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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Mi chiamo Danielle *** Capitolo 2: *** L'incontro con Fersen *** Capitolo 3: *** Sarà il nostro segreto *** Capitolo 4: *** Non giocare con lui *** Capitolo 5: *** Pranzo a Villa Recamier *** Capitolo 6: *** Voci di palazzo e gioco di sguardi *** Capitolo 7: *** La notte delle confessioni *** Capitolo 8: *** In amore e in guerra *** Capitolo 9: *** Patti e complicità *** Capitolo 10: *** Riflessi e ambiguità *** Capitolo 11: *** Menzogne e inganni *** Capitolo 12: *** Il valzer degli equivoci e fallimenti *** Capitolo 13: *** Arrivi e partenze; bentornata contessa! *** Capitolo 14: *** Una strana mattina *** Capitolo 15: *** Rientro a Palazzo Jarjayes *** Capitolo 16: *** Quello che c'è tra rabbia e passione *** Capitolo 17: *** Confronti (A Chassillé) *** Capitolo 18: *** Confronti (Lisette, Leopold, Isabeau) *** Capitolo 19: *** Una richiesta misteriosa *** Capitolo 20: *** La proposta scandalosa di Lisette *** Capitolo 21: *** Quanto costa la libertà? *** Capitolo 22: *** Cadono le maschere *** Capitolo 23: *** Tempo inquieto (Attese) *** Capitolo 24: *** Solitudini *** Capitolo 25: *** Il vento inizia a cambiare *** Capitolo 26: *** La fata dei boschi (L'incontro) *** Capitolo 27: *** Le incognite del destino (Tristan e Danielle) *** Capitolo 28: *** Ritrovarsi *** Capitolo 29: *** Distanze (Chi è Oscar?) *** Capitolo 30: *** Finalmente libera *** Capitolo 31: *** L' ora delle verità *** Capitolo 32: *** Nell'attesa di una nuova stagione (Epilogo) ***
Mi
chiamo Danielle Marie Angélique, contessa di Recamier.
Il mio
nome non vi dirà niente probabilmente, ma tra un attimo capirete.
Per
tutti coloro che mi conoscono, parenti o amici occasionali, sono solo Danielle.
Ebbene,
sono la quinta figlia di uno dei personaggi più illustri e discussi tra i
militari di Francia, il generale Jarjayes, uomo chiacchierato in società, non
certo per causa mia.
Sono nata venticinque anni fa,
in una sera di temporale, nella casa atavica dei miei genitori poco distante da
Versailles, come tutte le mie sorelle.
Le figlie del generale Jarjayes.
Tutte femmine, tutte bellissime
e destinate come donne a sposarsi per generare figli e perpetuare illustri
discendenze nobiliari.Ma non basta; ci sono altre tradizioni di
fondamentale importanza che vanno portate avanti nella famiglia di un generale
fedele alla corona di Francia, e queste, solo l’erede di sesso maschile le può
assolvere.
Così, per sei volte, mia madre
docile, ha vissuto l’ansia e l’attesa che finalmente arrivasse questo agognato
figlio maschio… e invece… ogni volta ha dovuto sopportare la colpa di aver
generato un’altra femmina e leggere con timore, la delusione mista alla rabbia
sul volto del generale, nostro padre. Chissà quanti dubbi e quanti dolori hanno
torturato il suo cuore di madre.
Dai racconti
della mia balia, quella strana sera d’inverno, un temporale infuriava battendo
violentemente contro le imposte del nostro palazzo; tuoni e fulmini
squarciavano il buio, mentre mia madre era in travaglio accudita dalla vecchia
governante.
Mia madre era
angosciata da un triste presentimento: forse aveva paura per la creatura che
stava per mettere al mondo; sentiva che tutte le forze della natura stavano
cantando il preludio alle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare nella sua
vita.
E ancora non
immaginava quanto sarebbe stata bizzarra la sorte che mise al mondo due delle
sue figlie. Le ultime di sei fanciulle indesiderate, per la gioia di nostro padre.
Nostra
madre, Madame Jarjayes, ci ha amate tutte, colmandoci di quell’affetto che il
generale non concedeva liberamente; ma forse di più, o solo in modo diverso, ha
amato Oscar per la stessa ragione, quella figlia che le è stata tolta troppo
presto, che più delle sue sorelle reclamava quell’amore di cui tutti i figli
hanno bisogno.
Sono di
poco più vecchia di Oscar; pochi minuti hanno determinato le nostre esistenze
così differenti.
Ho i
suoi capelli biondi e identici occhi di un blu ceruleo, inquieti e profondi
come il mare della Normandia; sono la sua gemella, quella che è stata allevata
come una donna normale e l’ultima con cui lei abbia giocato da bambina.
Anzi,
sono l’unica, perché le altre più grandi di noi si sono sposate e hanno
lasciato la casa natale molto presto, quando noi eravamo ancora piccole.
Anch’io,
come loro, mi sono sposata molto giovane; avevo quindici anni, ero una bambina
in confronto a mio marito, un trentacinquenne maturo con un notevole bagaglio
d’esperienza.
Ho partorito i suoi figli, due
creature che sono tra le cose più belle che abbia avuto dall’unione con l’uomo
che sono stata obbligata a sposare.
Una sorte comune a tante nobili
fanciulle di buona famiglia, la mia.
Ricordo benissimo il giorno del
mio matrimonio, non si può certo dire che sia stato romantico.
Credo che mio padre lo abbia
pianificato in fretta, anche per allontanarmi velocemente da Oscar.
Dei mesi precedenti, ricordo
ancora tutti i preparativi; la dote, il trambusto, la presentazione alle
rispettive famiglie, tutte cose che Oscar aveva disertato con la scusa dei suoi
impegni a corte.
E poi, l’emozione consumata di
mia madre, avvezza da sempre al cerimoniale, e più ancora, quella genuina e
commovente di Nanny.
“Sembra ieri che giocavate nel
giardino con vostra sorella. E pensare che madamigella Oscar ha la vostra età,
è bella quanto voi, ma si preoccupa solo di tirar di scherma con quel buono a
nulla di mio nipote!!”
Forse in quel momento, avrei
volentieri scambiato la mia vita con la sua.
Piansi praticamente quasi tutto
il tempo e non perché ero emozionata dalla gioia.
Piansi di rabbia e di paura, di
ansia e delusione.
Nel candore della mia innocenza,
avevo creduto a lungo nel principe azzurro, ma sapevo che il mio futuro marito,
il conte di Recamier, conosciuto solo poco tempo prima, non lo era davvero. Era
un vecchio per me.
Fu un fidanzamento lampo che
durò il tempo necessario a sbrigare tutte le formalità del caso, intervallato
da poche e rapide conversazioni di rito tra me e il mio futuro marito, sotto
l’attento controllo di mia madre che vegliava su quegli incontri come
richiedevano le convenienze della buona società.
All’epoca delle mie nozze, Oscar
già da un anno occupava la carica di capitano delle Guardie Reali, al servizio
della giovanissima Delfina di Francia, la futura regina.
Non dimenticherò mai la sua
espressione di quel giorno; era sinceramente dispiaciuta e preoccupata per me,
ma anche sollevata di non dover subire quella medesima sorte. E pensare che
neppure lei aveva accettato con rassegnazione di indossare l’uniforme, quasi un
anno prima; probabilmente, a distanza di tempo, vedeva quella scelta sotto una
luce diversa.
Avrei potuto essere al posto di
Oscar, se mio padre avesse concepito un attimo prima quell’idea malsana, di
allevare l’ultimogenita come un maschio.
Invece di ventagli e crinoline,
ciprie e belletto, nella mia vita ci sarebbe stata la spada, l’esercito e forse
un uomo come André al mio fianco.
La folle decisione era stata
presa in un attimo dal nostro augusto genitore; quando la governante lo informò
della nascita di due femmine, mio padre aveva strappato l’ultima nata alle
braccia della balia e l’aveva sollevata in alto, come se volesse sfidare Dio,
manifestando il suo proposito incredibile, stravolgendo ogni legge di natura.
Forse sono stata fortunata o
forse no, perché tra le altre cose, ho sempre invidiato a mia sorella la sua
libertà di azione e pensiero. Che sia stato nostro padre o il caso a decidere
delle nostre sorti, ha dato a lei delle possibilità che nessuna donna del
nostro tempo potrebbe mai avere né conquistare.
Il ruolo di potere che ricopre
le permette di fare e dire ciò che vuole e pensa, in un mondo dominato
essenzialmente da ideologie maschili, che non concede spazi alle donne.
Ora è Colonnello delle Guardie
Reali, comanda il primo reggimento del regno di Francia, è rispettata e tenuta
in grande considerazione dallo stesso sovrano e da molti generali dell’esercito
che riconoscono il suo valore, magari solo perché è la figlia del generale
Jarjayes.
Nessuna donna normale potrebbe
godere di un simile privilegio in questa società; ma Oscar è un caso unico in
tutta la storia.
Io ho dovuto adottare strategie
più sottili e raffinate per affermare me stessa in questo mondo. A una
fanciulla nobile e di alto lignaggio viene insegnato che dovrà sempre restare
al suo posto, che sia in un convento di clausura o consorte di un uomo.
Perse innocenza e ingenuità, non
ho mai voluto sottostare a questa regola, ed essendo ben dotata di quelle
tipiche armi femminili quali fascino e seduzione, unite ad un marito piuttosto
assente, ne ho fatto un uso intelligente allo scopo di potermi muovere in
società con sicurezza e libertà.
Al contrario di me, Oscar,
allevata come l’erede legittimo della famiglia Jarjayes, non dovrà mai
sottostare alla volontà di un marito, e quindi, subire le attenzioni di un uomo
che non ama.
Non sentirà mai la necessità di
tradire, come faccio io, per cercare al di fuori del legame coniugale quello
che manca nella tua vita, con la consapevolezza che comunque, quello che hai in
quel momento è solo qualcosa di effimero.
E come tradisco, io subisco
l’onta del tradimento, senza sentirmi umiliata da una consuetudine comune tra
molte coppie legate per interessi e non per amore. Oscar non dovrà mai scendere
a compromessi del genere per la sua felicità.
Da bambine nonostante
l’indole diversa, andavamo d’accordo ed eravamo molto legate; lo siamo ancora
oggi del resto, ma abbiamo avuto poco tempo per giocare insieme, per ovvie
ragioni.
In realtà,
nostro padre faceva in modo che Oscar non frequentasse troppo a lungo le sue
sorelle maggiori; era necessario evitare che ricevesse influenze troppo
femminili. Probabilmente lo giudicava un pericolo alla formazione della sua
carriera militare.
Ma crescere
vicino ad Oscar non è stato facile neanche per me; le difficoltà ci sono state,
subito.
La prima fu
quella di convincere una bambina di essere un bambino, avendo davanti la tua
copia esatta che ti somiglia come una goccia d’acqua e ha un aspetto troppo
femminile; sarebbe stato impossibile per Oscar non avere più di qualche dubbio
sulla sua identità, ma certe cose non si possono nascondere a lungo e con
l’arrivo dell’adolescenza tutto è diventato più complicato.
Per Oscar fu
inevitabile scontrarsi con la sua natura oltre che col padre severo e
intransigente, che non voleva recedere dal suo proposito aberrante; fare di una
donna un soldato.
Fui tentata più
di una volta di dire ad Oscar la verità, ma temevo molto di più la reazione di
mio padre. Alla fine, l’ostinazione del generale raggiunse il suo scopo
ottimamente.
Paradossalmente
io e Oscar eravamo le più belle tra le figlie del generale; chi ci vedeva
crescere insieme, attraverso me, poteva intuire chiaramente la promessa delle
splendida donna che sarebbe diventata Oscar. Ma tutti, famigliari e membri
della servitù, avevamo l’ordine di trattare Oscar come un maschio. Lei era una
fanciulla che si atteggiava come se fosse stata davvero un ragazzo, convinta di
esserlo; la delicatezza del suo sguardo, che nell’età adulta si è fatto più
duro e tagliente rispetto al mio, strideva con il passo deciso e marziale, con
la voce perentoria.
Le veniva
richiesto di essere coraggiosa, forte, non doveva mai cedere alla paura; quante
volte l’ho vista trattenere il pianto stoicamente, in un modo che era
addirittura eccessivo per una bambina della sua età.
Ma davanti a
nostro padre non doveva mai dimostrarsi debole, la pena sarebbe stata la sua
ira.
Non so se la
natura o il fato siano stati concilianti, ma incredibilmente mia sorella
dimostrava di avere tutte quelle doti che ci si sarebbe aspettati di trovare in
un maschio, l’erede tanto desiderato dal generale.
Col tempo, e non senza sforzo,
ho visto Oscar arrivare a dominare la sua natura e soffocarla sotto le sue
severe vesti maschili.
Comunque vicino a lei, anch’io
subivo l’influenza di un’ indole da maschiaccio irriverente e non nego che
certe volte, avrei voluto essere come lei. Oscar, ribelle per natura, assumeva
questo atteggiamento molto spesso quando nostro padre era assente.
Fin da bambina, aveva
l’abitudine di dire apertamente e senza remore quello che pensava, e agiva di
conseguenza, con grande disappunto di nostra madre, che tra sensi di colpa,
timori e sentimenti contrastanti, mal si era sempre adattata al capriccio del
marito di allevare mia sorella come un ragazzo. Il generale non avrebbe
certamente apprezzato i suoi toni insolenti e trasgressivi.
Lo amava, ma lo temeva e avrebbe
fatto quasi di tutto per compiacerlo, tranne che rinunciare alla compagnia
costante del nipote della nostra balia, quel bambino che le era stato messo
accanto come riferimento maschile cui ispirarsi.
Ad esempio, Oscar non accettava
di non poter mangiare in compagnia di André; se si tentava di spiegarle che lui
era semplicemente un membro della servitù e come tale, doveva stare con gli
altri servi, lei, da quella piccola testarda che era, confutava ostinatamente
quella teoria.
“André è un amico, anzi, è come
un fratello per me; se posso mangiare con le mie sorelle, non vedo perché non
dovrei mangiare con lui.”
Si impuntava talmente tanto, che
riuscì ad ottenere di poter pranzare con André quasi ogni giorno. Il generale
probabilmente l’assecondò in questo capriccio, convinto che la compagnia
costante di quel ragazzino, potesse accentuare il suo temperamento maschile.
E io crescevo ed ero affascinata
da lei; siamo gemelle, di conseguenza i nostri caratteri per certi versi erano
e sono molto simili. Ci assomigliavamo, nonostante le nostre educazioni,
fossero assai differenti. Alle mie bambole molto spesso preferivo correre e
saltare sui prati, ero esclusa solo dai giochi con le spade. Ma mi divertivo a
guardare lei e André duellare, tifando ora per l’una, ora per l’altro. Avevamo
una vecchia palla di pezza e ci divertivamo come pazze a lanciarla e lei
pretendeva sempre che André si unisse ai nostri giochi. In un certo modo le
invidiavo anche il rapporto che aveva con lui; ero gelosa della loro amicizia
sincera, profonda, il loro essere sempre complici.
Posso dire con certezza di non
aver mai avuto la gioia di una vera amicizia nella mia vita.
Certo, Oscar a volte cercava
comunque la mia compagnia, o quella delle sorelle maggiori, quando quelle poche
volte che accadeva, le capitava di litigare col suo compagno “d’armi”.
Da bambini non si tenevano il
broncio a lungo in realtà. Erano già troppo uniti anche allora per restare
separati più di qualche ora. In fondo André era davvero l’unico amico che mia
sorella avesse. Ho visto Andrè crescere con lei, vedevo la loro amicizia
crescere forte e vigorosa giorno dopo giorno. Oscar non ha mai legato con i
ragazzini della sua età, forse perché era intelligente e sveglia almeno il
doppio della metà dei suoi coetanei. Lei non ha mai concesso ad altri, ciò che
concedeva a quel fedele e silenzioso attendente.
Tante volte mi sono chiesta
perché…
Perché nessun altro nella nostra
famiglia, né le sue sorelle o sua madre, abbiano mai goduto della sua
confidenza? Dipendeva forse dalla sua educazione maschile?
Anche, certamente.
Con la maturità, avrei capito
anch’io da cosa dipendeva quello strano attaccamento che si era instaurato tra
loro attraverso gli anni; quella comprensione un giorno mi portò a temere che
potesse accadere quello che tra servi e padroni non potrà essere mai, senza
comprendere che mi stavo preoccupando di qualcosa di cui io per prima, sarei
stata vittima.
Continua…
Questa volta mi
sono imbarcata in un’ avventura che potrebbe essere superiore alle mie
capacità; ho quasi inventato un personaggio (una delle sorelle di Oscar,
gemella per giunta, un’ idea che mi intrigava). È da un po’ che mi frullava in
testa questa storia, mi decido solo ora a pubblicarla. Mi preme essere
realistica e verosimile per quanto mi sia possibile e l’aiuto di lettori
attenti sarebbe prezioso e ben accetto; se notate strafalcioni o situazioni che
non vi convincono o vi sembrano deboli vi pregherei di farmelo sapere. Non
abbiate remore a dirmi cosa pensate. Cercherò per quanto possibile di
correggere la mia storia.
Spero che le
premesse vi siano piaciute e che mi seguirete in questa novità. Un saluto a
tutte.
Sono passati una decina d’anni dal mio matrimonio.
Non posso dire di essere completamente felice, ma in
fondo, quale donna nella mia posizione può dire di esserlo? Ho due bellissimi bambini
che amo con tutto il cuore, ma la mia vita a volte mi sembra monotona e
incolore, senza emozioni, scandita solo da rutilanti feste, ricevimenti,
concerti, visite di cortesia da ricambiare verso personaggi di cui non mi
importa nulla, che non sono neppure amici.
Insomma, una serie infinita di formalità di cui una donna
come Oscar non dovrà mai preoccuparsi.
Non so dire quanto mi vada stretto questo ruolo a volte.
Vorrei potermi dedicare solo alla mia vera e grande
passione che è l’arte, l’unica cosa che valga la pena di coltivare in questo
nostro mondo piatto e avvilente, che vive di convenzioni; infatti apro il mio
salotto ad artisti, pittori, musicisti e intellettuali, che sono tra le persone
più interessanti ed emotivamente coinvolgenti che conosco, persone di forti e
grandi passioni, forse proprio perché non appartengono alla nobiltà.
Io e mio marito frequentiamo la corte con una certa
assiduità, anche se né io né lui, ne amiamo particolarmente l’ambiente mondano,
rigido e formale. Godiamo di notevole prestigio e il fatto che io sia la
splendida sorella gemella del Colonnello Oscar, mi procura un discreto successo
a corte, genera curiosità e chiacchiere anche fantasiose. D’altronde il
pettegolezzo è il trastullo principale dei cortigiani. Ho uno stuolo di
ammiratori che non si curano del fatto che sono sposata e, fra questi, c’è
anche chi mi corteggia spudoratamente. A volte, uno di questi gentiluomini ha
più successo di altri, e per un po’ riesce a vincere la mia noia, anche se non
sono mai particolarmente coinvolta. Questi nobili venesi e annoiati, sul piano sentimentale non sanno accendere grandi passioni, e spesso le loro
personalità leziose e sciocche mi vengono a nausea.
Un giorno a Versailles, per liberarmi di uno di loro, ho
accettato l’invito a danzare che mi ha rivolto il conte Hans Axel di Fersen.
Sapeva bene chi ero, e sicuramente si sentì incoraggiato da questo, ma anch’io
sapevo quello che c’era da sapere sullo straniero; infatti, ero a conoscenza
delle voci che giravano su di lui e la regina.
Detesto il pettegolezzo, ma in società non ci si può
permettere di vivere come se non esistesse, anche per difendersi da esso, e
magari costruirlo ad arte e usarlo a proprio beneficio.
“La prima volta che mi hanno detto chi siete Madame
Recamier, sono rimasto enormemente sorpreso.” Mi disse il conte in un giro di
danza.
“Cosa vi sorprende tanto? La mia somiglianza con Oscar?”
“Siete identica a vostra sorella; in effetti è una cosa
che mi turba molto, eppure non avrei mai saputo immaginare Oscar in sembianze
tanto femminili.”
“Non capisco; debbo considerare le vostre parole come un
complimento, conte di Fersen? O pensavate che Oscar non fosse altrettanto
bella?”
“Vostra sorella è bellissima, è vero, ma vedere voi, è
come scoprire l’altro volto di madamigella Oscar...”
“L’altro volto?”
“Sì, quello ignoto. Quello che avrebbe potuto essere... o
forse, quello che dovrebbe essere.”
Come vi sbagliate, conte. Pensavo tra me.
“Oh, certo... Siete troppo abituato a vederla in uniforme.
Comunque, non dovete lasciarvi ingannare dalle apparenze: vi assicuro che io e
Oscar, benché diverse per educazione, siamo piuttosto simili, per temperamento.
Vi sorprenderebbe scoprire quanto.”
“Sarebbe interessante andare a fondo della questione,
madame…” disse il conte in un modo che mi parve allusivo e l’occhiata obliqua
che mi aveva rivolto non poteva essere fraintesa.
Io preferii cambiare l’argomento della conversazione, non
perché mi sentivo a disagio, ma per soddisfare un’altra curiosità che ritenevo
molto più seria.
“So che frequentate la casa di mio padre: posso chiedervi
in quale veste? Oscar è ancora nubile, ma non penso che siate un pretendente
alla sua mano e la gente potrebbe fraintendere.”
Alle mie parole, il conte si mise a ridere di gusto.
“Suvvia contessa, chi potrebbe fraintendere il mio
atteggiamento verso Oscar? Sì, forse sono l’unico uomo che la frequenta, posso
dire di avere questo privilegio. E allora? Dovete ammettere che Oscar, oltre ad
essere bellissima, è una donna straordinaria e fuori dal comune, ma le mie
frequentazioni a Palazzo Jarjayes sono legate unicamente all’amicizia e alla
stima che nutro nei confronti del Colonnello Oscar.”
Questo era senz’altro vero per lui, ma per mia sorella le
cose dovevano stare in maniera diversa.
Mi erano giunte voci sulla loro amicizia, ma nutrivo forti
dubbi in merito alla faccenda.
L’avevo incontrata di recente, e alle mie domande su quali
fossero i suoi rapporti con l’amante della regina, non espresso in questi
termini, logicamente, lei si era fatta stranamente ansiosa, malinconica più del
solito, diventando quasi scontrosa nel rispondermi. Una reazione che mi aveva
un po’ sorpreso.
Io e Fersen continuammo a parlare nel vortice della danza e,
tra un minuetto e una gavotte, mi accorgevo di quanto fosse rapito dal mio
aspetto, ma io non ero altrettanto rapita da lui. Era un uomo di fascino,
notoriamente libertino, il presunto amante della regina, ma pareva uno sciocco.
E io avevo da tempo il sospetto che mia sorella fosse segretamente innamorata
di lui e, non so perché, ma la cosa mi indispettiva; Oscar mi pareva troppo
intelligente ed emancipata per sprecare il suo cuore dietro un personaggio così
discusso, a mio parere tanto banale. Stavo seriamente pensando di attuare una
strategia per farglielo dimenticare in fretta. O almeno, per farle vedere
l’abbaglio di cui era vittima.
“Stavo pensando di andare a far visita a mia sorella uno
di questi giorni. Perché non mi accompagnate, conte? Sono certa che ad Oscar
farebbe piacere.”
“Sarò lieto e onorato di accompagnarvi.”
“Benissimo conte. Domani vi sembra troppo presto? Spero
non avrete altri impegni…”
Alludevo al fatto che potesse avere qualche convegno
segreto con la regina, ma lui non parve cogliere la mia provocazione, che pure
era stata volontaria.
Si limitò ad acconsentire alla mia richiesta.
Sapeva essere un uomo discreto e questa era senz’altro una
buona cosa.
Avevamo smesso di danzare e ora, nella sala, fece il suo
ingresso solenne Maria Antonietta; era semplicemente splendida, impossibile non
ammirarne il portamento e la grazia. Indossava un abito degno di lei, che
esaltava la sua regalità. Mentre avanzava, al suo passaggio la gente attorno
sprofondava in riverenze e inchini ossequiosi. Si fermò davanti a me, mi
inchinai; fu un istante, ma riuscii a cogliere lo sguardo d’intesa con Fersen.
“Madame Recamier, sono lieta di vedervi. Madamigella Oscar
non è con voi quest’oggi?” alle sueparole, sollevai la testa e incontrai i suoi occhi.
“No, Maestà, ma voi sapete quanto mia sorella poco
gradisca i ricevimenti a corte.”
“Ah, sì lo so. Viene solo quando non può proprio farne a
meno. E non resta mai fino alla fine.”
Rivolse un rapido cenno di saluto, accompagnato da uno
sguardo eloquente al conte di Fersen, ma non gli rivolse la parola. Proseguì
lungo la Sala degli Specchi, salutando gli altri nobili presenti.
Io mi ero voltata verso Fersen e lo osservavo con
interesse; seguiva con lo sguardo la figura della regina, come una falena è
attratta dalla luce. Sembrava essersi completamente dimenticato di me. Dovevo
assicurarmi tutta la sua attenzione e garantirmi la sua presenza per il giorno
seguente. Lo chiamai e lui si riscosse dai suoi pensieri.
“Scusate conte di Fersen, posso chiedervi come è nata la
vostra amicizia con mia sorella? Non riesco a immaginare quali interessi
abbiate in comune.”
“Quegli stessi interessi che si potrebbero avere con un
uomo di profonda cultura e intelligenza; Oscar conosce la letteratura latina
oltre a quella dei nostri contemporanei, la musica, è arguta e brillante,
inoltre è un valente spadaccino da cui c’è sempre da imparare.”
Fersen camminava al mio fianco mentre conversavamo; non lo
diedi a vedere, ma sentirlo paragonare Oscar ad un uomo mi infastidì.
“Ah, certo, capisco cosa intendete: voi dunque, non
pensate a lei come a una donna…” gli dissi agitando il ventaglio in maniera
plateale, ma elegante davanti al volto.
“Diciamo che non conosco altre donne che non mi facciano
pensare al fatto che sono donne. - Fece una pausa prima di proseguire, mentre
continuava a camminare al mio fianco. – Con vostra sorella posso essere
schietto e sincero, senza preoccuparmi delle convenienze, della forma… capite
quello che intendo?”
Altroché se capivo. Che uomo banale.
Non era poi così diverso dagli altri che giudicavano in
base a quello che vedevano.
Sorrisi al conte in maniera amabile richiudendo il mio
ventaglio.
“Perfettamente, vi assicuro. - Gli porsi la mano che lui
baciò. – Allora, a domani Fersen.”
Mi allontanai dalla sala non prima di aver rivolto al
conte un sorriso amichevole.
****
Il giorno seguente, alle prime ore del mattino, dopo una
notte senza più entusiasmi, congedai velocemente e in maniera definitiva il giovane
amante del momento, una relazione leggera, che durava da tempo, diventata
troppo monotona e soffocante per il mio spirito libero. Non mi ero mai
sbagliata tanto nel scegliere un uomo.
Fu una vera liberazione.
Il conte, subito dopo mezzogiorno, si presentò a casa mia
con la sua carrozza.
Partimmo immediatamente alla volta di Palazzo Jarjayes.
La conversazione con Fersen durante il tragitto fu
amabile; mi raccontò dei suoi viaggi all’estero fatti negli anni passati e fu
talmente accattivante che riuscì a catturare la mia attenzione.
Quando raggiungemmo la residenza di mio padre, trovammo
Oscar e Andrè che stavano duellando.
Io salutai Oscar abbracciandola, poi guardai André fermo a
poca distanza.
Mi aveva salutata con molta cortesia, prima di allontanarsi.
Non so perché mi sentii fortemente turbata. Era passato
diverso tempo dall’ultima volta che avevo visto André e avevo quasi dimenticato
il colore intenso dei suoi occhi; un verde cupo, tenebroso e affascinante.
Mi sentii pervasa da uno strano brivido, ma cercai di non
pensarci e di concentrarmi solo su Oscar.
Lei era in splendida forma, come sempre.
Ci accolse con grazia rivolgendosi a Fersen.
“Che sorpresa mi fate oggi Fersen, portate con voi mia
sorella Danielle… quando vi siete incontrati?”
Risposi io per lui.
“Ci siamo conosciuti a un recente ballo a Versailles. Il
conte mi ha raccontato che siete molto amici, così gli ho proposto di
accompagnarmi qui quest’oggi, per farti una sorpresa.”
“Mi fa piacere… avete fatto benissimo.”
Nonostante le sue parole, Oscar mi parve a disagio. Sapevo
che in qualche modo temeva il confronto con me.
In realtà mia sorella trovava sempre fastidiosi, gli
sguardi incuriositi della gente che ci osservava con sincera meraviglia; anche
se io ero truccata e abbigliata come una gran dama, quando comparivamo in
pubblico insieme, non sfuggiva a nessuno il fatto che fossimo l’immagine
speculare una dell’altra.
Per quanto fosse abituata, quel genere di situazione non
le piaceva.
Soprattutto, non le piaceva in quel momento, di fronte a
Fersen.
Questa constatazione bastò a convincermi di quanto fossero
veritiere le mie intuizioni sui suoi sentimenti verso lo svedese. Guardando
Fersen, mi accorsi che aveva la medesima espressione che tante volte avevo
visto in altri sguardi in nostra presenza; a questo punto si intromise.
“Non potete immaginare la mia sorpresa, madamigella Oscar,
quando ho capito che Madame Recamier è la vostra gemella. Vi conosco da molto
ormai, eppure non mi avete mai detto nulla.”
“Scusatemi Fersen, avete ragione; non si è mai presentata
l’occasione, e non ho mai ritenuto la cosa importante. Spero di non avervi
creato qualche imbarazzo.”
“Oh, no non preoccupatevi. Anzi, sono rimasto
piacevolmente sorpreso.”
Entrammo in casa e pensai di andare prima a salutare mia
madre. Mentre stavo per raggiungere la sua camera, incontrai Andrè lungo i
corridoi. Lo osservai per qualche secondo. Non me lo ricordavo così alto e
prestante: una figura elegante, ma forte, era diventato davvero un bell’uomo.
Non aveva i modi di un servo, non potei fare a meno di notarlo. E mi parve di
avvertire una confusa sensazione di autentico piacere. Incontrai nuovamente i
suoi occhi intensi e mi sentii avvampare; era lo sguardo composto e malinconico
più seducente che avessi mai visto.
Per cercare di mascherare il mio turbamento, cercai di
parlare ostentando la massima disinvoltura.
“Andrè, perché non ti unisci a noi? Di solito resti
insieme ad Oscar anche quando ci sono ospiti.”
Mi lasciò perplessa la risposta che mi diede.
“Non questa volta…”
“Non sarà a causa mia, vero?” chiesi un po’ allarmata.
“No, ma che dite, madame Recamier?!”
Fece un piccolo inchino, prima di scomparire attraverso i
corridoi di palazzo.
Mi affrettai a salutare mia madre, poi raggiunsi mia
sorella e il conte in salotto, dove conversammo tranquillamente prendendo il
té.
Oscar e Fersen parevano davvero ottimi amici e io mi unii
volentieri ai loro discorsi.
“Ho visto quella commedia a teatro. Vi giuro; non potevano
scegliere attori peggiori. Un bel testo davvero rovinato.”
Stava dicendo Fersen, rivolto a Oscar.
“Ho poco tempo per andare a teatro… alle commedie, però,
preferisco storie meno leggere, ma vanno poco di moda…”
Intanto, nascosta dietro il mio ventaglio, osservavo mia
sorella con apparente noncuranza; il suo sguardo, quando incontrava gli occhi
del conte, in certi momenti s’illuminava. Fui convinta di non aver mai visto
Oscar in quello stato e Fersen naturalmente, non si accorgeva di nulla o
fingeva di non accorgersene, ma penso fosse più la prima ipotesi.
Per essere un uomo abituato alle conquiste femminili, non
era molto attento a certi particolari, ma potevo anche concedergli il beneficio
del dubbio, dal momento che si trattava di mia sorella e non una dama
qualunque. Ad un certo punto le propose di battersi con la spada e lei accettò.
Ne approfittai per trovare una scusa e allontanarmi da
loro; non avevo nessuna voglia di assistere a quel duello. In realtà, volevo
parlare con una persona che si era eclissata appena Fersen era entrato in
scena; volevo trovare Andrè e parlargli.
Lo cercai nelle cucine, ma sua nonna mi disse che era
andato nelle scuderie per ferrare uno dei cavalli.
Uscii in giardino, senza farmi vedere da Oscar o dal conte
che erano seriamente impegnati nel duello; alle orecchie mi arrivava il cozzare
delle spade, mentre mi affrettavo verso le scuderie con una vaga trepidazione.
Stavo pensando allo strano comportamento di André; non
l’avevo mai visto stare così lontano da Oscar, quasi tentasse di evitarla…
oppure era qualcun altro che voleva evitare?
Lo avrei scoperto certamente, a costo di forzare la
proverbiale riservatezza di quell’uomo, una caratteristica che lo accomunava
moltissimo ad Oscar. Finalmente lo trovai all’esterno delle scuderie.
Teneva alzata la zampa di un cavallo a cui stava attaccando
un ferro allo zoccolo. Parlava all’animale con voce suadente, per tenerlo
tranquillo. Alzò la testa appena sentì che mi stavo avvicinando a lui e rimase
sorpreso di vedermi. Probabilmente, solo Oscar lo disturbava durante quelle
incombenze.
“Madame, avete bisogno di qualcosa?”
“Ti dispiace se parliamo un po’ André?”
“No, affatto.” Disse con un sorriso.
Lo osservavo e mi accorgevo che il mio interesse per lui
aumentava; mi faceva uno strano effetto mentre lo guardavo muoversi con
scioltezza e non capivo esattamente da cosa dipendesse. Osservai le maniche
della sua camicia arrotolate sugli avambracci, i fasci dei muscoli sotto sforzo
e i tendini che guizzavano frementi sotto la pelle. Iniziai a parlare e mi
accorsi che la mia voce tremava leggermente.
“André che succede… come mai stai lontano da Oscar? È a
causa del conte di Fersen?”
Alla mia domanda Andrè mi lanciò un’ occhiata ironica.
“Mi pare inutile la mia presenza in momenti come questi.”
“Ma Andrè, Oscar non si è mai fatta di tali problemi; non ti
ha mai trattato come un servo… non vorrai farmi credere che stia prendendo le
distanze da te!”
A questo punto, lui mi guardò nuovamente, girandosi verso
di me con tutto il corpo, mi si avvicinò accorciando la nostra distanza in modo
brusco, e io avvertii un brivido improvviso e inopportuno; mi sentivo attratta
da tanta pericolosa vicinanza, mentre notavo la leggera peluria del suo viso.
Sconvolta da quella violenta sensazione ebbi davvero paura
di tradirmi.
Fui intercettata dal suo sguardo che sostenni quasi a
fatica.
“Può darsi che stia accadendo proprio questo… Le cose
cambiano, per tutti.”
“Non può essere! Non ci credo!” obbiettai decisa, mettendo
da parte il mio turbamento.
Andrè restò in silenzio, senza tentare di smentirmi, allora
io proseguii.
“Le vivi accanto da sempre… Tu, lei e il vostro mondo
inviolabile. André, hai mai pensato a farti una tua famiglia, dei figli, o le
farai da attendente tutta la vita? Non hai altri desideri?”
“Vedete bene che il nostro mondo non è inviolabile, ma
questa è la mia vita e non ne voglio un’altra. Sto bene così.”
Si girò di nuovo verso il cavallo e prese a ferrare
l’altro zoccolo.
Non ero molto convinta di quello che stava dicendo, ma
c’era altro che volevo sapere e non mi rassegnai alla sua apparente chiusura.
“Mi puoi dire qualcosa di quel Fersen?”
“Che è il presunto amante della regina, lo sapete già
Madame Recamier…”
“Non mi interessano i pettegolezzi e poi diamoci del tu,
siamo cresciuti insieme…”
“Ma voi ora siete una donna sposata…” lui aveva ripreso a
fare il suo lavoro con assoluta calma.
“Ti prego André, per te sono semplicemente Danielle… - lo
supplicai, poi aggiunsi – Tu sei sempre con lei, ti sarai accorto anche tu che
Oscar è strana da un po’ di tempo…”
André mi guardò sospirando.
“Cosa intendi per strana?”
“Io penso che sia innamorata di quello svedese… e credo
che tu lo sappia perfettamente.”
Lui non mi rispose e improvvisamente capii quello che
André non voleva dirmi; manteneva il silenzio, ma i suoi occhi valevano più di
mille discorsi. Ammettere i sentimenti di Oscar sarebbe stato come rivelare i
suoi e il dolore nascosto che li accompagnava.
“Il tuo silenzio è molto eloquente. - dissi assolutamente
stupita, poi mi avvicinai di più a lui e gli posai una mano sul braccio - Può esserci
solo un motivo se, dopo tutto questo tempo, sei ancora qui: sei innamorato di
lei, vero? ”
Andrè continuava a tacere, ma alle mie parole si era
incupito maggiormente.
“Scusate madame, devo tornare al mio lavoro… ”
Lo vidi allontanarsi senza prestarmi più attenzione. Non
mi aveva risposto e non mi aveva smentito.
E io rimasi lì, ferma, una mano appoggiata al muro della
scuderia, a pensare a quanto doveva essere forte il sentimento che lo legava a
lei, e ancora una volta scoprivo che avevo una ragione in più per invidiare
Oscar; con un vago malessere a opprimermi il cuore, seppi con assoluta certezza
di non essere mai stata amata così, né di aver mai amato altrettanto qualcuno.
Non come lui amava mia sorella. Negli occhi di nessun amante, presente o passato,
avevo mai visto balenare la stessa luce di passione trattenuta che avevo
intravisto in quelle malinconiche iridi verdi…
Continua…
Vi ringrazio tutte per l’accoglienza che
avete dato alla mia storia.
Spero che questo secondo capitolo sia stato
di vostro gradimento.
Passai le giornate seguenti nel
mio palazzo a Parigi, ricevendo poche visite; l’argomento centrale di tutte le
conversazioni era la storia d’amore della Regina col conte svedese.
L’indiscreta vicenda stava facendo il giro di tutti i salotti della città ed
era arrivata, attraverso stampe satiriche, anche tra la povera gente del volgo.
Troppo abituata a tutto quel clamore, ero indifferente a quei tipici scandali
così comuni nel nostro ambiente. Per quanto mi sforzassi di concentrare la mia
attenzione su ciò che mi veniva detto dalla nobildonna di turno, non riuscivo a
farlo che per brevi momenti. Facevo finta di ascoltare interessata, ma in
realtà, come l’ago di una bussola che punta sempre verso nord, il mio pensiero
si fissava su un' unica persona.
Una persona che avevo desiderio
di rivedere e con cui avrei voluto parlare.
Ma non potevo raggiungerla come
comunemente avrei fatto, con un qualsiasi conoscente che frequentassi in
società. No, non avrei potuto.
La mia condizione di donna
nobile, sposata e rispettabile, non mi lasciava libera di frequentare chi
volessi, soprattutto non una persona di classe sociale inferiore; non un servo
come André. Invece, Oscar, sua amica e padrona, poteva frequentarlo in virtù
del suo ruolo, senza restrizioni e senza suscitare scandalo.
Ero pericolosamente ossessionata
da André, dai suoi occhi, dalla sua espressione, dalla sua dolcezza che
traspariva dai suoi gesti misurati, e ancor di più da ciò che avevo scoperto o
perlomeno intuito; il suo amore inconfessabile e segreto nei confronti di mia
sorella. Ma non capivo se lei fosse più o meno consapevole di questa verità.
E volevo scoprirlo anche per me
stessa. Volevo sapere se lei in qualche forma, potesse ricambiare quel
sentimento, se potesse accadere qualcosa fra loro.
Perché intuivo con un certo
timore, che stava accadendo qualcosa dentro me e dovevo capire cosa si era
mosso nel mio animo inquieto.
Mi sono sempre scelta
accuratamente i miei amanti e ho sempre evitato uomini troppo cinici e le
storie squallide di servi troppo compiacenti, qualche volta pronti anche al
ricatto. Avevo sempre detestato quelle storie di nobildonne dissolute che per
soddisfare i loro appetiti sessuali, si intrattenevano con i loro stallieri.
Per quanto in ogni relazione clandestina, sapessi di vivere un’illusione di
felicità, non ho mai saputo rinunciare al desiderio che mi fa tendere verso la
sua ricerca. Ma fino ad oggi, non ho mai trovato quello che vado cercando,
quella fiamma capace di scaldare e riempire il mio cuore, tanto da farmi
sentire quel palpito vitale che solo l’amore sa darci.
Una sera, per cercare di
distrarre la mia mente che si perdeva dentro pensieri e fantasie
irrealizzabili, andai a teatro da sola; lì, incontrai Fersen che mi raggiunse
nel mio palco durante la pausa, dopo il primo atto della rappresentazione.
In realtà avrei voluto restare
sola, a riflettere con me stessa e non dovermi intrattenere con nessuno, ma
pensai che sarebbe stato sciocco non approfittare di un’ occasione magnifica
per tastare da vicino un possibile coinvolgimento di Fersen con me.
“Siete bellissima, questa sera,
madame. Oso dire, una vera tentazione.” Esordì accennando un lieve inchino,
prima di baciarmi la mano.
Al di là dei suoi complimenti,
mi colpì la sua espressione; non era quella abituale, fascinosa che gli
conoscevo. Sembrava lievemente depresso, rattristato da pensieri poco felici.
“Galante come sempre. Mi
sembrate annoiato; deduco che non vi piace lo spettacolo.” dissi con noncuranza
e apparente disinteresse, mentre col binocolo osservavo i volti nella platea
sotto di noi.
“Oh, no. Lo spettacolo mi piace;
forse, sono io che non sono nella giusta disposizione d’animo.”
“Credo di capire; siete l’uomo
più chiacchierato del momento.”
“Per questo non dovreste
accettare la mia presenza accanto a voi.”
Le sue labbra si piegarono in un
sorriso amaro: non era difficile immaginare che stesse pensando alla situazione
che lo vedeva coinvolto con la nostra regina.
“Oh, non mi preoccupo troppo;
sono sempre la sorella del Colonnello Oscar, ricordate? Se lei può essere
vostra amica, allora posso esserlo anch’io.”
“Voi siete in una posizione
diversa; molto diversa.” commentò pacato.
“Perché sono sposata?
Sciocchezze! La mia reputazione non corre pericoli; è cosa nota che sono una
persona eccentrica.” Commentai con divertita ironia.
“Amate il rischio, vero
Danielle? Sembra che nulla vi spaventi. Neppure stare qui, con l’uomo più
discusso di Francia.”
“Il rischio dà un po’ di pepe
all’esistenza. Ho paura solo di non vivere pienamente la mia vita e io amo
cogliere le opportunità che essa mi presenta; detesto i condizionamenti
imposti, e se ora posso godere della vostra compagnia, perché non dovrei
approfittarne? Vi aprirei il mio salotto come ho già fatto con altri
personaggi, forse molto più discutibili di voi, senza nessun problema.”
“Contessa, badate: potrei
prendervi in parola…”
“Mi aspetto che lo facciate,
conte di Fersen…” lo incoraggiai con un sorriso convincente.
“Sono davvero impressionato. Sapete
contessa, ritrovo in voi, molto di Oscar: lo stesso coraggio, e un’ insolita
libertà di pensiero. Questo, se posso dirlo, vi rende ancora più affascinante…”
Il suo commento mi colpì,
dimostrando un certo acume. Se stava cercando di affascinarmi, tutto sommato
stava adottando la tattica giusta. Ma quello era: solo una tattica per entrare
nelle mie grazie, e magari nella mia alcova.
“Conte, vi confidereste con me
come fate con lei?”
“Lei chi?” chiese un attimo
incerto.
“Oscar.”
“Oh. Su che proposito?”
“Quello che volete: la prima
volta che ci siamo incontrati, avete detto che con Oscar non dovete pensare di
essere di fronte a una donna. E con me? A cosa pensate quando siete con me? Il
fatto che io sia la gemella di Oscar, stuzzica la vostra curiosità maschile?”
Una domanda apparentemente
ingenua, forse anche pericolosa, ma dovevo verificare certe mie primissime
impressioni; potevo immaginare tranquillamente i suoi pensieri e avrei
indovinato le sue fantasie nel dettaglio. La risposta non fece che confermare
ciò che già sapevo.
“Sono troppo sensibile alla
bellezza e subisco il vostro fascino. Siete una donna vitale che vive di
passioni; un uomo come me, se ne sente irrimediabilmente attratto, in un modo
tale che potrei dimenticare ogni altra cosa. Ma non so se riuscirei con voi, ad
instaurare un rapporto così singolare come quello che condivido con Oscar… Ve
lo confesso: accendete ben altri pensieri…” Il suo sguardo carico di sottintesi
non mentiva.
“Con madamigella Oscar non vi
succede? Eppure, è la mia gemella. Non dovreste sentirvi ugualmente attratto da
lei?” Esclamai un po’ divertita, giocando con la stessa malizia.
“No, direi di no. Curioso, non
trovate? Ma se riflettete un attimo, è normale: Oscar non ha potuto coltivare
la propria femminilità. O forse, sarebbe più giusto dire che è stata soffocata
dall’educazione ricevuta.” Sorrise amabile, senza preoccuparsi troppo delle sue
considerazioni discutibili. L’ultima frase del conte fece scattare dentro di
me, un moto di nervosismo, o forse una strana ribellione; che ne sapeva
quell’uomo della femminilità di una donna come Oscar? Quella femminilità che
altri occhi molto più attenti dei suoi, avevano saputo cogliere e che
celebravano con un impeto fiammante, con un calore tenero e delicato che
raramente avevo visto in altri sguardi più volgari.
Il sipario si stava sollevando,
gli attori tornavano in scena; stava per cominciare il secondo atto della
commedia. Volevo chiudere il primo della mia.
Fu il momento per interrompere
quel colloquio con Fersen, rinnovando l’invito per un prossimo incontro in cui
continuare quel confronto. Ma supponevo che il palco e gli attori coinvolti,
sarebbero stati diversi.
Nei giorni successivi, nella
solitudine malinconica di Palazzo Recamier, non smettevo di pensare all’affascinante
attendente, che era stato compagno anche della mia infanzia. Stanca di essere
così in tensione a causa dei miei pensieri, presi la carrozza e decisi di
andare a trovare mia sorella, ma non certo per il desiderio di vedere lei. Non
la trovai, perché era andata a Versailles, ma trovai André che stava per
raggiungerla. Ne approfittai subito.
“André?”
“Dite, Madame…”
“Mia sorella è assente, ma posso
aspettare che ritorni. Intanto, pensavo di fare una cavalcata nei dintorni. Dal
momento che non posso andare da sola, ti chiederei di accompagnarmi, André.”
“Ecco, veramente… Oscar mi
aspetta a Versailles…”
“Penso che per una volta, lei
possa fare a meno di te; Oscar sa badare benissimo a se stessa e tu lo sai.
Avanti André, non vorrai che una signora come me, cavalchi da sola nelle
campagne circostanti, con i pericoli che potrebbe incontrare; mio marito non te
lo perdonerebbe mai.”
In realtà, mio marito si sarebbe
curato ben poco delle mie iniziative più o meno stravaganti.
André non oppose alcun’ altra
obiezione e d'altronde, non avrebbe potuto rifiutarsi. Anche la balia, la
vecchia Nanny, lo esortò ad accompagnarmi.
“Ma certo, Andrè. Non possiamo
permettere che Madame Recamier, cavalchi da sola; chissà che direbbe il
generale, se lo venisse a sapere! Falle preparare uno dei cavalli da Marcel.”
Silenzioso, Andrè si allontanò,
puntando in direzione delle scuderie. Ricordavo che non amava fare discussioni
con sua nonna.
“Benissimo, allora! Intanto, io
vado nelle mie vecchie stanze a prepararmi. Nanny, mandami di sopra una
cameriera con un abito da amazzone, che mi aiuti. Ne avrete uno da qualche
parte.”
“Ci sono quelli di vostra
sorella Orthense; ne ha portati qui alcuni, l’ultima volta che è venuta in
visita.”
Mi adattai. Orthense aveva una
corporatura simile alla mia; era solo un poco più robusta di me.
Andrè mi fece preparare il
cavallo migliore della tenuta, assicurandosi egli stesso che i finimenti e la
sella fossero in perfetto ordine. Poi attraversammo il cortile della dimora,
costeggiammo le ali laterali del giardino e insieme, ci inoltrammo nella radura
circostante il palazzo.
La giornata era piacevole e
fresca, il cielo era terso e luminoso.
Spronammo i cavalli al galoppo
per diversi minuti buoni. Io sono un’ottima amazzone, quasi quanto Oscar e
l’equitazione, una delle mie attività preferite, mi ha sempre dato una certa
eccitazione; sentire il vento che mi investe il volto mi inebria e mi fa
sentire viva.
“Dobbiamo rallentare e far
riposare un po’ i cavalli, madame.”
Mi giunse la sua voce calda e profonda.
“Certo André, hai ragione… -
lasciai passare qualche minuto prima di proseguire col discorso che mi premeva
affrontare con lui - …l’altra volta non hai voluto rispondermi, quando ti ho
chiesto se sei innamorato di Oscar…”
Mentre cavalcavamo affiancati,
osservavo il suo profilo dalle linee regolari e leggermente marcate, il naso
diritto, le labbra morbide, il mento volitivo e la mascella decisa; pensai
nuovamente che era davvero affascinante e immaginai senza vergogna e un lieve
stupore, di baciare quelle labbra che si piegarono in un sorriso ironico prima
di rispondermi. Si ostinava a guardare la strada davanti a sé, senza incontrare
i miei occhi.
“Ma come ti è venuta un’ idea
del genere?” domandò. Ridacchiava e tentava di mantenersi indifferente.
“Intuito femminile: ho visto
come la guardi a volte, e soprattutto, come guardi Fersen.” Dissi con aperta
convinzione.
“Io e Oscar siamo amici,
nient’altro.” Mi rispose secco e deciso. Probabilmente sperava di scoraggiarmi,
ma io non sono una che cede facilmente; la tenacia è una delle caratteristiche
che mi rende molto simile a Oscar.
“Da parte di Oscar senz’altro è
così, ma per te?” Insistevo, ma anche Andrè era tenace e non voleva arrendersi.
“Siete un po’ indiscreta, non
trovate? Perché vi interessa saperlo?”
“Se ti decidi a darmi del tu e
chiamarmi Danielle, te lo dico.”
“Allora Danielle, perché vuoi
saperlo?”
Non volevo espormi troppo e
giocai d’astuzia.
“Perché siamo amici di vecchia
data, forse… e gli amici condividono tutto. Anche i segreti…”
“Stai dicendo che mi consideri
tuo amico? Hai dimenticato che sono solo un servo… non dovresti cercare le tue
amicizie in ambienti più consoni al tuo rango?”
“Ti prego André, non dire così.
Sai anche tu quanto siano false le amicizie all’interno della nobiltà; le
persone ti cercano solo per stringere alleanze di potere o perseguire scopi
personali.”
“E per questo motivo, cerchi
l’amicizia di un servo? Pensi che la nostra potrebbe essere più sincera? Cosa
te lo fa credere? Non hai uno scopo personale anche adesso?”
C’era ostilità nelle sue parole.
Aggrottai le sopracciglia, mettendomi sulla difensiva.
“Non parli come un servo, Andrè.
Sei anche un poco sfrontato.”
“Hai cominciato tu, chiedendo
cose che non hai il diritto di chiedere... Non puoi lamentarti.”
Dunque, prima che un servo,
Andrè era un uomo orgoglioso. Non potevo biasimarlo, aveva ragione; non potevo
pretendere che mi raccontasse ogni dettaglio della sua vita privata, né che
rivelasse tanto apertamente i suoi sentimenti, di cui si stava dimostrando geloso.
“Sei così diretto anche con
Oscar?”
“Quando occorre…”
“Ma non su tutto, però… E lei
apprezza questa tua qualità?”
“Non sempre…”
Ci fu un momento dove udimmo
solo il canto degli uccelli, in cui nessuno di noi parlò. Non potevo lasciare
calare l’imbarazzo, dovevo sciogliere quel nodo che ci bloccava, che serrava
tra le labbra le parole più giuste che avrei voluto dire.
“Sbagli a non fidarti di me. Ci
conosciamo da così tanto tempo, che non potremmo ingannarci. Io non lo farei
mai, verso di te… e tu… forse anche tu hai bisogno di un’amica con cui parlare
liberamente di quello che senti…”
“Quello che sento io ha poca
importanza; io devo solo proteggerla, è questo il mio compito.”
Disse ancora risoluto, ma
sentivo che se avessi insistito avrebbe ceduto.
“Un compito che inevitabilmente
ha finito per coinvolgerti troppo; ammettilo André.”
La resa arrivò espressa in un
sospiro pesante. Avevo finalmente fatto breccia nel muro di riservatezza che
aveva eretto perché disse, quasi rassegnato: “Dunque, è così evidente…”
“No, sta tranquillo; è una cosa
che ho notato solo io e lo terrò per me. Sei il migliore amico che una donna
come Oscar possa avere…”
“Certo, non potrei sperare di
essere altro. Non l’ho mai preteso…”
I nostri cavalli avanzavano lentamente
lungo il sentiero; li guidavamo con tranquillità attraverso la silenziosa
campagna circostante, mentre la muraglia verde degli alberi ci riparava dal
sole, allungando l’ombra delle loro chiome sul terreno. In quel silenzio, mi
sentivo quasi in pace, serena.
“Sai, un po’ la invidio…”
“Cosa? Perché?” si era voltato a
guardarmi finalmente. Questa volta era sinceramente sorpreso.
“Io non ho mai avuto un amico
come te, André. Anche da bambina, Oscar ha sempre avuto l’esclusiva; certo, io
giocavo con voi, ma era per gentile concessione sua. In qualche modo, ho sempre
sentito di essere esclusa. Oggi vorrei tanto avere qualcuno che si preoccupasse
davvero per me, che mi fosse sempre accanto, capace di ascoltarmi, parlare con
me; ho un marito, ma purtroppo non fa nessuna di queste cose. Siamo come due
estranei e tra noi c’è solo una fredda e vuota forma di rispetto… forse anche
meno.”
“Perché mi fai confidenze del
genere, Danielle?”
“Sei l’unico a cui posso
farle...”
“Hai dei figli, però… Non
dovrebbero venire prima di qualsiasi amico? Non sono motivo di consolazione per
te?”
“Sì, e li amo immensamente. Ma
ti assicuro che non bastano i figli ad essere felici, se mancano altre cose
nella tua vita… io penso che tu possa capirmi, André.”
“Sì, capisco cosa vuoi dire.
Danielle, mi dispiace. - Improvvisamente avvertii il tono di Andrè cambiare;
una nota trattenuta di profonda commozione vibrò intensa nel suono della sua
voce calda. - Devi sentirti molto sola; non me n’ero mai reso conto…”
“Sì, a volte la solitudine è intollerabile;
faresti di tutto per colmare quel vuoto… ” la mia voce si fece amara.
“Già, lo so. Lo so bene…”
Mi aveva risposto in tono grave
e comprensivo. Ero impressionata.
Che uomo dolce e meraviglioso!
In due minuti era riuscito a capirmi più di mio marito, con cui vivo da molti
anni ormai. Mi chiesi se Oscar sapesse quale tesoro avesse accanto e lo chiesi
anche a lui.
“André, dimmi: mia sorella è
consapevole di essere fortunata ad averti al suo fianco?”
Mi sorrise e abbassò lo sguardo,
ma non mi rispose.
Io continuai a cercare di
forzare il suo riserbo.
“Ti senti solo, André?”
“A volte capita… anche ai servi
come me.”
Riprendemmo la marcia dei nostri
cavalli e tornammo a palazzo dove trovammo Oscar ad attenderci; era tornata
prima da Versailles.
Ci accolse con un sorriso, sulla
soglia, mentre apostrofava André con un tono divertito. Troppo a mio avviso.
“Ecco perché non mi hai
raggiunto; eri a spasso con mia sorella.”
Scesi da cavallo; reggendo il
frustino sotto un braccio, andai verso di lei, sfilandomi i guanti da amazzone.
“Perdona Oscar, se te l’ho
rubato per qualche ora, ma non volevo cavalcare da sola. Sai, io e André
abbiamo avuto un piacevole scambio di opinioni.”
André mi guardò quasi allarmato
prima di allontanarsi taciturno verso le scuderie con i nostri cavalli.
“Bene, raccontami; voglio sapere
tutto.”
“Oh, abbiamo parlato di molte
cose; del passato, della vita in generale… e di Fersen.”
Buttai lì il nome così,
intenzionalmente; volevo cogliere la reazione di Oscar.
“Di Fersen?” esclamò, tentando
di dissimulare il suo interesse.
“Sì, sai tutte quelle voci che
circolano su di lui e la regina.”
“Ancora questa storia: ti prego,
Danielle, non ne voglio più sentir parlare!”
La voce le uscì alterata e la
sua reazione mi parve eccessiva; corse in casa velocemente, senza aspettare che
la seguissi. Io la raggiunsi nel piccolo salotto dove era andata a rifugiarsi.
“Scusami Oscar, so che non ti
piacciono questo genere di discorsi, non volevo metterti in imbarazzo… ma
cos’hai? Sembri preoccupata.”
Abbiamo sempre avvertito con
chiarezza gli umori mutevoli una dell’altra, e in quel momento, Oscar era
nervosa per qualcosa; era una speciale sintonia che c’era sempre stata tra noi.
Lei si portò una mano alla tempia come se fosse pesante.
“Oggi ho avuto un colloquio
privato con la regina; mi ha chiesto di fare una cosa…”
“Posso sapere di che si tratta?”
chiesi con un filo di apprensione.
“Devo portare un messaggio a
Fersen…”
“Che genere di messaggio?”
“Riguarda il loro prossimo
incontro; sono la persona meno indicata per questa faccenda.”
“Già, ma Sua Maestà si fida solo
di te, giusto?”
“Esatto.”
“Puoi mandare qualcuno fidato al
posto tuo?”
“No, è una faccenda troppo
delicata e Sua Maestà ha incaricato me personalmente.”
“Capisco. Beh, allora non hai
scelta. Personalmente, io non trovo il conte così interessante, tra l’altro
girano voci di una sua relazione con una nota contessa…”
“Il conte di Fersen è un uomo di
nobili sentimenti come se ne trovano pochi a Versailles, e io di solito, non presto
fede alle chiacchiere di salotto.”
Era la prima volta che sentivo
Oscar palesare così apertamente la sua ammirazione per quell’uomo ed era stata
la mia provocazione ad animarla. Ma non rinunciai all’occasione di strapparla
al suo incanto, per instillare in lei il dubbio.
“Fai male, mia cara, perché
qualche volta nei pettegolezzi, per quanto irritanti, si trova anche la verità;
bisogna usare il setaccio come per la segale e saperla riconoscere. Comunque, a
quel cicisbeo di Fersen, trovo molto più piacevole la compagnia del tuo
attendente: perché non è qui con noi?”
Questa volta suscitai veramente
tutta l’attenzione di Oscar, che finalmente mi guardò con sorpresa e curiosità,
distraendosi dai suoi pensieri.
“Sarà in giro, vuoi che lo
faccia chiamare?”
“Sì, te ne prego. Sarà come ai
vecchi tempi.” Non nascosi il mio entusiasmo. Oscar mi fissò un attimo, prima
di commentare con una vena di leggero disappunto.
“Non definirei Fersen, un
cicisbeo…”
“E io ti dico che lo è: conosco
troppo bene il genere. Se ne vedono così tanti a corte… Ma non hai appena detto
che non volevi più parlare del conte?”
Ero impaziente anch’io di
chiudere l’argomento e non mi preoccupai di nasconderlo.
Andrè ci raggiunse poco dopo e
passammo tutti insieme un piacevole pomeriggio, parlando di svariati argomenti.
Il tempo trascorse lieto e in allegria tornando anche sui vecchi episodi
dell’infanzia; una marachella, un litigio, le lezioni di ballo che Oscar non
voleva prendere perché erano da femminucce, quella volta che Andrè, per
spaventarci, si era cacciato in testa un lenzuolo per fare il fantasma. E più
stavo con lui, più mi accorgevo che mi piaceva e avrei ritardato all’infinito
l’ora del ritorno verso casa. Lo guardavo ridere rapita, ascoltavo le sue
parole scendere nella mia anima, mentre il loro suono pareva miele per le mie
orecchie.
Percepivo chiaramente una
bellissima sensazione di benessere che ero quasi certa di non aver mai provato.
Col passare delle ore mi resi conto che stava accadendo qualcosa che non avrei
mai pensato potesse cogliermi impreparata e senza difese; sentivo nascermi nel
cuore un sentimento assolutamente nuovo e conturbante.
Più tardi Oscar ci lasciò per
assolvere il delicato incarico affidatole dalla regina.
Io e André fummo nuovamente soli
in casa.
“È stato uno splendido
pomeriggio, André. Mi ha fatto davvero piacere parlare con te e Oscar. Spero
tanto di poter passare altre giornate come questa…”
Mentre lo dicevo sentivo la nota
d’emozione che mi serrava la gola.
“Mi fa piacere, Danielle. Sono
stato molto bene anch’io.”
“Perché nei prossimi giorni non
venite a trovarmi a Parigi tu e lei? Potreste stare da me per un po’; mi
farebbe veramente piacere.”
“Se davvero ci tieni, credo che
Oscar verrà volentieri.”
“E tu André? Tu verrai volentieri a
trovarmi?” assunsi un tono volutamente suadente.
“Ma certo; anche se sarò lì in
qualità di attendente, ne sarò felice.”
Lo guardai per un lungo istante,
cercando di intuire i suoi pensieri. Il fatto che Oscar fosse andata da Fersen
probabilmente lo infastidiva, ma davanti a me cercava di non palesare nulla.
“Sai Andrè, sei molto bravo a
mascherare i tuoi sentimenti, e capisco perché Oscar non abbia mai notato
nulla.”
“Danielle, ti prego…”
“Non c’è bisogno di dire niente.
Te l’ho detto, questo sarà il nostro segreto, una cosa tra me e te.”
Fuori il cielo si stava
oscurando e nuvole nere si profilavano all’orizzonte; a breve avrebbe iniziato
a piovere. Andrè era evidentemente in ansia per Oscar; guardava fuori dalla
finestra e osservava il cielo cupo con aria seria. Decise di andare a cercarla;
tentai di dissuaderlo senza successo.
“Devi proprio andare? Perché non
aspettiamo che torni da sola? Non credo che corra il rischio di perdersi…”
“Devo andare a prenderla; con
questo tempo le verrà un febbrone da cavallo, le porto almeno il mantello
perché possa coprirsi.”
Si avvolse nel pesante mantello
di lana e corse fuori con quello di Oscar sotto al braccio, affrettando il
passo verso le stalle.
E mentre lo osservavo dalla
vetrata che si apriva sul maestoso giardino, sentii per la prima volta una
dolorosa fitta al cuore. Lo guardavo allontanarsi velocemente a cavallo, lungo
l’ampio viale d’ingresso per andare a cercare lei e sentivo che avrei voluto
piangere. Eppure ricacciai le lacrime in gola.
E compresi all’istante il senso
di quell’acuta sofferenza che sentivo nell’anima; io mi stavo perdutamente e
inevitabilmente innamorando di Andrè, quell’uomo che amava profondamente e
senza una vera speranza la mia gemella.
Seppi con certezza in quel
momento, che ero solo all’inizio della mia pena.
Continua…
Io sono davvero felice
e sorpresa per l’entusiasmo che dimostrate per questa storia. Vi ringrazio per
i vostri numerosi commenti che non mi aspettavo, e scusatemi se non sono
riuscita a rispondere singolarmente a tutte.
Lo faccio ora in una
volta sola.
Mi avete fatto tante
domande a cui cercherò di rispondere attraverso questo racconto; come sempre,
spero che sia piaciuto fino a qui, e attendo i vostri pareri e le vostre
impressioni su Danielle, questa gemella/alter-ego degna sorella del colonnello
Oscar, donna complessa e complicata, o almeno è così che io tendo a vederla.
Non è facile, ma è molto stimolante. Ora però vorrei chiedervi un parere: io vorrei mantenere la voce narrante di Danielle, mi sforzerò di farlo per quanto possibile, ma potrei trovarmi costretta a cambiarla se la scena di spostasse su Oscar e Andrè, e temo di perdere la fluidità della storia. Secondo voi?
A presto e grazie per tutto.
Il punto di vista è
quello di Danielle, ma in una parte ho dovuto cambiarlo per forza.
Spero che sia una buona
lettura.
******
Stavo rientrando a palazzo Recamier
accompagnata dal rumore della pioggia che batteva intensa sul tettuccio della
mia carrozza. Quel suono scrosciante faceva da sottofondo ai pensieri più assurdi
e incredibili che si concentravano nella mia testa da che mi ero allontanata
dalla dimora di mio padre.
Oscar e Andrè; la mia mente li vedeva
insieme, bagnati fradici, che correvano a cavallo verso casa, allegri e
impazienti di scaldarsi davanti al camino di palazzo Jarjayes.
Vedevo Andrè preoccuparsi per mia
sorella, avvolgerla con gentilezza nel mantello che le posava sulle spalle; lo
immaginavo rientrare con lei sotto quel diluvio, poi in casa, invitarla a
togliersi gli abiti bagnati.
Li immaginavo alla tiepida luce delle
candele che disegnava strani riverberi attorno a loro, nell’intimità del
salottino privato fermarsi a bere una cioccolata calda, per scaldarsi e
difendersi dall’umidità che entrava nelle ossa.
Sapevo che appena varcata la soglia
di casa, Oscar sarebbe stata avvisata da un paggio che ero tornata a Parigi; mi
ero premurata di lasciarle un messaggio.
Cara Oscar,
quella di oggi è stata una giornata
fantastica. Ho passato delle ore davvero piacevoli.
Era molto tempo che non mi sentivo
così bene. Scusami se non sono rimasta ad attendere il tuo ritorno, ma ho
preferito mettermi in viaggio, prima che le strade diventassero impraticabili,
e il temporale mi bloccasse qui.
Come ho detto al tuo attendente
questa sera, prima che mi lasciasse sola per venire a cercarti, ci terrei molto
che tu venissi a trovarmi, magari la settimana prossima. Spero porterai Andrè
con te. Vorrei rivedere anche lui.
Nella fretta, non ho fatto in tempo a
salutare maman, fallo tu per me.
Con sincero affetto.
Danielle.
Al rientro, la mia cameriera
personale, Ninette, mi accolse e mi informò che i miei figli si erano
addormentati presto, e che Monique, la mia vivace primogenita di nove anni,
aveva bisticciato col fratello e per questo, era stata punita dall’istitutrice.
Ragazza sveglia e solare, Ninette è
una persona semplice, discreta e fedele, e nutre un sincero, caloroso affetto
per i miei bambini.
Di poche persone mi fido come di lei.
Per una natura sensibile che la
contraddistingue, spesso riesce a intuire i miei turbamenti più segreti.
Credo che Ninette conosca alla perfezione
tutte le vicende sentimentali che ho avuto e con chi. I miei amanti non sono
mai stati un segreto per lei, e la cosa non mi crea alcun disagio, perché la
ragazza sa tenere la lingua tra i denti.
Come ho avuto modo di constatare,
anche questa sera, il suo intuito non l’avrebbe tradita affatto.
“La signora contessa da qualche
giorno è insolitamente distratta da strani pensieri.”
Disse, posando la mia camicia da
notte sul letto a baldacchino della mia camera, mentre io mi sedevo alla
toilette per levarmi il trucco dal viso.
“Non ti si può nascondere nulla.”
“Se posso, madame, siete così da
quando frequentate la casa del Colonnello Oscar, ma non credo che il problema sia
vostra sorella; si tratta di un ospite di Palazzo Jarjayes?”
“In un certo senso…”
“Non sarà quel conte svedese di cui
si parla tanto?”
Mi girai verso di lei e sorrisi un
po’ sorpresa.
“Che ne sai tu, di questa storia?”
“Oh, quello che sanno tutti, madame.
Anche tra la servitù, non si parla d’altro.”
Ninette fece una breve pausa, prima
di pormi la domanda diretta.
“Lui è così bello come dicono?”
Mi ero alzata in piedi davanti allo specchio. Sentivo le dita esperte di Ninette
giocare velocemente con i lacci del corsetto, sfilandoli dalle asole, liberando
il mio seno dall’oppressione delle stecche di balena. Nella mia mente, netta si
stagliava l’immagine di Andrè, la linea morbida delle sue labbra e il suo
sguardo verde e profondo, che nulla aveva in comune con gli occhi freddi del
conte.
“Oh, non soltanto bello; è
affascinante, sensibile e gentile. Un uomo come pochi.”
Non mi stavo riferendo a Fersen, ma
questo Ninette lo ignorava e non mi interessava puntualizzare quel dettaglio
con lei.
“Sembrate davvero entusiasta, vi
brillano gli occhi.” Constatò, guardando la mia immagine riflessa
illuminata dalla luce di una candela. Sospirai, manifestando una vaga
inquietudine.
“Hai ragione, cara Ninette. Conosci
quella strana agitazione che si prova davanti alla persona che ci attrae? Quel
palpito che attraversa il petto e non riesci a controllare? Ecco, a volte lui
mi fa sentire così. È la prima volta che non mi sento padrona delle mie
emozioni.”
“Parlate proprio da donna innamorata.
Eppure dovreste essere avvezza a queste cose.”
“L’amore ci coglie sempre
impreparati, Ninette. E presenta sempre nuovi ostacoli.” Pronunciai la frase
con un sospiro malinconico che non sfuggì alla sveglia cameriera.
“C’è dell’altro che vi preoccupa?”
“Non ci crederai, ma qui, il problema
potrebbe essere proprio la mia gemella.”
“Cosa? Volete dire che vostra
sorella, Madamigella Oscar, la donna soldato, potrebbe essere vostra rivale in
amore? Non lo avrei mai detto…”
La fanciulla proseguiva il suo
lavoro, e toglieva le sottogonne facendole scivolare ai miei piedi.
“Stiamo parlando di una rivale
inconsapevole, e il terreno di conquista sarà difficile anche per me.”
“Signora, io non ricordo un uomo che
sia stato capace di resistervi, inoltre non capisco come vostra sorella possa
ostacolarvi. – Attraverso lo specchio notai la sua espressione incerta. - Se
non ho capito male, state dicendo che madamigella Oscar ha una certa simpatia
per il conte svedese?”
Chiese Ninette, che aveva tolto le
forcine dai miei capelli e ora li stava spazzolando con cura. Con i capelli sciolti
sulle spalle mi sentivo un po’ come Oscar. Solo allora, mi voltai di nuovo verso
di lei costringendola a interrompere il suo lavoro.
“Mi raccomando, che non ti scappi
nulla del genere con nessuno. Oscar mi infilzerebbe con la sua spada se si
venisse a sapere.”
Le avevo preso le mani e le avevo
parlato con tono molto serio. Ninette accennò un lieve inchino.
“State tranquilla madame, nessuna
vostra confidenza uscirà da questa stanza.”
Potevo essere certa che sarebbe stato
così.
Eppure, nonostante la fiducia, con
uno strano scrupolo dettato dal pudore, o forse era più simile all’ imbarazzo,
avevo preferito non rivelare il mio sentimento per un servo e avevo depistato
Ninette volutamente.
Mi aiutò a finire di svestirmi e
prepararmi per la notte e quando finalmente fui sola nella mia camera da letto,
altri pensieri, forse troppo maliziosi e assai poco verosimili, iniziarono a
vorticarmi in testa e a stuzzicare la mia fantasia sovreccitata.
Con lo scopo di scacciarli, presi il
libro di poesie posato sul comodino, con l’intenzione di concentrarmi nella
lettura, ma fu un tentativo inutile. Essi non mi lasciavano in pace; erano come
fantasmi scatenati da uno strano sentimento di cui non riuscivo ancora a
decifrare i contorni poco definiti, una sensazione ambigua che mi portava a
immaginare una situazione scabrosa che avrebbe potuto coinvolgere mia sorella e
il suo attendente.
Li vedevo non rientrare a palazzo, ma
fermarsi in qualche locanda ad aspettare la fine dell’acquazzone. Complice la
solitudine, uno sguardo acceso dalla frustrazione di dover nascondere una passione
segreta per il favorito della sua regina, vedevo mia sorella cercare
consolazione e appagamento tra le braccia vigorose del suo amico e confidente.
Passavano insieme la notte come un uomo e una donna, forti di quella libertà
audace e disinvolta che esisteva tra loro; un incontro segreto di due corpi
senza la necessità delle parole. Era tale la libertà di cui godeva Oscar, che
avrebbe potuto prendersi tutti i piaceri senza troppe conseguenze; se fosse
stata una persona un poco più disinvolta, con scarso senso dell’onore e senza
remore morali si sarebbe concessa tutto quello che la sua posizione poteva
concederle.
Ma sapevo che in rapporto a lei,
erano pensieri assurdi, del tutto privi di fondamento.
Eppure mi perseguitava l’idea che
quella loro amicizia potesse allargarsi alla sfera più intima.
La testa sul cuscino, cercavo di
dormire, ma il sonno non voleva venire a trovarmi, e il mio cuore batteva
troppo veloce nel petto, mentre un pungolo inopportuno lo infastidiva.
*******
A Oscar le poche parole di quel
biglietto, fecero una strana impressione, che andò ad aggiungersi a tutte
quelle che l’avevano tormentata durante quel giorno.
Le aveva rilette svariate volte,
soffermandosi su alcune frasi; un lieve sconcerto l’aveva presa come se
qualcuno le avesse rubato per un attimo il respiro.
Soprattutto il cenno su André le
diede da pensare, ma non avrebbe saputo dire quale fosse il suo timore.
Di certo, era un vago sospetto che
coinvolgeva la sorella, ma la sua consistenza le sfuggiva, come fumo impalpabile
che si perde nell’aria.
Poche ore prima per lei era stato
penoso dover incontrare Fersen; prima di raggiungerlo si era fermata lungo il
fiume dove aveva dato sfogo a quel dolore che la stava soffocando; aveva pianto
e poi si era apprestata a soddisfare la richiesta che le aveva fatto la regina.
Mentre tornava indietro, sul terreno
fangoso con l’acqua che le inzuppava i capelli e la divisa, era stata felice di
vedere André arrivare sulla strada sotto la pioggia battente; l’aveva
abbracciata per porgerle il mantello e nel percepire il calore di quel contatto
semplice tra loro, aveva dimenticato il tormento che l’aveva accompagnata per
quasi tutto il giorno.
Non era più esistito Fersen, né le
suppliche della regina Maria Antonietta, né la loro relazione scandalosa. Ora
aveva il biglietto di Danielle tra le mani e l’ansia era tornata ad assalirla.
Mentre indugiava in quei pensieri
Andrè richiamò la sua attenzione.
“Sarà meglio toglierci questi abiti
bagnati Oscar.”
“Sì, hai ragione. Dopo raggiungimi in
sala. Prenderemo qualcosa di caldo per scaldarci un po’, ti va?”
“Certamente.”
Pochi minuti dopo, erano ancora
insieme seduti nel salottino privato davanti al fuoco acceso a sorseggiare
cioccolata calda, benché fosse passato l’orario da un pezzo. Oscar guardava
l’amico e pensava che poche ore prima si era trovato in quello stesso
salottino, solo con Danielle, la sua gemella così uguale a lei e così diversa;
si sorprese a chiedersi di cosa avessero parlato in sua assenza, come si
fossero guardati, e come Andrè avesse guardato l’altra. La domanda le uscì
quasi spontanea, sfumata di inaspettata curiosità.
“Ma oggi, tu e Danielle di cosa avete
parlato?”
“Delle solite cose; è stata lei ad
aprirsi maggiormente. Da quello che mi ha detto, ho avuto l’impressione che sia
una donna infelice… della sua vita, del suo matrimonio… non me n’ero mai
accorto.”
Dal tono, Andrè sembrava sinceramente
dispiaciuto.
“Credo che sia così un po’ per tutte
le mie sorelle, ma per Danielle forse lo è ancora di più; è sempre stata un po’
inquieta. Lei si è sposata a 15 anni e certamente mio cognato non deve averla
mai amata per davvero, d'altronde non era un matrimonio d’amore…”
“Quando mai lo è tra membri della
nobiltà, Oscar…”
“A volte possono nascere unioni
davvero solide. Ma come mai Andrè, siete arrivati a parlare di questo?”
Andrè sorseggiò con calma la sua
cioccolata prima di risponderle. Prendeva tempo.
“Così sai, si parlava dei vecchi
tempi. Di quando eravamo bambini. Parlavamo di amicizia; mi ha detto che le manca
un vero amico. Dalle sue parole mi è parso di capire che un po’ ti invidia…”
Oscar quasi rise.
“E cosa dovrebbe invidiarmi?”
Fu tentato di dirle la verità, ma
preferì darle una risposta più vaga.
“La libertà, credo… la tua
indipendenza in un mondo maschile.”
“Noi sorelle Jarjayes siamo strane;
sempre insoddisfatte di qualcosa.”
Il tono di Oscar sembrava vagamente
ironico. Non si era accorta di essersi sbilanciata troppo.
“Io credo che voi gemelle Jarjayes
siete strane; inseguite sempre quello che non potete avere.”
Andrè si era alzato dalla poltrona
per avvicinarsi al camino e ravviare il fuoco.
“Cosa intendi dire questa volta?”
Adesso sembrava piccata dalla battuta del suo attendente.
“Intendo dire che tua sorella non sta
bene dove sta. Spesso cerca altre cose.”
“Lo so. Sarà per questo che ogni
tanto cade tra le braccia di qualche gentiluomo, che però la distrae per poco,
perché si stanca in fretta. Dubito che sia mai stata davvero innamorata di
qualcuno; quello che sta cercando non lo troverà mai nel letto del solito
nobile annoiato e vizioso.”
Il tono di Oscar era pacato, quasi
rassegnato e Andrè si sorprese di sentirle fare certe affermazioni; secondo lui
quello era un argomento che lei non poteva conoscere a fondo.
“Tu non l’approvi, vero? Ti disturba
il suo comportamento.” Sembrava un’ accusa.
“Non si tratta di questo. A volte
vorrei che non si comportasse con tanta leggerezza; spesso prende per grandi
amori quelli che sono solo fuochi di paglia che bruciano rapidamente.”
“Forse tua sorella cerca solo un po’
di felicità; non mi sento di biasimarla.”
E abbassò lo sguardo sulla bevanda
calda, dolce amara che stava sorseggiando.
“Il mio non è biasimo e poi sono la
prima che vorrebbe vederla felice.”
“Ci fu anche quel pittore, ricordi?
Che storia! E non fu un fuoco di paglia.”
“Certo che lo ricordo; fu una storia
lunga e tormentata, c’erano troppe complicazioni. Fortunatamente Danielle ha
sempre saputo evitare gli scandali. Lui si rivelò geloso e possessivo fino
all’inverosimile e mia sorella ha sempre avuto uno spirito libero e
indipendente quanto il mio. Non ha mai gradito certi atteggiamenti.”
“È vero Oscar, in questo siete molto
simili; ma penso che quel pittore fosse sinceramente innamorato di lei e aveva
cercato solo di difendere il diritto di un uomo a reclamare per sé la donna che
ama.”
Andrè aveva parlato con aperta
convinzione, e Oscar ne fu sorpresa; dal tono, le era parso come se l’amico si
sentisse direttamente coinvolto.
“Quindi pensi che Danielle avrebbe
dovuto lasciare suo marito? Il padre dei suoi figli? Per seguire un uomo che
non le avrebbe garantito alcun futuro?”
“Non è del tutto vero; il pittore
aveva una discreta clientela. Credo che tua sorella abbia avuto paura, o forse
non lo amava abbastanza.”
Le fiamme del camino crepitavano bruciando
i ciocchi di legno, e diffondevano il loro calore e la loro luce attorno; Oscar
rimase assorta qualche secondo a contemplarle, prima di riprendere a parlare di
nuovo.
“Però ancora non capisco perché lei
si sia confidata con te. Comunque, tornando a quello che hai detto prima: io
che cosa cerco, Andrè?”
Andrè era rimasto in piedi vicino al
camino con un gomito appoggiato al piano di marmo pregiato; osservava Oscar
illuminata dalle fiamme del fuoco che facevano accendere i suoi capelli biondi,
quindi assunse uno dei soliti toni ironici che tanto pungevano Oscar sul vivo.
“Che cosa cerca il Colonnello delle
Guardie reali del Re di Francia? – parlava guardando in un punto imprecisato
della piccola stanza. - Cerca di difendere Maria Antonietta dagli intrighi
della corte, possibilmente senza farsi coinvolgere emotivamente, ma non sempre
ci riesce… in questo momento, proprio non ci riesce…” e tornò a guardare lei.
“Smettila Andrè, per favore. - Sbottò
Oscar. – Cosa avrei dovuto fare? Ignorare la richiesta della regina che mi
chiedeva di andare da Fersen? Non potevo sottrarmi, lo sai.”
“Ma potevo andare io da lui, in vece
tua…”
“Dovevo farlo io. Comunque, ho deciso
che la settimana prossima non andrò al ballo a Versailles; le chiacchiere dei nobili
attorno a questa storia non le sopporto più. Sai che faremo invece, André?
Accetteremo l’invito di mia sorella e andremo qualche giorno a casa sua. Stare
un po’ con lei mi farà bene…” esitò un attimo poi aggiunse rivolta all’amico.
“Andrè, non ti è sembrato che mia
sorella fosse strana oggi?”
Che strano, pensò lui, era la stessa
domanda che si era sentito rivolgere da Danielle nei confronti di Oscar. Non si
poteva dire che quelle due donne non fossero molto simili.
“Cosa intendi per strana?”
“Mi è sembrata turbata. Non so; forse
le sta accadendo qualcosa.”
Andrè non poté trattenersi dal
ridere.
“Oh Dio, Oscar! Non penserai che si
stia innamorando anche lei del conte di Fersen, vero?”
A Oscar la frase parve stranamente
allusiva, ma non approfondì.
“Se si sta innamorando, non è di
Fersen; lui non c’entra questa volta. L’interesse di Danielle è verso qualcun
altro.” e al commento gli allungò un’ occhiata di traverso.
“Cosa? E chi sarebbe?” Andrè era
davvero sorpreso.
“È solo un sospetto, non sono ancora
sicura. Ma lo scoprirò. È per questo che la settimana prossima andremo a
trovarla, Andrè.”
“Mi sorprendi davvero Oscar; di
solito le avventure amorose di tua sorella non ti interessano tanto.” rispose
Andrè divertito.
“Questa volta è diverso.” E non
aggiunse altro.
*****
Mia sorella ha deciso di venire a
passare qualche giorno da me, ma io ho pensato all’ultimo momento di lasciare
Parigi e di trasferirmi per un po’ nella tenuta di campagna che i Recamier
hanno fuori città. L’ho fatto perché ero stanca dell’atmosfera che si respira
qui, del brusio delle voci e delle insinuazioni; ho bisogno di tranquillità.
Naturalmente ho invitato Oscar a raggiungermi e lei ha accettato. In realtà ho
agito anche per calcolo; sul mio terreno sarà più facile per me gestire la
situazione che potrebbe venire a crearsi.
Particolarmente favorevole è il fatto
che mio marito starà lontano per diversi giorni, a causa di alcuni impegni che
lo hanno portato in alcuni nostri possedimenti nelle terre della Loira.
Volevo invitare anche Fersen; non che
io abbia qualche interesse verso di lui, ma se quello che penso ha un
fondamento di verità, forse mettere mia sorella di fronte alla realtà, servirà
a farle aprire gli occhi. Ho colto da parte del nobile svedese un palese
interesse nei miei confronti; sicuramente l’ho affascinato, anche se certamente
non si è invaghito di me, perché il suo primo pensiero va sempre alla regina,
la donna che sono certa, lui ami. Meglio così, non ho intenzione di gestire un
nuovo innamorato e sedurre Fersen non fa parte dei miei piani. È venuto diverse
volte a farmi visita a Parigi e non ho potuto non notare un atteggiamento che
riconosco fin troppo bene in un uomo che tenta di insidiarmi; quale fantasia
nella sua mente un po’ perversa devo aver scatenato lo posso indovinare
facilmente, sono troppo avvezza a queste cose.
In fondo è un uomo come tutti gli
altri, ma Oscar si è fatta di lui un’immagine troppo ideale che non corrisponde
assolutamente a quello che è la persona e io mi sono messa in testa di
strapparle quel velo che le offusca la vista.
Mi fa una certa rabbia che una come
lei non riesca a capire come stanno davvero le cose.
Improvvisamente mi balza alla mente
l’immagine di Andrè; non so pensare a lui come a un uomo qualsiasi, non a un
uomo come gli altri almeno. Se tentassi di conquistarlo non sarebbe facile.
Sono certa che non è un uomo che si
lascia ammaliare dallo sguardo compiacente di una donna.
No, con il bel attendente non potrei
giocare come ho fatto con altri, e per la prima volta mi sento davvero insicura
di me stessa. Non credo neppure di volerci provare, vorrei solo stargli vicino
e sperare che magari si accorga di quello che provo. Ma non so cosa posso
aspettarmi.
Però intanto, verrà qui con Oscar,
starà qui qualche giorno e io potrò vederlo, parlare con lui e chissà, forse
potrei riuscire a rubarlo a lei.
No, cosa vado a pensare?
Non si tratterebbe di rubare, perché
lui è un uomo libero e Oscar non può certamente reclamarlo.
Non vedo l’ora che arrivi qui.
Ho dovuto attendere solo qualche
giorno e una mattina sul tardi, ho visto sopraggiungere la carrozza dei
Jarjayes.
Naturalmente, da buona padrona di casa
ho dato subito il benvenuto ai miei ospiti.
Mentre davo le disposizioni alla
servitù per sistemare Oscar e Andrè nelle loro stanze, mi fu inoltrato un
messaggio del conte di Fersen; alla fine aveva accettato il mio invito molto
cortesemente e mi comunicava che sarebbe giunto il giorno seguente. Adesso
avrei dovuto comunicare la notizia anche ad Oscar e ancora non sapevo come
avrebbe preso la faccenda. Soprattutto non sapevo come avrebbe reagito Andrè,
ma qui non avrebbe potuto eclissarsi come faceva a palazzo Jarjayes.
L’occasione di metterlo alla prova si
presentò subito dopo pranzo.
Lo osservai attentamente al fine di
cogliere qualsiasi reazione da parte sua, anche la più dissimulata. Eravamo in
salotto comodamente seduti a fare conversazione.
Oscar stava salutando i suoi nipoti
che si dimostravano sempre molto entusiastici di incontrarla, quando decisi di
darle la notizia.
“Tu non lo sai ancora, cara, ma il
conte di Fersen domani ci raggiungerà qui. Ho voluto invitare anche lui,
pensando che la cosa potesse farti piacere e poi è un uomo di ottima
compagnia.”
Uno sguardo di velato interesse tradì
la sua sorpresa, ma fu la reazione di Andrè a colpirmi principalmente; fino a
quel momento, la sua espressione mi era apparsa serena e rilassata, ma appena avevo
nominato Fersen si era quasi fatto scuro in volto e la sua bocca si era piegata
in una smorfia amara trattenuta a stento. Non fece alcun commento, ma dai suoi
occhi si poteva intuire cosa stesse pensando: non era affatto contento. Mi
dispiaceva un po’ che la prendesse così male, ma il conte era indispensabile
per quello che mi prefiggevo di fare.
Aspettavo il commento di Oscar che
infatti non si fece attendere.
“Sarò lieta d’incontrarlo… - e mentre
lo diceva avevo l’impressione che pensasse esattamente il contrario – Danielle,
sei diventata molto intima con Fersen, o sbaglio? Vi frequentate spesso a
quanto mi risulta.” e la sua non era una domanda, ma un’ ovvia constatazione.
“Sì, è vero. Il conte è venuto spesso
a trovarmi a Parigi…” ammisi indifferente.
“Oh, davvero; posso chiederti in che
rapporti sei con lui?”
Nel tono di Oscar potevo percepire
una lieve apprensione, ma non avrebbe mai formulato a voce il suo timore. Ma io
sapevo benissimo di cosa poteva aver paura.
“Siamo buoni amici. Una sera ci siamo
incontrati a teatro e dal momento che ero sola, mi ha tenuto compagnia tutta la
sera. Da lì ha preso a frequentare la mia casa e devo dire che si è inserito
benissimo nella cerchia dei miei amici. È molto stimato e apprezzato da tutti.
Ma tu questo lo sai già molto bene.” le dissi agitando il ventaglio con
eleganza.
“Avevo capito che lo trovavi poco
interessante; stai cambiando idea?”
La voce di mia sorella era diventata
ironica e io sapevo benissimo dove voleva andare a parare. Pensai bene di smontare
subito la sua teoria.
“Oscar ti prego, non mi fraintendere;
non ho nessun tipo di interesse personale verso il conte di Fersen. È un uomo
non privo di attrattive, interessante, certo, ma non abbastanza da indurmi a
farne uno dei miei amanti, se è questo che pensi.”
Andrè restò in silenzio di fronte a
quel nostro piccolo diverbio, i suoi occhi si posavano ora su di me, ora su
Oscar.
“Non lo penso affatto, altrimenti non
mi avresti invitata qui. E comunque, la cosa non potrebbe riguardarmi.”
Mi rispose con tono fermo e serio.
Troppo serio.
Per quanto tentasse di nasconderlo
era evidente il suo nervosismo ed era ancor più evidente che non avrebbe voluto
incontrare Fersen su quel terreno, ma non capivo esattamente perché.
Andrè invece si manteneva imperturbabile
e non sembrava voler entrare nel discorso. Scoprii solo più tardi che la sua
calma era solo apparente, inoltre aveva intuito che mi prefiggevo uno scopo che
coinvolgeva Oscar. Ancora una volta mi sarei sorpresa di quanto fosse
protettivo nei suoi confronti.
Oscar era andata a riposare qualche
ora ed io ero rimasta sola nel giardino della villa, a camminare sotto gli
alberi da frutto della mia tenuta, quando André mi raggiunse; capii subito dal
suo atteggiamento diretto che non lo avrei blandito con delle banali scuse. Mi
arrivò dietro le spalle afferrandomi per un braccio.
“Danielle, che cosa stai cercando di
fare? I tuoi giochetti non mi piacciono.”
Il suo tono era perentorio.
“Lasciami il braccio, mi stai facendo
male.” Gli dissi decisa.
“Allora? Perché hai invitato Fersen?”
Continuava a stringermi il braccio e
non pareva voler mollare la presa.
“È un amico, e gli amici si invitano
a casa propria. Cosa c’è di strano?”
“Fersen non è un semplice amico, lo
sai benissimo. È forse l’uomo più discusso di Francia in questo momento. Io
trovo molto strano che tu ci abbia riuniti tutti qui, sotto il tuo tetto. Tu
hai in mente qualcosa che riguarda anche Oscar; perché vuoi coinvolgerla nelle
tue trame?”
“Andrè così mi offendi; parli come se
io fossi una di quelle sciocche intriganti che si trovano a Versailles. Non è
nel mio stile divertirmi alle spalle altrui.”
Ero infastidita dal suo atteggiamento
e glielo feci capire, ma lui non si calmò affatto.
“Perché hai invitato Fersen quando
hai detto di aver capito cosa prova Oscar per lui… e cosa provo io? Non stai
cercando di fare in modo che lui e Oscar…”
“Oh, Dio! Ma come ti viene un’ idea
del genere?” ero sinceramente scandalizzata da un’ idea simile.
Il suo sguardo divenne perplesso e
lievemente preoccupato. Non me la sentii di lasciarlo nell’incertezza, e anche
se non potevo spiegargli tutto, volevo che almeno fosse sicuro delle mie buone
intenzioni.
“Andrè non dovrei dirtelo, perché non
è cosa che dovrebbe riguardarti, ma te lo dico ugualmente, così forse ti
calmerai: lo sai che ho notato nel conte un palese interesse nei miei
confronti? Ti assicuro che egli non è nulla per me, ma intendo scoprire da cosa
deriva il suo interesse; forse dal fatto che io sia la sorella di Oscar, o
forse no. Non lo so esattamente, vorrei solo capire quanto sia sincero e
disinteressato.”
“Posso dirtelo io; non è né sincero,
né disinteressato. Lo sai anche tu che ama soltanto la regina e nonostante
questo, non riesce ad esserle fedele.”
Sentivo il suo sguardo che mi frugava
addosso, mi pareva che leggesse attraverso le mie iridi.
“Non è lui che mi interessa, André…”
dissi in un soffio, lanciandogli un’ occhiata eloquente che sono sicura, colse
in pieno.
“Non importa. Se avevi in mente dei
giochini con Fersen, non dovevi invitare Oscar, qui; la farai star male.”
“O forse le farò aprire gli occhi,
dipende.”
Ripresi a camminare con calma lungo
il sentiero e sentivo il sole che scaldava le mie guance; agitavo il ventaglio
per avere un po’ di refrigerio. Andrè continuava a seguirmi. Non si era del
tutto calmato.
“Perché ti preoccupi di questo? Sei
troppo annoiata della vita che fai che devi gestire quella degli altri?” era
diventato cinico e mi sentii offesa.
“André!!”
Mi voltai verso di lui e alzai una
mano, decisa; lo colpii in pieno viso. Lui incassò il colpo senza fare alcuna
resistenza, non reagì se non massaggiandosi leggermente la guancia un poco
arrossata. Posò le mani lungo i fianchi; quando mi rispose, la sua voce mi
colpì con una fitta acuta di dolore.
“Danielle, giocare coi sentimenti
delle persone è come scherzare col fuoco; può essere molto pericoloso. Tienilo
a mente.”
Il tono che aveva usato era stato
severo, poi a grandi passi aveva abbandonato il giardino tornando verso la mia
dimora.
Io non volevo giocare coi suoi
sentimenti e neppure con quelli di Oscar; in realtà volevo solo che lei si
liberasse della sua ridicola ossessione per Fersen, ma non sapevo esattamente
perché avessi questo desiderio. Forse perché mi sembrava infelice? Oppure
perché non volevo che commettesse lo stesso errore che avevo fatto io in
passato, quando mi ero innamorata dell’unico uomo che non avrei potuto avere?
Un errore che forse stavo per fare
nuovamente e sentivo che non sarei riuscita ad evitarlo. Perché ricadiamo
sempre negli stessi sbagli?
Nutrivo l’illusione che se Andrè
poteva amare mia sorella, forse avrebbe potuto amare anche me, per la stessa
ragione.
Ma non era la razionalità a guidarmi,
non sapevo neppure cosa fosse adesso, quel dolore che sentivo nel petto, dopo
che Andrè se n’era andato lasciandomi sul cuore il peso di quelle parole amare.
Non rimasi sola a lungo perché Oscar
mi raggiunse pochi minuti dopo.
Aveva un’ aria stanca; non aveva
sicuramente dormito. Doveva essere rimasta a rimuginare nella sua stanza per
tutto quel tempo e intuivo benissimo quale fosse stato l’oggetto dei suoi
pensieri. Me lo confermarono le sue parole.
“Credevo che Fersen sarebbe rimasto a
Parigi, non mi aspettavo che lo avrei trovato qui.”
“Neppure io ero sicura che avrebbe accettato
il mio invito. Oscar, ho come l’impressione che tu non gradisca incontrarlo. Mi
sto sbagliando, forse? Ci sono state delle incomprensioni tra voi? Forse a
causa della regina?”
“No, niente del genere. Solo che
avevo pensato di venire qui e dimenticarmi per un po’ di Versailles e tutti i
suoi scandali, capisci cosa intendo?”
“Perfettamente, e ti dico che non
devi preoccuparti; trascorreremo tranquillamente le nostre giornate senza
doverci preoccupare di pettegolezzi inutili e fastidiosi.”
“Sarà certamente così.”
Restò in silenzio un momento,
sembrava persa in qualche strano pensiero; poi a bruciapelo, mi fece l’unica
domanda per cui non ero preparata.
“Cosa è successo con André?”
Mi colse completamente di sorpresa e
se ne accorse. Di fronte alla mia espressione incredula mi incalzò nuovamente.
“L’ho incontrato poco fa; aveva un’
espressione seccata e piuttosto arrabbiata, e a giudicare dal tuo stupore,
forse tu sai perché.”
Non seppi cosa risponderle. Quasi
annaspai alla disperata ricerca di una scusa. Poi optai per quella più banale,
ma sicura.
“Non saprei cosa dirti Oscar,
comunque non è accaduto nulla di grave. Abbiamo parlato come facciamo
solitamente.”
“Ultimamente per parlare, cerchi
spesso la compagnia del mio attendente.” constatò.
Potrei giurarci che nello sguardo le
passò l’ombra di un dubbio. Oscar non mi credeva? Cosa pensava davvero?
“Sì, nonostante qualche divergenza di
opinione.” Le dissi cercando di non dare importanza a quello che stavo dicendo.
Cercai di essere convincente.
“Andrè non si arrabbia mai per niente
e qualsiasi cosa tu abbia detto, devi averlo seriamente offeso, Danielle.
Vorrei che tu evitassi discussioni con lui, in futuro.”
“Ma Oscar, non ti sembra di
esagerare? Perché ti scaldi tanto per una sciocchezza?”
Ero davvero sorpresa di notare un
atteggiamento del genere in lei; non sapevo che fosse così protettiva nei
confronti di Andrè, quasi quanto lui lo era con lei. Che cosa significava?
Perché si stava preoccupando tanto per André?
“Danielle, André è il mio più caro
amico; non angustiarlo con i tuoi problemi personali che comunque, non potrebbe
risolvere; non giocare con lui.”
Guardai mia sorella negli occhi e
ammutolii davanti al suo sguardo serio; qualcosa nella sua espressione mi
spaventò.
Leggevo in lei una strana determinazione
che ero certa di non aver mai colto; sembrava reclamare uno specie di possesso.
Aveva calcato il tono sulle parole mio amico, quasi sottolineandole e di
nuovo avvertivo quella specie di esclusività che distingueva il loro legame.
Forse fu in quel momento che capii
che Oscar non ammetteva e non avrebbe ammesso interferenze esterne a quella
loro amicizia.
Oscar teneva a lui più di quanto
credessi, più di quanto lei stessa fosse disposta ad ammettere. E Fersen
allora? Come si inseriva il presunto amante della regina in quella specie di
triangolo? Non aggiunse altro e se ne andò, lasciandomi lì assolutamente
stranita e timorosa di riuscire a entrare nel cuore di Andrè, chiedendomi cosa
avrebbe potuto significare mettermi tra loro.
Continua…
Salve a tutte e scusate
il ritardo di questo aggiornamento, ma prima non potevo.
Questa storia è davvero
complessa e complicata e ammetto che ho qualche timore di fare passi falsi, ma
faccio del mio meglio per rendere credibile e vera Danielle.
Come vedete ho cercato
in massima parte di tenere il punto di vista di Danielle, che poi è quello che
io tendo a privilegiare. Ho pensato molto a una possibile soluzione alternativa,
ho pensato anche di cancellare la scena tra Oscar e Andrè, ma mi pareva che
mancasse qualcosa, e dovevo far capire un po’ i pensieri di entrambi e le loro
reazioni, e non ho trovato altra soluzione che la terza persona. Io spero che
vi sia piaciuto, soprattutto che non stoni troppo nel capitolo, fatemi sapere i
vostri pareri che sono sempre ben accetti.
Naturalmente vi
ringrazio per le numerosissime recensioni che mi hanno davvero sorpreso e mi
hanno fatto molto piacere; avrei voluto rispondere a tutte, ma non ho fatto in
tempo.
Mi scuso con tutte voi, per l’enorme ritardo di questo
aggiornamento.
Purtroppo il mio tempo è poco, e portare avanti due storie
complesse (una su un altro fandom) diventa davvero pesante per me.
Questa è una storia non facile da gestire, che richiede davvero
tutti i miei sforzi e la mia massima attenzione, e non so se basta.
Devo ringraziare la cara Audreiny, per i suoi preziosi consigli
e per l’aiuto che mi sta dando.
Inoltre ringrazio tutte voi che seguite questa storia e la
commentate con tanto entusiasmo; siete un grande incoraggiamento per me, e
spero che la lunga attesa non vi abbia fatto perdere la voglia di seguire
questa ff. Come sempre attendo i vostri commenti e ogni considerazione positiva
e non, che vorrete lasciare. Spero sia una buona lettura.
Ne approfitto per ringraziare tutte coloro che hanno letto e
apprezzato la ff “Sorella perduta”.
*******
Il
conte di Fersen raggiunse casa mia il giorno dopo in tarda mattinata. Trovò
solo me ad accoglierlo, perché Oscar era uscita a cavallo con André e
stranamente non erano ancora rientrati. Pensai immediatamente che l’avesse
fatto di proposito e trovai davvero strano e curioso il suo atteggiamento: mia
sorella, anche se innamorata di un uomo irraggiungibile, non si comportava
certamente come una donnetta qualsiasi, dovevo dargliene atto.
Se
davvero era innamorata di lui, perché stava facendo di tutto per evitare di
incontrarlo? Perché aveva reagito in quel modo quando le avevo detto che si
sarebbe unito a noi? Non riuscivo a capirlo; forse voleva evitare una
situazione imbarazzante. Potevo essere io stessa, la causa di quel sottile
disagio.
Quasi
certamente era così.
Oscar
non voleva affrontare l’imbarazzo di un possibile confronto fra noi, di fronte
all’uomo di cui era innamorata, e magari temeva di soccombere contro il suo
alter ego in abiti femminili.
Lei
conosceva l’ascendente molto forte che esercitavo sugli uomini, lo aveva visto
nei salotti di Versailles, sapeva dei miei successi, del mio potere di
ammaliare i miei interlocutori, dei cuori che avevo infranto nelle vesti di una
giovane un poco immatura, magari solo per gioco o per noia. Poteva affrontare
Fersen sul suo terreno, al sicuro nella sua casa con André al suo fianco;
magari, anche di fronte alla stessa regina poteva sostenere quella prova. Ma
con me era diverso.
Era
senz’altro più difficile, più doloroso.
Oscar
sosteneva un ruolo maschile che si sforzava di recitare alla perfezione. Da
sola, poteva quasi ingannare chiunque, facendo credere davvero di essere un
uomo, ma l’ imbroglio crollava al mio cospetto e lei si sentiva inadeguata.
E
mi dispiaceva che si sentisse così, perché in realtà non ne avrebbe avuto
ragione.
Oscar
è una donna straordinaria proprio per quella sua femminilità sottopelle che
cela sotto la divisa, un carisma di cui lei sembra essere totalmente inconsapevole.
In
verità, Oscar ha sempre avuto paura di confrontarsi con questo lato della sua
natura. Ha sempre avuto timore di confrontarsi con me. Il suo riflesso, il
doppio, la sua parte oscura è quella parte che la spaventa. La femminilità, il
potere di seduzione nascosto in ogni donna, è l’arma più potente che madre
natura ci ha dato per esprimere noi stesse. Oscar in me, vede se stessa e
quello che avrebbe potuto essere, e riconosce quell’istinto naturale che da
sempre è costretta a soffocare. Vede ciò che le è stato negato dalla nascita e
dal capriccio di nostro padre.
In
verità, per quanto possa essere innamorata di Fersen, Oscar non saprebbe cosa
fare per conquistarlo o sedurlo, ma sa che io ci riuscirei senza sforzo, e teme
che possa accadere sotto il suo naso.
Forse
André aveva avuto ragione ad arrabbiarsi, ma io restavo fermamente convinta che
sarebbe stato necessario per la serenità di Oscar, avere un serio confronto con
la realtà; avrebbe magari sofferto all’inizio, ma se fossi riuscita a metterla
in contatto con la sua essenza più intima, avrebbe trovato il suo equilibrio e
si sarebbe liberata della sua fragile illusione. Una donna che conosce e
accetta se stessa, sa di cosa ha davvero bisogno, e non diventa preda di
ridicole fantasie.
Dopo
aver affidato i miei figli alle cure del loro precettore, invitai Fersen nel
mio salotto privato dove avremmo atteso il ritorno di mia sorella a palazzo,
prima di prepararci per il pranzo. Il conte esordì esibendo un’ elegante
riverenza e baciandomi la mano con la galanteria inconfondibile dell’uomo che
vuole impressionare positivamente una donna.
“Madame
Recamier, i miei più devoti omaggi; mi aspettavo di incontrare madamigella
Oscar insieme a voi, ma vedo che non è qui. Posso chiedervi dov’è e come sta?”
Era
un proforma; Fersen mi stava chiedendo di Oscar per educazione, ma ero certa
che il suo reale interesse fosse rivolto a me. Lo capivo dal suo sguardo
insistente e intenso che incontrava il mio e che io ricambiavo con uguale
impudenza.
“Oscar
sta benissimo, grazie; adesso è fuori a cavallo, ma si unirà a noi per il
pranzo. Ma ora ditemi: che notizie mi portate da Parigi? Siete sempre voi,
conte, al centro di tutte le chiacchiere?” Fui volutamente maliziosa con
l’ultima frase.
L’avevo
colto di sorpresa, ma non avevo saputo resistere; mi piaceva mettere in
difficoltà un uomo che avesse qualche mira su di me. Mi ero seduta comodamente
sul divano e avevo invitato il conte a prendere posto al mio fianco; si aprì in
un sorriso stanco prima di rispondermi.
“In
buona parte, sì… - parve esitare – ma devo confessarvi che anche voi contessa,
da quando siamo stati visti insieme a teatro, avete destato molte voci tra i
curiosi… non immaginate cosa pensano di noi.”
Superata
la sorpresa aveva saputo riprendersi benissimo e ribattere con acutezza di
spirito.
“Oh,
lo immagino perfettamente, invece; nella fantasia popolare siamo già diventati
amanti.”
“Oh…
siete una donna sagace. Se così fosse, questo sarebbe un vero motivo d’orgoglio
per me, contessa; le dicerie non sembrano sconvolgervi troppo.” Commentò
tranquillo, allargandosi in un sorriso che arrivò ad illuminargli lo sguardo,
di solito freddo: mio malgrado, lo trovai davvero affascinante.
“Non
mi turbano affatto; che volete farci? Per motivi diversi sia io, sia voi siamo
due personaggi sempre al centro dell’ attenzione: io, perché sono la sorella
del Colonnello Oscar, e voi perché siete un uomo di mondo…”
“Ahimè,
non posso che darvi ragione contessa.” Una nota di rassegnazione nella voce.
Mi
premurai di rassicurarlo; non volevo che assumesse l’ atteggiamento di chi è
sulla difensiva.
“Non
preoccupatevi: non vi ho fatto venire per parlare di questo. Siete qui perché
ho stima di voi, come Oscar, del resto.”
“Mi
sento veramente onorato; in realtà a Parigi sono tutti in fermento per il ballo
a corte che si terrà questo fine settimana: pare che tutte le modiste della
città stiano lavorando alacremente per confezionare più di un centinaio di
nuovi abiti da sera per l’occasione.”
“Voi
prenderete parte al ballo?” chiesi con interesse evidente che Fersen colse
senza sforzo.
Lasciò
passare qualche secondo prima di rispondermi con un tono che mi sembrò allusivo
e velatamente compiaciuto.
“In verità sono combattuto, ma ne avrei tutta
l’intenzione.”
“Combattuto? E perché mai?”
“Immaginate cosa direbbe la gente se mi vedesse
danzare tutta la sera con Sua Maestà: non farei che peggiorare tutto quello che
già sta accadendo, però…”
“Però la tentazione è molto forte, vero? Forse
sarebbe più saggio accompagnarvi con un’ altra dama per tutta la serata;
spegnereste le dicerie attorno alla regina.”
Il conte colse subito la mia allusione maliziosa,
facendo esattamente ciò che mi aspettavo; era davvero facile portarlo dove
volevo.
“Voi chi proporreste, madame?”
“Io sarei felice di aiutarvi, mentre voi mi
evitereste tanti fastidiosi corteggiatori.”
“Così renderemmo fondate le voci di una nostra
relazione. Vi prestereste davvero a questo, senza temere per la vostra
reputazione?”
Fummo interrotti da un rumore di passi frettolosi
che annunciava il ritorno di Oscar; pochi istanti dopo fece il suo ingresso in
salotto seguita da André. Sorrise e salutò Fersen che ricambiò in maniera
amabile, mentre André mantenne il più assoluto distacco, rivolgendo allo
svedese un semplice cenno del capo.
Non mi sfuggì però l’occhiata severa che lanciò al
mio indirizzo.
Ero un po’ preoccupata per l’atteggiamento ostile di
Andrè: cosa mi sarei dovuta aspettare da lui?
Avrebbe cercato di ostacolarmi? Lui non sapeva cosa
in realtà io desiderassi davvero; non sospettava di essere lui l’oggetto dei
miei pensieri più intimi. Però non sapevo come avvicinarlo nel modo giusto e il
nostro alterco del giorno prima, aveva complicato ulteriormente le cose. Per
amore, spesso si fanno i ragionamenti più sbagliati, eppure io pensavo a lui
costantemente; avrei fatto di tutto, approfittato di qualsiasi occasione per
stargli vicino.
Dovevo trovare il modo di placarlo; avevo bisogno di
un alleato non di un nemico.
Lui era la ragione principale della presenza di
Oscar in casa mia; anche i miei piani su Fersen, una semplice e innocua pedina
sulla mia scacchiera, erano di secondaria importanza.
Ma dovevo stare attenta; stavo per aprire una
partita con troppi giocatori che sarebbe stato difficile gestire, e se qualcosa
fosse andato storto, io ero quella che aveva più da perdere: oltre Andrè, mi
sarei inimicata anche Oscar ed ero troppo legata a lei per voler pagare un
simile debito.
Inoltre, non avevo nessuna idea di come attuare una possibile
strategia di conquista; anzi più ci pensavo, più mi pareva che questa
possibilità diventasse sempre più remota. Non avrei mai potuto prendere il
posto di Oscar nel cuore di quell’uomo dalla natura così gentile, eppure forte.
Giorno dopo giorno, sentivo crescere dentro di me il
mio sentimento irrefrenabile per lui, e non sapevo come controllarlo; ero certa
di non aver mai provato un simile trasporto per nessuno degli uomini di cui mi
ero invaghita in passato. Questo perché nessuno era come André; nessuno aveva
quella dolcezza e fermezza che intuivo in lui, la sua passione e la forza
d’animo che metteva nello stare vicino ad Oscar.
Desideravo soltanto poter essere amata nello stesso
modo.
Desideravo scoprire cosa si prova ad essere amate
con una tale passione, desideravo che anche il mio cuore potesse volare,
respirare quell’ aria più dolce che profumava di quella vita che io non
conoscevo.
Oscar scomparve nella sua stanza per ricomparire
solo al momento del pranzo.
Diedi disposizioni alla servitù di apparecchiare
nella piccola sala della mia dimora, che usavamo abitualmente solo io e mio
marito; quella più grande era riservata a pranzi e cene importanti e
impegnative, ma l’ambiente più intimo della prima, sarebbe stato ideale per far
sentire i miei ospiti a loro agio e liberi di conversare tranquillamente.
Naturalmente André, non poteva unirsi a noi, quindi
si era appartato in cucina con il resto della servitù; solo a Palazzo Jarjayes,
egli si permetteva di consumare i pasti allo stesso tavolo con Oscar; qualche
volta era accaduto a casa mia, lontano comunque da Parigi e mai in presenza di
terzi.
Fersen sedeva di fronte a mia sorella e io a
capotavola.
Il pranzo fu piacevole e tra una portata e l’altra,
la conversazione fu amabile, a tratti interessante e vivace.
Se volevo attuare il mio proposito, cioè mostrare a
Oscar chi era davvero il conte di Fersen, dovevo iniziare a pilotare il
discorso nella giusta direzione. Ma dovevo farlo senza suscitare sospetti o
malumore nei miei commensali, principalmente in Oscar. Volevo indurre Fersen a
palesare in parte le sue intenzioni e far crollare quella maschera perfetta con
cui nascondeva il suo vero volto; quello del seduttore e libertino, infedele
alla stessa donna che diceva di amare tanto, quello perverso e cinico che
voleva sedurre la gemella del colonnello Oscar.
Era solo quella la ragione che aveva spinto il conte
ad accettare il mio invito.
Quali altri interessi avrebbe potuto avere?
E io ero stata abilissima a fargli credere che ci
fosse un qualche interesse nei sui confronti da parte mia.
Mia sorella e Fersen fino a quel momento avevano
parlato con tranquillità, dilungandosi su noiosi paragoni tra la corte francese
e quelle del Nord Europa.
“Nel mio paese credo sarebbe del tutto impensabile
per una donna, ricoprire il ruolo che avete voi nell’esercito francese,
madamigella Oscar… - stava affermando Fersen. – La Francia da questo punto di
vista è un paese modernissimo.”
“L’unicità del caso non fa del nostro paese uno
stato all’avanguardia…”
Intervenni con convinzione mentre Fersen si rivolse
direttamente ad Oscar.
“Voi cosa pensate a riguardo, madamigella?”
Oscar stava sorseggiando un bicchiere di vino. Lo
posò sulla tovaglia bianca ricamata, prima di rispondere pacata. Era vestita in
modo informale, come sempre quando non ricopriva il suo ruolo; un’ampia e
comoda camicia di seta immacolata e pantaloni di velluto grigio tortora.
“In parte sono d’accordo con Danielle: il mio caso è
unico in Francia. Forse il personaggio più moderno è stato mio padre; non so
quale altro uomo avrebbe mai allevato una figlia dandole l’educazione che ho
ricevuto io…”
“Vostro padre un uomo moderno; strano, lo avrei
definito piuttosto austero e conservatore, un uomo d’ altri tempi, insomma!”
Lei accolse il commento senza ribattere, ma piegando
le labbra in un leggero sorriso che non riuscì ad essere pienamente
convincente.
Mi sorpresi di come quell’uomo a volte riuscisse ad
essere indelicato; stava parlando di nostro padre con eccessiva leggerezza.
Questa era una delle cose che me lo rendevano sgradito. Chiamai la servitù per
far servire la portata successiva, poi mi decisi a cambiare argomento e mi
rivolsi a mia sorella con tranquilla disinvoltura.
“Il conte mi ha assicurato che prenderà parte al
prossimo ballo a Versailles e credo che interverrò anch’io. Tu ci sarai, vero,
Oscar? Si tratta di un ballo importante e il colonnello delle Guardie Reali non
può mancare.”
Oscar non rispose subito, ma si limitò a fissarmi un
attimo.
Fersen parlò di nuovo, questa volta, rivolgendosi a
me.
“Spero che mi concederete più di un ballo, Madame
Recamier; per ballare con voi rinuncerei a danzare con la regina.”
Il sottinteso era chiaro e io stetti al suo gioco.
Stava facendo esattamente quello che volevo.
Il conte sembrava non farsi remore neppure davanti
ad Oscar. Molto probabilmente non si preoccupava di quello che lei poteva
pensare, un altro segno d’indelicatezza da parte sua. Lontano dal ricordarsi
che fosse una donna, non sembrava considerare il fatto che avrebbe potuto
offendere la sua sensibilità.
D'altronde, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di
questo?
Lui ignorava totalmente i suoi sentimenti. E anch’io
finsi di non conoscerli.
“Io sono piuttosto esigente conte, pretenderò
l’esclusiva tutta la sera.” Sorrisi benevola al suo indirizzo, ignorando lo
sguardo incerto di mia sorella. Anche lui parve ignorarlo.
“Una donna affascinante e bellissima come voi, può
pretendere questo ed altro; sarò sicuramente molto invidiato da tutti i
gentiluomini presenti.”
“Oh, la cosa non mi preoccupa e queste sono le mie
condizioni: se volete danzare con me, non dovrete ballare con nessun’altra,
neppure con Sua Maestà… Allora? Accettate, conte? O forse, vi sto chiedendo
troppo?”
Oscar stava osservando la scena senza battere
ciglio. Non saprei dire esattamente cosa le passasse per la testa: sorseggiava
con calma il suo vino e pareva essere indifferente a quello che stava
succedendo.
Poi, improvvisamente, puntò la sua attenzione su
Fersen, attratta dallo sguardo complice e malizioso che mi aveva rivolto. Si
era accorta del gioco fatto di sguardi e allusioni che avevamo iniziato e
adesso, potrei giurarlo, sul suo volto si era dipinta un’ espressione piuttosto
sorpresa e allo stesso tempo, vagamente confusa. Il comportamento di Fersen la
sconcertava non poco, ma non sapeva esattamente perché; era del tutto nuovo,
come era nuova la situazione in cui veniva a trovarsi da testimone; non era
assolutamente preparata a quell’approccio aperto del conte verso di me.
Era lì che volevo arrivare e non avevo sperato che
cogliesse il messaggio tanto in fretta, ma temevo anche la sua possibile
reazione.
Avrei rincarato la dose perché c’era un altro punto
che mia sorella doveva avere chiaro: se volevo demolire la figura di Fersen ai
suoi occhi, dovevo farlo totalmente, appiattirlo e farlo apparire comune alla
maggior parte dei nobili. Per ottenere questo risultato dovevo smascherare il
suo reale pensiero, la sua ideologia fasulla e ipocrita. Ma per farlo, dovevo
portare sulla scena Andrè; ero quasi sicura che nient’altro avrebbe aperto gli
occhi di Oscar maggiormente. Sarebbe stato il colpo di grazia, ma era
necessario, o almeno così credevo.
Mi dispiaceva dover coinvolgere Andrè in quel modo,
ma non vedevo altre soluzioni ed ero ben consapevole che si trattava di una
mossa pericolosa; non l’avrebbe presa bene e potevo immaginare quale sarebbe
stata la sua reazione se avesse avuto sentore del mio obiettivo.
Così, buttai la mia esca.
“Oscar, potevi lasciare che Andrè pranzasse con noi;
a voi, conte, non sarebbe dispiaciuto, vero? Probabilmente sapete che mia
sorella e il suo attendente pranzano spesso insieme nella casa di mio padre.”
Mia sorella, il bicchiere di vino a mezz’aria, alzò
appena un sopracciglio puntando i suoi occhi limpidi nella mia direzione, ma
non aprì bocca.
Mi aspettavo invece, l’intervento di Fersen che non
si fece attendere e come prevedibile, disse un’altra frase poco felice.
“Lo so perfettamente; è una cosa davvero insolita e
inusuale. Voglio dire… che un servo possa mangiare alla tavola del padrone. Se
anche voi madame Recamier, abitualmente acconsentite a questa abitudine, io mi
sarei adattato senza problemi… davvero.”
“Danielle, lo sai che non lo fa mai…” intervenne
Oscar, che aveva posato il bicchiere vuoto sul tavolo, e appariva davvero
infastidita.
“Sì cara, lo so, ma Andrè è come uno della famiglia
e il conte sa perfettamente che egli non è un servo come gli altri, giusto?” e
guardai il mio ospite con convinzione puntando lo sguardo su di lui.
“So che André è un buon amico per madamigella Oscar;
certo, nel nostro ambiente si tratta di un rapporto unico, ma può essere
naturale che un attendente e l’ufficiale cui presta servizio siano complici;
qui, l’aspetto insolito di tutta la faccenda è il fatto che Oscar sia una
donna. Non sarebbe ammissibile la stessa amicizia tra voi, Madame Recamier, e
il vostro maggiordomo personale, per una semplice questione di convenienze.”
“Insomma conte, fatemi capire: state dicendo che
potrei avere una relazione clandestina con il mio maggiordomo personale, ma non
una sincera amicizia?”
Ero un po’ sbigottita, ma sinceramente divertita
dalla piega che stava prendendo la conversazione.
“Beh, contessa, state parlando di una cosa che
accade spesso. Ma non dico che possa riguardare voi.”
Fersen sorrise con leggerezza senza notare il
disappunto che si dipingeva sul viso di Oscar. Ero arrivata dove volevo e
lanciai l’ultima provocazione per indurre il conte a dichiararsi apertamente
sulla questione.
“Mi sorprendete Fersen; vi credevo più moderno.
Insomma, ammettete le solite tresche amorose, ma pensate che tra servo e
padrone debba esserci la giusta distanza; siete davvero convinto? Volete dire
che non avete un rapporto quasi di intima fiducia con il vostro cameriere
personale? Non c’è complicità?”
Insinuai il dubbio nella mia voce. Egli non si
smentì affatto, e parlò con una sicurezza impossibile da fraintendere.
“Ma certo, questo è ovvio. Vedete madame, non si
tratta di essere moderni o conservatori. La questione è un’altra: ognuno di noi
ha il suo posto nel mondo e si deve rispettare il proprio ruolo, per il bene di
tutta la società civile. Un servo non può pensare di essere un mio pari:
classe, educazione, privilegi ci divideranno sempre.”
Parole strane dette da un uomo sospettato di avere
una pericolosa relazione clandestina con la regina di Francia, fatto assai
scandaloso che aleggiava sulla bocca di tutti.
Non avrebbe potuto esprimersi meglio, né in maniera
più offensiva verso mia sorella che infatti non resse più quella conversazione.
Si alzò da tavola appoggiando il tovagliolo accanto al suo piatto, ancora quasi
del tutto intatto e si congedò, decisa ad allontanarsi.
“Vogliate scusarmi: non ho più fame e preferisco
ritirarmi.” Rispose in tono gelido.
Velocemente e
senza degnarci di uno sguardo, si allontanò dalla sala, sotto lo sguardo
stupefatto e del tutto inconsapevole del conte di Fersen, il quale rimase un
po’ spiazzato dalla reazione di Oscar; temendo di averla offesa in qualche
modo, mi chiese spiegazioni e io lo rassicurai per quanto potei.
Con mia sorpresa, non si convinse del tutto.
“Credo di essere stato indelicato nei riguardi di
vostra sorella; a volte, tendo a dimenticare che lei e André sono cresciuti
insieme. Naturalmente, io non ho alcun tipo di riserva su André, ma può darsi
che Oscar mi abbia frainteso. Più tardi mi scuserò con lei.”
“Non allarmatevi troppo, conte. Sono certa che Oscar
saprà comprendere; lei vi considera un buon amico e non è una persona che porta
rancore.”
Dopo pranzo, il conte si era allontanato a cavallo.
Io avevo necessità di parlare con Oscar e decisi di
raggiungerla nella sua stanza. Ero certa che le parole del conte l’avessero
urtata parecchio, ma di più temevo che potesse accusarmi di qualche bieca
iniziativa e reagire con ostilità verso di me.
Come prevedibile, non era sola; Andrè era con lei.
Mia sorella era seduta in poltrona e lui, in piedi
di fronte alla finestra che si apriva sul giardino della mia casa, guardava
all’esterno; forse aveva osservato Fersen allontanarsi, immerso nella luce del
pomeriggio che faceva risaltare il paesaggio.
Potevo essere quasi certa che Oscar avesse parlato
con lui della conversazione di cui era stata testimone; lo avrei scoperto a
breve.
Avanzai al centro della stanza in penombra.
La luce filtrava attraverso lo spiraglio lasciato
dalle tende semiaccostate delle due grandi finestre che si aprivano sulla
parete.
Oscar mi lanciò un’occhiata provocatoria, e quando
parlò, colsi del sarcasmo nel modo in cui mi accolse.
“Oh, Danielle! Ci onori della tua presenza! Perché
non sei rimasta col tuo illustre e saggio ospite, così rispettoso e attento
alle convenzioni sociali? Magari sei venuta a spiegarci che cos’era quella
pantomima che hai inscenato in sala da pranzo, davanti al conte di Fersen? Sono
davvero curiosa.”
Il fatto che fosse così diretta, non lasciava dubbi
che avesse già avuto uno scambio d’opinione con Andrè, ma l’espressione
dell’attendente era indecifrabile; non rivelava alcun stato d’animo, né
indifferenza, né fastidio, ma ormai sapevo quanto fosse capace di camuffare le
sue emozioni dietro espressioni neutre.
“Oscar, mi dispiace se quello che è stato detto ti
ha offesa. Riconosco anch’io che Fersen non è stato molto delicato; non mi
sarei mai aspettata niente del genere: parlare in quel modo di nostro padre, i
commenti su Andrè e tutto il resto… è stato spiacevole e deludente.”
“Sì,
è stato molto deludente, anche se ho avuto l’impressione che per te fosse
divertente…” commentò ironica.
“Ammetterai
che nelle sue esternazioni, Fersen risulta ridicolo, a volte… si fa fatica a
prenderlo sul serio.”
“Comunque,
non è solo quello che ha detto Fersen, che potrei anche giustificare; è uno
straniero e non è tenuto a conoscere le nostre abitudini. Danielle, è il tuo
atteggiamento che non mi è piaciuto, e francamente non ho capito cosa volevi
dimostrare.”
“Non volevo dimostrare nulla, mia cara. Era solo una
banalissima conversazione, che ha messo in luce una certa ideologia del conte,
molto comune per la verità. Non c’era nulla di sorprendente in quello che ha
detto, ma forse, tu ti saresti aspettata qualcosa di diverso; può darsi che ti
fossi fatta un’idea differente di lui?” commentai con tutta l’innocenza
possibile. Oscar non rispose direttamente alla mia domanda, ma si limitò a
esprimere il suo reale fastidio.
“Quale che fosse la mia idea, mi è sembrato fuori
luogo e molto inopportuno tirare in ballo Andrè.”
Il suo tono era seccato e se si tratteneva
dall’aggredirmi verbalmente era solo perché non eravamo sole.
“Il conte pensa che un servo debba stare al suo
posto. - Intervenne André, che non si era ancora allontanato dalla finestra e
sembrava più interessato a quello che avveniva all’esterno, che alla nostra
discussione. Poi proseguì, rivolgendosi a mia sorella. - Non dovresti
prendertela per così poco, Oscar. In fondo, è quello che pensano tutti i
nobili.”
Aveva parlato con molta calma e naturalezza,
minimizzando, come se la cosa non avesse alcuna importanza per lui.
“Comunque, André, il discorso del conte era più di
carattere generale; non era rivolto a te, in particolare.” Commentai, sperando
di mitigare il suo probabile disappunto.
“Madame Recamier, non c’è alcun bisogno di
spiegazioni con me.” Rispose vagamente ironico.
“Invece, io credo di sì. Volevo che fosse un soggiorno
lieto e sereno, anche per te, André. Non mi aspettavo di dover affrontare
argomenti spinosi e imbarazzanti, come quello della differenza sociale.”
Non ero certa di averlo convinto. Andrè, di fronte a
Oscar, si manteneva tranquillo e quasi indifferente, ma incrociando i suoi
occhi, vi lessi molta perplessità. Chissà cosa stava pensando davvero; doveva
essergli molto chiaro che avevo sollevato io la questione, e forse, era ancora
convinto che tutto facesse parte della manovra misteriosa che secondo lui,
stavo imbastendo.
Certo, per quanto potesse intuire le mie azioni, non
sospettava da cosa fossi mossa davvero. Ma potevo dirmi sicura che fosse così?
André aveva già dimostrato di essere molto vigile e attento su tutto ciò che
gravitava attorno a Oscar, che fosse Fersen o io stessa.
Dovevo chiarire la faccenda con lui, convincerlo
della mia buona fede, e possibilmente dissolvere le tensioni che si erano
create fra noi, dopo l’alterco del giorno prima. Dovevo portarlo dalla mia
parte e guadagnarmi la sua fiducia. Per ottenere tutto questo, avevo bisogno di
parlare con André, da sola, e fu Oscar a darmene l’occasione.
“Andrè, per favore, vai a preparare il mio cavallo.
Ho bisogno di fare una lunga cavalcata.”
“Non vuoi che venga con te, Oscar?” chiese lui, con
tono un po’ allarmato. Forse temeva che volesse raggiungere Fersen, e magari,
discutere con lui. Ma io non credevo che fosse quella la sua intenzione;
pensavo piuttosto, che volesse cercare l’isolamento per poter riflettere con
tranquillità.
“No. Ho bisogno di restare sola. Tu aspettami qui.”
Probabilmente, Oscar iniziava a interrogarsi su chi
fosse davvero l’uomo di cui si era invaghita; se fossi riuscita a oltrepassare
il suo riserbo su quella faccenda sentimentale, sono certa che mi avrebbe rivelato
i suoi pensieri e aperto il suo cuore. Rivolgendomi a lei, congiunsi le mani,
quasi in un atto di supplica.
“Ho organizzato una piccola festicciola per questa
sera. Nulla di eccessivo, solo un po’ di musica per stare piacevolmente insieme
e concludere degnamente la giornata; tu cara, potresti suonare per noi qualcosa
al piano, più tardi. Dimmi che ci sarai, ti prego.”
In risposta, emise un sospiro di rassegnazione.
“Ne sarò felice, Danielle. Ma evitiamo discussioni
di qualsiasi genere, per favore.”
La rassicurai subito, mentre Andrè usciva per andare
ad assolvere la sua incombenza nelle scuderie. Mi assicurai che la porta fosse
ben chiusa, prima di proseguire.
