NO LOVE LOSE ... NO LOVE FOUND

di 12032008
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *1* ***
Capitolo 2: *** For remember that bastard ***
Capitolo 3: *** Fucking perfect ***
Capitolo 4: *** Marshall's Death Note ***
Capitolo 5: *** #5 Ultima Storia ***



Capitolo 1
*** *1* ***


NO LOVE

Marshall camminava tranquillo. I-Pod negli orecchi e via. Tornava verso casa.
Mentre si avvicinava all’appartamento, il ragazzo sentì un senso di gelo.

Quella sensazione che si prova quando sei obbligato ad andare in un posto dove non vuoi proprio mettere piede.
Quella strana sensazione chiamata paura.

Marshall aveva solo una paura: quella di diventare come suo padre.
Di fisico, tutti dicevano che era uguale, ma per lui non era così. Suo padre era altissimo, muscoloso e ingombrante. Marshall, invece, era magrissimo e altissimo. Ma non era ingombrante, anzi, era sottopeso.

Inoltre, lui aveva il viso della madre: occhi grigi e riccioli castano chiaro, con al centro un naso leggermente aquilino.

No, non era  brutto. Anzi, molte ragazze lo consideravano bellissimo.
Lui però non si piaceva, perché aveva paura che (per stregoneria, forse) potesse improvvisamente diventare uguale al padre.

Si, la sua paura era un fatto che per un altro bambino poteva considerare normalissimo.

Arrivò a casa. Suonò e sua madre gli aprì.
Strano, pensò Marshall. Di solito, a quell’ora era all’ambulatorio.

Appena entrato nell’appartamento, sentì un passo pesante in cucina.
Sua madre gli venne incontro nel corridoio, con un occhio pesto che lacrimava.

Marshall si irrigidì
-C’è quello, vero?- chiese con voce gelida. La donna annuì.

Marshall marciò verso la cucina e lo trovò. Era seduto a capotavola, i capelli neri in faccia, gli occhi da bestia selvaggia.

-Ciao ragazzo. Ti trovo bene-. Accoglienza che irritò Marshall, che inspirò con stentato autocontrollo.

-Vorresti passare subito alle mani, vedo-. L’uomo rise malvagiamente.
-Eh già. Dovevo dare il benvenuto, no?-

Lui si alzò, diretto verso la donna. Marshall si mise davanti.

-Provaci e sei morto- sussurrò minacciosamente il padre.

Marshall lo fissò –Lascia perdere, è meglio per tutti. Non ci vediamo da 3 anni ed è questa la prima cosa che devo rivedere di mio padre?-

Per dire quella frase, soprattutto la parola ‘padre’, Marshall aveva impiegato tantissima esperienza di attore. E per fortuna, funzionò. L’uomo si rimise al suo posto e trascinò il figlio davanti a lui.

-Parla ragazzo, voglio sentire di te-. La madre, intanto, andò via dalla stanza.

Marshall cominciò a parlare della scuola, dei voti, di pallavolo ... tutte cose banali e ripetitive. Sapeva che suo padre non era stupido e che aveva già sentito quei discorsi.

-Ok. Credo di aver detto tutto-. Marshall si alzò.

L’uomo si alzò bruscamente e andò in camera da letto dalla moglie.

Marshall gli andò subito dietro, i pugni serrati.
Poi, sentendo la madre piangere, spaccò la porta con una spallata e si avventò sul padre.

Tutta la rabbia provata in tantissimi anni, che a lui sembravano secoli, esplose in circa 3 minuti.

Risultato: Marshall si trovò la mascella dolorante e un taglio sulla schiena.
L’uomo, invece, aveva il naso spaccato e il labbro sanguinante. Sputò tre parole.

-Figlio di puttana-.

Errore tragico.

Marshall gli fu addosso di nuovo. Lo sollevò di peso (con molta fatica) e chiamò la polizia.

Gli agenti arrivarono dopo poco. Trovando l’uomo svenuto e sanguinante e la donna in lacrime, arrestarono Marshall.

-Io l’ho fatto per autodifesa, voleva stuprare mia madre, non capite?- esclamò Marshall con dolore improvviso alla mascella, dove il padre l’aveva menato nella lotta.

