confusione, quando il mio orgoglio vorrebbe che rispondessi con altrettanta freddezza. Calma, Bella, ragiona!
“Mi devi una spiegazione” dico con voce piccola e impallidendo leggermente. Tanto vale giocare sul personaggio in stile eroina ottocentesca, finora ha funzionato. Credo che stimoli l’aspirante cavalier servente che è in lui… chissà in che epoca ha vissuto da umano. Ce lo vedo come giovane rampollo di buona famiglia dell’Ottocento, magari affiliato a qualche circolo letterario. Forse non è nemmeno americano di nascita, potrebbe avere origini inglesi, o perché no, italiane, visto che ieri ha capito perfettamente la mia citazione in lingua originale di Leopardi.
Anche lì, che smacco! Chissà cos’avevo per la testa per non accorgermene immediatamente.
Concentrati, Bella!
 “Ti ho salvato la vita, non ti devo niente” ribatte, la voce roca, accuratamente minacciosa. Mmm…
Indietreggio, abbasso gli occhi e mi torturo il labbro inferiore coi denti, come se le sue parole mi avessero ferita. Più che ferita mi sento tradita, frustrata e… arrabbiata, anche se non so se più con lui o con me stessa. Che cosa mi aspettavo, una vittoria facile? È chiaro che voglia depistarmi, io sono un pericolo per la sua famiglia, una mina vagante. Per i vampiri c’è solo una legge, la legge suprema, e un umano cosciente e vivo è più di quanto un clan possa permettersi.
Per un momento il sangue mi si gela nelle vene, la consapevolezza dell’enormità di ciò che ho fatto mi schiaccia, le conseguenze delle mie azioni sono un peso che mi piomba addosso, bloccandomi il respiro in gola. Com’è che si dice? Non disturbare il can che dorme? Bene, io ho disturbato un clan di vampiri… e se stasera dovessi affrontarli? Non m’importa tanto di me, ma… Charlie?
Ho messo in pericolo la vita di mio padre.
“L'hai promesso” sussurro, lasciando trapelare la delusione dalle mie parole e dai miei occhi. Non è il momento di farsi prendere dal panico, finora tutto ciò che ha fatto sembrava finalizzato a tenermi in vita…
Questo è l’ultimo tentativo che faccio sulla linea dolce.
“Bella, hai battuto la testa, non sai quello che dici.”
Ovvio, cerca di farmi passare per matta, al posto suo farei lo stesso. 
Sporgo il mento, basta con le smancerie. “La mia testa non ha un graffio” ringhio, sguardo e tono apertamente ostili. Sono arrabbiata, poco importa che la rabbia sia rivolta verso me stessa, e voglio che lo capisca.
 “Cosa vuoi da me, Bella?”
“Voglio la verità. Voglio sapere perché ti sto coprendo” replico, esasperata tanto quanto lui, se non di più. Entrambi abbiamo rischiato molto, entrambi temiamo per la nostra famiglia. Solo che la mia rischia molto di più nell’immediato, lo sappiamo tutti e due.
 “Secondo te, cosa è successo?” ringhia sottovoce, indipendentemente dal fatto che in questo corridoio non ci sia nessuno che possa sentire, semplicemente per risultare più minaccioso mentre mi fissa con gli occhi pieni di rabbia e frustrazione. L’istinto mi mette in guardia, non credo che stia per attaccarmi, ma la consapevolezza del coltello assicurato ai passanti dei jeans mi aiuta a mantenere i nervi saldi. Prendo un respiro profondo, arrivata a questo punto non posso tirarmi indietro, tanto vale tentare. Spero solo che le ragazze stiano tenendo gli occhi ben aperti…
 “Quello che so è che eri tutt'altro che vicino a me. Neanche Tyler ti ha visto, perciò non dirmi che ho battuto la testa. Quel furgoncino stava per schiacciarci entrambi, invece non l'ha fatto, e con le mani hai lasciato un'ammaccatura sulla fiancata sinistra, e hai lasciato un bozzo anche sull'altra auto, senza farti niente, e il furgone stava per spaccarmi le gambe, ma lo hai alzato e trattenuto...”
Stringo i denti e lo fisso piena di rabbia, sento le lacrime pungermi gli occhi e, a questo punto, non so nemmeno più se stia fingendo oppure no. Voglio che si fidi di me, voglio che mi dia ragione, non posso tornare a casa a mani vuote… Charlie…
Edward mi fissa, l’espressione beffarda, ride di me…
“Pensi che abbia sollevato un furgoncino per salvarti?” chiede sarcastico.
Annuisco rigidamente, la mascella contratta, i denti che mi fanno male per quanto li stringo.
“Non ci crederà nessuno, lo sai” mi schernisce con un ghigno e io sento improvviso il desiderio di scagliarmi contro di lui. Basterebbero due secondi per materializzare il coltello nella mia mano e piantarglielo nel petto con abbastanza violenza da trapassarlo e inchiodarlo al muro. Non sarebbe risolutivo, certo, ma almeno giocheremmo entrambi a carte scoperte.
Peccato che, anche così, la mia resterebbe una mano piuttosto sfortunata. 
Inspiro profondamente e deglutisco, sperando di inghiottire così anche la rabbia. Devo stare calma, non posso scoprirmi ora. La verità è che sia io che mio padre siamo sacrificabili, ho già messo in pericolo la mia famiglia per un colpo di testa, non posso mettere a rischio anche la mia gente.
“Non lo dirò a nessuno” mormoro guardandolo dritto negli occhi, tremante di rabbia, ma la mia voce è ferma, determinata. Sono assolutamente sincera, non ho bisogno di dirlo a nessuno, chi deve sapere sa già, il resto non importa.
Per mezzo secondo intravedo una crepa nella sua maschera irridente e crudele, mi guarda spiazzato e s’insinua in me la speranza di aver aperto una breccia. “E allora, che importa?” chiede, sondando il mio volto, la voce severa..
“Importa a me” dico fremente, “Non mi piace mentire, perciò se lo faccio, dev'esserci un buon motivo.”
Bugia. Bugia. Enorme bugia.
Io adoro mentire, è la mia specialità, lo faccio da anni. Mento a tutti, probabilmente anche a me stessa. Ne sono consapevole, ne ho bisogno. Finché continuerò a mentire, riuscirò ad avere il controllo.
Eppure sento che sto perdendo… La fine di questa partita si avvicina, e io non ho in mano praticamente nulla. Edward gioca a carte scoperte senza saperlo, io ho aperto e mi sono azzoppata. ****
“Non puoi limitarti a ringraziarmi e lasciar perdere?”
“Grazie” dico, poi lo fulmino, uno sguardo e una sfida.
“Immagino che tu non intenda lasciar perdere.”
“No.”
“In tal caso... Spero che tu sopporti di buon grado la delusione.”
Carte inutili, senza valore. Lui non apre, io non chiudo, e non c’è niente sul tavolo a cui mi possa attaccare. Per quanto ne so, lui sta per chiudere in mano e piantarmi qui, come un’idiota.
Rimaniamo così, a guardarci in cagnesco per qualche secondo, e sapere di essere a malapena una minaccia, un fastidio facilmente eliminabile ai suoi occhi mi rende ancora più furiosa. Sono solo un’umana, una tra le tante, che per puro caso ha anche un profumo irresistibile per lui.
Qui sta la vera domanda, ed improvvisamente è come se avessi pescato un jolly.
 “Perché ti sei preso il disturbo di salvarmi?” sibilo, guardandolo intensamente negli occhi.
Attacco e scarto l’ultima carta, la crepa si allarga, la maschera cade e sul volto del vampiro appare genuino e sincero lo sconcerto. Non era la domanda che si aspettava, non si era preparato a rispondere a questo, nemmeno a sé stesso probabilmente.
“Non lo so” mormora, un’ammissione che lo ferisce più di quanto non voglia ammettere.
Edward Cullen si volta e se ne va, piantandomi in mezzo al corridoio e allontanandosi a grandi falcate, scompare nel reticolo di corsie dell’ospedale.
Lo lascio andare, fisso mentre mi da le spalle e scappa, fino a che non svolta l’angolo, lasciandomi sola.
Inspiro profondamente, mi pianto le unghie nei palmi delle mani per impedirmi di tremare.
Ho vinto questa partita.
Ma allora perché ho l’amaro in bocca, come se avessi perso?
 


 



 
 
Note d’autore:
  *- “spero che bella immagini Edward vestito da superman” cit. 4evermagik. Da quando ho letto questa frase nella tua recensione non sono riuscita a togliermi quest’immagine dalla testa! DOVEVO metterla, anche se non credo che questo fosse il modo in cui la intendevi tu xD Grazie comunque per l’ispirazione!
**- Sono versi della canzone Ironic di Alanis Morissette, bellissima, non potevo non metterla ;)
***- direi che come scena si commenta da sola:  http://www.youtube.com/watch?v=7FbIXdw_fwk   L’avete visto questo film, vero?! Solo io mi spatacco dal ridere ogni volta che lo guardo?
****- qui è in corso una metafora che fa riferimento al gioco di Scala 40. So che di solito si usa il Poker in questi casi e/o storie, ma a) non conosco abbastanza il poker da fare metafore, b) è diventato banale, secondo me, fare sempre riferimento a quello: non è l’unico gioco di carte esistente! c) sono giorni che i miei amici mi trascinano in tornei infiniti di Scala 40, ormai sono in modalità gioco continua. Tra l’altro, il modo in cui chiude Bella, nella metafora, è uno dei più stupidi e snervanti: mettersi zoppi, per chi non lo sapesse, vuol dire rimanere con 2 carte in mano, quindi nella situazione di non poter formare nemmeno un tris, perché alla fine di ogni turno devi comunque scartare, quindi continui a pescare sperando che ti arrivi in mano la carta che ti permette di attaccare chiudere. Io adoro “chiudere in mano”, che vuol dire mettere giù tutto quello che hai e chiudere in un solo turno, cosa che procura immensa soddisfazione a me e frustrazione nell’avversario, e generalmente è ancora più divertente farlo quando hai contro uno che è zoppo. Sapete quanto è essere pronti per chiudere in mano e improvvisamente l’avversario, che si è messo zoppo, chiude perché gli arriva in mano un jolly?! Ecco! È una vittoria senza gloria, piuttosto infame, anche per questo mi immagino Bella che non ne esce soddisfatta.

 
 

 

