Sette campanelle colorate

di Mattimeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sette campanelle colorate ***
Capitolo 2: *** Anrì dalla campana rossa ***
Capitolo 3: *** Fleur dalla campana blu ***
Capitolo 4: *** Silvia dalla campana viola ***
Capitolo 5: *** Lotte dalla campana gialla ***
Capitolo 6: *** Bisque dalla campana arancione ***
Capitolo 7: *** Chris dalla campana d'argento ***
Capitolo 8: *** Maria dalla campana rosa ***
Capitolo 9: *** Bell dai sette colori ***



Capitolo 1
*** Sette campanelle colorate ***


Sette campanelle colorate

Osservai queste sette ragazze. Il loro petto non avrebbe conosciuto altri respiri, né il loro cuore altri battiti.

Sembravano davvero in un letto di morte, adagiate tranquillamente sul terreno.

Loro stavano là, in quel vicolo bianco, senza vita.

Non mi chiesi come fossero morte: la morte è irreversibile. Ti lascia lì, esattamente dove sei, senza che tu possa andare da nessuna parte.

L'unica ragione per cui versai qualche lacrima fu per il mio aspetto malconcio.

Non possedevo alcun ricordo di qualcuno che mi avesse amata. Specialmente non a prima vista.

Queste ragazze avevano ognuna una campanella colorata, pegno dell'amore della loro famiglia. In tutta la mia vita, io non avevo mai avuto in dono una campanella. Eppure io ero lì, viva, mentre queste ragazze, che erano state amate incondizionatamente dalle loro famiglie, erano morte. Poteva essere stato del veleno. O magari qualche malattia. Anche io, forse, sarei stata trascinata via dal vento freddo della morte. Eppure, comunque stessero le cose, io ero viva. Una parte del mio cuore rise. “Vi sta bene. Basta osservare l'evidenza: voi mi avete deriso, ed io sono sopravvissuta. Avete pagato con la vita il prezzo della vostra crudeltà. Guardate! Io sono viva!”.

Ma per quanto urlassi, nessuna di loro aprì gli occhi. E le mie lacrime non si fermarono.

Quando presi una dopo l'altra le loro campanelle, giurai a me stessa che non mi sarei dispiaciuta per loro. Non dopo aver sofferto così tanto nella mia vita. Avevo il diritto di ridicolizzare la loro vita e la loro morte.

Le sette campanelle che non mi appartenevano squillarono in vano nell'aria, come i rintocchi delle campane di un funerale.

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Capitolo 2
*** Anrì dalla campana rossa ***


Anrì dalla campana rossa

Couch! Couch couch couch!

Da dietro la graziosa finestra di una graziosa casetta, si sentì un rauco tossire. C'era un grazioso letto nella stanza, dove stava riposando il grazioso corpicino di un cucciolo d'uomo.

Tesoro, sai che dovresti riposare”.

Il rimprovero era giunto da un'alta donna appena entrata nella stanza. Era venuta per spegnere la lampada quando aveva sentito il bambino.

No” rispose lui, scuotendo la testa. “Non posso dormire. Anrì potrebbe tornare da un momento all'altro.”

Oh, tesoro...”.

Il viso della madre era affranto. Era facile notare che sapeva qualcosa. Sapeva che l'Anrì che il bambino aspettava non sarebbe tornata.

Anrì tornerà, so che lo farà! Lei ritorna sempre. Le ho dato una campanella rossa. Lei è la mia sorellina!”

Ah! quindi Anrì era la sorella del ragazzino. Continuai a guardarli in silenzio. Pensando al bambino, mi venne in mente Anrì, ancora più gracile del suo povero, malaticcio fratellino. Lui era così pieno e traboccante di amore per lei che le aveva dato una campanella rossa. Riuscivo benissimo ad immaginarmi la scena.

Bene, quando tornerà Anrì, stai sicuro che ti sveglierò”.

Io conosco il suono della campanella di Anrì meglio di chiunque altro!”.

La campanella di Anrì era piccola e rossa, e forse il bambino conosceva alla perfezione il suo suono. Ma Anrì non c'era più. La sua campanella rossa era qui solo perché era stata strappata dal suo cadavere.

Quando guardai la luna, pensando ai miei peccati. Stavo per profanare i defunti, stavo per sputare negli occhi di un morto. Ecco ciò che stavo per fare. Avevo già abbandonato il suo cadavere come spazzatura. Stavo solo aggiungendo un altro peccato alla mia lista.

Ma questa era la mia rivincita. Era la cosa perfetta da fare. Era la mia vendetta per essere stata definita “squallida”. Chiamai il bambino con voce soave.

