NO LOVE LOSE ... NO LOVE FOUND di 12032008 (/viewuser.php?uid=101346)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *1* ***
Capitolo 2: *** For remember that bastard ***
Capitolo 3: *** Fucking perfect ***
Capitolo 4: *** Marshall's Death Note ***
Capitolo 5: *** #5 Ultima Storia ***
Capitolo 1 *** *1* ***
NO
LOVE
Marshall
camminava tranquillo. I-Pod negli
orecchi e via. Tornava verso casa.
Mentre si avvicinava all’appartamento, il ragazzo
sentì un senso di gelo.
Quella
sensazione che si prova quando sei
obbligato ad andare in un posto dove non vuoi proprio mettere piede.
Quella strana sensazione chiamata paura.
Marshall
aveva solo una paura: quella di
diventare come suo padre.
Di fisico, tutti dicevano che era uguale, ma per lui non era
così. Suo padre
era altissimo, muscoloso e ingombrante. Marshall, invece, era
magrissimo e
altissimo. Ma non era ingombrante, anzi, era sottopeso.
Inoltre,
lui aveva il viso della madre: occhi
grigi e riccioli castano chiaro, con al centro un naso leggermente
aquilino.
No,
non era
brutto. Anzi, molte ragazze lo consideravano bellissimo.
Lui però non si piaceva, perché aveva paura che
(per stregoneria, forse)
potesse improvvisamente diventare uguale al padre.
Si,
la sua paura era un fatto che per un altro
bambino poteva considerare normalissimo.
Arrivò
a casa. Suonò e sua madre gli aprì.
Strano, pensò Marshall. Di solito, a quell’ora era
all’ambulatorio.
Appena
entrato nell’appartamento, sentì un
passo pesante in cucina.
Sua madre gli venne incontro nel corridoio, con un occhio pesto che
lacrimava.
Marshall
si irrigidì
-C’è quello, vero?- chiese con voce gelida. La
donna annuì.
Marshall
marciò verso la cucina e lo trovò. Era
seduto a capotavola, i capelli neri in faccia, gli occhi da bestia
selvaggia.
-Ciao
ragazzo. Ti trovo bene-. Accoglienza che
irritò Marshall, che inspirò con stentato
autocontrollo.
-Vorresti
passare subito alle mani, vedo-.
L’uomo rise malvagiamente.
-Eh già. Dovevo dare il benvenuto, no?-
Lui
si alzò, diretto verso la donna. Marshall
si mise davanti.
-Provaci
e sei morto- sussurrò minacciosamente
il padre.
Marshall
lo fissò –Lascia perdere, è meglio per
tutti. Non ci vediamo da 3 anni ed è questa la prima cosa
che devo rivedere di
mio padre?-
Per
dire quella frase, soprattutto la parola ‘padre’,
Marshall aveva impiegato tantissima esperienza di attore. E per
fortuna,
funzionò. L’uomo si rimise al suo posto e
trascinò il figlio davanti a lui.
-Parla
ragazzo, voglio sentire di te-. La
madre, intanto, andò via dalla stanza.
Marshall
cominciò a parlare della scuola, dei
voti, di pallavolo ... tutte cose banali e ripetitive. Sapeva che suo
padre non
era stupido e che aveva già sentito quei discorsi.
-Ok.
Credo di aver detto tutto-. Marshall si
alzò.
L’uomo
si alzò bruscamente e andò in camera da
letto dalla moglie.
Marshall
gli andò subito dietro, i pugni
serrati.
Poi, sentendo la madre piangere, spaccò la porta con una
spallata e si avventò
sul padre.
Tutta
la rabbia provata in tantissimi anni, che
a lui sembravano secoli, esplose in circa 3 minuti.
Risultato:
Marshall si trovò la mascella
dolorante e un taglio sulla schiena.
L’uomo, invece, aveva il naso spaccato e il labbro
sanguinante. Sputò tre
parole.
-Figlio
di puttana-.
Errore
tragico.
Marshall
gli fu addosso di nuovo. Lo sollevò di
peso (con molta fatica) e chiamò la polizia.
Gli
agenti arrivarono dopo poco. Trovando l’uomo
svenuto e sanguinante e la donna in lacrime, arrestarono Marshall.
-Io
l’ho fatto per autodifesa, voleva stuprare
mia madre, non capite?- esclamò Marshall con dolore
improvviso alla mascella,
dove il padre l’aveva menato nella lotta.