“Spero che Andrè non si sia offeso per queste
sciocchezze; forse non avresti dovuto parlarne con lui. Non era necessario
metterlo a parte di tali meschinità.”
Davanti allo specchio, Oscar si stava sistemando il
panciotto e infilando un paio di guanti.
“Non vedo perché no, dal momento che è stato preso
in causa, pur essendo assente. Non gli avrà fatto piacere, ma quella più offesa
sono io, senz’altro.” Il suo tono era ancora infastidito.
“Lo sai, dovresti dare a Fersen il peso che ha; è un
nobile, e ragiona come tale.”
“Gli do il peso che si merita; ora scusami Danielle,
ma vorrei andare.”
Mi oltrepassò a passo svelto dirigendosi verso la
porta.
******
Oscar era montata in sella, aveva spronato nei
fianchi il suo cavallo, ed era partita al galoppo, attraverso i possedimenti
della mia tenuta. Io e il suo attendente l’avevamo osservata mentre si allontanava
e mi era parso che André fosse inquieto e leggermente nervoso. Sicuramente
avrebbe voluto seguirla, ma sapeva che non era mai il caso di discutere i
desideri della sua padrona, che di solito, non amava spiegare le cose due
volte. Che volesse raggiungere Fersen, o restare sola per davvero, a me poco
importava in quel momento. La mia priorità era un’altra.
Finalmente sola con André, potevo affrontare
l’argomento che mi premeva.
Oscar e il suo cavallo erano diventati un puntino
lontano nella campagna e André stava per allontanarsi in direzione opposta,
quando lo bloccai.
“André, per favore; avrei bisogno di parlarti.”
Lui mi guardò, sostenendo il mio sguardo diretto con
l’espressione più neutra che potesse offrirmi.
“Di che cosa dobbiamo parlare, signora? Credo che
tutto sia già stato definito.”
Nessuna particolare inflessione nella voce, come se
per lui fosse superfluo ogni ulteriore commento.
“Io vorrei parlare di quello che è successo ieri.
Non mi piace il modo in cui ci siamo lasciati.”
Improvvisamente mi sentii insicura; non so come
avrei reagito se non avesse voluto ascoltarmi. Lui però, dovette fraintendere
il senso delle mie parole, perché si affrettò ad assumere l’atteggiamento di
chi è sulla difensiva.
“Mi dispiace per la mia reazione di ieri, credo di
essere stato troppo brusco. Non avrei dovuto dimenticare chi sono. La prego di
accettare le mie scuse, madame Recamier.”
“Non stavo cercando le tue scuse, André. E poi, ti
prego, smettiamola con queste formalità: avevamo detto che potevamo darci del
tu, come due buoni amici. Io so apprezzare la tua franchezza.”
“Non lo so, Danielle. - Vidi le sue belle labbra
piegarsi in un sorriso appena accennato. - Non vorrei metterti in imbarazzo di
fronte al conte di Fersen, assumendo con te un atteggiamento troppo amichevole
e disinvolto. Qui non siamo a Palazzo Jarjayes.” Nella sua risposta c’era un
certo sarcasmo, che non tentò di velare in alcun modo.
“Sì, lo so, ma questo non deve essere un limite. Di
quello che pensa il conte di Fersen, mi importa assai poco. Io tengo molto di
più alla tua amicizia, e non deve necessariamente essere confinata tra le mura
di Palazzo Jarjayes.”
Con decisione mi avvicinai, lasciando scivolare con
audacia e naturalezza la mia mano sul suo avambraccio per sostenermi,
facendogli capire che volevo camminare al suo fianco. Lui mi lasciò fare e non
tentò di scostarsi. Incontrai il suo sguardo che sapeva turbarmi così tanto nel
profondo, e mi sembrò di cogliere una leggera esitazione, un vago turbamento.
Non si era aspettato quel mio gesto così intimo e non seppe come interpretarlo.
In effetti, era la prima volta che osavo prendermi una simile libertà con lui.
Ci incamminammo lentamente attraverso il giardino, all’ombra dei grandi alberi
che correvano lungo il percorso che attraversava il parco di Villa Recamier.
Non parlammo per alcuni lunghi minuti; mi limitavo a godere della sua
vicinanza, mentre avvertivo l’aria fresca e frizzante del primo pomeriggio
solleticarmi il viso e sentivo la morbidezza dell’erba sotto le suole delle mie
scarpette leggere.
Poi, iniziammo a parlare e io manifestai quanto
fossi felice di avere Oscar e lui a casa mia, quanto sperassi che ne fossero
lieti anche loro. Finché non arrivai al punto della questione.
“Oscar mi ha detto che ti sei un po’ risentito di
quello che accaduto a pranzo; vorrei che tu non dessi un’ eccessiva importanza
alla cosa. Non era un discorso fatto ai tuoi danni, né volevo umiliarti in
alcun modo, André. Ti prego, mi devi credere.”
“Non preoccuparti, non mi posso risentire per quello
che è il pensiero comune alla maggioranza dei nobili. Te l’ho già detto una
volta; so qual è il mio posto. Se vuoi saperlo, mi sono sorpreso un po’ che tu
abbia sollevato un discorso del genere di fronte a Oscar, proprio in presenza
del conte di Fersen. Io credo che tu l’abbia fatto di proposito; è il motivo
che non mi spiego con chiarezza... volevi umiliare lui, oppure ferire Oscar?”
“Non volevo umiliare nessuno. Tu continui a pensare
che io abbia un secondo fine…” pronunciai la frase sostenendo il suo sguardo
indagatore.
“Vorresti farmi credere che non è così? Suvvia,
Danielle; sono un servo, non uno stupido.”
“Non ho mai pensato che tu lo fossi, Andrè.”
“Allora, mi vuoi dire la verità?”
“Io ti ammiro molto per la nobiltà dei tuoi
sentimenti verso mia sorella, e so che non vuoi vederla soffrire. Ti assicuro
che neppure io voglio questo. Il tuo cuore è così generoso e così pieno
d’amore...” esitai, emozionata per le mie stesse parole che sentivo essere così
vere, le sentivo bruciare sulla lingua.
Come avrei desiderato che un uguale sentimento
potesse colmare la mia anima.
“Scusa, ma continuo a non comprendere il nesso tra i
miei sentimenti, quelli di Oscar e la presenza di Fersen, qui.”
“Deduco che tu sia seccato, perché sono andata a
toccare i sentimenti più intimi di Oscar, è così? Lei ha reagito male; sarà
delusa, forse amareggiata e lo capisco, ma…”
André mi interruppe.
“Era incredula e ferita dalle parole di Fersen,
Danielle. Mi ha detto che le era sembrato di ascoltare un estraneo; per un momento
non lo ha riconosciuto. Dovrei forse rallegrarmene, ma non ci riesco… - fece
una pausa prima di proseguire e quello che disse mi sorprese. – Io non ho nulla
contro di lui. Non ho reali motivi per odiarlo.”
“Non ci posso credere! Difendi l’uomo che potrebbe
allontanarti da Oscar?”
“Non credo che potrà mai allontanarmi da lei, e non
sto prendendo le sue difese. Io mi preoccupo solo per Oscar. Ho capito che
Fersen non ti piace, anche se cerchi di far credere a tutti il contrario. Non
fai altro che tentare di ridicolizzarlo davanti a lei; era questo che intendevi
l’altro giorno, quando hai detto che volevi farle aprire gli occhi?”
“Oh, André, cerca di capire, un confronto con la
realtà le farà solo bene. Mia sorella è innamorata di un uomo infedele, che dice
di amare la regina, ma frequenta i letti di molte altre donne. Non c’è molto
onore in questo.”
Ero quasi esasperata. André sospirò, prima di
fermarsi e girarsi verso di me, per guardarmi direttamente negli occhi; un
brivido mi colse, quando avvertii le sue mani che si serravano con ferma
gentilezza sulle mie braccia.
“E lo
giudichi male per questo? In fondo, è un uomo come tutti gli altri, con le sue
debolezze. Lo so che quella di Oscar è un’ illusione, un amore irreale, se
vuoi, ma uccidere i sogni di una persona può lasciare cicatrici profonde
nell’animo; ti prego, Danielle, smettila di fare quello che stai facendo.”
Il tono di Andrè era cambiato, facendosi accorato.
“Non voglio fare nulla di male. Di che cosa mi stai
accusando?”
“Di interferire con l’evoluzione naturale delle
cose. Oscar, prima o poi, capirà da sola che la sua è solo un’infatuazione;
forzarla, può portare conseguenze impreviste e spiacevoli.”
“Ti sbagli se credi questo; Oscar potrà essere un
validissimo soldato, è stata addestrata per questo, ma è a digiuno di questioni
amorose. Andrà troppo vicina al fuoco e si scotterà; lei non sa chi sia Fersen,
in realtà…”
“Invece tu lo sai, vero?”
Qualcosa fece tremare il mio spirito. Non riuscii a sostenere
oltre, quegli occhi che mi bruciavano l’anima e che ardevano di un fuoco che
non potevo raggiungere. Mi divincolai e mi allontanai di pochi passi dandogli
le spalle, e risposi con la voce tremante per un’emozione che non potevo più
trattenere.
“Sì, io lo so, André! Ne ho conosciuti tanti di
uomini simili a lui! Fanno mille giuramenti e solenni promesse d’amore, ma il
loro cuore è incostante e mutevole come il vento, e leggero… e quando
abbandonano il tuo letto ti resta solo una fredda sensazione di vuoto tra le
membra, e questa è una realtà ben più amara di qualsiasi consapevolezza che
Oscar potrebbe avere.”
“Non credo che Fersen abbia mai fatto giuramenti o
promesse ad alcuna; pochi mesi fa ha rotto il suo fidanzamento con una ragazza
inglese di buona famiglia di nome Lucille. Confessò la cosa anche a Oscar. Non
capisco tutto questo tuo accanimento contro di lui: forse il conte paga le
colpe di qualcun altro?”
“No davvero, però il suo gesto non lo rende migliore
di tanti altri; come ha dimostrato oggi, i suoi pensieri sono meschini, indegni
di una donna come Oscar…”
Avevo parlato quasi rincorrendo le parole mentre il
mio petto si alzava e si abbassava, vinto da un sentimento troppo forte che
nell’impeto, mi portò a confessare ciò che non ero ancora pronta a dire.
“Ma tu André, tu sei così diverso…”
Non so quale forza mi prese, ma avanzai verso di lui
e alzai una mano per posarla all’altezza del suo cuore; potevo sentire il suo
battito accelerare sotto le dita, il tepore della sua pelle attraverso il tessuto
della camicia. Le parole uscirono dalle mie labbra, impetuose come l’acqua di
un fiume in piena che rompe gli argini.
“Tu non fai promesse, né giuramenti. Tu ami e basta,
nel silenzio del tuo cuore pieno d’amore per lei. Lo vedo in ogni momento, ogni
volta che sei con lei in una stanza, lo sento in ogni parola, anche la più
insignificante che le rivolgi, in ogni sussurro, lo spio nei tuoi occhi che
bruciano di un dolore segreto. Lo percepisco anche ora che sei qui di fronte a
me, e in realtà sei con lei, e io la invidio, e mi sento meschina per questo.”
André era rimasto in silenzio, immobile ad
ascoltarmi, e sotto la mia mano sentivo ancora il suo cuore che batteva rapido.
Restammo così per alcuni lunghi minuti, io travolta dalle mie emozioni, lui soggiogato
dalla sorpresa. Non osavo alzare il mio sguardo verso il suo, che sentivo su di
me. Cercai di calmare il mio respiro, che mi faceva bruciare i polmoni, prima
di riprendere a parlare di nuovo.
“Io trovo incredibile che Oscar non si accorga di
quanto sia grande il tuo sentimento, di quanto sia fortunata ad averti accanto,
anche se a volte ho la strana impressione che in realtà, lei sappia.”
Feci un’ altra lunga pausa, prima di continuare la
mia confessione. Continuavo a toccare il suo cuore, a sentirlo sotto le dita
tremanti.
“Non so che darei per essere amata così, almeno una
volta nella vita, e vorrei avere la gioia di poter ricambiare tale amore, con
uno altrettanto forte e possente. Che cosa potrebbe esserci di più bello?”
Ma la risposta che mi giunse dalle sue labbra, mi
lasciò di stucco, non più del tono mesto con cui la pronunciò.
“Non saprei risponderti, Danielle: neppure io
conosco la gioia dell’essere ricambiato. Immagino però, che non ci sia nulla di
più bello di due cuori che possono volare insieme.”
Percepii chiaramente la calda mano di André andare a
prendere la mia, piccola e bianca, posata sul suo cuore per allontanarla con la
dolcezza di una carezza. Poi arrivarono le sue parole, tristi e pacate, ma
troppo vere per poterle ignorare.
“Danielle, non fare lo sbaglio di struggerti per un
amore impossibile. Non inseguire anche tu, un’ illusione. Rischi solo di
intraprendere un cammino penoso, in solitudine. Credimi, è il consiglio più
sincero che posso darti da amico; sei libera di ascoltarlo, oppure no, ma sappi
che è una strada pesante da affrontare. Soffoca l’amore finché sei in tempo.”
Attorno a noi si stava alzando un leggero alito di
vento che muoveva i riccioli neri di André che cadevano sul suo bel viso.
Aveva pronunciato parole troppo delicate e gentili
per non lasciarsi sopraffare da esse; dopo averle udite, immediatamente pensai
che per quanto facesse, non sarebbe riuscito a cancellare mai, ciò che sentivo
nel cuore. Né io ci sarei riuscita di mia spontanea volontà, con le mie sole
forze. Ormai avevo visto la bellezza della sua anima e ne ero rapita, senza
rimedio.
Alzai il mio sguardo a incontrare le profondità del
suo e mi persi per l’ennesima volta.
“Ti ringrazio, André, ma… - scossi la testa – temo
che sia troppo tardi.”
Mi guardò ancora per un breve istante, con una
strana espressione malinconica, poi fummo distratti entrambi dal rumore degli
zoccoli di due cavalli che sopraggiungevano al passo: Oscar e Fersen stavano
rientrando e venivano verso di noi. Cercai di riprendere il mio contegno, di
controllare i battiti del cuore in tumulto, mentre mia sorella e il conte erano
sempre più vicini. Ignari di tutto.
Si fermarono a pochi metri da noi.
Osservai i loro volti.
Apparivano distesi e sereni, soprattutto quello di
Fersen.
“Madame Recamier, il paesaggio attorno alla vostra
tenuta è meraviglioso. Stavo rientrando alla villa, quando ho incontrato
madamigella Oscar, così ho avuto modo di chiarirmi con lei sulla nostra
precedente discussione.”
“Mi fa piacere, conte.”
Guardai mia sorella; era tranquilla, ma nella sua
espressione, nella luce che aveva negli occhi, notai una vaga rassegnazione.
Qualcosa la rendeva ancora incerta e la delusione non l’aveva del tutto
abbandonata.
Sembrava assorta in un suo pensiero e non prestava
particolare attenzione a nessuno, finché il nome di André sulle labbra del
conte non accese il suo interesse.
“Forse André, dovrei scusarmi anche con voi;
involontariamente siete stato l’oggetto di un’ innocente discussione!”
André non replicò in alcun modo, reclinò il capo e
oppose la più assoluta indifferenza all’ilarità del conte. Oscar guardava il
suo attendente con apprensiva insistenza, prima di volgere il capo altrove con
un sospiro. Io volevo solo allontanarmi in fretta da quella situazione che non
avevo più voglia di sostenere.
“Conte di Fersen, mi fareste salire con voi a
cavallo? Sono un po’ stanca per tornare indietro a piedi.”
Fersen mi sorrise tendendomi una mano.
Montai in sella tra le braccia del conte che mi sorreggevano.
Avrei tanto desiderato che al suo posto ci fosse
André; avrei desiderato che fosse il suo petto quello cui ora la mia schiena si
appoggiava, e che fossero le sue braccia quelle che mi cingevano la vita.
Salutammo Oscar e il suo attendente che rimasero
indietro sotto la fila degli alberi in penombra. Quando sulla curva del viale,
voltai il viso per cercare con lo sguardo le loro figure, notai con la coda
dell’occhio che Oscar era scesa da cavallo.
Teneva l’animale per le briglie e si era affiancata
ad André per andare al suo passo.
La distanza fra noi cresceva e non li vedevo bene;
sembrava che parlassero fra loro con parole miste al silenzio, e che avessero
chiuso fuori tutto il mondo attorno. Avevo la sensazione che né io né Fersen
contassimo più niente nei loro pensieri.
Capitolo 6 *** Voci di palazzo e gioco di sguardi ***
6 – Incrocio di sguardi
6 – Voci di palazzo e gioco di guardi
Sono tornata e scusate sempre
l’attesa, ma ormai dovreste esserci abituate.
Un capitolo che io considero di
transizione; nel prossimo forse arriverà qualche chiarimento tra Danielle e Oscar,
dico forse, perché chissà cosa potrebbe accadere davvero. Purtroppo non sono
riuscita a rispondere alle vostre belle recensioni, che ho apprezzato e gradito
molto, perché sono un grande stimolo per me. Vi ringrazio tantissimo, e
cercherò di essere puntuale nelle risposte in futuro.
Qualcuno di voi ha capito che Fersen
non mi piace; beh, non ne ho mai fatto mistero di non avere una grande simpatia
del personaggio, che cercherò comunque, di non snaturare troppo, ma ai fini
della storia lui mi serve così.
Bene, vi lascio al capitolo e buona
lettura.
*****
Ninette stava tirando i lacci del bustino mentre io
trattenevo il fiato.
“Insomma Ninette, basta con questi misteri; mi vuoi
dire cos’ hai sentito?”
Sbottai verso la mia cameriera un po’ spazientita,
che mi teneva sulle spine e non si decideva a narrare i fatti in maniera
chiara. Era strana la sua reticenza; di solito, la fedele Ninette non aveva
misteri per me.
Forse voleva soltanto creare un po’ di tensione nel
suo racconto; le piaceva mettere un po’ di mistero nei pettegolezzi che captava
e mi riferiva. Attenta a voci di corridoio e quant’altro, Ninette era sempre
una fonte sicura e discreta d’informazioni.
“Contessa, il vostro innamorato non potrà
resistervi; sarete stupenda questa sera.”
Sorrisi al suo commento innocente; con la sua
consueta sagacia, la mia cameriera aveva già capito tutto, solo non sapeva chi
davvero volevo impressionare, sempre convinta che le mie attenzioni fossero per
Fersen.
Mi stava aiutando a prepararmi per la serata che avevo
organizzato per intrattenere i miei ospiti; aveva acconciato i miei capelli con
grazia, in tanti riccioli maliziosi che cadevano in onde morbide sulla schiena.
I capelli semisciolti mi davano un aspetto più somigliante a quello naturale di
Oscar.
Stava ultimando il trucco del mio viso.
Non gradivo quello pesante usato da certe dame di
corte, che le faceva apparire come dei mascheroni grotteschi; preferivo un velo
di cipria insieme a una nota di colore rosato sulle guance, mentre ai miei
occhi azzurri bastava una sfumatura tenue ad accendere la luce delle mie iridi.
Così, il quadro era perfetto e la mia bellezza
emergeva superba con pochi dettagli curati sapientemente.
Ninette era davvero una maestra in questo.
Volevo fare colpo su André.
Avevo indossato un abito davvero grazioso scelto
allo scopo.
La seta ricamata era di un delicato colore pastello,
un verde chiaro che si intonava con il candore della mia carnagione e come
gioielli avevo scelto dei pendenti a goccia con pietre di zaffiri, eleganti ma
non pretenziosi.
In piedi davanti alla grande specchiera che occupava
una parete della mia stanza, constatavo l’effetto d’insieme; ero perfetta.
Altera come una regina, avrei potuto competere con Maria Antonietta in grazia,
fascino ed eleganza.
Forse addirittura superarla.
Accarezzai lieve il tessuto della gonna, poi tornai
a puntare il mio sguardo su Ninette che osservava con scrupolo e soddisfazione
il frutto del suo lavoro. Attendevo che parlasse mentre aggiustava le pieghe
del mio vestito.
“Ero in cucina che stavo preparando il té, quando li
ho sentiti. All’inizio non ho riconosciuto subito le voci. Vostra sorella e il
suo attendente stavano parlottando tra loro. Parlavano del conte di Fersen e di
voi.”
Ascoltavo
con una vaga inquietudine e pungolavo la ragazza quando s’interrompeva. La
pregai di ricordare tutto con attenzione, anche il minimo dettaglio e lei mi
riportò quasi fedelmente la loro conversazione.
“Madamigella Oscar stava ammettendo di essere
rimasta sorpresa. - Ho visto il conte sotto una luce che non conoscevo,
ha detto. Si chiedeva se non l’avesse sempre giudicato in maniera poco
obiettiva. Ci si può sbagliare così tanto su qualcuno?- Ha aggiunto.”
“La
risposta di André qual è stata?” chiesi curiosa.
“Oh,
lui mi è sembrato accomodante. - A volte ci facciamo un’ idea imprecisa
delle persone. Ma non farti impressionare troppo; credo in fondo, che Fersen
sia un uomo migliore di tanti che si incontrano a Versailles, sicuramente pochi
sono come lui. -Così le ha
risposto.”
Si
interruppe per porgermi il mio ventaglio, poi proseguì.
“Inoltre madamigella diceva di aver accettato le sue
scuse, ma di non riuscire a liberarsi della fastidiosa sensazione di essersi
lasciata ingannare.- Penso sia
ancora un’ ottima persona, un sincero amico, - ha detto – ma forse, gli
ho attribuito qualità che non possiede affatto.”
Ma Ninette era perplessa.
“Siete proprio sicura madame, che vostra sorella sia
interessata al conte?”
“Abbastanza, sì… ma ora non è di questo che voglio
preoccuparmi. Ninette, mi puoi dire qualcosa che non so? Hai detto che
li hai sentiti parlare di me…”
“Sì, madame, è così.”
“E allora?”
“Ecco, Oscar ha detto che non capisce a che gioco voi
state giocando, madame. Sembrava molto sospettosa. Ha interrogato André, ma lui
sembrava cadere dalle nuvole.”
“Continua.” la incalzai impaziente, supponendo che
il meglio doveva ancora venire.
“Beh, allora lei ha fatto una domanda strana. – Tu
trovi che mia sorella sia una bella donna? Voglio il tuo parere da uomo.
Potresti sentirti attratto da Danielle? – Lui non le ha risposto subito, e
quando lo ha fatto, sembrava che non volesse risponderle.”
Ero
fremente; mentre i battiti del mio cuore acceleravano, io cercavo di non
apparire nervosa, non volendo palesare troppo il mio coinvolgimento. Ansia e
aspettativa mi facevano tremare le gambe. Perché mia sorella aveva fatto una
domanda del genere? Era solo l’ennesimo sintomo della sua insicurezza nei miei
confronti, o era un tentativo maldestro di sondare il cuore dell’amico?
Anch’io
avrei voluto conoscere gli angoli più intimi e segreti di quel cuore.
Entrarci
dentro e farlo mio.
“E lui, come ha risposto?” Domandai a fior di
labbra.
Così, Ninette mi riportò il dialogo intercorso fra
loro e io quasi smisi di respirare.
“Tua sorella è una donna bellissima, Oscar, è
innegabile. D’altronde siete gemelle, dovresti saperlo.”
“Bellissima vuol dire anche attraente?”
“Non sempre le due cose coincidono; lei è molto
attraente, invece.”
“Quindi ti piace!”
“A chi non piacerebbe? Neppure Fersen è insensibile
al suo fascino.”
“Pensi che Fersen sia attratto da lei? Credi che sia
qui per questo? Per soddisfare una sete di conquista?”
“Fersen è un uomo molto sensibile al fascino
femminile; è una cosa risaputa. Non mi dirai che la notizia ti sorprende,
vero?”
“Ma Fersen ama la regina…”
“Certo, ma non significa che ignori tutte le altre.”
“…”
“Comunque, non credo che tua sorella voglia cedere
alle sue lusinghe.”
“Può essere… Anche tu, André, sei molto sensibile al
fascino femminile? Sembravi in intimità con Danielle, poco fa.”
“Non capisco dove vuoi arrivare; non penserai che io
voglia mettermi a corteggiare tua sorella? Mi sembra ridicolo.”
“Perché ridicolo?”
“Beh, mi pare ovvio.”
“E se fosse lei a voler corteggiare te?”
“Se hai voglia di scherzare, posso anche ridere! Ah
ah ah!!”
“Sì, Andrè, ridi pure, ma… forse lei vuole
avvicinarsi a te, per qualche motivo che non ho ancora compreso a fondo. Ne
sono sempre più convinta.”
Ninette proseguì, raccontandomi di averli sentiti
allontanarsi. Lei allora, era uscita dalla cucina col vassoio del té, e
passando davanti alla porta dello studio, aveva colto nuovamente le loro voci.
Un orecchio fino come il suo mi faceva davvero comodo e dovevo riconoscere che
aveva un’ottima memoria. All’improvviso si fece silenziosa. Percepii che mi
stava nascondendo qualcosa; c’era altro che avrebbe voluto dire, ma esitava
come se fosse in imbarazzo.
“Ninette, cosa mi nascondi? Avanti, parla.” La
esortai impaziente e lievemente in ansia.
“Ma no… non è nulla, signora.” balbettò.
“Ninette, voglio sapere tutto. Coraggio.”
Abbassò lievemente il capo, come se non avesse la
forza di guardarmi dritta negli occhi mentre si tormentava le mani.
“Ecco, non so se posso dirvi questa cosa senza
recarvi offesa, madame.”
Era ancora molto incerta; la sua reticenza dava molta
importanza a quello che aveva udito e io dovevo assolutamente sapere. Cosa
poteva esserci di così grave? Le sorrisi benevola.
“Non ti preoccupare. Non sentirti in difficoltà e
raccontami quello che hai sentito. Di qualsiasi cosa si tratti, non me la
prenderò certamente con te.”
Finalmente la convinsi e ciò che Ninette mi rivelò,
mi lasciò totalmente sconcertata.
“Ecco, madamigella Oscar chiedeva al suo attendente
se lui avrebbe accettato di trovarsi nella circostanza di diventare per
ipotesi, il vostro amante, madame.”
Spalancai gli occhi per la sorpresa; con tutta la
mia malizia, mai avrei immaginato che Oscar potesse pensare di me certe cose,
benché lei sapesse delle mie disinvolte avventure. O forse, in quella
straordinaria richiesta si celava un timore diverso? Davvero Oscar immaginava
che io e André potessimo diventare amanti? Credeva che approfittando della mia
posizione, volessi concupirlo? Aveva capito o sospettato il mio interesse verso
di lui, prendendolo per l’ennesimo capriccio che volevo togliermi? Mi rifiutavo
di credere che potesse avere così poca stima di me, da considerarmi alla
stregua di una annoiata cortigiana. Era un’ idea che consideravo offensiva per
entrambe. Oscar mi conosceva bene; ero una parte di lei. Le nostre anime, come
i nostri corpi erano nati dallo stesso impasto. Sperai che Ninette avesse
frainteso, o capito male.
“Sei proprio sicura? In che termini si è espressa mia
sorella? Cerca di ricordare.”
“Oh, madame, non mi sono sbagliata. Non so come
siano arrivati a parlare di questo, perché ho colto solo un brandello della
loro conversazione, ma ho sentito chiaramente vostra sorella mentre parlava con
André. – Se ti capitasse,accetteresti di essere l’amante di una
nobildonna? Di una donna come Danielle, ad esempio? -L’ho sentita dire questo, con le mie
orecchie.”
“E lui? Lui cosa ha risposto?”
“C’ è stato un attimo di silenzio; l’ ho sentito
ridere sommessamente, e poi dire di no.”
Ero ancora costernata, ma anche delusa nel mio
intimo; non sapevo se più dai sospetti di Oscar, o dalla risposta negativa di
Andrè che annullava ogni mia speranza di averlo per me. Ma dal racconto di
Ninette, aveva esitato nel suo diniego. Forse aveva mentito? Era un uomo; magari
avrebbe ceduto a delle possibili lusinghe. Ma per pudore, di fronte a Oscar non
aveva voluto esporsi. Comunque, era possibile che stessi interpretando tutto in
modo sbagliato.
“Mi dispiace davvero tanto, madame. Ero così
allibita! Non avrei mai creduto che madamigella Oscar potesse pensare di voi…”
“Non dispiacerti, Ninette. Non è il caso.”
Rincuorata, la giovane prese a parlare di nuovo,
mettendomi a parte di alcune sue considerazioni personali, a cui aggiunse inaspettati
particolari che avevo ignorato fino a quell’istante.
“Il conte di Fersen è un gran bel giovane, ma
bisogna ammettere che l’attendente di vostra sorella è davvero un uomo
affascinante; ha due occhi stupendi che mettono soggezione per quanto sono
profondi e intensi, un sorriso che scalda il cuore e poi è sempre molto gentile
con tutti.”
“Senti senti… Abbiamo un debole per lui?” Chiesi con
un pizzico d’ironia e un vago sospetto.
“Oh,
no, madame. Dicevo
solo che Andrè è un giovanotto molto avvenente, che attira l’attenzione delle
signore; è una cosa che pensano in tanti. Se non fossi già impegnata e non
dovessi competere con madamigella Oscar, anch’io ci farei un pensierino.”
Era un discorso astruso e piuttosto ambiguo. La mia
curiosità fu stuzzicata di nuovo.
“Di cosa parli, ora? Come, 'competere con
madamigella'…?Spiegati meglio.”
Ninette aveva iniziato a sistemare la mia biancheria
lavata e stirata negli armadi e nei cassetti.
“In confidenza, tra la vostra servitù madame,
qualcuno pensa che l’attendente di madamigella Oscar abbia un altro ruolo di
notte. Stavo pensando che forse è per quello che vostra sorella ha fatto tutte
quelle strane domande.”
Restai di nuovo basita, ma non potei reprimere una
risata che aveva il suono di una menzogna.
“Cosa? In casa mia c’è chi pensa che mia sorella, il
severo Colonnello Oscar e Andrè siano amanti?! Stai scherzando, spero!”
“No, signora contessa, sono molto seria.”
Non riuscii più a contenermi. Ero spaventata e mi
sforzavo di nasconderlo, manifestando un’ indignazione solo apparente.
“Credimi Ninette, non ho mai sentito una cosa più
ridicola di questa. Mia sorella non cederebbe mai a certe pratiche con un
servo, anche se affezionato. Inoltre, non farebbe una cosa simile con un uomo
che per lei è quasi un fratello. Lei e Andrè sono cresciuti insieme; tra loro
c’è un’amicizia sincera e profonda, ma niente altro. Ma come è venuta fuori
un’idea del genere?”
“Una delle cameriere che serviva il pranzo ha
sentito il Conte di Fersen fare quel commento sulle relazioni tra servi e
padroni; subito dopo madamigella si è allontanata e qualcuno giurava che pareva
mortalmente offesa, come punta sul vivo. Da lì è nato tutto. Aggiungete il
fatto che lei e André sono spesso insieme…”
“Incredibile!! Ci sarebbe da ridere, tanto la cosa è
assurda. Tutta colpa di Fersen e delle sue idee balzane!” Esclamai con
eccessivo impeto.
Tra me, mi ripromisi di dare una strigliata energica
alla servitù; non volevo che certe dicerie arrivassero all’orecchio del Conte
Recamier, ai miei figli Monique e Bastien che nutrono una vera adorazione per
la loro coraggiosa zia, o peggio alla stessa Oscar.
Ma se non fossero state semplici sciocchezze? Non
avevo io stessa il dubbio che l’ amicizia particolare, troppo intima tra Oscar
e Andrè fosse il preludio pericoloso a ben altro? Qualcosa che diventava così
evidente anche a occhi estranei, non era indizio di un fatto reale?
Era un’ evenienza che avevo valutato anch’io, e che
stavo cercando di verificare. Era qualcosa di concretamente possibile.
Ma soprattutto, era qualcosa con cui neppure io
avrei potuto competere.
Ormai ero pronta; i miei ospiti mi attendevano nella
sala della musica, un ambiente accogliente e raffinato dai toni sobri ed
eleganti, dove passavo molte serate in compagnia di amici e conoscenti, dove
invitavo musicisti e intellettuali.
Lasciai la mia stanza e mi incamminai senza fretta
verso le scale che portavano al piano inferiore; per raggiungere la sala
attraversai un ampio corridoio del mio palazzo. Sulle pareti a intervalli regolari,
sfilavano in una lunga serie, i maestosi, cupi e autocelebrativi ritratti degli
antenati della famiglia Recamier.
Il più antico risaliva al 1533 e rappresentava il
vecchio arcigno Eugene Luis Simone, VI° Conte Di Recamier, diplomatico e
ambasciatore del Re di Francia alle corti di mezza Europa.
Detestavo quei quadri, opere di oscuri e mediocri
pittori, privi del guizzo genuino del vero talento; li avrei fatti togliere
tutti, ma mio marito, del tutto privo di gusto artistico, non voleva rinunciare
a quella pomposa ostentazione di illustre antica stirpe. Alcuni erano così
detestabili ai miei occhi, così fasulli e retorici nella loro estetica che li
avevo fatti coprire con dei drappeggi.
Arrivai davanti alla sala della musica.
Quella sera sarebbe stata Oscar a suonare per noi
su mia richiesta, e lei aveva accettato di buon grado; percepii le note di Bach
ancora prima di entrare nella stanza.
La trovai già seduta al piano, appena di fronte alla
grande vetrata da cui entrava una luce crepuscolare. Un cameriere stava
accendendo un candeliere posto su un tavolino in un angolo. Si inchinò al mio
ingresso, per dileguarsi subito dopo aver terminato il suo lavoro.
Mia sorella sollevò il capo a incontrare il mio
sguardo; le sue mani affusolate smisero di correre sui tasti ebano e avorio del
pianoforte. Mi studiò un attimo e mi parve di leggere ammirazione nei suoi
occhi inquieti.
Mi salutò cordialmente e io mi approssimai a lei.
“Che cosa vorresti ascoltare, Danielle?”
“Quello che vuoi tu, cara. Il conte di Fersen non ci
ha ancora raggiunto?”
“Penso che sarà qui a breve; non rifiuterà
certamente il tuo invito.”
Infatti comparve poco dopo, in tutto il suo
splendore. Mi omaggiò esibendosi in un inchino cerimonioso, poi salutò Oscar
con disinvoltura.
“Madamigella Oscar, non vedo l’ora di sentirvi
suonare; sarà certamente appagante.”
L’apostrofò rivolgendole un ampio sorriso
convincente, che mia sorella contraccambiò sincera.
Io aspettavo Andrè.
Non capivo perché non fosse ancora lì; di solito,
seguiva Oscar ovunque e in ogni circostanza.
Non volevo chiedere di lui, manifestando così un
interesse che non avrei dovuto avere e che non volevo rivelare di fronte a
Oscar, che già pareva sospettosa.
Non tardò molto; ci raggiunse portando con sé alcuni
fogli arrotolati e trattenuti da nastri rossi, che porse alla sua padrona.
“Ho chiesto ad André di procurarmi alcuni spartiti
musicali che custodisci nella tua biblioteca; spero non ti dispiaccia
Danielle.”
“Hai fatto benissimo. Sono ottime composizioni, ma
vengono suonate assai di rado; un vero peccato.”
Andrè era in piedi, dietro Oscar seduta al piano; lo
vidi indugiare qualche istante sul corpo di lei. La luce crepuscolare disegnava
delle strane ombre sul suo viso e rendeva i suoi occhi verdi ancora più cupi.
Finalmente li alzò su di me; mi fissò a lungo, quasi
incapace di distogliere lo sguardo e fui attraversata da un brivido di vero
piacere, quando compresi che era ammirato. Indubbiamente gli piaceva ciò che
stava guardando e io volevo piacergli.
Ma subito, si insinuò in me il maligno sospetto che
stesse immaginando la donna che amava nello stesso modo, e tremai di
disappunto. Non potevo sapere se mentre guardava me, lui pensasse a Oscar.
E con ogni probabilità era così.
Invitai mia sorella a suonare per noi e presi posto
su una sedia.
Oscar attaccò il primo brano e restammo tutti in
silenzio ad ascoltare il suo piccolo concerto; possedeva un grande talento
naturale, un orecchio sopraffino per la musica e suonava il piano con la stessa
naturale grazia con cui maneggiava la spada.
Fersen si era seduto poco distante; ogni tanto
lanciava verso di me occhiate molto intense, tentando di attirare la mia
attenzione. Io ricambiavo con sguardi discreti un po’ allusivi e gli regalavo i
miei sorrisi più convincenti.
Ma dal Conte, il mio sguardo si allontanava e vagava
per la stanza con apparente noncuranza; distratto si posava sulla tappezzeria,
ne seguiva gli arabeschi floreali; scendeva su un oggetto qualsiasi dell’arredamento,
magari l’arpa posta sull’angolo opposto, il fiocco che tratteneva una tenda o
il prezioso orologio d’oro con i putti alati posato su una mensola. Ma da
qualsiasi direzione, come fosse attirato da una potente calamita, tornava
sempre su André.
E lì si fermava per lunghi istanti, incapace di
fuggire da ciò che lo attirava.
Le note armoniose del pianoforte non le sentivo più.
Sentivo solo il mio cuore che batteva furioso e
pareva volesse uscirmi dal petto, e il mio respiro si bloccava per un secondo e
lo spazio attorno sembrava dilatarsi e poi restringersi; Andrè combatteva,
opponeva resistenza ma non abbassava i suoi occhi quando incontravano i miei.
Incredulo per quello che aveva compreso, mi scrutava attraverso il verde
ombroso delle iridi, riflesso della sua anima taciturna e tormentata, dove mi pareva
di poter leggere una muta straziante domanda.
O forse, era una supplica.
Non tentarmi, ti prego. Non chiedermi di tradirla.
Credevo di poter indovinare i suoi pensieri.
Ricordavo le sue parole di poche ore prima; André aveva
intuito per chi batteva il mio cuore.
Sapeva che non era per il nobile svedese, anche se
all’occorrenza, fingevo di essere affascinata da lui. Sapeva che indossavo una
maschera di fronte a Fersen, e pure di fronte a Oscar, ma davanti a lui mi ero
mostrata nuda.
Quasi non mi accorsi del momento in cui la musica si
interruppe; mi ridestai in tempo per non farmi sorprendere da Oscar in quello
stato di abbandono. Ma non l’avrei ingannata a lungo.
Mi giunse la voce allegra e senza pensieri di Fersen
che si complimentava con lei.
Oscar gli aveva sorriso appena.
Un cameriere era comparso con un vassoio su cui
c’erano dei calici di vino; mia sorella ne aveva preso uno, aveva bevuto un
sorso e poi lo aveva posato di frontea
sé, sul piano lucido e nero.
Poi attaccò a suonare un altro brano, ma più corto.
Nello spazio della sua breve esibizione, io
continuai a osservare Andrè senza accorgermi delle occhiate oblique di Oscar,
che intercettavano la direzione del mio sguardo. Era rimasto sempre fermo al
suo posto, poco distante dalla finestra, non troppo lontano da Oscar.
Avvertivo nell’aria un’ insolita tensione, come se
dovesse scoppiare un temporale da un momento all’altro, ma il cielo era
apparentemente sereno e senza nuvole all’orizzonte.
Mi alzai dal mio posto per sedere accanto a Fersen,
solo per poter essere più vicina ad Andrè. Nel compiere quei pochi passi,
nascosi dietro il ventaglio una parte del mio viso, nel tentativo di velare
l’occhiata fuggevole che rivolsi all’attendente.
Fersen mi disse qualcosa che non afferrai completamente;
forse fu un complimento e finsi di esserne compiaciuta, rivolgendogli un
grazioso cenno del capo, ma la calamita continuava inesorabile ad attirarmi
come il sole attira i girasoli. Continuavano a sfuggirmi gli sguardi sospettosi
di Oscar, un errore che non avrei dovuto fare.
Ero sempre stata scaltra in questo genere di
situazioni, ma il mio trasporto appassionato era tale, che sottovalutai la
prudenza. Soprattutto sottovalutai Oscar e il suo acuto spirito d’
osservazione.
Fui troppo sicura di me e della mia capacità di
condurre il gioco con astuzia.
Tradivo gesti ed emozioni; passavano sul viso
impertinenti e l’unico che le fraintendeva era Fersen, che si fece addirittura
più audace nei suoi approcci.
“Danielle, posso osare dirvi quanto siete dolcemente
affascinante stasera? Siete stupenda. Sarà un peccato per voi passare la notte
da sola; una donna come voi non merita la solitudine di un letto vuoto e
freddo.” Mi sussurrò all’orecchio con fare provocatorio, sfoderando il tono di
voce più sensuale.
Forse, in una circostanza diversa, sarebbe anche
riuscito a sedurmi.
Quando sentii le dita della sua mano solleticarmi il
polso e risalire verso il gomito, sotto il pizzo della manica del mio vestito,
provai un moto di profondo fastidio che mi imposi di nascondere. Doveva
continuare a credere di avere un certo ascendente su di me e che io volessi
soltanto prolungare il gioco del corteggiamento.
Alzai il ventaglio di seta cangiante all’altezza
delle mie labbra vermiglie e sorridenti, e risposi con pari audacia alla sua
provocazione.
“E vorreste essere voi a scaldare la mia alcova,
conte?”
“Solo se lo volete anche voi.”
Mi prese una mano e la baciò.
“Forse troverete soddisfazione, ma dovrete
guadagnarvela. Quando lo vorrò, ve ne accorgerete.”
E lo lasciai nell’ansia, nell’attesa fremente della
promessa di una notte.
“Debbo confessarvelo; spero sia presto.” Sospirò un
po’ deluso, ma ancor più acceso di aspettativa.
Aspettativa che non avrei mai soddisfatto.
Oscar aveva continuato la sua esecuzione al piano,
ma fu interrotta dall’ingresso tumultuoso dei miei figli che volevano salutare
la loro zia prima di andare a dormire. Ninette aveva cercato di bloccarli, per riportarli
nelle loro stanze, ma con scarsi risultati.
“Scusatemi, madame. Stavo per metterli a letto, poi
la contessina ha insistito per dare la buonanotte a madamigella Oscar e ha
trascinato con se il fratellino.”
Monique si era avvicinata al piano dove Oscar
l’accolse con un sorriso.
“Domani giocherete con me, vero Oscar? Prendo le
spade finte di mio fratello e giochiamo ai pirati.”
“No, le mie spade no! Non vanno bene per le
femmine!” Protestò corrucciato il piccolo Bastien.
Oscar rise.
“Domani, Monique. Ora vai a dormire, piccola mia.
Anche tu, Bastien. Da bravi, seguite la vostra governante.”
Salutai i miei bambini con un bacio, prima di
vederli sparire dietro le gonne della fedele e paziente Ninette.
Una strana euforia gravitava nell’aria, pregna dell’
odore impercettibile della cera sciolta che si mischiava perdendosi con quello
dei mazzi di fiori posti nei vasi ai quattro angoli della stanza.
L’atmosfera un po’ eccitante, mi fece desiderare di
ballare; volevo muovermi, liberare la strana energia che mi scorreva sotto la
pelle; volevo che André guardasse i movimenti del mio corpo, volevo che capisse
che danzavo per lui. Così, chiesi a Oscar di suonare qualcosa che avesse un
ritmo diverso.
Lei mi assecondò e non immaginai che avrebbe
approfittato di quell’ innocuo espediente con studiato calcolo.
Fersen mi invitò a danzare e io accettai con
entusiasmo e innocente malizia; lo spazio non era molto, quindi eseguimmo
alcune semplici figure al centro della stanza, accostando le nostre mani.
Fersen mi sorrideva affascinato e non risparmiava
complimenti e adulazioni.
“Avete una luce particolare negli occhi, contessa.
Sembrate così viva, questa sera.”
“Forse, perché mi sento così.” dissi girando su me
stessa, mentre di sottecchi cercavo la figura di André.
Non avevo pensieri, solo la gioia di ballare che mi
alleggeriva il cuore, unita al piacere di essere ammirata dall’uomo che mi
faceva tremare il cuore.
Ma Oscar, all’improvviso smise di suonare.
“Conte di Fersen, so che anche voi siete un valente
musicista; perché non suonate voi, al posto mio?”
“Volentieri, se la cosa non disturba Madame
Recamier, che sono certo preferirebbe ascoltare voi.”
“Non ti dispiace, vero Danielle?”
“No, Oscar. – Risposi - Vi prego conte, mi farebbe
piacere ascoltarvi. Non ditemi di no.”
“Non potrei mai negarvi qualcosa, contessa. Ma vi
avverto, non sono bravo come madamigella Oscar.”
“Oh, non siate modesto; sappiamo che siete un uomo
dai molti talenti.” Lo incoraggiò lei.
Ma il tono che aveva usato mi parve ambiguo.
Lo svedese si avvicinò al piano e Oscar si alzò per
cedergli il posto.
Io stavo per sedermi, ma la voce ferma di Oscar mi
bloccò sul posto.
“Mia sorella vuole danzare, Fersen. Suonate qualcosa
di adatto, ve ne prego.”
Le mani del conte iniziarono a volare sui tasti, prima
lentamente, poi aumentando il ritmo.
“Vorrà dire che dovrò danzare con te, Oscar. Sarà
divertente.”
Commentai con un sorriso, che finì per morire sulle
mie labbra.
“E perché mai? André può essere il tuo cavaliere. -
Mia sorella si voltò verso il suo attendente che fino a quel momento era
rimasto fermo e silenzioso a osservare tutta la scena; dalla sua espressione,
anche lui pareva stupito. – André, per favore, danza con Danielle.”
Una richiesta che aveva tanto l’aria di un ordine.
Fui colta da un brivido che mi corse veloce sulla
pelle, mentre gli occhi di Andrè carichi di dubbi, si posavano prima su di me e
poi su Oscar, la cui espressione era indecifrabile: il suo volto appariva
rilassato, non una ruga solcava la sua fronte distesa, ma la strana luce fredda
che le balenava nello sguardo mi inquietò.
André si dimostrò indeciso per pochi secondi.
Quando a passi lenti avanzò verso di me, il mio
cuore tremò un istante ed ebbi paura; lo stomaco si contrasse in uno spasimo e
una strana agitazione mi prese. Il mio respirò accelerò, sollevando il mio
petto costretto nel bustino dell’abito. Come si fa a non tradire se stessi nei
momenti cruciali? Le mie mani sudavano mentre stringevo convulsa il ventaglio.
Tentavo disperatamente di dominare il potente turbamento che bloccava le mie
gambe e la mia lingua, incapace di pronunciar parola.
Attorno un silenzio che pareva dilatarsi nei nostri
sguardi che si incontravano.
Poi sentii le sue mani sfiorare gentilmente il mio
corpo, allacciarsi alla mia vita. E fui trasportata solo dalla musica del
pianoforte che invitava i nostri corpi alla danza. La luce soffusa, tremolante
delle candele rendeva l’atmosfera irreale, quasi fatata. Le mie gambe e le mie
braccia seguivano i movimenti di Andrè, il mio sguardo si perse a lungo in quel
fuoco verde in cui sarei potuta annegare, dimentica di ogni altra cosa o
persona che fosse in quella stanza, tra quelle quattro pareti. André mi teneva
tra le braccia e il suo sguardo mi seguiva, mi circondava e mi catturava, mi
stregava annebbiando quasi la mia mente e in un istante sentii che anche lui
avrebbe potuto perdersi in quel nostro abbraccio.
Che cosa vedesse lui in me in quell’attimo perfetto,
lo ignoravo totalmente; forse ero solo il fantasma meraviglioso della gemella
che lui amava. Forse ero il sogno proibito e più segreto delle sue notti
solitarie, una creatura evanescente come l’aurora, uscita dal buio della sua
esistenza. Mi bastava appartenere ai suoi sogni e magari col tempo mi sarei
trasformata in qualcosa di vero, in una donna fatta di carne e sangue, emozioni
palpitanti e passioni brucianti.
Ma l’incanto non durò a lungo, si frantumò come un
sortilegio maligno nell’istante esatto in cui colsi iridi turchesi come le mie,
guardarmi fisso; in un passo di danza, André si era trovato di spalle a Oscar,
e io avevo puntato i miei occhi nella sua direzione.
Forse, in un moto inconscio, avevo cercato quello
sguardo.
Per sfida o per gioco.
Il sangue si gelò nelle mie vene, di fronte alla
gelida furia che straripava da quello sguardo.
Un’ ira silenziosa, cupa come il rombo di un tuono
che si coglie in lontananza.
Mi attraversò l’anima come una folgore.
Mi fece male.
Oscar, il mio riflesso, lo specchio in cui potevo
riconoscermi mi restituiva un’immagine ignota.
Non ricordavo che in tutta la vita, mi avesse mai
guardato così.
Scusate sempre il ritardo, ma eccomi qui. Capitolo difficoltoso e
ricco di dialoghi.
Vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per i vostri commenti e
per l’interesse che dimostrate verso questa storia.
Vi lascio alla lettura e spero apprezzerete.
Per Livia; ho ricevuto la mail, appena posso giuro che ti rispondo.
Un saluto a tutti.
*********
La serata si era conclusa in maniera naturale, senza
apparenti malumori.
La
musica si era fermata; l’ esibizione del Conte di Fersen era terminata e Oscar,
nonostante le insistenze dello svedese, non volle più continuare a suonare
adducendo la stanchezza; di conseguenza, io avevo smesso di ballare,
recuperando lucidità e fermezza perse poco prima tra le braccia di André.
Oscar, con un tono sin troppo pacato che contrastava
visibilmente con lo sguardo acceso di rabbia che solo io avevo scorto in lei,
si era congedata con eleganza, augurando a me e a Fersen la buonanotte.
Mentre mi salutava colsi la sua espressione;
qualcosa non andava e nel suo sguardo una scintilla fredda come ghiaccio,
tradiva i suoi veri pensieri.
Una luce famigliare che conoscevo bene le faceva
brillare gli occhi celesti, una luce che troppe volte avevo intravisto in lei:
era quella dell’ostinazione, quella che mia sorella aveva quando era decisa a
scoprire qualcosa, a raggiungere il suo obiettivo, qualunque esso fosse.
André si era staccato da me senza parlare, non prima
di aver allacciato un’ ultima volta lo sguardo col mio; profondendosi in un
inchino si era apprestato a seguire la sua padrona che lasciava la sala della
musica per ritirarsi nelle sue stanze.
Ero rimasta sola con Fersen per un tempo breve; lui
aveva tentato un ultimo azzardato approccio per non finire la sua notte in
bianco, ma aveva dovuto arrendersi sconcertato, di fronte al mio rifiuto
opposto con un sorriso tranquillo e serafico che mascherava ben altra
inquietudine.
“Contessa, io credo che sarebbe un peccato finire
qui la nostra bella serata, non trovate? Perché non godere delle piacevoli ore
che può concederci questa notte?”
“Conte, non bisogna cogliere il fiore troppo presto;
bisogna attendere che sbocci. Sono certa che capite cosa voglio dire e che
rispetterete il mio desiderio. Vi auguro la buonanotte.”
Mi ritirai svelta senza preoccuparmi delle sue
incerte proteste.
Raggiunsi
la mia camera dove Ninette mi attendeva per aiutarmi a prepararmi per la notte;
liberò il mio corpo dalle vesti e dalla pressione del corsetto, sciolse i miei
capelli e li spazzolò con cura.
Contrariamente
a quanto facevo di solito, con la scusa della stanchezza scambiai solo poche
parole con lei e la congedai in fretta.
Volevo
stare sola.
Restai seduta davanti allo specchio della mia
toilette per svariati minuti, fissando stranita la mia immagine allo specchio.
Alle mie spalle, la luce riflessa delle candele creava un alone attorno alla
mia testa.
Con la mente, come un’ossessione, continuavo a
tornare ai momenti che avevano scandito quella strana serata; il piacere e il
turbamento provato tra le braccia di André mentre ballavo con lui e lo sguardo
di Oscar che ci aveva guardato in un modo che non ero riuscita a decifrare, e
poi quella rabbia cupa e violenta che ero certa di avere scorto, era stata come
un lampo improvviso, la luce di una saetta che viene a squarciare il buio.
Non ero tranquilla e non ero sicura che avrei chiuso
occhio.
Allo specchio il mio riflesso mi restituiva
l’immagine del mio doppio; Oscar mi guardava con un’espressione severa.
Una strana inquietudine mi ribolliva dentro e mi
mordeva la coscienza.
Uno strano presentimento agitava il mio animo e mi
sentivo ridicola a essere vittima dei miei sensi troppo eccitati che mi
suggerivano cose inesistenti.
Mi alzai e camminai per la stanza avvolta nella seta
della mia camicia da notte per alcuni minuti; mi lasciai cadere su una poltrona,
mentre aspettavo di riacquistare la giusta calma che potesse conciliare il
sonno che tardava a venire.
Dopo non so quanto, mi decisi a mettermi a letto.
Mi addormentai con difficoltà.
Mi rigiravo tra le lenzuola in preda all’ansia
mentre i miei occhi non volevano chiudersi; restavano aperti fissi nel buio a
scrutare il nulla.
Alla fine, mi assopii, ma nel dormiveglia accadde
qualcosa di strano.
Non so di preciso, quanto durò il mio sonno leggero.
Avevo strane sensazioni che non comprendevo. Poteva
essere un sogno, ma sembrava troppo reale.
Dietro le palpebre chiuse, mi pareva di avvertire un
chiarore provenire da un punto imprecisato della mia stanza e poi una presenza
ignota da qualche parte nello spazio, incombente e vagamente sinistra aleggiava
attorno a me. La paura mi impediva di aprire gli occhi per scacciare quel
fantasma materializzato dal mio inconscio.
Doveva essere un sogno, forse un incubo; mi pareva
di non riuscire a svegliarmi e mi sforzavo di aprire le palpebre serrate per
tentare di scacciare quella strana sensazione d’angoscia. Alla fine, mi
svegliai del tutto e mi ritrovai a fissare il soffitto e le impalpabili cortine
del mio letto attraverso una vaga oscurità che non era così netta come avrebbe
dovuto essere. Mi chiesi che ore fossero e quanto avessi dormito, perché mi
sembrava che fosse passato pochissimo tempo da quando mi ero coricata.
Lentamente compresi che una luminosità vaga e incerta si apriva tra
quell’oscurità, come se la debole luce di una candela sfidasse il buio. Tra le
nebbie fumose della mente ricordai che non avevo lasciato candele accese e con
un profondo senso di panico realizzai che non ero sola nella stanza.
C’era qualcuno lì con me.
Lo sentivo; un respiro incerto attraversava l’aria
fredda dell’ambiente.
O forse, mi ingannava la mia fantasia?
Sarebbe bastato girare il volto e avrei visto chi
era, ma non trovavo la forza per muovermi.
Lasciai passare qualche minuto in cui avvertii il
mio cuore martellare frenetico nel petto, ad un ritmo assordante, indecisa se
era per paura o speranza; il timore vago che Fersen avesse frainteso il mio
rifiuto non mi sconvolgeva come la speranza un po’ indecente e sfacciata che
un'altra persona avesse finito per cedere ai miei inviti seppur velati. Sperai
ingenuamente e in maniera del tutto irrealistica che André avesse raggiunto la
mia alcova in piena notte, attirato da chissà quale forza misteriosa; il
desiderio represso per Oscar, l’eccitazione dei sensi turbati dalla nostra
vicinanza che ero quasi certa di aver indovinato in lui.
Finalmente, trovai il coraggio e sollevai lo sguardo
nella direzione della piccola luce tremolante, una candela posta su un mobile, la
cassapanca addossata ai piedi del mio letto.
I miei occhi si adattarono alla semioscurità e
vagarono poco distanti su una sedia posta proprio sul fondo di fianco al mio
letto.
E la vidi; una figura seduta, ne distinguevo le
gambe snelle e forti fasciate nei pantaloni, la camicia chiara, il nodo sciolto
della cravatta di seta lievemente aperta sul collo. Forme gentili ed eleganti.
Solo il volto restava in penombra, nascosto nella semioscurità. Non parlai,
preda dell’iniziale stupore, quasi le parole mi fossero state rubate a forza.
Quando la figura si mosse sulla sedia ed emerse sotto la luce, sporgendosi in
avanti con i gomiti appoggiati ai braccioli, con un brivido di vero terrore
riconobbi gli occhi resi lucidi dall’alcol, il volto incorniciato da lunghi,
scarmigliati capelli biondi.
Oscar…
Mia sorella mi fissava senza parlare e in mano
reggeva per il collo una bottiglia di vino bianco, vuota per metà.
Quando la chiamai, la mia voce uscì stentata e quasi
irriconoscibile alle mie stesse orecchie.
“Oscar? Ma… cosa fai qui, in piena notte?”
Mia sorella non rispondeva, ma continuava a
fissarmi. Aveva un aspetto selvaggio che mi metteva in agitazione. Io mi alzai
a sedere sul letto, appoggiando la schiena contro i cuscini ricamati, restando
semicoperta per difendermi dalla frescura della notte.
“Ti senti male?” chiesi, senza ricevere risposta.
Continuavo a sentire addosso l’insistenza di quel
suo sguardo strano, offuscato dall’alcool.
L’aspetto indolente le dava uno strano fascino
perverso.
“Insomma Oscar! Mi hai spaventata da morire! Che sei
venuta a fare in piena notte in camera mia? Sei ubriaca?”
“Non abbastanza.” Sussurrò con voce profonda e colsi
un brivido di freddo, quasi un formicolio passarmi sulla pelle del braccio. La
vidi abbassare la mano e posare a terra la bottiglia, vicino al polpaccio.
Inclinò la testa di lato come se volesse studiarmi.
“Non riesci a dormire, Danielle? Mi pare tu abbia il
sonno un po’ agitato. Cosa o chi turba i tuoi sogni?”
Da quanto tempo era lì? Se era ubriaca non lo era
così tanto da non poter rispondere alle mie domande. Anzi, improvvisamente mi
parve anche troppo lucida; il vino non aveva annebbiato la sua mente e se
attraverso i fumi dell’alcool aveva raggiunto la mia stanza, doveva esserci un
motivo molto serio.
“Forse cara, potrei farti la stessa domanda; anche
tu non riesci a dormire e vaghi di notte in casa mia come un fantasma. Per
giunta, devi aver bevuto parecchio, mi pare ovvio. Il tuo stato è
preoccupante.”
“Meno di quanto tu creda. – Prese la bottiglia, la
portò alle labbra e bevve un sorso, poi la riposò a terra. - Dobbiamo parlare,
Danielle.”
Tentai di obbiettare.
“Ora? Non possiamo farlo domani, con più calma? Io
vorrei dormire, sono piuttosto stanca, Oscar.”
“No. Io voglio parlare adesso; è importante non
perdere tempo. Domani potrebbero esserci troppi testimoni.”
Era determinata e io mi preoccupai.
“Non capisco.”
“Tu no, ma io sì. Cosa ti sei messa in testa di
fare?”
Sibilò astiosa e io sussultai di leggero spavento al
rumore della bottiglia che rotolava sul pavimento della stanza, e spezzava il
silenzio pesante sceso fra noi; Oscar l’aveva toccata con un piede in un moto
di nervosismo. Sentivo il leggero gorgoglio del liquido che si riversava sul
pavimento.
“Sai Danielle, c’è stato un momento in cui ho
pensato che fosse tutto un trastullo per ingelosire il Conte di Fersen, ma dopo
quello che ho visto questa sera, è abbastanza chiaro che non è lui che ti
interessa veramente. Ti sei stancata dei nobili damerini vanesi che di solito
frequentano il tuo letto, e hai deciso di puntare la tua attenzione sulla
servitù? Se cerchi nuove esperienze, faresti bene a cercarle altrove.”
Nonostante l’ironia del tono di voce, sentivo la
rabbia nascosta tra le parole; covava come brace sotto la cenere.
“Le tue allusioni sono volgari e indegne di te, mia
cara. Per chi mi hai preso? Per una di quelle donnine stupide e di facili
costumi che infestano la corte e certi salotti di Parigi? Sei mia sorella;
dovresti conoscermi un po’ meglio.”
Opposi al suo cinismo un tono altrettanto irritato.
Ma Oscar aveva appena iniziato a mordere e da quella notte, molto altro doveva
ancora venire; veleno, dolore e verità che brucia come sale sulle ferite mai
chiuse.
“Ti conosco Danielle, meglio di quanto potresti
credere. E capisco quando sei affascinata da un uomo. Parliamo di André; lo
guardi in un modo che non mi piace affatto. Non pensavo potessi arrivare a
tanto. Stai pensando di sedurlo, per caso? Vuoi fare di lui il tuo prossimo amante?”
“Oscar!!”
“Voglio la verità, Danielle. E non raccontarmi
fandonie, perché non sono dell’umore giusto per sopportare chiacchiere inutili!
Non ho chiuso occhio e l’insonnia mi rende nervosa e tesa.”
“Ti rendi conto di quello che dici? Sei diventata
pazza?”
“Non sono mai stata più seria né più lucida e non me
ne andrò da questa stanza finché non avrò saputo ogni cosa, a costo di tenerti
sveglia tutta la notte. Guarda che non esagero. E non costringermi a
minacciarti con la spada!”
“Non oseresti!” Mi ribellai.
“Non mettermi alla prova, Danielle.” Il tono fermo,
quasi duro mi intimorì.
Solo allora notai il ferro abbandonato di fianco al
bracciolo della poltrona.
Lessi la sfida nei suoi occhi attraverso le ombre
cupe della stanza; capii che era la resa dei conti. Se Oscar voleva la verità,
l’avrebbe avuta, ma anch’io ero decisa ad avere la mia parte. Trovavo
profondamente ingiuste le sue accuse; non avrei mai voluto svilire Andrè al
ruolo di semplice amante.
No, sarebbe stato molto più importante per me. Ma
fino a che punto potevo spingere le mie confidenze? Avrebbe capito i miei veri
sentimenti? O avrei scatenato maggiormente la sua furia? Perché c’era tutta
quella rabbia in lei, e perché era così simile alla gelosia? Poteva essere così
possessiva solo perché non voleva dividere l’amico con altri? O non voleva
dividerlo proprio con me? Ero dunque io, la pietra dello scandalo? Il tabù con
cui Oscar non voleva confrontarsi, neppure in rapporto con André?
Poteva nutrire per André sentimenti oscuri che non
osava dichiarare a se stessa?
Non trovavo normale quel suo atteggiamento. Anzi,
era davvero eccessivo.
“A parte l’assurdità delle tue accuse, mi sorprende
che tu sia così morbosamente gelosa di André. Ultimamente in effetti, è
diventato spesso motivo di attrito tra noi. Cosa significa, Oscar? Non posso
avvicinarmi a lui, senza subire le tue rimostranze; per caso, hai deciso che la
sua amicizia è appannaggio esclusivamente tuo?”
“Io, gelosa di André? Non essere ridicola. E poi, se
fosse solo una questione di amicizia, non mi preoccuperei. Credo che il tuo
interesse malsano verso il mio attendente sia di natura molto dubbia e non è
amicizia.”
“Allora, il problema sono io. Supponiamo per un
momento che sia vero quello che dici; se non fossi tua sorella, la cosa ti
lascerebbe indifferente?”
Vidi Oscar esitare un istante, e la cosa mi fece
pensare.
“Cosa c’entra questo? André è un servo, ma è anche
mio amico. Sarebbe uno scandalo, per non parlare del rischio che comporterebbe
una cosa simile. Non puoi coinvolgerlo in una vicenda del genere;
sconvolgeresti la sua vita.”
Mia sorella non sospettava quanto la vita del suo
attendente fosse già scossa dai marosi tumultuosi di un amore chiuso in fondo
all’anima. Mi chiesi se era davvero così ingenua, e all’improvviso mi fece
rabbia, perché mi parve di leggere dell’ipocrisia nelle sue parole. Sembrava
protettiva, ma in modo ambiguo; non capivo se era un atteggiamento che assumeva
verso André o se stessa.
“Sconvolgere la sua vita? Forse sei tu Oscar, che
hai paura di scossoni alla tua esistenza. Non puoi pretendere che André non
abbia altre esigenze o desideri che esulano dalla tua persona. Hai mai pensato
che potresti non essere il centro di tutto il suo mondo?”
Mi ero sporta in avanti sui cuscini, mentre Oscar
pareva voler arretrare nello schienale della sedia.
“Non capisco a cosa alludi. André è libero di fare
quello che vuole. Non l’ho mai obbligato a seguirmi.” Ribattè secca.
“Certo, salvo che ti vive accanto come un’ombra,
senza quasi avere una vita propria. Ti sei mai chiesta se abbia altre speranze
per sé, magari aspirazioni diverse? O credi che ti farà da attendente tutta la
vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato!” Esclamai vivacemente.
Oscar pareva incapace di ribattere, ma nel modo
ostinato e acceso in cui mi fissava sentivo che dovevo aver toccato un tasto
doloroso. Stavo sollevando quesiti che forse aveva sempre cercato di
minimizzare.
“E se Andrè fosse davvero attratto da me? E se
anch’io mi sentissi attratta da lui non dovrei assecondare il mio cuore?”
Il suo sguardo mutò trasfigurato da una specie di
spavento; improvvisamente compresi che era vera paura quella che leggevo nei
suoi occhi. Temeva che potessi portarle via André? Temeva di perdere l’amico di
una vita, o un affetto tanto profondo impossibile per lei da dire?
“No, Danielle. Non con André. Non lo puoi fare;
sarebbe un grave errore.”
“Il vero errore sarebbe negare o non seguire i
propri sentimenti.”
“Sentimenti? Di quali sentimenti stiamo parlando?”
Panico nella sua voce. Tratteneva i braccioli della
sedia artigliandoli con le dita.
“Vuoi la verità? Bene. Questa sarà la notte delle
reciproche confessioni. Sarò onesta con te, Oscar, ma tu dovrai esserlo
altrettanto con me. Te la senti?”
“Io non ho nulla da nascondere.”
Tirai un profondo sospiro, prima di iniziare a
parlare. Sentivo lo sguardo di Oscar pesarmi addosso, implacabile.
Avevo l’impressione che volesse trapassarmi, ma
anch’io stavo cercando di scoprire i segreti della sua anima. Segreti che in
parte conoscevo, ma volevo che fosse lei a svelarmeli.
Se ci fossimo guardate fino in fondo, senza le
nostre reciproche maschere, forse ci saremmo davvero avvicinate una all’altra.
Ci saremmo capite sul serio. Non mi sarei tirata indietro; saremmo comunque
arrivate a quella svolta, tanto valeva affrontare i nostri fantasmi personali.
“Andrè è un uomo gentile, un amico sincero e fidato,
e mi piace molto stare in sua compagnia, sto bene insieme a lui; è spontaneo e
onesto nei suoi pensieri. Non ho mai trovato nulla di tutto ciò tra le persone
che mi circondano. Ma è anche molto attraente, non lo nego, e io sono una
giovane donna sposata ad un uomo che non ama. Sai che cosa vuol dire, Oscar,
vivere così? Senza vero amore e affetto? Senza un po’ di comprensione?
Complicità e vera intimità? Immagini quanto sia vuota la mia vita, priva di
tutte queste cose?”
Avevo parlato con impeto, animata da un fremito che
mi sconvolgeva e che mi lasciava senza freni nelle mie esternazioni. Mi ero
sporta sollevandomi e quasi stavo per scendere dal letto. Oscar mi aveva
ascoltata scrutandomi con cipiglio severo e corrucciato, ma nei suoi occhi
continuavo a scorgere una luce di profonda inquietudine. Le ombre si
disegnavano strane attorno a noi.
“Conosco le buone qualità di André, so che genere di
uomo è. Perché lui? Credi che possa darti quello che cerchi? Non ti preoccupi
delle conseguenze? Lui non potrebbe riempire la tua vita, senza pagarne un
prezzo che sarebbe troppo alto.”
Punta sul vivo dalle sue parole, presi la camicia da
notte appoggiata al fondo del letto, la infilai e mi alzai di fronte a Oscar.
Quasi mi lasciai scappare una lieve risata.
“Tu pretendi di conoscere André? – Esclamai. – Oh,
potrei sorprenderti, cara; io conosco di Andrè, cose che tu neppure sospetti,
nonostante non vivo accanto a lui come fai tu da anni! Ma a volte è meglio non
vedere; per te è sempre stato più semplice fare finta di nulla, vero Oscar?”
“Fare finta? Di cosa parli? Secondo te, io non
conoscerei André, che è quasi un fratello per me? Da dove ti viene questa
presunzione? Ti stai accalorando un po’ troppo, Danielle.”
“Hai detto bene, un fratello. Ma non è tuo fratello,
Oscar! Non c’è nessun legame di sangue tra voi.”
“Questo non significa niente.”
“Invece, significa tutto. Tu ti nascondi Oscar;
fingi di avere un cuore da uomo e i tuoi sentimenti sono da donna, li nascondi
con la divisa da Colonnello. Sei mortalmente gelosa di André, in un modo che
dovrebbe farti riflettere, per non parlare di quello che provi per il Conte di
Fersen; ti sei infatuata di un uomo frivolo che non è degno di incrociare la
spada con te e si dichiara innamorato infelice della nostra regina.”
“Cosa?”
“Suvvia Oscar! Sono la tua gemella e tra noi certe
cose si avvertono spontaneamente. Ti sei invaghita di quell’uomo, ma non vuoi
riconoscerlo perché ti fa sentire troppo debole, una cosa che tu non puoi
permetterti. Ma l’amore non è una debolezza, Oscar. Sono una donna, oltre che
la tua gemella e conosco da sempre il conflitto che ti attanaglia, perché in
fondo è simile al mio. So anch’io quanto è difficile accettarsi.”
A quel punto, Oscar si alzò dalla sedia,
allontanandosi dalla fioca luce della candela per andarsi a piazzare davanti al
vetro della finestra, dandomi le spalle. Fuori, l’oscurità della notte
avvolgeva ogni cosa e lei mi appariva come una sagoma indistinta. La sua voce
mi giunse quasi in un sussurro.
“Cosa ne sai tu, del mio conflitto? Tu non hai mai dovuto
vivere nascondendo la tua natura, il tuo cuore. Credi che la mia vita sia più
facile? Se la tua vita è vuota, puoi riempirla in mille modi, ma non devi
lottare per essere te stessa. Non devi reprimere emozioni che non dovresti
avere. La tua vita non è una lotta per dimostrare al mondo cosa vali. Tu non
devi far dimenticare agli altri cosa sei, in realtà!”
Era una confessione quella? Sì, in una forma singolare.
Oscar mai mi aveva esternato pensieri tanto personali,
tanto intimi. Eppure avevo l’impressione di averli sempre percepiti in lei; non
so come, in quel momento mi commosse, come se quell’interiorità io la scoprissi
per la prima volta.
“Oh, Oscar… questo è un problema che abbiamo tutte,
anche noi donne cosiddette normali!Le nostre opinioni non hanno peso e raramente siamo prese in considerazione.
Perché stiamo qui a farci la guerra? Non ho mai pensato che sia stato facile
assecondare il desiderio di nostro padre, ma… - mi avvicinai a lei di qualche
passo – a volte ho l’impressione che tu non ti renda conto del privilegio che
ti è stato dato.”
“Privilegio? Stento a crederlo! Sbaglio o vorresti
essere al posto mio, Danielle?”
Sentii sorpresa nella sua voce che attraversava
l’oscurità che ci divideva.
“Vorrei sapere cosa si prova a essere liberi; di
pensare, di vivere, di scegliere. Oh, Oscar, forse in alcuni momenti avrei
desiderato essere come te. Io devo far dimenticare al mondo che sono la tua
gemella! Sai quanti uomini mi cercano solo per quello e non vanno oltre il mio
aspetto? In me, cercano te. Sono una fantasia, la trasgressione. Fersen fa la
stessa cosa. Riesci a capire che significa?”
“Non credo che per te, sia mai stato un problema. E
Fersen non è quel tipo d’uomo…”
“Continui a difenderlo, eh? È esattamente quel
genere d’uomo. Potresti verificarlo anche da sola.”
“Come?”
“Mettendoti nei miei panni: dovresti provare solo un
ora a essere me.”
“Eeehh??”
Era un’ idea bizzarra buttata lì per caso, ma
all’improvviso mi sembrò un colpo di genio. Se soltanto fossi riuscita a
convincerla; sarebbe stato un modo perfetto per mettere Oscar in contatto con
la sua femminilità.
Mia sorella restò in silenzio per un lungo attimo;
continuò a scrutare l’oscurità oltre il vetro, poi si volse verso di me.
“Davvero vorresti essere come me, Danielle? Perché?”
“Te l’ho detto, Oscar: la libertà. – Misi una certa
enfasi nel pronunciare la parola. – Libera da un matrimonio imposto, da regole
stupide. Libera di costruire la mia vita come voglio, seguendo delle legittime
aspirazioni, libera di esprimere il mio pensiero più autentico senza che sia
sottovalutato, soprattutto libera di scegliere da sola l’uomo giusto da amare.”
“Tu credi che io abbia tutta questa libertà? -
Avvertii una nota ironica nella voce. - Io ho sposato la vita militare,[1]
il dovere, l’obbedienza ai superiori; non è un matrimonio facile. Libera di
amare? Chi? Fersen? Non si accorge neppure che sono una donna. Pochi se ne
accorgono, in verità: uno di questi è proprio André. – La sentii sospirare
pesantemente. - Sì, Danielle, è inutile nasconderlo proprio a te; provo
qualcosa per il Conte, forse perché mi sembra diverso da tutti gli altri, è un
uomo dal cuore onesto… Poi… vedo come ti guarda. Come non può guardare me. E mi
confonde… da quando Fersen è arrivato qui, non mi pare lo stesso uomo che
conosco… non capisco più il suo comportamento.”
Profonda amarezza filtrava da quelle parole, la
sentivo soffocarmi l’anima e mi faceva male.
Mi dava la misura dell’ amore tormentato che Oscar
nutriva per quell’uomo; era un sentimento mortificato dall’obbligo di dover
soffocare la sua essenza femminile che smaniava per liberarsi. Si era accorta
dell’interesse di Fersen nei miei riguardi e immaginavo che fosse un ulteriore
schiaffo per lei, come se io fossi quella con cui era impossibile competere. Mi
sembrava assurdo che fosse così insicura; Oscar era fisicamente identica a me,
due copie perfette della stessa persona. Non ebbi il tempo di riflettere su
quelle impressioni perché Oscar mi riportò bruscamente alla realtà.
“Ora tocca a te. Abbiamo fatto un patto. Saprai
essere altrettanto sincera?”
“Certo. Riguardo cosa?”
“Riguardo ciò che provi per André. E ricorda: sono
la tua gemella e certe cose le avverto anch’io spontaneamente. Fino a che punto
ti senti attratta da André? Per caso, ti stai innamorando del mio attendente?”
La domanda fu talmente diretta e inaspettata che io
restai a bocca aperta, incapace di rispondere. Il silenzio scivolò fra noi più
denso dell’oscurità, un silenzio che valeva più di mille risposte che avrei
potuto darle. Ma Oscar era decisa a farmi parlare e quel patto insano lo avevo
proposto io, lei ne stava solo approfittando.
“Èuna
domanda semplice. Perché non rispondi, Danielle?”
“Ecco, io… provo sincero affetto per lui. Non ho mai
provato nulla di tanto profondo per nessuno prima. – Incrociai le braccia sul
petto e abbassai lo sguardo. - Non mi sembra un reato tanto grave. Io cerco
solo il calore di un sentimento vero e con André sento di poterlo avere. Tu più
di tutti dovresti comprendermi. Non negarmelo Oscar, ti prego.”
Era più di quanto io potessi ammettere. Non stavo
mentendo e Oscar se fosse stata attenta, avrebbe sentito l’emozione autentica e
forte che vibrava nella mia voce. Mia sorella si allontanò dalla finestra e si
avvicinò a me, spostandosi dietro la fioca luce della candela che sfidava
l’oscurità. Non riuscivo a distinguere nettamente il suo volto, ma sapevo che
lei vedeva il mio, illuminato dal leggero bagliore della fiammella.
Mi arrivò il sussurro deciso della sua voce.
“Sai quanto tengo ad André e non voglio che soffra
per un tuo capriccio. Non voglio negarti la sua amicizia, ma se intendi
avvicinarti in altro modo a lui, allora non posso tollerarlo. Mi hai capito?
Resta con i piedi per terra e non comportarti da sciocca.”
Il tono di Oscar era molto serio: mi parlava come se
stese impartendo direttive della massima importanza a un suo subalterno. Ma
dietro quel tono all’apparenza distaccato, sentivo tutta la sua ansia e forse
una segreta minaccia.
“Certo Oscar, e non voglio creare problemi ad André,
né mettere te in imbarazzo, te lo giuro.”
“Bene. Mi è piaciuta la nostra chiacchierata. Credo che
rifletterò su alcune cose che ci siamo dette; sono certa che avremo modo di
riparlarne. - Si mosse per andare verso l’uscio. -Cerca di dormire ora. Buonanotte.”
E mi lasciò lì, al freddo della mia camera, frastornata e
sconvolta dalla tensione.
Avevo dormito poco, dopo che Oscar se n’era andata.
Forse mia sorella per quella notte si accontentò di
quella risposta, forse non fu del tutto convinta. Certamente altro le passò per
la testa e magari fui io a insinuare in lei il dubbio e la curiosità: il discorso
sulle nostre differenti identità l’aveva coinvolta molto, io stessa mi ero
lasciata trascinare su un terreno un po’ sconnesso.
Se la notte fu sorprendente, anche il mattino seguente
presentò i suoi imprevisti.
Facevo colazione in compagnia del Conte di Fersen sotto
il pergolato esterno del giardino della villa, quando Ninette venne ad
avvisarmi che nel cortile era rientrata la carrozza di mio marito; il Conte
Leopold Remy di Recamier era sopraggiunto all’improvviso dal suo viaggio nella
Loira e non era solo. Una gentile signora lo accompagnava: si trattava di
madame Lisette De Marchard, donna di qualche anno più giovane di lui, ancora
graziosa e piacente. Mi era giunta voce che fosse la sua attuale amante.
Non l’avevo mai incontrata prima, mai più mi sarei
aspettata di riceverla in casa mia.
Immaginavo che Leopold non si aspettasse di trovarmi
nella residenza di campagna e credendomi a Parigi, fosse venuto lì, per restare
solo con la sua amante. Davvero uno bizzarro scherzo del destino, per lui e per
me. Reciprocamente infedeli, cercavamo sempre di salvare le apparenze, evitando
situazioni imbarazzanti per entrambi.
Lo vidi venirmi incontro seguito dalla sua amabile
accompagnatrice.
Mentre avanzava verso il tavolo dove eravamo seduti io e
Fersen, osservai Lisette. Era una donna formosa dall’aria gioviale; un sorriso
spontaneo e solare le illuminava il volto rotondo e gli occhi erano scuri, ma
vivaci. Non tradiva alcun tipo di alterigia, appariva piuttosto semplice anche
nell’abbigliamento che non aveva nulla di ricercato, nessuna ostentazione nei
gesti o nei modi, caratteristica tipica di chi apparteneva alla piccola nobiltà
di campagna.
Segretamente ero un po’ sorpresa che Leopold potesse
avere del reale interesse per quella donna, ma così doveva essere.
Leopold mi salutò con cortesia prima di presentarmi la donna
che pareva per nulla imbarazzata.
“Contessa di Recamier, sono davvero lieta per questo
incontro.” Cinguettò serena.
Stentavo un po’ a crederlo, ma presi per buone le sue
parole. La voce di Lisette era come lei, festosa e gradevole.
La cosa più logica che potessi fare era reggere il gioco.
“Cosa vi porta qui, Madame De Marchard? Amate anche voi
la campagna?”
“Oh, sì. In realtà, sto andando a trovare i miei parenti
che vivono poco lontano da qui. Vostro marito si è offerto di ospitarmi un paio
di giorni prima di rimettermi in viaggio.”
Non saprei dire se fosse stata istruita da Leopold o se
era la verità, ma non mi importava molto.
Presentai loro il mio ospite, il Conte di Fersen, che con
la sua inconfondibile galanteria, fece ossequi alla signora e salutò con
rispetto mio marito.
“Quel Conte di Fersen? La vostra fama vi precede. Voi
venite dalla Svezia, se non erro. Siete qui su invito di mia moglie, immagino…”
Io colsi l’allusione e anche Fersen la colse e si
affrettò a smontare le possibili congetture.
“Sì, vostra moglie voleva allontanarsi da Parigi e ha
invitato me e vostra cognata, madamigella Oscar a tenerle compagnia per qualche
giorno, e godere della tranquillità della campagna.”
“Oh, anche Oscar è qui? La saluterei volentieri la mia
cognata di ferro.”
“Sta ancora riposando. Potrete farlo più tardi.” Risposi
pronta.
Leopold considerava Oscar una bizzarria stravagante di
nostro padre. Di mentalità poco elastica, non concepiva che una donna potesse
ricoprire un ruolo maschile, ma non avrebbe mai osato sfidarla a duello, né
avrebbe mai ammesso di averne anche un po’ paura. Si stupiva meravigliato di
come André riuscisse a confrontarsi con lei.
Stanchi per il viaggio, Leopold invitò Lisette a
ritirarsi nella sua stanza; io stessa avevo dato disposizioni alla cameriera.
Poi si congedò senza rinunciare a un pizzico d’ironia, lasciandomi in compagnia
del Conte di Fersen.
“Non offendetevi se non resto in vostra compagnia, ma ho bisogno
di qualche ora di riposo; voi capite, non ho la vostra gioventù. Sono certo che
mia moglie saprà intrattenervi nel modo migliore.”
“Non preoccupatevi; sono sicuro che avremo altre
occasioni per approfondire la nostra conoscenza, Conte di Recamier.”
Solo più tardi, ebbi uno sincero scambio di pensieri con
mio marito.
Mi aveva raggiunto nel mio salotto privato, poco prima di
pranzo, deciso a giustificare la presenza di Lisette in casa nostra.
Naturalmente aveva accampato improbabili scuse, spiegazioni che non avrebbero
convinto neppure una donna con meno malizia di me. Quella dell’ingenua non era
una parte che avevo voglia di sostenere e in quel caso fingere non mi
interessava. Seduta in poltrona, ascoltavo quei vani discorsi agitando il mio
ventaglio annoiata e infastidita.
“Vi prego Leopold, evitiamo questi imbarazzanti
sotterfugi; è ovvio che quella donna sia la vostra amante e voi pensavate che
io fossi a Parigi. Lungi da me l’idea di farvi una scenata di gelosia, ma
almeno potevate avere il buon gusto di non portarla in questa casa: sono pur
sempre vostra moglie e la madre dei vostri figli.”
“Oh, questa poi! Non coinvolgete quelle creature
innocenti. Lisette è una donna degna del massimo rispetto, una cara e gentile
amica che mi sono trovato ad aiutare in circostanze particolari… – Mio marito
si agitava, camminando avanti e indietro per la stanza, con le mani dietro la
schiena. - E in quanto a buon gusto, anche voi cara, non dimostrate di averne
molto.”
“Cosa vorreste dire?”
“Sto parlando di quel Fersen! Il favorito di Maria
Antonietta! Vi siete scelta davvero un bel personaggio, sarete additata da
tutta la buona società di Parigi, per non parlare di quello che diranno a
Corte.”
“Fersen non è il mio amante, se è questo che pensate. E
poi sono sempre stata più brava di voi a evitare gli scandali.” Obiettai
decisa.
“Eppure sembravate molto intimi, stamattina. Mi sembrate
un poco stanca, avete dormito poco…”
Non feci alcun commento; Leopold non poteva immaginare la
notte che avevo avuto e non volevo entrare nei dettagli.
“Allora, vorrete spiegarmi il motivo della sua presenza
qui?” Continuò.
Alzai di poco il tono di voce sottolineando le parole.
“Il Conte di Fersen è qui unicamente in virtù della sua
amicizia con mia sorella. L’ho invitato per fare un piacere a Oscar, e se la
cosa vi disturba il problema è vostro. Invece, le vostre scuse con Lisette sono
davvero ridicole. Spero che non resterà qui a lungo.”
“Accompagnerò madame Marchard dai suoi parenti tra
qualche giorno. Fino ad allora, voi cercate di essere gentile con lei.”
“E voi cercate di non mettermi in imbarazzo di fronte ai
miei figli: vivono in questa casa, quindi sono coinvolti.”
Non avevo voglia di proseguire quella conversazione che
trovavo irritante e inutile. Aprii il ventaglio in maniera teatrale e mi alzai
dalla poltrona per andarmene senza attendere oltre: avevo già sentito più di
quanto fossi disposta a sopportare.
Continua…
[1]Ispirazione tratta da una frase letta
altrove. La frase esatta era “Ho sposato l’esercito” solo che non ricordo dove
l’ho letta. Se qualcuno la riconosce come sua, me lo faccia sapere che la
inserirò nella citazione.
Era una cosa che la
indisponeva, perché non le piaceva oziare fino a tardi.
Era il minimo dopo la
nottata trascorsa.
Oscar aveva lasciato la
camera di Danielle dopo la mezzanotte; lievemente malferma sulle gambe,
infreddolita, la spada in una mano, la bottiglia nell’ altra, aveva
riguadagnato il suo letto caldo.
Contava di addormentarsi
appena avesse posato la testa sul guanciale, ma così non era stato.
Un pensiero su tutti gli
altri l’aveva disturbata come un suono molesto nella testa; una frase detta da
Danielle, quella notte. Le era sembrata assurda, ma ritornava indietro come un’
eco che la inseguiva e la invadeva.
-Potrei sorprenderti… Io so di Andrè, cose
che tu neppure sospetti…
-Credi che ti farà da attendente tutta la
vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato…
In effetti, era un
pensiero che non l’aveva mai sfiorata.
-Dovresti provare a essere me, per un’ ora…
A quella frase, altre erano precipitate nella sua
testa, come quando un piccolo sasso si stacca dalla montagna e trascina giù con
sé, massi più grandi. Si era addormentata con un boato nella testa, un rumore
fatto di parole ossessive che richiamavano strane visioni alla mente.
Lei, Andrè.
Danielle, Andrè.
Lei, Danielle.
Lei come Danielle. Con
Fersen.
Una su tutte; Danielle
con Andrè. Nel suo letto.
Al risveglio, l’immagine
era ancora lì. E non voleva andarsene.
Non capiva perché la
disturbasse tanto. Non sarebbe dovuto importarle.
Ma le importava, eccome.
Si era alzata dal letto
e si era avvicinata alla finestra che dava sul cortile davanti all’ingresso e
aveva visto l’arrivo della carrozza del cognato. Aveva sospirato stanca, quasi
fosse l’ennesima seccatura.
Leopold Di Recamier, un piede sul predellino, era sceso
dalla carrozza e lei aveva tirato la tenda di pesante broccato prima di vedere
la donna che lo accompagnava, scendere a sua volta.
Non aveva nessuna voglia
d’incontrare il cognato, un uomo che giudicava sgradevole, oltre che di
mentalità ristretta. Si vestì e prese la spada per uscire in giardino; voleva
allenarsi con André.
Ma quella mattina
l’attendente non si trovava; nessuno sapeva dove fosse finito.
Un ora dopo, Oscar
vagava sola per il parco della villa; complice la solitudine, col pensiero
continuava a indugiare sulla strana proposta fatta quella notte; avrebbe dovuto
essere solo un’ idea fugace, ma lentamente acquistava una consistenza reale.
Era una tentazione troppo forte che sarebbe stato più saggio scacciare, ma col
passare dei minuti diventava incredibilmente seducente.
Lei nei panni di
Danielle.
Scuoteva la testa,
tentando di scacciare da sé quell’immagine scandalosa e inopportuna.
Uno scambio di persona
che nessuno avrebbe sospettato. Perché non tentare una volta, di essere qualcun
altro? Sarebbe stato facile, un gioco senza rischi per lei che era abituata a
rischiare. Più ci pensava, più voleva provare a essere quella donna che viveva
all’ombra dell’altra.
Da qualche ora aveva
scoperto nel cuore sentimenti contradditori che la confondevano: doveva tentare
di comprenderne la natura, quell’essenza misteriosa che da sempre le sfuggiva.
Camminava lungo le siepi
del giardino, lo sguardo basso a seguire il sentiero cosparso qua e là di
foglie secche, assorta o forse persa nei suoi pensieri tra quello che era e ciò
che lei credeva fosse il suo sentire, quando avvertì il rumore ovattato, uno
scricchiolio di foglie calpestate.
Solo allora, tornò vigile, alzò gli occhi celesti
e la vide contro lo sfondo del parco, tra il verde scuro degli alberi e la luce
che filtrava tra il fogliame.
Una donna, una sconosciuta vestita di blu, si
stava avvicinando con un sorriso cordiale sul volto rotondo e due pozzi neri
che la scrutavano.
“Buongiorno. Voi siete Oscar Francoise De
Jarhayes, la gemella di Madame Recamier, la donna soldato che comanda le
Guardie Reali di Sua Maestà… è un piacere incontrarvi. Sono impressionata; se
non vi vedessi vestita da uomo non vi distinguerei da vostra sorella.”
Oscar restò a fissare l’estranea dalla voce
cristallina per un attimo, senza concederle l’ombra di un sorriso.
“Con chi ho l’onore di parlare, madame? Non penso
di conoscervi, ma a quanto pare, voi conoscete me.”
“Oh, scusate le mie cattive maniere, madamigella
Oscar. Sono Lisette De Marchard; sono giunta stamani con vostro cognato, il
Conte di Recamier; è stato lui a parlarmi di voi. Sono sua ospite qui, fino
alla mia partenza.”
“Un’ amica di mio cognato, dunque…” Le
venne naturale porre l’accento sulla parola ‘amica’.
Sapeva di che genere d’amicizie Leopold amasse
circondarsi.
Lisette, donna pratica e piuttosto schietta, colse
l’allusione; continuando a sorridere, abbassò solo un attimo lo sguardo, per
sollevarlo di nuovo con coraggio e orgoglio su Oscar, che non aveva smesso di
fissarla con ironica, aperta curiosità.
“So che cosa state pensando. Mi dispiace di essere
piombata a gettare scompiglio, non era nelle mie intenzioni. Probabilmente vi
offende la mia presenza qui, ma non voglio essere motivo d’imbarazzo per
nessuno, vi assicuro. Nutro un sincero affetto per vostro cognato, per dei
motivi che non starò qui a dirvi. Sappiate solo che gli devo molto, e lo
rispetto.”
“Ne sono sicura, madame, e non dovete
giustificarvi con me: non ho motivo per sentirmi offesa.”
In fondo, non sono io la moglie tradita,
pensava tra sé con un guizzo d’ ironia.
“Oh, non mi volevo giustificare ai vostri occhi,
né a quelli di chiunque altro. Volevo solo che fosse chiaro che ho accettato
l’ospitalità del conte con la massima fiducia e senza secondi fini. – Lisette
si profuse in un inchino rispettoso, prima di allontanarsi. - E ora, col vostro
permesso, mi ritiro. Buona giornata, comandante.”
Senza attendere risposta, Lisette riprese a
camminare attraverso il parco, avviandosi verso casa. Oscar seguì con lo
sguardo la sua figura per alcuni minuti. Fu allora che si accorse di André.
L’ attendente incrociò Lisette che camminava in
direzione opposta alla sua; Oscar lo vide girarsi per osservare Madame Marchard
che si allontanava con passo spedito, quasi avesse fretta di raggiungere le
mura silenziose e tranquille della villa.
Intanto, André l’aveva raggiunta e si era
accostato a lei.
“André è più di un’ora che ti cerco, ma dov’eri
finito?”
“Stavo aiutando uno dei garzoni a sistemare la
merce in cucina e intanto raccoglievo gli ultimi pettegolezzi; è così che mi
tengo informato e tengo te aggiornata su tutto.” Commentò l’amico con ilarità.
Oscar sorrise.
“Sei davvero impagabile. Ecco perché sei sempre
così informato. Cosa sai di lei? – chiese indicando la piccola figura vestita
di blu ormai lontana. - Non l’ho mai vista prima, né a corte né altrove;
immagino che la famiglia non abbia libero accesso a Versailles.”
“No, infatti. I Marchard appartengono alla piccola
nobiltà di campagna e sono privi di grandi sostanze che occorrono per fare vita
di corte. Voci dicono che Madame Lisette sia l’amante di tuo cognato, ma questo
sarebbe il meno; pare che lui abbia pagato i debiti della sua famiglia,
consentendole di saldare l’ipoteca che pendeva su parte dei beni e sul piccolo
palazzo che i Marchard hanno a Chassillé.”
“Cosa? Mia sorella sa qualcosa di questa
faccenda?” Chiese con apparente stupore.
“Non credo, ma non sono sicuro. Penso che non le
piacerebbe scoprire una cosa del genere e il marito farà di tutto per tenerla
all’oscuro.”
“Già. Danielle potrebbe reagire molto male. Mi
domando perché Leopold dovrebbe dare fondo a una parte delle sue sostanze per
pagare i debiti della sua amante…”
Oscar rimase assorta, quasi distratta, come persa
in una riflessione propria, mentre con la coda dell’occhio osservava Andrè con
attenzione sospetta. Il pensiero di Madame Marchard andava e veniva nella sua
mente come un venticello leggero che non la disturbava più di tanto. In realtà,
gli scandali presunti o reali in cui quella donna e il cognato potevano essere
coinvolti non la interessavano affatto. Che fossero veramente amanti poco le
importava.
Non si aspettava un comportamento migliore da
Leopold, e sapeva che la stessa Danielle si disinteressava di quello che faceva
il marito; le amanti del conte erano ordinaria amministrazione nella loro vuota
vita coniugale.
In realtà, la impensieriva un altro scandalo solo
vagheggiato.
Di altri amanti temeva di scoprire la storia.
Altri pensieri le facevano tremare il cuore e
sudare le mani, quasi avesse una specie di febbre, ma fingeva di essere
banalmente interessata alle chiacchiere futili del suo attendente.
Ma altro avrebbe voluto sapere.
E altre cose stava immaginando.
Andrè parlava ignaro e tranquillo, lasciandosi
distrarre dal paesaggio attorno, da un uccello che si posava su un ramo, per
questo non si accorgeva della sua insolita disattenzione; lei lo vedeva insieme
alla sorella, lo immaginava mentre le sorrideva, mentre accostava il viso al
suo e i suoi capelli neri ondeggiavano al vento leggero, mentre Danielle si lasciava
scivolare tra le sue braccia e prendeva il suo volto tra le mani per baciarlo,
come lei non avrebbe mai osato fare con un uomo.
Nel suo delirio momentaneo, li vedeva baciarsi con
ardore e sentiva il cuore accelerare, preso da un affanno penoso e incomprensibile.
In un moto involontario, quasi inconsapevole,
Oscar stinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
Voleva parlare d’altro. Di qualcosa che poteva
riguardare anche lui.
Soprattutto lui.
Abituata in tante situazioni ad essere sempre
molto diretta e franca, trovò quasi ostico pilotare una conversazione di
carattere tanto delicato, proprio con André. Ma il bisogno di sapere può essere
più forte di qualsiasi pudore o scrupolo.
Possibile che lui avesse segreti per lei?
Lo guardava di sottecchi e cercava tracce del suo
sospetto nell’ espressione che sembrava quella di sempre, negli occhi ridenti.
Lei non scorgeva ombre cupe in quelle iridi profonde e serene, specchio di
sentimenti sconosciuti, ma certamente positivi, genuini.
Ma contro ogni apparenza, i pensieri cattivi
facevano troppo male.
Era impossibile ignorarli.
“Tra il Conte di Recamier e Madame Lisette forse
c’è molto di più di una comune relazione clandestina…”
“Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, non credi?
Segreti in fondo al cuore… Aspirazioni e desideri legittimi, ma qualche volta
pericolosi…Non sei d’accordo?” disse osservandolo fisso, provocandolo,
aspettando una sua reazione.
Forse fu il tono.
Forse lui era troppo sensibile ai suoi
impercettibili mutamenti d’umore.
La conversazione aveva preso una piega imprevista
e diversa. Non sapeva come né perché, ma André si era accorto che Oscar aveva
deviato i suoi pensieri in tutt’altra direzione in maniera quasi repentina. E
si rese conto che nulla di quello che riguardava il cognato, in quel momento la
interessava.
Si chiese se avesse sentito una sola parola di
quello che aveva detto e come lo avesse interpretato.
Per un momento pensò all’amore di lei per Fersen,
ma quegli occhi celesti lo fissavano come se volessero metterlo a nudo,
scoprirlo nei recessi più nascosti e lui avvertì un brivido attraversargli la
spina dorsale, come un segnale d’allarme; emerse la paura di non saperle
nascondere la verità e restò perplesso di fronte alla forza enigmatica di
quello sguardo.
Era come se Oscar non vedesse altro, come se
improvvisamente non fosse più lui, ma un altro uomo.
Lui si concentrò su quello sguardo, dimenticando
l’ambiente attorno, gli alberi, le foglie; avvertiva solo l’aria fresca e
leggera che faceva ondeggiare lievemente i capelli biondi davanti al suo viso,
come fossero fragili fili di ragnatele.
Erano fermi in una piccola radura del giardino e
Oscar si era appoggiata con la schiena al piedistallo di marmo di una statua
che segnava l’ingresso ad un’altra ala del parco.
Cercò di tornare padrone di sé.
Distolse lo sguardo verso terra e parlò a voce
bassa e profonda.
“Chissà perché, ma ho l’impressione che stiamo
parlando d’altro, Oscar…”
“Noi ci diciamo tutto, vero André?”
Lui aveva appoggiato una mano al marmo, vicino alla
spalla di lei. Una ciocca di capelli biondi gli sfiorava la pelle delle dita.
“Tu mi dici tutto, Oscar?”
“Non è di questo che voglio parlare. Se tu fossi
coinvolto in una situazione sbagliata, me lo diresti, vero?”
“A cosa ti riferisci? Parla chiaro.”
Si era piazzato di fronte a lei, con le braccia
incrociate sul petto, ma Oscar non ebbe il coraggio di sostenere quel confronto
e non lasciò che lui le leggesse nel profondo degli occhi il turbamento che
stava provando.
“Una volta mi hai detto che Danielle ti piace...
Cosa provi davvero per lei? È lo stesso legame che hai con me?”
Andrè restò in silenzio per un lungo momento,
confuso di fronte alla domanda inattesa.
“No, Oscar. Non è la stessa cosa. Non ho diviso la
mia vita con tua sorella. Che senso hanno tutte queste strane domande? Credi
che abbia una vita segreta che non conosci? Suvvia Oscar, sono sempre con te.
C’è qualcosa di me che non sai?”
Qualcosa c’era in effetti, ma non ne faceva una
colpa a lei.
“Ma a me non confidi tutto… Forse c’è qualcosa che
vorresti e che lei può darti… che forse ti ha già dato…”
Un solo pensiero attraversò la mente dell’uomo.
Parole incise su una pietra.
Io voglio te…nient’ altro che te.
Ma André finì per dire altro.
“L’hai detto tu, che abbiamo tutti i nostri segreti…”
Tornò a guardarlo dritto in faccia. Oscar avrebbe
voluto una risposta diversa, meno evasiva. Sentì tutto il peso del velo che
André non voleva sollevare e che lei avrebbe voluto strappare. Sapere divenne
un bisogno impellente e pose la domanda che avrebbe potuto dividerli per
sempre.
“Potresti innamorarti di lei? L’altra sera, quando
hai ballato con mia sorella… ho visto come la guardavi. Capisco che sarebbe
facile cedere, Danielle è indubbiamente molto bella, ma…” Oscar si staccò dal
marmo e fece qualche passo, prima di arrestarsi e voltarsi di colpo verso
l’amico che era rimasto fermo, forse più impietrito della statua di satiro sul
piedistallo.
“Tu ti rendi conto che non sarebbe possibile?
Immagini i rischi che correresti, vero?” e mentre gli diceva quelle parole, le
tornavano alla memoria le accuse della sorella.
-Sei mortalmente gelosa di André… una cosa
che dovrebbe farti riflettere.
E in quell’istante assoluto capì che Danielle
aveva ragione.
Era gelosa di Andrè nel profondo, fin dentro le
viscere che si contorcevano come serpi velenose all’idea dolorosa di loro due
insieme, ma si credeva innamorata di Fersen, l’unico per cui avesse versato
vere lacrime.
Fu una rivelazione che le discese nel cuore, un
raggio di luce tracotante che profanava il silenzio dei suoi pensieri incerti.
Ma cosa c’era di vero in lei, adesso? Gelosia,
amore, oppure entrambi?
Si trovò incapace di distinguerli.
André le si avvicinò improvvisamente per afferrala
per un braccio e costringerla a guardarlo.
“Tu continui a pensare che io potrei… potrei
diventare l’amante di tua sorella? Addirittura innamorarmi di lei?”
L’incredulità si leggeva nell’espressione; era
palese e sarebbe dovuta bastare ad annientare qualsiasi dubbio, ma Oscar voleva
una conferma inoppugnabile.
“Potresti André? Rispondi solo a questa domanda.
Devi dire solo sì o no.”
Oscar sentiva le sue dita forti che stringevano la
carne, ma non tentò di liberarsi dalla presa. Andrè continuava a tenerla
saldamente per il braccio e la trovava stranamente arrendevole; gli pareva
assurdo che proprio lei insistesse a tornare su quell’argomento spinoso che lui
aveva già tentato di chiudere una volta.
“Cambierebbe qualcosa per te? Cambierebbe qualcosa
fra noi, Oscar?” le chiese impaziente. Non aveva più voglia di minimizzare.
“Forse…”
Il silenzio che seguì, a Oscar non piacque; troppe
aspettative e la paura di ricevere la risposta indesiderata.
L’esitazione dell’ amico nascondeva ciò che
l’avrebbe spaventata, e Oscar si chiese che intensità e che colori potessero
avere i pensieri che passavano in quel lungo minuto dietro i suoi occhi. Forse,
si disse, erano i colori di Danielle.
Tremò e fu certa che lui potesse sentirlo.
Per André quel“forse”era più di quanto
avesse mai avuto.
Forse era tutto.
Tutte le parole che avrebbe voluto dire.
Tutto l’amore nascosto nel cuore.
Forse lei avrebbe dimenticato Fersen.
Forse si sarebbe accorta di lui.
Forse avrebbe visto l’uomo capace di amare una
donna e di renderla felice.
Un uomo diverso da Fersen e ancor più vero nel
cuore.
Forse era la speranza celata sotto il dolore.
Così lui decise di rischiare, perché se doveva
perderla per colpa di un altro, almeno doveva tentare di lottare per averla e
non ci sarebbe stato un altro modo.
Se l’amore era un gioco di alchimie sottili,
(1) un negarsi e concedersi agli
sguardi, una lotta fra cuori simili, doveva raccogliere la sfida e gettarsi in
quella partita a tre.
Un sospiro quasi impercettibile per raccogliere le
forze.
Le lasciò il braccio, poi rispose.
“Sì…”
Oscar fu certa che il cuore le si fosse fermato un
istante prima di sentire il morso più doloroso e vero della gelosia, che la
stringeva più di quanto non avesse fatto lui poco prima.
Seppe con precisione che non ci sarebbe mai stato
nulla di più reale.
Le lacrime per Fersen, confuse come vapore in un
sogno, dubitò fossero mai esistite.
*********
Osservavo dal balcone il giardino del mio palazzo.
Amavo i colori autunnali che la natura regalava con profusione.
La temperatura era ancora mite anche se l’autunno
stava per soccombere all’inverno che bussava alle porte, ma mi piaceva sentire
il timido calore del sole sulla pelle del viso.
Fersen era a pochi passi dietro le mie spalle e
contemplava con me il paesaggio offerto dalle foglie rossastre degli olmi.
Sorseggiavo con calma il mio tè che Ninette ci aveva servito poco prima. Alle
orecchie mi arrivava lo zampillo dell’acqua della fontana che dominava la scena
sotto di noi. Ancora qualche settimana, e i suoi giochi d’acqua sarebbero stati
un ricordo dell’estate passata, e la vasca sarebbe stata sporcata dalle foglie
morte che un giardiniere avrebbe provveduto a togliere. Era un’ immagine che mi
metteva sempre tristezza.
La voce di Fersen venne a distrarmi dalla mia
malinconia.
“Allora contessa, siamo d’accordo per il ballo? Io
ci sarò se ci sarete anche voi, altrimenti non presenzierò… Mi avete promesso
che ballerete soltanto con me. Spero solo che non intervenga anche vostro
marito…”
Mi voltai verso di lui. Sorrisi per compiacerlo.
“Avete timore di un rivale? Di mio marito non
dovete preoccuparvi; probabilmente non sarà neanche più qui. Piuttosto, voi
saprete dire di no alla regina? Sappiate che mi offenderò se mi lascerete per
danzare con lei. E ricordate: lo fate anche per il suo bene.”
“Sì, lo capisco. Siete molto esigente.” Sospirò fingendo
un cruccio che non c’era.
“Questi sono i patti e pretendo che si rispettino.
Ma se non potete, ditemelo subito.” Puntualizzai decisa.
“Sarà un sacrificio che farò volentieri; voi
madame, lo renderete più sopportabile.”
In quel preciso istante Oscar e André entrarono
nella stanza per raggiungerci sulla terrazza che dava sul giardino.
Oscar si accostò alla grande porta finestra, si
appoggiò allo stipite con la spalla e a braccia conserte, restò lì a guardarci;
Andrè era un passo dietro di lei, nascosto nella penombra dell’ambiente.
Scrutai il viso dell’attendente nel tentativo di leggervi i pensieri; negli
occhi verdi mi parve di scorgere il riflesso di una strana determinazione che
coglievo con sorpresa, e mi sentii inquieta, ma fui distratta dalla voce del
conte di Fersen che si rivolse a mia sorella in tono confidenziale.
“Madamigella Oscar, avete voglia di passeggiare
con me nel parco? O preferite cavalcare? Vorrei sottoporvi una certa questione,
in privato, se possibile. Avrei proprio bisogno di avere la vostra opinione su
un argomento delicato che sta molto a cuore anche a voi, immagino.”
Io sapevo che l’argomento riguardava la regina
Maria Antonietta e anche Oscar doveva averne il sospetto, a giudicare
dall’occhiata d’intesa che scambiò con il conte.
“Ma certo, facciamo pure una passeggiata; però mi
spiacerebbe privare mia sorella della vostra compagnia.”
Rispose diplomatica. Fersen la rassicurò subito.
“Vostra sorella sa che ho necessità di parlare con
voi, anzi ha insistito perché vi esprimessi liberamente il mio problema, vero
contessa?” incrociò il mio sguardo per avere una conferma.
“Ma certo conte. Io aspetterò qui con André.”
Oscar e il conte si allontanarono; nel rettangolo
della porta che si richiudeva, colsi l’occhiata grave e apprensiva che Oscar
scambiò col suo attendente come se temesse di lasciarlo solo con me. Sembrava
stranamente reticente ad allontanarsi.
Mi chiesi se Oscar non avvertisse il pericolo
della nostra vicinanza.
Fu la reazione di André a lasciarmi interdetta;
intercettai lo sguardo sicuro, la piega morbida eppure decisa delle sue labbra
in un lieve sorriso che non voleva essere rassicurante, ma che risultava
piuttosto enigmatico.
Alla fine, lui interruppe il contatto tra i loro
occhi, per alzare su di me quello sguardo profondo e avvolgente che mi
catturava come una calamita e mi aveva fatto innamorare così tanto; mi concessi
il piacere segreto di guardarlo e indugiai sulla bella figura alta che si
stagliava netta nell’ambiente, sull’atteggiamento composto ma non servile,
sulla semplice camicia bianca che disegnava la curva delle spalle ampie e
forti.
Il mio cuore palpitava un po’ convulso in preda ad
un’ inaspettata speranza. Respirai a fondo, sollevando il petto.
André voleva restare lì con me e non pareva avere
alcuna fretta o desiderio di seguire la sua padrona, non sembrava preoccuparsi
neppure di Fersen. A che gioco giocava? Era un inganno? Fingeva di
disinteressarsi di Oscar?
Voleva punirla o soltanto cedere per capriccio
maschile alle lusinghe che gli avevo dimostrato la sera prima? Andrè non
sembrava voler nascondere neppure di fronte a lei, la strana potente attrazione
fisica che sono sicura, esisteva tra noi. Eppure, lui più di chiunque altro,
doveva conoscere le paure segrete della mia gemella.
Vidi il suo corpo muoversi per accostarsi un po’ a
me, che ero rimasta immobile sulla terrazza. Parlai liberamente.
In fondo, con lui non avevo bisogno di fingere.
Non del tutto, almeno.
“Forse mi sto ingannando, ma non pare disturbarti
troppo la vicinanza tra Oscar e il nobile svedese. Direi che è la prima volta
che ti dimostri così disinteressato; ho sempre pensato che ti desse fastidio.”
“In realtà, non credo di aver mai palesato il mio
disagio; è facile notare le sfumature quando si conosce la verità.”
“Non vuoi darmi qualche merito, André? Sono una
buona osservatrice, sai?”
“Oh, ti do tutti i meriti che vuoi. Anzi, sono
quasi sicuro che certe idee recenti che passano per la testa di Oscar, siano
opera tua, Danielle.” Rispose in tono un po’ sarcastico, appoggiando una mano
alla balaustra di marmo.
“Ad esempio, quali?” Lo guardai negli occhi senza
alcuna titubanza, pensando che avrei continuato a dominare il gioco.
“Ad esempio, l’idea intrigante che tra me e te
possa esserci qualcosa oltre l’amicizia… intimo affetto, magari; era quello che
mi suggeriva il tuo sguardo l’altra sera… mi sono sbagliato?”
Parole che furono come tempesta dolce nel mio
animo.
Non gli risposi e mi girai a guardare il parco,
nel tentativo inutile di celare l’improvviso turbamento che mi assalì facendo
accelerare il respiro. Dunque, Oscar era stata tanto diretta? E io dovevo forse
esserlo altrettanto e dichiarare finalmente ciò che volevo? Dovevo confessargli
che volevo lui con tutte le mie forze, con ogni pensiero, in ogni goccia del
mio sangue che affluiva sulle mie gote, e che ero disposta a tutto per
quell’amore che mi pareva immenso, intenso come l’ultimo alito di vita? Dovevo
dirgli che non sapevo né volevo oppormi all’emozione travolgente che mi
trasmetteva la sua semplice vicinanza? La mia anima vibrava come se mani
sapienti toccassero le corde di un’ arpa, e la musica che ne usciva era una
melodia che mi sollevava da terra; mi sentivo felice, quasi leggera e innocente
ed ero certa che fosse una condizione totalmente nuova. Perché l’amore non è
mai sporcato dalla colpa, neanche quando assume i contorni del tradimento.
Volevo convincermi di questo.
Volevo vivere la mia dolce illusione.
“Non ti chiederei altro che intimo affetto, André.
Vorrei piacerti almeno un po’… in fondo, sono uguale a lei. Solo indosso panni
femminili, ho un ventaglio al posto di una spada, e non comando un esercito. Mi
trovi meno affascinante per questo?”
“Sono lusingato Danielle, davvero. Sei
meravigliosa. – Andrè si mosse per prendere la mia mano appoggiata poco lontano
dalla sua sul marmo. – Come potresti non piacermi? Sei una donna di una
bellezza tale da stordire un uomo… e io ero stordito l’altra sera. Mi hai
tentato Danielle, non posso negarlo.”
La sua voce era carezzevole e le sue labbra
sorridevano.
“Cederesti alla tentazione? O vuoi continuare a
inseguire chi non puoi avere?” Sospirai coi suoi occhi nei miei.
“Mi rimproveri un errore che potresti fare anche
tu?”
Si oppose con dolcezza accarezzandomi una guancia
con due dita.
“Sono disposta a correre il rischio, se esiste una
speranza concreta… Guardami Andrè; io sono qui.”
“Danielle, ti prego…”
“Non sono irraggiungibile, e potrei amarti più di
lei. – Presi la sua mano che indugiava sul mio volto. Poi strinsi le mani sulle
sue braccia. - Se allunghi una mano, io la posso prendere. Perché non dovremmo
concederci un po’ di felicità? Tu ne hai bisogno quanto me; in te io vedo la
mia stessa solitudine.”
“Se cedessi al tuo gioco, te ne pentiresti tu per
prima. Ti faresti male, credimi.”
“Non è un gioco, André. Per la prima volta non sto
giocando. Sto rischiando tutto.”
Era vero, ormai avevo smesso di nascondermi e mi
ero aggrappata a lui.
“Forse, se non amassi così tanto Oscar… sarei già
crollato tra le tue braccia, anche solo per consolarmi di ciò che non posso
avere. – Chiusi gli occhi e mi sentii morire, sopraffatta da quelle parole. –
Ma sono un uomo come gli altri, Danielle; la mia resistenza col tempo potrebbe
dimostrarsi debole e non so immaginare le conseguenze. Lo sai; in amore è in
guerra tutto è lecito.”
Emise un respiro profondo mentre respingeva le mie
braccia, con una fatica che pareva immensa. C’era una supplica quasi disperata
nella sua voce.
Le sue difese erano abbassate, ma non del tutto e
non capivo cosa intendesse dire con l’ultima frase.
C’era ancora la lotta tra il cuore e la ragione,
tra il lecito e l’illecito, ma dove fossero una e l’altra era difficile da
dire.
Volsi lo sguardo verso il giardino, tra le siepi
che disegnavano complicati disegni geometrici e li vidi: mio marito e Madame
Lisette, Oscar e il Conte di Fersen, erano fermi in un angolo, vicini agli
alberi di magnolie. Sembravano coinvolti tutti in una vivace discussione, ma
Oscar volse lo sguardo in direzione della terrazza da cui io e André li stavamo
osservando. Mia sorella continuò a scrutarci da lontano, come un custode
silenzioso e severo, senza prestare attenzione al gruppetto di persone attorno
a lei.
E allora avvertii la catena; era lì, ingombrante e
definitiva, quel legame invisibile e potente che saldava le loro vite, che le
aveva fuse insieme.
Lei era sempre presente, anche quando era assente.
Lei era sempre fra me e lui.
“Guarda laggiù, André. C’è tutta la mia vita e
anche la tua. Ci sono i nostri dolori.”
André puntò lo sguardo nella mia stessa direzione.
Io ripresi a parlare con convinzione.
“Leopold, quell’uomo che devo chiamare marito, mi
offende portando in casa mia la sua amante; perché mi si chiede di tollerare
una cosa simile? Perché dovrei salvare le apparenze di qualcosa che non esiste?
Non l’ho mai amato e non lo amerò mai, ma sono stata costretta a sposarlo.
Quando finalmente mi innamoro davvero, non posso esprimere i miei sentimenti,
non posso viverli perché quella stessa catena me lo proibisce. Tu dovresti
capire cosa significa. Ti sembra giusto, André?”
Restò fermo a guardare verso il punto del parco
dove Oscar e il conte di Fersen erano immobili. Sembrava stessero parlando.
“No, non è giusto. Ci sono catene che non si
spezzano… ma da altre ci si può liberare.”
Aveva pronunciato la frase congravità e immaginai a cosa si riferisse.
“Non ingannare te stessa, Danielle. Hai accettato
un compromesso, ma non puoi usare l’amore per ribellarti al tuo destino. Se il
tuo matrimonio è una prigione, perché non ti liberi? Non esiste il divorzio?”
mi chiese inaspettatamente.
Divorziare: non l’avevo mai neppure preso in
considerazione.(2)
“Credi che Leopold me lo concederebbe? Oh, André!
Si vede che non conosci del tutto il nostro mondo. Passare per fedifrago,
lasciare la moglie rispettabile per un’altra donna di posizione sociale
discutibile rovinerebbe la reputazione e il prestigio del casato e sarebbe
molto peggio se io venissi bollata nello stesso modo; sarei quella che ha da
perdere di più e ne soffrirebbero anche i miei figli che potrebbero passare per
illegittimi, perdere la loro eredità. Come vedi ho le mani legate.”
“Certe azioni richiedono molto coraggio; non sei
la sorella del colonnello Oscar, una delle figlie del generale Jarhayes? Non
dovrebbe essere un pezzo di carta a fermarti, né le convenzioni sociali, se lo
volessi veramente. Ma forse, preferisci accontentarti e vivere la tua vita come
altri l’hanno imposta.”
Sgranai gli occhi di fronte a tanta sfrontatezza.
“Quando vuoi, sai essere spietato André. Ma non
sai quanto siano pesanti le convenzioni sociali, quanta poca libertà ci sia in
esse.”
“Non è vero; lo so molto bene, invece. Scusami, ho
espresso solo un mio pensiero. Non badarci.”
Si stava alzando un filo di vento e decidemmo di
rientrare nella stanza, ma non restammo soli ancora a lungo; Oscar e il Conte
di Fersen, di ritorno dalla passeggiata, si unirono a noi.
André rientrò nel suo ruolo di servo che lo
relegava ai margini dell’ambiente, figura discreta che non si faceva notare.
Il conte di Fersen appariva tranquillo e
rilassato, come se parlare con Oscar gli avesse tolto un peso dal cuore. Anche
lei non rivelava alcun stato d’animo particolare, ma osservandola attraverso il
fumo del tè che saliva dalla sua tazza di porcellana, mi parve pensierosa, ma
non preoccupata. Stava rimuginando qualcosa.
Mai avrei indovinato cosa stesse pensando, se lei
più tardi non me ne avesse parlato.
Solo per brevi attimi i suoi occhi si alzavano su
André, in piedi sul lato opposto della stanza e poi tornavano bassi sulla tazza
tenuta a mezz’aria, oppure li volgeva verso la finestra, da cui si vedeva il
cielo bianco solcato dal volo di uccelli neri.
Madame Lisette e mio marito si unirono a tutti noi
solo per l’ora di cena.
Feci servire una cena leggera; un consommè, della
selvaggina e verdure, abbondante frutta di stagione e del buon vino della
cantina di famiglia. Il conte di Fersen conversava tranquillamente con Leopold
di facezie, banalità e storie di scandali più o meno reali, ma evitò
accuratamente ogni allusione a fatti che lo riguardassero.
Oscar, seduta al mio fianco al tavolo della sala,
si accostò per bisbigliare qualcosa al mio orecchio.
“Danielle, ho bisogno di parlarti, in privato. Ti
aspetto nella mia stanza, più tardi.”
“Mi devo preoccupare?” le chiesi, asciugandomi le
labbra col tovagliolo, ricordando la nostra recente conversazione notturna. Lei
emise un risolino divertito.
“Dipende.”
“Ti diverte proprio mettermi in ansia, Oscar?”
“Sta tranquilla, ho solo una richiesta un po’
particolare da farti. In realtà, è qualcosa che hai proposto tu…”
Il sospetto mi venne quasi subito. Non feci che
pensare a quello che le avevo detto io, tra lo scherzo e la provocazione, senza
riflettere sul fatto che Oscar avrebbe potuto prendermi in parola.
-Dovresti provare a essere me…
Lo avevo detto per puro
caso?
O era stato un colpo lanciato con la sicurezza di
colpire il bersaglio?
Ci avevo sperato, sì. Forse era quello che volevo.
Ma sembrava un’ eventualità troppo irreale perché
potesse concretizzarsi.
Allora, l’avevo accantonata in un angolo della
mente, come una follia senza senso. Mia sorella non si sarebbe mai prestata a
niente del genere. Non avevo calcolato la sua intraprendenza, solo ancora non
sapevo che i suoi scopi non avevano nulla in comune con i miei.
Oscar era mossa da altro.
Da un bisogno più intimo che le apparteneva: la
necessità di trovare sé stessa.
Mezzora dopo il termine della cena, con
discrezione abbandonai i miei ospiti e raggiunsi Oscar, come lei mi aveva
chiesto. Mi attendeva seduta in poltrona davanti al caminetto dove morivano le
ultime braci, intenta a leggere un libro, con un bicchiere di cognac posato sul
tavolino accanto. Mi sedetti di fianco a lei.
L’atmosfera era serena; non c’era traccia della
donna furente e un po’ spaventosa che era piombata la notte prima nella mia
stanza. Era tornato il soldato padrone delle sue azioni, la donna decisa e
ferma nelle sue posizioni e nelle libere scelte. Qualunque cosa stesse per
propormi, anche la più impensabile per lei, non vi era alcuna esitazione che
tradisse il più piccolo nervosismo. Oscar mi guardò, chiuse il libro e iniziò a
parlare con assoluta disinvoltura.
“So che vuoi andare al ballo di corte della
settimana prossima, accompagnata dal conte di Fersen; Hans mi ha spiegato che
ballerà solo con te tutta la sera, questo per attirare l’attenzione su di voi e
far tacere le voci di palazzo che lo coinvolgono in una relazione con Sua
Maestà la Regina.”
Precisa, sintetica; il modo migliore per arrivare
al nocciolo della questione.
“Sì, Oscar. Questa sarebbe la sua intenzione.
Fersen ha davvero a cuore l’onore di Maria Antonietta… o così sembrerebbe. Ha
insistito così tanto che gli ho detto di sì, anche se cederei volentieri il mio
carnet a qualcun altro...” e fui volutamente insinuante.
“No, tu non cederai il tuo carnet a nessun altro…”
disse, facendo ondeggiare il liquido ambrato nel largo bicchiere di vetro.
Per un momento pensai clamorosamente di aver
frainteso; Oscar voleva spingermi tra le braccia di Fersen?
Pensava così di proteggere la Regina? I miei
progetti per il ballo prevedevano uno sviluppo diverso da quello che Oscar
immaginava.
“A dire il vero, io non brucio dalla voglia di
passare la mia serata danzante con il tuo caro Fersen… Oscar, non avevi una
proposta da farmi? Io pensavo…”
Provai a oppormi, ma lei brusca mi interruppe,
alzando una mano per zittirmi.
“Invece lo farai. La contessa Recamier ballerà con
il conte di Fersen… beh, diciamo che il conte crederà di ballare con Danielle,
ma in realtà ballerà con Oscar... Io indosserò i tuoi panni…”
Eccolo, l’obbiettivo.
Il mio o il suo?
Le nostre volontà coincidevano quasi per magia, ma
la cosa che più trovavo strana era che Oscar aveva parlato con l’aria di una
cospiratrice, quasi fossimo io e lei, alla stregua di pedine inconsapevoli su
una scacchiera.
L’ascoltavo, eppure non riuscivo a credere che lo
stesse dicendo davvero e l’incredulità doveva essere ben visibile attraverso
l’espressione del mio viso.
“Non mi sembri convinta, Danielle; ti sto
chiedendo di fare uno scambio di persona per una sera.”
“Sì, sì, ho capito Oscar. – Mi affrettai a
rispondere. - Solo che…”
“Non dirmi che sei scandalizzata… Sei stata tu a
proporlo quasi per sfida, ricordi?” Mi incalzò imperterrita, ma non mi lasciai
impressionare da qualcosa che avevo provocato io.
“Cara, sono poche le cose che mi scandalizzano,
solo non riesco a credere alle mie orecchie: tu mi proponi una cosa simile? Per
amore di Fersen, sei disposta a tanto?”
“In realtà, è un po’ più complicato di così… Lo
sai anche tu, in amore è in guerra tutto è permesso. Ho bisogno di
capire, di vedere Fersen con i tuoi occhi. Mi hai sempre detto che non è l’uomo
che io credo sia; voglio scoprire se hai ragione e quanto mi sono ingannata.
Non posso farlo in abiti maschili.”
La stessa frase che mi aveva detto André, in un
altro contesto, ma forse con le medesime intenzioni.
Perché tutto finiva per ricollegarsi a lui?
Mi sembrava un ragionamento troppo lucido, troppo
razionale. Non era un comportamento da donna innamorata, accecata dal
sentimento impossibile per un uomo irraggiungibile.
Oscar non voleva vestirsi da donna per sedurre
l’oggetto del suo desiderio. Aveva tutto l’aspetto di una sottile strategia, un
piano calcolato per uno scopo preciso che non riuscivo a decifrare.
Ma da lei potevo aspettarmi anche questo.
“Va bene, ma André? Gli dirai quello che vuoi
fare?”
“Assolutamente no. – Rispose secca, posando il
bicchiere vuoto sul tavolino. - Questo patto è solo nostro Danielle. Nessuno
deve saperne niente. Soprattutto André.”
“Ma si accorgerà della tua assenza.”
“No, se all’occorrenza fingerai per qualche ora di
essere me. E si presume che a quell’ora io stia dormendo.”
Ero impressionata dalla sua apparente sicurezza;
Oscar non aveva mai indossato niente che fosse lontanamente femminile, neppure
un paio di guanti, eppure credeva di poter andare a corte stretta in un bustino,
avvolta di seta ricamata, e danzare con Fersen senza farsi riconoscere, lei che
era abituata a duellare e cavalcare.
L’aspetto certamente avrebbe ingannato chiunque,
non avevo dubbi su questo, ma l’istinto maschile sarebbe stato difficile da
nascondere. Oltretutto pensava di poter ingannare André; se ci fosse riuscita
con lui, avrebbe ingannato l’intera corte. Mi chiesi se non avesse iniziato a
interrogarsi sulla natura della sua gelosia verso il fedele amico; che quella
messa in scena riguardasse anche lui?
“Sei così sicura di saper sostenere la mia parte?
O che io possa sostenere la tua?” Indagai con lieve scetticismo.
“Siamo gemelle, no? Però hai ragione; potrei avere
qualche difficoltà… - Ammise un po’ riluttante, congiungendo le mani. – Per fortuna,
abbiamo qualche giorno per prepararci e tu mi aiuterai. E non ti preoccupare:
non dovrai misurarti con la spada.” Rispose un po’ sardonica.
Aveva già pensato a tutto.
Io mi trovai ad acconsentire, senza opporre alcuna
obiezione.
Oscar da sempre era in equilibrio precario con la
sua vita. Finalmente avrebbe incontrato la sua parte femminile, quel lato
oscuro e opposto della sua personalità, l’altra donna soffocata e nascosta
sotto il peso dell’educazione maschile.
Avrebbe avuto quel confronto con gli uomini che le
era mancato per rapportarsi ad essi rispetto al suo sesso, di conseguenza,
capire appieno sé stessa e i suoi bisogni.
Io non volevo altro che trovasse il modo giusto di
convivere con la sua natura complessa e affascinante.
Oscar era parte di me, e volevo il meglio per lei.
E il meglio non era Fersen.
Non poteva esserlo. Forse lo stava comprendendo
anche lei.
Al termine del nostro strano colloquio, Oscar si
alzò per accompagnarmi alla porta; incrociammo i nostri sguardi al riverbero di
una candela e allora, una strana inquietudine simile a paura mi serpeggiò
nell’anima, strisciando tra desideri contrastanti più o meno inconsapevoli.
Non sapevamo dove ci avrebbe portate quello strano
gioco che stavamo imbastendo, ma un presentimento mi angustiava; una tra noi
avrebbe finito col dover rinunciare a un bene prezioso e una sensazione amara
mi diceva che sarebbe toccato a me perdere ciò che amavo.
Continua…
(1)Parole prese dalla canzone di Dolcenera, “L’amore è un gioco”.
(2) Sul divorzio nel ‘700 non ne so molto, ma
credo che anche lì, le donne non avessero molta voce in capitolo, anche se nei
salotti femminili se ne parlava. Una moglie poteva essere ripudiata, se non
generava figli, ma non credo potesse liberamente ottenere il divorzio se non
era il marito a concederlo. Almeno credo. Sto andando per ipotesi. Quindi
prendete il resto come una libera interpretazione. Se conoscete la materia
illuminatemi.
Nei giorni seguenti, io e Oscar definimmo i
dettaglie le strategie del nostro
accordo stretto due sere prima; ci fu la prova dei costumi e del trucco, una cosa
solo apparentemente banale. Decidemmo come ci saremmo mosse in mezzo agli altri
comprimari di quello strano teatrino che stavamo imbastendo.
Non sapevamo ancora se si trattava di semplici
comparse o protagonisti. Sapevamo solo che dovevano restare inconsapevoli, e
questo sarebbe dipeso in massima parte dalla capacità di Oscar di calarsi nei
miei panni, dettaglio all’apparenza insignificante, ma che presentava grosse
difficoltà.
Avevo trascorso con Fersen, mio marito e Madame
Marchard le prime ore della mattina, tra la colazione e una passeggiata in
giardino, ma nel pomeriggio Oscar mi raggiunse segretamente nella mia stanza
dove mi ero ritirata con la scusa di concedermi qualche ora di riposo.
Era quasi incredibile la nostra complicità. Era
eccitante e inconsueta, e gettava una luce diversa sul nostro rapporto; non mi
ero mai sentita tanto in sintonia con la mia gemella come in quella
circostanza. Forse, solo da bambine avevamo condiviso un sentimento simile. Era
una sensazione appagante. Sembravamo più vicine.
Solo, c’era da chiedersi se lo saremmo state ancora,
alla fine di tutto.
“Il ventaglio è un oggetto conturbante con un
linguaggio tutto suo, un ottimo mezzo per lanciare certi segnali ad un uomo.