Suonai la campana, il segno della sua piccola sorellina che diceva di conoscere tanto bene.

La finestra si aprì. “Anrì?” Chiamò il ragazzo.

Sì! Sono io! Sono io, Anrì!

Allungò le mani per abbracciarmi.

Che ti è successo? Sei tutta sporca!” chiese lui. Non assomigliavo per niente la meravigliosa bambina che conosceva lui e non sembravo per nulla un suo sosia. Ma la campanella rossa rimaneva la stessa, dunque la mia vendetta era assicurata.



Io sono Anrì.

Anrì, con la sua campanella rossa.

La piccola sorella minore abbracciata dalle piccole braccia del suo piccolo fratello.

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Capitolo 3
*** Fleur dalla campana blu ***


Fleur dalla campana blu

Proprio non lo capisco il capo, in questi giorni”.

Dietro il mobilificio, sentii parlare tra loro due uomini. Indossavano delle uniformi bianche leggermente annerite. Del fumo usciva dalle loro bocche giovanili. Mi avvicinai di soppiatto al punto in cui le loro ombre toccavano terra e mi misi ad origliare da dietro un palo.

Ha mancato ancora una scadenza”.

E giusto ieri mi ha dato un pugno sul braccio, con la scusa che avevo lasciato il posacenere pieno”.

Huh, se non ci vessasse in questo modo probabilmente non troverebbe altro da fare”.

Dice che tutto quello che facciamo è fumare sigarette”.

Proprio non lo capisco...”

L'hai detto...”

Si sentiva il picchiare di un martello sul legno. Secondo le dicerie questa falegnameria era stata costruita da un imprenditore molto capace ma molto eccentrico. Aveva assunto due assistenti per poter produrre mobili su richiesta ventiquattro ore su ventiquattro, in continuazione. Ma i due uomini, ora, passavano i loro giorni a far nulla, soffiando fili di fumo senza fine.

Deve essere per quella cosa”.

Non ne sarei sorpreso”.

Perché non glielo chiedi?”

Perché mi forerebbe i timpani e chissà cos'altro se lo faccio, idiota. Non mi lamenterei se mi facesse passare nella smerigliatrice”.

Huh, non puoi averla vinta con lui”.

L'hai detto...”

Soffiarono altre nuvolette di fumo.

È davvero già un mese che Fleur è scomparsa? Inizio a pensare che non tornerà. Magari alla fine se ne è andata con quel tipo, in barba al capo. Ma non oso immaginare cosa potrebbe scatenare nel capo un'occhiata al suo ragazzo”.

Smisi di origliare. Senza far rumore, feci dietro-front rasentando il muro dello stabilimento. Dal mio collo pendeva la campanella blu, simbolo di quel mobilificio. Quel giorno ero Fleur, la figlia del capo.

Avvicinandomi ad una finestra, una voce esplose da dentro.

Te l'ho detto, non è possibile! Quello che dici non ha senso, imbecille!”. Il suono del ricevitore sbattuto sul telefono venne seguito da quello del legno che veniva levigato. Di colpo mi si drizzarono le orecchie e venni scossa dai tremiti. Pensai a come sarebbe stato passare attraverso la smerigliatrice. Avrebbe sicuramente fatto molto male. Ci pensai, guardando la campanella blu. Chissà se avrebbe fatto più male della morte. Non avendone ancora fatta esperienza, non potevo saperlo, ma probabilmente morire avrebbe fatto più male. A quel pensiero smisi di tremare. A Fleur doveva aver fatto molto male.

Non ne posso più!”.

Questa volta un mobile volò fuori dalla finestra. Le cose si stavano mettendo male. Non riuscii a frenare un tremito, così la campanella suonò. Il capo volse il suo sguardo su di me con una smorfia isterica. Pensai che mi stesse trafiggendo con i suoi fangosi occhi grigi. Non avevo nulla della bellezza di Fleur. Avevo il terrore che dicesse che io non ero la sua amata figlia che e che mi lanciasse immediatamente nella smerigliatrice. Tese la mano destra. Il palmo era consumato, la mano piena di vesciche e calli. La pelle come corteccia. Ero sicura che stesse per colpirmi, invece mi accarezzò il viso. La sua mano ruvida e possente passò dolcemente sulla mia testa.

Piccola mia...”

La sua voce roca era più simile ad un sospiro. Il modo in cui tremava mi diede una fitta al cuore. Dubitava di me? Mi aveva visto dentro? Dovevo lasciarlo continuare ad accarezzarmi la testa come stava facendo? Ero senza parole. Mi prese senza sforzo tra le braccia.