La madre urlava –Che state facendo, idioti? Lui non ha fatto nulla!!! Quell’uomo voleva davvero violentarmi! Perché non lo capite? MIO FIGLIO è INNOCENTE, CAZZO!!!!!!-.

I giudici lo giudicarono colpevole e lo condannarono Marshall a tre mesi in un carcere minorile.

 Un mese dopo

Ora delle visite al carcere. Marshall aspettava la madre, impaziente.
Invece, arrivò lui.

Si mise a sedere davanti al ragazzo.
-è Strano, vero, quando stai dall’altra parte, vero?-.

Marshall alzò i tacchi e se ne andò.
Tornò nella cella e si mise a prendere a pugni il muro, finché non gli sanguinarono le nocche.

Non lo meritava. Non era colpa sua.

Sapeva che suo padre aveva certamente pagato i giudici. Ne era CERTO. Facendo così gli aveva rovinato la vita.
-Bastardo- disse Marshall ad alta voce.

 Doveva sopportare solo altri due mesi. Solo due fottuti mesi.

 

Note Di HG

Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic .... probabilmente è una schifezza ma io la volevo pubblicare ... aspetto recensioni e commenti , anche solo una parola o un insulto....

Ciaooooooooooooooooooooo  

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Capitolo 2
*** For remember that bastard ***


FOR REMEMBER THAT BASTARD

-SE RIENTRI IN CASA SENZA QUEI SOLDI SEI MORTO!!!!-

Marshall fu sbattuto fuori dalla portiera della macchina, senza alcuna pietà. Il patrigno gli buttò addosso la felpa (che, grazie a Dio, aveva dentro la tasca il portafoglio) e se ne andò a casa.

Marshall ripensò alla canzone di Jovanotti, ‘Le tasche piene di sassi’. Si mise l’IPod nelle orecchie e la risentì.

Sono solo stasera senza di te

Mi hai lasciato da solo davanti a scuola

Mi vien da piangere

Arriva subito

Mi riconosci, ho le scarpe piene di passi

la faccia piena di schiaffi

il cuore pieno di battiti

e gli occhi pieni di te.

-Buffo, come nella vita avvengono certe situazioni. Era meglio che me ne stavo da Toni- riflettè Marshall ad alta voce.

Si cacciò le mani in tasca, si mise la borsa a tracolla e partì verso il punto previsto con l’Innominato.

Ma spieghiamo la situazione: Marshall era costretto dal patrigno a spacciare cocaina.  Lui si prendeva il 30% del totale e portava la droga agli Innominati. Come nel romanzo del Manzoni, ma in quel caso l’Innominato era il drogato di turno.

Perché lo faceva? Semplicissimo. Perché era ricattato: se lui si fosse rifiutato di fare il lavoro sporco, il patrigno avrebbe picchiato la madre e il fratellino.

Inoltre, l’avrebbe denunciato per spaccio.
Insomma, una vera situazione di merda.

Ecco cosa pensava Marshall da mattina a sera: cazzo che vita di merda. L’unico raggio di sole nella giornata, erano la madre e Victor, suo fratello.
Adorava poter giocare con lui, vedere la madre felice mentre lo portava sulle spalle. Ovviamente, quando il patrigno non c’era.

Marshall aveva provato a dirlo anche alla polizia, ma quelli, appena sentito il nome del patrigno (Orlando Doni), avevano mollato e aveva riso. Così Marshall aveva lasciato perdere.

Erano ormai le cinque del pomeriggio. Era quasi arrivato al punto previsto: un bar piccolo, fumoso, dove c’era ogni specie di micro criminale in circolazione.

Arrivò anche l’Innominato, un uomo alto, grassoccio e sudato. Marshall lo guardò e allungò la cartellina. Lui, in cambio, diede una busta bianca.

‘Che fantasia’ pensò Marshall. Orlando non consegnava mai in una busta comune: pretendeva ogni volta un metodo diverso, per non farsi scoprire. Poi, i clienti bruciavano la busta, o il sacchetto, o il mezzo dove era la droga.

