Misunderstanding - Isabella Swan e la figuraccia del secolo

di OpunziaEspinosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Ammutinamento ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Mousse di Fragole ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Sindrome di Stendhal ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Pink Lady ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - A mali estremi... ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 - Drunk ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - In Vino Veritas ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - Supereroe ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Psycho Killer ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 - She, Devil ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 - Bite-Me! ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 - Fidanzati? ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 - Felici e Contenti ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Ammutinamento ***


Sarà breve... solo qualche capitolo,  credo... Buona lettura :D
OpunziaEspinosa


Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. I personaggi sono proprietà di S.Meyer e non vengono utilizzati a scopi lucrativi. La riproduzione anche solo parziale di questa ff non è autorizzata.

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CAPITOLO 1 - Ammutinamento

“No! No, no, no! Andiamo, non puoi farmi questo! Ti prego… Cazzo, cazzo!” Impreco esasperata sbattendo con violenza il mouse sulla scrivania e pigiando tasti a caso nel vano tentativo di recuperare ciò che sono certa di avere irrimediabilmente perso.
Sono le 8:30, tra meno di un’ora ho una riunione importantissima con i pezzi grossi per la presentazione della nuova campagna pubblicitaria della DàDìDò Running Shoes, e il mio PC ha deciso di ammutinarsi una volta per tutte. Già da qualche giorno lanciava segni di scontento. Ho chiesto al nostro EDP Manager di dare un’occhiata a questa dannata bestia la settimana scorsa, e lui mi ha forse dato retta? Oh, no! Certo che no!
Maledetto!
Come se non bastasse la mia auto ha deciso di lasciarmi a piedi proprio stamattina. Non so cosa le sia preso. Stavo guidando a velocità quasi folle lungo la 112, e improvvisamente si sono accese una serie di spie a caso sul cruscotto; l’auto ha singhiozzato per un po’, giusto il tempo necessario a consentirmi di rallentare e accostare, e poi s’è spenta per non ripartire più. Ero in ritardo mostruoso, così l’ho mollata sul ciglio della strada e ho chiamato un taxi. Ma incazzata, trafelata e in preda all’ansia per  la presentazione, ho pensato bene di dimenticare la valigetta con le dispense che avevo preparato sul sedile posteriore. Per fortuna ho conservato la copia madre in ufficio e posso fare delle fotocopie, ma resta il fatto che la presentazione in Power Point è andata. Partita. Per sempre. Ovviamente ho creato un'altra copia, che ho salvato su una pendrive. Pendrive che ho astutamente e saggiamente deciso di conservare al sicuro. Dove? Nella mia valigetta.
Vaffanculo!
Le 8:35. Ho perso la mia presentazione e devo ancora fare dieci copie della dispensa. Se solo si facesse vivo il nuovo stagista... Un paio di giorni fa mi hanno comunicato che, finalmente, mi sarebbe stato assegnato un assistente. Un tal Edward Nonsocosa. Oggi è il suo primo giorno ed è già in ritardo di cinque minuti. Se si degnasse di portare qui il suo bel culetto,  potrei affidare a lui l’incarico di fotocopiare la dispensa e sistemare i fogli in una serie di cartelline, mentre io potrei andare a cercare Eric, l’EDP Manager. Anche se forse dovrei definirlo l’Uomo Invisibile. Sto chiamando il suo interno da un quarto d’ora ma niente. Molto probabilmente è giù al bar a bersi un caffè. Idiota.
“È permesso?” sento chiedere da una voce maschile, bella e suadente.
Alzo lo sguardo e, fermo sulla porta che non chiudo mai, un ragazzo in sneakers, jeans strappati, maglietta bianca con scollo a V, e zainetto nero appoggiato a una spalla, mi osserva incuriosito.
Dio sia lodato...  Questo deve essere il mio assistente.
“Tu devi essere Edward,” sentenzio, alzandomi e precipitandomi allo schedario dove conservo la copia madre della dispensa.
“Sì… sono… Edward…” mi risponde confuso.
“Avresti dovuto essere qui almeno dieci minuti fa!” lo rimprovero mentre recupero i documenti che mi servono.
“Chiedo scusa?”
Porca miseria, ma chi mi hanno mandato? Un deficiente?
È il suo primo giorno, è in ritardo, quasi non si è presentato, e invece di scusarsi, chiedermi se ho bisogno di qualcosa, darsi da fare insomma, se ne sta lì, impalato sulla porta con lo sguardo da ebete.
Beh, non proprio da ebete… Questo ragazzo ha gli occhi più belli che io abbia mai visto! Due smeraldi meravigliosi. Per non parlare del suo viso. Santo cielo, credo di non aver mai incontrato un ragazzo con un viso così bello! Un po’ pallido forse, ma la sua carnagione si sposa alla perfezione con quella massa di capelli corti e spettinati di un’intrigante tonalità bronzo. Ovviamente un tipo tanto affascinante non poteva non avere un fisico altrettanto notevole. È decisamente alto  -  sfiora l’uno e novanta, ne sono certa - ed è piuttosto muscoloso, senza essere massiccio. Lo definirei slanciato.
Porca miseria,  questo tipo è uno schianto assoluto!
In un altro luogo, in un altro momento – forse in un'altra vita – non avrei mancato di flirtare un po’ con lui. Ma Edward è il mio assistente, e non sta bene flirtare con il proprio sottoposto. Inoltre sono in ritardo e ho perso la mia presentazione in Power Point.
Decido di soprassedere e di affidargli subito la missione fotocopie. Non è un incarico difficile. Dovrebbe farcela. Anche se è un deficiente.
“Mi servono dieci copie di ogni pagina. A colori. E poi dovresti sistemarle in queste cartelline rosse,” gli ordino, avvicinandomi e porgendogli la dispensa.
“Chiedo scusa?”
Oh, Signore! Bello, taaaanto bello. Davvero. Ma pure tanto stupido! Il più classico dei cliché.
“Fotocopie. A colori. Dieci. Ogni pagina.” Scandisco bene ogni singola parola perché voglio essere sicura che questa volta capisca.
“Senta, deve esserci un errore…” Mi sorride timido.
Wow… bel sorriso… ciò non toglie che sia un ritardato.
“Ti chiami Edward?” gli chiedo spazientita.
“Sì…” balbetta lui, confuso.
“Allora non c’è nessun errore. Su, va, mi stai facendo perdere tempo prezioso. Ho una riunione alle 9:15, il mio PC s’è ammutinato, ho perso la presentazione e queste fotocopie sono l’unica cosa che mi rimane. Ti prego, dammi una mano, le presentazioni ufficiali a dopo!” Gli piazzo in mano la dispensa e  le cartelline e lo spingo fuori dall’ufficio. “La fotocopiatrice è nello stanzino in fondo al corridoio. Lo vedi? Laggiù, c’è scritto fotocopiatrice sulla targhetta montata sulla porta.”
Andiamo, è semplice!
Edward fa qualche passo incerto lungo il corridoio e poi si volta.
“Coraggio!” lo esorto. Quindi  lui si gira di nuovo e continua a camminare.
Alleluia, ha capito… Mmmm, però… non male il sedere.
Vorrei tanto godermi lo spettacolo di quelle belle natiche, ma il dovere mi chiama, così mi precipito all’ascensore per recuperare Eric.
Se gli metto le mani addosso giuro che lo ammazzo! È colpa sua se mi trovo in questo guaio! Glielo avevo detto che il mio PC aveva bisogno di un check-up!
Cinque minuti dopo sono in caffetteria e mi guardo intorno disperata alla ricerca di Eric.
“Isabella!” Angela mi viene incontro in compagnia di un ragazzo piuttosto giovane, bassino e tarchiatello, con gli occhiali, i capelli neri e ricci, e il viso tempestato di brufoli.
“Angela, hai visto Eric?”
“Oggi Eric non c’è, è a casa con l’influenza.”
“Cosa?!”
Sono fottuta.
“Qualcosa non va?”
“Oddio, sì! Oggi non c’è nulla che vada per il verso giusto! Il mio PC è morto… ”
“Oh, mi dispiace… magari Edward, il tuo assistente, ti può aiutare...”
“Ne dubito…” Edward è un figo pazzesco e un ritardato di prima categoria, probabilmente non è neppure in grado di fare un paio di fotocopie.
“No, sono bravo con i computer…” interviene il ragazzo brufoloso.
“Cosa?” chiedo confusa.
“Edward, il tuo assistente, se la cava bene con i computer,” continua Angela, posando una mano sulla spalla del moccioso che mi osserva sorridente.
“Tu sei Edward?”
“Sì, in persona,” mi risponde fiero tendendomi la mano.
“Allora chi era l’Edward che si è presentato poco fa in ufficio?”
“Non saprei. Lui è Edward Smith, il tuo nuovo assistente.”
“Ho capito!” continuo spazientita. “Lui è il mio nuovo assistente. Ma c’era un altro Edward, poco fa… gli ho chiesto di fare delle fotocopie pensando fosse lui l’Edward che aspettavo… chi diavolo è?”
“Non saprei… com’era?”
“Alto, slanciato, occhi verdi, capelli color bronzo... Un po’ tonto, ma uno schianto assoluto!”
Angela riflette per un po’ e poi impallidisce.
“Oh, mio Dio…” esclama, portandosi una mano alla bocca. “Oh, mio Dio…” ripete sempre più sconvolta.
“Che c’è? Che c’è?” le chiedo preoccupata.
“Quello era Edward Masen!”
“Chi?!”
“Edward Masen! Il nipote del nostro CEO, Carlisle Cullen!”
Oh, cazzo…
“Ti prego, dimmi che mi stai prendendo in giro…”
No, non può essere vero. Ho appena ordinato al nipote dell’amministratore delegato della Cullen Inc. di farmi delle fotocopie. E l’ho trattato come un deficiente!
Sono licenziata.
“No, non ti prendo in giro! Il Signor Cullen lo presenterà ufficialmente al consiglio oggi. È lui che ha portato la  DàDìDò RunningShoes  alla Cullen Inc. Il proprietario della DàDìDò è il padre della sua fidanzata, Tanya Denali!”
Mi viene da vomitare…
Cazzo, cazzo, cazzo!
Devo tornare in ufficio, subito! Devo scusarmi… devo… Oddio, non so cosa devo fare! Credo di aver appena buttato nel cesso la mia carriera alla Cullen Inc. Ma non posso permettere che il nipote del Capo Supremo continui a fare delle fotocopie al posto mio!
L’ascensore non si decide ad arrivare, così sfilo le scarpe dal tacco vertiginoso che indosso oggi, e corro su per cinque piani di scale. Quando arrivo nel mio ufficio non riesco a respirare, il cuore mi sta per esplodere, e ogni boccata di ossigeno si trasforma in mille schegge che mi perforano i polmoni.
Non c’è traccia di Edward Masen, ma le dieci cartelline sono pronte al loro posto sulla mia scrivania, il PC ha ripreso vita, e la presentazione in Power Point è pronta ad essere avviata.
Appiccicato allo schermo del computer  c’è un post-it giallo con un messaggio scritto in bella grafia.
 
Fotocopie:fatte. Cartelline:fatte. PC:Sistemato. Presentazione: salvata. Ci vediamo alle 9:15 in sala riunioni! A dopo…  Edward.
 
Le 9:15. Sono le 9:03. Mi rimane meno di un quarto d’ora per andare in bagno e vomitare.


 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 - Mousse di Fragole ***




CAPITOLO 2  –  Mousse di Fragole

 
Qualche ora prima…
 
Tanya è a letto da una mezz’ora. Come al solito ha un libro tra le mani e, come al solito, la faccia ricoperta da un impiastro rosa pallido.
Finisco di lavarmi i denti e la raggiungo. Mi infilo sotto le coperte, di fianco a lei, sistemo il cuscino dietro la schiena ed accendo la TV.
“Cosa stai leggendo?” le chiedo mentre faccio zapping.
“Quello che stavo leggendo ieri…” risponde senza prestarmi la minima attenzione.
“Che stavi leggendo ieri?” insisto.
“Quello che sto leggendo da una settimana a questa parte…” continua in tono monocorde senza alzare gli occhi dal libro.
Interessante.
Ora ne so molto di più.
Spengo la TV e comincio ad osservarla.
Il libro si intitola Conosci il tuo mercato. Le dieci regole d’oro per realizzare una campagna pubblicitaria avvincente e  vincente.
Mmmm… deve aver preso molto sul serio questo suo pseudo coinvolgimento nell’imminente lancio delle nuove Running Shoes  prodotte dall’azienda di suo padre.
Senza riflettere più di tanto allungo un dito in direzione del suo viso e raccolgo un po’ di quell’impiastro rosa pallido.
“Hey!” sbotta lei spazientita richiudendo il libro. “Sto cercando di leggere!”
“È commestibile?” le chiedo pensieroso osservando il mio indice. “Sembra mousse di fragole…”
Lei mi fredda con lo sguardo e ricomincia a leggere.
Annuso l’impiastro: sono quasi sicuro che si tratti di mousse di fragole…
“A che serve?”
“Cosa?”
“La roba che hai sulla faccia…”
“Secondo te?”
“Rende la pelle più bella?”
“Se lo sai perché me lo chiedi?”
“Ma tu sei già bella…”
Magari se le faccio due moine si deciderà a darmela. Quello strato di crema – o mousse, sono ancora indeciso al riguardo -  non è certamente strappa mutande. Ma posso chiudere un occhio. O magari spegnere la luce. In fondo è da dieci giorni  che non mi permette di toccarla! Da quando abbiamo litigato perché a me non importa nulla se la torta di nozze sarà al cioccolato o alla crema di arance. Insomma, chissenefrega. Tra l’altro mancano ancora sei mesi. Che ne so di cosa avrò voglia tra sei mesi? Crema chantilly, magari. O pasta alle mandorle, forse. Chi può dirlo.
Mi avvicino e comincio ad annusarle il collo.
Davvero questa roba non è mousse di fragole? L’odore è lo stesso…
“Che stai facendo?” sbuffa, scostandosi un poco.
“Tu che ne dici?” le chiedo di rimando, cercando di infilarle una mano tra le cosce.
“Edward… ti pare il momento?”
“Mmmm… è notte… siamo a letto…la tua pelle è morbida e profumata…” Cerco di convincerla mordicchiandole il lobo dell’orecchio ed accarezzandole un seno. “Direi di sì…”
“Edward…”
“Ho voglia di te…” le sussurro dolcemente.
“E io ho voglia di leggere! Domani mattina, alla Cullen Inc, i migliori pubblicitari che lavorano per tuo zio presenteranno i loro progetti, e io voglio capire di cosa parlano!”
Dannazione! Niente di niente, neppure stasera.
Vaffanculo.
Mi allontano a malincuore e, senza nascondere il fastidio, riaccendo la TV.
Faccio scorrere i canali in rapida successione dedicando ad ognuno un paio di secondi.
“Potresti almeno abbassare un po’ il volume?” mi chiede stizzita senza togliere gli occhi da suo dannato libro.
“Tu mi ami?” le domando, spegnendo il televisore.
“Che?”
“Tu mi ami?” insisto.
“Ma che domanda è?!” esclama alzando gli occhi al cielo.
“Una domanda legittima,” rispondo, incrociando le braccia.
Lei, finalmente, posa il libro e, squadrandomi come si squadra un deficiente, spiega “Edward, ci stiamo per sposare… secondo te?”
“Dimmelo.”
“Cosa?”
“Che mi ami.”
“C’è bisogno che te lo dica?”
“Direi di sì.”
“Perché?”
Gesù, la odio quando fa così!
“Lascia stare…” sbuffo, spegnendo l’ abat-jour sul comodino e girandomi dall’altra parte.
“È perché non abbiamo fatto sesso? È per questo?”
“Lascia stare, Tanya…”
“Allora dai, facciamolo!” esclama, la voce un po’ troppo stridula. “Forza, coraggio! Se per te è così che si dimostra l’Amore: scopiamo!”
Ecco, ci risiamo, la solita storia Sei Un Maiale Pensi Solo A Quello.
Io non penso solo a quello. Ma avrei anche delle esigenze, di tanto in tanto.
E se ne approfittassi?  Il sesso arrabbiato qualche volta funziona.
Mi volto verso di lei indeciso sul da farsi. Poi vedo la sua espressione. E la mousse di fragole.
“Buona notte, Tanya.”
Mi rivolto dall’altra parte, e comincio a contare le pecorelle.


 

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Capitolo 3
*** Cap. 3 - Sindrome di Stendhal ***




CAPITOLO 3 –  Sindrome di Stendhal

 
“Gesù, lo ammetto,  non siamo veramente amici, mi rivolgo a te solo quando ne ho bisogno, e mi capita spesso di pronunciare il tuo nome, o quello di tuo Padre, invano. Ma ti prego, ti scongiuro, ti supplico, fa che quel tipo non sia davvero Edward Masen! Fa che lui sia… che ne so? un fattorino, o il tecnico delle fotocopiatrici, o magari il sostituto di Eric! In fondo ha sistemato il mio PC e salvato la mia presentazione… potrebbe essere il sostituto di Eric…”
Mentre vomito la colazione aggrappata alla tazza del water, prego segretamente il Figlio di nostro Signore e gli chiedo di  compiere uno dei suoi miracoli. Dopo tutto che vuoi che sia per uno che resuscita i morti, fa camminare gli infermi, ridona la vista ai ciechi, e moltiplica pani e pesci senza sforzo, occuparsi di una sciocchezzuola simile?
Però ho il vago sospetto che la mia disperazione non lo impietosirà più di tanto. Ogni volta che mi sono rivolta a lui non ho mai avuto alcun segno. Sicuramente non si farà vivo ora.
Esco dal bagno ancora con lo stomaco sottosopra, recupero la mia roba, e mi dirigo a passo incerto verso la sala riunioni.
“Buongiorno, Bella!” Jacob, il mio fidanzato, mi accoglie con un casto quanto decisamente appropriato bacio sulla guancia.
“Stai bene? Mi sembri pallida…” commenta, dandomi una rapida occhiata.
“Ho appena vomitato la colazione…” ammetto senza troppi giri di parole.
“Influenza?” mi chiede sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sarebbe stato meglio…” rispondo enigmatica.
Non voglio dire a Jake cosa è successo. Non ora, almeno. Potrebbe usarlo contro di me.
Amo Jake, e lui ama me, suppongo. Ma oggi siamo rivali. Voglio la campagna pubblicitaria della DàDìDò , e la vuole anche lui. Non posso compromettere le mie già scarse possibilità di avere questo incarico servendogli su un piatto d’argento lo stiletto affilato con cui sferrarmi il colpo di grazia! Non farebbe nulla contro di me, ma sapere che mi sono giocata la stima e la fiducia di uno dei giudici di questa gara – perché di questo si tratta, di una gara – gli darebbe ancora più sicurezza nei propri mezzi. E Jake è fin troppo sicuro di sé senza che io gli asfalti un’autostrada a quattro corsie.
“Allora, hai conosciuto Masen?” mi chiede di punto in bianco.
“Co.. Chi?” balbetto.
Lo sa già? Come può saperlo di già? Chi ha parlato? Angela? È stata lei? Oppure lo stagista brufoloso? Io l’ammazzo!
“Masen, Edward Masen. Hai presente? Il nipote di Carlisle Cullen, CEO della Cullen Inc, il fidanzato di Tanya Denali, la figlia di…”
“Lo so chi è Edward Masen!” sbuffo, alzando gli occhi al cielo.
Sei una bugiarda Bella: neppure un’ora fa lo hai scambiato per il tuo  nuovo assistente tuttofare.
“L’hai incontrato sì o no?” insiste Jake.
“Perché me lo chiedi?” domando sulla difensiva.
“Perché stamattina ha voluto conoscere personalmente tutti coloro che presenteranno i progetti per il lancio delle DàDìDò Running Shoes. È venuto a cercare sia me che James per augurarci in bocca al lupo. Suppongo sia venuto anche da te.”
Cazzo.
Per questo ha bussato alla porta del mio ufficio. Per presentarsi ed augurarmi buona fortuna. E io l’ho trattato come una pezza da piedi!
Forse non dovrei nascondere quello che è successo a Jake.
Prima o poi dovrò confessargli cosa ho fatto! Verrò licenziata, su questo non ci piove. Per quanto posso tenerglielo nascosto? Un giorno? Due? In fondo lavoriamo per la stessa società, e siamo fidanzati. Inoltre potrei venire sbugiardata da un momento all’altro, e proprio durante la presentazione.
È meglio prepararlo, fargli capire che forse – forse – ho combinato un guaio.
Ma senza svelargli troppo. Intimamente spero ancora in un miracolo, nella ciambella di salvataggio in mezzo al mare in burrasca.
“Mmmm, sì, beh… certo che in jeans e maglietta sembrava più un fattorino che un pezzo grosso…”
 “Sì, è vero. È un tipo piuttosto alla mano, mi pare. Però è tosto. Ed è un genio assoluto! Hai presente la campagna delle gomme da masticare FreshFruit? Quella sviluppata dalla nostra sede di Chicago?”
Cosa?
Cosa?! Quel capolavoro assoluto è opera sua?
No, non può essere vero: mi rifiuto di crederlo…
“Roba sua?”
“E di chi, altrimenti?”
Fantastico. Quel tipo non solo è uno schianto, la personificazione del concetto di bellezza, ma che dico bellezza, figaggine (sempre che il termine esista). È pure gentile, educato, mente geniale ed acuta, fa fotocopie, dispense, ripara computer e salva presentazioni in PowerPoint, all’occorrenza. Come minimo è pure un amante perfetto nonché cuoco provetto…
“Scusa, ma non lo sapevi?” mi chiede Jake perplesso.
Alzo le spalle, perché no, non sapevo che il gran cervello che sta dietro alla madre di tutte le campagne della nostra società fosse di Edward Masen.
Jake mi guarda stranito e poi commenta: “Certe volte non capisco perché tu voglia lavorare nella pubblicità. Ti perdi in un bicchiere d’acqua. Ignori cose basilari.”
Certo che le ignoro! Chi diavolo voleva lavorare nella pubblicità? Quando sono uscita dall’istituto d’arte pensavo avrei fatto l’Artista! Un concetto un po’ vago, me ne rendo conto. E infatti la vaghezza non paga l’affitto e non riempie il frigorifero. Ecco perché sono qui. Ed ecco perché voglio la campagna della DàDìDò!  Soldi, soldi, e ancora soldi!
Vorrei replicare, difendermi, e non passare per la solita svampita, ma improvvisamente la porta della sala riunioni si spalanca, e Jessica, l’assistente di Mr Cullen, ci invita ad entrare.
James, che se ne è stato per tutto il tempo in un angolo distante a confabulare con la sua collaboratrice Victoria – altrimenti conosciuta come La Rossa – ci viene dietro, sicuro e sprezzante come al solito.
Lo odio. Lavora qui da un bel po’ ed è un osso duro. L’altro osso duro della Cullen Inc. è proprio Jake, ma rispetto a James ne ha ancora di strada da fare! E poi ci sono io: la novellina. Francamente non so neppure perche Cullen abbia accettato la mia candidatura. Forse perché tre è il numero perfetto e nessuno voleva mettersi in competizione con questi due mostri sacri?
La sala è già allestita e in piedi, in ordine sparso, ci attendono: Andrew Denali, CEO della DenaliShoes Inc, Tanya Denali, l’affascinante figlia, un paio di personaggi maschili che non conosco - ma suppongo facciano parte dell’entourage dei Denali - e Carlisle Cullen, CEO della Cullen Inc.
Si presentano  tutti, uno alla volta, stringendo le mani e dispensando sorrisi.
Un momento: dov’è Masen?
Con nonchalance mi guardo intorno in cerca di lui, ma non lo trovo.
Non c’è… Masen non c’è!
Gesù! Gesù, amico mio! Mi hai ascoltata! Non ci credo, mi hai ascoltata!  Grazie-grazie-grazie-gra….
“Buongiorno a tutti. Scusate il ritardo,” sento dire dalla stessa voce maschile bella e suadente di stamattina.
Mi volto di scatto è lui è lì.
Jeans e maglietta sono spariti e ora indossa un meraviglioso abito scuro dal taglio sartoriale con tanto di cravatta.
Sono senza parole. Se Edward Masen fosse un’opera d’arte io verrei affetta all’istante da una forma acuta di Sindrome di Stendhal.
“Ho avuto un contrattempo,” spiega, avvicinandosi a suo zio. E mentre lo dice mi lancia una rapida occhiata e uno strano sorriso. Non so come definirlo… sghembo?
 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 - Pink Lady ***