Ragazzi! Venite! Adesso!” lanciò un grido dietro il mobilificio. “Smettetela di perdere tempo e tornate al lavoro! Oppure volete che vi metta le mani nella cera bollente? Pulitemi dei nuovi pezzi di legno. E vedete di sbrigarvi!”.

Nonostante il loro capo li avesse chiamati sbraitando, ai due ragazzi luccicavano gli occhi.

Fleur è tornata!”.

Festeggiarono correndo con le mani al cielo a prendere i nuovi pezzi di legno. Incapace di parlare, la campanella parlò per me con un trillo. In quel momento, avevo vinto sul suo nome.



Io sono Fleur.

Fleur, dalla campana blu.

Coccolata da un capo cocciuto, sono l'amatissima figlia di un falegname.

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Capitolo 4
*** Silvia dalla campana viola ***


Silvia dalla campana viola

L'alba stava per arrivare e la luce del mattino stava finalmente sbocciando nel cielo. Facevo i fatti miei, passeggiando in mezzo alla gente che affolla le prime ore del giorno. Il clamore mi riempiva le orecchie: urla arrabbiate venivano dalla strada principale, mentre si udivano parole dolci sussurrate nei vicoli. Evitai il vociare. Già soltanto il fatto di essere in un posto de l genere mi faceva ricordare la mia vita precedente. Giunsi ad un negozio con la porta lasciata aperta. La musica che veniva da dentro non era proprio una cosa incoraggiante. L'insegna dell'entrata era seminascosta nel buio. Era decorata dalla parola “Silvia”.

Hei capo, penso che tu ne abbia avuti abbastanza” disse una voce dolce da dietro il bar. La barista era la giovane donna dai capelli lunghi in un abito senza maniche che stava appoggiata al muro. “So che sono fatti tuoi, ma penso che tu abbia davvero esagerato stasera”. La voce era giovanile e cristallina, come quella di un gatto maschio che chiama la femmina.

Dico soltanto che...”

Rika.” Un bicchiere scivolò sul bancone, interrompendola. Seguì il silenzio.

Bene, non ascoltarmi, allora”. La ragazza dietro il bancone prese il bicchiere per riempirlo, ma mugugnò di disapprovazione. “Mi sto solo preoccupando per te. Sembri esausta i questi giorni. E l''altra ragazza che era qui... beh, lo sai...”

Rika” il bicchiere scivolò ancora sul bancone. Venne accesa una sigaretta. “Quando hai finito, puoi andare per oggi.”

Cooosa?”

Vuoi che ti licenzi?”

La donna era arrabbiata, ma la ragazza di nome Rika si limitò ad alzare le spalle.

Non dirlo nemmeno, capo. Se mi abbandonassi, rimmarrei da sola”. Il bicchiere che scivolò sul tavolo non puzzava di alcol. Era un liquido bianco. “L'ultimo proprietario di questo locale è morto avvelenato dall'alcol. Non voglio che ti succeda la stessa cosa. A domani”.

Udii il suono di un paio di tacchi alti che si avvicinavano. Mi nascosi dietro l'insegna.

Huh?” Rika guardò lungo il vicolo bagnato dalla luce del mattino. “Silvia...?”

Sapevo già chi stava chiamando con quel nome. Rika si lasciò sfuggire un singhiozzo di pianto. Fu solo un attimo, poi si incamminò per la strada sporca. Fu solo quando non la vidi più che presi la mia decisione. Non ho mai saputo come Silvia fosse stata cresciuta prima di morire. Era così tranquilla e riservata, non c'era molto da dire sul suo conto. Era l'unica delle sette che non odiassi. Ma stavo comunque per rubarle il nome. All'inizio avevo pensato che fosse per vendetta. Doveva esserlo. Vendetta contro di loro che avevano avuto vite migliori della mia, vendetta contro il mio fato crudele. Passo dopo passo, entrai nel locale attraverso la porta semiaperta e sussurrai: “Mama”. I suoi occhi spenti, circondati dalle rughe, si spalancarono di colpo. “Oh... sei tu”. Scoppiò in una risata, mentre delle lacrime le uscivano dagli occhi. “Piccola... sei tale e quale alla prima volta che sei venuta qui”. Qualcosa nel modo in cui lo disse la fece assomigliare a Rika. “Dove sei stata? Sei mancata così a lungo... che hai fatto? Forza, bevi. Puoi prenderlo, è il tuo preferito. Ti darò tutto quello di cui hai bisogno. Tutto quanto... adesso c'è una brava ragazza”. Singhiozzò in un lento sospiro, porgendomi il bicchiere. Mi chiesi se anche a Silvia venne servito del latte tiepido, la prima volta che venne qui. “Mi dispiace” sussurrai per la prima volta rivolta a me stessa.