Vedi come lo muovo davanti al viso? Fallo ondeggiare dolcemente, così... per
attirare lo sguardo e contemporaneamente, nascondere la scollatura del
vestito.”
Ma Oscar non prestava troppa attenzione alla lezione
di seduzione che stavo improvvisando a suo beneficio.
“Non voglio civettare. Dimmi piuttosto, come faremo
a gestire tuo marito, Danielle? Non vorrei trovarmi in una situazione
spiacevole e imbarazzante.”
Già, mio marito.
La sua presenza era davvero un rischio, ma non nel
senso che intendeva Oscar. I rapporti tra me e Leopold si erano raffreddati da
anni, da quando erano iniziate le nostre rispettive relazioni clandestine. O
più probabile, non si erano mai accesi. Ci tolleravamo per semplice
convenienza, e con prudenza non ci mettevamo i bastoni tra le ruote. Poteva
sembrare qualcosa di squallido. Forse lo era: solo il modo più semplice e
scontato di sopravvivere all’amara solitudine delle nostre esistenze.
Eppure non potevo evitare di provare profondo
fastidio, alla presenza della sua amante nella mia dimora. L’avevo osservata
più attentamente nelle ultime ore; non mi abbandonava la sensazione che quella
donna nascondesse qualcosa. Un segreto che avrebbe potuto nuocermi.
Avevo fatto controllare lei e Leopold da Ninette, ma
la mia fedele e scaltra cameriera non era venuta a capo di nulla.
“Non ti preoccupare; sono certa andrà via con la sua
amica molto prima del ballo.” Replicai un po’ stizzita.
“E se non lo facesse? Il ballo è tra due giorni.”
“Lo farà, ti dico. Preoccupati solo di risultare
convincente per il conte di Fersen. Non ti stai impegnando molto. - La
rimproverai. – Sai Oscar, non sono sicura di avere capito il tuo scopo…”
“Io voglio solo che il conte si fidi tanto da
sbilanciarsi su alcune cose che lo riguardano intimamente… ma non so se sarò
pronta per allora.”
Per cosa mia sorella temeva di non essere pronta?
“Dovrai esserlo.” Dissi, fingendo di aver compreso
il senso esatto della frase.
Stavo aiutando Oscar con la chiusura del corsetto;
tiravo i lacci con vigore, un’operazione scomoda che di solito faceva Ninette,
ma non potevamo farci aiutare da lei. Il nostro era un patto segreto che non
prevedeva testimoni. Per Oscar non era certo facile subire quella specie di
tortura.
“Non stringere così! Non riesco a respirare. È
davvero necessario?”
“Certo, se vuoi passare per me. Devi abituarti a portare
il bustino e io lo indosso da sempre.”
“Devo ricordarmi di ringraziare nostro padre per
avermi allevata come un maschio: porto camicie larghe e comode, non armature
come questa!” Sbottò piuttosto seccata, con le mani saldamente ancorate allo
schienale di una sedia, mentre tentava di trattenere il respiro costretto
dentro le stecche di balena.
“Smettila di lamentarti! Ogni dama che si rispetti
porta quest’armatura, come la chiami tu! E poi con le armature dovresti esserci
abituata, no?”
Le dissi strattonandola un poco, provando quasi un
sottile piacere perverso. Oscar non si stava divertendo. Terminai la mia
operazione e la osservai; i seni, che di solito nascondeva sotto la stoffa
ruvida della severa divisa militare, erano messi in evidenza: aveva davvero un
bel decolleté. Con la mano feci il gesto di sollevarle i capelli sulla nuca;
con il trucco giusto, sarebbe stata la mia sosia perfetta.
“Sei davvero femminile Oscar, e la tua pelle è
candida come il latte, un punto d’onore per una bella donna, ma… è una
cicatrice, quella!?”
Indicai stupita il segno seminascosto ma evidente
che solcava il braccio sinistro e che passava sul lato interno. Oscar si sfiorò
appena la pelle in quel punto, nascondendo il segno con la mano.
“Me la sono fatta cadendo da cavallo, ricordi?” Mi
disse con assoluta noncuranza.
“Quella volta che rischiasti la vita per salvare la
principessa Maria Antonietta? Non sapevo ti fosse rimasta la cicatrice.”
“E non è l’unica che ho. L’ultima risale a qualche
mese fa; dietro, sotto la scapola destra.”
“Parli della notte che sei stata aggredita con
André, vero? Me n’ero quasi dimenticata.”
“La notte che Fersen mi salvò la vita.” Aggiunse
Oscar con voce incolore.
“Già. Sarà per questo che ti sei innamorata di lui:
reazione prevedibile.”
“Ti sembra così scontato?”
“Niente di più ovvio!”
Ma quasi immediatamente pensai che in realtà non
sapevo da quanto tempo Oscar nutrisse il suo segreto amore per il conte. Presi
mia sorella per le spalle e la girai un po’ bruscamente.
La piccola cicatrice anche se recente, era
completamente guarita. Era in un punto che si poteva nascondere facilmente; i
margini rosati uscivano appena dal lino della camicetta sotto il bustino.
Controllai in fretta che non ne avesse altre.
“La più vistosa è quella sul braccio. Dovrò far
modificare l’abito.” Osservai pensierosa.
“Quale abito?”
Non feci in tempo a risponderle che bussarono alla
porta; era Ninette.
“Madame, hanno consegnato ora l’abito da sera che
avete ordinato. Devo pagare il sarto; è di sotto che attende.”
“Un momento Ninette! – Gridai, poi bisbigliai
all’orecchio di Oscar. – Se riesci a ingannare lei, non avrai problemi con
nessuno.”
“No, Danielle!”
Ma io la trascinai in fretta alla mia toilette, la
feci sedere davanti alla specchiera e le misi in mano un piumino per la cipria.
Oscar oltre al bustino, aveva addosso ancora i suoi calzoni e le sue scarpe
maschili con le fibbie. Gliele tolsi e le infilai le mie pantofole di raso
chiaro ricamato. Travolta dai miei gesti, Oscar si lasciò fare tutto quasi
senza reagire, ma non era tranquilla perché per la prima volta non era lei che
gestiva la situazione. Osservava gli oggetti davanti a sé, la spazzola per
capelli, la parrucca posta lì accanto, i fermagli di madreperla, i nei finti di
velluto, la preziosa scatola del belletto e quella dei gioielli come se fossero
attrezzi misteriosi di un arsenale sconosciuto.
“Mettiti la mia veste da camera a coprire quelli! –
Dissi, gettandole addosso l’indumento. - Fai entrare Ninette con l’abito e poi
congedala con una scusa. Per pagare il sarto, dille che ci pensi Albert, il
maggiordomo.”
Oscar tentò di trattenermi afferrandomi un polso,
prima che io mi nascondessi con la sua camicia dietro una porta segreta che si
apriva nella parete tappezzata di piccole rose in boccio.
“Danielle, no!! Non posso riuscirci!”
“Non si accorgerà di niente. Coraggio! Non sei forse
una Jarjayes? Il colonnello delle guardie reali? Pensa che sia una missione per
proteggere la regina.”
Non le diedi il tempo di protestare oltre e mi
infilai nel mio nascondiglio. Fino ad ora avevo dimostrato maggior spirito d’iniziativa
di lei, ma avevo il vantaggio di essere nel mio elemento. Sarei stata in
difficoltà se all’improvviso, avessi dovuto assumere un comportamento maschile.
“Che cosa stupida che sto facendo... Temo che me ne
pentirò…” La sentii sospirare tra sé, con rassegnazione.
Dallo spiraglio della porta socchiusa potei
osservare la scena. Oscar emise un profondo sospiro, poi si trasformò per magia
sotto il mio sguardo; ritrovò il suo temperamento e si apprestò ad affrontare
la mia cameriera. La invitò ad entrare.
Come un’ attrice consumata non sbagliò una battuta,
quasi avesse studiato nei dettagli un copione. Anche così, riconobbi il suo
atteggiamento militaresco, l’efficienza del comandante che faceva capolino
sotto trine e merletti della mia vestaglia. Ninette era entrata nella stanza
portando un pacco voluminoso. Per fortuna, sembrava non accorgersi di nulla.
“Signora contessa, qui c’è il vostro abito. Volete
provarlo subito? O devo farlo stirare?”
“Non ora Ninette. Lascialo lì, per favore. Incarica
Albert di pagare il sarto.”
Oscar era mollemente appoggiata con un gomito sul
piano della specchiera e con l’altra mano chiudeva la vestaglia sulle ginocchia
accavallate.
“Come volete. Se permettete, lo sistemo sul
manichino per evitare che si sgualcisca.”
Ninette aprì la scatola posata sul divanetto accanto
al camino. Sentii i passi della mia cameriera che si muoveva svelta
nell’ambiente e il fruscio della seta preziosa che veniva dispiegata. Oscar
restò in silenzio per tutto il tempo mentre Ninette sistemava l’abito. Un
silenzio che mi parve irreale.
“È davvero bello, madame. Un sogno. Che colore…
Elegante e raffinato: farete un figurone al ballo.” Commentò Ninette con un
sospiro.
Sperai di sentire la voce di Oscar e fu così.
“Grazie Ninette. Puoi andare ora.”
Ninette la omaggiò di un inchino e uscì dalla
camera. Solo allora io lasciai il mio nascondiglio.
“Mia cara, sei stata davvero brava: pare che tu non
abbia mai fatto altro nella vita. Sarà più facile del previsto.”
“Io non ne sarei così sicura: non stiamo parlando
d’ingannare una cameriera. Dovrei indossare quello?” Mi chiese Oscar, indicando
l’abito prezioso appeso all’indossatore. Era di squisita fattura, ma lasciava
le braccia scoperte, troppo perché non si notasse il segno di quella maledetta
cicatrice.
“Esatto, ma dovrò far allungare le maniche con un
bordo di pizzo.”
Mi
infilai svelta nel mio guardaroba, a frugare tra metri e metri di stoffe, alla
ricerca di qualcosa che facesse al caso nostro. E trovai un vestito vecchio di
qualche anno, pronto per essere scucito e privato dei sui merletti. Oscar non
si sarebbe smentita neppure in un caso del genere.
“Era proprio necessario acquistare un vestito nuovo?
Non ne avevi uno già pronto da prestarmi?”
“Non ti aspetterai che io – tu, in effetti -
vada ad un importante ballo di corte, dove interverrà tutta la crema
dell’aristocrazia, con un vestito già indossato una volta? Non sarebbe nel mio
stile. Non puoi farmi sfigurare Oscar; sei la mia gemella e non te lo
permetto.”
“Oh, non sia mai! Va bene, Danielle. Sono stufa di
questa farsa; aiutami a togliere il bustino e poi usciamo a cavallo, da sole.”
Mia sorella si era già sfilata la vestaglia e
l’aveva gettata a ridosso di una sedia.
“Sì, d’accordo cara. Ma ho un’ idea migliore…”
********
André le osservò scendere insieme per le scale del
palazzo.
Non se lo aspettava. Notò qualcosa di strano: una
sintonia.
L’ incedere dei corpi era affinità di due anime.
Poche volte recentemente le aveva viste così.
Gli tornò alla memoria un’immagine lontana di loro
due bambine; erano comparse davanti ai suoi occhi in abiti maschili per fargli
uno scherzo. Lo avevano sfidato a riconoscere una e l’altra. Non ne aveva avuto
il tempo; erano state immediatamente scoperte da sua nonna. La governante si
era molto arrabbiata e poi spaventata, pensando alla reazione del padrone se
avesse visto la piccola Danielle tentare d’ imitare la sorella.
Un sospetto gli si affacciò alla mente, ma si
convinse di essere vittima delle sue paranoie.
Una coppia splendida e affascinante. Due sorelle che
in bellezza rubavano la luce del giorno. Oscar tratteneva la mano di Danielle
quasi con prudenza come se dovesse sostenerla. Forse era senso di protezione.
Se fosse stato solo per l’aspetto, sarebbe stato
difficile scegliere tra una e l’altra, almeno dal suo punto di vista.
Eppure solo una delle due immagini faceva tremare
con violenza il suo cuore e ogni volta era un turbamento che si rinnovava con
vigore. E ogni volta si chiedeva come facesse a nasconderlo. Come non si
vedesse. Danielle se n’era accorta. Solo lei avrebbe potuto. Doveva
riconoscerlo, ma ultimamente la gemella di Oscar lo turbava molto. Anche ora.
Doveva sforzarsi di non guardarla con troppa
insistenza.
Danielle, elegante e femminile nel suo completo grigio
tortora da amazzone, con un cappellino piumato sulla testa da cui scappavano
impertinenti riccioli dorati, e Oscar, valchiria algida dal passo sicuro,
superba in abiti maschili, una giacca verde bottiglia su pantaloni più chiari,
stivali lucidi, guanti color ruggine e frustino in pugno.Le sorelle lo avevano quasi raggiunto ai
piedi della scala, quando avvertì dei passi alle sue spalle provenire dal
salone sul retro; i passi si fermarono di fianco a lui. Non si volse neppure a
guardare l’uomo che aveva riconosciuto dall’odore della colonia mischiato a
quello vago di sudore.
“Madame Recamier, madamigella Oscar, vedo che state
per uscire a cavallo. Mi unirei molto volentieri a voi, se permettete.” Si
intromise Fersen, senza che fosse stato interpellato, allargando le braccia in maniera
un po’ teatrale.
Andrè si degnò di lanciargli un’occhiata rapida con
la coda dell’occhio; sapeva che era un po’ meschino, ma pregustava la segreta
soddisfazione di vedere il nemico ricevere un sicuro rifiuto.
Infatti, fu il tono gentile ma deciso di Danielle a
confermare i suoi pensieri.
“Oh… Non offendetevi conte di Fersen, ma devo
rifiutare la vostra gentile offerta. Vedete, io e Oscar desideriamo cavalcare
da sole. È una cosa che non facciamo da molto tempo e oggi vorremmo
approfittarne, prima che il Colonnello delle Guardie torni ai suoi doveri. Ma
non preoccupatevi; ci saranno altre occasioni. – Poi si rivolse a Oscar. –
Vogliamo andare?”
“Certo, Danielle. Vogliate scusarci, Fersen. Vi rubo
la compagnia di mia sorella solo per qualche ora.”
“Scusatemi voi, Oscar, se mi sono intromesso. Non
avevo capito.”
In quel momento, Andrè notò lo sguardo di
soddisfazione di Oscar, una strana luce di esultanza negli occhi.
Lo giudicò molto strano.
Le sorelle Jarjayes si allontanarono nel vestibolo
verso l’uscita che dava sul parco, una dietro all’altra, Danielle in testa.
L’attendente e Fersen restarono soli.
Andrè avrebbe voluto allontanarsi per i fatti suoi,
isolarsi da qualche parte a riflettere, o meglio ancora, andare a rilassarsi in
mezzo al fieno profumato fino all’ora di cena, ma il conte era di diverso
avviso.
Il nobiluomo voleva parlare con il servo.
Perché si sa, i servi di solito hanno mille occhi, e
possono essere ottimi informatori.
“Aspettate André, volevo parlare un po’ con voi. Non
vi dispiace, vero?”
André notò il fare un po’ mellifluo; il conte voleva
qualcosa, ma lui non era sicuro di volerlo aiutare.
“A che proposito?”
“Volevo un vostro parere.”
Se la domanda lo rese perplesso, non lo diede a
vedere.
“Su cosa, conte?”
“Oscar e Danielle, voi le conoscete bene entrambe?”
André si chiese se la domanda non fosse un
trabocchetto. L’aria sospettosa che assunse non sfuggì a Fersen.
“Suvvia André, non preoccupatevi. Sono solo un po’
curioso e a parte voi, non saprei a chi rivolgermi.” Lo incalzò il conte in
tono rassicurante. Fersen aveva raggiunto il salottino sul retro e lì si era
servito un bicchiere di liquore preso dalla vetrinetta che conteneva le
bottiglie. Andrè lo raggiunse nel piccolo ambiente riscaldato dal fuoco allegro
di un caminetto acceso.
“Conosco meglio Oscar.”
Rispose appoggiandosi a braccia conserte allo
stipite della porta.
“Oh, ne sono certo. Penso di conoscere Oscar
piuttosto bene, anche se non quanto voi, ma non la facevo così intimamente
legata alla sorella, direi quasi in modo morboso. Confesso che sono molto
sorpreso.”
“Non sapete che tra i gemelli esiste un legame molto
particolare?” Rispose André in tono condiscendente.
Fersen alzò il suo bicchiere verso l’attendente,
guardando l’uomo attraverso la lente deformante di vetro e liquido.
“Sì, lo so. Ma pensavo che foste voi il legame più
importante di Oscar…” e bevve il liquore tutto d’un fiato.
Certe volte quel damerino aveva il potere di
irritarlo a morte, soprattutto quando parlava con apparente noncuranza e
intanto ti colpiva con delle stoccate precise; non voleva addentrarsi in
confidenze di nessun tipo con lo svedese, poteva essere un grosso rischio; non
era nella posizione di potersi sbilanciare troppo.
“Alludete di nuovo alla mia amicizia con Oscar? Deve
proprio disturbarvi molto…” rispose André con lieve cinismo.
“No, no, ma che andate a pensare?! Io mi chiedevo
soltanto che genere di ascendente eserciti Oscar sulla sorella e siete l’unico
che potrebbe rispondere a questo interrogativo. Voi conoscete il temperamento
fiero di Oscar, il suo rigore morale, il senso di lealtà. E Danielle, beh… lei
è un enigma affascinante, non trovate?”
“Oh, suppongo di sì, ma voi siete senz’altro un
intenditore in materia...”
Ma dove voleva andare a parare?
“Apprezzo davvero la vostra sottile ironia. – Fersen
si versò un’ altra dose generosa di liquore, ma non si preoccupò di offrirne al
servo. - Insomma André, parliamo di due donne straordinarie; una è fatta per
combattere, l’altra per l’amore. L’una coraggiosa, indomabile, l’altra
altrettanto passionale. Entrambe affascinanti in modi diversissimi. Sono più
simili di quanto si possa credere, ma anche molto diverse. E Danielle, oh… Come
si fa a non perdere la ragione per una donna così? E come tutte le donne lancia
segnali contraddittori, ma voi potreste aiutarmi a decifrarli.”
“Io? Non credo proprio!”
“Nessun altro, André.”
Andrè quasi non credeva a ciò che sentiva; annusava
l’aria, pesava le parole e tratteneva un sorriso ironico.
Un uomo conosce le priorità di un altro uomo. Se poi
l’uomo in questione era il conte di Fersen, amante gaudente di belle donne, non
restavano molti dubbi.
“Cosa volete da me? Parlate chiaro, conte di
Fersen.”
Non voleva farsi trascinare in una tipica
discussione maschile proprio dal conte.
“Voglio parlare con voi, da uomo a uomo Andrè. Sarò
franco: io mi sento completamente stregato da Madame Recamier. Sono totalmente
soggiogato dal suo fascino e sapete, sarei disposto a tutto per averla, almeno
una volta. Sono veramente… ossessionato da lei, dalla sua bellezza! - La sua
voce divenne un sussurro appena udibile. - Voi sapete bene che cos’è un’
ossessione, non è così?”
Fersen puntò i suoi occhi freddi in quelli di André
come se volesse incatenarlo con lo sguardo, come se cercasse quella risposta
che l’altro non voleva dare e non avrebbe dato mai proprio a lui.
“Non stiamo parlando di me. Vi ho chiesto cosa
volete esattamente.”
“Solo un piccolo aiuto per arrivare al cuore di
Danielle.”
“Scusatemi, ma non posso fare il ruffiano per voi, e
nessuno credo, può obbligare il cuore di una donna ai suoi desideri.”
“Non lo farei mai e non volevo chiedervi questo,
sono un uomo d’onore. Sto cercando una conferma da voi. Non credo di esserle
indifferente, ma Danielle mi appare a volte come una donna inafferrabile e mi
chiedo quanto questo dipenda da Oscar stessa.”
“Volete arrivare a Danielle attraverso Oscar!” Andrè
non nascose la sua totale costernazione.
“Pensate sia possibile? Se i comportamenti di Oscar
mi appaiono chiari, non posso dire altrettanto di Danielle. La contessa prima
mi sembra condiscendente, poi cambia improvvisamente atteggiamento e diventa
sfuggente. Lo devo ammettere André, mi fa impazzire per questo. Voi mi capite,
vero?”
André non seppe più trattenere il riso.
“Certo conte, vi capisco benissimo. Non posso
crederci; venite a cercare la complicità di un servo! Siete dunque così
insicuro?”
“Oh, ma voi non siete un servo qualsiasi! Voi
comprendete più di quanto non diciate... e siete un buon amico di madamigella
Oscar... – Ma Andrè continuava a ridacchiare senza ritegno e Fersen iniziava a
irritarsi di una tale sfrontatezza. - Lo trovate divertente?”
“Volete un consiglio? Io credo che sarebbe saggio
rinunciare. Un uomo come voi non dovrebbe prendere per un sì, quello che è un
no.”
Andrè faticava sempre più a trattenere il riso.
“Voi rinuncereste, André? Io credo che la contessa
Recamier sia interessata a me, ma sia restia a lasciarsi andare e abbia timore
del giudizio di madamigella Oscar… per via anche della nostra amicizia… e di
altre cose. Oscar può essere troppo severa ed esigente a volte…e su certi
argomenti si altera facilmente, lo sapete anche voi.”
“Cosa?” E questa volta André smise di ridere,
allontanandosi bruscamente dallo stipite della porta dove si era mantenuto
appoggiato fino a quel momento. “Questa conversazione inizia a non piacermi.”
“Non prendetela così male; non vi sto chiedendo
nulla di sconveniente. Dovete solo dirmi se siete mai riuscito a mettervi fra
loro. Dalla vostra risposta dipenderà il mio successo.”
“Oh, certo, ora capisco tutto!”
Andrè accorciò bruscamente la distanza con lo
svedese; in un moto di rabbia serrò i pugni attorno al bavero di seta della
camicia del conte.
“Forse potrei scoprire come reagirebbe Oscar di
fronte a una relazione tra la sorella e il chiacchierato conte di
Fersen, e magari, se l’indiscrezione possa arrivare all’orecchio della regina!”
Sibilò adirato.
“André, ma cosa fate! Lasciatemi!” Sbraitò Fersen
preso in contropiede e impreparato a quella reazione.
L’attendente per tutta risposta, lo strattonò
malamente spingendolo lontano da sé. Quando parlò di nuovo la sua voce si era
fatta dura e severa.
“Non siete altro che un… non so nemmeno come
definirvi, ma vi credevo migliore. Onestamente i vostri intrallazzi amorosi non
mi interessano e non intendo aiutarvi in nulla. Se avrete successo con la
sorella di Oscar dipenderà unicamente da voi; tutte le conseguenze buone o
cattive, saranno vostre, compresa l’offesa che potrete arrecare alle persone
coinvolte. Tutte, anche quelle che dite di amare.”
Il conte di Fersen restò per qualche secondo basito,
poi cercò di ammansire l’attendente.
“Aspettate, io non intendevo…” ma Andrè non l’ascoltava
più. Gli aveva già voltato le spalle e puntava deciso verso la porta. La varcò
senza voltarsi mai indietro. Fersen udì il rimbombo sul pavimento di marmo dei
suoi passi decisi che si allontanavano.
Se Oscar vi potesse vedere come vi vedo io, adesso…pensava André mentre la rabbia gli squassava il petto.
**********
Portavamo i cavalli al passo attraverso il parco,
tornando verso la villa.
Cavalcavamo una di fianco all’ altra, io e Oscar.
Io in groppa a Caesar, lei aveva preso la mia mite
Desiree, tutto per rendere l’inganno perfetto.
Cavalcare come un uomo era decisamente più semplice
per me, che avevo imparato di fianco a lei, che per Oscar cavalcare da
amazzone.
Ma Oscar era meravigliosa e si era impegnata al
massimo per mantenersi dritta sulla sella nel tentativo di apparire il più
naturale possibile. Aveva avuto qualche incertezza all’inizio, ma si era abituata
in fretta. Buon sangue, alla fine non mentiva.
“Questo sarà un modo più elegante di andare a
cavallo, ma il mio è decisamente più comodo, Danielle.” Commentò con ironia.
“Su questo devo darti ragione; comunque sei
un’amazzone perfetta, mia cara. Devo dire che siamo state brave fino ad ora e
nessuno sospetta niente. Come potrebbero? Abbiamo superato la prova davanti a
tutti; il conte di Fersen, André, perfino mio marito. Potremmo ingannare anche
nostro padre. Non credi?” Risposi allegramente.
Mi sentivo un po’ euforica e trovavo tutto molto
divertente. Oscar invece non prendeva nulla come un gioco.
“Adesso esageri.”
“Suvvia Oscar, sto scherzando. Non oserei mai. Rilassati;
ora non sei un soldato, ma una fanciulla che si gode l’aria sanae rigenerante della campagna. Ora sei me.”
Si concesse un sorriso.
“Certo, ″Colonnello″. Ho temuto
il peggio quando abbiamo incontrato tuo marito e Lisette. Credevo che ci
avrebbero scoperte.”
“Devi avere più fiducia, Oscar.”
Sì, quello era stato un momento delicato.
Avevamo incontrato Leopold e la sua amante; anche
loro erano usciti a cavallo.
Ci eravamo arrestate sotto le fronde di alcuni
alberi e la coppia lentamente ci stava raggiungendo.
Oscar in quel momento si era un po’ allarmata; lo avevo
notato dal modo convulso con cui aveva preso a stringere le redini.
“Stai calma Oscar. Non ti presterà troppa
attenzione, credimi. Limitati a essere cortese con Lisette.”
“Tu saresti cortese con l’amante di tuo marito?” mi
chiese con tono incerto.
“Sì, mia cara. Io e Leopold evitiamo di azzuffarci
come due coniugi gelosi… gelosi poi di cosa? Questa è l’unica nota positiva del
nostro matrimonio… anche se Madame Lisette ha qualcosa che non mi convince.
Stanno arrivando, preparati.”
Solo pochi metri ci separavano.
Il conte di Recamier arrestò il suo cavallo proprio
di fronte a quello di Oscar, pensando di essere al mio cospetto. Oscar si
mantenne per quanto poté impassibile, il viso lievemente piegato di lato,
ostentando l’atteggiamento più noncurante che avesse. Poi i suoi occhi si
spostarono su Lisette e solo in quel momento si accorse che la donna non
cavalcava alla amazzone. Leopold ci degnò entrambe di un’occhiata rapida e
frettolosa.
“Mia moglie e il Colonnello Oscar insieme a cavallo;
era da un po’ che non assistevo a questa scena. – Quindi si rivolse a me. -
Madamigella Oscar, dovreste venire a trovare vostra sorella più spesso.”
Sentirmi chiamare col nome della mia gemella era
insolito e stimolante. Nei miei nuovi panni maschili non seppi resistere alla
tentazione di provocare Leopold.
“Voi dite? Non temete che ve la trasformi in un
uomo? Potrei insegnarle a ricamare con la spada…”
“Vedo che non avete perso il vostro sarcasmo,
Oscar.”
Sarcasmo che era anche mio, evidentemente.
“Mi dispiace cognato. L’educazione mi ha guastata.”
Mia sorella con espressione vaga, aveva ascoltato il
nostro scambio di battute trattenendo il respiro, ma decise di smorzare i miei
toni troppo disinvolti, e lo fece con gran classe.
“Leopold, Oscar, adesso basta. Non vi accorgete che
stiamo annoiando, se non imbarazzando la nostra ospite? Forse, madame vorrebbe
proseguire la cavalcata, non ascoltare voi due che vi punzecchiate…”
Oscar voleva togliersi da quell’impiccio e quella le
era sembrata la strada più breve.
Fu allora che Madame Marchard si espresse in un modo
un po’ imprevisto.
“Siete molto gentile, madame Recamier. Posso dirvi
che siete un’amazzone elegantissima? Sapete, non sono mai riuscita a imparare a
stare in sella come voi.” Esclamò con entusiasmo sincero.
Oscar esitò visibilmente sorpresa, ma seppe
controbattere subito dopo; anch’io trattenni il fiato e mi sorse il dubbio che
Lisette avesse intuito qualcosa. Possibile che quella donna avesse notato
qualche differenza?
“Oh… vi ringrazio. Ma sapete, preferirei di gran
lunga cavalcare come voi… Oscar, vogliamo proseguire?”
Aggiunse poi, rivolta a me. Così ci salutammo
ripromettendoci di vederci per l’ora di cena.
Lasciammo Leopold e Lisette soli sotto gli alberi e
noi ci allontanammo al galoppo nella vasta campagna.
Erano passate due ore; il cielo stava iniziando a
tingersi di rosso arancio sull’orizzonte.
Io e Oscar, ormai di ritorno, stavamo per varcare i
cancelli della mia tenuta.
Il pensiero mi frullava in testa da qualche minuto,
come un venticello dispettoso che solleva nuvolette di polvere negli occhi.
Avevo ancora una piccola sfida da lanciare, ma sapevo che non sarebbe stata
raccolta.
“Stavo pensando, Oscar… perché non estendiamo la
nostra piccola recita alla cena? Sarebbe divertente!”
Risi con gusto.
Oscar per un secondo mi guardò come se avessi detto
un’ eresia.
“Ne hai avute abbastanza di emozioni per oggi;
voglio ritornare nei miei comodi vestiti, Danielle.”
Mi rispose secca e indispettita.
Risi di nuovo.
“D’ accordo, cara. Tanto ci sarà un’altra occasione,
giusto?”
Spinsi decisa i talloni nei fianchi del cavallo e
partii in direzione delle scuderie situate in fondo all’ala destra del
giardino. Oscar non mi imitò e mantenne la sua andatura tranquilla. Arrivai
dunque qualche minuto prima di lei.
Il portone di legno era aperto. Un cavallo nero dal
manto lucido appena strigliato brucava della biada all’esterno.
André era lì, ad attenderci.
Continua…
Eccomi qui.
Chiedo scusa per
l’enorme ritardo, (lo so che ci siete abituate, ma metto le mani avanti) ma
ringrazio tutte quelle che pazienti attendono questa storia, la commentano, o
semplicemente la seguono. Non sono riuscita a rispondere a tutte le vostre
recensioni, ma sappiate che le vostre parole mi fanno un immenso piacere e mi
spronano ad andare avanti. Grazie di vero cuore, dunque.
Questo capitolo è
venuto un po’ più corto degli altri, ma così l’ho sentito. Vi aspettavate lo
scambio, eh?
Beh, siamo solo alle
prove. Abbiate fede.
Avevo qualche timore
sul dialogo tra Fersen e André, l’ho modificato parecchie volte; il mio intento
è quasi sempre quello di ridicolizzare il merluzzo del Baltico, ma avevo paura
di esagerare nei toni. Spero di non averlo fatto. Giudicherete voi.
André attendeva contro il rettangolo scuro dell’ingresso
alle scuderie, la posa rigida, le braccia distese lungo i fianchi, i pugni
chiusi.
Lentamente mi avvicinavo a cavallo e la sua figura si
stagliava sempre più netta sullo sfondo. Mi appariva stranamente immobile,
bloccato nello sforzo di trattenere il guizzo dei muscoli.
Era nervoso, o forse arrabbiato.
Ignoravo totalmente quale potesse essere il motivo, ma
l’inquietudine mi attraversò il cuore quasi immediatamente; temetti di venire
smascherata, lì sul posto.
Sarebbe stato terribile. E umiliante.
Per me.
Per Oscar.
Avrei negato disperatamente, fino all’inverosimile.
In sella a Caesar, mi voltai un momento per verificare
quanto Oscar fosse lontana; avevo su di lei diversi minuti di vantaggio, minuti
che potevo volgere a mio favore. Dovevo approfittarne, in qualche modo.
Stavo per affrontare il mio primo vero confronto diretto
con André, mentre ero nei panni di colei che amava e non sapevo ancora cosa avrei
fatto o detto. Giudicai che sarebbe stato saggio tentare, per quanto possibile,
di adattarmi alla situazione.
Avrei dovuto essere convincente e naturale per non destare
sospetti, cosa tutt’altro che scontata.
Quando fui a pochi metri, arrestai il cavallo; solo
allora, André si mosse per venire a prendere le redini.
Gli sorrisi, ma lui non disse una parola, né si mostrò
amichevole; puntai il mio sguardo nel suo e colsi l’ ombra che rabbuiava il
verde già cupo dei suoi occhi. Mi allarmai, non sapendo cosa aspettarmi e un
improvviso senso di panico mi fece sentire inadeguata ai panni che portavo.
Pensai che Oscar avrebbe indagato, cosa che feci, con ogni
cautela possibile.
“Che faccia scura! È successo qualcosa durante la nostra
assenza?” chiesi, tentando di sdrammatizzare.
André mi restituì lo sguardo vago e allarmato di chi è
colto in fallo.
Fu questione di un secondo, poi si riebbe dalla sorpresa e
la sua espressione tornò quella di sempre, mentre rispondeva con la consueta
ironia.
“Accidenti Oscar, non ti si può nascondere niente.”
Esclamò ridacchiando un po’ forzatamente.
Mi aveva chiamata Oscar, quindi non ci aveva scoperte. Si
riferiva ad altro. Mi calmai un poco.
“Vorresti essere più chiaro? Non ti seguo…”
Intanto, con tutta la disinvoltura di cui ero capace, ero
scesa dalla sella e avevo ceduto le redini all’attendente; Andrè, con tutta
calma, guidò il cavallo dentro le scuderie.
“Niente di grave Oscar; è solo… che non mi piace fare il
galoppino, lo sai.”
Lo vidi scomparire con Caesar nella penombra dell’ambiente.
Sembrava restio a proseguire oltre quella conversazione.
Lo seguii col sospetto che stavo per indovinare di cosa si
trattava; durante la nostra cavalcata, lui e Fersen erano rimasti soli in casa:
lo svedese doveva aver fatto o detto qualcosa che lo aveva irritato. André
sapeva nascondere bene i suoi impulsi, ma poteva essere che davanti a Oscar non
fosse sempre tanto riservato e schivo. Però avrebbe osato sbilanciarsi sul suo
nemico?
Continuai a fingere.
“Continuo a non seguirti: che cos’è questa storia del
galoppino?”
Aveva già tolto e riposto le briglie e ora stava slegando
il sottopancia della sella. Il silenzio tra noi perdurava e André non si
preoccupava di interromperlo, quasi non volesse rispondere alla mia domanda. Mi
stavo innervosendo anche se cercavo di nasconderlo, appoggiandomi con
noncuranza alla parete di legno del box.
“È la storia ridicola, squallida e abbastanza comune, di
un noto nobiluomo che vorrebbe insidiare una donna. Non vale neppure la pena di
parlarne.”
La risposta laconica non si prestava a troppe
interpretazioni, e mi fu subito chiaro a cosa André si riferisse. Chissà se
Oscar avrebbe colto altrettanto in fretta l’allusione al conte, o avrebbe fatto
finta di non capire.
“Perché sei tanto infastidito? Per la richiesta che ti è
stata fatta o per la donna coinvolta?”
“Un po’ entrambe le cose… e comunque, sarò un servo, ma
non mi piace essere usato, né preso in giro.” ammise secco, con una certa
riluttanza. Capivo il suo evidente disappunto, ma non potevo esprimere il mio
reale rammarico, né dimostrami troppo solidale.
“È qualcosa che riguarda Danielle, vero? – Esitai
volutamente. - L’uomo non sarà…”
André parlò senza abbassare lo sguardo che all’improvviso
mi aveva puntato addosso.
“Scusami, forse non dovrei parlarne con te, Oscar…”
Allora, mi sentii spiazzata.
“Ti fai problemi con me, André? E da quando?”
André lasciò passare qualche secondo, come se cercasse la
risposta migliore da dare.
“Da quando tu e il nobile conte siete diventati ottimi
amici; non vorrei essere io a far crollare il tuo perfetto castello di carte…”
Erano parole calcolate, ma davvero sorprendenti, dette da
lui.
“Sei ambiguo senza ragione; se si tratta di mia sorella,
posso accettare la realtà. Non sono una sprovveduta, dovresti saperlo.”
“Se è vero, meglio così.”
Ero nei panni di Oscar; per questo, tendeva a essere
evasivo.
E io credevo che normalmente le dicesse tutto. Oppure era
la situazione?
Anche André stava attuando una qualche strategia?
Di recente, mi sembrava di aver colto un atteggiamento
diverso fra loro, come se Andrè cercasse di mettere distanza tra lui e la sua
padrona.
La confessione fatta sul balcone della mia casa qualche
giorno prima, senza dubbio aveva avuto delle conseguenze; lo avevo scosso in
modo insperato, e poteva essere che non volesse tradire il suo turbamento
davanti a Oscar.
Fu così che decisi di correre il rischio: mettere la vera
Oscar davanti a questa possibilità per scoprire paradossalmente se ero
diventata io, Danielle, l’oggetto del desiderio di André.
Era un’ operazione intrigante e molto pericolosa che
poteva risolversi in maniera inattesa e contraria ai miei reali desideri.
Potevo, senza volerlo, scatenare qualcosa che avrebbe
allontanato André da me.
Nei miei panni, come attraverso uno specchio deformante,
per ipotesi, Oscar poteva scoprire e vivere il mio stesso sentimento,
quell’amore intenso e divorante che bruciava i residui di vecchi amori
dimenticati sul fondo della mia anima.
Forse André si sarebbe confidato con la finta Danielle.
E la finta Danielle avrebbe incontrato lo sguardo vivo,
intenso e caldo di un uomo sconosciuto fino a quel momento. André avrebbe
creduto di avvicinarsi a me, senza sospettare di non essere mai stato tanto
vicino alla donna che amava da sempre.
Mia sorella a breve avrebbe raggiunto le scuderie; di lì a
poco, sentimmo il nitrito del cavallo all’esterno. Senza dubbio, sarebbe stato
interessante assistere al loro incontro, vedere la loro interazione e scoprire
come Oscar, nei miei panni si sarebbe rapportata a lui.
Dovevo solo restare a guardare.
Magari, spingere un poco le cose.
Ma quando Oscar entrò a cavallo nella scuderia, Andrè mi
spiazzò nuovamente.
Si allontanò con assoluta decisione per puntare diritto in
direzione della donna vestita da amazzone in sella alla mia Desiree. Oscar si
era arrestata subito dopo l’ingresso; mi trovavo in penombra rispetto a lei, ma
riuscivo a scorgere perfettamente il suo viso leggermente accaldato, su cui
leggevo la leggera sorpresa di trovare Andrè e me, lì.
Avanzai di qualche passo e anche André si accostò al
cavallo che scartò un poco all’ indietro e afferrando le redini, sussurrò
all’animale per calmarlo, accarezzandolo sul collo; poi si rivolse a Oscar che
era rimasta quasi interdetta a fissarlo.
“Se volete, potete appoggiarvi a me, contessa; vi aiuto a
scendere.”
Estrema gentilezza nella voce persuasiva. Le mani pronte e
salde attorno alla vita di Oscar.
Mia sorella, per reazione istintiva, aprì la bocca come
per protestare, ma non osò fiatare appena colse il mio sguardo allarmato dietro
le spalle dell’attendente.
Non tradirti proprio ora, pensai.
Oscar non si sarebbe fatta aiutare, ma Danielle sì. E lei
stava per dimenticare chi era.
Io e lei ci scambiammo una rapida occhiata d’intesa, poi
Oscar tornò a posare lo sguardo sul suo attendente che aspettava un suo cenno
d’assenso.
Si sporse leggermente dalla sella e posò le mani sulle
spalle forti dell’amico per aggrapparsi a lui; si ritrovò a terra, accompagnata
dalla forza delle braccia del suo servo e per tutto il tempo di quel rapido
contatto, mentre nel tragitto il corpo di Oscar scivolava vicino a quello di
André, mi parve che gli occhi dell’uno catturassero quelli dell’altra con la
forza avvincente di una calamita.
Fu come se entrambi dimenticassero di non essere soli.
Pensai per un attimo di essermi ingannata, ma rimasi quasi
esterrefatta quando capii che quella strana atmosfera perdurava; le mani
eleganti e forti di André continuavano a trattenere la vita di mia sorella e
lei si manteneva aderente a lui, ancorata alle sue spalle; il suo petto si
sollevava e il respiro accelerato tradiva l’emozione accesa e subitanea che la
stava cogliendo.
Chissà se mai si erano sfiorati così intimamente prima di
quell’attimo.
Tra tanti sguardi, chissà se mai ci fu uno simile negli
anni della loro lunga convivenza.
Pensai che non doveva essere mai accaduto, ma ora, l’unica
che poteva esserne consapevole era Oscar.
Cercai di darmi un contegno, richiamando mia sorella
all’attenzione.
“Danielle, dovremmo andare. Hai altre incombenze per
questa sera…”
Solo allora, parve ricordarsi che ero presente alla scena;
si volse a guardarmi in viso scostandosi da André quasi con imbarazzo. Fece
qualche passo verso di me, sollevando leggermente la gonna e muovendo la paglia
sotto i suoi passi: teneva il frustino in mano e con l’altra piegava
leggermente lo scudiscio all’estremità, tradendo un lieve nervosismo.
“Sì, Oscar. Vai pure avanti, io ti raggiungo tra poco;
voglio prima dare dell’ acqua e un po’ di biada al mio cavallo e volevo farmi
aiutare dal nostro André.”
“Posso aspettarti, se vuoi…” tentai.
“Preferisco di no. Capisci, vero?”
Sollevò un sopracciglio con fare eloquente.
Capivo fin troppo chiaramente: Oscar nelle mie sembianze,
voleva restare sola col suo attendente, un’evenienza allarmante. Mi resi conto
che non avrei avuto totale controllo su ogni possibile risvolto del gioco e
lasciarli soli era quanto mai rischioso; Andrè senza saperlo, avrebbe potuto
tradire me e lui, contemporaneamente. Non sapevo cosa fare.
Avevo paura che dopo tanti sforzi, la verità venisse a
galla troppo presto, ma Oscar mi stava mettendo alle strette e se avessi
obbiettato qualche scusa si sarebbe insospettita.
Sospirai rassegnata e abbassai il capo.
“Ma certo… vado a cambiarmi per la cena.”
A passi lenti mi incamminai verso il cono di luce
proiettato dall’uscita. Non volevo andarmene e non potevo restare. Lanciai
un’occhiata rapida ad André mentre gli passavo di fianco. Non potevo metterlo
in guardia senza tradire il patto segreto suggellato con Oscar. Lui non doveva
sapere.
André ricambiò il mio stesso sguardo, forse solo un poco
più perplesso.
Ma quando fui all’esterno delle scuderie non mi risolsi ad
allontanarmi da lì.
Mi accostai dietro il portone nel tentativo di udire le
parole che si sarebbero detti.
Ascoltavo, e intanto, paure opposte e contrastanti m’
invadevano il cuore.
Temevo di veder rivelato il mio segreto.
Temevo che André tradisse sé stesso e il suo cuore.
Temevo Oscar scoprirsi amata da lui, e respinta come
Danielle, ma avevo anche paura di scoprirmi finalmente amata attraverso gli
occhi di mia sorella.
Mi giunsero così le loro voci, i bisbigli, i silenzi,
suoni leggeri di passi sulla paglia, il nitrito di un cavallo, un secchio
d’acqua che veniva rovesciato nell’abbeveratoio.
Non potevo vedere gesti, né espressioni, né reazioni, ma
mi sembrava di poter immaginare l’emozione rarefatta dietro le parole, mentre
raccoglievo frasi spezzate che galleggiavano nell’aria come piume portate dal
vento.
Il cielo della sera sopra di me era sempre più infuocato.
§§§§§
Oscar continuava a tormentare il frustino che reggeva tra
le mani.
Dall’ingresso proveniva la luce rossastra del tramonto che
sembrava far prendere fuoco alla paglia seminata sul pavimento. Preferiva
restare nella penombra, l’aiutava a camuffare l’emozione che avvertiva ancora
addosso, che le vibrava sulla pelle sotto il tessuto del vestito da amazzone.
Sentiva tremare le vene dei polsi.
Andrè era fermo dietro di lei, in attesa.
Non sapeva di cosa e non trovava il modo di rompere quello
strano silenzio che era sceso tra loro.
Cosa avrebbe fatto Danielle? Cosa avrebbe detto?
Aveva paura di guardarlo negli occhi e tradirsi.
Improvvisamente lo sentì muoversi, lentamente.
I passi sulla paglia si avvicinavano, accorciando la
distanza tra i loro corpi.
Restava zitta, bloccata, mentre sperava che fosse lui a
parlare per primo. A rompere il ghiaccio.
Ma non era ghiaccio se avvertiva uno strano calore che le
scendeva dentro l’anima.
Che cosa farà lui?Si chiedeva sgomenta.
E perché prima mi ha stretto così?
Lui voleva Danielle?
Prese fiato e coraggio.
Lei era Danielle; per il momento Oscar doveva scomparire.
Si voltò, decisa ad affrontarlo.
“Che cosa succede, André?”
Lo guardò dritto negli occhi che non le erano mai parsi
così foschi, che forse mai l’avevano turbata tanto. Oscar non si era mai
smarrita in quello sguardo, ma nei panni di Danielle le pareva di annegarvi
dentro. Era una sensazione oltremodo inspiegabile, come lo strano vuoto fatto
di paura e speranza che si era formato alla bocca dello stomaco. André era
davanti a lei e sosteneva il suo sguardo con un’intensità sconosciuta.
“Credo tu lo sappia, Danielle. Sei stata tu a scatenare
tutto.”
Sembrava un’ accusa e si chiese se l’amico non avesse
ragione.
Cosa stava facendo Danielle?
“Spiegami, ti prego. Ho bisogno di capire: mi sto mettendo
tra te e Oscar? Sto minando il vostro rapporto in qualche modo?”
Andrè avvertì il tono di voce accalorato, quasi
spaventato.
Si era trattenuto davanti a Oscar, ma sentiva di non
potersi contenere di fronte a Danielle; doveva parlare senza timore, senza
ambiguità.
Con lei voleva prendersi il lusso doloroso di essere
sincero. Forse anche cattivo.
C’era altro che doveva dire, e confusione e tormento nel
suo cuore.
E un sospetto. Un dubbio cui non voleva credere, ma non
poteva del tutto accantonare.
Lei sembrava diversa, sensazione che aveva avuto fin da
quando le aveva viste scendere dalle scale quel pomeriggio. Così decise di
rischiare.
La afferrò con impeto per le braccia.
“Non è strano che tu mi faccia una domanda simile? Certo
che lo stai facendo! Te l’ho detto; tu mi turbi profondamente e non potrebbe
che essere così. Perché lo fai, eh? Vuoi mettere alla prova la mia resistenza?”
“Cosa? NO!! Stai dicendo che tra noi… potrebbe succedere…
Oh, André… dimmi la verità, ti prego; tra te e lei… - aveva paura a dirlo – è
cambiato qualcosa, a causa mia?”
“Oh, Danielle… - sospirò - Io ho cercato di non pensare a
quello che ci siamo detti l’altro giorno; ho cercato di non dare valore alle
tue parole, ma passa il tempo e mi accorgo che non è facile. Sono solo da così
troppo tempo che temo di confondere un palpito improvviso e leggero con un
desiderio più grande… Dovevi seguire Oscar, non restare qui con me…” e mentre
parlava, con il dorso della mano le accarezzò una guancia.
Oscar, senza nemmeno rendersene conto, quasi in un moto
involontario, si lasciò andare a quel gesto gentile chiudendo gli occhi e
inclinando il viso, per godere meglio di quel contatto inaspettato. Ma li
riaprì quasi subito, sconvolta, quando si rese conto del brivido morbido che le
correva sulla pelle delle labbra appena sfiorate dal pollice di André.
Così, occhi negli occhi, scoprì le loro labbra
pericolosamente vicine.
Anche l’amico avvertì il pericolo; ridestato bruscamente,
la lasciò andare allontanandosi svelto da lei. Riprese a parlare con foga,
portandosi una mano alla tempia, ma senza guardarla in viso.
“E ora ci si mette anche il conte di Fersen con le sue
richieste assurde! L’ho quasi preso a pugni, c’è mancato davvero poco.”
“Cosa?!”
La rivelazione fu così inaspettata che Oscar sgranò gli
occhi. Tutto in quel momento le appariva sorprendente; perfino André le
appariva nuovo e diverso. Avvertiva la voce vibrante e appassionata, un impeto
sordo malcelato. Una foga tutta virile e affascinante. Un’ indignazione pura,
sentita profondamente. Era magnetismo, quello più viscerale e se ne sentiva
attratta come non mai.
“Sentirlo parlare in quel modo di te… e di Oscar… Non lo
so… È stato veramente troppo anche per me.”
“Come… Oscar? Che significa? Cosa ti ha detto di lei?”
Domandò incerta; non era più sicura di volerlo sapere, né
che le interessasse davvero.
E la risposta di André la inquietò più di tutto quello che
di scabroso avrebbe potuto scoprire sul conte di Fersen.
“Oh, non è tanto quello che mi ha detto di lei; è quello
che mi ha detto di te! Capisci?! È stato così cinico, da parte sua. Sei un
trofeo da raggiungere, una meta ambita…”
Ricordare nel dettaglio i retroscena di quella
conversazione, ancora lo innervosiva; l’attendente sembrava non trovare la
maniera giusta per esprimersi, come se ci fosse un altro senso alle parole.
“All’ improvviso mi sono arrabbiato, ho reagito male. Non
lo avevo mai fatto, neppure davanti a tua sorella. Ma vedi Danielle, ora a
mente fredda, non so più dire da dove sia partita e dove sia arrivata la rabbia
che ho provato. Non so cosa l’abbia davvero scatenata…” e su quelle parole la
sua espressione divenne pensierosa. Oscar gli si accostò di nuovo posandogli
una mano inguantata su un braccio.
“Che vuoi dire?”
Lo vide esitare, confuso, mentre l’ansia mista alla paura
le bloccava il respiro e le accelerava il battito del cuore, e una malefica
aspettativa la soffocava come se non avesse più parole da opporre.
“Non so esattamente chi volevo proteggere…se te, oppure Oscar…”
Lei continuava ad ascoltare quella sorta di confessione,
sbigottita, ma pronta a ricevere una fitta acuta e dolente all’altezza del
petto.
“So che tu non ne hai bisogno, ma lei…”
André continuava a tremare d’incertezza, come se ogni
singola parola gli costasse sforzo e fatica.
Sfinita da quell’attesa di un affondo, Oscar trovò il
coraggio di anticipare la stoccata.
“André, tu… ti sei arrabbiato con Fersen a causa mia,
perché… per caso… provi un sentimento… per me?”
Allora, lui la guardò di nuovo; uno sguardo serio e
profondo come l’amore che nascondeva. Le prese una mano e scostando un lembo
del guanto, le baciò l’interno delicato del polso, e Oscar avvertì sulla pelle
sensibile il calore dolce ed eccitante di quelle labbra morbide. [1]
Non poté fare altro che trattenere il respiro che morì in
un sussurro spezzato.
“Non lo so, Danielle. Davvero io non lo so. Oh, tu conosci
i miei veri sentimenti, sai per chi batte il mio cuore, ma sai che sono solo
quanto te. E hai ragione; sarebbe così facile tra noi…”
La lasciò andare e Oscar rimase inerte di fronte a lui,
travolta dall’emozione che la sommergeva come la marea, e la riduceva al
silenzio. Sentiva quella stessa marea arrivarle agli occhi; non avrebbe retto
oltre, ma fu André a liberarla da quel tormento.
“Ti prego, va via Danielle. Vattene prima che uno di noi
commetta una pazzia; se ora ti baciassi, come desidero fare, potrei non
riuscire più a fermarmi…”
E bastarono quelle parole a farglielo desiderare.
E bastò il dolore che lesse in quegli occhi a farla
fuggire da lì.
Sollevò le gonne e corse fuori verso la luce rossastra del
tramonto, senza accorgersi che in parte quella fuga poteva tradirla; André
l’aveva inseguita per un attimo ed era rimasto bloccato sul portone aperto, con
la luce del sole morente all’orizzonte, col dubbio insidioso su chi fosse la
donna che fuggiva. L’attendente non si accorse della gemella vestita da uomo
nascosta precipitosamente dietro un albero, lì vicino; la finta Oscar aveva
assistito all’ultima scena, colto stralci di parole e frammenti di emozioni che
avevano acceso in lei un’effervescente speranza.
§§§§§
Tornavo verso la villa e avevo il cuore in tumulto.
Un tumulto fatto di gioia.
Avevo ascoltato solo parzialmente la conversazione nelle
scuderie, ma il senso di tutto mi appariva straordinariamente chiaro; André
avvertiva del trasporto per me, cosa di cui ero stata certa fin dall’inizio.
Volevo credere che fosse qualcosa più di semplice trasporto. Ma per lealtà
verso il suo amore segreto, forse tentava di soffocarlo, di sopire le braci che
bruciavano sotto la cenere. Il bacio cui Andrè non aveva voluto cedere era, se
non altro, la conferma che avevo ragione.
Dovevo raggiungere la mia stanza prima di Oscar,
possibilmente senza farmi sorprendere da nessuno.
Ma dovevo prepararmi ad affrontare la reazione che avrebbe
avuto.
Mi aspettavo il peggio.
Avevo appena varcato l’ampio ingresso, quando colsi la
figura di Ninette, la mia cameriera; aveva l’aria sconvolta e si stava
allontanando velocemente verso l’ala del palazzo riservata alla servitù.
Quando mi vide in abiti maschili, si bloccò un secondo, mi
fece una riverenza rispettosa e corse via, prima che potessi fermarla.
L’avrei interrogata più tardi, appena fossi rientrata nei
miei panni femminili, intanto puntai verso le scale che portavano ai piani
superiori. Ero a metà della rampa e fu allora che colsi il rumore di una porta
che si apriva al piano di sotto. Mi sporsi dalla balaustra per vedere chi fosse
e scorsi l’ambigua madame Lisette uscire dal salottino privato che si trovava
al temine delle scale. Ripensai all’espressione appena intravista della mia
cameriera e collegai le due cose; proseguii salendo verso le mie stanze
private, mi spogliai di pantaloni, panciotto, camicia, infilai la mia vestaglia
da camera e lì, attesi.
Oscar mi avrebbe raggiunto a breve. Entrò trafelata nella
stanza pochi minuti dopo.
Aspettai che mi dicesse qualcosa, un qualsiasi commento su
quanto era avvenuto nelle scuderie. Ma Oscar si limitò a fare qualche passo
nella stanza, quindi si lasciò cadere pesantemente su una sedia, con lo sguardo
fisso su un punto imprecisato del pavimento. Pareva assente.
Non mi sarei aspettata quella reazione; domande, accuse,
grida e strepiti, ma non quel silenzio opprimente e indecifrabile.
Cercai di superare quel silenzio.
“Oscar… ma che succede? Qualcosa è andato storto? Perché
non dici una parola?”
Allora, lei si voltò a guardarmi; l’espressione tranquilla
era però enigmatica. Impossibile immaginare i suoi pensieri o i suoi dubbi. Più
sconcertanti di tutto furono le sue parole.
“Ridammi i miei vestiti; è ora di tornare a essere noi
stesse.”
Non aggiunse altro, mentre con le mani stava già
trafficando senza troppa cura con le forcine che trattenevano il cappellino
sulla testa. L’aiutai a sfilarsi la gonna, a slacciare il busto e per tutto il
tempo di quell’ operazione mantenne il più assoluto silenzio, assorta in
pensieri segreti.
Quando fu vestita e pronta per andarsene, la bloccai
sull’uscio con una domanda.
“Oscar, non devi dirmi niente?”
“No Danielle. Non ho niente da dirti.”
La porta si richiuse fra noi senza ulteriori parole.
§§§§
Leopold, seduto in poltrona accanto al camino, osservava
con dolcezza la sua accompagnatrice che sorseggiava una tazza di te. Avrebbe
preferito essere solo con lei, già lontano da quella casa.
Lo sarebbe stato tra un paio di giorni, sperava non
accadesse nulla fino ad allora.
Lisette con la sua discrezione, aveva saputo reggere
benissimo la situazione imbarazzante di trovarsi in casa con sua moglie
Danielle. Ma all’ imprevisto di quella riunione famigliare si era aggiunta
Oscar. La cognata lo aveva impensierito; conosceva il suo acume, l’intuizione
del militare, e che fosse lì, con Danielle, non lo faceva stare tranquillo.
Poi rifletteva, e pensava che da una donna di quello
stampo non potessero venire sospetti di natura tipicamente femminile.
Lisette anche nel silenzio, avvertiva la sua agitazione.
Posò tazza e piattino sul tavolo davanti a lei; il tintinnio della porcellana
contro il cucchiaino scosse il conte in modo impercettibile.
“Siete troppo preoccupato. Non credo che a vostra cognata
interessino i vostri segreti. Né saprebbe intuirli.” Commentò con assoluta
calma.
“Volete dire i nostri segreti, mia cara. - Puntualizzò il
conte di Recamier. – Però non dovreste sottovalutarla, sapete? Tutte le volte
che l’ho fatto io, me ne sono sempre pentito.”
“Credetemi, non sottovaluto madamigella Oscar, non farei
mai un errore del genere. Però nei vostri segreti mi sono trovata coinvolta,
mio malgrado. Non ho potuto fare altrimenti.”
La donna sorrise all’uomo bonariamente, quasi con
indulgenza.
“Non fatemi sentire in colpa, vi prego; non ho mai pensato
che sarebbe finita così. Eppure, in nessun altro modo noi ci saremmo legati
tanto profondamente. Non trovate?”
Constatò guardandola in viso. Lisette abbassò lo sguardo
sulle mani che teneva in grembo.
“Sì, ne convengo. È comunque molto triste avere trovato
l’amore e il dolore più atroce nello stesso tempo.”
Leopold si alzò dalla poltrona, le si fece accanto e le
prese le mani.
“Anch’io ho sofferto Lisette; amavo sinceramente Isabeau,
aveva portato una ventata di freschezza nella mia vita. Prima di lei non
ricordo di essermi sentito felice.”
“Isabeau era la gioia di vivere… per tutti noi. Ma dopo di
lei? Siete altrettanto felice con me, ora?” chiese Lisette con un sorriso
franco e una nota vagamente amara nella voce argentina.
“Non potete dubitarne. Voi mi avete ridato la serenità
perduta.”
“Lo so. Perdonatemi se a volte ne dubito, specialmente ora
che ho incontrato vostra moglie; una donna giovane e molto bella… uno spirito
inquieto, con una luce strana e mutevole nello sguardo; è di lei che dovremmo
preoccuparci…”
Lisette aveva parlato quasi assorta in pensieri propri.
“Spirito inquieto? Non capisco che intendete… - Leopold
accennò un vago sorriso, fece una lunga paura, poi sospirò. - Voi capite che
mia moglie non dovrà mai venirlo a sapere: sarebbe un disastro.”
Lisette si alzò dal piccolo divano in un frusciare di
sottane, per accostarsi all’ampia vetrata; si perse qualche secondo nella
contemplazione del cielo tinto di striature rosa e arancio all’orizzonte. Poi
tornò con gravità a posare lo sguardo sull’uomo rimasto seduto al suo posto.
“E come pensate di poterlo nascondere, Leopold? Ci saranno
documenti da erigere per il riconoscimento; la bambina porterà il vostro nome.
Si verrà a sapere comunque. Siete ancora disposto a riconoscerla, non è così?
Io non ho mai inteso obbligarvi; ero già pronta a farmi carico della piccola
anche senza il vostro aiuto.”
“Ma Lisette, si tratta di mia figlia. Non intendo
sottrarmi alle mie responsabilità, né verso di lei, né verso di voi.E vi prego, non prendetelo per senso del
dovere; sapete bene che sono mosso da sentimenti profondi per voi. Ve l’ho già
dimostrato.”
Il conte non nascose il tono permaloso.
Lisette si allontanò dalla finestra per tornare a sedersi
accanto a lui.
“Lo so, Leopold.” E gli strinse le mani, un gesto che non
era solo gratitudine.
L’ambiente era debolmente illuminato dalla luce fioca di
poche candele.
Lisette accostò la fronte a quella dell’uomo.
Nessuno di loro si accorse della fedele e sveglia Ninette
rimasta ad ascoltare dietro la porta chiusa per ordine della sua padrona; aveva
scoperto quanto bastava a gettare lo scandalo sulla famiglia Recamier.
Ora la serva si mordeva le labbra nel dubbio su cosa fosse
giusto fare e si chiedeva se non fosse più saggio e conveniente tenere tutto
per sé.
Continua…
Eccomi qui e scusate l’enorme ritardo.
Buona festa della donna; spero gradiate il
mio regalo.
Ho avuto qualche problema con la seconda
parte del capitolo, temevo di anticipare troppo gli eventi, ma neppure vorrei
allungare troppo il brodo e mi pareva giusto far capire certe dinamiche, anche
se ancora non le ho chiarite del tutto.
Qualcosa inizia a svelarsi, ma il meglio ci
sarà coi prossimi capitoli.
Intanto, spero che questo capitolo vi abbia
soddisfatto.
Come sempre voglio ringraziare tutte le
persone che seguono questa storia e che l’apprezzano, per me vuol dire molto.
Per Serelalla; te lo dico subito, così ti
prepari psicologicamente. Fai un respiro profondo… Dovrai attendere un po’ di
più il prossimo aggiornamento, perché ho un’altra storia da portare avanti, un
altro capitolo da scrivere (e tu conosci i miei tempi) quindi sarò costretta a
trascurare questa storia per un po’. Coraggio, sei una ragazza forte, ce la
puoi fare!!
Ciao a tutte e grazie di tutto.
[1]Scena ispirata da “L’età dell’innocenza”. Mi piace troppo quel
film e ho pensato che una scena simile poteva stare benissimo qui.
A
grandi passi, Andrè stava attraversando il vasto cortile che si apriva
sull’ingresso posteriore di villa Recamier, quando scorse Ninette seduta in un angolo,
in prossimità della grande betulla che si innalzava sul lato estremo della
casa.
Gli
parve strano che la cameriera fosse lì, ferma senza fare nulla. Di solito era
presa da mille incombenze, quelle che competevano la gestione di una grande
casa padronale.
E
qualcos’altro colpì la sua attenzione.
Si
arrestò dietro una delle grandi giare di pietra che decoravano i viali del
giardino, per osservarla senza esser visto. Notò l’aria pensierosa; se ne stava
seduta con le mani in grembo e ogni tanto stringeva convulsa il grembiule
bianco, mentre la fronte della donna si corrugava dietro chissà quale pensiero.
Doveva
essere accaduto qualcosa, e forse sarebbe stato importante scoprire di cosa si
trattava.
La
difficoltà più grande era superare la ritrosia della fedele cameriera personale
di Danielle, ma Andrè avrebbe saputo essere persuasivo e accattivante quanto
bastava per far cedere le barriere della ragazza. E l’attendente era
consapevole del suo fascino; non gli piaceva approfittarne in modo spudorato, ma quando voleva e se occorreva, lo sapeva usare, in particolare con le donne.
Sapeva che
si fidavano di lui perché leggevano l’onestà nei suoi occhi, e lui non le
tradiva.
Non le
ingannava. Ultimamente però non si sentiva così onesto.
Scacciò
in fretta quel pensiero.
Gli
venne naturale sorridere sarcastico di sé, all’idea che la sola donna su cui
non riusciva a esercitare il suo ascendente come avrebbe voluto era proprio
Oscar.
Danielle
invece…
Continuava
a pensare a quello che era accaduto nelle scuderie. Alla resa dei conti la
bella e disinvolta contessa era scappata, una reazione che contrastava troppo
con quello che gli aveva detto solo qualche giorno prima.
Una
reazione che la rendeva troppo simile a Oscar.
La
giovane cameriera era sempre ferma, seduta allo stesso posto.
E lui
decise di raggiungerla per sedersi di fianco a lei.
Ninette
avvertì il suono leggero dei passi che si avvicinavano lungo la siepe; lo
sguardo basso puntato a terra, scorse prima la punta nera delle sue scarpe.
Ebbe un sussulto e sollevò la testa; seguì la figura dell’uomo nella sua
statura e trovò due occhi del colore profondo del sottobosco che la scrutavano
con dolcezza. Ninette sospirò suo malgrado. Difficile restare indifferenti
davanti ad un uomo così… virile.
Era
bello André. Bello e gentile. Ma lei era già fidanzata.
Non
aveva l’aspetto e i modi di un servo neppure quando faceva il suo lavoro: la
camicia bianca lievemente aperta sul petto e i capelli corvini trattenuti da un
nastro nero gli conferivano un’aria conturbante e misteriosa; l’idea che fosse
l’amante segreto di madamigella Oscar, come pensava qualcuno, non le sembrava
poi così assurda. Lo salutò gentilmente.
“Ciao, André.”
“Ciao, Ninette. Posso sedermi accanto a te?”
“Certo
accomodati.” Sorrise Ninette, spostandosi un poco sulla panca di pietra per
fargli posto.
“C’è
qualche problema? Avevi l’aria preoccupata, poco fa.”
“Oh, da
quanto mi stavi osservando?” chiese sospettosa.
“Non da
molto, a dire il vero; stavo rientrando in casa quando ti ho vista – ammise,
conoscendo la furbizia della ragazza. -Allora, cosa c’è? Non vuoi dirmelo?”
“Sei un
tipo sveglio, vero André?”
“È il
mio ruolo, lo sai. Devo sempre stare con gli occhi aperti.”
“Certo.
Comunque, no… nulla di grave.” Aveva risposto troppo in fretta e André se ne
accorse.
“Davvero?
- Con i gomiti si era appoggiato alle ginocchia, inclinò un poco la testa per
essere all’altezza del viso della ragazza che manteneva il capo chino. – Se mi
dici di cosa si tratta, forse potrei aiutarti. Coraggio, lo sai che puoi
fidarti.”
Le
regalò quel sorriso schietto che gli faceva brillare lo sguardo di una luce
incantevole e Ninette non seppe resistere. Quell’uomo sapeva come far cedere
una donna, non c’erano dubbi; era abbastanza comprensibile come anche il freddo
colonnello Oscar avesse ceduto le armi.
“Ecco,
ho un dubbio su come devo comportarmi in una particolare situazione. Vedi, io
non so se dovrei…” esitò, indecisa su cosa dire e come dirlo.
“Dovresti
cosa?” la incalzò Andrè, che voleva incoraggiarla a parlare, ma non voleva
forzarla.
Ninette
parlando, agitò le mani davanti al viso.
“Se tu
sapessi qualcosa d’importante… un segreto che riguarda la tua padrona e che lei
dovrebbe conoscere, ma che potrebbe farla soffrire, tu che faresti, André?
Glielo diresti?”
Andrè
soppesò qualche istante la domanda.
“Beh,
dipende dal segreto… hai detto che riguarda Danielle?”
“Veramente,
non riguarda precisamente madame… - bisbigliò, timorosa che orecchie indiscrete
potessero udire. - Piuttosto il signor conte e la sua ospite, madame Lisette…”
André
corrugò un istante la fronte, ma si mantenne tranquillo e distaccato.
“Continua…”
la incoraggiò.
“Ecco,
ho sentito il conte di Recamier e la sua amica parlare di una figlia
illegittima del signor conte…”
*********
Il
conte di Fersen voleva uscire nel giardino per godersi l’aria profumata del
primo pomeriggio ed eventualmente, incontrare da solo Danielle De Recamier che
di solito, a quell’ora, si concedeva una tranquilla passeggiata nel parco sotto
i tigli; attraversò il corridoio, ma passando di fronte alla porta della
biblioteca semiaperta, gettando una rapida occhiata al suo interno, intravide
il profilo fine ed elegante di madamigella Oscar emergere dietro l’ansa dello
schienale di una poltrona, intenta a leggere un libro.
Ebbe un
ripensamento e si arrestò di colpo, in prossimità della porta.
Oscar
non si era ancora accorta di lui, totalmente immersa nella sua lettura.
Il
conte si sporse all’interno della stanza con la testa, poi batté due colpi con
le nocche sulla porta di legno per palesare la sua presenza. Finalmente Oscar
si riscosse, voltandosi.
“Oscar,
vi disturbo?”
“No,
assolutamente. Entrate pure, non restate lì sull’uscio; mi fa sempre piacere la
vostra compagnia.” Madamigella chiuse il libro e lo posò davanti a sé. – Bevete
qualcosa con me?” domandò gentilmente.
“Volentieri
Oscar. Un buon bicchiere di cognac, magari.”
Un
minuto dopo, un cameriere in livrea e guanti bianchi recò su un vassoio
d’argento, due bicchieri e una bottiglia di cristallo cesellato contenente un
liquido ambrato. Posò tutto sul tavolo e si eclissò a un gesto preciso della
donna.
Oscar
versò da bere per sé e il conte; sorseggiò il suo cognac e con lo sguardo
indugiava nell’osservare l’uomo seduto di fronte a lei.
Ne
studiava il volto, i lineamenti superbi e l’espressione rilassata, e
stranamente non vi trovava la malinconia che in altri momenti le era sembrato
di scorgere; Fersen non aveva quell’aria grave e composta che ricordava, ma una
luce diversa, quasi maliziosa animava il suo sguardo chiaro. Era una luce che
non le piaceva, e il motivo era quella leggera sfumatura di dissolutezza che
normalmente la infastidiva in quasi tutti i giovani rampolli di buona famiglia
che incontrava a corte.
“Allora
Fersen, siete pronto a entrare nella fossa dei leoni? Quella di domani sarà una
serata importante; al ballo prenderanno parte i membri più illustri della
nobiltà di Francia. Voi e Danielle sarete al centro dell’attenzione generale… e
sarà presente la regina.”
Fersen
bevve un sorso di liquore e sospirò come per sciogliere la tensione.
“Lo so
Oscar. Devo dire che mi sento stranamente emozionato, e questo perché ballerò
con vostra sorella; confesso di non poter evitare che il mio orgoglio maschile
si senta gratificato. Lo giudicherete sciocco, da parte mia.” Concluse con un
debole sorriso.
“No,
affatto. – Si affrettò a rispondere. - Oltre a questo, l’idea che sia presente
Sua Maestà non vi turba minimamente?”
“Sì, in
parte, ma sono rassegnato al fatto che non danzerò con la regina, e questo sarà
un bene per entrambi. Madame Recamier sarà la mia dama per tutta la sera e mi
dedicherò completamente a lei.”
“Questo
era l’accordo, mi pare.” Constatò Oscar.
“Sapete,
volevo parlarvi proprio di questo; - Fersen faceva ondeggiare il liquido nel
bicchiere osservandone il colore attraverso il vetro, senza osare guardare in
viso madamigella Oscar. - Vi disturberebbe in qualche modo, se la mia
confidenza con vostra sorella diventasse, diciamo… più intima?” Sollevò lo
sguardo solo in quel momento, osservandola sopra il bordo del bicchiere.
Oscar
si limitò ad alzare un sopracciglio, mantenendo un’ espressione neutra. Ma
dentro di lei un sentimento di delusione si faceva strada; piegò le labbra in
quello che avrebbe dovuto essere un lieve sorriso, ma diventò una smorfia
sarcastica.
“Perché
me lo chiedete? Avete bisogno del mio permesso per corteggiare mia sorella?
Siete un uomo libero, mi pare, se non nel cuore, almeno sulla carta.” Rispose
senza mezzi termini.
Fersen
restò di stucco, con il bicchiere alzato a mezz’aria, mentre Oscar decisa,
buttava giù tutto d’un fiato l’ultimo sorso di liquore. Superata la sorpresa,
pensò che se lei era così diretta, lui non avrebbe avuto bisogno di essere
diplomatico. Si sentì rincuorato, pensando fra sé al suo insuccesso con
l’attendente di madamigella Oscar, cui aveva chiesto aiuto.
“Certo
che sì, Oscar. Ma ecco, io temevo che voi poteste fraintendere le mie
intenzioni e…”
“Tutto
questo va oltre i termini del nostro accordo: vorrei limitarmi a quello, per
ora.”
“Avete
ragione Oscar, ma la questione si è sviluppata come non avevo previsto e io non
vorrei che voi...”
“Non
dovreste preoccuparvi di me; piuttosto, di come potrebbe reagire la regina. Ci
avrete pensato, immagino.”
“Non
farò nulla che possa offendere la regina Maria Antonietta, né metterla in
imbarazzo. Io voglio proteggerla, esattamente come voi, anche a costo di diventare
io solo, lo zimbello di tutta la Francia. Se questo servisse ad allontanare lo
scandalo e le chiacchiere da colei che amo, ben venga, Oscar.”
“Quanto
spirito di sacrificio! E coinvolgereste mia sorella Danielle a questo scopo,
solo per amore della regina.”
“Avverto
del sarcasmo nelle vostre parole.”
“Non
voluto, vi assicuro. - Oscar tentò di sorridere. - In tutto questo, non
sembrate curarvi della reputazione di Danielle.”
“Non è
così. Vostra sorella è una donna disinvolta, ama rischiare e conosce le
dinamiche della corte, lo sapete anche voi; sa navigare abilmente in acque
agitate, non si farà trascinare a fondo, credetemi. Sarà un’ ottima alleata per
noi.”
Fersen
finì di bere il suo liquore e posò il bicchiere vuoto sul tavolo davanti a sé,
accanto al libro che Oscar stava leggendo poco prima.
“Siete
molto sicuro di voi. Pensate che avrete successo?”
“Abbastanza.
Sono sicuro che la vostra gemella sia degna del fiero colonnello delle Guardie
Reali.”
Scese
un silenzio breve che diede a Oscar l’occasione di riflettere su alcuni
risvolti di quella vicenda; tutto poteva andar bene se fosse servito ad
allontanare Danielle da André, ma c’era di mezzo quel maledetto scambio di
ruoli. Restava la sua confusione su quale fosse il sentimento del conte per la
sorella, che si dichiarava costantemente innamorato di Maria Antonietta e un
sospetto infelice si stava facendo strada in lei. Fersen prese a osservare con
curiosità la copertina del libro posato sul tavolino accanto.
Ne fu
meravigliato.
“Sapevo
che amavate la storia, ma mi stupisce il vostro interesse per un personaggio
simile: mi sembra così lontano da voi per temperamento e costumi.”
Oscar
con le dita accarezzò le minute lettere dorate che componevano il titolo
dell’opera sul frontespizio.
“E
perché mai? Io la sento molto vicina, invece, se non nei costumi, di certo nel
temperamento. Fu una grande sovrana, seppe governare proprio come un uomo; era
colta, intelligente ed emancipata per i suoi tempi, una donna appassionata che
però non si fece mai dominare dalle passioni, né dagli uomini. Neppure da
Cesare. E morì per la sua libertà.”
“E voi
vi definireste così, Oscar? Indomabile? - Appariva divertito. – Sì, può essere
che abbiate ragione. Mi chiedo se tali caratteristiche appartengano anche a
vostra sorella. Voi che dite?”
“Se non
lo avete ancora capito, avrete modo di scoprirlo, suppongo.”
Oscar
abbandonò la poltrona per avvicinarsi alla grande libreria che occupava la
parete alle sue spalle; allungò una mano verso lo scaffale, ma ebbe un
subitaneo ripensamento e si voltò nuovamente verso il conte.
“Ah,
Fersen… - Oscar tratteneva ancora il volumetto tra le mani - in futuro evitate
di coinvolgere il mio attendente in questioni di questo genere.”
“Co…come??” balbettò Fersen interdetto e quasi
imbarazzato.
“Suvvia,
avete capito benissimo. – Tornò a guardare lo scaffale, dove depose il libro
sulla Vita di Cleopatra. – Di qualunque natura siano
le vostre intenzioni con Danielle, cercate di cavarvela da solo. Badate, non
sono offesa, ma non mi piace che proprio Andrè sia coinvolto in certi giochi,
inoltre preferisco che non sappia nulla di questo piccolo patto tra noi.
Cercate di ricordarvelo.”
Con
espressione seria si girò verso l’uomo rimasto impalato in poltrona, che si
affrettò a rassicurarla sul fatto che avesse compreso.
Lo
salutò cortesemente prima di uscire lesta dalla biblioteca.
*********
Chissà
se le aveva dato il suggerimento giusto.
“Temporeggia,
- le aveva detto – aspetta qualche giorno. Adesso sono tutti in fermento per il
ballo a corte. Dopo parlerai con la contessa e le potrai dire tutto.”
Sarebbe
stato un ottimo modo di guadagnare tempo, per capire cosa stava accadendo tra
le mura di quella villa. Non era sicuro che Ninette avrebbe evitato di farsi
mettere sotto torchio dalla sua padrona, e Danielle era una donna dal
temperamento tenace; era come l’acqua quando goccia a goccia erode la roccia.
Lui
sperava solo di essere una roccia abbastanza dura e infrangibile, ma in certi
momenti si sentiva morbido e pericolosamente debole per resistere all’erosione.
Continuava
a pensare a quello che era accaduto nelle stalle; se lei non fosse scappata,
come sarebbe finita?
E
perché la contessa avrebbe dovuto turbarsi tanto di fronte all’ammissione di
una passione possibile tra loro, se lei era stata la prima a dichiararla e
desiderarla?
Se
Danielle avesse scoperto i retroscena degli altarini del marito, avrebbe potuto
per conseguente reazione, tentare il tutto per tutto e prendersi la sua
rivincita sull’ infedele consorte. O forse, reagire ancora peggio allo scandalo
di veder riconosciuta una bastarda dei Recamier.
Una
vicenda con tanti punti oscuri; non era chiaro dove fosse questa misteriosa
figlia, nascosta magari in qualche convento. E c’era lo strano ruolo di Madame
Lisette; ascoltando il colloquio tra il conte e la sua amante, Ninette aveva
supposto che la donna non fosse la madre della creatura, ma poteva essere
un’interpretazione erronea della cameriera. C’era un’altra donna,
evidentemente. Poteva trattarsi di questa fantomatica Isabeau, ma chi fosse e
che relazione avesse con Madame Lisette De Marchard era un mistero.
Tutte
domande cui André non sapeva dare risposta e in fondo, poco gli importava
scoprire la verità. Non erano questioni che riguardassero lui. Voleva solo
evitare che tutto potesse ripercuotersi su Oscar, se come sospettava, fossero
in atto strani giochi tra le gemelle Jarjayes.
Era
assorto nei suoi pensieri seduto al tavolo nel retro della cucina, luogo
riservato quasi esclusivamente alla servitù; si stava versando dell’acqua da una
caraffa, quando Oscar entrò nel locale.
“Ah,
sei qui. Ti stavo cercando. Ultimamente stai diventando un solitario; sarebbe
più facile avere un colloquio con la regina piuttosto che con te. Per fortuna
che sei il mio attendente!”
Lo
sorprese un po’ il tono polemico; temette per un attimo che volesse litigare e
non immaginava quale potesse essere il motivo.
“Avevi
bisogno di qualcosa, Oscar? Vieni al dunque; è ovvio che qualcosa ti rode.”
“Nulla
mi rode. Volevo fare quattro chiacchiere con te, se non sei troppo occupato in
faccende più importanti.”
Oscar
prese la caraffa sul tavolo e si versò da bere. Era nervosa; restava in piedi
di fronte al tavolo e agitava il bicchiere a mezz’aria.
“Ma di
che parli?”
“Te lo
spiego subito, André. Ho l’impressione che tendi ad evitarmi da quando abbiamo
messo piede in questa casa. Vorrei sapere cosa ti sta succedendo; perché mi
eviti? È a causa di Danielle?”
“Non ti
sto evitando, sono qui a parlare con te, anche se non so esattamente di cosa.
Se ti siedi, possiamo farlo con più calma.”
“No,
sto benissimo così. Sai, sto pensando di rientrare in anticipo a Palazzo
Jarjayes. – Fece una pausa per studiare la reazione dell’amico che non batté
ciglio. – Cosa sta accadendo con Danielle? Ti stai avvicinando troppo a lei. Ti
ha detto o fatto credere che è innamorata di te?”
Andrè
non rispose subito, ma scambiò con lei un sguardo insistente e penetrante.
Poi si
rilassò, deciso a lasciarle credere ciò che voleva.
“Tu hai
avuto qualche conferma di questo? - Oscar non ammise né smentì e Andrè si sentì
libero d’interpretare il suo silenzio. – No, vero? Credimi, io non ho mai
incoraggiato Danielle... per quanto sia difficile resisterle.” Sospirò
abbassando la voce.
“Allora
è vero… - André la vide estraniarsi un attimo - Nelle scuderie sembravi molto
interessato.”
“Sembravo?
Perché l’ho aiutata a scendere da cavallo? Dopo… Tu non eri lì, o sì?”
“Intendevo
dire…”
A quel
punto Andrè si alzò in piedi, girò attorno al tavolo di legno per andare a
piazzarsi proprio di fronte a lei.
“Oscar
che succede?”
“Come?”
Lei fece un piccolo passo indietro, vagamente allarmata.
“Vieni
qui e mi affronti con questo tono inquisitorio, come se io avessi qualcosa da
nascondere, e sei tu quella che si comporta in modo strano. Indaghi su di me,
sospetti. Trami non so cosa con tua sorella. Sono io, André, il tuo amico,
ricordi? Ha ancora un significato per te, questa parola?”
“Cosa
dici? Certo che ha significato! È per la nostra amicizia che sto cercando
d’impedire che tu ti faccia del male con Danielle. Non sei l’unico con cui le
andrebbe di trastullarsi, anche il conte di Fersen suscita il suo interesse, lo
so con certezza. Oh, André, ascoltami! Pensa bene a quello che vuoi fare, non
farti trascinare in un perverso gioco di donna, da un impulso momentaneo.”
La voce
si era fatta accalorata mentre non staccava lo sguardo da lui.
“Gioco
di donna! Ah!! Lo dici come se tu sapessi di cosa parli. So badare a me stesso
Oscar; potrebbe non essere un impulso momentaneo. – A questo punto André scosse
la testa e la guardò con indulgenza, quasi con bonaria tenerezza, come si
farebbe con un bambino capriccioso. – Davvero, credi che non ci sia già
passato? Che non mi sia già fatto male al cuore? Pensi che non mi possa
succedere, Oscar? Potrei confessarti che ci sono già dentro.”
Oscar
spalancò gli occhi smarriti come se fosse assalita da una sensazione
spaventosa. Alzò una mano e la posò all’altezza del cuore dell’uomo, e tenne
gli occhi altrettanto bassi, quasi le mancasse il coraggio per guardarlo in
faccia.
“Ti
supplico André, non innamorarti di lei. Non farlo. Piuttosto, cedi alle sue
lusinghe, ma non donarle il tuo cuore. Alla fine, lo getterebbe via; lo ha già
fatto, lo sai. E lo farà ancora quando si stancherà o s’innamorerà di un altro
uomo.”
Andrè
emise un lungo e profondo sospiro trattenendo l’impulso potente di prendere
quella mano per stringerla fra le sue, e farle capire così per chi battesse il
suo cuore.
“Non ti
ho mai sentito parlare così di lei, quasi non ti riconosco; è la tua gemella anche
nell’anima. La giudichi tanto meschina?” chiese André con cupa amarezza
nell’inflessione della voce.
No, meschina sono io - avrebbe voluto digli – che sto facendo di tutto per non farvi
avvicinare; sto mentendo e ingannando pur di non darti al suo sortilegio.
Perché non posso cederti
a lei, che potrebbe avere chi vuole. Potrebbe prendersi anche Fersen e non mi
importerebbe. In realtà, non mi importa più di nulla. Ma andrò avanti con
questa farsa di cui non sai niente, solo per convincermi che non c’è più lui
nel mio cuore.
Perché so che mi
uccideresti André, se tu scegliessi lei.
Il
silenzio di Oscar si era fatto grave e doloroso e André continuò sempre più
stranito.
“Quindi,
tu accetteresti una nostra relazione puramente sessuale, ma non l’idea che potrei
amarla?!”
Non
riusciva ad alzare lo sguardo su di lui senza sentire un profondo disagio e si
era girata dandogli la schiena.
“Per me
sarebbe il male minore… e anche per te, in fondo. È giusto che tu sappia che
dopo il ballo di domani sera, noi torneremo a casa e lasceremo Villa Recamier.
Non c’è ragione di restare ancora qui...”
“Facevi
sul serio, prima. Ma tu non hai intenzione di andare al ballo, o sbaglio?” Lo
sentì fare un passo verso di lei.
“No, io
no.”
L’attendente
restò in silenzio ad assorbire quella nuova straordinaria informazione, mentre
la sensazione di uno strano e amaro compiacimento si stava impadronendo di lui,
insieme al solito dubbio.
Oscar
gelosa, fuggiva da una situazione che la stava travolgendo e che non sapeva
gestire.
Oscar
si sentiva minacciata da Danielle e voleva allontanare la sorella da lui. Ad
ogni costo.
Doveva
esserci una ragione molto profonda in quel comportamento e André lo sapeva
bene.
Sperava
che ci fosse.
“Bene
Oscar, dimmi solo quando vuoi partire; mi farò trovare pronto.”
“Ti
farò avere disposizioni al più presto.” Disse allontanarsi verso l’uscita sul
retro.
*********
Mancavano
poche ore ormai al momento fatidico.
Era dal
primo mattino che io e Oscar stavamo pianificando ogni mossa, ogni dettaglio
dell’operazione. Prove su prove a non finire. Tutto studiato fin quasi
all’ossessione e Oscar metteva in ogni cosa lo stesso impegno che avrebbe usato
per attuare una strategia militare: il lungo viaggio in carrozza insieme al conte
di Fersen fino a Versailles, l’ingresso a corte, le reazioni dei cortigiani e
quelle dei miei vecchi amanti; i saluti alle Loro Maestà, alla Regina in modo
particolare, il confronto forse più difficile, l’inchino, i balli e le danze,
dai minuetti alle gavotte più agitate.
Ero
elettrizzata, ma anche nervosa e mi ero raccomandata mille volte con lei.
Quel
pomeriggio avevamo parlato passeggiando nel giardino, sole e lontane dagli
altri ospiti della villa.
“Non
correre e non fare movimenti bruschi, quando sali le scale solleva le gonne, ma
non troppo; non devono vedersi le caviglie e tanto meno i polpacci. Quando
parli non assumere il tuo solito tono da soldato, ma cerca di essere più
dolce.”
“Il tuo
zelo è ammirevole Danielle; sono giorni che mi riempi la testa di sciocchezze.
Stai tranquilla mi comporterò con onore. Ci tieni proprio che io faccia bella
figura, eh?”
“Voglio
assicurarmi che tutto proceda alla perfezione; è in gioco anche la mia
credibilità e se tu fallissi in qualche modo, non oso immaginare cos’
accadrebbe. Ho una reputazione da difendere.”
“Fersen
non sembra preoccuparsene troppo, lo sai? Ho parlato con lui, l’altro giorno.”
“Per
questo ho affidato il mio buon nome a te, mia cara; so che non farai nulla che
non farei io.”
Chiusi
il mio ventaglio con un colpo secco del polso.
Osservai
Oscar solo un momento per cercare di coglierne lo stato d’animo; era
stranamente troppo rilassata. Appariva eccessivamente sicura di sé, un fatto
che mi rendeva molto perplessa.
“Non
tradisci il benché minimo accenno di nervosismo, e la cosa mi preoccupa un po’;
non sempre è un bene l’eccessiva sicurezza: è un atteggiamento che fa abbassare
la guardia.”
“Sorprendente!
Parli proprio come un soldato Danielle. – Ironizzò divertita. – Se fossi troppo
nervosa, non riuscirei a recitare al meglio la mia parte.”
Svoltammo
ad un angolo del parco in prossimità dell’orangerie e scorgemmo sopraggiungere
nella nostra direzione Lisette De Marchard.
Camminava
da sola e non sembrava aver fatto caso a noi, ma quando si accorse della nostra
presenza, aumentò l’andatura per raggiungerci.
Io e
Oscar ci fermammo ad aspettarla.
La
donna si fermò e ci salutò con cortesia.
Fu per
caso che notai il foglio della lettera che nascondeva velocemente sotto le
pieghe della veste, lettera che doveva aver letto fino a qualche attimo prima.
Mi chiesi per l’ennesima volta, perché Lisette fosse ancora in casa mia.
Credevo
che sarebbe ripartita con mio marito molto prima, o così Leopold mi aveva
assicurato. Pensai bene di domandarlo a lei.
“Buongiorno
a voi, madame. La vostra permanenza qui sembra essere più lunga del previsto;
se lo avessi saputo, vi avrei fatto alloggiare in una stanza più confortevole.
Immagino che abbiate rimandato la vostra partenza a causa di qualche
imprevisto.”
Commentai
allusiva e forse, con un pizzico di cattiveria. Ma l’espressione ansiosa che
Lisette restituì alla mia malagrazia mi fece subito pentire delle mie parole
poco attente.
“Veramente
contessa, ho appena ricevuto notizie che mi costringono a una partenza
improvvisa. Il tempo di preparare le mie poche cose; vorrei partire domattina
presto.”
“Oh,
sono sorpresa. Nulla di grave, spero.” Fui sincera.
“No,
per fortuna. Solo un parente indisposto.”
Mi parve
una risposta vaga e volutamente evasiva.
“Se
avete bisogno, sono certa che mio marito vi accompagnerà.”
“Può
darsi… Io ne approfitto per salutarvi ora: madame Recamier, madamigella Oscar,
è stato un piacere incontrarvi.”
Si
congedò da noi con un inchino e si allontanò velocemente verso la villa.
Oscar
era rimasta in silenzio fino a quel momento, la guardava allontanarsi.
“Una
partenza precipitosa quella di Madame Lisette: nonostante il tentativo di
minimizzare, credo che ci sia sotto qualcosa di serio.”
Fu il
commento di mia sorella, idea che io condividevo in massima parte.
“Non mi
ha mai convinto quella donna e non per il fatto che sia l’amante di mio
marito.”
“Non
capisco le tue contraddizioni, a volte. Se non sei gelosa di Leopold, perché ti
dà tanto fastidio la sua amante?”
Riflettendo,
la domanda di Oscar era legittima, però io non sapevo dare una risposta che
fosse logica e coerente.
“Non lo
so; forse è solo antipatia, la mia. Quel giorno che ci siamo scambiate i
vestiti, credo che Ninette abbia scoperto qualcosa di compromettente, ma quando
durante la toilette mattutina ho cercato d’interrogarla in proposito, si è
dimostrata assai sfuggente. Non è da lei. Mi ha solo detto di averli sorpresi a
baciarsi con passione e di essersi scandalizzata. Assurdo!! Secondo me, c’è
dell’altro.”
“Forse
vedi scandali dove non ci sono, Danielle. Frequentare tanto a lungo la corte ti
ha fatto diventare una sciocca dama pettegola e bigotta.”
Mi
provocò Oscar divertita, e io non le nascosi il mio disappunto.
“Non
offendere la mia intelligenza. Conosco la mia cameriera personale; è una
ragazza sveglia che non si scandalizza per così poco. C’è qualcosa che non ha
voluto dirmi.”
Proseguimmo
la nostra tranquilla passeggiata quasi in silenzio, tornando verso la villa.
Qualche
ora più tardi, nascosta dietro la porta che si apriva nel muro della mia
camera, avevo dovuto lasciare che Ninette aiutasse Oscar con la vestizione.
Poi mia
sorella l’aveva allontanata in maniera garbata e io avevo proseguito con cipria
e belletto.
Finalmente
dopo quasi un’ ora di preparativi, Oscar era davanti a me in tutto il suo
splendore.
Troneggiava
davanti al grande specchio della mia camera, altera come una regina col suo
grande ventaglio di piume, i guanti di raso lunghi fin sopra il gomito, fatti
fare apposta a celare la cicatrice.
Sarebbero
apparsi come una stranezza elegante e raffinata, stravaganze che spesso mi
concedevo per stupire e che osavo portare come poche altre. [1]
Era
magnifica; il color ametista dell’abito da sera ricamato con fili d’argento si
intonava perfettamente alla sua carnagione delicata. La gonna di seta sostenuta
dalla crinolina non era eccessivamente vaporosa, ma scendeva sulle forme
sinuose con un drappeggio morbido e leggero a mettere in risalto la sua figura
slanciata, valorizzata da una scollatura sensuale, sottolineata dal filo d’oro
e blu di una collana di zaffiri.
I
capelli trattenuti in alto, erano fermati in un’ acconciatura da cui scappavano
onde di lunghi riccioli ribelli sulla schiena. Un trucco sapiente metteva in
risalto i suoi magnifici occhi, nascondendo un po’ lo sguardo quasi
costantemente severo.
Perfino
Oscar era sorpresa dalla trasformazione subita; l’immagine bellissima di donna
che le restituiva lo specchio, le procurava un certo orgoglio e ammirazione,
cui neppure io potevo sottrarmi.
Bussarono
alla porta; era Ninette che veniva ad avvisarmi che il conte di Fersen mi
attendeva per accompagnarmi al ballo. Le risposi senza invitarla ad entrare.
“Grazie
Ninette. Raggiungi il mio ospite e digli che scenderò tra pochi minuti.”
“Subito,
signora contessa.”
Sentimmo
i passi della cameriera che si allontanavano lungo il corridoio.
“Sei
splendida Oscar; l’inganno è perfetto. Non avremmo potuto fare meglio.”
Confermai
con un sorriso tranquillo.
Io e
Oscar ci guardammo negli occhi; un ultimo sguardo per dare coraggio una
all’altra, anche se era lei ad avere la parte più difficile.
“Sei
pronta per affrontare il conte di Fersen?” le chiesi in ultimo.
Mi
rispose con un cenno impercettibile, ma affermativo del capo.
Prese
un ampio respiro e fu la sola esitazione che mostrò. Lentamente in un frusciare
di tessuto serico, quel suono ovattato e dolce che fa sentire una donna
importante e al centro di ogni attenzione, con il ventaglio prezioso chiuso in
una mano, si mosse con grazia semplice ed elegante verso la porta.
Stavano
per aprirsi le danze.
Oscar
era pronta ad entrare in scena.
Io non
sapevo ancora se sarei riuscita a sostenere la mia.
Continua…
Eccomi qui, in mega ritardo, ma ormai sarete abituate.
Spero che vi sia piaciuto il capitolo e che almeno vi ripaghi un po’
dell’attesa.
È stato difficoltoso, specialmente in certi dialoghi (Oscar e Fersen –
Oscar e André) che ho rimaneggiato spesso e non mi convincevano; ho qualche
dubbio ancora adesso. Ho fatto del mio meglio per renderli chiari e
comprensibili.
Mi direte voi se ho fatto un buon lavoro, temo già le bandierine gialle
di qualcuna, e lei lo sa.
Credo che inizino a delinearsi meglio certi rapporti e certe complicità
che fin’ora avevo solo accennato.
Per tutto il resto vi rimando al prossimo capitolo, che sarà… non lo so
quando, ma abbiate fede, arriverà. Grazie e tutte le sante donne pazienti che
mi seguono. Questo lo dedico a tutte voi.
Un saluto. Ninfea
[1] Guanti del genere non credo
si usassero già nel ‘700. Concedetemi una licenza letteraria.
Capitolo 12 *** Il valzer degli equivoci e fallimenti ***
A parti invertite
12 – Il valzer degli equivoci e fallimenti
23/11/2014
Piccola premessa. Avevo qualche riserva sui dialoghi di questo capitolo,
che a una prima stesura non mi convincevano – soprattutto quelli tra Fersen e
Oscar. – Rileggendolo credo di aver capito cosa non funzionava. Così è stato
recentemente modificato, spero in meglio, senza snaturare il senso e lo sviluppo
della storia, che non cambia. Buona lettura.
§§§§§§§
Mi accostai alla finestra; nascosta dietro la pesante tenda
di broccato, aspettai di vedere mia sorella e il conte di Fersen salire a bordo
della carrozza.
Attesi qualche minuto più del previsto, e per un momento
temetti un qualche ripensamento tardivo da parte di Oscar; stava ritardando.
Poi finalmente, vidi le loro figure comparire nel piazzale
dove sostava in attesa l’elegante carrozza trainata da una pariglia di quattro
cavalli. Il viaggio fino a Versailles sarebbe stato lungo e non soltanto per la
distanza da colmare; forse ci sarebbero stati silenzi da riempire e imbarazzi
da sciogliere.
Un attimo prima di salire in carrozza, Oscar aveva alzato lo
sguardo verso la luce della mia finestra per riabbassarlo subito dopo.
Rimasi lì attaccata al vetro, una mano a scostare
leggermente un lembo della tenda, mentre guardavo la vettura dei Recamier che
si allontanava lungo il viale; la vidi varcare il cancello della villa e
scomparire tra le prime luci blu violacee della sera che scendeva sul paesaggio
della campagna.
Solo allora mi allontanai dalla finestra per andarmi a
sedere sul divano al centro della camera; tremavo e non riuscivo a placare
l’agitazione che mi sconvolgeva.
Dovevo riuscire a calmarmi, a frenare il tumulto del mio
cuore che pareva volermi scappare dal petto. Emisi dei respiri profondi nel
tentativo di recuperare un po’ di autocontrollo e sangue freddo; Oscar in
questo sarebbe stata molto più brava di me, dovevo riconoscerlo. Ma io non
potevo fallire, non potevo assolutamente tradirmi; la pena sarebbe stato
l’insuccesso e una probabile cocente umiliazione che non ero pronta a
sopportare.
Tra qualche ora avrei dovuto sostenere la parte più delicata
e difficile della mia vita, ma dovevo aspettare.
Mi versai dell’acqua in un bicchiere; mi sentivo la gola
secca e riarsa, la lingua impastata: doveva essere l’emozione al pensiero di
quello che stavo per fare. Non potevo tornare indietro e non lo avrei fatto,
anche se avevo un’ inspiegabile paura che non riuscivo a dominare; mi chiedevo
se era la stessa tensione che avrebbe vissuto Oscar al ballo.
Quella notte, complice il buio, avrei attuato le mie segrete
intenzioni e mi aspettavo la vittoria, quella della passione sulla ragione. Nei
fui convinta fino all’ultimo secondo.
I miei capelli erano sciolti sulla schiena e lunghe ciocche
scendevano in onde morbide sui pizzi macramè della camicia da notte che
indossavo su un paio di pantaloni rubati solo poche ore prima dalla camera di
Oscar.
Attesi ancora qualche minuto che il cuore finalmente
tornasse a battere un ritmo più sostenibile. Mi rilassai.
Attorno a me c’era solo silenzio. Lo ascoltavo per
convincermi che fosse reale.
Nessun rumore proveniva dalla casa.
Pareva disabitata.
Eppure nessuno poteva essere già andato a dormire; la
servitù era senz’altro presa dalle ultime incombenze della giornata.
Solo allora mi alzai dal divano per avvicinarmi al baule
posto in un angolo della camera, tra l’armadio e una sedia.
Lo aprii lentamente, quasi con timore: sul fondo, piegata
con cura, era sistemata una camicia di foggia maschile recuperata dal severo
guardaroba di mia sorella. Presi l’indumento di seta e lo strinsi tra le mani
per sentirne la consistenza. Dovevo prepararmi per recitare la mia parte.
§§§§
Oscar si era chiusa la porta alle spalle e senza fretta, ma
con decisione, si era apprestata all’ imbocco delle scale. Sollevò leggermente le
gonne vaporose e mentre scendeva appoggiandosi al largo corrimano di marmo,
pregò di non inciampare nell’ orlo dell’abito. Si sentiva un poco nervosa, ma
s’impose di recuperare il controllo di sé, impostando il respiro. Era
determinata ad andare fino in fondo e nulla le avrebbe fatto mutare opinione al
riguardo.
Quella sera avrebbe messo alla prova sé stessa, isuoi sentimenti; li avrebbe affrontati e
riconosciuti e soprattutto, era decisa a riconoscere la vera personalità del
suo ignaro accompagnatore.
Dell’animo del conte di Fersen conosceva già le luci che
l’avevano sedotta, che forse ancora l’attiravano come una tentazione cui non si
può resistere, ma voleva vedere le ombre nascoste, quelle più nette e oscure.
Se era una maschera quella che indossava, voleva
strappargliela dal viso.
Voleva comprendere fino a che punto era grande il suo
abbaglio e semmai, quanto fosse stata in grado di reggere la delusione che può
dare il crollo di un ideale illusorio.
Questa forse era la sua paura più insidiosa; non sapere
sostenere il peso di una verità rivelata.
Doveva arrivare al termine delle scale, attraversare il
grande corridoio coi ritratti dei rigidi antenati, prima di arrivare all’
androne dove Fersen la stava aspettando. Fu un po’ prima di varcare l’ingresso
della lunga sala rettangolare che incontrò André.
L’attendente camminava deciso nella sua direzione, per
dirigersi probabilmente all’alloggio a lui assegnato nell’ala della servitù, ma
appena la vide rallentò l’andatura fino ad arrestarsi a un paio di metri da
lei. Oscar fece altrettanto e si bloccò di fronte all’ amico, al centro della
sala sotto lo sguardo arcigno di uno dei ritratti di famiglia. Ebbe la strana
sensazione di sentirsi sotto esame.
Sperò che lui parlasse e le dicesse qualcosa. Qualunque cosa
pur di allontanare quel disagio.
Andrè restò un momento in silenzio, poi piegò un braccio e
si profuse in un cortese inchino, prima di puntarle addosso il suo sguardo più
ammirato oltre che disinvolto.
“Buona serata, contessa. Divertitevi al ballo.”
La voce di André era bassa e profonda, e il tono provocò in
Oscar un lungo brivido di piacere per tutta la spina dorsale che salì rapido a
solleticarle la base della nuca, come un soffio leggero di aria fredda sulla
pelle nuda del collo. Piegò le labbra in un leggero sorriso.
“Grazie André. – Rispose semplicemente. Ma non seppe
resistere e andò oltre. – Come mi trovi?”
Chiese quasi ingenuamente e mosse appena la mano che
tratteneva il raffinato ventaglio di piume blu notte. Andrè si avvicinò ancora,
accorciando pericolosamente la distanza fra loro, puntando su di lei lo sguardo
più insistente e conturbante che gli avesse mai visto.
Quegli occhi dalle profondità ignote e insospettabili, erano
accesi di luce intensa e vitale.
“Semplicemente stupenda: nessuna donna, neppure la regina vi
supererà in bellezza. Fersen avrà occhi solo per voi. Se fossi nella posizione
di poterlo invidiare, lo farei.”
André rimarcò il suo rapimento con tono ancor più profondo e
quasi rauco.
“Vuoi dire… che non vorresti essere al suo posto, oppure
sì?” Chiese incerta.
“Sono molteplici le ragioni per cui potrei voler essere al
posto di Fersen; vi lascio indovinare quali, contessa. Ma preferisco non
invidiarlo.”
Oscar trovò sorprendente e ambigua quella risposta; le
sfuggiva il senso reale delle parole, ma era altrettanto sicura che la vera
Danielle avrebbe colto immediatamente il loro significato se le avesse udite.
“Ammetto Andrè che preferirei mille volte andare al ballo
con te…” sospirò con profonda decisione.
“Sono lusingato, ma… non potrei mai ricevere un invito
ufficiale. Devo declinare. - Rivelò un guizzo ironico nell’inflessione della
voce. – Se vi pesa partecipare a questo ballo, perché non rinunciate? È forse
un obbligo? O in realtà, Fersen vi interessa più di quanto non vogliate
ammettere?”
Colta visibilmente di sorpresa, Oscar ebbe la netta
impressione che Andrè avesse voluto provocarla. Quel colloquio imprevisto,
all’apparenza innocente, stava diventando pericoloso.
“No, niente affatto! - esclamò con troppo impeto - Sembra che
l’ idea di Fersen come mio cavaliere ti disturbi, André.”
“È solo che trovo molto contraddittorio il vostro
atteggiamento verso un uomo che dite di non stimare particolarmente, ma
ballerete con lui fino all’alba. Scusate, ma con queste premesse non so come
considerare l’ audacia che mi avete dimostrato tempo fa… mi chiedo se non lo
avete già dimenticato.”
“Audacia? – Bisbigliò Oscar smarrita, quindi ebbe un lieve
moto di stizza che non riuscì a dissimulare. - È un appuntamento importante, la
contessa Recamier non può mancare. Già si noterà l’assenza del comandante delle
Guardie Reali.”
“Allora dovete andare, contessa; Fersen vi attende, anche se
è nel vostro diritto farlo aspettare.”
Oscar assentì con un breve cenno del capo e si mosse per allontanarsi,
senza distogliere lo sguardo dall’affascinante scudiero che continuava a
intercettare i suoi occhi celesti.
“Ne riparleremo, André.”
Aveva parlato, ormai volgendogli le spalle.
Al termine del lungo corridoio, Andrè vide Ninette porgere
il mantello profilato di pelliccia alla sua padrona; seguì la sua figura
incappucciata finché non scomparve oltre la porta, dietro cui Fersen
l’attendeva.
Andrè osservò tra sé che Danielle curiosamente, non aveva
mai mosso obiezioni al fatto che lui le avesse parlato usando sempre e solo la
terza persona. Un fatto strano, quando lei in più di una circostanza aveva
insistito perché si dessero del tu.
§§§§§§
Il viaggio era stato tranquillo, a tratti monotono per Oscar
che, di fronte a Fersen, si era trovata a dover sostenere leggeri silenzi
intervallati da sporadiche conversazioni fatue.
Aveva cercato di adattarsi, mentre la carrozza correva
spedita nella sera crepuscolare per arrivare al ballo il prima possibile.
Quando non doveva sorridere al conte, nella semioscurità
dell’abitacolo si era concentrata sui suoi pensieri, su come si sarebbe
comportata a corte, e soprattutto, con il suo cavaliere che, doveva
riconoscere, era davvero affascinante.
Trovava paradossale che solo qualche mese prima avrebbe
fatto carte false per trovarsi sola con lui, in una situazione simile, ma
adesso l’emozione che sentiva non era quella che si sarebbe aspettata.
Si domandava se tra qualche ora, galeotta la serata
danzante, avrebbe ritrovato intatto lo stesso turbamento che le aveva fatto
tremare il cuore di dolce sofferenza, per un uomo che non poteva avere.
Tra una fantasia e l’altra, continuava a pensare all’audacia
di cui aveva parlato André, rodendosi nel dubbio, chiedendosi allarmata a cosa
facesse riferimento; era abbastanza certa che tra Danielle e André fosse
accaduto qualcosa, forse una reciproca confessione di sentimenti appassionati,
e Danielle si era ben guardata di metterla a parte di retroscena troppo
scabrosi.
E poi c’erano state le parole impetuose di André nella scuderia,
quel bacio dolce e conturbante sul polso che le aveva fatto tremare la pelle e
correre i pensieri; vento che ancora agitava le onde del mare racchiuso nella
sua anima inquieta.
Ma adesso era lì in quella carrozza con Fersen.
Era stata innamorata di lui, ne era certa, magari lo era
ancora.
Lei conosceva solo l’amore contorto, sofferto, quello che
nel buio di notti gelide e solitarie fa versare lacrime salate.
Quello impossibile da ricambiare, da vivere.
Quello che fa sentire pesanti le membra e stanco il cuore.
Non sapeva nulla dell’amore che scalda le notti e illumina
la vita, anche quella più miserabile.
Fersen era gentile, galante come lo sarebbe stato con una
donna qualsiasi, ma le sue parole non la turbavano né accendevano il suo
spirito.
Vi era in esse qualcosa di fasullo e non sapeva dire cosa
fosse.
“Sono certo che sarà una splendida serata, contessa. Sapete,
ho pensato molto a noi due in questi ultimi giorni, all’intesa che abbiamo
raggiunto e che potrebbe raggiungere la perfezione questa notte. Non potrei
volere nessuna, oltre voi al mio fianco.”
“Mi lusingate. Vi assicuro Conte di Fersen che per me è la
stessa cosa; sarà una serata che non dimenticherò.”
Era terribilmente certa che sarebbe stato così.
“Dovrò lottare con chissà quanti pretendenti; questa sera
altri potrebbero reclamare le vostre attenzioni. Non so se sarò disposto a
tollerarlo.”
Stranamente la infastidì il tono; voleva essere leggero, ma
rimarcava velatamente un’idea esclusiva di possesso che era tipicamente
maschile.
Non le piacque come la fece sentire, ma finse di stare al
gioco.
“Di questo non vi dovete preoccupare. Vi ho già fatto la mia
promessa e per questa sera la manterrò. Ma non vi garantisco nulla per il
futuro.”
Quando finalmente la carrozza arrivò a Versailles, la notte
era scesa in tutta la sua oscurità.
Le sembrava ancora tutto un po’ irreale; finalmente, la
vettura con un dondolio si arrestò nel grande cortile antistante la reggia dove
altre carrozze stavano arrivando o erano già in sosta.
Le luci accecanti di Versailles, i bisbigli insinuanti
dietro i ventagli variopinti l’avrebbero investita con la loro impietosa
realtà, lo sapeva bene.
Fu l’esatta sensazione che ebbe appena mise piede sul
selciato e alzò lo sguardo verso le luci che provenivano dalle grandi finestre
illuminate a festa.
Conosceva già quello scintillio di colori, ma era la prima
volta che lei ne faceva parte.
Il conte di Fersen le porse il braccio con galanteria
consumata e Oscar vi si aggrappò leggermente; si incamminarono verso l’entrata
senza fretta.
Alcuni lacchè in livrea, stavano prendendo i mantelli degli
ospiti e Oscar lasciò il suo al primo che le si fece incontro con reverenza;
quando abbassò il cappuccio e la stola scivolò dalle spalle candide, Fersen la
vide per la prima volta in tutto il suo fulgore abbacinante e ne restò
incantato.
La fissò ammutolito per alcuni secondi prima di ritrovare il
dono della favella.
“Siete meravigliosa madame, non avevo ancora compreso
quanto. Mi sento davvero fortunato questa sera.”
Oscar si limitò a sorridere lievemente, mentre il battito
del cuore accelerava per un momento. Il conte era generoso nei complimenti,
senza dubbio sinceramente colpito dall’avvenenza della sua accompagnatrice.
“Vogliamo andare?” disse, porgendo la mano guantata e
cercando di smorzare la tensione che avvertiva.
Alcune dame e gentiluomini erano fermi a fare conversazione
in prossimità dello scalone che portava al piano superiore.
Al loro passaggio, guardavano la coppia con evidente
ammirazione e salutavano con un lieve cenno del capo a cui Oscar rispondeva
nello stesso identico modo.
Quando prima di fare il loro ingresso nella Sala degli
Specchi furono annunciati dal cerimoniere come prevedeva l’etichetta, si levò
nell’aria un brusio di sorpresa che serpeggiò di bocca in bocca tra lo stupore
degli astanti.
-Il conte Han Axel di Fersen e la contessa Danielle Marie Angelique Di
Recamier!
In un attimo tutti gli occhi della sala furono puntati su di
loro; suscitarono sconcerto e meraviglia.
Oscar ebbe la netta, sgradevole sensazione di poter sentire
i pettegolezzi maliziosi dietro i ventagli delle signore, i commenti, le
insinuazioni, le curiosità più o meno piccanti passare da una persona
all’altra.
Colse le occhiate d’intesa, i sorrisi velati d’ipocrisia.
Forse non era stata mai esposta così tanto all’attenzione
generale, neppure subito dopo la nomina a Colonnello.
Improvvisamente si chiese come facesse solitamente Danielle
a convivere con tutto quel bailamme inopportuno e soffocante, senza impazzire.
Ma era venuta per ballare e avrebbe ballato fino alle prime
luci dell’alba.
-Che
novità è mai questa! Il conte di Fersen e la contessa di Recamier intervengono
insieme a questo ballo! Ma allora è vero quello che si dice su di loro!
-Ultimamente
sono stati visti spesso insieme, a teatro e anche all’opera… sapete, girano
voci piuttosto curiose. Lui frequenta assiduamente il salotto di villa
Recamier, pare… la contessa non è nuova a frequentazioni con uomini
affascinanti e molto chiacchierati, e il conte di Fersen corrisponde alla
regola, come vedete.
-Volete
dire marchesa, che sono amanti?
-Ci
sarebbe chi è pronto a giurarlo, ma nessuno lo sa con certezza. Certo che
madame Recamier è una donna davvero fortunata: è talmente bella che potrebbe
avere tutti gli uomini che desidera. A quanto pare, anche il conte di Fersen
subisce il fascino della gemella del colonnello Oscar!
-Guardate,
guardate che eleganza quei guanti! E quell’abito le sta d’incanto, metterebbe
in ombra la nostra stessa sovrana. Come la invidio... vorrei avere io una
figura simile!
-Io
invidierei Fersen, lo svedese si concede sempre il meglio! Che donna
affascinante…
-Bisogna
ammetterlo: sono una coppia magnifica. E la nostra regina? Come prenderà la
cosa? Se è vero che è innamorata del nobile svedese non sarà contenta.
-Oh,
non lo so. Forse la storia con la regina non è vera. Però non trovate strano
che Oscar non sia qui, stasera? Lei è amica del conte di Fersen oltre che la
sorella della contessa…
-Già,
vorrà dire qualcosa…
-Guardate,
arriva Sua Maestà la regina… che magnifico abito; lo avrà messo per far colpo
sul conte.
Maria Antonietta, elegante come un cigno sull’acqua,
accompagnata dalla onnipresente e invadente contessa Di Polignac, avanzava
verso il centro della sala per andare a salutare i nuovi arrivati.
Il suo sguardo incontrò quello del conte che allacciò per
pochi secondi prima di puntare la sua attenzione sulla dama al suo fianco,
scivolata in un grazioso inchino. Salutandolo, porse la mano a Fersen che la
baciò con devozione, poi si rivolse a quella che credeva la contessa di
Recamier.
“Madame Recamier è un piacere trovarvi qui, questa sera.
Credevo di incontrare anche vostra sorella, il colonnello Oscar, ma ultimamente
diserta spesso le feste a corte. Spero che non la tenga lontano da me, qualcosa
di grave.”
“Vogliate scusarla Maestà; Oscar vi invia i suoi saluti e si
scusa per l’assenza; ultimamente è stata poco bene, ma nulla di grave.”
“Capisco. Il conte di Fersen questa sera sarà il vostro
cavaliere? Non potevate fare una scelta migliore, contessa. Sarete invidiata da
tutte le dame.”
“Non voglio suscitare le invidie di nessuno, Maestà. Molto
semplicemente, tramite Oscar, siamo diventati buoni amici… – Oscar allargò il
ventaglio e si avvicinò alla regina per parlarle senza che altri cortigiani
udissero. – In confidenza, Oscar mi ha chiesto di fare una cosa per Voi; mi ha
suggerito di ballare con il conte di Fersen tutta la sera e spero capiate il
perché.”
Sul bel volto di Maria Antonietta si dipinse un sorriso
mesto.
“Certo, capisco perfettamente. Rassicurate madamigella Oscar
che ho apprezzato il consiglio.”
Finalmente, si aprirono le danze.
Il conte di Fersen invitò la sua dama a ballare.
Coppia principe e invidiata della festa, scivolarono leggeri
e veloci accanto alle altre figure eleganti, disegnando giravolte e promenade
sul prezioso pavimento, tra lo sfavillio delle luci dei lampadari di cristallo
e la musica dei violini che si diffondeva nel salone.
“Faremo parlare di noi, questa sera, contessa.”
“Credo anch’io: è una cosa a cui sono abituata. Non temete,
saprò gestire la situazione.”
Chi non sapeva gestire il confronto con totale serenità era
l’altra donna coinvolta, e di questo Oscar aveva un vago timore e un lieve
dispiacere, ma non poteva farci nulla.
Maria Antonietta anelava un contatto anche breve ed effimero
con l’uomo che amava; incapace di resistere alle pressioni del suo cuore
infelice, cedeva senza rimorsi ma con tanto rimpianto alla tentazione di
seguirli di sottecchi a ogni passo.
Senza la presenza della regina, davvero Fersen non avrebbe
avuto occhi per nessuna, tranne la sua dama, troppo bella e desiderabile quella
sera.
Oscar non avrebbe avuto rivali.
Probabilmente nessuno tranne lei notò lo scambio di sguardi
intensi oltre che un po’ sofferti tra il conte e la Regina.
Gli occhi tradivano il reciproco desiderio e gridavano
apertamente che ciascuno dei due avrebbe voluto essere tra le braccia
dell’altro nel giro di un passo di danza.
Oscar ne restò impressionata.
Di nuovo avvertì la tenerezza già provata in passato e provò
autentica commozione per la delicatezza di un tale sentimento, senza riuscire a
capire come questo potesse manifestarsi con tanta purezza.
Mentre guardava Maria Antonietta, negli occhi di Fersen non
c’era dissolutezza o malizia consumata.
Per lei, fu come vedere due anime in un uomo, ma quella
segreta, quella più intima e vera era riservata solo a colei che amava.
Quando pensava alla regina, per qualche strano mistero
Fersen si trasfigurava e i suoi occhi brillavano di una luce diversa; solo
allora si scorgeva in lui quella pena sincera, la capacità di soffrire celata
normalmente dietro i sorrisi seducenti e maliziosi che esercitava con successo
con le altre donne.
La semplice, banale verità era che il conte aveva dato la
parte migliore di sé alla regina, un’ intuizione che Oscar sentì il bisogno di
toccare con mano. L’altro uomo chi era, allora?
Quello vanesio, infedele che cadeva in relazioni adultere e
torbide, quello alla costante ricerca di avventure? Nel piacere della seduzione
che inseguiva con ogni mezzo, cosa cercava quell’uomo?
Stavano ballando gli ultimi accordi di un minuetto e spinta
da volontà ferrea, Oscar ebbe l’audacia di gettarsi in una conversazione
insinuante e pericolosa.
“Vi fa soffrire, non è così?” Chiese quasi a bruciapelo.
“A cosa vi riferite, madame?”
“Essere qui, così vicino a lei e doverle stare lontano.
Siete altrove con la mente… mi fate sentire come se fossi trasparente.” Il tono
di Oscar era quasi accusatorio.
Fersen sgranò gli occhi, per un breve istante. Poi sorrise
un po’ mortificato, cercando di recuperare tutto il suo carisma.
“Perdonatemi contessa, avete ragione di lamentarvi; siete
troppo bella e affascinante e non meritate certo un cavaliere distratto. Datemi
l’opportunità di dimostravi che posso essere degno di voi, questa sera.”
“Sono sicura che sarà così.”
La musica dei violini si interruppe in quel momento.
Oscar e il conte si defilarono sul fondo della sala, in
mezzo agli altri cortigiani. Un cameriere in livrea blu profilata d’argento passò
accanto a loro con un vassoio e bicchieri colmi di vino; Fersen ne prese uno e
Oscar fece altrettanto. Ne avrebbe avuto bisogno.
“Vorrei chiedervi di essere onesto, conte di Fersen. Prima
avete parlato della nostra intesa: come vi aspettate che evolva la serata?”
Oscar sorseggiò brevemente il suo vino, prima di alzare lo
sguardo sul conte.
“Nel migliore dei modi, naturalmente. Ma credo che dipenderà
in massima parte da voi e da ciò che vi suggerirà il vostro cuore: posso solo
sperare che vogliate seguirlo.”
Ma
prima devo capire cosa vuole, pensò Oscar tra sé.
“E voi? State seguendo il vostro? Se amate un'altra donna, e
sappiamo entrambi che è così, come fate a stare qui con me? Come fate a non
correre da lei, anche in questo momento?” chiese spavalda.
“Siete senza pietà: vi piace tormentare la piaga che mi
porto nell’animo.”
“Non è per questo, ma cercate di capire... Mi sto chiedendo
che posto ho io nel vostro cuore, Fersen.”
“Un posto speciale, contessa. Ve lo assicuro.”
“Quanto speciale? Sono una delle vostre tante amiche? O
potrei essere qualcosa di più? – Fersen la scrutava, ma non le diede una
risposta immediata, e lei incalzò con la sua indiscrezione. - Siate sincero:
conta il fatto che sono la gemella di madamigella Oscar?”
Quella era la domanda fatidica che le bruciava sulle labbra,
motivo principale che l’aveva spinta a inscenare quella farsa.
“Contessa, mentirei se vi dicessi che la cosa mi lascia
indifferente: il fatto che siete la gemella di Oscar, esercita una grande
attrattiva su di me, è inutile negarlo. Ma questo particolare non sminuisce il
vostro fascino.”
“Capisco. Apprezzo davvero la vostra franchezza. – Rispose,
soddisfatta per la delusione mancata. – Però non mi posso accontentare del
secondo posto… Devo avere l’esclusiva. Vi sembro troppo esigente?”
“Sì, molto. Ma avete ogni diritto di esserlo.”
“Questo è il mio prezzo per questa sera. Quanto siete
disposto a pagarlo? Perché vi avverto, non accetterò nulla di meno della verità
tra noi…”
“Dunque ponete un prezzo? E sia, lo pagherò per voi,
Danielle.”
Fersen aveva risposto senza esitazioni mentre la luce di una
violenta eccitazione gli accendeva lo sguardo, un guizzo repentino che a Oscar
non sfuggì. Lei pensò fosse un lampo di sfida.
Certamente per Fersen lo era, ma Oscar si ingannava sulla
natura di quello scontro: voleva mettere a nudo l’anima del conte, ma non
conosceva la strategia né le tattiche provocatorie che lei stessa metteva in
campo in quella schermaglia. Camminavano lentamente sul fondo della sala, ogni
tanto Oscar puntava lo sguardo tra gli altri invitati presenti fino a trovare
seduta sul lato opposto la figura della regina, circondata dalle sue dame di
compagnia.
“Questa sera non trattatemi come una dama qualsiasi, né come
la sorella del Colonnello Oscar. Io sono Danielle di Recamier...”
“Credetemi, non potreste mai essere una donna qualsiasi.
Questa sera più che mai mi apparite sorprendentemente diversa, audace oserei
dire; devo ammettere che mi cogliete un po’ di sorpresa, e la cosa mi piace.
Siete una donna da scoprire un po’ alla volta, Danielle... Sarà entusiasmante
farlo, se me lo permetterete.”
Ballarono ancora a lungo travolti dalla musica, infiammati
dal vino frizzante, presi dall’allegria della festa.
Erano passate oltre due ore; la sala era piena di gente accaldata,
uomini con i parrucchini incipriati appiccicati sulla testa e dame sudaticce
sotto i corsetti troppo stretti.
Qualcuna sveniva e doveva essere portata nelle sale attigue
per allentare i lacci del busto, prendere aria presso una finestra aperta e rianimata
con i sali. Oscar iniziava ad avvertire un senso di soffocamento. Per
combattere la nausea che sembrava assalirla, agitava il ventaglio con le piume
che ondeggiavano vistosamente.
Sperava di non svenire come una donnicciola qualsiasi,
sarebbe stato davvero troppo, e maledì Danielle che non aveva voluto farle
allargare il bustino.
“L’aria qui dentro sta diventando irrespirabile. Vogliamo
uscire sul balcone? C’è una luna splendida…”
Lo invitò lei, e Fersen acconsentì prontamente,
interpretando quella richiesta come un abboccamento e si allontanarono sotto
gli sguardi curiosi di dame e gentiluomini.
L’aria dell’esterno era piacevolmente fresca e Oscar sentì
tornare l’ossigeno nei polmoni mentre la luce lunare creava una strana misteriosa
atmosfera attorno a loro.
E Oscar sottovalutò un elemento che la vera Danielle non
avrebbe trascurato. Il conte si sentiva travolto da un forte senso di
aspettativa: l’ eccitazione cresceva in lui col passare del tempo e lo faceva
sentire euforico e spavaldo.
La strana disinvolta malizia della contessa lo intrigava.
Non si sarebbe aspettato un risvolto di quel genere, ma lo
trovava sorprendente oltre che travolgente.
“Sotto questa luce siete ancora più splendida, contessa… Una
dea della notte, misteriosa e affascinante.”
La musica ovattata dei violini proveniente dall’interno
faceva da sottofondo al palcoscenico della notte.
Contro le luci provenienti dalle grandi finestre si vedevano
le sagome di alcune coppie che ballavano.
Fersen fissava la contessa con ardore, mentre lei, inquieta
e ignara dei suoi pensieri, si appoggiava alla balaustra di marmo. Erano soli e
lei riprese a parlare, sicura che nessuno li avrebbe sentiti.
“Cosa sarei per voi? Una consolazione per poche ore
soltanto? O potrei essere qualcosa di più, la libertà da un amore che vi tiene
prigioniero? Ci avete mai pensato?”
“Mi state chiedendo se potrei innamorarmi di voi?”
“Anche, sì. Avete mai provato? Potreste amare un’ altra
donna in futuro?”
“Volete la verità?”
“Assolutamente conte. Abbiamo fatto un patto, ricordate?”
“Avete ragione. Ebbene, l’unica cosa reale è che il mio
cuore non sarà mai di nessuna che non sia lei. Le altre donne sono avventure,
l’oblio dei sensi in cui addormento per un momento la mia pena e la mia solitudine.”
“E Oscar? Lei cosa potrebbe essere?” chiese con un poco di timore.
“È davvero strano che mi chiediate di lei, ma a voi posso
dirlo. Vostra sorella è il mio migliore amico…”
“Migliore amico? – chiese, avvertendo una punta di delusione
inaspettata. - Non sarà mai nient’altro che questo?”
“Lo trovate così strano? Chissà, con voi potrebbe anche
essere diverso… potrebbe esistere un sentimento…”
Fersen le prese la mano appoggiata alla balaustra e la baciò
dolcemente.
“Che genere di sentimento?” domandò Oscar, corrugando la
fronte, mentre rifletteva tra sé sull’ultima affermazione del conte, e il suo
cuore si rassegnava dolcemente e senza troppi scossoni a una strana amarezza
che piano piano la invadeva.
“La complicità che esiste tra spiriti affini… col tempo una
tale sintonia potrebbe anche diventare amore profondo…”
Fersen continuava trattenere la sua mano baciandola e
intanto risaliva lungo il braccio foderato dal guanto. Oscar ringraziava il
cielo che tra la sua pelle e le labbra di Fersen ci fosse il raso a proteggerla
da un fremito confuso e pericoloso.
“Credete davvero in quello che dite? – chiese un po’
incerta. - Mi chiedo se si possa amare ed essere infedeli al proprio amore…”
“Questa è un’ ingenuità che potrei aspettarmi da Oscar, ma
voi dovreste comprendermi: non siete poi tanto diversa da me.”
“Cosa? – Lei si bloccò di colpo, incrociando i suoi occhi
ardenti che la fissavano. - Volete dire che io…”
“Ammettetelo contessa… - Fersen le si fece pericolosamente
vicino, le sfiorò una guancia con la mano giocando con un ricciolo dei suoi
capelli; le labbra bisbigliavano vicino al suo orecchio, e Oscar suo malgrado,
percepì il profondo turbamento di una tale vicinanza. – Anche voi cercate
l’oblio. Anche voi cercate di dimenticare la vostra solitudine nelle braccia
dei vostri amanti. L’ho capito appena vi ho vista, sapete… Conosco la vostra
inquietudine, è come se in voi ci fosse un terribile desiderio cui anelate, ma
che non potete soddisfare. Ma la cosa più straordinaria è che siete così simile
a vostra sorella! Un fuoco inestinguibile brucia nei vostri occhi limpidi come
acqua sorgente: è la passione da cui siete dominata, come Oscar è animata dal
fuoco della battaglia… non sapete quanto questo particolare ecciti la mia
fantasia…”
Oscar si sentì quasi stordita dalle parole. Si accorse di
tremare.
Tentò di recuperare un minimo di lucidità mentre avvertiva
le mani del conte che la trattenevano per la vita stingendola contro il suo
petto e la sua voce calda e morbida attraversava le nebbie della sua mente.
“Cosa state dicendo? Non capisco… Oscar… una fantasia?”
“Verità per verità, allora vi dirò tutto. Sono sicuro che
nessun altro uomo vi ha mai confessato ciò che sto per dirvi io. Sì, voi scatenate
i miei sogni più perversi e proibiti. Siete la mia fantasia più folle e
impossibile. Lasciatevi andare Danielle! Lasciatevi amare come vorrei. Non
sapete quante volte ho immaginato di fare l’amore con voi, di spogliarvi piano,
sciogliere tra le mie dita i vostri capelli biondi per trovare alla fine la
pelle di un'altra donna tra le mie braccia. Due donne in una sola! Voi come
Oscar!! Oh, Danielle, mi fate impazzire!”
Troppo sbalordita per una qualsiasi reazione, Oscar non
trovò la forza di ribattere o protestare per l’indignazione, e Fersen proseguì
quell’incredibile confessione travolto dal suo stesso impeto, osando troppo.
“Chissà quanti dei vostri amanti hanno avuto il mio stesso
pensiero. Sembrate sorpresa, ma siete troppo intelligente e arguta per non
averci pensato!”
Fersen stringeva sempre più mentre Oscar si puntellava
sconcertata contro il suo petto per tentare di liberarsi da quella presa che la
stava soffocando.
Le girava la testa come se fosse preda dei fumi dell’alcool.
Era davvero ubriaca, ma non per colpa del vino.