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Capitolo 12
*** Hounded ***


Holaaaaa! Buon anno a tutti! Sì, lo so, è già passato qualche giorno, ma fa lo stesso. Dopo tanto penare, anche questo capitolo vede la luce. Come al solito è stato un parto -.- Sì, non credo che riuscirò mai a scrivere qualcosa senza entrare in travaglio, è stato una sofferenza fino all'ultimo, basti dirvi che ci ho messo un giorno solo per sistemare le note e l'html. L'ho già detto in passato, ma questa volta l'apporto dei capitoli di Midnight sun è stato fondamentale, capirete perchè.  Purtroppo, più la storia procede, più l'angst mi richiama a sè, perciò anche stavolta la demenzialità di Bella è tenuta a freno per necessità di trama e di contesto. Che dire... sono abbastanza soddisfatta di come è venuto, ci ho lavorato veramente tanto, ma sono sicura che qualcosa mi sarà sfuggito. In questo periodo ho anche cominciato ad editare i primi capitoli, in parte perchè erano pieni di refusi, poi perchè l'impostazione grafica era penosa e sto cercando di imparare a dare un minimo di decenza al lato estetico della FF; col tempo metterò a posto anche tutti gli altri, so che sembra una boiata, ma essendo io tecno-impedita, puntigliosa e incontentabile, ogni capitolo mi impegna qualche ora. Comunque, tornando al capitolo, sono abbastanza contenta. Magari non è il più brillante, il più divertente, o il più emozionante che ho scritto, ma mi è piaciuto lavorarci, è stato di soddisfazione, perchè ho potuto cominciare a scavare nei retroscena, sia della famiglia Cullen (aspetto che mi interessava relativamente, visto che, detto fuori dai denti, non sono frutto della mia immaginazione, rientrano nel Canon, non sono quindi terreno per sperimentazioni, almeno in questo frangente), che del trio (Streghe non c'entra nulla, è solo più comodo). In particolare, finalmente, ho potuto svelare qualcosa di più del legame che unisce le tre Regine. Poi... boh, non mi viene in mente altro da dire, sono stanca; sicuramente mi verrà in mente qualcosa domani e mi prenderò a schiaffi. In ogni caso c'è sempre la mia pagina facebook, chi la segue e ha visto lo spoiler postato un paio di mesi fa è testimone dei miei sforzi e della mia buona volontà a darle un senso. Bene, ora, prima di lasciarvi al capitolo, vorrei ribadire, spero per l'ultima volta, che io non ho intenzione di lasciare questa storia incompleta. Non posso prevedere quanto tempo ci vorrà, sicuramente tanto, sia per via dei miei tempi lunghi riguardo la stesura dei singoli capitoli, sia perchè la storia stessa è pensata per essere lunga, molto lunga. Di nuovo, i miei tempi sono biblici, lo so, me ne rendo conto, però non sono tali perchè mi diverto a tirarla per le lunghe o per far dispetto a voi, ma per i seguenti motivi:
- il tempo che dedico alla scrittura è poco, e non sempre, quando ho tempo per scrivere, l'ispirazione mi sostiene, quindi magari scrivo qualcosa che poi mi fa schifo e perdo metà del tempo a cancellare e riscrivere tutto; assurdo, perchè poi la volta che sono ispirata vado a ri-scaravoltare tutto di nuovo, giusto per cercare di dare una parvenza di decenza al tutto;
- quando scrivo lo faccio per me stessa, è un momento che dedico a me, alla mia creatività, quel poco che ne rimane, ed è un po' come fare palestra: se la alleno poco e passa del tempo tra una sessione di allenamento e l'altra, ogni volta è difficile rimetterla in moto, e gli esercizi vanno fatti bene, con cura ed attenzione, altrimenti poi "ci si fa male" e non servono a niente. Mi spiego?
- conseguenza del punto sopra: sono polemica, soprattutto con me stessa, ogni cosa che scrivo viene messa in discussione dieci volte e dieci volte ancora, e sono perfettamente consapevole che anche così quello che scrivo potrebbe essere migliorato, quindi capite quanto sia laborioso avere a che fare con me stessa -___- inoltre io non riesco a scrivere capitoli brevi, mi è fisicamente impossibile. Sia perchè, coi tempi che mi prendo tra una pubblicazione e l'altra, mi sembra il minimo postare un capitolo di una lunghezza decente, sia perchè non ha senso scrivere un capitolo in cui non succede niente, e visto che io non ho dimestichezza con la sintesi, per narrare un evento ho bisogno di dargli il giusto spazio. Sono un po' come un Ent, solo in forma scritta ;)
Infine, questo è quanto, mi dispiace se alcuni di voi trovano insostenibili i miei tempi, io non riesco a fare diversamente, gli impegni sono tanti, il tempo che dedico alla scrittura e a EFP è tempo che tolgo al sonno, perchè come tutti ho una vita che mi reclama, e visto che non è un lavoro o materiale che posso presentare all'università per ottenere CFU validi, purtroppo finisce in fondo alla lista delle priorità. Mi è stato consigliato di interrompere e aspettare di avere meno impegni e più tempo da dedicare alla scrittura, ma questo vorrebbe dire lasciare perdere, perchè gli impegni che ho sono tanti e possono solo aumentare. Se ritenete che non valga la pena, che la storia non meriti l'attesa per n motivi, mi dispiace, io seguo FF bellissime ma che aggiornano ogni tot mesi quindi ci sono abituata, è evidente che la mia non ha gli stessi meriti di quelle che hanno stimolato in me l'interesse e la pazienza. Vi ringrazio comunque.
Dopo questo sproloquio infinito, vi lascio al capitolo. Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate! :)


Artemys







 
 

 

 

 

 

Hounded

 
In spite of her deeply-rooted dislike, she could not be insensible to the compliment of such a man's affection, and though her intentions did not vary for an instant, she was at first sorry for the pain he was to receive; till, roused to resentment by his subsequent language, she lost all compassion in anger.1
Jane Austen, Pride and Prejudice
 