CAPITOLO 4 – Pink Lady

 
Presentare  la mia candidatura a questo progetto è decisamente la cosa più stupida che io abbia mai fatto, a parte aver scambiato Edward Masen per il mio nuovo stagista-schiavo ed averlo trattato come un deficiente, ovvio. Quella batte qualunque sciocchezza possa aver fatto in passato o farò in futuro.
Sia Jake che James hanno concluso le loro presentazioni, e io vorrei raccogliere le mie cose, salutare tutti, imboccare la porta ed andarmene. Ma non nel mio ufficio! Diritta a casa!
Credevo di aver partorito un’idea geniale, credevo che avrei combattuto, non dico ad armi pari, ma quasi, e che mi sarei difesa dignitosamente.  Beh, mi sbagliavo. Penso ancora che la mia intuizione non sia affatto male. È carina, fresca e giovane, proprio come le scarpe DàDìDò. Ma anche le idee dei miei rivali sono del tutto rispettabili. Magari un po’ troppo tradizionali per i miei gusti, ma assolutamente valide. La differenza la fa l’esposizione. Hanno sviluppato i loro progetti in maniera impeccabile, utilizzando delle piattaforme multimediali di ultima generazione, e  presentando anche ricerche di mercato approfondite e proiezioni di vendita! I dati che io porto a sostegno della mia campagna sono davvero poveri se messi a confronto con i loro. E poi mi sono affidata a PowerPoint e a delle stupide dispensine!  Praticamente sono rimasta a Gutemberg mentre loro viaggiano alla velocità delle luce nello spazio interstellare!
Maledizione! Perché Jake non mi ha dato qualche dritta? Prima d’ora non avevo mai lavorato da sola a un progetto di tale portata! Come potevo sapere cosa avrei dovuto o non dovuto fare? E il fatto che io gli abbia ordinato di non aiutarmi non è una giustificazione valida! Avrebbe dovuto farlo contro la mia volontà!  Sono o non sono la sua ragazza? Eccheccavolo…
L’unica nota positiva di questa mattinata infernale è che ci siamo messi al lavoro subito dopo l’ingresso di Masen in sala riunioni. Così, a parte il sorriso sghembo e quell’accenno velato a un contrattempo improvviso che nessuno dei presenti ha capito,  non ho ancora avuto alcun contatto diretto con lui. Il che mi sta bene. So che prima o poi dovrò affrontarlo,  scusarmi e soprattutto ringraziarlo per avermi aiutata malgrado il mio comportamento riprovevole. Ma non ho ancora pensato come affrontare la cosa senza morire d’imbarazzo e senza fare un’altra delle mie figuracce.
La luce si riaccende improvvisamente e la voce decisa del Signor Cullen mi riporta velocemente alla realtà.
“Bene, la ringrazio James. Presentazione impeccabile, come al solito. Prima di continuare con la Signorina Swan, direi di prenderci una piccola pausa. In fondo alla sala potete trovare un piccolo rinfresco.” Poi si alza e ci invita a fare altrettanto e a raggiungerlo per un caffè e qualcosa da mettere sotto i denti.
Non mi va proprio di unirmi ai miei colleghi e al clan dei Denali. A parte lo stomaco ancora sottosopra, mi ritroverei faccia a faccia con Masen e non sono assolutamente pronta a un confronto. Così, mentre tutti si allontanano, indugio di fronte al mio posto fingendo di sistemare dei documenti.
Jacob si avvicina silenzioso e con ostentata indifferenza mi bisbiglia in un orecchio: “Cosa vi siete detti tu e Masen stamattina?”
Insomma! Cos’è questa fissazione? Perché Jake non fa altro che chiedermi com’è andato l’incontro con Edward? Cosa gliene importa?
“Perché vuoi saperlo?” gli domando brusca.
“Perché non sembrava per nulla interessato alla mia presentazione, e neppure a quella di James,  ma sembrava molto più interessato a te,” risponde acido.
“Co…Cosa?”
“Non dirmi che non te ne sei accorta…”
“Accorta di cosa? Non capisco di cosa tu stia parlando, Jake!”
Ed è così! Lo giuro! Ho passato tutto il tempo ad evitare lo sguardo di Masen concentrandomi ostinatamente sulle presentazioni dei mie rivali! Non avrei mai potuto rendermene conto.
 “Ti ha fissato per quasi tutto il tempo… forse gli altri non se ne sono accorti, ma io sì… che vi siete detti stamattina?” insiste.
“Niente! Si è presentato, ma sono scesa subito in caffetteria a cercare Eric perché il mio PC aveva dei problemi…” mi giustifico, anche se non capisco perché lo sto facendo. Non ho fatto nulla! Oddio, qualcosa ho fatto. Ma di certo non quello che Jake sta immaginando!
“Tu mi nascondi qualcosa…”
“Io non ti…” comincio a dire, ma Andrew Denali interrompe il nostro diverbio.
“Jacob, venga per cortesia. Vorrei farle un paio di domande se permette…”
“Certo, Signor Denali, sono a sua disposizione.” E poi, rivolgendosi di nuovo a me: “Non finisce qui.”
Non finisce qui ?!
Che vuol dire con non finisce qui? È una minaccia? Cosa pensa sia accaduto con Masen? Crede davvero che io lo abbia circuito? Ma come si permette? Per chi mi ha preso? Un’arrivista pronta a tutto?
Sono scandalizzata!
Masen…
Mi ha fissata per tutto il tempo, a quanto pare.
Non capisco perché…
Oddio…
Oddio! Forse stava pensando a come farmela pagare, a come vendicarsi per averlo umiliato! Non aspetta altro, ne sono certa. Sbugiardarmi di fronte a tutti!
Mi volto verso di lui e lo scorgo in fondo alla sala mentre parla con i due assistenti di Andrew Denali, James e Victoria. Tanya, la sua fidanzata, è seduta in un angolo ed è incollata al cellulare.
Gesù… è bellissimo… e quel vestito gli da un aria così sexy e professionale! Anche se mi chiedo cosa ci sia sotto quel completo. Mmmm… Dio come mi piacerebbe sfilargli quella cravatta, sbottonargli la camicia e…
Isabella! No, dico: stai avendo delle fantasie su Edward Masen?! Sei forse impazzita? Uno: hai già un ragazzo. Due: Jacob è qui e potrebbe captare i tuoi pensieri. Tre: Edward Masen è il nipote del capo supremo e, per quanto eccitante, è estremamente pericoloso fantasticare su un diretto superiore. Quattro: Edward Masen è fidanzato.
Sì, però… è così bello!
Improvvisamente i nostri sguardi si incrociano e non posso fare a meno di arrossire e tornare a concentrarmi sui miei documenti.
Spero non abbia ricominciato a fissarmi: Jacob non apprezzerebbe. Ora è impegnato con Andrew Denali, ma a quanto pare non gli sfugge mai nulla. Al contrario della sottoscritta che – com’è stato ampiamente dimostrato dai recenti avvenimenti - non si rende mai conte né di dov’è né di cosa sta facendo.
Do una sbirciatina e… dannazione, sì: ha ricominciato a fissarmi! Smettila-smettila-smettila, ripeto mentalmente continuando a fingere di sistemare i miei documenti.
Ma non la smette.
Do un’altra sbirciatina e… porca vacca, si sta avvicinando!
“Ti va del caffè?” mi chiede gentile con la solita voce bella e suadente.
Alzo lo sguardo, e lui e lì, di fronte a me, perfetto come un dio greco. Mi sorride e mi porge una tazza fumante.
“Gra… grazie,” balbetto, afferrando la tazza con mano incerta.
“Nervosa?”
“No… cioè, sì…”
Se non la smette di fissarmi in quel modo rischio un collasso, altro che Sindrome di Sthendal!
Così non va bene, mi devo riprendere. Devo concentrarmi… devo… cosa dovrei fare? Cosa dovrei dirgli? Ah sì, magari iniziare con lo scusarmi. Questa è una bella mossa.
“Senta, Signor Masen, mi vorrei scusare per quanto è successo stamattina. L’ho scambiata per un altro Edward, il mio nuovo assistente. Mi spiace averla trattata in quel modo… dico su serio…”
“Ci diamo del lei adesso?” mi interrompe serafico.
“Co… Come?” balbetto senza fiato di fronte al suo meraviglioso sorriso sghembo.
“Non è necessario che tu mi dia del lei. Abbiamo già rotto il ghiaccio, mi pare.”
“Hem… no, sì, certo… ecco, io… io ti volevo ringraziare…”
“Senti, Isabella,” mi interrompe, per nulla interessato al mio patetico tentativo di scuse, “le presentazioni di Black e James sono entrambe molto valide. La tua… beh, ci ho buttato un occhio stamattina e non te lo nascondo, avresti potuto fare di meglio. Ma hai avuto una bella intuizione. È originale, forse più delle altre. Però ci sono due cose che devi sapere. Tanya odia i gatti. Preferisce i cani: Dalmata. Li adora. Detesta il verde e impazzisce per il rosa. Guarda com’è vestita.”
Do una sbirciatina oltre le sue spalle, in fondo alla sala.
Quando ci siamo presentate stamattina avevo la testa altrove e non mi sono resa conto di cosa indossava. Ma ora non posso non notarla: un vestito aderentissimo al ginocchio color rosa shocking!
Santo cielo! È quasi ridicola!
“Sembra un confetto… Miss Pink Lady!” sghignazzo divertita. E poi mi rendo conto di averlo fatto di nuovo, di aver dato fiato alla bocca ancor prima di aver pensato.
Dio, ma che mi prende oggi? Perché non faccio altro che insultare Edward Masen e tutti quelli che hanno a che fare con lui?
“Scusa! Non volevo… cioè… è bellissima… Edward io… ” cerco goffamente di rimediare.
Lui mi lancia una strana occhiata. È evidente che si sta chiedendo con che razza di ritardata mentale ha a che fare.
Della peggior specie, vorrei dirgli. Ma ancora una volta fa quello che non mi aspetto. Sorride, scuote la testa, e a metà tra lo  sconsolato e il divertito ammette: “No, hai ragione… sembra un confetto.”
“Allora.” Carlisle Cullen si riavvicina deciso alla propria postazione. “Direi che possiamo tornare al lavoro. Isabella, vuole cortesemente prepararsi e dare inizio alla sua presentazione?”
“Certo, Signor Cullen, sono pronta.”
Mentre tutti tornano al proprio posto, Edward mi bisbiglia in un orecchio: “Ricorda: Dalmata e rosa… vedi tu che fare.”
Io lo guardo terrorizzata. La mia campagna è tutta impostata sui toni del verde, e il protagonista è un tenero gattino!  Come posso utilizzare i suggerimenti che Edward mi ha dato?
Prima che Jessica spenga di nuovo la luce mi volto verso Jake.
Se uno sguardo potesse incendiare, beh, io prenderei fuoco all’istante.
Sono spacciata.
Su tutti i fronti.
Prendo un bel respiro e mi preparo ad affondare.

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - A mali estremi... ***




CAPITOLO 5 – A mali estremi…


 
Verde in rosa, verde in rosa…
Gattino in Dalmata, gattino in Dalmata…
Ma come cazzo faccio a trasformare il verde in rosa o questo benedetto gattino in un Dalmata?
Non sono mica Harry Potter o Hermione Granger! Non ho una bacchetta magica è non posso impartire alcun incantesimo! Cosa dovrei fare? Imporre la mia stilografica e sentenziare minacciosa in pseudo-latino  Canis Viridis oppure Dalmatas Reformo? Mai letto Harry Potter. Non sono neppure sicura che  queste parole abbiano un senso! Non ho studiato il latino, io!
Pensa Bella, pensa…
Non ce la faccio! L’unica cosa che so è che ho bisogno di tempo, di più tempo!  Ma non ho più tempo! Devo dare inizio alla mia presentazione: ora!
Mi guardo intorno nella stanza buia. Sono tutti seduti composti ed aspettano che io inizi.
Jacob ha l’aria ostile, Edward nervosa, James sprezzante, Victoria annoiata, la Denali sbadiglia.
Cominciamo bene… Non ho ancora iniziato e quella già si fa un pisolino!
Come vorrei poter far tornare indietro la lancetta dell’orologio e rifare tutto! Magari non mi sarebbero mai venuti in mente i Dalmata e il rosa, ma di certo  mi sarei affidata a qualcosa di più sofisticato di Power Point e di queste stupide fotocopie!
Dopo le presentazioni della premiata ditta J&J (Jacob&James) rischio solo di fare una figuraccia. Inoltre quel confetto rosa in forma di donna detesta il verde e i gatti… No, dico: come si possono odiare i gatti? Come puoi trovare detestabile un tenero micino che sbuca da una scarpa e poi…  Ah, ah, ah! Troppo forte, che idea geniale! Ah, ah, ah!
Bella! Basta! Concentrati! Pensa, pensa a come uscire da questa situazione! Pensa…
E poi mi ricordo di una cosa. Di una cosa che mi è capitato di fare al liceo, qualche volta. Una cosa stupida e azzardata. Cretina, senza dubbio. Ma non mi viene in mente nient’altro. E così lo faccio.
 
 
Qualche ora dopo, al tavolo di un ristorante italiano…
 
“Muahahaha! Oddio Bella! Dimmi che non lo hai fatto! Muhahahah!”
Alice ride a crepapelle da circa dieci minuti. Piegata in due, si tiene la pancia per non soccombere ai crampi e, ad ogni tassello della storia della mia giornata infernale, picchia con il pugno chiuso il tavolo facendo tramare tutto: piatti, bicchieri, posate, bottiglie.
Le ho procurato la prima crisi quando le ho detto di aver scambiato Masen per il mio nuovo stagista-schiavo. Ma con questa nuova rivelazione la sto letteralmente uccidendo.
“Oh, sì che l’ho fatto!” Rido versandomi un bicchiere di vino. L’ennesimo.
“Cioè, fammi capire,” esclama Rose con gli occhi sgranati per lo sconcerto. Lei non sta ridendo. Lei non è come Alice, o come me. “Hai finto di svenire?!”
Sentendola ripetere quello che ho fatto, Alice ha una nuova crisi isterica.
“Oh, tiprego-tiprego-tiprego, bastaaaaa! Non riesco a respirare! Muahahahahah!” ride, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“Cosa avrei dovuto fare?!” cerco di difendermi, trangugiando il vino.
“Magari affrontare la cosa con dignità, fare la tua presentazione, rassegnarti al fatto  di non aver  sviluppato come si deve il tuo progetto, ed accettare la scelta finale di questa Tanya?”
“Mmmmm… ssssìììì… magari… Però non l’ho fatto!” sghignazzo divertita.
Mi sa che sono brilla.
Dopo la parte che o fatto oggi in ufficio, avevo bisogno di vedere le mie amiche, sfogarmi, dimenticare per qualche ora la figuraccia. Così le ho chiamate e abbiamo deciso di cenare insieme nel nostro ristorante italiano preferito: il Rigatoni.
“Bella,” continua Rose scandalizzata, mentre Alice boccheggia paonazza in cerca di ossigeno. “Tu sei rintronata. Sul serio.”
“Perché?”
Ho corso un rischio enorme, me ne rendo conto. Ma in fondo ho ottenuto ciò che volevo: più tempo.
Una volta spente le luci, mi sono schiarita la voce, ho pronunciato qualche parola di circostanza - “Ci sono delle dispense che avrei preparato…” - e poi ho rispolverato le mie scarse conoscenze drammaturgiche, reminiscenze di un passato nel club di recitazione. Mi sono allontanata di qualche passo dal tavolo, ho preso la testa tra le mani, ho mormorato con aria confusa e un filo di voce “credo di non stare bene”, e mi sono lasciata cadere per terra come un sacco di patate.
C’è stato un periodo al liceo in cui l’ho fatto spesso. Un periodo strano. Penultimo anno, uscivo con un deficiente e non studiavo più, mentre ero sempre stata la prima della classe. Non mi andava di rovinare la media, così un giorno ho improvvisato e tirato fuori dal cilindro questa pantomima. Me ne stavo in piedi, di fronte alla lavagna. Ostentavo sicurezza, ma non sapevo nulla. E ho finto di svenire. In fondo, quale professore mette sotto torchio una che non sta bene? Soprattutto la prima della classe! Come fa a dubitare di lei? L’ho fatto un altro paio di volte. Forse tre. Ok, lo ammetto, quattro. Finché non sono iniziate a circolare strane voci: è incinta, è malata, è anoressica. Ho mollato il deficiente e ho ricominciato a studiare. Però non ho rovinato la media.
 