Guardava Fersen, i suoi occhi sfrontati, e le pareva di non
riconoscerlo, mentre intuiva che per quanto fosse grottesca e assurda, quella
era la realtà di cui la vera Danielle non si sarebbe sorpresa né scandalizzata.
E Oscar ripensò alle parole della sorella in quella notte
furibonda nella sua stanza.
-
Io sono la fantasia, la trasgressione… attraverso me, gli uomini cercano te…
Semplicemente Danielle era sempre stata consapevole di
questo.
Forse ci aveva giocato. Forse giocava anche ora.
Lei no.
Lei non aveva mai voluto nemmeno pensarci.
E improvviso si affacciò alla sua mente il dubbio insinuante
e maligno, eppure stranamente eccitante, che Andrè si sentisse attratto da
Danielle per la stessa ragione.
Il pensiero esplose nella sua mente come un boato, come una
luce accecante che ferisce il buio e svela impietosa recessi nascosti, angoli
segreti sconosciuti, definisce oggetti e forme prima confuse, sottolinea i
contorni invisibili.
Fu quasi altrettanto improvvisa la sensazione di fastidio
più simile a disgusto quando avvertì le labbra umide del conte premere le sue e
tentare di schiuderle.
Si sentiva debole e provò ad arrendersi pensando a tutte le
volte che lo aveva desiderato, a quanto avesse sognato quel bacio.
E lei non riusciva a sciogliersi in quell’abbraccio
spasmodico.
Lei non sentiva niente tranne una profonda delusione.
Fersen la baciava e lei non sentiva altro che l’aria fredda
della notte sulle spalle nude e non era un brivido di piacere.
Si divincolò con impeto e bruscamente girò il volto per sottrarsi
al bacio. Con forza, posò le mani sulle braccia di Fersen per allontanarlo da
sé.
“Lasciatemi, Fersen! Vi prego…” Il tono era stato
perentorio. Quasi brusco.
Fece un passo indietro, emettendo un sospiro silenzioso, una
mano posata sotto il seno.
Il conte era di fronte a lei e la guardava. E non capiva.
Era ammutolito, amareggiato e si chiedeva quale tremendo
errore avesse commesso.
“Contessa… io credevo…” iniziò esitante.
Aveva perso molta baldanza.
Oscar stava cercando la cosa più giusta da dire e nonostante
il disagio, si rese conto che proprio la verità nuda e cruda sarebbe stata la
soluzione perfetta al caso.
“Perdonatemi, Fersen… così non posso. Non ce la faccio. Non
voglio ridurmi a una fantasia. Neppure per voi. Scusatemi se ve l’ho fatto credere.
Voi avete ragione su me e su Oscar, ma io ho giocato d’azzardo e ho perso
contro me stessa…”
Oscar sollevò l’orlo delle gonne per allontanarsi e tornare
nel salone; voleva abbandonare la festa, ma il conte la fermò.
“Vi prego, contessa… la colpa è solo mia. Sono stato molto
presuntuoso e indelicato. Vi ho promesso che avremmo danzato insieme tutta la
sera… vorrei mantenere la promessa… non andatevene così, io vorrei restare
vostro amico.”
“Pensate che potremmo esserlo, dopo stasera?” domandò senza riuscire
a camuffare il disinganno.
“Perché mai non dovremmo?” Obiettò Fersen che tentò di
salvare il salvabile.
In
effetti non potremmo essere altro, ora lo so, pensò Oscar, prima di
tornare nel salone tra gli altri invitati.
§§§§§§§
Era trascorsa oltre un’ ora dalla loro partenza. Dovevano
essere arrivati a Versailles da tempo.
La notte era ormai scesa su tutta la casa. Mio marito si era
già ritirato nelle sue stanze e durante la cena mi era sembrato taciturno e
stranamente cupo.
Lisette dopo l’incontro di quel pomeriggio nel parco, non si
era fatta vedere neppure a cena, adducendo una violenta quanto improvvisa
emicrania che l’aveva costretta a letto.
Avevo abbandonato la mia stanza di soppiatto, e nei panni di
Oscar, mi ero spostata in quella riservata a lei per attendere il momento
favorevole in cui avrei attuato il mio proposito senza destare sospetti,
soprattutto in André.
Cercavo di mantenere la calma, ma sentivo l’ansia bloccarmi
lo stomaco e corrermi sulla pelle come un brivido, mentre il tumulto del cuore
mi scoppiava nelle orecchie.
Ero davanti alla porta che mi separava da André.
I corridoi di palazzo erano quasi avvolti nel buio; solo le
luci di poche candele consumate poste in alto sulle pareti, creavano punti di luce
in angoli estremi della casa.
Rimasi lì davanti, col cuore in tumulto per minuti
interminabili, prima di trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia
per entrare, che cedette subito sotto la pressione.
Finalmente varcai la soglia e mi investì una velata
semioscurità rischiarata dalla luce tenue di una candela posta in un angolo.
André non stava dormendo; era in piedi davanti alla finestra e guardava la luna
che rischiarava a sprazzi le nubi che correvano nel cielo scuro.
Mi parve immobile come una statua di marmo e il mio cuore fu
preda di una scossa di curiosa eccitazione mentre lo osservavo. Sembrava che mi
stesse aspettando, ma sapevo che non poteva essere così. Anche lui era preda di
qualcosa quella notte. Chissà quali pensieri lo tenevano sveglio.
Girò il volto e quando mi distinse nella penombra della
camera, sembrò ridestarsi da sé stesso.
“Oscar? Cosa c’è? – Proruppe sorpreso. - Hai bisogno di
qualcosa? Non ti senti bene?”
Avanzai verso di lui.
“Non riuscivo a dormire, André. Avevo bisogno di parlare con
te.”
Forse la mia voce tradì una velata agitazione che lui colse
immediatamente e che fraintese.
“Stai pensando a Danielle e al conte di Fersen, non è vero?
Ti stai pentendo di non essere andata a quel ballo.” Allora si mosse dalla
finestra per avvicinarsi a me.
“No, André. Sono contenta di non esserci andata, altrimenti
adesso…”
Lui si mosse ancora di lato per andare a frugare in un
cassetto.
“Accendo un'altra candela, è meglio.”
“No, non farlo. Non serve. Ho solo bisogno di stare qui con te…”
Lo bloccai sfiorandogli un braccio e lui si girò di nuovo a
guardarmi, raddrizzandosi lentamente. Alla luce della candela leggevo una vaga
perplessità nei suoi occhi che mi sembravano ancora più affascinanti e
tenebrosi sotto il fuoco ballerino della fiammella. Un brivido insinuante come
un soffio di vento caldo mi percorse la schiena.
Improvvisamente prese a scrutarmi in modo diverso come se
fosse attraversato da un dubbio.
“Oscar, cosa sei venuta a fare in camera mia? Come mai non
riesci a dormire?”
“Ecco, io… non faccio altro che pensare a te, André… a te e
a Danielle. So che la desideri e io mi chiedo se puoi desiderare me nello
stesso modo… ti prego, ho bisogno di saperlo.”
“Oh, Dio Oscar! Ma che domanda è? - Era sbalordito e forse
per un momento lessi paura in fondo ai suoi occhi.– No… tu non stai parlando sul serio…”
“Sono serissima, André, tanto da essere venuta fin qui in
piena notte, senza badare alle conseguenze.”
Mi guardò fisso per un lungo istante; la luce lo illuminava
solo in parte e le ombre sul suo volto gli conferivano l’espressione più
enigmatica che gli avessi mai visto.
“Cosa stai cercando di fare? Vuoi competere con tua sorella,
è per questo?”
Sentivo che era vulnerabile e dovevo osare adesso, se volevo
che cedesse.
Mi avvicinai a lui così tanto da far quasi aderire i nostri
corpi, sentivo il suo respiro caldo sul mio viso. Mi guardava e aveva il fuoco
negli occhi, un fuoco ardente che stava cercando di dominare con tutte le sue
forze.
Mi desiderava come avrebbe desiderato Oscar, come forse non
avrebbe mai desiderato me; era un inganno, ma era il solo modo di aggirare le
difese del suo cuore.
“Non si tratta di competere André, si tratta di amare… –
dissi con impeto. - Danielle forse ti ama, è vero, ma per me tu sei troppo
importante. Negli ultimi tempi ho capito tante cose che riguardano noi due. Ho
capito cosa siamo veramente, cosa ci lega davvero. Lo vedo anche ora nel tuo
sguardo; gli occhi non mentono André. Si può mentire con le parole, ma non con
gli occhi.”
Era vero più di quanto immaginassi in quel momento.
“Dimmelo tu, Oscar, cosa ci lega davvero. Voglio sentirlo
dire da te; sembri così sicura…” sussurrò deciso e la sua voce bassa mi spiazzò
per un attimo. Ma ero determinata a giocare a carte scoperte.
“Tu mi ami, non è vero André? – Mi avvicinai ancora di più a
lui, che sembrava trattenere il respiro. - Ora so cosa provo per te. Per quanto
tu possa desiderare Danielle, non puoi amarla nello stesso modo… perché io e te
siamo legati a filo doppio. Ora lo so…”
Faceva molto male ammetterlo, un dolore vero che
inevitabilmente trasparì dal mio sguardo e per questo André forse percepì
l’inganno. Finse di cascarci.
Posai le mie mani sul suo petto e risalii ad accarezzargli
il viso e sentii sotto le dita la leggera peluria delle sue guance.
André chiuse gli occhi assaporando quel nostro contatto,
sospirando forte.
Poi le sue mani grandi e forti corsero a prendere le mie per
stringerle e accarezzarle. Il mio cuore batteva come un tamburo e sentivo la
gioia scoppiarmi dentro. E lui parve arrendersi all’emozione che lo travolgeva,
che gli faceva tremare la voce.
“Dio, Oscar… quanto ho sognato un momento del genere… quanto
l’ho desiderato tu non ne hai idea. E ora sei qui, tra le mie braccia a
confessarmi il tuo amore…”
Continuava ad accarezzare le mie mani con le dita lunghe, a
baciarne i palmi con delicatezza e trasporto simile a sofferenza; invocava il
mio nome falso mentre io tremavo, mentre speravo di godere delle sue labbra con
le mie.
“Sì, André… sono qui e voglio amarti ed essere amata… non
mandarmi via, ti prego…”
Mi strinsi a lui e lo abbracciai forte e lo sentii
ricambiare l’abbraccio con lo stesso impeto, mentre le sue labbra mi
procuravano un brivido sulla pelle del collo, prima di trovare la mia bocca.
E fu delirio dolce che mi prese.
E mi saziai di lui, e lui di me, in un bacio che sapeva di
febbre e passione, di sete e fame d’amore.
Lo sentii spingermi dolcemente verso il letto e tra le
lenzuola mi ritrovai sottomessa al suo corpo, al suo impeto virile, alle sue
mani che accarezzavano il mio viso e correvano proprio dove io volevo, alla sua
bocca che con tenera insistenza cercava la mia e la faceva sua. Sentivo il suo
desiderio prepotente e trattenuto e sentivo il mio spasimo, il profumo e il
sapore un po’ acido delle sue pelle che stordiva e accendeva la mia voglia. Era
qualcosa di meraviglioso.
Era la perfetta felicità averlo lì, addosso a me, e sentire
i nostri corpi frustrati dalle vesti, fremere insieme. Volevo fare l’amore con
lui e cercavo di superare i suoi vestiti; le mie mani percorsero i muscoli tesi
della sua schiena, infilandosi sotto il tessuto un po’ ruvido della sua
camicia.
Sembrava tutto perfetto.
La nostra reciproca brama, uguale e travolgente.
Pensai di aver vinto.
Poi André smise di baciarmi e accostò la sua fronte alla
mia.
Il suo respiro era affannoso quanto il mio, lo sguardo
carico di oscuro e animale desiderio, una calamita che mi tratteneva a lui. Non
parlò per alcuni secondi, limitandosi a fissarmi intensamente. Poi, lentamente
sembrò rilassarsi e la luce del suo sguardo farsi più limpida.
Io lo baciai ancora, dolcemente, ma avvertivo qualcosa di
diverso, quasi la tensione erotica stesse scemando via da noi.
Ebbi paura, finché André non parlò in un sussurro sommesso
sulle mie labbra.
“Oh, questo è un sogno meraviglioso, dovrei ringraziarti; è
così facile lasciarsi trasportare da una dolce illusione, andare alla deriva e
approfittare di un regalo insperato che cancella per un attimo la pena che
portiamo in cuore… sarebbe ancor più perfetto se fosse reale…”
“Oh, André, ma…”
Lui continuava a fissarmi con una strana dolcezza che non
comprendevo.
“Sarebbe così semplice fingere, immaginare che è tutto vero
e abbandonarsi al bisogno d’amore. Per un attimo ho voluto concedermi un sogno
impossibile… l’illusione è così perfetta… Ma tu non sei lei. E io non posso
approfittare di questo… Proprio non posso, Danielle.”
Quando sentii il mio nome, nell’immediato non seppi reagire.
Rimasi bloccata; non un’obbiezione, nessun tentativo di negare
mi venne, lì per lì.
André mi guardava ormai consapevole di chi fossi in realtà,
e io restavo in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi sgranati su di
lui.
Sembrava rammaricato e non compresi subito il reale motivo; quella
notte non eravamo gli unici in gioco, lo sapeva anche lui.
Aveva parlato con assoluta pacatezza, non voleva umiliarmi o
deridermi e di questo gli fui grata.
Tentai allora di riavermi dalla sorpresa e di difendermi per
cercare di negare la realtà.
Un tentativo disperato. E mi chiesi come fosse successo.
Dove mi ero tradita? In che modo?
Non riuscivo a capire. Pensai che potesse essere un azzardo
e tentai di confutare le sue certezze, ben sapendo che sarebbe stato come
arrampicarsi sugli specchi.
“Tu credi che io sia Danielle? Oh, ma è assurdo! Cosa te lo
fa credere?”
Andrè sorrise calmo, come se si preparasse a spiegare la
lezione a un bambino un po’ cocciuto. E dalla sua espressione compresi che la
vergogna sarebbe piombata su di me come un macigno.
“C’è stato un momento in cui il tuo sguardo ti ha tradito;
c’era qualcosa nei tuoi occhi che non riconoscevo, una luce che in Oscar non ho
mai visto. Ma non potevo esserne sicuro… Poi mi hai toccato e allora, non ho
più avuto dubbi…”
“Cosa??!!”
“Le tue mani Danielle sono troppo morbide e curate. Sono le
mani di una donna che non ha mai impugnato una spada o qualsiasi altra arma. -
A quel punto André prese con dolcezza la mia mano destra, aprì il palmo e con
l’indice ne seguì le linee. - In questo punto centrale la mano di Oscar è
indurita dagli allenamenti, dall’impugnatura della spada… la tua invece è
morbida, la pelle è delicata e fragile. È un piccolo, banale dettaglio che non
hai calcolato quando hai attuato il tuo gioco, vero?”
Non seppi più cosa rispondere, ormai completamente
smascherata.
Mi sentii piccola e vagamente stupida.
Avrei voluto alzarmi dal letto e fuggire via, ma il peso
della vergogna e i suoi occhi sinceri mi inchiodavano lì. Stavo per mettermi a
piangere e cercai di ricacciare indietro le lacrime.
André si accorse del mio disagio e tentò di consolarmi.
Ma a me non restava che la disperazione che ti fa gridare
anche la verità più scomoda.
“Danielle, ascoltami…”
“Andrè, io potrei essere lei, e potrei amarti sul serio…”
tentai, mentre una lacrima inopportuna iniziava a scendere lungo le mie guance.
“No Danielle. Una rosa non può essere un lillà.”
“Potrei essere disposta a tutto, André… anche a trasformarmi
in un lillà…”
“Pensaci bene, è davvero questo che vuoi? Un surrogato, un’
illusione d’amore… essere amata come la copia di qualcun altro? Inganneresti te
stessa. Inganneremmo entrambi, Danielle. Io fingerei di avere Oscar, a quale
scopo? Sarebbe una menzogna ancor più dolorosa. Devi pretendere di essere amata
per la donna unica che sei, non la gemella sbagliata di qualcun altro.”
Andrè aveva parlato col cuore in mano, lo avevo sentito.
Era stato sincero e io sapevo che aveva ragione. Ma il
dolore del rifiuto ormai opprimeva il mio cuore che esplose incontrollato.
Lui si allontanò dal mio corpo e io mi alzai a sedere sul
letto, sconvolta e triste come non mai.
Mi nascosi il viso tra le mani cercando di frenare i
singhiozzi. Mi rassegnai alla sconfitta, col timore folle di aver ormai
scatenato la delusione più amara che ci avrebbe irrimediabilmente divisi.
“Scusami, André… perdonami ti prego! Io non volevo
ingannarti, né prenderti in giro o sostituirmi ad Oscar. Ho sbagliato, lo so,
ma volevo solo il tuo amore ed ero disposta a tutto pur di averlo… lo sono
ancora. Io ti amo davvero, mi devi credere. Non posso fare a meno di sentire
tutto questo per te.”
André seduto di fianco a me, prese le mani per allontanarle
dal mio viso.
“Per amore si fanno davvero le più grandi pazzie… così tu
sei rimasta qui, mentre Oscar è andata al ballo con Fersen… - parve riflettere
per un istante, quindi una scintilla brillò nel suo sguardo. – Per quanto possa
capire questa tua follia, mi delude il fatto che per venire qui a sedurmi, hai
spinto lei tra le braccia di quell’uomo. Immagino che sia stato molto facile per
te… - La sentii chiara quella nota profonda e dolente nella sua voce, mista a
una punta di rabbia appena trattenuta. - Non dovevi farlo, Danielle. Questo è
peggio di tutto! Anche dell’inganno!”
Esclamò con autentico sconforto e fu quello che mi ferì più
di tutto; non potevo sopportare l’accusa implicita che mi stava rivolgendo e il
disprezzo che poteva derivarne mi sconvolse.
“Oh, no, ti prego!! Non credere questo, non è stata un’ idea
mia, André. È stata Oscar a propormelo! Lei ha voluto fare lo scambio; è stata
molto decisa fin dall’inizio.”
Nient’altro che una mezza verità.
“Come può essere? Lo ama dunque a tal punto!”
Esclamò Andrè con sgomento, appoggiando i gomiti sulle
ginocchia e mettendosi le mani nei capelli corvini come se fosse oppresso da un
peso.
Lo sentii imprecare. Quindi tornò a fissarmi serio.
“L’altro giorno nelle scuderie, subito dopo la vostra
cavalcata… era Oscar quella vestita da amazzone, vero?”
Mi sembrò inutile negare; ormai André aveva capito tutto.
Non avevamo più maschere per lui.
All’improvviso abbandonò il letto e fu in piedi di fronte a
me.
“È meglio che tu vada via, ora. Io devo prepararmi ad
accogliere la contessa che torna dal ballo…” disse con una voce che mi parve
piena di risentimento. Un brivido inquietante mi attraversò.
Non ebbi il coraggio di chiedergli cosa volesse fare.
Sapevo solo che il gioco era appena cominciato e troppe
mosse erano già state scoperte e io non ero più in grado di prevedere niente.
In realtà, non avevo mai avuto il controllo su nulla e
nessuno.
Tutto da qui in avanti sarebbe stato più complicato.
Capitolo 13 *** Arrivi e partenze; bentornata contessa! ***
Bentornata contessa!
13 – Arrivi e partenze; bentornata
contessa!
Scusate per l’immenso
ritardo di questo aggiornamento, ma la voglia e l’ispirazione erano latitanti per tante ragioni che non starò qui a dire. Questo
capitolo mi è costato sudore e sangue e immaginando l’aspettativa delle
lettrici, spero di non deludere nessuno. È giocato sulla tensione che ho
cercato di mantenere viva in un modo particolare… mi direte voi se ho fatto
bene o solo creato confusione. Mi sono accorta di non aver risposto a tutte le
recensioni, ma come sempre grazie di tutto, per l’incoraggiamento e la vostra
attenzione costante a questa storia. Buona lettura.
*********
Il chiarore opalescente di uno spicchio
di luna illuminava vagamente la strada su cui viaggiava lenta la carrozza con
lo stemma dei Recamier. Mancava più di un’ ora al sorgere di una nuova alba
nebbiosa. Oscar si rilassava all’interno dell’abitacolo della vettura; il
dondolio del mezzo la cullava mentre ripercorreva con la mente un poco
annebbiata suoni e immagini della serata appena trascorsa. Le luci dei
lampadari di cristallo di Boemia, i violini, le danze, le sete fruscianti di
gonne vaporose, gioielli sfavillanti che brillavano nel buio quanto il
luccichio di certi sguardi accesi d’eccitazione e aspettativa. Se n’era andata
da sola, un po’ prima della fine della festa, e non aveva voluto che Fersen l’accompagnasse.
Nulla era stato come lei si sarebbe aspettato.
Neppure la delusione era stata così
amara. Anzi, la sensazione aveva un che di ridicolo.
In realtà, avvertiva una specie di
sollievo misto a un senso di stupore.
Erano bastate poche ore e tutto il mondo
dei suoi sentimenti si era ridimensionato, come se improvvisamente una lente
deformante le fosse stata tolta davanti agli occhi.
Un mezzo sorriso le affiorava sotto il
trucco del belletto.
-Sei stata molto sciocca, Oscar… che ti serva da lezione.
Il sentimento iniziale andava via via
scomparendo per lasciare spazio a una sorta di leggerezza del cuore, una
sensazione che la rendeva curiosamente serena. La serata si era conclusa meno
peggio di quanto sperasse; dopo il fallimento del primo approccio, il conte di
Fersen si era limitato a ballare con lei fino a metà della serata, senza
tentare altre sortite ad effetto per conquistare le grazie della sua bella
accompagnatrice sotto mentite spoglie.
Se poi, anche quella fosse una tattica
maschile, poco le importava.
A breve avrebbe smesso i panni della
contessa di Recamier, e le conseguenze future di quel ballo sarebbero state
solo un problema di Danielle di cui lei non si sarebbe curata.
Chissà se al suo stesso posto, Danielle
avrebbe reagito come lei.
Ora capiva meglio certi atteggiamenti
ironici della sorella.
Così pensava Oscar, mentre la carrozza
procedeva verso la villa che iniziava a scorgersi in lontananza tra il verde
ombroso della campagna.
Non c’erano pensieri molesti che
attraversavano la sua mente.
Non c’erano neppure le ultime parole di
André che alcune ore prima l’avevano turbata.
Il suo cuore era in silenzio. Quasi
assopito. Il ricordo addormentato.
La quiete pareva scesa su ogni cosa
attorno e dentro l’anima, ma era solo quella che precede la tempesta.
Non poteva sospettare né immaginare in
quali rapide turbolente sarebbe precipitato presto il suo spirito; ignorava
l’impeto della corrente che stava per travolgerla ed era ancor più impreparata
ad affrontarlo.
§§§§§§
Erano quasi le nove del mattino.
Tranne la servitù, quasi tutti alla
villa dormivano ancora. O così sembrava. Uno strano silenzio aleggiava attorno;
era pesante, come se da un momento all’altro dovesse accadere qualcosa di
tremendo tra le mura della casa. Solo Leopold di Recamier era già in piedi,
contrariamente alle sue abitudini.
Di fronte a lui nell’ androne della
villa stava Lisette in abito da viaggio, un grazioso cappellino calato sulla
testa, da cui spuntavano dei riccioli scuri. L’aria della donna era apprensiva,
non meno di quella del conte.
Con andatura frettolosa, due cameriere
stavano portando i bagagli di Madame Marchard all’esterno della villa per
caricarli sulla carrozza che attendeva la sua viaggiatrice.
Il conte le accarezzava le spalle con
fare rassicurante.
“Siete pronta, mia cara?”
“Sì, Leopold. – Lisette si lasciò
sfuggire un sospiro pesante. - Allora non volete proprio accompagnarmi? È
rischioso, lo sapete?”
Parole cariche d’ansia che il conte
cercava inutilmente di placare e che condivideva, pur tentando di nasconderlo
alla sua amica intima.
“Sì, ci ho pensato. Ma ve l’ho detto,
non posso. Ma potrei raggiungervi in seguito; devo sbrigare alcune importanti
formalità che riguardano l’adozione: dovrò recarmi a Parigi per questo. Sarà
questione di un paio di giorni al massimo.”
“Come volete. Spero non sia inutile. -
La donna abbassò la veletta nera sul volto. – Se la piccola dovesse morire,
io…”
La voce di Lisette era venata di
incertezza. Forse paura. Il conte se ne accorse.
“Non accadrà. State calma e non
preoccupatevi; andrà tutto bene. Ho mandato laggiù il nostro medico di
famiglia, un uomo capace e preparato. Penserò io a tutte le spese. Andiamo, vi
accompagno alla carrozza.”
Il conte e Lisette attraversarono l’androne.
Nel cortile esterno era ferma una
carrozza con quattro cavalli freschi, il cocchiere stava sistemando i pochi
bagagli in un baule sulla parte posteriore; Leopold aiutò la dama a salire in
vettura e richiuse lo sportello. Poi si accostò al finestrino da cui Lisette si
era sporta.
“Volevo salutare vostra moglie. Le avevo
accennato vagamente ad un parente malato. Questa partenza improvvisa potrebbe
insospettirla, ci avete pensato?
“Per questo ora preferisco non seguirvi.
Le porterò i vostri saluti. È strano che a quest’ora non sia ancora alzata; il
ballo di ieri sera a Versailles deve averla stancata più del previsto. Non si
vede in giro neppure la mia stramba cognata: alquanto strano. Madamigella Oscar
di solito è mattiniera.”
“State attento; ho percepito una strana
complicità tra vostra moglie e sua sorella: non so cosa sia, ma hanno in mente
qualcosa. Arrivederci, Leopold. Raggiungetemi appena potete, non perdete
tempo.”
“Non dubitate; fatemi avere notizie al
più presto. Assicuratevi che mia figlia stia bene. Scrivetemi subito, appena
arrivate.”
Le loro mani erano ancora appoggiate sul
finestrino una sull’altra mentre la vettura lentamente si metteva in moto.
Leopold la guardò allontanarsi con un
espressione mesta mentre udiva lo scalpiccio ritmato degli zoccoli dei cavalli
sul lastricato appena antistante il palazzo.
Dopo alcuni metri, vide madame Lisette
chiudere la tendina e rifugiarsi all’interno della vettura.
Solo quando la carrozza fu lontana si
decise a rientrare in casa.
Anche lui doveva prepararsi per la
partenza e doveva trovare una scusa convincente per la moglie.
§§§§§§
Da almeno un’ ora la luce chiara del
mattino filtrava spavalda tra le tende della camera in cui avevo passato parte di
quella notte sconvolgente. E ancora non sapevo nulla di come essa si fosse
conclusa per le altre persone che con me, l’avevano attraversata in una specie
di delirio febbrile.
Non ero nella mia stanza, nel mio letto,
tra i miei cuscini ricamati e le mie lenzuola profumate, né mi ero risvegliata
tra le braccia di André come avrei voluto: ero nella stanza che occupava Oscar
da quando era arrivata in casa mia circa una settimana prima.
Dopo il ballo, come da accordi avremmo
dovuto incontrarci in quella che era la camera della contessa di Recamier, e
lì, tornare ciascuna nei nostri panni consueti; ma niente era andato come io
avevo sperato.
Non sarei mai riuscita a chiudere occhio
dopo l’ epilogo amaro della serata con André. Avevo lasciato la sua stanza rimuginando
su quanto era accaduto tra noi, sulla passione che quasi ci aveva fatto cedere,
sull’imprevisto un po’ umiliante di vedermi smascherata, chiedendomi cosa
sarebbe accaduto di lì a poche ore, al rientro a palazzo di Oscar.
Endré era stato piuttosto chiaro e non
c’era modo che io potessi fraintendere le sue vere intenzioni: era deciso a
entrare in quella partita pericolosa, e dalla sua determinazione intesi che non
sarebbe rimasto semplicemente a guardare, anche se ancora non comprendevo che
ruolo intendesse sostenere.
O forse l’avevo compreso fin troppo
chiaramente ed era un pensiero che mi spaventava perché non riuscivo a
coglierne gli sviluppi.
Contro ogni previsione, André aveva
accolto la falsa Danielle nella mia stanza quella notte consapevole di trovarsi
di fronte Oscar.
André voleva giocare d’azzardo, osare
sfiorando forse l’impertinenza e non si sarebbe preoccupato delle regole, di
mentire o ingannare, e mi chiedevo se non ero responsabile, insieme a Oscar di
quella sua reazione; quasi a nessuno piaceva essere un burattino in balia dei
capricci assurdi di due donne e certo, non era una cosa che piaceva a un uomo
orgoglioso come lui.
Decisamente il gioco mi era sfuggito di
mano, ma Oscar era all’oscuro di tutto. Per quanto ne sapevo lei poteva ancora
pensare che tutto fosse andato secondo i nostri piani. Ma se non mi aveva vista
arrivare al nostro appuntamento, da donna sagace e arguta, qualche pericoloso
sospetto forse le era venuto… e allora?
Mi alzai dal letto, indecisa su cosa
fare, ma dovevo agire in qualche modo, sbloccare la situazione.
Soprattutto dovevo scoprire cosa fosse
accaduto tra Oscar e André in quelle poche ore precedenti, dopo che mi ero
allontanata dalla camera dell’attendente.
Indossai i panni maschili della mia
gemella e mi apprestai a uscire dalla camera.
Il cuore mi batteva forte, mentre
attraversavo il corridoio che separava le nostre stanze, sperando di non
incontrare nessuno lungo il breve percorso per raggiungere la mia vera stanza.
Percepivo solo silenzio, a parte i passi
di qualcuno che si muoveva in una delle camere al piano di sotto; forse
qualcuno della servitù che toglieva la cenere vecchia e approntava nuova legna
da ardere in un camino.
Quando fui davanti alla porta della mia
camera esitai, incerta se entrare senza bussare o meno. Dall’interno non
proveniva alcun suono, quasi l’ambiente fosse deserto. Non poteva essere.
E poteva essere tutto.
Oscar stava ancora dormendo?
L’avrei trovata sola con addosso ancora
il mio vestito da ballo?
André era lì con lei?
Mi stavano aspettando al varco per
umiliarmi e far cadere definitivamente ogni maschera?
Tirai un sospiro e mi decisi.
Posai la mano sulla maniglia che si
abbassò senza opporre resistenza e la porta si aprì: scorsi l’anticamera
deserta rischiarata da un raggio di luce che batteva sugli intarsi di marmo del
pavimento, l’arredamento famigliare dai delicati colori pastello, un divano e
le poltroncine, in un angolo un vaso di porcellana dipinta e dentro un mazzo di
fiori appassiti che Ninette non aveva ancora provveduto a buttar via. Entrai in
punta di piedi e richiusi la porta alle mie spalle.
Mi avvicinai all’uscio della camera da
letto, neppure da lì proveniva alcun rumore. Il cuore prese a martellarmi più
forte per l’aspettativa.
Forzai la maniglia e aprii.
Mi sporsi all’interno con la testa e
diedi uno sguardo veloce all’ambiente, alla ricerca di qualche indizio, il
segno di una qualche presenza. E allora lo vidi.
Il vestito color ametista.
Quello che Oscar aveva indossato al
ballo.
Una nuvola rigonfia di seta preziosa
abbandonata scomposta su una sedia. Chi l’aveva aiutata a toglierlo? Ninette
forse?
Feci un passo e fui dentro la stanza.
Scorsi le cortine impalpabili del mio
letto e le sagome di due figure sotto la coltre delle coperte. Mi avvicinai al baldacchino
del letto affascinata e scostai con la mano un lembo di leggera seta bianca.
Una chioma di fluenti capelli biondi era sparsa sul cuscino e di fianco a lei
una testa bruna; il lenzuolo era abbassato quanto bastava a mostrare una
vigorosa schiena maschile nuda, mentre un braccio cingeva le spalle della donna
addormentata. Vedere André, bellissimo, conturbante e addormentato nel mio
letto mi turbò oltre misura; avrei dato non so cosa per essere al posto di
Oscar, che pareva totalmente rilassata, protetta dalla fermezza di quelle
braccia robuste e sicure che la cingevano.
Come se nella vita non avessero mai
fatto altro.
E mi chiesi costernata dal mio stesso
pensiero, se non fosse già accaduto altrove, magari presso la casa di nostro
padre.
Restai incredula a fissare la scena, non
del tutto convinta della visione che i miei occhi mi restituivano: l’apparenza
suggeriva l’immagine suggestiva di due teneri amanti addormentati tra le
lenzuola sfatte.
Li fissai per alcuni secondi nel
tentativo di convincere la mia mente di ciò che sembrava incredibile.
Oscar e André stavano dormendo
abbracciati nel mio letto.
Cosa era successo?
E io adesso, cosa avrei dovuto fare?
§§§§
Non erano ancora le cinque del mattino
quando il cocchio elegante su cui viaggiava Oscar si arrestò nel cortile
antistante l’androne di Villa Recamier. Scese dalla vettura avvolta dalla
preziosa stola profilata di zibetto e salì le scale che portavano all’ingresso.
La porta si aprì prima che lei potesse
bussare e un valletto che reggeva un candeliere in mano l’accolse. Non rallentò
il passo in alcun modo mentre impartì disposizioni precise all’uomo in livrea.
“Mi ritiro nelle mie stanze e non voglio
essere disturbata da nessuno per alcun motivo.”
Non tentò neppure di addolcire il solito
tono di comando.
Il valletto fece un inchino, mentre lei
si allontanava verso le scale che portavano al piano nobile dell’edificio.
Chissà se Danielle la stava già
aspettando, si chiese. Forse avrebbe trovato Ninette; si sarebbe fatta aiutare
con l’abito, ma l’avrebbe allontanata subito.
Non sospettava che la fida Ninette era
già stata congedata da qualcun altro.
§§§§§
Attraversando i corridoi bui, guardingo
era entrato nella stanza e aveva acceso un paio di candele in un angolo.
Da almeno un’ ora buona era seduto
comodamente su una sedia del salottino, e attendeva il ritorno imminente della sua
contessa dal ballo.
L’oscurità stava scivolando via da ogni
cosa, e il chiarore dell’alba era oramai prossimo; filtrava ancora debole dalle
grandi finestre che si aprivano sul parco della villa.
Si guardò attorno curioso, come a voler
studiare l’ambiente, quasi un terreno di gioco neutrale, estraneo a lui quanto
a lei, pensò; una camera decisamente femminile, una tappezzeria dai toni più
tenui con decorazioni campestri un po’ frivole, nulla a che vedere con quella
più sobria, un po’ severa di Oscar, a Palazzo Jarjayes.
Per un secondo, aveva pensato di
aspettarla direttamente nella stanza da letto, immaginandosi divertito la sua
espressione esterrefatta, ma sarebbe stato troppo; in fondo, anche se in panni
femminili, si trattava pur sempre di Oscar, la donna soldato.
Non voleva avere troppo vantaggio su di
lei. Ma in verità, di quale vantaggio poteva vantarsi? Anche per lui quello era
un terreno di battaglia sconosciuto, ma almeno lui era nei suoi panni.
Però era curioso: come si sarebbe
comportata in quella circostanza?
Si sarebbe tradita mostrando la sua
natura, o sarebbe stata al gioco?
E lui? Lui avrebbe saputo giocare
altrettanto sottilmente?
Ancora un poco e lo avrebbe scoperto.
Aveva allontanato con astuzia e garbo la
cameriera personale di Danielle, venuta per accogliere il ritorno della sua
padrona, recando con sé una preziosa vestaglia per dormire.
“André, ma che fai qui? Queste sono le
stanze personali della signora contessa. Devi andartene subito, sarà qui fra
poco, di ritorno da Versailles.”
“Lo so, Ninette, ma non preoccuparti.
Vedi, ho un appuntamento speciale e importante con la tua bella padrona.”
Le rispose in tutta tranquillità
rivolgendole un sorriso spontaneo.
“Cosa? Stai scherzando, vero?”
“Non scherzo affatto, Ninette. – Si era
alzato dalla poltrona e si era avvicinato alla giovane cameriera che lo
guardava stupita oltre che ammirata, e forse con un pizzico d’ironia. – Puoi andare
a riposare, non credo che madame avrà bisogno dei tuoi servigi; anzi, credo che
non vorrebbe trovarci entrambi qui nello stesso momento. Sono sicuro che hai
capito. Vai pure, mi occuperò io di lei.”
Non riuscì a evitare di sorridere con
malizia che la sveglia serva colse immediatamente.
“André, tu sei… un briccone
insospettabile! Tu vuoi sedurre la mia signora. Cosa ti sei messo in testa? Sei
veramente pazzo. Non ti facevo così… impudente!”
Alla cameriera scappava una risatina
soffocata. Non si sarebbe certo scandalizzata per così poco, conoscendo le
passioni disinvolte della sua padrona. André contava su questo oltre che sul
suo silenzio. Ma non voleva lasciarle credere qualcosa di squallido.
“Sedurre? Ma che vai a pensare! Cara
Ninette, io sono un servo e anche un gentiluomo; non posso spiegarti la natura
dei miei servigi, ma posso assicurarti che sono qui su richiesta esplicita del
colonnello Oscar e non ho cattive intenzioni. Quindi stai tranquilla, - le
disse accompagnandola dolcemente alla porta – non voglio certo mancare di
rispetto a madame Recamier e la tratterò con tutti i riguardi.”
“Madamigella Oscar? Non capisco… - disse
un po’ confusa. - Tu non me la racconti giusta, André.”
Sorrise di nuovo maliziosa. Le sarebbe
rimasto qualche sospetto, André lo sapeva, ma non avrebbe parlato con nessuno.
“Ninette mi raccomando: la tua
discrezione è fondamentale. Posso contarci? È una questione molto delicata che
non ti posso spiegare. Nessuno deve sapere che sono qui, soprattutto la signora
contessa.”
“Va bene André, ma solo se mi prometti
che mi spiegherai ogni cosa.”
“D’accordo, piccola furfante; hai vinto.
Contenta? Ma adesso vai!”
E la spinse fuori nel corridoio
richiudendo la porta.
Alle scuse avrebbe pensato dopo.
Si era accomodato di nuovo in poltrona
apprestandosi ad attendere il rientro della sua scaltra dama.
Quanto scaltra ancora non sapeva, ma era
ansioso di scoprirlo.
Che cosa le avrebbe fatto credere?
Di essere innamorato della sua gemella?
Solo di volere un’avventura con lei?
No, in verità sperava solo di
confonderla, turbarla coi gesti e le parole come era già accaduto nelle
scuderie, capire se Fersen era riuscito a fare altrettanto quella sera.
Era stata lei a chiederlo.
Ne riparleremo André, aveva detto.
E lui era lì, per riparlarne.
Perché lei sembrava avergli dato una
vaga speranza, e dopo, senza un perché, andava a quel maledetto ballo con quel
libertino di Fersen.
In amore e in guerra tutto è lecito, e
lui era stanco di essere solo uno spettatore di sentimenti altrui, senza mai
poter esprimere i suoi.
In un modo o nell’altro.
Con la verità o l’inganno.
Ninette era andata via da circa venti
minuti, quando avvertì un fruscio, dei passi leggeri e un po’ frettolosi
provenire dal corridoio.
Qualcuno si avvicinava.
Era lei.
Ne era sicuro.
Alzò il capo in direzione della porta.
Pochi secondi e questa si aprì.
La vide entrare avvolta nella seta; lui
non si mosse, restando seduto vicino alla tenda della finestra, nascosto nella
semioscurità.
Non emise un fiato limitandosi ad osservarla
mentre si muoveva lenta dentro la stanza e si liberava svelta del mantello che
le copriva le spalle.
Non lo aveva ancora visto.
Ma lui la vide in tutta la sua bellezza.
§§§§§
Lei non badò alle due candele accese e
semiconsumate poste sul piano di marmo alle due estremità del camino.
Giudicò normale che l’ambiente fosse
poco illuminato, vista l’ora che precedeva di poco l’alba grigia e spenta che
stava per sorgere; pensò che la sorella si fosse addormentata nell’altra stanza.
Trasalì soltanto quando sentì quella voce calda, apparentemente sconosciuta
alle sue spalle e un curioso brivido, uno strano formicolio delicato ed
eccitante percorse la sua pelle alla base delle nuca.
“Bentornata contessa.”
Si girò bruscamente, quasi spaventata in
direzione della voce e si accorse di avere il respiro accelerato e il cuore in
tumulto.
Allora, distinse i contorni di una
figura maschile seduta vicino alla finestra.
Mise a fuoco per quanto le consentì la
penombra, finché non lo riconobbe. E la sorpresa quasi la ammutolì.
“Vi siete divertita al ballo? È andata
come speravate?” continuava a chiedere André, mentre lo vedeva alzarsi dalla
poltrona e avvicinarsi a lei.
Era incredibile che non avesse
riconosciuto subito la voce; doveva essere ancora frastornata dalle luci e le
emozioni di Versailles.
All’improvviso realizzò che il suo
attendente non avrebbe dovuto trovarsi lì, e Danielle non c’era. Con evidenza
spaventosa e incomprensibile, qualcosa era andato storto. Cosa era accaduto in
quelle poche ore in cui lei era stata lontana?
“André, ma cosa diav… - Oscar dovette
mordersi le labbra per impedirsi espressioni eccessive. - Che sei venuto a fare
nelle mie stanze private? Non dovresti essere qui; a quest’ora, poi… è
sconveniente.”
Tentò di obbiettare, e lo vide
trattenere un sorriso.
“Siete stata voi, contessa, a invitarmi.
Non ricordate? Me lo avete fatto capire chiaramente in più di un’occasione; non
ditemi che ho frainteso.”
Un debole bisbiglio di sbigottimento le
salì alle labbra.
“Cosa?”
Non ebbe il tempo di perdersi nelle sue
domande, perché Andrési era parato di
fronte a lei; la fissò in maniera indecifrabile e intensa per pochi minuti, poi
la sua espressione mutò all’improvviso e divenne morbida, come la piega delle
labbra abbozzate in un sorriso affascinante: lo sguardo avvolgente la scrutava
con sfacciata ammirazione, accarezzando con gli occhi il viso, le guance, la
bocca pronunciata, fino a scendere sulla nudità del suo decolleté.
Oscar avvertì la carezza di quello
sguardo che la esplorava e per un attimo infinito smise di pensare con
lucidità, mentre lui le si era fatto pericolosamente vicino, tanto da sentire
il suo respiro dolce scivolarle sulla pelle tra il collo e l’orecchio, mentre
Andrè lentamente si spostava dietro di lei, lasciando che i loro corpi si
sfiorassero.
Oscar sussultò, appena avvertì le mani
di André che si posavano sulle sue spalle e pareva volessero giocare maliziose
col tessuto della manica dell’abito. Non capiva cosa stesse per accadere, né
riusciva a immaginare quali fossero le intenzioni di André.
Sentiva solo il suo cuore che piano
accelerava fino a diventare furioso, in preda a un’ emozione imprevedibile e
crescente.
Smise quasi di respirare quando sentì la
bocca dell’uomo sussurrare bassa e roca vicinissima al suo orecchio.
“Allora contessa, perché non volete
rispondermi? Vi è piaciuto ballare con Fersen? Solo poche ore fa mi avete detto
che avreste preferito ballare con me. Ho capito male, forse? Posso davvero
sperare di competere con l’affascinante conte svedese? Io non sono altro che un
umile servitore, non sono certamente come lui.”
“Spero proprio di no, André… e non
vorrei mai che tu fossi come il conte… - rispose lei con un moto d’orgoglio
improvviso. - Competere con lui? Perché dovresti, André? Perché mi chiedi di
Fersen? Cosa c’entra con noi?”
Si era mossa mentre lui le stava girando
attorno, sempre vicinissimo, e non smetteva di puntarle addosso il suo sguardo.
“Ho anch’io un orgoglio maschile da
difendere. Il mio cuore non è meno sincero di quello di un nobile, ed è
altrettanto colmo d’amore. Prima mi avete fatto credere di amarmi, e dopo
correte a corte con quel damerino innamorato della regina. Penso di meritare
una spiegazione. Sono stato un semplice trastullo? Siete innamorata di lui?”
Trovò curioso e insolito sentire Andrè
che dava del damerino a Fersen.
Le sembrò di cogliere una nota polemica
mista a paura nel tono di voce, un fatto che la spaventò.
Innamorata di lui.
Quelle frase pareva aver perso ormai
ogni significato.
Passò un attimo di silenzio che fu
interrotto da parole che André sperava di sentire da sempre.
“No, non lo sono, André. Di sicuro è una
delle poche cose vere di questa notte appena trascorsa… e conosco il tuo cuore,
la tua nobiltà d’animo.”
Nel dirlo si sentì rincuorata.
E lo fu anche André che sorrise mentre
scivolava dietro le sue spalle, senza che lei lo vedesse. Poi lo sentì
sfiorarle la nuca con la guancia e percepì il suo alito caldo sul collo.
“Ne siete sicura, mia bella contessa? Se
per voi è un gioco, per me non lo è affatto; non lo è più, ormai. Ho cercato di
resistervi finché ho potuto, perché so che questo sentimento è una follia, ma
ho deciso di lasciarvi vincere. Voglio cedere completamente a voi, perché mi
sento rapito. Solo voi potete placare la furia del mio petto.”
Un lungo brivido le bloccò lo stomaco e
il respiro; Oscar avvertì le dita dell’amico giocare con la spallina della
manica che scendeva denudando la spalla e la bocca di André vi posava un bacio
sulla pelle delicata.
Turbata e sconvolta dalle sensazioni che
avevano invaso il suo animo confuso, tentò di divincolarsi, girandosi con
impeto verso di lui, per placarlo, spiegargli, dirgli che non era possibile tra
loro, ma si ritrovò avvinta dal suo abbraccio, dolcemente imprigionata contro
il suo petto, con la bocca vicina a quella dell’uomo.
E Andrè non seppe resistere oltre alla
tentazione di baciarla sul serio.
Le sfiorò le labbra prima teneramente,
accarezzandole fino a schiuderle per insinuarsi in lei; fu sorpreso e felice di
sentire Oscar reagire sciogliendosi, mentre avvertiva che le mani non
opponevano più resistenza contro il suo torace, ma lentamente scivolavano a
circondagli le spalle e la schiena ricambiando il suo abbraccio appassionato.
E Oscar non ricordava come fosse stato
baciare il conte di Fersen, solo poche ore prima; sapeva solo che baciare il
suo attendente, stringerlo tra le braccia le piaceva oltre ogni fantasia.
Era eccitante e tenero insieme. Era
proibito eppure rassicurante e naturale; era come se la sua pelle fosse per
lei, il suo sapore, le sue mani, le sue spalle forti, il suo corpo virile
premuto contro il suo, la sua nuca che accarezzava dolcemente con una mano.
Tutto di lui era per lei, e altrettanto si sentiva sua.
Non c’era nessun ricordo che fosse
paragonabile a quel piacere intenso.
Il bacio divenne più profondo, sensuale
ed esigente, e scatenò il reciproco desiderio, noto per André, ma nuovo e
conturbante per Oscar; le bocche si inseguivano affamate della dolcezza
dell’altro, si cercavano con passione e le mani di Andrè correvano sulla
schiena di Oscar a cercare i lacci che trattenevano il bustino del vestito.
Sapeva che non avrebbe dovuto, ma le sue dita si infilavano libere tra le
asole, tentando di sciogliere i nodi di seta, cercando di arrivare alla pelle.
Quando Oscar si rese conto di quello che
stava per succedere, cosa Andrè pareva cercare, si divincolò timorosa e conscia
di non poter andare oltre.
Non così.
Si staccò da lui a malincuore, col
respiro corto, e fu consapevole che il suo corpo avrebbe voluto mantenere quel
contatto e approfondirlo.
“Oh, Andrè… per favore, fermati. Noi non
dobbiamo… Ci sono cose che tu non sai…” ansimò senza fiato.
Si allontanò da lui quasi fuggendo,
appoggiandosi con la schiena contro la porta della camera da letto; tentò di
ricomporsi, di calmare il battito del cuore che le esplodeva sotto il seno.
Sentiva ancora il fuoco bruciare le sue labbra, e ne voleva ancora.
E André la guardava come non l’aveva mai
guardata, e la feriva il pensiero che tutta quella brama ardente fosse per Danielle
e non per lei. E si chiese con rammarico se il trasporto di Andrè fosse vero
amore, e non altro.
Lui si avvicinò di nuovo fermandosi di
fronte a lei.
Le sfiorò un polso risalendo fino al
gomito; indugiò all’orlo del guanto che le fasciava il braccio. Lentamente
prese a sfilarglielo. Fece altrettanto con l’altro.
Con difficoltà lei tentò di parlare, di
arginare quel fuoco che le lambiva le viscere e le scaldava il sangue.
“Andrè, se a uno di noi è rimasto un po’
di buon senso…”, ma l’attendente non la lasciò finire: la bloccò contro la
porta, la prese di nuovo tra le braccia e la baciò con rinnovata passione,
quella che aveva nascosta per anni; la trattenne per la vita con un braccio e
con l’altro intanto apriva la porta, che richiuse dietro sé dopo averla spinta
dentro la stanza da letto, senza mai smettere di baciarla.
La ragione gridava a Oscar di resistere
e il suo corpo avrebbe voluto un’altra cosa. Perché non provare a essere
Danielle fino in fondo? Sarebbe stato facile, pensò per un solo istante. Ma le
emozioni erano troppe tutte insieme, si erano susseguite nell’arco di poche ore
e lei era incapace di gestirle tutte.
Doveva fermarlo, prima che fosse troppo
tardi. Prima che entrambi commettessero un errore cui non ci sarebbe stato
rimedio.
E non sapeva se ci sarebbe riuscita.
“Andrè, ascoltami, ti prego… - Lo
costrinse a guardarla negli occhi. - Mi hai chiesto se mi è piaciuto ballare
con Fersen: beh, la mia serata è stata abbastanza mediocre in tal senso. Devo
dire che alla fine, tutto mi è sembrato chiaro, non avevo più dubbi finché non
ho varcato la soglia di là, e ti ho trovato qui… e adesso, tu confessi qualcosa
che non avrei mai pensato di poter sentire. Sento la tua passione, André… il
tuo ardore è immenso e vero. Quale donna non si lascerebbe bruciare da un amore
così? Non sai come mi sento in questo momento; approfitteresti di una donna
confusa che non sa ancora cosa vuole… e cosa sente, o forse lo sa, ma ha paura
che tutto possa essere un’illusione.”
La donna che parlava era Oscar senza maschere.
Era lei, non stava fingendo di essere
qualcun altro, anche se probabilmente non se ne rendeva pienamente conto.
La barriera che André intendeva superare
era crollata di fronte al suo assalto.
Andrè lo comprese e accolse questa verità
preziosa come un tesoro, quel tesoro che lui aveva sperato di trovare da
sempre. Certo, la stava ingannando, ma non era sua intenzione approfittarsi di
lei, voleva solo che il suo cuore battesse per lui e che lei potesse
riconoscerlo. Voleva che lei capisse la differenza tra l’amore idealizzato
fatto di sogni romantici e quello vero che ha la forza di un seme che mette
radici robuste, profonde e invadenti.
“Ho capito cosa vuoi dire, ma ora tocca
a te ascoltarmi: non voglio approfittarmi di te. Non potrei mai farlo. Voglio
solo un momento da portare con me, quando andrò via. Un ricordo segreto che sia
solo nostro… che ci legherà per davvero, e renderà un po’ più sopportabile la
lontananza da te.”
“Perché, dove pensi di andare?” chiese
lei, quasi allarmata.
“Credo che Oscar vorrà partire presto e
tornare a Palazzo Jarjayes; mi ha detto che saremmo ripartiti subito dopo
questo ballo, forse già in giornata, al più tardi domani mattina. E non so
quando noi potremo rivederci…”
Mentre parlava, ormai dandole del tu,
Andrè era tornato dietro di lei e lentamente aveva iniziato a slacciarle i
lacci che trattenevano il vestito che ormai si stava allentando.
“Voglio portare con me il profumo della
tua pelle… accarezzare i tuoi capelli, sentirli scivolare morbidi tra le mie
dita… - e prese a scioglierle i riccioli trattenuti dalle forcine. - Voglio
stendermi accanto a te, nel tuo letto, aderire al tuo corpo senza muovermi…
sentire il tuo calore…”
Oscar avvertiva le sue carezze sulla
schiena e sulle spalle, la bocca di Andrè indugiava ancora sulla sua pelle; il
corpino dell’abito era ormai allentato e le stava scivolando sul davanti e lei
tentava debolmente di coprirsi, combattuta tra la ritrosia e il desiderio di
lasciarlo fare.
“Oh André,
tu non capisci! Non avevo previsto niente di tutto
questo e non si tratta solo di noi… Oh, Dio che gioco perverso e pericoloso!”
E furono ancora le sue parole sussurrate
tra un bacio e l’altro a scioglierla, mentre la seta dell’abito scivolava
sempre più in basso.
“Ma sei stata tu, mia bella contessa a
iniziarlo… So che non sei una donna che indietreggia di fronte a una sfida. Non
aver paura, non farò nulla che tu non voglia. Lasciati solo spogliare… voglio
solo liberarti da questo corsetto che ti stringe il corpo, prenderti tra le braccia
e adagiarti sul letto. Ti giuro che non farò nient’altro.”
La voce di André si era arrochita.
In fondo, era già accaduto tra loro,
pensò Oscar.
Erano ancora ragazzi e più di una volta
avevano dormito insieme.
Nel letto di Oscar o nelle scuderie a
palazzo. Erano vestiti.
Ma non così; questa era una cosa
diversa.
Ed era decisamente più eccitante.
Ed era più pericoloso.
E la seta scivolò via dalle curve del
suo corpo, accompagnata dalle mani sapienti di André. E Oscar si ritrovò con
solo addosso la delicata biancheria intima femminile, una camiciola scollata di
cotone profilata di merletto e le coulotte arricciate fino al ginocchio, mentre
metri e metri di gonne vaporose erano finite sul pavimento ai suoi piedi.
Allora, André la sollevò da terra senza
sforzo, portando una mano sotto le sue ginocchia e l’ altra dietro la sua
schiena.
Oscar si aggrappò al suo collo e lasciò
che le loro fronti si sfiorassero.
Lui la portò verso il letto, superò il
sipario impalpabile delle tendine appese al baldacchino e la depose con
gentilezza sulle lenzuola, tra i cuscini.
Quindi si distese accanto a lei.
I loro sguardi umidi di commozione si
allacciarono per un lungo istante, prima che Andrè tornasse a cercare le sue
labbra che oramai erano diventate esigenti: Oscar rispondeva ai baci con
trasporto crescente che non tentava più di dominare.
Seguendo i suoi impulsi, gli sfilò la
camicia dai pantaloni per lasciar correre le mani sulla sua pelle. Una brama
impellente la prese: sfiorandogli una guancia, accostò le labbra all’orecchio
dell’uomo a sussurrare parole che le parevano proibite.
“Toglila André, per favore; voglio
guardarti.”
Era quasi un comando appena velato, una
debole inflessione che solo lui avrebbe potuto cogliere. Si sfilò l’indumento e
lo gettò ai piedi del letto e lei poté contemplarlo, e lo scoprì più bello e
sensuale di quanto potesse immaginare.
Capiva Danielle e il suo apparente
capriccio, che forse non era mai stato tale. Lasciò vagare una mano sul suo
torace a seguire le linee dei muscoli forti, il guizzo delle vene sul collo, il
profilo ampio delle spalle. Andrè in silenzio, la osservava con intensità
disarmante.
Alla fine lei sospirò.
“Oh… È facile desiderarti, André. E tu
sai come scatenare tutto questo in me… Davvero non vuoi approfittare della
situazione? Potrei lasciartelo fare, se tu volessi continuare…”
Le ultime parole uscirono in un soffio
timido, quasi impacciate.
Non sapeva esattamente come avesse
potuto dirle. Era la semplice verità, che non riusciva più a camuffare.
Solo guardandolo negli occhi, seppe già
la risposta. Lo vide sorridere, forse leggermente turbato. Ma fu questione di
un secondo e ritrovò la consueta fermezza nel suo sguardo verde e profondo.
“No, non voglio, mia bella contessa,
anche se ti desidero più di tutto. Che opinione avresti di me, dopo?”
Lei provò ancora, e non sapeva se stava
mettendo alla prova lui o se stessa.
“La mia opinione non muterebbe, André.
Non lo saprà nessuno, neppure… - esitò incerta, con una nota di tristezza nella
voce - neppure Oscar…”
Per la prima volta la guardò in maniera
strana e lei non seppe decifrare il suo sguardo. Sembrava esserci dell’amarezza
nei suoi occhi e fu qualcosa che la sorprese; era come se avesse toccato un
tasto dolente, un nervo scoperto che faceva male, quasi in lui fosse emerso un
vago senso di rimorso incomprensibile.
“No… Riposa sul mio cuore, adesso.
Lascia solo che ti stringa tra le braccia, così…” e l’avvolse nel suo abbraccio
con tenerezza, trattenendo il suo viso contro il suo petto, baciandola un ultima
volta sulla bocca e sulla fronte.
Le emozioni erano state travolgenti come
ondate impetuose che si abbattono con fragore sulla spiaggia e una nave
sballottata da una tempesta ha bisogno di acque placide.
Così, i loro sensi troppo accesi da
turbamento e desiderio avevano bisogno di rilassarsi e distendersi.
Lentamente il sonno più profondo li
prese con sé, mentre l’ultima delle ombre della notte cedeva il passo all’alba
che sorgeva.
§§§§§
Immobile e basita di fronte al mio
letto, mi stavo ancora interrogando su quello che i miei occhi vedevano, senza
comprendere appieno.
Ero ancora indecisa su cosa fare, quando
avvertii distintamente nel silenzio, un vago rumore provenire dalla stanza
accanto; qualcuno pareva bussare alla porta.
Il mio cuore mancò un battito, ma cercai
di non farmi prendere dall’ansia. Dovevo mantenermi padrona della situazione in
ogni caso, e non era la prima volta che mi trovavo in situazioni critiche.
Sapevo che dovevo evitare il peggio, e il peggio sarebbe stato che qualcuno mi
sorprendesse a letto con l’attendente di mia sorella.
Bruscamente ritornai nel mio salottino
privato, chiudendo a chiave la camera da letto dove Oscar e André dormivano.
Percepii altri colpi, più netti e
definiti, mentre dietro la porta qualcunosi accaniva con insistenza sulla maniglia che non voleva cedere, poi
udii una voce maschile inconfondibile.
“Danielle, mia cara, siete già sveglia?
Aprite, vi prego. Avrei necessità di parlarvi urgentemente.”
Sgranai gli occhi con autentico orrore
quando riconobbi la voce di mio marito Leopold di Recamier che premeva per
entrare nelle mie stanze.
Dietro
la porta chiusa a chiave, Leopold insisteva a bussare e chiamarmi.
Io mi
guardai intorno alla disperata ricerca di una via di fuga, o di un qualunque
mezzo per salvarci tutti.
Diedi
un’occhiata rapida all’ambiente per trovare un indumento femminile, magari una
vestaglia da camera dimenticata da qualche parte che potesse fare al caso mio,
ma notai solo i miei guanti di raso gettati in un angolo, vicino alla gamba di
una sedia. Per uno strano scrupolo, corsi a raccoglierli per nasconderli in un
cassetto.
Non
avevo scelta, dovevo affrontare mio marito ed evitare che scoprisse il disastro
di una tresca tra quella che lui avrebbe creduto sua moglie e l’attendente di
sua sorella.
Cercai
di ragionare velocemente per vagliare tutte le possibilità, che si riducevano a
due, al massimo tre opzioni.
Potevo
affrontare Leopold nei panni di Oscar e con una scusa, cercare di trattenerlo o
distrarlo quel tanto che bastava ad allontanarlo dalla scena del misfatto.
O
potevo correre di là, svegliare i due amanti e fare in modo che almeno André
potesse fuggire di soppiatto come un ladro, dalla mia stanza.
Poi, io
e Oscar, con tutta la calma e sangue freddo possibile, avremmo pensato ad
affrontare il conte di Recamier.
Ma
questa seconda opzione era forse la più rischiosa, perché presentava altre
problematiche delicate che nell’ immediato non avrei saputo gestire nella
maniera più coerente; avrei dovuto affrontare l’imbarazzo di Oscar di vedersi
scoperta a letto col suo attendente, senza sapere come erano davvero andate le
cose fra loro. Non sapevo chi avesse sedotto chi, né se l’inganno di André era
stato completo, né se Oscar per qualche ignoto motivo avesse tolto la maschera
di fronte alla passione del suo amico, o avesse finto fino all’estremo di
essere me.
Soprattutto
non sapevo come avrei dovuto pormi io fra loro. E questa era la cosa che mi
metteva maggiormente in difficoltà.
No, la
soluzione più semplice era fingere di essere Oscar. O semplicemente, era
l’unica possibile nell’immediato, la più convincente.
Così,
mi decisi.
Presi
un respiro profondo e spalancai la porta che mi separava da mio marito.
I
nostri sguardi si incontrarono e lessi un vago sconcerto negli occhi di
Leopold, forse un briciolo di fastidio. Non si aspettava certamente la presenza
della cognata nella stanza di sua moglie.
“Madamigella
Oscar, voi qui? - Leopold in pochi passi superò l’ingresso, fermandosi a un
paio di metri da me. Si guardò attorno, come fosse alla ricerca di qualcosa o
qualcuno. – Scusate cara cognata, ero venuto per conversare in privato con mia
moglie… Ma è ancora a letto?” chiese indicando con la mano alzata la porta
chiusa della camera.
Io
avvertii un brivido di panico serpeggiarmi lungo la schiena. Non risposi
subito, mi limitai a guardarlo mentre andavo alla disperata ricerca di una
frase da opporre alla sua domanda.
“No… -
dissi senza nessuna enfasi. – In realtà, Danielle non è qui. Io la stavo
semplicemente aspettando… Forse dovreste andare a cercarla altrove, cognato.”
Era troppo
sperare che accogliesse il mio suggerimento, lanciato con tutta la mia
convinzione, col preciso intento di allontanarlo da lì.
Mi
spostai un poco e andai a sedermi sul divano. Mio marito era rimasto in piedi
di fronte a me, l’aria perplessa e pensierosa.
“Aspetterò.
Posso chiedervi perché siete qui, madamigella? Lo trovo un fatto anomalo e
curioso, che un personaggio come voi sia qui ad attendere mia moglie nel suo
boduoire.”
“Non
vedo cosa ci sia di strano. Devo parlare con mia sorella in privato; una
questione personale che posso esporre solo a lei. Quale luogo potrebbe essere
più privato di questo? Non siete d’accordo?”
“Certo,
capisco; non voglio certo intromettermi nelle vostre questioni personali,
madamigella Oscar. Sapete, madame Lisette aveva ragione; c’è una strana
complicità tra voi e mia moglie, resa naturale dal fatto che siete gemelle,
solo non immaginavo si spingesse fino a questo punto.”
“Quale
punto? Non capisco che intendete.”
Ero
lievemente confusa e forse preoccupata per il tono della conversazione che
dovevo riportare su strade più sicure. Leopold era tornato a indicare la stanza
con fare sospettoso.
“Siete
sicura che Danielle non sia di là, vero? Magari con qualcuno… Il conte di
Fersen, per esempio?”
Trattenni
un singulto, nel tentativo di non palesare il mio disorientamento e mi sforzai
di sorridere con disinvoltura.
“Voi
pensate che Danielle e Fersen… - Mi misi a ridere sinceramente, incapace di
trattenermi, pensando all’ironia beffarda di tutta la situazione. – E se fosse
così, io starei qui, secondo voi? A reggere il gioco a mia sorella e al suo
amante? Mi conoscete davvero poco cognato. – Il mio tono di voce divenne
severo. - Non mi piace essere coinvolta in certe situazioni, a maggior ragione
se riguardano mia sorella, vostra moglie. Inoltre, il ruolo di sensale non mi
si addice.”
“Scusate,
come siete permalosa; l’ho detto soltanto perché so che il conte di Fersen è un
vostro amico, madamigella, e ho pensato…”
“Avete
pensato male.”
Ero
certa di essere aderente alla reazione che la stessa Oscar avrebbe avuto. Ma
mio marito non era disposto a cedermi terreno.
“Può
essere, ma a voi non dispiace se controllo, vero?” disse all’improvviso.
Vidi
Leopold muoversi lentamente verso la porta della camera da letto, senza
attendere una mia risposta.
Sentii
un sudore gelido scivolarmi lungo la tempia e il cuore che avevo dominato fino
a quel momento, accelerò spaventato. Mi sembrò la fine, ma tentai di oppormi
con l’ultimo moto d’orgoglio che mi era rimasto.
“No,
fate pure, ma potrei prenderla come una mancanza di fiducia nei miei confronti.
Con questo vostro atteggiamento, mettete in discussione l’onestà della mia
gemella, e state dando a me della bugiarda. Potrei offendermi molto seriamente
e chiedervi soddisfazione.”
“Ora
state esagerando, Oscar; non è il caso di arrivare a tanto.”
Finalmente
lo vedevo esitare incerto. Si era bloccato, allarmato.
Avevo
osato sfidarlo perché conoscevo l’inquietudine che gli procurava il carattere
di Oscar.
Con un
briciolo di cattiveria, trovavo sempre divertente vederlo così in difficoltà di
fronte al temperamento acceso della mia gemella.
Erano
davvero pochi gli uomini che sapevano tenerle testa; mio marito non era
certamente fra questi. L’unico che ci riuscisse davvero era André. Doveva
esserci riuscito anche quella notte, così tanto da farla arrendere alla sua
femminilità.
D’altronde
Leopold non sapeva tener testa neppure a me e io spesso in passato ho
approfittato di questo vantaggio, senza abusare mai della mia libertà d’azione,
per non renderla controproducente.
Stavo
scongiurando l’irreparabile, quando inaspettatamente, la porta che ci separava
dalla stanza da letto si aprì: Oscar, i capelli sciolti sulle spalle, avvolta
nella mia ricca vestaglia di seta apparve sulla soglia.
La
guardai a occhi sbarrati travolta mio malgrado dalla sorpresa che leggevo
riflessa sul volto del conte di Recamier, che la fissava a sua volta stranito.
Eravamo
ammutoliti entrambi e fu lei a rompere il silenzio.
“Stavo
ancora riposando. Mi sono svegliata, perché ho sentito delle voci concitate; -
Si annodò la vestaglia in vita con aria noncurante, prima di passare il suo
sguardo su di noi con fare distratto. – Oscar, Leopold che ci fate qui, in
camera mia, e perché state discutendo?”
Era
assolutamente tranquilla.
Aveva
l’atteggiamento più naturale che le avessi mai visto, come se fosse abituata a
risvegliarsi con un uomo nel letto; era merito di André quel miracolo di
scaltrezza femminile? E l’attendente dove era finito? Scivolato giù per qualche
cornicione per evitare di essere scoperto dal presunto marito della sua amante?
Non avrei mai immaginato Oscar tanto abile nell’arte della dissimulazione. In
questo pensavo di essere molto più portata di lei. Ero allibita, ma dovevo
sforzarmi di non farlo notare, soprattutto a mio marito che ci stava ancora
osservando.
“Scusa
Danielle, non pensavo che stessi ancora riposando… tuo marito mi stava
proponendo un duello amichevole... così, solo
per fare un po’ d’allenamento…”
Oscar
mostrò una vaga indifferenza alle mie parole; se stava fingendo ci riusciva
molto bene.
“Leopold
dovreste smetterla di sfidare mia sorella; non siete bravo quanto lei con la
spada.” Commentò, e solo io colsi l’ironia, mentre Leopold si affrettava a
cambiare argomento.
“Scusate
mia cara, non volevo disturbarvi; pensavo di trovarvi già alzata e avevo
urgenza di parlare con voi. Sono venuto qui e ho trovato vostra sorella ad
attendervi: diceva che eravate assente.”
“Come
vedete, si sbagliava. Di che cosa si tratta? Nulla di grave, spero.”
“No,
assolutamente. Volevo solo informarvi che devo partire per Parigi oggi stesso;
una questione urgente che non posso più rimandare. Inoltre vi porto i saluti di
madame Marchard; non poteva trattenersi oltre in nostra compagnia per seri
motivi famigliari. È partita questa mattina, mentre voi stavate ancora
dormendo.”
“Capisco…
e potete dirmi qual è questa questione urgente che vi obbliga a partire tanto
in fretta?”
“Oh,
solo una noiosa formalità che riguarda alcuni documenti. È inutile che vi
esponga i dettagli. – Leopold accennò un breve inchino, prima di allontanarsi
verso la porta che dava sul corridoio. – Col vostro permesso madame…
madamigella Oscar…”
Il
conte uscì dalla stanza.
Io e
Oscar rimanemmo sole a fissarci l’un l’altra.
Restammo
qualche secondo in silenzio, quasi incapaci di proferir parola.
Poi io
tirai un sospiro di sollievo per lo scongiurato pericolo e mi lasciai cadere su
una sedia, sfiorandomi la fronte con due dita della mano destra.
“Che
rischio che abbiamo corso, Oscar! Ho temuto il peggio.”
“Già…”
mi rispose atona.
Poi
sollevai gli occhi verso di lei; era assolutamente calma e il suo sguardo era
indecifrabile. Allora, mi sollevai precipitosamente dalla sedia e corsi verso
la camera: entrai spalancando la porta.
Diedi
un rapido sguardo attorno; un raggio di luce filtrava da dietro una tenda e
cadeva su una colonna del letto con le lenzuola sfatte. Nell’ambiente non c’era
nessuno.
Sentii
i suoi passi leggeri sul pavimento, seguiti dalle sue parole.
“Stai
tranquilla, il tuo amante è andato via appena in
tempo. Ho usato il tuo passaggio segreto; davvero molto utile in certe
circostanze.” Disse indicando il separé dalle decorazioni in stile orientale
che celava la porta che si apriva nella parete. Colsi un velo di sarcasmo filtrare
attraverso il suono della sua voce.
Mi
voltai a osservarla attonita.
“Forse
dovremmo parlare, Oscar.”
“Di
cosa, precisamente?” chiese con lo stesso tono di prima.
“Di
quello che è successo questa notte. Il ballo con Fersen; è andato tutto bene?”
“Tutto
secondo i piani.”
“Io
credo di no… Mio marito credeva che qui ci fosse il conte di Fersen… e la cosa
sarebbe parsa logica anche a me, ma… Prima che venisse a cercarmi, ero entrata
nella stanza. Pensa alla mia sorpresa: tu eri a letto col tuo attendente.”
“Non è
cosa che dovrebbe riguardarti…”
“Beh,
dipende: se tu fingi di essere me, sì. André ha capito qualcosa?”
Domanda
superflua; in realtà mi premeva sapere cosa avesse capito lei.
“No…”
“Pensa
se mio marito vi avesse visti…”
“Non
tieni così tanto al tuo matrimonio… Temi lo scandalo, Danielle? Immagina le
voci: madame Recamier ha preso per amante l’attendente di madamigella Oscar. Un
bel colpo per la tua reputazione… forse anche per la mia. Le malelingue
potrebbero pensare che ci scambiamo lo stesso uomo.”
“Che
pensiero volgare! Non puoi prenderla così alla leggera.”
“Infatti,
non voglio prenderla alla leggera; lasceremo questa casa oggi stesso. Torniamo
a Palazzo Jarhayes. La nostra farsa si chiude qui!” Esclamò lapidaria.
Oscar
si piazzò davanti a me, decisa, quasi minacciosa prima di proseguire con
severità.
“In
futuro, non voglio per nessun motivo che tu e André vi incontriate, capito? Non
provare a cercarlo e non tentare di vederlo. Se scopro che tenti di avvicinarlo
anche una sola volta, non rispondo di me, Danielle…”
Oscar
non tentava più di contenere la rabbia che sfuggiva come veleno tra le sue
parole. E leggevo oltre alla rabbia anche qualcos’altro, una pena, una
delusione amara annegava dentro gli occhi lucidi.
Mia
sorella voleva piangere, eppure non lo avrebbe fatto, non davanti a me.
Piuttosto
mi avrebbe investito con tutto il suo livore.
“Non
capisco perché mi stai aggredendo così: non ero io quella a letto con André!”
“Invece
eri tu, Danielle. Eri proprio tu. André non ha capito che ero io, non ha avuto
alcun sospetto. - Come ti sbagli, pensai fra me. - Oh, l’ho
ingannato davvero bene. E paradossalmente ho fatto il tuo gioco… Siamo tutti
burattini nelle tue mani; perfino Fersen ti è servito per confondere le acque…”
“Cosa??
Stai farneticando, Oscar. Dovresti calmarti e provare a ragionare. Mi stai
lanciando delle accuse assurde.”
Non
erano poi così assurde, eppure le sue conclusioni erano del tutto sbagliate.
Oscar con gesti febbrili e nervosi si stava togliendo la mia biancheria: voleva
tornare a indossare i suoi sicuri abiti maschili. Si nascose dietro le cortine
del separé per spogliarsi dei pochi leggeri indumenti.
Io
rimasi all’esterno e la imitai, passandole camicia e calzoni. Poi indossai la
vestaglia che lei aveva abbandonato sul letto. Anch’io desideravo tornare a
essere me stessa, ma non ero sicura di ritrovare la stessa donna di prima.
Andrè aveva incrinato la mia maschera e non sapevo quanto ancora avrebbe retto
di fronte a Oscar, che non smetteva di lanciarmi accuse da dietro il paravento.
“Mi hai
quasi spinta tra le braccia di Fersen per avere campo libero col mio
attendente. Lo hai avvicinato tanto da farlo innamorare di te, stanotte ne ho
avuto la conferma.”
Continuò
mentre la rabbia si stemperava nell’amarezza della voce.
Credeva
che André fosse innamorato di me; perché non poteva essere vero? Possibile che
lui fosse stato tanto crudele da farle credere questo? Che avesse fatto l’amore
con lei, sussurrandole parole d’amore per me?
Non lo
credevo capace di tanto, solo per punirla di amare un altro uomo.
Oppure
Oscar stava solo fraintendendo?
Ogni
cosa era il contrario di tutto.
Gli
eventi di quella mattina mettevano ogni cosa in discussione, perfino i
sentimenti di Oscar per il conte di Fersen. Per non parlare di quelli che
nutriva verso André.
“Perché
Danielle? Perché hai voluto farmi una cosa del genere? Che bisogno avevi? Lui è
l’unico bene che ho e tu vuoi portarmelo via.”
Più che
rabbia, avvertii una profonda tristezza nella sua voce.
“Ma ti
rendi conto di quanto sei ridicola? Io non sono l’amante di André. Non ho fatto
nulla per portartelo via.E l’ultima
cosa che vorrei è vederti tra le braccia del conte; speravo solo ti rendessi
conto di che genere d’uomo è. In tutto questo, dov’è finito il tuo struggente
sentimento per Fersen? Si è sciolto come neve al sole, mi sembra.”
Emerse
da dietro la cortina del separé, vestita di tutto punto.
“Fersen
non è nulla per me e l’ho capito perfettamente ieri sera!”
“Oh,
finalmente un fatto positivo in tutta questa commedia! Il conte deve aver dato
il peggio di sé al ballo! Posso quasi immaginarlo!”
“Non ne
voglio parlare. Voglio solo tornare a casa mia!” Sibilò a denti stretti, pronta
ad allontanarsi in fretta dalle mie stanze. Ma sentivo che la discussione non
era del tutto esaurita.
“Fuggire
dai sentimenti non serve, Oscar; forse dovremmo parlare di quello che provi per
André. Quello che è successo con lui ti ha sconvolto più di qualsiasi altra
cosa. Ti prego, dimmi la verità: lo ami?”
“È un
mio amico… il migliore amico che ho… non posso perderlo a causa tua.”
“Non
hai risposto. Non gli hai detto chi eri. Perché? Era più semplice fingere di
essere me e prendere ciò che volevi? Trova il coraggio di ammettere quello che
provi davvero. Potevi fermarlo e non l’hai fatto; prova a guardare dentro di
te. Te lo domando di nuovo: lo ami, Oscar?”
Oscar
mi fissò per pochi istanti. Rispondere a quella domanda era una sfida per lei;
potevo vedere la lotta interna passare sul suo volto.
“Io non
so più niente, Danielle.”
Mia
sorella voltò le spalle e senza aggiungere altro, lasciò la stanza.
*****
Il
passaggio segreto portava a una stanza remota del castello, una sala della musica
che veniva usata in poche occasioni situata nel lato est dell’edificio. Da lì,
André si era precipitato nella sua stanza.
Sentiva
di avere ancora addosso il profumo di Oscar, ricordava perfettamente il sapore
dei suoi baci; la mente era ancora un poco annebbiata dal desiderio provato e
trattenuto.
Il
gioco, lo doveva ammettere, gli era piaciuto anche troppo; aveva soddisfatto
molte delle fantasie che negli anni lo avevano tormentato senza però andare
oltre, ma non era uno stupido.
Sapeva
cosa sarebbe accaduto se Oscar avesse scoperto l’inganno.
Era
stata una mossa dettata un po’ dalla frustrazione e da un lieve risentimento,
ma il suo amore per lei aveva avuto il sopravvento. Sentiva un brivido di
eccitazione dolorosa se col pensiero tornava all’istante in cui avrebbe potuto
averla.
Oscar
avrebbe fatto l’amore con lui, spontaneamente. E lui non si sarebbe fermato, se
non fossero arrivate le parole di lei, la sua esitazione. La voleva, ma
desiderava che fosse sé stessa e che fosse consapevole che avrebbe scelto lui e
non un altro.
Il
risveglio era stato quasi irreale come quando si ha il dubbio di stare ancora
sognando; aveva aperto gli occhi e aveva visto le tende impalpabili del
baldacchino ondeggiare sulla sua testa, la luce chiara entrare dalla finestra.
Si era voltato e aveva trovato lei che lo stava fissando, in silenzio,
appoggiata mollemente sul cuscino. Un enigma celato dietro il blu profondo dei
suoi occhi e si era chiesto da quanto fosse sveglia.
All’improvviso
avevano sentito rumori, una porta che si apriva, dei passi e poi voci
provenienti dalla stanza accanto: Leopold e Danielle.
Riflessi
all’erta, Oscar era saltata giù dal letto come uno scoiattolo.
“André,
devi andartene subito.”
Gli
aveva detto lanciandogli la camicia che lui aveva afferrato al volo, e lo aveva
trascinato verso il passaggio segreto che si apriva nella parete della stanza.
Non gli era mai parsa tanto sensuale e femminile come in quell’attimo, con i
gesti tipici che fa una donna quando cerca di proteggere il suo amante, e lui
non aveva voluto allontanarsi senza prendersi un ultimo pegno; l’aveva
trattenuta contro di sé, e le aveva regalato insieme a un sorriso eloquente,
quelle due parole – ti amo - che teneva sul cuore da
troppo tempo. All’udirle, Oscar aveva sentito il respiro fermarsi e sgranato
gli occhi per la meraviglia.
Poi
l’aveva baciata di nuovo, divorandole le labbra, prima di scomparire dietro la
porta segreta.
Non
l’aveva vista appoggiarsi smarrita contro la parete tappezzata di piccole rose
e portarsi due dita ad accarezzare le labbra ancora affamate di lui, del suo
profumo.
Non
poteva immaginare quanto era stato perfido, anche se quel ti amo era stato sincero.
Unicamente
rivolto a lei soltanto, ma ignara di esserne la vera destinataria.
Al
ricordo, emise un respiro profondo per immettere aria nei polmoni, ma
l’atmosfera della stanza lo soffocava. Doveva uscire all’aperto.
Si
diresse deciso verso l’ingresso sul retro che dava su una parte del giardino,
con la segreta speranza di non incontrare nessuno degli addetti alla servitù, e
si inoltrò attraverso uno dei piccoli vialetti bordati di siepi. Svoltò ad un
angolo e fece appena in tempo a vedere la carrozza del conte che partiva
velocemente per lasciare la dimora.
Osservò
la vettura elegante allontanarsi, mentre il rumore degli zoccoli dei cavalli si
affievoliva finché non sentì una voce femminile che lo chiamava.
Era
Ninette e veniva verso di lui con aria trafelata.
Adesso
cosa m’invento? Pensò vagamente sconsolato.
La
servetta avrebbe indagato, ne era sicuro e doveva trovare qualcosa che potesse
soddisfare la sua curiosità senza compromettere nessuno di chi era coinvolto in
quel gioco.
“André,
allora gran furbacchione! Mi vuoi dire cosa è accaduto davvero? Sono
preoccupata per madame; un attimo fa, ho sentito il padrone borbottare qualcosa
contro il conte di Fersen. Crede sia l’amante di sua moglie… Stai proteggendo i
due amanti? È per questo che eri nella stanza della contessa ieri sera? E
madamigella Oscar sa tutto, vero? Voglio sapere che succede.”
Andrè
pensò che fosse meglio assecondare le fantasie della cameriera, in fondo
potevano essere perfette al caso suo.
“Qualcosa
del genere, sì. Ma non posso sbilanciarmi troppo. In realtà… - e Andrè si accostò
all’orecchio della cameriera e assunse un’ aria da vero cospiratore.- È coinvolta la regina in persona…”
“Addirittura?”
domandò sempre più perplessa.
“Sì.
Sai, certe voci di palazzo… ne avrai sentito parlare… Ninette ti ricordi quella
cosa che mi avevi raccontato sul conte di Recamier? Forse questo è il momento
più opportuno per parlarne con la tua padrona. A breve, io e Oscar partiremo, e
solo tu potrai aiutare madame Recamier.”
“Dovrei
dirle del bambino?”
“Sì, è
meglio. Sarebbe una freccia in più all’arco della tua signora, da opporre alle
possibili accuse del marito.”
E
Danielle avrebbe avuto altro a cui pensare, senza preoccuparsi di lui e Oscar.
Sembrava
un buon diversivo, ma avrebbe messo Danielle in una sgradevole situazione e un
po’ gli dispiaceva, ma si consolava pensando che lo avrebbe scoperto comunque.
“Continuo
a non capire cosa c’entra il colonnello Oscar in tutta questa faccenda; trovo
strano che si lasci coinvolgere in un triangolo del genere.”
“Cosa
ci trovi di strano? Mi sembra normale, invece. Oltre che sorella di Danielle,
Oscar è una buona amica del conte ed è responsabile della sicurezza della
sovrana; sta solo facendo il suo lavoro che è quello di proteggere Maria
Antonietta da probabili scandali. Perché credi che madame Recamier sia andata
al ballo con lo svedese?”
“Oh, io
pensavo che…”
“Mi
raccomando Ninette: non parlare di questa storia con nessuno. Mi hai capito?”
“Uhmm,
d’accordo. Ufh, che storia complicata… troppo forse.”
Sbuffò
Ninette, che girò sui tacchi e tornò da dove era venuta, con le idee un poco
più confuse di prima, ma non del tutto convinta che l’attendente le avesse
detto la verità.
André
rise fra sé sollevato, mentre guardava la cameriera allontanarsi verso la
dimora, senza immaginare che il suo bluff era molto aderente alla partita
fantasiosa imbastita dalle gemelle, da Danielle in particolare.
Si
aspettava di vedersi comparire davanti Oscar da un momento all’altro per
sollecitarlo a prepararsi per la partenza; non attese molto, infatti. Sentì la
sua voce che lo chiamava da una delle finestre della casa; alzò lo sguardo
verso l’alto e vide la sua testa bionda sbucare da dietro un vetro del primo
piano.
Non
c’erano dubbi che fosse lei.
“André,
ma che fai lì? Non perdere tempo, per favore. Prepara i bagagli; voglio partire
il prima possibile.”
“Subito
Oscar!” rispose svelto al suo tono di comando, ma con assoluta tranquillità si
accinse a fare quello che gli era stato ordinato. Forse si sarebbe divertito
durante il viaggio di ritorno a provocare i silenzi di Oscar, che era certo non
avrebbe aperto bocca volentieri, oppure al contrario, lo avrebbe assalito con
una miriade di domande, consigli e suggerimenti per il suo bene.
******
La
carrozza era ferma davanti all’ingresso, in prossimità del viale che portava all’esterno
della tenuta. Erano quasi le undici del mattino di quella strana giornata,
iniziata nel modo più bizzarro. Avevo cercato di convincere mia sorella a
rimandare la partenza di qualche ora, almeno dopo pranzo, ma non mi aveva dato
ascolto.
Corsi fuori
in cortile, anticipando Oscar di qualche minuto e trovai André che stava
armeggiando con le cinghie che trattenevano i bauli. Volevo parlare con lui
senza che Oscar ci sorprendesse e non avevo che pochissimi minuti.
“Danielle,
è meglio che Oscar non ci veda parlare insieme; potrebbe essere qui da un
momento all’altro, questione di secondi…” mi disse mentre continuava a
controllare che i bauli fossero fissati con le cinghie.
“Non
riesco a credere che tu l’abbia fatto per davvero, André…” esordii un poco
nervosa.
“Fatto
cosa?” mi chiese candidamente.
Io
parlai a bassa voce per non farmi sentire dal cocchiere che stava controllando
con scrupolo i finimenti dei cavalli.
“Seduci
Oscar e le lasci credere di essere innamorato di me; non è stato molto onesto da
parte tua…”
“Te lo
ha detto lei?”
André
mi scrutava con calma.
“Me
l’ho ha fatto capire chiaramente.”
“Non è
andata esattamente così…”
“Ah,
no? E come è andata, allora? Non hai rispetto neanche dei miei sentimenti, di
quello che provo io per te…”
“Danielle
per favore; ho avuto il massimo rispetto per te, e lo sai. Non ho iniziato io
questa commedia e mi avete coinvolto a mia insaputa. Neppure questo è stato
molto onesto e non puoi biasimarmi se cerco di difendere i miei sentimenti
senza farmi manovrare come un burattino da tutti quanti.”
Avvertii
una punta di rammarico nell’inflessione profonda della sua voce. Allora parlai
con tutto il mio slancio, presa dal fuoco del mio sentimento, forse anche da un
poco di disperazione.
“Io non
riesco a rinunciare a te, per quanto so che non puoi amare me come ami lei!
Forse ho sbagliato, ma non posso soffocare quello che sento. Ho bisogno di
vederti, di starti accanto. Lei non vuole farci incontrare, mi ha proibito di
vederti, ma non è amore il suo, è solo smania di possesso. È egoismo. Non vuole
che tu sia libero. Perché non vuoi capirlo? Con me saresti più felice, Andrè.
Io ti darei l’amore che meriti… e lo meriti più di chiunque altro…”
Solo
allora lui mi prese per le braccia con leggera fermezza.
“Danielle
mi dispiace se ho creato contrasti tra voi, non era mia intenzione mettervi
l’una contro l’altra, ma non credo sia come dici tu; per la prima volta mi pare
di avere una speranza con lei. Stanotte l’ho guardata negli occhi e quello che
ho visto era tenerezza, passione… amore. Sì, io credo che sia amore, solo che
lei ancora non lo sa. Lei non è come te, non ha il tuo coraggio nell’affrontare
i sentimenti, non è consapevole di quello che sente e adesso ha solo paura di
perdermi. Ti prego, sforzati di capire; io sono legato a lei più di quanto non
sia legato a te…”
“Oh,
André… - sospirai quasi rassegnata - non vuoi dare anche a me una possibilità?”
“Ti
voglio bene Danielle, davvero… ma non nel modo che vorresti tu.”
Lo
sentii sfiorarmi con due dita una guancia in una carezza delicata; poi notai il
suo sguardo che si alzava un poco appena oltre le mie spalle. Oscar ci stava
raggiungendo, sentivo i tacchi delle sue scarpe battere rapidi sugli scalini
dell’ingresso. Andrè ritrasse la mano, ma fece in modo di essere visto.
Pochi
metri e Oscar fu accanto alla vettura.
“Siamo
pronti?” chiese senza guardare direttamente André e lanciò a me solo una rapida
occhiata di sbieco.
“Tutto
pronto Oscar. Possiamo andare quando vuoi.”
Andrè
salì in vettura prima di lei. Oscar aveva un piede posato sul predellino, ma
prima di salire in carrozza si voltò a guardarmi.
“Arrivederci
Danielle. Ricorda bene quello che ci siamo dette.”
E
scomparve dentro l’ abitacolo; sentii lo schiocco delle redini, e il mezzo si
metteva in moto.
Rimasi
ferma a osservare la carrozza che girava attorno alla grande fontana centrale,
prima di allontanarsi attraverso il viale alberato.
Era già
in fondo, in prossimità di varcare il grande cancello, quando la mia cameriera
si accostò a me.
“Scusate
madame se vi disturbo, ma avrei qualcosa d’importante da comunicarvi subito.”
“Cosa
c’è Ninette?”
“Si
tratta di una cosa che riguarda il signor conte e Madame De Marchard; forse
conosco il motivo della partenza improvvisa di vostro marito, contessa…”
Restai
incerta per un secondo alle parole della mia fida cameriera. Mi guardai attorno
con fare distratto.
“Non
qui. Vai a prendere il mio scialle di seta e raggiungimi all’ombra dei salici.
Ti aspetto lì e non farti notare da nessuno.”
Circa
dieci minuti dopo, Ninette mi raggiungeva nel luogo stabilito.
Ero
seduta su una panchina di marmo bianco, sotto i rami di un grosso salice
piangente mentre ascoltavo vagamente turbata e sorpresa, le parole della mia
cameriera che mi raccontava dell’esistenza da qualche parte di un erede illegittimo
del conte di Recamier, un figlio che forse mio marito si preparava segretamente
a riconoscere.
Continua…
Eccomi
qui.
Scusate
il ritardo come sempre.
Forse
il risveglio dei nostri due non ve lo aspettavate così, eh? Spero di non avervi
deluse.
In
effetti non è che accade molto in questo capitolo; fa più da sparti acque con
il seguito.
Però
con Leopold fuori dalla camera non è che ci fossero tante possibilità e dovendo
evitare il disastro, ho optato per questa soluzione che mi è sembrata abbastanza
convincente e in linea con la storia.
Spero
vi sia piaciuta, ma raccontatemi ogni perplessità se ne avete.
Grazie
infinite per tutti i commenti che lasciate, io li apprezzo tanto e mi fanno
capire che ancora questa storia un po’ pazza vi interessa.
Il
viaggio fino a palazzo Jarjayes era durato poco più di due ore, ma a Oscar era
sembrato molto più lungo e interminabile.
Si era ostinata a guardare fuori dal finestrino per gran
parte del tempo, ma le era parso di sentire il peso dello sguardo del suo
attendente per tutto il viaggio.
In realtà, la sensazione era solo frutto della sua
suggestione, perché André aveva mantenuto l’atteggiamento naturale di sempre
quando viaggiavano insieme, e seppur segretamente compiaciuto, per un po’ era
riuscito a fingere una sorta d’indifferenza al mutismo di Oscar.
Anche lui aveva contemplato quasi assorto il panorama
distensivo che offriva la campagna e solo di rado si era soffermato ad osservare
la sua compagna di viaggio di sottecchi, domandandosi dove stessero volando i
suoi pensieri, sperando che tornassero all’ alba incredibile che li aveva visti
insieme.
Nessuno dei due avrebbe resistito in perenne silenzio fino
all’arrivo, Andrè meno di Oscar, che fra i due, era sempre stato quello più
loquace e ciarliero. Quindi, lui per primo decise di rompere il ghiaccio e
provare a intavolare una conversazione qualsiasi, anche la più banale.
“Si torna a casa; immagino già mia nonna smuovere tutta la
servitù per il tuo rientro, farà tirare a lucido tutto il palazzo, comprese le
cucine!”
“Già…” fu la risposta laconica di Oscar.
Seguì un breve silenzio che sarebbe potuto diventare più
lungo, se André non avesse capito che avrebbe dovuto tirarle fuori le parole a
forza. Decise che si sarebbe divertito a farlo.
A costo di provocarla.
“Le vacanze sono sempre troppo brevi, non trovi Oscar? Ah,
io sarei rimasto ancora volentieri a Villa Recamier… - e fu volutamente ambiguo
sul senso della frase - sono stato davvero bene.”
Sorrise dei suoi stessi pensieri e osservò la sua reazione:
gli parve che lo sguardo azzurro si adombrasse lievemente.
“Sì, immagino…”
Altra risposta laconica condita forse di una nota ironica.
“Tu no, Oscar?” Chiese lui in tono disinvolto con l’evidente
intenzione di stuzzicarla.
“Benissimo direi, ma bisogna tornare alla vita quotidiana,
quella vera anche se è un po’ meno bella e piacevole.”
André si rilassò contro lo schienale di velluto, stirando
leggermente le braccia.
“Eh già, lo so. Si torna alle levatacce, ai cavalli da
strigliare, alle ronde a Versailles, ma ci saranno bellissimi ricordi a tenermi
compagnia: le passeggiate all’aria aperta, il profumo dei campi al mattino
bagnati di rugiada, quello del pane appena sfornato, le piacevoli serate a bere
del buon vino… - rise accarezzando ricordi ancora freschi – e altre cose che
rendono dolce l’esistenza.”
Si accorse dell’occhiata fulminea e sgomenta di Oscar, ma
lui finse di non notarla.
“Sono tutte cose che potrai ancora avere, anche a palazzo
Jarjayes.” obbiettò con ovvietà.
“Sì, hai ragione Oscar. Sai, mi chiedevo: tu credi che
Danielle verrà a farci visita?”
“Perché lo chiedi? Senti già la mancanza della mia audace
gemella?”
André si accorse immediatamente del malcelato tono
sarcastico, nascosto dietro un sorrisetto di circostanza, troppo simile a una
leggera smorfia di disappunto.
“Non pensi di ricambiare la sua ospitalità?”
“Non ne sento l’esigenza.”
André le oppose un’espressione dubbiosa.
“Ce l’hai con lei per qualche oscuro motivo?”
Oscar rispose tornando a guardare con eccessivo interesse il
panorama fuori dal finestrino.
“Non ce l’ho con lei, ma tu non sperare che venga a palazzo
Jarjayes, non nell’immediato.”
“Non capisco che vuoi dire; parli come se la cosa dipendesse
da me.”
“Sei tu che hai trovato il soggiorno a villa Recamier
particolarmente piacevole. Ci dev’essere un motivo preciso se ora mi chiedi di
Danielle…”
“Semplice curiosità, la mia. Pazienza. Ci sarà un’occasione
per incontrarsi, prima o dopo…”
Oscar lo guardò fisso.
“Non mi sembra banale curiosità, tu vuoi rivederla… - Non
era una domanda questa volta; era piuttosto una constatazione dal sapore amaro.
Ad Andrè parve di sentire sulla lingua il gusto della delusione di lei che
scendeva fin nel suo cuore. - Lei non verrà.” Proseguì Oscar quasi con durezza.
Andrè aggrottò le sopracciglia.
“Sembri molto sicura di questo, ma potresti sbagliarti
clamorosamente.”
“Non sbaglio André. Danielle non verrà, rassegnati.” Rispose
secca.
“Me lo stai ordinando?” chiese quasi incredulo.
“No, è solo un consiglio… poi, fai come ti pare.”
“Cioè, vorresti dire che sarei libero di rivedere Danielle,
se volessi?”
Oscar non seppe trattenersi oltre: parlò alzando la voce di
un paio di ottave.
“Se non temi di scatenare le ire di mio cognato, puoi anche
correre il rischio, André, ma stai attento: perfino un uomo mediocre come
Leopold di Recamier potrebbe diventare improvvisamente abile con la spada!”
“Aspetta un momento: tu hai paura… per me?”
“Ci sono tanti sistemi per far sparire qualcuno; l’ omicidio
di un servo per mano di un nobile offeso non interesserebbe a nessuno, tranne
che alla sottoscritta! Ma la vita è la tua e sei libero di gettarla alle
ortiche!”
Era davvero arrabbiata; Andrè si domandò se non fosse andato
troppo oltre con la provocazione. Ma percepì anche la sua paura e provò
tenerezza per lei, per quello strano, contorto senso di protezione che
inconsapevole manifestava.
Provò a placarla.
“Ho il sospetto che tu abbia preso un abbaglio, Oscar: non
ho intenzione di correre inutili rischi, né di comportarmi in modo
sconveniente, o offensivo verso tua sorella, suo marito o chiunque altro.”
“Nessun abbaglio André. È tutto fin troppo chiaro.” Esclamò
d’impulso, prima di sporgersi con la testa verso l’esterno della carrozza.
“Cocchiere fermati! Voglio scendere!” Urlò per farsi sentire
dal postiglione che tirò le redini per bloccare la corsa dei cavalli.
La vettura si arrestò nell’arco di pochi metri e prima che
André potesse avere il tempo di capire le sue intenzioni, la donna era già
saltata a terra richiudendo violentemente la portiera.
“Oscar ma che fai?”
“Cocchiere riparti!”
La carrozza si rimise lentamente in moto, distanziandola,
mentre Oscar pareva intenzionata a proseguire la sua marcia a piedi. Andrè si
sporse oltre il finestrino a fissarla vagamente contrariato e preoccupato:
conosceva la sua testardaggine e sarebbe stata capace di camminare a piedi per
chilometri.
“No! Cocchiere si fermi! Oscar ma…”
“Ho detto di andare avanti! Cocchiere non fermare la
carrozza! È un ordine!”
La vettura ripartì nuovamente e André ordinò di mantenere
un’ andatura a passo d’uomo.
Oscar testarda più che mai, camminava di fianco alla vettura
un poco più indietro mantenendosi sul ciglio della strada. Andrè la seguiva con
lo sguardo, in verità piuttosto indispettito dal suo strano atteggiamento.
“Ma cosa diavolo stai pensando di fare?”
“Non lo vedi? Ho bisogno di camminare un po’.”
Poteva sembrare un banale capriccio, piuttosto inconsueto
per lei; non gli ci volle molto per capire che stava solo cercando un modo di
sfogare la tensione che la opprimeva.
A casa si sarebbe sfogata incrociando la spada con lui.
“E pensi di andare a piedi fino a palazzo Jarjayes? È un bel
pezzo di strada, ma forse in due giorni ce la fai! Non essere ridicola e sali
in carrozza, Oscar.”
“NON TI AZZARDARE A DARMI ORDINI, ANDRE’!” Ruggì inviperita.
André restò in silenzio qualche minuto; doveva aspettare che
si calmasse.
Prese un respiro profondo; se si fosse lasciato vincere
dall’esasperazione avrebbe solo peggiorato le cose; la conosceva abbastanza
bene da sapere che era meglio non opporre alcun tipo di resistenza. Quando
l’ebbe distanziata di qualche metro, fece fermare la carrozza all’ombra di un
gruppo di grossi alberi che delimitavano il ciglio della strada.
Scese a terra e attese sulla strada polverosa, appoggiato a
braccia conserte alla ruota posteriore che lei lo raggiungesse.
“Per favore Oscar, sii ragionevole; sali in carrozza e
cerchiamo di comportarci come persone di buon senso. Se qualcosa ti dà fastidio
è meglio parlarne con calma…”
“Sei tu che non hai buon senso, André. Non potevi proprio
evitare tutto questo pasticcio?” fece lei, lievemente stizzita.
“Posso sapere di cosa mi accusi?”
Oscar si avvicinò alla carrozza, ma prima di salirvi si girò
a guardarlo.
“Questa mattina ti ho salvato per la punta dei capelli,
André. Ma dovevi proprio infilarti nel letto di mia sorella? E non sforzarti di
negare, tanto so già tutto.” Quindi montò in carrozza senza attendere una
risposta.
André la seguì all’interno dopo aver intimato al cocchiere
di ripartire.
“Non nego nulla, ma tu cosa credi di sapere di questa
storia?”
“Questa mattina vi ho sorpresi insieme.”
André dovette sforzarsi di non riderle in faccia.
“Tu non sai niente, Oscar.”
“Allora, dimmelo tu come stanno le cose, André; che cosa ti
ha promesso? Cosa ti aspetti che accada? È la moglie già troppo chiacchierata
di un conte che gode di notevole prestigio a corte…”
“Ed è tua sorella: è questo che ti disturba così tanto.
Vorrei sapere perché. Spiegami Oscar: perché non vuoi che io stia con lei? È un
volgare problema di classi sociali, o c’è dell’altro?”
“Mi chiedi perché?! Ma rifletti un momento: credi che
lascerà il marito, i suoi figli, i suoi privilegi per fuggire con te? Mia
sorella è una ribelle, ma non ha tanto coraggio.”
E
io? Ne ho forse più di lei?
André sorrise ambiguo.
“Non sono così ingenuo e non mi aspetto nulla del genere. E
sul coraggio di Danielle, io non scommetterei: è capace di lottare per
prendersi ciò che vuole. E adesso vuole me.”
A quelle parole tanto schiette, Oscar ebbe paura.
“Oh, André… E tu vuoi lei, fino a questo punto?”
“Ho bisogno di essere amato, come tutti. Ti sembra così
strano, Oscar? Sforzati di capire come mi sento, ma forse da te pretendo
troppo.”
A quel punto André abbassò la voce che divenne roca e
profonda, e le rivolse uno sguardo intenso e bruciante che le penetrò fin
dentro l’anima.
“Vuoi farmi credere, Oscar, che non ti sei mai sentita così,
nemmeno una volta? Non hai mai sentito quel fuoco bruciarti dentro, come un
dolore fisico? Se lo hai sentito almeno una volta, sai di cosa parlo.”
Oscar rimase in silenzio, disarmata e sconvolta da quelle
parole, incapace di ribattere, mentre pensava al fuoco che stava divorando lei
solo da poche ore. Quella stessa fiamma possente che vedeva bruciare negli
occhi verdi e bellissimi del suo amico.
Sospirò arresa, senza sospettare che quella fiamma bruciava
per lei.
“Ah, ti prego, non voglio continuare ora questa
conversazione. Il viaggio è ancora abbastanza lungo è voglio provare a
rilassarmi un po’, se non ti dispiace.”
“Come vuoi tu, Oscar. Ma dovremmo riparlarne.”
La donna incrociò le braccia, sprofondò contro il sedile
della carrozza e si girò dalla parte opposta, tirando le tendine.
Il resto del viaggio proseguì in un silenzio pesante fino a
casa.
***********
Erano rientrati a palazzo Jarjayes da qualche giorno.
Oscar aveva ripreso immediatamente servizio a corte e faceva
in modo che Andrè la seguisse a tutte le ore e in ogni circostanza, dalle esercitazioni
militari, ai balli organizzati dalla regina fino a tarda notte.
Non gli concedeva mai troppo tempo libero e se le balenava
il sospetto che il suo attendente stesse pensando a Danielle, lo distraeva
coinvolgendolo in un’attività qualunque; un duello con la spada, una cavalcata,
un lavoro da fare nelle scuderie. Per paradosso, era lei che non riusciva a
distrarre i suoi pensieri dal ricordo di quell’alba passata con lui.
In realtà aveva il terrore che potessero vedersi di
nascosto, e faceva di tutto perché ciò non accadesse, mentre il pensiero della
sorella e André appartati come due amanti clandestini le procurava delle fitte
di acuta e dolorosa gelosia.
-André ci sono i cavalli da lavare e strigliare!
-Svelto André, prendi la spada, dobbiamo allenarci…
-André ricordati che devi curare la manutenzione delle
carrozze…
Il giovane aveva il sospetto che facesse apposta ad essere
così esigente, ma era il suo lavoro e non si tirava indietro, aspettando il
momento buono per affrontarla a viso aperto.
Circa due giorni dopo il loro rientro a casa, il conte di
Fersen era venuto a farle una visita inaspettata.
Il conte li aveva interrotti in giardino, durante un acceso
allenamento con la spada che li stava coinvolgendo nel corpo e nello spirito,
tra sguardi diretti, battute provocatorie e scontri fisici manifesti e
ricercati. Spade in pugno, si erano annusati e misurati come avversari
pericolosi.
Il pericolo però era di diversa natura.
-Dimmi la verità, André: preferiresti andare a servizio a
Villa Recamier? Mia sorella ti affiderebbe mansioni assai diverse…
-Ora sei ingiusta: potresti restare sorpresa tu, mia
bellissima amica…
-Vuoi giocare con me, André? Potrebbe piacerti…
-Oh, lo sai che non mi tiro mai indietro… cominciamo?
Durante la danza dei corpi sull’erba, nel clangore delle
spade, vicinissimi, con le braccia tese sopra la testa, gli sguardi avevano
indugiato in una sfida muta, per un lungo minuto, mentre Oscar si perdeva a
seguire il profilo morbido di quelle labbra, tornando con la mente a quello che
era accaduto tra loro nella stanza di Danielle. Le bocche troppo vicine, i
respiri caldi e affannati sul viso, la tentazione si era scatenata per
entrambi.
Ed era stato più forte di lei immaginare quali fossero i
pensieri di André, che ricambiava il suo sguardo con la stessa intensità
sconcertante. Pensieri della cui natura lei non aveva alcun sospetto.
Stai
pensando a lei, André? Non lo fare…
Ero
io.
Ero
io la gemella che tenevi tra le braccia, quella che baciavi con tenera
passione.
La
stessa passione che intravedo perfino ora nei tuoi occhi.
E
tremo di rabbia se penso che non bruciano per me, e per assurdo, forse stai
pensando proprio a me, e non lo sai. Vorrei concludere questo duello,
stringerti all’angolo senza difese, afferrarti la nuca e costringerti a
baciarmi. Ti divorerei per questa fame che sento.
E
allora, riconosceresti il vero sapore delle mie labbra? O le confonderesti con
le sue?
Non
voglio che pensi a Danielle…
Dimenticala,
ti prego…
Il conte di Fersen era arrivato in quel momento a rompere lo
strano conturbante scontro; Oscar lo aveva accolto con gentilezza, una maschera
del lieve imbarazzo per quella insolita intimità violata, ma senza provare
quella strana ansia che la sommergeva ogni volta che incontrava lo svedese.
“Ottima prova di abilità, come sempre. Madamigella Oscar,
sono venuto a salutarvi…” esordì il conte andandole incontro sull’erba,
interrompendo il sensuale duello tra i due contendenti.
André abbassò la sua arma, si fece da parte e si ricompose
in meno di un minuto.
Prese le spade e con discrezione seguì Oscar e il conte che
entravano in casa.
Si fermarono in salotto dove Oscar offrì al suo ospite del
vino della sua cantina.
“È stata vostra sorella a dirmi che eravate tornata presso
la vostra dimora. Le avevo scritto un breve biglietto chiedendole di voi,
pensando che foste ancora ospite a Villa Recamier.”
“Sono rientrata solo da qualche giorno, Fersen. Cosa vi
porta da me?”
Chiese versando del vino bianco in due bicchieri di
cristallo che André aveva posato sul tavolo davanti a loro. Il tono era formale
e distaccato, ma il conte non parve notarlo.
“Ecco, volevo rivedervi e salutarvi un’ ultima volta, prima
della mia partenza per l’America. Mi imbarco tra una settimana con le truppe
del generale La Fayette.”
“In America? Ma laggiù c’è la guerra, Fersen. Perché volete
andare così lontano e mettere a repentaglio la vostra vita?” domandò Oscar con
sincera preoccupazione, mentre André si allontanava silenzioso dalla sala.
“Perché se resto in Francia, finirò per danneggiare solo la
regina Maria Antonietta. In questi ultimi giorni ho riflettuto su molte cose
che mi sono accadute di recente; stavo per compiere un errore irreparabile, un’
azione di cui non sarei stato orgoglioso Oscar, una leggerezza che avrebbe
fatto soffrire la stessa regina. Ho già esposto troppo Sua Maestà allo
scandalo; la simpatia che mi ha accordato mette in cattiva luce la sua persona,
ma non posso rischiare di comprometterla ulteriormente col mio comportamento
sconsiderato. Se restassi qui succederebbe esattamente questo e io, proprio
perché le voglio bene, devo fare di tutto per evitarlo.”
Oscar intuì tutto, ma finse di non capire il vero
significato di quelle parole che riguardavano anche lei.
“Non so esattamente a cosa vi riferite, ma siete sicuro che
non esista un’altra soluzione? Potreste tornare in Svezia, per esempio.”
“No Oscar, mi verrebbe presto la tentazione di tornare qui,
sono un uomo troppo debole. - Fersen portò il bicchiere alle labbra; ne bevve
il contenuto in un sorso, prima di proseguire. - Io devo andare lontano… molto
lontano. Credo di non avere altra scelta. Affido la regina alle vostre cure,
Oscar…”
“Le spezzerete il cuore, Fersen…” constatò lei con
tristezza, consapevole che quella notizia, solo poco tempo prima e in altre
circostanze, l’avrebbe ferita.
Fersen emise un sospiro che sapeva di rassegnazione penosa.
“Avrei un ultimo favore da chiedervi, madamigella, e solo
voi potete aiutarmi.”
“Ditemi pure...”
“Portate le mie scuse a Madame Recamier: credo di averla
molto delusa al ballo. Mi sono preso delle libertà eccessive… che forse l’hanno
offesa. Non era nelle mie intenzioni; diteglielo, vi prego… Rassicurate la
contessa che troverà sempre in me, un amico sincero.”
Oscar fu colta da autentico stupore.
“Ma certo, non abbiate timore, Fersen.”
Alla fine della conversazione, il conte aveva posato il
bicchiere vuoto sul tavolo e si era alzato per andarsene.
Andrè era ritornato mentre Fersen si allontanava verso
l’ingresso del palazzo.
“In America… certo che è lontano. – Disse con voce incolore.
- Non desideri rivederlo un’ultima volta, prima della sua partenza?” le
domandò, per sondare il suo cuore.
Oscar guardò il suo attendente con un’ espressione
imperturbabile.
“No. Spero che riesca a tornare sano e salvo.”
Rispose sicura, ma senza particolare slancio. Dopodiché si
allontanò, lasciando in Andrè una profonda sensazione di sollievo.
*******
Mia sorella e André avevano lasciato la mia casa già da
qualche giorno; senza reali motivi per restare oltre nella tenuta di campagna,
io ero tornata a Parigi.
Non trovai Leopold, partito non sapevo per dove;
probabilmente aveva raggiunto la sua amante.
Avrei voluto concentrarmi su altro, ma stavo ancora cercando
di realizzare l’estrema portata della mia più recente scoperta.
Avevo assalito Ninette con mille domande sulla bambina - una
figlia, dunque - sulla madre che non avevo capito chi fosse, su madame Lisette
De Marchard e il suo ruolo, e su mio marito.
Ma la mia cameriera non aveva saputo fornirmi dettagli più
precisi sulla faccenda.
Alla fine, sapevo solo che Lisette si era fatta carico della
creatura – era lei la madre? - e immaginai che la sua improvvisa partenza da
Villa Recamier fosse a causa della piccola bastarda.
Ma la cosa che mi aveva sorpreso di più era stato
l’atteggiamento di Leopold. Sapevo di tanti uomini facoltosi e importanti, che
nella stessa situazione abbandonavano al loro destino la loro amante e il
frutto della loro passione peccaminosa; mio marito, no.
Lui non fece nulla di simile.
Sentiva dunque, il peso della sua responsabilità?
Oppure la sua amante lo teneva in scacco, in qualche modo
poco ortodosso?
Sembrava che questa figlia avesse un’importanza estrema per
lui, quasi l’amasse più dei figli legittimi che gli avevo dato io.
Era qualcosa che non riuscivo a concepire.
Mi pareva un’ offesa verso i miei figli, a cui Leopold aveva
concesso sempre poco del suo affetto e scarse attenzioni, forse per dispetto
nei miei confronti.
Potrà sembrare contraddittorio, ma provavo un profondo
risentimento per mio marito, per quell’inganno che giudicavo perpetrato ai miei
danni, tradita nel mio orgoglio ed esposta al ridicolo e all’umiliazione se fosse
scoppiato uno scandalo.
Avevo sempre tollerato le avventure del mio consorte, finché
erano distanti e lontane dalla mia esistenza, perché anche in quell’ipocrisia
che era la nostra vita matrimoniale, evitavamo di comprometterci in situazioni
difficili oltre che scomode.
Ma una simile vicenda rimetteva tutto in discussione.
E io dovevo sapere la verità.
Dovevo sapere chi era questa figlia, dove era nascosta, chi
era la madre, questa donna misteriosa che si era insinuata così tanto nella
vita di mio marito, e cosa avrebbe potuto rivendicare per sé: titoli, potere,
denaro. Vicende che avevo già visto accadere troppe volte dentro i palazzi
della buona società. Vedevo già l’ombra del ricatto a cui non avrei mai voluto
cedere, allo scopo di ottenere favori dalla famiglia Recamier.
Spedii un mio messo sulla tracce del conte di Recamier, alla
ricerca di prove o documenti compromettenti. Pochi giorni e il messo tornò dopo
aver parlato con vari testimoni, ufficiali giudiziari e pubblici, tra cui il
giudice che aveva avallato l’adozione e il notaio che aveva autenticato il
certificato firmato da mio marito.
“La bambina è stata ufficialmente riconosciuta da vostro
marito, madame: ora porta l’illustre nome dei Recamier. Però non mi è stato
possibile scoprire dove sia e non si sa nulla della madre, la cui identità è
stata mantenuta segreta. I documenti devono essere nelle mani di vostro marito,
che li custodisce gelosamente.”
“Di madame Lisette De Marchard cosa mi potete dire? Potrebbe
essere lei la madre della bambina?”
“Forse, ma non è detto.Sappiamo solo che a suo tempo, il conte di Recamier pagò molti dei
debiti che gravavano sulle terre e proprietà della famiglia Marchard.”
“Debiti, avete detto?” chiesi costernata.
“Sì, signora contessa. Più che altro, ipoteche sui beni
immobili di famiglia. Una cosa abbastanza nota a molti, pare.”
“Oh! E perché io non ne sapevo niente?”
“Non lo so, signora contessa.”
Congedai il messo.
Dovevo avere quei documenti. Era una questione troppo intima
e delicata, dovevo occuparmene personalmente.
Il mistero si infittiva sempre di più e tutto pareva una
massa ingarbugliata impossibile da sciogliere, ma ne sarei venuta a capo. In
qualche modo.
Avevo bisogno di chiedere aiuto ad una persona fidata e non
mi venne in mente nessuno all’infuori di Oscar. E fu così che andai da lei.
Lungo il tragitto che da Parigi portava a Palazzo Jarjayes,
non potei fare a meno di pensare che stavo per rivedere André.
Avevo avuto poco tempo di pensare a lui, presa dagli ultimi
accadimenti, ma ora il ricordo delle ultime ore passate insieme, mi tornava
alla mente con prepotenza; se col pensiero sfioravo le immagini della notte in
cui avevo tentato di sedurlo, sentivo un fremito scorrere sotto la pelle e
accendermi un fuoco doloroso dentro il petto che, nonostante tutto, non
riuscivo a spegnere. Non avevo smesso di desiderarlo, di volere il suo amore
per me e non ero certa di volermi arrendere, perché ero ancora convinta che
Oscar non fosse capace di amarlo.
Avrebbe dovuto smentirmi lei stessa, cosa che non aveva
ancora avuto il coraggio di fare.
Quando la mia carrozza si fermò davanti all’entrata del
palazzo, la vecchia governante venne ad accogliermi.
“Cara Nanny, devo immediatamente vedere mia sorella, è in
casa?” dissi, avanzando spedita verso l’ingresso, mentre la governante mi
correva dietro cercando di mantenere il mio passo.
“Vostra sorella non è ancora rientrata da Versailles, ma
sarà qui a momenti.”
“Bene aspetterò. Non c’è neppure tuo nipote?” continuai
sfilandomi i guanti che posai su un mobile dell’ingresso. Davanti alla
specchiera posta alla parete, sfilai le forcine che trattenevano il mio
elegante cappello piumato.
“Andrè è con lei, la segue ogni momento, ultimamente. Sembra
quasi che le sia diventato indispensabile. Oh, quei due ragazzi io non li
capisco più, e anche Oscar è molto strana, da un po’, più inquieta del solito.
Tutta colpa del generale, vostro padre!” Borbottò con veemenza e io risi
sinceramente della sua ultima esternazione.
“Non cambi mai Nanny: non perdonerai mai mio padre per aver
allevato mia sorella come un uomo.”
La vecchia Nanny non aggiunse altro, scosse la testa
sconsolata e tornò dritta verso le cucine.
Speravo di avere un momento per parlare da sola con André,
ma non sarebbe stato facile con Oscar nei paraggi.
Non attesi molto, comunque.
E contrariamente a quanto mi sarei aspettata, fu André il
primo che incontrai.
Entrò nella piccola camera dove stavo aspettando il ritorno
di Oscar. Fu quasi sorpreso di vedermi, e non potei ignorare il balzo che fece
il mio cuore nel petto, appena lo vidi comparirmi davanti.
“Danielle, immaginavo che fossi tu. Ho visto la carrozza qui
fuori.” Esordì con un sorriso meraviglioso che ricambiai in modo spontaneo.
“Ciao, André. È bello rivederti.”
“Sono felice anch’io d’incontrarti di nuovo. Come mai sei
venuta?”
“Beh, il vero motivo è che oggi sono qui per parlare con
Oscar.”
Mi guardò solo un attimo, incerto.
“Non l’hai ancora vista? Ha lasciato le scuderie prima di
me; forse è stata bloccata nello studio del generale per una questione che riguarda
le nuove nomine delle guardie reali.”
Mi alzai dalla poltrona e vi avvicinai a lui con l’impulso
di abbracciarlo, ma mi trattenni dal farlo.
“Mi sei mancato, sai? Ho bisogno di parlarti; possiamo
vederci più tardi, da soli?”
“Ma hai appena detto che vuoi parlare con Oscar…”
“Sì, ma devo parlare anche con te: ci sono alcune cose che
ti devo dire.”
“Danielle, io non so se…”
“Ti prego! Ti prego, André, non dirmi di no; è importante.”
“Che cosa è importante?”
La voce di Oscar venne a interromperci in quel momento. Mia
sorella entrò nella sala e io sperai che non avesse sentito tutto. Notai
l’occhiata torva che lanciò al mio indirizzo, prima di puntare lo sguardo su
André per spostarlo poi, di nuovo, su di me.
“Parlavo della richiesta che sono venuta a farti, oggi – le
dissi decisa, - ho bisogno che tu mi faccia un grosso favore.”
“Che genere di favore?” mi chiese Oscar, accomodandosi in
poltrona davanti a me. Io feci altrettanto. Solo André era rimasto in piedi,
vicino alla parete ad osservarci.
“Vorrei tu facessi delle indagini per mio conto; ho bisogno
della massima discrezione. Si tratta di trovare una persona.”
Oscar mi scrutò con attenzione, mentre io iniziavo a tradire
un po’ di nervosismo.
“Sarà meglio che mi racconti tutto dall’inizio; ho bisogno
di avere maggiori informazioni possibili. Chi è questa persona? Perché la stai
cercando?”
Le raccontai tutto senza omettere alcun dettaglio. Le parlai
della conversazione tra Leopold e la sua amante, sentita da Ninette, delle ricerche
che avevo fatto fare per trovare le prove del tradimento di mio marito e
dell’esistenza della bambina.
“Vorrei che tu trovassi questa donna e sua figlia. Voglio
sapere chi sono e dove sono. – Mi alzai dalla poltrona, camminando avanti e
indietro. - Voglio far annullare il riconoscimento. E voglio sapere quanto
madame Marchard è coinvolta in questa storia; potrebbe essere lei la madre
della piccola.”
“Non capisco perché tu abbia bisogno di me per fare questa
cosa; potresti arrangiarti benissimo da sola. E se anche tu trovassi la
bambina, che penseresti di fare? Vuoi allevarla tu? Non stai pensando di farla
sparire, vero?”
“Oh, Dio Oscar! Certo che no! – Protestai inorridita. - Io
voglio solo proteggere i miei figli e tutelare il prestigio della famiglia
Recamier e il mio buon nome, quello dei Jarjayes. Non voglio che in futuro, una
bastarda qualunque possa a venire a reclamare per sé dei diritti. Non
permetterò mai che il nome dei Recamier venga associato a uno scandalo simile,
e tu dovresti aiutarmi Oscar. È anche nel tuo interesse.”
“Quanta veemenza, Danielle. Peccato che non sempre il buon
nome della famiglia sia tra le tue priorità, – ironizzò. - Comunque, io
preferirei non essere coinvolta nelle tue beghe famigliari; non ti serve il mio
aiuto, qui. Devi solo pagare un buon investigatore che faccia il lavoro.”
“Ti prego Oscar, ripensaci; mi fido solo di te. Non voglio
affidarmi ad un estraneo per una faccenda tanto delicata.”
“Ma, non lo so… - mia sorella si portò una mano alla tempia
continuando ad esitare. – Conosci già le intemperanze di tuo marito, e tu non
sei meglio di lui come esempio di fedeltà. Non capisco perché prendi tanto a
cuore questa vicenda.”
Notai l’occhiata critica che rivolse ad André che manteneva
il silenzio.
Parlai con calma e fermezza.
“Io non ho messo al mondo dei figli illegittimi, trascinando
mio marito nella vergogna. Ti prego Oscar, aiutami a trovare quella bambina.
Non ti chiedo altro e non dovrai fare altro che reperire informazioni che poi
mi comunicherai. Affronterò io quella donna e le sue pretese.”
Finalmente la convinsi.
“Va bene, ti aiuterò. Sei pur sempre mia sorella. Scoprirò
dove si trovano la madre e la bambina e te lo dirò, ma non farò nient’altro.”
La ringraziai.
Ero pronta per andarmene, ma non volevo farlo senza prima
parlare con André.
Dovevo vederlo. Da sola.
Con una scusa andai nelle cucine da Nanny; allontanai le
sguattere e chiesi alla governante, in via riservata, di mandare il nipote da
me, senza far sapere nulla a Oscar. Non mi preoccupai della sua espressione
perplessa, ma le ribadii con fermezza la mia richiesta.
“Hai capito, Nanny?”
“Certo madame. Farò come volete voi.”
Avrei atteso in carrozza all’esterno della tenuta.
Sostai una decina di minuti all’ombra del fogliame degli
alberi che crescevano sulla strada; André arrivò a piedi e quando fu vicino
alla carrozza, gli chiesi di salire in vettura, perché nessuno ci vedesse.
Tirai le tendine come ulteriore precauzione.
“Che cosa c’è Danielle? Perché hai voluto vedermi?”
“Continui a far credere a Oscar che io e te abbiamo una
relazione. Invece, tra noi non c’è niente… e Dio sa quanto vorrei che ci
fosse.”
André sospirò.
“Danielle, ti prego; non fare così…”
“Ho dei sentimenti, non posso soffocarli. Dovresti capirlo.
E tu così mi stai usando; non lo trovo giusto. – Continuai di fronte al suo
silenzio. - Intendi continuare a mentire a lungo, André? Come credi che reagirà
quando scoprirà la verità? Così rischi di perderla per davvero.”
“Mi dispiace, Danielle. È un rischio che devo correre,
perché lei capisca. Se fallirò, almeno avrò tentato. Come prima, non potrei
andare avanti; non sono più disposto a soffrire in silenzio, mentre un altro
uomo ruba il cuore di Oscar.”
Nel suo tono c’era insofferenza, forse stanchezza.
Mi avvicinai di più a lui, accostando il mio viso al suo,
sfiorandolo con una mano; i nostri occhi s’incontrarono e mi parve di leggere
nel suo sguardo verde un’ ombra d’incertezza.
“Ma a quale prezzo. Potresti ritrovarti con un pugno di
sabbia in mano. Insegui lei, e potresti avere me. Totalmente. Senza condizioni.
Cancellerei la tua sofferenza. Io ti amo, André. Ti amo come non immagini.”
Confessai per l’ennesima volta.
Non resistevo più.
Quando lo baciai, André esitò solo un momento, prima di
abbandonarsi con trasporto al mio bacio; sentii le sue mani accarezzarmi il
viso, le braccia avvolgermi e io mi aggrappai a lui, vinta dall’ardore che mi
assaliva.
Quando le nostre labbra si separarono, le sue braccia
continuavano a stringermi convulse.
“Oh André, caro. Potremmo
essere felici se tu volessi. Possiedi già la mia anima.” Bisbigliai sulla sua
spalla vicina al suo orecchio, mentre i suoi ciuffi ribelli mi solleticavano la
pelle.
“Oh, Danielle, faccio una fatica immensa a lasciarti andare.
Sei così bella, così donna. Se Oscar avesse solo un grammo del tuo coraggio…”
Si separò da me bruscamente e in quell’ attimo forse qualcosa si strappò dentro
di me.
“Ma no. Non posso, per quanto io senta di desiderarti. Ti
prego, non insistere ancora.”
Prima che potessi sperare di trattenerlo, era già sceso
dalla carrozza lasciando vuote le mie braccia del suo corpo.
“André, no! Per favore, resta. Aspetta!” Lo implorai
inutilmente, sporgendomi oltre il finestrino.
“Vai a casa, Danielle. –Afferrò una delle mie mani che tendevo verso di lui e la baciò con
devozione. – Vai a casa, ti prego.”
“André!”
“Va via, Danielle.”
Profonda amarezza in poche parole.
Rimase fermo vicino agli alberi, a guardarmi con una strana
espressione triste, mentre la carrozza si allontanava dondolando lungo il
sentiero. Sentivo le lacrime salire ai miei occhi mentre il dolore aggrediva il
mio animo in un modo tale, che non avrei creduto possibile soffrire di più.
Non sapevo ancora, che nonostante tutte le mie accortezze,
il nostro incontro non era passato inosservato; Oscar, nascosta tra la fitta
boscaglia, aveva visto il suo attendente salire e scendere dalla mia carrozza.
Era quanto bastava ad alimentare ulteriori sospetti in lei, oltre la sua
formidabile, pericolosa gelosia.
Continua…
Eccomi qui, non ci speravate più, eh?
Invece torno a tormentarvi con questa storia.
Il titolo è un po’ banalotto, ma non mi veniva in mente altro.
In questo capitolo non succede nulla di eclatante – a parte
Fersen che finalmente lascia definitivamente la mia storia - e allo stesso
tempo, da qui prendono il via tutta una serie di cose che scateneranno gli
eventi successivi. Voglio farvi una piccola anticipazione e vi dico che già il
prossimo cap. potrebbe essere col botto.
Provate a immaginare perché…
Non conosco le procedure legate alle adozioni nel ‘700, quindi
prendete tutto come una licenza letteraria. Se ne sapete più di me,
illuminatemi.
Forse vi ha sorpreso l’atteggiamento di André, che potrebbe
sembrarvi ooc… ma più ci pensavo, più lo vedevo comportarsi così con Danielle.
In fondo, lei è la gemella di Oscar, una facile tentazione per lui, che non si
risolve facilmente.
Ragazze, grazie sempre infinite per tutti i commenti, per
l’attenzione che prestare alla storia e per l’entusiasmo che mi dimostrate
leggendola. Spero che continui a piacervi, ma se per qualunque cosa non vi
convincesse, non esitate a lasciare le vostre impressioni che tante volte mi
sono state d’aiuto.
Capitolo 16 *** Quello che c'è tra rabbia e passione ***
16
16 –Quello che
c’è tra rabbia e passione.
Volevo regalarvi il capitolo prima della fine del mondo, magari.
Buona lettura.
***********
Tornava
verso casa attraverso il giardino a passo rapido.
Non
voleva che lui la scoprisse, né che l’accusasse di fare la spia.
Erano
stati i modi della sorella a insospettirla: aveva avuto la precisa sensazione
che volesse nasconderle qualcosa. E non si era sbagliata. Per caso aveva notato
Andrè allontanarsi attraverso la porta sul retro, e la voce insistente di un
diavolo maligno le aveva suggerito di seguirlo all’esterno della tenuta. E lei
aveva dato ascolto a quella vocetta perfida.
Nascosta
tra il fogliame aveva riconosciuto la carrozza ferma sulla strada con una
stretta al cuore.
Cercava
di non pensare a quello che aveva visto, ma ogni dettaglio di quell’incontro le
tornava alla memoria, ossessionandola.
Se
cercava di non pensarci era solo peggio.
Aveva
un tarlo nella testa, frutto dell’immaginazione più perversa che correva a ciò
che non aveva visto, alle parole che non aveva udito, alle promesse segrete
sigillate da quel bacio devoto sulle mani; l’idea di baci più ardenti dentro la
carrozza la faceva impazzire di rabbia, il richiamo delle voci roche di
desiderio e sofferenza, le mani convulse a cercare la pelle dell’altro, quelle
grandi e calde di Andrè che lei ricordava così bene sul suo corpo.
Quelle
stesse mani toccavano Danielle, e immaginava la sorella scatenare la brama
dell’uomo con sapienza che lei non possedeva.
Non
sapeva cosa l’avesse trattenuta dal precipitarsi verso la carrozza per
sorprenderli, mentre sentiva il respiro accelerare. Ringraziava il cielo di non
aver avuto una spada.
Nelle
ore successive cercò di evitare il suo sguardo finché poté, comportandosi
normalmente, ripromettendosi di affrontarlo seriamente quella stessa sera, da
sola e senza possibili testimoni; forse sarebbe stata più calma e non si
sarebbe fatta trascinare dalla rabbia che la tormentava.