Ci sono giorni in cui uno si alza alla mattina ed avverte forte, inesplicabile e perentorio, l’impulso di non muoversi dal proprio letto.
È quasi possibile sentire una voce baritonale che, con tono paterno e intrisa di pietà, ti intima, ti prega di rimanere fermo dove sei, per il tuo bene!
Alcuni credono sia una manifestazione divina che cerca di proteggerci dall’alto, altri ritengono sia quello che viene comunemente chiamato “sesto senso”… Io credo sia un misto tra le due cose: il mio istinto di autoconservazione dà una sbirciatina a ciò che il futuro mi offre nella giornata e, se proprio la dea Sfiga ha deciso di passare a prendersi un tè sulla mia spalla, mi ordina di restare al sicuro sotto le lenzuola.
In quanto studente delle superiori, mi capita di sentire spesso quest’impulso, effettivamente più spesso di quanto la mia sicurezza imponga… e meno di quanto la mia pigrizia reclami; ammetto di aver assecondato tali istinti in passato, prima che la mia presenza a scuola fosse finalizzata a soddisfare obbiettivi che vanno al di là della mia istruzione. Forse è per questo che stamattina non ho notato niente… sì, insomma, a forza di fingere che Pigrizia avesse la stessa voce di Autoconservazione, ho finito per non riuscir più a distinguere l’una dall’altra, e stamane devo aver bellamente mandato a cagare la povera Autoconservazione, sentendomi anche fiera di me stessa, scambiandola per Pigrizia. Deve essere per forza andata così, non c’è altra spiegazione, anche perché noi Cacciatori dovremmo essere più sensibili a queste cose e, se così non fosse stato, ora non starei qui a pregare in aramaico che questa giornata di merda arrivi ad una fine, dovesse anche coincidere con la mia fine!
Ed è solo passata l’ora di pranzo. Ugh!
Che giornata di merda!
“… e poi la trovata del secolo: restare ferma davanti al furgone per vedere se il vampiro ti salverà prima che ti investano! Geniale Bella, davvero!”
“Mi hai fatta MORIRE!”
“… hai un’idea di quello che ho passato? Mi è venuto un attacco di panico! Andrew non sapeva come fare a calmarmi, ha dovuto prendermi a schiaffi!”
“Scusa, ma non credo che sia così che si curano gli attacchi di panico. Quello è il metodo per le crisi isteriche, e conoscendoti…”
“FAS!”
“Cosa?!”
“IL PROBLEMA NON SONO IO, MA QUESTA SQUINTERNATA DELLA TUA AMICA!”
“Perché improvvisamente è diventata la mia amica? Tu cosa sei, il suo cacatua impagliato?!”
“Mmmpfh… Ahahahah!”
“ISABELLA MARIE SWAN! TU NON HAI IL DIRITTO DI RIDERE! GIURO CHE, SE QUEI VAMPIRI TI UCCIDONO, IO TI AMMAZZO!”
“AHAHAAHAHAH!”
“SMETTETELA DI RIDERE, PAZZE FURIOSE!”
Vorrei smettere di ridere, ma non posso, non…. Non ci riesco! Davvero, se solo potessi!
Oddio, non respiro!
“ANACLETO! SPONGEBOB! DATECI UN TAGLIO, O V’IMPALO ALLA TURCA2, TUTTE E DUE!”
Il grido belluino di Ary si spegne nel vuoto. Sia io che Fas smettiamo di ridere e ci guardiamo reciprocamente allibite, mentre la bionda tira un sospiro di sollievo e sorride soddisfatta. Il suo compiacimento e il silenzio durano la bellezza di tre secondi netti.
“Oddio, ha ragione! Sei uguale!” esclamiamo all’unisono io e Fas, indicandoci a vicenda, per poi tornare a rotolarci dal ridere.
Tra le lacrime e i sussulti vedo la povera Ary afflosciarsi sulla sedia e massaggiarsi la radice del naso. “Odio quando parlate insieme…” borbotta, ma non riesco a darle retta, anzi, mi fa ancora più ridere3.
Sarà la tensione, sarà l’isteria, non lo so! Sta di fatto che sentire Fas ridere in quel modo, proprio come Spongebob, mi impedisce di smettere di ridere a mia volta! È contagiosa!
Mi impongo di respirare profondamente, mi fa male il diaframma a forza di ridere in questo modo.
“Bene, quindi, facendo il sunto dei progressi della giornata?!” sospira a singhiozzi Fas, asciugandosi le lacrime agli occhi.
“Oh, se permettete, vorrei io quest’onore!” bercia Ary massaggiandosi le tempie. “Un’auto sfasciata, un umano gravemente ferito…” enumera, mimando il conteggio con le dita.
“Quello non è stata colpa mia” sbuffo roteando gli occhi.
“Zitta tu! Dicevo: un umano gravemente ferito e con una possibile cotta per Bella…”
“Oh, Gesù!”
“Almeno una sessantina di umani che potrebbero essere testimoni di una evento paranormale, un vampiro che si è esposto per salvarti la pellaccia contro ogni logica e buon senso…” prosegue Ary, ignorandomi caparbiamente.
“Come io avevo immaginato” sbuffo sottolineando pigramente l’ovvietà della cosa con un gesto della mano.
“… un padre che oggi ha rischiato l’infarto, una madre apprensiva incita e giustamente ultra preoccupata…”
“Questo è davvero un colpo basso!” sibilo fulminandola con gli occhi.
“Una Ary semi-infartuata, con relativo ragazzo che ancora si chiede se non fosse stato il caso di portarla in infermeria, una Fas sconvolta che ha urlato come una banshee in mezzo alla strada…”
“Racimolando un notevole figura di merda!” sbuffa lei con una smorfia e incrociando le braccia. Svaccata sulla sedia, braccia conserte, gambe accavallate e cipiglio severo. Bruttissimo segno.
“Che scusa hai dato?” chiedo curiosa. Fas mi risponde con un’occhiata che potrebbe gelare l’inferno.
“Ho detto di aver visto un topo. Per fortuna August non mi conosce molto e ci ha creduto…”
“August? Ma che razza di nome è?!”
“Perché scusa? Noi tre veniamo dalla fiera del ‘Che razza di nome è?!’, se è per quello!!
“Ragazze!” sbotta Ary, lanciandoci uno sguardo che è puro veleno e, nonostante lo schermo sia solo un tramite, sento il brivido che preannuncia il pericolo corrermi sotto la pelle. “In ultimo, ma non per importanza, una Bella che si è chiaramente bevuta il cervello e ben due vampiri incazzati che vogliono farla fuori. Ho dimenticato qualcosa?” chiede freddamente, concludendo la sua tirata.
Io mi stringo nelle spalle, soppesando le parole.
“Mmm… sì, il mio pick up ha un’ammaccatura sulla fiancata”.
Mi stringo mentalmente la mano per la sparata, mentre osservo le differenti reazioni delle mie amiche attraverso lo schermo. Fas si sta sforzando di rimanere seria, ma lo vedo che si sta mordendo la guancia per impedirsi di ridere, mentre Ary… dal tic della palpebra inferiore dell’occhio destro, direi proprio che sta sognando di darmi un pugno. O due.
“Bella…” esala in un sibilo che evoca scenari di morte e distruzione.
Rettifico, sta sognando di usarmi come punching ball.
“… sono seria! La situazione è molto grave”.
Il silenzio cala, denso e pesante. Scrollo le spalle e sospiro.
“Lo so” dico tamburellando le dita sul ripiano della scrivania, gli occhi fissi sull’onda sinusoidale tracciata nell’aria dal movimento delle nocche. So che mi stanno fissando, so che sono preoccupate, so che sono stata avventata ma… “Che cosa avrei dovuto fare? Fare un back flip4 per mettermi al sicuro sul cassone del pick up?! Ero tentata, ma poi ho pensato che sarebbe stato difficile da spiegare!”
Attendo la risposta velenosa che so di meritare, ma per qualche ragione non sento altro che silenzio. Dopo qualche secondo alzo gli occhi, convinta di trovare lo schermo spento o il video impallato per qualche problema di connessione, ma Fas e Ary sono lì che mi guardano, silenziose e concentrate, gli occhi che a tratti sembrano perdersi nella contemplazione di qualcosa di lontano.
“Lasciamo perdere” mormora alla fine Fas con una nota secca nella voce, “ora sarà meglio concentrarsi sulle conseguenze”.
“Giusto” sospiro io, la piccola vocina del mio animo che pigola di sollievo viene subito schiacciata dalla sensazione costante che mi porto dietro da quando ho lasciato Edward all’ospedale. Braccata.
“Hai parlato di due vampiri che vogliono farmi fuori. Chi, dove, come e quando”.
“Rosalie e Jasper” esclama piatta Ary, lanciandomi un’occhiata significativa. Non sono sorpresa, ma un brivido mi corre giù per la schiena.
Ansia, paura, eccitazione.
Adrenalina.
Braccata.
“Dipende da dove ti farai trovare, ma progettano di attaccarti a casa” riprende Fas, le pupille innaturalmente dilatate mentre scruta le possibilità del mio futuro, le iridi animate da un fremito costante, come se stesse sognando. “Rosalie progetta di colpirti nel sonno. Niente sangue, solo un colpo in testa. È metodica” spiega, pronunciando l’ultima parola più lentamente, con ammirazione, come se stesse guardando un artista all’opera. “Jasper è più caotico… non ha ancora deciso il come o il quando. È convinto, ma non è sicuro di come fare ad ucciderti senza essere tentato di bere il tuo sangue. Continua a cambiare idea. Non capisco se lo faccia per nascondere la propria strategia a Edward o se per evitare che Alice lo veda cadere in tentazione… Comunque nessuno dei due sta tenendo conto delle azioni dell’altro, il che potrebbe tornarti utile”.
Corrugo la fronte e annuisco. Rosalie potrà anche essere metodica, ma non mi preoccupa più di tanto; Jasper mi inquieta, e non poco. Il vampiro biondo è un osso duro, è esperto, a giudicare dalle cicatrici. Non sarà facile da eliminare. Mi dispiace solo per Alice, non mi perdonerà mai per aver fatto fuori il suo compagno. Ora che ci penso, se elimino Rosalie, poi dovrò fare i conti con Emmett. Seh, e poi?!
Alice…
“Aspetta un secondo!” gracchio facendo un balzo sulla sedia. “Che cazzo vede Alice?! Voglio dire, non ha ancora avuto nessuna reazione vedendomi rispondere agli attacchi nelle sue visioni?”
Sta a vedere che ho fatto tutta questa fatica per veder andare tutto a puttane per colpa della preveggenza della succhiasangue.
“Calma” mi blocca Ary. Non mi ero nemmeno accorta di essere balzata in piedi e di avere il fiato corto e le palpitazioni. Dov’è finita la sedia?
“Fas ha scoperto di riuscire a creare delle interferenze nelle visioni di Alice” mi spiega con calma la bionda, non appena torno a sedermi composta davanti alla scrivania, il cuore ancora balbettante.
“Ricordi quando ti dicevo che a volte le mie visioni sembravano… disturbate? Ecco, quando abbiamo delle visioni del futuro è come se sia io che Alice ci collegassimo ad un canale… un flusso dove scorrono e coesistono le varie possibilità. Anzi, è più come un mare, dove le variabili fluttuano incessantemente. Fino ad ora ci siamo disturbate a vicenda, senza esserne consapevoli, perché nel momento in cui ci connettiamo, anche noi emettiamo delle onde… Sai, perché il fatto stesso di vedere il futuro modifica il futuro…”
“Sì, sì, il principio di indeterminazione5. Andiamo oltre” sbuffa Ary con fare annoiato. Quando fa così… se l’avessi a portata di mano, una ginocchiata nei denti non gliela leverebbe nessuno.
“Esatto” esclama Fas a denti stretti, la tensione nella linea del collo mi dice che i suoi pensieri non sono diversi dai miei. “Il punto è che ho capito come direzionare le mie onde di immissione per controllare le interferenze che creo nelle visioni di Alice. Posso tagliare alcune parti senza che lei se ne accorga, con un po’ di pratica credo che potrò anche inserire sequenze fittizie, ma non posso bloccare completamente le sue visioni. Ad ogni modo, per il momento siamo al sicuro, Alice non ha visto le tue reazioni agli attacchi, il che ti garantisce comunque l’effetto sorpresa. Anche se…”
“Cosa?” chiedo, il tono più brusco di quanto vorrei.
“Potresti non averne bisogno. Di reagire intendo” spiega, l’ombra di un ghigno si fa largo sul suo viso sottile, e per un attimo ho un flash di quando da bambine giocavamo a Peter Pan. Io ero Uncino, Ary era Wendy e Fas era Peter. Stessi capelli rossi, stesso ghigno da peste.
“Sembra che il tuo vampiro ci abbia preso gusto. Non importa cosa facciano i suoi fratelli, lui è sempre lì a difenderti” sorride maliziosa, la voce che sembra canticchiare le parole di una filastrocca.
“Per ora” dice Ary, bloccando sul nascere il mio tentativo di fare una linguaccia. “Le lezioni stanno per finire, Carlisle ed Esme sono già a casa che li aspettano. È in arrivo una bella riunione di famiglia e non possiamo essere certe di nulla. Quante armi hai con te?”
Faccio mente locale del contenuto della valigetta metallica che mi sono portata da Phoenix. “Tre coltelli, due pistole, un paio di caricatori di riserva, qualche shuriken6… il minimo indispensabile. In caso di necessità contavo sul deposito della nonna”.
Ary annuisce, “Pensi di sfruttare la baita?”