Io sono Silvia.

Silvia, dalla campana viola.

La piccola ragazza che sta accanto a Mama, in un piccolo bar di periferia.

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Capitolo 5
*** Lotte dalla campana gialla ***


Lotte dalla campana gialla

Un alto umano stava innaffiando il giardino. La sua t-shirt bianca e i suoi pantaloni neri erano semplici e puliti.

Maestro!” Appena due bambini lo chiamarono, l'uomo che innaffiava il prato alzò la testa.

Ditemi, c'è qualche problema?” L'uomo che chiamavano maestro si inginocchiò per scrutare meglio i bambini attraverso i suoi occhiali.

Maestro, quand'è che Lotte ritorna?” La domanda veniva dalla ragazzina. Anche da lontano, riuscii a vedere un'ombra calare sul viso del maestro.

Maestro, Lotte tornerà mai?” Il ragazzino guardava il maestro con aspettativa, ma il maestro non popoté fare altro che alzare le sopracciglia e scrollare le spalle. Vennero altri bambini, con domande simili sui loro volti. Le loro t-shirt bianche erano tappezzate di macchie collezionate giocando. Riuscivo ad immaginare anche Lotte lì con loro, con la sua graziosa campanella gialla.

Quei bambini non avevano genitori. Vivevano tutti in quella grossa casa con l'uomo che chiamavano “maestro”.

Perché ci mette così tanto? Era già andata via qualche volta, ma...”

Il maestro mormorò una scusa, ma i bambini non si facevano ingannare.

Vogliamo giocare ancora con Lotte”.

Magari è malata”.

Magari è ferita!”.

Scommetto che le manchiamo”.

Certo che le manchiamo!”.

Quando apparve preoccupazione sul volto dei bambini, il maestro pose loro una domanda.

Vi rende tristi pensare che Lotte sia sola?”

Certo!”

Ci manca!”

Il maestro annuì e continuò.

Dunque, se Lotte sapesse quanto ci manca, questo la renderebbe triste, giusto?” La sua voce era gentile. Osservando da lontano, esitai un momento. Sapevo che la campanella di Lotte veniva da questo orfanotrofio, ma non immaginavo che avesse una famiglia come questa. Importava davvero a qualcuno che se ne fosse andata?

Passata la loro preoccupazione, i bambini ripresero i loro giochi. Una bambina lentigginosa con i capelli ricci, però, rimase indietro.

Ma... noi...” mormorò guardandosi i piedi. “noi siamo tristi anche se Lotte non è da sola”.

Il maestro le mise una mano sulla testa.

Suppongo che ci siano cose per le quali non possiamo fare nulla”.

Io so cosa fai di notte!” Lo accusò la bambina guardandolo intensamente. “Se davvero pensassi che non si può fare nulla, non andresti a cercarla ogni notte dopo che siamo andati a dormire!”

Il maestro le pose svelto un dito sulle labbra.

Ognuno si preoccupa come può”.

Ma io adesso sono più preoccupata per te, maestro!”

Il maestro si limitò ad annuire alle parole della bambina. “Lo so. Mi dispiace”. Poi, con la canna dell'acqua ancora in mano, guardò il cielo e disse: “Tra noi, io non sono per niente preoccupando per Lotte. Sono sicuro che starà bene anche fuori da queste mura. Il fatto è che noi siamo la sua famiglia. Sono sicuro che anche è lei questo importa, perché la famiglia che abbiamo costruito è l'unica che abbiamo mai avuto. Per quanto mi riguarda, noi siamo la famiglia di Lotte e, fintanto che anche lei si ricorderà di questo, tutto andrà bene. E, se devo essere sincero, penso che prima o poi Lotte tornerà”.

Scese la notte e le luci dell'orfanotrofio si spensero. Lentamente uscii dalle ombre di fronde al casolare. Nel momento in cui il maestro mi vide, si fermò. La luce della luna piena mi rendeva irriconoscibile. Suonai la campanella, sapendo che era l'unica cosa su cui potessi contare.

Lotte... sei tu?”.

Sì! Sì, sono io, Lotte.

Allora, questo vuol dire che sei pronta a tornare a casa nostra?”

Ma certo. Se mi volete...

Tornati all'orfanotrofio, la bambina lentigginosa stava facendo del suo meglio per calmare gli altri bambini che piangevano per l'assenza del loro maestro. Da giorni quella ragazzina si era sobbarcata il compito di prendersi cura di loro durante la notte. Stringendo a sé la bambina, il maestro annunciò il mio ritorno i quella casa.



Io sono Lotte.