Marshall contò i soldi in bagno. 790$. Perfetti. Tolse i 90 e se li mise in tasca.
Dopotutto, Orlando non faceva nulla, no? Quindi, poteva dire il prezzo che gli pareva con i clienti vecchi. Con quelli nuovi, non ancora fatti, era meglio aspettare.

Uscì dal locale e fece per tornare a casa. Non era mai stato in quelle vie. Dopotutto, New York era davvero grande.

Si ritrovò a girare un po’, poi cominciò a seguire una via. Alla fine, c’era un grande parco silenzioso.

Ebbe uno spiacevole senso di deja vù: in quel parco ci andava con papà, da piccolo. Tutti insieme. Stavano a giocare a palla, a carte, o semplicemente a parlare.

Poi, papà era morto nell’incidente in montagna.
E tutto era cambiato: non erano più andati al parco. Non avevano più giocato tutti  insieme, la mamma era diventata più taciturna.

Inoltre, nella parte opposta del parco, Marshall era stato abbandonato davanti alla scuola media. Il suo patrigno gli aveva detto che non gli voleva veramente bene e che lo sopportava solo per via della madre.
Poi, l’aveva lasciato al suo destino davanti all’edificio grigio e freddo. Senza nessuno su cui contare.

Proprio come nella canzone di Jovanotti di prima.

Mi hai lasciato da solo davanti al cielo

E non so leggere

Vienimi a  prendere

Marshall aveva ormai 15 anni, ma era un uomo da quando ne aveva 8.
Era  cresciuto, diventato un bel ragazzo alto, occhi grigi e capelli castani ricci. Aveva avuto denaro, affetto dalla madre e dal fratello, possibilità.

Ma gli mancava il vuoto che aveva lasciato il padre, che ormai era diventato un baratro. Non aveva mai avuto una figura maschile nella famiglia, ma non contava il patrigno, dal quale non ne avrebbe tratto nulla di buono.

Gli mancavano le mani del padre, che gli scompigliavano i capelli, che gli battevano il cinque quando faceva punto a basket. Quelle mani, che in punto di morte gli avevano affidato la madre e il fratellino.

Marshall si mise a piangere. Non voleva piangere, ma le lacrime scesero prima che lui potesse fermarle.

In quel momento, il suo migliore amico, Toni, gli passò accanto con la moto.
-Dio Marshall, ho sentito che è successo, vieni da me per un po’ ok?-

Marshall cercò di sorridere, ma gi venne fuori solo un sorriso stanco e falso.
Toni scese di moto e lo abbracciò con impulsività.

-Dai amico che ne esci, te ne esci sempre. Non voglio vederti così per quel pezzo di merda-. Disse questa frase con un tono così strano che Marshall rise, una risata che sapeva di pianto.

Poi, salì sulla moto dell’amico e , appena allacciato il casco, si disse che quella sera avrebbe denunciato il patrigno per sfruttamento di minore.

Dieci giorni dopo

-Questa Corte condanna l’imputato Orlando Doni a 50 anni di carcere per spaccio, per maltrattamento di minori e per tentato omicidio-.

Marshall si alzò e Toni, con il corpo stretto in un completo nero, gli venne incontro insieme alla madre e a Victor. Il processo era andato bene.  Avevano anche ricevuto il 75% delle proprietà del Doni, che avevano messo sul conto in banca della madre.

Peccato che la cicatrice da coltello sull’occhio di  Marshall non sarebbe mai potuta sparire.

Ma questo, pensò Marshall, è un prezzo che devo pagare. Io volevo solo la salvezza, e l’ho avuta.

 

Note dell’autore

Ed eccomi qua .... che dire? Questa storia è VERAMENTE poco realistica. Ma non mi dispiace .... un grazie a Annie_Shady per la recensione, molto gradita .... aspetto commenti!!