“Sì, se saranno loro a venire da me, preferisco tenerli lontani da Charlie. Inoltre, là avrei più gioco, aumenterei il mio vantaggio, e una volta finito lo scontro potrei far sparire i resti velocemente”.
“Sempre che lo scontro abbia luogo” puntualizza Fas, il fantasma di un ghigno che ancora aleggia sulle sue labbra.
“In ogni caso, ti conviene andare ora. Le lezioni sono finite”.
Controllo l’orologio: 15.007.
Charlie è ancora in centrale, dovrei tornare per tempo. Controllo per sicurezza che la porta della camera sia chiusa a chiave e m’infilo le scarpe.
“Prendi con te il telefono, non si sa mai…”
“Sì, mamma” sbuffo mentre litigo coi lacci della scarpa destra.
Ary è così, lo so: dolce, premurosa, comprensiva, acida, spacca maroni, critica, sputa sentenze… materna!
“Ah, e se potessi mandare una delle tue bestiole… sai, vedo meglio se è un posto in cui sei stata o in cui è arrivata una tua estensione mentale” mi chiede mentre scrollo il blocco della finestra. Dopo anni di inutilizzo e di umidità, il legno si è gonfiato ed ora la finestra è incastrata. Infilo le dita nella fessura e faccio leva con le nocche spingendo verso l’alto e, con un’altra veemente scrollata, la finestra si apre. Dovrò metterci dell’olio. Salgo in piedi sul davanzale tenendomi con le mani alla cornice della finestra. Il salto non è niente di eccezionale, ma il pino qui davanti si sporge coi rami verso la casa in modo così disponibile che sarebbe stupido rifiutare. “A dopo” esclamo, rivolta alle mie spalle, mi do una leggera spinta in avanti e salto. Mi aggrappo al tronco freddo dell’albero, non molto robusto, ma sufficiente a sopportare il mio peso. La corteccia è ruvida sotto le mie mani mentre mi lascio scivolare fino ad appoggiare i piedi sulla base di un ramo. Da qui a terra saranno appena cinque metri. Stacco le mani dall’albero, piego le ginocchia e salto di nuovo, con forza questa volta. Sembra una vita che non mi muovo sul serio, ho bisogno di levarmi di dosso un po’ di ruggine, per questo azzardo un avvitamento in aria prima di toccare terra, rotolando sull’erba. Decisamente meglio di quando atterravo sul cemento della città, a Phoenix. Mi rialzo, piena di energia e di adrenalina. Quanto mi mancava questa sensazione!
Senza pensarci un minuto di più comincio a correre, inoltrandomi subito nella foresta.
Il profumo dolciastro e denso del sottobosco mi invade mentre terra, radici, rocce e felci scorrono sotto i miei piedi. Qui non ho nessun bisogno di trattenermi, posso dare sfogo alle mie potenzialità, al mio corpo, che per settimane è dovuto rimanere come assopito, nonostante la presenza dei vampiri e la cenere assunta quotidianamente lo caricassero di energie, che chiedevano di essere sfruttate. Improvvisamente mi rendo conto di quanto sia stato stupido non sfruttare le ore di assenza di Charlie per allenarmi nella foresta, ma ero convinta di non poter rischiare, nel caso che Alice mi stesse tenendo d’occhio. Mi sa che d’ora in poi Fas avrà un bel po’ da fare con le visioni, non posso permettermi di rimanere inattiva e fuori allenamento in queste condizioni.
Sono passati anni dall’ultima volta, la foresta è cambiata, ma ricordo perfettamente i punti di riferimento che mi aveva insegnato la nonna per raggiungerla: la grande roccia spaccata, il pino storto, il burrone…
Proprio costeggiando il dirupo, scorgo una femmina di smeriglio8 che sorvola le cime degli alberi in fondo ad esso, volando in circolo alla ricerca di prede.
Perfetta.
Mi fermo, fissando lo sguardo su di lei, mi concentro.
È straordinario comunicare con gli animali: niente parole, solo sensazioni, immagini, impulsi.
Dilato la mente, lasciando che i miei pensieri si espandano al di fuori di essa. È come gonfiare un palloncino.
Come preparandomi ad urlare, inspiro profondamente e scaglio il mio richiamo mentale verso il rapace. Lo smeriglio vira verso di me, inclinando le ali, e sfruttando una corrente ascensionale si dirige verso di me. Alzo il braccio, inviando al rapace l’ordine di non stringere gli artigli per non ferirmi, e quello vi si appoggia con delicatezza. 
Lo smeriglio mi fissa coi suoi occhi ambrati, lo sguardo vigile e curioso. Ha un piumaggio splendido, sui toni del bronzo e del nero.
Concentrandomi sul contatto visivo, le invio le immagini dei Cullen e della direzione verso la quale si trova la loro casa. Conquistata la sua attenzione, so che mi ubbidirà e mi presterà i suoi occhi.
Appena comprende cosa voglio da lei, percepisco un pensiero di assenso, e lo smeriglio spicca di nuovo il volo. Compie ancora un paio di circoli sopra di me e poi riparte, nella direzione che le ho indicato.
Anche io ricomincio la mia corsa nella foresta, ma ora una parte della mia mente vede attraverso gli occhi del rapace, che sorvola le cime degli alberi.
Per orientarmi meglio, la faccio avvicinare alla statale, inviandole le immagini del lungo fiume di asfalto che si snoda sotto di lei con l’ordine di seguirlo, mentre io individuo la formazione rocciosa a di testa di lupo. Non sono lontana.
Lascio lo smeriglio al suo volo, concentrandomi sul mio sentiero, che ora si inerpica su una specie di scala naturale, fatta di rocce e radici. Aiutandomi con le mani scalo l’ultimo tratto, ormai quasi verticale, e arrivo ai margini di un’ampia radura. Al confine opposto, come uscita da un racconto, c’è la vecchia baita della nonna. Le imposte di legno sono chiuse, l’edera ha ricoperto metà della facciata, e il muschio ha formato uno spesso strato sulle tegole. L’erba è cresciuta alta e devo farmi largo per avvicinarmi. Sono passati tre anni dall’ultima volta che sono venuta qui. Poco lontano dalla casa, il varco tra gli alberi, che segnava il vecchio sterrato che collegava questo luogo alla strada asfaltata, è ormai quasi del tutto sparito. Nessuna macchina lo percorre da dieci anni, da quando la nonna ha lasciato Forks, e la foresta si è ripresa ciò che le apparteneva. Probabilmente anche la casa e la radura sarebbero in condizioni ben diverse, se non mi fossi presa cura di questo posto nelle estati che passavo con mio padre. Non che Charlie sapesse che venivo qui, questo era il nostro posto segreto, mio e della nonna. Credo che nemmeno il nonno ne sapesse niente.
Raggiungo la veranda e mi siedo sulle vecchie tavole di legno, impolverate e insidiate dalle erbacce.
Ci sarà un bel po’ di lavoro da fare qui.
Mi appoggio con la schiena alla colonnina di legno e riprendo fiato.
Controllo l’ora: sono le 15.15, ormai i Cullen saranno arrivati a casa.
Attraverso gli occhi dello smeriglio, scorgo lo slargo tra gli alberi della radura nella foresta che custodisce nel segreto la casa dei Cullen. Il rapace si allontana dalla strada e sorvola le cime dei pini, avvicinandosi a quel vuoto e allo scintillio del torrente che scorre vicino alla villa. La strada sterrata che la collega con la statale è completamente oscurata dalla vegetazione, impossibile scorgerla dall’alto, così rimango sorpresa nel vedere la Volvo metallizzata di Edward spuntare dalle ombre degli alberi e parcheggiare nello spiazzo di fronte alla casa.
Appena in tempo, pare.
I giovani Cullen scendono dall’auto e, senza nessuna inibizione, si muovono alla loro naturale velocità, raggiungendo l’ingresso in un battito di ciglia.
Faccio planare il rapace, in modo che si abbassi al livello delle finestre, così da poter guardare dentro. Per mia fortuna, questi vampiri hanno una predilezione per gli ambienti luminosi: quasi tutte le pareti esterne della casa sono costituite da grandi vetrate o ampie finestre, il che mi permette di spiare facilmente ciò che avviene all’interno. Dopotutto, come potrebbero mai sospettare di un uccello?
Li trovo in quella che sembrava una comunissima sala da pranzo, seduti attorno ad un tavolo ovale di legno scuro.
Lo smeriglio, seguendo i miei ordini, si posa su di un ramo, proprio di fronte alla finestra aperta. Nessuno dei vampiri pare farci caso, impegnati come sono a scrutarsi l’un l’altro.
L’atmosfera sembra tesa. È come se stesse per avere luogo un vero e proprio consiglio di guerra.
Il dottore è seduto a capotavola, il che conferma la mia idea di lui nel ruolo di capofamiglia, mentre la sua compagna, Esme, è accanto a lui, con la mano protesa sul tavolo a coprire quella di Edward, seduto all’altro lato del vampiro biondo.
All’altro capo del tavolo, come a rimarcare la sua posizione sul fronte opposto, si è seduta Rosalie, l’espressione congelata in una smorfia ostile, ed Emmett è accanto a lei. La bionda non smette di fissare Edward in cagnesco. Jasper è l’unico ad essere rimasto in piedi, appoggiato alla parete alle spalle di Rosalie.
Non mi pare un buon segno.
Alice si è seduta accanto ad Esme, ha la testa china e si sfrega la fronte con le dita sottili, come se avesse mal di testa.
Strano… ero convinta che sarebbe stata dalla parte del suo compagno, come Emmett con Rosalie. Ma forse sta aspettando di avere una visione più chiara. Non ho dubbi che Fas stia facendo di tutto per confondere le acque, non mi sorprende che abbia mal di testa.
Dopo uno scambio di sguardi tra i presenti che sembra infinito, è Edward a rompere il silenzio, la sua voce mi arriva chiara attraverso le orecchie del rapace, come se fossi presente nella stanza.
 “Mi dispiace” dice, guardando prima Rose, poi Jasper e infine Emmett. “Non volevo mettervi in pericolo. E' stato avventato, e mi prendo la piena responsabilità delle mie azioni affrettate .”
Rosalie lo fissa, sembra pronta a saltargli alla gola. “Cosa intendi con 'mi prendo la piena responsabilità'? Le aggiusterai?”
“Non nel modo in cui intendi” dice Edward, il tono pacato e tranquillo, ma nel movimento guizzante con cui rinserra la mandibola mi fa sospettare che non sia poi così calmo. “Partirò adesso, se è necessario.”
No! Vaffanculo! Perché?
“No” mormora Esme. “No, Edward.”
Amo questa donna. Cioè, vampira. Oh, al diavolo!
Edward le da un buffetto sulla mano e le sorride mestamente, “Sarà solo per pochi anni.”
Ma sì! E tu credi anche che cambierebbe qualcosa? Se non mi attacco a te, mi attacco ad Alice, che onestamente mi ispira quasi di più. Certo, Jasper potrebbe crearmi qualche problema a questo punto…
“Esme ha ragione, comunque” dice Emmett. “Non puoi andare da nessuna parte. Non sarebbe di grande aiuto. Dobbiamo sapere che cosa stanno pensando le persone, ora più di prima.”
Vampirello legge nel pensiero! Vampirello legge nel pensiero! Trallallallero Trallallalà!
“Alice lo scoprirà in prima linea” esclama Edward lanciando un’occhiata alla vampira, intenta a scrutare il vuoto.
Edward, vaffanculo!
Carlisle scuote la testa. “Penso che Emmett abbia ragione, Edward. La ragazza probabilmente parlerebbe se tu sparissi. Partiremo tutti, o nessuno.”
E io vi seguirei a ruota. Grazie, Carlisle.
“Lei non dirà nulla” esclama convinto Edward, stringendo la mano sotto quella di Esme, che non lo lascia...
“Non conosci i suoi pensieri” ricorda Carlisle, ammonendolo con lo sguardo.
Eh, no, tesoro, non conosci i miei pensieri. I cacciatori non sarebbero durati così a lungo se qualcuno non ci avesse dato una protezione da quelli come te.
“Lo so già. Alice, appoggiami” dice Edward, una supplica appena accennata nella voce, voltandosi verso di lei.
Alice lo fissa stancamente. “Non posso vedere cosa accadrà. Se solo lo superassimo...” dice, lanciando un'occhiata a Rosalie e Jasper.
No, non poteva vedere quel futuro, non se Rosalie e Jasper erano così decisi a non ignorare l'incidente.
Il palmo di Rosalie sbatte contro il tavolo con un rumore sordo, vedo il legno tremare sotto l’impatto. “Non possiamo concedere ad un'umana la possibilità di dire qualcosa. Carlisle, devi capirlo. Anche se decidessimo di sparire, non sarebbe prudente lasciare vicende dietro di noi. Viviamo in modo differente rispetto al resto della nostra specie, sai che ci sono quelli a cui piacerebbe avere la scusa per puntare il dito. Dobbiamo essere più attenti di chiunque altro!”
“Abbiamo lasciato chiacchiere dietro di noi prima d'ora” le ricorda Edward con fare condiscendente.
Non molte, da quanto mi risulta.
“Solo chiacchiere e sospetti, Edward. Non testimoni e prove!”
“Prove!” sbotta il rosso, scettico.
Alzo gli occhi al cielo, provo una certa simpatia per Edward in questo momento. Mi pare di sentire Arsinoe…
Colgo il movimento con cui Jasper annuisce, i suoi occhi sono aspri, le braccia incrociate sul petto e le labbra serrate.