La
madre urlava –Che state facendo, idioti? Lui
non ha fatto nulla!!! Quell’uomo voleva davvero violentarmi!
Perché non lo
capite? MIO FIGLIO è INNOCENTE, CAZZO!!!!!!-.
I
giudici lo giudicarono colpevole e lo
condannarono Marshall a tre mesi in un carcere minorile.
Un
mese dopo
Ora
delle visite al carcere. Marshall aspettava
la madre, impaziente.
Invece, arrivò lui.
Si
mise a sedere davanti al ragazzo.
-è Strano, vero, quando stai dall’altra parte,
vero?-.
Marshall
alzò i tacchi e se ne andò.
Tornò nella cella e si mise a prendere a pugni il muro,
finché non gli
sanguinarono le nocche.
Non
lo meritava. Non era colpa sua.
Sapeva
che suo padre aveva certamente pagato i
giudici. Ne era CERTO. Facendo così gli aveva rovinato la
vita.
-Bastardo- disse Marshall ad alta voce.
Doveva
sopportare solo altri due mesi. Solo due fottuti mesi.
Note
Di HG
Ciao
a tutti! Questa è la mia prima fic .... probabilmente
è una schifezza ma io la
volevo pubblicare ... aspetto recensioni e commenti , anche solo una
parola o
un insulto....
Ciaooooooooooooooooooooo
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Capitolo 2 *** For remember that bastard ***
FOR
REMEMBER THAT BASTARD
-SE
RIENTRI IN CASA SENZA QUEI SOLDI SEI
MORTO!!!!-
Marshall
fu sbattuto fuori dalla portiera della
macchina, senza alcuna pietà. Il patrigno gli
buttò addosso la felpa (che,
grazie a Dio, aveva dentro la tasca il portafoglio) e se ne
andò a casa.
Marshall
ripensò alla canzone di Jovanotti, ‘Le
tasche piene di sassi’. Si mise l’IPod nelle
orecchie e la risentì.
Sono
solo stasera senza di te
Mi
hai lasciato da solo davanti a scuola
Mi
vien da piangere
Arriva
subito
Mi
riconosci, ho le scarpe piene di passi
la
faccia piena di schiaffi
il
cuore pieno di battiti
e
gli occhi pieni di te.
-Buffo,
come nella vita avvengono certe
situazioni. Era meglio che me ne stavo da Toni- riflettè
Marshall ad alta voce.
Si
cacciò le mani in tasca, si mise la borsa a
tracolla e partì verso il punto previsto con
l’Innominato.
Ma
spieghiamo la situazione: Marshall era
costretto dal patrigno a spacciare cocaina.
Lui si prendeva il 30% del totale e portava la droga agli
Innominati.
Come nel romanzo del Manzoni, ma in quel caso l’Innominato
era il drogato di
turno.
Perché
lo faceva? Semplicissimo. Perché era
ricattato: se lui si fosse rifiutato di fare il lavoro sporco, il
patrigno
avrebbe picchiato la madre e il fratellino.
Inoltre,
l’avrebbe denunciato per spaccio.
Insomma, una vera situazione di merda.
Ecco
cosa pensava Marshall da mattina a sera:
cazzo che vita di merda. L’unico raggio di sole nella
giornata, erano la madre
e Victor, suo fratello.
Adorava poter giocare con lui, vedere la madre felice mentre lo portava
sulle
spalle. Ovviamente, quando il patrigno non c’era.
Marshall
aveva provato a dirlo anche alla
polizia, ma quelli, appena sentito il nome del patrigno (Orlando Doni),
avevano
mollato e aveva riso. Così Marshall aveva lasciato perdere.
Erano
ormai le cinque del pomeriggio. Era quasi
arrivato al punto previsto: un bar piccolo, fumoso, dove
c’era ogni specie di
micro criminale in circolazione.
Arrivò
anche l’Innominato, un uomo alto,
grassoccio e sudato. Marshall lo guardò e allungò
la cartellina. Lui, in
cambio, diede una busta bianca.
‘Che
fantasia’ pensò Marshall. Orlando non
consegnava mai in una busta comune: pretendeva ogni volta un metodo
diverso,
per non farsi scoprire. Poi, i clienti bruciavano la busta, o il
sacchetto, o
il mezzo dove era la droga.
Marshall
contò i soldi in bagno. 790$.
Perfetti. Tolse i 90 e se li mise in tasca.