HG

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Capitolo 3
*** Fucking perfect ***


FUCKING PERFECT

Piangere.
Vaffanculo la perfezione.  Ma anche il non perfetto.
Io cerco solo qualcuno da amare.
Certo ... chi non ha mai detto ‘ti voglio bene’ a una persona che CREDEVATE perfetta ... e poi è andato tutto via?
Credevi che la tua relazione fosse un castello di pietra. Invece, è solo di sabbia. Sabbia che, puf, con un calcio o con un onda va via tutto.
Ma chi lo pensava?
Dopotutto, non è colpa tua se è passata quella macchina.
Ma perché hai dovuto dire quelle parole, quelle cinque fottutissime parole?
‘Ma perché sei così stronzo?’
Perché lui, il tuo migliore amico, il tuo confidente da 14 anni, ti ha dato uno schiaffo?
Perché la vita, quando fa così, è ingiusta per tutti.
Un litigio, uno schiaffo. Ma grazie a Dio avete continuato la strada insieme, anche se separati dentro. Fuori, sembravate due ragazzi che camminavano per una strada di Praga. Alle cinque del mattino.
Poi, è successo. Te sei dalla parte del marciapiede, tranquillo. Lui è davanti a te, si gira per fare pace. Tu stai per annuire.
Poi arriva la macchina. E te, che la vedi per primo, butti via dalla strada il tuo amico.
E vieni investito.
Un colpo.
Il buio.
Un lampo e vedi tua madre, che è morta più di un anno fa, che ti chiama. Dall’altra parte c’è il tuo amico che urla. Tu vai da lui.
Gli ultimi tuoi ricordi, però, sono di un ragazzo, del ragazzo con cui hai quasi una vita in comune, che ti alza. E ti chiede scusa, urlando. Tu annuisci e chiedi scusa a tua volta, ma sputi sangue. Lui ti prende in braccio e urla aiuto.
Poi, ospedale. Coma. Senti la tua sorellina che piange e che ti dice ti voglio bene.
Rispondi dicendole che anch’io ti voglio bene, e i dottori esultano.
Poi, arriva il tuo migliore amico e ti ringrazia, ti chiede scusa, piange.
Tu gli rispondi cose confuse, ti si appanna il cervello e la vista.
Dai un bacio sulla fronte al tuo amico, a tua sorella, e poi muori col sorriso sulle labbra.
Tre giorni dopo, al tuo funerale, Jonathan, che dice di essere stato salvato da te, fa incidere sulla lapide queste parole: Marshall, sarai per sempre un eroe. Per tutti noi.

 

NOTE: monologo per Marshall ... molto deprimente!!!!!!!! alla prossima!

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Capitolo 4
*** Marshall's Death Note ***


Marshall’s Death Note.

-Senti, Marshall .... diciamocelo: tuo  fratello si è ucciso, ecco tutto.-

-Marshall! Accetta  la fottuta verità! TUO FRATELLO SI è AMMAZZATO!-

-Marshall, tuo fratello era pazzo e si è ammazzato-.

Marshall non ne poteva più: chi cazzo erano quelle persone per conoscere suo fratello? NESSUNO LO CONOSCEVA VERAMENTE.

Forse è per questo che era diventato ‘NH’. Per pazzia, come diceva sua madre.

Accese la tv, sperando in dei nuovi videoclip di Eminem o almeno di David Guetta.
Invece, ancora telegiornali.

‘L’omicidio del plurimiliardario J.G. Gregory è certamente opera del sicario che si firma NH .... NH colpisce ancora, stavolta è il ricchissimo ... NH: pazzia o genialità? Scopritelo stasera su ...’. Marshall spense la tv.

Prese il fascicolo che era sulla scrivania e andò sul tetto del condominio dove abitava.
Cominciò a sfogliarlo. Era come il suo ‘Death Note’.

Tutte le volte i fatti andavano come dovevano andare. Praticamente, gli mancava un possente demone bastardo accanto a sé, poi sarebbe stato apposto.

Marshall scrisse il nome di sua madre sul ‘Death Note’.

La voleva morta, più morta di quello che era.

Era stato lui a profanare la tomba della madre, scoperchiandola. Era sempre stato lui a buttare le sue ossa nei rifiuti di una fabbrica.

Quella donna che aveva fatto tante pressioni sul fratello fino a ucciderlo. Quella donna che lo picchiava anche quando Mark si era rotto il braccio e non si poteva difendere bene. Quella puttana che aveva fatto andare via suo padre.

Ma non era stato Marshall a ucciderlo, ma neanche NH. Era stato un infarto che l’aveva ammazzata una settimana prima del programmato.