Lui sarà sicuramente una bella gatta da pelare.
“Rose...” inizia Carlisle.
“Lasciami finire, Carlisle. Non deve essere una grande esibizione. Oggi la ragazza ha battuto la testa. Così forse il danno potrebbe diventare più serio di quello che sembra.” Rosalie alza le spalle. “Ogni mortale va a dormire con la possibilità di non risvegliarsi. Gli altri si aspetterebbero che ripulissimo da soli. Tecnicamente, dovrebbe essere compito di Edward, ma è chiaramente al di là delle sue possibilità. Lo sai che io sono capace di controllarmi. Non lascerò nessuna prova dietro di me.”
“Sì, Rosalie, tutti noi sappiamo quanto sei abile come assassina” ringhia Edward, e subito mi vengono in mente le foto dei cadaveri degli uomini ritrovati a Rochester mesi dopo la scomparsa di Rosalie Hale.
Sì, non ho dubbi sulle sue capacità.
Lei sibila verso Edward, furiosa, come una vipera pronta a scattare.
“Per favore, Edward” dice Carlisle, per poi voltarsi verso Rosalie. “Rosalie, ho guardato dall'altra parte a Rochester perché sentivo che dovevi avere giustizia. L'uomo che hai ucciso aveva mostruosamente sbagliato. Questa non è la stessa situazione. La ragazza Swan è innocente.”
Sono innocente, sì! Come un serial killer, armato di mitra, in un centro commerciale, di sabato pomeriggio. Ma grazie comunque per il sostegno, dottore.
“Non è niente di personale, Carlisle” disse Rosalie tra i denti. “E' per proteggerci tutti.”
Il compagno di Barbie si prende un momento per riflettere, abbassando gli occhi sul tavolo, e il silenzio cala nella stanza. Poi annuisce.
Rosalie si illumina, come ad una bambina cui hanno promesso il regalo che voleva.
Merda! Vaffanculo, Ken! E tu, Edward, che cazzo ti ghigni?
“So cosa vuoi dire, Rosalie, ma... vorrei che la nostra famiglia fosse protetta in modo degno. L'occasionale... incidente, o la mancanza di controllo, è una spiacevole parte di quello che siamo. Assassinare a sangue freddo una bambina senza colpa è completamente un'altra cosa. Credo che il rischio che rappresenta, parlare o meno dei suoi sospetti, non è niente in confronto al rischio più grande. Mettiamo a repentaglio l'essenza di quello che siamo.”
Ok, ora capisco perché Edward ha smesso di ghignare e ha l’aria di chi vorrebbe tanto fare un applauso. Scusa, Carlisle, sei un signore!
Rosalie, invece, sembra una che abbia appena inghiottito un limone, “Sarebbe essere responsabili”.
“Sarebbe essere insensibili” la corregge gentilmente Carlisle. “Ogni vita è preziosa”.
Rosalie sospira pesantemente e sporge il labbro inferiore. Povera bimba!
Emmett le da un colpetto sulla spalla. “Andrà tutto bene, Rose” dice, incoraggiandola a bassa voce.
“La domanda” riprende Carlisle, “è se dovremmo partire.”
“No” si lamenta Rosalie. “Ci siamo appena sistemati. Non voglio ricominciare di nuovo da allieva di scuola superiore!”
“Potresti mantenere la tua attuale età, ovviamente” dice Carlisle.
“E trasferirci di nuovo presto?” lo contraddice subito. Sembra proprio un’adolescente che fa i capricci.
Carlisle scrolla le spalle.
“Mi piace qui! C'è poco sole, e stavamo diventando quasi normali!”
Mpf! Normali come un maiale con le ali che canta “Wannabe”9.
“Bene, non dobbiamo certo decidere adesso. Possiamo aspettare e vedere se diventerà necessario. Edward sembra certo del silenzio della Swan.”
Rosalie sbuffa.
Fottiti bionda, mi hai già rotto i maroni!
Ed è mai possibile che nessuno abbia ancora considerato il vero problema? Jasper rimane immobile contro la parete, silenzioso. Edward, sveglia, lo senti che ha già deciso dove scavarmi la fossa?
“Jasper” dice Edward, richiamando lo sguardo del biondo, che si volta a guardarlo inespressivo.“Non pagherà per un mio errore. Non lo permetterò.”
Bravo il mio vampirello. Il tuo complesso da principe azzurro mi inquieta, ma aspetterò che questa storia sia finita per consigliarti di farti vedere da uno bravo.
“Se ne avvantaggerà allora? Oggi sarebbe dovuta morire, Edward. Sistemerei soltanto ciò che è giusto.”
“Non lo permetterò” ripete Edward, sottolineando le proprie parole con un gelido sguardo di sfida.
Jasper aggrotta le sopracciglia, sembra sorpreso. Ci credo! Insomma, il comportamento di Edward è tutto fuor che logico… ma a caval donato non si guarda in bocca!
Jasper scuote la testa. “Non lascerò Alice vivere nel pericolo, anche il più leggero. Tu non provi per nessuno quello che provo io per lei, Edward, e non hai vissuto quello che ho vissuto io, anche vedendo o meno i miei ricordi. Tu non capisci”.
“Non sto contestando questo, Jasper. Ma ti sto dicendo, adesso, che non ti permetterò di far del male ad Isabella Swan”.
I due si fissano, senza ostilità, sembrano studiarsi, come per capire quanto sia ferma la posizione presa dall’altro.
“Jazz” dice Alice, interrompendoli.
Lui esita, mantenendo lo sguardo in quello di Edward per qualche secondo, poi si volta. “Non ti sprecare a dirmi che puoi proteggere te stessa, Alice. Lo so già. Ho ancora...”
“Non era quello che stavo dicendo” lo interrompe Alice. “Ti stavo chiedendo un favore”.
In un istante capisco di essermi persa un passaggio fondamentale. Il telefono vibra nella mia tasca, mentre Edward spalanca la bocca ed emette un rantolo quasi animalesco, da bestia ferita. Fissa Alice con espressione devastata, tutti gli altri lo scrutano circospetti, tranne Alice e Jasper, che sembrano aver ben chiara la situazione. Che anche Jasper abbia qualche potere che gli permette di comprendere il dialogo silenzioso che sta avvenendo tra la sua compagna ed Edward.
Il telefono continua a vibrare nella mia tasca, ma lo ignoro, troppo presa da quello che sta succedendo. Che cosa ha in mente Alice?
“So che mi ami. Grazie. Ma davvero apprezzerei se non cercassi di uccidere Bella. Prima di tutto, Edward è serio e non voglio che voi due vi battiate. Secondo, è mia amica. Almeno, lo diventerà”.
Che cosa?
La mia mano scatta verso il telefono e prendo la chiamata.
“Che sta succedendo? Che cosa ho fatto?” dico, la gola secca e gli occhi sgranati.
“Ho avuto una visione” risponde Fas dall’altro lato, “ho nascosto alcune cose, ma non ho potuto celarla completamente. È una di quelle forti, molto vivide. Da come sta reagendo Alice, direi che le cose si stanno sistemando”. È evidente che Ary le sta facendo la telecronaca in tempo reale.
“Che cosa ha visto?” bercio, incapace di tranquillizzarmi. Io ed Alice amiche? Vuol dire che mi conviene lasciar perdere Edward e concentrarmi direttamente su di lei?
“Ha visto te, insieme a lei. Siete l’una accanto all’altra, vi abbracciate e ridete. È una visione divisa in due momenti: nel primo tu sei umana, nel secondo…”
“Nel secondo?”
“… sei una vampira”.
Inghiotto l’aria e il respiro mi si spezza in gola.
Vampira.
Sento il sangue defluire dal mio viso ed improvvisamente mi sento fredda, come se il solo pensiero avesse evocato la morte nel mio corpo.
Esiste la possibilità che mi trasformino e che io accetti la cosa, che sia felice.
Non è possibile. Non ci credo. Io non… come potrei? Come potrei essere felice, separata per sempre dalla mia famiglia? Fas… Ary…
Il pianto di Bree mi risuona nelle orecchie, gli occhi blu di Teresa mi fulminano, l’amarezza e il rancore li hanno resi duri.
Dalle labbra mi esce un singulto.
“È molto nitida, Bella. Si va consolidando. Io… non so da cosa dipenda, entrambe le possibilità coesistono. Sicuramente diventerete amiche, ma la tua trasformazione…” la sua voce trema, incespica nelle parole. È come se mi stesse diagnosticando un cancro.
Fas, ti prego.
“Quando?”
“Non lo so, è incerto. Ma non sei molto più grande di come sei adesso, da trasformata”.
Quanto tempo ho prima che la situazione mi sfugga di mano? Che cosa accadrà perché io accetti la trasformazione?
Forse non avrò scelta.
Chi è il bastardo succhiasangue che mi morderà?
Quanto tempo mi rimane?
Giorni? Mesi? Qualche anno?
“Se ti può consolare, sei bella da far schifo come vampira” esclama Fas, cercando di farmi ridere. Ma la sua voce mi sembra così lontana, come se l’avessi già persa.
Perché di una cosa sono certa: le perderei. Anche se, per qualche inspiegabile ragione, riuscissi ad accettare di vivere con me stessa in forma di vampira, Elizabeth non mi permetterebbe mai di sopravvivere.
Sarebbe capace di sguinzagliarmi contro le mie sorelle, senza problemi.
“Ma... Alice...” ansima Jasper, guardandola come se stesse cercando una scappatoia, un’incertezza nell’espressione di lei, qualcosa a cui aggrapparsi. Vorrei tanto che ci fosse.
“Le vorrò bene un giorno, Jazz. Romperò con te se non la lascerai stare” ribatte seria Alice.
Fantastico. Davvero fantastico.
In un certo senso, mi lusinga e mi fa piacere che Alice voglia essere mia amica. Anch’io, in realtà, sono curiosa di conoscerla. Solo vorrei evitare la parte in cui il mio cuore si ferma e io divento un blocco di pietra ingurgita-sangue.
Edward, nel frattempo, è rimasto immobile, gli occhi e la bocca spalancati in quell’espressione sconvolta di dolore e disperazione. Sembra una statua. È possibile che un vampiro cada in stato di shock10?! Sono concentrata sul modo in cui Alice ha pronunciato il mio nome: come se mi conoscesse da una vita.
“Alice” esala Edward, uscendo dal suo stato catatonico. “Cosa...era...?”
“Te l'avevo detto che stava arrivando un cambiamento. Non lo so, Edward” esclama l’altra, serrando la mascella in un movimento nervoso.
“Cosa, Alice? Cosa stai nascondendo?”.
“E' a proposito della ragazza?” Domanda. “E' a proposito di Bella?”
“Che cosa succede, Fas?” chiedo io, un fremito mi scuote il polso e serro più fermamente le dita sul telefono.
“Non lo so!” sussurra Fas, in sottofondo sento la voce di Ary che borbotta, confusa pure lei. In questo momento invidio profondamente le capacità di Edward.
“NO!” grida improvvisamente lui, balzando in piedi e sbattendo le mani aperte sul tavolo. Il legno del ripiano geme, mentre la sedia si rovescia, finendo un paio di metri più indietro.
“Edward!” anche Carlisle si alza, il suo braccio sulla spalla del ragazzo.
“Si sta solidificando” sussurra Alice. “Ogni minuto sei molto più deciso. Sono rimaste solo due possibilità per lei. E' l'una o l'altra, Edward.”
“Fas?!”
“Credo che abbia visto la seconda parte della visione, Bella. È probabile che Alice non volesse mostrargliela, ma non sia riuscita a nascondergliela. Non ho visto nient’altro!” dice Fas, parlando velocemente, incespicando nelle parole, come quando è nervosa.
“No” dice di nuovo Edward, il tono piatto, incolore. Fissa il vuoto, gli occhi sgranati e i denti stretti in un muto ringhiare.
“Qualcuno per favore può spiegarci il mistero?” si lamenta Emmett, alzando gli occhi al cielo.
“Devo partire” sussurra Edward, rimettendo a fuoco lo sguardo e fissandolo negli occhi di Alice, come a cercare una conferma o un consiglio.
“Edward, ne abbiamo già discusso” esclama ad alta voce Emmett, ovviamente alterato dall’essere stato palesemente ignorato ed escluso dalla conversazione. “Sarebbe il modo migliore di far parlare la ragazza. Inoltre, se te la svigni, non sapremmo per certo se lei abbia parlato o meno. Devi restare e affrontarlo con noi.”
“Non ti vedo andare da nessuna parte, Edward” dice Alice, scuotendo il capo. “Non so se ormai tu possa partire”.
Perché non dovrebbe poter partire?
“Non lo sento” bisbiglia Edward, rispondendo ad un pensiero di Alice. Jasper si stava agitando.
Dio, che nervoso! Come si fa a convivere con due che dialogano in questo modo e non dargli fuoco tre volte al giorno?!
“Perché mi stai facendo questo?” geme Edward, prendendosi disperato la testa fra le mani.
Li annodo! Giuro che li annodo! Altro che diventare amiche, se Alice non comincia a parlare la faccio diventare un colabrodo.
“Anche?” sussurra Edward, rivolgendo alla vampira uno sguardo incredulo.
“Ti dispiace se gli vado addosso con un panzer?” gracchia Fas nel mio orecchio, scocciata quanto me.
“Mettiti in fila, tesoro” bercio io, sbuffando come un treno.
“Merda!” annaspa Fas.
“Cosa?”
“No” ringhia Edward, serrando occhi e pugni e scuotendo veementemente la testa, “Non devo seguire quel corso. Partirò. Cambierò il futuro.”
“Puoi provarci” dice Alice, la sua voce risuona scettica.
“Fas!”
“Oh, andiamo!” urla Emmett.
“Bella…”
“Presta attenzione” sibila Rosalie, “Alice lo vede innamorarsi di un'umana! Com'è classico di Edward!”