“Rose,” spiega Alice, cercando di controllare il respiro. “Questo è un vecchio cavallo di battaglia di Bella! Sa quello che fa!”
“Co-cosa?! Lo hai fatto altre volte?!”
Conosco Alice fin dall’asilo, ma Rose si è unita a noi solo un paio di anni fa. Non mi conosce ancora bene. Non sa di cosa sono capace.
“Al liceo… ero giovane e stupida…” cerco di giustificarmi.
“Non mi pare che tu sia cambiata molto!” esclama scandalizzata.
“Rose,” interviene Alice. “Di che ti preoccupi? Mi pare che Bella abbia ottenuto ciò che voleva, o no?”
“Oooooh, yes!” ammetto soddisfatta. “Erano così preoccupati che mi hanno proposto di rimandare e di continuare lunedì! È venerdì sera: ho tutto il fine settimana per rimediare!”
Dopo avermi visto stramazzare al suolo, sono venuti tutti in mio soccorso.
Io sono rimasta a terra per un po’, fingendo di aver perso conoscenza.
“Portate dell’acqua!”
“Eccola!”
“Alzatele le gambe.”
“Amore bevi!”
“Oddio, è svenuta!”
“Tenetele la testa!”
“Isabella, che succede?”
“Chiamate un’ambulanza!”
“Oddio, è svenuta!”
“No… non ce n’è bisogno…”
“Amore… Amore…”
“Signorina Swan? Mi sente?”
“Isabella… Isabella…”
Poi, a un certo punto, mi sono sentita sollevare da terra.
"Ops, queste mani non le conosco," ho pensato. "E neppure questo corpo, e neppure questo profumo divino"
Ho dato una sbirciatina e… porca miseria! Edward Masen mi teneva tra le braccia e mi stava portando verso il divano in fondo alla sala! Edward Masen! Non Jacob!
 
“Passiamo a cose più importanti. Allora, com’è questo Edward?” mi chiede maliziosa Alice.
“Alice, tu non hai idea… Hip!” bisbiglio, avvicinandomi a lei e lanciandole uno sguardo d’intesa.
Sì, sono brilla. Decisamente.
“Bella? Bella, smettila di bere, sei ubriaca!” mi ordina Rose, togliendomi il bicchiere dalla mano.
“Non sono ubriaca! Hip!” esclamo scandalizzata.
“Torniamo a Masen. Cos’ha fatto? Cos’è successo?” chiede Alice assetata di dettagli.
Mi piace Alice, viaggia sulla mia stessa lunghezza d’onda. Rose è un po’ troppo bacchettona.
“Mi ha sollevata da terra con le sue braccia forti, e mi ha adagiata sul divano con grazia e… hip… mi ha accarezzato il volto chiedendomi come stavo, se riuscivo a sentirlo…”
“Wow… è Jake come l’ha presa?”
“Non lo so! Ero troppo concentrata a fingere di stare male! Anche se a un certo punto non stavo più fingendo… Hip! Ragazze, credetemi, è stato terrificante! Se ripenso a quello che ho fatto… Hip!”
 
 
Contemporaneamente, su un marciapiede di una strada non meglio precisata  nella periferia di Seattle…
 
“Edward! Bastaaaaa!” esclama esasperato Emmett. “È da quando ci siamo incontrati tre ore fa in palestra che non fai altro che parlare di questa Isabella!”
“Non è vero!” cerco di difendermi.
“Invece sì,” interviene Jasper. “Lo hai fatto anche mentre giocavamo a basket…”
“Vi ho solo raccontato cosa è successo oggi, tutto qui! Ora non vi posso più parlare del mio lavoro? Di cosa faccio?”
“Sìììì-sìììì-sìììì… lo abbiamo capito…” continua Emmett. “Ti ha scambiato per un assistente, ti ha trattato a pesci in faccia, ti ha mandato a fare fotocopie, ti è piaciuto il suo fare deciso, tu le hai sistemato il PC ugualmente, idea geniale la sua, ma mal sviluppata, peccato per il gatto e il verde, vorresti lavorare con lei perché è originale, diversa, poveretta è svenuta, chissà come sta… blàblàblà… Ammettilo, te la vuoi scopare.”
“Ma che cazzo dici?” esclamo scandalizzato.
È vero, da quando l’ho incontrata non faccio altro che pensare a lei, ai suoi lunghi capelli scuri, a quei meravigliosi occhi color cioccolato, al suo fragile corpo tra le mie braccia, al suo profumo inebriante… ma da questo a volermela scopare! Il mio interesse per lei è squisitamente professionale. È giovane e ha talento. Ecco. È per questo che l’ho aiutata. Per questo vorrei fosse lei ad essere scelta per la campagna delle DàDìDò Running Shoes. Il fatto che la trovi mostruosamente attraente non significa nulla.
“Ammettilo ,Edward!” mi stuzzica Jasper.
“Ragazzi, non dite cazzate! Sono fidanzato, mi sto per sposare!”
“E allora? Che male c’è?”
“Scoparsi un’altra?!”
“No, avere qualche fantasia piccante! Non fai del male a nessuno!”
“Basta! Dateci un taglio, per cortesia. E poi, dov’è questo ristorante? Jasper dove ci hai trascinati?” chiedo, guardandomi intorno con fare circospetto. Siamo in periferia. Odio la periferia. È pericolosa. Se mi rubano la Volvo lo ammazzo.
“È qui, dietro l’angolo. Il Rigatoni, il miglior ristorante italiano di tutta Seattle. Vi piacerà.”

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Capitolo 6
*** Cap. 6 - Drunk ***




CAPITOLO 6 -  Drunk


 
“Fammi capire, Edward: per te Obama ha fatto bene?”
“Jasper, sii realista: non poteva fare altrimenti!”
“Oh, certo, come no! Francamente non è questo che mi aspetto da un Nobel per la Pace!”
“Un capo di stato, Jazz! Un capo di stato! Il Nobel non l’ha mica chiesto, gliel’hanno dato! E, se permetti, sa un po’ di ricatto: tieni, prendilo tu, così sei costretto a 'comportarti bene'… ma che vuol dire?”
Siamo al  Rigatoni da circa mezz’ora e ci stiamo godendo un’ottima cena. Jasper ha ragione: questo posto non è affatto male. Forse un po’ troppo rumoroso e vivace, decisamente 'italian', ma l’aver creato nell’ampia sala tanti piccoli spazi inframmezzati da dei paraventi da comunque un’illusione di privacy, malgrado il casino. Inoltre  il cibo è eccellente.
Come al solito io e Jasper parliamo di politica, come al solito non siamo d’accordo su nulla, e come al solito  Emmett…  beh, Emmett  ha la testa altrove. Ha smesso di seguirci dieci minuti fa, credo.
“Emmett, tu che pensi?” cerco di coinvolgerlo.
Niente, nessuna reazione.
“Emmett?” insisto.
“Sssshhhh!” risponde stizzito lui, tornado a concentrarsi su un qualcosa che né io né Jasper afferriamo. Tiene lo sguardo basso e tende l’orecchio, come se stesse cercando di captare un rumore che si  confonde in mezzo a tanti altri.
“Allora?” gli chiedo dopo un po’ alzando le spalle.
“Secondo me, le ragazze sedute al tavolo qui dietro stanno parlando di te,” spiega indicando con il pollice il paravento dietro di sé.
“Di me?!”  esclamo incredulo.
“Te lo giuro!” continua, sghignazzando. “Parlano di un certo Masen, con due “smeraldi al posto degli occhi” e un “sorriso sghembo meraviglioso”… secondo me sei tu!”
“Sorriso sghembo?! Cos’è un sorriso sghembo?” chiede Jasper divertito.
“E che ne so? Il suo?” ride Emmett, indicandomi con la forchetta sporca di sugo.
“Emmett, mi prendi per il culo?”
“No, te lo giuro!” continua lui, ghignando. “Parlano di te! Non sono riuscito ad afferrare tutto, ma pare che tu sia – testuali parole – “un figo pazzesco”! Poi però hanno iniziato a sproloquiare di una certa “Pink Lady” e di “confetti rosa”… non ho capito bene. Secondo me sono ubriache!”
Pink Lady?!
Confetti rosa?!
Non sarà mica….
No. No, non è possibile.
Non può essere Isabella Swan!
È stata male, stamattina. È svenuta. Voleva continuare con la presentazione, ma era evidente che non poteva farlo, che non si reggeva in piedi. Black ci ha confermato che aveva già vomitato poco dopo essere arrivata in ufficio. Ha passato le due ore successive in infermeria,  cercando di riprendersi. Stoicamente ha deciso di restare, malgrado non stesse ancora bene. Voleva continuare a lavorare alla presentazione che mio zio ha rimandato a lunedì. Ma io  l’ho convinta a tornare a casa. L’abbiamo convinta, a dire il vero. Io e Black. Lui è stato con Isabella per quasi tutto il tempo. Io mi sono fatto vivo di tanto in tanto, perché ero preoccupato. Siccome Black, nel tardo pomeriggio, aveva un’altra riunione con un cliente importante,  mi sono offerto di riaccompagnarla a casa. Volevo solo essere gentile, tutto qui. Lui però mi ha incenerito con lo sguardo, mentre diceva che non ce n’era bisogno, e  le ha chiamato un taxi. Pare che l’auto di Isabella sia bloccata da qualche parte lungo la 112.
Decisamente non può essere lei.
Perché lei non può essere qui.
Non può essere qui, ed essere ubriaca.
E non può pensare che io sia “un figo pazzesco”.
È fidanzata.
Con quel Jacob Black.
 
“Emmett, smettila di dire cazzate!”
“Ma no! Vieni, ascolta!” E mi fa cenno di avvicinarmi.
Mi allungo nella sua direzione e tendo l’orecchio cercando di captare le voci che provengono da dietro il  paravento.
 
… Oh, Signooore… hip…  è fidansato, è fidansatoooo… Bella lo sei anche tu…  sssì, ma io non mi sto per sposaaare… hip… maledetta Pink Lady… e Jake?… chiiii? Hip…  Jacob Black, Bella…  come faccio a lavorare con luuui?... hip… è così bellooooo… hip… non saltargli addosso, Bella… hip… Alice, passami il vino… Bella smettila di bere… Rose, fatti un goccettooo… hip… brindisi Signoriiineeee: ad Edward Masen e al suo sorriso sghembo… ad Edward Masen! Cin-Cin… hip … mi scappa la pipì, Signorine… vado in bagno… attenta!... ce la facciooo… hip…
 
E da dietro il paravento sbuca proprio lei: Isabella Swan.
“Isabella?!” mormoro incredulo.
Ma lei non mi sente. E non mi vede.
Passa di fronte al nostro tavolo, guardando diritta di fronte a sé.
Mio Dio… lei è… lei è… bellissima… bellissima ed ubriaca!
Il suo corpo meraviglioso è fasciato alla perfezione da un mini-abito blu scuro che mette in risalto la stupenda pelle di porcellana. Solo le guance hanno preso un po’ di colore, senza dubbio a causa del vino. I tacchi vertiginosi donano al suo incedere  un non so che di sinuoso, e mi chiedo come non riesca a perdere un briciolo di grazia malgrado vada a sbattere ovunque.
“Isabella?” domanda incredulo Emmett.
“Quella è Isabella Swan?” gli fa eco Jasper. “Wow! Ora abbiamo capito perché te la vuoi scopare! È uno schianto!”
“Cosa?! No! Io non me la voglio scopare!”
“Lei ci starebbe…” mi provoca Emmett, facendomi l’occhiolino “L’ho sentita, ti ha definito figo pazzesco…”
“Fatela finita!” intimo loro, fulminandoli con lo sguardo. “Ma cosa ci fa qui? Stava male, è svenuta. Dovrebbe essere a casa,” rifletto ad alta voce mentre la vedo scomparire oltre quella che, suppongo, sia la porta del bagno.
“A me pare stia benone!” interviene Emmett.
“Benone?! Ma che dici? È ubriaca! Barcolla!” commento incredulo.
“Sì, barcolla ma non molla!” ride divertito Jasper mentre la vediamo uscire da quella stessa porta oltre la quale era scomparsa qualche istante fa.  Un cameriere la tiene per un braccio e le indica un’altra porta,  dall’altra parte del locale.
Santo cielo! Era finita in cucina!
Non riesco a credere che lei sia qui. È assurdo.  Dovrebbe essere a casa. A riposare. È svenuta, stamattina.
A meno che…
“Dove vai?” mi chiede Jasper mentre mi alzo.
“A capire che ci fa qui,” rispondo stizzito.
Ho il vago sospetto che mi abbia preso in giro, che ci abbia preso in giro tutti.
L’aspetto per un paio di minuti fuori dalla porta del bagno delle signore.
I minuti diventano due, poi tre, poi quattro.
Guardo l’orologio. Sono passati cinque minuti e di lei neppure l’ombra.
Comincio ad essere preoccupato, così mi decido ad entrare.
“Isabella?” Chiamo il suo nome infilando la testa oltre la porta.
Niente.
Mi spingo un po’ più in là, terrorizzato dall’idea che qualcuno mi possa sorprendere e scambiare per un maniaco. Ma non c’è nessuno. Così entro. È la prima volta che metto piede in una toilette per signore.
Mi guardo intorno, ma lei non c’è.
“Bella?” Chiamo di nuovo il suo nome.
“Hip!” La sento singhiozzare da dietro una delle tre porte chiuse.
“Bella, stai bene?”
“Chi sei?”
“Edward.”
“Edwaaaard, che bello che sei quiiiii!”
“Sì, va bene, sono qui, è fantastico,” taglio corto. “Bella, sei ubriaca?”
“Nnnno!”
“Isabella, tu sei ubriaca.”
“Ti ho detto di no-oooo!”
“Ok, allora esci.”
“Non riessssco… hip!” borbotta come una bimba capricciosa.
“Che significa non riesco?!”
“Non riessssco ad uscireeee… hip!” ripete, quasi infastidita dal fatto che io possa non aver capito.
“Ok, ora ti aiuto io.” Guarda cosa mi tocca fare… “Com’è la serratura? C’è una chiave? Un chiavistello?”
“Hi, hi, hi, hi!” comincia a sghignazzare.
“Cosa, che c’è?” le domando confuso.
“Hai detto chiavi-stello… hi, hi, hi!”
Oddio, questa è proprio rintronata… però è simpatica.
“Allora?”
“Cosaaaa?”
“Com’è la serratura, Bella?” le chiedo di nuovo senza celare il nervosismo.
“Ehhhhh… chiavistello! Hi,hi,hi!”
“Bella, piantala e concentrati. Fallo scorrere.”
“Cosa?”
“Il chiavistello…”
“Hi, hi, hi!”
Gesù, così non andiamo da nessuna parte!
“Bella, fai scorrere quel cazzo di chiavistello!” le ordino esasperato, dando una manata alla porta.
“Va bene, va bene!” La sento armeggiare con la serratura finché esclama compiaciuta: “Fatto!”
“Ed ora apri, coraggio.”
Lei ci prova una, due, tre volte.
“Non si apreeeee…” si lamenta, prendendo a spallate la porta.
“Isabella, devi tirare la maniglia verso di te,” le spiego con infinita pazienza. “Si apre verso l’interno.”
“Oh.”
Lei fa come le ho detto, la porta si apre e, finalmente, è libera.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 - In Vino Veritas ***




CAPITOLO 7 –  In Vino Veritas


 
La porta del gabinetto si apre e lei è lì, di fronte a me. Mi osserva tranquilla, i meravigliosi occhi coloro cioccolato semichiusi, e un sorriso beato e sognante stampato sulla faccia.
“Ciaooo,” mi dice.
“Ciao,” le rispondo.
Vorrei assumere un’aria severa, dopo tutto sono qui per fare chiarezza su quanto è accaduto in ufficio stamattina; sono qui per capire se è stata male sul serio, o ha solo finto, ma proprio non ci riesco. Isabella Swan ubriaca è uno spasso! Ripenso a quello che è appena successo, a lei che se la ghigna sentendo la parola chiavi-stello, a lei che prende a spallate la porta per uscire dal bagno… Come faccio a non sorridere?
“Eccolo di nuovo… hip!”
“Che cosa?”
“Il sciorriso sghembo… hip!”
“Bella, stai bene?”  le chiedo divertito senza riuscire a togliermi l’ormai famigerato sorriso sghembo dalla faccia.
“Scì…” dichiara convinta. E poi aggiunge: “Sciai una cosa, Edward?”
“No, cosa?”
“Lo sciapevo di piacerti… hip!” sentenzia con fare ammiccante, appoggiandosi languida allo stipite della porta.
Credo stia cercando di fare la femme-fatale, ma non ci sta riuscendo un granché.  Più che sensuale l’effetto è comico.
“Daaai, ammettilo!” continua, inarcando un sopracciglio e puntando il dito nella mia direzione. “Io ti piaccio…. Hip!”
“Bella, quanto hai bevuto stasera?”
Sono sconvolto. Questa donna non ha più idea né di dove sia né di cosa stia facendo! Probabilmente non si è neppure resa conto al 100% che io sono qui davvero, in carne ed ossa, di fronte a lei. Eppure c’ha azzeccato. Perché è così maledettamente ovvio che mi piace! È da quando l’ho incontrata stamattina che penso a lei e, malgrado ciò che ho detto a Jasper ed Emmett, l’idea di farci l’amore è un tarlo che mi rode il cervello, oltre che la coscienza sporca di uomo ad un passo dalle nozze. E c’entra poco o nulla il fatto che Tanya non me la dia da quasi due settimane.
Ma di sicuro non glielo posso confessare qui, nel gabinetto lurido di un ristorante italiano della periferia di Seattle, mentre è completamente sbronza!
“Bella, quanto hai bevuto?” le chiedo di nuovo.
“Hi, hi! Sciolo un goccetto… hi,hi!” sghignazza uscendo finalmente dalla toilette.
Siccome le sto d’intralcio, mi scosta con una mano e barcolla fino al lavandino. Apre il rubinetto, si accascia sulla superficie di marmo, e comincia a bere ampie sorsate schizzando acqua dappertutto.
“Bella, che schifo!” esclamo inorridito. “Torniamo di là, ti ordino una bottiglia d’acqua, ma staccati da quel rubinetto, per favore!”
Questa è decisamente la scena più surreale alla quale mi sia mai capitato di assistere.
“È sssciolo acqua!” sbuffa tirandosi su e passandosi grossolanamente il dorso della mano sulla bocca.
È normale che la trovi maledettamente attraente anche così ridotta? Spettinata, struccata e ubriaca?
Devo essere malato!
“Bella, ti prego, usciamo adesso,” la invito, indicandole la porta con la mano.
“Pecchè?” mi chiede confusa guardandomi dallo specchio.
“Perché siamo nel bagno delle signore!”
“Oddio!” esclama sgranando gli occhi e voltandosi di scatto. “Che ci fai tu nel bagno delle scignore? Hip!”
“Appunto! Non posso stare qui, qualcuno potrebbe entrare da un momento all’altro e scambiarmi per un maniaco. Usciamo, forza.”
“Sciei un maniaco?”  mi chiede con sospetto guardandomi storto.
“No, non lo sono Bella,” la rassicuro. “Forza, usciamo.”  La incoraggio nuovamente avvicinandomi  e posandole una mano sulla spalla.
La sua pelle è così morbida…
“Non lo sciei?” domanda con una punta di scetticismo nella voce.
“No, non lo sono.”
“Peccato… scie fossi un maniaco mi scialteresti addosso…” mi dice, facendo il broncio e iniziando a giocare con i bottoni della mia camicia.
Rieccola nel tentativo di fare la sensualona. Ma è strafatta! Come faccio a non ridere?
“Vuoi che ti salti addosso?” le chiedo divertito. Senza dubbio il vino le sta facendo dire cose che non avrebbe mai il coraggio di confessarmi da sobria. Mi piace, la cosa. Isabella Swann si sente attratta da me, ne ha parlato anche con le sue amiche, e vorrebbe che le saltassi addosso. Interessante… molto interessante…
“E tu? Vuoi scialtarmi addosso?”
“Ti piacerebbe?” la stuzzico.
“Mi piacerebbeeee? Cosaaaa, ssscusa?”
Ma come cosa?!
Scoppio a ridere come uno stupido, perché la mia ubriacona ha già dimenticato quello che mi ha appena chiesto!
“Cosaaaa? Cosaaaa, Edward? Dimmeloooo…” mi supplica.
“Lascia stare… allora, usciamo sì o no?”
“Certo! Domani scera va bene? A che ora passci a prendermi?”
“Bella, non ti sto chiedendo un appuntamento!” Dio mio, parlare con un ubriaco è stancante. È come parlare con un malato di mente. È impossibile ragionarci! “Ti sto invitando a tornare di là, in sala, per continuare la nostra cena.”
“Mi hai invitata a cena?!” esclama stupita. E poi,  riproponendomi il sorriso beato di poco fa, aggiunge: “Lo vedi allora che ti piaccio? Hip!”
Certo che mi piaci, Bella! E potrei anche ammetterlo, perché no? Potrei confessarti che ti voglio, che voglio il tuo corpo e la tua mente,  che voglio fare l’amore con te per tutta la notte. Che voglio farti urlare di piacere, che voglio la tua bocca e la tua lingua ovunque.
Tanto non te lo ricorderesti. Sei  strafatta!
“Lo sciapevo di piacerti, Edward…hip!” E poi mi si getta al collo. “Mmmm… hai un buon profumoooo…” continua annusandomi. “Hai proooprio un buon profumo… Mmmm…”
“Sì, beh, vorrei poter dire lo stesso di te,” mi lascio sfuggire, arricciando il naso.
Bella mi piace da morire, ed averla tra le mie braccia è fantastico. Sentire il suo corpo è fantastico. Ma questo alito di vino no. Non è per nulla fantastico.
“Non ti piace il mio profumo?” Mi chiede a pochi centimetri dal naso.
Oh, santo cielo!
“Bella, sei meravigliosa, sei bellissima, adoro il tuo profumo, ma ti prego: usciamo di qui!” la supplico, cercando di staccarmela di dosso.
Voglio abbandonare questo gabinetto! Subito!
“Sciono bellissima?” mi domanda incredula.
“Sei la donna più bella che io abbia mai conosciuto,” confesso. Chissenefrega, tanto domani non se lo ricorderà di sicuro, e questa potrebbe essere l’unica occasione che ho per dirglielo.
“Grassieee! Grassie Edward!”  esclama raggiante, attaccandosi a me peggio di una cozza a uno scoglio. “Anche tu sciei bello, Edward… Sciei taaanto bello… Sciei bellissimo… mi piacciono i tuoi capeeelli, e i tuoi ooocchi, e le tue maaaani…”
Merda… forse confessarle che la trovo meravigliosa non è stata una buona idea.
“Sì, ok, grazie. Bella, andiamo!” E siccome non si decide a muoversi, la trascino di peso fino alla porta.
Maledizione, è minuta, ma trasportarla è peggio che trasportare un masso!
“Forza, ricomponiti,” le dico, sistemandole un poco i capelli.
I suoi morbidi capelli…
“Ok, ok, ho capito…hip!” Mi allontana con una manata, e con fare deciso imbocca la porta d’uscita della toilette. Io la seguo, e faccio appena in tempo a staccarle una lunga striscia di carta igienica appiccicata sotto la scarpa destra, prima che lei faccia il suo ingresso trionfale nella sala del ristorante.