Dopotutto, Orlando non faceva nulla, no? Quindi, poteva dire il prezzo
che gli
pareva con i clienti vecchi. Con quelli nuovi, non ancora fatti, era
meglio
aspettare.
Uscì
dal locale e fece per tornare a casa. Non
era mai stato in quelle vie. Dopotutto, New York era davvero grande.
Si
ritrovò a girare un po’, poi cominciò a
seguire una via. Alla fine, c’era un grande parco silenzioso.
Ebbe
uno spiacevole senso di deja vù: in quel parco
ci andava con papà, da piccolo. Tutti insieme. Stavano a
giocare a palla, a
carte, o semplicemente a parlare.
Poi,
papà era morto nell’incidente in montagna.
E tutto era cambiato: non erano più andati al parco. Non
avevano più giocato tutti
insieme, la mamma
era diventata più
taciturna.
Inoltre,
nella parte opposta del parco,
Marshall era stato abbandonato davanti alla scuola media. Il suo
patrigno gli
aveva detto che non gli voleva veramente bene e che lo sopportava solo
per via
della madre.
Poi, l’aveva lasciato al suo destino davanti
all’edificio grigio e freddo.
Senza nessuno su cui contare.
Proprio
come nella canzone di Jovanotti di
prima.
Mi
hai lasciato da solo davanti al cielo
E
non so leggere
Vienimi
a prendere
Marshall
aveva ormai 15 anni, ma era un uomo da
quando ne aveva 8.
Era cresciuto,
diventato un bel ragazzo
alto, occhi grigi e capelli castani ricci. Aveva avuto denaro, affetto
dalla
madre e dal fratello, possibilità.
Ma
gli mancava il vuoto che aveva lasciato il
padre, che ormai era diventato un baratro. Non aveva mai avuto una
figura
maschile nella famiglia, ma non contava il patrigno, dal quale non ne
avrebbe
tratto nulla di buono.
Gli
mancavano le mani del padre, che gli
scompigliavano i capelli, che gli battevano il cinque quando faceva
punto a
basket. Quelle mani, che in punto di morte gli avevano affidato la
madre e il
fratellino.
Marshall
si mise a piangere. Non voleva
piangere, ma le lacrime scesero prima che lui potesse fermarle.
In
quel momento, il suo migliore amico, Toni,
gli passò accanto con la moto.
-Dio Marshall, ho sentito che è successo, vieni da me per un
po’ ok?-
Marshall
cercò di sorridere, ma gi venne fuori
solo un sorriso stanco e falso.
Toni scese di moto e lo abbracciò con impulsività.
-Dai
amico che ne esci, te ne esci sempre. Non
voglio vederti così per quel pezzo di merda-. Disse questa
frase con un tono
così strano che Marshall rise, una risata che sapeva di
pianto.
Poi,
salì sulla moto dell’amico e , appena allacciato
il casco, si disse che quella sera avrebbe denunciato il patrigno per
sfruttamento di minore.
Dieci
giorni dopo
-Questa
Corte condanna l’imputato Orlando Doni
a 50 anni di carcere per spaccio, per maltrattamento di minori e per
tentato
omicidio-.
Marshall
si alzò e Toni, con il corpo stretto
in un completo nero, gli venne incontro insieme alla madre e a Victor.
Il
processo era andato bene. Avevano
anche
ricevuto il 75% delle proprietà del Doni, che avevano messo
sul conto in banca
della madre.
Peccato
che la cicatrice da coltello sull’occhio
di Marshall non
sarebbe mai potuta
sparire.
Ma
questo, pensò Marshall, è un prezzo che devo
pagare. Io volevo solo la salvezza, e l’ho avuta.
Note
dell’autore
Ed
eccomi qua .... che dire? Questa storia è
VERAMENTE poco realistica. Ma non mi dispiace .... un grazie a Annie_Shady per la recensione, molto
gradita .... aspetto commenti!!
HG
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Capitolo 3 *** Fucking perfect ***
FUCKING
PERFECT
Piangere.
Vaffanculo la perfezione. Ma
anche il
non perfetto.
Io cerco solo qualcuno da amare.
Certo ... chi non ha mai detto ‘ti voglio bene’ a
una persona che CREDEVATE
perfetta ... e poi è andato tutto via?
Credevi che la tua relazione fosse un castello di pietra. Invece,
è solo di
sabbia. Sabbia che, puf, con un
calcio o con un onda va via tutto.