 
***




Lo vede innamorarsi di un’umana.
Com’è classico di Edward.
Innamorarsi.
“Bella?”
Umana.
“Bella… stai bene?”
Edward.
“Bella, tesoro, per favore…”
Innamorarsi.
“Cazzo, di’ qualcosa!”
Esito ancora un momento, mi sento come se avessi appena guardato negli occhi Medusa. “Merda!” rantolo, incapace di articolare altro.
Improvvisamente, la colonnina di legno cui sono appoggiata è diventata gelatina e sotto di me si è aperta una voragine.
Sudo freddo, il mio cuore singhiozza.
Credo di aver sfiorato l’infarto.
Ho una fottuta paura del cazzo!
Innamorato…
Un vampiro, innamorato… di me…
Se Dio esiste, credo che mi stia punendo.
“Cosa?” dice Emmett, sorpreso. La sua risata rimbomba attraverso i muri. “E' questo che accadrà?” Ride di nuovo. “Difficile inizio, Edward.”
Vaffanculo! Che cazzo ti ridi?!
Ho bisogno di vodka, ora.
E di qualcosa da prendere a botte.
Meglio se qualcuno.
Meglio se un vampiro.
Edward Cullen, se mi capiti a tiro, ti spezzo le gambe.
“Ti prego” esalo a fatica, enfatizzando ogni parola, “dimmi che non è vero. Dimmi-che-quella-cazzo-di-vampira-bionda-con-un-palo-della luce-infilato-su-per-il-culo-si-sbaglia!”.
“Innamorarsi di un'umana?” ripete Esme con tono sbalordito. “Della ragazza che hai salvato oggi? T'innamorerai di lei?”
“Cosa vedi, Alice? Esattamente” domanda Jasper.
Lei si gira verso di lui, mentre Edward continua a fissare raggelato una parte del suo viso.
“Tutto dipende dal fatto che sia forte o meno. O la ucciderà” spiega tranquilla, tornando ad incontrare lo sguardo del rosso. A dispetto del tono calmo, lo sguardo che gli rivolge è feroce, “Il che mi irriterà molto, Edward, per non menzionare cosa succederà a te...” si volta di nuovo verso Jasper, “oppure sarà una di noi un giorno”.
Dopo questa, Alice, dovrai faticare parecchio per avere la mia amicizia. La mia morte la irriterà molto… una bestemmia irripetibile mi esce sibilante dalle labbra. “Fas” ringhio, incapace di contenermi mentre sento parlare della mia vita come se fosse una partita di football, “credevo si parlasse di una possibilità!”
“Non accadrà!” grida di nuovo Edward, “Né l’una né l’altra!”
E ti conviene impegnarti perché sia così. Ti assicuro che non ho nessun problema a farti fuori, se questo vuol dire salvare la mia pellaccia da umana, non mi interessa se sei innamorato di me.
“È una possibilità” mi assicura Fas, “Alice vede come temporanea la tua condizione umana perché le sto nascondendo il futuro che ti vede capace di difenderti e quindi, immagino, evitare di essere trasformata. Ma continuo a non vedere come, né quando, né chi, Bella. E, ovviamente, non le sto facendo vedere cosa accadrebbe se tu morissi per colpa di Edward”.
“O le conseguenze per me e per loro se dovessi trasformarmi” aggiungo io lugubre. 
 “Dipende” ripete Alice, inconsapevole di quanto parziali siano le sue visioni. “Potrebbe essere abbastanza forte da non ucciderla, ma ci andrà vicino. Servirà una sconcertante quantità di controllo, molto più di Carlisle. Potrebbe essere già abbastanza forte... L'unica cosa in cui non è molto forte è quella di stare lontano da lei. E' una causa persa.”
“Ho qualche possibilità di scrollarmelo di dosso io, se lui non è capace?” chiedo con asprezza, meditando tutti i modi possibili per stargli alla larga e rendermi assolutamente non-amabile.
Ti farò vedere i sorci verdi, vampirello.
“No. Bel tentativo però” commenta Fas, probabilmente vedendo gli esiti fallimentari delle mie idee.
Vaffanculo.
Edward continua a fissare inorridito Alice, che invece gongola.
Se sarà, sarà un’amica di merda, ci scommetto.
Dopo un lungo momento, Carlisle sospira.
“Bene, questo... complica le cose”.
Grazie, Capitan Ovvio!
“Sono d'accordo” lo appoggia Emmett, ancora in procinto di scoppiare a ridere.
Se solo Emmett sapesse come stanno davvero le cose, non riuscirebbero a farlo smettere di ridere nemmeno pestandolo a sangue.
Oh, cos’è oggi, il Giorno dell’Ironia?
“Suppongo che i piani rimangano gli stessi, comunque” dice Carlisle pensieroso. “Rimarremo, e guarderemo. Ovviamente, nessuno... farà del male alla ragazza.”
Vedo Edward irrigidirsi, senza guardare nessuno in particolare.
“No” dice calmo Jasper. “Non sono d'accordo. Se Alice vede solo due strade...”
“No!” esplode Edward in un ruggito sofferente. “No!”
A questo punto, forse preferirei che Jasper seguisse il suo piano iniziale.
Se si tratta di combattere, di difendersi da un attacco di vampiri, allora so come muovermi. Sono nel mio elemento.
Ma ora… questo… questa situazione…
È un casino!
È uno stramaledetto dannatissimo casino!
Io… non so cosa fare… non so… CHE COSA DEVO FARE?
Ho bisogno di muovermi.
Devo correre.
Scappare.
Fuggire il più lontano possibile da tutto questo.
Edward sembra pensare esattamente la stessa cosa, e ho voglia di ridere, piangere e urlare allo stesso tempo per questa sintonia che ironicamente ci lega.
Lui esce di casa, corre così veloce che gli occhi del falco riescono a malapena a coglierne il movimento. Salta il fiume e sparisce nella foresta.
Lui corre, veloce come io non potrò mai essere, e vorrei correre anche io, lasciarmi alle spalle questa sensazione opprimente di vuoto che minaccia di schiacciarmi, ma sono bloccata.
Il mio corpo non mi risponde.
Improvvisamente, mi rendo conto che sono scossa da un tremore convulso.
Mi mordo il labbro, forte, fino a sentire il sapore del sangue.
Sanguino, sono viva, sono umana.
Stai calma!
“Dove sta andando?” chiedo, la gola secca per la paura.
Non avrà intenzione di venirmi a cercare?!
In questo momento, non so cosa sarei capace di fare!
Sono talmente sconvolta che ho voglia sia di strozzarlo che di mettermi a piangere.
“È diretto ad est, raggiungerà i confini di Seattle”
“Va a caccia?”
“No… vuole solo correre, allontanarsi e pensare” mi rassicura Fas.
Inghiotto, cercando in me la forza per smettere di tremare.
Imponendomi di stare calma, libero lo smeriglio inviando un pensiero riconoscente, e abbandono la sua mente.
Sbatto le palpebre diverse volte, prima di rimettere a fuoco ciò che si trova realmente di fronte a me.
Ha ricominciato a piovere. Al riparo della tettoia di legno, non mi ero accorta di nulla.
“Bella…”
“Dammi un momento” gracchio seccamente e, senza una parola di più, chiudo la telefonata.
Lascio il telefono sullo scalino, all’asciutto, e con uno sforzo mi metto in piedi, aggrappandomi alla colonnina. Le gambe mi tremano, mi sento svuotata e allo stesso tempo percorsa da una scarica elettrica.
Muovo qualche passo, diretta verso gli alberi che circondano la radura, incurante della pioggia che lentamente mi inzuppa i vestiti e i capelli.
Giunta davanti ad un pino mi blocco, osservando le striature della corteccia scabrosa alla ricerca di un disegno, un profilo che sia vagamente umano. La mia mente deve essere davvero sottosopra perché, in un guizzo di immaginazione malata, vedo un intreccio di solchi che somiglia in modo allarmante al volto di Edward Cullen.
Il mio pugno si abbatte sul tronco prima ancora di formulare il pensiero cosciente.
Destro, sinistro, destro, sinistro, calcio.
Ancora.
Di nuovo.
Faccio qualche passo indietro, prendo la rincorsa e sferro un doppio calcio.
Scatto.
Gli alberi scorrono attorno a me.
Salto da una roccia all’altra, spicco un balzo e mi aggrappo ad un ramo. Mi dondolo, dandomi la spinta con le gambe e con gli addominali, compio due giri completi e mi stacco, passando ad un altro ramo, poi un altro, e un altro ancora, sempre più in alto.
Le mani fanno male, i polmoni bruciano, l’aria è fredda e la pioggia si è fatta più fitta e violenta.
Oscillo, ancora e ancora, poi mollo la presa, cadendo nel vuoto.
Per un istante, sospesa nell’aria, mi sento libera, leggera. Vorrei volare via.
Via da tutto.
Ma la vita non ti lascia scappare, ti illude e poi ti riagguanta, la stretta più ferrea e crudele, e io rotolo a terra, colpendo il suolo con violenza, senza nemmeno tentare di attutire l’impatto.
Rovino al suolo, rocce e radici mi colpiscono come una folla inferocita: la schiena, le costole, le gambe, i fianchi…
Quando smetto di cadere ho male dappertutto. Ma non è ancora abbastanza.
Cerco di sollevarmi, ma, quando sono quasi in piedi, le ginocchia cedono e collasso di nuovo a terra.
Ho bisogno di fare del male a qualcosa, a qualcuno. Comincio ad afferrare tutto ciò che mi capita a tiro e a scagliarlo lontano: sassi, erba, felci.
Percuoto il terreno come se fosse un tamburo, i pugni serrati all’inverosimile, seguendo quel ritmo caotico e belligerante che mi scuote l’anima.
Ho bisogno di urlare.
E urlo.
Urlo come credo di non aver mai fatto.
Sento la gola bruciare, scorticata dalla violenza della voce che mi esce come il ruggito di una bestia morente. Urlo con tutta me stessa, con tutto il fiato che ho, fino a sentire i polmoni completamente svuotati, fino a tremare per lo sforzo. Eppure non sento niente all’infuori del dolore e del sangue che mi pulsa nelle orecchie.
Tutto ciò che è successo nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, mi è crollato addosso. Tutta la rabbia, il rancore, la paura, la solitudine…
Non mi sono mai sentita così schiacciata, così stupida, così impotente, così piccola.
Così sola.
Improvvisamente, le mie spalle sono troppo deboli per reggere tutto questo peso.
Perché?
Perché sono qui, da sola, ad affrontare tutto questo?
Nonna, perché non sei qui con me? Non sono pronta, non ce la faccio senza di te. Credevo che almeno avrei avuto Ary e Fas, ma loro… non sono qui.
Ho sbagliato tutto? Eppure non saprei tornare indietro e fare diversamente.
Cosa devo fare, nonna?
È una cosa più grande di me, non so come gestirla, eppure… non riesco a mollare. Non riesco a pensare di partire e lasciar perdere.
Non so se ormai tu possa partire.
Le parole di Alice mi risuonano nella mente. È questo che voleva dire?
Non si riferiva ad un impedimento fisico o dato da fattori esterni, ma da una sorta di blocco mentale? Il non riuscire nemmeno a pensare di partire senza sentirsi trascinare a terra da un profondo senso di vuoto, vergogna e smarrimento?
Anche Edward si sente così?
Perché? Non dovrebbe ancora essere innamorato di me, non ne ha motivo, e onestamente non vedo come potrebbe averne in futuro. E io? Perché mi sento così?
Lo so il perché: è una vigliaccata. Non è da me lasciarmi qualcosa di irrisolto alle spalle, e non voglio che se ne occupi un’altra cacciatrice. Soprattutto, non voglio che Elizabeth arrivi ai Cullen prima di aver scoperto tutto su di loro. Non so nemmeno io il vero perché, sono anomali certo, ma… li voglio capire.
E poi, dove dovrei andare? A Phoenix? Non c’è più nulla per me lì, solo Elizabeth che mi fiata sul collo e mi guarda come una bomba pronta ad esplodere. A Jaksonville? No, ho promesso a me stessa di stare lontano da mia madre, Phil e il bambino. Meritano molto di più di tutto questo. E Charlie? Come faccio a lasciarlo dopo così poco tempo, senza distruggerlo?
Non voglio andarmene, ma… non voglio nemmeno morire.
Sbatto le palpebre. Le lacrime scorrono bollenti sul mio viso congelato dalla pioggia.
Abbasso gli occhi sulle mie mani, scorticate dalla corteccia, ricoperte di terra, ghiaia, erba, schegge di legno e sangue.
Le braccia, i pantaloni, la maglia, sono completamente ricoperti di terra e sangue.
Sangue.
Il mio sangue… una lama a doppio taglio
Una scintilla di comprensione balena nella mia mente e, all’improvviso, tutto si fa più chiaro, più calmo.
Inspiro profondamente, tranquillizzandomi, mentre il cuore rallenta il suo galoppo disperato e il tremore abbandona le mie membra. Pian piano, riprendo il controllo del mio corpo, e coscienza dei danni che mi sono procurata nella mia scenata isterica.
Con cautela, cerco qualche appiglio per rimettermi in piedi. Le ginocchia sono ancora un po’ ballerine e tento qualche timido passo, come se stessi tastando il terreno, per riprendere sicurezza nella mia stabilità. Lentamente, appoggiandomi di tanto in tanto agli alberi, mi incammino di nuovo verso la casa nella radura.
Non sono andata molto lontano.
Quando arrivo al limitare del bosco, ho ripreso completamente controllo del mio equilibrio. Avanzo nello spiazzo, in mezzo all’erba alta e, a pochi metri dalla veranda, mi fermo.
Rimango così, col viso e i palmi aperti rivolti al cielo piangente. In questi otto giorni mi sono quasi abituata al clima di Forks: respiro normalmente, non mi sento girare la testa ogni volta che esco all’aperto… Certo, non è tutto rose e fiori, ma va meglio. Ma non mi ero ancora soffermata sulla pioggia vera e propria, non ero mai rimasta così, inerme e tranquilla, a lasciarmi investire.