 

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Capitolo 8
*** Cap. 8 - Supereroe ***




CAPITOLO 8 –  Supereroe

 
“Attenta!” esclamo, afferrandola per la vita e impedendole di cadere rovinosamente a terra. Vorrei tanto si togliesse i tacchi vertiginosi che indossa perché sono una vera e propria bomba ad orologeria. Sbronza com’è, rischia di inciampare ad ogni passo, ma di certo non posso farla camminare scalza su questo pavimento sudicio! È meglio che la tenga stretta e che la trascini fino al suo tavolo. Se la fortuna mi assiste ce la faremo, e riusciremo anche a mantenere un briciolo di grazia e dignità.
“Serve aiuto?”  mi chiede un cameriere lanciando  uno sguardo scettico all’ubriacona che tengo tra le braccia.
“No. No, grazie,” lo congedo educatamente. Ma Bella non ha nessuna intenzione di passare inosservata, a quanto pare.
“Che vuoi?” gli chiede aggressiva. “Pecché mi guardi? Smettila di guaddami… tanto io non ti voio… io voio lui!” E mi getta le braccia al collo.
Riecco l’alito di vino… e ti pareva…
Incuriosite dal trambusto, le persone sedute ai tavoli vicini si voltano verso di noi perplesse e, nell’istante in cui realizzano cosa sta accadendo,  cominciano a ridere sommessamente. Fantastico… Stavo giusto pensando a come mantenere grazia e dignità.  Mi sa che è una causa persa.
“Bella, ci stanno guardando tutti,” le sussurro imbarazzato in un orecchio nel vano tentativo di tranquillizzarla.
“E alloraaaa? Io non o ggnnente da nascicondere,” dichiara fiera, schioccandomi un bacio umidiccio sulla guancia.  E poi, rivolgendosi minacciosa al piccolo pubblico di fronte a noi, minaccia: “Non ridete voi!”
Il che, ovviamente, non fa altro che divertire ancora di più tutti quelli che ci stanno intorno.
Cristo santo, che situazione… Non avevo mai vissuto niente del genere, prima d’ora!
Spero solo che tra questa gente non ci sia qualcuno che conosco. Se Tanya venisse a sapere per vie traverse che stasera una bella donna ubriaca si sta pubblicamente strusciando contro il sottoscritto,  mi staccherebbe la testa con un’accetta.
“Bella, forza, andiamo.”
La trascino a fatica dall’altra parte del locale, verso i nostri amici che, come sospettavo sarebbe accaduto, hanno nel frattempo fatto conoscenza e chiesto di rimuovere il paravento,  trasformando i due tavoli da tre in un ampio tavolo da sei.
Emmett ci accoglie sghignazzando. “Hey! Che fine avevate fatto? Vi davamo per dispersi!”
Bastardo.
“Edward,” continua Jasper. “È con immenso piacere che ti presento Alice e Rosalie.”
“Non dovreste farla bere così!” le rimprovero subito, ignorando le formalità, e nel frattempo aiuto Bella ad accomodarsi su una delle due sedie libere. Quella accanto alla mia, com’era logico che fosse.
“Hai ragione Edward, ma Bella è difficile da controllare…” si giustifica Rosalie mentre Alice scoppia a ridere vedendo la sua amica che si getta sul vino peggio di una belva assetata.
“Buonoooo!” esclama con entusiasmo, cercando di attaccarsi al collo della bottiglia e di berci direttamente.
“Bella! Porca miseria, la vuoi finire?” le ordino, strappandole di mano il vino e sistemandolo dall’altra parte del tavolo, lontano da lei.
Lei si lamenta cercando di raggiungere di nuovo la bottiglia. “Edwaaaard…”
“Bella, fai la brava, per favore...” piagnucolo, bloccandola sulla sedia. “Ragazzi datemi una mano!”
Ma nessuno di loro ha intenzione di farlo, e infatti passo il resto della cena a cercare di tener buona la mia ubriacona  e ad impedirle di bere.  Il mio problema più grosso è che, ogni volta che mi distraggo, o Emmett, o Jazz, o Alice le riempiono il bicchiere! L’unica dotata  di un briciolo di sale in zucca sembra Rosalie, ma sembra anche aver perso la testa per Emmett, così non mi aiuta per niente, concentrata com’è sui muscoli del mio amico.
La cena va avanti per un'altra ora, e Bella, ovviamente, tiene banco. È spassosissima, ma qualcosa mi dice che lo sia di natura,  e non solo stasera perché è sbronza. Rido di gusto per tutto il tempo, e ci sono dei momenti in cui a stento riesco a trattenere le lacrime.
Da quant’è che non mi divertivo così? Boh? Neppure me lo ricordo. La cosa più buffa che ho visto di recente è Tanya con la mousse di fragole spalmata in faccia. E non è roba da ammazzarsi dalle risate!
Dopo aver pagato il conto ci raduniamo sul marciapiede di fronte al ristorante.
Sembriamo tre coppie.
Emmett e Rose.
Jazz ed Alice.
Io e la mia dolce ubriacona.
“Che si fa, ora?” chiede Jasper, trascinando a sé Alice che ricambia l’abbraccio con una strana quanto inaspettata intimità.
“Come che si fa?!” esclamo confuso. “Bella deve andare a casa! È tardi. E poi non si regge in piedi!”
La sorreggo a fatica e comincio ad essere stanco. Cioè,  mi piace, adoro la sua compagnia, però ora è diventata un peso morto che non posso continuare a trascinare ovunque! Mi sta spezzando la schiena!
“Andiamo a ballare!” propone Alice, saltellando.
“Conosco un posto!” le va dietro Emmett, cingendo Rose con un braccio. “Il Lolly-Pop!”
“Sì, mi piace un sacco!” esclama Rose, mangiandoselo con gli occhi.
“Ok, allora si va,” dichiara Jasper, prendendo la sua ragazza per la mano e cominciando a camminare. “Alice dove hai parcheggiato?”
“Laggiù.”
“No! Ragazze, Bella deve andare a casa! È sbronza, ha bisogno di dormire!”
Ormai Bella è partita. Sonnecchia appoggiata alla mia spalla, e ogni tanto biascica qualcosa di incomprensibile sorridendo beata. Riesco solo a capire le parole Edward e bello.
“Allora portacela!”
“Alice, è amica vostra!”
Cavolo! Non posso portarla a casa io! Non è… non è… Conveniente? Appropriato?
“Sì, ma adesso è anche amica tua!”
“Rose…” Cerco di attirare l’attenzione dell’unica che ha un po’ di sale in zucca, ma niente. Anche lei è partita in quarta tra le braccia di Emmett in direzione del catorcio di Alice.
“21, Jump Street. Seattleeee,” urla mentre se ne vanno tutti ridendo.
Vaffanculo! Vaffanculo! Che amici del cazzo…
Mi guardo intorno sconsolato per un attimo, mentre i miei pseudo-amiconi scompaiono dietro l’angolo felici e beati.
Ok.
Mi sa che la devo proprio riaccompagnare a casa.
“Bella, Bella mi senti? Ce la fai a camminare?” le sussurro in un orecchio.
“Uhm-Uhm…”
“Ok, allora muoviti, coraggio.”
“Uhm-Uhm...”
Ma resta aggrappata a me come la solita cozza al solito scoglio.
“Bella… cammina… non lo stai facendo… avanti… un piede dietro l’altro….”
Finalmente ci schiodiamo dalla porzione di marciapiede di fronte all’ingresso del Rigatoni, e con immensa fatica raggiungiamo la Volvo che ho parcheggiato un paio di vie più in là.
La faccio salire, le allaccio la cintura, imposto il navigatore satellitare e partiamo.
Dio,  speriamo che non vomiti sull’auto…
A parte lo schifo di avere i sedili imbrattati, la sola idea di poter vedere qualcuno vomitare mi provoca dei conati pazzeschi!
Ecco, infatti.
Penso all’eventualità che Bella possa vomitare e già mi sento male. Così decido di abbassare un poco il finestrino. Un po’ di aria fresca farà bene ad entrambi, e soprattutto libererà l’abitacolo da questi effluvi alcolici.
Venti minuti più tardi parcheggio in prossimità di un palazzone della periferia più periferica di Seattle. Ma come cazzo si fa a vivere in un posto del genere? È brutto e sporco, ed è pieno di spacciatori e puttane.
Ormai Bella  è crollata. Russa beatamente – e rumorosamente - da quando siamo partiti.
Come io faccia a trovarla maledettamente attraente anche ora, mentre dorme con la bocca spalancata, emettendo strani grugniti,  è un mistero assoluto. Un po’ come l’origine dei cerchi nel grano, o delle linee di Nazca.
La trascino fuori dall’auto e la conduco a fatica su per i tre gradini che ci separano dalla porta d’ingresso. Non so neppure a quale piano si trovi il suo appartamento. Quelle stronze delle sue amiche non me l’hanno detto. E non mi hanno neppure detto  se c’è un ascensore.
Dio, ti prego, ti scongiuro, ti supplico, fa che Bella abiti a piano terra, o che ci sia un ascensore, almeno! Va bene anche un montacarichi, o una carrucola... Qualunque cosa pur di non doverla portare in braccio su per le scale! Ho la schiena a pezzi.
Appoggio Bella alla parete, la tengo su facendo leva con una spalla, apro la borsa che ho infilato a tracolla prima di scendere dall’auto per avere le mani libere, e comincio a rovistare tra le sue cose alla ricerca delle chiavi di casa.
Allora, vediamo un po’ cosa c’è qui. Delle gomme da masticare,  delle mentine (perché non me ne sono accorto prima, avrebbero fatto alla bisogna), una spazzola, un rossetto, cellulare, portafoglio... Oddio, che schifo! Un Tampax! E... Bingo! Le chiavi!
“Bella… Bella, svegliati… siamo a casa… a che piano?”
“Eeeeeh?”
“Bella, a che piano abiti? Ti ho riportata a casa.”
“Edwaaaaard… ho scionnooo…”
“Lo so, ora ti porto a letto…”
“Mmmmm… furbacchioooone…” comincia a sghignazzare. “Magari una cosa veloce, perché ho tanto scionnoooo…”
Oddio, ma cosa ha capito?!
“Bella, a che piano?”
“Ehhhh… Quattro!” E mi fa segno tre con la mano.
“Bella, terzo o quarto?”
“T’ho detto quattroooo…” ripete, sollevano in aria pollice, indice e medio.
Vada per il quarto.
Apro il portoncino,  e – Dio sia lodato per questo -  c’è un ascensore.
Quando le porte si aprono con un  “dling” lei esclama: “È pronto! Toiii l’arroscto dal forno…” E io, francamente, non so se piangere o ridere.
Finalmente raggiungiamo il quarto piano, e non mi resta che leggere i nomi sui campanelli per capire qual è il suo appartamento.
Smith… Stefani… Douglas… Eugenides… Chang… Swan!
Eccolo! Ormai manca poco, solo qualche passo ci separa dalla sua camera da letto. La sistemerò sotto le coperte e poi me ne andrò. 
Tanya non mi aspetta, stasera. Me ne andrò a casa e mi farò una bella dormita. Mi toglierò dalla testa questa strana serata e questa Isabella Swan.
Illuso… La rivedrai lunedì in ufficio! Come diavolo fai a togliertela dalla testa, Edward? Lobotomizzandoti?
“Bella? Bella mi senti? Io vado.” le sussurro, accarezzandole i capelli dopo averla delicatamente adagiata sul letto e coperta con una trapunta.
“Noooo… non andareeee…” mi supplica con gli occhi chiusi afferrandomi la mano.
Bella…
“Bella, devo andare. Devi dormire.” E le auguro la buonanotte dandole un bacio sulla fronte.
L’osservo ancora per qualche istante nella sciocca speranza che aggiunga qualcosa, ma sembra essere crollata di nuovo.
Così mi decido ad andarmene. Prima di richiudermi la porta alle spalle però, indugio per un attimo nel piccolo salotto e mi guardo intorno. Una delle pareti è occupata da un grosso collage composto da una miriade di fotografie. Mi avvicino e comincio ad osservarle. Alice, Rose, un sacco di ragazze e ragazzi che non conosco (i suoi amici, suppongo), forse i suoi genitori. La cosa che mi diverte di più è che Bella, in queste foto, non è mai in posa.  Prende sempre in giro l’obiettivo, facendo delle smorfie, o assumendo uno sguardo buffo. Lo sapevo che era uno spasso anche da sobria!
Continuo ad osservare le immagini di fronte a me, rapito dall’allegria e dalla gioia di vivere che emanano.
Ecco Jacob Black.  Detesto questo tizio! È così pieno di sé. Santo cielo, rilassati! Oggi sembrava volesse staccarmi la testa a morsi quando gli ho proposto di riaccompagnare Bella a casa!
‘Fanculo, Black. L’ho riaccompagnata a casa lo stesso, anche senza la tua benedizione.
La foto di Bella con lui è la mia preferita perché, malgrado lei gli stia dando un casto bacio sulla guancia, gli fa le corna a sua insaputa e, con l’aria furba, sbircia in direzione dell’obiettivo.
È troppo scema! In senso buono, ovvio.
Sono quasi tentato di prendermela. Quasi-quasi me la prendo…
Sto per staccare la foto quando sento un tonfo sordo provenire dalla camera di Bella. Un rumore che assomiglia tanto a… un corpo umano che si schianta al suolo?
“Bella?” chiedo allarmato, voltandomi di scatto.
E poi vedo un’ombra trascinarsi carponi e in modo scomposto fino in bagno.
“Puaaaaahhhhh…”
Oh, cazzo!
“Puaaaaahhhhh…”
Cazzo, cazzo, cazzo!
Sta vomitando! Sta vomitando!
“Puaaaaahhhhh…”
Bella, non puoi farmi questo, no!
Sento già lo stomaco chiudersi, e i conati contorcermi le budella.
“Puaaaaahhhhh…”
Ma perché non me ne sono andato subito? Perché ho voluto curiosare tra le sue cose? Idiota… Idiota!
“Puaaaaahhhhh… Puaaaaahhhhh…”
Cosa faccio? Non posso abbandonarla proprio mentre vomita l’anima! Se le accadesse qualcosa?
Così mi faccio coraggio e la raggiungo.
Dio, che schifo! Ha lasciato una scia di… ma che roba è? Spaghetti? Polpette?
Che schifo-che schifo-che schifo!
Stando bene attento a non calpestare alcunché abbia un aspetto molliccio e maleodorante,  la raggiungo e la trovo riversa sul pavimento, di fianco alla tazza del water.
 “Bella… Bella, come stai?” le chiedo inginocchiandomi di fianco a lei. “Ecco, tirati su…”
“Edwaaard?” mormora con un filo di voce.
“Sì, sono io.”
“Sto male…”
“Ci sono qui io. Va tutto bene, sono qui con te.”
La tiro su a sedere e l’appoggio alla parete. Prendo un asciugamano, lo bagno, e glielo passo sul volto, per pulirla e rinfrescarla.
Sono quasi fiero di me stesso. Riuscire ad affrontare un ubriaco vomitante è una vera e propria sfida per me. È una cosa che non ho mai fatto. Neppure all’università. Ho sempre lasciato che fosse Emmett a prendersi cura di Jazz, o Jazz a prendersi cura di Emmett. E quando ero io ad essere ubriaco… Beh, ero io. Non ho mai provato molto schifo nei confronti di me stesso. Solo degli altri.
Passo la mezz’ora successiva a tenere Bella per i capelli mentre vomita tutta la cena e il vino nel gabinetto. Poi, quando il peggio è passato, la prendo in braccio e la riporto in camera.
L’adagio di nuovo sul letto, e do un’occhiata al vestito sporco di vomito. Oddio, cosa faccio? Non posso lasciarle addosso quella roba! Ma non posso neppure spogliarla! Non posso vederla seminuda. Non posso!
Alla fine decido che è squallido lasciare che indossi per tutta la notte quell’abito sporco e maleodorante, così apro la cassettiera e cerco qualcosa per cambiarla.
Oh, santo cielo! Con tutti i cassetti proprio quello destinato all’intimo dovevo aprire? Di fronte a me un trionfo di reggiseno-mutandine-tanga-pizzi-cotone-merletti mi strizza l’occhio e mi spalanca le porte dell’inferno.
Ma Edward Masen è un uomo tutto d’un pezzo. Edward Masen non si lascia corrompere. Edward Masen non concepirebbe mai di sottrarre uno dei tanga di Isabela Swan da questo cassetto e tenerlo per sé. Magari una foto sì, la ruberebbe. Ma un tanga no. Quello mai.
Mi infilo veloce un tanga in tasca, guardandomi intorno con circospezione, e poi apro un altro cassetto. Ecco, qui c’è un sacco di roba interessante: semplici e caste magliette. Fin troppo caste… Hey! Ma questo è abbigliamento maschile! Le cose di Black, senza dubbio.
Leggermente stizzito afferro una maglietta a caso e mi appresto ad affrontare la sfida del secolo: spogliare Isabella Swan.
Mi avvicino con il cuore in gola e mi siedo di fianco a lei.
Ce la puoi fare Edward. Non sei un maniaco (anche se rubi biancheria intima dai cassetti delle signorine).
Faccio scorrere la lampo del vestito giù, lungo la schiena.
Dio, ti prego, fa che indossi qualcosa sotto! Lo so, poco fa ti ho supplicato  per avere un ascensore, e mi hai esaudito, ma mi concederai anche quest’altro piccolo favore, ne sono certo. In fondo ti sto chiedendo di fare in modo che lei non sia nuda! Voglio dire: quale Dio serio e che si rispetti punirebbe uno dei propri figli costringendolo ad adocchiare una sensuale e provocante nudità femminile?
Riapro gli occhi e... sì, porta della biancheria intima. Anche piuttosto casta, mi pare.
Le sfilo il vestito con una certa fatica e, con altrettanta fatica, le infilo la maglietta pulita e profumata di bucato.
Perfetto. Ce l’ho fatta.
Ho affrontato un ubriaco vomitante, il corpo seminudo di una donna bellissima, e sono ancora tutto intero. Praticamente sono un supereroe.
“Bella, io vado,” le bisbiglio in un orecchio.
“Noooo… non andareeee…” mi implora lei con un filo di voce e prendendomi la mano.
Poverina… è uno straccio.
“Ok, sono qui, tranquilla. Resto qui con te finché non ti addormenti,” le sussurro in un orecchio.
E mi accoccolo sul letto, di fianco a lei.
 