Ma chi lo pensava?
Dopotutto, non è colpa tua se è passata quella
macchina.
Ma perché hai dovuto dire quelle parole, quelle cinque
fottutissime parole?
‘Ma perché sei così stronzo?’
Perché lui, il tuo migliore amico, il tuo confidente da 14
anni, ti ha dato uno
schiaffo?
Perché la vita, quando fa così, è
ingiusta per tutti.
Un litigio, uno schiaffo. Ma grazie a Dio avete continuato la strada
insieme,
anche se separati dentro. Fuori, sembravate due ragazzi che camminavano
per una
strada di Praga. Alle cinque del mattino.
Poi, è successo. Te sei dalla parte del marciapiede,
tranquillo. Lui è davanti
a te, si gira per fare pace. Tu stai per annuire.
Poi arriva la macchina. E te, che la vedi per primo, butti via dalla
strada il
tuo amico.
E vieni investito.
Un colpo.
Il buio.
Un lampo e vedi tua madre, che è morta più di un
anno fa, che ti chiama. Dall’altra
parte c’è il tuo amico che urla. Tu vai da lui.
Gli ultimi tuoi ricordi, però, sono di un ragazzo, del
ragazzo con cui hai quasi
una vita in comune, che ti alza. E ti chiede scusa, urlando. Tu
annuisci e
chiedi scusa a tua volta, ma sputi sangue. Lui ti prende in braccio e
urla
aiuto.
Poi, ospedale. Coma. Senti la tua sorellina che piange e che ti dice ti
voglio
bene.
Rispondi dicendole che anch’io ti voglio bene, e i dottori
esultano.
Poi, arriva il tuo migliore amico e ti ringrazia, ti chiede scusa,
piange.
Tu gli rispondi cose confuse, ti si appanna il cervello e la vista.
Dai un bacio sulla fronte al tuo amico, a tua sorella, e poi muori col
sorriso
sulle labbra.
Tre giorni dopo, al tuo funerale, Jonathan, che dice di essere stato
salvato da
te, fa incidere sulla lapide queste parole: Marshall, sarai per sempre
un eroe.
Per tutti noi.
NOTE:
monologo per Marshall ... molto
deprimente!!!!!!!! alla prossima!
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Capitolo 4 *** Marshall's Death Note ***
Marshall’s
Death Note.
-Senti,
Marshall .... diciamocelo: tuo fratello
si è ucciso, ecco tutto.-
-Marshall!
Accetta la fottuta
verità! TUO FRATELLO SI è
AMMAZZATO!-
-Marshall,
tuo fratello era pazzo e si è
ammazzato-.
Marshall
non ne poteva più: chi cazzo erano
quelle persone per conoscere suo fratello? NESSUNO LO CONOSCEVA
VERAMENTE.
Forse
è per questo che era diventato ‘NH’. Per
pazzia, come diceva sua madre.
Accese
la tv, sperando in dei nuovi videoclip
di Eminem o almeno di David Guetta.
Invece, ancora telegiornali.
‘L’omicidio
del plurimiliardario J.G. Gregory è
certamente opera del sicario che si firma NH .... NH colpisce ancora,
stavolta
è il ricchissimo ... NH: pazzia o genialità?
Scopritelo stasera su ...’.
Marshall spense la tv.
Prese
il fascicolo che era sulla scrivania e
andò sul tetto del condominio dove abitava.
Cominciò a sfogliarlo. Era come il suo ‘Death
Note’.
Tutte
le volte i fatti andavano come dovevano
andare. Praticamente, gli mancava un possente demone bastardo accanto a
sé, poi
sarebbe stato apposto.
Marshall
scrisse il nome di sua madre sul ‘Death
Note’.
La
voleva morta, più morta di quello che era.
Era
stato lui a profanare la tomba della madre,
scoperchiandola. Era sempre stato lui a buttare le sue ossa nei rifiuti
di una
fabbrica.
Quella
donna che aveva fatto tante pressioni
sul fratello fino a ucciderlo. Quella donna che lo picchiava anche
quando Mark
si era rotto il braccio e non si poteva difendere bene. Quella puttana
che
aveva fatto andare via suo padre.
Ma
non era stato Marshall a ucciderlo, ma
neanche NH. Era stato un infarto che l’aveva ammazzata una
settimana prima del
programmato.