Dio, è nella pioggia11.
La nonna lo diceva sempre; lo ripeteva ogni volta che pioveva, o che io mi lamentavo per la pioggia, specie quando doveva andare da Charlie per l’estate. Strano, perché non sono nemmeno sicura se fosse credente o no, né a quale religione, nel caso. Faccio fatica a pensarla inserita in un contesto religioso. Non era tipo da lasciarsi inquadrare in questo modo, l’avrebbe trovato limitante. Ho sempre pensato che il suo credo non si potesse celebrare che con un’arma in mano. Diceva sempre che essere una Cacciatrice ti prende anima e corpo, è uno stile di vita, ti accompagna fino alla tomba. Lo spazio rimanente è davvero poco. E poi, se il nostro uccidere i vampiri è un atto di fede, a quale dio lo offriamo?
Ora, sotto questo scrosciante pianto del cielo, capisco cosa voleva dire. La pioggia può essere lieve o violenta, sottile o grossolana, ma, una volta che ti è addosso, scorre carezzevole sulla pelle, lavando via tutto. Porta via lo sporco, le lacrime, la tensione, i pensieri. La pioggia t’inzuppa i capelli, s’impiglia tra le ciglia, scivola nelle orecchie e s’infiltra sotto i vestiti. Intride tutto di un odore più fresco, vibrante, e tutti i profumi s’intensificano. Perfino il suono, dal picchiettare allegro sulle tegole, al gorgoglio prodotto dai rivoli che scendono dalle grondaie, è talmente vario e denso di sfumature da catturare completamente la mia attenzione. La pioggia è qualcosa di totalizzante, non lascia spazio per nient’altro, nel bene e nel male. Tutto sta nel come l’accogli. Io l’ho sempre percepita come un nemico, un ostacolo; non avevo mai considerato che potesse essere un’alleata, una panacea per il corpo e lo spirito.  
La pioggia lava via tutto il resto, ti riempie. E se sono colma di pioggia, almeno per qualche secondo, sono libera, e in pace. Quindi, se è questo che le persone intendono per “trovare un contatto con Dio”, allora sì, Dio è nella pioggia.
Riapro gli occhi. Le mie mani sono quasi pulite, la pelle si sta riformando sulle ferite aperte e il dolore va scemando sempre più.
Mi riavvicino alla veranda.
Il telefono inizia a vibrare nel momento stesso in cui lo prendo in mano.
“Non te ne vai”.
La voce di Fas risuona tristemente rassegnata nelle mie orecchie.
“Non ho motivi abbastanza validi per andarmene” rispondo io laconicamente, apatica, mentre estraggo la chiave nascosta sotto un’assicella scorrevole del pavimento.
“Rimanere in vita e umana mi sembra un motivo più che valido” mi rimbecca astiosa Fas, strillando nel microfono.
Sospiro pesantemente, scrollando le spalle, “Non ho un posto dove andare”.
“Puoi venire da me, o da Ary!” Ovvio.
La serratura s’inceppa, ruggine e disuso non hanno giovato.
“Bella!”
“Non voglio andarmene” ammetto, sapendo che fingere con lei non è giusto e non mi porterà da nessuna parte. “Non riesco a… rinunciare. Non so come fare a superare questa cosa, io… ho bisogno di restare. Devo capire”. Perfino mentre le dico mi rendo conto di quanto siano illogiche le mie parole. Testarda.
“Sei la solita testona!”
Mi manchi così tanto, sorella mia.
“Lo capisci che potresti morire? Come puoi fare questo a noi, ai tuoi, a Marie, ai clan… a te stessa?” grida, ormai alle lacrime.
La porta cede. Entro nella penombra immobile della casa, l’odore familiare di lavanda e polvere mi penetra nei polmoni.
“Ne ho bisogno, Fas”, ti prego, capiscimi, come hai sempre fatto. “Sento che devo farlo, per noi, per la nonna, per i clan, e per me stessa. Non riesco… non riesco nemmeno a… pensare di andarmene. Lo so che è assurdo, hai ragione, lo so, ma, davvero, ho bisogno di capire. Se la scelta dovesse essere uccidere, morire o essere trasformata, è chiaro che li ucciderei. Ma prima voglio fare un tentativo, se non altro per il caso di Alice. Lo sai anche tu quanto cambierebbe le cose se...”
“Non fingere di farlo per me, Bells. Ti conosco troppo bene e da troppo tempo. Sei una maledetta testona, ficcanaso e incosciente; purtroppo hai anche un dannatissimo sesto senso, che spesso ti da ragione, ma temo che questa volta tu stia facendo un passo troppo più lungo della gamba”.
“D’accordo. Forse, ma non cambio idea” esclamo mentre mi sfilo di dosso i vestiti bagnati. Perfino le calze e le scarpe sono zuppe.
“Ora ti faccio una domanda Bells, e voglio che tu sia sincera” dice, e me la immagino mentre mi scruta coi suoi occhi verdi e penetranti. “Sei veramente sicura che saresti in grado di ucciderli, a questo punto?”
Penso ad Alice, al suo viso da folletto e alla sua voce trillante, al suo modo saltellante di camminare e a quanto mi ricordi Fas. Penso ad Edward, alla sua espressione sofferente, poi curiosa, al suo tentativo di non inspirare il mio odore per impedirsi di attaccarmi, al modo in cui mi ha salvato, così impulsivo e illogico; l’ammirevole autocontrollo di Carlisle, i gesti protettivi e materni di Esme, la risata di Emmett…
L’idea di farli a pezzi e darli in pasto alle fiamme non mi esalta. Non mi rende nemmeno del tutto triste, ecco, ma non mi procura sollievo o eccitazione, come alla fine di qualsiasi caccia. Mi delude, ecco, mi lascia insoddisfatta e… vuota. Non voglio rinunciare all’occasione di conoscere e capire queste strane creature, e non riesco a pensare ad un obbiettivo che vada oltre la loro morte.
“Sì” esclamo atona, “ma, per il momento, preferirei evitarlo. Inoltre, dubito che da sola riuscirei ad eliminarli tutti. Se ne facessi fuori uno, gli altri mi verrebbero addosso, e poi alle altre toccherebbe mettere una pezza al tutto. Idem se loro, o meglio, se lui mi facesse fuori per primo. In ogni caso, se uno dei due muore è guerra, giusto?! Dell’opzione trasformazione non voglio nemmeno parlarne… non ne ho la forza in questo momento. Comunque, tu hai parlato di possibilità, giusto?”
“Bella…” sospira Fas, esitando, come se volesse dirmi qualcosa.
 “Giusto?” insisto, sperando che la mia volontà di restare umana e in vita possa aiutarla a vedere più chiaramente; sperando che, in qualche misura, il mio futuro dipenda ancora da me. Spalanco le ante dell’armadio nell’ingresso, che cigolano laconicamente. L’odore di polvere e lavanda si fa più intenso.
“Sì, ma… è rischioso. È un confine molto sottile, tutto si basa sul suo autocontrollo. E diciamoci la verità: tu provi un gusto sadico nel portare le persone al limite della sopportazione!”
“È un’arte! E poi, scusa, Alice ha detto che l’unica cosa in cui è una frana è starmi lontano. Sta tranquilla che io ho un sano amore per il mio spazio personale” esclamo stizzita, metto in viva voce e appoggio il telefono per terra mentre, con gesti pratici e veloci, finisco di liberarmi dei vestiti fradici ed estraggo una delle vecchie coperte ripiegate all’interno dell’armadio.
“Bella, lo capisci che se s’innamora di te…”
“Pff! Amore! Vorrei proprio capire come!” sbuffo, avvolgendomi stretta nella trapunta patchwork e recupero il telefono. “Senti, Fas, parliamoci chiaro, lui non può innamorarsi di me! Tutt’al più penserà di essersi innamorato dell’altra Bella, e poi qui l’amore non c’entra nulla. Abbiamo a che fare con un vampiro che si nutre di sangue animale e che ha un gravissimo complesso da principe azzurro” dico alzando gli occhi al cielo. Vado alle finestre per aprire le imposte e far entrare un po’ di luce, che entra malaticcia e tenue in questo regno di polvere. Finalmente posso chiudere la porta con un calcio, interrompendo la corrente fredda che mi gela la nuca. “Pensaci: un bel giorno arriva una ragazza con un profumo strepitoso, irresistibile, che mette a rischio la sua mascherata tra gli umani perché gli scatena naturali istinti omicidi. Scappa, poi torna, evidentemente deciso a far violenza su sé stesso pur di non attaccarla e continuare a comportarsi come un umano” elenco con calma mentre spazio con lo sguardo sull’ambiente a me familiare: il salotto, la piccola cucina, il corridoio che porta alla zona notte... È tutto come l’avevo lasciato, ovviamente. Marcio verso il divano, coperto con un vecchio lenzuolo celeste, che mi affretto a rimuovere, per poi lasciarmi crollare sui cuscini blu. “La ragazza rischia di morire” continuo, sistemandomi meglio addosso la coperta, “per lui sarebbe la soluzione ad ogni problema, e invece la salva, contro ogni logica, rischiando di smascherarsi e lasciandole intuire la sua reale natura. La sua famiglia vorrebbe eliminare la ragazza, diventata un pericolo, ma lui non vuole. Quale modo migliore di convincere sé stesso e gli altri che sarebbe un errore ucciderla, per preservare la loro parvenza di umanità e, allo stesso tempo, giustificare l’irrefrenabile e oscura ossessione che lo attrae verso di lei, se non innamorandosene?”
Sospiro, lasciando che la pausa ad effetto penetri in profondità. “Un amore tragico e sofferente, impossibile, che diventa un ottimo deterrente per lui e per gli altri, ma in realtà è semplice e classica sete, provocata dal sangue straordinariamente invitante e succulento di una Cacciatrice che, per colmo della sfiga, ha un effetto ancora maggiore su questo particolare vampiro. Arriverà un momento in cui Edward, per sentirsi meno bestia, idealizzerà l’attrazione che prova per me e la sublimerà, raccontando a sé stesso la favola del vampiro innamorato. Punto!”
Ecco la mia illuminazione, la presa di coscienza che mi salva dall’isteria, ed intendo aggrapparmici con le unghie e con i denti.
“Fine psicologa…”
“Hai una spiegazione migliore?”
“No, anche perché non vedo come potrebbe innamorarsi di te, se sarai acida e stronza con lui anche solo la metà di come sei di solito. Ah, no, aspetta, l’altra Bella ha la spina dorsale di una medusa!”
“Ed è saporita come un cavolfiore. Andiamo, va bene che è strano e che i gusti son gusti, ma…” ridacchio, felice di aver ritrovato un minimo di positività. “Bella” sospira Fas, il tono sconsolato che s’infiltra nella sua voce e uccide, spietato, la risata neonata, “Io non so come sia possibile, ma quello che vedo io, nel tuo futuro, è un vampiro innamorato”
“Ossessionato, prego!”
“Come ti pare. Il punto è che non è sano, per nessuno dei due, specialmente per te!”
Polemica, agguerrita, preoccupata. Come quando le ho detto che mi sarei trasferita a Forks.
“Senti, io non ho nessuna intenzione di lasciarci le penne, e l’idea di diventare un blocco di marmo non mi esalta, perciò farò in modo di rimanere umana. La visione include questa possibilità, no?! Bene, quindi diventerò amica di Alice, in qualche modo gestirò la questione di Edward, tu avrai la tua corona, i clan delle informazioni utili, e il mio cuore continuerà a battere. Lo prometto!”
Ogni promessa è debito. Sai che ti puoi fidare, non ho mai mancato alla parola data, Fas.
“Prometti anche” sospira lei dopo un momento di silenzio, scandisce lentamente le parole, per essere sicura che io percepisca pienamente il peso delle sue emozioni e di ciò che mi sta chiedendo, “che se le cose si mettessero male, farai di tutto per andartene via da lì in tempo per evitare lo scontro?”
La risposta mi si blocca in gola, un respiro strozzato lascia le mie labbra mentre vago con lo sguardo oltre il vetro della finestra. So cosa dovrei rispondere, ma, per qualche illogico e oscuro motivo, esito. Non è che voglia arrivare allo scontro, piuttosto non sono completamente certa di riuscire ad essere abbastanza onesta con me stessa da saper riconoscere quando sarà opportuno battere in ritirata. Il mio istinto di autoconservazione ha dimostrato di avere qualche avaria, ultimamente. Che sia una conseguenza dell’averlo forzatamente represso troppe volte per poter arrivare alle mie prede?
Il cielo grigio incombe sulla radura, le nuvole sono basse tra le montagne e a questa altitudine sembra quasi di poter arrivare a toccarle. La cortina di pioggia è meno fitta però, il vento ha cambiato direzione, ora spira da est, le cime dei pini e le onde d’erba alta si piegano al suo passaggio. Forse ha sfiorato i tetti di Parigi ed ha volato tra i grattacieli di New York, giorni fa’, raccogliendo un po’ di determinazione dalle mie sorelle e portandola fino a me, qui, sperduta tra montagne e foreste, e ora mi restituisce la voce. “Sì” esclamo, osservando il movimento di una goccia di pioggia che scivola lungo il vetro, e mentre pronuncio quella singola sillaba mi sento cadere, come quella goccia. “Sì” ripeto, con più fermezza, la sensazione di scivolare lungo un vetro senza appigli si intensifica, “lo prometto”.
Mi sento una bugiarda.
Ogni promessa è debito, certo, ma questa è la prima volta che non sono completamente sicura di riuscire a mantenerla.