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - Psycho Killer ***




CAPITOLO  9  - Psycho Killer

 
Oooooh… Aiutoooo… Signore, ti pregoooo, prendi la mia anima con teeee… Uccidimi oraaaa… Ti scongiuroooo… Subitoooo…
Non so cosa stia accadendo, so solo che mi fa male dappertutto, che un enorme martello pneumatico mi sta perforando il cervello senza pietà, che la mia camera da letto gira peggio di una giostra impazzita, e che ho sete, tanta sete, tanta tanta sete.
Vorrei aprire gli occhi, muovermi, raggiungere la cucina ed attaccarmi al rubinetto, ma non ce la faccio: sto troppo male! Preferisco morire, subito. Farla finita una volta per tutte.
Penso anche a come potrei farlo, ma da questo materasso le opzioni sono piuttosto limitate. L’unica cosa che riesco ad escogitare è fracassarmi il cranio con l’enorme Buddha di marmo che tengo sul comodino (un regalo di Renée, la mia svampita madre hippy).  Disgraziatamente:
a) dovrei sollevare un braccio ed allungarlo e non ce la faccio;
b) dovrei trovare la forza per afferrare il Buddha di marmo e non ce l’ho;
c) dovrei spaccarmelo sulla fronte, e l’idea di aggiungere altro dolore a quello causato dalla squadra di picconatori al lavoro nella mia testa mi scoraggia più di tutto il resto.
Quindi sono destinata a soffrire. A soffrire e morire di sete e di caldo.
Ieri sera devo aver bevuto parecchio. Non mi spiego in altro modo lo stato in cui mi trovo. Oppure sono all’inferno. Probabilmente sono morta e sono finita all’infero a causa di tutte le cazzate che ho fatto. L’ultima ieri in ufficio, durante la presentazione della mia idea per il lancio sul mercato delle DàDìDò Running Shoes. Ho finto di svenire per sottrarmi ai miei doveri. Ho mentito a tutti, li ho presi in giro. Ho mentito anche Jake. Beh… un po’ se l’è meritato! Voglio dire: ha insinuato che tra me ed Edward Masen c’è qualcosa di losco! Ma ti pare? Io ed Edward Masen… E il fatto che io lo trovi schifosamente attraente non significa nulla. Sono una donna tutta d’un pezzo, io!
Ciò non toglie che sono pessima. E che non potevo che finire all’inferno. Sì ma… fa un cazzo di caldo in questo infernooooo!
Ma forse non sono finita nella dimora estiva di Belzebù (il caldo è talmente intenso che, da perfetta sfigata, ci sono capitata a luglio, di fisso). Forse sto solo vivendo i postumi di una colossale sbornia. La testa che mi scoppia, le ossa rotte, lo stomaco rovesciato come un calzino sporco, la stanza che gira, e la lingua felpata sono prove inconfutabili, non semplici indizi.
 
Ok. Posso superare questo momento. Mi è già capitato, in passato, e ce l’ho sempre fatta. Devo solo fare un piccolo passo alla volta. Magari potrei iniziare con l’aprire un occhio.
Aaapro… aaapro… lentameeente… Arghhh! Luceeee… Chiudo-chiudo-chiudo!
Bene. Faccio passi da gigante. Ora potrei provare a muovermi un poco. Magari potrei sollevare un braccio. Non mi pare una cosa complicata. Uno, due, tre... oooo-iiiissa. Niente. Uno, due, tre… oooo-iiiissa. Nada de nada. Maledizione, è come se fossi bloccata! Da quando in qua una sbornia contempla anche la paralisi tra i suoi effetti collaterali?  No, non è possibile, non posso essere paralizzata! Proverò a cambiare tattica. Sono sdraiata su un fianco, ora. Mi volterò di schiena. Devo solo lasciarmi scivolare da un lato. Questo è mille volte più semplice che alzare un braccio. Ecco… così… Hey! Non riesco a scivolare… Ma cos’è questo? Sembra… sembra… un corpo maschile?! Sì… sì… Sono proprio appoggiata al corpo di un uomo… Un uomo è accoccolato al mio fianco e mi tiene stretta a sé… le sue dita sono intrecciate alle mie…
Lo sapevo! Sapevo che la paralisi non è contemplata tra gli effetti della sbornia e che non ero finita all’inferno! Tutto questo caldo è solo il corpo di Jake che mi sovrasta! Che strano, però. Jake non ama dormire così abbracciati. Dice che lo soffoco (anche se è lui ad essere una stufa, a quanto pare!) Sì, però… ho visto Jake ieri sera? Oddio, non me lo ricordo. L’ultima cosa che ricordo è di essere uscita a cena con le ragazze, al Rigatoni. Di aver ordinato del vino – dell’ottimo vino italiano -  di averlo bevuto e poi… E poi, boh? Jake ci ha raggiunte? Quando? Mi ha riportata a casa? Mi pare così strano… Jake non mi permette mai di bere, dice che divento ridicola. L’unica volta che l’ho fatto in sua compagnia mi ha messo il muso per una settimana. Per non parlare di come poi mi ha lasciata da sola in bagno a vomitare l’anima! “Te la sei cercata,” mi ha detto… Signor Io-Sono-Perfetto-Sempre-e-Comunque! Invece eccolo qui, sdraiato al mio fianco. Che  tesoro!
Comunque è piuttosto strano. Le proporzioni sono tutte sbagliate. Il corpo di Jake mi pare più grosso, muscoloso e ingombrante. Non che questo non sia un bel corpo, anzi… Ma è diverso dal solito. E poi Jake non ha questo profumo. Mmmm… buooono…
 
Con immensa fatica apro gli occhi e do una sbirciatina alla mano intrecciata alla mia. La luce mi crea enormi problemi e mi provoca delle fitte allucinanti, così ci impiego un attimo a mettere a fuoco l’arto che stringo così ostinatamente e…
Oh, cazzo… ma questa… questa… questa non è mica la mano di Jake!
Un attimo.
Sì, è la mano di Jake…
Cazzo, no! Non lo è! E neanche questo braccio!
Oh, cazzo! OH, CAZZO!
 
“UUUUAAAAAAHHHHHH!”
Non appena mi rendo conto che l’uomo sdraiato al mio fianco non è il mio ragazzo, schizzo fuori dal letto e comincio ad urlare come una pazza!
“UUUUAAAAAAHHHHHH!”
Cosa ho fatto?! Cosa ho fatto?! Mi sono ubriacata e ho trascinato uno sconosciuto a casa!
Cheschifo-Cheschifo-Cheschifoooo!
Non capisco niente: la testa mi scoppia, la luce mi acceca, e vado a sbattere ovunque come un pipistrello sotto il solleone.
“UUUUAAAAAAHHHHHH!! Continuo ad urlare disperata, pensando che ho fatto sesso con un tizio rimorchiato chissà dove.
Sentendomi strepitare peggio di una vacca al macello, lo sconosciuto si sveglia di soprassalto e precipita rovinosamente sul pavimento.
“UUUAAAAHHHH… COS’È? COS’ÈÈÈÈ?” Urla terrorizzato a sua volta dimenandosi sul parquet nel vano tentativo di rialzarsi.
“VAI VIAAAAA… CHI SEIIIIII… VAI VIAAAA…”
Non so che sto facendo, so solo che la luce mi acceca, che non vedo nulla, che sto male, e che non voglio questo tizio in casa mia.
Così mi butto sulla libreria a comincio a scagliare tutto ciò che mi capita tra le mani oltre il letto, nella speranza di colpirlo.
“MANIACOOO…” Continuo a strillare con tutto il fiato che ho in gola. “VATTENEEEEE…”
“BELLAAAA! MA CHE CAZZO SUCCEDEEEE?! AIOOO! CAZZO… IL NASOOOOO! CAZZO! BELLAAAA! SONO IO! CAZZO, SONO IOOOOO… BELLAAAA…”
“IO CHIIIII?” urlo, afferrando il Buddha sul comodino. “MANIACOOOOO…” E lo lancio.
“EDWAAAAARD…”
Edward?!?!
Quello che succede dopo avviene a rallentatore, come nei film.
Per la prima volta, da quando ho iniziato a strepitare e a lanciare libri e quant’altro addosso allo sconosciuto, riesco a mettere a fuoco ciò che mi circonda. E proprio mentre il Buddha di marmo schizza fuori dalle mie dita, vedo Edward Masen sbucare da dietro il mio letto con gli occhi sgranati e terrorizzati.
Oh, cazzo!
OH, CAZZO!
Lo sconosciuto è Edward Masen?!
MI SONO SCOPATA EDWARD MASEN?!
“CRISTO SANTO!” urla lui, vedendo il Buddha viaggiare a velocità supersonica nella sua direzione.
“EDWARD?!”
E poi chiudo gli occhi, perché il Buddha sta per colpirlo, e io non ho il coraggio di vedere il suo bel cranio fracassato, e schizzi di sangue e cervello imbrattare la parete bianca dietro di lui.
Quando sento il CRASHHHH del marmo che si frantuma, il mio cuore smettere di battere.
Mi aspetto di sentire un urlo, un lamento, qualcosa… invece c’è solo silenzio.
Oddio, che cosa ho fatto? L’ho ammazzato… Ho ammazzato Edward!
Me lo sono scopato e poi l’ho ammazzato!
Sono come uno di quegli insetti femmina… come si chiamano? Quelle che prima si accoppiano e poi uccidono il maschio e se ne cibano… mantidi religiose? Ecco: sono una mantide religiosa! Ora ci manca solo che mi nutra di lui!
Finirò in galera accusata di omicidio per il resto dei miei giorni! E poi, una volta in cella, diventerò la schiava sessuale di un’energumena che si fa chiamare Joe!
 
Resto accucciata a terra per un po’, con gli occhi chiusi e le mani a tapparmi le orecchie,  perché davvero non ce la farei a sopportare i rantoli di un uomo morente. Ma poi penso che se Edward non è morto lo devo soccorrere, devo chiamare un’ambulanza e fare in modo che vada in ospedale.
Così mi faccio coraggio, e lentamente gattono fino al letto. Ci giro intorno e…
No, no! Non posso! Non posso vedere il suo bel cranio spappolato! I suoi bei capelli color del bronzo imbrattati di sangue e cervello! Ma devo farmi coraggio.
“Edward?” bisbiglio con voce tremante. “Edward? Sei… sei.. ancora vivo?”
Rispondi-rispondi-rispondi…
Ma lui non risponde.
Cazzo… cazzo!
Deglutisco e faccio capolino oltre il letto aspettandomi il peggio.
Lui è sdraiato a terra, i meravigliosi occhi verdi fissano attoniti il soffitto, del sangue gli sporca il volto, mentre il Buddha è piantato nel parquet a pochi centimetri dal suo orecchio.
L’ho ucciso… l’ho ucciso…
“Edward?” piagnucolo terrorizzata.
“Tu… tu sei pazza…” balbetta lui con un filo di voce.
Oh, mio Dio… Edward è vivo! Parla! È vivo!
Improvvisamente sento tutta la tensione sciogliersi e gli occhi riempirsi di lacrime.
“Tu sei… una psicopatica…” continua, visibilmente scosso, tentando di rimettersi  a sedere con enorme difficoltà.
È pallido come un cencio e non la smette di fissare il vuoto davanti a sé.
Ma io sono così felice di non averlo ammazzato che gli salto al collo stendendolo di nuovo.
“Sei vivo!” continuo a piagnucolare. “Sei vivo!”
“Aaarrggh! Bella! Il naso! Il nasoooo!” urla cercando di divincolarsi.
“Cosa? Cos’ha il tuo naso?” gli chiedo confusa, staccandomi da lui.
“Me l’hai spaccato! Sanguina!” mi ringhia contro, tamponandosi con la manica della camicia.
“Ma… ma… il Buddha non ti ha colpito…” balbetto perplessa.
“Cazzo, Bella! Mi hai lanciato addosso quasi tutti i volumi della tua enciclopedia!”
Ops…
“Vaffanculo… Vaffanculo… Dio, che male…” Continua ad imprecare mentre si tira su e si accascia contro la parete.
“Forse… forse non è rotto…” azzardo timida, anche se un rivolo di sangue scorre da una delle narici giù lungo il mento e gli imbratta la camicia. “Edward…”
“Edward, un cazzo…” sibila.
“Edward, scusa… fammi… fammi vedere…” balbetto mortificata, allungando una mano nella sua direzione.
“Non mi toccare, Bella!”
È proprio incazzato…
“Com’è?” mi chiede a metà tra il nervoso e il preoccupato. “Si sta gonfiando?”
“No… No, non mi pare…” Cerco di rassicurarlo anche se ha un’evidente lacerazione sul setto.
Resto a fissarlo per un po’, senza sapere bene cosa fare.
“Bella, sarebbe un grosso disturbo per te procurarmi un asciugamano, o forse preferisci che io muoia dissanguato sul pavimento della tua camera da letto?” mi chiede stizzito mentre il sangue non cessa di scorrere.
“Oddio, scusa!” esclamo mortificata. “Vieni, andiamo in bagno, ti aiuto io.”  E così dicendo cerco di dargli una mano a rialzarsi, ma a quanto pare non vuole essere aiutato.
“Faccio da solo…” mi liquida come si liquiderebbe un intervistatore telefonico che ti chiama proprio mentre stai uscendo di casa e sei già in ritardo di mezz’ora.
Edward si alza e a passo deciso si dirige verso il bagno, apre uno dei cassetti - esattamente quello dove tengo gli asciugamani - ne afferra uno, lo passa sotto l’acqua e poi comincia a tamponarsi cautamente il naso.
Io l’osservo basita.
“Che c’è?” mi chiede brusco osservandomi dallo specchio.
“Come fai a sapere dove tengo gli asciugamani?” gli chiedo cauta.
“Non… non ricordi nulla di quello che è successo?!”
“Perché? Cos’è successo?”
“Davvero non ricordi nulla?!”
“No… no… cosa?... noi?”
Lui scuote la testa sconsolato, si sciacqua con cautela il volto, e poi torna a tamponarsi la ferita.
“Noi abbiamo… Noi abbiamo?”
Non posso aver fatto sesso con questo Dio Greco e non ricordarmelo! Che spreco pazzesco…
Edward non risponde. Mi guarda in cagnesco dallo specchio e non risponde.
Ecco. Lo sapevo. Lo sapevo! Lo abbiamo fatto e io non me lo ricordo. Probabilmente sono stata io a sedurlo. Probabilmente, anzi, sicuramente, lui è stato grandioso e io non me lo ricordo. E lui s’è offeso.
“Edward…” continuo sulla difensiva. “Noi…”
“Noi cosa, Bella?” mi chiede esasperato
“Ecco… abbiamo… abbiamo fatto l’amore?” gli domando tutto d’un fiato. E mentre lo faccio chiudo gli occhi perché mi vergogno come una ladra.
Ma lui non risponde. Un'altra volta.
Quando riapro gli occhi Edward mi sta osservando come si osserva uno strano scherzo della natura.
Dio, che figura! Abbiamo fatto l’amore e io non me lo ricordo!
“Bella. Guardati intorno.” Mi invita con un ampio gesto della mano che abbraccia tutta la stanza. “C’è vomito dappertutto, anche in corridoio… Indosso gli stessi vestiti di ieri sera… Se avessimo fatto l’amore sarei nudo nel tuo letto, e lo saresti anche tu. Se avessimo fatto l’amore, te lo ricorderesti, credimi. Anche se eri ubriaca.”
Do un’occhiata in giro, anche oltre la porta del bagno. Una scia puzzolente di - Oddio, cos’è? Spaghetti? Polpette? - segna  il percorso dalla mia camera da letto al gabinetto.
“Quindi non…”
“Ho passato la notte a tenerti la testa mentre vomitavi la cena! Sul serio non ti ricordi nulla?”
Mi stringo nelle spalle perché no, non ricordo nulla.
Così Edward mi spiega cos’è successo. Mi racconta di come lui e i suoi amici sono capitati nello stesso ristorante dove io, Alice e Rose stavamo mangiando. Mi racconta che mi ha inseguita fino in bagno perché voleva che gli spiegassi per quale motivo mi trovavo lì, se la mattina in ufficio ero stata male. Mi dice che ero già ubriaca, quando mi ha incontrata. Che ho continuato a bere come una spugna per tutta la sera. Che i nostri amici hanno fraternizzato e che alla fine  lo hanno lasciato solo a prendersi cura di me. Che lui ha dovuto portarmi a casa. Che stavo male, che io non volevo che se ne andasse, così ha deciso di farmi compagnia per un po’, perché aveva paura che potessi stare male di nuovo. Ma poi si è addormentato. E che ha dormito – solo quello, nient’altro - Finché… beh, finché non l’ho buttato giù dal letto e gli ho fracassato il naso.
 
Credo di essermi appena innamorata di Edward Masen.

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Capitolo 10
*** Cap. 10 - She, Devil ***



CAPITOLO 10 –  She, Devil
 

Mi sono innamorato di un’assassina psicopatica.
 

Sono fidanzato con una donna bella e intelligente, una donna che si è formata nelle migliori scuole del paese e si è laureata a pieni voti in giurisprudenza presso la stimata Università di Yale, una donna che non ha mai alzato il gomito - mai - che si è sempre distinta per la sua classe e la sua eleganza, una donna i cui hobby consistono nell’equitazione (disciplina nella quale si è messa in evidenza con ottimi risultati da ragazzina, vincendo numerosi concorsi) e negli scacchi (gli scacchi?!), una donna il cui unico difetto, apparentemente, è amare in modo smisurato il rosa (ma si può chiamare difetto?).
Sto per sposarmi con questa donna assolutamente perfetta. Tra sei mesi la condurrò all’altare, lei sarà mia per sempre e io sarò suo per sempre - o almeno finché la morte nera non arriverà con il suo cappuccio e la sua falce a condurci entrambi nell’aldilà - e io mi innamoro di un’ubriacona che mi tratta come una pezza da piedi scambiandomi per uno stagista (Io! Edward Masen! Il braccio destro nonché nipote di Carlisle Cullen, CEO della Cullen Inc.), che mi prende per il culo inventandosi un malore, che mi obbliga a frequentare toilette per signore, che mi fa vergognare come un ladro dando spettacolo di noi in pubblico, che mi costringe a tenerle la testa mentre vomita aggrappata alla tazza del gabinetto, ma soprattutto che attenta alla mia vita lanciandomi addosso un enorme e pesantissimo Buddha di marmo, e che mi sfonda il naso colpendomi con il volume n° 7  della  Grande Enciclopedia dell’Arte.
Ma cosa diavolo mi sta succedendo? Mi sto rincretinendo, ovvio. Uno di quei dannati libri deve avermi preso anche in testa e deve avermi seriamente danneggiato la facoltà di raziocinio.
Sono qui, con il naso a pezzi a raccontarle per sommi capi (i dettagli sono troppo imbarazzanti) quello che lei non ricorda di ieri sera, e anziché incazzarmi per quello che mi ha fatto passare nelle ultime ventiquattro ore, penso che lei è bellissima, che quegli enormi occhi color cioccolato dovrebbero rientrare nella Lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO - anche così cerchiati di nero e iniettati di sangue a causa della sbornia colossale - e che lei è di fronte a me, in mutande, vestita di una semplice maglietta da uomo.  E che questa visione è dannatamente eccitante.  Roba da finire all’infero.
 
“Quindi non ricordi nulla?” le chiedo un filo seccato, continuando a guardarla dallo specchio mentre tengo l’asciugamano premuto contro il naso.
Lei fa di no con la testa, spaesata e mortificata.
Ecco. Adesso mi sto incazzando, un poco. Ma non per tutte le ragioni per le quali dovrebbe essere logico e naturale che mi incazzassi e che ho già elencato. Ma perché, se non ha memoria di quanto è successo, significa anche che non ricorda nulla di quello che mi ha detto, di quello che ha confessato di provare per me. E questo mi da noia più di tutto il resto. Perché? Perché sono un coglione! Ecco perché! Ci tenevo che lei pensasse quelle cose di me. Mi piaceva l’idea che lei mi volesse tanto quanto io voglio lei, forse di più. E invece era solo il vino a parlare.
Vaffanculo.
 