Ecco
perché Marshall voleva che TUTTI i piani
che faceva per un omicidio funzionassero alla perfezione.
Marshall
decise che era ora di finirla. Un’ora
prima era andato a confessarsi dal suo vecchio parroco, che era stato
felice di
vederlo.
Prese
la pistola dentro il
quaderno e si tirò una pallottola in bocca.
Nel
frattempo, premette un tasto del telefono
che avrebbe confessato la verità di NH al mondo.
Era
morto secondo un piano preciso.
Come
voleva lui.
NOTE:
ciao!!! questa fic non mi è venuta bene ... anzi, mi fa
abbastanza schifo .-.
spero che però piaccia!!
Mi scuso per il ritardo, ma sono in periodo di esami e per le prossime
due
settime non so se aggiornerò la fic .... buona lettura!!!!!!
HG
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Capitolo 5 *** #5 Ultima Storia ***
TORNATO
DALLA GUERRA
Anno
1965, New York.
-Kiara?
C’è qualcuno?-. Marshall aprì la porta,
trovando una stanza inondata di luce. Tirò un calcio al
borsone, piazzandolo
nell’ingresso. Poi, andò alla ricerca della sua
ragazza.
Andò
a colpo sicuro in camera da letto. Entrò e
la trovò addormentata, accoccolata sotto un lenzuolo tutto
attorcigliato.
-Kiara,
sono tornato-. Tre parole. La ragazza
sobbalzò, e appena lo vide si immobilizzò. Si
stropicciò gli occhi, incredula.
Poi,
con un movimento fulmineo, lo abbracciò,
piangendo e singhiozzando.
-Marshall .... Marshall ....- Non riusciva a dire altro.
Lui
inspirò a fondo il suo odore e sorrise.
Dio, quanto gli era mancata.
Sigillò il momento con un bacio.
Un
lungo bacio, che sapeva di malinconia, di
gioia, ma soprattutto di sollievo.
Perché
Marshall era tornato, pensava
Kiara.
Perché
io sono tornato, pensava
Marshall.
Il
ragazzo era tornato dalla guerra in Vietnam. Il padre ce
l’aveva spedito
a forza, sperando che lo uccidessero.
I
due si avviarono in cucina, parlando. Lei
balbettava dalla felicità, lui aveva stampato in faccia un
sorriso da ebete.
Che
dire a una persona che è da 5 mesi in
guerra? Come potevano le parole rimpiazzare il tempo bruciato?
-Temevo
non tornassi più- gli disse Kiara.
-Anch’io lo temevo. Ho visto troppa gente morire in questi
mesi. Tantissimi
uomini. Grazie a Dio sono tornato. Credevo di impazzire-.
-Ho
pregato perché ti riavessi a casa-. Marshall le prese la
mano e cominciò a
giocherellare col pollice –Sai Kiara ... sei più
bella di come ti ricordavo-.
Kiara
arrossì. Era una bella ragazza, con gli
occhi grigi e i capelli biondi, ma odiava quando gli dicevano che era
bella. Lo
considerava una vanità, non un complimento.
-Dai
Marshall. Lo sai che lo odio. Senti ...
andiamo a cena fuori?-.
Un’ora
dopo, alle otto e mezzo, Kiara e
Marshall avevano prenotato a un lussuoso ristorante. Si erano vestiti
molto
eleganti e stavano benissimo. I riccioli castani e gli occhi verdi
risaltavano
sull’abbigliamento del ragazzo.
Cenarono.
Mentre tornavano a casa in taxi,
avevano entrambi gli occhi carichi di eccitazione e aspettativa.
Non
fecero a tempo a aprire la porta che
Marshall saltò addosso alla ragazza, che aveva gli occhi
pieni di malizia.
La
notte riservava loro molta passione.
Continuarono
fino all’alba. Poi, uscirono e
videro il sole delle sei di mattino illuminare New York.
Rientrando,
Kiara si accorse di avere addosso
la maglia di Marshall, e Marshall si accorse di avere i pantaloni della
tuta della
fidanzata. Cominciarono a ridere senza
un perché.
Finalmente
la vita era tornata normale.
Commento
personale: pensavo continuamente .... che CAZZO STO SCRIVENDO? Mentre
scrivevo la
fic ... non so, mi è venuta questa strana ispirazione ....
Ultimo
capitolo della mia corta (e stramba) serie. Presto farò una
storia su Marshall
.... ciao a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!!!
HG
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