 
***



Un lampo squarcia l’oscurità della stanza.
Milleuno… Milledue… Milletre...
Il tuono rimbomba e la tapparella vibra.
Fantastico, la conclusione perfetta di questa giornata orribile.
Un crescendo di ticchettii contro il vetro annuncia l’inizio del temporale.
Sospiro, chiudo gli occhi massaggiandomi le tempie. Ho un terribile mal di testa, ho sonno, e il mio stomaco brontola.
Dov’è finito Andrew con quel panino? Ha detto che tornava subito…
Un altro tuono scuote il cielo e io ho la forte sensazione di aver messo la testa dentro la grancassa di un batterista metal.
“Era una notte buia e tempestosa…”
“Molto spiritoso, Fas, davvero!” mugugno stropicciandomi gli occhi. Quando li riapro, la rossa è riapparsa sul monitor, seduta alla sua scrivania. Anche nella sua stanza incombe il buio notturno, solo la luce giallastra della sua lampada da scrittoio dissipa l’oscurità, gettandole sul viso strane ombre da cui emergono, inquietanti, le sue iridi verdi.
Inspiro profondamente dal naso e tamburello con le unghie sulla scrivania. “Quindi?”
Fas distoglie lo sguardo dallo schermo e scrolla le spalle, “Quindi niente. Lo sai come è fatta.”
“Non ha intenzione di andarsene.”
Ho una strana sensazione di amaro che mi impasta la lingua e la voglia di tirare una sberla a qualcuno. Perché non capisce? Perché non cerca di semplificare le cose?!
Il silenzio di Fas mi basta come conferma, Bella non mollerà quest’osso. Temevo che sarebbe andata così, ma speravo che, lasciandole parlare tra loro, Fas sarebbe riuscita a farla ragionare. Mi sono imposta di non sorvegliarle, ma mi chiedo se lei abbia fatto tutto il possibile per convincerla. È vero che hanno un modo di comunicare tutto loro, ma…
“Ha promesso che, se dovesse diventare troppo pericoloso, se ne andrà” mormora, lo sguardo perso nel vuoto. Non come se stesse avendo una visione, semplicemente come se fosse troppo stanca per mettere a fuoco qualcosa.
“Più pericoloso di così?” chiedo aspramente. Un vampiro innamorato… Come fa Bella ad attirare sempre le peggiori disgrazie su di sé? Come si può essere così sfigati nella vita e avere anche la testardaggine di andare a istigare la sfortuna che ti perseguita?
“Lo so…” sospira Fas, poi torna a guardare lo schermo, sbirciando verso di me, “però devo ammettere che la situazione è interessante. Sì, insomma, è assurdo, rischioso, però sono curiosa.”
Curiosa?” ribatto incredula.
“Perché, tu no?” chiede, guardandomi con una punta di divertimento. “Non ti sembra curioso che, dopo generazioni di Regine che hanno battuto in ritirata, capiti un’occasione del genere, proprio ora che tocca a noi?”
“Elizabeth è ancora al comando, tu non hai il pieno controllo dei tuoi poteri e Bella preferisce fare il lupo solitario piuttosto che guadagnarsi il benestare di Elizabeth. Siamo molto lontane da…”
“Lo sai cosa intendo” interrompe Fas, gli occhi che brillano come quelli di un gatto nell’oscurità della sua stanza.
Scrollo le spalle e distolgo lo sguardo, puntandolo sulla finestra, dove le gocce di pioggia scivolano lungo il vetro. “Lo so, Fas. Vedo anche io quello che vedete tu e Bella, ma non sono certa che Marie avrebbe approvato una linea così rischiosa.”
“Il rischio è insito in quello che facciamo! Ce l’ha insegnato lei. E poi cosa credi? Che ci capiteranno occasioni meno rischiose di questa? Perché la cosa incredibile, qui, è che è capitato. Magari troppo presto, sicuramente prima di quanto potessimo immaginare, ma una chance così unica non l’avremo mai più, nemmeno andandocela a cercare” esclama Fas, la mascella contratta in un’espressione cocciuta che la fa somigliare molto a Bella.
Ci risiamo, lo sapevo che a lasciarle fare da sole finiva così: alla fine, per quanto possano urlarsi contro e beccarsi, si sintonizzano e si fanno trasportare, e a me tocca fare la parte della bacchettona. Se Elizabeth sperava che bastasse un oceano a ridurre l’effetto che hanno l’una sull’altra, ha fatto un buco nell’acqua clamoroso. Marie ha fatto bene i suoi conti…
Deglutisco faticosamente, mandando giù quel groppo in gola che mi prende sempre in questi momenti, quando il peso di quei cinque anni in cui sono cresciute insieme, senza di me, si fa sentire.
“Fas, credimi, lo so, capisco cosa vuoi dire, e probabilmente hai ragione. Ma è troppo presto, non siamo pronte. Bella non è pronta! E noi siamo troppo lontane da lei. Anzi, temo che questo sia uno dei motivi del suo intestardirsi ulteriormente sulla faccenda. Mi preoccupa, Fas! Non puoi non vedere che qualcosa non va in lei, non è completamente in sé. Non sono disposta a rischiare sulla sua pelle.”
Fas mi guarda, indecisa, mordicchiandosi il labbro. “D’accordo. Probabilmente hai ragione, né lei né noi siamo nelle condizioni ottimali per affrontare la cosa, ma… che cosa pensi che possiamo fare? Lo sai che se insistessimo, peggioreremmo solo le cose. Inoltre… Sì, Bella ha qualcosa che non va, è vero, ma proprio per questo ha bisogno che le stiamo vicine, dobbiamo sostenerla…” sospira, la tristezza e il senso di colpa che le incrinano la voce.
Mi si stringe il cuore a vederla così, sia lei che Bella. Le mie sorelline… le mie pazze, forti, impavide e incoscienti guerriere. Vorrei tanto poterle abbracciare, averle qui con me, al sicuro e vicine.
Tutte e tre di nuovo insieme, unite e indistruttibili. Ma ora, con tante miglia a separarci, siamo come bambole rotte. E posso sentire il senso di colpa e l’accusa, il senso di abbandono e tradimento riempire come gas velenoso i chilometri che ci dividono. Mi chiedo se riusciremo a superarlo, se non mi sia illusa, finora, che questa fase delle nostre vite fosse un dolore momentaneo, addirittura necessario, che potesse farci bene e che, a dispetto degli intenti di Elizabeth, potesse rinsaldare il nostro legame.
Sospiro e scuoto lentamente la testa. “Faremo come dici tu” mormoro, tornando a cercare il suo sguardo sullo schermo, “la sosterremo, le guarderemo le spalle e il fianco, come sempre, e la riporteremo a casa.”
Fas mi guarda e stiracchia un sorriso, non il suo solito ghigno, ma il sorriso timido e dolce da bambina spezzata che le sfiora le labbra quando ha paura ma si sente confortata dall’avere me e Bella. Quel sorriso malinconico e inquieto che ha ogni volta che vede la neve.
“A-ary…” mormora, ed ecco la leggera balbuzie che accompagna sempre quel raro sorriso. La tenerezza mi punge gli occhi e il cuore, sento il bisogno di abbracciarla. “P-pensa-vo c-che… ec-c-co… f-forse se di-dices-simo a B-bella…”
Si ferma, chiude gli occhi e inspira profondamente per calmarsi. Odia balbettare. Dopo qualche secondo riprende con più convinzione, “I-io mi sento in c-colpa a-a non dirle t-tutto. N-non voglio avere se-segreti con lei, con nes-suna di voi, lo sai. In questo mo-momento, poi, mi sembra an-ancora di più un tr-tradimento.”
Sbarro gli occhi, raggelata al solo pensiero. “No! Fas, assolutamente no, non puoi! Non possiamo! Se sapesse che nella visione c’era altro… E poi, non sappiamo che cosa vuol dire quello che hai visto. Hai detto che è stato solo per un secondo!”
“Sì, è un flash, ma è ricorrente! Non è stato un momento isolato, ogni volta che mi riconcentro sulla visione, quello riappare. Non sappiamo cosa vuol dire, ma Bella ha il diritto di sapere la verità. Stiamo parlando della sua vita, del suo futuro. E poi siamo sempre state unite, dalla stessa parte, non possiamo escluderla…” esclama con voce accorata, parlando velocemente.
“Non è questione di escluderla, ma di proteggerla! Andiamo, Fas! Già così la situazione è complicata, se poi sapesse che c’è qualcos’altro… non se ne andrebbe mai da lì. Nemmeno se questo dovesse costarle caro. Vuoi davvero rischiare di perderla, piuttosto che tenerle nascosta una parte di verità per un po’?!”
Mi viene da piangere, per Bella, per Fas, per tutte e tre, e per il mal di testa. Sento che ho gli occhi lucidi, ma ingoio le lacrime.
Fas mi guarda, è molto seria, ogni traccia di sorriso è svanita dal suo viso pallido e sottile.
“Mentirle… nasconderle le cose con la giustificazione che è per proteggerla… sembra qualcosa che farebbe Elizabeth” dice lentamente, anche se ha parlato con calma, senza infondere accusa nel suo tono di voce, ogni parola è come un pugno nello stomaco.
“Elizabeth fa… fa quello che fa, ma non vuole fare del male a nessuno, vuole davvero proteggerci tutti. La differenza, qui, sta nel fatto che noi vogliamo veramente bene a Bella, non ci facciamo influenzare da pregiudizi, risentimenti o paure. La stiamo proteggendo perché le vogliamo bene, la vogliamo tenere al sicuro” mormoro, non oso parlare più forte, ho troppa paura che la voce mi si spezzi in gola. Lo so che non l’ha detto per ferirmi, ma fa male lo stesso.
Io non sono come Elizabeth.
Sostengo lo sguardo di Fas attraverso lo schermo, come se fosse realmente nella stanza, e il buio che regna da entrambe le parti fomenta l’illusione che sia qui, con me, a scrutarmi con quegli occhi verdi ed ipnotici. Così, nel silenzio e nel buio, con luce e ombra che giocano sul suo viso e coi riflessi rossi dei suoi capelli, Fas sembra nel suo elemento e appare per quello che è: una strega.
La luce bianca e improvvisa di un lampo illumina a giorno la mia stanza per un istante, abbacinandomi, e l’incantesimo che tiene incatenati i nostri occhi si spezza.
La rossa, seduta nella semioscurità della sua tranquilla stanza parigina, sospira e scuote la testa, rassegnata. “Lo sai che potrebbe arrivare ad odiarti, vero?”
Odiarmi, certo. Bella si arrabbierebbe molto con Fas, le urlerebbe contro, lotterebbe con lei fino a far scorrere il sangue di entrambe e riducendo tutte e due a dei sacchi di patate ansanti ed esausti distesi a terra. Ma finirebbe lì. Passata la furia, capirebbe. Ritroverebbe con lei quella sintonia, quella perfetta armonia per cui, anche quando sono in disaccordo, riescono a capire quello che prova l’altra, ciò di cui ha bisogno l’altra, ed agiscono di conseguenza. Ma io, pur con tutto il mio affetto e la mia premura, resto quella che non capisce, quella che si oppone perché ho ragione e non sono disposta a cedere, anche se le voglio bene. Anzi, proprio perché le voglio bene.
Già non mi perdona di essere venuta qui, a New York. Penserà che sono come Elizabeth, che l’ho tradita di nuovo, che ho agito alle sue spalle, che ho costretto Fas a mentirle, che l’ho messa contro di lei. Non importerà che l’abbia fatto per lei, perché le voglio bene, perché voglio proteggerla. Io sarò la traditrice. È me che odierà.
Un dolore sordo, al centro del petto, mi toglie il respiro. Non riesco a trattenere le lacrime, una sfugge dalle ciglia e mi scende calda lungo la guancia.
Tiro rumorosamente su col naso e stiracchio un sorriso amaro, “Lo so.”
Deglutisco, inghiottendo dolore e senso di colpa. “Che sia” esclamo, asciugandomi la guancia con un gesto rabbioso e risoluto della mano, “preferisco farmi odiare e passare tutta la vita a farmi perdonare da lei, piuttosto che darle un motivo in più per mettersi in pericolo e rischiare di perderla.”





 
 

Note d'autore:

1- "A onta della sua radicata antipatia, Elizabeth non poteva rimanere indifferente all'omaggio che l'affetto di un tale uomo significava, e sebbene le sue intenzioni non variassero un istante, sulle prime ella si dolse della pena che stava per infliggergli; finché, spinta al risentimento dal progredire del discorso di lui, tutta la sua compazzione si traformò in ira." Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio. Al di là del fatto che la Meyer ha espressamente detto che Twilight si è ispirato al romanzo della Austen, io amo "Orgoglio e Pregiudizio", lo adoro, e scrivendo questo capitolo avevo in mente in parallelo proprio questo momento del libro :D
2- “L'impalamento era un antico metodo di messa a morte di una persona tramite tortura, consistente nell'infilzare il condannato con un palo di legno, per poi sollevarlo in posizione verticale fissando il palo nel terreno. Affinché entrasse con facilità nel corpo del condannato, la punta veniva spalmata di olio o miele, il punto di entrata poteva essere l'ano, la vagina oppure una parte bassa dell'addome, il punto di uscita poteva essere la bocca o una scapola. Se non venivano lesi organi vitali, il supplizio poteva protrarsi per molti giorni, prima della morte.[…] L'impalamento, introdotto dai tartari e dai turchi, era largamente praticato da tutti i principi rumeni in alternativa al taglio della testa, privilegio tradizionalmente riservato ai boiardi, e all'impiccagione con cui di solito si punivano i borghesi” (fonte Wikipedia, Impalamento). Era una minaccia scherzosa che faceva sempre mio padre, a me e mio fratello, quando anni fa trasformavamo le cene in incontri di lotta libera, al’epoca non avevo idea di cosa intendesse, tant’è che pensavo che c’entrasse qualcosa la turca/toilet O.o potete immaginare la mia confusione a riguardo. Una volta scoperto in cosa consistesse, lontano dal rimanerne traumatizzata, mi ha colpito per l’originalità della minaccia, trovandola pittoresca, e quindi ho deciso di regalarla ad Ary. Sì, ho dei problemi! -____-
3- Allora, per chi non sapesse come ridono questi personaggi dei cartoni, vi metto il link sia per Spongebob che per Anacleto. Al posto di Spongebob avrei voluto mettere la risata di mia sorella, che è ancora più demenziale e non si riesce a non ridere guardandola, ma poi mi avrebbe ucciso nel sonno, quindi mi sono dovuta adattare ;)
4- Io non faccio ginnastica, parkour, freerunning o qualsiasi altra cosa del genere, sono l’antisport, la mia agilità è pari a quella di un ciocco di legno, ma ammiro tantissimo chi riesce a fare queste acrobazie, e vista la vita che fa Bella, mi sembra il minimo che lei le sappia fare. Un back flip è praticamente un salto mortale all’indietro. Da quel che ho visto, non si fa partendo e atterrando da un punto più basso ad uno più alto, perché è impossibile darsi una spinta in alto sufficiente, ma considerando che i Cacciatori sono dotati di una forza superiore a quella di un umano, sebbene comunque inferiore a quelle di un vampiro, Bella sarebbe stata in grado di farlo.
5- Con questo intendo che agisce in modo analogo al principio di indeterminazione: il semplice fatto di vedere il futuro crea delle alterazioni in ciò che potrebbe accadere; purtroppo non studio fisica, l’argomento mi affascina ma arrivo a comprendere i concetti solo entro certi limiti, purtroppo per me la meccanica quantistica resta una nube indistinta ;)
6- Shuriken , alternativamente shiriken nel dialetto della capitale, è una parola giapponese che indica dardi di varie dimensioni e fogge. Sono […]dardi a forma di croce (jūjiken) o di stella con svariati numeri di punte, a volte più precisamente denominati shaken (lame rotanti), scagliati manualmente imprimendo al proiettile un moto rotatorio. Questa seconda categoria è più nota in italiano col termine di "stelleninja". L'arte marziale che ne tramanda le tecniche d'uso è nota come Shurikenjutsu. (fonte Wikipedia, Shuriken)
7- La Meyer è simpatica perché non ti mette un orario manco a morire, il che mi ha costretto, sia per amore di canon che di coerenza (e perché sono pazza e mi blocco su queste cose) ad andare a vedere la tabella oraria delle lezioni sul sito della Forks High School  >___<
… l’ho appena detto a mia sorella, mi ha guardata allucinata e se ne è andata… non giudicatemi!!! T-T
8- Lo smeriglio (Falco columbarius Linnaeus, 1758) è un uccello falconiforme della famiglia dei Falconidi. Questa piccola specie di falco dell'emisfero boreale, nota colloquialmente in Nordamerica come pigeon hawk («falco colomba»), nidifica nelle regioni olartiche settentrionali; alcuni esemplari migrano in inverno verso le regioni subtropicali e quelle tropicali più settentrionali.

9- E qui la Disney regala!!!
10- “È possibile che un vampiro cada in stato di shock?” (cit. Breaking dawn, cap. 7) Non mi diverto neanche un po’ a fare queste cose, proprio no xP
11- “Dio è nella pioggia” è una battuta presa dal film V per Vendetta, inserita nel monologo che, a parer mio, è il più poetico e bello del film: la lettera di Valerie. Io lo adoro, se non avete mai visto questo film, guardatelo, perché è meraviglioso, ogni dialogo è un capolavoro, ci sono monologhi di una forza comunicativa incredibile, per non parlare della recitazione, della trama in sé… insomma, sbavo!



 

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