Lotte, dalla campanella gialla.

Un piccolo membro di questo orfanotrofio, con una famiglia più grande di quanto chiunque possa sperare.

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Capitolo 6
*** Bisque dalla campana arancione ***


Bisque dalla campana arancione

Tutti gli abitanti della città ritenevano che il vecchio scrittore che viveva in questa casa fosse un tipo decisamente strano. La casa era datata, i muri sembravano sostenere anche il peso del tempo. Era un luogo così malconcio e trascurato da poter essere definito tranquillamente una bettola. La porta principale era sempre aperta. Non perché non funzionasse la serratura, ma semplicemente perché non c'era nulla da chiudere a chiave. Si potrebbe pensare che fosse un invito ai ladri, se non che il posto era talmente sporco da dissuadere chiunque vi avesse messo piede.

La casa rifletteva alla perfezione il suo proprietario, un tipo bizzarro e disadattato, invecchiato prima del tempo. Quel giorno, quel vecchio bizzarro giaceva nel bel mezzo dell'anticamera. Pensai che fosse morto. Poi vidi che ogni tanto le sue dita erano percorse da un tremito, segnale che tradiva la presenza della vita in quel corpo. Le ossa delle sue mani erano prominenti, nodose sotto la pallida pelle, ma i capelli impomatati sembravano più giovanili. Gli occhiali gli erano rimasti sul naso anche dopo la caduta. Probabilmente li aveva indossati così tanto che ormai erano diventati parte di lui.

Dunque giaceva là. Facendomi strada tra cianfrusaglie, vestiti e mobili, entrai in casa. Lui nemmeno se ne accorse.

Bisque...”

Pronunciò il mio nome con una voce quasi tombale. Mi scossi per la sorpresa e la campanella suonò. Aveva un suono rinfrescante. Anche il vecchio doveva averla sentita.

Si alzò di scatto da terra e si girò per non vedermi, offrendomi la schiena.

Non un altro passo!” quasi sputò l'uomo. “Non voglio che ti avvicini”.

Detto questo, fece ritorno alla montagna di carte che ricopriva quella che era una scrivania. Da quando si grattò la testa le sue mani non smisero più di muoversi. È difficile da credere, ma disse qualcosa ad alta voce, ricadde sul pavimento e riprese da capo la scena precedente.

Ero estremamente perplessa, così mi strinsi in un angolo e aspettai che scendesse la notte. La campanella suonava ogni volta che cambiavo posizione.

Era davvero questa la famiglia di Bisque?

Tornai a controllare nei giorni successivi, ma ogni volta agiva in modo assurdo e insensato. Quando non si buttava per terra, era completamente immerso nella scrittura. Disturbata dal suo innaturale comportamento, feci del mio meglio per far suonare la campanella il meno possibile. Così rimasi accovacciata nell'angolo, finché finalmente udii cessare il suono della penna che solcava i fogli.

Fiu...” un lungo sospiro venne immediatamente seguito da un tonfo sonoro. Era caduto di schiena dalla sedia. “Finalmente. Finito”. Il tono con cui soffiò queste parole non era quello del suo solito delirio. Alzai la testa e la campanella tintinnò gentilmente. Ancora per terra, il vecchio emise un basso sospiro.

Oh, Bisque. Bisque, mia cara...”

Ero sicuro che mi avrebbe intimato di allontanarmi, invece levò il suo braccio spettrale e mi rivolse un gesto. Quando, cautamente, mi avvicinai, subito mi afferrò e trascinò sul pavimento con lui. Venni tramortita dalla paura, ma poi sentii il calmo battito del suo cuore. Chiuse dolcemente gli occhi e cominciò a coccolarmi.

Ah, Bisque, sei proprio tu...? Sei... Sei dimagrita molto”.

Le sue mani ossute erano ruvide, ma mi accarezzavano con dolcezza. Io rimasi lì, incapace di rispondere, mentre il battito del suo cuore si faceva più lieve. Continuò a coccolarmi.

Fiu... finalmente posso fare un pisolino”.

Quelle parole sembravano dette in sogno. Quando la sua mano smise di muoversi, finalmente capii.

Non avevo più dubbi: questa era la famiglia di Bisque e della campanella arancione. Chiudendo gli occhi, riuscii a sentire il battito del mio cuore che lentamente si liberava dal ghiaccio.



Io sono Bisque.

Bisque, dalla campana arancione.

La figliastra che concede un sonno pacifico al grande scrittore che tutti chiamano pazzo.

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Capitolo 7
*** Chris dalla campana d'argento ***


Chris dalla campana d'argento

La campanella d'argento non aveva particolari decorazioni, ma il suo suono era magnifico. Mi sono sempre chiesta da quale amabile casa potesse essere venuta.