Così
sperava, o forse s’illudeva.
Gli
avrebbe parlato con severità e autorevolezza proprio come avrebbe fatto con uno
qualsiasi dei suoi sottoposti. Cosa c’era di difficile? Avrebbe ragionato con
lui e Andrè avrebbe capito, perché in fondo, era sempre stato più saggio e
riflessivo di lei.
Doveva
solo aspettare.
Allora
perché non riusciva a concentrarsi sulle pagine del libro che teneva in mano e
fissava come se non vedesse, mentre non vedeva altro che Danielle e Andrè
dentro quella carrozza?
Il
pensiero di loro due era un aculeo velenoso piantato dentro l’animo.
***********
Leopold
era arrivato a Chassillè da un paio di giorni e aveva viaggiato con l’ansia di
non giungere in tempo. Lo aveva rallentato una pioggia fitta e fastidiosa, che
aveva reso le strade della campagna una poltiglia di fango in cui affondavano
gli zoccoli dei cavalli e le ruote della carrozza, ma il sole tiepido
dell’autunno lo aveva accolto alla piccola residenza dei Marchard.
La
bambina era fuori pericolo.
La
febbre si era abbassata e Lisette la guardava dormire tranquilla nella culla,
dove l’aveva appena deposta, avvolta dalle coltri. Con una mano faceva
oscillare lieve il giaciglio dove la piccola riposava, mentre intonava una
sommessa ninnananna.
Leopold
era dietro di lei e contemplava la creatura. Il camino era acceso e spandeva un
liete tepore nel piccolo ambiente intimo. Su un tavolo accanto era posata la
borsa di cuoio contenente i documenti del riconoscimento.
“Questa
è la grazia più grande che il buon Dio potesse farmi.”
Sospirò
il conte alleggerito da un peso.
Lisette
si era girata verso l’uomo, senza allontanarsi dalla culla.
“Prima
che arrivaste ho temuto davvero il peggio; Margot stava molto male, il medico
aveva già tentato di tutto… disperavo che potesse superare la notte e che
avrebbe raggiunto la sua povera mamma. Ma non è accaduto e ringrazio il cielo
per questo…”
“E
non accadrà. Perdere Isabeou è stato un dolore atroce che voi avete mitigato,
madame… non credevo che sarei stato capace di amare di nuovo. Ora non perderò
mia figlia, - con l’indice sfiorò delicatamente la fronte della bambina
addormentata – non potrei sopportarlo.”
Osservò
la bimba con tenerezza prima di lasciarsi andare a un commento denso di
rimpianto.
“Margot
Celine di Recamier… mia figlia; ha gli occhi di sua madre.”
“Già,
quanto è vero…” ammise Lisette tristemente.
“Sarebbe
tutto perfetto se voi poteste diventare mia moglie.”
“Questo
temo sia del tutto impossibile, per quanto resti un desiderio che divido con
voi. Dobbiamo accettare la realtà, Leopold; vostra moglie non vi concederà mai
il divorzio. Pensate all’impatto che avrebbe in società, allo scandalo che ne
verrebbe… La contessa farà di tutto per evitarlo, accetterà l’adozione segreta,
piuttosto.”
Il conte si avvicinò alla finestra per
osservare il piccolo giardino con le siepi di rose selvatiche che crescevano
spontaneamente, decisamente più modeste di quelle arroganti e superbe per
bellezza, curate dai giardinieri di Villa Recamier.
“Non
sono tanto sicuro di questo. Se trovassi il modo di accusarla di adulterio,
potrei avere facilmente ragione di lei; allora sarebbe facile ottenere il
divorzio.”
“La
contessa è sempre stata più astuta di voi, in queste situazioni, dovete
riconoscerlo. Inoltre vi sfuggono certi particolari che una donna sa cogliere
molto meglio.”
“Non
so a cosa vi riferite, madame.” Osservò perplesso.
“Quando
eravamo a Villa Recamier avevo strane sensazioni di fronte a vostra moglie e la
sua gemella… come se a volte non fossero la stessa persona. Ricordate quel
pomeriggio che siamo usciti a cavallo e le abbiamo incontrate nel parco?
Addirittura ho pensato che si fossero scambiate i ruoli! Assurdo vero? – La
donna rise un po’ nervosamente -Ma era
solo la mia fantasia sovreccitata, suppongo.”
Leopold
non riuscì a prenderla sul serio.
“Oh,
è perché mai avrebbero dovuto fare una cosa simile? Escludo che mia cognata possa
vestirsi come una dama, senza apparire goffa e impacciata; si sarebbe tradita
subito, inciampando nell’orlo della veste. – Rise il conte. – Poi Oscar non si
presterebbe mai a nulla di simile! L’educazione ricevuta dal mio bizzarro
suocero l’ha resa un soldatino troppo rigido e severo; Oscar è ligia al dovere
e nient’altro. No, vi siete sbagliata mia cara.”
Lisette
non volle insistere, in fondo era un fatto senza importanza che non la
riguardava. Eppure si sarebbe soffermata ancora su quel pensiero. E forse,
chissà, ne avrebbe tratto vantaggio in futuro.
Sorrise
indulgente all’uomo di fronte a lei.
“Probabilmente
avete ragione. Non badate a ciò che ho detto.”
Un
cameriere bussò alla porta, distraendo la coppia.
“Scusate
signor conte, madame, ma di là in anticamera c’è un uomo che viene da Parigi:
dice di portare notizie urgenti che riguardano strettamente il conte di
Recamier.”
“Fatelo
accomodare in salotto, il conte lo riceverà subito.” Rispose Lisette
prontamente.
Il
messo sopraggiunto a Chassillè aveva l’incarico di avvisare Leopold se a
Parigi, qualcuno avesse fatto domande sulla bambina e il suo riconoscimento. Fu
scrupoloso nel suo rendiconto circa le prime reazioni della contessa che non
sembrava disposta ad accettare gli eventi senza opporsi.
Allontanato
il messo, Lisette raggiunse il conte nel salotto. Lo trovò che camminava a
piccoli passi con le mani dietro la schiena e l’aria preoccupata: intuì che non
erano belle notizie quelle arrivate da Parigi e Leopold le confermò i suoi
sospetti più cupi.
“Vostra
moglie sa di Margot, è così?”
L’uomo
si limitò ad un cenno affermativo del capo. Lisette fece un passo verso di lui,
appoggiando una mano allo schienale di una poltroncina.
“Dobbiamo
temere per la piccola? Cosa pensate che possa accadere?”
“Se
conosco Danielle cercherà di far annullare l’atto dell’adozione… forse sarebbe
meglio nascondere la bambina altrove, insieme ai documenti.”
“La
piccola è ancora troppo debole per spostarla; potrebbe tornarle la febbre. Non
possiamo mettere a rischio la sua vita.”
“Detemi
che cosa temete. Dovete essere onesto con me, Leopold.”
Lo
esortò, notando la sua strana reticenza e quando l’uomo parlò le parve di
soffocare per lo spavento.
“Tanti
bambini come Margot spariscono dentro i conventi e nessuno sa più nulla di
loro; il silenzio di frati e suore viene comprato con sostanziose borse di
denaro. Tra l’alta aristocrazia si usa di frequente questo sistema per
nascondere i frutti di relazioni scabrose e compromettenti. Molto più raramente
si arriva al delitto, ma ci sono persone prive di scrupoli e…”
“Oh,
Dio, no! - Esclamò Lisette, portandosi le mani al volto. –Sarebbe tanto crudele da far del male ad una
bimba innocente? State dicendo che potrebbe farla rapire? Non voglio credere
che oserebbe tanto. Non mi pare una donna così spietata.”
Leopold
osservò serio l’espressione atterrita della sua compagna.
“Non
lo credo neppure io, ma sarò onesto: non so prevedere la reazione di mia moglie
ad un’ offesa di questo genere. - Scosse la testa scettico e indeciso. – Voglio
provare a parlare con Danielle e farla ragionare. Dal momento che sa tutto,
sarebbe inutile mentirle: rischieremmo di irritarla solo di più. Tornerò aParigi. Voi restate con la bambina e non
perdetela mai di vista. Lascio i documenti nelle vostre mani: nascondeteli in
un luogo sicuro e non dite a nessuno dove si trovano.”
“Farò
come dite, però mi chiedo come pensate di placare l’orgoglio tradito di una
donna come la contessa Danielle di Recamier.” Chiese con apprensione,
stringendo la spalliera della poltrona in modo convulso.
“Troverò
un modo. Per mia figlia lo troverò.”
Rispose
l’uomo, e Lisette pensò che Leopold non le era mai sembrato così determinato.
**************
Era
passata ormai l’ora di cena; non aveva mangiato con appetito.
Lo
aspettava nella sua stanza, mentre fuori il buio scivolava oltre i vetri
schermati dalle tende pesanti, ma l’ambiente era rischiarato dalla luce fulgida
delle candele. Ne aveva accese più di quante ne occorressero e non sapeva bene
perchè.
Forse
temeva le ombre, quelle che si disegnavano sul suo cuore. Quelle oscure dai
contorni vaghi e informi.
Lo
aveva fatto chiamare dalla governante per portarle un tè caldo prima di mettersi
a letto.
Nell’
attesa si era messa a suonare il piano.
Avvertiva
una pesante tensione alle spalle e faceva correre le mani sui tasti, sperando
che la musica sciogliesse i suoi nervi tesi, e chiudeva gliocchi per farsi catturare dalle note che
saturavano l’aria.
Sperava
la trasportassero altrove.
Ma
apriva gli occhi e la tensione era ancora lì e non voleva andarsene.
Finalmente
sentì i suoi passi fuori nel corridoio, poi dei colpi leggeri alla porta e la
sua voce che la chiamava.
Un
tintinnio di porcellane su un vassoio d’argento. Lo confuse con un brivido del
suo cuore.
Lo
invitò ad entrare, pacata, ma non sollevò lo sguardo dai tasti bianchi e neri.
Lo sentì posare il vassoio sul tavolino vicino. Minuti d’interminabile silenzio
che nessuno voleva spezzare e Oscar comprese che sarebbe toccato a lei farlo.
Abbandonò il piano e si avvicinò al tavolino per prendere la tazza di
porcellana; la portò alle labbra e nel gesto, alzò lo sguardo su di lui e si
accorse che la stava fissando.
Forse
fu quel modo enigmatico e insieme sfrontato che aveva lui di guardarla, a farla
arrabbiare ancora di più. E capì che lui si aspettava qualcosa e si stava
preparando a un probabile scontro.
Nel
breve silenzio, solo il suono della tazza posata sul piattino di porcellana.
“André,
dobbiamo parlare molto seriamente.”
“Ero
certo che non mi avessi fatto chiamare solo per portarti una tazza di tè…”
“Benissimo.
Allora se lo sai, sarà tutto più semplice. – Gli voltò le spalle e si avvicinò
al piano continuando a parlare. - Ultimamente sono molto insoddisfatta di te e
del tuo comportamento. Devi avere chiaro che non posso tollerare atteggiamenti
troppo disinvolti sotto il mio tetto da parte della servitù.”
Avvertì
tutta la meschinità di quelle parole subito dopo averle pronunciate, ma non
riuscì ad essere meno dura.
E
lui reagì di conseguenza, sfidandola con la sua ironia amara.
“Improvvisamente
sono diventato solo un membro della servitù, Oscar? Che illuso. Credevo che
l’amico venisse prima del servo. Credevo di avere la tua fiducia.”
Sì
voltò di scatto verso di lui.
“Smettila!
Sei tu che mi costringi a prendere questa posizione!”
“Io
non ti costringo proprio a fare niente, Oscar; se hai da ridire sul mio lavoro
è una cosa, quello che faccio nel privato, beh,non riguarda te.”
“Mi
riguarda eccome, invece! Mi riguarda molto da vicino! Più di quanto credi! Mi
riguarda perché sai benissimo di non essere solo un servo, André, e sei legato
a me a filo doppio, hai capito?!”
Gli
sibilò sul viso, la voce incrinata dal dolore, prima di allontanarsi da lui di
qualche passo, con uno scatto nervoso. Ricordò con ironia le parole identiche
di Danielle, la notte che aveva tentato di sedurlo, solo dette in tono diverso.
“Eccola
qui, l’arroganza tipica della tua casta! Retrocesso da amico a proprietà
privata.”
“Non
osare discutere con me, André! Non ho bisogno di lezioni da te!”
Andrè
la inseguì, si fermò a un metro da lei, mentre Oscar si aggrappava tenacemente
a una colonna del letto a baldacchino dandogli le spalle.
E
pensò che se quella sera dovevano cadere le maschere, bisognava chiudere quella
rischiosa farsa a cui lui stesso si era prestato.
“Dove
ho mancato? Sono al tuo completo servizio, sempre, ogni singolo secondo della
mia esistenza. Non ti basta? Ti disturba che io possa volere qualcosa solo per
me stesso? Perché è di questo che stiamo parlando, mi sembra…”
“No,
André! Stiamo parlando della tua intenzione d’intrattenere una relazione
clandestina con Danielle! L’ hai incontrata di nascosto proprio qui! In casa
mia! - Oramai era furiosa, non cercava nemmeno più di contenere la rabbia. -
Vorresti negarlo? Vi ho visti nella carrozza!”
André,
colto di sorpresa, non rispose; il suo silenzio la irritava solo di più e non
riusciva a smettere di vomitargli addosso ingiurie e accuse.
“Dio,
se penso che poteva sorprendervi mio padre in persona! Mia sorella dev’essere
uscita completamente di senno. Dove avverrà il vostro prossimo incontro? A casa
sua, a Parigi? O magari nei suoi appartamenti riservati a Versailles, mentre io
sono impegnata a corte! Complimenti per l’audacia: attendente di una sorella e
amante dell’altra!! Ma che razza di uomo sei, eh?”
Era
fermo e rigido di fronte a lei, troppo ferito da quelle parole cattive,
immobile come una statua, ma una statua pronta a scheggiarsi. E il colpo
decisivo arrivò dritto come una palla di cannone in pieno petto.
“Sei
diventato come quei nobili debosciati che frequentano la corte! Come hai
potuto? – Altro silenzio. - RISPONDIMI ANDRE’! DEVI RISPONDERE!”
Urlò,
lasciando esplodere l’ira che le divorava il cuore. Il suono dello schiaffo
violento echeggiò tra loro. Al primo ne seguì un secondo, finchè Oscar cominciò
a tempestarlo di pugni sul petto con una furia selvaggia e incontenibile.
“Non
puoi André! Non con lei, te lo proibisco! Non voglio! Non voglio assolutamente
che lei si metta fra noi! Non devi incontrarla mai più!”
Sotto
quell’assalto forsennato di colpi e parole, André si sbilanciò quasi fino a
perdere l’equilibrio, e per un momento fu incapace di reagire, troppo
impreparato ad una simile reazione. Incassò ogni colpo in silenzio e più lui
stava zitto, quasi inerme, più Oscar pareva diventare una furia. Non contenta,
con cattiveria riprese a colpirlo sul viso, a gridargli addosso la sua rabbia.
“Dì
qualcosa, almeno! Difenditi! Parla maledizione! Perché non dici niente? Non hai
il coraggio delle tue azioni neppure con me?”
Nella
testa di André si aprì uno spiraglio e tra i suoi pensieri confusi e feriti, si
fece spazio l’idea che quell’esplosione di rabbia, altro non era che una ceca
gelosia.
Una
gelosia dettata da una passione estrema, quanto segreta. E lui decise di
mostrarle la sua passione. Quella più autentica e vera.
La
afferrò per i polsi per bloccarla e impedirle di colpirlo di nuovo.
Poi,
col peso del suo corpo la spinse all’indietro fino a cadere con lei sul letto.
Lottò per tenerla ferma, sotto di lui, mentre la sentiva muoversi contro la sua
virilità che si ridestava; per un attimo gli parve che lei volesse arrendersi,
ma scacciò in fretta quella sensazione. Cercò di mantenere la calma e provò a
farla ragionare.
“Calmati
Oscar! Devi calmarti, adesso!”
“Non
dirmi di calmarmi! - Oscar non voleva saperne e continuava a dimenarsi come un’
ossessa, per quanto il corpo di André che gravava su di lei glielo consentisse.
- Lasciami André!” Strillò esasperata.
“Così
mi prendi a pugni di nuovo? No, grazie. Calmati e stammi a sentire; per quanto
possa essere desiderabile, io non voglio Danielle. Non è successo niente di
quello che credi, non le ho dato nessun appuntamento! Abbiamo solo parlato.”
Continuava
a trattenerla per i polsi, con le braccia ai lati della testa, imprigionandola
sotto il suo peso, avvertendo le sue linee morbide e la fissava dritto negli
occhi; quelli di Oscar lanciavano fiamme, ma gli pareva che volessero piangere.
Non smetteva di opporre resistenza, ma lui voleva solo che lei si calmasse,
mentre cercava di non dare ascolto ai segnali che giungevano dal suo corpo.
“Sei
un bugiardo! Per parlare dovete incontrarvi di nascosto, come due ladri? Ho
visto il modo in cui vi siete lasciati, non aveva l’aria di un addio!”
Lo
accusò irosa a pochi centimetri dal suo volto.
“Non
sto mentendo, Oscar. Dimmi, cosa vuoi che faccia, per dimostrartelo? Devi solo
chiedere. – E dopo quelle parole, finalmente la sentì cedere ed emettere un
ansito. Non lottava più, e lui, cautamente allentò la stretta attorno ai polsi
sottili e forti, sollevandosi un poco su di lei. E trovò il suo sguardo. - Per
te ho sempre fatto di tutto. Ti ho dato tutto me stesso, il mio sangue, il mio
respiro, la mia vita. Perfino i miei pensieri ti appartengono. Danielle non ha
nulla di tutto questo.”
Lei
rimaneva stranamente immobile; lo ascoltava senza smettere di fissarlo con
quello sguardo acceso che lo incatenava addosso a lei. Qualcosa in quello
sguardo lo bloccava, come se non avesse la forza di alzarsi. E cercava
disperatamente un pensiero qualsiasi che venisse a sollevarlo da lì, a
liberarlo dalla consapevolezza dolorosa del suo morbido corpo di donna.
Ma
non ne trovava. Trovava solo quegli occhi aperti, fissi su di lui, troppo
trasparenti per nascondere ciò che l’anima chiedeva; tradivano eccitazione ed
evidente desiderio, ora.
Che
ricordavano, come ricordava il suo corpo, altre carezze lasciate su un altro
letto.
E
trovò tristezza nella sua voce, quando lei parlò.
“Ma
sta cercando di prenderselo… Sta cercando di portarmi via l’unica cosa davvero
importante che abbia avuto in questa mia vita assurda; è sempre stata brava in
questo. Prima o poi, ci riuscirà. E io non posso, André. Non posso permetterlo.
Non posso perderti e lasciare che lei ti trascini via, senza tentare
d’impedirlo.”
“Cosa
vuoi, Oscar? Dimmelo. Non ti negherei nulla…” Un sussurro che le scese nel
cuore. E lo aprì.
E
lei finalmente si sentì libera di dar voce alla sua passione.
“Fingi
di amarmi, André.”
“Cosa?”
“So
che tenti di resisterle, o almeno ci hai provato. Se lei è la tua ossessione, fingi di amarmi come fossi
lei. Forse guarirai dal suo sortilegio e ti riavrò per me...”
Non
le rispose subito, ma restò immobile contro di lei, mentre il cuore perdeva un
battito, una coscia tra le sue gambe, con la stretta attorno ai polsi
allentata, perso ad assimilare quelle parole sincere e inaspettate.
E
le restituì parole altrettanto vere ed emozionate.
“Danielle
non è la mia ossessione, Oscar…”
“Fingi
di amarmi lo stesso, André… Puoi farlo?” Sentì la supplica nella voce.
“E
se io non volessi fingere, Oscar? Se volessi amarti per davvero, come una
donna? Se volessi farti sentire tutto il trasporto che brucia il mio sangue,
tutto l’ardore che nascondo, che posso rivelare solo a te… Sapresti accettarlo?
Perché la mia vera ossessione sei tu, e questo Danielle lo sa benissimo…”
-Ma tu hai detto di amarmi, mentre ero nei panni di lei…
“Dici
davvero, André?”
“Mai
stato più serio. Posso dimostratelo questa notte, se tu vuoi…- le sussurrò
vicino alle labbra. – Devi solo dirmi di restare…”
Poteva
non esser vero, ma a Oscar non importava. André era lì con lei sul letto e
voleva solo che lui restasse. Sentiva il desiderio scorrere tra i loro corpi e
voleva che fosse con lei e non con Danielle. Socchiuse gli occhi nell’attesa
del contatto delle loro labbra, mentre emetteva un sussurro roco.
“Resta
André…”
E
non ci furono altre parole, ma solo le loro labbra fuse insieme. E baci
ovunque.
Profondi
e intensi quanto la passione che consumava timori e paure.
André
scese con la bocca lungo lo scollo della camicia, mentre le dita lunghe di
Oscar si infilavano tra i capelli corvini. E le mani iniziarono a inseguirsi e
a correre sopra i vestiti sfilati in fretta e poi sulla pelle nuda.
Oscar
ricordava così bene il calore e la pelle un po’ ruvida delle mani di André, le
riscopriva di nuovo, più audaci eppure tenere; seguivano le curve del suo corpo
che si plasmava sotto le carezze come argilla, salivano lungo i fianchi, scendevano
sull’interno delle cosce, giocavano sul suo addome e accoglievano i suoi seni
quasi volessero proteggerli.
Le
regalavano brividi intensi e le facevano sperare che lui non si fermasse mai.
Nello
stesso modo, lei scopriva con meraviglia il suo corpo di uomo, percorrendo con
le dita sottili la schiena forte, i glutei, le cosce agganciate alle sue, le
sue braccia che la stringevano.
E
il peso del corpo del suo uomo le sembrò leggero mentre entrava dentro di lei e
le toglieva il respiro regalandole ondate di piacere quasi sconosciuto. E lui
non smetteva di baciarla mentre la faceva sua, scacciando ogni paura.
Si
fermò solo un istante, quando la sentì emettere un gemito più forte, e parlò,
accostando la fronte a quella di lei.
“Ti
ho fatto male? Vuoi che mi fermo, Oscar? Posso fermarmi, se vuoi…” sospirò lieve.
“No,
ti prego… è già passato. Continua ad amarmi, non fermarti… Non adesso.” Lo
supplicò, quasi.
Allora,
con gioia sentì gli affondi diventare più intensi, e il piacere scivolò lento e
crebbe in lei come la sabbia in una clessidra, colmandola, mentre il suo corpo
si adattava con naturalezza a quello di André, seguendo il ritmo magico di
quella danza antica ed esaltante finché non raggiunse il suo culmine.
Alla
fine si ritrovarono arresi ed esausti uno sull’altro, tra le lenzuola sfatte
che avevano accolto il seme di André.
Scivolò
accanto a lei per farla riposare; nel silenzio contemplò lo sguardo acceso,
l’espressione appagata e felice, i ricci umidi sulla fronte, il seno
bellissimo, un giglio candido offerto impudico all’aria, il suo respiro che
rallentava attraverso le labbra schiuse.
Con
due dita le accarezzò una guancia.
Un
lembo del lenzuolo la copriva lì, dove lei era diventata donna con lui.
Fuori
dalle finestre, il buio celava ogni cosa e le candele nella stanza erano per
metà consumate, ma avrebbero continuato a bruciare ancora a lungo. Come i loro
corpi avrebbero bruciato di desiderio e voglia.
La
danza dell’amore avrebbe ripreso con nuovo vigore ed energia e si sarebbe
protratta fino all’alba, con nuove carezze tenere e audaci ad esplorare la
pelle calda, e baci affamati di nuovi sapori.
E
intense ondate di piacere avrebbero trasportato le anime in alto.
*********
Erano
riusciti anche a dormire per qualche ora solo alle prime luci dell’alba.
Forse
era stata la stanchezza, quel torpore tipico che prende le membra dopo l’amore.
Si
erano risvegliati con i primi raggi di un sole pallido che entrava attraverso i
vetri. Oscar aveva aperto gli occhi con la vaga idea di un sogno che scompariva
dietro le palpebre, ma aveva voltato la testa sul cuscino trovando a sfiorarla
il suo profilo; lo aveva guardato dormire, con i ciuffi di capelli neri che
ricadevano sulla fronte e sugli occhi ancora chiusi. Poi si era soffermata sul
torace nudo; aveva alzato uno mano, le era venuta la tentazione di sfiorarlo. E
di nuovo si era sorpresa di quanto André fosse bello e terribilmente seducente.
Quanto poteva dare ad una donna: ti entrava dentro, in ogni senso, sotto la
pelle, nella testa e nel cuore. Non poteva guardarlo senza pensare ad altro.
Allora,
ogni dettaglio piccante e proibito di quella notte aveva acquisito sostanza
nella sua mente, pensando a tutto quello che avevano fatto, che lui le aveva
fatto sotto le lenzuola. Nessun pudore lo aveva fermato.
Non
sarebbe più riuscita a guardarlo in un modo che non fosse quello.
Un
pigro sorriso si era piegato sulle sue labbra.
-Accidenti, André… ci sai proprio fare…
Pensò
tra sé. Ma lei non sapeva se fosse stato amore o solo voglia da soddisfare.
Ossessioni da cancellare.
Sei
tu la mia vera ossessione, le aveva detto. E all’improvviso ebbe paura di non essere altro che
quello, che lui non fosse altro che quello, l’unico uomo da non lasciare alla
sorella, un dubbio che non poteva sostenere.
Che
cos’erano loro, adesso? Cosa erano diventati, dopo questa notte di dolce
follia? Cosa non erano più?
André
si mosse nel letto, segno che si stava svegliando.
Un
istante dopo, aprì gli occhi e incontrò lo sguardo ceruleo che lo stava
osservando. La luce bianca entrava nella stanza illuminando il pulviscolo
nell’aria, e investiva tutto col suo candore; tutte le ombre erano sparite.
Non
c’era più nulla che si potesse nascondere, né maschere che si potessero
portare.
“Buongiorno
Oscar.”
Lei
era stesa su un fianco, un braccio nudo fuoriusciva da sotto il lenzuolo,
abbandonato di lato vicino al volto.
“Buongiorno
André…”
Improvvisamente
avvertì l’imbarazzo della situazione; c’erano parole che sentiva l’urgenza di
dire, ansie da svelare. André era rilassato, ma stranamente serio; sembrava in
attesa.
In
verità, aspettava che lei parlasse. Ma lei non riusciva a infrangere quel
silenzio momentaneo e sentiva addosso una velata, inspiegabile tristezza.
Lui
lo capì, e ne fu preoccupato.
“Dimmi,
vuoi che me ne vada? Hai bisogno di restare sola coi tuoi pensieri?”
“No,
perché me lo chiedi?” chiese, avvertendo il piccolo nodo in gola che non voleva
sciogliersi.
“Mi
sembri strana… - Lui sospirò guardando il soffitto. – É per quello che abbiamo
fatto?”
Lei
si mosse per girarsi sull’altro fianco e sottrarsi al suo sguardo, poi afferrò
e strinse convulsa un lembo del lenzuolo con le dita, prima di parlare.
“André,
io so che hai confessato il tuo amore a Danielle. Lo so, perché me lo ha detto
lei… Ma stanotte l’hai passata con me.” Le tremò impercettibilmente la voce, e
non avrebbe voluto.
Bastò
quel tremito e per André fu tutto chiaro in meno di un istante; nel non detto
c’era tutta l’incertezza e la confusione di Oscar. In fondo, le parole tra loro
non erano mai servite.
-Ecco il momento in cui gli attori in scena calano la maschera, pensò André.
Era
giunto il momento di mettersi a nudo. E mostrarsi indifeso.
“No,
non è vero. Danielle non può averti detto nulla del genere; se lo ha fatto è
solo una bugiarda. L’unica donna a cui ho detto ti amo, sei tu, Oscar. –
Si era sollevato su un gomito sporgendosi verso di lei che continuava a dargli
le spalle, apparentemente immobile e imperturbabile. – Io ti amo Oscar. Te lo
dissi anche quella mattina, poco prima di rubarti un ultimo bacio e fuggire
come un ladro dalla stanza di tua sorella, a Palazzo Recamier. Te lo ricordi,
Oscar? Te lo ricordi il modo in cui ti ho spogliata? Come ti sei sentita fra le
mie braccia? Come sei stata sul punto di cedere? Ti volevo da morire… Sai che
fatica è stata per me lasciarti andare?”
Lei
restava immobile. Lui non poteva vedere la sua espressione incredula, gli occhi
dilatati per lo stupore.
Avvertiva
un miscuglio di emozioni confuse assalirla: delusione, sconforto, gioia,
disappunto, tenerezza. Una lieve vergogna e un pizzico di rabbia perché si
sentiva ingannata, proprio da lui. Poi una leggerezza del cuore inaspettata. Si
voltò soltanto quando avvertì la sua mano calda posarsi sulla sua spalla nuda.
Allora, incontrò la sincerità un po’ spavalda di quello sguardo ombroso e si
trovò disarmata.
“Stai
dicendo che tu sapevi? Avevi capito che ero io? Ma io credevo che…”
“Sì,
Oscar. Sapevo che eri tu, dentro i panni di Danielle.”
Subito
non seppe rispondergli, poi un lieve risentimento si fece strada in lei.
“Non
riesco a credere che tu lo abbia fatto. Mi hai ingannata di proposito… - lo
accusò – per arrivare a questo?”
“È
questo che credi? Io volevo solo arrivare al tuo cuore, Oscar. Io non mentivo,
assecondavo solo il tuo gioco. Non ho mentito neppure questa notte. Ti amo:
questa è la verità, ed è l’unica giustificazione che posso darti. Tu, invece?
Che scusa troverai per il tuo inganno?”
“Oh,
facile mettere le cose in questo modo, adesso!” Esclamò lei, come immediata
risposta.
Infatti
lei non riusciva a trovarne, o forse si vergognava a confessare che tutto era
iniziato per il suo capriccio verso Fersen. Però qualcosa le sfuggiva e non
riusciva ad immaginare come lui avesse intuito la verità.
La
mia vera ossessione sei tu… Danielle lo sa benissimo…
Cosa
sapeva Danielle di questa storia? Cosa sapeva dei sentimenti di André? La sua
gemella era la chiave dell’enigma.
Sentiva
calare nuovamente il silenzio mentre l’accusa di Andrè era rimasta sospesa fra
loro.
Lei
non poteva permetterlo.
“Non
volevo ingannarti André, né giocare coi tuoi sentimenti. Mi devi credere. Non
era quello il mio scopo… Mi puoi dire come hai fatto a capirlo?” Chiese,
tornando a fissare lo sguardo altrove.
Ma
quella era l’unica domanda a cui lui non poteva rispondere. André si abbassò di
nuovo contro i cuscini.
“Penso
di averlo capito perché ti conosco bene, Oscar.”
Era
una risposta troppo vaga per lei.
C’era
qualcosa che André non voleva dirle. Lei non volle insistere, ma neppure
avrebbe rinunciato.
Repentinamente
lui cambiò discorso.
“Cosa
prevede la nostra giornata, oggi? Pensi di andare a Versailles?”
“Certo,
come sempre, ma domani ho intenzione di partire per Chassillè e tu verrai con
me, André; andiamo a cercare questo erede illegittimo di mio cognato.”
Poi
si mise a sedere sul letto posando i piedi sul pavimento freddo della stanza;
raccolse la sua camicia da terra dove era stata gettata. Infilò l’indumento
sfilando i capelli per lasciarli ricadere sulla schiena; le pareva di sentire
gli occhi di André fissi su di lei alla base della nuca.
Sentì
invece la sua mano che le sfiorava il polso, seguita dalla parole.
“Solo
una cosa ancora non mi hai detto, Oscar; adesso tu conosci i miei sentimenti,
ma io non sono sicuro di conoscere i tuoi. Perché hai fatto l’amore con me
questa notte? Pensi di potermi dare una risposta sincera?”
Lei
esitò qualche secondo prima di concedere a sé stessa e a lui la cosa più onesta
che potesse dire.
“Io
ti volevo, André. Come mi volevi tu, con la stessa forza… Posso dirti solo
questo.”
Quindi
si alzò in piedi, con le gambe nude esposte all’aria e la camicia ampia che
copriva l’essenziale, e si allontanò dal letto. E all’improvviso, le parve di
sentirsi sola.
Continua…
Eccomi qui.
Ragazze vi ringrazio per la vostra pazienza e mi scuso ancora, ma
come sapete ho attraversato un momento un po’ pesante con l’incidente d’auto che
ho avuto. Ora sto meglio e anche se non sono ancora al 100 % della forma - il
braccio è ancora un po’ dolorante e non ho ripreso la mia funzionalità
ottimamente, mi dicono che ci vorrà tempo - almeno riesco a scrivere. Capitolo
col botto, come promesso. Spero che vi sia piaciuto e non vi abbia troppo
deluso.
Con le scene osè non sono tanto brava e preferisco velare.
Ne approfitto per augurare a tutte un felice Natale, e se
superiamo la data del calendario Maya, vi farò un altro piccolo regalo
natalizio. Un saluto a tutte. Ninfea.
In
realtà, stare ferma ad aspettare l’evolversi degli eventi non mi è mai
piaciuto; è una di quelle cose che mi rende sempre inquieta e ansiosa.
Lo fui
molto anche in quella circostanza. In quei giorni ricevetti poche visite, per
lo più la nobildonna pettegola di turno che veniva a ragguagliarmi sull’ultimo
noioso scandalo in società, piccole seccature che ebbero il potere di irritarmi
oltre misura, cosa che non riuscivo a nascondere come avrei dovuto.
Sapevo
che Oscar era partita per raggiungere Chassillé, paese dove presumevo fosse la
bambina, la figlia illegittima di mio marito.
Attendevo
un qualunque messaggio di Oscar, e non mi aspettavo che Leopold tornasse in
città tanto presto, né che volesse parlare con me.
Trovai
quanto mai fuori luogo il suo tentativo di scendere a patti.
Pensai
dovesse temere seriamente lo scandalo, se tornava a Parigi per blandirmi, ma
niente poteva prepararmi alla parole che mi sentii rivolgere, e al tono
determinato e coinvolto con cui furono pronunciate.
Non
avevo mai sentito mio marito mettere tanto cuore e sentimento in un discorso.
Quel
pomeriggio, ero sola con la mia cameriera, quando entrò nel salotto privato
senza farsi annunciare; Ninette stava ravvivando il fuoco e con solerzia fu
invitata dal conte ad allontanarsi, al che lei fece un rapido inchino, ed uscì.
Io e
Leopold ci fissammo in silenzio per qualche secondo.
Con
fastidio, abbandonai sul tavolo le carte del solitario che stavo completando.
Io non
mi lasciai impressionare dalla sua comparsa teatrale e lo accolsi con durezza,
restando seduta dov’ero, vicino alla finestra.
“Avete
un bel coraggio a farvi vedere qui. Non dovevate scomodarvi; potevate restare
con la vostra amante… e con quella piccola bastarda che avete avuto l’ardire di
riconoscere.”
Esordii,
senza lasciargli alcun dubbio sul fatto che sapevo tutto. Leopold non si
scompose; restò in piedi con il tricorno in mano, in prossimità del camino,
affrontando la mia ostilità con una freddezza che mi parve innaturale.
“Non
intendo negare le mie responsabilità, signora. In fondo, mi conoscete bene,
come io conosco voi. Ho avuto una relazione con un’ altra donna, e da questa
relazione è nata una creatura innocente che non merita il vostro disprezzo. Se
c’è qualcuno da biasimare, quello sono io.”
“Questo
è senz’altro vero. Ma il vostro comportamento scellerato danneggia anche la mia
persona, e i miei figli, che sono anche i vostri. Io devo proteggere Monique e
Bastien dallo scandalo che potrebbe infangare il loro nome. Quindi non posso
tollerare che voi diate il nome dei Recamier a quella bambina. Non sono
disposta ad accettarlo.”
“E come
pensate d’impedirlo, signora? Colpireste la piccola per colpire me? Non sarebbe
degno di voi. Il riconoscimento è avvenuto di fronte alla legge. Non sarebbe
più facile accettare il fatto e mettervi l’animo in pace?”
Mi
alzai dalla poltrona per avvicinarmi alla finestra, dandogli le spalle. Parlai
energicamente.
“Niente
affatto! Pretendo la distruzione di quei documenti. Lo esigo! Sapete che ho
potere a sufficienza a corte, per farvi cadere in disgrazia e farvi perdere
molte delle vostre cariche pubbliche. - Puntai lo sguardo distratto oltre i
vetri e osservai la strada che incrociava la piazza, le carrozze che passavano,
alcuni passanti fermi all’angolo che parlottavano fra loro. - Basterebbe una
mia parola, Leopold; vi consiglio di non abusare della mia pazienza.”
“Sapete benissimo che questo danneggerebbe
anche voi. Siete irragionevole, madame. Non ho intenzione di assecondarvi in
questo capriccio, dettato credo, più dall’orgoglio che da una reale offesa.
Anch’io ho molti motivi per dubitare della vostra fedeltà passata e recente. Se
ci scontriamo, potremmo farci molto male entrambi. Siete sicura di volerlo?”
“Siete
un ipocrita!”
“Non
più di voi, signora.”
“Io non
intendo essere sbeffeggiata da tutti a causa vostra; pretendo un minimo di
rispetto dal momento che sono vostra moglie. Ho tollerato le vostre amanti,
finché non sono state un problema, ma non ammetterò macchie imbarazzanti sul
buon nome dei miei figli, sulla dote di mia figlia o il futuro di mio figlio,
l’unico vero erede dei Recamier. Potete star certo che vi ostacolerò in ogni
modo.”
Ero
avvelenata nell’orgoglio, e questo anche un uomo come Leopold lo capiva.
L’affronto diretto non lo avrebbe portato a nulla. Così, mio marito cambiò
tattica e atteggiamento.
Il suo
fare accomodante, che pure conoscevo, mi colse mio malgrado di sorpresa.
“Danielle,
vi prego, non voglio che diventiamo nemici.”
“Non
sono sicura che siamo mai stati amici, io e voi. Certamente, non possiamo
esserlo ora.”
“Perché
no? In fondo, noi due ci siamo sempre intesi alla perfezione. – Mi disse con
tono condiscendente, mentre si accomodava su una sedia. - Provate a riflettere;
sono certo che possiamo trovare una soluzione senza compromettere nessuno, né
voi, né i nostri figli. Anch’io come voi, voglio solo il loro bene e Bastien
resta il mio erede legittimo, non dovete dubitare di questo. Ma ho anche a
cuore la sorte di questa bambina e voglio garantirle un futuro dignitoso. Voi
non avrete mai nulla a che fare con lei, non entrerà mai nella scia della
vostra vita. Non sarà mai motivo di vergogna per voi, ve lo posso mettere per
iscritto se volete. Dovete solo lasciare che io mi occupi di tutto. Dovete
fidarvi di me. Vi ho mai dato motivo di lamentarvi della mia condotta, in
passato?”
“Oh, è
incredibile quello che mi proponete! Dovrei far finta di nulla, passare sopra
l’inganno, il tradimento! Che genere di donna pensate che io sia!?” Esclamai,
incapace di contenermi.
“Penso
siate una donna dotata di ingegno e intelligenza, oltre che senso pratico.
Suvvia Danielle, sto parlando nell’interesse di entrambi, dovete capirlo.”
“Smettetela
con le adulazioni, Leopold, con me non servono. I miei interessi li ho sempre
curati da sola. Lo farò anche questa volta. Ora non si possono fare previsioni
a lungo termine sulle ripercussioni di questa vicenda, sul danno che ne
verrebbe alla nostra famiglia se la cosa trapelasse. E la madre? Mi dovrei
fidare anche di lei?”, proruppi con tutta la mia indignazione.
“Da
lei, non avrete mai nulla da temere, ve lo garantisco.”
Avvertii
un’inflessione amara nella risposta di mio marito. Rimasi in silenzio di fronte
a quell’ultima esternazione. Ne avvertivo la gravità, la sensazione di qualcosa
d’ineluttabile, come un dolore funesto. Sostenni lo sguardo del mio consorte
fedifrago con un sospetto appena nato tra i pensieri, finché lui non parlò di
nuovo.
“Capisco
che questa scoperta possa avervi sconvolta e voglio darvi il tempo di
riflettere su quanto ci siamo detti. Non cercate di venire in possesso dei
documenti: sono ben nascosti. Sono certo che vi renderete conto che vi offro la
soluzione più facile e sicura. Posso accogliere ogni vostra eventuale
richiesta, anche denaro, darvi altre garanzie. Se accetterete, non vi verrà
nessun danno; in caso contrario, potreste soffrirne ed è l’ultima cosa che
vorrei.”
“Quello
che dite suona come un ricatto…”
“No,
madame, è solo un consiglio. Pensateci. Capirete che ho ragione.” Concluse,
prima di alzarsi per andarsene.
Mi
sentivo ancora fremere per l’indignazione.
Continuai
a guardare attraverso il vetro della finestra, la vita che scorreva fuori dal
mio palazzo; avevo la strana impressione di non poter fermare né rallentare
quello scorrere. Potevo solo assistervi, impotente. Vidi Leopold salire sulla
carrozza che lo attendeva in strada.
Ci
avrei pensato, sì.
Molto a
lungo e attentamente.
Prendevo
tempo, mentre attendevo notizie da Oscar.
Intanto,
più ci pensavo, più il compromesso risultava inaccettabile.
La
volontà imposta di un marito che voleva essere padrone delle mie scelte mi
pareva insostenibile e un moto di ribellione stava nascendo e premeva per
liberarsi. Per ora, avrei rimandato ogni decisione. Ma alla fine, la mia
sarebbe stata l’ultima parola.
******
Viaggiarono
per un giorno e mezzo, prima di arrivare a Chassillè. Avevano fatto solo una
sosta ad una stazione di posta per trascorrere la notte e far riposare i
cavalli. Sarebbero ripartiti il mattino seguente, dopo una notte che nessuno
dei due avrebbe dimenticato tanto presto.
Il
giorno prima a Versailles, Oscar tentò di comportarsi come se fra loro tutto
fosse rimasto uguale a sempre. Era finita a letto col suo attendente; non era
una pratica così inusuale e non sarebbe stata la prima persona a concedersi
un’avventura di quel genere, con un servo. Ma se pensava a sé stessa, al rigore
militaresco di cui si era sempre fregiata, non poteva fare a meno di odiarsi.
Non si
perdonava di essersi comportata come una delle tante nobildonne viziose che
infestavano la corte, e che saltavano tra alcove aristocratiche e la paglia
delle stalle con allegra disinvoltura, e tutto solo per sottrarre André alle
seduzioni della gemella. Aveva rimuginato per ore, e si era convinta che il
motivo della sua condotta licenziosa fosse stato quello.
Una
debolezza che presentava le sue inevitabili conseguenze; resistere a certi
pensieri era diventato pressoché impossibile; non avere il controllo di sé era
frustrante.
Ogni
volta che posava gli occhi su André, la sua mente si scatenava in audaci
fantasie al limite della decenza che le sarebbe parso naturale soddisfare. E
André non faceva nulla per liberarla dalla tentazione.
Anzi,
pareva divertirsi a provocarla e metterla in difficoltà, alimentando il fuoco
come si fa con i carboni ardenti. Lo aveva fatto per gran parte del viaggio, in un modo che
pareva involontario, ma non lo era affatto.
A dire
il vero, Oscar aveva cercato in tutte le maniere di evitare l’argomento, ma
alla fine André era riuscito a dirottare il discorso.
“Questa
storia della figlia illegittima è una vera seccatura; mio cognato è un idiota.
Come ha fatto a farsi incastrare in questo modo? Mi chiedo perché certi uomini
siano così stupidi.”
Borbottava
Oscar, sballottata dal dondolio della carrozza che correva lungo la strada.
Andrè, seduto di fronte a lei, non si lasciò ingannare dai suoi sguardi
fuggevoli e noncuranti.
“Perché
incontrano donne più scaltre di loro. Ma noi non sappiamo nulla di come stanno
le cose, forse Leopold non è stato incastrato e questa figlia potrebbe essere
il frutto di un amore sincero.”
“È
quello che voglio scoprire; per questo andiamo a Chassillé.”
“Già…
Non capisco perché ti sei fatta coinvolgere in questa vicenda da tua sorella.
Perché hai accettato di aiutarla? A te, di Leopold, la sua amante e la sua
bambina non te ne importa niente. Solo qualche mese fa non ti saresti data pena
per loro. Adesso, vuoi farmi credere che sei in ansia per lo scandalo che pende
sulla testa di Danielle?”
“Mi
preoccupo per lei. Ti sembra così strano?” Rispose lei, lievemente infastidita.
Ma lui
non le avrebbe dato tregua.
“No. Ma
credo che tu stia evitando di pensare a cose più importanti.”
“Ad
esempio?”
“Ad
esempio, noi Oscar.” Le rispose senza mezzi termini.
Lei si
era mossa come se cercasse la posizione più comoda.
“Cosa
c’entra questo?”
“C’entra
moltissimo e lo sai. Non puoi liquidare la cosa come se nulla fosse. Stai
fingendo che non sia accaduto, ma io ti conosco troppo bene e so che ci pensi
più di quanto vorresti.”
Oscar
si lasciò sfuggire un sospiro nervoso, portandosi una mano alla tempia.
“A
volte, la tua presunzione mi irrita, André. Ora non mi posso preoccupare di
questo.”
“Fingerai
che non abbia significato niente? Oh, avanti! Tu non sei così cinica, per
quanto ti sforzi di apparirlo. Eri con me, ti ho sentita. Eri dentro la mia
anima e io nella tua. Nell’intimo sai che è così.”
Oscar
accavallò le gambe, incrociando le braccia e sprofondò contro il sedile della
vettura.
“È
successo tutto troppo in fretta, André. E io ero arrabbiata.”
“Non
era la rabbia che ti faceva muovere; ti sei data come la più tenera delle
donne. Non riesci a ingannarmi, Oscar. Stai solo cercando d’ingannare te
stessa.”
Lei non
aveva risposto, ma lo aveva sentito muoversi per sedersi al suo fianco e una
mano aveva raggiunto la sua, scivolata in grembo, e le dita si erano
intrecciate alla sue. Debolmente aveva tentato di sottrarsi e la stretta si era
fatta più possessiva.
“André,
io… - Aveva esitato di fronte al suo sguardo. – La situazione non era normale,
lo sai. Altrimenti…”
“Altrimenti
cosa?”
“Altrimenti
non sarebbe accaduto; io credo di averlo fatto per dispetto a Danielle.”
Di
fronte a quella confessione lui era rimasto in silenzio. Eppure non era
disposto a crederle. Tra due ore al massimo avrebbero raggiunto la stazione di
posta e decise di aspettare.
Non
avevano parlato molto per il resto del viaggio. Solo qualche parola ogni tanto.
Una
volta raggiunta la stazione, Oscar aveva dato disposizioni per trascorrere la
notte e avere cavalli freschi per il mattino seguente, quando sarebbero
ripartiti. Avrebbe voluto prendere due camere, ma il funzionario le disse di
averne solo una libera; le altre, in verità poche, erano già occupate da altri
viaggiatori.
Dovette
rassegnarsi.
Nella
sala riservata agli ospiti, consumarono una cena frugale al lume delle poche
candele prima di andare a coricarsi.
“Domattina
voglio partire presto; una buona dormita ci farà bene.”
“Non ne
dubito.” Le rispose lui, laconico, mentre ripuliva il suo piatto.
Al
termine della cena si ritirarono per la notte.
Seguita
da André, salì le scale per raggiungere la camera assegnata, ma non si sentiva
tranquilla.
Si
domandava come avrebbe potuto dormire con lui nella stessa camera.
Come
avrebbe fatto a spogliarsi in sua presenza.
Non che
lui non avesse già visto del suo corpo più di quanto fosse lecito vedere.
La
camera era spaziosa e accogliente, ben curata anche se arredata in maniera
molto sobria; oltre al grande letto matrimoniale, c’erano un armadio a due ante
di legno massiccio, un paio di sedie contro una parete, di fianco a un piccolo
scrittoio posto sotto la finestra che si apriva sulla strada, e sull’angolo
opposto stava una cassapanca che conteneva una coperta per la notte e un
cuscino.
Oscar
in piedi sulla porta, esaminò lo spazio con una rapida occhiata, poi avanzò al
centro portandosi davanti al letto. André era di fianco a lei; si guardava
attorno, forse domandandosi dove e se avrebbe dormito.
Lei
tolse il mantello per abbandonarlo su una delle sedie. Quindi sedette sul letto
per togliersi gli stivali con più agio. Dietro di lei, sentì André misurare la
stanza con un paio di passi.
“Bene
Oscar, possiamo dividere il letto, o vuoi che dormo sul pavimento?”
A Oscar
non sfuggì la velata ironia.
“Non
dire sciocchezze; perché dovresti dormire sul pavimento? Dormiremo insieme
senza problemi… dormiremo soltanto.” Aggiunse perentoria, voltandosi verso di
lui, mentre si sfilava in fretta giaccia e gilet, al che André alzò le mani in
segno di resa.
“Non
temere, non sarò io a iniziare un gioco che tu non vuoi.”
Si
coricarono uno di fianco all’altro, facendo attenzione a non sfiorarsi neppure
per errore.
Prima
di posare la testa sul guanciale, André spense l’unica candela presente nella
stanza e piombarono nella semioscurità; dai vetri filtrava il debole chiarore
di uno spicchio di luna.
Ma,
nonostante la stanchezza, addormentarsi fu impossibile.
Ciascuno
sentiva il respiro dell’altro e il più lieve movimento dei loro corpi gettava
il cuore nell’ansia.
Pericolosamente
vicini si sforzavano di restare immobili, fingendo di dormire, lottando contro
l’attrazione, il formicolio che agitava il sangue e assaliva le membra, sintomo
della tensione erotica, temendo che il tocco più lieve e innocente potesse
scatenare la passione che, sentivano, li avrebbe travolti senza scampo.
André
chiese aiuto ai suoi ricordi, sperando di placare l’ansia che lo teneva
sveglio.
E in un
sussurro appena udibile nel buio, si ritrovò a dare voce ai suoi pensieri, non
pensando che lei potesse sentirlo, credendola addormentata.
“Eravamo
solo due ragazzi l’ultima volta che abbiamo dormito insieme… sembra passata una
vita…”
“Stavo
pensando la stessa cosa.”
Sorpreso,
trattenne il respiro quando la sentì muoversi e rigirarsi accanto a lui.
“Oscar,
ma… sei sveglia?Scusa, credevo
dormissi.”
“No… -
seguì un breve silenzio, poi Oscar continuò come se dovesse rispondere a una
muta domanda. - L’ultima volta è successo la sera prima del duello col Duca di
Germaine.” La tensione parve stemperarsi nel buio.
“Sì,
hai ragione. Avevi paura quella sera.”
Oscar
restò immobile nel letto, prima di infrangere di nuovo il silenzio.
“Anche
adesso ho paura…” e André si sentì assalire da un vago senso di panico.
“Di
cosa? Di essere qui, con me?”
“No
André. Ho paura di quello che sento, di ciò che voglio.”
“Oscar…”
E non
seppe mai come fu, ma gli bastò allungare una mano sotto il lenzuolo a
incontrare le dita di lei che per istinto si intrecciarono alle sue. Poi la
mano di Oscar iniziò a percorrere il braccio, passò sul torace, raggiunse e
aprì i lembi della sua camicia e scivolò sulla pelle del petto e dell’addome.
Lui la serrò con la sua più grande, bloccandola un istante e bisbigliò un sussurro
rauco.
“Oscar,
se fai così, io non so se…”
“Non
dire niente, André. Ho bisogno di questo: ho bisogno di sentirti dentro di me,
perché la mia carne brucia.”
E sentì
le sue braccia che lo circondarono e poi le sue labbra lo raggiunsero: erano
audaci, tenere e prepotenti.
La
circondò serrandola contro il suo petto e capovolgendo le loro posizioni, la
portò sotto di sé.
“Anche
la mia carne brucia e tu Oscar, sei il fuoco che divora le mie viscere.”
La voce
calda e roca di André nel buio le sembrò che avesse un suono sconosciuto, la
cosa più eccitante che avesse mai udito; un brivido le percorse la spina
dorsale e le fece tremare l’anima.
Bastò
un secondo; la sua mente cancellò ogni scusa cui avesse tentato di ancorarsi
fino a quel momento- non dovrei, non è giusto, è
uno sbaglio – e ascoltò solo ciò che il suo cuore
desiderava davvero: fare l’amore con lui, lì in quella stanza, in quel buio
denso di sospiri.
“Insegnami
l’alfabeto del tuo corpo, la lingua che parlano le tue mani, André.” [1]
Lo
attirò a sé e lo baciò con tutto il desiderio che sentiva e voleva fargli
sentire.
E André
non la deluse affatto e tradusse in gesti sicuri e lenti le sue voglie più
intime.
Si
abbandonaronosenza pudore a carezze
dolci ed esigenti, alle mani che cercavano, trattenevano e spogliavano l’altro,
esplorando angoli proibiti, pieghe intime della pelle del corpo per dare e
prendere piacere; fu istintivo inseguirsi con le bocche affamate, e con le
lingue tracciare linee umide su dolci declivi.
Un uomo
e una donna si unirono nel buio, perdendosi nell’amore dell’altro, e fu un
abbraccio tenero, profondo, pieno e appagante. Fu una notte lunga e l’abbraccio
dei corpi divenne forte, impetuoso, travolgente come il mare della Normandia
quando è in burrasca, e le dita di Oscar al culmine dell’amplesso incisero
graffi di un’ amante possessiva sulla pelle della schiena di André.
“Sei
mio e di nessun altro! Sei solo mio, André!”
“Sì
Oscar, sono tuo. – Sospirò con le ciocche nere che ricadevano sul seno di
Oscar. - Non sarò mai di nessun’ altra, te lo giuro.”
Dormirono
forse soltanto un’ora, poco prima del sorgere dell’alba; quando più tardi del
previsto, ripresero il viaggio per raggiungere Chassillé, il sole era già alto
nel cielo cristallino di un mattino frizzante.
******
Chassillè
era un piccolo paese, ma la residenza dei Marchard restava poco fuori la
centralità delle case, in aperta campagna, circondata dal verde delle colline
coltivate a vigneti.
Fu
abbastanza facile trovare il piccolo palazzo, una delle poche case nobili
presenti nella zona.
Lungo
la via avevano incrociato un mercante che guidava il suo carretto in direzione
del paese; André aveva chiesto informazioni e l’uomo aveva indicato loro una
strada che si snodava tra curve che salivano su per il crinale di una collina.
Quando
la carrozza si fermò davanti l’ingresso della tenuta, Oscar osservò la facciata
dalla linee semplici del piccolo palazzo: l’aspetto era sobrio e ben tenuto,
così il piccolo giardino che circondava la casa; tutto era molto più modesto
rispetto al lusso che si poteva trovare nei palazzi della capitale o in quelli
adiacenti a Versailles. Era l’immagine tipica della nobiltà di campagna, quella
che non aveva libero accesso a corte, perché priva di mezzi e sostanze.
André
restò a fare anticamera, mentre la padrona di casa, cortese e ospitale, accolse
Oscar in un piccolo salotto arredato secondo un gusto non propriamente
all’ultima moda parigina, con tessuti e tendaggi dai toni piuttosto scuri.
“Benvenuta
nella mia umile dimora, madamigella Oscar. Non mi aspettavo di ricevere la
visita di un personaggio importante come voi, Colonnello. Vi trovo molto bene,
da quando ci siamo viste a casa di vostra sorella.”
“Grazie.
Vi porgo i miei omaggi, signora. Scusatemi se sono venuta qui senza darvi alcun
preavviso, ma c’è un motivo serio se oggi mi presento a voi.”
“Vi
ascolto, madamigella.” Disse Lisette, versando il té in una tazza che offrì
alla sua ospite.
“Bene,
sarò molto chiara e sintetica; ho ragione di credere che voi madame, siate a
conoscenza di una questione importante che riguarda mio cognato, il conte
Leopold di Recamier.”
Lisette
non parve turbata, e se lo era lo nascondeva molto bene.
“Quale
sarebbe questa questione importante?” chiese con calma.
“È cosa
nota che mio cognato abbia avuto e magari ha tuttora una relazione con voi,
signora; dalla vostra relazione è nata una figlia che il conte ha voluto
riconoscere; credo che voi possiate confermarlo, madame.”
Lisette
sorseggiò il suo tè, prima di rivolgerle la sua domanda.
“Non
siete qui di vostra iniziativa… chi vi manda, madamigella Oscar?”
“Sono
qui per curare gli interessi di mia sorella, la contessa di Recamier, legittima
consorte dell’uomo che avete preso come amante, madame…” Oscar fece una pausa
studiando la sua interlocutrice, che parve trattenere il respiro.
“Nonostante
le apparenze, io e il conte di Recamier siamo legati da un sincero e profondo
affetto.”
“Sarà,
ma il problema non è precisamente questo e non m’interessa; il problema è lo
scandalo che scoppierebbe se si venisse a sapere di questa bambina e del nome
ingombrante che porta. Se pensate di approfittare del nome dei Recamier per
trarne in futuro, dei vantaggi personali, non sarà così facile.”
Oscar
era stata diretta e Lisette pensò che fosse inutile tergiversare.
“Non
userei mai la piccola in maniera così meschina…- Lisette parve rattristarsi e
abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo – Non ho mai chiesto a
Leopold di riconoscere la bambina, ero pronta a prendermi cura di lei senza
chiedere aiuto a nessuno; il conte ha fatto tutto di sua spontanea volontà.”
“Scusate,
ma viene naturale pensare il contrario; per una donna sola e con pochi mezzi,
amante di un uomo influente, sarebbe difficile prendersi cura di una figlia
senza un po’ d’aiuto; so che mio cognato ha pagato molti dei vostri debiti.
Immagino che i documenti del riconoscimento siano in mano vostra.”
“Sì è
così, madamigella. Ma voi adesso cosa pensate di fare? Non vi aspetterete che
vi ceda i documenti, vero? Non sono tenuta a farlo.” Il tono di Lisette era
determinato e per nulla intimorito.
“Lo so,
madame. Comunque non ho bisogno di farlo. In realtà, sono venuta per dirvi che
mia sorella ha il potere per farli annullare, ed è decisa a farlo con gran
danno per voi e la bambina. Tutto potrebbe essere evitato se rinuncerete
spontaneamente al nome dei Recamier e ad eventuali diritti di eredità per
vostra figlia.”
Oscar
rimase in attesa di vedere come avrebbe reagito Lisette alle sue parole; non
era ancora riuscita a farsi un’ idea precisa di quella donna. Non sapeva se era
la solita arrivista, che cercava di migliorare la sua posizione accalappiando
uomini ricchi e di potere, o solo una donna qualsiasi che si era innamorata di
un uomo sposato.
Un uomo
come Leopold, poi… la quintessenza della mediocrità, del pensiero chiuso dentro
certi limiti.
L’età e
l’aspetto, oltre all’atteggiamento semplice e schietto non la facevano
assomigliare né a una Du Barry, né a una Pompadour; sembrava un’ ingenua, ma
Oscar aveva il sospetto che non lo fosse.
“Capisco…
- disse infine Lisette, emettendo un sospiro pesante. – Dovete esservi fatta
una pessima opinione di me, madamigella. Ma è naturale che voi siate dalla
parte di vostra sorella, lo posso capire…”
Oscar
posò la tazza vuota di fronte a sé.
“Ecco,
veramente…”
“Volete
vedere la bambina?” chiese all’improvviso Lisette.
“Cosa?”
“Volete
vedere la figlia di Leopold? È qui con me… vi prego, Oscar, venite a vederla.”
Così
Oscar, un po’ sorpresa dalla richiesta, seguì Lisette in un’altra stanza dove,
vicina a una finestra da cui filtrava la luce chiara del giorno, stava una
culla profilata di bianco. La piccola Margot dormiva tranquilla, con le piccole
braccia spalancate, e accanto a lei stava un pupazzetto di pezza con la forma
di un animale.
Sembrava
così fragile e indifesa. La stessa impressione che le avevano fatto sempre i
suoi nipoti la prima volta che aveva posato gli occhi su di loro.
“Ecco,
madamigella: questa è Margot Celine di Recamier, figlia di Leopold di Recamier…
mia nipote.”
“Come
avete detto?” chiese Oscar al culmine della sorpresa.
“È la
verità: Margot è la figlia di mia sorella minore, Isabeou De Marchard che è
morta dandola alla luce quattordici mesi fa. È stata male, sapete? Ha rischiato
di seguire la sua mamma, il che sarebbe stata la soluzione più facile per tante
persone, ma avrebbe dato a me un dolore immenso, oltre quello che già ho.”
Disse
Lisette mentre rimboccava le copertine alla creatura nella culla.
Oscar
era costernata di fronte alla strana compostezza che le rivelava quella
donna.
“Non fraintendetemi.
Vi assicuro che nessuno vuole il male di questa bambina, anche mia sorella è
madre; Danielle vuole solo tutelare i suoi figli.”
“Lo so,
me ne rendo conto, ma io sono l’unica che può proteggere Margot, adesso. Oscar,
c’è una storia che vorrei raccontarvi, una storia dolorosa. Avete voglia di
ascoltarla?” chiese Lisette restando in piedi accanto alla culla.
“Sì…”
“Allora
sedetevi qui con me: è una storia lunga.” La invitò Lisette, prima di iniziare
a parlare.
Il
cielo si sarebbe acceso dei colori del tramonto, prima della fine del racconto.
Continua…
Eccomi qui.
Scusate l’enorme ritardo, ma questo è stato un capitolo difficoltoso e
l’ultima parte era quella più ostica; risulta spezzato, ma ho dovuto farlo,
altrimenti sarebbe diventato troppo lungo. Lascio il resto per il prossimo
capitolo.
Intanto spero che apprezzerete fin qui; grazie sempre per tutti i
vostri commenti e l’incoraggiamento, sono un grande stimolo per me. Se ne avete
non risparmiate le critiche.
Ne approfitto per farmi un po’ di vergognosa pubblicità.
Ho ritardato la pubblicazione di “Spirito inquieto” perché ero
impegnata in un’altra fiction: ho scritto una storia un po’ insolita per me, lontana
dal mio genere solito, un noir che s’intitola “Scarlett”; se vi va di leggerlo,
lo trovate tra i crossover di Lady Oscar. Un saluto.
[1]Liberamente tratto dal testo della canzone di Mario Venuti
“Quello che ci manca”, mi piace troppo.
Chiedo umilmente
perdono per il mostruoso ritardo.
Capitolo difficile
e ostico da sviluppare e scrivere, forse un po’ noioso, ma secondo me
necessario per chiarire alcune dinamiche della vicenda e di alcuni personaggi.
Spero che piaccia, ma non esitate a criticare ed esprimere dubbi, se ne avete. Grazie
sempre a tutti per la pazienza e la costanza con cui mi seguite in questa
avventura.
Buona lettura.
*****
Oscar seduta di fronte a
Lisette, era pronta ad ascoltare ciò che la donna aveva da dire. Accanto a
loro, nella stanza, la piccola Margot dormiva tranquilla, ignara di essere una delle
protagoniste principali del racconto, oltre che l’ispiratrice di decisioni
importanti e determinanti.
Il fatto che madame Marchard non
fosse la madre della bambina, poneva presupposti nuovi e imprevedibili e Oscar
non poteva immaginare tutti i risvolti complessi e drammatici di una vicenda
talmente intima; sperava solo che alla fine di tutto, lei avrebbe avuto le idee
più chiare su come agire per il meglio.
-Come sapete madamigella Oscar, la nobiltà di
campagna vive delle sue terre, ma non ha grandi mezzi; mio padre morì lasciando
la famiglia piena di debiti, di conseguenza, senza una dote adeguata che
potesse garantire un futuro alle sue figlie. Io fui piuttosto fortunata perché
trovai un uomo buono che mi volle anche senza rendita, ma sono rimasta vedova
molto presto e mio marito non mi ha lasciato figli da crescere, né denaro. Così
sono tornata qui, nella casa di mio padre. Isabeau era la mia sorella minore e
nonostante la sua avvenenza e un numero impressionante di corteggiatori, a
vent’ anni non aveva ancora contratto matrimonio, un fatto che mi preoccupava
molto e mi metteva in ansia.
Non ho
ancora trovato quello giusto,quello che mi fa battere il
cuore più degli altri, - mi diceva quando la rimproveravo di rifiutare
tutte le proposte che riceveva, quando l’accusavo di essere troppo leggera.
Isabeau
era una ragazza bellissima, vitale e spensierata, che gioiva per ogni cosa
bella che le capitava e prendeva la vita a grandi morsi, come se ogni giorno
fosse l’ultimo, senza fare programmi per il futuro. Era un’ incosciente
spontanea dal cuore troppo grande e generoso e s’ innamorava di continuo di
uomini diversissimi, e loro, giovani o vecchi che fossero, impazzivano tutti
per lei, per il suo entusiasmo, il suo calore. In autunno poteva essere perdutamente
innamorata di un uomo, e in primavera perdeva la testa per un altro. Seguiva
solo le sue emozioni, senza fare calcoli, senza strategie. Era così diversa da
me. Anch’io amo la vita, madamigella, ma l’ho sempre presa a piccoli sorsi, un
po’ alla volta, per non ubriacarmi, muovendo ogni mio passo con cautela. Ma
Isabeau, no; lei non ha mai avuto paura di vivere. Qualche volta avrei voluto
essere un po’ come lei, sapete; avrei voluto avere il coraggio di prendere la
vita con maggior slancio e passione, ma io ero la sorella maggiore, quella più
saggia, più pacata e razionale, quella che doveva essere guida ed esempio.
Quando Isabeau conobbe Leopold successe quello che era già accaduto altre
volte, con altri uomini. Conoscevo già la storia e mi aspettavo che sarebbe
andata a finire nello stesso modo. Invece accadde qualcosa di diverso, d’
imprevedibile.
“Vostra sorella si innamorò
davvero di mio cognato?” domandò Oscar molto perplessa.
“Sì. Più di quanto possiate
credere.”
“E Leopold? Anche lui…”
“Sì, lui in qualche modo
ricambiò, ma vi prego lasciatemi finire; dovete sentire tutta la storia.”
Oscar ascoltava il racconto di
Lisette e le pareva di vedere Isabeau coi suoi occhi; la immaginava come se l’avesse davanti, col sorriso luminoso, lo sguardo felice e innamorato, le
guance rosa e una coroncina di fiori tra i capelli lasciati sciolti sulle
spalle nude. La vedeva correre come una bambina tra il verde della campagna. La
immaginava abbandonarsi all’amore senza freni o esitazioni, cedere alla passione
tra le braccia forti di un uomo in un fienile, su un campo pieno di fiori, col
profumo intenso dell’estate che accende i sensi e risveglia le voglie del
cuore. Quell’immagine nella testa riusciva a commuoverla, procurandole uno
strano languore allo stomaco, e si sorprese di sentire simpatia per una persona
che non aveva mai conosciuto e si chiese se non fosse il quadro idilliaco che
stava dipingendo Lisette a trarla in inganno. In fondo, quella era l’apparente
descrizione di una fanciulla frivola e un po’ sciocca.
-Quella che sembrava solo un’ avventura passeggera,
diventò un’ autentica storia d’amore. All’inizio pensai che Leopold si fosse
semplicemente infatuato di lei, della sua giovane età, della sua freschezza.
Voi siete una donna, ma non so se sapete come sono gli uomini, madamigella
Oscar; per educazione forse siete abituata a vederli in un altro modo, rispetto
a una donna normale.
Alle parole di Lisette, Oscar
provò un subitaneo imbarazzo. Era abituata a comandare gli uomini, ne conosceva
la forza, il coraggio e la viltà, ma il loro cuore restava un mistero;
nonostante la tempra e l’esperienza che aveva, non era sicura di conoscerli per
davvero.
Pensò a Fersen, all’illusione
costruita attorno alla sua figura, miraggio che non aveva retto al confronto
con la realtà. Aveva creduto di essere innamorata di lui, come una stupida
aveva sofferto per un sentimento non ricambiato che era sfumato in fretta come
vapore impalpabile tra le braccia di chi credeva solo un amico.
Pensò ad André, alle emozioni
anche violente che lui le faceva provare quando facevano l’amore, al desiderio
irresistibile che le faceva sentire, a come si era svelato a lei, a come aveva
giocato anche in modo sporco per insinuarsi nel suo cuore, nella sua mente e
perfino nella sua anima.
Sì, nella sua anima; era certa
che fosse così. André era nella sua anima, e niente, neppure lei stessa avrebbe
potuto allontanarlo da lì.
Era come un inquilino silenzioso
e discreto, ma insinuante che aveva occupate le stanze più segrete del suo cuore
e vi si era chiuso dentro a doppia mandata. E lei si era scoperta gelosa e
possessiva, e se avesse potuto legarlo a sé con un laccio sul fianco, lo
avrebbe fatto.
-Come soldato dovreste saperlo: ci sono uomini che
hanno costantemente bisogno di misurare le loro potenzialità, e forse la cosa
vi sorprenderà, ma vostro cognato è uno di questi; sedurre una ragazza come
Isabeau sarebbe motivo d’orgoglio per molti, una gratificazione della loro
virilità. Credo che all’inizio sia stata questa la molla che lo ha fatto
avvicinare a lei. Penso che mia sorella abbia soddisfatto certi bisogni che
Leopold non trovava, o non ha mai trovato nell’unione con vostra sorella
Danielle: l’esigenza di calore umano, affetto, dolcezza, vera comprensione.
Essere amato da una donna come lei lo ha ringiovanito, lo ha fatto sentire
importante. Non è forse qualcosa di cui tutti noi abbiamo bisogno? Sentirci
importanti per qualcuno, intendo? Isabeau sapeva essere piena di slancio intimo
e sincero. Nei sentimenti non si risparmiava mai con nessuno, dava tutta sé
stessa perché era qualcosa che la faceva sentire felice. Quando compresi che la
storia non sarebbe finita, ma che anzi, rischiava di complicarsi in maniera
seria, mi allarmai. Isabeau si convinse che Leopold avrebbe divorziato dalla
moglie, ne era assolutamente convinta; immaginava il futuro più roseo insieme a
lui, si vedeva già a corte tra i veri privilegiati, sognava di diventare
contessa, acquisire una posizione migliore. Io credevo che passata
l’infatuazione, lui l’avrebbe abbandonata per tornare alla sua vita. Non ne fui
contenta e lo dissi a Isabeau: litigammo in modo drammatico e acceso.
“Un uomo
nella sua posizione, noto e influente a corte, non può compromettersi con una
ragazza senza sostanze, che difetta del più comune buon senso e si comporta con
una leggerezza inopportuna e pericolosa - le
dissi dura – non lascerà la moglie e i figli legittimi per sposare te;
si rovinerebbe con le sue stesse mani. Sei una stupida ingenua e alla tua età
dovresti imparare a essere realistica.”
“Non è
vero! Tu non puoi capire quello che ci unisce. Leopold mi ama davvero! Dice che
lo rendo felice e vuole dividere la sua vita con me. Mi dà una gioia mai
provata con nessuno; mi fa sentire come una regina. Io lo amo e lo sposerò e
questo nessuno potrà impedirlo! E tu parli così, perché sei soltanto gelosa,
costretta dalla tua vedovanza a restare sola!”
Fu terribile e doloroso. Ci dicemmo cose orribili e
cattive. Forse mia sorella aveva ragione di accusarmi. Non eravamo mai state
l’una contro l’altra; per quanto diverse, eravamo sempre andate d’accordo, ma
quella situazione così incerta e imprevedibile finì per metterci in tensione.
Molto presto, Isabeau rimase incinta. Non parlammo per mesi, ognuna di noi
arroccata nel suo orgoglioso silenzio, io soprattutto, ciascuna convinta che
l’altra avesse torto, una situazione sgradevole e triste che non fa certo bene
a una donna che attende un figlio.
E io pensai che fosse la fine: Leopold l’avrebbe
abbandonata al suo destino, e a quel punto cosa sarebbe stato del suo futuro,
quale uomo rispettabile e onesto avrebbe preso in moglie una ragazza incinta
del suo amante?
Mi vergogno quasi a dirvelo, ma le consigliai di
abortire e lei naturalmente non lo fece.
Vi potrà sembrare un’ idea mostruosa, e lo era in
effetti, ma in quel momento mi sembrò la sola via d’uscita, la sola maniera di
evitare il disastro di uno scandalo.
Non capivo che il vero dramma era un altro e che non
avevo più tempo.
Oh, se penso a com’ è finita, invece…
Madamigella pensate mai al tempo che sprechiamo a
combattere battaglie inutili, al dolore che diamo ai nostri cari, alle
meschinità che riversiamo su di loro, senza provare a capirli, a comprendere
quelle ragioni che dall’alto del nostro egoismo, riteniamo assurde, illogiche?
La vita è così breve… e la morte così lontana…
crediamo che il tempo a nostra disposizione sia infinito, ma non è così, e
quando lo scopriamo è troppo tardi. Se siamo fortunati non ce ne accorgiamo
affatto.
Madamigella Oscar, ho perso la possibilità di parlare
di nuovo con lei, ho perso l’occasione di chiedere perdono e di perdonare.
Leopold, contro ogni mia previsione, le restò accanto fino alla fine: ci furono
complicazioni durante il parto e Isabeau morì all’improvviso, subito dopo aver
dato alla luce la sua bambina, senza che ci fosse stata data la possibilità di
riappacificarci. Non posso descrivervi il dolore che porto e il rimorso che mi
accompagna da quel giorno.
Lisette aveva parlato con
pacatezza, lo sguardo asciutto, la commozione appena accennata nella vibrazione
leggera della voce, meno argentina del solito. Non era stata indulgente, né
retorica; Oscar avvertiva un nodo che le stingeva la gola e sentiva di avere
gli occhi lucidi. Nonostante un carattere temprato da emozioni forti, era
sconvolta e provata. La bambina emise un vagito e Lisette si alzò per
avvicinarsi alla culla, scostò le coperte e prese la piccola tra le braccia. La
cullò qualche istante, prima di rimetterla a dormire.
Ci fu silenzio per qualche minuto,
ma il racconto non poteva essere finito.
“Mi dispiace per il vostro lutto,
madame. Però…”
Lisette riprese a parlare di
nuovo.
“Vi chiederete perché vi ho
raccontato tutto questo; non voglio la vostra commiserazione, né riscattarmi ai
vostri occhi in modo tanto patetico, ma prima di un qualsiasi vostro giudizio
su me o su Leopold, vorrei che voi capiste.”
“Temete il mio giudizio, madame?”
chiese Oscar controllando la voce.
“Forse dovrei, ma non è questo,
madamigella; temo solo che la vostra opinione possa essere falsata dalle
apparenze. Ci tengo a cancellare almeno quelle.”
“Di solito, non mi preoccupo di
simili formalismi; a questo punto immagino ci siano altri retroscena a questa vicenda triste che non mi avete ancora detto.”
“Sì. Io e vostro cognato ci siamo
avvicinati con difficoltà, subito dopo la morte di Isabeau, ma non per il
motivo bieco che potreste credere. È stato il medesimo dolore ad accostare le
nostre anime: la sofferenza può unire in maniera impensabile due persone, che magari
si sono guardate con sospetto fino al giorno prima.”
Oscar solo per un attimo sgranò
gli occhi.
“Mi state dicendo che voi e
Leopold vi odiavate, per caso? Dovrei credere questo?” chiese Oscar
sinceramente perplessa.
“Non parlerei di odio, no… sarebbe
un po’ eccessivo, ma certo, non ci piacevamo molto. Ai miei occhi, lui era un
uomo sposato, un mascalzone libertino a caccia di avventure che si approfittava
di una ragazza ingenua; io per lui ero una fastidiosa sorella maggiore che si
metteva in mezzo e ostacolava la relazione con Isabeau.”
Per la stima che Oscar portava al
suo diletto cognato, le sarebbe stato facile
pensare che morta Isabeau, Leopold si era consolato facilmente con madame
Marchard, ma viste le circostanze, fu un pensiero che decise di non esprimere,
conscia dell’indelicatezza stessa dell’ idea.
Nonostante questo scrupolo, l’
espressione del suo viso tradiva una traccia vaga di quel pensiero meschino.
Lisette pareva non curarsene,
forse comprendendo lo scetticismo della sua ospite.
“Al funerale evitammo il più
banale contatto, quasi ignorandoci. Devo ammettere che in quella circostanza mi
comportai davvero molto male: fui odiosa. Quando venne da me per porgermi le
condoglianze, invece di accettare con gratitudine il suo sostegno, feci di tutto
per farlo sentire in colpa.”
-Voi siete responsabile
della morte di Isabeau. Le avete riempito la testa di bei sogni e
fantasticherie. Se lei non si fosse lasciata incantare da voi, a quest’ora
sarebbe ancora viva, e magari moglie di un brav’uomo che le avrebbe garantito
un futuro dignitoso e rispettabile. Invece, ne avete fatto la vostra amante; è
morta per colpa vostra. Dovevate andarvene e tornare dalla vostra famiglia!
-Madame, vi prego;
capisco che il dolore e la rabbia vi fanno parlare così. Io amavo dal profondo
del cuore vostra sorella, nutrivo un sentimento intenso e sincero come non
l’avevo mai provato prima, ed ero pronto a un impegno serio con lei.
-Impegno serio? Oh,
suvvia, ora mi direte che volevate sposarla! La storia si ripete sempre uguale,
o quasi. Qualsiasi uomo travolto dalla lussuria dei sensi parlerebbe
esattamente come voi; quando la passione si fosse estinta, avreste ragionato
diversamente.
-Siete molto ingiusta e
amara. Dite quello che volete, ma sono un uomo d’onore e avrei dato un nome
alla bambina e intendo ancora farlo.
-Non sentitevi in
obbligo. Mi occuperò io della piccola Margot. Andatevene! Lasciatemi col mio
dolore. Tornate dalla vostra legittima moglie e dai vostri figli. Non avete
diritto di restare qui e io non gradisco più la vostra presenza in questa
dimora. Non l’ho mai gradita!
Oscar continuava ad ascoltare il
racconto con espressione sgomenta.
“Ma Leopold non se ne andò mai. E
ancora oggi mi chiedo perché; cosa lo fece restare accanto a me che gli ero
dichiaratamente ostile, che non volevo parlare con lui, né ascoltarlo,
comprendere lo stesso dolore che avevo io, forse lo stesso senso di colpa.
Leopold fu paziente, in un modo che mi sorprese.
Fu discreto: veniva a farmi visita
con la richiesta di poter vedere la figlia anche solo per pochi minuti e
restava a distanza, il più delle volte in silenzio, ad osservarmi con quella
sua aria un po’ greve. La piccola era l’unico sollievo che avessi in quel
momento e Leopold lo capì. Mi chiedeva di lei, se cresceva sana e forte.
Avrebbe potuto sottrarre Margot
alla mia tutela, ma non lo fece mai. Attese che fossi io ad aprirmi e potessi
vedere il suo dolore che non volevo considerare più grande o importante del
mio: Isabeau era mia sorella, era sangue del mio sangue, non aveva un vero
legame con lui, tranne quella bambina rimasta tra noi.
Così, lentamente iniziai a
sciogliermi, ad abbassare le mie difese. E lui le sue.
Fu il nostro reciproco dolore a
unirci e trovammo consolazione in noi stessi, quando capimmo che se fossimo andati
oltre il risentimento, saremmo potuti vivere serenamente condividendo il
ricordo di Isabeau.”
-Per il bene della
piccola, io e voi dovremmo tentare almeno di essere amici, ed evitare di farci
la guerra. Se voleste darmi questa possibilità, trovereste in me un sicuro
sostegno, oltre che un onesto alleato.
-È strano, sapete… avevo
una tale rabbia in corpo che mi stava divorando, e dovevo sfogarla su qualcuno:
mia nipote, oppure voi. Mia sorella ha dato la sua vita per mettere al mondo
quella creatura innocente. Così ho preferito odiare voi, almeno all’ inizio.
Potete biasimarmi per questo?
-No, vi comprendo,
invece. Ma capite anche voi che il biasimo non ci porta da nessuna parte, ci fa
solo soffrire di più. Ci sarebbe un modo molto più semplice per lenire il dolore, se voleste.
“Così finiste per innamorarvi…”
concluse Oscar, senza troppa enfasi.
“Sì, ma vi giuro Oscar, tentai di
oppormi a quel sentimento, non volli ritenerlo reale; cercai di trattare Leopold
come un semplice amico discreto e premuroso che mi fu accanto nel momento
delicato del bisogno… Ma l’amore Oscar, oh…- Lisette emise un rapido sospiro,
prima di riprendere a parlare con più foga di prima - è qualcosa di più forte
di noi, di tutti i nostri propositi, le nostre remore. Non si cura di niente,
convenzioni o altro, avanza nel nostro cuore attraverso pensieri e parole
gentili, e siamo troppo fragili o feriti per resistere, troppo bisognosi di
calore, così si fa strada travolgendo ogni cosa e nulla regge al suo passaggio,
così arriva sempre dove vuole. E quasi sempre vince.”
“Quasi sempre?”
“Talvolta paura ed egoismo possono
ostacolarlo, ma voi più di chiunque dovreste sapere di cosa parlo.”
Lisette si interruppe mentre Oscar
continuava a fissarla con aria interrogativa. Ma quasi subito riprese a
parlare.
“Vedete Oscar, nonostante la
vostra educazione, voi siete una donna, oltretutto molto bella, e credo che non
vi manchi la sensibilità tipica dell’animo femminile; dovete esservi innamorata
almeno una volta nella vita, magari vi sta succedendo proprio in questo
momento… - Oscar impercettibilmente trattenne il fiato - e avete una sorella
gemella. Sapete cosa dicono dei gemelli? Che tendono ad innamorarsi delle
stesse persone…”
“Non capisco dove volete arrivare.
Cosa c’entra questa storia dei gemelli? Non cercate paragoni inutili.”
“Avete ragione, scusate. Non era
mia intenzione. Voi e Danielle mi siete parse così unite, non sapete che pena
era, a volte, osservarvi. Io volevo solo dire che oggi vedo in voi qualcosa di
diverso che non notai quando ero ospite a casa di vostra sorella. Non mi
sembrate nemmeno più la stessa persona che incontrai a Villa Recamier. Vi
risulterà sorprendente quello che sto dicendo, ma ho questa precisa sensazione,
e non credo di sbagliarmi. Ma in realtà, neppure questo è importante. Che voi
siate innamorata o meno, io credo che possiate comprendere il conflitto che mi
sono trovata a vivere.”
“Mi pare che ne abbiate vissuto
più di uno, madame…”
“Sì, è vero, ma quello irrisolto è
senz’altro il più doloroso.”
Oscar si concesse una veloce
riflessione.
Per quanto fosse sottile, il
discorso di Lisette appariva molto chiaro. Quella donna voleva chiederle
qualcosa e lei sospettava quale fosse la natura della richiesta.
“Vi prego smettete di girare
attorno al problema: voi volete qualcosa da me e credo anche di sapere cosa.
Volete stabilire un contatto con mia sorella, forse addirittura un’ alleanza.
Volete che Danielle non ostacoli il riconoscimento. Volete che io la convinca
ad accettare questo strano compromesso che proponete, in virtù di qualcosa che
dovrebbe accomunarvi?”
Lisette era rimasta seduta accanto
alla culla fino a quel momento, ma all’improvviso decise di alzarsi e si pose
in piedi di fronte alla sua ospite.
“È inutile negarlo. Voglio il nome
dei Recamier per mia nipote, non voglio che passi per una bastarda. E per
questa concessione, credo di poter offrire qualcosa in cambio…”
Gli occhi di Lisette adesso
brillavano, ma Oscar alle sue parole non poté fare a meno di sorridere.
“Cosa mai potreste offrire voi?”
“Quello cui anela uno spirito
inquieto alla perenne ricerca di altro: la libertà. Io posso offrire alla
contessa di Recamier l’occasione e il pretesto per raggiungerla.”
Improvvisamente per Oscar quelle
parole parvero sconvolgenti e non fu sicura di comprenderle appieno.
“Libertà? Voi credete che mia
sorella voglia…?”
“Vostra sorella è uno spirito
inquieto, proprio come voi, Oscar, proprio com’era Isabeau… Vincoli, catene,
costrizioni, regole imposte da altri vi vanno stretti. Vivete secondo la vostra
natura. Inseguite la libertà a dispetto di tutto. Dalle catene tentate di
liberarvi. La catena di vostra sorella è il matrimonio. La vostra forse siete
voi stessa.”
“Strano filosofico discorso, il
vostro. Ma secondo me, stiamo andando fuori tema. O forse, cercate soltanto di
portarmi nella direzione che preferite.”
Obbiettò Oscar, ma con scarsa
convinzione.
“Voi dite? Provate a parlare con vostra
sorella di ciò che vi ho appena detto. Per fugare ogni dubbio, ditele anche che
non fa parte dei miei piani sposare Leopold, voglio solo un nome di rispetto
per mia nipote.”
Mentre Oscar si allontanava da
palazzo Marchard con André, un turbine di pensieri le si affollavano in testa.
Uno su tutti dominava sugli altri:
l’istinto le diceva che Lisette era molto diversa dalla donna ingenua e docile
che appariva a una prima frettolosa impressione. Che non avesse mire sul
cognato le sembrava poco probabile e la sua dichiarazione non era altro che un
astuto stratagemma. Aveva la netta sensazione che fosse una donna assai
intelligente, scaltra e disincantata, e soprattutto, sorprendentemente acuta.
Se non si fosse sbagliata, Danielle
si sarebbe confrontata con una rivale degna di lei.
Eccomi,
non ci speravate più, eh? E invece sono tornata a dannare me e voi con questa
storia allucinante. Chiedo scusa a tutte per il mostruoso ritardo di questo
aggiornamento. Non so come, e contrariamente alle mie previsioni, sono riuscita
a recuperare un po’ d’ ispirazione che era latitante da mesi ormai, per
concludere questo capitolo.
Penso e
spero di aver trovato la chiave giusta per risolverlo, poi rileggo tutto e
tornano i dubbi.
È quasi
un miracolo che sia riuscita nell’impresa,e credo di essere nella direzione giusta. Non so se sarà esattamente
quello che vi aspettavate, probabilmente no, ma mi sforzo di far evolvere la
storia in maniera naturale e di portarla dove per me è giusto che vada.
Naturalmente attendo le vostre impressioni che accetterò di buon grado. Grazie
sempre per tutto l’incoraggiamento che mi date, lo apprezzo veramente tanto.
@@@@@
Sul far della sera accesa di colori rosa violacei, Oscar e André avevano
lasciato la casa di madame Lisette per tornare in paese, dove avevano affittato
due alloggi per la notte.
Si trattava di una pensioncina nel centro di Chassillè, semplice e
modesta, che accoglieva viandanti e viaggiatori di passaggio, che ripartivano
poi per le regioni più a ovest, e verso la Normandia.
Per quella notte i due amanti - perché oramai potevano dirsi tali -
avrebbero dormito in letti separati e Oscar si lasciò sfiorare velocemente dal
pensiero che le sarebbe parso strano, forse anche triste. Sicuramente poco
piacevole. Ma altrettanto in fretta, scacciò l’idea dalla mente con lieve
disappunto.
Non mi posso permettere distrazioni e credo sia meglio non dare
nell’occhio, aveva detto laconica
quella stessa mattina all’arrivo, di fronte allo sguardo dubbioso e un po’
sardonico che le aveva restituito lui. André non aveva posto obbiezioni, si era
limitato ad abbassare il capo, rassegnato al fatto che lo avrebbero accolto
delle lenzuola fredde e non avrebbe goduto del calore ormai famigliare del suo
corpo.
Dopo le recenti scoperte, Oscar non voleva perdere altro tempo, né
lasciarsi condizionare da nascenti desideri e turbamenti; voleva avere la mente
sgombra da pensieri insidiosi e progettava di ripartire la mattina seguente, al
primo sorgere del sole.
Avvertiva l’impulso di tornare a Parigi il prima possibile, e neppure
lei sapeva bene perché avesse tanta fretta.
Desiderava parlare con Danielle.
Ma per dirle cosa, poi?
Per investirla con le strane insinuazioni di quella donna, di cui
adesso faticava a comprendere le reali intenzioni e motivazioni? Non sapeva
bene se fossero di qualche utilità per chiunque, in quella complicata vicenda.
Ma c’era dell’altro.
Con sorpresa, il mattino seguente un messo di Madame Lisette l’aveva
attesa alla pensione prima della partenza per consegnarle un biglietto e una
lettera della sua padrona.
Il biglietto breve e sintetico, scritto con una grafia elegante era per
lei.
“Madamigella Oscar, spero vorrete farmi la
cortesia di consegnare la lettera allegata a questo messaggio alla contessa di
Recamier. Non dovete avere alcun timore; se credete la cosa opportuna vi
autorizzo aleggere la missiva, ma
credo che vostra sorella vi metterà al corrente del suo contenuto. Intanto, vi
auguro un buon viaggio di ritorno verso Parigi.”
Lisette De Marchard
Oscar aveva guardato la lettera con sospetto, ma non aveva voluto
rompere il sigillo e accertarsi del suo contenuto. Quando si erano allontanati
in carrozza, André incuriosito, le aveva fatto qualche domanda, ma le sue risposte
erano state incerte.
“Cosa credi che voglia quella donna? Dopo tutto quello che ti ha
raccontato, non credi sarebbe saggio anticipare le sue mosse? Forse dovresti
leggere quella lettera prima che lo faccia Danielle. Soltanto per banale
precauzione.”
“Non credo sia necessario; scopriremo di che si tratta appena raggiunta
Parigi. – Lei osservò per un momento il suo compagno di viaggio. - Sembri
preoccupato, André; è accaduto qualcosa che non so, mentre Lisette era ospite a
Villa Recamier?” Chiese con voluta ironia.
“Oh, non ne so più di te, Oscar… solo non vedo cosa Lisette potrebbe
offrire a Danielle, in cambio del nome per sua nipote… già la storia non è
delle più edificanti: l’amante del conte muore lasciando una bimba orfana di
madre, con tutte le complicazioni del caso; tua sorella non reagirà bene a
questa notizia.”
“Non lo so immaginare. Comunque, non fa alcuna differenza. Resta il
problema dello scandalo, che mia sorella vuole evitare. Quello che non credo
sia vero è il disinteresse di Lisette per un eventuale matrimonio con mio
cognato. Avrebbe troppo da guadagnare e nulla da perdere. Comunque è un ipotesi
irrealizzabile.”
“Già… ma chissà cosa c’è in quella lettera. Spero non si tratti di un
ricatto di qualche genere…”
Oscar lo guardò allarmata e un poco sospettosa.
“Ricatto? Che vuoi dire?”
“Voglio dire che forse quella donna sa più di quel che dice; forse ha
intuito qualcosa del vostro innocente scambio di ruoli, e vuole usare questo
elemento a suo vantaggio…” Ipotizzò André.
- Quello strano discorso fatto
sui gemelli!Ricordò Oscar tra sè e sè, con un vago cenno
di sorpresa.
“Tu credi che…”
“È una possibilità che devi considerare.”
“O forse, Lisette ha intuito chi sia la vera debolezza di mia
sorella…” Puntualizzò guardandolo dritto in faccia, quasi con aria di sfida. Ma
André non si scompose, né diede segno di aver colto la provocazione.
“Volevo semplicemente dire che ha notato che alla villa, tu sembravi
diversa. Può averne parlato con tuo cognato. E di questa Isabeau, noi non
sappiamo nulla. Ma in paese potrebbero saperne qualcosa. Forse prima di
andarcene, dovremmo indagare un po’ in giro. Il curato di Chassillè potrebbe
aiutarci; i preti sanno sempre tutto di tutti.”
“E tu ora vorresti andare a cercare il curato? Mi sembra un’ inutile
perdita di tempo.”
“Non ne sono convinto. Io tenterei. Potremmo scoprire cose importanti.
Non siamo ancora troppo lontani dal paese e possiamo fare marcia indietro.
Perderemo al massimo mezzora.”
La chiesa locale era all’estremità del paese, un edificio semplice e
ben tenuto con la facciata romanica e il rosone centrale istoriato. Il parroco
di Chassillè aveva confermato buona parte della storia, con qualche
sorprendente variazione. Il lutto della famiglia Marchard era cosa nota, ma la
gente pensava che la giovane fosse morta in seguito ad una febbre violenta e
misteriosa; della bambina di Isabeau nessuno pareva saperne nulla, quindi
voleva dire che la gravidanza era stata mantenuta segreta, o messa a tacere,
magari pagando il silenzio di possibili testimoni, tra cui la levatrice.
Può darsi che Leopold in persona, avesse messo mano ai cordoni della
borsa per far tacere le lingue.
Il cuore di Oscar era pieno di dubbi, mentre tratteneva la lettera di
Lisette nelle mani senza decidersi ad aprirla; se quel foglio di carta avesse
rappresentato un problema per lei e forse per la stessa Danielle, sarebbe stato
più saggio saperlo con un po’ di anticipo.
Lisette poteva aver intuito qualcosa di ben più compromettente dello
scambio di persona intercorso tra lei e Danielle; forse aveva inteso il reale
motivo dello scambio e tutte le persone in esso coinvolte.
Stava cercando di fare mente locale di tutto, di ogni singola azione,
persona, incontro e dialogo che fosse avvenuto alla villa durante quei giorni,
ma non le veniva in mente nulla che fosse rivelatore.
Eppure erano state attente.
Non abbastanza, evidentemente.
Non avevano ingannato André, ma lui almeno aveva famigliarità con loro.
Le conosceva da anni.
Possibile che Lisette avesse capito il loro gioco innocente?
La brusca evoluzione del rapporto con André sul piano fisico, la
maturazione implicita dei sentimenti, il loro svelamento non erano per lei cose
semplici da accettare, e aveva il sospetto e la paura che quelli di Danielle
fossero identici. Altrettanto impetuosi e forti, ma pronti ad esseri vissuti
con totalità.
Se per lei erano motivo di conflitto con sé stessa, Danielle li avrebbe
accolti senza remore, né rifiuti, se non lo aveva già fatto.
Né Danielle avrebbe cercato di nasconderli, e Lisette dotata di
notevole arguzia, poteva averli sicuramente notati.
Le sorelle Jarhayes, rese ricattabili per amore dello stesso uomo. E
non un uomo qualsiasi del loro ambiente, ma il buon vecchio André.
Continuava a chiedersi se fosse davvero amore quella smania che sentiva
verso l’amico di sempre, i pensieri ossessivi, impudichi e osceni che
infiammavano i sensi, quel desiderio prepotente che le bruciava le vene e la
carne.
Maledetto sesso. Perché doveva essere così esaltante?
E perché proprio con André?
Si sforzava di non pensarci, ma in alcuni momenti si accorgeva di non
avere il controllo della sua mente, se ricordava le labbra di lui contro la sua
pelle.
Un fatto che la indisponeva.
Odiava perdere il controllo.
Non poteva permetterselo nella posizione in cui era.
Dormire lontana da André era stato più difficile del previsto; il letto
vuoto le era parso troppo grande e pieno di spine, e lei vi si era rigirata da
una parte all’altra, insofferente, in preda a uno strano tumulto che le faceva
pulsare il sangue alle tempie e rendeva irregolare il suo respiro, trattenendo
a fatica la voglia indecente che l’avrebbe spinta a raggiungerlo in piena
notte, col rischio di venir scoperta da qualche pensionante ritardatario.
E non sapeva se il sesso poteva bastare a trattenere a sé un uomo.
Non sapeva se sarebbe bastato a tenerlo lontano da Danielle, che in
materia di arti amatorie aveva più esperienza di lei.
Danielle aveva avuto diversi amanti; erano una forma di libertà
personale inseguita con tenacia, una fuga dall’ insoddisfazione della vita, un
miraggio di felicità da raggiungere.
Lisette aveva parlato di libertà, e Oscar sapeva benissimo che Danielle
l’aveva cercata sempre al di fuori del matrimonio, e solo di recente aveva
scoperto che un po’ le invidiava la sua. Oscar non si era mai chiesta se
esistesse in Danielle una simile brama d’indipendenza, di cui lei godeva per
educazione. Ma ora, alla luce delle parole ambigue di Lisette, più che mai le
pareva evidente.
E le pareva altrettanto chiaro che André fosse il fulcro di quella
brama di libertà.
Osservò l’amico seduto di fronte a sé.
Pensò che era bello da fare male con quei capelli scuri come l’ebano e
le ciglia folte che velavano gli occhi verdi, un dolce peccato proibito, e la
colpì lo sguardo cupo e intenso che le rivolse; fu certa che lui sapesse in
cuor suo, che non gli aveva detto tutto. Conferma che arrivò un secondo dopo.
“Oltre alla storia di Isabeau, c’è dell’altro, vero? Lisette ti ha
detto qualcosa che non ti aspettavi di sentire, e che ti riguarda da vicino. È
così… Che cosa ti ha detto?”
“Nulla che abbia importanza. - Oscar tentò di glissare. - E non ero io
l’argomento della conversazione.”
Allora perché si sentiva tanto presa in causa?
“Stai mentendo. Quella donna conta sul tuo coinvolgimento personale e
vuole fare leva su questo; credo abbia già capito i tuoi punti sensibili. Non
dovresti sottovalutarla.” Obbiettò André con fermezza, e forse, un pizzico di
compiacimento.
“Non lo faccio. – Sibilò infastidita. - Puoi pensare quello che ti
pare, ma non intendo farmi condizionare la vita dalle banali congetture di una
donna che non mi conosce affatto.”
-Ma io ti
conosco, pensò lui.
Oscar non aveva voglia di soffermarsi sui dettagli di quel discorso
proprio con l’amico, che era la pietra dello scandalo e della sua colpa. La sua
debolezza più grande. Ma lui non demordeva.
“Sono davvero banali congetture, Oscar? O forse, è qualcosa di
vero e reale che ti rifiuti di ammettere?”
Lei preferì non rispondere e lui non ne fu sorpreso.
“Leggerai quella lettera prima di arrivare a Parigi?” Domandò di nuovo
André, con il tono condiscendente di chi ha a che fare con una persona
capricciosa e ostinata.
“Forse...” Fu la risposta laconica che ricevette. Poi scese il
silenzio.
********
“Che avete fatto Madame!” Esclamò il conte sinceramente sbalordito,
alzando in modo brusco il tono di voce.
“Voi dovete fidarvi di me e del mio intuito; so quello che faccio.”
Replicò Lisette decisa, ma estremamente calma.
Il conte era rientrato a Palazzo Marchard il giorno successivo la
partenza di Oscar. Era stato informato della visita della cognata e delle
richieste espresse a nome della moglie, e senza reticenze Lisette gli aveva
parlato della lettera consegnata a madamigella Oscar, scritta di suo pugno per
Madame Recamier.
“Dovete essere impazzita, madame. Ero sulla buona strada per mettere
Danielle nella condizione di non ostacolarmi, facendole capire che non era nel
suo interesse; con un buon compromesso, per quanto forzato, sono certo che
avrebbe accettato l’adozione, ma questa vostra insensata iniziativa potrebbe
rendere tutti i miei tentativi inutili, vi rendete conto?”
Il conte parlava agitando un braccio nell’aria come se dovesse spazzar
via un insetto, prima di picchiare il palmo della mano sul tavolo al quale era
seduto.
Lisette era in piedi di fronte a lui, e mentre parlava si spostava di
pochi passi da destra a sinistra, e viceversa.
“Nessun compromesso ricattatorio farà cedere vostra moglie. La
renderete soltanto più determinata a ostacolarvi e se possibile danneggiarvi.”
Continuò Lisette con convinzione.
“Oh, io potrei anche danneggiare lei, se raccontassi di averla sorpresa
col suo amante più recente, quel chiacchierato nobile svedese, il conte di
Fersen. Immaginate la portata dello scandalo, se il fatto arrivasse
all’orecchio della regina?”
Lisette sorrise divertita.
“Oh, questa sarebbe davvero una grossa sciocchezza. Vostra moglie non è
per nulla interessata all’ amante della regina, credetemi. Sono convinta che
non ci sia mai stato nulla fra loro, nonostante le apparenze. I vostri sospetti
non hanno fondamento.”
“C’è l’hanno invece! Avete visto come si comportava, alla villa?”
Insistè Leopold cocciuto.
“Certo, e non c’era corrispondenza nei gesti di Danielle. Anzi, ho
visto vostra moglie respingere le avance del conte con sottile eleganza, almeno
un paio di volte.”
“Ma voi donne, fate così…” obbiettò Leopold con leggerezza.
“Vi assicuro non era un gioco di seduzione, era un deciso rifiuto,
anche se ben mascherato.”
“Come fate a dirlo con una tale sicurezza?”
“Semplice spirito di osservazione, e io ne ho più di voi, mio caro.
Quindi, smettetela con le vostre accuse. E vi dimenticate che Oscar è dalla
parte della sorella e sarebbe meglio non averla come nemica; piuttosto potrebbe
perorare la nostra causa, se sapremo giocare bene le nostre carte… c’è un altro
modo per ottenere ciò che vogliamo…”
Leopold ora si era calmato, e ascoltava con una certa curiosità e
meraviglia il discorso della sua compagna.
“Potreste avere molto di più, Leopold. – Esclamò con impeto. - Bisogna
vedere se lo volete davvero… a quanto sapreste rinunciare per averlo. Voglio
proporre uno scambio a vostra moglie, che sono certa potrebbe essere molto
allettante per lei, per una ragione che voi non sospettate nemmeno; il nome dei
Recamier per Margot, in cambio di qualcos’altro.”
“Non vi capisco. Mi state facendo impazzire. Il nome del casato in cambio
di cosa, esattamente?” Proruppe un poco spazientito, gesticolando nervoso, di
fronte alla calma controllata della donna.
“La libertà, Leopold. La libertà più vantaggiosa per una donna come
vostra moglie, senza scandali, ricatti, accuse e perdite di alcun genere.
Quella che voi sarete disposto a concederle a una piccolissima condizione, che
lei non potrà negarvi, e che sarà lei stessa a proporvi. Se non ci saranno
sconfitti, tutti alla fine saremo soddisfatti.”
Gli occhi di Lisette luccicavano, mentre un vago sorriso tranquillo le
disegnava le labbra sul volto rotondo. Poi si avvicinò e accarezzò una guancia
dell’uomo.
“Abbiate fiducia in me e tutto si aggiusterà per il meglio, vedrete.”
Leopold osservò la donna per qualche secondo.
“Ma cosa diavolo avete scritto in quella lettera?” Domandò più
perplesso che mai.
“Non occorre che lo sappiate, ma tranquillizzatevi: tutto si chiarirà
nel modo più naturale.”
*********
Erano alle porte di Parigi, ormai.
Mezzora ancora e avrebbero raggiunto Palazzo Recamier che si affacciava
in una strada signorile vicino al centro della città; a due isolati da lì,
sorgeva la residenza del cugino del Re, il Palazzo Reale abitazione del Duca D’
Orleans, amico di vecchia data del conte Leopold di Recamier.
Oscar teneva la lettera fra le mani, mentre osservava dal finestrino
della vettura le strade famigliari, la gente che passava, carretti di merci di
tutti i tipi che andavano e venivano dal mercato, lavandaie con grosse ceste di
vimini trattenute sotto le braccia.
Il sigillo rosso di ceralacca che chiudeva il foglio di carta era
intatto.
Il contenuto della lettera era ancora un mistero per lei; André restava
convinto che non fosse una mossa saggia, ma non la forzò oltre. Lei non vedeva
la necessità di svelare ciò che avrebbe scoperto comunque molto presto.
Danielle l’avrebbe messa al corrente di tutto, e insieme avrebbero deciso cosa
fare, anche se era certa che un’ eventuale violazione di quella strana
corrispondenza le sarebbe stata perdonata.
Raggiunto il palazzo, il pesante portone di legno dell’ingresso
principale spalancò i battenti per consentire il passaggio della carrozza con
lo stemma dei Jarhayes, che si arrestò nel vasto cortile interno; Oscar e l’
attendente furono introdotti in casa dal maggiordomo, che li informò subito
circa l’assenza della signora contessa.
Danielle era andata a fare visita di cortesia a qualche conoscente, ma
sarebbe tornata molto presto. Oscar si preparò ad attenderla, accomodandosi su
una poltrona del salottino, immaginando che ci sarebbe voluto più tempo del
previsto.
André composto restava al suo fianco, in apparenza tranquillo,
addossato alla cornice di marmo rosa del camino, ma dava la curiosa sensazione
che fosse sulle spine. Oscar lo osservò di sottecchi per pochi istanti,
chiedendosi cosa fosse a renderlo così ansioso, e si convinse che il motivo era
contenuto in quella lettera. Col pensiero, maledisse Leopold e le sue bizzarre
avventure sentimentali. Pregava che la sorella tornasse in fretta per mettere fine
a tutta quell’apprensione, ma i minuti passavano e Danielle non tornava, e
André emetteva a brevi intervalli dei rapidi sospiri d’inquietudine. Qualcosa lo
tormentava e lei non immaginava cosa fosse.
*****
Al mio rientro, fui subito informata che Oscar era tornata dal suo
viaggio e che mi stava aspettando da quasi un’ ora. Con infinita apprensione e
turbamento, corsi a riceverla, senza togliermi il cappello, entrando spedita
nel salotto dove di solito ricevevo ospiti.
Era seduta al piano accanto a una delle vetrate, con le gambe allungate di traverso verso l’esterno, e ogni tanto pigiava annoiata uno dei
tasti; quando mi vide varcare la soglia alzò lo sguardo verso di me, senza dare
segno d’impazienza.
Ma quando parlò, rivelò di essere seccata dalla lunga attesa.
“Alla buon ora Danielle. Ancora un minuto e me ne sarei andata.” Sbuffò
inacidita.
“Scusami Oscar, torno ora dalla residenza del cugino del Re, una
personalità importante, che non si deve offendere fuggendo precipitosamente da
casa sua.”
Guardai André.
Erano passati solo pochi giorni, ma erano bastati per sentire la sua
mancanza.
Ricordavo con dolorosa emozione il nostro ultimo passionale incontro,
il bacio disperato che c’era stato fra noi e provai un istantaneo tremore che
mi fece sentire insicura sulle gambe. Lui ricambiò il mio sguardo per un millesimo
di secondo, poi sfuggì ai miei occhi, quasi provasse un lieve imbarazzo.
O forse, era pena vera e propria.
Mi bastò per capire che era successo qualcosa in quei pochi giorni, e
molte cose erano cambiate. Di certo, era un cambiamento che riguardava Oscar.
Forse un mutamento del cuore.
Mi sentii come se la terra mi mancasse da sotto i piedi e un vuoto alla
bocca dello stomaco mi fece sussultare.
Guardai mia sorella, ma non seppi decifrare la sua espressione, né
alcun pensiero, ma forse lei indovinò i miei.
“Hai l’aria preoccupata, Danielle. Aspetta di sentire almeno quello che
ho da dire. È una storia davvero particolare, ma non so quanto ti piacerà. A
proposito, posso sapere perché frequenti il salotto di un noto nemico della
monarchia?”
“Il duca D’ Orleans non è un nemico della monarchia, solo gli
stolti credono a questa diceria; è un uomo potente che è meglio avere come
amico…” dissi guardandomi allo specchio e togliendomi le forcine che
trattenevano il mio ampio cappello di piume.
“È un acerrimo nemico del Re, che aspetta il momento propizio per
salire al trono… Tu, amica del Duca D’Orleans?! Sei una fonte inesauribile di
sorprese, cara sorella.”
Oscar, con un sorrisetto ironico, tentò di punzecchiarmi; Philippe D’
Orleans era un uomo dal fascino oscuro e inquietante, con una nomea di amante
superbo e una luce ferina e subdola nello sguardo, celebre per le sue numerose
e misteriose avventure femminili, al limite del lecito. A corte, qualche tempo
prima, era girata la voce che avesse sedotto e messo incinta una giovane
novizia, figlia di secondo letto di un noto personaggio delle alte gerarchie
militari. Ma la verità era un’altra e in pochi la conoscevano. Io ero tra quei
pochi fortunati.
“Non io. Il duca è uno tra gli amici più influenti di mio marito… -
Risposi, fingendo di non cogliere la sua allusione. -Durante la tua assenza ho cercato di scoprire se potesse sapere
qualcosa circa le intenzioni di Leopold, e se fosse a conoscenza di eventuali
azioni legali che potessero coinvolgermi.”
“E ti fidi di lui? Se è amico di tuo marito, perché dovrebbe favorirti
nel caso di una disputa?”
“Diciamo che il duca è in debito con me; un piccolo segreto tra me e
lui che mi mette in leggero vantaggio. Ma ora basta, voglio sapere come è
andato il tuo viaggio. Cosa hai scoperto Oscar? Cosa puoi dirmi di quella donna
e della piccola bastarda? Possiamo impugnare l’adozione e farla annullare?”
Oscar assunse un aria grave.
“Non lo so. Ma ci sono diverse variabili da valutare. È una storia
piuttosto complicata…”
Così Oscar mi raccontò i dettagli di quella storia incredibile e
lentamente scoprivo che niente era come pensavo che fosse. Tutte le mie
congetture erano fasulle e crollavano come fragili farfalle di carta. Lisette
non era la madre, ma la zia della piccola Margot, e la sua relazione con mio
marito era solo un evento successivo, frutto quasi del caso.
Trovavo molto di cattivo gusto che dopo la morte della sua amante,
Leopold si fosse consolato con la sorella di lei e stentavo a credere che il
loro rapporto fosse stato all’inizio tanto complicato e ostile.
Era una situazione assurda e forzata, e mi sembrava che dietro
l’apparenza ci fosse una verità nascosta, che doveva restare tale.
Non nascosi il mio dubbio a Oscar.
“Cosa spera di ottenere con una storiella tanto patetica e lacrimevole!
La commozione per il suo lutto dovrebbe farmi dimenticare l’affronto subito?
Umiliata due volte! Non una, ma due amanti diverse. – Proruppi indignata. - Che
importanza potrebbe avere per me? Dovrei accettare l’adozione solo perché quella bimba è orfana di madre? Il mondo è pieno di orfani e
nessuno prende a cuore la loro sorte.”
“Posso capire la tua reazione cinica, Danielle. Può darsi che Lisette
abbia effettivamente puntato su questo. Ho avuto anch’io questa impressione… -
Mi rispose Oscar pensosa. – Ha insistito molto sul rapporto con la sorella; ha
tentato delle analogie ardite tra il nostro legame e il loro…”
“Che giochetto meschino è mai questo?” Ero costernata.
Guardai Oscar, la sua espressione meditabonda, poi mi accorsi che anche
André era attentissimo a ciò che stavamo dicendo. Serpeggiò in me il sospetto
che mia sorella volesse nascondermi qualche elemento importante. Che cosa non
mi stava dicendo?
“Danielle, una volta mi hai detto che invidi la mia libertà, ma cosa
saresti disposta a fare per averla?” mi chiese all’improvviso, e la frase mi
parve estranea a ogni contesto.
“Cosa?”
Ero più confusa che mai, e ancora non afferravo il senso di quello
strano discorso.
“È la sua proposta: quella donna è convinta di poterti offrire la
libertà, in cambio del nome dei Recamier per sua nipote, ma ignoro in che modo
intenda farlo. Ma c’è anche dell’altro, Danielle…” mi disse, e il tono carico
di aspettativa m’impressionò.
“La mattina della partenza, mi è stata consegnata questa lettera per
te. È di Lisette. - Oscar mi allungò una missiva sigillata. - Non conosco il
suo contenuto, e sono stata tentata di aprirla prima di arrivare qui. Può
essere che la cosa non mi riguardi, ma lei era sicura che mi avresti informata,
così ho deciso di aspettare. Temo che possa essere qualcosa di compromettente.”
Presi la lettera tra le mani e senza troppi riguardi ruppi il sigillo
di ceralacca rossa che la chiudeva. Oscar e Andrè erano in piedi di fronte a me
e attendevano con impazienza malcelata.
Aprii con cautela i lembi ripiegati del foglio di carta fino a
distenderlo completamente sotto i miei occhi; scorsi velocemente l’inchiostro
nero che disegnava la grafia sconosciuta, sicuramente di donna, un po’
schiacciata e arrotondata.
Oscar si accorse subito della mia espressione basita.
“Allora, che cosa c’è scritto?” mi incalzò in tono ansioso.
Senza fare commenti, le mostrai il foglio vergato con poche parole
oscure e incomprensibili.
- Cara contessa di Recamier,
quello che debbo dirvi è di una tale importanza,
che non può essere affidato a una lettera
che potrebbe essere letta da persone
sbagliate,
e non mi riferisco a madamigella Oscar…
fidatevi, saprete ogni cosa a suo tempo.
Avrete presto mie notizie.
Sono sicura che ci comprenderemo.
Con rispetto,
Lisette de Marchard
“Ma che diavolo significa? Vuole farmi uscire di senno? I giochetti
subdoli di questa donna cominciano ad innervosirmi parecchio. Non mi attendo
nulla di buono. Tu che ne pensi, Oscar?”
Mi agitai avanti e indietro, brandendo il mio ventaglio come se fosse un’
arma; afferrai con malagrazia il foglio di carta dalle mani di Oscar e lo
ridussi a brandelli che gettai nel fuoco.
Anche la mia gemella sembrava allibita e perplessa.
“Non so davvero che pensare, questa donna si sta rivelando più
imprevedibile del previsto. La prima impressione avuta su di lei non potrebbe
essere più sbagliata. Comunque è evidente che Lisette non si fida a mettere
nero su bianco i suoi pensieri. Dobbiamo attendere la sua prossima mossa; sono
certa che sarà imminente.”
Per un caso curioso, in quel preciso istante, la mia fida Ninette venne
a interromperci.
C’erano visite.
Un gentiluomo sconosciuto chiedeva di potermi incontrare, veniva da
Chassillé.
Ci guardammo fra di noi, sorpresi più che mai.
“Fallo passare, Ninette.”
La cameriera si eclissò rapida oltre la porta.
Mi accomodai su una comoda poltrona di velluto blu, pronta a ricevere
il mio ospite inaspettato; non avrei tradito la minima insicurezza, né
apprensione alcuna.
Oscar era accanto a me e André al suo fianco.
L’uomo fece il suo ingresso nel salotto, si presentò come Mesieur
Fossion e mi salutò con un profondo inchino togliendosi il tricorno nero che
portava in capo. Lo invitai a parlare e spiegarmi il motivo della sua visita.
“Contessa di Recamier, mi presento al vostro cospetto in virtù di
ambasciatore: devo sottoporvi una richiesta di madame Lisette De Marchard, che
chiede di poter avere un incontro privato con voi. Il luogo, l’ora e il giorno
dell’incontro sono lasciati completamente alla vostra discrezione. Madame De
Marchard vorrebbe incontrarvi per parlarvi e sottoporre alla vostra attenzione
una proposta risolutiva della contesa incresciosa che coinvolge il nome dei
Recamier con quello dei Marchard. Lascio Parigi domani e se credete, porterò a
madame Lisette un vostro messaggio in risposta.”
Riflettei per pochi istanti sul da farsi.
Scambiai una rapida occhiata con Oscar, lei si abbassò verso di me e mi
bisbigliò qualcosa all’orecchio.
“Accetta l’incontro.”
Tornai a puntare la mia attenzione sull’uomo che rimaneva in attesa di
una mia decisione.
“Acconsento alla richiesta di Madame Marchard; mi riservo solo qualche
ora per decidere dove e quando avverrà l’incontro. Tornate stasera per i
dettagli.”
“Ai vostri ordini, contessa.”
Mesieur Fossion si congedò, assicurandomi che sarebbe tornato in
serata.
Tutta la faccenda stava prendendo una piega davvero imprevedibile. Non
riuscivo assolutamente ad immaginare cosa stesse orchestrando Lisette. Doveva
essere qualcosa di clamoroso e mi chiesi se Leopold fosse coinvolto, quando già
lui aveva fatto pressioni su di me.
Insieme a Oscar, tentai di fare delle ipotesi.
Alcune realistiche, altre molto arbitrarie e inverosimili.
Quella che mise tutti d’accordo era la più scontata e pericolosa.
“Ecco la mossa di Lisette che dovevamo attenderci; in questo incontro
segreto non vedo altro che una possibilità di ricatto.”
Fu la constatazione nervosa di Oscar, e André pareva essere d’accordo
con lei.
“Incredibile! Come osa quella donna pensare di potermi ricattare! Che impudenza!”
Ero decisa a non lasciarmi impressionare.
Non mi sarei lasciata piegare da simili mezzi tanto meschini. Parlai
esprimendo tutta la mia lucida indignazione e la mia voce risuonò alle mie
stesse orecchie dura e fredda, velata di rabbia profonda.
“Ti giuro Oscar, se mio marito è coinvolto in questa storia squallida,
me la pagherà a caro prezzo. Posso rovinarlo come e quando voglio. Andrò a
quell’incontro senza timore di nulla, e quella donna si accorgerà che non
subisco gli eventi, non sono manovrabile e sono una giocatrice consumata molto
più di lei. Se vuole la guerra, la guerra avrà e ne uscirà sconfitta. Lisette
De Marchard si pentirà di avermi lanciato questa sfida, parola di Danielle Di
Recamier.”
La tensione mi fece rompere il ventaglio che stringevo convulsa tra le
mani.
Ero pronta a lottare con qualsiasi mezzo e non avrei ceduto per nulla
al mondo.
Continua…
NdA - con
queste premesse, il prossimo capitolo con l’incontro – ma non solo - tra
Danielle e Lisette è quasi completamente impostato nella mia testa, almeno
nella struttura.
Quindi,
forse riuscirò a d aggiornare un po’ prima del solito…
Intanto,
quale pensate sarà la proposta scandalosa di Lisette?
Capitolo 20 *** La proposta scandalosa di Lisette ***
20
20 – La proposta scandalosa di Lisette
Il luogo segreto dove sarebbe avvenuto l’incontro
lo avevo concordato insieme a Oscar e André, dopo aver vagliato svariate
soluzioni; la scelta iniziale cadde sulla cittadina di Chartres, 90 km a sud
ovest di Parigi.
La cattedrale gotica di Chartres sembrava un luogo
adatto allo scopo; era una delle più belle della Francia, con le sue guglie che
svettavano verso il cielo come torri appuntite, il grande rosone della facciata
e le profonde arcate con i bassorilievi ai portali.
Ma riflettendo, si valutò che era una costruzione
monumentale troppo in vista.
Serviva un posto sicuro, facile da raggiungere, ma
abbastanza isolato e assai poco frequentato: optammo per la modesta chiesetta
di Sant Lorence che si trovava una ventina di chilometri, fuori le porte della
città. [1]
Vicino alla chiesa c’era una radura ombrosa con
degli alberi, larici e cipressi che crescevano lì attorno. Era un posto
perfetto per incontrare qualcuno, senza essere notati.
Avevamo stabilito l’incontro per il sabato
successivo, di pomeriggio verso le quattro. Doveva avvenire in segreto e senza
testimoni. Comunicai ogni dettaglio a Monsieur Fossion, perché riferisse i
termini dell’accordo alla sua padrona.
Per un attimo pensai di attuare un altro scambio
di persona, e mandare Oscar al posto mio, per mettere alla prova Lisette, e
vedere se davvero era in grado di distinguerci.
Ma sarebbe stato un espediente inutile e forse
pericoloso, per tante ragioni diverse; la più inquietante di tutte era che Lisette,
con l’arma presunta del ricatto, potesse raccontare alla mia gemella, qualcosa
di sconveniente che riguardava André e me.
Posso accompagnarti, se vuoi, mi aveva detto Oscar con una strana insistenza.
Io rifiutai, assicurandola che l’avrei messa al corrente
di ogni sillaba che fosse uscita dalla bocca bugiarda di quella infima
intrigante.
Nell’ attesa affilai le armi e cercai di
sconfiggere il senso di ansia che mi assaliva infingardo. Dovevo mostrami
sicura, e questo voleva dire essere preparata a qualsiasi offensiva e attuare
una efficace strategia difensiva.
Mi facevo mille domande su cosa quella donna
volesse propormi: accettare l’adozione e magari concedere oltre al nome, una
rendita vitalizia alla piccola bastarda, per tacere a Leopold del piccolo gioco
imbastito da me e Oscar alla villa.
Ma riflettendo, quale danno poteva venirmene?
Non c’erano prove che confermassero il sospetto di
Lisette.
Restava appunto, solo un sospetto non
dimostrabile, e Leopold non avrebbe potuto nuocermi in alcun modo. L’avrei
ridicolizzata senza pietà, se fosse uscita con un accusa del genere. Se di
quello si trattava, l’avrei messa alla berlina con ostentata sicurezza.
Ma potevo anche essere completamente fuori strada.
C’era anche un altro elemento da considerare, un
fattore che m’inquietava, ed era una posta in gioco molto alta che mi
spaventava e mi seduceva allo stesso tempo.
La libertà.
Dio solo sa quanto l’abbia desiderata, sognata
fino a stare male.
Fino a piangere lacrime salate per un miraggio evanescente.
Quella donna voleva offrirmi la libertà.
Sembrava una grazia inaspettata.
Ma libertà da cosa? Dal mio legame con Leopold che
imbrigliava la mia vita?
Che ne sapeva Lisette di cosa volevo io, delle mie
più inconfessabili aspirazioni di felicità? Quella donna non mi conosceva, né
poteva sapere a cosa anelasse il mio cuore. Pensai al mio trasporto per André e
all’ improvviso il mio respiro si bloccò ed ebbi paura.
Non poteva essere così chiaro.
Alla villa non potevo essermi tradita così tanto,
al punto da rendere evidente il mio trasporto per il bel attendente di mia
sorella.
Se il mio segreto non era più tale, per nessun
motivo potevo coinvolgere Oscar come protagonista in quell’ incontro; solo io
potevo affrontare Lisette faccia a faccia, senza farmi mettere con le spalle al
muro.
Ero determinata ad affrontare la situazione con
orgoglio, e se era necessario, opporre la giusta resistenza alle richieste di
quella donna, ma due giorni prima dell’incontro, senza nessun preavviso, André
venne a bussare alla mia porta.
Era solo.
Strano che si muovesse senza Oscar; all’inizio
pensai che fosse venuto a Parigi su commissione di lei.
Ma sbagliavo.
Ci doveva essere un motivo serissimo se era venuto
a cercarmi, e per un momento si rinnovò in me la speranza di essere ricambiata, ma
André non mi concesse di cullarmi nella mia beata illusione troppo a lungo.
“Scusami Danielle se vengo qui a disturbarti; non
vorrei metterti a disagio con la mia presenza inopportuna in casa tua, ma ho
bisogno di parlarti di una cosa seria.”
Esordì, parandosi di fronte a me in tutta la sua
statura.
“In effetti, potrei trovarmi in serio imbarazzo se
si venisse a sapere. – Riflettei qualche istante. - Ma no, in fondo, tutti
sanno che sei l’attendente di madamigella Oscar. Tutt’ al più, è mia sorella
che ti manda da me.”
Allora lo vidi esitare.
“Beh, a dire il vero, Oscar non sa che sono qui.”
Sgranai gli occhi. Poi, sorrisi compiaciuta.
“Oh, questo è davvero sorprendente. Che tu faccia
qualcosa senza coinvolgerla, intendo. Come farai a giustificarti con lei?”
“Non è necessario che lo sappia, Danielle.”
“Questo è molto intrigante… oltre che eccitante, André. Che tu sia qui, come me, all’insaputa di lei. Sai, è davvero
incredibile da parte tua. -Mi ero
alzata dal divano con un certo slancio e mi ero avvicinata a lui, puntando i
miei occhi nei suoi. -Come devo
interpretarlo? È una tua resa? Posso sperare che tu sia venuto qui per…”
André reclinò la testa di lato e sorrise un po’
amaramente, bloccando le mie parole sul nascere con un semplice gesto della
mano.
“Frena, Danielle. Stai correndo nella direzione
sbagliata. Sono qui solo per parlare di quello che è accaduto alla villa. Dello
scambio di persona, e…”
“Ho già affrontato questa questione, anche con
Oscar…”
“Beh, intendevo quello che può essere accaduto la
notte che sei venuta nella mia stanza, te lo ricordi?”
“Certo che me lo ricordo! – Esclamai con un filo
di amarezza. – Anche troppo bene. L’umiliazione di essere stata respinta non si
dimentica facilmente.” Replicai un po’ stizzita.
“Non parlavo precisamente di quello. Stavo
pensando che Lisette potrebbe avere scoperto qualcosa di quello che è accaduto
tra noi. Forse quella notte, qualcuno ti ha vista entrare nella mia stanza, o
uscirne. Ci hai pensato?”
In verità, no, ma lo feci in quel momento.
“Non avrebbe visto me, ma avrebbe visto Oscar, e
ho il sospetto che sia proprio questo a preoccuparti… Comunque, sono stata
accorta: non mi sono fatta notare da nessuno. La casa era avvolta dall’oscurità
e tutti dormivano quando mi sono mossa per venire da te. - Restai in silenzio e
André sostenne il mio sguardo per qualche istante. - Oscar non sa nulla del
nostro incontro di quella notte, vero? E tu non vuoi che lo sappia… per questo
sei venuto qui.”
“Tu lo vorresti, Danielle? Sei pronta a confessare
quello che volevi fare? Credi che lei capirebbe?”
André aveva parlato con tono fermo, ma non mi
sfuggì il suo sguardo vagamente perplesso, e direi anche un poco allarmato.
Io tornai a sedermi sul divano, ma mi sentii punta
sul vivo.
“No… no. – Bisbigliai spaventata, prima di
proseguire. - O forse, quella stessa notte, ha visto te mentre raggiungevi
Oscar nella mia stanza… nel mio letto… - Terminai la frase in un sussurro,
riflettendo tra me e me. - Lisette avrà creduto che fossi io…” e mi rivolsi di
nuovo a lui con convinzione.
“Lisette potrebbe credere che io e te siamo
amanti, André. Peccato che la realtà sia un’ altra. Ironico che io rischi di
essere ricattata per un presunto amante che vorrei e non posso avere, non
trovi?”
A quel punto, mi rispose quasi con cattiveria, e
la voce venata di evidente risentimento.
“Vuoi solo un amante che scaldi le tue notti,
Danielle? Lo puoi trovare quando vuoi, c’è una fila di gentiluomini disponibili
fuori da questo palazzo. Non hai bisogno di me, per questo.”
Il tono acido riuscì a ferirmi, pur comprendendo
che il suo era lo sfogo di un malessere.
“Oh, sei ingiusto, sai benissimo che non sarebbe
così; perché non puoi accettare il mio amore, André? È sincero, appassionato e
non chiede nulla in cambio. Non sono degna di amare un uomo senza titolo solo
perché è al soldo dell’integerrimo e severissimo Colonnello Oscar?”
La mia voce era uscita incrinata. André, che fino
a quel momento era rimasto in piedi, si mosse lentamente per venire a sedersi
accanto a me. Avevo abbassato il viso per nascondere la mia afflizione, ma
dolcemente mi sollevò il mento e puntò i suoi magnifici occhi verdi nei miei.
Mi parvero infinitamente tristi.
“Non posso, Danielle. Non adesso… è impossibile.
Non sarebbe altro che un inganno crudele.” disse con inaspettata dolcezza.
“Se non ora, quando André? Quando sarà troppo
tardi e il cuore sarà troppo stanco, offeso dall’indifferenza? L’unica cosa
crudele è questa sofferenza che mi divora il cuore, e tu non vuoi far nulla per
placarla.”
Afferrai la sua mano e la trattenni tra le mie,
alla ricerca di un po’ di calore.
“Le cose tra me e Oscar sono cambiate, Danielle…
in un modo che non mi aspettavo neanche io.”
“Questo lo sa già. Sono stata io a...”
“No, non lo sai.” Obbiettò deciso.
Sospirai affranta e un po’ disorientata.
“Sei cambiato da quando siete tornati da
Chassillè, l’ ho notato appena ti ho visto. E anche Oscar è strana: ti guarda
come se fossi il più oscuro dei suoi desideri, ma tenta di resisterti. Sembra
più combattuta del solito. Laggiù è successo qualcosa tra voi, ma non riesco a
capire come si è evoluto il vostro rapporto. Forse Oscar ha capito cosa sei per
lei, ma crede ancora che tu sia innamorato di me. È questo?”
André scosse la testa sconsolato, prima di esternare
il suo disagio attraverso una confessione clamorosa e inaspettata, oltre che
per me, assai dolorosa.
“No, Oscar sa tutto. Dopo la tua ultima visita a
Palazzo Jarjayes, abbiamo avuto una accesa discussione e le ho detto che sapevo
del vostro scambio di persona…”
Mi sentii ridicola; quindi tutte le mie cautele
per non tradire il segreto di André erano state superflue. Ma lei non mi aveva
detto niente.
A quel punto mi chiedevo se si fidasse ancora di
me.
Forse non si fidava più nemmeno di André.