“Edward…” continua cauta. “Sicuro che noi…”
“Cos’è? Non mi credi?” le chiedo senza nascondere lo sdegno.
Ma guarda questa… Ma per chi mi prende? Un maniaco capace di approfittarsi di una che ha perso i sensi a forza di bere? Magari sono uno che ruba biancheria intima dai cassetti delle signorine, ma oltre non mi spingo. Ho una dignità, io.
 “No… certo che ti credo…” borbotta avvicinandosi lentamente. “Il fatto è che…”
Ormai si trova di fianco a me, vicinissima, e mi guarda intensamente con i suoi enormi e meravigliosi occhi color cioccolato.
Abbasso lo sguardo, perché non sono sicuro di riuscire a sostenerli senza tradirmi.  Abbasso lo sguardo e…
Oh, porca miseria! Ma perché non le ho messo anche un paio di pantaloni della tuta, ieri notte? Sarebbe stato sufficiente anche un paio di boxer di quel Black, visto che ce n’erano svariati nel cassetto, oltre alle magliette. Magari  vederla con le mutande di quel cazzone  mi avrebbe calmato i sensi! Le mutande da uomo non rientrano affatto tra le mie fantasie… però… addosso a lei… magari i miei, di boxer, e non quelli del cazzone… magari quelli blu, oppure quelli bordeaux, o magari quel paio orrendo, rosa ovviamente, e con tanti cuoricini rossi, che mi ha regalato Tanya per San Valentino. Naturalmente hanno ancora l’etichetta del negozio e sono finiti in fondo all’armadio. No, dico: come diavolo si fa a regalare un paio di boxer simili ad un uomo se non per svilirlo? Vada per i cuori! Ma il rosa no!  Tanya, purtroppo, pensa che siano romantici… romantici un cazzo! Ma a Bella starebbero da Dio… Starebbero da Dio quei boxer e una canottiera rossa, come i cuoricini… una canottiera rossa senza niente sotto… oppure…  oppure…
Oppure?!
Masen! Non dovresti valutare nessun oppure! Sei scemo? Sei un uomo quasi spostato! Datti una calmata…
 
“Il fatto e che…” ripete, continuando ad osservarmi dallo specchio con gli occhi sgranati, così vicina che posso sentire il calore della sua pelle.
“Quale sarebbe il fatto, Bella?” sbuffo, cercando di mantenere un tono risentito perché  non voglio che lei capisca che ciò che desidero più di qualunque altra cosa, in questo momento, sarebbe strapparle quell’insulsa maglietta di dosso. Lo desidero così tanto che sarei disposto a barattare altri due giorni  di dolore lancinante al naso pur di vederla nuda.
“Beh… tu mi abbracciavi… dormivamo accoccolati…” mi spiega con un filo di voce.
Accocco-Cosa?! Io ho dormito accoccolato a questa donna? Abbracciato a lei? Impossibile. Mi sono sdraiato al suo fianco, questo sì, lo ammetto (la poltroncina nell’angolo della stanza non sembrava un granché comoda, ed era piena di vestiti stropicciati ammassati alla rinfusa; dove avrei dovuto metterli?). E ammetto anche di averle tenuto la mano, per un po’. E magari accarezzato i capelli, di tanto in tanto, o sussurrato parole di conforto mentre aspettavo che si addormentasse. Però ho sempre mantenuto una più che adeguata distanza di sicurezza! E quando mi sono accorto che i nostri spazi vitali stavano pericolosamente fondendosi -  e che il mio Migliore Amico non aspettava altro -  ho persino infilato un cuscino tra di noi, per essere sicuro di non sfiorarla più, neppure con un dito.
“Noi non dormivamo accoccolati!” cerco di difendermi.
Non voglio che si metta strane idee in testa. Corrisponderebbero senza dubbio alla verità, ma mi farebbero passare per un debole e per uno sporco maiale traditore. In fondo sono pur sempre fidanzato con un’altra donna.
“Sì, invece!” insiste.
“Impossibile,” insisto a mia volta, perché non ho alcuna intenzione di cedere, pur nutrendo il vago sospetto che forse – ok, sicuramente – Bella stia dicendo la verità.
“Ti dico di sì! E mi tenevi la mano, anche!” esclama piuttosto risentita.
Le tenevo la mano?!
Non ci credo... Dormivamo avvinghiati e le stringevo una mano? I nostri corpi sono stati così vicini per quasi tutta la notte e non me ne sono reso conto? Mi sono perso tutto questo?
Vaffanculo…
“Non dire cazzate…”
“Mi dai della bugiarda?”
“Bella, eri ubriaca…”
Lei mi fissa per qualche secondo senza dire nulla. Probabilmente ho toccato un nervo scoperto e la cosa mi fa un gran piacere, perché non posso cedere.
Ma la mia intima soddisfazione dura lo spazio di un batter di ciglio.
“Puoi dire quello che vuoi, Edward,” mi sussurra dolcemente mentre allunga una mano verso il mio viso. Mi scosta delicatamente l’asciugamano e, dopo essersi sollevata in punta di piedi, da un’occhiata alla ferita sul naso.
Mio Dio… è così vicina… ci separano pochi centimetri e la mia coscienza… pochi centimetri, la mia coscienza, e forse un alito che avrebbe bisogno di una rinfrescatina… ma tanto ora so dove tiene gomme da masticare e mentine, e appoggiato al lavandino c’è un tubetto intero di dentifricio: di strumenti per ovviare a questo trascurabile inconveniente ne ho una caterva. Quindi resta solo la mia coscienza. Maledetta…
“Ciò non toglie che tu abbia dormito nel mio letto,” continua con un filo di voce, fissandomi intensamente negli occhi. “Vuoi negare anche questo?”
Oh, cazzo… forse non era solo il vino a parlare, ieri sera… forse…
Piega la testa da un lato e, continuando a fissarmi intensamente, si morde il labbro inferiore quel tanto che basta per togliermi  il respiro per qualche secondo.
“È da quando ci siamo conosciuti che ti stai occupando di me, Edward.” Ed inizia a giocare con i bottoni della mia camicia. Li sfiora appena, uno dopo l’altro; ne percorre il bordo, lentamente, senza staccare i suoi occhi dai miei.
“Mi hai aiutato con il computer, hai fatto le fotocopie che ti avevo  chiesto, mi hai dato preziosi suggerimenti per la presentazione, malgrado il mio comportamento riprovevole…”
Nel frattempo non ho solo smesso di respirare, credo che anche il mio cuore abbia smesso di pompare sangue nelle vene (e forse lo stia pompando altrove). Non so cosa stia succedendo. So solo che non me ne importa più nulla delle gomme, delle caramelle o del dentifricio. So solo che lei è vicinissima, che mi sfiora - senza mai toccarmi sul serio - che i suoi occhi sono enormi e bellissimi, che il modo in cui si morde il labbro è la cosa più eccitante che io abbia mai visto e porca miseria Bella chissenefrega della mia coscienza strappa quei dannati bottoni e toccami!
“Non mi hai abbandonata, Edward,” continua, con un filo di voce accarezzandomi una guancia. “Sei stato con me, nonostante  tutto; non sei scappato, non mi hai lasciata sola...”
Oh, Signore Onnipotente… Sta cercando di sedurmi o di torturarmi? Entrambe le cose, probabilmente. Questa donna è il Diavolo. Un emissario di Satana assoldato direttamente da Tanya per mettermi alla prova. Non c’è altra spiegazione a quello che sta succedendo.
“Voglio ricambiare, Edward…”
Co-cosa?!
“Voglio occuparmi di te, Edward…”
Sì…  sì Bella, occupati di me…
“Va… Va bene…” balbetto.
Lo so, Tanya mi staccherà la testa con un’accetta. Ma non mi importa. Ho già vissuto abbastanza. Ho avuto un’esistenza piena e ricca di soddisfazioni. E la sto per concludere con i fuochi d’artificio. Ventisei anni è un’età più che buona per andarsene.
“Sono qui per te, Edward…”
“Bella…” sollevo la mano e sfioro la sua che mi accarezza i capelli poco oltre la tempia destra.
Questa tortura è decisamente sensuale ed eccitante. Ma a questo punto gradirei passare a qualcosa di più concreto. Magari se le faccio capire che ci sto si deciderà ad andare oltre.
“Bella, io…”
“Hai bisogno che un medico che si occupi di te, Edward.”
Un medico?! Non capisco… che c’entrano i medici, ora? Aspetta… Un momento… Forse Bella vuole giocare al dottore? Ma sì… certo… Vuole giocare al dottore! Cos’altro dovrei aspettarmi da un emissario di Satana? Eccitanti giochi di ruolo.
“Tutto quello che vuoi…” balbetto con un filo di voce.
È da cinque minuti che non respiro più e che il mio cuore ha smesso di battere. Potrei entrare nel Guinness dei Primati.
“Ti porto al pronto soccorso.”
Pronto-che?  Ora mi sono perso. Non la seguo più.
“Scusa?”
“Il naso ha smesso di sanguinare,” mi spiega paziente e materna. “Non credo sia rotto… ma c’è quella lacerazione sul setto… dovresti farti vedere da un professionista. Ti porto al pronto soccorso.”
No! No-no-no! Che sta succedendo? Fermi tutti! Riavvolgete il nastro! Non è così che deve continuare! Lei è il Diavolo! Lei mi deve sedurre, lei deve curarmi la bua vestita da infermiera!
“Al pronto soccorso?!”
“Sì, Edward. Dammi le chiavi.” E così dicendo mi mostra il palmo della mano.
“Le chiavi?!”
“Le chiavi della tua macchina…” insiste.
“Della mia macchina?!”
Continuo a ripetere come un ebete tutto quello che dice. Sono ridicolo, me ne rendo conto. Probabilmente la prolungata mancanza di ossigeno al cervello sta avendo i suoi tragici effetti.
“Edward,” continua, facendo ciao con la mano di fronte ai miei occhi sbarrati. “Stai bene? Non è che ti ho colpito pure in testa?”
Non ci credo… non ci credo… Allora è proprio così? Niente sesso con Isabella Swan? Ed io che ero pronto anche a sacrificare la mia giovane vita, per lei… Mi viene da piangere…
“Edward, le chiavi,” insiste.
“No!” esclamo quasi risentito. Non so a cosa sto dicendo no. Di certo non alla sua richiesta. Molto più probabilmente all’intera deludente situazione.
“Che significa no? Edward, devi vedere un medico!”
“Tu non puoi… Tu non puoi…” balbetto. Vorrei aggiungere: farmi capire che vuoi fare l’amore con me e poi tirarti indietro. Ma come faccio? Non glielo posso dire!
“Certo che posso! Ce l’ho la patente!”
“Bella… no!” borbotto come un bambino capriccioso.
A questo punto voglio solo andarmene. Tornare a casa, fare un bagno, dimenticarmi di lei e lunedì in ufficio voterò per quel tale e la sua assistente dai capelli rossi.
“Dammi le chiavi, Edward!” E comincia a tastarmi le tasche dei pantaloni.
“Ma cosa cazzo fai?!” sbotto facendo un salto all’indietro.
Mi fa credere di voler fare sesso, mi porta all’esasperazione, e poi comincia a toccarmi tutt’intorno alle parti intime? Questa Isabella Swan non è un emissario di Satana. Lei è Satana in persona!
“Dammi le chiavi!” continua imperterrita, infilandomi una mano in tasca.
“Bella, lasciami!” Cerco di difendermi con scarsi risultati.
Soccombere a uno scricciolo con i postumi di una sbronza è piuttosto umiliante, me ne rendo conto. Sfioro l’uno e novanta e lei oltrepassa di poco l’uno e sessanta. Che razza di uomo sono? Eppure è quello che succede.
“Ecco le chiavi!” esclama raggiante alzando il pugno al cielo. Ma oltre alle chiavi dalla mia tasca esce qualcosa che appartiene a lei. Qualcosa che le ho sottratto ieri notte. Qualcosa che non avrei mai dovuto prendere e che cade sul pavimento, tra di noi.
Lei fissa quella cosa per un lungo istante. Poi alza lo sguardo e sgomenta mi chiede. “Perché tenevi uno dei miei tanga in tasca?”

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Capitolo 11
*** Cap. 11 - Bite-Me! ***




CAPITOLO 11 - Bite-Me!


 
Sono la Regina del Male.  Ci sono dei momenti in cui raggiungo livelli di  perfidia, astuzia e sfacciataggine  tali da farmi dubitare seriamente di essere stata concepita dai miei genitori, due semplici esseri umani. È  molto più probabile che io sia la figlia illegittima  e abbandonata di una qualche divinità malefica; probabilmente del Demonio in persona.
Dopo aver preso in giro Edward; dopo essere svenuta sotto i suoi occhi preoccupati ed esterrefatti fingendo un malore inesistente; dopo averlo convinto – giuro non so ancora come -  a farsi carico di me mentre ero ubriaca fradicia; dopo averlo trascinato fino a casa e indotto a dormire nel mio letto; dopo avergli augurato il buongiorno lanciandogli addosso un souvenir di dubbio gusto e provenienza e una parte decisamente consistente della mia Grande Enciclopedia Dell’Arte; dopo avergli sfondato il naso; dopo averlo quasi ammazzato, insomma, sono qui, di fronte a lui, in mutande, e senza alcuna vergogna ne pudore sto sfoderando le mie doti di ammaliatrice per capire se c’è speranza di combinarci qualcosa.
Sono orribile, lo so. La peggiore delle donne mai esistite perché, decisamente, non sta bene correre appresso a un altro uomo. Soprattutto se un ragazzo ce l’hai già e se l’uomo in questione si sta per sposare con un'altra.
A mia discolpa posso dire di non aver mai fatto nulla del genere, in passato. Anzi, malgrado le apparenze e le circostanze alquanto ambigue in cui mi trovo in questo momento, sono sempre stata piuttosto prudente con il genere maschile, e ho concesso le mie grazie con estrema morigeratezza. I ragazzi con i quali ho fatto sesso nei miei primi 24 anni di vita  si contano sulle dita di una mano (e si concentrano tutti negli ultimi quattro anni con una deludentissima media di  1,25 ogni 365 giorni). Ne ho baciati davvero tanti, lo ammetto, e mi sono sempre divertita a flirtare e stuzzicare. Ma con pochissimi sono arrivata fino al dunque. Praticamente sono una suora mancata.  O una gatta morta, fate voi.
Ma questo Edward Masen mi fa perdere ogni inibizione! È l’essere vivente più bello che abbia mai messo piede sulla faccia della Terra. È circondato da un’aura di grazia, fascino ed eleganza impossibile da ignorare. Se fossi Ulisse, lui sarebbe una sirena. Ma al contrario dell’Eroe Acheo, io non ho alcuna intenzione di resistere al canto di Edward. Dove sta scritto che nella vita non ci si possa divertire un po’?
In quanto a Jake… beh, non lo so… in fondo stiamo insieme solo da qualche mese, e non abbiamo siglato alcun contratto d’esclusiva, anche se non oso pensare a cosa farebbe se mi trovasse con un altro. La  reazione che ha avuto in ufficio ieri mattina quando Edward si è offerto di riaccompagnarmi a casa dopo che ho finto di stare male mi è bastata. Dio, sembrava volesse staccargli la testa a morsi! Ma non posso lasciarmi sfuggire un’occasione simile! E poi – mi rincresce ammetterlo -  con Jake non ho mai provato nulla del genere. Mai! È un caro ragazzo, questo sì; estremamente attraente, senza dubbio. Eppure non ho mai provato l’esigenza di strappargli i vestiti di dosso.  Mentre con Edward… Santo cielo, non desidero altro! Vorrà pur significare qualcosa!
Così eccomi qui, io, Isabella Swan, Regina del Male (e probabilmente, da oggi, anche Regina delle Zoccole) a cercare di capire fino a dove mi posso spingere con questo Edward Masen. Sono sicura di piacergli, perché altrimenti non mi avrebbe riaccompagnata a casa ieri notte, e soprattutto non avrebbe dormito nel mio letto. Ma poi, stamattina, ho avuto la  malaugurata idea di attentare alla sua vita e di spaccargli il naso. Così non sono più tanto certa di avere una qualche chance con lui. Se a questo aggiungiamo il fatto che si sta ostinando a negare di aver dormito abbracciati, l’intera situazione dovrebbe farmi desistere. Ma Isabella Swan non è di certo una che si arrende, Isabella Swan sa ciò che vuole e come ottenerlo, lo ha già ampiamente dimostrato.
Così inizio il mio show:  piego il volto da un lato, sgrano gli enormi occhioni color cioccolato, mi mordo il labbro inferiore, sussurro parole dolci all’orecchio, sfioro senza mai toccare veramente… È un procedimento collaudato:  funziona sempre.
E sta funzionando anche con Edward!
I segnali ci sono tutti: paralisi temporanea, pupille dilatate, sguardo da ebete, difficoltà ad articolare  propriamente le parole…
Il fatto è che mentre mi avvicino a lui, sempre di più, perdendomi nei suoi meravigliosi occhi verdi, senza desiderare nulla se non incollare le mie labbra alle sue, strappargli i vestiti di dosso, e lasciare che la mia bocca percorra ogni centimetro del suo corpo, mi ricordo della mia lingua felpata, del fatto che il mio alito – dopo una notte di vino e vomito – non deve essere eccezionale , che gli sto praticamente respirando in faccia, e che se lo bacio ora questo scapperà  a gambe levate.
Devo pensare a un diversivo, qualcosa che mi consenta di guadagnare tempo e che mi dia la possibilità di darmi una rinfrescatina. Sto correndo un rischio enorme, me ne rendo conto; la magia del momento potrebbe svanire, ed io resterei con un pugno di mosche. Ma non posso mettere di nuovo a repentaglio la sua vita! Voglio dire: non l’ho ucciso con il Buddha, perché dovrei imporgli una morte per asfissia? A questo punto sarebbe stato meglio per lui andarsene con un cranio fracassato. Meno disgustoso (escludendo, ovviamente, gli schizzi di sangue e cervello).
A pochi centimetri dal suo volto, continuo a stuzzicarlo, cercando, contemporaneamente, di respirare il meno possibile per non ucciderlo, e di pensare a come uscire da questa situazione. Difficilissimo, con i postumi di una sbronza. La testa mi scoppia e non riesco a pensare a nulla. Ma poi vedo l’evidente lacerazione sul naso, e capisco di aver trovato la via d’uscita che stavo cercando!  
 