Apparteneva ad una vecchia signora sola in un'enorme magione, senza alcun parente. Non l'avevo mai notata, prima.

Madame, è l'ora della zuppa”.

Grazie caro”.

Madame, i gigli in giardino sono fioriti, li ho messi nei vasi”.

Che profumo adorabile”.

Madame, sta iniziando a piovere. Mi permetta di chiudere le finestre”.

Certo, ritira anche il bucato”.

La vecchia dama era riverita e coccolata dai suoi servitori. Poteva contare sul loro aiuto per qualunque cosa desiderasse mentre era comodamente sistemata sulla sua sedia, ad ascoltare la sua musica preferita. Chiedeva loro perfino di cambiare il vinile, eppure la maggior parte di loro sembrava adorare la signora.

C'era una cosa che la donna chiedeva molte volte nella stessa giornata.

Perdonami, potresti chiamarmi Chris? Grazie”.

Più tardi, nello stesso giorno...

Oh, sai dov'è Chris?”

E ancora, più tardi...

Per favore, trova Chris per me”

La servitù, di solito pronta e obbediente, esitava sempre su questa richiesta.

Madame, Chris è già..” Incominciava cauto il maggiordomo.

Oh, già. Hai ragione” lo interrompeva la signora. “Non è più con noi, vero? Hmm... l'avevo quasi scordato...” mormorava annuendo, ma, solo poche ore più tardi, ripeteva la stessa domanda. Si faceva perfino spegnere la sua musica preferita.

Oh, dove potrebbe essere la mia cara Chris?”

Una notte piovosa, la residenza era nello scompiglio.

Madame?”. “Madame!”

La servitù schizzava da una stanza all'altra come uno sciame impazzito. Alla fine, una delle cameriere urlò disperata: ”Non riesco a trovare il suo bastone!”

Anche se fuori non faceva troppo freddo, gli spilloni di pioggia cadevano senza sosta.

Non può essere uscita, vero?”

Un tremito passò per la servitù riunita nell'atrio prima che si lanciassero fuori. Si buttarono addosso le mantelle e cercarono aiuto. Li lasciai alla loro preoccupazione e mi diressi verso la cittadina bagnata dalla pioggia. Nel bel mezzo del temporale, sentii profumo di giglio nel vialetto di un parco pubblico. Scorsi il profilo della donna. Era arrivata molto lontano dalla sua residenza. Era circondata da un gruppo di uomini che le parlavano intorno.

Avanti signora, si ammalerà qui fuori! Dovrebbe andare dalla polizia”.

Le scarpe e il soprabito pregiati della signora erano completamente inzuppati. Un uomo tentò di trascinarla per un braccio, ma lei resistette, impassibile. Stufi della cocciutaggine della donna, gli uomini la lasciarono in pace.

Entrai cautamente nel suo campo visivo e, senza dire nulla, suonai la campanella d'argento. Rintoccò chiara nella pioggia.

La vecchia signora levò il capo sorpresa e mi fissò.

Chris...?” Tossì la signora. Suonai ancora la campanella e tornai sui miei passi.

Chris, aspetta! Aspettami!”

Il suo bastone ticchettava mentre mi seguiva. Non sarei riuscita a riportarla alla magione, ma dai suoi maggiordomi sì. Mi fermai spesso a guardarmi indietro, per essere sicura che mi seguisse. Il magnifico suono della campanella era come un faro nella notte. Alla fine, uno della servitù notò la signora e gridò: “Madame!”

Mentre correva verso di lei, la padrona mi raggiunse e mi strinse a sé, tremante.

I servitori non poterono nascondere la loro sorpresa vedendo quanto fossi cambiata. Nessuno disse che io non ero Chris. Poiché la loro dama mi aveva chiamato così, i camerieri annuirono obbedienti, grati che la loro amata padrona fosse sana e salva.



Io sono Chris.

Chris, dalla campanella d'argento.

La piccola, adorabile Chris, beniamina di sua nonna in questa grande magione.

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Capitolo 8
*** Maria dalla campana rosa ***


Maria dalla campana rosa

Ho guadagnato parecchio.

Mani gentili e molti, molti nomi.

Anrì per il lunedì.

Fleur per il martedì.

Silvia per il mercoledì.

Lotte per il giovedì.

Bisque per il venerdì.

Chris per il sabato.

E, per un giorno solo, non sono altro che me stessa.

Avevo pensato che fosse una vendetta. Una vendetta contro quelle ragazze defunte che avevano avuto una vita migliore della mia. Con la vendetta e la blasfemia messe da parte, tutto ciò che rimane sono io. Una bugia.