“Ma non è tutto, – continuò. - Le ho confessato
ogni cosa di quella strana alba nella tua stanza, dopo il ballo con Fersen,
quando ho tentato di sedurla, ben sapendo che era lei. Ma solo dopo siamo
diventati amanti. L’ho avuta Danielle, e non solo una volta. Quasi non ci
credevo. Dovrei essere felice per questo… ma sento che non è abbastanza. Manca
qualcosa. Sento che Oscar continua a sfuggirmi, anche se adesso sa che sono
innamorato di lei…”
E tu vieni a dirmi questo, ben sapendo quello che
provo, pensai amaramente. Fu come se
mi avesse sentito.
“Danielle, mi dispiace, ma è giusto che io sia
onesto con te…”
La voce di André rivelava una nota triste. La
potevo sentire scivolarmi sul cuore straziato. Erano amanti, ora ne ero certa,
e questo metteva un abisso tra me e lui. Una voragine che rischiava di
diventare incolmabile. Il colpo mortale di una scure aveva tagliato quel filo
fragile che poteva legare i nostri cuori; lo sentivo che mi sfuggiva dalle mani
e tentai disperatamente di riafferrarlo. Di salvarlo dal vuoto in cui rischiava
di cadere.
Volevo André con tutte le mie forze, forse più di
prima, e divenni spietata e quasi dura. Se Oscar non voleva concedere la sua
anima, se non voleva arrendersi ai sentimenti, io anelavo a farlo
completamente.
“Ti ha detto che ti ama, André? Te l’ha detto? No,
vero? E non te lo dirà. – Incrociai di nuovo i suoi occhi e vi trovai la mia
stessa angoscia, la paura di non essere amato. – Lei semplicemente non vuole
dividerti con nessuno, specie con me. Sta solo cercando di stringere di più la
catena che vi lega.”
Poi la mia voce si addolcì.
“Ma io te lo dico, André. Io ti amo! E non avrei
nessuna paura a dimostrartelo. Sono pronta a gridarlo, ad affrontare tutti i
ricatti delle Lisette di questo mondo. Solo per amor tuo, André. Sì, io lo
farei e non avrei rimpianti o esitazioni.”
Sopraffatto dalle mie parole, sì alzò per
allontanarsi; io lo inseguii bloccandolo, e allacciai le mie braccia alla sua
schiena, appoggiando la mia guancia bagnata da una lacrima, al panno morbido
della sua giacca marrone.
“Non andare via, ti prego. Ascoltami ancora un
momento. Cerca di capire quello che provo. È questo che vuoi sentire, vero
André? Lo senti come batte il mio cuore per te? Puoi dire che il suo palpiti
allo stesso modo? Con la stessa intensità del mio?”
Si girò lentamente sciogliendo le mie mani che lo
trattenevano e mi tenne stretta a lui, mi asciugò una lacrima che sporcava la
mia guancia con una lieve carezza.
“Danielle, mi fai star male, se fai così. Non
sarei dovuto venire, scusami. Lo so che mi ami… lo so. Ti sto facendo soffrire,
e ti giuro che non voglio.”
Alzai il mio sguardo a incontrare il suo, che in
quel momento era carico di dolcezza e comprensione.
Come faccio a dimenticarti, se mi guardi così, mi chiedevo. Perché devi essere così dolce,
perché devi amarla così tanto da non riuscire a lasciarla, nonostante ti faccia
soffrire?
“No, André… se tu non venissi più a cercarmi,
sarei io a venire da te, e non mi importerebbe nulla di tutte le sfuriate che
potrebbe fare Oscar. – Mi aggrappai a lui, circondandolo in un abbraccio tenero
e appassionato. – Baciami André, ti prego.”
“Danielle, non possiamo… io non posso.”
“Sei cattivo, André. Vuoi negarmi un semplice
bacio?”
“Ho giurato di appartenerle…”
“Non ti chiedo di rompere il tuo giuramento, ma tu
hai preso il mio cuore. Non calpestarlo, André… permettimi di amarti. Sarà la
mia consolazione più grande. Non ti chiedo altro. Non sei obbligato ad amarmi,
se non vuoi. Avrai da me, quello che lei non riesce a darti…”
“Oh, Danielle! - Quasi gridò. - Non puoi essere
disposta a tanto. È pura follia.”
“L’amore può essere follia, André. Non dirmi che
non lo sai…”
E finalmente mi avvolse tra le sue braccia forti e
sicure, in un abbraccio convulso che aveva una sfumatura di disperazione.
E quando mi baciò con tutto il trasporto che aveva
in corpo, forse fu davvero solo per consolarmi di ciò che non mi poteva dare. E
fu generoso, perché in quel bacio mise tutta la passione che lo divorava, tutto
il sentimento che traboccava dal suo essere. E sentii sotto le mie labbra
schiuse per lui, tutta la sua fame d’amore; era profonda e ne riconoscevo il
gusto salato, perché era anche la mia. Una fame inestinguibile che si rinnovava
senza placarsi, che per qualche ragione oscura, Oscar lasciava insoddisfatta.
Mi baciò con la tenerezza di un amante appassionato, mi baciò come se dovessimo
morire in quell’istante.
Poi mi lasciò andare dolcemente e accostò la sua
guancia alla mia e io mi sentii come una piccola barca in balia del leggero
infrangersi delle onde del cuore.
“Cara Danielle, quanto sarebbe più facile amare
te. Perché scegliamo sempre le cose più difficili? O forse, non siamo noi a
scegliere…”
“Come hai ragione.” Constatai con amarezza.
Lo sentii allontanarsi dal mio corpo, le sue mani
scivolarono lungo le mie braccia e mi sembrò che il distacco fosse penoso anche
per lui.
Forse, iniziava ad arrendersi e smettere di
opporre resistenza all’amore che gli offrivo su un piatto d’argento; sentivo
che per quanto lo negasse, aveva bisogno di un luogo di pace e tranquillità per
far riposare il suo cuore livido.
“Ora devo andare, Danielle. – Attraversò la
stanza, ma prima di raggiungere la porta si voltò. - Ti prego, se mi vuoi bene,
fai in modo che Oscar non debba mai scoprire cosa è accaduto alla villa; lei
crederebbe soltanto che l’abbiamo ingannata. Tu perderesti una sorella, io la
donna che nonostante tutto, continuo ad amare disperatamente.”
Prima che varcasse la soglia lo fermai.
“André, l’istinto mi dice che non posso arrendermi
con te. Non ancora. L’ho capito da come mi hai baciata poco fa; non hai
cancellato del tutto le mie speranze di averti, e lo sai anche tu. Stai
cercando di fare l’equilibrista con i tuoi sentimenti, e so quanto può essere
difficile, ma rischi di cadere ogni momento… lo sai, vero?”
Mi fissò serio per qualche istante.
“Sì, Danielle. Ma non posso tornare indietro. Se
cadrò, cercherò per quanto posso di non farmi male e di non farne ad altri…”
E sparì dietro la porta chiusa alle sue spalle,
lasciandomi sola con le mie ostinate speranze di un amore finalmente
corrisposto.
*********
Chiusi le tendine mentre la carrozza attraversava
la città, le riaprii quando fummo oltre i confini di Parigi.
Oscar e André mi avevano preceduto a cavallo, solo
per assicurarsi che lungo il percorso non ci fossero pericoli. Sarebbero
rimasti nei paraggi, senza interferire. Ci voleva un’ ora abbondante per
raggiungere Sant Lorence; a cavallo lanciato al galoppo, i tempi si
accorciavano molto.
Vista la distanza maggiore da Chassille,
immaginavo che Lisette fosse già sul posto ad attenderci. Avrei potuto
scegliere un luogo molto più vicino a Parigi, come il piccolo paese di Melun
oppure Fountainebleau, e lasciare tutto il disagio del viaggio alla mia rivale,
ma pensai che fosse meglio essere a distanza di sicurezza dalla capitale, ed
evitare incontri imprevisti o spiacevoli.
Quando fummo in prossimità della piccola chiesa,
Oscar e André perlustrarono la zona nelle immediate vicinanze, per assicurarsi
che tutto fosse tranquillo.
Al mio arrivo, una carrozza anonima e scura era
ferma in prossimità della radura; scostai la tendina del mio finestrino e vidi
madame Lisette scendere dal mezzo per attendere in piedi davanti ad esso.
La piccola chiesetta sorgeva pochi metri più in
là, semplice e spoglia, col piccolo campanile e il cimitero sul retro.
Scesi dalla vettura e andai incontro a Lisette che
immobile, mi aspettava puntando i suoi occhi scuri nei miei. Pareva
assolutamente calma.
Non era molto diversa da come la ricordavo;
osservandola, scorsi in lei una determinazione sconosciuta.
Per un attimo la vidi volgere lo sguardo in
direzione di Oscar e André, distanti a cavallo diversi metri da noi, poi tornò
a fissarmi con serenità.
Neppure lei era sola: monsieur Fossion era fermo al
lato opposto della radura.
“Ben arrivata, contessa. Spero che il vostro
viaggio sia stato piacevole.”
Mi accolse con un sorriso spontaneo e sincero, che
non mi tranquillizzò affatto, e io non volli mostrarmi amichevole.
“Il mio sì, non so se il vostro lo è stato
altrettanto. Vorrei evitare i convenevoli e andare subito alla questione che ci
riguarda, madame.”
“Ma certo. Intanto, vi propongo una passeggiata;
più avanti potremo sederci sotto gli alberi e parlare con più calma. Nessuno ci
disturberà, né il mio valletto, né madamigella Oscar e il suo attendente.”
Mi rassegnai a seguirla, ma dopo pochi metri la
investii con durezza.
“Se state pensando di ricattarmi in qualche modo,
sappiate che non cederò mai e non acconsentirò a nessuna vostra richiesta.”
“Ricattarvi? – Con sorpresa, la sentii emettere
una leggera risata. - Perché pensate che voglia ricattarvi? Che motivo avrei,
per farlo? No, tutt’altro, contessa. Io voglio farvi una proposta che possa
essere vantaggiosa anche per voi. In cambio, vi chiedo solo di non ostacolare
il riconoscimento di mia nipote.”
“Sarebbe uno scandalo, e non c’è nulla di
vantaggioso in questo; siete pazza se pensate che possa tollerarlo. Ho una
posizione e un nome da difendere. Mi dispiace per vostra nipote, ma non voglio
che una discendenza illegittima sia imparentata coi miei figli.”
“Ma io posso offrirvi un modo sicuro di evitare lo
scandalo, contessa di Recamier.” Mi rispose seria.
Dovevo ammettere che a quel punto, nonostante un
vago sospetto che non mi abbandonava, ero davvero curiosa. Continuammo a
camminare lungo il margine della radura e puntammo verso una panca in pietra
posta tra due alberi più avanti.
“D’accordo, allora. Di cosa si tratta veramente?”
chiesi con decisione.
“Prima debbo domandarvi qualcosa che richiederà da
parte vostra la massima sincerità, e la mia proposta dipenderà molto dalla
risposta che mi darete.”
“Parlate, dunque.” Le dissi, accomodandomi sulla
panca, di fronte a lei
“Conoscete da sempre le infedeltà di vostro
marito, vero? Come lui pretende di conoscere le vostre…”
Inarcai le sopracciglia, senza degnarmi di
rispondere, mentre Lisette continuava a parlare, sedendosi accanto a me.
“Avete mai pensato seriamente alla possibilità di
chiedere il divorzio?” [2]
Mi domandò candidamente, e io restai esterefatta.
“Divorzio? Ma certo, adesso capisco il vostro
gioco.” Dissi senza riuscire e reprimere un sorriso ironico, ma Lisette smentì
subito quello che presunse essere il mio pensiero.
“Vi assicuro che sposare vostro marito, è l’ultimo
dei miei desideri, nonostante il bene che gli voglio; sono già stata sposata
una volta e non ho tanta fretta di farlo di nuovo. Mi preme molto di più il
nome di mia nipote.”
“Che cosa c’entra questo con la possibilità
assurda che io possa divorziare da Leopold? Ho sempre gestito le sue infedeltà
senza drammi e posso continuare a farlo. Non ho bisogno di divorziare.”
Lisette mi oppose un breve silenzio, ma quando
parlò la sua voce insinuò in me il dubbio.
“Siete sicura, contessa? - mi chiese, e avvertii
una strana aspettativa. – Non vorreste poter gestire con più libertà la vostra
vita? Senza il legame con vostro marito, sareste libera di amare chi volete,
senza timore di scandali.”
Dopo quell’ultima frase, mi rivolse un sorriso
complice. Mi sentivo inquieta. Sollevai lo sguardo oltre la sua spalla
puntandolo sul profilo della chiesetta poco distante; da lontano, Oscar e André
ci stavano osservando.
******
Oscar osservava Lisette e sua sorella con espressione
pensierosa. Scrutava le due donne a distanza e cercava di indovinare le
reazioni, di cogliere perplessità, strani movimenti dei corpi, gesti convulsi
delle mani.
Quelle di Danielle ogni tanto sparivano sotto il
mantello profilato di pelliccia.
Oscar si sentiva rodere dall’ansia; stringeva le
redini di Caesar in maniera convulsa, segno inconfondibile che era sotto
pressione e immaginava che André di fianco a lei, potesse percepirlo.
Avrebbe voluto chiedergli cosa stesse pensando, ma
non osava interrogarlo.
Il suo cavallo ogni tanto scuoteva la testa e
nitriva, sensibile alla tensione nervosa che gli trasmetteva il suo cavaliere.
André, senza farsi notare, le lanciava delle
occhiate fuggevoli, ma anche lui aveva qualche buon motivo per essere preoccupato.
Neppure lui sapeva cosa aspettarsi dall’amante del conte, ma temeva
l’eventualità pericolosa di essere coinvolto in una diatriba che vedesse
opposte e nemiche le due gemelle.
Lisette e Danielle erano sedute sotto un gruppo di
alberi; da quella distanza non era possibile udire cosa stessero dicendo, ma
dopo alcuni minuti, Oscar vide la gemella scattare in piedi con un movimento
brusco.
La contessa di Recamier restò immobile, tesa come
un giunco di fronte a Madame Marchard che viceversa, non mostrava l’ombra del
più piccolo turbamento.
**********
“Non capisco cosa state insinuando…” chiesi,
rivelando nel tono di voce un velato disprezzo.
Lisette non si lasciò impressionare, ma continuò a
parlare con un atteggiamento complice.
“Ve lo spiego subito, contessa. Forse lo sapete
già, magari neppure vi interessa, ma vostro marito è convinto che esista una
relazione adultera tra voi e il conte di Fersen… io invece, credo che non sia
lui, l’uomo che vi interessa veramente.”
Mio malgrado, la mia espressione doveva tradire
come mi sentivo, benché tentassi di apparire imperturbabile, mentre continuavo
ad ascoltarla.
“Durante il soggiorno alla villa, ho notato un
curioso atteggiamento da parte vostra. In particolare, ricordo uno strano pomeriggio
in giardino; io e vostro marito stavamo passeggiando nel parco, insieme a noi
c’erano Oscar e il conte di Fersen. Dopo qualche minuto, notai la vostra
assenza e mi parve curioso che la padrona di casa non fosse lì, con i suoi
ospiti. Distrattamente, alzai lo sguardo al balcone della villa e fu allora,
che vi notai. Non eravate sola, ma in compagnia dell’attendente di vostra
sorella, un borghese dall’aspetto molto affascinante. Per quanto ho potuto
capire da quel poco che ho visto, avevate una strana intesa, oserei dire molto
intima con quel giovane… come si chiama? Ah, sì, André. Ma di più, mi colpì
molto lo strano atteggiamento di vostra sorella; il conte le parlava, ma lei
pareva non ascoltarlo, mentre la sua attenzione, come la mia, era attratta da
quello che accadeva sul balcone, tra voi e il suo servo. Madamigella sembrava
sulle spine, come se le desse fastidio che voi foste sola col suo attendente. Così,
lentamente sono arrivata alle mie conclusioni; sapete cosa si dice dei gemelli,
contessa? Che tendono a innamorarsi della stessa persona.”
“Che mezzucci spregevoli che state usando…”
sibilai, trattenendo a stento la rabbia che mi faceva tremare i polsi per
l’indignazione, ma Lisette obiettò con decisione alla mia accusa.
“No, contessa. Non dovete travisare le mie parole.
Non voglio giudicarvi, né mi interessa se siete innamorata di un uomo… diciamo,
inferiore al vostro ceto sociale; vorrei farvi riflettere sulla possibilità di
stare accanto alla persona che amate, chiunque esso sia. Per questo vi occorre
la libertà… libertà da un vincolo nuziale che può crearvi dei problemi.
Potreste obbligare Leopold a concedervi il divorzio, senza scandali e
conflitti, mantenendo tutti i vostri privilegi e diritti; potreste arrivare a
un comune accordo. Voi in cambio, potreste concedere il nome dei Recamier alla
figlia illegittima di vostro marito, vincolandolo al segreto sulla sua nascita.
Voi non sareste mai bollata come una moglie ripudiata e lo scandalo non vi
toccherebbe in nessun modo. Non vi pare una proposta ragionevole da cui avreste
molto da guadagnare?”
Rimasi in silenzio, lasciandomi sfuggire un breve
sospiro, prima di serrare le mie labbra. Sentivo il vento che mi solleticava le
guance, e sibilava leggero tra le foglie verdi degli alberi attorno a noi.
Qualcosa dentro il mio cuore si stava allargando,
doveva essere la speranza; volsi lo sguardo verso il punto in cui mia sorella e
André erano fermi ad attenderci, e improvvisamente mi parve di sentirmi
leggera.
Libera.
Libera di correre verso la felicità anelata.
Libera da un matrimonio imposto, che da molto
tempo mi andava stretto.
Libera di lottare per il cuore dell’uomo che
desideravo con una forza immensa. Libera di raggiungere André.
Oscar era il mio unico ostacolo, ma potevo
accettare la sfida su un piano di parità. Potevo essere onesta con lei e dirle
la verità.
Potevo dirle che amavo André più di quanto non lo
amasse lei.
Con tutti i rischi del caso, perché per amore si è
disposti a qualsiasi sacrificio.
Sì, sembrava davvero una proposta vantaggiosa, una
tentazione troppo forte, a cui mi era impossibile resistere, che mai mi sarei
aspettata di ricevere in maniera tanto insolita. In verità, era così semplice,
che mi pareva strano non averci pensato io per prima.
Continua…
[1] Mi serviva un luogo fuori
Parigi, e sulla cartina ho trovato Chartres, località a sud ovest della
capitale. La cattedrale esiste davvero, e vista in foto, più o meno corrisponde
alla descrizione, 90 km però mi sembravano troppi, così ho immaginato un luogo
a metà strada. Non so se esiste una chiesa fuori Chartres, quella di Sant
Lorence di cui parlo all’inizio del capitolo è pura invenzione letteraria.
[2] In realtà,
il divorzio fu introdotto a tutti gli effetti nel 1792 dalla Francia
rivoluzionaria. Non era una consuetudine comune, ed era considerata una
vergogna per la famiglia, però pare che le domande di divorzio venivano
presentate più dalle donne che dagli uomini. Ho letto che gli stessi genitori
di Oscar (quelli veri) hanno divorziato di comune accordo, per poi risposarsi.
Spero vi
piaccia. Forse vi sorprenderà un po’… o forse no.
Critiche e
commenti, perplessità legittime, saranno sempre bene accetti.
Buona
lettura.
***********
Sull’onda dell’entusiasmo
iniziale, le parole di Lisette mi avevano abbagliato, quasi accecando la mia
ragione. La prospettiva del divorzio da mio marito, mai mi era sembrata così
vicina.
Non l’avevo mai valutata, né
presa in considerazione sul serio ed ero sempre stata convinta che fosse remota
e inattuabile, e ora Lisette mi prospettava la libertà senza lo scandalo, al
prezzo di un semplice compromesso con Leopold.
Sembrava così facile.
Ma non lo era.
Nulla è mai facile, in verità.
Nessuna nostra scelta fatta con
responsabilità e consapevolezza lo è davvero. E ogni idea, ogni desiderio, ogni
immagine frutto della nostra mente si sviluppa nel travaglio interiore, nel
conflitto tra quello che vuoi, puoi avere e ciò che devi perdere.
A mente fredda, potevo vedere e valutare la proposta per
quello che era. Lo scandalo sarebbe stato il prezzo da pagare per avere la
libertà. Neppure un divorzio segreto poteva essere nascosto a lungo, e presto o
tardi, la verità con le sue conseguenze mi avrebbe investita e danneggiata.
Ma di fronte a quel miraggio il mio cuore tremava, e
forse, Lisette contava proprio su questo. Con quanta facilità aveva compreso il
disagio della mia condizione di moglie infelice, sfociata nella passione
proibita e ribelle per André.
È sempre un errore sottovalutare l’ intuito femminile,
anche quello di una donna come Lisette, dall’apparenza innocua e anonima.
Le era bastato vederci parlare per caso sul balcone di
casa mia. Con astuzia insospettabile, aveva colto la tensione fra me e Oscar e
l’aveva attribuita al comune sentimento che ci legava a lui.
Dunque, poteva essere così palese a chiunque, tranne che a
noi?
Solo pensarlo era pericoloso.
Una brezza leggera accarezzava i fili d’erba della radura,
e faceva vibrare le foglie degli alberi. Lisette era ancora seduta di fronte a
me e mi osservava nell’attesa di una mia reazione. Non so se fu esattamente
quella che lei si aspettava.
“Voi mi prospettate qualcosa che è solo apparentemente
semplice. Un divorzio privo di scandalo non esiste; non è una prassi comune,
sono certa che lo sapete benissimo; anche fatto in comune accordo, è sempre un
problema spinoso. Nella mia posizione ne sarei danneggiata, molto più di
Leopold. Anche volendo mantenere il segreto, non resterebbe tale a lungo.
Quindi, per quanto io possa desiderare la libertà da un vincolo nuziale che mi
soffoca, è una prospettiva davvero poco concreta e attuabile.”
“Allora, forse mi sono sbagliata, e voi non siete
abbastanza innamorata per rischiare; pensavo foste diversa, pronta a mutare
radicalmente la vostra vita, ma forse non volete altro che un amante
occasionale giovane e compiacente che scaldi il vostro letto…”
“Siete impudente! Voi peccate di presunzione, madame! Che
ne sapete? Pretendete di conoscere i moti del mio cuore, ma non sapete nulla di
ciò che voglio io…” sibilai, assottigliando lo sguardo.
“No, sbagliate. La mia non è presunzione, ma esperienza,
vita vissuta; voi siete una donna che desidera l’amore, la passione che
travolge. E volete disperatamente essere travolta, sentirvi viva. Il giovane
attendente, figlio del popolo vi fa sentire così. Questo significa conflitto
aperto con vostra sorella, anche se la cosa vi spaventa e vi inorridisce.
Dovete riflettere sulla mia proposta. Forse vi serve tempo per capire…”
A quel punto, Lisette si alzò dalla panca per allontanarsi
verso la sua carrozza ferma all’estremità opposta della radura. Fece qualche
passo lungo il sentiero da cui eravamo venute, poi la fermai.
“Credete che basti la vostra buona oratoria per
convincermi, madame?” non mi mossi, mentre lei si voltava a guardarmi.
“Basta un sasso lanciato in uno stagno a creare cerchi
concentrici; non intendo forzarvi, l’ultima parola spetta a voi. Non ho altro
da dirvi, contessa.”
Quindi mi salutò con un lieve cenno del capo, prima di
andarsene.
Così si concluse quell’incontro.
All’apparenza fu inconcludente, ma rappresentò solo
l’inizio di qualcosa di più grande.
Lungo il tragitto che mi riportò a Parigi, non scambiai
una parola con nessuno. Incrociai una rapida occhiata con Oscar prima della
partenza e lessi perplessità e nervosismo nel suo sguardo celeste, troppo
uguale al mio. Ero certa che fosse ansiosa di sapere e sospettavo che il suo
sesto senso la stesse mettendo in guardia. Le avevo detto che l’avrei messa al
corrente di tutto, ma non ero più sicura di volerlo fare, né se in quel momento
fosse lecito farlo.
Andrè faceva finta di nulla, ma i suoi occhi foschi e
mutevoli tradivano lo stato d’animo che sicuramente provava. Anche lui aveva le
sue paure e i suoi segreti da nascondere.
Nei giorni seguenti, pensai e ripensai mille volte alla
proposta audace di Lisette.
All’inizio, erano pensieri sconnessi, ma diventavano via
via sempre più chiari e lucidi. Pensai a tutto quello che sarebbe potuto
accadere in futuro nelle nostre vite, se avessi divorziato da mio marito;
naturalmente mi aspettavo le opposizioni di Leopold, sempre preoccupato per la
forma, ma ero sicura che quella donna lo avesse istruito a dovere.
Immaginavo le critiche, i commenti velenosi in società, le
insinuazioni volgari, le accuse più o meno esplicite.
Mi chiedevo se sarei stata capace di assorbire il colpo e
opporre il mio orgoglio di donna libera alle loro lingue velenose.
Tutte le possibilità buone e cattive, sfilavano in una
lunga teoria di immagini colorate come se potessi vederle e toccarle con mano.
Era la mia vita che avrei voluto cambiare.
Erano vecchie speranze che si ridestavano da un lungo
letargo, fatto di ipocrisia e apparenza.
Non mi illudevo. Sapevo esattamente cosa avrei trovato.
La fatica, le difficoltà.
Il rischio terribile di perdere i miei figli, di vedermeli
sottratti, di farli soffrire a causa della mia folle, egoistica idea di
libertà.
Erano troppo piccoli per comprendere l’infelicità della
loro madre, soprattutto Bastien. Mi aspettavo il dolore, la rabbia e
l’incomprensione.
Forse l’odio.
Il risentimento più feroce e acceso.
E il conflitto più penoso con Oscar.
Sarei corsa tra le braccia di André e le avrei trovate
chiuse per me. E avrei lottato strenuamente per superare le sue difese e fare
breccia nel suo cuore. Mi sarei messa tra lui e Oscar, sarei arrivata allo
scontro e sarebbe stato duro e impietoso. Non avrei avuto alcuna remora.
La tensione sarebbe esplosa, rompendo gli argini.
Tra la paura e l’incertezza che mi assaliva,
all’improvviso capii che era lì che dovevamo arrivare. Per trovare ciò che
volevo, dovevo perdere qualcosa.
Era inevitabile.
Non c’era mai stata un’altra via, e tutto, ogni trucco,
gioco, decisione consapevole o meno, ci aveva portato a questo punto della
storia.
Chissà se avevo mai avuto scelta.
Avevamo tergiversato, nascondendo ciò che volevamo
entrambe, io mascherandomi dietro il mio fasullo matrimonio di facciata, e
Oscar dietro i suoi doveri di soldato, il presunto sentimento per Fersen che
non era mai esistito, dietro la sua amicizia con André, che ormai era diventata
altro, forse era sempre stata altro, anche se lei ancora non lo ammetteva.
Non potevo più perdere tempo.
Non potevo più fingere né mentire, e neppure mia sorella.
Oscar doveva capire, accettare la verità. E affrontarla.
Quella che io non potevo più ignorare, negata fino a quel
momento, taciuta per qualche inutile scrupolo morale. Quella che spaventava – e
non solo me - per le sue implicazioni era una sola e semplice: io e Oscar
eravamo innamorate dello stesso uomo.
Era un sentimento diverso per entrambe, ma certamente
potente.
E assoluto.
Comprenderlo fu una sorta di illuminazione.
Accogliere la verità è un pensiero liberatorio che
attraversa la mente, apre il cuore, riporta aria nei polmonie fa respirare.
Avevo questa sensazione, mentre una sera uguale a tante,
la mia carrozza correva sulla strada polverosa verso Versailles, per
presenziare com’era d’obbligo all’ennesimo sfarzoso e superfluo, asfissiante
ballo a corte.
Attraverso i pensieri sempre più coerenti iniziavo a
lasciare andare la paura.
Quando dopo soltanto un’ ora, tanto era durata la mia
resistenza al cerimoniale ossequioso delle riverenze, la carrozza varcò le
porte della città, la paura se n’era andata del tutto; mi ero sbarazzata di
ogni cosa, etichetta o costrizione, e ormai mi era chiaro cosa avrei dovuto
fare.
Le conseguenze delle mie azioni future non mi spaventavano
più.
Neppure riuscivo ancora a prevederne la portata.
*********
Alla flebile luce del primo mattino che filtrava tra le
imposte ancora chiuse, Andrè si era svegliato nel suo letto e non l’aveva più
trovata accanto a sé. Allargò le braccia ad accarezzare le lenzuola vuote,
stropicciate e pregne del suo profumo di donna; conservavano ancora il suo
calore e un lungo capello biondo abbandonato sul cuscino testimoniava che
niente di quello che era accaduto quella notte era stato un sogno: la lotta
sensuale, seducente e quasi furiosa di due corpi che si fondono in un amplesso.
L’ inquietudine lo aveva tenuto sveglio, una cosa che
ormai succedeva anche troppo spesso: i sensi all’erta, nel buio e nel silenzio
che pareva surreale, aveva udito un rumore debole, come il tocco leggero di una
carezza sul legno della porta.
Un po’ distratto, era sceso dal letto a piedi nudi.
Ricordava la sensazione dell’aria fredda contro il torace
nudo.
A tentoni nell’oscurità, aveva afferrato la maniglia e
aveva spalancato l’uscio, e neppure lui sapeva bene con quali intenzioni;
magari infilarsi di soppiatto in cucina, e lì, prendersi una solenne sbronza
che lo avrebbe fatto addormentare sul pavimento come un sacco di patate.
Così, in piena notte, alla luce delle candele sul
corridoio se l’era ritrovata davanti; non aveva avuto il tempo di sorprendersi,
protestare, ragionare e sottrarsi all’ assalto, che lei gli era saltata addosso
con furia quasi selvaggia, senza neppure proferir parola.
Rammentava una visione fugace della sua camicia semiaperta
che lasciava indovinare le forme dolci e delicate dei suoi seni. Si era
aggrappata a lui come un serpente mentre le sue labbra bollenti lo inseguivano
e lo catturavano.
Quelle labbra che ormai lui conosceva così bene. Aveva il
gusto e la consistenza nella bocca, la freschezza e il profumo sul palato e
nella memoria.
Era impazzita a contatto con la sua pelle e lui aveva
sentito le sue mani armeggiare con la cinta dei pantaloni. Al buio, di colpo
era impazzito anche lui.
Come tutte le altre volte.
Non tentava neppure di resisterle, era una lotta persa in
partenza.
André aveva sentito le sue unghie nella carne, mentre lo
baciava, affamata di vita, divorata dal desiderio che si scioglieva in umori
umidi e dolci tra le sue dita.
Sapeva cosa voleva. Lo sapeva ogni volta.
L’ aveva afferrata e sollevata per le cosce fresche e
lisce, e l’aveva schiacciata contro la parete con le gambe di Oscar artigliate
attorno ai suoi lombi.
Era leggera, dolce e morbida.
Ed era terribilmente donna, preda del suo delirio che lo
travolgeva come un’ onda impetuosa. Per un attimo gli era sembrata diversa.
La passione la rendeva languida in un modo struggente e
insolito.
Erano finiti sul pavimento, la camicia di Oscar sfilata in
fretta dalla testa, nuda e vogliosa sotto di lui, che non conteneva più la sua
eccitazione, né tentava di trattenersi. Era entrato in lei quasi con urgenza, e
Oscar lo aveva accolto inarcandosi contro il suo corpo, come il mare che si
apre al vento che lo investe. Nell’amplesso, aveva immaginato gli occhi chiusi,
le labbra schiuse in un sospiro silenzioso, lo sguardo appagato, la curva del
collo esposto all’aria e ai suoi baci avidi. La prima volta erano stati un po’
bruschi, ma avevano continuato per il resto della notte prendendosi con
voluttà, senza fretta, prolungando l’estasi per ore.
Tutto senza parlare.
Unici suoni furono i loro sospiri, i gemiti profondi
mischiati ai forti ansiti di piacere anche quando Oscar gli lasciava i segni
delle sue unghie sulle spalle, quasi volesse marcarlo come cosa sua.
Anche ora, sentiva bruciare la pelle della schiena.
Non ricordava esattamente dopo quanto si erano
addormentati.
Ma non avrebbe immaginato di ritrovarsi solo al risveglio.
Non dopo una notte così.
Con la pigra indolenza di un gatto, si alzò dal letto e si
vestì con gesti lenti, ancora sotto l’effetto della notte di passione appena
trascorsa. Come ogni mattina, raggiunse Oscar nel salone padronale, prima di
partire alla volta di Versailles.
La trovò in piedi davanti alla vetrata, inappuntabile e
rigorosa nella sua uniforme scarlatta che scintillava alla luce chiara del
mattino, la spada legata al fianco; sorseggiava una tazza di te fumante e
guardava all’ esterno verso il giardino. Quando sentì i suoi passi, si girò
verso di lui.
Aveva lo sguardo di sempre. Composto, altero e
indecifrabile.
“Oggi torneremo prima dalla reggia. Danielle ci attende a
Parigi, al suo palazzo. Credo che finalmente conosceremo i dettagli
dell’incontro con Madame Marchard.” Si girò e tornò a puntare lo sguardo verso
l’esterno, oltre il vetro.
André non seppe dire perché, ma avvertì un brivido
serpeggiare lungo la sua spina dorsale e un brutto presentimento avvelenò i
suoi pensieri.
*******
Avevo detto a Oscar che dovevo riflettere per qualche
giorno.
Passò una settimana.
Lei si insospettì, e nell’arco di soli quattro giorni, mi
aveva cercata due volte. Infine, ricevetti un ultimo breve messaggio dove mi
annunciava una sua imminente visita a Palazzo Recamier per quel fine settimana,
che fu così decisivo per me. Coincidenze.
La sua impazienza era fin troppo evidente.
Invece non capivo quale fosse la reazione di André.
Comunque, non sarebbe stato un mistero ancora per molto.
Il suo atteggiamento più cauto era normale: aveva molto da
perdere e troppo da guadagnare per esporsi più di quanto fosse necessario,
anche se neppure lui immaginava come stava per evolversi la situazione
paradossale in cui ci trovavamo. In verità, eravamo tutti troppo coinvolti dai
sentimenti, ma poco disposti a rischiare e mettere le carte scoperte sul tavolo
dei giochi.
Ed era quello che io avevo deciso di fare dal preciso
momento in cui avevo capito cosa volevo e cosa ero disposta a fare per
ottenerlo.
Quando verso le sei della sera, il maggiordomo annunciò
l’arrivo di Oscar, emisi un respiro profondo. Chissà se André l’accompagnava;
decisi che in fondo, non aveva importanza.
*****
Nel tardo pomeriggio, cavalcavano verso Parigi, in
silenzio.
Un silenzio pesante e opprimente che in un'altra
circostanza sarebbe scivolato via senza drammi, ma in quel momento André
desiderava interrompere. Neppure a Versailles avevano parlato molto, e solo di
facezie o questioni di servizio.
Oscar, concentrata nelle sue incombenze, aveva dato più
confidenza a Girodelle che a lui per gran parte del tempo trascorso alla reggia.
Non bisognava essere dei geni per capire che la donna era dominata da pensieri
inquieti che non voleva dividere con lui.
André aspettava che succedesse qualcosa, attendeva una
qualche confidenza.
Da giorni.
Ma lei non si sbilanciava mai.
Non si lasciava scappare né una parola, né un accenno
seppur vago alla loro intima situazione. La notte, l’ultima di una bella
serie, era ancora lì fra loro, peccaminosa, calda e vibrante, carica di ricordi
ingombranti e gesti che chiedevano di essere spiegati e compresi.
Un marchio sulla pelle ancora troppo fresco che non
guariva e si rinnovava.
Lui decise che quella cosa tra loro sarebbe dovuta evolvere.
Dovevano chiarirsi.
In qualche modo.
Così, sputò la domanda come se fosse veleno.
“Perché sei venuta da me, stanotte?”
La voce limpida e netta, non lasciava adito a mezze
impressioni, o fraintendimenti sul significato di ciò che chiedeva.
Nell’immediato, non ricevette risposta, ma ebbe
l’impressione che lei si irrigidisse in groppa al suo cavallo. Seguì un
silenzio ostinato, quasi ostile, che avrebbe scoraggiato chiunque altro al suo
posto, ma non lui.
Non gliela avrebbe data vinta.
-Parlerai stavolta. Volente o no, a costo di
strapparti le parole a forza, pensò.
“Perché continui a cercarmi? Succede quasi ogni notte,
ormai… e tu non parli. Al mattino sparisci. E io penso sempre che resterai,
prima o poi. E non resti, mai. Te ne vai come un ladro che si prende un pezzo
di me… Comincio a essere stanco, Oscar. Stanco di essere trattato come un
trastullo, soprattutto da te.”
Capì dalla sua reazione che l’aveva punta sul vivo. Sentì
il nitrito permaloso di Caesar. Oscar aveva tirato con forza le redini e
costretto il cavallo a fermarsi bruscamente sul ciglio della strada. Il cielo
sopra di loro si tingeva dei colori cupi del crepuscolo e il paesaggio attorno
andava sfumando in tonalità indistinte.
Aveva incrociato i suoi occhi celesti e aveva sostenuto il
suo sguardo fisso, che lo scrutava come se potesse trapassarlo.
“Cosa vuoi sentirti dire, André? Che sono innamorata di
te?”
Non sapeva se era sarcasmo o pena quello che colse nella
vibrazione della voce.
“Per ora mi accontenterei della verità, Oscar. Perché non
so più che cosa siamo. E non so come chiamare quello che c’è tra noi. O meglio,
non so come lo chiami tu. Siamo amici che ogni tanto fanno sesso? Abbastanza
spesso, a dire il vero. Hai deciso di consolarti con me, perché non hai potuto
avere Fersen?”
“Che c’entra Fersen, adesso? – Esclamò infastidita, prima
di proseguire quasi con distacco. - E sì, forse siamo amici che fanno sesso;
non dirmi che ti scandalizzi per così poco, André… Comunque, non mi pare che la
cosa ti dispiaccia, anzi… sei sempre molto compiacente…” e l’ultima frase, le
uscì decisamente ironica e oltremodo provocatoria.
Andrè decise di stare alla provocazione.
“Oh, non fraintendermi, è un gran piacere anche per me.
Secondo te, non ho qualche diritto anch’io? Se volessi qualcosa in più di
qualche incontro rubato nella notte? Deve starmi bene così, perché lo hai
deciso tu?”
“Io non ho deciso nulla. È successo, e basta. E tu non hai
fatto niente per impedirlo.”
“Neppure tu, mi sembra stai facendo molto.”
“Oh, vuoi dirmi tu, cosa devo fare? Come pensi possa
finire, André? Hai fatto qualche progetto su di me? Reclami qualche diritto?
Vuoi che lascio il mio incarico e l’uniforme, la vita che ho sempre condotto, e
scappiamo insieme da qualche parte, a vivere come una coppia felice? Vuoi che
viva come una donna normale, e che ti sposi?”
L'ironia amara della frase non
lasciava margine a libere interpretazioni. André con sofferenza ne colse il
pieno significato e rispose con altrettanta amarezza.
“Io non voglio niente, Oscar. Non pretendo niente. Cosa
potrei volere? Solo un po’ d’amore ricambiato, il rispetto dei miei sentimenti.
– Parlò con evidente rassegnazione, prima di stirare le labbra in una piega
cinica e beffarda. - Scusa se ho dimenticato che sono soltanto un servo, ma
pensavo che tra noi potesse esserci qualcosa di più di una torbida relazione
clandestina. Non voglio certo sconvolgere la tua vita. A questo punto, se sei
d’accordo, credo sia meglio dimenticare tutto quello che è successo, anzi far
finta che non sia mai accaduto… chiudiamola qui. Quella di ieri è stata la
nostra ultima notte insieme, Oscar. - Prima di proseguire, abbassò lo sguardo e
complice la luce fioca dell’ora, non si accorse che lei aveva gli occhi
sbarrati, dilatati come se avesse paura. - Devo ammetterlo: a volte sono
proprio uno stupido illuso…”
Seguì un silenzio che tagliò il cuore di Oscar come se una
lama di ghiaccio lo avesse attraversato.
“Sarà meglio non far attendere oltre Danielle…” Continuò
Andrè, seguirono due colpi di tallone nei fianchi del cavallo e l’uomo ripartì
al galoppo lasciandola indietro. Lei restò lì, ferma e immobile, inchiodata da
un dolore sordo che le scendeva sull’anima. Lo guardò allontanarsi con la
sensazione spaventosa di non poterlo più raggiungere.
******
Mi bastò incrociare i miei occhi con lo sguardo inquieto
di Oscar, per capire che qualcosa non andava. Guardai André e anche lui aveva
una faccia scura.
Oscar sembrava sul punto di piangere, o forse, chissà,
aveva già pianto prima di raggiungere Palazzo Recamier.
Non erano i presupposti migliori per iniziare il discorso
che volevo affrontare. Ma nulla è mai facile. Dovevo tenerlo a mente.
Soprattutto in quel momento.
Improvvisamente ricordai che erano amanti; ecco la lotta
che mi aspettava, il motivo della tensione fra loro, che io conoscevo bene, perché
André, in un momento di fragilità, si era confidato con me.
Quello che stavo per dire e fare, avrebbe travolto tutti
noi, ferendoci in maniera drammatica, ma eravamo a un punto di non ritorno.
Io forse, più di chiunque altro.
Non potevo più lasciare che la mia vita scorresse in una
direzione che non volevo. Non potevo più accettare compromessi, finzioni.
Dovevo prendere in mano la mia esistenza e guidarla
sull’unica strada che poteva portarmi alla felicità tanto anelata. Non potevo
più soffocare il mio cuore e le sue esigenze, o sarei morta nell’animo. La mia
unica certezza in quel momento, era che non volevo più essere legata al mio
consorte fedifrago.
Ci accomodammo nel mio salottino privato e ordinai a
Ninette di servire il tè.
“Io vorrei qualcosa di più forte. Del Cognac, per favore.
”
Chiese Oscar in modo un po’ brusco. Non volle sedersi,
restò in piedi con un gomito appoggiato alla cornice di marmo rosa antico del
caminetto, una gamba incrociata sull’altra, la mano destra distesa lungo la
coscia.
Mi sembrava di percepire la tensione che le irrigidiva le
spalle, e notai che rifuggiva lo sguardo di André, che con strana calma,
accettò il mio invito a sedersi in poltrona, lontano dalla sua padrona, quasi a
voler rimarcare una distanza che si era creata tra loro. Stavo per trasformare
quella distanza in una vera e propria frattura dolorosa, e forse insanabile.
Ninette entrò col vassoio del tè e lo posò sul tavolo di
fronte a noi, tra un tintinnare di porcellane di Sevres, poi servì il Cognac
per mia sorella da una bottiglia cesellata.
“Allora, sono ansiosa di conoscere i dettagli della
questione, Danielle.”
Disse noncurante, facendo roteare il liquore nell’ampio
bicchiere di cristallo, prima di portarselo alle labbra.
Arrivai dritta al punto. Meglio togliere in fretta il
dente che fa male.
“Beh, a dispetto di tutte le congetture, Lisette mi ha
suggerito di chiedere il divorzio, in cambio del nome per sua nipote; nessun
ricatto, dunque. Potrei obbligare Leopold al silenzio, mantenere tutti i miei
privilegi a vantaggio dei miei figli, evitando lo scandalo di essere
considerata una moglie ripudiata.”
Oscar si bloccò con il bicchiere a mezz’aria. André rimase
interdetto per un secondo, poi assunse un’espressione neutra e incolore.
Oscar continuò ad ascoltarmi a bocca aperta.
“La mia primissima reazione, naturalmente è stata di
perplessità, ma ho avuto modo di riflettere molto a lungo… - per prendere tempo
sorseggiai il tè. – E sono giunta all’incredibile conclusione che è- esattamente - quello - che voglio.”
Lo dissi con la massima convinzione, scandendo lentamente
le ultime parole, enfatizzandole una per una, mentre posavo la mia tazza sul
tavolo di fronte a me, ma la mia estrema calma e lucidità non bastò a
convincere Oscar che quella fosse la soluzione più saggia e indolore.
E sapevo in fondo, che aveva ragione di dubitare.
Ma oramai, a me non importava più.
Volevo la mia libertà, e la volevo a qualsiasi costo.
E Oscar intuì che dietro alla mia remissione c’era ben
altro.
“Ma come puoi pensare di… Perché dovresti divorziare? Il
legame con Leopold non è mai stato un problema per te, e di certo non ti sei
mai negata nessuna libertà. Perché proprio ora?”
“Ho capito che non posso continuare a vivere in questo
modo. Non potrei sopportarlo oltre…”
Oscar tentò di indurmi al ragionamento.
“Ma Danielle… Che cosa ti ha messo in testa quella donna? Divorzio
senza lo scandalo? È una cosa assurda. Non puoi credere davvero a una cosa
simile! Hai pensato ai tuoi figli? Al tuo nome e a quello dei Jarhayes?”
“I miei figli resteranno sempre i miei figli e forse un
giorno capiranno le mie motivazioni. Non mi costa nulla concedere il nome a
quella bambina, e se devo affrontare uno scandalo per avere in cambio un po’ di
felicità nella mia vita, è un prezzo che sono disposta a pagare anche mille
volte. Non mi importa.”
“Ma che diavolo ti è successo?” Mi chiese Oscar, sempre
più smarrita.
“Io mi sono innamorata! Totalmente e profondamente. Questo
mi pone di fronte ad una scelta che ho rimandato troppo a lungo. Tu non puoi
capire Oscar, cosa possa rappresentare un matrimonio imposto. Tu sei sempre
stata libera! Non posso e non voglio più essere la moglie di Leopold di
Recamier. Questa è la pura e semplice verità. Un matrimonio senza amore non mi
darà mai la felicità, qualcosa che sto inseguendo da troppo tempo, che spesso
ho cercato dove non poteva esistere. Ora so che solo accanto all’uomo che amo
potrei essere finalmente felice. E io voglio stare con quell’uomo.”
Insistei semplicemente senza troppa enfasi, quasi
sussurrando le ultime parole.
André era rimasto in silenzio ad ascoltare fino a quel
momento, ma adesso si era alzato in piedi e tese una mano verso di me, in un
gesto che voleva indurmi a tacere.
“Danielle, ti prego… non aggiungere altro.”
Fu un sussurro eppure colsi la nota di supplica nella sua
voce.
Oscar guardò prima lui, poi me con lo sguardo più stranito
e confuso che le avessi mai visto. Reggeva ancora il suo bicchiere di Cognac in
mano, ma non lo aveva più avvicinato alle labbra, quasi lo avesse scordato, né
aveva più quell’espressione noncurante di poc’ anzi.
“Che cosa significa?”
Domandò, e visto che non risposi subito, mi incalzò
perentoria.
“Danielle, chi è quest’uomo di cui parli?”
Si era mossa di un passo allontanandosi dalla cornice del
caminetto. Io continuai a non rispondere, mi alzai e mi avvicinai di più ad
André, che era rimasto fermo e immobile, ma il suo sguardo malinconico seguiva
il mio con apprensione ed emozione.
Oscar ci osservò per qualche breve secondo.
Potevo sentire il suo sguardo addosso. Immaginavo il suo
cuore galoppare nel suo petto e anche il mio stava scalpitando furioso.
Le stavo dando modo di capire; la verità le esplose
davanti, quando sfiorai la mano di André intrecciando le mie dita con le sue.
Lui non respinse la mia carezza, ma accolse la mia piccola mano nella sua, con
uno strano senso di resa.
Nello stesso istante sentii il cristallo infrangersi sul
pavimento della stanza ed ebbi la terribile sensazione che le schegge dei vetri
si sparpagliassero nei nostri cuori.
Continua…
Lo so, sono imperdonabile.
Ma ormai ho rinunciato ad aggiornamenti veloci,
sono per me impossibili.
Questa storia è troppo difficoltosa e il suo
sviluppo mi richiede maggior tempo del previsto. Se tentassi di velocizzare la
cosa verrebbe fuori un mezzo disastro. Penso che siamo arrivati davvero al
punto cruciale, e credo che i giochi siano finiti. Spero che abbiate ancora
voglia di seguirmi.
Grazie sempre per tutto il sostegno, per me
significa molto.
Per i primi infiniti secondi, Oscar ci guardò stralunata
come se non ci riconoscesse:eravamo
due estranei davanti a lei, di cui pareva non capacitarsi.
In un silenzio denso e saturo di parole interrotte che stava
diventando insostenibile, puntava i suoi occhi spalancati su di noi, indecisa
se credere o meno alla situazione ambigua che si presentava al suo sguardo.
Io, carne della sua carne, sangue del suo sangue, specchio
della sua anima di cui si era sempre fidata, le rivelavo così il mio amore
impossibile per André, compagno di un’esistenza intera, amico e fratello,
amante che ora scaldava le sue notti, e forse chissà, il suo cuore di donna
soffocato dal dovere, dall’educazione e dall’onore.
Ci tenevamo ancora per mano davanti a lei…
Ma sarebbe più giusto dire che ero io che trattenevo con
coraggio la mano dell’attendente; lui era semplicemente arreso, impreparato,
visibilmente imbarazzato di fronte al mio gesto inaspettato e spiazzante.
“Danielle, cosa stai facendo?”
Mi domandò incredulo con un tremolio incerto nella voce.
Sollevai lo sguardo e nelle sue iridi verdi e ombrose
percepii sgomento sincero, un dubbio e forse una scintilla di paura, e quasi
subito sentii André forzare gentilmente la mia stretta per liberarsi e
sottrarsi alla presa delicata delle mie dita.
Bastò quel gesto penoso a far precipitare tutto.
Il mio coraggio e la mia tenacia.
E ritornò a galla lo spirito guerresco di mia sorella.
La sua incertezza non durò che qualche frazione di secondo,
il tempo di riprendersi e reagire alla scoperta clamorosa. Si mosse fulminea.
Sentii le schegge di vetro scricchiolare sinistre sotto le
suole dei suoi stivali, poi la sua mano artigliò il mio polso con una forza
eccessiva; la sentivo stringere e avevo l’impressione che il sangue nelle vene
smettesse di scorrere.
Con malagrazia, quasi strattonandomi mi trascinò con sé,
obbligandomi a uscire dalla stanza. Sentivo i suoi passi rimbombare sul
pavimento di marmo con un eco sordo e cupo. Immaginavo che il suono del suo
cuore fosse uguale.
André tentò di intervenire.
“Oscar, calmati. Che vuoi fare?” Lei si girò appena a
guardarlo.
“Tu resta qui, André. Non
metterti in mezzo!”
Ordinò con rabbia trattenuta a stento. Ma lui non le diede
retta e ci seguì, temendo il peggio, e anch’io iniziai a temere qualche
reazione sconsiderata.
“Oscar, lasciami. Mi stai facendo male!” Protestai
inutilmente.
Tentai di liberarmi senza risultati; la sua stretta era
davvero troppo forte, per le mie deboli dita.
A grandi falcate, attraverso il corridoio del palazzo,
Oscar mi obbligò a seguirla. Nel tragitto urtammo un tavolino che sosteneva un
vaso di preziosa maiolica decorata a mano, che oscillò pericolosamente sul suo
asse prima di finire in frantumi sul pavimento; il trambusto attirò una delle
sguattere della cucina che intimorita, si appiattì contro la parete e quasi
inciampò nell’angolo di un tappeto.
“Signora contessa!” mi chiamò la ragazza con apprensione.
“Non preoccuparti. È tutto a posto.” Le dissi poco
convinta, mentre Oscar continuava a trascinarmi, e io non tentavo più di
opporre resistenza.
André continuava a seguirci. Raggiungemmo una piccola
saletta, anticamera di una stanza più grande e Oscar con la mano libera spalancò
la porta e mi spinse dentro in modo brusco.
Finalmente allentò la presa sul mio polso, ma lo strattone
che mi diede fu così forte che mi fece perdere l’equilibrio e mi ritrovai a
terra sul pavimento, parando la caduta col palmo della mani.
Oscar non si curò del mio poco dignitoso capitombolo.
Chiuse l’uscio a doppia mandata, lasciando fuori André.
Sentivo la sua voce accompagnare dei colpi leggeri sulla
porta.
“Oscar, ti prego, non fare pazzie. Apri la porta, per
favore!”
Lei lo ignorò completamente.
A quel punto, si girò nella mia direzione.
Con vero terrore, sentii il sibilo dell’acciaio che veniva
estratto dal fodero; impacciata a causa delle mie vesti di seta attorcigliate
alle gambe, strisciai dolorante sul pavimento quasi con disperazione, e mezzo
secondo più tardi, la punta affilata della sua spada minacciava la mia gola.
Anche André avvertì il sinistro suono metallico perché si mise a colpire la
porta con maggior insistenza mentre continuava a chiamare il suo nome.
Lei pareva non sentirlo.
Non osai muovermi, né parlare. Paralizzai il respiro
dietro le labbra.
Incrociammo soltanto i nostri sguardi. Nel mio doveva
esserci la paura più ceca che dilatava le mie pupille vitree, ma in quello di
Oscar fui sicura di leggervi un odio furibondo, mai conosciuto prima, che
tingeva di oscurità i suoi occhi. La sua furia era controllata e per questo
ancor più spaventosa.
Gli occhi cerulei e severi di mia sorella mandavano
scintille, ma erano più freddi e duri della lama che mi stava puntando addosso.
La sua mano era salda e ferma sull’elsa.
Nessun tremito tradiva una qualche emozione o incertezza.
Ne fui spaventosamente atterrita e per un tempo che mi
parve interminabile, fra noi non ci fu altro che un silenzio cupo, opprimente,
e nemico.
Alla luce delle candele, la spada baluginava di riflessi
argentei e crudeli. Ne ero ipnotizzata.
Per un oscuro istante, mi attraversò il pensiero perverso
e terrificante che avrei sentito il freddo del ferro affondare senza pietà
nella carne bianca e tenera del mio seno.
*******
“Questa poi! Non posso credere che l’abbiate fatto sul
serio; siete impazzita, per caso?”
Leopold era esterrefatto. Le mani incrociate dietro la
schiena si era voltato verso la sua interlocutrice, distraendosi dalla visione
del roseto che gli restituiva il riquadro della finestra. Lisette era a poca
distanza dietro di lui, tranquilla e composta, con l’aria di chi avesse detto e
fatto la cosa più naturale del mondo.
“Perché lo trovate così strano? Non è forse ciò che
volevate?” domandò con apparente ingenuità.
“Sì, certo! Ma non immaginavo la cosa in questi termini.
Se avessi sospettato cosa meditavate di fare, vi avrei fermata in tempo. Perché
avete agito senza consultarmi, su una questione che mi riguarda molto più di
quanto riguardi voi?”
“Non siate cinico. Riguarda moltissimo anche me… - disse,
un poco contrariata. - Voi non avreste mai preso una simile iniziativa. O
meglio: l’avreste presa per ottenere l’esatto contrario di ciò che vogliamo.”
Rispose risoluta la donna, che sapeva di avere a che fare
con un uomo vecchio stampo, restio a mutare convenzioni e tradizionalismi.
“Vi chiedo scusa, non lo penso davvero. È pur sempre la
madre dei miei figli ed è una Jaryajes, un nome ingombrante; Danielle ha
appoggi e amici potenti. Un’ azione azzardata, e con una parola potrebbe
rovinarci, madame.”
“Non succederà. Fidatevi del mio giudizio. Basta non darle
un motivo.”
“Mi sembra che abbia tutti i motivi che le servono.
Dovremmo essere in vantaggio, per avere una speranza di successo. Se non la mettiamo
con le spalle al muro, non riusciremo a…”
“Ma non possiamo fare nulla di simile, Leopold; ai suoi
occhi voi siete un traditore e io una sgualdrina. Fondamentalmente vostra
moglie ci disprezza e voi non potete dimostrare la sua infedeltà, mentre lei può
dimostrare la vostra. Dobbiamo usare l’ arte del compromesso, sfruttando le
debolezze del nemico – l’unica carta che possiamo giocare - ed è quello che ho
fatto io con vostra moglie.”
“Le sue debolezze? Quali, se dite che non posso dimostrare
che mi è stata infedele?”
“Una debolezza in comune con Madamigella Oscar…” sussurrò
Lisette quasi tra sè, ma Leopold parve non sentirla, troppo preso dalle proprie
esternazioni.
“Oltretutto, credete che Danielle potrebbe accogliere la
soluzione che le proponete? Un divorzio in cambio del nome dei Recamier per
Margot… mi pare una tale assurdità… perché mai dovrebbe accettare?”
Esclamò il conte allontanandosi dalla finestra, per andare
a sedersi sulla poltrona accanto al camino, e lì accendersi la pipa in radica
di noce.
“Ho buone speranze; non dovete mettere ostacoli alla
provvidenza… e ai desideri più reconditi di una donna, soprattutto se è vostra
moglie.” Rispose enigmatica, abbassando lo sguardo sul ricamo del fazzoletto di
batista che teneva in mano.
“A volte madame, ho l’impressione che ci siano cose che
voi non mi dite… – constatò, mentre con solerzia pigiava il tabacco dentro la
cavità della pipa. - Ma che dicevate prima, a proposito di Oscar? Già una volta
mi avete parlato di una strana complicità tra Oscar e mia moglie; che volevate
dire? Cosa c’entra la mia stramba cognata con tutta questa vicenda?”
Lisette si guardò attorno con fare distratto, quasi
annoiato, ma tormentava tra le dita il fazzoletto di batista. La conversazione
con Leopold stava scivolando su una china pericolosa, che era decisa a evitare.
Era meglio omettere certe verità troppo scomode e scandalose, come quella di
una rivalità tra due nobildonne innamorate di un servo, e danneggiare Danielle
agli occhi del marito non sarebbe stato proficuo. Il conte poteva tollerare un
confronto con un suo pari, non con un inferiore sulla scala sociale. Ma era
conscia di dover lasciare una traccia che fosse per Leopold convincente, ma non
troppo pericolosa.
“In verità, ecco… sapete, io ho pensato che Oscar e vostra
moglie Danielle potrebbero essere coinvolte in un insospettabile triangolo,
direi più platonico che altro… oh, badate, è solo un sospetto. Un’ impressione…
probabilmente erronea…”
“Un triangolo che coinvolge Oscar? Abbastanza ridicolo, in
effetti. - Fu il primo commento di Leopold. - Però, potrebbe essere… Ecco, lo
sapevo che c’entrava quel maledetto donnaiolo damerino di Fersen!! Avevo
ragione io, allora! Il colonnello di ferro e lo straniero svedese… Divertente!
Beh, capisco perché possa essere fuggito in America come dicono…” Ironizzò il
conte, senza sapere quanto la sua esternazione fosse stata ampiamente prevista
dalla sua compagna.
“Vi ho già detto che non si tratta di Fersen… senz’altro
qualcun altro, ma non saprei immaginare chi… - Lisette fece un gesto con la
mano come per scacciare un pensiero sciocco e molesto. – Comunque, nulla che
possa essere determinante per noi. Oh insomma, ve lo ripeto Leopold; quando ve
lo chiederà – e io sono sicura che lo farà - concedete a vostra moglie la
separazione con tutti i vantaggi, lasciatele beni e privilegi. Anche la
custodia dei figli col vostro nome.”
“Come anche i figli! Volete che rinunci alla mia
progenie?” esclamò costernato e scettico.
“Non ostacolatela in nulla, vi dico. Lo scandalo per un divorzio
siffatto sarà minimo, poiché nessuno conoscerà i retroscena della vicenda,
finché manterrete il segreto. E alla vostra progenie, come eredi diretti
potrete sempre garantire una rendita vitalizia, e questo starà bene anche a
vostra moglie.”
Lisette si era seduta di fronte a lui e osservava le
leggere volute di fumo uscire dalla pipa e salire in spirali sinuose verso il
soffitto della camera. Avvertiva l’odore forte e robusto del tabacco che
bruciava, per lei un po’ fastidioso da sopportare.
C’era un leggero silenzio e Leopold pareva più tranquillo,
ma non aveva perso lo scetticismo che gli animava lo sguardo. Avrebbe obiettato
di nuovo.
“Temo che resterete delusa, madame. Danielle, non farà mai
quello che voi dite: non è una sciocca, essere la moglie di un uomo nella mia
posizione le reca troppi vantaggi, che valgono bene qualche mia infedeltà
coniugale. Le è sempre convenuto essere tollerante.”
Lisette accennò un lieve sorriso tranquillo.
“Le cose sono cambiate Leopold, solo che voi non ve ne
rendete conto. Volete scommettere che non le andrà più di essere tanto
permissiva?”
Divertito, il conte accettò la scommessa.
*******
Oscar continuava a fissarmi. La spada tagliente puntata
alla mia gola non era minacciosa quanto la luce oscura che trasfigurava il suo
sguardo. L’espressione del suo viso era una maschera immota e indecifrabile, ma
sospettavo che quella freddezza ostentata le sarebbe scivolata via, sull’onda
travolgente delle prime parole che fossero intercorse fra noi.
Non potevo smettere di tremare di fronte a lei.
Avevo paura, e non soltanto per la minaccia reale che lei
potesse farmi del male.
Temevo di sentire parole trasformarsi in macigni, pietre
acuminate che ci saremmo lanciate addosso. Eppure non potevo continuare a
restare in silenzio.
Le avevo lanciato il guanto di sfida, e lei lo aveva
raccolto.
Era tardi per tirarsi indietro.
“Hai deciso di uccidermi, Oscar? Oh, forse è solo una
minaccia… ma lo stato delle cose non cambia.”
“Voglio il nome Danielle. Voglio sentirlo da te…” sibilò
sottovoce.
“Perché stiamo qui a fingere? Lo hai già capito… hai
sempre avuto il sospetto.”
“Dillo.” Proferì gelida.
Il mio petto si gonfiava sotto l’onda del mio respiro
stremato e ansante.
“D’accordo Oscar, io sono pronta a dire quello che tu non
potrai accettare. Ne subirò le conseguenze, anche quelle più terribili. Ma tu?
– domandai fissandola, mentre il balugino sinistro della lama scivolava sul
metallo. - Tu riusciresti a vivere col rimorso? Potresti reggerlo? Sei una
donna soldato, ma non ti sei mai sporcata le mani di sangue. Vuoi iniziare col
tuo?” esitai tremante. Sentii la punta fredda della lama toccare
impercettibilmente la mia pelle. Bastava un movimento della mano di Oscar e tutto
sarebbe finito all’istante: io, lei, il mio amore per André, la sua gelosia,
tutto sarebbe defluito via insieme al sangue.
La maschera immota le cadde dal viso.
“Taci! Dimmi quel nome. Adesso!”
Gridò con maggior forza, spaventandomi, e Andrè, dietro la
porta chiusa, continuava a urlare e battere sul legno, nel disperato tentativo
di farsi aprire.
“Va bene, come vuoi! Ebbene, sì! L’ uomo di cui sono
disperatamente innamorata è André! Proprio lui!- Confessai con disperazione,
mentre lo sguardo di Oscar pareva farsi ancor più adirato. La mano che
impugnava la spada si mosse appena e sulla lama guizzò un taglio di luce fredda
e crudele.
Quando mia sorella parlò, la sua voce aveva un contegno
innaturale, che perse quasi immediatamente.
“André!!? Tu seriamente stai pensando di separarti
da tuo marito, per amore del mio André? È così? – Era furiosa e incredula. [1]
- Dopo che vorresti fare, cara sorella, sposarlo? Quale assurdo capriccio è mai
questo! Tu sei pazza. Per la chiesa il matrimonio è una catena indissolubile.
Non troverai mai un avvocato disposto a sostenere la tua causa.”
“Io lo amo, Oscar, e so che lui potrebbe amare me, se tu
lo lasciassi libero. Tutto il resto, la separazione, le convenzioni sociali
avrebbero poca importanza.”
“Parli come una stolta, la solita egoista che pensa solo a
sé stessa! Dovrebbe seguirti su una strada che porterebbe entrambi alla rovina?
Che ne sai, tu!– Ruggì. - Che ne sai di quello che prova lui per me, o di
quello che provo io? Pensi di sapere cosa ci unisce, praticamente da una vita?
Credi che per me non sia importante?”
“Quanto Oscar! A questo sai rispondere?” Le domandai in
tono accorato.
“Che significa?”
“André mi ha confidato tutto, fin dal principio. Ha aperto
il suo cuore a me, forse perché potevo comprenderlo come tu non riuscivi a
fare. Ho visto la sua sofferenza di cui tu eri la causa, perché ti amava senza
essere corrisposto. Sì! Lo sapevo, lo avevo capito prima di te, Oscar… tu eri
troppo distratta dal conte di Fersen per accorgerti di qualcosa… - Ammisi senza
mezzi termini di fronte alla sua espressione stupita. – E ora dimmi: io sono
pronta a buttare all’aria la mia vita per lui, tu invece, cosa saresti disposta
a fare? So che le cose fra voi sono molto cambiate, già… so che ti sei
spinta oltre l’amicizia, ma così non fai altro che rinnovare la sua sofferenza
in modo diverso.”
“COSA? Questo è veramente troppo!”
Non feci in tempo a ribattere, che la porta cedette di
colpo sotto una poderosa spallata. André piombò in mezzo a noi, e la scena che
si presentò ai suoi occhi lo lasciò senza fiato per i primi secondi: Oscar
gravava su di me, impietosa e minacciosa, con lo sguardo allucinato e quasi
folle.
Guardò lei e poi me, per terra, la spada puntata addosso.
Lo vidi fare un gesto, una mano aperta e tesa verso di noi.
“Oscar, non fare pazzie. Ti stai facendo guidare da rabbia
immotivata. Calmati e rinfodera la spada.”
Ma lei sembrava non capire. Improvvisamente mi parve
fragile e smarrita, e pensai di aver parlato troppo, ma ritenevo giusto che
dovessero cadere tutti i veli: se dovevo lottare per André, dovevo farlo in
campo aperto. Senza allontanare la spada dalla mia persona, rivolse il suo
sguardo stupito e celeste verso l’amico.
“Le hai detto di noi, André?” chiese con evidente sgomento
nella voce.
Ebbi la netta sensazione che all’improvviso si sentisse
tradita. Ma non ero più io, la sola colpevole del tradimento.
André ne fu consapevole, perché lo vidi impallidire
violentemente. Seguì un breve silenzio che scese su di noi come un macigno.
Oscar e André si fissavano l’ un l’ altro, sgomenti, dimentichi di me e della
mia assurda confessione.
Infine, André reclinò il capo ed emise un sospiro
rassegnato.
“Sì. È inutile negarlo. Ma ti prego, non prenderlo come un
tradimento. Non avevo nessun altro con cui parlare, e Danielle si è comportata
da amica discreta e comprensiva. Ho provato a farlo con te, Oscar, ma ti chiudi
come un riccio. Quando cerco di arrivare al tuo cuore, tu mi allontani, come
hai fatto poco fa lungo la strada, mentre venivamo qui… Cosa avrei dovuto fare,
secondo te?”
“Avere maggior fiducia in me.” Rispose perentoria.
Quindi qualcosa era accaduto.
L’ incomprensione minava il loro rapporto, quella che
proveniva dall’incapacità di mia sorella di affidarsi alla forza autentica
delle emozioni. Era un punto debole di cui dovevo approfittare, e se
l’occasione si fosse presentata, lo avrei fatto.
Oscar restava in silenzio, e non capivo se era più
arrabbiata o costernata, o magari entrambe le cose. Forse tentava di mettere
ordine nel turbinio di pensieri che viaggiavano nella sua testa, pensieri che
riguardavano tutti noi e i nostri strani, contorti sentimenti.
Il suo sguardo saettava febbrile tra me e André e alla
fine si posò definitivamente su di lui.
“Maledizione André! Davvero non capisci? – Sbottò
all’improvviso. - Io cerco di proteggerti, mi sforzo come non immagini di
difendere il nostro rapporto dal mondo esterno che sarebbe pronto a
condannarci, e tu riveli tutto alla sola donna che può davvero mettersi fra
noi, perché innamorata di te? - E fu in quell’istante che le fu tutto chiaro. -
Oh, ma tu lo sapevi fin dall’inizio! Avevi capito tutto. E ne hai
approfittato!”
André parve vagamente turbato.
“Oscar, non…”
“Il cuore di una e il corpo dell’altra! Devi esserti
sentito orgoglioso del tuo successo!”
Oscar ironizzò con crudeltà di donna ferita, senza
abbassare la spada puntata alla mia gola. André protestò con decisione.
“No Oscar. Non pensare che ne abbia approfittato, ma
ammetto che avrei potuto e sono stato tentato. - Esitò e il suo sguardo serio e
malinconico si posò su di me. Ebbi paura. – Questo fatto non ha mai cambiato
nulla, e con Danielle sono sempre stato onesto…” concluse in tono pacato, e mi
sentii sanguinare dentro, ma non era la spada di Oscar ad avermi ferito.
“Beh, a questo punto, che importanza potrebbe avere, visto
quello che ci siamo detti prima del nostro arrivo qui, te lo ricordi?”
“Ero soltanto amareggiato, Oscar: sono pronto a
rimangiarmi tutto.”
“Sei sicuro? Pensaci bene. Perché mia sorella è così
sicura di poterti avere? Come può credere di comprenderti meglio di me? E se
avesse ragione lei? Il cuore umano è libero… tu sei libero, André, ma il tuo
cuore a chi appartiene davvero? Io non lo so più… forse non lo sai neppure tu…”
Terminò esitante.
Avvertii una nota stridula nella voce di mia sorella:
quanto dovevano costarle quelle parole, e quanto potevano essere preziose e
salvifiche per me.
André mi guardò di nuovo e lessi velato rammarico nei suoi
occhi: ammettere l’amore per una di noi, voleva dire ferire a sangue l’altra.
“Hai torto Oscar. Una delle poche certezze che ho sempre
avuto è la consapevolezza dei miei sentimenti… per te.”
Il mio cuore perse un battito. Incrociai per qualche
secondo lo sguardo azzurro di Oscar. E finalmente, rinfoderò la sua spada.
Ma non era serena. Un sospiro pesante e rassegnato le uscì
dalle labbra.
Nuvole d’inquietudine oscuravano il cielo dei suoi occhi.
Potevo immaginare come si sentisse in quel momento, e la colpa era anche mia.
Non potevo fare a meno di sentirmi meschina e miserabile
nelle profondità più intime del mio cuore, ma allo stesso tempo, il trasporto
verso André sovrastava tutto e prevaleva su ogni altro sentimento.
Per quanto mi sentissi combattuta, non riuscivo a
soffocare la volontà irragionevole che mi spingeva a lottare per quello che
era, molto probabilmente, un miraggio.
Ripresi a respirare, ma sentivo un profondo dolore al
petto. Lentamente mi rialzai in piedi, e mi strinsi nelle braccia, ancora
sconvolta dal nostro confronto. Eravamo in una situazione di stallo, e tra noi
restavano ancora troppe parole in sospeso, troppi dubbi da dissipare,
soprattutto nel cuore di Oscar, che si scopriva tradita e delusa da due fra le
persone a lei più vicine, conferma questa che venne dalle sue parole.
“Non dovevi prestarti a questo gioco, André. Non tu. – Poi
si rivolse a me con altrettanta amarezza. – Sappi Danielle, che non potevi
ferirmi più di così… e non so se potrò mai perdonarti per quello che stai
cercando di fare… Ti aspetto di sotto, André. Non abbiamo più nulla da fare qui...” concluse lapidaria e diretta, si voltò e mosse alcuni passi
in direzione della porta.
André ebbe il forte impulso di inseguirla, e lo avrebbe
fatto, se io non lo avessi bloccato, spinta da chissà quale oscuro istinto.
Non riuscivo a rinunciare al mio sogno di felicità, benché
l’evidenza di ogni cosa, mi suggerisse una direzione opposta. Non era la
ragione o la logica a guidarmi. Se le avessi ascoltate sul serio, mi sarei
risparmiata tanta sofferenza venuta dopo.
Non era altro che una stupida, inutile, deleteria
ossessione che governava i miei gesti, la mia mente, il mio cuore di donna.
Ero preda della mia follia, ma non riuscivo a vederlo.
Benché mi sentissi ignobile, agivo come una sconsiderata,
incapace di fermarmi, travolta ormai dalla smania di avere ciò che non era nel
mio destino.
“Lasciala andare, André! Ti prego…” gridai.
Mossi pochi passi e lo afferrai per un braccio per
bloccare la sua fuga. Lui mi restituì uno sguardo costernato. Lungo il
corridoio, giungevano ancora nitidi i passi di Oscar che si allontanavano. Li
sentimmo affievolirsi, fino a scomparire.
“Danielle, ma che fai?”
I suoi occhi verdi, spalancati su di me erano come una
voragine su cui rischiai di vacillare. Mi imposi il controllo delle mie
emozioni e del corpo. Non potevo perdermi adesso.
“Ascoltami Andrè. Lasciala andare, e vieni con me. Andiamo
via, lontano da Parigi e da Versailles.”
“Co… cosa?” Era atterrito.
“Ho una proposta da farti: vieni con me in Normandia.
Laggiù ho una casa di mia proprietà dove potremo vivere liberamente. Potremo
stare insieme, e forse lì, i nostri cuori potrebbero trovarsi ed essere di
conforto uno all’altro. Se Oscar tiene davvero a te, forse verrà a cercarti, e
tu non avrai più motivo di dubitare di lei. Avrai la conferma dei suoi
sentimenti. Ma se come spero, non sarà così, la distanza potrebbe aiutarti a
dimenticare, e magari… nel tuo cuore potresti trovare un po’ di spazio per me.”
Stava per obiettare, ma sigillai le sue labbra posandovi
le dita della mano destra.
“Aspetta, André, prima di dirmi di no, ascoltami
attentamente. Dopo potrai decidere. Ti prego: questa sarebbe l’estrema ed
ultima possibilità che mi concedo. Se non riuscirai ad amarmi, come io ti amo,
allora rinuncerò definitivamente a te, e tu potrai tornare da lei. Mi metterò
da parte, né mai interferirò più fra voi due.”
André mi stava fissando attentamente e lo stupore iniziale
aveva lasciato il posto ad uno sguardo concentrato e più riflessivo.
Sapevo che avrei catturato la sua attenzione.
Contavo esattamente su questo.
Volevo che vedesse i possibili vantaggi di ciò che gli
stavo offrendo.
Non potevo proporgli una fuga d’amore, mancavano tutte le
premesse. Se avesse accettato di seguirmi in Normandia, mi aspettavo lo avrebbe
fatto con motivazioni differenti assai lontane dalle mie, ma il mio non era
niente altro che un rischio calcolato: averlo per me o perderlo per sempre,
giocando sulle nostre diverse aspettative.
Lontano da Oscar per un po’, forse sarebbe riuscito a
innamorarsi di me.
Così gli stavo dando modo di azzardare una strategia, che
per lui voleva dire mettere alla prova Oscar e i suoi sentimenti.
André mi guardava ancora un po’ scettico, lievemente
guardingo, ma la sua reticenza stava scemando e intuivo accendersi in lui, una
fiammella ostinata di ignota speranza.
Nel lieve silenzio della stanza debolmente illuminata da
una candela posta in un angolo, le ombre della sera scivolavano sui muri
tingendo l’ambiente coi colori malinconici del crepuscolo, e fu in quell’
istante che sentimmo provenire dall’esterno il rumore degli zoccoli di un
cavallo: era Oscar che si stava allontanando.
A quel suono André parve riscuotersi e corse verso la
finestra.
Io mi avvicinai di nuovo a lui e feci in tempo a scorgere
Oscar che varcava il portone esterno del mio palazzo.
Il mio primo pensiero fu che André l’avrebbe seguita.
Forse era stato lo stesso pensiero di Oscar quando si era
mossa per andarsene da lì.
“Parto fra due giorni, André. Non devi darmi una risposta
subito, ma se decidi di venire, fatti trovare pronto domenica mattina alle otto.”
“Sei sicura di quello che vuoi fare, Danielle? Intendo:
sei certa di volermi con te? Come spiegherai la mia presenza al tuo fianco?”
“Non intendo spiegarla.” Ribadii decisa.
“Neppure a tuo marito? Lo verrà a sapere prima o poi.
Pensi che gradirà la tua fuga in compagnia di un servo?”
“Ho intenzione di scrivere al più presto a Leopold per
metterlo al corrente delle mie intenzioni circa la separazione, nient’altro. Lo
farò prima di partire, o gli scriverò dalla Normandia, non ho ancora deciso. È
una cosa che va fatta.”
“Come vuoi, Danielle. Io devo parlare con Oscar; glielo
devo. Non posso partire senza averlo fatto. Lo capisci, vero?”
A quelle parole quasi inaspettate, il mio cuore sussultò
nel petto, sotto la rincorsa di un’ emozione troppo intensa.
“Ma certo, André. Tutto quello che vuoi…” sussurrai
speranzosa e felice, smarrendo me stessa nel profondo mistero del verde ombroso
e affascinante dei suoi occhi. La natura dolce delle illusioni mi stava
consumando il cuore, senza che potessi saperlo.
Continua…
Scusate questo ritardo di mesi, ma non è
stato un bel periodo per me, per tutta una serie di problematiche famigliari e
personali che mi condizionano ancora adesso, ma che sto cercando di superare.
Voglia di scrivere non ne avevo e
l’ispirazione non voleva saperne di tornare. Ho lasciato incompiuto il capitolo
per molto tempo, perché la seconda parte non veniva fuori nel modo giusto,
anche se avevo in mente quale fosse la direzione da seguire; ora immagino che
molte di voi, arrivate alla fine del capitolo, mi odieranno. André che fugge
con Danielle? E Oscar come reagirà?
Vi prego non saltate a conclusioni
affrettate, tutto ha un suo perché.
Grazie sempre a tutte per l’incoraggiamento.
Ninfea.
[1]L’Ancien Regime non conosce che l’autorità,
la rigidità dei principi, e quelli del matrimonio sono i più forti. (…) L’autorità
suprema è la Chiesa (che considera il matrimonio indissolubile). Nel
Regno di Francia (prima della rivoluzione) il divorzio è permesso a ebrei e
protestanti, ma non ai cattolici che sono la maggioranza della popolazione. A
questi ultimi è riservata la separazione personale che è ammessa in caso di
adulterio della donna e quando la coabitazione mette in pericolo la vita di uno
dei coniugi. Oltre alla separazione, si può ricorrere all’annullamento o alle lettres
de cachet che sono però una forma ignobile di separazione.
Oscar si allontanò dalla stanza col solito passo
sicuro e cadenzato.
Attraversò il lungo corridoio del palazzo
ascoltando l’eco sordo dei suoi tacchi sul pavimento, l’orecchio teso, pronta a
cogliere i passi di lui quando l’avesse seguita.
Si aspettava che lo facesse. Lo sperava, forse.
Continuò ad allontanarsi, senza troppa fretta, ma
con decisione.
Ascoltava.
Niente.
Ma quanto ci metteva?
Si fermò dietro una porta socchiusa ad ascoltare
la quiete della casa che era stata appena scossa dal suo alterco con la
gemella; non le giungeva nessuna voce, né bisbiglio, tutto pareva avvolto nel
silenzio, anche la servitù sembrava essersi dileguata, poi riprese a camminare
un poco più lentamente.
Oltre il rumore dei suoi passi, la seguiva solo il
silenzio che si accompagnava a un vago senso d’ inquietudine.
Lungo lo scalone che portava al pian terreno,
mantenne l’orecchio ben teso, nel tentativo di captare i passi rapidi e furtivi
del suo attendente, ma nessun suono giungeva al suo orecchio.
André ritardava.
L’inquietudine piano si trasformava in una strana
angoscia che le stava afferrando il cuore e pareva stringerlo in una morsa
spietata.
Un timore subdolo le strisciava sulla pelle come
sudore, e neppure lei sapeva perché avvertisse quel malessere.
E magari lo sapeva bene.
Non era del tutto nuovo quel timore, ma lo
scopriva per davvero in quell’ istante, lungo quanto la triste distanza che
cresceva tra lei e il suo attendente. Danielle l’aveva delusa profondamente, ma
qualcosa nell’anima le diceva che non avrebbe dovuto sorprendersi, che tutto
era sempre stato lì davanti a lei, fin dall’inizio.
Il sospetto era stato forte e preciso.
Danielle infatuata del suo uomo, del suo amico.
-Sei innamorata del mio
André? …
Lo aveva detto.
Così.
Come la cosa più ovvia e naturale, senza pensarci
troppo su.
Lo aveva rimarcato con l’asprezza della voce.
Il suo André.
Impossibile confondersi, ma come si fa a credere che
il tradimento provenga dal tuo stesso sangue, dalla tua carne, da colei che è
venuta al mondo insieme a te, con cui hai diviso per nove mesi il calore
dell’utero materno?
E André conosceva i sentimenti della sorella, ma
sembrava ignorare i suoi; per la prima volta in tanti anni l’aveva messa in
discussione, per questo anche lui l’aveva delusa, e mai il senso d’umiliazione
era stato più potente.
Ma alla fine, l’avrebbe seguita, come faceva
sempre.
Allora, perché ritardava? Perché non la
raggiungeva?
Sull’ingresso del palazzo che dava sul cortile
interno si fermò ancora, aggrappata più all’indefinibile che alla speranza. Si
voltò ad osservare il vestibolo, scorse solo la figura di una cameriera che
passava frettolosamente trasportando qualcosa a cui non prestò attenzione.
Sarà passato un minuto, forse meno.
Riprese a camminare verso l’esterno per
raggiungere il suo cavallo legato lì fuori.
Non montò subito in sella.
Attese ancora.
Sperò di nuovo di sentire un suono di passi
provenire dalle sue spalle, accompagnati da una voce che la chiamava.
Pochi secondi. Un minuto.
Cinque, dieci.
Cento, mille istanti che si dilatavano lenti e
feroci.
Una mano posata sulla sella, si voltò per l’ultima
volta a sbirciare con la coda dell’occhio dietro di sé.
Quanto tempo era passato?
Andrè non veniva.
Presto avrebbe fatto buio. Sarebbe sceso su ogni
cosa attorno, sui muri, sulle strade di Parigi, sulle campagne. Su di lei. Sui
suoi pensieri intrisi di amarezza che nell’oscurità si immergevano come pesci
in uno stagno d’acqua torbida.
Mettersi in viaggio a quell’ora, quando il cielo
imbruniva, e le ombre parevano farsi più sinistre e grottesche, poteva essere
pericoloso; non le importava, voleva solo fuggire da lì, tornare a casa sua.
I lumi della città andavano spegnendosi; a breve
l’oscurità avrebbe inghiottito Parigi, nascondendo nella notte le sue miserie.
Attraversò uno dei ponti della Senna al debole
lume di un lampione ad olio che spargeva la sua luce su un lato del selciato. Dalla
parte opposta, un viandante misterioso con un cappellaccio logoro calato sulla
fronte, un organetto a tracolla e una gamba di legno si trascinava arrancando,
intonando una ballata triste. Mentre spingeva il cavallo al galoppo, piantando
i talloni nei fianchi della sua bestia, una rabbia sorda le mordeva l’animo, le
graffiava il petto costretto e soffocato nella giubba, e saliva in stille
salate che bruciavano come sale negli occhi. Quando le lacrime la invasero non
tentò di fermarle, le lasciò tracciare linee umide e trasparenti sulle guance,
né sentì il gusto dolente e amaro sulle labbra. Voleva mettersi a urlare e
spinse il cavallo allo sfinimento per portarsi velocemente fuori dalle strade
principali della città, per poterlo fare senza preoccuparsi che qualcuno
potesse sentirla.
Un’ ora sarebbe bastata ad asciugare il pianto
prima di giungere a palazzo.
André raggiunse la dimora dei Jarjayes circa
mezzora dopo di lei.
Oscar aveva allentato il colletto della giubba che
la soffocava e slacciato la divisa, assumendo così un’ aria dimessa e in
disordine, ma non se ne curava. La balia le aveva fatto trovare la cena pronta,
ma non aveva appetito e lei non era riuscita nemmeno a sedersi al tavolo.
Era rimasta ad aspettarlo incapace di ritirarsi
nelle sue stanze, consumando con le suole degli stivali gli intarsi preziosi
del pavimento della sua dimora.
Da una delle finestre al pian terreno, lo vide
portare il suo baio nella stalla, e attardarsi prima di uscirne. Aveva acceso
una delle lanterne che si trovavano appese all’interno, e lo vide attraversare
il cortile per raggiungere l’ingresso della servitù sul retro. Per raggiungere
la sua stanza doveva passare da quella parte del palazzo e non avrebbe potuto
evitarla, e lei decise di attenderlo al varco come una sentinella pronta
chiedere il pedaggio.
Si era seduta su una poltrona addossata alla
parete, sotto la luce delle candele che creavano un alone giallastro sulla
tappezzeria, le braccia abbandonate sui braccioli e le lunghe gambe distese
davanti, incrociate una sull’altra. Sentì i suoi passi nell’anticamera, seguì
una pausa;probabilmente André stava
posando la lanterna per accendere una candela, infine avvertì il suono dei
cardini della porta che si apriva.
Nella vaghezza della semioscurità, André non si
accorse subito di lei; solo quando avvertì la sua voce, alzò la testa nella sua
direzione, scorgendola. Ne fu un poco sorpreso, ma tentò di non mostrarlo.
“Ben arrivato André. Pensavo ti fossi perso…”
Esordì.
Lui non si lasciò ingannare dal tono basso e stranamente
calmo, falsamente noncurante, in cui colse sottile velata ironia.
“Non preoccuparti, conosco la strada a memoria,
Oscar. Comunque, avresti dovuto aspettarmi, non attraversare mezza Parigi col
buio da sola…”
“L’attendente sei tu, non io… e le strade le
conosco quanto te…”
“È stata Danielle a trattenermi…”
“Sì, e doveva avere ottimi argomenti se hai perso
tempo con lei.”
André fece finta di nulla.
“Hai già cenato?”
“Non ho fame… Mi devi dire qualcosa, André?”
“Ci sarebbero molte cose da dire… - tentò già poco
convinto e oppresso da un senso di spossatezza - ma vista l’ora, è meglio
rimandare a domani…” e mentre lo diceva, sapeva già che lei non gli avrebbe
prestato ascolto: la scintilla tra lui e Oscar era destinata a divampare in un
fuoco più grande.
“È inutile rimandare quello che si può affrontare
subito, e io non voglio aspettare domani. Voglio sapere cosa ti ha chiesto
Danielle… e voglio saperlo adesso. Hai capito, André?” concluse in tono un po’
troppo aspro.
André sostenne quello sguardo di solito talmente
limpido che pareva fatto di ghiaccio, ma non quella sera; in quell’istante,
forse per reazione al pensiero penoso di lasciarla, gli sovvenne l’immagine
calda, tenera e fremente di lei in altri momenti segreti, e si chiese come
facesse a volte a essere così dura. Ma quelle erano le due anime opposte di
Oscar, e lui le conosceva bene entrambe. E le amava, sebbene contrastanti.
Quel conflitto era la sua fragilità.
Quella fragilità che lui tentava da una vita di proteggere
e che lui amava. Quel conflitto che in Danielle non esisteva, almeno non così.
Danielle non aveva bisogno di lui, ma Oscar sì.
Danielle prima o poi, se ne sarebbe resa conto,
era solo questione di tempo.
André non temeva la tentazione, per quanto
allettante fosse; era sicuro che la permanenza in Normandia con Danielle non lo
avrebbe fatto innamorare di lei, semmai avrebbe aiutato la gemella a
comprendere meglio quanto i suoi sentimenti per lui fossero più idealizzati che
effettivi. Ma con Oscar le cose erano sempre state più difficili. Con lei si
dovevano correre dei rischi e lui stava mettendo sul piatto della bilancia sé
stesso e il suo amore sofferto.
Quanto avrebbe pesato per lei quel sentimento e la
passione che aveva finito per travolgerla?
Ebbe pochi attimi di incertezza, soffermando il
pensiero sulle parole più giuste da dire, quali usare e come usarle, e si rese
conto in fretta che non esisteva un modo semplice e diplomatico per esporle i
fatti.
Era una pugnalata a cuore aperto, diretta e
scoperta.
Emise un lieve sospiro basso, prima di parlare col
tono più quieto, quasi rassegnato che potesse trovare, senza alcuna inflessione
particolare nella voce. Disse semplicemente, “Danielle mi ha proposto di
partire con lei per la Normandia. Io ho accettato il suo invito.”
Restò a fissare in silenzio la sua espressione
indecifrabile. Gli parve di cogliere un guizzo nelle iridi celesti, ma causa la
poca luce, poteva essersi ingannato. Forse un lieve moto di sorpresa le fece
scuotere le spalle, ma non ci furono altre reazioni evidenti.
Uno strano silenzio carico di interrogativi
galleggiò tra loro per alcuni istanti; Oscar parve riflettere su qualcosa, si
alzò dalla poltrona e mosse qualche passo verso la vetrata, senza avvicinarsi a
lui. La luce bianca opalescente di una grande luna piena le illuminava il volto
diafano e bellissimo.
“Dimentichi che sei al mio servizio, André. Tu hai
le tue mansioni qui; il mio attendente non può andarsene come più gli aggrada,
quando ne ha voglia.” Sentenziò senza neppure guardarlo, il tono fermo, troppo.
Per un istante, lui restò basito di fronte
all’apparente freddezza di quelle parole, e subito pensò che avrebbe dovuto
aspettarsele.
Tanto valeva spingere l’affondo all’estremo.
“Scusami Oscar, forse non sono stato chiaro.
Pensavo che visto i nostri ultimi trascorsi, e l’evolversi della nostra attuale
situazione… non posso restare al tuo servizio, mi pare ovvio, non dopo quello
che ci siamo detti oggi pomeriggio. Andarmene credo sia la cosa più saggia da
fare.”
Oscar si voltò di botto nella sua direzione.
“Trovi saggio fuggire in Normandia con mia
sorella? È un dispetto? Sei arrabbiato per quello che ti ho detto oggi? È
così?” Rispose alterata.
La voce di Oscar perse in meno di un secondo la
freddezza ostentata poco prima: più alta del dovuto, vibrava di disappunto e
sconcerto, a un passo dall’esplodere di rabbia.
“Non giudicarmi in maniera tanto puerile, Oscar.
Sai bene che i motivi sono molto seri; io non posso più lavorare per te come
facevo prima, sono cambiate troppe cose, lo sai.”
“Se è solo questo il problema, posso fornirti
tutte le referenze che ti servono per un altro impiego, senza andare in
Normandia per seguire Danielle. È una cosa stupida e folle, André. Non hai
pensato che mio cognato, scoperte le circostanze della fuga, potrebbe
pretendere soddisfazione per un’ offesa del genere? Potrebbe reclamare la tua
vita e nessuno si opporrebbe, le leggi sono dalla sua parte.”
“Neppure tu, Oscar? – Alla domanda seguì un
sospiro leggero e impercettibile. - Non ti preoccupare per questo: non voglio
dare a Leopold motivo per offendersi. Seguirò Danielle solo in veste di
accompagnatore.”
“Oh, mai sai bene che per lei non sarà così; è
innamorata di te, almeno così dice. Perché la incoraggi?… Oh, forse è
esattamente ciò che vuoi?”
“Ha importanza, Oscar? – André con un movimento
brusco, le si avvicinò di qualche passo, ma non bastò ad accorciare quella
distanza che lei aveva messo fra loro. – Ha qualche importanza che possa
ricambiare i suoi sentimenti, oppure no? Rispondi! Per te cambierebbe qualcosa?
Cambierebbe qualcosa fra noi?”
“Beh, io…”
“L’unica cosa che voglio… no anzi, l’unica cosa
che posso fare ora è andarmene da qui, e per me un posto vale l’altro, se tu
non sei con me.”
Andrè le si era fatto completamente vicino, il
corpo prossimo a quello di lei, il viso rivolto al suo, e una mano le aveva
raggiunto il volto, sfiorandolo in una carezza veloce e triste, che era
scivolata sotto il mento a sollevarlo. Aveva indugiato sulle labbra, preso
dalla tentazione di baciarla un’ ultima volta, ma aveva allontanato le mani
ritraendosi come scottato.
Oscar era rimasta incantata per un momento,
sospesa nell’attesa di quel bacio che non era arrivato, e lo aveva guardato
allontanarsi di scatto, con il cuore preda di uno strano impulso, ma incapace
di esternarlo.
Fosse bastato un bacio a trattenerlo, ma lui non
le diede il tempo di provare a catturarlo con parole o gesti che fossero più
dolci, né con quegli occhi capaci di accendersi come braci ardenti.
Non sapevano stare vicini senza farsi del male,
prigionieri uno dell’altro, di un sentimento che avrebbe dovuto essere libertà,
luce del sole, ma diventava tormento ed estasi da nascondere, preziosi attimi
vissuti al buio che vivevano nelle spazio di ore troppo brevi, da sembrare solo
sogni evanescenti che morivano alle prime luci pallide del mattino.
Conoscevano l’amore clandestino e nient’altro, la
brama segreta dei corpi che si consumava rapida nei loro incontri lasciandoli vuoti
e inappagati, il calore e il profumo della pelle che imprigionava i sensi e la
ragione.
Scivolò via, lontano da lei, facendo leva su sé
stesso.
“Io capisco quanto possa essere difficile per te,
Oscar, conciliare il dovere con i sentimenti… il soldato freddo e rigoroso,
senza debolezze, con la donna tenera e appassionata che preme per uscire. Non
voglio importi niente, neppure il mio amore… per questo ho deciso di andare
via. Forse questo risolverà i tuoi conflitti.”
“Non è necessario che tu te ne vada in Normandia.
Se non vuoi restare qui a palazzo, possiamo trovare un’ altra sistemazione;
siamo persone adulte, possiamo risolvere la cosa senza traumi.”
“Senza traumi? Oh…– André rise amaramente,
portandosi una mano alla fronte. - Non c’è un’ altro modo. Fammi andar via, ti
prego Oscar. Se resto qui, finiremo solo per farci altro male…e io continuerei
a chiederti quello che tu non puoi darmi…”
Il tono si André era diventato improvvisamente
triste, quasi rassegnato a qualcosa di inevitabile. Seguirono brevi attimi di
silenzio, carico dello sguardo penetrante di Oscar. Appariva
pensierosa.
“È davvero così, André? - Domandò dopo un momento,
la voce vibrante, e le parve di cogliere un’ ombra di smarrimento negli occhi
di lui. - Dimmi che non segui Danielle, perché lei è tutto quello che non posso
essere io. Giurami che non la desideri per questo…altrimenti, che motivo
avresti per seguirla?”
Ma la risposta che le giunse la lasciò senza
fiato, e se possibile ancora più stordita.
“Non è per una sottana e un po’ di belletto. Mio
tormento e consolazione sarà che lei mi ricorderà te. Mi sembrerà di averti
ancora accanto, Oscar. Con nessun’ altra avrei la forza di fare questo.”
La sincerità di quella frase la colpì come un
pugno in pieno stomaco, e un dolore acuto, oltre che inatteso le attraversò il
petto e le salì fino agli occhi, dove si sciolse in acqua trattenuta a fatica
dentro l’azzurro freddo delle iridi. Strinse i pugni conficcandosi le unghie
nei palmi, ma non servì: come André fu oltre la soglia della stanza, si
accasciò sul pavimento in ginocchio e il pianto più straziante le annebbiò la
vista.
Solo allora si accorse che faceva freddo in
quell’ala della casa.
*******
La Normandia ci accolse con il suo clima fresco e
temperato. Avevo mandato avanti gran parte della servitù ad aprire la dimora e
prepararla al mio arrivo. Mi piaceva molto quella casa, lontana dal frastuono
di Versailles e di Parigi, dove molto raramente qualcuno veniva a farmi visita,
e mi sarebbe piaciuto ancor di più soggiornare lì, in compagnia di André. Mi
aveva seguita come non avevo sperato che facesse, con serenità e senza
ripensamenti apparenti o rammarico di qualche tipo.
Non sapevo come si fosse congedato da Oscar, né
come lei avesse preso quell’abbandono da parte dell’uomo che era diventato a
tutti gli effetti il suo amante; immaginavo soltanto che nel cuore, Oscar fosse
una donna come lo ero io, e a nessuna donna piace essere lasciata dal suo uomo,
amante o innamorato che sia.
André non mi aveva detto nulla a riguardo, e
quando durante il nostro viaggio avevo cercato di indagare sull’ argomento, con
gentilezza, ma con fermezza aveva mantenuto la più stretta riservatezza,
invitandomi a non fare domande.
“Scusami Danielle, ma preferirei non parlare di
questo. A che servirebbe? Accontentati del fatto che sono qui con te e
godiamoci il momento.”
Guardandolo attentamente, indovinai una pena
disegnata nella piega un poco amara delle sue belle labbra. Mi bastò, e
rispettai il suo riserbo, ripromettendomi di regalare serenità e gioia al
nostro soggiorno in Normandia.
Le prime settimane passarono piacevolmente.
André era una compagnia dolce e profonda che
scacciava la solitudine e riempiva di vita ed entusiasmo le mie giornate, anche
se a volte avevo l’impressione di scorgere una vaga indefinibile tristezza
nello sguardo verde ombroso del mio giovane e affascinante accompagnatore, e mi
chiesi quanto il pensiero di Oscar lo ossessionasse.
Me ne accorgevo soprattutto in alcuni momenti
particolari, nelle ore del crepuscolo e in certi luoghi; notavo sguardi assorti
e lontani in occasione delle nostre cavalcate sulla spiaggia che si stendeva
ampia e selvaggia appena dietro la villa. Lanciavamo i cavalli in corse folli,
opponendo i nostri corpi all’aria che ci investiva, sollevando spruzzi d’acqua
salata che raggiungeva i nostri visi travolti dall’eccitazione, poi
rallentavamo la corsa e lasciavamo che le nostre cavalcature procedessero
placidamente lungo la battigia, in un dondolio che seguiva il ritmo dei nostri
respiri rallentati. Era allora che, osservando il suo viso, lo notavo: un
mutamento repentino e improvviso gli spegneva lo sguardo che diveniva
malinconico e quasi assente.
Certamente doveva pensare a lei e io, nei giorni a
venire, mi premurai di distrarlo in ogni modo.
Trascorrevamo insieme molte ore, cavalcando sulla
spiaggia o attraverso i boschi che sorgevano poco distante dalla villa
nell’entroterra. Pranzavo e cenavo con lui in una saletta appartata affacciata
sul mare, che facevo preparare con gran cura solo per noi due.
André mi accompagnava in paese per le poche visite
e per incombenze di vario genere, che riguardavano la gestione della villa,
svolgendo quasi le mansioni di un segretario personale.
Si offrì lui, per quell’ attività, con l’intento
preciso di prevenire possibili maldicenze sul significato della sua presenza al
mio fianco.
“Se la gente penserà che sono alle tue dipendenze,
eviteremo noiosi pettegolezzi al riguardo, non credi?”
Mi disse una sera a cena, dopo una breve
escursione in paese, divenuta pretesto per saldare fornitori e falegnami che
avevano lavorato alla villa, sorseggiando un bicchiere di vino sotto la luce
soffusa delle candele, mentre sul mare in lontananza il disco rosso del sole
andava a nascondersi sotto l’orizzonte.
Risi divertita dei suoi scrupoli.
“Lo sai che si dice dei segretari, André?
Soprattutto quando sono giovani e di bell’aspetto? E tu sei abbastanza
affascinante da suscitare sospetti. Non che la cosa mi importi molto, in
realtà. Che pensino pure quello che vogliono, - dissi osservando il cielo che
si apriva oltre le finestre del mio giardino – sono troppo felice, adesso.”
“Dovrebbe importarti, Danielle. Non voglio
danneggiare la tua reputazione. Sei ancora una donna sposata, anche se stai
pensando al divorzio. Mi pare di aver notato qualche sguardo sospettoso anche
tra i tuoi servitori. E il curato di Etretat ti ha subito chiesto notizie del signor
conte.”
“Non ti preoccupare, André. Stiamo bene qui, e io
voglio solo godere di questo; voglio solo che qui con me, tu possa trovar pace
per il tuo cuore. Ne sarei felice, André. A te fa piacere essere qui, vero? Non
sei pentito di avermi seguita fin quaggiù?”
“Ma no, Danielle. Certo che mi fa piacere.”
“Però immagino che sentirai la mancanza… - esitai,
con lieve imbarazzo - di Palazzo Jarjayes.”
Dissi guardandolo apertamente, e lui abbassò piano
il bicchiere di vino sulla tovaglia ricamata. Non ebbi il coraggio di
nominarla; forse non volevo che il suo fantasma si frapponesse fra noi. Ma la
risposta che mi diede André, suggeriva ben altri significati.
“Non di Palazzo Jarhyes… semmai delle persone che
vivono lì…” commentò pacato, ma era impossibile non cogliere il riferimento.
Gli accarezzai una guancia con tenera passione,
salendo fino a incontrare i riccioli scuri sulla sua fronte. In risposta, lui
prese la mia mano nel calore della sua, e baciò il dorso delle dita con fare
rispettoso.
Ma non era quello il tipo di bacio che avrei
voluto da lui.
Per quelle settimane, André non tentò mai approcci
di natura diversa, per quanto io lo sperassi, e le sue buone maniere, gentili e
discrete non mi trassero mai in inganno. Era deciso a non incoraggiarmi, anche
se mostrava di gradire le mie premure.
Una mattina mi svegliai prima del solito e decisi
di scrivere a mio marito, una lettera precisa e sintetica con tutte le mie
richieste e condizioni che ponevo all’adozione di quella bambina. Scrissi la
lettera, cosparsi la polvere sull’inchiostro per farlo asciugare, la piegai e
la misi da parte.
Dopo presi un altro foglio di carta e lo vergai
con poche righe.
- Fai colazione mio
gentile amico, poi raggiungimia
cavallo lungo la spiaggia.Ti aspetto
lì, vicino agli scogli.
Avevo ancora addosso la mia preziosa veste da
camera e i miei capelli erano lunghi e scivolavano sulla schiena in morbide
onde. Chiamai Ninette e le porsi il biglietto per André, che avrebbe consegnato
appena si fosse svegliato.
La mia cameriera mi guardò con complicità.
Aveva intuito tutto da molto tempo, ma non mi
aveva mai esternato impressioni o commenti. Avevo forse letto una vaga perplessità
in alcuni sguardi all’inizio, ma si era sempre comportata con discrezione.
Prese il biglietto e si ritirò con un piccolo inchino.
In fretta, mi sfilai la mia veste di seta e
indossai abiti di foggia maschile, più comodi per cavalcare. Mi osservai allo
specchio delle mia toilette e decisi di lasciare i capelli sciolti sulle
spalle; applicai solo un velo di cipria sul viso, mentre riccioli lunghi e
ribelli mi ricadevano sul petto e sul davantino dell’abito, tra i pizzi
vaporosi della camicia e la stoffa azzurra del gilet ricamato.
Guanti e scudiscio, lasciai la stanza per
dirigermi verso le scuderie dove avrei trovato la mia dolce Desiree già sellata
e pronta per me.
André doveva essere ancora a letto, perché non lo
vidi in giro.
Fui tentata di raggiungerlo nella sua stanza che
avevo fatto preparare in un’ ala laterale del palazzo, per non suscitare troppe
chiacchiere tra i domestici; volevo dargli il buongiorno, ma rinunciai. Sarebbe
stato più bello incontrarlo sulla spiaggia e cavalcare insieme a lui fino al
limitare del paese che sorgeva a pochi chilometri dalla villa padronale.
Attesi lunghi minuti, portando Desiree al trotto,
arrivai al limitare degli scogli che incorniciavano la spiaggia. Scesi da
cavallo per andare a sedermi sulle rocce dove non arrivavano gli spruzzi delle
onde.
L’aria era frizzante, e io stavo insolitamente
bene.
Osservai il mare scuro in lontananza, che quella
mattina appariva agitato e creste bianche di spuma si inseguivano infrangendosi
sull’arena.
Non mi accorsi del tempo trascorso, ma dovette
passare una buona mezzora, prima di scorgere in lontananza il cavallo
dell’attendente apparire dietro la curva che nascondeva il piccolo promontorio
su cui sorgeva la villa.
Osservai la sua magnetica figura, capelli corvini
ribelli trattenuti dal nastro nero appena mossi dall’aria, il volto lievemente
abbronzato dal sole, la camicia bianca slacciata sul petto, i calzoni scuri che
fasciavano le gambe muscolose chiuse dentro gli stivali alti di cuoio lucido.
Lo guardai ammirata e mi sembrò bello come un dio, un tutt’ uno col suo
destriero nero.
D’ impeto, rimontai in sella a Desiree per
andargli incontro al galoppo.
Mi sentivo euforica e felice, e se fosse sceso da
cavallo per salutarmi, nel mio slancio gli sarei saltata al collo per baciarlo
con tutta la passione che mi stava invadendo.
Ma mentre gli andavo incontro, mi accorsi che
qualcosa non andava. La sua espressione cambiava, man mano che si avvicinava a
me. André rallentò in maniera brusca, fin quasi a far scartare nervosamente lo
stallone nero, lo vidi arrestarsi, stringere le briglie convulsamente, girare
su se stesso e continuare a guardarmi. Doveva essere nervoso e trasmetteva la
sensazione al suo cavallo.
Avvertii il suo sguardo fisso su di me, quando fui
a pochi metri, e mi colpì implacabile e ostinato; passò dalla più accesa
costernazione al risentimento.
Cosa diavolo lo aveva turbato tanto?
Lo capii immediatamente dopo.
“André, ma…”
Accennai un debole sorriso, che si spense subito,
di fronte alla sua risposta seccata e indisponente.
“Ma che scherzo è questo! Non potevi scegliere un
altro abbigliamento? Non mi diverte, Danielle. Per niente.”
Un colpo di talloni nei fianchi del cavallo e
corse via, sollevando un poco la sabbia umida. E io restai lì, stupita e
ferita, a guardare l’uomo che amavo fuggire lontano.
********
I corridoi di Versailles, con i pavimenti lucidi e
le venature preziose dei marmi policromi, le sembravano tutti uguali, quasi
interminabili. Su una parete si apriva una fila interminabile di finestre, da
cui entrava una luce fastidiosa che a intervalli regolari la investiva,
abbagliandola.
Non badava nemmeno ai cortigiani che incrociava,
non si preoccupava neppure dei vaghi cenni di saluto, le occhiate furtive e
curiose che lanciavano quando passava loro accanto.
Era come se non esistesse anima viva.
Procedeva in maniera meccanica, come se nulla di
ciò che faceva dipendesse dalla sua volontà.
Aveva appena avuto un’ udienza privata con la regina,
ma non era andata secondo i piani prefissati. Avevano parlato di tutto, tranne
del reale serio motivo che aveva spinto Oscar a chiedere udienza. Quasi non lo
ricordava, e neppure le importava più.
Guardò con lieve fastidio il tenente Girodelle che
l’aspettava composto e impettito alla fine del corridoio, davanti alla porta
dell’ufficio di comando. Bastò vederlo lì, per capire che l’ attendeva qualche
nuova seccatura, e il suo umore non era al meglio della forma per affrontare
con lucidità un qualsiasi problema.
“Comandante è necessaria la vostra presenza nel
salone dei ricevimenti: ci sono alcuni nobili che rumoreggiano e protestano per
l’assenza di Sua Maestà. Le guardie hanno cercato di allontanarli, ma gli animi
si stanno scaldando in modo preoccupante.”
Senza un commento e con l’espressione più
indifferente, Oscar si diresse verso quell’ala della reggia e Girodelle la
seguì nel salone per darle manforte.
Pochi minuti dopo, i nobili presenti, sotto lo
sguardo severo e deciso del comandante delle guardie reali, malcontenti stavano
lasciando la sala, senza avere potuto perorare le loro richieste alla regina.
Tornata la calma e il silenzio, Oscar ritornò
indietro per dirigersi verso l’uscita, con la mente distratta da pensieri che
fingeva fossero senza importanza, ma inesorabilmente la guidavano sempre nello
stesso luogo, allo stesso volto. Mai avrebbe pensato che l’assenza fosse
qualcosa di così pesante e tangibile. Mai avrebbe detto che fosse qualcosa di
fisico percepibile con i sensi.
A volte le mancava l’aria e i profumi dei fiori la
stordivano anche se passeggiava per i viali ghiaiosi dei giardini; allora si
guardava attorno, alla disperata ricerca di un’ ombra su cui fermare lo sguardo
affamato.
Ma non trovava nulla su cui riposare gli occhi e
la tristezza più cupa l’assaliva, come se il cielo troppo azzurro e vasto sulla
sua testa le pesasse addosso, facendola sentire persa.
Tutta quella bellezza inutile era troppo triste e
amara da vivere da soli.
La voce di Girodelle alle sue spalle giunse come
un martello alle tempie.
“Scusate Comandante, ma non ho potuto fare a meno
di notare l’assenza del vostro attendente. Sono diversi giorni ormai, e prima
non era mai successo. Sapete, è strano vedervi senza André…”
Sentire il nome fu come ricevere uno schiaffo
sull’anima già pesta. Forse Girodelle parlò di nuovo, ma lei non lo sentì.
Avvertì solo lo spasimo penoso del cuore che prese a battere irregolare.
Guardò l’ufficiale a occhi sbarrati come se il
tenente avesse osato compiere chissà quale delitto.
Due settimane, e non aveva più pianto da quando se
n’era andato, e lei aveva sigillato quel dolore come un prigioniero pericoloso
da tenere sotto chiave. E ora era lì, più bruciante che mai, pronto a uscire e
svergognarla per mostrare a tutti quanto fosse fragile e smarrita.
Lei non riusciva più a trattenerlo dentro, ma la
rabbia era l’unica cosa che le permettesse di controllare le lacrime.
Volse rapida le spalle al suo secondo, e rispose
con durezza.
“Tenente Girodelle, questa non è cosa che vi
riguardi!”
Si allontanò frettolosamente, quasi correndo.
Attraversò le sale, scese lo scalone che portava all’esterno a passo spedito.
In pochi attimi, fu nel grande cortile della reggia, montò sul suo cavallo e
partì al galoppo. Corse con furia attraverso la campagna e con altrettanta
furia, lasciò bruciare gli occhi al fuoco salato delle lacrime.
-Maledizione André!! Mi
manchi da stare male! Non è giusto. Non dovevi lasciarmi per seguire lei… Non
ti perdonerò mai per questo. Mai!!
********
IL cavallo nero corre sfrenato contro il vento. Il
suo cavaliere lo frusta quasi senza pietà, colpi rapidi di scudiscio sulla
coscia nervosa, che scatta e guizza nella corsa forsennata.
Danielle è rimasta indietro amareggiata, ma non
gli importa. Sente solo quel vuoto dentro che lo assale e lo soffoca, e
l’amarezza che lascia il veleno della delusione nelle vene.
La serenità, la calma dello spirito è durata solo
pochi giorni, l’equivalente di ore vaghe e indefinibili, finite troppo in
fretta. Gli era sembrata durevole a volte, e in alcuni istanti aveva finito
quasi per crederci. Dimenticare, liberarsi di quell’amore pareva diventata una
cosa possibile, fino a quando il ricordo non lo schiaccia di nuovo contro il
muro di quella vita vissuta con lei.
Per quanto Danielle faccia, nonostante tutta la
dolcezza che sa metterci,e tutto
l’amore sincero che prova, lui non riesce a dimenticare, né a soffocare il
sentimento che sente.
E mentre corre contro l’aria, André ha paura di
aver fallito.
Quale terribile inganno sanno suscitare i sensi.
Ha creduto che fosse lei.
Per un momento, l’ ha vista così, l’ oro dei
capelli sciolti al vento, abbacinanti come la luce solare, le vesti da uomo.
Ha pensato… Ha sperato…
È lei, è venuta da me.
È venuta a cercarmi, perché mi ama come la amo io.
Ma le illusioni sono per gli sciocchi.
E di essi, lui si sente il re.
Come fai Oscar?
Come fai a non sentire questo dolore che spacca il
cuore?
Non ti manca la mia pelle, i miei baci? Le nostre
labbra affamate di noi?
Le nostre notti rapaci e dolorose? Non ti manca il
nostro dolore che misteriosamente ci faceva sentire vivi, e si placava esausto
solo nel cerchio possessivo delle nostre braccia?
Oscar, come fai a vivere, se io non vivo più?
Pensieri penosi che si perdono come aquiloni senza
fili nell’aria salmastra, su una spiaggia grigia lontana percossa da venti
troppo freddi.
Continua…
Eccomi qui, dopo tanto tempo.
Scusatemi per la lunga attesa, ma questo
è un periodo ancora un po’ grigio per me, fatto di alti e bassi, che in alcuni
momenti mi sembrano solo bassi, tra vari problemi personali che incidono
profondamente sul mio umore, quindi anche sulla voglia di scrivere che dovrebbe
essere un piacere, e purtroppo in alcuni momenti sembra che nulla lo sia.
Il capitolo era scritto per metà, ma
la seconda parte non voleva saperne di venire fuori; poi qualche giorno fa… non
so… ho ricominciato a scrivere e il capitolo si è concluso quasi da solo. Spero
sia venuto bene.
Devo dire che mi è piaciuto scriverlo,
spero solo che a voi piaccia leggerlo.
Ho trascurato di rispondere ad alcuni
dei vostri commenti e mi dispiace, ma sappiate che li leggo tutti e che li
apprezzo, e sono uno stimolo importante e sincero su cui rifletto a fondo, che
mi sprona ad andare avanti e a fare sempre, se possibile, meglio. Di questo vi
ringrazio, dal profondo del cuore, e spero che vorrete continuare a lasciare i
vostri pareri sinceri, per me tutti importanti.
Eccomi qui. Mi ero ripromessa di terminare il capitolo per Natale
e ci sono riuscita, nonostante la mia lentezza esasperante. Spero che risulti
un regalo gradito, anche se lo spirito dello scritto, come vedrete se vorrete
leggere, non ha un’atmosfera festiva. Metto le mani avanti per l’atteggiamento
di André, perché so che ha già lasciato perplesse diverse lettrici: potreste
non riconoscere il personaggio che tanto amiamo, ma in alcuni momenti io lo
vedo così, e nella mia mente la storia ha una sua naturale evoluzione che mi
sforzo di rispettare. Comunque spiego la cosa anche in una nota a fondo
capitolo. Su Danielle non dico più nulla, tanto oramai la odiate, io però ho
una sincera pena per lei e per il suo sentimento non corrisposto. Non vi tedio
oltre.
Buon Natale e Buon Anno a tutte voi, e grazie sempre di essere
qui. Siete un grande incoraggiamento. Buona lettura.
ßßßßßß
Avevo guardato André
allontanarsi.
La sua figura scura e inquieta
contrastava contro il maestoso sfondo bianco delle falesie, le pareti
d’alabastro scolpite dai venti nel gesso e nella selce che delimitavano la
suggestiva spiaggia di Etretat. [1]
Dopo il primo turbamento
suscitato dalla sua reazione severa, decisi di raggiungerlo.
Lo ritrovai ormai in prossimità
della villa, all’estremo del promontorio che si affacciava sulla distesa
azzurra e infinita del mare. Aveva lasciato libero il suo cavallo a pascolare i
pochi ciuffi d’ erba che crescevano qua e là; mi apparve immobile contro l’
orizzonte, col vento che saliva dal mare a scompigliargli le chiome brune.
Ero mortificata per quello che
era accaduto sulla spiaggia poco prima, ma avevo capito cosa lo avesse tanto
turbato e sconvolto; era stata la mia somiglianza, questa volta involontaria,
con Oscar: il mio abbigliamento e le mie chiome lasciate libere avevano
riacceso nel suo animo il ricordo doloroso di lei.
Da parte mia non fu qualcosa
d’intenzionale somigliarle, ma non avevo calcolato quanto fossi identica a lei,
soprattutto per André, che doveva aver creduto di vedere il suo fantasma. Solo
in quel momento mi fu chiaro quanto fosse penosa per lui quella separazione
forzata; lasciare Palazzo Jarjayes per seguirmi, doveva essere stata una scelta
lacerante.
Che ingenuità credere che fosse
stato fatto a cuor leggero.
Con quella acuta consapevolezza,
lo raggiunsi sul promontorio, lasciando la villa alle nostre spalle; scesi da
cavallo e mi accostai un poco a lui.
Restai a distanza ad osservare
il profilo elegante e preciso della sua schiena che si opponeva all’aria, le
gambe lievemente divaricate, un piede posto davanti all’altro. Non potevo
vedere i suoi occhi puntati contro la linea dell’orizzonte; sospettavo mi
avesse sentito, eppure non diede segno di volersi voltare.
Restò ostinatamente immobile,
perso a contemplare la vastità dell’ oceano che si stendeva davanti alla costa
francese. Immaginavo che i suoi pensieri volassero lontano chilometri da lì.
“Mi dispiace André. Se ho fatto
qualcosa di sbagliato, ti prego, scusami. L’ultima cosa che voglio è farti del male.”
Le mie parole uscirono esitanti
e incerte. Mi aspettai di sentire una risposta che non venne e dopo alcuni
minuti, il dubbio che non mi avesse assolutamente sentito, né si fosse accorto
della mia presenza, attraversò i miei pensieri.
“Non devi pensare che voglia di
nuovo giocare con te fingendo di essere lei. Ti prego di credermi André. Non è
per questo che ti ho invitato qui…”
Continuava a restare in
silenzio, mentre io supplicavo Dio che dicesse qualcosa, qualunque cosa che lo
riportasse al presente. Avrei accettato anche il suo biasimo.
Feci un altro passo per portarmi
un poco più vicina a lui, senza avere il coraggio di colmare la breve distanza
fisica che ci divideva. Ma le mie gambe avrebbero voluto correre. Avrei
soltanto voluto stringerlo tra le mie braccia, costringerlo a girarsi verso di
me e posare la mia guancia all’altezza del suo cuore e placare il battito
furioso che lo possedeva.
“André…” sospirai.
Allora si voltò a guardarmi.
Il suo sguardo era mesto,
offuscato da pena, frustrazione mista a rabbia.
Quella luce di gioia contenuta
intravista nei giorni trascorsi, sembrava scomparsa, sostituita da amara
disillusione che non tentava neppure di dissimulare.
E le sue parole furono ancora
più dense di rimpianto e sgomento.
“Non ti scusare Danielle. Tu non
hai fatto nulla; sono io che ho nutrito delle false speranze. Mi dispiace, non
sono stato del tutto sincero con te. Vedi, in realtà, io sono venuto fin
quaggiù con uno scopo preciso e non mi sono preoccupato troppo dei tuoi
sentimenti.”
“Io credo di averlo sempre
saputo André, ma vedi, non m’ importa…”
Come potevo biasimarlo?
Conoscevo ogni rischio recondito
di quel viaggio e mi erano altrettanto chiare tutte le più nascoste motivazioni
che non osavamo confessare uno all’altro, ma erano lì, invisibili possibilità
scongiurate e desiderate per le nostre personali felicità.
“Non t’ importa? Oh, allora tu
sei peggio di me! – Esclamò con durezza, serrando i pugni. – Non t’ importa che
contro ogni logica e buon senso, non ci sia giorno che io non abbia sperato,
invocato l’arrivo di Oscar qui? L’aspetto fin dalla prima ora del nostro arrivo
a Etretat. L’ ho cercata nei volti delle persone che abbiamo incontrato giù in
paese, in queste ultime due settimane. Ho pensato a lei in continuazione, tanto
da esserne stordito!”
Parlava con trasporto, era un
fiume in piena senza controllo e la sua voce vibrava con furia appassionata.
Non lo avevo mai visto in un tale stato di eccitazione dolorosa.
“Mi aspetto che piombi qui, da
un momento all’altro, a pretendere che torni a casa con lei, a supplicare
magari. Se venisse a ordinarmelo, io le ubbidirei quasi ciecamente. Metterei da
parte ogni briciola d’orgoglio, ogni umana volontà solo per sentirle dire che
mi ama, e che mi rivuole con sé. Lo capisci Danielle? Lei resta tutto ciò che
io desidero e amo… esono terrorizzato
all’idea che resterà soltanto un desiderio inappagato. E tu vanamente speri in
qualcosa che non potrò mai darti.”
“Lei ti ha reso così spietato,
André? Tu non sei così…”
“Sono esattamente così, invece.
Il mio cuore è chiuso a ogni altro sentimento che non sia ciò che provo per
lei. Credevo che sarebbe stato facile venire qui, stare con te. Credevo che
avresti potuto aiutarmi non dico a dimenticare, ma a sopportare il mio tormento…
- a quel punto si avvicinò per sfiorarmi il viso con la punta delle dita e
fissò i suoi occhi di fuoco nei miei - credevo di potermi rassegnare a
lasciarla andare, grazie a te. Ma non è così. Mi è bastato vederti sulla
spiaggia poco fa, per capirlo, quando per un momento ho creduto che fossi lei.
La verità è che sono disperato, e la disperazione fa fare le cose più assurde
ad un uomo.”
Non avrei voluto, ma più lo
ascoltavo e più sentivo l’amarezza avvelenarmi il cuore e una rabbia sorda e
inesorabile montò in me. Comprendevo i suoi sentimenti, ma non potevo accettare
quella sua presa di posizione.
Io volevo che lottasse, per sé e
anche per me, pur col rischio enorme di finire in svantaggio e perdere la
partita col suo cuore.
“Davvero? E tu, André? Quale
atto disperato ti spingeresti a compiere? Vuoi annullarti per una donna che non
ha fatto nulla per proteggere e difendere quello che vi univa, qualunque cosa
fosse? Vuoi mettere da parte l’ orgoglio e correre da Oscar a supplicarla che
ti riprenda con sé, come l’ultimo degli stallieri di Palazzo Jarjayes? Io non
lo accetto André. Non ti permetterò di umiliarti fino a questo punto! Saresti
un debole, e tu non lo sei. Tienilo a mente, qualora ti venisse una simile
vergognosa tentazione!”
Protestai con tutta l’energia
che avevo in corpo, fiera e orgogliosa. Mi mossi per andarmene preda del mio
sdegno, ma André repentino, mi bloccò afferrandomi un polso. Strinse deciso e
quasi mi fece male. Oppose il suo corpo duro e possente alla tenerezza del mio
e mi trattenne bloccandomi le spalle.
“Danielle, tu sei nella
posizione di approfittare di me e della mia debolezza. E io potrei essere tanto
pazzo da cedere alle tue lusinghe e alle mie voglie più basse. Scusa se lo dico
in modo così crudo, ma non sarebbe altro che lussuria, brama dei sensi. –
Parlava con foga, la voce accesa. - La verità è che non sono mai stato come
adesso, diviso e in conflitto tra l’amore che sento ancora per Oscar e la
voglia di lasciare tutto alle spalle, essere libero da un sentimento che strazia
e opprime. [2] Tu sei nel
mezzo Danielle, è rischi di farti male; se sei decisa a correre il rischio, io
non mi tiro certo indietro.”
Ci guardammo negli occhi, resi ardenti dalle nostre
violente emozioni.
“Sei crudele e sincero. Conosco
il rischio. Io voglio l’amore, André. Io voglio per me, quello che senti per
Oscar.”
E finalmente sentii le sue forti
braccia circondare la mia vita, attirarmi a sé mentre le sue labbra sensuali e
voraci assalivano le mie. Non opposi alcuna resistenza alla sua invasione, mentre
le nostre bocche si aprivano esplorandosi, dolci e peccaminose, e i nostri
sapori si confondevano e si inseguivano in un bacio che diventava sempre più
esigente e profondo. Premuta contro i suoi muscoli, potevo sentire accendersi
la sua virilità prepotente.
Lo volevo, lo desideravo da
morire.
Ma sapevo anche che quello non
era ancora il momento, e a me non poteva bastare il suo corpo. E nient’altro
André mi avrebbe concesso di sé, questo era fin troppo chiaro.
Non cercavo l’ennesima avventura
fatta di solo sesso. Anelavo a molto di più, e il mio desiderio aveva la
consistenza fumosa di un sogno che pareva irraggiungibile.
Oscar era lì con noi, spirito
invadente e possessivo che occupava l’anima e i pensieri dell’uomo che amavo
con la ferocia di un lupo. Come potevo liberarlo dalla potente malia che mia
sorella esercitava a distanza su di lui?
Forse non ci sarei mai riuscita.
Mi staccai da lui, sconvolta
dalle mie sensazioni. Gli accarezzai una guancia, mentre lo fissavo
comprensiva, e cercavo di trovare le parole più giuste per placare quel fuoco
che avrebbe potuto distruggere entrambi.
“Io torno alla villa. Ma tu
resta qui, André. Placa la tua anima sconvolta. Dopo potrai raggiungermi, e
allora, forse vedrai le cose in modo differente. Non dobbiamo fare nulla di cui
potremmo pentirci. Se accadrà qualcosa sarà solo per volontà nostra, non per
disperazione.”
Lasciai un’ ultima carezza al
suo volto e mi allontanai. Sentivo il vento che saliva dal mare investirci; mi
sembrava che invadesse i recessi più segreti del cuore, passandovi attraverso.
§§§§§
Oscar mai più si sarebbe aspettata di ricevere la visita
di suo cognato. Il conte di Recamier era venuto espressamente a cercarla
nell’intimità della sua casa, e non ricordava che fosse mai accaduto in
passato. Un fatto assolutamente straordinario da parte di Leopold, vista la
ritrosa diffidenza che il marito di sua sorella le aveva sempre esternato.
Non le era difficile immaginare
quale fosse il motivo, e non avrebbe dovuto sorprendersi di nessuna richiesta.
Ma fu l’intuizione inaspettata del cognato a coglierla impreparata e
vulnerabile: la riguardava troppo da vicino.
“Non credo che la richiesta di
divorzio sia solo imputabile al riconoscimento di mia figlia Margot, anche se
nella lettera di Danielle che avete appena letto – disse indicando il foglio
che Oscar teneva tra le mani - non c’è nessun altro riferimento. Io credo ci
sia un motivo ben peggiore di cui voi, madamigella Oscar, dovete essere al
corrente. Vorrei che me ne metteste a parte.”
Le pareva che quel pezzo di
carta le scottasse le dita. Lo aveva letto con sofferenza e timore,
aspettandosi di trovare qualche allusione alla fuga della gemella con André. In
realtà, era una missiva piuttosto breve e sintetica, molto chiara circa le
condizioni poste da Danielle al riconoscimento della bambina.
La richiesta era una sola:
divorzio.
Segreto e senza scandali.
“Perché dovrei saperlo?”
“Perché siete la gemella di mia
moglie; siete l’unica che può conoscere i suoi più intimi pensieri. Sono anche
sicuro che sappiate dove si trova adesso.”
“Non sono tenuta a sapere cosa
passa per la testa di mia sorella, Leopold. Non so perché voi pensiate il
contrario. Che intendete fare? Concederle il divorzio?”
“Sapete, potrei anche farlo… Ne
avrei anche dei vantaggi… Non prima di aver scoperto la verità… Sono convinto
che ci sia un uomo coinvolto in questa faccenda: intendo scoprire chi è. Se
fosse un personaggio scomodo, motivo di vergogna per i Recamier, prenderei i
giusti provvedimenti.”
Oscar ascoltava il cognato e una bufera infuriava nel suo
animo, ma nulla traspariva dalla sua espressione seria e composta.
“Motivo di vergogna? Oh,
e voi pensate di essere esente da ogni colpa, cognato? - Sibilò Oscar, senza nascondere
il sarcasmo. – Non vi siete mai preoccupato quando la vergogna dipendeva dalle
vostre azioni. Avete contribuito a sfaldare il vostro legame, a nuocere alla
famiglia Recamier. Biasimate mia sorella, se decide di porre fine a tutto in
maniera definitiva? Siete responsabile quanto lei.”
Leopold non colse il rammarico,
né il velato risentimento celato in quelle accuse.
-Se tu l’avessi amata un po’ di più, forse nessuno
di noi sarebbe a questo punto. E André non mi avrebbe abbandonata per seguire
tua moglie… brutto pezzo d’asino.
“Non sono qui per parlare di
questo, madamigella. Né credo che i trascorsi della mia vita coniugale vi
riguardino. Ma capisco che vogliate prendere le difese di Danielle.”
“Non la sto difendendo affatto.
Sono solo obiettiva.” Protestò con decisione.
“Allora sarete così obbiettiva
da ammettere che c’è dell’altro: mi è stato suggerito che voi stessa potreste
essere coinvolta nella decisione presa da mia moglie. Forse voi conoscete
quell’uomo… forse per voi rappresenta qualcosa…”
L’allusione la allarmò, ma Oscar
si nascose dietro un sorriso sarcastico.
“Ridicolo! Chi vi ha ispirato
una simile idea? Dev’ essere una teoria fantasiosa della vostra amante: voi non
siete così arguto…”
“Ridete pure; mi fido del suo
giudizio. È più intuitiva di quanto crediate. Talvolta sorprende persino me.”
“Suvvia cognato… È facile
sorprendere voi. E quella donna sa come catturare la vostra attenzione,
suppongo.”
“Adesso siete offensiva.”