Cazzo… certo che l’ho proprio ridotto male, però… il naso non mi pare rotto, ma si sta annerendo e gonfiando… mio Dio… l’ho quasi sfigurato! Sono una pazza… una pazza e una zoccola! Lui è qui, di fronte a me, con il naso a pezzi e io che faccio? Anziché  soccorrerlo e portarlo in ospedale, cerco di sedurlo e di portarmelo a letto!  Anche se il naso ha smesso di sanguinare quella ferita è un attentato alla sua bellezza… deve essere controllata da un professionista… non potrei mai perdonarmi il fatto di avergli deturpato il volto per sempre!
Siccome, però, non voglio  che si agiti, e neppure che  si renda conto dell’enorme torto che gli ho fatto, continuo ad usare il tono da ammaliatrice che ho usato fino ad ora.
“Voglio occuparmi di te, Edward… Sono qui per te, Edward… Hai bisogno che un medico che si occupi di te, Edward,” gli sussurro con tutta la dolcezza di cui sono capace.
 “Tutto quello che vuoi…”
Perfetto, pende dalle mie labbra.
 “Ti porto al pronto soccorso.”
 “Scusa?”
“Il naso ha smesso di sanguinare,” gli spiego con estrema cautela. “Non credo sia rotto… ma c’è quella lacerazione sul setto… dovresti farti vedere da un professionista. Ti porto al pronto soccorso.”
Edward all’inizio sembra confuso, ripete come un pappagallo tutto ciò che gli dico, ed io comincio a temere di averlo colpito anche in testa e di averlo offeso seriamente.
Poi, come un bambino capriccioso, comincia ad indietreggiare e a dire no (non so bene a cosa, a dire il vero). Ma ormai ho deciso: la sua bella faccia deve tornare come prima, e per questo devo portarlo in ospedale.
“Ma cosa cazzo fai?!” sbotta, facendo un salto all’indietro proprio mentre comincio a frugargli nelle tasche dei jeans in cerca delle chiavi della macchina.
Ad essere sincera non lo so neppure io cosa sto facendo. Sto agendo d’istinto. I  postumi della sbronza non mi aiutano a pensare lucidamente, ma quel poco d’intelletto che mi rimane mi dice che forse – forse – non è un’idea geniale palparlo tutt’intorno le parti intime. Non dopo essermi strusciata contro di lui, fatto credere chissà cosa, ed essermi tirata improvvisamente indietro. Ma cos’altro potrei fare? La mia, di auto, è bloccata sulla 112 da ieri!
“Dammi le chiavi!”  insisto.
“Bella, lasciami!” cerca di divincolarsi lui.
Ma io non lo mollo.
“Ecco le chiavi!”  esclamo raggiante quando, finalmente, riesco ad afferrarle.
Ma oltre alle chiavi, dalla tasca dei suoi jeans estraggo qualcos’altro. Un pezzo di stoffa che cade sul pavimento, tra di noi.
Lo fisso per un istante, senza capire, pensando, tuttavia, che quel pezzo di stoffa ha un’aria decisamente familiare.
Nero… bordino giallo fluorescente… un scritta dello stesso colore…
Oh, Signore Onnipotente!
Edward teneva in tasca uno dei miei tanga?!
Edward ha sottratto della biancheria intima  da uno dei miei cassetti  decidendo di tenerla per sé?!
Edward è un feticista?!
È una rivelazione che non so bene come prendere…
“Perché tenevi uno dei miei tanga in tasca?” gli chiedo piuttosto disorientata.
Lo so, in quanto Regina di Zoccolandia non dovrei scandalizzarmi più di tanto, e in effetti non credo di sentirmi scandalizzata. Ma un tantino sgomenta questo sì. In fondo ho appena scoperto che sotto la patina dorata da bravo ragazzo Edward Masen è un gran sporcaccione!
“Io non… Io non…” balbetta lui continuando ad indietreggiare.
“Sei un feticista?” gli chiedo fin troppo candidamente.
“No!” esclama scandalizzato.
“Edward… tranquillo… va tutto bene…” cerco di rassicurarlo avvicinandomi lentamente. “Non devi negare ciò che sei…”
Lui continua a guardarmi con gli occhi spalancati, confusi ed impauriti.  Sembra un animale in trappola.
Poverino. Devo fargli capire che non mi importa. Che essere feticisti non è una colpa.
“Edward, ti piace collezionare biancheria femminile… non c’è nulla di male…”
“Cosa?!”
“Tranquillo…” gli dico, raccogliendo il tanga da terra e restituendoglielo. “Non mi offendo… puoi tenerlo…”
Niente. Nessuna reazione. Incollato al muro, mi guarda come se fossi io la pazza.
“Comunque ottima scelta…” Cerco di tranquillizzarlo facendogli capire che ci vuole ben altro a scandalizzarmi. “Hai preso quello con Bite-Me! scritto sul davanti… Il mio preferito…”
“Bella, smettila! Ti prego!” piagnucola tappandosi le orecchie e fiondandosi fuori dal bagno.
“Perché?” gli chiedo, andandogli dietro. “Edward, non mi importa se sei un feticista…”
“Non lo sono!”
“Mi hai rubato le mutande!”
“Hai iniziato prima tu!”
Io ti ho rubato le mutande?! Quando?!”
Davvero non me lo ricordo. Deve essere successo ieri sera, quando mi ha riportata a casa. O forse al ristorante… Ma com’è possibile? Non credo che Edward se ne vada in giro con delle mutande di scorta da distribuire alle ragazze ubriache e disinibite che gli potrebbe capitare di incontrare (anche se, a questo punto, tutto è possibile). A meno che… Oddio, non mi sarò mica fatta dare le mutande che indossava? Ma cosa abbiamo fatto ieri sera? E poi dove le avrei messe, le sue mutande usate? Nella mia borsetta? Blah… che schifooooo!
“Cosa?! No! Non mi hai rubato le mutande!”
Oh… meno male.
“Allora cosa vuoi dire con hai iniziato prima tu?”
“Davvero non ti ricordi nulla?”
“Edward, no! Quante volte te lo devo ripetere? Ero ubriaca!”
“Quindi non era vero niente!”
“Cosa, Edward, cosa?”
Ormai stiamo urlando entrambi.
Sei bellissimo, mi piace il tuo profumo, mi piacciono i tuoi occhi, mi piacciono i tuoi capelli, saltami addosso, evviva il sorriso sghembo…
“Sorriso sghembo?!” ripeto terrorizzata. Come fa Edward a sapere del sorriso sghembo?
“Hai detto alle tue amiche che sono un figo pazzesco ed avete brindato al mio sorriso sghembo!” esclama quasi compiaciuto puntandomi contro un dito.
Oh, cazzo… oh, cazzo!
Sentendo Edward ripetere ciò che, ieri sera, ho confessato di provare per lui, una serie di istantanee di quanto è successo riaffiora in rapida successione nella mia mente: io bloccata nel bagno, io che gli salto al collo e lo bacio di fronte a camerieri e commensali sbigottiti, io che mi struscio addosso a lui, lui che mi riporta a casa, lui che mi tiene la testa mentre vomito, lui che mi toglie il vestito sporco e mi infila una maglietta pulita…
Santo cielo… che figura!
Hey… un momento… Edward sta divagando… sì perché tutto questo non spiega il fatto che lui mi abbia rubato le mutande!
“E siccome ti ho detto quelle cose ti sei sentito in diritto di rubarmi un tanga?!”  gli chiedo spazientita, incrociando le braccia.
“Pensavo di piacerti!”
“Certo che mi piaci!”
“Anche tu mi piaci!”
Restiamo così, a fissarci in silenzio per un attimo, il tavolo da pranzo a separarci, scioccati per la reciproca confessione.
“Vuoi baciarmi?”  gli chiedo con cautela.
“Tu?”
“L’ho chiesto prima io…”
“Mi piacerebbe molto. Sì.”
“Lo troveresti inopportuno se prima mi lavassi i denti?”
A questo punto è meglio giocare a carte scoperte. Tanto peggio di così non può andare e se ci fosse un premio per il più brutto approccio amoroso della storia saremmo noi a vincerlo.
“Se ti dico di no ti offendi?”
“No.”
“Allora no, non mi dispiace.”
“Ne hai bisogno pure tu?”
“Magari…”
Andiamo in bagno assieme, in silenzio, senza guardarci. Estraggo uno spazzolino nuovo dal cassetto, glielo passo, gli passo anche il dentifricio e cominciamo a lavarci i denti, uno di fianco all’altra.
Che situazione assurda…
Quello che non riesco a capire è come tutto questo non abbia minimamente scalfito la tensione sessuale che c’è tra di noi. Riesco a trovarlo attraente anche così, spettinato, con il naso a pezzi e tumefatto, con la camicia insanguinata, lo spazzolino da denti infilato in bocca, e la schiuma del dentifricio tutt’intorno.
Ed anche lui, nonostante tutto, mi guarda con occhi famelici, come se fossi una caramella da scartare.
Probabilmente siamo fatti per stare assieme.
Però… quel naso…
“Edward,” gli chiedo preoccupata dopo essermi sciacquata la bocca ed aver rimesso lo spazzolino nel bicchiere sul lavandino. “Sicuro che non vuoi che ti porti in ospedale, prima? Il tuo naso non ha un bell’aspetto…”
“Bella… stai zitta e baciami.”
Mi prende il volto tra le mani e, come se non aspettasse altro, si incolla alla mia bocca.  
Oh, Santo Cielo… È mille volte meglio di quanto immaginassi! Il suo bacio è forte e deciso e pieno di passione e… sembra che mi voglia mangiare!
“Oh, Bella…” mormora, issandomi sul mobiletto del bagno senza smettere di baciarmi ovunque. “Sei così… così…”
Io rispondo avvinghiandomi a lui, incrociando le gambe attorno alla sua vita, affondando le mani tra i suoi meravigliosi e morbidi capelli color bronzo.
Ok, l’approccio non è stato da dieci e lode, ma quello che sta succedendo ora… Ragazzi, non so come descriverlo! Non ho mai provato nulla del genere! Ed è tutto fresco e al sapore di menta!
“Posso?” mi chiede con un filo di voce, le pupille dilatate, bloccando le mani sui miei fianchi e tirando leggermente l’elastico delle mutandine che indosso.
Mi sta chiedendo il permesso di andare oltre, di togliermele.
Ed io, sinceramente, non aspetto altro.
“Vedi che sei un feticista?” lo prendo in giro intrecciando le mie dita alle sue ed aiutandolo a sfilarle.
Lui mi ripaga con il più meraviglioso dei sorriso sghembo e… accarezzandomi… proprio lì…
Oh
Mio
Dio
Comincio a sbottonargli la camicia e…
 
“Bella?” Sento chiamare il mio nome e la porta di casa aprirsi. “Bella, amore, ci sei?”
Jake…
Cazzo…
Siamo morti.


 

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Capitolo 12
*** Cap. 12 - Fidanzati? ***




Avevo scritto che la storia non sarebbe stata lunga, solo qualche capitolo. Credo che il prossimo sarà l'ultimo. Grazie per l'entusiasmo con cui avete accolto questa FF! Vi adoro...
Besos
OpunziaEspinosa


p.s. per chi volesse leggere una One Shot dedicata ad Edward, ho pubblicato 
Il Bacio    ...   tutt'altro genere, però.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=702088&i=1


 

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CAPITOLO 12 – Fidanzati?


 
Ok, ce la posso fare. Posso uscire da questa situazione incresciosa e salvare la mia giovane vita e quella di Edward. Dopo tutto abbiamo appena stabilito che sono la potente ed incontrastata Regina di due ampi possedimenti:  Zoccolandia e le Terre del Male. Sarà facilissimo, un gioco da ragazzi. Di sicuro, in passato, mi sono già trovata in una situazione simile, se non peggiore. Ora come ora non riesco a pensare a nulla. Ma se sono qui adesso, significa che sono sopravvissuta per raccontarlo. Quindi, se l’ho fatto una volta, posso farlo di nuovo.
Santo cielo, ma chi voglio prendere in giro?  È vero, di minchiaggini ne ho combinate tante, tantissime. Ma cosa c’è di peggio che avere le mani di un Dio Greco tra le cosce mentre il tuo ragazzo si trova nella stanza a fianco? Avere appena calpestato una mina antiuomo, forse. Sapere che il tuo fragile corpo verrà squarciato da una deflagrazione. Perché è questo quello che accadrà tra poco.  Jake mi cercherà e ci troverà qui, avvinghiati, la mano di Edward ad accarezzare quei luoghi dove, teoricamente, nessuno dovrebbe avere diritto di accesso se non lui, il mio ragazzo ufficiale. E a quel punto saremo entrambi morti. Già li vedo i titoli dei quotidiani di domani: Giovani amanti uccisi dal fidanzato di lei, accecato dalla gelosia. Ammazzerà Edward di botte ed io verrò strozzata con il filo interdentale.
Non voglio morire soffocata dal filo interdentale!
 
“Bella? Bella, amore, ci sei?”
 
 “Cazzo!” esclamo, dando uno spintone a Edward e precipitandomi giù dal mobiletto sul quale ero arrampicata. “Cazzo, cazzo, cazzo!” ripeto mentre mi getto sulle mutandine,  le raccolgo da terra, e me le infilo di nuovo. Al contrario. Vaffanculo.
“Bellaaa!”
Sento Jake e i suoi ampi passi decisi avvicinarsi e mi manca il respiro.
“Arrivooo!” rispondo, la paura a lacerarmi le budella.
Edward, nel frattempo, non si è mosso di un millimetro, gli enormi e meravigliosi occhi verdi spalancati in un espressione di puro terrore. L’ultima volta che l’ho visto così è stato… beh, poco meno di mezz’ora fa, mentre il Buddha stava per colpirlo.
Poverino. Chissà cosa sta pensando. Probabilmente che sono una vera e propria calamità naturale, una disgrazia da cui bisogna fuggire a gambe levate, e che, se sopravvive a questa esperienza, d’ora in poi mi eviterà come si evita una pericolosa malattia infettiva. Non lo biasimo: gliene ho fatte passare di tutti i colori, da quando ci siamo conosciuti. Ed ora, per colpa mia, finirà sui giornali come vittima sacrificale di una ninfomane  che non sa controllare i propri ormoni e del suo ragazzo cintura nera di Karate!
No... No, no, no! Edward non deve morire! Edward avrà una vita lunga e felice. Possibilmente con me. Di certo non con quella noiosa Barbie fissata con il rosa.
Mi libererò di Jake, tirerò entrambi fuori da questa situazione incresciosa, poi faremo l’amore e ci fidanzeremo, e un giorno rideremo di tutto questo.
Forse.
Come riesca a pensare a tutte queste cose nel giro di pochi secondi, mentre Edward – mi pare più che evidente dall’ espressione inebetita del suo volto - non è neppure ancora riuscito a realizzare che la sua vita è in pericolo, è un mistero. Ma si sa che noi donne siamo così: multitasking.
Perciò, continuando ad imprecare sottovoce come uno scaricatore di porto, lo spingo a fatica nella vasca da bagno, tiro la tendina di plastica della doccia, e poi lo lascio lì, precipitandomi fuori dalla stanza, nell’istante esatto in cui Jake sta per far capolino oltre la porta.
“Ciao!” Lo saluto con falso entusiasmo saltandogli al collo. “Che ci fai qui?” chiedo. Poi lo spingo verso la zona giorno senza staccarmi da lui.
“Bella… cos’è… cos’è successo?” mi chiede perplesso, dando un’occhiata schifata alla scia di vomito che, purtroppo, ormai incrosta il pavimento.
“Hem… ho vomitato… di nuovo…” biascico, prendendolo per mano e trascinandolo in cucina. “Che… che ci fai qui?” chiedo di nuovo, ostentando una calma che, decisamente, non ho.
“Come che ci faccio qui?! Bella, ero preoccupato… Non hai risposto a nessuna delle mie chiamate…”
“Mi… mi hai chiamata?”
Dannazione! Se avessi sentito il telefono, se avessi risposto, lui non mi avrebbe fatto nessuna improvvisata, ed io ora non starei qui a farmela sotto per la paura! Sarei di là, con Edward e…
Meglio non pensarci.
“Certo! Ieri sera e stamattina… Non hai mai risposto…” replica piuttosto accigliato.
“Scu-scusa…” balbetto con un filo di voce. “Stavo male… ho vomitato, di nuovo… una notte terribile… non puoi capire…” Continuo cercando di sembrare distrutta ed affranta. Cosa che non trovo per nulla difficile. La squadra di picconatori lavora incessantemente nella mia testa fin da quando ho aperto gli occhi, e non ha nessuna intenzione di prendersi una pausa.
“Beh, sì… lo vedo…” dice lanciando uno sguardo perplesso oltre la porta in direzione del corridoio. “Anzi, credo che dovremmo iniziare a pulire. Suppongo che anche il bagno sia nelle stesse condizioni.”
“No!” esclamo terrorizzata, la voce un po’ troppo stridula.
“Ma che ti prende?” chiede senza nascondere lo stupore e lo schifo. “Vuoi lasciare tutto così?”
“No… certo che no…” Tossisco schiarendomi la voce. “Ma vorrei… magari pensiamoci dopo… resta un po’ qui con me, mi sei mancato…” gli dico, avvicinandomi e accoccolandomi addosso a lui. “Ecco… sediamoci un attimo…” continuo, obbligandolo ad accomodarsi su una sedia, e sistemandomi poi sulle sue ginocchia.
Ma che faccio? Sul serio: cosa sto facendo? Fino ad un paio di minuti fa mi stavo strusciando addosso ad Edward! Ora sono qui a fare la sdolcinata con Jake.  Altro che regina di Zoccolandia! Sono… sono… mi faccio schifo. Ma suppongo si tratti di spirito di sopravvivenza. Puro e semplice. O almeno lo spero.
“Hey, amore…” Inizia a coccolarmi.
Dio, mi viene da piangere. Davvero Jake si merita un trattamento simile?
“Indossi la mia maglietta preferita…” commenta toccando il tessuto.
Cavolo. Non me ne ero accorta. Con tutte le magliette che Edward poteva estrarre dalla cassettiera proprio questa? Jake è letteralmente fissato, con questa maglietta. Ne è gelosissimo. Chissà perché.
“Sì… sì…” balbetto, dandomi una rapida occhiata.  E poi aggiungo, mentendo spudoratamente “ Mi mancavi… pensavo a te…”
“Che dolce…” replica, accarezzandomi un ginocchio. “La prossima volta, però, indossane un’altra.”
Che?!
“Scusa?” chiedo, facendomi da parte un poco e guardandolo negli occhi in cerca di una spiegazione a quanto mi ha appena detto.
“Beh… sai quanto ci tengo… è la mia preferita… vomitavi… avresti potuto sporcarla…”
Ma guarda questo! Io, a momenti, muoio, e lui a che pensa? A quanto potrebbe essere difficile eliminare eventuali macchie di vomito da una stupida maglietta? Edward era disposto a perdere la vita asfissiato da un mio bacio post-sbronza e lui ragiona da bella lavandaia? Sono sconcertata.
“È solo una maglietta…”
“Non è solo una maglietta!” esclama quasi indignato. “Questa maglietta apparteneva al giocatore di baseball John Higgings! È pure autografata. Guarda.” Ed indica uno scarabocchio sotto lo stemma centrale che decora il davanti.
“Fico…” mi lascio sfuggire senza nascondere il sarcasmo. “Se è così preziosa perché non te la riporti a casa?”
“Sì, magari è meglio…”
Cosa?! Mi sento oltraggiata.  Ma perché diavolo non s’è sporcata, ‘sta maglietta? Avrei dovuto farlo. Sporcarla di vomito e sangue di Edward. Tsé.
“Perfetto. Te la lavo e poi te la restituisco. La troverai pronta e profumata di bucato domani mattina,” replico acida.
“Senti, adesso non ti offendere,” sbuffa, infastidito dalla mia reazione. “E poi non lo scopri ora quanto io tenga a questa maglietta…”
“Jake, sono un po’ stanca… vorrei tornare a letto,” taglio corto. “Magari ci vediamo più tardi,” continuo alzandomi e fulminandolo con lo sguardo.
Mentalmente ripeto: vattene-vattene-vattene. Spero di riuscire a convincerlo con la telepatia, ma, aimè, non funziona.
Lui cambia discorso senza accennare ad alzarsi. “Ti ho portato una cosa.”
“Che cosa?” domando scettica, incrociando le braccia.
Lui estrae dalla tasca della giacca un sacchetto di carta bianca e me lo porge.
Afferro il sacchetto, lo apro, ci guardo dentro…
“Un test di gravidanza?!” esclamo sbigottita.
“I sintomi ci sono tutti…”
“Quali sintomi?!”
“Nausee mattutine… vomito… debolezza… ieri sei persino svenuta, Bella.”
Oddio, se non stessi cercando di nascondere la presenza in casa del mio amante segreto, troverei l’intera situazione comicamente assurda e scoppierei a ridere come una matta.
Ieri mattina ho vomitato come reazione alla figuraccia fatta con Edward. Sono svenuta per finta. Ho vomitato di nuovo, ma per il troppo bere, e ugualmente l’aspetto terribile che devo avere in questo momento è solo una conseguenza dell’oscena serata di bagordi trascorsa con i miei amici.
Però non c’è nulla da ridere. Edward è in casa, mi aspetta terrorizzato nascosto nella vasca da bagno, protetto da una tendina della doccia ammuffita, e io voglio che Jake se ne vada. All’istante.
“Hem… non credo di essere incinta, Jake…”
“Fa il test.”
“Jake, una donna certe cose le sente…” Credo. Non sono mai stata incinta. Non ho la più pallida idea di cosa potrei sentire.
“Bella, ti prego. Fa il test.”
Oh, Signore! Ma si è proprio fissato! Vabbé, facciamolo contento.
“Ok. Se insisti...”
E resta lì, a fissarmi.
“Cosa?” chiedo.
Lui continua a fissarmi.
“Vuoi che lo faccia ora?!”
“E quando, altrimenti?”
Oh, merda… per fare il test dovrei andare in bagno… e lì c’è Edward.
Vaffanculo.
“Jake…” tento di controbattere, ma lui mi zittisce subito.
“Bella, per favore… è da ieri che ci penso. Mi toglieresti un peso dal cuore.”
“Va bene… se proprio ci tieni…” Estraggo la scatola dal sacchetto, soppesandola con estrema cautela.
Non ho mai fatto un test di gravidanza.
“Come… cosa dovrei fare? Farci pipì sopra?” chiedo iniziando ad aprire la scatola.
Se conosco Jake ha già letto le istruzioni e magari fatto qualche rapida ricerca in internet. Probabilmente già conosce tutte le fasi di sviluppo di un feto, come si svolge il parto, i pro e contro dell’epidurale e ha pure scelto il nome del bebè.
“Esatto. Se prende colore sei incinta. Altrimenti no. ”
“Ok…” Continuo a guardare il contenuto della scatola pensando che tra qualche istante dovrò raggiungere il bagno e fare pipì  sopra questo benedetto bastoncino mentre Edward mi guarda dalla vasca da bagno. Che bello. Dopo l’orrendo approccio la strada sembrava finalmente in discesa. E invece  Bang! Ecco Jake e un test di gravidanza. Non ho nessuna speranza di tenermi Edward.
“Allora vado…” dichiaro dubbiosa senza muovermi di un millimetro.
“Sì, andiamo…”
Cosa?! Perché Jake parla al plurale? Vuole seguirmi in bagno? Guardarmi mentre faccio questa cosa? È impazzito?
“Vuoi… vuoi seguirmi?!”
“Bella, è una cosa che riguarda entrambi!” dichiara risoluto.
“Entrambi un corno!”
“Bella! È pure figlio mio!”
“Ma quale figlio? Non sono incinta!”
“Non hai ancora fatto il test!”
Gesù, qui facciamo notte..
“Jake…” Cerco di persuaderlo usando il tono di voce più deciso che conosco. “Se vuoi che faccia il test ora, mi devi aspettare qui. Altrimenti te ne puoi andare, e io farò il test quando e se ne avrò voglia.”
“Bella…”
“O l’una o l’altra cosa.”
“Bella…”
“O l’una o l’altra cosa.”
Sono irremovibile.
“Ok.”
“Perfetto.”
“Vado.”
“Ti aspetto.”
Mi volto e mi dirigo a passo incerto verso il bagno, schivando il  vomito sul pavimento.
 