Prima che mi rendessi conto di questo, avevo cominciato a farmi domande sul futuro. Quando? Chissà quando... Quando mi innamorerò? Una volta che avessi trovato qualcuno che mi amasse, avrei finalmente ottenuto un nome. Non il sostituto di qualcun altro, ma un nome tutto mio. Così avevo deciso.

Quindi perché? Perché dovevo incontrarlo?

Viveva in una casa sul bordo dell'altura che dominava la città. I suoi lineamenti erano giudicati da tutti bellissimi, la sua postura addirittura regale. Ma non erano queste le cose che mi frenavano. In realtà non mi serviva una ragione per fermarmi, avrei potuto farlo e basta. Perché per lui non importava quale campanella avessi indossato. Niente avrebbe mai cambiato il fatto che io, per lui, non ero nulla.

Ora una campanella con due strisce rosa chiaro giaceva vicino ai suoi piedi. Non gli apparteneva più. La campanella, come il suo amore, era spazzatura sulla strada.

Il suo viso aveva conosciuto la disperazione. Lo si vedeva nel vuoto dei suoi occhi, un vuoto pieno di morte. Per quanto avessi potuto fare o dire, non si sarebbe mai girato verso di me. Raccolsi la campanella rosa. Il suo lieve suono avrebbe dovuto raggiungere le sue orecchie, sciogliere il suo cuore e aprire i suoi occhi. Poi, con una voce profonda, lui avrebbe dovuto parlare grondando emozione e chiamare il nome del suo passato amore.

...Maria?”

E io avrei risposto con altrettanto sentimento, avrei sorrido dicendo: “Sì, sono io. Sono la tua Maria” e poi non ci sarebbe stata più nessuna me reale in questo mondo.

Per favore, dimmi il tuo vero nome”.

Ammiccai graziosamente e dissi ancora: “Io sono Maria”.

I suoi occhi si socchiusero quando si avvicinò.

Quello non è il tuo nome. Non può esserlo”.

Ma questo è il nome della tua amata, non è vero? Io ti ho amato. Ma quella che tu hai amato non sono io. Tu hai amato la vera proprietaria di questa campanella. Immagina, un rivale che nemmeno la morte può uccidere. L'unica che lui abbia mai amato. L'avevo odiata, maledetta, le avevo rubato il nome e l'identità. E l'avevo fatto nonostante questo mi avesse reso un essere miserabile.

Oh, Maria! Se non ci fossimo più incontrati, sono sicuro che avrei finito col marcire nella banalità di questa vita”.

Queste sono le uniche parole che possono salvarmi, ora. Finché tu sarai felice, io non avrò mai bisogno di alcun frivolo nome.

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Capitolo 9
*** Bell dai sette colori ***


Bell dai sette colori

Il cielo era in tempesta. I forti venti che venti che avevano picchiato fin dal mattino contro le finestre avevano raccolto nuvole nere e sradicato vari alberi nella foresta.

Saltai fuori dal sicuro riparo delle coperte che vi aveva offerto la vecchia dama e corsi a perdifiato attraverso la città diretta al cottage sulla montagna. Il mio vecchio rifugio. Ogni volta che venivo qui prendevo una campanella e pensavo al passato. Ora che avevo molti nomi, chissà quali fantasmi regnavano in quella catapecchia.

Un fortissimo lampo, seguito dal tuono, riempì il cielo. Mi venne la pelle d'oca. Si sentì un penoso rumore di legno che andava in pezzi, mi caddero addosso delle gocce. Accelerai il passo senza pensarci. Un tremore mi scosse.

La scena che mi si parò davanti fu... indescrivibile.

Una gigantesca nuvola di fumo mi stordì le narici e mi scottò la pelle. La montagna era in fiamme e il forte vento stava accelerando l'incendio. Presa dal panico balzai nella casa di legno. Sembrava di essere tra le braci di una stufa. Ma, pur in mezzo alle fiamme e al legno carbonizzato, dovevo salvare le campanelle. Erano l'unica prova che quelle ragazze avessero vissuto ed erano l'unica cosa che mi facesse sentire a casa. Raccolsi le sette campanelle e corsi verso l'uscita, che però trovai già ingombrata dal fuoco. Saltai attraverso una finestra rotta sul suo davanzale, pensando che di lì a poco sarei bruciata viva. Potevo percepire la distruzione che mi circondava.

Fuori dalla finestra mi attendeva un burrone. Saltai dal mio appiglio e mi preparai ad affrontare la caduta. Dopo tutto, avevo le campanelle strette saldamente nella mia bocca.