Ribattè Leopold piccato.
“Non più di voi, che venite qui
a insinuare cose inesistenti.” Proseguì Oscar in tono tagliente.
“Non è un’ insinuazione dire che
siete molto amica del conte di Fersen, è cosa risaputa: quell’ uomo di
recente ha frequentato mia moglie in maniera assidua, nella mia stessa casa.
All’inizio ho pensato potesse essere lui, ma ora sospetto possa trattarsi di
un’ altra persona…”
“Io e Danielle non abbiamo molte
amicizie in comune. Il conte di Fersen è un amico di vecchia data, ma adesso è
in America. Posso garantire sulla sua condotta irreprensibile. Altri non saprei
chi suggerirvi.”
“Allora ammettete che c’è un
uomo?!”
“Non ho detto questo.”
Leopold distolse lo sguardo,
lasciandolo vagare nell’ambiente.
“Comunque, deve essere qualcuno
che voi conoscete piuttosto bene…”
Lame di sole entravano
attraverso i vetri e andavano a colpire le superfici laccate dei mobili. Il
conte di Recamier tornò a fissare Oscar.
“A proposito, ho notato la
curiosa assenza del vostro attendente… Di solito, vi ronza sempre attorno come
un cane…”
Le fu palese la provocazione.
“Come vi permettete?! Certe
espressioni riservatele ai vostri servi!”
“Perché ve la prendete? La mia è
solo bonaria curiosità…”
Inquieta, Oscar trattenne un
moto di nervosismo, ma ebbe l’ardire di rispondere con prontezza, mentre le
labbra si piegavano in una vago sorriso ironico.
“Ma perché tutti vi preoccupate
di quello che fa uno dei miei servi? André non è più al mio servizio, tutto
qui. Non è cosa che possa interessarvi...”
“Oh, perbacco! Ora sì, che sono
sorpreso!” Esclamò Leopold, e Oscar capì immediatamente di aver fatto un passo
falso: aveva concesso un indizio di troppo.
Il conte in realtà, aveva
imputato l’assenza dell’attendente ad altri motivi di carattere più ufficiale,
incombenze per conto della sua padrona, ma quella rivelazione inattesa apriva
un ventaglio di possibilità sconcertanti.
Perfino lui sapeva quanto il
giovane scudiero fosse legato e fedele a madamigella Oscar, e il suo
allontanamento era un evento clamoroso, oltre che denso di mistero.
“Ha trovato una sistemazione
migliore di Palazzo Jarjayes?” Domandò perplesso.
“Non ne ho idea.” Rispose secca.
“Come, prego? – domandò il conte
ancora più stupito. - Non sapete che fine abbia fatto il vostro ex attendente?
Un uomo che è stato alle vostre dipendenze per anni?” In verità, per lui la
questione era di nessun conto, ma la notizia era troppo curiosa, per non
indurlo a seria riflessione.
Oscar si alzò dalla poltrona
foderata di prezioso velluto, dove era rimasta seduta fino a quel momento, per
andarsene.
“Leopold, questa conversazione è
interessante, ma altri impegni mi attendono a Versailles, non posso ritardare
oltre. Scusatemi.”
§§§§
La vecchia governante era seduta in cucina con un
bicchiere di vino sul tavolo davanti a lei, e si fregava gli occhi stanchi con
un lembo del candido grembiule di cotone. Era ferma lì, da mezz’ora, il tempo
esatto trascorso da quando il marito di Madame Recamier era andato via. Tutte
quelle domande su suo nipote l’ avevano agitata e innervosita, e non
comprendeva quello strano interesse da parte del conte.
Però non le sembrava nulla di buono.
Perché un nobile signore dovrebbe interessarsi a quello
che fa un servo qualsiasi, che non appartiene neppure ai suoi domestici
personali? La vecchia Nanny lasciava vagare i pensieri inquieti insieme al
timore di aver rivelato ciò che non doveva dire.
Ora si rammaricava di aver risposto alle domande del conte
troppo sinceramente, pensando che avrebbe dovuto fingere di non saper nulla.
Chissà, forse avrebbe dovuto dirlo a madamigella Oscar. Ma
perché disturbare la padroncina, con una sciocchezza di poco conto? Perché suo
nipote era andato via? Così lontano? Cosa era accaduto? Che colpo di testa.
Un vero e proprio fulmine a ciel sereno.
La sua mente semplice si agitava tra mille pensieri,
congetture e timori di sempre, quelli che da anni la preoccupavano e che
riguardavano suo nipote e i sentimenti pericolosi che lo legavano alla figlia
del generale Jarjayes.
Sentimenti che lei conosceva fin troppo bene, cui aveva
sempre cercato di porre un freno, per il bene del giovanotto.
E Oscar ultimamente era così strana, più taciturna del
solito, le si leggeva una tristezza infinita nello sguardo. Ma non diceva
niente a nessuno. E fatto ancor più insolito, non le aveva mai chiesto nulla
del nipote. Si chiudeva in certi silenzi ostinati che neppure sua madre
riusciva a sciogliere. Oppure, quando non era in servizio, spariva per delle
ore, allontanandosi a cavallo, e lei per l’ansia si fregava le mani finché non
tornava a casa, angustiandosi e maledicendo André che aveva osato lasciarla
sola, per andare in Normandia.
Dovevano aver litigato, in maniera veramente drammatica.
Forse si sarebbe arrivati a quella rottura comunque, prima
o poi.
Aveva ricevuto solo una lettera da quando era partito, in
cui la rassicurava in maniera molto vaga che godeva di ottima salute e aveva
trovato un buon alloggio e un’ ottima occupazione in Normandia, senza
precisarle il luogo esatto.
Ma non spiegava nient’altro.
Nessun cenno a quanto poteva essere successo.
La lettera si chiudeva con un brevissimo pensiero rivolto
a lei, tracciato quasi frettolosamente, come se André avesse scritto quelle
poche righe con pena e fastidio.
Guardò la lettera un’ ultima volta, era ancora aperta sul
tavolo, accanto al bicchiere di vino, ormai vuoto.
Le domande del conte continuavano a ronzare insistenti
nella sua testa. Passarono altri minuti, ripiegò la lettera e la infilò tra le
pieghe del suo abito, infine si alzò dalla sedia per allontanarsi
frettolosamente dalla cucina.
§§§§
Gli era occorso un po’ di tempo per calmarsi.
Era rimasto sul promontorio a lasciarsi scuotere dal vento
che lo investiva e che pareva placarlo, congelare la sua anima in tumulto.
Quando l’aveva baciata, aveva avuto la sensazione di
perdersi, con la dolce illusione di averla ancora tra le braccia. Quel profumo
e quel sapore che pareva così simile. Eppure sentiva che Danielle era diversa:
più arrendevole, forse anche un poco più dolce, ma con la pelle segnata da
tante carezze sconosciute.
La pelle di Oscar era inviolata nella sua mente.
La passione di Oscar era selvaggia, potente e famelica, e
lo divorava con tutta la forza del fuoco che la consumava. E André gioiva di
quel fuoco che la spingeva verso di lui, che pareva non riuscire a estinguersi.
Nel duello della loro passione Oscar non si arrendeva, pretendeva la vittoria e
la sua totale resa.
Perdere se stesso in quel soggiorno in Normandia era una
possibilità, e lo sapeva, ma aveva creduto davvero di essere più forte; ma
stava divenendo fin troppo consapevole che cedere alle grazie di Danielle,
sarebbe stato come arrendersi a un’ illusione, e la tentazione diventava enorme
col passare dei giorni, col crescere di quella distanza che lui stesso aveva
contribuito a creare con la sua fuga.
Era un vigliacco? Si stava arrendendo allo scoramento,
alla paura di non riuscire a possedere davvero il cuore della donna che amava?
Quanto si era sbagliato su di lei?
Davvero quella distanza non si sarebbe mai colmata?
Eppure, era ciò che sperava più di tutto.
Danielle era la soluzione più semplice.
Era lì, facile da raggiungere.
Bastava allungare le mani per cogliere senza sforzo un
piccolo scampolo di felicità. Arrendersi a lei per stordire i tormenti del
cuore, per trovare anche per poco una via di fuga, un momento di pace e un po’
di consolazione per l’anima. Non sarebbe mai stato vero amore, ma che
importanza poteva avere, ormai?
Tanto nulla poteva garantire che durasse.
Di questo André era altrettanto consapevole, e solo questa
incognita gli impediva di lasciarsi confondere dall’inganno. E in lui restava
quello strano sentimento di onestà e compassione per Danielle, che lo induceva
a proteggerla dal male che le avrebbe fatto.
I sentimenti che provava per Danielle non avevano niente a
che fare con quello che sentiva per Oscar.
Questa era una certezza per certi versi sconcertante.
Assoluta.
Tornò verso la villa, senza fretta.
Il respiro controllato, senza affanno.
Ora poteva porsi di fronte a lei, con la saggezza di un
animo placato e pensieri domati.
Danielle lo attendeva seduta vicina a una finestra;
contemplava il mare violento e agitato come il suo animo, che si schiantava in
onde spumose contro le scogliere bianche che interrompevano la linea
dell’orizzonte sulla sinistra.
Restò a fissarla in silenzio per qualche attimo, nella
penombra della stanza la sua sagoma scura si stagliava contro il chiarore del
cielo normanno; si decise a parlare solo quando lei si voltò a incontrare il
suo sguardo.
“Mi dispiace per prima, Danielle. Non volevo turbarti, ma
volevo essere onesto con te, fino in fondo.”
“E di questo, ti ringrazio. Eri tu quello turbato, André.
Per causa mia. Non approfitterò delle tue debolezze, anche se tu potresti
approfittare delle mie. Lascerò che il tempo faccia il suo lavoro, e
raccoglierò quello che verrà. Vorrei che lo facessi anche tu, senza troppe
aspettative, né timori. Se saremo onesti non ne avremo a soffrire, in qualsiasi
modo andrà a finire.”
“Stai dicendo che accetteresti la possibilità di non
essere mai ricambiata da me? Sei sicura?”
Si alzò in piedi per avvicinarsi a lui.
“E tu sei certo che andrà così? – Danielle congiunse le
mani in una supplica. - Naturalmente il mio cuore spera in ben altro André… ma
devo essere pronta a lasciarti andare, se è questo ciò che vorrai. Ma non ti
lascerò calpestare il tuo orgoglio, questo no. Non ti perderò in questo modo.”
Sgranò gli occhi, colpito.
“Non ti fermerò, ma tu non fermare me se cercherò di
forzare le difese del tuo spirito… lasciami entrare nel tuo cuore, proverò a
scaldarlo.”
Si sentì improvvisamente disarmato. Allora, lei non si
trattenne più, e corse tra le sue braccia che si aprirono per accoglierla. La
sentì sospirare contro il suo petto ampio.
“Oh, André!! Ti amo… Ti amo per questo ardore che ti
brucia… lasciami bruciare con te. Non chiedo altro!”
********
Nanny bussò alla camera di Oscar con mestizia. Alla fine
si era decisa dopo infiniti tentennamenti; era troppo preoccupata per il nipote
per lasciar passare tutto sotto silenzio.
Forse era una cosa di nessun conto, ma mettere madamigella
al corrente dei fatti, l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio. Attese pochi
secondi prima di sentire la voce calma di Oscar invitarla a entrare.
Nanny si inchinò in una piccola riverenza, e parlò
soltanto quando fu invitata a farlo dalla giovane, sorpresa di vederla a quell’
ora nelle sue stanze private. Seguì un rapido scambio di sguardi e alla
governante parve addirittura di leggere un’ ombra di inquietudine nelle
mutevoli iridi celesti che la fissavano.
“Che cosa c’è?”
Nanny avvertì una nota di allarme nella domanda.
“Scusami Oscar se vengo a disturbarti a quest’ ora, –
iniziò, e Oscar colse subito l’insolita forma confidenziale, che la vecchia
governante raramente si permetteva di usare. – Devo parlarti di una questione
delicata che riguarda il conte di Recamier…” disse con una lieve esitazione.
“Cara Nanny, questo tuo non rispetto delle forme, è
davvero curioso; - Oscar si sciolse in una lieve risata. - Dimmi pure. Ti
ascolto.”
“Beh, ecco… Oggi pomeriggio, dopo che sei andata a
Versailles, il conte è venuto a farmi un sacco di domande su André… e io mi
sono preoccupata. Non ho capito il motivo di tanto interesse.”
“Cosa voleva mio cognato da te? Che genere di domande?”
Chiese Oscar, diventata improvvisamente attenta, lo
sguardo serio e sospettoso. Solo un nome. Il suo.
Bastava quello a far crollare la sua maschera di vetro.
[3]
“Sapeva che André ha lasciato il tuo servizio; pareva
sorpreso che mio nipote avesse lasciato questa casa dopo tutti questi anni, e
voleva sapere perché, e dove fosse andato.”
“Cosa? Tu che gli hai risposto?”
Madamigella aveva gli occhi spalancati per la sorpresa, e
alla vecchia balia non sfuggì la sensazione di panico rivelata dalla voce.
“Ecco, forse ho fatto male, ma gli ho detto che è andato
in Normandia… anche se non so di preciso dove, André non me lo ha detto… - La
vecchia Nanny fece una pausa prima di proseguire con vera apprensione. - Oscar
se tu sai qualcosa, devi dirmela. Perché mio nipote è andato laggiù? Avete
litigato? Andrè è nei pasticci? Perché il signor conte si interessa di un
comune attendente?”
“Non lo so, mi dispiace. – Mentì e non osò guardarla in
faccia, prima di parlare di nuovo. - Nanny, tu sei in contatto con André? Hai
avuto sue notizie, per caso?”
André non me lo ha detto…
Aveva isolato solo quella frase. Non sapeva neppure lei
cosa sperare, ma si rese conto che temeva la risposta; la desiderava, con tutta
l’ansia che celava in fondo al cuore.
Quando, nel lieve silenzio, le parole di Nanny la
raggiunsero, ebbe l’impressione di sentire il cuore mancare un battito.
“Mi è arrivata una breve lettera, qualche giorno fa. Non
dice molto in realtà. Se vuoi leggerla, te la posso lasciare.”
Oscar vide la vecchia frugare leggera sotto le pieghe
della veste, ed estrarne un foglio di carta ripiegato.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per sbirciare quelle poche
parole, e la attraversò un senso d’incredibile costernazione, per quel
desiderio che si accendeva in lei improvviso, ma assoluto.
“Te ne sarei grata.”
Sospirò appena, abbassando le palpebre a nascondere il
turbamento impetuoso che la travolgeva.
Nanny si era allontanata, lasciando la lettera piegata
accanto a lei sul tavolino. Rimasta sola, era rimasta a fissare il pezzo di
carta con il cuore in tumulto, prima di allungare una mano con una strano
tremolio del braccio, che non voleva saperne di placarsi.
Le bastò scorgere appena qualche parola, riconoscere la
calligrafia ordinata; il cuore era diventato un tamburo assordante, le mani
presero a tremare convulse, mentre sotto gli occhi bruciavano piccole frasi,
fatte di parole innocue e gentili. E mentre leggeva, le pareva di sentirne la
voce profonda, a tratti canzonatoria, calda e vibrante, come lei la ricordava.
Quella voce capace di scaldare la sua anima.
Quella voce che sapeva accenderla, che lei amava.
Le mancava quanto il suo corpo, le sue mani, i suoi baci.
“Cara nonna, spero che tu stia
bene.
Ti sto scrivendo dalla Normandia,
un luogo che per me, è denso di tanti ricordi, lo sai.
La regione è splendida come
sempre, anche se in questa stagione fa un po’ freddo.
Comunque, sto bene.
Qui mi sento quasi felice… ma lo
sai anche tu, molto ho lasciato a Palazzo Jarjayes, perfino una parte di me è
ancora lì, con tutti voi.
Sono sereno e tranquillo, e non ho
perso il mio notevole appetito, quindi non ti devi preoccupare.
Immagino che la mia partenza, così
improvvisa e inaspettata, ti abbia sorpreso e ferito, e per questo, ti prego di
perdonare il tuo impulsivo nipote, che ti vuole un bene sincero; se non ti ho
detto niente, avevo i miei motivi.
Ti saresti preoccupata per nulla,
e non era il caso.
Non ho visto altre soluzioni al
mio problema e dovevo decidermi a fare qualcosa.
Non so ancora se sia la scelta
giusta. Forse il tempo aggiusterà le cose.
Io lo spero.
Ho trovato un alloggio pulito e
accogliente, e una buona occupazione presso una casa rispettabile, qui in
Normandia, quindi sta tranquilla e non preoccuparti per me.
Spero che Oscar stia bene…
Sono sicuro che la sua vita scorre
come sempre…”
Seguiva lo
svolazzo leggero della firma.
Leggere quelle
ultime parole rivolte a lei, così brevi e frettolose, quasi fredde e velate
appena di qualcosa che assomigliava al risentimento, o forse era rimpianto, fu
straziante.
Si portò una mano
alla bocca mentre gli occhi si dilatavano per il doloroso sgomento che la
pervase tutta.
Oscar si accorse
troppo tardi dell’inchiostro che si scioglieva in rigagnoli neri, mentre le
parole di André si perdevano, cancellandosi sotto la pioggia delle sue lacrime
che bagnavano la carta.
Lei non riusciva
più ad arrestarle e lasciò che i singhiozzi, come lame affilate e crudeli le
facessero a pezzi il cuore, mentre il foglio stropicciato e macchiato di nero
scivolava a terra.
Continua…
[1] Nel capitolo precedente non
avevo precisato la località della Normandia. Ero rimasta indecisa, e ho preso
tempo. Poi ho trovato su internet foto di questo posto, immortalato anche dai
pittori impressionisti per la sua suggestiva selvaggia bellezza, con le falesie
bianche dalle forme curiose e strane. Mi è piaciuto subito immaginare che André
e Danielle fossero arrivati quaggiù.
[2]Questo è un André, probabilmente OOC, - tipo quello di “Gocce di
fiele e veleno” per intenderci. Sono sempre stata convinta che nella sua vita
il nostro abbia avuto momenti del genere. Quello in Normandia è uno di questi
momenti, e visto il suo comportamento che ultimamente lascia basite parecchie
lettrici, ho preferito avvisarvi.
[3]Omaggio a “Garasu no Kamen”, manga che sto leggendo ora con vero
piacere.
Leggere quella lettera indirizzata a Nanny era
stato penoso più di quanto credesse, ma più male le aveva fatto quella breve
frase rivolta a lei, buttata lì quasi con indifferenza, all’apparenza svuotata
di ogni sentimento.
Si domandava se fosse davvero così.
Possibile che fosse riuscito a placare così bene
tutti i sentimenti che da sempre lo univano a lei? Oscar si chiedeva che amore
fosse quello che l’amara lontananza riusciva a spegnere nel cuore di un uomo.
Anche di un uomo come lui, posseduto da potenti passioni.
Davvero hai smesso di amarmi, André?
Sei riuscito, dunque, a cancellarmi dal tuo cuore?
Io non voglio crederlo.
E altro la tormentava.
L’ idea che il cognato corresse in Normandia per
sorprendere la sorella con André la gettava nel panico più totale. Non gli
erano chiare le sue intenzioni, né sapeva quali fossero, ma il sospetto che
volesse raggiungere la moglie, per smascherare la sua tresca clandestina e
scoprire il suo possibile amante non l’abbandonava, né la faceva sentire
tranquilla.
Lui aveva fatto la sua scelta, l’aveva lasciata
per seguire Danielle in quella follia; perché lei ora doveva sentirsi così
spaventata?
Perché non riusciva ad abbandonarlo al suo
destino, come lui aveva fatto con lei senza esitare? Perché il suo cuore
continuava a tremare per lui?
Maledizione, André!
Se non intervengo in qualche modo, non so cosa
accadrà.
Oscar era come un leone in gabbia, camminava
avanti e indietro nella sua stanza, mordendosi le mani, chiedendosi cosa
dovesse fare, combattendo contro sé stessa e i suoi sentimenti che le
graffiavano l’anima. Prese la sua spada e come se dovesse esercitarsi, tirò
qualche fendente contro un nemico invisibile, nella speranza di allentare la
tensione che la opprimeva, ma senza costrutto.
Il fatto che Leopold fosse andato a interrogare la
sua governante non lasciava presagire nulla di positivo; benché lo ritenesse un
inetto poco previdente, forse aveva già maturato qualche sospetto sul ruolo del
suo attendente in tutta quella faccenda.
Devo andare in Normandia, pensò, senza riuscire ad allontanare quel
pensiero, che a tratti le pareva molesto e contraddittorio. Ma non riusciva a
pensare ad altro, e quell’idea la assillava da ore, non le aveva fatto chiudere
occhio neppure durante quella notte appena trascorsa, passata a rigirarsi nel
suo letto troppo grande, in cui si sentiva sola e dove mancava il calore e la
forza del suo abbraccio, il profumo eccitante della sua pelle che la faceva
tremare di desiderio.
Insieme alla paura, c’erano altre immagini che
l’assalivano, quelle dei loro incontri bollenti, dei loro corpi nudi che si
univano trascinati da una passione che era incontenibile. Bastava il ricordo a
bruciare il sangue nelle sue vene come fosse polvere da sparo. Inutile fare
finta che non fosse così.
La sua assenza le faceva male in senso fisico. Ma
era amore quello? Era amore quell’urgenza che sentiva di congiungersi a lui?
Quella bramosia del cuore e dei sensi che la dominava tutta? Che cancellava
tutto quanto il resto, facendo apparire ogni altra cosa, a parte lui, senza
importanza? Si accorse che non le interessava.
Non le importava cosa fosse, importava solo che
fosse reale.
Più reale di tutte le sue remore, le sue paure, il
senso del dovere o del rispetto verso il casato e suo padre, e tutti quelli che
non avrebbero approvato una passione tanto forte che le accendeva l’animo, che
l’aveva fatta riscoprire donna.
Sì, donna.
Per la prima volta si soffermò su quel pensiero che
aveva costantemente scacciato con cieca ostinazione.
Lei era una donna che voleva un uomo.
Lo voleva nella sua vita, accanto a sé. Lo voleva
perché era giusto e naturale. Perché dava un senso a tutto. E quell’ uomo era
André. Lui solo.
Così decise che quel pomeriggio stesso sarebbe
andata a Versailles per chiedere alla regina un congedo di qualche giorno.
Maria Antonietta non le avrebbe mai negato nulla, e quella era la prima vera
richiesta che faceva per sé, da quando erastata promossa Colonnello.
Doveva raggiungere Danielle e André, e doveva
farlo prima di suo cognato.
*******
“Non sapete neppure dove sia! Potrebbe essere in
qualsiasi luogo, in Provenza o in Borgogna, perfino nel Sud della Francia. Come
pensate di trovarla? Poi non capisco la necessità che avete di scoprire cosa?
Che vostra moglie potrebbe essere innamorata di un altro uomo?”
“L’attendente di madamigella Oscar è andato
laggiù, e questo lo so da fonte certa. Mia moglie è scomparsa e quell’uomo ha
lasciato il suo servizio a palazzo in marniera imprevista e improvvisa. Mi
sembra più di una coincidenza… è un indizio.”
“Seriamente state pensando che vostra moglie sia
scappata in Normandia con un servo? Che addirittura vi chieda il divorzio per
questo? Non lo trovate un pensiero risibile?”
“Sono io quello che rischia il risibile, madame.”
“Ridicole sono solo le vostre idee, Leopold.
Vostra moglie sarà una donna spregiudicata e controcorrente, ma non fino a
questo punto.”
Lisette era nervosa, contrariamente a quella che
era la sua indole il più delle volte. Sapeva molto più di Leopold che il vero
atto di ribellione di una donna come Danielle era la richiesta di divorzio in
sé, fra l’altro sollecitata da lei, ma non sarebbe stato un bene spiegarlo
all’uomo, né fargli scoprire una tresca amorosa della moglie tanto ardita.
Si accostò a Leopold, afferrandolo per le braccia, come se volesse placarlo, e
al contempo placare sè stessa.
“Abbiamo ottenuto molto. Danielle accetta il
riconoscimento, in cambio del divorzio. Perché non accettate semplicemente? Se
anche ci fosse un uomo nella sua vita, che differenza farebbe a questo punto?
Leopold, così rischiate di rovinare tutto! E per cosa? Per il vostro stupido
orgoglio personale!”
“Madame, io sto cercando di trovare dei possibili
vantaggi per noi, per non dover essere costretto a cedere a eccessive
richieste. Non intendo fare troppe concessioni a mia moglie. Devo pur difendere
il mio nome dalla vergogna.”
“Ma di quali richieste stiamo parlando? Vostra
moglie chiede un divorzio senza l’onta dello scandalo. Basterebbe fare tutto in
segretezza. La vostra è una banale scusa, perché non accettate di essere
lasciato col rischio dell’ oltraggio per la vostra persona.”
Le accuse della donna erano precise e serie e
Leopold si rese conto che, per la prima volta, poteva averla contro.
“Madame, ascoltate…”
“No, ascoltate voi, invece, uomo ottuso ed
egoista! – la donna si staccò da lui, volgendogli bruscamente le spalle, in un
moto di orgoglio e rivalsa. – Io ho accettato il ridicolo, la vergogna di
passare per la vostra amante. Sono passata sopra il biasimo, il disprezzo della
buona società che mi ha bollata subito come una donna di facili costumi, che si
insinua nel letto di uomini sposati, per meri scopi personali, e ho accettato
tutto, con il sorriso sulle labbra, per amor vostro e della piccola Margot. Non
vi siete mai preoccupato di cosa volesse dire per me. Non avete proprio capito
nulla del mio sacrificio, allora? Ho messo la mia persona ai vostri piedi. Non
lo tenete in nessun conto, vi interessa solo salvare la vostra reputazione, il
vostro nome altisonante!”
“Cosa dite? Le vostre accuse sono ingiuste…
dubitate di me?”
“Sì, dubito di voi, e dei vostri sentimenti. Non
capisco il vostro accanimento nell’ostacolare qualcosa che potrebbe risolversi
con facilità. A questo punto credo che vi interessi più di tutto preservare
quei privilegi, e sono tanti, che vengono dal vostro legame col nome dei
Jarhayes.”
“Madame, vi prego…”
“No, smettetela di blandirmi. Non lo accetto. – Si
voltò di nuovo, decisa verso di lui, e lo fissò negli occhi. – Leopold,
ascoltatemi: se ci tenete tanto, siete libero di andare laggiù a cercare vostra
moglie e la prova del suo tradimento, ma sappiate che se per un qualsiasi
motivo, non accetterete le condizioni del divorzio a beneficio esclusivo di
vostra figlia, io non mi riterrò più legata a voi. Mi perderete, Leopold.”
“Lisette, non parlate sul serio…” l’uomo era
veramente allarmato, adesso. Lo sguardo della donna era fermo. Non stava
bluffando, e lui lo capì.
“Sono molto seria, invece. Pensateci.” Il tono era
basso e quieto, ma sicuro.
“Oh… Se non vi conoscessi, direi che… siete più
interessata a questo divorzio, che al riconoscimento di vostra nipote. Mi sto
sbagliando, mia cara?”
“Ebbene, volete la verità? E sia! Sono interessata
al nome per mia nipote, è vero questo, ma per garantire un futuro a Margot,
intendo riabilitare anche il mio nome: l’unico modo per ottenere questo è
diventare la futura contessa di Recamier.”
Leopold non poté nascondere un moto di sorpresa
sincera.
“Ah! Non avevo scorto l’ambizione in voi. Credevo
che non foste interessata a un nostro matrimonio, madame…”
“Non lo ero infatti, ma ho riflettuto molto, e
sono giunta alla conclusione che possa essere la soluzione più saggia per me e
la piccola; così diventerei a tutti gli effetti sua madre. Quale altra
prospettiva può avere una donna nella mia posizione? Sono una vedova senza
onore e mezzi con una nipote senza nome da allevare. Per questo dovete
accettare la proposta di vostra moglie. Se voi foste contrario, non avrebbe
senso continuare in questa direzione.”
“Se io vi sposo madame, il divorzio non resterebbe
segreto; non è ciò che vuole mia moglie.”
“È ovvio che la cosa salterebbe fuori, ma a quel
punto sarebbe facile gestire l’impatto e minimizzare lo scandalo, che non
partirebbe da vostra moglie, che sarà vista come la parte offesa. Alla contessa
neppure più importerebbe, credetemi.”
Leopold sentì un misto di ammirazione e paura per
la sua compagna; quella donna pareva aver pensato a tutto.
**********
Stava cenando con lei, come accadeva tutte le
sere, da quando erano arrivati a Etretat. La luce soffusa del crepuscolo
entrava dalla finestra, posandosi sugli oggetti attorno a loro, ammantando
tutto di una strana inconsueta dolcezza e malinconia, e formava uno strano
gioco di ombre incerte con la luce tremolante delle fiammelle del candelabro
posto sulla tavola apparecchiata per due.
Si sentiva strano, inquieto più di altre volte.
Doveva essere la nostalgia che negli ultimi giorni
era diventata più acuta, e al calare delle ombre serali si faceva più densa,
come quando la nebbia sale dalla terra, si infittisce e avvolge il paesaggio
come una coperta umida.
Il suo stato d’animo non era molto dissimile da
quella sensazione, provata tante volte in passato, e che al passato lo
riportava con il suo retaggio di sofferenza. Aveva cercato di dominarla, ma più
passava il tempo, più diventava difficile mantenere il controllo sulla volontà.
Il suo tormento era un bagaglio di cui non
riusciva a disfarsi, e non ci sarebbe riuscito finché non avesse deciso di
darsi una possibilità per essere di nuovo felice.
No, non di nuovo.
Per esserlo per davvero, per la prima volta.
Non era sicuro di sapere cosa fosse la felicità;
non era neppure sicuro di averla mai vissuta. Fino ad ora, lui non aveva
vissuto altro che un simulacro, un’ astrazione coltivata attraverso una vana
speranza. Andrè voleva qualcosa di più, qualcosa che fosse reale, e che potesse
toccare con mano. Voleva la felicità che diventa vitale, necessaria.
Voleva qualcosa che ne avesse almeno la parvenza,
nella speranza che tutto si sarebbe sistemato, come un puzzle che si completa
con tutti i pezzi al loro posto. Per ottenerlo, doveva imparare a essere felice
di quello che riceveva in dono dalla sorte. La vita mette davanti agli uomini
delle possibilità, dei percorsi tra cui scegliere; senza dubbio, alcuni sono
più tortuosi di altri. Il suo era di certo, un percorso difficoltoso, che
passava attraverso sentimenti sofferti e contrastanti. Quella che stava
cercando di vivere con Danielle, non era forse una di queste possibilità,
magari la più importante, l’ultima che gli venisse concessa, prima di soffocare
nell’estrema solitudine?
Avrebbe tanto voluto poter assistere a quell’
evoluzione delle cose.
Ma dipendeva anche da lui farle accadere.
Ignorare gli sguardi di Danielle, le sue
gentilezze, i sorrisi, le sue attenzioni costanti e tenere diventava penoso e
difficile.
Si era sinceramente attaccata a lui e non faceva
nulla per nasconderlo, senza per questo diventare invadente, possessiva o
insistente all’ eccesso.
Era invero, molto equilibrata nelle sue
manifestazioni di affetto, gentile e discreta, femminile senza essere
provocatoria, ma comunque affascinante oltre che seducente in maniera
spontanea.
All’inizio, André si era chiesto se non fosse
tutta una tattica per indurlo a cedere, ma col passare dei giorni, aveva
accantonato l’idea; Danielle era troppo naturale nelle sue esternazioni, non
c’era mai nulla di forzato nei suoi atteggiamenti.
Era una donna innamorata che viveva i suoi
sentimenti e li accettava per ciò che erano, con maggior serenità possibile.
Per assurdo, la vedeva più matura e consapevole di quanto non gli fosse mai
apparsa, anche se non aveva nessuna idea di come avesse vissuto gli amori del
passato. Non era più la donna che ricordava solo alcuni mesi prima, quella che
si burlava del conte di Fersen civettando con lui, o si dilettava per capriccio
in strani scambi di persone. André coglieva in lei una velata pena, ma la
sopportava senza farla pesare, e di questo le era riconoscente.
Ed era bella. In modo uguale e diverso da Oscar.
Questo, suo malgrado, non lo lasciava
indifferente, per ovvie ragioni.
Sempre più spesso gli capitava di sentire l’impulso
di rispondere con uguale dolcezza a quelle manifestazioni; nel suo cuore, che
per quanto lui facesse, non riusciva a spegnere ai palpiti della vita, iniziava
a germogliare qualcosa, un affetto delicato e leggero, una strana tenerezza che
lo placava, in qualche modo, e sopiva gli accesi tormenti dell’animo che a
intervalli tornavano a pungerlo.
Era un’ inclinazione naturale, una bontà del cuore
che non poteva soffocare, ed era per quella bontà innata che Danielle lo amava,
con profonda tenerezza, e con poco si sarebbe trasformata in autentica
bruciante passione.
Era consapevole che fosse una miccia pericolosa
che André si sforzò di non accendere, e il rischio di bruciare quella scintilla
era concreto e solido, fortemente presente fra loro.
La stava guardando negli occhi.
Erano stranamente lucenti quella sera, brillavano
di qualche misteriosa aspettativa, che eccitava anche lui.
Gli aveva parlato della lettera scritta a suo
marito, della richiesta di divorzio e un poco si sentiva allarmato, ma Danielle
aveva allungato una mano posandola sulla sua, appoggiata sul tavolo.
“Mi sembri preoccupato André… perché non provi a
dirmi cosa ti turba?” Gli sorrise tranquilla, forse per rassicurarlo.
“Ecco, non hai ancora ricevuto risposta da tuo
marito, vero?”
“No, non ancora…”
“E non immagini quale potrebbe essere la sua
reazione… non ne hai neppure una vaga idea… la cosa sembra non preoccuparti
affatto…”
“Vedo che preoccupa molto te, però. Che cosa temi
André? Confidati con me, non aver paura.”
Lo incoraggiò di nuovo, stringendo di più la sua
mano grande e calda; André si portò la mano di Danielle alle labbra e posò un
bacio leggero sulle dita alla base delle nocche.
“Capisco che tu non voglia restare legata a tuo
marito, ma il motivo del divorzio mi mette in ansia, forse mi fa anche sentire
un po’ in colpa: se lo fai per me, Danielle, forse stai commettendo uno
sbaglio. Vedi, io nutro sincero affetto per te… - Alzò la mano verso il suo
viso e col dorso piegato dell’indice le accarezzò una guancia in un gesto tenero.
– Non so se il mio sentimento diventerà mai amore, quello che tu meriteresti… a
volte, lo credo possibile… Ma non so se questo basta a correre il rischio. Se
invece, lo fai per te stessa, per essere una donna libera, allora potrebbe
avere un senso.”
“Ti preoccupi per me, André. Sei tanto caro…”
“Devi pensare a quello che stai mettendo in gioco,
il tuo onore, la tua reputazione… tutta la tua vita, per cosa? Che cosa
insegui, Danielle? Devo saperlo. Se Leopold tentasse di ostacolarti, se si
dimostrasse ostile alle tue richieste, cosa faresti? Se volesse toglierti i
tuoi figli… non puoi non averci pensato…”
“Ci ho pensato André, e molto a lungo. Con
sofferenza, anche… - confessò inquieta. – Ho pensato a tutto, anche alla
possibilità che tu possa un giorno abbandonarmi e tornare da Oscar…” proseguì,
dando voce al pensiero che lui non aveva avuto il coraggio di esporre.
“E allora? Sei davvero disposta a tanto? Non mi
mettere questo peso addosso, ti prego… non sono sicuro di poterlo sostenere…
non sono sicuro di riuscire a mantenermi saldo nel mio proposito…”
Restare con te e non correre da Oscar…
Lei parlò serenamente e con sicurezza, in una
maniera tale che sorprese l’uomo seduto al tavolo. Forse per la prima volta da
quando erano arrivati in Normandia, André colse una luce insolita nei suoi
occhi celesti.
“Voglio la libertà, André. Voglio l’amore, la
passione nella mia vita, ma senza libertà non raggiungerò mai nessuna di queste
cose… sono consapevole del prezzo e so che non otteniamo nulla, senza rinunciare
a qualcosa… L’ho capito con fatica, e comunque vada non posso tornare alla
vecchia vita. Non saprei più viverla… non saprei più sostenere le ipocrisie del
mio mondo, mi capisci, André?”
“Credo di sì…”
Lui non era fuggito per la stessa, identica ragione?
Neppure lui era riuscito più a fingere.
“Quello che sento per te, è reale. Non è un’
illusione. È amore autentico e profondo, e mi sento viva per questo, e sono
felice come non lo sono mai stata in passato. – Danielle con slancio si alzò
per avvicinarsi a lui, abbracciarlo e stringere la sua testa sul suo seno.
Andrè rispose a quell’abbraccio e la strinse forte, chiudendo gli occhi a quel
contatto, sospirando forte. - Sono disposta a viverlo fino in fondo, a bere
anche il dolore che potresti darmi, rifiutandomi, non amandomi mai… o amandomi
semplicemente come stai facendo adesso… sento che non ha importanza.
L’importante è che io viva questi sentimenti. Non l’ho mai fatto prima… mai
veramente. Non impedirmelo ti prego, io non ti chiedo nulla. Lascia solo che io
possa vivere questo momento, accanto a te.”
La sua voce aveva una serenità sconosciuta, che lo
incantava, lo faceva sentire bene, in un modo misterioso che ancora non capiva.
“Davvero sei felice, Danielle? Ti basta questo? È
un amore così pallido e tiepido quello che posso offrirti…”
La sentì ridere, una risata che sgorgava dal
cuore, e sollevò il viso a incontrare i suoi occhi. Erano luminosi come non li
aveva mai visti. Ne fu impressionato. Pensò che gli occhi di Oscar avrebbero
potuto essere così, se si fosse lasciata andare all’amore. Se lo avesse
accettato con la stessa naturale volontà di Danielle.
“Sì. È incredibile, ma mi sento felice, qui e ora,
mentre ceno con te, e ti abbraccio così, e ti stringo al seno. – Rise di nuovo.
- Cosa potrei volere di più? Ho mai avuto qualcosa che avesse più valore di
questa intimità?”
Si staccò dal suo abbraccio solo per alzarsi di
fronte a lei. Turbato, affondò lo sguardo verde ombroso nel suo, prima di
parlare e stringerla di nuovo, con più forza di prima, e posarle infine un
bacio sulla fronte.
“Ti prego, insegnami Danielle… Insegnami a essere
felice… dimmi come si fa…”
Lei gli prese le mani, girò attorno alla tavola, e
lo accompagnò sulla grande terrazza spalancata sul mare scuro a guardare il
cielo che imbruniva sull’orizzonte. La luna pallida sorgeva anticipando le
stelle. André le cinse la vita col braccio destro, mentre Danielle posava la
guancia sulla sua spalla, osservando il cielo troppo vasto sopra di loro.
Un cielo che prometteva altro.
******
Non sapeva esattamente dove poteva essere la
moglie. Non si era sbilanciata su questo. La Normandia era vasta e la famiglia
Recamier aveva diversi possedimenti in quella regione, ma anche altrove. Nella
lettera lei specificava soltanto che sarebbe tornata a Parigi solo per parlare
dell’eventuale divorzio o separazione, e per le firme necessarie all’ atto
finale. Avrebbe delegato ogni cosa a un suo uomo di fiducia per ogni questione
formale, e per tutte le pratiche burocratiche necessarie al caso.
Non voleva rivederlo e lo pregava di non cercarla;
non sarebbe servito.
Leopold, naturalmente non era dello stesso avviso.
Il tarlo del sospetto lo tormentava.
Che l’amante fosse per pura ipotesi un volgare plebeo,
lo irritava, ma non per una mera questione di orgoglio. No.
C’era un elemento meschino che lo teneva legato
alla consorte, un tacito accordo che avevano sempre condiviso, senza troppi
drammi.
Gli pareva inammissibile che a lei quell’accordo
non andasse più bene, che volesse rinunciarvi solo per inseguire l’ultimo degli
uomini. Quali sentimenti si erano scatenati in lei, per indurla a una simile
scelta estrema, sennonché avventata? Lontana da ogni logica e buon senso?
Lontana dall’ interesse comune della casta a cui apparteneva anche lei?
Che bisogno c’era di divorziare? Non avevano
sempre fatto la vita che volevano? Sì, qualche incomprensione, qualche screzio
c’era stato nel loro passato coniugale, ma lo avevano sempre risolto con
intelligenza e senso pratico.
Perché cambiare tutto, così, sconvolgere un’
esistenza preordinata e condivisa, accettata da chiunque come la normalità?
Che bisogno c’era di andare controcorrente?
Era questo che Leopold non riusciva a comprendere,
meno che mai accettare. Erano comode le consuetudini, da uomo tradizionalista
qual’era vi si era sempre adagiato dentro, come in una bolla di protezione. Il
mondo dell’aristocrazia francese, e non solo, era fatto così, e funzionava come
un meccanismo perfetto e ben oliato. Stravolgere certe regole non scritte, ma
condivise da tutti lo avrebbe inceppato in maniera rischiosa.
E Anche Lisette, ora lo sorprendeva.
Lisette voleva sposarlo.
Per il bene di Margot, questo lo comprendeva, ma
non proprio del tutto.
Infondo, lui l’avrebbe riconosciuta con buona pace
di sua moglie. Lei non aveva mai manifestato questo desiderio in passato, o
forse era lui a non averlo mai compreso. Non che lui non gradisse, che non
volesse, sarebbe stato felice di dividere la sua vita con lei, sarebbe stata una
compagna dolce e amorevole; si trovò a immaginare, forse un poco imprevedibile
come tutte le donne, ma sposarla era un’ eventualità a cui non aveva mai
pensato seriamente, come una faccenda troppo remota e inattuabile. Si sentiva
messo alle strette, e gli sembrava di non avere molto margine di movimento.
Alla fine avrebbe ceduto, perché non era mai stato un uomo particolarmente
ostinato, né battagliero; quando le situazioni si evolvevano come lui non si
aspettava, e non riusciva a volgerle a suo interesse, diventava una persona
accomodante. Il timore di perdere Lisette lo inquietava più della necessità di
tutelare il buon nome dei Recamier, ma un tentativo per scoprire la verità era
per lui quasi un obbligo morale.
L’uomo, il mantello sulle spalle e il tricorno in
mano, attendeva di fronte a lui.
“Dovete trovarla; voglio sapere dove si trova e
chi è con lei. I Recamier hanno delle case padronali laggiù: le località più
probabili dove potrebbe essere sono vicino a Honfleur e Caen. Mia moglie
possiede anche una piccola villa a Etretat, avuta in dote in occasione del
nostro matrimonio. Provate anche lì, ma la valuterei come ultima possibilità.”
“Come volete signor conte. Avete altre
disposizioni?”
“Un uomo potrebbe essere insieme a lei; è
l’attendente di Madamigella Oscar, il suo nome è André Grandier. Con
discrezione, dovete scoprire se l’ha seguita fin là, e in che rapporti è quell’
uomo con mia moglie. Appena avrò vostre notizie vi raggiungerò.”
“Benissimo, signor conte.”
L’uomo col mantello scivolò in una riverenza, si
calò il tricorno in testa e si allontanò rapido, lasciando il conte al turbinio
incontrollato dei suoi pensieri.
******
Etretat le sembrava la località più probabile;
sapeva quanto Danielle fosse legata a quel luogo e a quella villa che si ergeva
su un promontorio della costa normanna, quella casa che fu un dono di sua
madre.
Sarebbe andata laggiù a cercarli.
La regina le avrebbe concesso un mese di tempo, ma
lei aveva giurato che le sarebbero bastate due settimane, una pausa dai suoi
impegni di militare più che sufficiente per capire come si erano evolute le
cose tra André e Danielle, sufficiente a lei per scoprire se lui l’avesse
dimenticata.
Che effetto le avrebbe fatto rivederlo? Se lo stava
chiedendo con sgomento. Lasciò affiorare alle labbra un sorriso cinico mentre
osservava la sera scendere dietro i vetri della sua stanza. Come si sarebbe
sentita? Disorientata e persa, oppure indifferente?
No. Indifferente non lo sarebbe stata.
C’era una voce nel suo animo che gridava, e lei
tentava di non ascoltare. Temeva e bramava risentire il fuoco del desiderio
riaccendersi in lei, infiammarle i sensi e i ricordi troppo intimi della loro
vita, della passione che li aveva travolti, lasciandoli sfiniti e feriti.
Voleva ritrovare André per mettere a tacere quella voce tenace e ostinata, che chiamava
i sentimenti con il loro nome. Lei voleva André, perché apparteneva a lei.
Perché lui era suo.
Nella carne e nel sangue lui era suo.
Bianco e nero.
Vita e morte.
Amore e odio.
Notte e giorno.
Oscar e André.
Semplici dualismi.
Non poteva essere amore quello. Non per lei, che
avvertiva la sua presenza come una naturale estensione di sé, ma andava laggiù
per proteggerlo dalla possibili ire del cognato. Oppure doveva credere che il
suo fosse un amore egoista?
Egoista quanto quello della gemella che, incurante
del suo solitario, confuso cuore di donna, glielo aveva portato via? Lei doveva
liberarsi, vincere, dimostrare a sé stessa che aveva sempre avuto ragione su
loro due. Non si può possedere qualcuno.
Sentiva di avere un pezzo di ghiaccio al posto del
cuore, lo aveva lasciato lui. Quello che non sapeva era che il ghiaccio a
volte, brucia e arde molto più del fuoco, si scioglie in fretta, impotente, si
arrende senza forze alle fiamme che prima lo lambiscono come carezze leggere, e
alla fine implacabili lo travolgono come alte onde di una burrasca.
Oscar, il cuore è una barchetta gonfia e fradicia
d’acqua che non regge allo schianto.
Continua…
Eccomi
qui, e prima di quanto credessi.
Sì,
lo so, è passato molto tempo, ma temevo che avrei lasciato passare altri mesi
prima di pubblicare di nuovo. Ho scritto questo capitolo in un tempo
relativamente breve, (circa una settimana) cosa molto insolita per me; credo mi
abbia fatto bene migrare per un po’ su altri lidi; dopo aver scritto un paio di
storie (incredibile!!) per un altro fandom, ho ripreso in mano questa storia e
la scrittura è stata quasi spontanea.
Mi
ritengo addirittura abbastanza soddisfatta, e spero che la lettura soddisfi anche
voi, ma non esitate ad esprimere eventuali perplessità. Credo che si cominci a
sentire qualche cambiamento che porterà alla conclusione di questa storia, non
so dire ancora quanti capitoli manchino, ma la direzione è tracciata. Come
sempre grazie a tutte quelle persone che leggono e recensiscono, i vostri
pareri e commenti sono sempre importanti per me, mi aiutano e mi incoraggiano.
Capitolo 26 *** La fata dei boschi (L'incontro) ***
26
26 – La fata dei boschi
(L’incontro)
Il giorno dopo uscii presto,
presa dalla necessità di essere sola, per riflettere con calma e lucidità. Non
avevo voglia di cavalcare come facevo ogni mattina sulla spiaggia di Etretat, a
volte in solitudine, ma più spesso in compagnia di André.
Sentivo piuttosto, il bisogno di
camminare, di respirare a pieni polmoni il profumo dell’aria salubre che veniva
dal mare, stancare le mie gambe, rinvigorire il mio corpo e ritrovare in me
stessa l’energia per proseguire la strada che avevo scelto con sofferenza, ma
determinazione.
Mi piaceva farlo nei dintorni
della villa, immergermi nella natura dei dolci pascoli verdi, all’ombra
rinfrescante dei boschi, seguire i sentieri un po’ impervi lungo le colline che
proseguivano inoltrandosi nella boscaglia all’interno della costa, e
abbracciava il paese. Erano sentieri che conoscevo bene, che a volte mettevano
in comunicazione le abitazioni della zona, altre volte proseguivano e
scendevano lungo la spiaggia, da cui si poteva godere del bianco paesaggio
maestoso delle scogliere.
Era stata una sera strana.
Andrè mi era parso diverso, più
arrendevole e dolce, addirittura più affettuoso di quanto non fosse di solito.
Mi aveva lasciata avvicinare più
di quanto avesse mai fatto negli ultimi tempi, e la cosa mi aveva turbata non
poco. Mi stava facendo sperare.
Eppure temevo ancora di
ingannare me stessa e il mio cuore, anche se avevo deciso di accogliere quello
che veniva come buono. Così avevo deciso di fare; vivere quello che la vita mi
avrebbe dato, fosse anche un sentimento incerto e fragile, l’affetto sincero
dell’uomo che amavo.
Andrè mi offriva senza riserve
la sua tenera amicizia, la delicatezza dei suoi gesti attenti, il calore di
sorrisi rassicuranti e pieni di sfumature più intense che facevano battere più
forte il mio cuore.
Se mi avvicinavo a lui con
maggior affetto e sollecitudine, non tentava più di allontanarmi o resistermi,
ma accoglieva i miei slanci e le mie attenzioni con pari intensità, come se
volesse ricambiare ciò che riceveva.
Quella sera appena trascorsa,
André si era lasciato abbracciare stretto, aveva accarezzato le mie tempie con
le mani, giocato con un ricciolo dei miei capelli sotto la luce pallida della
luna, e i suoi occhi si erano fissati nei miei per un attimo, con decisione, e
vi avevo visto un indugio, un pensiero segreto, forse una tentazione cui
abbandonarsi.
Fui certa che volesse baciarmi,
ma per qualche motivo si trattenne. Mi accompagnò discreto alla mia stanza
quando fu il momento di ritirarmi per la notte.
Rimanemmo a fissarci a lungo
sulla porta semi aperta, irrequieti, tremando per l’aspettativa di quello che
potava succedere; la luce di una candela posta di lato, lasciava in ombra una
parte del suo viso, ma notai la luce calda che brillava nelle sue iridi. Lessi
una muta richiesta nel suo sguardo, un desiderio di non essere lasciato solo, e
anch’io forse, avvertii la stessa esigenza. Fui certa che non fosse un inganno.
E fui audace.
Allungai una mano ad accarezzare
il suo braccio: dal gomito risalii fino alla spalla e anche attraverso il
tessuto della camicia, sentii un tremito attraversarlo.
“André vorresti… vorresti
restare con me questa notte?”
Sussurrai, senza osare
aggiungere altro.
Non staccò mai i suoi occhi dai
miei. Avevano sempre quella strana sfumatura calda, irrequieta, che mi faceva
sciogliere e mi incatenava a lui. Forse le ombre mi ingannarono, perché mi
parve di cogliere una vaga piega delle sue labbra, come un sorriso nascosto, ma
non fui sicura. Ero sopraffatta dall’emozione che sigillava il silenzio che né
io, né lui volevamo interrompere.
Sentii solo la sua mano
raggiungere la mia, ferma sulla sua spalla, prenderla e portarla alle sue
labbra. Poi l’abbassò e la coprì dolcemente col palmo della mano opposta.
“Danielle, confesso che sono
molto… turbato. E confuso. Tu sei davvero desiderabile, e io mi sento
lusingato, ma… è meglio di no, passare la notte insieme complicherebbe le cose:
domani, il risveglio potrebbe essere triste.”
Non avevo sperato, né mi ero
aspettata niente, ma la punta di delusione mi raggiunse lo stesso. Abbassai gli
occhi mesta, mentre André dava il bel profilo alla luce della candela, e gli
augurai la buonanotte, chiudendo la porta tra noi.
Adesso ripensavo al suo delicato
rifiuto, e comprendevo quanto doveva essere stato difficile per lui, dirmi di
no. Non saprei dire se André sperasse ancora in quell’amore lontano che Oscar
rappresentava; forse si era rassegnato a non far più parte della sua vita, ed
era soltanto l’amarezza e lo sconforto che lo trattenevano dal prendersi quello
che gli avrei donato senza remore o ripensamenti.
Intuivo che non era ancora
pronto a vivere la nostra stagione con serenità, e senza che potessi saperlo,
stava ancora tentando di cancellare certi sentimenti dal suo cuore; cadere tra
le mie braccia avendo nell’anima il gusto amaro delle cose perdute, sarebbe
stato penoso, per entrambi.
Non avremmo vissuto il nostro
amore con il giusto slancio; io, per quanto innamorata, mi sarei macerata nel
dubbio costante di essere un rimpiazzo, e lui mi avrebbe usata per mettere a
tacere lo spasimo del suo cuore infranto.
Nessuno di noi, voleva questo.
Potevo accettare e ricambiare
con slancio uguale e maggiore la sua affettuosa amicizia, il bene sincero che provava
per me, e gioire di quello, viverlo con pienezza; non potevo immolarmi a un
amore fantoccio.
Mentre riflettevo sui risvolti
di quella nostra situazione, mi ero arrestata sul ciglio del sentiero che stavo
percorrendo e si snodava più avanti in una curva nascosta dal limitare di una
fila di alberi; ero stanca, un po’ accaldata per la lunga camminata e volevo
riposare.
Una recinzione in legno, tipica
di quei luoghi, delimitava il terreno di una tenuta vicina di cui non ricordavo
chi fosse il proprietario; per terra stava un robusto, scuro e nodoso tronco
d’albero abbattuto da una tempesta.
Decisi di sedermi per riprendere
fiato.
Il cielo era limpido quella
mattina, e un sole insolitamente caldo per la stagione, spandeva i suoi raggi
tra le foglie, giocando tra gli arbusti, generando qualche rada ombra qua e là.
Mi piaceva e mi dava una pace
profonda, ascoltare il silenzio tranquillo del luogo, rotto solo dal suono di
qualche usignolo che cantava in lontananza, o dal sibilo leggero di un refolo
d’aria fresca che mi passava sulla pelle della nuca, e svaniva in fretta.
Chiusi gli occhi, mentre il mio
respiro rallentava e rimasi così per lunghi minuti, immersa nel silenzio, la
mente finalmente sgombra da ogni pensiero.
Scese su di me la calma, mentre
sentivo l’aria giocare coi miei capelli, i suoni leggeri delle fronde che
stormivano, il fruscio di qualche timido animale che si nascondeva tra l’erba
alta del campo.
Quando un altro suono, cupo e
sordo venne a distrarmi aprii gli occhi bruscamente, voltandomi nella direzione
da cui proveniva il rumore che sentivo avvicinarsi.
Riconobbi lo scalpiccio
martellante degli zoccoli di un cavallo al galoppo. Non lo vedevo ancora, ma
immaginavo le zolle di terra, la nuvola di polvere ed erba sollevarsi al suo
passaggio. Quando l’animale emerse da dietro la curva, a pochi metri da dove
sostavo, mi alzai in piedi di scatto alla vista del magnifico purosangue nero;
un nitrito improvviso, quindi scartò impennandosi imbizzarrito, con disappunto
del suo cavaliere che cercava di domare la nobile focosa bestia.
Passò qualche minuto concitato.
Il cavallo scalpitò ancora un poco, prima di iniziare a calmarsi. Immobile
dov’ero, osservai la scena lievemente interdetta; incrociai due occhi chiari,
all’apparenza freddi come metallo, ma non riconobbi, né ricordai chi fosse la
figura che si ergeva sulla sella tirando le briglie con energia.
********
Da buon segretario personale,
Andrè controllava la corrispondenza arrivata quella settimana. Non c’era nulla
di interessante che lo riguardasse: lettere di Leopold, di sua nonna – e come
avrebbe potuto se neppure sapeva dov’era? – o altro, - e con altro, si
potrebbe intendere qualche sorprendente missiva di Oscar - a parte le richieste
di denaro di qualche fornitore e i soliti noiosi inviti di buon vicinato a
prendere il te, delle dame locali che risiedevano nelle ville vicine, o giù in
paese. Inviti che in massima parte Danielle avrebbe disertato, salvo qualche
visita che proprio non avrebbe potuto evitare.
Contro ogni logica sperava
ancora di trovare notizie di lei: le avrebbe considerate un valido motivo per
continuare a resistere, un segno del destino a suggerirgli che c’erano ancora
possibilità per loro due.
Ma segni non ne erano arrivati.
Si sentiva particolarmente
fragile, André.
Se avesse baciato Danielle
avrebbe ceduto senza rimedio, lo aveva capito subito, e di conseguenza sarebbe
capitolato di fronte alla sua richiesta di passare la notte insieme. Avrebbe
fatto l’amore con lei, perché in fondo non era un santo, né un pazzo, né un falso
moralista, ma soltanto un uomo come tanti, pronto a cogliere con riconoscenza e
sincero slancio la generosa offerta d’amore di una donna bellissima.
Si sentiva perennemente in
bilico, e mantenere l’equilibrio in quella inusitata situazione sentimentale
era quanto mai difficile. La caduta era una pura questione di tempo.
Era stanco.
Stanco di resistere.
Di aspettare chi non sarebbe mai
venuto a cercarlo.
Così pensava, e si stava
convincendo più velocemente di quanto avrebbe voluto. Oscar era rimasta lontana,
irraggiungibile, sigillata dietro il suo cuore di soldato, irrigidita dal suo
senso del dovere e dell’onore. Se la conosceva un po’, doveva mettere nel conto
anche la componente predominante di una personalità orgogliosa.
Era deluso André.
Rattristato e sfiduciato.
Da quanti giorni era a Etretat?
Settimane? Aveva perso il conto. Gli sembrava una vita; troppo tempo, troppa
distanza messa tra i loro cuori, troppa cenere gettata sulle ultime braci della
loro passione.
Possibile che Oscar l’avesse
lasciata estinguere, senza rimpianti, senza languire nel ricordo di ciò che era
stato? E se non era per amore, per passione, neanche l’amicizia la faceva
smuovere dalla sua torre d’avorio? Neppure quella valeva più nulla?
Non c’era stato giorno che non
avesse pensato a lei, che non l’avesse cercata in quei luoghi che tante volte,
l’avevano vista presente e vicina. Infine, l’aveva intravista negli occhi dolci
e luminosi di Danielle, nei suoi sorrisi così simili. Si era sforzato di non
sovrapporre le loro immagini, ma lo aveva trovato quasi impossibile. Alla fine
si era arreso, e le immagini avevano coinciso, sfumandosi nei contorni.
E fu per lui quasi un sollievo a
cui aggrapparsi, per non soffocare, alleggerire il cuore del peso del rimorso,
e ritrovare quella luce di speranza che lo aveva guidato per anni.
Danielle lo amava. Lo sentiva
con una consapevolezza tale, da farlo sussultare con moto istintivo.
E lui aveva disperato bisogno di
qualcuno che scaldasse il suo cuore. Se Danielle gli offriva tutto questo
perché rifiutarlo? Ostinarsi a inseguire fantasmi, sì, sarebbe stato folle e
insensato.
Chiodo scaccia chiodo.
Forse era solo una diceria
popolare. Forse era una regola che non valeva per uno come lui, che aveva dato
i suoi anni migliori a un’ unica donna, che di lui si era presa con un po’ di
prepotenza tutto quello che poteva prendere, facendo di lui un complice
silenzioso. Forse non valeva per certi amori, né per certi sentimenti. Ma
doveva tentare di dare una nuova direzione alla sua vita.
Era la sola realtà a cui
aggrapparsi con tutte le sue forze.
Stava impilando tutti i registi
e gli incartamenti, quasi fossero i suoi stessi pensieri cui mettere ordine,
quando Ninette entrò nello studio, interrompendolo. Aveva l’aria trafelata e
forse un poco scossa. Il sorriso e le gote accese. Veniva dal mercato dove era
stata a procurarsi delle provviste.
“André, cercavo madame… credevo
fosse con te…”
“No, Ninette. La contessa è
uscita da sola, questa mattina. Nelle scuderie c’è ancora il suo cavallo,
quindi credo si sia allontanata per una passeggiata a piedi. Io stavo
sistemando un po’ di scartoffie qui, ma non preoccuparti; se ritardasse troppo,
andrò a cercarla.”
“Grazie… - La giovane cameriera
sorrise lisciandosi le pieghe della gonna, prima di proseguire con una vaga
esitazione, che incuriosì l’ ex attendente. - Sai, André, non avevo proprio
indovinato che fossi tu…”
André le restituì uno sguardo
perplesso, ma restò in silenzio, aspettando che la cameriera esternasse il
resto dei suoi pensieri.
“…intendo, l’uomo che ha rubato
il cuore alla signora contessa; è stata una grossa sorpresa per me…”
André non riuscì a reprimere un
sussulto sbigottito, per l’ardimento della giovane, fedelissima della contessa.
Non era un mistero l’interesse più o meno manifesto di Danielle per lui, ma che
qualcuno della servitù osasse affrontare l’argomento in quel modo diretto,
quello sì, era sorprendente, anche per un tipo fuori dagli schemi come André.
Gli altri addetti alla villa, dalla cuoca al mozzo di stalla, mantenevano un muto
e condiscendente riserbo, tra supposizioni e consapevolezze effettive.
La regola vigente nei palazzi
aristocratici era sapere, ma fare finta di nulla anche di fronte all’ ovvio,
navigando tra pettegolezzi e maldicenze vere o presunte tali, e villa Recamier
non differiva da questa legge non scritta. Ninette, però non era una cameriera
come le altre, né per presenza di spirito, né per il legame particolare che
aveva con la sua padrona; infatti, seppur con un poco di naturale timidezza
proseguì imperterrita e con franchezza.
“All’inizio la cosa mi aveva un
po’ infastidito… non capivo questo ennesimo capriccio della signora. Ma ora mi
sembra così felice e serena; non ricordo di averla mai vista così… per questo
non vorrei vederla soffrire, André. L’ho vista troppe volte innamorarsi degli
uomini sbagliati…”
“Ninette io…”
“Scusa se oso chiedertelo, ma mi
stavo domandando che intenzioni hai: cosa speri di ottenere? Favori, privilegi
di qualche tipo?”
“È questo che pensi? Che l’abbia
seguita fin quaggiù per qualche tornaconto personale? Non è così.” Obbiettò
André con calma, concedendole una mezza verità.
Non lo sorprendevano, né lo
scandalizzavano le illazioni della ragazza; sapeva perfettamente che anche tra
quelli del suo ceto, esistevano gli arrivisti. Ne aveva incontrati tanti
perfino a Versailles.
“Se non è così, e sei sincero,
mi fa piacere… però a volte ho l’impressione che tu abbia lasciato la mente e
il cuore altrove…”
André abbassò il capo mesto,
atteggiando le labbra a una smorfia leggera. Non smentì, né confermò.
“Vuoi davvero bene alla tua
padrona, non è così?” si limitò a dire.
“Sì, André. Nutro affetto
sincero per lei e voglio solo il suo bene.”
“Ti capisco più di quanto tu
creda: anch’io ero legato da sincero affetto al mio vecchio padronee volevo solo il suo bene…”
“Padrona, vorrai dire.” Ribattè
lei, scrutandolo impertinente. Ma André non raccolse la provocazione.
“Ninette, ti assicuro che non ho
cattive intenzioni nei confronti di Da… della Contessa di Recamier. Anch’io nutro
un affetto sincero per lei, e voglio solo ripagare in qualche maniera la stima
e la fiducia che mi ha accordato, nient’altro. Sono sempre stato sincero con la
tua padrona.”
“D’accordo, André. Voglio
fidarmi. – La cameriera soddisfatta, si voltò con l’intenzione di allontanarsi
dallo studio, poi ebbe un ripensamento. – Ah, stavo per dimenticare una cosa
importante; giù in paese c’è un uomo che va in giro a fare un sacco di domande
strane su te e la signora… cercavo madame per questo, è giusto che tu lo
sappia.”
Ninette si era voltata, una mano
appoggiata allo stipite della porta.
“Un uomo che chiede di me? E
perché mai?”
“Credo sia uno degli uomini al
soldo del conte di Recamier. Il marito della signora si chiederà il motivo
della tua presenza qui. Stai in guardia…”
Disse fissandolo negli occhi,
senza dissipare il mare dei suoi dubbi.
******
L’emissario mandato dal conte aveva ottenuto tutte le
informazioni che gli servivano; aveva indagato con discrezione, parlato con
personalità del paese e ascoltato conversazioni raccolte per strada, e scoperto
quello che gli premeva sapere.
Quindi, con sollecitudine, aveva scritto tutto e spedito
la lettera al suo committente.
La fuggiasca contessa era a Etretat, arrivata lì da circa
un mese o poco più, in compagnia del suo segretario personale.
Ufficialmente era questa l’attuale mansione dell’ex
attendente di madamigella Oscar, e nessuno pareva avere nulla da ridire su
questo. Era stato visto in paese svolgere le sue incombenze in virtù del suo
ruolo, e in compagnia della contessa manteneva un comportamento ineccepibile,
ma c’era chi giurava che madame lo trattasse con un riguardo perfino eccessivo,
se non troppo amichevole. L’avvenenza del giovanotto faceva discutere e sorgere
qualche pettegolezzo, ma se quella veste pubblica dell’uomo servisse a
nascondere altro, nessuno su questo osava sbilanciarsi.
Non ho prove che sia l’amate di
vostra moglie, non pare esserlo, aveva scritto, madi
questo dovrete accertarvene di persona venendo qui.
L’uomo non sapeva che qualcuno
era in anticipo su di lui di una settimana. Una figura androgina esile ed
elegante, camuffata sotto la tesa larga di un cappello e comodi abiti da
viaggio lo aveva atteso al varco, come un cacciatore paziente piazza la
trappola e aspetta che la sua preda ci finisca in mezzo. Lo aveva scrutato con
attenzione e apprensione; lo aveva seguito presso la locanda dove andava a
bere, lo aveva ascoltato parlare col parroco del paese, e chiedere informazioni
su Madame Recamier e sul suo segretario. Benché fosse rimasta nell’ombra, cosa
non facile per una persona col suo particolare aspetto, occhi limpidi, labbra
di corallo e mani affusolate e forti, c’era chi aveva notato la figura
longilinea di quell’ affascinante, misterioso giovanotto biondo dai lineamenti
nobili e delicati, ma nessuno aveva riconosciuto chi fosse.
Solo al momento opportuno
sarebbe uscita allo scoperto.
Appurato che Danielle era a
Etretat, aveva preso un alloggio presso l’unica locanda che ricordava ci fosse
in paese, ed era rimasta lì, trattenendo l’ansia che le mangiava lo stomaco,
sperando e temendo un incontro troppo ravvicinato che non c’era stato.
Una mattina, mentre seguiva di
nascosto l’emissario di Leopold, si era diretta alla modesta chiesa del paese
dove aveva scambiato quattro chiacchiere rivelatrici col curato. Aveva atteso
che il prete fosse solo per avvicinarlo in sacrestia.
“Anche voi qui! Che piacere
incontrarvi madamigella. È passato tanto tempo dall’ultima volta.” Le aveva
detto l’umile servitore di Dio, quando l’ebbe riconosciuta.
“Anche? Chi altri avete
incontrato?”
“Oh, non sapete? La Contessa di
Recamier, vostra sorella è qui già da un po’. Domenica scorsa ha assistito alla
messa accompagnata dal suo segretario personale, un giovane cortese e a modo.”
“Segretario… - commentò pacata,
senza chiedere ulteriori spiegazioni, deducendo che il curato non rammentava
che André era il suo ex attendente. - Per favore, nessuno deve sapere della mia
presenza qui, soprattutto mia sorella. Posso contare sulla vostra discrezione?
È moltoimportante.”
“Ma certo, come volete.”
Dal suo arrivo, moriva dalla
voglia di raggiungere la villa che distava da lì solo pochi chilometri, ma si
costrinse ad aspettare, domandandosi cosa avrebbe trovato e come avrebbe
reagito nel rivedere volti e persone. Una in particolare.
E benché non volesse
riconoscerlo, quell’attesa forzata e logorante era dettata anche da altro;
l’animo e i pensieri erano invasi dalla paura profonda di scoprire cosa non
voleva che accadesse, e forse era già accaduto. L’idea di ritrovare André ormai
innamorato, legato definitivamente alla sorella le scatenava sensazioni
indefinibili, un misto di gelosia, paura e rabbia. Voleva convincersi che
poteva resistere, sostenere l’impatto con quella che sarebbe stata la realtà, e
in cuor suo sperava di arrivare pronta e fortificata a quel confronto.
Non era venuta fin lì per
quello?
Per lasciarlo libero da quel
giogo, dimostrargli che non era l’amore ad averli legati, se lui poteva
consolarsi facilmente tra le braccia della sua gemella? Eppure non era sicura
che non le avrebbe fatto male, un male terribile, impossibile da sopportare. Un
dolore che avrebbe ritorto volentieri contro di loro per punirli di quel
tradimento. Questo la terrorizzava e la confondeva, in un delirio di sentimenti
in conflitto che la tormentavano da troppo tempo. L’idea che André non le
appartenesse più, poteva farla a pezzi e accendere in lei un odio feroce verso
Danielle. E aveva paura di quell’odio, di quell’acredine che sentiva per
entrambi. Paura che potesse sopraffarla. Sperava che quell’attesa servisse a
placarla, a prepararla a ogni eventualità. Lo temeva e lo desiderava, ma non
avrebbe evitato quel fatale incontro all’infinito.
******
Ninette non si era ancora
allontanata dallo studio, quando Andrè, attratto da un suono inatteso, volse lo
sguardo puntando la sua attenzione oltre il vetro della finestra che si
affacciava su una parte del giardino e sul viale d’ingresso della villa. Fu
allora che li vide: Danielle stava scendendo da uno stallone nero, sorretta tra
le braccia di un uomo, un forestiero di bell’aspetto che non ricordava di aver
mai visto, e incuriosito, lasciò il tavolo con i documenti che stava
controllando, e si avvicinò alla tenda color amaranto per osservare meglio la
scena. Ninette era ancora ferma sul lato opposto, ma all’improvviso incuriosita
dall’atteggiamento del giovane, tornò sui suoi passi, passò accanto al tavolo e
si avvicinò pure lei alla finestra.
“Chi è quel uomo con la tua
padrona?” chiese semplicemente rivolgendosi a lei, senza distogliere
l’attenzione da Danielle e il misterioso individuo, che ora stavano parlando
uno di fronte all’altra. Passò qualche secondo prima di ricevere una risposta
che tradiva evidente sorpresa.
“Non lo so. Non l’ho mai visto
prima. Forse è un signore che abita qui nei dintorni.”
“Qualcuno di Etretat?” chiese di
nuovo André.
“Può darsi, ma non mi pare di
conoscerlo… e uno così, me lo ricorderei!”
Rispose Ninette un po’
sconcertata, ma sinceramente ammirata.
Passò forse un minuto e l’uomo
rimontò a cavallo; salutò la contessa con un sorriso sfrontato e un ampio gesto
della mano, mentre Danielle rimase immobile ad osservarlo allontanarsi
attraverso il viale, in direzione dell’uscita. Pochi secondi e il cavaliere
sconosciuto scomparve alla vista.
*******
L’uomo era sceso da cavallo per
calmare l’inquietudine del suo animale, che scalpitò ancora un poco e sbuffò
dalle froge frementi e dilatate. Osservò la donna in piedi sul ciglio del
sentiero con un’ occhiata fugace e nervosa.
“Madame avete spaventato il mio
Faust!” Protestò veemente. Se si aspettava delle scuse, ricevette tutt’altro.
“Anche voi avete spaventato me,
sbucando in quel modo dalla curva! Che modo di cavalcare! Il vostro cavallo è tutto
sudato e sporco!” Fu la risposta pronta, indisponente e per nulla accomodante
di Danielle.
“Succede quando si spinge un
animale al galoppo, lo sapevate? Ma non temete, provvederò a farlo strigliare e
lavare a dovere, e il suo manto tornerà più nero e lucido di prima…” ironizzò
l’uomo, con velata arroganza.
Danielle gli voltò le spalle,
infastidita dal tono, e tornò a sedersi sul grosso tronco di legno, decisa a
ignorarlo. Il cavaliere la fissò qualche secondo; indugiò sulla sua figura, sul
suo volto delicato, sugli occhi celesti fiammeggianti e sdegnosi, sull’oro
lucente dei capelli sciolti in onde ribelli sulle spalle. Il disappunto lo
stava abbandonando, sostituito dalla curiosità di sapere chi fosse quella donna
stupenda piombata sulla sua strada, chissà per quale scherzo del destino. Era
la creatura più bella che avesse mai incontrato.
“Ora che fate, lì seduta? Avete
intenzione di restare qui, per spaventare qualche altro cavaliere errante,
madame?”
“Soltanto quelli arroganti e
sfrontati come voi, messieur.”
Non avevano iniziato quella
conversazione nel migliore dei modi, ma l’uomo tentò di rimediare, mosso
dall’impulso irresistibile di farle cambiare opinione.
“Non sono così arrogante come
pensate. Se mi dite dove abitate, mia bellissima fata dei boschi, vi riaccompagno
al vostro castello, ma dovrete accontentarvi della mia sporca cavalcatura...
spero non sia un problema.”
E l’uomo sorrise in un modo
disarmante che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi altra donna, ma non fece
molto effetto sulla eterea fata dei boschi.
“Chi lo vuole sapere?”chiese
Danielle, che un poco si era addolcita, ma si guardò bene dal mostrarlo.
L’uomo si profuse in una
riverenza galante, porgendole al fine la mano per invitarla ad alzarsi.
“Il mio nome è Tristan De
Laundes, per servirvi madame: il mio Faust è a vostra disposizione.”
Continua…
Eccomi qui.
Capitolo meno lungo
dei soliti, più introduttivo che altro, ma ci sono diversi elementi che
tracciano la direzione. La parte inerente a Oscar è stata quella più difficile
da scrivere, perché i suoi sentimenti in questo momento sono davvero una
matassa aggrovigliata da dipanare, almeno per come la vedo io. Che donna
complicata!! Ci sono le basi di quello che succederà dopo, che svilupperò in
seguito, e prossimamente conosceremo meglio anche questo nuovo personaggio che
aspettavo da un po’ di poter introdurre e che avrà un ruolo importante. Per il
cognome di Tristan per aiutarmi ho fatto una piccola ricerca su internet
sull’araldica francese. Non mi sentivo in grado di inventarmelo di sana pianta
e temevo di scrivere corbellerie, così mi sono documentata. Spero che il
capitolo via sia piaciuto, e come sempre suggerimenti, critiche e commenti,
saranno sempre bene accetti. Grazie sempre a tutti i lettori silenziosi e non,
che mi seguono. Spero di non deludervi. Alla prossima.
Capitolo 27 *** Le incognite del destino (Tristan e Danielle) ***
27 – Tristan De Lourges
27 – Le incognite del destino
(Tristan e Danielle)
Pochi giorni dopo il nostro
primo bizzarro incontro, Tristan venne alla villa, per la prima di una lunga
serie di visite. Se l’inizio della nostra conoscenza era stato un po’
burrascoso e poco amichevole, superati i primi fraintendimenti, ebbi modo e
maniera di rivalutare la personalità schietta e il temperamento spavaldo del
giovane. L’impatto immediato che ebbi con lui, mi fece pensare ad un uomo
arrogante e supponente; soltanto in seguito, conoscendolo un po’ meglio, mi
trovai a pensare di essermi sbagliata.
Era un uomo sicuro di sé, e
questo lo rendeva senza dubbio affascinante, ma traeva in inganno sulla sua
reale indole; in realtà, sapeva essere molto gentile, disponibile e affabile.
Fu André ad accoglierlo, e
Tristan, come seppi poi, non perse l’occasione di osservare con attenzione e
onesta curiosità, velata forse da un pizzico di sospetto, l’affascinante ex
attendente.
“Buongiorno buon uomo. Vorrei
essere ricevuto dalla contessa di Recamier. È in casa?”
“Certo signore, chi devo
annunciare?”
Alla domanda, Tristan era già
entrato nell’androne, e si stava sfilando i guanti, guardandosi attorno con
fare tranquillo e naturale, fino a riportare il suo sguardo acuto e critico su
André.
“Tristan
De Laundes. Abito a poche miglia da qui. Io e la contessa ci
conosciamo, l’ho accompagnata a casa col mio cavallo qualche giorno fa… Ma voi
siete?”
“André Grandier.”
“Siete alle dipendenze della
contessa, André?”
“Sì, signore.”
“In qualità di?”
“Sono il segretario personale
della contessa, signore.”
Tristan colpito, fissò con
intensità gli occhi verdi del suo interlocutore. Se Andrè provasse fastidio
nell’essere sotto esame, preso d’assalto da quella serie di domande a raffica
non lo mostrò in alcun modo. Si mantenne composto e rispettoso delle forme
colloquiali tra signori e servi, come voleva il suo ruolo, contribuendo forse
ad aumentare il dubbio nel nobiluomo.
“Sembrate davvero molto giovane
per essere un segretario… quanti anni avete?” domandò infatti.
“Quasi ventisette, signore.”
“Oh, siete addirittura più
giovane di me.” Fu il suo commento un po’ perplesso.
“Nonostante la mia età, ho
esperienza, avendo sempre lavorato presso gli aristocratici. Col vostro
permesso, vado a informare la signora contessa della vostra presenza. Potete
aspettarla nel salotto degli ospiti. Prego, da questa parte.”
E André con un gesto della mano
indicò una porta alla sua sinistra.
Non feci attendere molto
Tristan.
In tutte le occasioni future, mi
presentai a lui, sempre ben disposta e disponibile, al punto da diventare
perfino fiduciosa e amichevole.
Mi accorsi presto del suo
interesse, che manifestò quasi subito e senza finzione alcuna, ma non lo
incoraggiai mai, né gli lasciai credere che potessi ricambiare il suo trasporto.
Eppure Tristan non si scoraggiò,
e solo dopo molto tempo compresi il motivo di una tale sorprendente tenacia.
Lui sapeva quello che io non
sapevo.
Vedeva quello che io non volevo,
o non ero in grado di vedere.
Quel pomeriggio a cavallo,
mentre Tristan mi riportava a casa, avevamo parlato; era il figlio maggiore e
diretto erede delle sostanze di suo padre e aveva un fratello di poco più
giovane cui era molto legato. Gli avevo detto chi ero, avevo accennato a cinque
sorelle, ma non avevo parlato di nessuna in particolare, omettendo il reale
motivo per cui mi trovavo in Normandia.
Conosceva la nomea della
famiglia Recamier, il prestigio che avevamo a corte, ma era un dettaglio che
per lui pareva insignificante, e questa fu la cosa che mi colpì senz’altro di
più.
“Contessa, sono felice di
rivedervi. È dal nostro primo incontro che desideravo poter parlare di nuovo
con voi, Danielle. Posso chiamarvi Danielle, non è vero? Sapete, detesto le
convenzioni, sono così false e ipocrite… e voi mi sembrate tutto, tranne che
una donna falsa e ipocrita…”
“Non mi conoscete così bene da
poterlo dire…”
“È vero, ma mi fido della mia
capacità di giudizio.”
“Siete un uomo audace, oltre che
adulatore; certo, sapete che il nostro mondo è fatto di formalità vuote e
apparenti. La corte di Versailles è costruita su quelle, sarebbe assai
pericoloso non tenerne conto…”
“Ne sono convinto, e voi senza
dubbio ne conoscete tutti i meccanismi… ma debbo contraddirvi, io non sono un
adulatore, ragione per cui non metto piede in un posto del genere.”
“Forse perché non ne avete le
possibilità…” lo stuzzicai, e lui reagì con una presenza di spirito invidiabile
e genuina, e un sorriso spontaneo.
“Lo confesso, sì, e la cosa non
mi toglie il sonno. Trovo stupido e inutile dilapidare le proprie sostanze per
sostenere il modello del perfetto cortigiano vanesio e sciocco. Vi sorprenderà,
ma sono stato a corte forse un paio di volte in tutta la mia vita, è
l’esperienza mi è bastata. È un ambiente detestabile che evito accuratamente:
un vespaio pieno di gente annoiata e stupida che non sa come passare il tempo,
salvo inventarsi intrighi di ogni sorta, e si diverte con le maldicenze sul
personaggio di turno… più il personaggio è in vista, più godono nel farne il
bersaglio delle loro facezie. Per non parlare della moda imperante imposta
dalla nostra bella e capricciosa sovrana: con quelle sottane ingombranti e
quelle acconciature ancor più stravaganti, le gran dame non passano neppure dalle
porte.”
Sorrisi divertita mentre
invitavo il mio ospite a sedersi sul canapè e suonavo la campanella per
richiamare la mia cameriera.
“Siete davvero sorprendente,
ridicolizzate quello che per tanti è un privilegio irrinunciabile, e le dame di
corte fanno a gara per imitare lemise di Sua Maestà. È molto
strano sentir far un discorso del genere da un appartenente alla nobiltà… ma in
effetti, la vostra analisi è accurata.”
“Oh, spero che la mia franchezza
non vi risulti offensiva.”
“No, non temete. In realtà,
condivido il vostro pensiero, anche se ho frequentato la corte e quella gente
annoiata e stupida molto più di voi, e in diversi casi ho dovuto adeguarmi a
mode e stravaganze. Non sarà che il vostro spregio viene dalla ragione che ne
siete escluso?”
“Voi credete? Me lo sono
chiesto, in effetti… al vostro posto avrei il medesimo dubbio.” rise,
smontandomi completamente.
“Vi sto provocando, perdonatemi!
– Esclamai imbarazzata. - È un difetto che non riesco a correggere…”
“Un difetto adorabile che vi
rende sincera. Ho capito questo di voi, fin dal nostro primo incontro, e se
posso dirlo, mi siete piaciuta subito.”
“Davvero? Ero convinta del
contrario…” sorvolai, ironizzando sulle ultime parole assolutamente sincere del
mio ospite, che mi restituì un sorriso appena accennato.
Ninette entrò col vassoio:
portava una teiera e due tazze di fine porcellana decorata e profilata d’oro
zecchino.
“Neppure io amo troppo la vita
di corte. Forse è per questo che sono venuta quaggiù… per allontanarmi da quel
mondo. Devo ammettere che il più delle volte è davvero soffocante.”
“Siete una donna che insegue la
libertà, contessa?”
Stavo versando l’acqua bollente
attraverso il filtro, quando Tristan mi inchiodò sul posto con quella domanda,
apparentemente casuale. Con gesti misurati posai la teiera sul vassoio accanto.
“Cosa ve lo fa credere?”
“La Normandia è una terra
bellissima, ma selvaggia; è battuta dai venti, e le sue coste meravigliose si
aprono sul mare come un invito a perdersi nel blu cobalto delle sue profondità.
Per apprezzarla sul serio bisogna avere uno spirito indomito e poco
convenzionale. Chi cerca il contatto con la natura vuole evadere dal mondo; voi
siete venuta quaggiù da sola… o meglio, accompagnata da uno strano uomo che
dice di essere il vostro segretario.”
Più che le parole, fu piuttosto
il tono a sorprendermi; non avvertii alcun tipo di giudizio in esse, semmai una
inaspettata comprensione. Forse fu questo che mi spinse ad aprirmi, come non
avrei fatto con altrettanta facilità con nessuno. Di certo, non con un uomo
appena conosciuto di cui in fondo non sapevo nulla. Eppure qualcosa di
misterioso e profondo in Tristan mi indusse a fidarmi di lui.
“André non è un semplice
segretario… è un amico fidato dal cuore onesto; ha servito come attendente
nella casa di mio padre, lo conosco da quando era un bambino.”
Tristan abbassò lo sguardo e
piegò le labbra in un sorriso enigmatico, prima di riportare la sua attenzione
su di me.
“Capisco… Un uomo legato alla
vostra famiglia nel profondo… Deve rappresentare molto per voi, madame…”
constatò con sicurezza.
La mia conferma tranquilla e
spontanea non lo stupì, semmai rafforzò l’intuizione di tutto quello che si
celava dietro le parole apparentemente innocue che ci eravamo scambiati.
*****
Non era uomo da scandalizzarsi
Tristan, né gli interessava il giudizio troppo diffuso di un etica fasulla. Si
riteneva superiore e libero da certe forme di pensiero, proprie della sua
casta. Lui stesso aveva suscitato scandalo quando si era comportato in maniera
non proprio consona al suo rango, contravvenendo a un preciso ordine/desiderio
di suo padre, e la cosa non aveva turbato troppo la sua esistenza.
Quell’André non era un semplice
segretario, no.
Era un rivale. Bisognava capire
quanto pericoloso, e quanto interessato a ricambiare l’affetto della sua
padrona.
Alcuni dettagli però gli
apparivano ancora fumosi e poco chiari, causa le scarse e vaghe informazioni
ottenute sulla famiglia d’origine della sua bella dama, ma contava di venirne a
capo.
Frequentava il salotto della
contessa da alcune settimane ormai, ed era sicuro che lei avesse compreso il
suo interesse. Si sentiva follemente attratto dal superbo fascino unito a un
po’ di mistero, dalla mente brillante e aperta, come mai gli era accaduto in passato,
e l’attrazione stava sfociando in un sentimento autentico e potente.
Tristan si stava innamorando.
Sapeva che era una donna
sposata, ma la cosa non sembrava procurargli particolare disagio o remore di
qualche tipo.
E Danielle dimostrava di gradire
la sua presenza e la sua compagnia e lo gratificava di gentilezze che restavano
però dentro i confini di una schietta amicizia, che si nutriva di vari e vivaci
argomenti, alcuni anche molto seri e impegnativi.
Lei accettava le sue confidenze
e parlava di sé, senza timori, ma senza scivolare troppo sul personale, un
confine che la contessa era molto attenta a non travalicare mai.
“Mi stavo chiedendo che tipo sia
vostro marito, Danielle. Non ne parlate mai, se non in maniera vaga e mi pare
che non susciti la vostra stima. State fuggendo da lui? Scommetto che è uno dei
motivi per cui siete qui.”
Era un pomeriggio splendido, il
sole giocava con le foglie degli alberi del giardino facendole vibrare come
gocce di luce verde, e lei lo aveva invitato ad accompagnarla durante una
passeggiata.
“Siete un po’ indiscreto.
Comunque, Leopold è un tipo d’uomo assai comune. Il classico marito che sposa
una fanciulla molto più giovane di lui, per unire la sua casata a quella della
sposa e aumentare il suo prestigio. Vi assicuro Tristan, non c’è nulla di
particolarmente eccitante in un matrimonio del genere, nel bene e nel male è
uguale a tanti altri matrimoni combinati. Ma non parliamo di me, parliamo di
voi, piuttosto.”
“Cosa volete sapere che non
sapete già? Non ho segreti per voi, madame… semmai, voi li avete per me, e la
cosa mi affascina.”
“Non è vero. Di me sapete tutto
quello che c’è da sapere. Ma per ciò che vi riguarda, perché un uomo come voi
non è sposato? Siete avvenente e rappresentate un ottimo partito. Dovreste avere
una promessa sposa, o almeno un’ innamorata… forse un amante… o più di una.”
“Addirittura più di una? Madame,
mi farei scoprire immediatamente, non sarei così abile a gestire relazioni
clandestine. Beh, ho avuto un’ innamorata… - disse fingendo un cruccio che si
trasformò subito in sorriso sarcastico, - ma lei ha preferito un conte più
ricco e blasonato. E ho avuto anche una promessa sposa, una fanciulla scelta da
mio padre, di buona famiglia con una discreta dote in terreni e possedimenti…
ma ai miei occhi, insignificante e senza particolari grazie o attitudini. Non
bella come voi, Danielle… Voi sì, che potreste rubarmi il cuore…- se non l’avete già fatto, pensò e
si perse a fissarla per qualche istante. - Una cara ragazza, che non suscitò in
me alcun interesse, né la benché minima attrazione fisica. Mi rifiutai di
sposarla, scatenando l’ira di mio padre; ho rischiato di essere diseredato.”
Questa storia scatenò la sincera
ilarità di Danielle che manifestò liberamente. Tristan era rapito da quella sua
spontaneità, ma in alcuni momenti si chiedeva da dove derivasse veramente.
“Oh, povera ragazza! Magari era
davvero innamorata di voi, e l’avete respinta. Era dunque, così poco graziosa?”
“A me non piaceva; scialba, con
poca presenza di spirito, né eccessivamente colta. Oh, una dolce fanciulla, per
carità, un’indole mite e riservata, ma molto modesta d’intelletto. Ma
tranquillizzatevi, l’offesa fu presto cancellata; sta per diventare mia
cognata, mio fratello Fabian si è innamorato di lei.”
La contessa rise di nuovo.
Una risata che veniva dal cuore
e lo avvinceva.
“Oh, capisco; dovete ringraziare
vostro fratello, sicuramente meno esigente di voi, se avete evitato di essere
diseredato. Siete un uomo davvero non comune. Ma siate sincero, se fosse stata
bella e ricca, l’avreste ceduta con la stessa facilità, o magari avreste
accettato il compromesso?” chiese sinceramente incuriosita, ma senza la malizia
che avrebbe riservato ad altri.
“Madame, non sono uomo da
compromessi, e il matrimonio è già di per sé una follia; l’unico vero motivo
per unirsi a vita a un’altra persona è l’amore, quello passionale e impetuoso
che prende due cuori e li avvince totalmente. Se manca questo ingrediente
basilare, credo sia meglio evitare di imbarcarsi in una simile disavventura.”
“Una risposta cinica, alla
fine.”
“Può darsi, ma trovo sia più
cinico sposarsi per interesse. Non siete d’accordo?”
Il tono era uscito lievemente
più duro e amaro.
“Scusatemi, dimenticavo la vostra
delusione amorosa. Peccato che certe libertà valgano solo per gli uomini. Noi
donne spesso siamo solo merce di scambio, e non abbiamo molta scelta in merito…
l’interesse non è quasi mai il nostro.”
“Già, un vero peccato. Quanta
infelicità sarebbe risparmiata da ambo le parti. Ne deduco che il vostro
matrimonio vi vada stretto, Danielle.”
“Non vi si può nascondere
niente, Tristan…”
Eppure Danielle, qualcosa
nascondeva. Lo sentiva.
E non riguardava solo suo
marito.
Tristan avvertiva l’ombra del
segretario aleggiare tra loro, quel giovane dagli occhi verdi cui Danielle
sorrideva in un modo speciale, un modo che lo allarmava. Aveva notato la
dolcezza della contessa, la gentilezza che metteva nelle parole, e gli occhi
che si illuminavano in presenza dell’uomo.
Sembrava davvero che ne fosse…
innamorata.
Una mattina, per un caso
fortuito, dall’alto del promontorio da cui si scorgeva la spiaggia sottostante
di Etretat, li scorse insieme durante una cavalcata. Li guardò scendere da
cavallo. Rimase a lungo ad osservare quelle due figure ignare e lontane, che
camminavano sulla rena bianca, i cavalli poco distanti.
Dal punto in cui era, riconobbe
i capelli biondi di Danielle mossi dal vento; era accoccolata al braccio
dell’uomo che aveva alzato una mano a spostarle alcune ciocche ribelli dal viso
bellissimo, e si era sentito quasi un intruso che viola una situazione di
intimità. Perché quell’uomo, quel servo dai modi eleganti, si permetteva di
sfiorarla in quel modo? Quali libertà lei gli aveva concesso? Una tale
famigliarità poteva essere giustificata dal quell’antico legame che lei stessa
aveva ammesso fin dall’inizio, quasi con orgoglio?
Qualcosa nel petto di Tristan si
era agitato, un tumulto che gli aveva fatto stringere con forza le redini del
suo cavallo.
Solo alcuni giorni successivi,
dopo molti tentennamenti, un mattino si era unito a loro sulla spiaggia, e
aveva colto anche troppo chiaramente il trasporto malcelato della contessa
verso il suo accompagnatore.
L’altro rispondeva ai suoi
sorrisi, si rivolgeva alla donna con rispetto, e palesava una confidenza che
andava appena oltre le libertà che avrebbe dovuto avere un segretario.
E qualche volta, si permetteva
di chiamarla Danielle, anzi, lei insisteva perché lo facesse. E il tono di
André, per quanto si sforzasse di nasconderlo, a volte diventava carezzevole,
quasi protettivo e affettuoso.
Era un po’ troppo per il ruolo
di un semplice segretario.
Eppure negli occhi verdi del
giovane servo gli sembrò di intravedere delle ombre mutevoli, una malinconia
soffocata, legata a qualche ricordo lontano e insondabile. Fu la cosa che forse
lo fece sperare o temere che l’apparenza lo traesse in inganno. L’affascinante,
ambiguo André Grandier era ben altro nel cuore della sua fata dei boschi, ma
cosa fosse lei nel cuore di lui, non era altrettanto ovvio.
*********
I nostri cavalli affondavano gli
zoccoli nella sabbia bagnata. Eravamo fermi, ritti sulle nostre selle a
osservare l’orizzonte. Vicino a noi, la spuma bianca del mare increspava le
onde che morivano sulla riva. Il rumore della risacca mi trasmetteva calma.
“Non ti preoccupa che una
probabile spia di tuo marito faccia domande su di noi, Danielle? Con quello che
c’è in ballo, io al tuo posto non sarei così tranquillo.”
“Non darti nessuna pena per
Leopold. Per chiunque, tu sei solo il mio segretario. Sta solo cercando di
trovare una scusa per opporsi alle mie richieste, ma non è in grado di dettare
condizioni abbastanza forti da opporre alle mie… inoltre, sono sempre stata più
furba di lui su questo fronte, tuttora ignora molte delle mie frequentazioni
passate…”
“Sarà come dici tu, ma è
probabile che sappia che sei qui con me. Mi aspetto di incontrarlo a Etretat,
da un momento all’altro…”
“Questo non sarà un problema, e non
gli darò modo di dimostrare nulla…”
André però voleva affrontare
un’altra questione, e lo capii dal modo repentino in cui lasciò cadere l’argomento
Leopold.
“Tristan De Laundes se non lo è
già, si sta innamorando di te…”, mi disse con il tono tranquillo di chi fa una
semplice constatazione. Non colsi alcuna punta di gelosia nella sua voce, e
forse la cosa mi deluse. Non ero sorpresa, né dal suo intuito, né dalla sua
affermazione, tanto che risposi in maniera altrettanto pacata.
“Non posso farci nulla… mi
spiace un po’ per lui…”
“Vuoi dire che la cosa ti lascia
indifferente? Non lusinga neppure un po’ il tuo orgoglio femminile? È un uomo
di fascino…”
“Sì, più di tanti damerini che
ho conosciuto; è intelligente e sensibile, ma non posso ricambiare i suoi sentimenti;
il mio cuore l’ho già donato a te, e non posso tornare indietro…”
Lo guardai decisa, ma lui puntò
lo sguardo in direzione del mare, senza aggiungere nulla alle mie parole, prese
quasi con distacco. Da quando eravamo lì, quanti cambiamenti avevo scorto nel
suo umore; prima triste e deluso, arrabbiato, poi speranzoso e sereno. Di nuovo
mi parve diverso.
“Non mi sembra un uomo disposto
ad arrendersi. Sai Danielle, che una goccia che cade sempre nello stesso punto
può avere la forza di erodere la roccia?”
“Credi che il mio cuore sia così
mutevole e incostante, André?”
“No, ma è un cuore bisognoso
d’amore… a volte, si prende l’amore dove lo si trova… credimi, so di cosa
parlo, Danielle…”
Le sue parole mi spaventarono;
erano sincere e amare, venate di rassegnazione. Stava cercando di dirmi
qualcosa che riguardava lui, e forse quello era il suo modo di mettermi in
guardia. Ma io volevo ostinarmi a credere di essere più forte e salda nella mia
volontà di amarlo, e che ciò bastasse per tutti e due.
“Amore è accettare ciò che viene
donato, e questo adesso mi riempie di profonda gioia. Dunque, non ho intenzione
di incoraggiare, né illudere Tristan. Posso offrigli la mia amicizia sincera e
nient’altro… lo capirà.”
“No, non capirà. Ti odierà,
piuttosto…” fu la sua obbiezione, pronunciata con una sicurezza assoluta e
raggelante.
Rimasi attonita a fissare il suo
bel profilo immobile, incapace in quel momento di comprendere appieno il
significato delle sue parole. Restammo in silenzio mentre l’aria che profumava
di salsedine accarezzava i nostri volti; poi, frasi ancor più sorprendenti si
mischiarono intruse al suono delle onde e allo stridere dei gabbiani nel cielo.
“Danielle, hai pensato che
potrebbe non essere un caso l’incontro con Tristan? È piombato nella tua vita
in uno strano momento…”
“Cosa vuoi dire?”
“Parlo di tutte le circostanze
che ci hanno portato qui… le mie e le tue… Se lui fosse il tuo destino, quella
parte che completa il tuo cuore e la tua anima? Dovresti considerare la
possibilità che quell’uomo rappresenti la tua vera occasione di essere felice.
Io potrei essere solo una pausa nella tua vita, come tu potresti esserlo nella
mia.”
Non disse altro e io immobile,
non risposi, i miei occhi sbarrati su di lui che si era mosso senza fretta;
aveva tirato le redini e guidava il cavallo in direzione della villa.
*******
Il cuore ebbe un sussulto simile
a uno spasimo doloroso la prima volta che lo vide entrare nella locanda. Era
seduta al suo tavolo, defilata dagli altri avventori e un po’ in ombra, avvolta
nel suo mantello con un cappuccio calato sulla testa a nascondere buona parte
del volto, un bicchiere di vino bianco posato di fronte a lei. Stava per
alzarsi e andarsene, quando la porta del locale si era aperta.
Una figura elegante si era
profilata in tutta la sua imponenza contro la cornice dell’entrata. Qualche
curioso aveva alzato appena lo sguardo sul nuovo venuto - non era una faccia
nuova per la gente del luogo - per riabbassarlo subito dopo senza interesse.
Era rimasta immobile con gli
occhi spalancati, ad osservarlo muoversi sciolto verso il bancone, sedersi di
fronte all’oste, un uomo con la pancia prominente con la faccia bruciata dal
sole e dal sale, i gomiti appoggiati sul piano di legno e ordinare da bere.
Lentamente si era riseduta al suo
posto, quasi le gambe avessero ceduto, lo sguardo fisso sulla sua schiena,
mentre la testa si incassava un po’ nelle spalle.
Aveva immaginato mille volte di
incontrarlo, parlargli faccia a faccia, affrontarlo nella maniera più diretta.
Si era chiesta cosa avrebbe sentito in quel momento, quale emozione l’avrebbe
attraversata.
Non ebbe la forza né la volontà
di allontanarsi da lì, tenne gli occhi incollati alla sua figura, come fosse un
magnete irresistibile. Aveva indugiato sul suo profilo mentre attraversava la
sala, e un violento tuffo al cuore l’aveva fatta tremare, schiudere le labbra
in un sospiro, il suo nome scappato in un sussurro.
“André…”
Era lì, a pochi metri da lei,
ignaro della sua presenza, perso in chissà quali pensieri. E solo, come non lo
aveva mai visto; quella solitudine le era famigliare e la raggiungeva come
un’onda, sorprendendola.
E in quel momento, comprese cosa
erano loro davvero.
Vicini eppure lontani.
Uguali come mai forse erano
stati.
Due solitudini mai scoperte, riempite
da quella loro vicinanza data per scontata, attraverso gli anni. Era quella
sensazione di vuoto che le faceva male, e l’unica ragione che l’aveva attirata
lì, era il bisogno spasmodico di riempire quel vuoto.
Non Danielle. Non Leopold, né
nessun altro motivo.
Quel vuoto aveva un nome, un
corpo, un’ essenza fatta di carne e spirito. Solo in quell’istante ne fu certa.
Avrebbe potuto avvicinarlo,
sfiorargli una spalla con un gesto lieve della mano e palesare la sua presenza,
ma non lo fece. Si limitò ad osservarlo silenziosa, gli occhi lucidi per
l’emozione troppo forte che la sommergeva, mentre mille desideri l’assalivano e
combatteva con la voglia e la paura di incontrare le profondità di quegli occhi
verdi, e scoprirvi nuovi sentimenti, occhi che restavano fissi sul bicchiere
che aveva davanti, e ogni tanto portava alle labbra mute. Quelle belle labbra
che nel ricordo erano dolci, audaci e morbide, possessive e affamate di lei e
del suo amore.
Quel vino doveva essere amaro
quanto il suo; sul palato sentiva il gusto sgradevole che le invadeva l’anima,
come se si stessero scambiando un bacio velenoso.
Oscar non si rese conto del
tempo che restò lì ferma, poteva essere un minuto o un’ora, con lo sguardo
inchiodato su di lui, finché non lo vide alzarsi, lanciare poche monete sul
bancone, e voltarsi per andarsene.
Solo e silenzioso. Senza
espressione. Vuoto come lei.
E un dolore sordo le trapassò il
petto, mentre nella mente riecheggiò l’eco di un desiderio in un grido
disperato e silenzioso.
No! Non andare via! Non ancora…
Per istinto le sue mani si erano contratte sul tavolo come
se le dita volessero trattenere qualcosa. Protetta dal lungo mantello e dal
buio della sera, cedette all’impulso di seguirlo sorretta dalle gambe molli,
anche solo per un breve tratto, nel vicolo adiacente la locanda dove André
aveva legato il cavallo. Lo vide allontanarsi come un’ ombra, per tornare forse
tra le braccia di Danielle, e il pensiero fastidioso le fece serrare i pugni
con rabbia.
Oscar tornò alla locanda tutte le sere successive, mossa
dalla sola speranza che lui tornasse. E fu esaudita. Si sedeva sempre nello
stesso angolo, defilata, nascosta tra le ombre che si allungavano sulle pareti
scure e macchiate di umidità.
Lui, sempre appoggiato a quel bancone, accompagnato da
vino e sguardi malinconici. Guardarlo, essergli vicina, stare lì dov’ era lui,
non poteva bastarle. Se ne rese conto presto.
L’emozione diveniva incontenibile, cresceva di ora in ora,
e di giorno in giorno; il suo cuore si riaccendeva per una passione mai sopita.
Si era messa alla prova abbastanza da capire quale fosse la verità: l’unico
vero motivo che l’aveva indotta a percorrere tutta quella strada, era la
volontà di ritrovare lui e riaverlo per sé. Voleva avvicinarlo a quel bancone,
sedersi accanto, parlargli e sciogliere quella solitudine che li allontanava. E
non le importava quanto sarebbe stato difficile, né se fosse troppo tardi.
Immaginò il momento, il modo, i gesti e le parole, gli sguardi increduli. E non
fu abbastanza.
Si alzò dalla sedia eccitata e nervosa, sentì il tremito
violento del cuore, il respiro che accelerava incontrollato, e più di tutto la
morsa che le serrava lo stomaco, mentre mosse i primi passi. Doveva percorrere
solo pochi metri, ma furono i più lunghi di tutta la sua vita.
André era troppo concentrato su se stesso e sulla ridda di
pensieri che gli invadeva la mente, per accorgersi di quello che gli succedeva
intorno. Neppure gli importava. D’altronde venire in quel posto, in mezzo a
gente estranea non lo faceva sentire meno solo, ma di sicuro lo aiutava a
inseguire le sue riflessioni.
Certe volte gli pareva di essere ancora a Parigi, e quella
era un’ altra delle tante sere trascorse in qualche bettola, lontano da Oscar.
Certe cose non cambiavano. O forse sì.
Doveva smettere di venire a rintanarsi in posti come
quello, la situazione era patetica, e non faceva che acuire il suo umore
malinconico.
Lui era solo un uomo come tanti, un reduce dalla battaglia
più dura con quell’avversario implacabile che era l’ amore.
Tanto valeva arrendersi, togliersi il pensiero,
consapevole che dopo non gli sarebbe importato se fosse caduta tra le braccia
di un altro uomo, quel Tristan comparso quasi dal nulla. Il senso di colpa
annegò subito nel bicchiere di vino, pensando che per Danielle sarebbe stato
meglio ricambiare i sentimenti di quel giovane. Magari non sarebbe successo
nell’immediato, ma col tempo chissà… lo sperava, forse?
Si stupì di quanto i suoi pensieri fossero contradditori,
segno che la confusione regnava ancora sovrana nel suo animo.
Non si accorse del leggero fruscio del tessuto prodotto da
un corpo che si sedeva vicino al suo. Ma due secondi dopo percepì la presenza
di una persona accanto. Sollevò appena la testa e volse il viso alla sua
sinistra, senza reale interesse. Un cappuccio nascondeva il profilo di una
figura vicina a lui, talmente immobile da parere inanimata. Le concesse uno
sguardo distratto prima di tornare a fissare gli occhi davanti a sé. Aveva poca
voglia di parlare, e sperò che lo sconosciuto non cercasse di farlo. Pensò di
allontanarsi dal bancone, poi qualcosa attirò la sua attenzione; la sentì
muoversi con una strana inspiegabile cautela, mentre le mani, fino a quel
momento nascoste sotto il mantello, si appoggiarono sul piano di legno. Andrè
con la coda dell’occhio sbirciò quelle mani. Dapprima fu solo un’ occhiata
rapida e fuggevole, poi il suo sguardo si bloccò su di esse, come catturato da
quel dettaglio curiosamente famigliare e nello stesso istante, il suo cuore
perse un battito.
André lentamente sollevò il volto a percorrere il profilo
della figura accanto, che si era mossa leggermente verso di lui, il viso
abbassato, ancora parzialmente nascosto dal lembo del cappuccio. Vide le labbra
di corallo e alla fine, mentre il volto si alzava un poco, incontrò due occhi
celesti che lo fissavano stupefatti e carichi di un’ emozione che non riuscì a
decifrare, ma forse assomigliava a quella che sentiva lui.
Fu assalito dalla paura che stesse immaginando tutto,
mentre nel cuore scoppiava un tremito prepotente. Poi quegli occhi celesti,
anche alla flebile luce delle poche candele che rischiaravano il locale, lo
incatenarono. Il respirò gli morì in gola, trattenuto dietro le labbra.
“Ciao André…”, lo salutò, con una strana calma che doveva
essere solo apparente. La voce pareva tremare.
“Oscar… sei davvero tu…?” Riuscì ad articolare in un
soffio.
“Sembri sorpreso di vedermi…”
Nei primi minuti successivi seguì il silenzio.
Continua…
Eccomi qui.
Volevo farvi conoscere un po’
meglio Tristan e credo si capisca che tipo di personaggio sia, ma il suo ruolo
andrà delineandosi in seguito. Allora, ho riflettuto parecchio sull’incontro
finale tra Oscar e André che in un primo momento avevo immaginato diverso, poi
la mia idea è cambiata e anche tutto lo sviluppo successivo ne risentirà un
poco, ma la direzione è sempre la stessa. Io spero che vi piaccia così come io
l’ho immaginato qui, ma fatemi sapere i vostri eventuali pareri discordi.
Come sempre un grazie di cuore
a tutte quelle persone che mi seguono e leggono la storia e hanno la pazienza
di aspettare i miei lunghi aggiornamenti. Spero sempre di non deludervi.
Ecco il capitolo, e se potete perdonate la
lunga attesa.
Grazie a tutte per l’incoraggiamento che mi
date attraverso i vostri commenti, per me sempre preziosi.
Siamo quasi in dirittura d’arrivo, e magari
entro l’anno riuscirò a terminare questa storia. Spero che abbiate pazienza
fino ad allora.
Per ora, buona lettura e spero che il
capitolo incontri il vostro gusto.
******
Sorpreso non era la parola che
avrebbe usato lui. Esterrefatto. Incredulo. Alla fine, commosso.
Quanto aveva sperato André,
quanto aveva atteso che accadesse qualcosa, un segno del destino che lo facesse
sperare che non tutto era finito. Aveva quasi smesso. C’era mancato davvero
poco.
E ora…
La luce nella taverna disegnava strane ombre sulle pareti
e sui volti degli avventori, tanto che si chiese per un attimo, se non fosse
vittima di un inganno dei sensi. Il silenzio sembrava perdurare e avvolgere
tutto, anche i rumori lievi attorno a loro, come se provenissero da un altro
luogo.
Ora non aveva parole da opporre
di fronte a quegli occhi lucidi che lo scrutavano fissi, velati di un’ emozione
che stentava a restare nascosta dietro le ciglia. Contro ogni aspettativa Oscar
era di fronte a lui, in quella taverna di Etretat, in una sera come tante della
sua vita. Era venuta a cercarlo. Forse per orgoglio, senso del dovere, timore o
paura.
Forse per amore. Lo credeva, lo
sperava.
Avrebbe voluto chiederglielo,
subito.
Non seppe aspettare quelle
parole, che parevano non voler uscire, sigillate dietro un turbamento troppo
grande, troppo difficile da sciogliere. Doveva sapere.
“Come mai sei qui, Oscar?”
“Te lo spiegherò André, ma
prima… per favore, andiamo a parlare in un angolo più tranquillo?”
La voce di lei tremò appena,
nell’evidente sforzo di celare il turbamento. Lui ne fu intenerito. Non le
avrebbe rifiutato niente, e comprese di fronte ai suoi occhi che lo
catturavano, che la sua volontà volava via, trascinata lontano da una forza
misteriosa e inspiegabile; se Oscar gli avesse chiesto di tornare indietro alla
loro vecchia vita, l’avrebbe seguita anche subito, senza curarsi di nulla, né di
Danielle verso cui nutriva affetto sincero e ben consapevole dei sentimenti
messi in gioco, né di nessun altro. Non c’era rimorso che tenesse.
L’amore feriva sempre qualcuno e
lasciava sangue sul terreno.
Quale potere aveva su di lui?
Non era bastato fuggire in Normandia per salvarsi dal nodo troppo stretto di
quel legame; gli aveva lasciato un segno rosso sull’ anima, come una
strozzatura che bloccava l’ afflusso di aria nuova, impossibile da cancellare.
Era dunque, un uomo così debole?
Fu solo un pensiero fugace, eppure il suo cuore palpitò attraversato da una
scintilla di rabbia, subito spenta e repressa dietro le labbra serrate. André
socchiuse gli occhi e scosse la testa, quasi con rassegnazione. La invitò a
seguirlo presso un tavolo appartato, in un angolo del locale dove la luce
troppo fioca delle candele arrivava appena.
Nessuno degli altri avventori
prestò loro attenzione.
Chiusi nei loro mantelli,
avevano l’aria di due uomini seduti a bere vino, per dimenticare chissà quale
pena del cuore. Ma non erano lì per dimenticare, nessuno dei due. Forse era
giunto il momento di alitare sulle fiamme sopite per riaccenderle, e non
c’erano garanzie di nessuna sorta, che sarebbe stato indolore.
“Come ci hai trovati?” le
chiese, calmo. Lei fu sorpresa e forse vagamente allarmata che parlasse al
plurale. Ma non seppe decifrare il senso esatto di quella frase. Non capì se
era deluso o indifferente, e André fu volutamente ambiguo, in un residuo
tentativo di proteggere il cuore da altre botte impreviste.
“Non è stato difficile
immaginare dove si fosse nascosta mia sorella. Etretat è stato il primo posto a
cui ho pensato; per fortuna, così non ha fatto l’uomo mandato da Leopold che ha
cercato Danielle attraverso mezza Normandia, prima di giungere fin quaggiù. Mio
cognato conosce davvero poco la sua consorte.”
“Mentre tu la conosci bene…
altrimenti non saresti qui…” le rispose con lo stesso tono quasi incurante.
Forse aveva ancora voglia di ferirla, e se ne sorprese lui stesso. Non aveva
senso insistere in quell’atteggiamento, lo capiva perfettamente. Doveva
lasciare andare il rancore. Doveva lasciare andare lei. Lui, la sua scelta
l’aveva fatta, no?
Ora, per quanto male poteva
fargli, doveva tentare di ascoltarla.
Un moto di stizza l’assalì e
Oscar avvertì una profonda amarezza invaderla; non voleva proseguire in quel
modo, non voleva che lui pensasse di non essere importante, e l’impressione che
le stava suggerendo era esattamente quella. Poteva quasi indovinare il pensiero
nascosto dietro le iridi verdi. Lo so che non sei qui per me…
No, non è vero!
Come fai a pensarlo?
“Non sono qui per mia sorella, in realtà di lei m’importa
poco. Il motivo principale è che sono qui per te, André… - parlò accorata, senza
nascondere il trasporto che le faceva vibrare la voce, - Leopold sta venendo a
cercare sua moglie. Sa che sei qui con lei, e crede che voi siate… siate…”
Sospirò dolorosamente, non riusciva nemmeno a dire la parola. Fu André a dirla
per lei.
“Amanti?”
Oscar sgranò gli occhi trattenendo il fiato, fissandolo
nella penombra scura che gli mangiava parte del volto. Doveva fare uno sforzo
per trovare la luce in fondo ai suoi occhi verdi, come fosse stato un faro
nella nebbia. E lui, pareva ritrarsi, quasi volesse nascondersi tra le ombre
sulle pareti.
“Tu che cosa credi, Oscar?”
“Non è importante quello che credo io, André… io vorrei
solo sapere se è tutto perduto… o se c’è ancora un noi… sono venuta fin
quaggiù per scoprirlo. Mi sei mancato così tanto…” Confessò con un tremito che
non seppe nascondere.
Alle ultime parole, fu certa di vederlo sussultare, ma fu
un attimo rubato, perché André tornò a nascondersi. Lo capiva, ma ne fu
ugualmente ferita, ed ebbe paura. Pareva deciso a non farle sconti, e lei era pronta
a pagare tutto, convinta che fosse uno scotto inevitabile. E rivolse una
silenziosa preghiera alla notte, che alla fine, la luce verde dei suoi occhi
tornasse luminosa per lei soltanto.
Posso sopportarlo, André… per riavere anche una sola
briciola del tuo amore, posso sopportare anche questo… ci penserò poi, a far
lievitare il pane…
“C’ è mai stato un noi, Oscar? C’era prima che ci
facessimo del male?”
Non c’era durezza nella voce, solo la traccia di una pena
remota che doveva aver bruciato a lungo. Oscar assorbì il colpo, senza
protestare. Non ne aveva il diritto. Poteva solo essere sincera, con lui e con
sé stessa.
“Volevo fingere che non ci fosse, André, che non fosse
così importante, ma avevo torto. Quando l’ ho capito era troppo tardi per tornare
indietro, per riparare... – fece una pausa prima di proseguire, con tormento e
fatica. - Da quando ti sei allontanato, sono stata così male… non lo credevo
possibile, soffrire così…”
“Oh, Oscar… - sospirò André. Trattenne il respiro pochi
secondi, poi abbassò lieve lo sguardo sul piano di legno, troppo turbato per
sostenere quegli occhi celesti. – Anche tu… anche tu, mi sei mancata… non sai
quanto…”
E rialzò il volto a incontrare quello di lei. Non furono
necessarie altre parole.
Bastò annegare ciascuno negli occhi dell’altro per
comprendere che l’amore era ancora lì, e bruciava i cuori e le anime. Si
strinsero le mani intrecciando le dita come tralci di vite, poi si alzarono e
si allontanarono nascosti tra le ombre disegnate sulle pareti.
*****
“Che cosa volete davvero Danielle? L’ ho capito che siete
qui per un motivo personale, che forse non ho neppure il diritto di chiedervi,
ma io vorrei tanto che vi fidaste di me. Potete considerarmi un vostro amico;
non vi giudicherò, qualunque sia la verità…”
Le parole di Tristan mi colsero alla sprovvista, ma non
v’era altro che sincerità in lui. Eppure sapevo, sentivo che non era solo
amicizia, quello che mi stava chiedendo. Tristan con pazienza, perseveranza,
stava cercando di arrivare al mio cuore. Mi era fin troppo evidente, ormai, e
lui non cercava neppure di celare la cosa.
Ma era la tattica a lasciarmi un poco confusa e perplessa.
Non era incalzante. Sembrava che Tristan fosse in attesa, forse della mia
impossibile resa… o forse di altro, di un orizzonte ancora troppo lontano
perché io fossi in grado di vederlo.
E un poco mi dispiaceva che fossi per lui una possibile
causa di sofferenza.
“Io già vi considero un amico sincero, e ho piena fiducia in
voi, Tristan. Perché ne dubitate? Non vi ho forse, aperto il mio cuore, non vi
ho esternato le mie più intime confidenze? Cosa volete più di questo?”
“Le vostre più intime confidenze? Non mi avete
detto ancora tutto, Danielle… e io con voi l’ ho fatto. Non vi ho mai nascosto
ciò che provo; non potete aver frainteso il mio trasporto.”
“Infatti, non l’ ho fatto. Ne ho solo preso atto, cercando
di non alimentarlo. Vi prego amico mio, non fatevi delle illusioni… ve lo dissi
già una volta.” Aggiunsi con serenità, mentre camminavamo fianco e a fianco,
nel giardino della mia villa, tra le siepi delle rose ancora in boccio che
spandevano attorno il loro profumo, con il sole che giocava sui nostri volti.
“Sì, rammento. – E fui certa della nota amara della sua
voce – Non credo che il problema sia vostro marito; è per via di André, vero?
Siete innamorata di lui…”
Lo guardai, stupita da tanta schiettezza, semplice e
diretta. Era una constatazione che non implicava necessariamente una risposta,
e probabilmente Tristan non si aspettava conferme, né dinieghi. Per lui, quella
era la verità, e la accettava così com’era, senza finti imbarazzi, moralismi o
vergogna. Tristan era una persona rara nel nostro ambiente, un uomo unico nel
suo genere, e io non sapevo mentirgli. Potevo, al massimo, opporre la
discrezione del mio silenzio.
“Non scegliamo di chi innamorarci, lo so bene, Danielle…-
Mi disse semplicemente. Si era fermato, e mi ritrovai i suoi occhi incollati
addosso. Mi scrutavano, ma con aperta benevolenza. - Solo mi chiedo: siete
certa che i vostri sentimenti siano ricambiati?”
“André mi vuole bene, di questo sono sicura…” ribattei, e
non mi accorsi di avere fatto quasi un’aperta ammissione. Ma con Tristan mi
veniva spontaneo, come se avesse lo strano potere di abbattere i miei filtri.
“Oh, sì… sono certo che vi è devoto e molto affezionato. E
suppongo che ha per voi il massimo rispetto, metterei una mano sul fuoco che è
così. Ma voler bene, non vuol dire amare… sicuramente, lo comprendete anche
voi, contessa. L’amore di cui parlo io, è altro da ciò che quell’uomo prova per
voi.”
“Pretendete di conoscere il cuore di André, Tristan? È un
po’ presuntuoso da parte vostra…”
“No, pretendo di conoscere cos’è l’amore. So cosa muove lo
spirito di un uomo, e lo spirito di André è mosso da altro. Non posso sapere
perché egli vi abbia seguito fin quaggiù, ma di sicuro le sue ragioni non hanno
nulla a che vedere con le vostre, madame. Vi sto mettendo sull’avviso,
Danielle, perché quando scoprirete come stanno le cose, voi ne soffrirete più
di chiunque. - E senza esitazione alcuna, Tristan si avvicinò a me, abbassò il
suo bel volto virile vicino al mio, e mi sfiorò una guancia tracciando la curva
delicata dello zigomo con le dita. – Ma rassicuratevi contessa, che io, in quel
preciso momento, sarò lì a sostenervi e darvi conforto. Le mie braccia vi
accoglieranno come un sostegno sicuro e se piangerete, asciugherò le vostre
lacrime con i miei baci più ardenti. E allora forse, mi vedrete con occhi
diversi da ora. E non potrete più ignorarmi.”
Sentii tutta la spavalderia di quelle parole sussurrate
sul mio viso, e il suo sguardo brillante fisso nel mio era carico di
inaspettata dolcezza, e mio malgrado, mi sentii fortemente turbata. Lo fissai
per alcuni secondi, persa in quegli occhi grigio/azzurri che spesso mi erano
sembrati freddi, accesi di un inaspettato calore; poi posai la mia mano sulla
sua per allontanarla delicatamente dal mio volto, mentre i miei occhi si
abbassavano vinti e commossi.
“Tristan, vi prego, smettete…” balbettai, e non ebbi la
forza di dire altro. Nel cuore avevo solo la paura che avesse ragione.
********
Come André aveva predetto, Leopold arrivò a Etretat.
Una tarda mattina di fine giugno, la sua carrozza fece il
suo ingresso nel parco della tenuta e fu accolto da uno stuolo di servitori
deferenti e un po’ intimoriti dall’inaspettata venuta del padrone.
L’unico a non risultarne sorpreso fu proprio il segretario
della contessa, messo già in allarme dalla fonte più inattesa. Né si lasciò
turbare minimamente dalla presenza del conte; nell’arco di una sola notte, la
sua realtà si era trasformata in modo meraviglioso, ma nessuno, a parte lui e
la diretta interessata, lo sapeva. Qualunque fossero i sospetti del conte di
Recamier, o i motivi del suo arrivo lì, nulla potevano aver a che fare con lui.
Non più oramai.
Ad André non sfuggì comunque, l’occhiata sospettosa al suo
indirizzo, che Leopold gli rivolse, a cui fecero seguito parole maligne,
ironiche e allusive.
Leopold si era accomodato nel salotto riservato agli ospiti,
con l’aria di chi non volesse congedarsi tanto presto, e si rivolse al servo
che restava in piedi di fronte a lui, mantenendo quella rispettosa distanza che
il conte pretendeva da un inferiore di rango. E l’ ex attendente di madamigella
Oscar, per lui era meno di nulla, l’ultimo salariato da tenere in
considerazione. E non si sarebbe degnato di intavolare con lui una
conversazione qualsiasi, se non era per i sospetti che gli agitavano l’animo.
“Che curiosa sorpresa trovarvi qui, André. So che avete
lasciato il servizio presso mia cognata, ma non immaginavo che aveste seguito
mia moglie, in qualità di segretario personale mi dicono, e io suppongo che
dovrei credere a questa surreale diceria…”
Parole, notò André, smentite dall’atteggiamento di Leopold
che non pareva affatto stupito.
“Non è una diceria, signore: sono davvero il segretario
della signora contessa. Madame mi ha assunto con questo incarico, dopo aver
lasciato il mio ruolo di attendente.”
“… E per caso, ricoprite anche altri ruoli, André? Questa
nuova mansione vi pone in maggior intimità con mia moglie, dico bene?”
Domandò Leopold con tono volutamente insinuante e mellifluo, che l’ex
attendente accolse con freddo distacco.
“Non capisco a cosa alludete, signore.”
“Sì, sì certo… - Leopold palesò un gesto brusco con la
mano. - Siete davvero bravo. Ci sapete fare, André: non vi scomponete di un
millimetro. Ma la vostra conoscenza con mia moglie è troppo di lunga data per
non pensare che tra voi ci sia una confidenza molto diversa, e la recente assurda
richiesta di Danielle completa un quadro preciso, e sono certo che sapete di
cosa parlo.”
“Non comprendo, signore. – Obbiettò André con assoluta
calma. - Comunque, Madame Recamier mi ha assunto proprio perché mi conosce da
lungo tempo, e in virtù di questo, ha la massima fiducia in me. Per tutto
quello che non è di mia competenza, credo che dovreste parlare con la contessa.
Se non c’è altro, col vostro permesso, mi ritiro.”
“Aspettate giovanotto! Non ho ancora finito! Spiegatemi,
allora, perché non avete informato vostra nonna, una donna anziana che poteva
essere in pensiero per suo nipote, della vostra permanenza qui a Etretat.”
Questa volta André sgranò gli occhi per la sorpresa, che
presto si trasformò in palese fastidio.
“Cosa c’entra ora, mia nonna!?” Domandò interdetto.
“Ho avuto modo di parlare con la vostra parente. Vostra
nonna non sa dove siete, di preciso. Mi chiedo a cosa è dovuto tutto questo
mistero; forse dovrei indagare i motivi che vi hanno fatto abbandonare il
vostro precedente incarico presso la famiglia Jarjayes.”
“Scusate signor conte, ma i motivi sono personali, e
riguardano me soltanto.”
“Siete un insolente, ragazzo!” Borbottò il conte,
visibilmente paonazzo, che non si aspettava tanto geloso riserbo.
“Come volete voi, signore.”
“Io esigo che mi diate delle risposte chiare!”
“E io non ho altro da dirvi, signore.”
André non avrebbe gradito altre ingerenze nel suo privato
e il conte aveva l’arroganza tipica di chi crede di potere tutto, solo perché
ha sangue blu nelle vene. I due uomini stavano scivolando sul terreno
pericoloso di una discussione un po’ troppo accesa, interrotta per fortuna,
dall’ ingresso in sala di Danielle vestita da amazzone, accompagnata da
Tristan.
La contessa rientrava da una cavalcata in compagnia del
giovane amico, che pure quella mattina era venuto a farle visita, come accadeva
ormai frequentemente. Non aveva ancora lasciato le scuderie e dato disposizioni
per la cura della sua cavalla Desiree, quando era stata subito informata da
Ninette dell’arrivo del marito. Aveva assottigliato lo sguardo senza lasciarsi
sconvolgere, e perentoria, aveva invitato Tristan a seguirla dentro casa.
“Volete conoscere quel gran signore che è mio
marito, Tristan? – Ironizzò. - Venite con me, allora. Non avrete un’ occasione
migliore di oggi.” E a passo svelto, sollevando un poco le gonne, si era
diretta verso l’ingresso della villa.
Dal corridoio, colse la voce concitata di Leopold e quella
calma, ma vagamente irritata di André. Entrò in salotto come un ciclone,
spalancando la porta senza tante cerimonie.
“Leopold!! – Alla vista della moglie, l’uomo saltò su
dalla poltrona. - Non è un buon vento quello che vi ha condotto qui. Siete
appena arrivato, è già la vostra presenza disturba la quiete e la serenità di
questa dimora. Che cosa siete venuto a fare? Non avevo alcun desiderio di
vedervi… mi pareva di essere stata chiara.”
“Che accoglienza, mia cara. – Ribatté il conte con
sarcasmo. - È stato più gentile il vostro segretario, per quanto ha rivelato
una notevole insolenza che non ho gradito. Dovreste scegliere con maggior cura
il personale di servizio, Madame… O in realtà, è una scelta molto ben oculata.”
Incurante del disappunto malcelato della consorte, la sua
attenzione fu attratta dal giovane estraneo di aspetto distinto, entrato insieme
a Danielle. Per un secondo, lo sfiorò il dubbio che stesse facendo la figura
dell’ idiota, e che i suoi sospetti fossero caduti tutti sulla persona
sbagliata.
“Chi è questo gentiluomo che vi accompagna, mia cara? Non
mi pare di conoscerlo. Dovreste presentarci.”
Fu Tristan a farsi avanti con prontezza, mentre Danielle
restava muta a osservare la scena, non troppo contenta.
“Infatti non ci conosciamo, messieur; sono Tristan De
Laundes, e di recente, sono diventato un buon amico della contessa. Abito poco
lontano da qui, e ho incrociato Madame durante un’ uscita a cavallo. Le ho
fatto da scorta, e l’ ho riaccompagnata a casa.”
“Allora dovrei ringraziarvi. Laundes, avete detto? Io ho
conosciuto vostro padre; era un amico di mio padre, il defunto conte di Recamier.
Come sta il vecchio Laundes?”
“Sta bene, a parte qualche acciacco dovuto all’età…
mantiene sempre il solito temperamento austero e autoritario…”
“Capisco, lo ricordo così, infatti. Mi scuserete Messieur
De Laundes se vi chiedo di lasciarmi solo con mia moglie; ho necessità di
parlare con lei di alcune questioni private. Potreste venire a farle visita un
altro giorno…”
Leopold non ebbe bisogno di rivolgere lo stesso invito ad
André, che colse subito il messaggio; l’esperienza decennale gli diceva quando
la sua presenza non era richiesta né gradita. In silenzio, con l’espressione
più neutra a celare il malessere, lasciò la sala, seguito da Tristan, che si
era congedato con un inchino rispettoso e cortese.
*******
In procinto di andarsene, sulla soglia, Tristan non riuscì
a trattenersi dal chiedere conferma delle sue intuizioni.
“Mi pare che tra Danielle e il marito non corra buon
sangue, anzi, sembrano decisamente ai ferri corti. È così, vero?”
“Beh… Mi pare inutile negarlo, signore.” Fu il commento
asettico di André.
“Non ho mai visto tanto astio, travestito da finta
cortesia. Che situazione penosa. Ditemi, da quanto i loro rapporti sono così…
ostili?”
“Non saprei dirlo con esattezza, ma non credo siano mai
stati idilliaci; comunque, non sta a me dire certe cose.”
“Non vorrei essere nei vostri panni, André; trovarsi in
mezzo a una disputa del genere tra marito e moglie non dev’essere piacevole…”
Il segretario abbassò lo sguardo e si aprì in un mezzo
sorriso enigmatico, che sconcertò un poco l’altro.
“Non preoccupatevi per me, signore… nei miei panni io ci
sto benissimo…”
Tristan indugiò ancora un istante, indeciso sul
significato di quella frase, calcandosi il tricorno sulla testa. Preferì non
approfondire, ma vi avrebbe riflettuto a lungo e con calma.