Ecco perché Marshall voleva che TUTTI i piani che faceva per un omicidio funzionassero alla perfezione.

Marshall decise che era ora di finirla. Un’ora prima era andato a confessarsi dal suo vecchio parroco, che era stato felice di vederlo.

Prese la pistola dentro  il quaderno e si tirò una pallottola in bocca.

Nel frattempo, premette un tasto del telefono che avrebbe confessato la verità di NH al mondo.

Era morto secondo un piano preciso.

Come voleva lui.

 

NOTE: ciao!!! questa fic non mi è venuta bene ... anzi, mi fa abbastanza schifo .-. spero che però piaccia!!
Mi scuso per il ritardo, ma sono in periodo di esami e per le prossime due settime non so se aggiornerò la fic .... buona lettura!!!!!!
HG

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** #5 Ultima Storia ***


TORNATO DALLA GUERRA

Anno 1965, New York.

-Kiara? C’è qualcuno?-. Marshall aprì la porta, trovando una stanza inondata di luce. Tirò un calcio al borsone, piazzandolo nell’ingresso. Poi, andò alla ricerca della sua ragazza.

Andò a colpo sicuro in camera da letto. Entrò e la trovò addormentata, accoccolata sotto un lenzuolo tutto attorcigliato.

-Kiara, sono tornato-. Tre parole. La ragazza sobbalzò, e appena lo vide si immobilizzò. Si stropicciò gli occhi, incredula.

Poi, con un movimento fulmineo, lo abbracciò, piangendo e singhiozzando.
-Marshall .... Marshall ....- Non riusciva a dire altro.

Lui inspirò a fondo il suo odore e sorrise. Dio, quanto gli era mancata.
Sigillò il momento con un bacio.

Un lungo bacio, che sapeva di malinconia, di gioia, ma soprattutto di sollievo.

Perché Marshall era tornato, pensava Kiara.

Perché io sono tornato, pensava Marshall.

Il  ragazzo era tornato dalla guerra in Vietnam. Il padre ce l’aveva spedito a forza, sperando che lo uccidessero.

I due si avviarono in cucina, parlando. Lei balbettava dalla felicità, lui aveva stampato in faccia un sorriso da ebete.

Che dire a una persona che è da 5 mesi in guerra? Come potevano le parole rimpiazzare il tempo bruciato?

-Temevo non tornassi più- gli disse Kiara.
-Anch’io lo temevo. Ho visto troppa gente morire in questi mesi. Tantissimi uomini. Grazie a Dio sono tornato. Credevo di impazzire-.

 -Ho pregato perché ti riavessi a casa-. Marshall le prese la mano e cominciò a giocherellare col pollice –Sai Kiara ... sei più bella di come ti ricordavo-.

Kiara arrossì. Era una bella ragazza, con gli occhi grigi e i capelli biondi, ma odiava quando gli dicevano che era bella. Lo considerava una vanità, non un complimento.

-Dai Marshall. Lo sai che lo odio. Senti ... andiamo a cena fuori?-.

Un’ora dopo, alle otto e mezzo, Kiara e Marshall avevano prenotato a un lussuoso ristorante. Si erano vestiti molto eleganti e stavano benissimo. I riccioli castani e gli occhi verdi risaltavano sull’abbigliamento del ragazzo.

Cenarono. Mentre tornavano a casa in taxi, avevano entrambi gli occhi carichi di eccitazione e aspettativa.

Non fecero a tempo a aprire la porta che Marshall saltò addosso alla ragazza, che aveva gli occhi pieni di malizia.    

La notte riservava loro molta passione.

Continuarono fino all’alba. Poi, uscirono e videro il sole delle sei di mattino illuminare New York.

Rientrando, Kiara si accorse di avere addosso la maglia di Marshall, e Marshall si accorse di avere i pantaloni della tuta  della fidanzata. Cominciarono a ridere senza un perché.

Finalmente la vita era tornata normale.

 

Commento personale: pensavo continuamente .... che CAZZO STO SCRIVENDO? Mentre scrivevo la fic ... non so, mi è venuta questa strana ispirazione ....

Ultimo capitolo della mia corta (e stramba) serie. Presto farò una storia su Marshall .... ciao a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!!!

HG

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