Dopo aver perso i sensi, mi svegliai nella pioggia battente. Sentivo ancora l'odore del fuoco e la pioggia ora stava cadendo ancora più forte, sapevo di essere tutt'altro che fuori pericolo.

Accasciata al suolo, non riuscivo a sentire ancora né le braccia né gambe. Chiesi al cielo se quella fosse la mia punizione. Era questo che mi meritavo per aver rubato la felicità delle ragazze, atto folle e sconsiderato?

...!”

Nel mondo coperto di cenere, una voce mi stava chiamando.

No. Non era il mio nome.

Eppure....

Maria! Maria!”

Sì, quello che mi stava chiamando non era altro che il mio amato.

Maria, tieni duro! Non morire!”

Oh, sì! Mio amato! Mio vero amore! Non abbandonarmi!” urlai disperatamente. Non mi lasciare nello sconforto, ti prego! Fammi vivere! Pensai che se mi avesse perso non avrebbe mai più rivisto la sua amata Maria. E non pensai solo a lui. Anrì, Fleur, Silvia... Lotte, Bisque, Chris... erano tutte bellissime, e non le avrebbe mai più riviste nessuno.

Non uccidermi!” urlai “Non uccidere la tua amata, ti prego!”

Tremando, gli porsi le sette campanelle. Se vuoi, prendile. Solo, non lasciare che le loro famiglie perdano la speranza.

Mi guardò come se volesse dire qualcosa. Poi, prendendo le campanelle, si girò e corse via. Sembrava che venisse lavato via dalla pioggia, mentre si allontanava e si faceva sempre più piccolo. Provai a chiamarlo, ma non riuscii a mettere in fila le parole. Se fossi riuscita a parlargli forse avrei fatto l'errore di dire cose di cui non sarei mai stata capace.

Mentre pensavo a come la pioggia avrebbe lavato via anche la mia anima, pensavo all'ultima persona che mi aveva considerato la sua famiglia. Forse non ero quella che loro avevano amato, ma io amavo le mani calde e gentili che mi avevano stretto. Avevo mentito e dissacrato la morte, tutto per vendetta.

Eppure ero lì che piangevo. Lì, ad un passo dalla morte, ero molto vicina alle sette ragazze e potevo, finalmente, piangere davvero per loro. Dopo tutto, lo sapevo. Lo dovevo sapere, no? Tutto ciò che volevo... era vivere.

La pioggia bagnava il grigio fianco della montagna, assorbendo la luce da ogni cosa. Ero immersa nel buio e nella pioggia.

Udii chiaramente il suono di una campanella. Almeno potevo dire che le mie orecchie funzionavano ancora. Indirizzai i miei sensi verso la fonte del suono. Poi, subito dietro, udii dei passi e delle voci avvicinarsi.

Forza, Anrì!”

Pensai di aver cominciato ad immaginarmi le voci. Doveva essere un ricordo legato alla campanella. Nessuno mi avrebbe mai cercata.

Fleur!”

Silvia!”

Non poteva essere... sbattei le palpebre. Perché? Da sotto la cenere cadente, potevo scorgere delle figure. Mi circondarono. Il ragazzo, il falegname, Mama.

Lotte!”

Bisque!”

Chris!”

No. I bambini... e il maestro. Lo scrittore, e la signora!

No” Provai a dire senza successo.

Non guardatemi! Vedreste le mie menzogne! Non odiatemi! Non sono mai stata la ragazza che voi avete amato.

Lo sapevamo già”, fu la risposta di colui che aveva usato le campanelle per radunare gli altri. Mi strinse, mentre mi avvolgeva in un asciugamano tiepido. Poi mi diede le campanelle.

He he. Lo sapevamo già. Dall'inizio”.

Quando mi baciò il collo sentii il sapore delle lacrime. “Non lo vedi? Quella che noi abbiamo amato non è un fantasma del passato”.

Le sue parole mi stavano perdonando.

Sappiamo che hai detto quelle bugie per aiutarci. Nessun altro avrebbe potuto farci stare così bene e darci così tanta gioia. Noi tutti ti ringraziamo. Te e le tue campanelle”.

Chiusi gli occhi, ma le lacrime scesero ugualmente. Avevo pensato che la mia vita fosse una bugia dopo l'altra. Non più. Finalmente l'avevo capito. Il mio nome sarebbe stato Bell, dai sette colori. Un nome donatomi dalla mia famiglia e dai miei amici.



Io sono Bell.

Con i miei sette colori, ero la più amata nella città.

Io sono Bell.

E, avendo addirittura sette nomi, sono la gatta più fortunata del mondo.

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