 
Nel frattempo, nella vasca da bagno…
 
È vero, quando ho dichiarato che ero pronto a sacrificare la mia giovane vita pur di stare con Bella - anche per una volta sola - ero serio. Serissimo! Ma prima di incontrare la morte pensavo che sarei riuscito a combinare qualcosa di più concreto rispetto al solo baciarla ed infilarle una mano tra le gambe! È stato meraviglioso, questo sì. Non credevo fosse possibile provare un’attrazione simile per una donna.  Non ho mai sentito nulla del genere, neppure per Tanya.  La voglia di Bella è così forte che vorrei… io vorrei… non so cosa vorrei… mangiarla, forse. Ma andiamo, una mano tra le gambe! Dopo tutto quello che ho passato meritavo molto di più! Non mi pare una grande ricompensa per un cranio quasi fracassato, un naso sfondato, e un volto probabilmente deturpato per sempre!
La mia vita per una mano tra le sue meravigliose gambe, non mi sembra uno scambio equo. Non ho neppure avuto il tempo di sbottonarmi i jeans!
E invece da lei non avrò nient’altro. Mi restano pochi minuti di vita (perché sono certo che quel Black si fionderà in bagno, tra poco, e mi ammazzerà a calci e pugni), e invece che passarli con lei – dentro di lei -  sono accucciato in una vasca da bagno sporca e scrostata, nascosto dietro a una tendina di plastica ammuffita. Che modo orribile per andarsene. In confronto avere la testa sfondata da un souvenir New Age è un gesto eroico.
Inspiro ed espiro, cercando di rallentare il battito del mio cuore impazzito (un po’ per il terrore, un po’ per l’eccitazione che non mi ha ancora abbandonato… neppure nelle parti intime), cercando di prepararmi al dolore che mi verrà inflitto dal cazzone e pensando a come difendermi, perché non ho nessuna intenzione di soccombere senza lottare.
Black è più grosso di me, e ho sentito dire che è cintura nera di karate, ma io potrei… cosa potrei fare per difendermi da una cintura nera di karate?
Sbircio fuori dalla tendina del bagno, in cerca di un’idea. Sono un pubblicitario. Dovrei snocciolare idee su idee senza problemi. Mi guardo intorno e subito la mia attenzione viene catturata da una bomboletta di lacca per capelli.
Grandioso! Ho appena trovato il mio strumento di difesa!
Schizzo fuori dalla vasca. Recupero le chiavi della macchina finite sul pavimento, afferro la lacca, controllo che l’erogatore funzioni come si deve, e mi apposto dietro la porta. Se avessi con me un accendino potrei improvvisare un lanciafiamme, ma ho smesso di fumare un mese fa, porca misera, perciò niente, mi devo accontentare di accecarlo e poi scappare a gambe levate. Certo che non posso lasciare Bella sola con lui… Ok, ho deciso. Lo accecherò con la lacca, lo prenderò un po’ a calci e pugni - giusto per stordirlo e rendergli ancora più difficile l’inseguimento - prenderò Bella per mano e fuggiremo insieme. La Volvo ci aspetta giù in strada, pronta a partire.  Dio che immagine… un uomo con il naso sfondato e la camicia  imbrattata di sangue che corre giù per le scale antincendio mentre tiene per mano una donna in mutande (indossate al contrario). Manco fossimo in un B-Movie di Hollywood… tipo American Pie… Vabbé. Un piano migliore non ce l’ho, quindi…
Cazzo…. Cazzo, cazzo, cazzo! Che strizza! La porta si sta per aprire… si apre…
Sono pronto a colpire…
“Bella!”
“Shhhhh!”  mi rimprovera richiudendo velocemente la porta del bagno. “Che ci fai nascosto qui dietro con la mia lacca per capelli?” bisbiglia, la voce bassissima.
“Ero pronto ad attaccare…” bisbiglio a mia volta.
“Con la lacca?!”
“Se mi procuri un accendino improvviso un lanciafiamme.”
Lei mi guarda come se fossi scemo.
Ok, ha ragione. Incenerire un uomo – e magari dare fuoco al suo appartamento - non è un idea geniale.
“Allora. Ascoltami bene, McGyver, perché abbiamo poco tempo e non posso ripetermi. Siccome vomito e svengo di continuo, Jake pensa che io sia incinta. Ovviamente non lo sono. Però mi sta obbligando a fare questo test, ed è l’unico modo che ho per liberarmi di lui. Quindi: farò il test, il risultato sarà negativo, mi dimostrerò raggiante per lo scampato pericolo, anche lui ne sarà felice, così felice che si lascerà trascinare in camera, io lo distrarrò, tu sgattaiolerai fuori dal bagno e te ne andrai. Mi hai capito bene?”
Wow-wow-wow… fermi tutti… che?!
“Non ho capito bene tutta la prima parte… e forse neppure la fine… vorresti distrarlo facendo sesso con lui?!” chiedo confuso, sperando di aver frainteso.
“Edward, mi stai facendo perdere tempo!” bisbiglia, dirigendosi verso il water. Si abbassa le mutandine e  si siede sulla tazza.
“Cosa fai?!”
“Il test!”
Sembriamo due sordomuti che comunicano tramite ostentati labiali, talmente è basso il tono delle nostre voci.
“Potresti almeno girarti?”
Io resto a fissarla senza dire nulla.
Non riesco a credere che tutto questo stia succedendo a me.
“Vuoi guardare?” mi fulmina con lo sguardo.
“No!” esclamo schifato girandomi. Anche se… una sbirciatina… magari…
Ecco la pipì che scorre… forse, oltre a voltarmi, dovrei pure tapparmi le orecchie.
“Fatto. Adesso torno di là. Ci vorranno un paio di minuti. Lascio la porta socchiusa. Quando ci senti passare e chiuderci in camera tu schizzi fuori, ok?” Mi dice prendendomi per le spalle e fissandomi intensamente.
“Bella, tu non farai sesso con Black!” Non esiste. Non voglio che il cazzone la sfiori neppure con un dito.
“È il mio ragazzo!”
“Col cazzo!”
“Che vuoi dire?”
“Tu non torni con lui!”
“Vuoi che stia con te?”
“Mi pare il minimo…”
Ecco. L’ho detto.
Certo che abbiamo proprio uno strano modo di dichiararci.
Il nostro primo bacio è nato in circostanze alquanto bizzarre, ed ora le sto confessando di voler stare con lei così, nascosto nel suo bagno, mentre tiene un test di gravidanza in mano, un test che appartiene a lei e ad un altro uomo, il suo ragazzo (o ex-ragazzo, spero).
“Ti stai per sposare…” balbetta incerta.
“Bella… non sono un maiale… non… io non faccio queste cose… io non torno con Tanya…”
Non ho mai tradito nessuna delle ragazze con cui sono stato in passato. Mai. Non sono fatto così. Quello che sta succedendo ora… è assurdo, ma forse è un segnale che viene dal cielo. Forse qualcuno, lassù, in un modo decisamente contorto, mi sta dicendo che Tanya non è quella giusta per me.
“Edward… io non sono una zoccola…”
“Lo so…” le dico, prendendole il volto tra le mani ed accarezzandole le tempie con i pollici.
In realtà non lo so, quasi non la conosco. Ma mi voglio fidare. Così come lei sembra volersi fidare di me.
Bella è la mia ubriacona, dopo tutto.
“Ok. Prometto che non ci faccio sesso. Lo trascino in camera, mi faccio palpare un po’, poi fingo un malore e lo mando via. Cosa te ne pare?”
“Cerca di farti palpare il meno possibile… E magari solo dalla vita in su.”
L’idea non mi entusiasma, ma è sempre meglio che dare fuoco ad un uomo. A quanto pare non abbiamo via d’uscita.
Bella apre la porta, fa per andarsene, poi si volta.
“Torni, vero?”
“Tra un’oretta?”
“Facciamo un’ora e mezza… Così mi faccio una doccia, pulisco un poco e cambio pure le lenzuola.”
“Aggiudicato.”
Mi sorride come una bambina, mi da un bacio, e poi se ne va, stringendo il suo test di gravidanza.
 

 


http://it.wikipedia.org/wiki/MacGyver  per chi non lo conoscesse… mitico eroe degli anni '80!

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Capitolo 13
*** Cap. 13 - Felici e Contenti ***




Prima di lasciarvi all’ultimo capitolo vorrei ringraziarvi per le recensioni meravigliose che mi avete lasciato sino ad ora. Non credevo che Misunderstanding avrebbe riscosso tanto successo, invece l’avete adorata ed io non potrei esserne più felice. Scusate se vi ho fatto aspettare così tanto per il capitolo conclusivo, ma purtroppo il tempo è sempre un gran tiranno (ed il blocco dello scrittore dietro l’angolo). È un capitolo “diverso”.  Spero lo amerete comunque. Io l’ho amato.
Grazie ancora.
 
Opunzia Espinosa


 

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CAPITOLO 13  –  Felici e Contenti


 
“EDWAAAAAAAARD! AAAARRRRGHHHH!”
Cazzo!
 “EDWAAAAAAARD! PORCA MERDA TORNA QUIIIIII… AAAARRRRGHHHH!”
Cazzo, cazzo, cazzo!
Lo so che Bella sta soffrendo le pene dell’inferno. Lo so che dovrei stringerle la mano, cercare di tranquillizzarla, o magari tamponarle la fronte madida di sudore con un panno umido. Ma non ho nessuna intenzione di tornare da lei. Non dopo quello che mi ha urlato contro negli ultimi dieci minuti! Se ci penso mi viene da piangere.
“EDWAAAAAAARD!”
Ok, forse dovrei tornare da lei.
A passi incerti abbandono l’angolo in cui mi sono rifugiato come un cucciolo spaventato a leccarmi le ferite, e raggiungo il letto dove Bella è sdraiata da quasi quaranta minuti, ovvero da quando è iniziato il travaglio.
“Tranquilla, amore. Respira…” Azzardo timido, ed inizio a scostarle i capelli dalla fronte con estrema cautela.
“RESPIRA UN CAZZO!”  Urla come un’indemoniata. “EDWARD TIRALO FUORI DI Lììììì… AAAAARRRRGHHHH!”
Portatemi chi ha definito il parto come il miracolo della vita. Portatemelo! Perché lo voglio ammazzare. Anzi no. La morte sarebbe un regalo troppo grande. Voglio renderlo testimone di questo mattatoio. Perché, signore e signori, vi svelo un piccolo segreto: un parto non ha nulla di miracoloso. Almeno non questo parto. L’evento che mi vede impegnato nel ruolo di riluttante coprotagonista assomiglia più ad una carneficina! È la scena più truculenta a cui abbia mai assistito! Non sono mai stato così male, neppure quando Jacob Black mi ha sorpreso nel bagno di Bella e mi ha mandato all’ospedale a suon di calci e pugni.
“DAMMI LA MANO!”
“Co…Cosa?!”
La mano?! Oddio no! Non voglio sacrificare anche il mio arto sinistro. Non voglio! Mi serve! Sono mancino!
Quando  è arrivata la prima contrazione, Bella ha afferrato la mia mano destra ed ha cominciato a stringere. All’inizio ho sopportato il dolore con una certa dose di stoicismo ed orgoglio. Voglio dire: sono un uomo e, com’è giusto e naturale che sia, sono qui per sostenere la mia donna in un momento difficile. Ma poi ho scoperto che mia moglie, per quanto minuta, ha la stessa forza di un enorme gorilla maschio. Anzi, peggio: la capacità stritolatrice di una temibile anaconda  amazzonica. Così, alla fine, urlavo in ginocchio insieme a lei.
Alla domanda dell’ostetrica “Signor Masen, tutto bene?” ho piagnucolato  un “Sto malissimo, fa malissimo, lei non può capire…”
Non potevo fare cosa più stupida.
Bella mi ha letteralmente incenerito con lo sguardo e poi ha iniziato ad urlarmi contro tutte le parolacce che conosce. E credetemi: ne conosce davvero tante! Alcune talmente grossolane da far arrossire uno scaricatore di porto!
A quel punto mi sono allontanato e mi sono rifugiato in un angolo della sala parto, cercando di non ascoltare e di non guardare, e ripetendomi che lei non poteva pensare quelle cose di me, che era solo il dolore a farla parlare così, oppure che era posseduta. Ho visto il film L’Esorcista, e so che il Demonio fa dire e fare cose terribili.
Ma ora Bella invoca la mia presenza ed il mio sostegno. Posso lasciarla sola? Una parte di me continua a ripetersi che le donne hanno partorito per migliaia di anni senza l’ingombrante e goffa presenza del proprio compagno e che possono continuare a farlo. Un’altra parte ride della mia mancanza di nerbo e coraggio. Certo che se fossimo negli anni cinquanta sarebbe tutto più facile. L’aspetterei in sala d’attesa, passeggiando su e giù lungo i corridoi, magari con un sigaro in mano pronto ad essere acceso. Sarei certamente nervoso e preoccupato,  ma  sarei tutto intero! Sano ed al sicuro.
“EDWARD, TI PREGO, DAMMI LA MANOOOOO... AAAAAARRRRGHHHH!”
“Amore, sono qui…” Prendo un lungo respiro, dico addio alla mia mano sinistra, e stringo la sua.
“AAAAAAAARRRRRRGGGGHHHHH!” Urliamo all’unisono ad una nuova contrazione.
Ecco, lo sapevo. La fede si è irrimediabilmente conficcata nella carne. L’unico modo che ho per levarla, ora, è tagliarla con una cesoia. Sempre che non mi debbano amputare un dito. Ma perché non l’ho sfilata? Perché?
Io e Bella ci siamo sposati a Las Vegas tre mesi dopo esserci conosciuti. Eravamo ubriachi, ovviamente. Sbronzi al punto tale da trovare un’idea  geniale correre alla Cappella dell’Amore e  scambiarci un paio di anelli in  plastica trovati nelle patatine di fronte ad un prete (o chiunque fosse) travestito da Elvis. Ma non così ubriachi da non capire il significato di quello che stavamo facendo e desiderarlo più di ogni altra cosa. Quella stessa notte  abbiamo concepito il nostro bambino.
Ed ora eccoci qui, nove mesi dopo, nella sala parto del Chicago Hospital, a cercare di far nascere il nostro primogenito.
In seguito allo scandalo del mio mancato matrimonio con Tanya Denali, abbiamo lasciato Seattle e siamo volati a Chicago dove sono nato e cresciuto, e dove vivono ancora i miei genitori. Continuo a lavorare per la Cullen Inc. in qualità di Presidente della sede distaccata. Bella,  invece,  ha abbandonato la pubblicità (un mondo che decisamente non le appartiene) ed ora lavora come fotografa di modelle Pin-Up.
Ancora non sappiamo se nostro figlio sarà maschio o femmina. Non lo abbiamo voluto sapere. Ma a questo punto, dopo quello che ho visto e sentito, comincio a nutrire il vago sospetto che non si tratti di un essere umano, ma  di un mostro a tre teste. Immagino che gli vorrò bene lo stesso.
“Signora Masen, ci siamo quasi. Dia un’ultima spinta.” La esorta il medico.
Bella è accasciata sul letto, esausta. “Non ci riesco…”  Si lamenta con un filo di voce scuotendo lievemente la testa.
“Bella. Bella, amore, guardami.” Intervengo cercando di farle coraggio. “Manca poco, sei stata bravissima, serve un ultimo sforzo, ce la puoi fare…”
“Fallo tu…”
“Bella lo farei, non posso...”
“Edward, ti prego, fallo tu…”
Poverina. È distrutta. Quasi mi vergogno del dolore che anch’io sto provando. Forse non riacquisterò più l’uso degli arti superiori, ma questa donna sta cercando di far passare una palla da basket dalla cruna di un ago!  O forse era un cammello?
“Bella coraggio. Ti tengo la mano…”
“Edward?”
“Sì?”
“Me la fai una promessa?”
“Certo amore, tutto quello che vuoi.”
Bella si tira su, prende un bel respiro e comincia a spingere. E proprio mentre spinge, urla “NON CHIEDERMI MAI PIÙ DI FARE UN BAMBINOOOOOOO!”
Ah… Starà dicendo sul serio o sono solo i dolori del parto a farla delirare?
“Bella…”
“MAI PIUUUUUUUUÙ!”
Mentre cerco di capire qual è la risposta giusta da dare sento un “Eccola!” pronunciato dall’ostetrica, e poi un lamento che si trasforma in un pianto.
Oddio.  È nato. È nato!
Mi avvicino terrorizzato, aspettandomi il Mostro a Tre Teste, e ripetendomi l’amerai ugualmente, l’amerai ugualmente, l’amerai ugualmente. Ma ovviamente non c’è nessun Mostro a Tre Teste ad aspettarmi. C’è solo la nostra bambina, ricoperta di roba schifosa che non saprei definire, ma è bellissima e perfetta ed io sono l’uomo più felice che abbia mai messo piede sulla faccia della terra, perché ho sposato la donna che amo ed ora sono finalmente padre.
 
Mezz’ora dopo Bella è nel suo letto, stringe tra le braccia la nostra bambina ed io le siedo accanto. Il mio cuore sta scoppiando. Letteralmente. D’amore. Per questa donna meravigliosa – e benedico ogni giorno il cielo per avermela fatta incontrare – e per questo esserino, tranquillo ed addormentato.
“Come la chiamiamo?” Chiedo senza smettere di accarezzarle la testolina ed i pochi morbidi capelli.
Bella ci pensa per un po’.
Abbiamo valutato parecchi nomi in questi mesi, ma non ci siamo mai decisi.
“Che ne dici di… Nessie?”
“Nessie?!” Sbotto guardandola storto. “Come il Mostro di Lochness?!”
“Direi che per lei è perfetto… Mi ha fatto soffrire le pene dell’inferno!”
“Nessie… Nessie Masen… Mi piace. Le da un’aria da dura…” Rifletto ad alta voce. E so che lo sarà. Basta che assomigli anche solo per un decimo alla madre.
“Vuoi tenerla?” Mi chiede.
“Posso?” Ho paura di farle male o di farla cadere. Non ho mai tenuto in braccio un neonato. Non so come si fa. Al corso preparto mi sono trovato a stringere un bambolotto, ma non credo si tratti della stessa cosa. Quando mi è scivolato dalle mani e si è spalmato sul pavimento non si è rotto. Ma per quanto Nessie sia una dura, mi pare anche un tantino fragile. Dopo tutto è  uno scricciolo di 2,7 Kg!
Con estrema cautela l’accolgo tra le mie braccia e comincio a coccolarla. È così piccola… E così bella...
“È bellissima.” Mormoro con gli occhi lucidi. “È uguale a te.” Dico a mia moglie.
“Edward?”
“Sì?”
“Tu lo sai che non penso tutte le cattiverie che ti ho detto, vero?”
“Amore,” Cerco di rassicurarla. “Lo so, non ti preoccupare…”
Ma non posso fare a meno di tirare un lungo e liberatorio sospiro di sollievo. C’è solo un’altra cosa che voglio sapere, e poi posso tornare a cullare la nostra Nessie.
“Bella?”
“Sì?”
“Quando mi hai detto… ecco… quando mi hai detto che non vuoi più altri figli… dicevi sul serio?”
Perché io ne vorrei almeno altri due da te. Vorrei un’intera squadra di calcio da te.
Bella mi osserva per un istante che mi pare infinito. Sembra sorpresa, ma poi il suo sguardo si addolcisce ed accarezzandomi una guancia mi dice “Edward, ti amo, potrei fare altri cento figli con te…”
Le sorrido, ed anche Bella mi sorride. Ci scambiamo un bacio e poi torniamo ad osservare la nostra Nessie, che dorme tranquilla tra le mie braccia.

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