“Bene André, portate i miei saluti alla contessa. Ditele
per favore, che tornerò a farle visita in un altro momento; mi faccia sapere
lei quando sarà quello più opportuno. Non vorrei piombare qui, e mettere la
contessa in imbarazzo col marito…”
“State tranquillo, le riferirò il vostro messaggio…”
*********
Ninette parlava mentre riponeva nella credenza della
cucina i piatti del prezioso servizio di porcellana decorata a mano. André a
braccia conserte, l’ascoltava appoggiato al bordo del grande tavolo su cui
troneggiavano due grandi ceste ricolme di frutta fresca e ortaggi da pulire;
poco prima, da una delle ceste l’uomo aveva afferrato una lucida mela rossa che
ora addentava con gusto. La discussione tra i due andava avanti da svariati
minuti, e la cameriera personale della contessa palesava tutta la sua
inquietudine, scatenata dall’argomento che stavano dibattendo in maniera
vivace.
“Non li ho mai sentiti litigare così, te lo giuro André.
Il conte trattava la signora come l’ultima donnaccia che si possa incontrare
per strada. E anche la contessa era furiosa, - non voglio avere più alcun
legame con voi…voglio separare per sempre le nostre vite, in un modo o nell’
altro… vi detesto, odio voi, i vostri pensieri meschini e ipocriti. Sarebbe
meglio essere l’amante dell’ultimo degli uomini che vostra moglie. – Così
diceva la signora, ed era davvero inviperita.”
“Non è carino origliare alle porte Ninette.”
“Era impossibile non sentirli, parlavano a voce alta.
Passavo di lì, e ho sentito tutto. Terribile!”
“Passavi di lì, e hai pensato bene di fermarti dietro la
porta chiusa. Ninette, Ninette… vecchia volpe!” rise André, e agitò la mano in
una finta minaccia all’ indirizzo della cameriera, che dimenticò per un momento
i piatti di porcellana, e lo sfidò piazzandosi davanti a lui, con i pugni
puntellati sui fianchi rotondi.
“Non fare il santarellino con me, mio caro! – Lo accusò
maliziosa. - Tu fai sempre finta di nulla, ma con quel bel faccino che hai,
metteresti nel sacco perfino il tuo confessore, e hai orecchie più acute delle
mie, signor Grandier!”
“Solo quando serve.” Ironizzò André divertito, mentre
Ninette continuava il suo racconto in maniera un po’ colorita, imitando
talvolta i toni accesi dei due contendenti.
“È per questo motivo che volete il divorzio? Per
rotolarvi nel fieno di una stalla con la plebaglia? Per accompagnarvi a un
servo qualsiasi? La vostra condotta è volgare e scandalosa, una vergogna per il
buon nome dei Recamier! Avrei ogni ragione di ripudiarvi! – Borbottava il
conte, e sbraitava dicendo che non esiste una legge in Francia che
preveda il divorzio, e anche un atto segreto non avrebbe alcun valore legale.
Diceva alla signora di rassegnarsi e lasciare le cose come stanno…- Questo
mai! Non mi interessano le leggi, mutevoli e fallaci come il cuore degli
uomini. Io non voglio continuare a essere vostra moglie. Questa è la libertà
che pretendo! E me la prenderò, a dispetto dei vostri ignobili insulti!
Richiederò un annullamento, piuttosto. Mi rivolgerò a Sua Maestà. – Rispondeva
la contessa con orgoglio, mentre il conte continuava con le sue malevoli
accuse; dovevi sentirlo André, diceva che sei avvenente, così tanto che non si
sorprenderebbe se fossi passato prima nel letto di madamigella Oscar - che cosa
volgare da dire!! - però, a questa cosa che ha detto, io non ci credo; tu,
amante di madamigella Oscar… è una cosa impossibile da credere…”
André non era uno sprovveduto, conosceva l’arguzia di
Ninette e nell’affermazione della cameriera colse l’implicita malizia, cui
rispose negando subito ogni possibile congettura.
“Uff… Questa è una vecchia maldicenza che girava da tempo
immemore già tra i corridoi di Versailles; a quest’ora sarà arrivata perfino
all’orecchio della regina; se io e il Colonnello Oscar ci fossimo preoccuparci
di tutti i pettegolezzi diffusi sul nostro conto saremmo impazziti…” minimizzò
con gran disinvoltura, e morsicò con soddisfazione l’ennesima mela.
Ninette continuò a raccontare colorando tutto con
sentimento vivace e spontaneo; Danielle negando tutte le accuse più o meno
indirette del marito, aveva chiesto a Leopold di lasciare Etretat, ma il conte
si era rifiutato, adducendo che c’erano altre cose che intendeva verificare, e
qui il riferimento al ruolo inatteso del giovane Tristan era stato evidente.
“Il conte si è comportato molto male… parlava trascinato
dal risentimento e dalla cattiveria… e l’amico di Madame, quel giovane Tristan
è arrivato proprio nel momento peggiore: se almeno lui e il padrone non si
fossero incontrati… povera signora, tutto sembra contro di lei…”
“Dimmi Ninette, credi anche tu, che io abbia una relazione
con Madame Recamier?” Domandò Andrè, guardandola apertamente. Questa volta
Ninette ebbe un attimo di esitazione, incerta su cosa rispondere.
“Beh… io questo non lo so… per me è evidente che madame
abbia un debole per te, questo non puoi negarlo… - E fu lesta a cambiare
discorso, per togliersi dall’imbarazzo. - Oh, André, cosa accadrà adesso?
Madame potrebbe ottenere davvero l’annullamento?”
“Non è così semplice; ci devono essere delle condizioni
particolari perché la chiesa annulli un matrimonio, e quello tra Danielle e il
marito non mi pare le presenti. Ma so di casi in cui perfino la Sacra Rota cede
senza problemi di fronte a lauti compensi in denaro. In realtà, non so bene
perché la contessa si ostini in questa cosa. Le basterebbe separarsi, e vivere
lontana dal conte, per ottenere lo stesso risultato. Mi chiedo se non sia più
una questione d’orgoglio, che un anelito di libertà…”
“Beh, comunque André, io sono solo una semplice cameriera
ignorante, ma trovo assurdo che un banale pezzo di carta firmato davanti a un
prete, obblighi due persone che non si amano a restare insieme per sempre… mi
spiace per questa situazione che coinvolge la signora contessa…”
“Che idea insolita, Ninette!! Eppure, credo tu abbia
ragione… - Impressionato dal commento della ragazza, André all’improvviso si
ritrovò a riflettere su sé stesso. - In realtà, due persone non sono obbligate
a restare insieme se non lo vogliono, e credo che non ci sia pezzo di carta che
tenga…”
E col pensiero Andrè corse a Oscar, alla consapevolezza
che con lei probabilmente, non ci sarebbe mai stato alcun pezzo di carta, né
alcuna firma. Non gli apparve più così importante, perché la semplice verità
era un’ altra e superava le leggi effimere e imperfette degli uomini.
Lui e Oscar, nulla li obbligava a restare insieme, salvo
vivere e obbedire a quel sentimento potente e assoluto, vasto come quel mare
profondo e sconosciuto che si stendeva infinito davanti alla selvaggia,
meravigliosa costa normanna, strisce blu scuro appena intraviste dalle finestre
della villa.
Amore non chiedeva permesso né agli uomini, né agli dei.
Per loro era una catena salda e incorruttibile che legava
le loro anime e i destini.
Era una legge incisa nei loro cuori, una necessità cui era
impossibile sottrarsi.
********
La luce crepuscolare scendeva sul paesaggio, colorando
tutto di quella particolare tinta neutra che confondeva cose e ombre, che
rilassava lo sguardo e immalinconiva lo spirito. André si sentiva così, al
pensiero che a breve sarebbe dovuto tornare verso la villa, da Danielle. Si
sentiva come un’ ombra senza corpo che si perdeva annullandosi nella sera,
leggero e pesante allo stesso tempo. Una tristezza vaga si insinuava in lui,
mentre sentiva uno strano conflitto montare nel cuore.
La felicità colpevole e malataaveva un gusto salato, lasciava una sensazione amara, un senso di
vuoto alla bocca dello stomaco. Non era così che voleva sentirsi, ma se così
doveva essere, lo accettava, per quella guerriera selvaggia, tenera e ribelle
che dormiva placida, avvolta dal lenzuolo che modellava un corpo che sapeva
accendersi e consumarlo al fuoco della passione più viva e ardente.
Si era alzato dal letto, si era infilato i pantaloni e si
era avvicinato alla finestra.
Lì, era rimasto nascosto dietro la tenda pesante e un po’
consunta, fermo in piedi a osservare l’esterno, la vita che si muoveva
discreta, le piccole barche dei pescatori che rientravano al porto, chi si
indaffarata a scaricare la merce da vendere l’indomani al mercato del paese, il
mondo fuori da quella stanza segreta, dove lui e Oscar si rifugiavano per
qualche ora tutti i giorni, da almeno una settimana.
Sentì un fruscio provenire dal letto, e volse la testa in
direzione del lieve rumore.
Oscar era seduta sul materasso con le ginocchia piegate
contro il busto, le braccia nude a trattenerle. Gli occhi le brillavano, e un
vago sorriso le aleggiava sulle labbra, e a lui quello bastava per allontanare
tutta l’amarezza. Le sorrise sereno, quando vide la mano di lei invitarlo, con
una carezza sul lenzuolo sfatto, a raggiungerla.
La sua sirena lo chiamava a sé, e lui, novello Ulisse si
lasciava travolgere dal suo canto.
Non era mai stato così tra loro, ed era qualcosa di meraviglioso
e appagante. Per quella gioia estatica si poteva tollerare qualsiasi senso di
colpa, si poteva sopportare qualsiasi martirio, consapevoli che sarebbe stato
spazzato via da una felicità più grande e completa.
Lui tornò verso il letto, tra le sue braccia che lo
accolsero possessive, sulle sue labbra schiuse affamate di baci che rubavano il
respiro e accendevano brividi sulla pelle, a ricevere di nuovo il suo sapore di
donna, e a donarle il suo di uomo, miele aspro per lei così eccitante. Avrebbero
fatto l’amore di nuovo, per l’ultima volta per quel giorno, prima di separarsi
fino all’indomani.
I corpi si sciolsero subito sotto le carezze e si fusero
senza impazienza uno nell’altro, per prolungare il più possibile quell’ ultima
onda di piacere, preda di un nuovo delirio, dolce e avvolgente come una marea
che li sommergeva. Dopo l’amore restavano ancora un poco abbracciati, la testa
di Oscar reclinata sulla sua spalla, una mano abbandonata sul petto ampio del
suo uomo, all’altezza del cuore, una gamba tra le cosce tese di André.
E parlavano di ciò che accadeva in quei giorni a Etretat,
e in particolare alla villa.
Parlavano della vita lasciata a Palazzo Jarhayes, e di
come sarebbe stato tornarci con un bagaglio più pesante, per tante, troppe
ragioni, eppure più completo. Parlavano di quella strana attesa, che bloccava
tutti lì, uomini e donne sotto quel cielo della Normandia che sull’orizzonte
disponeva nuvole gonfie di pioggia, come soldati in battaglia.
Aspettavano il vento che venisse a ridipingere l’azzurro,
senza sapere se sarebbe stato dolce come una brezza estiva, o crudele e
violento come una bufera spaventosa.
E fu sera inoltrata.
Venne il momento di raccogliere i vestiti, tolti in fretta
solo poche ore prima. Era quello il passaggio più triste, quello che speravano
di rimandare fino all’ultimo secondo, nell’istante dell’ ultimo bacio
disperato, promessa di un nuovo incontro.
Oscar annodò il fiocco di seta che chiudeva lo scollo
della sua camicia immacolata. Mosse le mani lentamente come se dovesse
guadagnare tempo prezioso, ma parlò con calma, e una sicurezza profonda
permeava ogni sua parola.
“Io voglio che torni a palazzo con me, André. Ti rivoglio
nella mia vita, come e più di prima. Sono stata una pazza e me ne rendo conto
solo ora…- si portò una mano alla tempia, infilando le dita nella frangia - in
fondo, è solo colpa mia se siamo arrivati a questo punto.”
“È inutile colpevolizzarsi, Oscar. Sono le nostre azioni,
le abbiamo volute; non si possono respingere le conseguenze, possiamo solo
accettarle…”
Oscar emise un sospiro pesante.
“Dobbiamo dirlo a Danielle. Ora che Leopold è qui, prima
ce ne andiamo, meglio sarà; mi spiace per mia sorella, ma col marito dovrà
vedersela da sola. Ha voluto cacciarsi lei in questa spinosa situazione, con la
storia assurda del divorzio e tutto il resto. Già mi preoccupa il fatto che tu
vada a dormire sotto lo stesso tetto con loro. Mio cognato è un inetto, ma se
si ritenesse offeso in qualche modo, il suo senso dell’onore potrebbe fargli
commettere qualche pericolosa sciocchezza. Non mi sono mai fidata di
quell’uomo.”
“Se non torno alla villa, Danielle si insospettirà e mi
troverei costretto a dirle la verità. Le dovrei dire di noi. Per ora credo sia
meglio non farlo. Ti prego Oscar, dammi ancora un po’ di tempo, poi verrò con
te, ovunque vorrai.”
Oscar sentì un nodo serrarle la gola.
“Non vuoi ferirla, è così, André? Ti sei affezionato a
lei…”
Lo sguardo puntato a terra, Oscar si era bloccata
nell’atto di sistemare un risvolto del polsino della camicia.
“In un certo senso, è così, Oscar. Sai, potevo davvero
innamorarmi di lei… stavo per cederle… - Andrè si avvicinò e le prese le mani.
Lei rialzò il volto per incontrare i suoi occhi e la sua anima in essi. – Non è
successo solo perché ho ritrovato te, e questo amore che ci lega, più forte di
tutto. Saperti al mio fianco, non mi fa temere nulla Oscar, neppure le accuse
di tuo cognato. Ma Danielle… la ferirò comunque, quando scoprirà che ho fatto
una scelta diversa da quella che lei si aspetta; vorrei solo che fosse pronta
ad accettarla… vorrei evitarle un inutile dolore…”
“Non ti sei preoccupato così per me…” Obbiettò Oscar con
lieve amarezza, ma sinceramente commossa, mentre André tratteneva ancora le sue
mani e le portava alle labbra. La guardò serio mentre posava un bacio sulle sue
lunghe dita.
“Tu sei stata sempre nei miei pensieri… - disse rauco -
sempre Oscar, anche quando tentavo di scacciarti. Non sai quanto dolore mi è
costato lasciarti sola… quanto dolore mi costa lasciarti uscire da quella
porta… anche ora…”
“Oh, André…”
Oscar tremò e a malincuore si divincolò leggermente dalla
sua presa. Afferrò il giustacuore appoggiato sullo schienale di una sedia e se
lo infilò in fretta, dandogli la schiena. André era immobile e la guardava
sollevarsi le chiome per liberarle dalle falde del colletto rigido. Un istante dopo lei
si voltò, si mosse e lo abbracciò stretto, accostando il volto alla sua
guancia. Chiuse gli occhi celesti per assaporare meglio quell’attimo. Lui le
cinse appena la vita, mentre la sua voce vibrante gli arrivava all’orecchio.
“Ti aspetterò qui domani, e anche domani l’altro, André.
Fai molta attenzione, e stai lontano da Leopold… - Seguì un respiro trattenuto.
- Ti amo.”
Non disse altro. Lo baciò con passione e desiderio mentre
André la tratteneva per la nuca e ricambiava il suo slancio, dopo si staccò da
lui più velocemente di quanto avrebbe voluto; se avesse esitato troppo, se non
avesse opposto resistenza non sarebbe più riuscita ad allontanarsi da quella
stanza e dal suo abbraccio caldo, per tornare nel suo alloggio. Le ore future
che li separavano erano una pena rinnovata ogni giorno.
Prese il mantello e fu fuori di lì in un lampo.
Per André, la porta si era aperta e chiusa troppo in
fretta, come se una folata di vento gelido l’avesse attraversata. Sentiva già
la solitudine riempirgli lenta il cuore.
Il giorno
successivo al suo arrivo, pregai ancora Leopold di abbandonare Etretat, o
almeno la mia villa. Non potevamo vivere sotto lo stesso tetto come cane e gatto
e oramai i nostri rapporti si erano decisamente deteriorati; non esisteva più
nemmeno la tolleranza fra noi, né alcuna parvenza di rispetto, inoltre i suoi
sospetti su André mi intimorivano. Era ovvio che volesse coglierci in fallo,
capire fino a che punto mi ero spinta con il giovane segretario; se ci avesse
sorpresi in atteggiamenti equivoci o troppo intimi, si sarebbe rivalso su
André, cacciandolo, o peggio, lavando l’onta nel sangue.
Era nel suo
diritto di nobile offeso nell’onore, e nessuno avrebbe obbiettato, né si
sarebbe scandalizzato, né avrebbe alzato un dito in difesa di un servo. Le
persone della nostra cerchia gli avrebbero dato ragione, e io sarei finita alla
berlina. L’infamia e l’umiliazione per me sarebbero state enormi, ma non era di
quello che mi preoccupavo.
Di ciò che pensano
gli altri mi è sempre importato poco, anche se ho sempre fatto attenzione a non
fornire troppa materia di trastullo ai meschini benpensanti, bigotti e falsi
moralisti che nuotano agili nella cosiddetta buona società.
Giacché egli non
volle lasciare la mia casa, adducendo come scusa che in quel paese di
pescatori, non c’era un alloggio degno di ospitare un aristocratico d’alto
lignaggio come lui, io feci in modo di restarvi il minor tempo possibile.
La vicinanza di
mio marito anche per poco mi era intollerabile.
Uscivo spesso, da
sola o accompagnata da André, che notavo, manteneva un atteggiamento cauto e
rispettoso, e rispondeva ai miei velati entusiasmi con garbo e riservatezza,
quasi volesse ristabilire tra noi una distanza che di recente, avevano molto
ridotto. Interpretai quel suo strano modo di fare, come reazione alla presenza
di Leopold; pensai non volesse dare conferma alle pericolose accuse del conte,
nonostante ciò, mi sentivo inquieta, attraversata dalla sensazione spiacevole
che qualcosa mi stava scivolando lentamente dalle mani e non ero abbastanza
forte da trattenerlo. Doveva essere la presenza ingombrante di mio marito a
farmi sentire tanto insicura e timorosa, e maledissi la sua influenza destabilizzante
nella mia vita. Effettivamente André da alcuni giorni mi appariva diverso.
Era sempre
gentile, protettivo, attento alle mie esigenze, ma la luce che bruciava come
fiamma viva e guizzante in fondo al suo sguardo verde ombroso non ero io che
l’animavo; mi accorgevo che qualche volta, distoglieva lo sguardo per non
incontrare i miei occhi, quasi volesse nascondermi certi suoi pensieri e
sentimenti. Il suo sorriso era sereno, ma distante, né aveva lo stesso calore
di un tempo. Non osai chiedere nulla a lui, e finsi, forse per paura. Finsi che
fosse tutto immutato tra noi, ma sentivo nel sangue e nelle ossa che non era
così: per quanto André facesse, per quanto fosse dolce e consolatoria la sua
presenza al mio fianco, un brivido a volte mi correva alla base della nuca,
appena prima dell’attaccatura dei capelli, come se dita gelide e invisibili mi
sfiorassero la pelle, proprio lì.
Possibile che
fossimo tornati al punto di partenza, lui ed io? Mi sembrava di essere giunta
ad un passo da un’intimità del cuore e dei corpi, credevo che le nostre anime
si sarebbero cercate e inseguite negli sguardi teneri e frementi, carichi di
segreta aspettativa, nell’attesa di vedere fiorire la passione amorosa, ormai
sul punto di divampare. Ero stata quasi certa del suo bisogno di scaldarsi al
fuoco di un amore genuino e ricambiato, della sua resa, che sentivo prossima.
Tutto invece
sembrava raffreddato, sopito, messo da parte. André si comportava da amico, i
suoi baci erano diventati casti e fraterni, oltre che radi, e con delicatezza
smorzava le mie carezze, i miei gesti affettuosi, perfino le mie parole.
“André, questi
giorni in Normandia sono stati pieni di gioia per me, e non basterà
l’interferenza di mio marito a rovinarci questi momenti passati insieme; se Dio
vuole, ce ne saranno altri altrettanto belli, e magari… più completi - osai
dirgli un pomeriggio, all’ombra delle fronde dei tigli, mentre i nostri cavalli
un poco sudati per la corsa, pascolavano poco lontano. - Io spero solo che sia
stato così anche per te.”
“Ma certo
Danielle; io sono stato bene qui con te… - si volse a guardarmi con uno sguardo
indecifrabile, e sentii una nota malinconica nelle parole seguenti - e
qualunque cosa accada in futuro, io ricorderò sempre il tempo passato qui ad
Etretat come una parte bella e felice della mia vita… Sarò sempre grato a
questi luoghi che mi hanno fatto ritrovare… qualcosa che avevo quasi perso…”
Spalancai gli
occhi, spaventata dal suo tono… o forse, dal non detto, che rimase sospeso come
un profumo fluttuante, che subito si dissolse nell’aria.
“Parli come se
dovesse finire, André… io non voglio che finisca. Io starei qui con te, per
sempre… - Mi avvicinai e presi le sue mani trattenendole nelle mie, posando una
guancia su di esse. - Non m’importa nulla di cosa penserà la gente… finalmente
l’ ho capito, e non temo più il loro giudizio… Non rimpiango nulla, André, ho
rinunciato alla vita di prima, a Versailles, agli onori, alle feste a corte,
alle amicizie vacue e sciocche; era un’esistenza vuota quella che conducevo, circondata
da tutte queste cose e non la voglio più. Tu riempi tutto, André… tu colmi
tutto un mondo e lo rendi immenso, migliore… ricco di colori e profumi che
accendono il cuore e svegliano i sensi alla vita… non ho bisogno d’altro per
essere felice. Mi basta sapere che tu sei al mio fianco, come ora.”
Mi guardò negli
occhi un istante. Non saprei dire a cosa pensasse, ma qualcosa combatteva in
lui. Un’ombra offuscò quelle meravigliose iridi verdi. Indugiò. Poi con
gentilezza, liberò una mano dalla mia stretta.
“Potrebbe finire,
però. Le cose cambiano, Danielle… quando meno ce lo aspettiamo…” disse, e io mi
persi, attraversata da un brivido di sconcerto, che faticai a nascondere.
“Perché parli
così? Mi spaventi, André…”
“Scusa, Danielle…
solo che io… ecco…”
La sua esitazione
mi venne in aiuto e mi salvò, e indossai una maschera d’entusiasmo artificioso,
forzato in un ampio sorriso che tuttavia, non arrivò a illuminare i miei occhi
appannati d’inquietudine.
“Prendiamo i
cavalli e proseguiamo fino alla tenuta dei Laundes; voglio andare a trovare
Tristan, gli faremo una sorpresa…”
Avvertivo un
profondo malessere che non seppi spiegarmi con razionalità. Tentai di non dare
credito a quella sensazione, e sbagliai. Il nostro istinto viene dalla parte
più profonda di noi, esso capta gli eventi prima che questi accadano e ci
avvisa del rischio, del pericolo che corriamo, e di solito, non fallisce.
L’errore è il nostro che non prestiamo mai abbastanza fede a questa nostra
parte ancestrale e ignota.
********
La tenuta dei Laundes era vasta
e comprendeva una bella porzione di costa affacciata sul mare, e alcuni boschi
attorno. La villa era una costruzione semplice, ma signorile ed elegante
situata nell’interno, formata da un corpo centrale e due piccole ali laterali,
circondata da un giardino curato all’inglese.
La contessa e il suo segretario
lasciarono i cavalli alle cure di uno stalliere che venne loro incontro, mentre
Danielle veniva annunciata con tutti i riguardi ai padroni di casa.
La visita di Danielle e André fu
per Tristan inaspettata, ma lo riempì di profonda gioia. Avrebbe preferito
essere solo con la contessa, ma averla lì a casa sua, rinnovava nel suo cuore
la speranza che la donna avesse per lui maggior interesse di quanto non
mostrasse.
L’accolse con garbo, e la
presentò al fratello più giovane e alla sua fidanzata; in casa era presente
solo Madame Laundes, una signora matura dagli occhi vivi e intelligenti che
portava con gran dignità i suoi anni, e recava sul viso la traccia di quella
che doveva essere stata in gioventù una gran bellezza.
Danielle riconobbe in lei, i
tratti nobili e affascinanti del figlio. Anche Fabian assomigliava alla madre,
ma aveva capelli più chiari, lineamenti meno marcati del fratello maggiore e
fattezze più delicate che gli davano un’aria quasi fragile, ma gli occhi erano
come quelli di Madame Laundes, trasparenti e allegri, e rivelavano un’indole
mite. [1]
“Sono felice di potervi
accogliere nella mia umile dimora, madame Recamier. Ma ditemi, a cosa devo
l’onore della vostra presenza in casa mia? Siete venuta, mossa dal desiderio
irrefrenabile di vedermi, come spero, o siete in fuga da vostro marito, come
temo?”
“Tristan siete il solito
sfrontato irriverente – rise Danielle – eppure mi siete simpatico. Siete sempre
così diretto, ma dovreste imparare ad essere un po’ meno audace.”
“Non posso. Perderei tutto il
mio fascino, madame… e in ogni caso, preferisco essere diretto e franco,
piuttosto che sibillino e subdolo. Perdonate la mia audacia, in realtà sono
felice che siate qui, e non posso fare a meno di manifestarlo. Presto o tardi
vi avrei invitata io stesso, e non avrei accettato un rifiuto da parte vostra.”
“State tranquillo, non avrei
rifiutato. E sia, vi dirò la verità: volevo vedervi, Tristan, così ho colto
l’occasione al balzo per fuggire da mio marito. Vi propongo una cavalcata;
perché non vi unite a me e ad André, e ci fate compagnia? Solo se non avete
altri impegni più urgenti, ovviamente…”
“Nessun impegno, per quanto
urgente, mi terrebbe lontano da voi, madame. Vi accompagno, più che
volentieri.”
“Bene. Allora, vi aspettiamo
vicino alle scuderie.”
La contessa sorrise e si voltò
per uscire dalla stanza, seguita da André, e non si accorse della rapida
occhiata che i due uomini si scambiarono per studiarsi a vicenda. Un’ intesa
muta, rivelatrice di molto ma non di tutto, e anche piena d’interrogativi, cui
Tristan voleva dare risposte.
Lasciata la villa, i tre
cavalieri s’inoltrarono tra il verde delle colline e i pianori che si
allungavano per chilometri lungo la costa, come tappeti erbosi stesi su costoni
di roccia bianca. I cavalli mantennero un’andatura sostenuta per svariati
minuti, poi rallentarono un po’ la corsa. In prossimità degli alberi sparsi
come grandi macchie lungo i percorsi, si godeva della frescura dei luoghi.
Tristan e Danielle cavalcavano
affiancati, i cavalli guidati al passo, lungo un sentiero che si snodava
attraverso una vasta radura.
André li seguiva a breve
distanza, discreto e silenzioso, l’aria assorta nei ricordi lasciati in una
locanda vicina al porticciolo di Etretat, senza curarsi affatto della
conversazione distesa che coinvolgeva la contessa e Tristan. Parlava solo se
interpellato; per tutto il resto del tempo osservava il paesaggio attorno,
coglieva i fruscii dei cespugli mossi dall’aria, il movimento improvviso di un
uccello che si alzava in volo.
Sentì Danielle emettere una
risata spontanea. Tristan era capace di alleggerire il suo spirito inquieto, lo
faceva con semplicità naturale, e André si sentì grato a quell’uomo, che
riusciva dove lui non era in grado di arrivare.
E ci riusciva per la semplice
ragione che era innamorato della gemella di Oscar, e lui questo lo avvertiva
con profonda chiarezza. Sarebbe stato tutto più semplice se Danielle avesse
ricambiato il giovane Laundes; ci aveva sperato e ci sperava ancora, un po’
vigliaccamente.
Intuiva nonostante tutte le
riserve di Danielle, che tra loro due c’era una sintonia particolare, un
potenziale incastro perfetto di anime e pensieri, e lui ne sarebbe stato
sollevato, perfino dalla paura di vederla soffrire per quel rifiuto che presto
le avrebbe imposto.
Stava per dirglielo poco prima
se lei non lo avesse interrotto, se lei non gli avesse aperto per l’ennesima
volta il suo cuore. Con che coraggio, di fronte alla sua appassionata confessione
d’amore, poteva dirle che l’avrebbe abbandonata, per tornare da Oscar? Quel
pensiero opprimente versava veleno amaro su un cuore che aveva ritrovato il
gusto più dolce della felicità. Non esisteva un rimedio. Una lama stava per
trafiggere il cuore di Danielle, e la mano carnefice pronta a colpita era la
sua.
Perso nell’intimo conflitto dei
suoi pensieri, André si accorse tardi del cavaliere che li seguiva, protetto da
un folto gruppo d’arbusti che lo nascondeva alla loro vista. Si manteneva a
considerevole distanza, probabilmente per non farsi notare o riconoscere. In
effetti fino a quell’istante, nessuno aveva fatto caso alla sua presenza.
Ma André capì subito chi era.
Bloccò le redini del suo cavallo, mentre guardava la figura lontana dileguarsi
nella macchia scura delle foglie.
Tristan e Danielle proseguirono
la loro marcia, distanziandolo, apparentemente ignari di ciò che accadeva alle
loro spalle.
Quando finalmente si accorsero che
André era rimasto indietro, si fermarono per capire cosa fosse successo.
Danielle lo chiamò con tono apprensivo.
“André? Qualcosa non va?”
André in fretta smontò da
cavallo, e li raggiunse sollecito. Tristan notò l’atteggiamento ansioso, e non
solo quello, e non fu del tutto sorpreso di sentire il segretario rivolgersi a
lui.
“Scusate Messieur De Laundes,
posso chiedervi di accompagnare la contessa fino a casa? Vedete, mi sono
accorto che il mio cavallo ha perso un ferro dello zoccolo. Non posso proseguire
insieme a voi, rischio di azzoppare l’animale. Verrò a piedi, voi andate
avanti, non aspettatemi.”
“Che disdetta André: dovrete
camminare per un bel pezzo di strada. - Commentò Tristan, pacato, ma André
colse in quegli occhi freddi un pizzico di sospetto. – Non preoccupatevi per la
contessa, l’accompagnerò io. Lungo la strada troverete la casa del maniscalco;
lì, potrete far ferrare il vostro cavallo.”
“D’accordo. Vi ringrazio.”
I cavalli ripartirono a sprone
battuto. Quando Danielle e Tristan furono abbastanza lontani da non poterlo
vedere, André rimontò in sella. Partì al galoppo nella direzione opposta.
§§§§§
Tristan vide per una frazione di
secondo il misterioso cavaliere nascosto tra il fogliame degli alberi. Fu un
attimo, sufficiente a cogliere quella figura di spalle, avvolta in un mantello
scuro allontanarsi in fretta. Non l’aveva visto in faccia, ma da sotto le falde
del cappello che lo nascondeva era sfuggita una lunga ciocca di capelli biondi;
un ricciolo impertinente e selvaggio serpeggiò sollevato dall’aria, e gli
ricordò i meravigliosi capelli color del grano di Danielle. La cosa lo
impressionò.
Non aveva detto nulla a
Danielle, né aveva creduto alla convincente scusa inventata in fretta dall’ex
attendente, ma lo aveva assecondato. Tristan era certo che André si fosse
accorto del cavaliere, ed era convinto che il segretario conoscesse l’identità
della persona che li stava seguendo.
Una spia del conte non poteva
essere.
Nel
passato di André stavano le risposte che cercava, e Tristan rifletté sul breve,
ma significativo scambio di battute avute con l’uomo appena mezzora prima.
“So che fino a poco tempo fa,
voi eravate a servizio come attendente presso la famiglia d’origine della
contessa, André. Che io sappia, Madame Recamier ha soltanto sorelle più
vecchie, dunque immagino che foste al seguito di suo padre, il Generale
Jarjayes.”
“No
signore. - Aveva risposto André, con un tono rigido che mirava a scoraggiare
altre eventuali curiosità. - Ero al servizio del Colonnello Oscar François De Jarjayes,
Comandante delle Guardie Reali di Sua Maestà.”
Era la prima volta che Tristan
sentiva nominare quell’ufficiale.
Un po’ sorpreso, aveva guardato
Danielle, aspettandosi una spiegazione, che non era arrivata. Anzi, gli parve
che la contessa fosse a disagio. Era rimasta in silenzio, le labbra serrate e
rigide, e gli fu chiaro che né lei, né André volevano parlargli di questo
fantomatico Oscar.
Chi era costui? Un fratello
misconosciuto? Un cugino della contessa?
E perché sembrava aleggiare come
una presenza fantasma, tra Danielle e André? Al nominare quel nome aveva colto
l’inquietudine passare come un’ombra sui volti dei due.
Alla mente gli si aprivano
retroscena oscuri e inquietanti, mai ipotizzati fino a quel momento; forse non era
dal marito che la contessa stava fuggendo, ma da segreti famigliari ben più
terribili e inconfessabili.
Perfino dietro il casato più
blasonato e rispettabile di Francia, poteva celarsi la più abbietta e
innominabile perversione tra consanguinei; Tristan sapeva benissimo cosa
accadeva nei palazzi dell’aristocrazia più insospettabile di Parigi, teatri del
vizio più corrotto, luoghi dove uomini e donne si concedevano senza pudore ai
più depravati, vergognosi piaceri della carne, dove si consumava nel silenzio
perfino l’incesto e la violenza.
Tristan guidava il suo Faust, al
fianco di Danielle. Studiava il bel profilo altero e inaccessibile,
l’espressione troppo seria e sulla difensiva, osservandola di sottecchi. Non
mancava molto alla villa, e non voleva raggiungerla prima di aver parlato
liberamente con la contessa, e se possibile scoprire quello che lei ancora si
ostinava a voler nascondere. Doveva farlo finché fossero rimasti soli.
Provvidenziale il fatto che
André fosse rimasto indietro.
Non voleva interferenze esterne.
“Vi fidate ciecamente del vostro
caro André, vero? Ma io credo che il vostro amico vi nasconda qualcosa,
Danielle…” esordì diretto.
“Che intendete dire? Cosa
dovrebbe nascondermi André? State lavorando troppo di fantasia, Tristan…”
“Io non direi. Oggi il vostro
segretario mi è apparso alquanto strano…” poi, in silenzio, puntò lo sguardo
davanti a sé, come se fosse concentrato a seguire la strada. In realtà, la
pausa voleva cogliere Danielle nella sua reazione più spontanea, che arrivò come
Tristan si aspettava.
“Danielle, perché non mi avete
mai detto di avere un fratello?”
“Perché non ho fratelli.” Fu la
risposta secca, quasi ostile.
Danielle si bloccò e sembrò
voler restare chiusa in un assoluto mutismo. Ma Tristan era più che mai determinato
a sapere la verità, in un modo o nell’altro.
“Sapete Danielle, il vostro
ostinato silenzio m’inquieta molto; cosa può esserci di così terribile da non
poterne parlare? Questo vostro parente… Oscar… che cosa vi ha fatto? E cosa
c’entra André in tutta la vicenda? Credo che anche lui sia coinvolto, e forse
dovremmo parlare della vera ragione che vi ha spinto fin quaggiù. Qualcuno vi
ha fatto del male, o vuole farvene?”
“Cosa? Ma no! – Gridò Danielle.
- Cosa andate a pensare!”
“Allora, ditemi chi è Oscar,
altrimenti penserò il peggio di questo misterioso personaggio che vi sconvolge
tanto, di cui sembrate restia a parlare…”
“Vi ha già risposto André; è il
Colonnello delle Guardie Reali, e questo non è un segreto per nessuno.” La
contessa tentò ancora di glissare, ma invano.
“Questo lo so, e André era
l’attendente del Comandante, ma lascia quell’incarico per seguire voi. È
veramente un fatto curioso. Non mi state dicendo tutto, e non capisco perché.
Non avete fiducia in me, madame? Io potrei aiutarvi…”
“Non ho bisogno d’aiuto,
Tristan… non corro nessun pericolo.”
“Meglio così, madame. Ma vi
prego, vorrei capire. Siete in cattivi rapporti col Comandante delle Guardie
per qualche motivo grave che non potete dirmi?”
Danielle restò in silenzio per
lunghi minuti, pensierosa e indecisa, lo sguardo basso posato sulla criniera
del suo cavallo. Dopo, le parole uscirono in un sussurro quasi timoroso.
“Oscar
François De Jarjayes è mia sorella…”
“Come avete detto?” Incredulo,
Tristan pensò di aver capito male.
“Avete capito benissimo. Oscar è
una donna, avviata da mio padre alla carriera militare fin dalla più tenera
età, addestrata e istruita a questo scopo esattamente come un uomo. A corte, è
un personaggio molto popolare, sapete? Mi sorprende che non abbiate mai sentito
parlare di lei…”
“No, madame. Frequento poco
Versailles, ma se avessi incontrato una donna singolare come vostra sorella, me
la ricorderei, senza dubbio…”
“Sì… questo è certo…”
Le
cose iniziavano ad avere un senso, nonostante le incognite ancora da chiarire.
Alla
luce di quella rivelazione sorprendente, che apriva nuovi scenari
inimmaginabili, Tristan fu quasi sicuro dell’identità del misterioso cavaliere
biondo che li aveva seguiti; se come pensava, si trattava davvero di quella
donna soldato, l’espediente del segretario per isolarsi dal loro piccolo
gruppo, assumeva tutt’altro significato. Una donna, Colonnello delle Guardie
Reali di Palazzo e il suo attendente; chissà quanti pettegolezzi giravano
attorno a quei due, e quanto c’era di vero.
Non
c’erano prove a dimostrare la sua ipotesi, ma l’atteggiamento rivelatore di
André assomigliava all’ansia tipica di un amante impaziente che corre incontro
all’oggetto del suo desiderio.
********
André pungolò i fianchi del suo cavallo
con una tale foga, che l’animale emise un deciso nitrito di disappunto,
sollevando le labbra scure a mostrare i grossi denti. Passò attraverso la
boscaglia e la raggiunse dopo un breve percorso.
Era scesa da cavallo. Lo
attendeva con le redini in mano, protetta dalle foglie delle piante, il
mantello gettato sulle spalle. Sentì il rumore sordo degli zoccoli battere
sull’erba umida. Lui tirò con forza le redini e saltò veloce dalla sella. Oscar
si era già mossa prima che i suoi piedi toccassero terra. Si tolse il cappello
e fu tra le sue braccia che le cinsero le spalle come se volessero proteggerla
e custodirla, mentre lei si aggrappava alla schiena di André con i palmi
all’altezza delle sue scapole, e da lì, scendevano e salivano in carezze lente e
sensuali.
Lui sussurrò il suo nome tra il
profumo dei suoi capelli, e un istante dopo fu sulle sue labbra, affamato del
suo sapore fresco, immerso nella gioia sublime di sentire la sua lingua che
inseguiva e accarezzava la sua. Le parole si spezzavano, perse tra un bacio e
l’altro, sospirate appena sulle labbra morbide che si sfioravano, pelle tiepida
e umida che regalava teneri brividi.
“Oscar, hai rischiato che ti
vedessero…” sussurrò rauco André sulla sua guancia, mentre i baci scendevano
sul collo lasciato scoperto che Oscar gli offriva.
“Vi ho visto passare e non ho
resistito… volevo vederti… esserti vicino… così vi ho seguiti. Non ho mai
invidiato Danielle così tanto come adesso.”
“Non invidiarla. Lei non ha
questo… Tu travolgi i miei sensi, Oscar… rapisci la mia mente.”
I baci percorsero la gola di
cigno e poi risalirono di nuovo verso le labbra. Oscar faticava a mantenersi
lucida, il cuore infiammato dal trasporto, il corpo posseduto da brividi.
“Non volevo farmi notare da
loro… solo da te… – Un nuovo gemito soffocato fu la risposta sulla bocca di
André che ritornò a cercarla, avida e impetuosa. – Quando ti sei accorto di me,
mi sono allontanata lentamente, per darti il tempo di raggiungermi…”
“Non mi aspettavo d’incontrarti
che fra qualche ora… - André rise un po’ – ho adottato la prima scusa che mi
venisse in mente per liberarmi di loro… e raggiungerti.”
“Speravo lo facessi…”
La baciò ancora, dolce e
irruento, sul volto, sulle labbra schiuse.
La trattenne di più, una mano
alla sua nuca, intrecciata ai capelli biondi e l’altra a circondarle la schiena
e stringerla contro il suo corpo; la sua virilità avvertiva tutta la tenerezza
conturbante del fisico di Oscar, le sue cosce nervose e tese premute contro i
suoi muscoli duri, il bacino che sfiorava il suo e lo accarezzava, il morbido
seno di Oscar protetto contro il suo petto, sotto cui il cuore batteva
impazzito di emozione selvaggia.
“Vieni da me appena puoi, André…
fai in fretta, ti prego… ti aspetterò alla nostra locanda.”
“Verrò Oscar. Nulla mi terrebbe
lontano da te… Mai più.”
Oscar sollevò la testa. Voleva
guardarlo negli occhi, immergersi nel suo sguardo, e colmarsi di lui. Lo
desiderava, e voleva che lui capisse quanto.
“Voglio fare l’amore con te, -
gemette provocandolo - e voglio farlo tutta la notte, André.”
La bocca del giovane amante si
piegò in un sorriso compiaciuto.
“Non tentarmi Oscar…”
“E tu non resistermi; non
tornare alla villa, questa sera… domani penseremo ad una scusa per Danielle.”
“Oh, che scusa potrei mai
trovare? Prima o poi dovrò dirle la verità; è una cosa che non potrò rimandare
in eterno. Ora non è proprio il momento, con l’arrivo imprevisto di Leopold.
C’è troppa tensione negli animi di tutti. Ti prego Oscar, abbi pazienza ancora
un po’.”
Lei lo strinse possessiva, e gli
rispose dolcemente indispettita.
“Lo sai che non è una delle mie
virtù.”
“Lo so, mio bellissimo
Comandante, padrona del mio cuore…”
Lei sgranò gli occhi e rise. Una
risata bassa che saliva dall’anima.
“Come fai a dire certe cose?” Chiese
impressionata, le guance un poco arrossate.
Infine, si lasciò ammaliare e
vincere dalla bocca di André, che sigillò di nuovo le sue labbra in un bacio
profondo e sensuale per fondere insieme i loro respiri.
*******
Presso la mia dimora, mi fu riferito che il conte era
rientrato da poco.
Aveva chiesto di me e di André; volle sapere se avevo
passato il pomeriggio in sua compagnia o se avevo incontrato altre persone. E
indagò anche su Tristan, facendo domande insinuati sulla nostra amicizia. Non c’era
giorno che non ribadivo il mio desiderio che se ne andasse al più presto, e per
dispetto, con l’evidente intenzione di creare disagio tra me e André, Leopold
prolungava il suo soggiorno, inventandosi infinite scuse per non partire e
tornare a Parigi: accusava indisposizioni che lo costringevano a letto,
immaginari dolori di varia natura che gli impedivano quel viaggio scomodo.
Mi sembrava davvero puerile e irritante il suo
atteggiamento, quel suo inutile opporsi ad eventi e situazioni che non si potevano
più fermare.
Non volevo più essere sua moglie, di fatto non lo ero più
da tempo, dalla nascita del nostro secondogenito. Entrambi eravamo migrati in
altri letti a cercare i nostri piaceri; ciascuno si era consolato in altre
braccia, solo per una notte, o per giorni quasi infiniti.
Ma quella non era una vita che potevo continuare a
condurre, né vi sarei più riuscita.
“Perché non tornate dalla vostra Lisette e mi lasciate in
pace? Avreste anche una figlia a cui pensare…” gli dissi piccata quell’ultima sera.
Era da poco passata l’ora di cena, e stava imbrunendo il
cielo contro l’orizzonte. Andrè si era allontanato senza dire niente, come
faceva oramai da giorni, e non era ancora rientrato dalla sua passeggiata
solitaria. Io ero dilaniata dall’ansia che mi gravava sul petto, ma non osavo
chiedere spiegazioni, che non era tenuto a darmi. Mi bastava che lui tornasse e
il mio cuore si placava.
“Tornerò a Parigi, quando lo riterrò opportuno, madame.
Non prima di aver salvaguardato gli interessi del nome che porto. Per fortuna,
quel vostro servo ha la decenza di non farsi vedere troppo in giro, ma insiste
a girarvi attorno tutto il giorno. Ma vi giuro che prima del mio ritorno a
Parigi, farò in modo di allontanarlo da voi.”
“Mi minacciate? Perdete solo il vostro tempo e il mio.
Non recederò dalle mie intenzioni. Se, come dite, non possiamo divorziare, farò
in modo che il nostro matrimonio venga annullato. So anche a chi potrei
rivolgermi per perorare la mia causa: il cugino del Re non mi negherebbe mai il
suo aiuto, e vi assicuro che saprei quali tasti toccare per portare il Duca
D’Orleans dalla mia parte. A quel punto, basterebbe la sua pressione e il suo
potere, e sapete quanto sia influente. E lasciate stare André, non siete degno
neppure delle sue scarpe; è l’uomo più corretto che conosca, e nella nostra
disputa non c’entra nulla.” [2]
Dopo quelle mie parole, Leopold comprese davvero quanto
fossi determinata. Si sentì profondamente insicuro, e la cosa andava solo a mio
vantaggio.
“Volete insistere in questa cosa ridicola?!”
“Avete già la mia risposta.”
Chissà se Lisette aveva calcolato questa mia mossa,
quando mi aveva proposto di lasciare mio marito; era un’alternativa che stavo
valutando solo di recente.
L’amante di Leopold non era una donna sciocca; alla fine,
si stava rivelando una perfetta stratega e il suo azzardo provocatorio non era
stato altro che la miccia che brucia e fa scoppiare tutto. Un’esca a cui
Leopold non avrebbe mai abboccato direttamente, e lei aveva aggirato l’ostacolo
con abilità, proponendo a me qualcosa d’impensabile e contando sul mio
desiderio d’indipendenza.
Sì, un’idea davvero astuta, pensata con
grand’intelligenza, una di quelle che solo noi donne potremmo concepire. A
distanza di tempo, lo comprendevo pienamente.
Quella sera André non tornò.
Ma io lo scoprii solo il mattino successivo, quando
Ninette venne a chiamarmi, trafelata e impaziente.
Facevo colazione nel mio salottino privato, e con un
coltello spalmavo marmellata su una fetta di pane imburrato.
“Signora contessa, venite presto!”
“Cosa c’è Ninette? Perché tanta agitazione?!”
“Vengo dalla stanza del signor conte: è riverso per terra
sul pavimento, accanto al letto. Sembra morto…”
“Cosa? – Mi alzai in piedi. - Ieri sera stava benissimo.”
Dissi, ricordando l’ultimo alterco della sera precedente.
Seguii in fretta la cameriera, su per lo scalone che
portava al piano nobile, fino alla camera di mio marito. Entrai e non vidi
subito il corpo, nascosto dietro le alte sponde del letto a baldacchino.
Notai la pesante tenda ricamata strappata parzialmente
dai ganci a cui mio marito doveva essersi aggrappato mentre cadeva per terra,
ammassata in pieghe gonfie e scomposte sul tappeto ai piedi del letto.
Lì accanto, giaceva immobile Leopold, il corpo in una
posa innaturale coperto da una vestaglia bianca, e da sotto l’orlo uscivano i
polpacci nudi.
“Vai a chiamare André…” dissi alla mia cameriera, con una
freddezza che stupì me per prima, senza staccare gli occhi dalla scena che
avevo davanti, grottescamente illuminata dalla luce rada che entrava dalla
finestra.
“Non è in casa, madame. Credo che abbia passato la notte
fuori, perché ho trovato il suo letto intatto, quando sono andata a chiamarlo.”
Mi disse Ninette, e io non ebbi il tempo di turbarmi per la scoperta.
Mi avvicinai per scuoterlo, lo chiamai, ma quando le mie
mani si posarono sopra di lui, sentii sotto la pelle attraverso il tessuto di
batista, il freddo rigore della morte. Guardai il suo viso pallido e mi accorsi
che le labbra iniziavano a prendere un colore violaceo.
Compresi cosa fosse accaduto e sgranai gli occhi, perché
non provai altro che profondo stupore. Leopold, un uomo ancora nel vigore degli
anni, mi lasciava vedova, e orfani di padre i miei figli.
Pensai a Monique e Bastien e provai pena per le mie
piccole creature. Troppo piccole, soprattutto Bastien che diventava da
quell’istante il nuovo Conte di Recamier.
E Andrè quella mattina, la più inaspettata e assurda
della mia vita, non era accanto a me.
Continua…
Eccomi, e anche prima del previsto!
Non vi aspettavate il colpo di scena, vero? O forse, sì?
In realtà, devo ringraziare Tixit, perché è stata lei a
suggerirmi la cosa, tempo fa. Io la stavo valutando, ma sono stata indecisa
fino all’ultimo, - mi sembrava troppo semplice - poi ho capito che era una
soluzione probabilmente necessaria e inevitabile, e Leopold è un personaggio
sacrificabile, almeno ai fini di questa storia.
Grazie sempre per i commenti, e spero che abbiate ancora voglia
di seguirmi. Alla conclusione non manca molto, non abbandonatemi proprio adesso!
Alla prossima.
Ninfea
[1]Non ho mai descritto le fattezze di Tristan, ma ho descritto
quelle del fratello per contrasto.In
realtà, io immagino che abbia l’aspetto di un altro personaggio che amo molto… avete
presente il mio avatar? O anche, per chi la conosce, la versione anime 2005 de
“La maschera di vetro” ? Ecco, secondo me, come potrebbe essere quel
personaggio, tolta la maschera di freddo cinismo dietro cui si nasconde.
[2]In un capitolo precedente, avevo accennato alla cosa, ricordate?
Una traccia vaga che si ricollega a quello che sta dicendo Danielle qui.
Un
vento fastidioso e insolitamente freddo soffiava sull’ altopiano.
Faceva
ondeggiare le chiome degli alberi e accarezzava i fili d’erba sul terreno,
stropicciando le pieghe delle vesti nere femminili. A intervalli, una raffica
più forte gonfiava i mantelli degli uomini presenti, nobili signori di Etretat
che abitavano nella zona, conoscenti della famiglia di Recamier.
Anche
Tristan De Laundes era presente, ma più defilato verso l’esterno del gruppo.
L’espressione sul viso seria e concentrata, in realtà era più vigile e attento
di quanto non sembrasse, all’ambiente che lo circondava, con le gambe
leggermente divaricate, e l’atteggiamento composto con le mani foderate dai
guanti, soprapposte davanti al busto.
I
suoi occhi avevano già colto una presenza sfuggita a tutti gli altri, qualcuno
che era deciso ad incontrare.
La
contessa di Recamier, giovane vedova dall’incarnato niveo, celava il volto e i
turbamenti dietro un’impalpabile veletta di tulle trasparente.
Vestita
di prezioso cangiante raso nero dai riflessi blu, era davanti a tutti, al
cospetto del sacerdote che recitava l’omelia di dolore, affiancata dal suo
affascinante segretario e dalla fedele Ninette che accompagnava i due figli.
Era
bellissima, con i capelli che risaltavano come oro liquido contro l’abito a
lutto, altera e inaccessibile, dignitosa e padrona di sè. Se fosse affranta,
serena o indifferente, restava un mistero custodito dietro una maschera immota
di emozioni indecifrabili. Con un gesto lento e calmo della mano, posò una rosa
legata da un nastro nero sulla bara, e non rivelò alcun sintomo di commozione.
Non
ci furono singhiozzi sommessi, né lacrime. A vederla così fredda e
inespressiva, qualcuno dubitò del suo effettivo dispiacere, ma restò un
pensiero inespresso.
Nelle file più indietro, il
personale di servizio della villa, le cameriere, la cuoca, un cocchiere e gli
stallieri erano riconoscibili dall’abbigliamento modesto, le gonne di tela
grezza delle donne, gli scialli di lana pesante sulle spalle, e gli uomini,
composti e umili, con i cappelli di feltro e lana grezza stretti tra le mani,
in segno di rispetto per il defunto. C’era chi tra loro era sinceramente
commosso.
Non c’erano cappelle di
famiglia, lì a Etretat, solo un piccolo cimitero esterno al grande giardino
della villa, una linea retta di croci latine e tombe di marmo e pietra, che
custodivano le spoglie di antichi padroni e discendenti.
Oscar seguiva le esequie a
distanza, lontana e al riparo ai margini del bosco che delimitava i
possedimenti della villa.
Dal punto in cui osservava la
scena, il gruppo delle figure disposte a semicerchio, le suggeriva un’immagine
grottesca: le parevano enormi corvi neri disposti attorno alla fossa, dove
stavano per deporre le spoglie mortali del cognato. Li immaginava avventarsi
come avvoltoi su una carcassa, pronti a spolparne le carni e lasciare solo le
ossa bianche. Tra qualche giorno, alla lettura annunciata del testamento del
Conte di Recamier, si aspettava sarebbe accaduto esattamente questo.
Chiuse gli occhi, tentando di
scacciare quell’idea malsana e inquietante.
Aveva lasciato il suo cavallo
poco lontano, preferendo avvicinarsi al cimitero a piedi. Non voleva essere
vista, né rivelare tanto presto la sua presenza lì, soprattutto alla sorella
Danielle, neppure in quella drammatica circostanza.
E altro c’era in gioco. Troppo
per rischiare di uscire allo scoperto. Meglio aspettare tempi più opportuni e
favorevoli, anche se le sorgeva il dubbio se sarebbero mai arrivati. Stava per
scoprire che il suo scrupolo era inutile.
La morte di Leopold, improvvisa
e drammatica, si rivelò un evento funesto oltre ogni previsione. Il presunto
attacco di cuore fu smentito dal medico di fiducia che aveva esaminato il corpo
il giorno stesso del decesso, riscontrando sulla lingua viola e gonfia, quelle
che erano le tracce evidenti di un avvelenamento.
All’apprendere la notizia,
Danielle aveva manifestato una profonda costernazione, così le aveva detto
André. All’inizio, la contessa reagì alla tesi del medico con scetticismo e sincera
incredulità, poi si era dovuta arrendere all’evidenza dei fatti, che parlavano
da soli. La camera era stata esaminata da cima a fondo, e la brocca dell’acqua
sul comò, era stata trovata vuota per metà.
Era presumibile che il veleno
fosse stato assunto così.
I nemici del conte di Recamier
potevano essere tanti, e tutti insospettabili, ma si doveva restringere il
campo dei colpevoli alle persone vicine a lui, o almeno ai residenti alla
villa, compresi i domestici, tra i quali c’era anche André. La tranquillizzava
un po’ il pensiero che per quella sera maledetta, lui aveva un alibi perfetto,
che avrebbe confermato lei stessa, senza esitazione, se fosse stato necessario.
Ma l’angoscia restava. Chi aveva ucciso il cognato, e perché? Oscar aveva tutta
l’intenzione di andare a fondo della faccenda, un po’ per il suo spiccato senso
di giustizia, e un po’ per il bene di Danielle, che forse stava riponendo la
sua fiducia in una persona sbagliata. L’assassino aveva usato il veleno, dunque
era necessario trovare lo speziale che l’aveva procurato e magari prodotto.
E Oscar sapeva dove trovarne
uno, lì a Etretat.
Senza fretta, stava tornando
verso il suo cavallo, lasciato all’interno della boscaglia. Il piede infilato in
una staffa, si era già issata sulla sella, quando sentì una voce sconosciuta
chiamarla per nome. Si bloccò sorpresa.
“Oscar François De Jarjayes!!’’
Si volse alle sue spalle e vide
il giovane Tristan De Laundes, l’amico di Danielle di cui André le aveva
parlato, avvicinarsi velocemente. Sgranò gli occhi contrariata e diffidente,
rendendosi conto di essere stata scoperta.
L’uomo fu davanti a lei, e Oscar
lo accolse con l’espressione più distaccata che riuscì a trovare.
“Madamigella Oscar…” la chiamò
di nuovo. L’espressione dell’uomo che ora la fissava, rivelava un sincero
stupore, ma si ricompose quasi subito, tornando distesa.
Lei si prese qualche secondo per
osservarlo con attenzione: l’uomo che aveva davanti era di bella presenza, alto
quanto André, un fisico armonioso e proporzionato, lineamenti marcati ma
eleganti, capelli mossi biondo/cenere legati da un nastro, e occhi grigi come
freddo metallo. Un uomo d’indiscutibile fascino, capace di far palpitare il
cuore di una donna. Un cuore come quello di Danielle, pensò Oscar.
“Mi conoscete, vedo…” fu il solo
commento, espresso con voce neutra.
“La contessa mi ha parlato di
voi; nonostante l’abbigliamento maschile, Comandante, non ci si può ingannare
sulla vostra natura. Siete identica a Madame Recamier, in maniera direi
sorprendente. E siete bellissima…”
“Lasciate stare i complimenti,
non servono. Cosa volete, Messieur De Laundes?” chiese asciutta, dimostrando di
sapere benissimo con chi stava parlando. Tristan assottigliò lo sguardo, per
nulla in soggezione, fissandola con maggior insistenza. Chi altri, se non
André, poteva averle parlato di lui?
“Volevo conoscervi, Comandante.
Sapere cosa vi porta in Normandia… e perché non rivelate a Danielle la vostra
presenza. A maggior ragione ora, dopo quanto accaduto a vostro cognato.”
“Non è cosa che vi riguardi.”
Altra risposta asciutta, che
avrebbe scoraggiato chiunque dal porle nuove domande. Ma Oscar non conosceva
l’ostinazione caparbia del giovane gentiluomo che aveva davanti.
“Forse potrei fare la stessa
domanda ad André, magari lui mi risponderebbe diversamente…”
Osò provocarla.
Fu il turno di Oscar di
assottigliare lo sguardo che si fece tagliente, quanto l’acciaio freddo di una
lama. Uno sguardo, pensò Tristan, che non aveva nulla in comune con quello più
dolce della gemella. Due donne identiche nell’aspetto, profondamente diverse
per animo e temperamento, eppure mosse da comuni sentimenti. Lo colse
inaspettato un brivido lungo la schiena e gli fu facile immaginare quegli
stessi occhi color cielo estivo, bruciare d’altrettanta passione amorosa. Ne fu
affascinato, suo malgrado, e intuì la forza sovraumana dei sentimenti che
muovevano André, un rivale che non era tale, un uomo totalmente avvinto, che
apparteneva corpo e anima a quell’amazzone bionda e fatale che osava sfidarlo
senza paura, abituata a lottare per difendere chi amava. Non poteva dire di
conoscerla, ma Oscar François De Jarjayes gli ispirava forza, determinazione,
coraggio indomito e onestà d’intelletto. Sentì di poter provare vera profonda
ammirazione per una donna tanto straordinaria. Notò la spada al fianco, quasi
un’estensione naturale di lei, e immaginò che fosse maestra nell’usarla.
“Non voglio insistere,
Comandante. Sono certo che avremo occasione di riparlarne. - Si voltò per
allontanarsi di pochi passi, poi tornò a puntare l’attenzione su di lei.
Sorrise con decisione, e Oscar spalancò gli occhi, cedendo le armi. – Spero un
giorno di potermi misurare con voi, madamigella Oscar; sono sicuro che siete
abilissima con la spada. Sarà un’esperienza interessante, mi auguro non troppo
umiliante per me.”
La salutò con un gesto della
mano prima di allontanarsi nella direzione da cui era giunto, e non si accorse
della piega ironica che assunsero le labbra di Oscar. Nessun uomo, a parte
André, aveva mai osato parlarle in maniera tanto schietta, e questo era un
punto a suo favore. Pur senza alcuna conferma diretta, Tristan fu sicuro di una
cosa: i sentimenti d’amore che Danielle nutriva per il suo avvenente
segretario, erano destinati a non essere mai corrisposti. Per quanto il
pensiero fosse miserabile, e gli procurasse un sottile cruccio, lui non poteva
fare a meno di gioirne.
§§§§§§§§
Il lutto che mi aveva colpita,
imponeva all’esterno la mia afflizione di vedova inconsolabile, ma in realtà
non potevo fare a meno di pensare con profondo sollievo che ero una donna
finalmente libera!
Non potevo mostralo apertamente,
senza risultare scandalosa, addirittura volgare nei sentimenti, ma superate le
primissime ore di confusione e sbigottimento, in cui avevo realizzato
l’effettiva portata dall’evento, per me non esisteva gioia più grande. La morte
di mio marito, per quanto tragica e preoccupante, non mi procurava nessuna pena
intollerabile. Inutile fingere sentimenti inesistenti nel mio cuore.
La vaga tristezza che provavo
era riguardo ai miei figli e alla loro sofferenza. Subito dopo il funerale,
decisi di mandare Monique e Bastien per qualche tempo da mia sorella Orthense,
che soggiornava col marito e i tre figli nel Nord della Francia. Sarebbe stato
solo un bene per loro cambiare ambiente e allontanarsi da Etretat per un po’,
in un momento delicato come quello.
Probabilmente del padre
avrebbero sentito la mancanza, per quanto i contatti tra loro erano sempre stati
sporadici e chiusi in una forma obsoleta di rispetto senza slanci d’autentico
affetto paterno. Leopold non era mai stato un padre particolarmente presente,
semmai si era maggiormente interessato al suo erede maschio per una questione
d’orgoglio patriarcale, riponendo il lui le aspettative tipiche del lignaggio:
onore, discendenza, prestigio della famiglia Recamier fedelissima alla Corona e
trarne così tutti i privilegi possibili.
Però non potevo trascurare la
gravità di ciò che era accaduto. Avevo chiesto al dottor Morisot di mantenere
il più assoluto riserbo sui fatti e lo avevo vincolato al segreto.
Ufficialmente, per amici, conoscenti, famigliari diretti e indiretti, Leopold
era morto per un malore improvviso.
Ma tutti quelli che vivevano
alla villa, sapevano la verità.
Mio marito era stato avvelenato
nella mia casa, da qualcuno che forse mi viveva accanto, e io non sapevo su chi
puntare i miei sospetti, di chi fidarmi e di chi no, né potevo credere che
l’assassino si fosse introdotto dall’esterno, furtivo e in piena notte, per
compiere il suo delitto. Le modalità non lo lasciavano supporre.
André quella notte non era
rientrato. Questo solo sapevo.
Questo dettaglio inquietante mi
metteva in ansia, ma non volevo credere che fosse stato lui.
E perché poi? Per risentimento?
Vendetta? Paura?
No, André non avrebbe mai fatto
una cosa tanto ignobile, neppure al peggiore dei suoi nemici. Era un ragazzo di
buon cuore, corretto e leale, onesto e integro. E io lo amavo. Per quanto la
cosa mi ripugnasse, come se mi macchiassi di un vergognoso tradimento, dovevo
affrontarlo e chiedergli quelle spiegazioni che temevo di ricevere.Cosa o chi, lo aveva tenuto lontano dalla
villa, quella notte?
Già… Chi.
Questa era la domanda che più mi
atterriva; implicava ciò che mi rifiutavo di considerare, ma accanto, avevo chi
mi avrebbe costretto a farlo.
Le persone che erano al mio
servizio le conoscevo da anni; era gente scrupolosa e fidata, in qualche caso
affezionata alla famiglia Recamier da più di una generazione, tra padri e
figli. Si trattava di persone semplici, che conoscevano solo una vita fatta di
sacrifici e lavoro duro. Fra loro non poteva esserci qualcuno pronto a
uccidere.
Per quale motivo, poi?
L’uso del veleno, un mezzo
discreto in uso perfino a Versailles, che finiva nei cibi e nelle bevande delle
vittime, implicava una strategia precisa e molto ben calcolata; una tattica da
aristocratico. Così con un senso acuto di nausea, avevo sospettato anche di
Tristan; che fosse innamorato di me al punto di uccidere per avermi? Per la
stessa ragione, avrebbe potuto far del male anche ad André?
L’idea in sé, mi parve
intollerabile. Non pretendevo di comprendere ogni lato della personalità di
Tristan, ma potevo escludere sarebbe mai arrivato a tanto, anche travolto dalla
gelosia più nera. E con Leopold non c’era stato alcun contrasto, lo avrei
saputo.
Alcuni giorni dopo, ci fu la
lettura del testamento davanti ad un notaio, che non presentò grosse sorprese;
i due figli legittimi del Conte Leopold Remy di Recamier erano gli eredi
diretti delle sue fortune, che io avrei gestito fino alla maggior età. A me
restavano possedimenti, terreni da cui ricavare profitti e beni patrimoniali di
valore considerevole, come la villa a Etretat, Palazzo Recamier a Parigi e la
villa in campagna. Come sospettavo, Leopold aveva previsto un discreto
vitalizio anche per Margot, frutto di una relazione adultera, riconosciuta come
figlia legittima a tutti gli effetti. Madame Lisette De Marchard non era
presente alla lettura del documento, e probabilmente tuttora ignorava la morte
di Leopold, ma c’era una lettera del notaio pronta per lei; zia della bambina,
era stata nominata tutrice legale della piccola, e in quanto tale, era affidata
a lei la gestione dell’eredità di Margot. In quel frangente, trovai inutile
oppormi alla questione, e oramai non aveva alcuna importanza per me.
Inaspettatamente, la situazione di Madame Marchard suscitò in me sincero
compatimento; dopo tutte le strategie adottate per garantirsi una posizione
sicura accanto a Leopold, si ritrovava sola, con una nipote da allevare, orfana
di entrambi i genitori. Questi sono gli imprevisti dell’esistenza, che arrivano
a scombinare ogni progetto umano.
Io rispettai i giorni consueti
del lutto, e per un po’ non lasciai la villa, ma Tristan non sospese le sue
visite, che si intensificarono. Mi faceva piacere averlo accanto in un momento
come quello; purtroppo André mi trascurava lasciandomi sola di frequente, e
quando insistevo perché mi rimanesse vicino, lo faceva dissimulando un certo sforzo,
un’impazienza che mi allarmava.
“Ti prego André, sono giorni che
ti allontani senza dirmi nulla; sono preoccupata. Che cosa ti accade? C’è
qualcosa che non va? È per quello che è successo a Leopold?”
“No, Danielle, non è per quello.
Sì, la morte di Leopold ha gettato un po’ tutti nel panico, ma io sono lo
stesso uomo di sempre. Vedi, è che a volte ho bisogno di restare solo…”
“Solo? Perché?” chiesi con un
tremito sorpreso nella voce.
“Mi aiuta a pensare.”
“A cosa pensi, quando non sei
con me? Posso saperlo, André?”
“Al futuro, Danielle.” Mi rispose socchiudendo gli occhi,
restituendomi l’espressione malinconica che da qualche tempo leggevo sul suo
volto. Era appoggiato con le mani al davanzale e la schiena rivolta verso il
vetro di una delle grandi finestre del corridoio che correva sul lato sinistro,
io ero in piedi di fronte a lui. C’era una nota triste nella sua voce, e
l’espressione distante lo portava in altri luoghi, accanto a ricordi che non mi
appartenevano.
In quell’istante, con violenza realizzai la realtà con
sgomento: Oscar era ancora fra noi, e io mi ero cullata nell’illusione che
l’avesse dimenticata. Le mie labbra tremarono. Non sapevo se era sdegno o
delusione quello che mi fece parlare con durezza.
“Un futuro che non comprende
me…” dissi amara e André non risposte. E quel silenzio, quasi una conferma, mi
costrinse a fare la domanda che poteva sconvolgere la mia vita.
“Ho bisogno di saperlo: dov’eri
quella notte, quando Leopold è morto? Sei rientrato alla villa solo la mattina
dopo. Non ti sto accusando, ma voglio sapere la verità. Dove vai, che cosa
fai, quando non sei con me? Hai incontrato qualcuno quella notte? Ti prego
André, quest’incertezza mi sta uccidendo!”
Per quanto avessi provato a
nasconderla, André percepì la mia rabbia. E si affrettò a placarla nell’unico
modo che avrebbe funzionato in quel momento. Mentendo. Non ero ancora pronta ad
accettare la verità, anche se il mio inconscio già la conosceva.
Si alzò in piedi di fronte a me,
come se volesse dare maggior forza alle sue parole.
“Mi vergogno quasi a dirtelo
Danielle, ma… quella notte mi sono ubriacato così tanto, che non sono stato
capace di rimontare in sella per tornare a casa. Sono crollato svenuto su un
cumulo di sacchi, sul retro della locanda dove ero andato a bere. – Esitò
impacciato. - Era da tempo che non mi capitava una cosa del genere… l’ultima
volta che è accaduto… ero con Oscar in una stamberga di Parigi…”
Il nome di mia sorella mi
esplose nella testa come un boato.
André pareva averla nominata
casualmente, e io volli credere che fosse così.
Avevo dei ricordi confusi di
quella mattina; sgomenta e impressionata, tutta la mia attenzione in quelle ore
concitate era stata assorbita dalla tragedia, dalle parole del medico che
pronunciava la sua sentenza. C’erano state lettere da scrivere, decisioni
repentine da prendere, i funerali da organizzare. Non ricordavo se André avesse
i postumi di una sbornia, ma era possibile che non mi fossi accorta di nulla, e
lui si era prodigato ad aiutarmi come poteva.
Se ciò che mi aveva appena
raccontato, fosse una bugia pietosa detta per non ferirmi, io l’accolsi con
estrema gratitudine. Presi per buone le sue parole, perché non c’era altro che
io volessi sentire o sapere. Non c’erano verità dolorose che volevo scoprire in
quel momento.
Gli sorrisi rasserenata,
tranquillizzata da una giustificazione che allontanava il mio terrore più
grande: essere abbandonata dall’uomo che amavo.
Ninette venne ad interromperci
per annunciarmi la presenza di un ospite; Tristan era in salotto e attendeva
che lo incontrassi. Salutai André che prima di allontanarsi con discrezione, si
accomiatò con una frase che mi lasciò di stucco.
“Ti lascio in buona compagnia.
Quell’uomo meriterebbe un po’ della tua considerazione, lo sai, Danielle?
Dovresti dargli una chance.”
Io raggiunsi Tristan ripensando
alla strana affermazione di André. Sembrava buttata lì, ma non lo era affatto.
Non era la prima volta che André pareva volermi spingere tra le braccia di
Tristan. Mi incoraggiava, ma non volevo accogliere i suoi inviti, né
comprenderli veramente per ciò che erano. In realtà, non potevo farlo: ero
chiusa ad ogni altro slancio del cuore che non fosse il palpito sottile e
ostinato che sentivo per lui.
Al mio ingresso nella stanza,
Tristan mi prese le mani e mi salutò con un gran sorriso, e il fatto che fossi
ancora in lutto non pareva interessarlo granché.
“Contessa, vi trovo affascinante
come sempre, anche se questo triste aspetto da corvo non è degno della vostra
bellezza.” Disse, indicando il mio lucido abito nero. Io trattenni a stento un
risolino che affiorò spontaneo alle mie labbra. Il suo fare dissacrante mi
disarmava sempre e mi metteva di buonumore.
“Voi proprio non credete che io
possa essere sinceramente dispiaciuta per la morte di mio marito, vero? Mi
credete così insensibile e superficiale? Era pur sempre il padre dei miei
figli, Tristan…” lo rimproverai bonariamente.
“Sì, ed è questa l’unica cosa
che davvero vi rattrista, e in tal senso, non dico che il vostro cordoglio non
sia sincero. Dico solo che il lutto non vi si addice, ed è falso se non lo
portate nel cuore. Levatevi quell’abito nero, e senza timore, fate vedere al
mondo ipocrita chi è la vera Danielle, la donna solare amante della vita che
siete, Madame. Inutile chiudersi in casa per un dolore che non si sente. O devo
credere che non avete il coraggio di sfidare delle stupide convenzioni
formali?” domandò, appoggiando un gomito alla cornice di marmo di Carrara del
camino, e incrociando le lunghe gambe fasciate in pantaloni blu notte.
“Di coraggio ne ho da vendere,
Tristan, e da domani tornerò ad indossare i miei abiti di seta color pastello
che mi piacciono tanto!” dissi risoluta, e con un certo entusiasmo.
“Oh, questa è la Danielle che mi
piace… - esclamò convinto - la Danielle che amo di più.”
“Avete proprio ragione Tristan,
– dissi accomodandomi su una sedia. – Sono stanca di recitare la parte della
vedova addolorata. La mia vita continua, e forse ora mi trovo nella condizione
insperata di poterla realizzare completamente. Sapete anche voi, quanto il mio
matrimonio fosse per me fonte d’insoddisfazione, ma ora sono una donna libera,
e voglio trarne il massimo vantaggio.”
“Libera e spregiudicata. Cosa
farete adesso?”
Il suo sorriso era incoraggiante
e mi lasciai trascinare dai miei sogni ad occhi aperti, quasi dimenticando le
terribili preoccupazioni che avevano scandito le mie ultime giornate.
“Oh, ci sono tante cose che mi
piacerebbe fare: viaggiare, vedere posti sconosciuti, fare letture interessanti
e istruttive che non siano i soliti romanzi femminili che parlano di eroine
indifese e cavalieri senza macchia. Ampliare la mia mente e il mio cuore,
amare, vivere con passione ed entusiasmo la vita. E sarà ancora più bello fare
tutte queste cose con la persona giusta con cui poterle condividere. In tal
senso io credo di essere molto fortunata.”
Mi ero alzata dalla sedia,
trasportata dalla mie fantasie. Avevo fatto un giro su me stessa in un turbinio
di sottane, e mi ero fermata con le mani incrociate dinanzi a lui. Tristan mi
guardava serio e rapito, lo sguardo attraversato da una luce calda e intensa,
che m’inchiodò dov’ero. Si avvicinò a me in silenzio.
“Danielle…”
Il mio nome pronunciato in un
sospiro, all’improvviso mi fece tremare il cuore.
“Io vorrei tanto poter essere
quella persona giusta di cui parlate… - Quando sentii il suo braccio saldo
circondare con trasporto la mia vita era ormai troppo tardi per fermarsi e
tornare indietro. - Sarei la vostra ombra, Danielle… - bisbigliò roco a pochi
centimetri dal mio viso - un’ombra innamorata e felice di seguirvi ovunque…”
Prima che potessi fermarlo, o
rendermi conto di ciò che stava per accadere, sentii il suo alito caldo e dolce
contro le mie labbra. La sua bocca era esigente, ma non aggressiva. Mi
accarezzò con delicatezza, inducendomi ad arrendermi al suo assalto, e le
nostre bocche si fusero naturalmente in un bacio perfetto, morbido ed eccitante
da togliere il respiro e annebbiare la ragione. Un bacio dolce, profondo e
disperato. Un bacio che solo l’amore sa donare. Mi ritrovai stretta a lui, le
mani arrese, inerti contro il suo petto che mi racchiudeva tutta, mentre
percepivo le sue mani scivolare sulla mia schiena teneramente. Persi la
cognizione del tempo, con la mente preda delle sensazioni di quel bacio che mi
sembrò eterno. Quando lentamente ci separammo i nostri sguardi si incrociarono.
Il mio doveva essere stupefatto, quello di Tristan era ancora offuscato dalla
luce di un potente desiderio, che mi sconvolse oltre misura. Mi scostai brusca
da lui, respingendo il suo abbraccio. Imbarazzata, il petto ansante, mi girai
per non guardarlo, e portai le mani al volto: sentivo le guance arrossate e
calde.
“Perdonatemi Tristan, io non…”
“No Danielle, perdonatemi voi
per la mia audacia… non volevo turbarvi…” si affrettò a dire, cercando di
tornare padrone di sé. Ma dal tremito convulso della sua voce percepivo che
fosse sconvolto, forse più di me.
“No… no, Tristan, scusatemi voi…
scusatemi, vi prego. Io non posso ricambiarvi… lo sapete, io…”
“Non dite niente, Danielle. Vi
prego, ascoltatemi solamente. Io so che siete innamorata di un altro uomo, ma
questo non cambia quello che sento per voi. Io vi amo con un trasporto tale che
non riesco più a resistervi… e non ho mai provato nulla di simile per nessuna,
prima d’ora.”
Mai avevo sentito prima,
dichiarazione d’amore più appassionata: era autentica, struggente e piena di
tormento. Arrivava dritta al cuore.
“Tristan, io…”
“Lasciatemi finire, vi prego.
Perdonatemi se sono costretto ad essere brutale, e dirvi quello che non vi
piacerà, ma questo amore mi spinge a proteggervi, prepararvi ad una pena che
sarà più grande; se potete, non concedete troppo ad un’illusione, perché alla
fine vi farete solo male Danielle. Una donna come voi, non dovrebbe mai elemosinare
l’amore di un uomo. [1]
Chi non vi vuole non vi merita, in nessun caso. André non può ricambiare quello
che sentite per lui, perché il suo cuore appartiene ad un’altra, e voi sapete
che è così, anche se vi sforzate di ignorare la cosa.”
“Cosa dite?”
Abbassai le mani e alzai lo
sguardo su di lui sgomenta.
“La verità, Danielle. Non
chiedetemi come lo so… Lo so e basta. È stato sufficiente guardare André negli
occhi, e lo sguardo non mente. André è sinceramente affezionato a voi, ma non
può amarvi, non come voi vorreste. E un giorno, neppure troppo lontano,
sentirete questa verità dalle sue stesse labbra.”
“Oh…”
Come poteva sapere? E cosa
sapeva Tristan?
Percepii qualcosa che si
strappava dentro di me, come se la tela che ricopriva il mio cuore si
lacerasse. Non trovai la forza di obbiettare alcunché. Restai in silenzio,
schiacciata da un’emozione che era un languore straziante. Non c’era nulla che
potevo dire, senza offendere con la menzogna più povera, la forza di quel suo
amore che mi stava rivelando senza difese o riserve.
Un amore capace di gridare la
verità più impietosa.
Glielo dovevo, per rispetto, e
lo ascoltai fino alla fine, seppur con gran difficoltà, perché l’amore che
sembra non corrisposto fa sempre male, anche per chi lo riceve.
“Io non so se voi ricambierete
mai quello che sento, ma ve lo offro lo stesso, perché altro non posso fare. Se
voi mi chiamerete, io verrò Danielle. Se avrete bisogno di me, io sarò al
vostro fianco. E se arriverà il giorno meraviglioso in cui scoprirete di
amarmi, come io vi amo, con passione e tenerezza infinite, ringrazierò il Cielo
di avervi messa sulla mia strada, quel giorno che spaventaste il mio cavallo.”
Non aggiunse altro.
Tristan si piegò in un lieve inchinò, prima di
allontanarsi con una mestizia che scoprivo nuova in lui. Quanto doveva essergli
costato quello sfogo supremo; aveva svuotato il suo cuore e doveva sentirsi più
leggero. Ero io che mi sentivo pesante. Portai una mano al seno come se dovessi
fermare il tumulto che mi possedeva, e mi abbandonai sulla sedia vicina,
stremata. Il gomito appoggiato al bracciolo, portai la stessa mano alla tempia,
ancora incredula e sconvolta, mentre sentivo inumidirsi i miei occhi.
Mi dispiace tanto, Tristan, pensai.E piansi di sincera e profonda pena per lui, e lacrime amare e salate, mai
versate così per nessun amore felice o infelice, bagnarono le mie guance.
§§§§§§
Le lenzuola sfatte di cotone un
po’ ruvido accoglievano i corpi mollemente abbandonati contro i cuscini. La
luce di quel tardo pomeriggio filtrava dalle imposte accostate, e lasciava la stanza
umile e spoglia in penombra.
Oscar sedeva appoggiata contro
il petto di Andrè, la camicia ancora addosso slacciata sullo scollo profondo
che rivelava l’incavo delicato dei seni. Nella foga dell’assalto amoroso, si
erano presi con una tale urgenza che non aveva fatto in tempo neppure a
toglierla. Le gambe erano nude, una piegata, e l’altra abbandonata sul
materasso parallela a quella di Andrè.
Lui ogni tanto giocherellava con
i suoi capelli, che spostava di lato per baciarle e lambirle la linea sinuosa
del collo, per scendere sulla spalla lasciata seminuda della manica della
camicia che scivolava maliziosa su un braccio.
“Sei pensierosa…” disse
sfiorandole la vita sotto i lembi della stoffa di lino, per interrompere un
silenzio che perdurava da diversi minuti.
Lei annuì, senza replicare,
mentre lui spostava l’altra mano e intrecciava le dita con quelle di lei.
“Prova a dirmi a cosa pensi, o
vuoi che gioco ad indovinare?”
Lei sospirò e appoggiò le loro
mani intrecciate sul ginocchio della gamba piegata. Non pareva avesse voglia di
parlare, forse perché quello che doveva dirgli non era bello.
“Avevo chiesto una breve licenza
a Sua Maestà, ma è oltre un mese che sono qui. Devo tornare, e riprendere il
mio servizio a corte. Non posso lasciare tutte le incombenze a Girodelle.”
André sospirò, consapevole del
reale motivo per cui glielo stava dicendo; era il suo modo di dirgli che non
avevano più tempo. C’era dell’altro, ne era sicuro, e doveva essere ben più
grave.
“Vuoi parlarmi delle tue
indagini?” le chiese, infatti. Lei non si sorprese.
“Ho rintracciato lo speziale. Ho
parlato con lui, André. All’inizio non voleva sbottonarsi, ma quando gli ho
prospettato un’accusa d’omicidio e la conseguente pena capitale, ha cantato
subito.”
Lui trattenne il respiro, senza
quasi accorgersene.
“Davvero Oscar? E cosa hai
scoperto? Sai chi è stato a commissionare il veleno?” chiese André,
apparentemente tranquillo, ma l’ansia divorava anche lui.
“Sì, ma questo non ci sarà
d’alcun aiuto; - Oscar fece una pausa prima di proseguire emettendo un sospiro
prolungato. - È stato Leopold in persona a procurarsi il veleno, per uno scopo
preciso. E ha pagato profumatamente il silenzio dello speziale che doveva
mantenere il segreto.”
Alla rivelazione, per alcuni
secondi, André fu quasi incapace di ribattere.
“Che cosa? Ma questo significa
che…”
“Significa che Leopold è morto
per un tragico errore, e il veleno, in realtà, era destinato ad un’altra
persona…” sentenziò, con una freddezza che era ben lungi dal provare.
Oscar si era voltata verso di
lui e lo guardava da sopra una spalla. Lui la ricambiava ad occhi sbarrati,
mentre una terribile intuizione si faceva largo nella sua mente.
“Ho quasi paura a chiedertelo,
Oscar…”
“Non so cosa sia successo, non
riesco davvero ad immaginarlo; l’unica spiegazione plausibile è che Leopold sia
caduto vittima del suo stesso piano. - Ma c’era una verità ben più terribile
che Oscar era restia a rivelare, come se le parole potessero concretizzarla. -
André, credo che in realtà, fossi tu, la persona che egli volesse uccidere… per
fortuna, quella notte l’hai passata con me…”
Lo disse come se fosse una
liberazione, uno strazio da cui sgravarsi l’anima.
Lesse un guizzo improvviso
animare i suoi occhi verdi e indovinò cosa gli stesse passando per la testa;
lui aveva tentato di resisterle, di fare ritorno alla villa, e adesso restava
il sollievo per lo scampato pericolo, una strana paura confusa con la passione
che tornava ad accendersi. Accostarono le loro fronti in un muto sostegno.
Restarono così per un po’, sfiorandosi ogni tanto le labbra.
Quando Oscar parlò fu con un
sussurro delicato, ma intriso di tristezza.
“Lo so che non vorresti, ma non
possiamo rimandare ancora; dobbiamo parlare con Danielle e provare a capire
cosa è accaduto davvero quella notte…”
André si arrese a ciò che era
inevitabile.
“Come vuoi tu, Oscar, ma non
pensiamoci adesso, ti prego…”
La strinse forte, circondandola
con le sue braccia, prima di riprendere a baciarla di nuovo.
La trascinò accanto a sé sui
cuscini, facendo aderire i loro corpi, e finalmente, le sfilò la camicia bianca
che finì per terra accanto al bordo del letto. Restava ancora da vivere qualche
ora d’amore, prima di un risveglio che sarebbe stato brusco e amaro per tutti.
Continua…
Eccomi!!
Capitolo un po’
inaspettato nello sviluppo, ma non troppo. La morte di Leopold si tinge di giallo,
anche se è un’idea fulminante partorita proprio all’ultimo momento. Avevo
pensato di liquidarlo con un malore, e via… invece… la mia testolina si è messa
pericolosamente in moto, e ammetto che un po’ sono stata influenzata dal
commento di Emerald77, e tutte le sue domande mi hanno fatto riflettere e
immaginare uno sviluppo diverso da quello iniziale. La ringrazio anche per
avermi concesso di usare la sua frase che trovo perfetta in bocca a Tristan.
Io credo che
questo sviluppo sia migliore, almeno spero. Mi direte se vi è piaciuto.
Anche il bacio tra
Tristan e Danielle non era previsto, ma mentre scrivevo l’immagine si è imposta
e ho seguito l’istinto. Spero mi abbia suggerito bene.
Grazie sempre per
tutto il sostegno che mi date con i vostri commenti, per me preziosi e
stimolanti. Siamo davvero in dirittura d’arrivo, ormai… forse un paio di
capitoli o tre, non so ancora, e questa storia sarà davvero conclusa. Un
saluto, Ninfea.
[1] Questa frase che sintetizza
i sentimenti di Danielle, mi è stata suggerita da un commento di Emerald77 che
ringrazio. Credo sia perfetta, e io ho deciso di utilizzarla, dopo averle
chiesto il permesso naturalmente.
La giornata più triste e penosa ch’io abbia vissuto in
quel tempo sospeso della mia vita che fu la parentesi in Normandia, iniziò una
mattina incredibilmente limpida, ingannevole nella sua bellezza superba.
Il disco giallo/arancio del sole arrogante e luminoso,
accecava lo sguardo per nascondere le ombre oscure che eclissavano la sua
magnifica corona. I suoi raggi, attraverso l’aria tersa di un cielo chiaro
solcato dai corpi bianchi e neri dei gabbiani, toccavano la lunga distesa della
spiaggia di Etretat, scaldando la sabbia e facendola quasi brillare di strani
riverberi argentei.
L’aria frizzante e dolce accarezzava la mia pelle, mentre
il tessuto della gonna aderiva alle gambe disegnando le mie forme. In quelle
ore, immersa nel calore dell’aria profumata di mare, con l’odore intenso della
terra che mi avvolgeva, mi sentivo così serena, che la mia mente era sgombra da
ogni pensiero. Respiravo e sentivo l’ossigeno penetrarmi i polmoni, come fossi
attraversata da una sferzata vibrante di energia. Ero esattamente dove volevo
essere, ed ero accanto alla persona per me più importante. Mi sembrava che
nulla potesse venire a sconvolgere l’acuto senso di felicità che sentivo nel
cuore, né le travolgenti, sincere parole d’amore di Tristan, che ancora
vibravano come un’ eco dentro di me, né alcuna sconcertante verità sulla morte
di mio marito, che pure dovevo aspettarmi. Nessun pensiero mi turbava. Era un
istante perfetto, e come tutte le cose belle ed effimere, destinato a morire,
appassire come un fiore colto troppo presto.
Mi ero alzata dal letto, animata dalla strana eccitazione che
mi dava la consapevolezza d’essere libera.
Era una sensazione fantastica che mi travolgeva e
diventava maggiormente acuta col passare dei giorni che seguirono al funerale.
Era sconveniente, un atteggiamento lontano da ogni forma di decenza e pudore
che si potesse mostrare in pubblico, ma non c’era impulso che fosse più vero in
me, e non m’importava come apparissi agli occhi altrui, né di cosa le persone
pensassero di una tale serenità che non mi preoccupavo di dissimulare.
La verità era che mi sentivo viva come mai ero stata in
vita mia.
Mi sentivo come il vento di quella regione che soffiava
libero, e non si curava di abbattersi impetuoso sulle scogliere che modellava a
suo piacimento, o giocare dispettoso con le foglie secche che sollevava negli
occhi e tra i capelli, in una danza leggera.
La spiaggia maestosa e accogliente, quasi selvaggia, era
il luogo ideale dove vivere quelle emozioni. Bastava la consueta piacevole
cavalcata in compagnia di André. Sulla battigia, le onde del mare lambivano gli
zoccoli dei nostri cavalli lanciati in corsa, mentre gli spruzzi d’acqua salata
bagnavano i nostri volti.
Sentivo il gusto del sale, e non bruciava sulle labbra;
era come avere sul palato il sapore selvaggio della natura normanna che mi
galvanizzava con la sua forza.
Ricordo che io e André non parlammo a lungo, restando in
ascolto del suono del vento, del rumore della risacca che saliva e scendeva sulla
riva, e travolgeva piccoli ciottoli e frammenti rosati di conchiglie.
Ogni tanto mi voltavo a cercare il suo volto; scoprivo il
disegno del profilo concentrato e bellissimo, con i capelli neri mossi dal
vento, ondeggianti sulla fronte. Gli sorridevo emozionata per la gioia di
averlo lì, con me, assorto eppure così sereno, e lui rispondeva con un sorriso
aperto, convincente. Solo un’ombra malinconica sfumava la luce dei suoi occhi.
Mi sentivo vicina a lui, e non immaginai quanto quel suo sorriso franco, ma
distante, fosse suggerito da altri pensieri, da un vissuto che non osavo né
volevo immaginare.
In quelle ore, io non sapevo niente. Non sospettavo che il
mio destino si era già compiuto, e tutto era già deciso.
Era rilassato André, tranquillo per la decisione che aveva
preso, soppesata a lungo, ragionata, e alla fine accolta come necessaria. Era
preparato a tutto, alla mia reazione che intuì, consapevole di doverla
affrontare, sentire sulla pelle come un marchio doloroso, pronto alla pena
conseguente, non solo mia.
Quella mattina per l’ultima volta, mi regalò qualcosa di
sé, il calore genuino del suo affetto, l’amicizia onesta e leale, la sola forma
d’amore che poté offrirmi, con l’intenzione lodevole, umana, di addolcire la
verità amara che doveva rivelarmi. Devo riconoscere che non mi promise mai
altro, per quanto io avessi sperato. Non mi fece mai credere che tra noi
potesse esserci qualcosa che andasse oltre la superficie dei sensi.
Di questa sua onestà, devo ringraziarlo, perché fu la mia
salvezza da una pena che rischiò di divenire straziante.
M’impedì di chiudere completamente il mio cuore a nuovi
slanci, che non avrei cercato nell’immediato, ma sarebbero arrivati, con la
banale retorica del tempo che aggiusta tutto.
Fermammo la corsa dei nostri purosangue quasi
all’estremità della spiaggia, in prossimità della parete rocciosa che
delimitava una porzione di costa affacciata a picco sul mare blu cobalto, che
riverberava sotto i raggi del sole.
“Che splendida mattina André. Mi sento così bene. Che
Leopold riposi in pace, ma potendo scegliere, resterei così per sempre.”
“Sì, hai ragione: è una giornata luminosa e incantevole…
ma nulla è per sempre, Danielle, neppure questo luogo. - Rimase assorto a
fissare le onde che s’infrangevano contro le scogliere, prima di riportarmi
bruscamente alla realtà più immediata che dovevo affrontare. - Non vorrei
guastarti il momento idilliaco, ma tuo marito è stato assassinato, Danielle: è
una cosa che non puoi trascurare, né dimenticare.”
“Lo so André. E non sto ignorando la cosa. Del resto, non
so chi potrei accusare; ho pensato alla sua amante, ma che interesse avrebbe
quella donna dalla morte dell’uomo che può garantire un futuro a lei e alla
nipote? No, non ha senso. Né voglio credere che tra le persone a me vicine ci
sia un omicida… anche se… tutto potrebbe essere. Ho interrogato anche Ninette,
ma neppure lei ha notato nulla di particolare quella sera. Non so di chi, o di
cosa devo aver paura…”
Fu allora che André disse una frase che mi spiazzò.
“C’è un’altra possibilità che non hai considerato,
Danielle: magari la vittima designata non era tuo marito, ma qualcun altro…”
Lo guardai perplessa, un po’ turbata.
“Non capisco: qualcun altro chi?”
Pensai che potesse riferirsi a me, e mi attraversò un’inaspettata
quanto rapida sensazione di sgomento. Ma André mi lasciò volutamente nel
dubbio.
“Meglio non parlarne ora. Torniamo verso la villa; capirai
tutto.”
Aveva ragione. Lì, avrei trovato chi avrebbe dato tutte le
risposte agli enigmi più inquietanti e dolorosi della mia esistenza.
******
Quando Ninette trovò Oscar davanti alla porta
dell’ingresso, muta per la sorpresa, spalancò gli occhi del tutto impreparata
alla visita della gemella della sua padrona. Per un secondo, reagì come
l’ultima delle cameriere senza esperienza che lavorassero a palazzo. Una mano
alla bocca, balbettò un saluto piuttosto impacciato davanti agli occhi severi
ma affascinanti e indecifrabili che la scrutavano, e chinò la testa in segno di
rispetto, prima di far accomodare madamigella Oscar come l’ospite di riguardo
che era.
“Dite a mia sorella che voglio vederla.”
La voce ferma e decisa di chi era abituata al comando, non
lasciava spazio a rifiuti od obiezioni d’alcuna natura. Ninette ebbe qualche
istante d’imbarazzo.
“Oh… Perdonatemi madamigella Oscar: madame non è in casa.
È fuori a cavallo, ma tornerà a breve.”
“È in compagnia del mio attendente, vero Ninette?”
Era più una constatazione che una domanda, e la cameriera
ebbe l’impressione di avvampare.
“Non è un problema, posso aspettarla qui.” Proseguì la
donna soldato.
“Ma certo, madamigella Oscar. Può aspettarla nel salotto,
c’è già un’altra persona che l’attende.”
“Un’altra persona? Posso sapere di chi si tratta?”
“Messieur Tristan De Laundes è arrivato pochi minuti fa; attende
madame, in salotto. Potete unirvi a lui, se volete.”
“Ma certo, sarà interessante.” E le venne naturale piegare
impercettibilmente le labbra in un sorriso ironico.
********
Tristan non si aspettava di trovarsi faccia a faccia con Oscar
François De Jarjayes proprio in casa di Danielle. In seguito alla vedovanza che
aveva colpito madame Recamier, si chiedeva quando quel confronto tra sorelle
potesse avvenire, ma non immaginava che ne sarebbe stato testimone, né era
sicuro fosse giusto esserlo.
Ma dal momento che era lì, proprio in quel delicato
frangente, non se ne sarebbe andato se non dietro richiesta esplicita della
donna che amava, e che era intenzionato a proteggere e sostenere, convinto che
una verità dolorosa stava per colpirla.
Per quanto poteva, voleva essere l’arbitro della
situazione.
Quanto sarebbe stata forte Danielle? Avrebbe saputo
accettare la verità di un amore esclusivo e inviolabile che lui aveva colto al
primo sguardo scambiato con Oscar? Una verità che l’avrebbe allontanata
inesorabilmente dal cuore di André Grandier, che mai le aveva permesso di
avvicinarsi davvero a quell’uomo, che nell’anima, nel corpo e nei pensieri
apparteneva a una donna che non poteva essere lei.
Oscar era lì per riprendersi l’uomo che amava, lo comprese
appena la vide. Era sicura, decisa, eppure una strana malinconia le velava lo
sguardo, come se sapesse che il suo atto dovuto non sarebbe stato senza dolore.
Forse c’era anche un altro motivo, e altre verità sarebbero emerse.
“Madamigella Oscar, è un piacere incontrarvi; - le disse,
alzandosi in piedi al suo ingresso nella stanza - devo ammettere che non è del
tutto una sorpresa trovarvi qui. Mi aspettavo che prima o poi sareste venuta…”
“Davvero? Era abbastanza intuibile, non trovate?”
“Forse. Spero solo che la mia presenza non sia
inopportuna.”
“Affatto, non è un problema per me. Anzi, credo sia un
bene. Ma voi, perché siete qui?”
“A voi posso dirlo. Sono qui, perché sono innamorato di
vostra sorella e non riesco a stare lontano da lei.”
“Danielle conosce i vostri sentimenti?” chiese Oscar,
diretta.
“Sì, le ho aperto il mio cuore.”
“E lei come ha reagito? Vi ricambia, per caso?”
Tristan emise un lieve sospiro.
“Non ancora, e non con le attuali premesse, purtroppo, ma
non mi arrendo, Oscar. Ho buone speranze che in futuro ci sarà un posto nel suo
cuore per me; tra noi c’è una tale intesa di spirito di cui la contessa non si
rende conto. Saprò aspettare che sia libera e pronta ad amarmi, e sono certo
che Danielle un giorno mi ricambierà. Non so come spiegarlo, ma è qualcosa di
cui sono convinto.”
Tristan non immaginava quanto le sue parole colpissero in
quel momento Oscar; era incredibile, ma lei aveva l’impressione che André
stesse parlando per bocca di Tristan. Era tutto troppo famigliare; la voce
venata di lieve tristezza dell’uomo, perfino i sentimenti dolci e malinconici
di Tristan, troppo simili a quelli che doveva aver provato André per lei, la
turbarono enormemente. Era come ascoltare parole segrete, speranze che Andrè
aveva celato in fondo al cuore, mai esternate, che all’improvviso uscivano
dalla bocca di un altro, come se avessero trovato una scappatoia per arrivare a
lei. Tristan si accorse del suo turbamento, dello sguardo torbido che si fece
improvvisamente mesto.
“Ho detto qualcosa che vi ha offesa, madamigella? Avete
un’aria strana…”
“No… no, non ho niente, vi assicuro. Le vostre parole mi
hanno soltanto ricordato qualcosa che avevo sottovalutato.” Rispose svelta, ma
doveva spostare la conversazione su un altro terreno meno piacevole, ed era
dispiaciuta di doverlo fare.
“Siete molto sicuro di voi. Chi sono io per negarvi la
speranza? Trarrete vantaggio dal fatto che ora mia sorella è vedova, suppongo;
la morte improvvisa di mio cognato è stata provvidenziale, non trovate?”
Oscar aveva alzato lo sguardo, e lo fissava con intensità.
“Non la metterei in questo modo, anche se il conte di
Recamier poteva rappresentare un ostacolo. In realtà, madamigella, non era il
marito di Danielle il mio vero problema…” risposte Tristan pacato, guardandola
di sottecchi, con l’impressione che Oscar volesse provocarlo, e non ne capiva
la ragione.
Oscar assottigliò lo sguardo, guardinga e sospettosa.
“Certo! Il vostro problema sono i sentimenti che mia
sorella prova per il mio attendente, e non fate finta di non saperlo.”
“Scusate la franchezza, ma non sono io che fingo, né mi
nascondo madamigella. – Contrattaccò Tristan, senza timore alcuno. - So quanto
voi, che André non sarà mai un mio rivale; il vostro attendente… o forse dovrei
dire il vostro amante può solo spezzare il cuore di Danielle, e se voi siete
qui, sono certo che accadrà a breve. Non vi giudico, ma non capisco la vostra
ostilità nei miei confronti: che cosa mi rimproverate? Con vostra sorella sono
sempre stato molto onesto. Non credo possiate dire altrettanto, e neppure André
probabilmente.”
Tristan si permetteva di sfidarla a testa alta, e Oscar
ebbe qualche momento d’incertezza.
“Debbo riconoscerlo, avete ragione.”
Squadrò l’uomo con interesse e velata ammirazione. Doveva
parlare e dire ogni cosa, esternare timori e sospetti, e valutare la
situazione.
“Di me e André avete capito tutto, è vero. Ma prima di
intuire la verità, cosa avete pensato del fatto che Danielle fosse fuggita con
un servo di cui pareva innamorata? Forse eravate geloso di lui, e magari anche
di Leopold…”
“Geloso come può esserlo un uomo innamorato, per giunta
non ricambiato… Non capisco dove volete arrivare, madamigella. Il vostro
discorso mi pare molto astruso…”
Oscar si avvicinò alla finestra che dava sul cortile
anteriore della villa. Guardò verso l’esterno perdendosi con lo sguardo lungo
le siepi curate del giardino. La luce della tarda mattinata le feriva gli
occhi.
“Ci sono cose che non sapete, Tristan, cose che ignora
perfino mia sorella, ed è giusto che lei sappia la verità. Oggi sono venuta qui
con la speranza di far luce sugli ultimi fatti accaduti in questa casa…”
Tristan non afferrò il senso di quello che Oscar stava
dicendo, finché lei non fu drammaticamente chiara.
“Mio cognato non è morto per cause naturali come vi hanno
indotto a credere, in realtà è stato avvelenato da una persona che vive o ha
libero accesso a questa dimora…”
“Cosa? Ma che dite?”
“È così; ha assunto del veleno che qualcuno ha messo nella
sua brocca dell’acqua. Adesso capite perché mi permetto di dubitare della
vostra onestà? Siete un potenziale colpevole; dite di essere innamorato di mia
sorella, dunque la vostra gelosia potrebbe essere un movente.”
“Non penserete seriamente che io sia responsabile della
morte di vostro cognato, vero? È assurdo, e potrei sentirmi offeso da una tale
accusa!”
“Non posso escludere nulla e non vi sto accusando
messieur; nel campo delle ipotesi, questa è una delle possibili, ma sono qui
per valutare anche le altre.”
“Le altre? Volete dire che sospettate di qualcun altro?
Parlate, Oscar! Danielle potrebbe essere in pericolo nella sua stessa casa?”
Oscar si allontanò dalla finestra e tornò a fissare lo
sguardo sul giovane sempre più costernato e allarmato.
“Questo non lo so, sono venuta qui per scoprirlo.
Calmatevi, Tristan; sediamoci e aspettiamo il ritorno di mia sorella: non
ritarderà ancora molto, e allora parleremo d’ogni cosa.”
Tristan si rassegnò, pur trovando incredibile il sangue
freddo del colonnello Oscar.
********
Lasciati i cavalli alle scuderie, trovammo Ninette ad
attenderci in cima alle scale dell’ingresso; mi bastò guardarla per cogliere la
sua espressione nervosa. Quando poi rivelò i nomi di coloro che mi aspettavano,
scambiai un’occhiata rapida con André e mi colpì il suo atteggiamento calmo e
imperturbabile.
Tutto mi sarei aspettata, tranne incontrare la mia gemella
in compagnia proprio di Tristan.
Il cuore come un tamburo, entrai nella stanza e mi bloccai
sulla porta.
Tristan mi rivolse il suo saluto cortese che ricambiai,
mentre io e Oscar, ferme ai lati opposti della stanza, restavamo a fissarci
negli occhi. Sentii André muoversi dietro di me, entrare silenzioso nella sala
e fermarsi un poco distante alla mia destra, vicino una consolle. Il mio
sguardo inquieto cercò la sua figura solo un istante, ma tornai rapidamente a
fissare mia sorella.
“Buongiorno Danielle. Ti trovo bene.”
Mi salutò e non incrociò mai il suo sguardo con Andrè, o
così mi parve.
“Oscar… sei l’ultima persona che pensavo d’incontrare
qui…”
“Davvero? Eppure dovresti conoscermi molto bene; sono
l’unica gemella che hai. Al tuo posto, io non sarei così sorpresa…”
Iniziai a pensare che avesse ragione. C’era qualcosa che
mi disturbava, un dettaglio sbagliato o fuori posto in quella situazione. André
avrebbe dovuto accogliere Oscar con profonda costernazione e palese turbamento,
invece reagì come se l’avesse vista solo il giorno prima, come se non si fosse
mai allontanato da lei, ed erano mesi che non si vedevano. Così credevo. Non
dissimulò in alcun modo alcun sentimento, né emozione e la cosa mi riempì di
sgomento e paura.
All’improvviso, tutto fu chiaro, e non tentai di costruire
inutili spiegazioni. Il senso di tutto era lì, davanti a me, ed era limpido e
semplice; ingannare me stessa con interpretazioni fantasiose e inverosimili era
futile e stupido, un’offesa alla mia intelligenza.
“Quando sei arrivata?”
“Sono giunta ad Etretat diverse settimane fa, prima che
morisse tuo marito, e per un motivo che puoi bene immaginare…”
Diretta come il solito, Oscar non girava mai attorno alle
questioni, ma le affrontava di petto.
“André… sei qui per lui…” Non era una domanda. Oscar annuì
semplicemente.
“E conosci anche Tristan…” constatai guardando
quest’ultimo, solo perché non osavo incontrare gli occhi di André, eppure li
sentivo su di me.
“Il giorno del funerale, abbiamo avuto modo di
presentarci.” Ammise Oscar, senza la minima reticenza.
Allora mi rivolsi al mio amico.
“Me lo avete tenuto nascosto…” dissi, senza riuscire a
nascondere il tono accusatorio.
“Perdonatemi, contessa. Non volevo crearvi ulteriori
turbamenti, in un momento già particolarmente delicato per voi; solo oggi,
parlando con vostra sorella, comprendo quanto lo foste…”
Scettica, guardai Oscar alla ricerca di spiegazioni che
lei si affrettò a darmi.
“Mentre ti aspettavo, ho spiegato a Tristan com’è morto in
realtà tuo marito; confesso che i miei sospetti sono caduti anche su messieur
De Laundes, avendo scoperto per sua stessa ammissione che è innamorato di te.”
“Sono sospetti infondati! – Risposi con veemenza. -
Tristan non può aver fatto nulla di male; quel giorno eravamo fuori a cavallo,
lui mi ha accompagnata, ma non si è fermato alla villa, e non ha avuto contatti
con Leopold. Questo posso confermarlo.”
Oscar assunse un’aria circospetta, la sua mente parve
inseguire un ricordo lontano, che a me restava ignoto, ma che forse André
conosceva.
“Prendo per buona la tua versione… - mi concesse - però,
ho fatto delle indagini e ho scoperto cose che devi sapere Danielle.”
Oscar mi raccontò tutto, nel dettaglio.
Fu clamoroso scoprire come Leopold si era procurato il
veleno, e questo implicava che avesse avuto intenzioni delittuose. Verso chi,
era impossibile scoprirlo. Quello era un segreto morto con lui, ma l’idea mi
procurò un brivido. C’erano solo due persone che Leopold poteva voler colpire;
una ero io, e il pensiero che mio marito mi odiasse al punto di volermi morta,
mi pareva terribile; l’altra persona poteva solo essere André, e all’improvviso
ricordai l’ultimo alterco avuto con lui, proprio quella sera, e le sue parole
di spregio verso il mio segretario.
In sostanza, a giudizio di Oscar, le ipotesi sulla morte
di mio marito si riducevano a due soltanto.
“Ma allora, questo significa che…” balbettai, scivolando
su una delle poltrone, atterrita e sconvolta da quello che iniziavo ad intuire.
“Sì, Danielle. Sono convinta che il veleno era destinato
ad André, che Leopold credeva il tuo amante; se escludiamo l’opera intenzionale
di qualcuno, eventualità che sembra molto più difficile, c’è la possibilità che
il conte lo abbia assunto per errore, resta da capire come… - Oscar fece una
pausa ed emise un sospiro, prima di riprendere con tono enfatico, portando una
mano chiusa alla fronte. - Io ringrazio il cielo che quella notte Andrè l’abbia
passata con me; il pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, mi fa star
male in un modo che non riesco a dire… Lo capisci Danielle? Ho rischiato di perdere
l’uomo che amo… e che mi ama…”
Sentii la pena nella sua voce; era uguale alla mia.
Le parole di Oscar giunsero alle mie orecchie come fossero
quelle incomprensibili di un’ estranea, ma il dolore che mi causarono fu
lancinante e profondo, quasi insopportabile. Sentii la gola pizzicare.
Volevo piangere, ma forse l’orgoglio, forse Tristan che mi
osservava serrando i pugni, m’impedì di farlo; ricordo di aver alzato uno
sguardo vacuo su André, e quello che lessi in quegli occhi verdi, pieni d’ansia
e sofferenza, fu la conferma esatta d’ogni parola. Il suo dolore era sincero,
come furono sincere le sue parole, che non bastarono a consolarmi di un amore
che non mi era mai appartenuto, e il mio cuore lo sapeva da tempo.
“Mi dispiace tanto, Danielle. Non ho mai voluto
ingannarti, ma se ti ho illusa in qualche modo, ti chiedo di perdonarmi…”
La sua voce mi giunse mesta e la mia rispose rassegnata,
svuotata d’ogni energia.
“Dunque, la ami ancora… non hai mai amato altri che lei,
vero?”
Mi ero alzata di fronte a lui e lo afferrai ad un braccio,
come se volessi scuoterlo. Ma non mi mostrai fragile. In realtà, volevo
disperatamente essere forte, quanto bastava per poterlo lasciare andare. Mai avevo
affrontato prova più difficile.
“Dio sa se ho tentato, Danielle, ma nel mio cuore non v’è
posto per altro; io appartengo ad Oscar, e lei a me. Niente può opporsi a
questo e ora lo sappiamo entrambi.”
E gli occhi di André nella stanza cercarono quelli di
Oscar, e li trovarono. Mi bastò cogliere quel dialogo muto tra loro per capire
quanto fossi estranea, esclusa dal loro legame. Tra me e Andrè non sarebbe mai
stato così. Inorridita, mi staccai da lui, mi avvicinai di un passo verso
Tristan, che sembrava sul punto di volermi abbracciare; al centro della stanza,
mi guardai attorno come fossi circondata su tutti i fronti, e non sapessi dove
andare a rifugiarmi. Allora vidi André avvicinarsi ad Oscar, tenderle la mano
che lei accolse nella sua con una stretta possessiva.
Non ci fu nulla di più eloquente.
Nulla di plateale.
Rimasi immobile, lì in mezzo alla stanza, ad assorbire la
verità che non mi faceva sconti. E accadde un fatto strano; mi scese addosso e
nello spirito uno strano senso d’accettazione, che non sembrava appartenermi,
ma che in qualche modo mi dava pace.
Tristan si avvicinò, stravolto e preoccupato per la mia
reazione, ma io lo fermai con un gesto semplice e fermo della mano.
Esteriormente non mostrai alcun’esitazione, ma la mia anima era in bilico tra
quiete e tempesta.
“Non preoccupatevi per me, amico mio. Sto bene e sono
abbastanza forte da poter accettare la verità. Dopotutto, voi mi avevate già
messa in guardia, e io ora non posso fingere di non averlo saputo…”
“Danielle, io… sono qui…” sussurrò soltanto, e avvertii il
suo rammarico di non poter fare o dire di più. Lo guardai; la sua vicinanza, la
discrezione e l’empatia che mi dimostrava bastò a darmi coraggio. Sarebbe stato
poco dignitoso lasciarmi andare alla disperazione, la lasciavo per dopo. L’amarezza
era inevitabile e mi scivolava sul cuore e sulle labbra, ma dovevo berla tutta
fino all’ultima goccia. Un giorno avrei saputo trasformarla in miele, ma il
frutto di quel raccolto era ancora acerbo e non potevo coglierlo.
Mi rivolsi nuovamente ad André, sempre al fianco della
donna che amava, non come un’ombra, ma come suo compagno di vita, sicuro e
solido. Li vedevo insieme, e lo comprendevo senza possibilità d’errore. Nulla
avrei potuto contro un amore così grande; ero partita sconfitta in partenza.
“Ti ringrazio André per l’onestà dei tuoi sentimenti;
posso solo dirti che se Leopold fosse riuscito davvero a farti del male, non me
lo sarei mai perdonato… anche nei tuoi confronti, Oscar…- dissi rivolgendomi a
lei, - credimi, non ti ho mai voluto male, ma tante cose non le avevo capite…”
“Lo so Danielle; anch’io ho dovuto comprendere cosa avevo
nel cuore, e tu, in fondo mi hai aiutata, portandomi via chi avevo più caro…”
mi rispose, stringendo ancor di più la grande mano di André, che guardò dritto
negli occhi.
“Già, che strani percorsi che fa l’amore; ci trascina con
sé, ci fa smarrire e ritrovare… - conclusi, con tono quieto e malinconico. -
Ora resta da far chiarezza sulla morte di mio marito, e allora tutti i pezzi di
questa storia andranno al loro posto… e tutte le persone coinvolte in questo
dramma torneranno alle loro vite.”
La Normandia con le sue coste bianche e abbacinanti
battute dai venti, era stata teatro di una lotta, luogo in cui erano confluiti
i sentimenti di tutti noi; la mia definitiva resa di fronte ad un destino che
non era in mio potere cambiare, si compiva così.
La verità era lì sotto i nostri occhi, ed era più semplice
di quanto potessimo credere.
Era banale e tragica.
Ridicola quanto uno scherzo partorito da un destino beffardo.
Non c’era nessun assassino misterioso, né alcun nemico
nell’ombra, ma solo un uomo livido di rancore che si riteneva offeso nel suo
onore d’aristocratico, caduto vittima del suo stesso gioco perverso.
La servitù era già stata interrogata a suo tempo, ma
sempre quella mattina, scoprimmo nuovi dettagli parlando con Ninette e un’altra
giovane cameriera del mio palazzo, Costance, una fanciulla appena diciannovenne
che lavorava per i Recamier da un paio d’anni. La sua famiglia era di Etretat e
mi era stata raccomandata come una ragazza educata, ma sveglia e lesta nel suo
lavoro.
Quella sera fu Costance a portare la brocca dell’acqua
avvelenata nella stanza di mio marito.Scoprimmo esterrefatti che prima di assolvere la sua incombenza, la
ragazza aveva notato il conte allontanarsi svelto dalle cucine; ricordava che
sul tavolo era rimasta la brocca di vetro con l’acqua destinata ad André, per
la notte, e Oscar concluse che probabilmente il veleno era stato aggiunto
proprio lì.
Il conte non aveva calcolato l’imprevisto della sorte, e
il successivo scambio fatale.
Qui era entrata in gioco Ninette che aveva quasi
dimenticato l’episodio successivo di quella sera. La mia cameriera personale,
nel frattempo giunta in cucina dalla porta sul retro, non aveva incontrato
Leopold; sollecita, aveva preso proprio quella brocca dimenticata sul tavolo,
con senso pratico aveva travasato l’acqua contenuta in una caraffa di prezioso
cristallo cesellato, e svelta l’aveva piazzata tra le braccia della giovane
cameriera che entrava dall’ingresso affacciato sul corridoio.
“Costance, prima di tutto, porta questa nella camera del
signor conte, che vuole già ritirarsi per la notte. Meglio non contrariarlo, e
già pare di cattivo umore; fai presto, e poi torna qui che ci sono altre
mansioni per te.”
Costance così fece, naturalmente ignara di tutto; non
sapeva nulla del veleno e non conosceva i piani di Leopold, ma quando dai
nostri ragionamenti comprese cosa era accaduto e come lei ne fu coinvolta,
scoppiò in un pianto dirotto irrefrenabile davanti a tutti i presenti.
“Non si disperi, signorina. Nessuno l’accusa di nulla.” La
incoraggiò Oscar, ma la ragazza pareva inconsolabile.
Ninette più dura e smaliziata, fu dispiaciuta e costernata
per l’accaduto, che l’aveva vista protagonista involontaria. Per quanto
turbata, non si lasciò prendere dallo scoramento e circondò le spalle della
giovane cercando di calmarla. Io rassicurai Costance che la ritenevo innocente,
e che la vicenda poteva definirsi solo un tragico incidente e nessuno della
servitù poteva esserne responsabile.
“Misericordia divina! Come potevamo immaginare?” disse
Ninette, stringendo Costance in lacrime, tra le sue braccia materne.
Non c’era niente altro da scoprire.
Tutto era stato spiegato e io volevo solo chiudere per
sempre quella questione spinosa e dolorosa. Imposi a tutti i testimoni il
silenzio e il segreto sulla vicenda; soprattutto non volevo che arrivasse
parola all’orecchio dei miei figli, neppure in futuro. Mi sembrava legittimo e
sacrosanto preservare il ricordo del padre, e volevo impedire che fosse
sporcato dalla maniera meschina e indegna in cui si era chiusa la sua vita.
Congedai le cameriere, mentre io mi prostravo stanca sul
canapè del salotto. Tristan si era accostato a me come volesse darmi sostegno
con la sua sola presenza. Oscar e André erano in piedi, un poco distanti, l’aria
apprensiva, in attesa di una qualche mia reazione; forse temevano che i nervi
mi cedessero. Nessuno parlò, e nella stanza scese uno strano silenzio, e una
quiete quasi irreale.
Mi sentii provata, svuotata da tutte le emozioni vissute,
dalle verità rivelate, messe a nudo quasi in modo impietoso. Il cielo
intravisto dietro i vetri delle finestre mi sembrava troppo azzurro e limpido,
in contrasto col mio umore cupo e triste. Il coraggio veniva meno e io stato
cedendo alla forza disperata delle lacrime che premevano dietro i miei occhi
celesti per liberarsi. Avevo una disperata voglia di piangere e sfogarmi, ma
non volevo farlo davanti a testimoni; anelavo la solitudine, che diventa
compagna necessaria e indispensabile in alcuni momenti particolari della nostra
vita. Così alzai appena lo sguardo in un punto qualsiasi dell’ambiente, ma
senza in realtà guardare nessuno.
“Credo che non ci sia altro da aggiungere a tutto quello
che è stato detto oggi. Per favore, ora vorrei restare sola, ho bisogno di
riflettere. Andate via, vi prego…”
Oscar si mosse per prima, André forse indugiò un attimo in
più.
“Prima di lasciare la Normandia, verremo a salutarti,
Danielle. Per favore, ricorda che restiamo sempre sorelle.” Mi disse con tono
lieve prima di lasciare la stanza, seguita dal suo attendente, che si voltò un
istante a guardarmi.
“Grazie di tutto, e arrivederci, Danielle.”
Io non ebbi la forza di rispondere.
Tristan era ancora seduto di fianco a me e sembrava
indeciso, oltre che molto combattuto. La sua mano afferrò una delle mie e la
strinse un momento.
“Vi prego, Tristan…” Lo supplicai, con un filo di voce.
Si alzò e fece qualche passo verso la porta, ma non la
raggiunse. Si bloccò con i pugni stretti lungo i fianchi; era di spalle e non
potevo vedere il suo volto, ma avevo l’impressione che tremasse. Si voltò e
tornò indietro; si sedette di nuovo accanto a me. Poi il suo braccio sinistro
mi circondò le spalle.
“Tristan… io non…”
Scossi la testa, incrociai i suoi occhi e le parole
morirono in gola; aveva uno sguardo carico di dolcezza e comprensione che forse
non gli avevo mai visto. Puntò i suoi occhi nei miei, mentre con l’altra mano
sollevava il mio viso verso il suo, e per un attimo credetti di annegare dentro
un’emozione troppo grande.
“Lasciate che vi abbracci, Danielle, ne avete un disperato
bisogno. Non chiedetemi di lasciarvi sola adesso, non potrei farlo.”
Sentii la sua mano posarsi tenera sulla mia nuca e mi
guidò contro il suo petto che mi accolse come un rifugio protettivo. E io mi
sentii piccola e fragile, e l’argine che aveva trattenuto il pianto, crollò di
schianto dentro il cerchio robusto delle braccia che cingevano la mia schiena.
“Oh, Tristan… se soltanto vi avessi ascoltato… avevate
capito tutto, e io lo sapevo…”
I singhiozzi diventarono irrefrenabili e non cercai più di
trattenerli. Non mi vergognavo di piangere tra le braccia di Tristan, riponevo
in lui la massima fiducia. Il mio dolore con lui era al sicuro, come se potesse
tenerlo sotto controllo e impedirmi di soccombere.
“Io sono qui per voi… sarò sempre qui per voi, Danielle.
Io vi amo per quella forza che avete dimostrato poco fa, mentre affrontavate
tutta la verità a testa alta. Siete stata brava e coraggiosa. Piangete e
sfogatevi, Danielle. Il dolore passerà… finirà la tempesta che ha messo
sottosopra il vostro cuore e tornerà il sole nella vostra vita. Se me lo
permetterete, ve ne farò dono io, Danielle. Vivrò per questo.”
“Siete un caro, dolce amico Tristan… Solo un momento…
Continuate a stringermi tra le vostre braccia… vi prego…” ma non avrei avuto
bisogno di chiederlo.
Lentamente il pianto si placò, fino a cessare del tutto.
Stavo bene tra le sue braccia. Le mani di Tristan mi
accarezzavano dolcemente la schiena e le spalle, e la sofferenza pareva
diradarsi, farsi più fievole, fin quasi a scomparire. Tristan con affetto mi
baciò i capelli, ma non scese a cercare le mie labbra e mi sorpresi a pensare
che forse non lo avrei respinto, se lo avesse fatto in quel momento. Restai a
lungo così, avvolta in quell’abbraccio che dava quiete e calore alla mia anima
inquieta e tormentata, un abbraccio che all’improvviso, non so per quale strana
magia, sapeva di casa.
L’amore di André non era per me.
Quello di Tristan, forse sì. Un giorno, non so quando,
magari potrò ricambiarlo.
Si chiudeva così, una parte della mia vita vissuta tra
gioia e dramma, di fronte al mare della Normandia.
Continua…
Eccomi qui dopo tanto tempo.
Mi scuso per l’enorme ritardo con cui pubblico questo
capitolo che doveva venire molto prima, ma la fine dello scorso anno ha
coinciso con momenti drammatici della mia vita. È stato davvero un brutto
periodo, pieno anche di sofferenza. Non voglio soffermarmi troppo sui dettagli
perché non mi sembra la sede, né mi sembra giusto, ma voglia e stimoli per
scrivere non ne avevo. Ma ora sono tornata e forse sono un po’ più forte e sono
decisa a finire questa storia.
Vi ringrazio per la pazienza e la fiducia che mi
avete accordato sempre, per tutto il sostegno che mi avete dato, per gli
apprezzamenti che avete avuto per “Spirito inquieto”, per i confronti
costruttivi che mi hanno aiutato a risolvere eventuali dubbi che avevo. Manca
solo un capitolo oramai, dopo scriverò la parola fine alle avventure di
Danielle, Oscar, André e Tristan.
Mi spiace di avere trascurato un po’ il fandom, che
ultimamente è davvero ricco di belle storie; se non come scrittrice, tornerò a
leggere le vostre ff, ne ho tante lasciate in sospeso che devo riprendere, e
che vorrei commentare. Intanto spero che questa prossima conclusione vi piaccia.
Buona lettura e di nuovo mille grazie, ragazze.
Siete preziose.
Capitolo 32 *** Nell'attesa di una nuova stagione (Epilogo) ***
32 – Epilogo
32 – Nell’attesa di una nuova stagione ( Epilogo )
Oscar e André lasciarono Etretat
due giorni più tardi.
Senza clamori e senza far
rumore.
Partirono una mattina limpida di
quell’estate, stagione impressa in modo indelebile nel mio spirito e nella mente,
lasciando dietro di loro un cuore affranto e dolorante, quello di Danielle.
Lasciarono la Normandia forse
per tornare alla loro vita consueta, quella che li attendeva a Versailles nei
rispettivi ruoli, fatta d’inganni e menzogne; o magari, ne avrebbero cercata
una diversa, più autentica, che prevedesse un futuro degno di essere vissuto da
persone libere di amarsi senza nascondersi, a costo di ribellarsi alle
convenzioni della nostra società malata e destinata a corrompersi.
Io personalmente, avrei preferito
la seconda alternativa, e se un po’ ho compreso il temperamento indomito e
anticonformista di Oscar François De Jarhayes, credo che un giorno, non so
quanto ancora lontano, sceglierà di lottare per vivere pienamente il suo
sentimento con André. Sono quasi certo che andrà così, e io veramente, mi
auguro che accada. Ho visto coi miei occhi, il coraggio di cui è capace quella
donna tenace e caparbia, e non posso fare a meno di provare ammirazione per
lei.
Per quanto saranno difficili,
Oscar saprà affrontare le sue scelte future, e André la sosterrà sempre;
l’amore di quell’uomo è una roccia che ha sfidato le tempeste, senza scalfirsi;
fugace testimone, ho sfiorato appena la loro storia, ma ha lasciato su di me
una forte impressione. Non so perché in origine, sia stato indotto ad
allontanarsi da lei; le ragioni non sono così difficili da immaginare, e la
differenza di classe non è un ostacolo da poco. André Grandier ha un cuore
grande e nobile nel senso più vero del termine, parola indegna perfino per certi
membri della nostra casta, e capisco perché una donna singolare come Oscar
abbia legato la sua anima ad un uomo simile.
Ma ora non è di questo che mi
devo preoccupare.
Io sono in pena per colei che ha
avvinto il mio cuore.
Per quanto abbia opposto resistenza
al dolore della separazione, Danielle non poteva evitare di soffrire, e io di
sentirmi impotente; era una prova che toccava a lei superare. L’unica cosa che
potevo fare era starle accanto, senza interferire troppo, e darle il tempo di
elaborare il trauma dell’abbandono che aveva innegabili sfumature col
tradimento; questo André aveva fatto, seppur compiendo una scelta onesta.
Sapevo che avrei dovuto stringere tra le mie braccia una donna ferita nei
sentimenti, delusa nelle speranze, e il mio timore era di non poter essere il
conforto necessario, il lenitivo giusto alla guarigione del suo animo afflitto.
Dio sa quanto volevo e voglio
essere motivo d’ogni sua gioia; desideravo ardentemente che trovasse in me la
forza necessaria per ricominciare a vivere, a credere nella passione che poteva
ancora animare il suo cuore ardente e selvaggio. Voglio essere io ad accendere
il suo animo, farlo sbocciare di nuovo, restituirle il gusto deciso della vita
vera, la voglia d’amare e lasciarsi andare alla bellezza di un sentimento
potente e forte, che ci prende e domina ogni nostra azione, dalla più banale
alla più vitale.
Ma serve tempo; solo lui può
cicatrizzare certe ferite che non si vedono ad occhio nudo.
Il tempo e l’amore, uniti alla
costanza e alla pazienza.
La mia pazienza è stata la prova
certa del mio amore per Danielle; la pazienza mi ha dato la forza di asciugare
le sue lacrime, di rispettare i suoi silenzi e le sue solitudini, forzando
anche un po’ la mia natura sanguigna che vorrebbe vederla esultare di gioia
improvvisa, sentirla ridere con la sua voce sensuale eppure limpida, un suono
di cristalli che vibrano nell’aria tersa.
Ho fiducia e so che verrà il
giorno in cui costanza e pazienza saranno premiate.
Danielle ritroverà sé stessa, lo
posso già sentire da tanti piccoli segnali.
È autunno inoltrato, Oscar e
André sono partiti da diversi mesi.
Danielle non ha più avuto
notizie di loro, né li ha cercati.
La Normandia è battuta da un vento
freddo, ma la temperatura della regione è ancora abbastanza mite e solo in
tarda serata l’aria si fa più fresca e pungente.
Danielle quando non esce a
cavallo, di frequente fa lunghe passeggiate solitarie sulla spiaggia di Etretat
proprio sotto il promontorio su cui sorge la villa; cammina a piedi per delle
ore e mi chiede spesso di non accompagnarla, e io, anche se un po’ a malincuore
e in apprensione, rispetto questa sua necessità d’isolamento. Qualche volta
vorrei seguirla, anche di nascosto e a distanza, ma m’impongo di non farlo, per
non costringerla a sopportare la mia presenza, e diventare così sgradito. Ci
sono giorni che invece, insiste perché io rimanga al suo fianco, quasi non
potesse farne a meno, come avesse timore di restare sola con sé stessa. Allora,
la guardo e immagino quali pensieri l’attraversano; contemplare l’orizzonte in
silenzio è un modo di regalarli al mare che li porta al largo, forse la risacca
furiosa delle onde l’aiuta a placare i suoi tormenti, e cancellare i ricordi.
Una settimana fa ero passato
alla villa a farle visita; mi fu detto che la contessa si era allontanata, e
non seppero dirmi quando sarebbe tornata. Rassegnato a non incontrarla, tornai
indietro e presi la direzione che dal promontorio scendeva verso la spiaggia.
Mi sono abituato a queste sue
fughe che all’inizio vivevo con ansia infinita; ormai so che può allontanarsi
per ore, senza dare notizie di sé. Ninette non si preoccupa nemmeno più; la
fidata cameriera mi rassicura che quando torna a casa, sembra più tranquilla di
quando è uscita.
Quel giorno, senza pensare
veramente a quello che facevo, raggiunsi la spiaggia, anch’io forse alla
ricerca di me stesso, di un momento per riflettere sui sentimenti da cui ero
dominato. Ricordo il vento gonfiare il mio mantello e gli stivali affondavano
nella rena. Avevo lasciato Faust poco lontano; camminavo da circa dieci minuti
guardando l’orizzonte, quando all’improvviso la vidi in lontananza. Non mi
aspettavo di incontrarla e non ero sceso sulla spiaggia con quello scopo.
Riconobbi immediatamente la sua figura; era ferma davanti al mare, lo sguardo
perso in un punto lontano, i capelli sciolti erano selvagge onde dorate che
lottavano contro la luce e l’aria che le sferzava il volto. Era avvolta in un
lungo scialle bianco di lana pesante che stringeva attorno alle braccia, unica
protezione fra lei e il vento che le stropicciava l’ampia gonna del vestito
contro le gambe. Intuivo le forme snelle e mi chiedevo come facesse a restare
così immobile contro l’aria che la investiva.
Non sapevo come avrebbe accolto
la mia presenza, forse l’avrebbe giudicata un’invadenza alla sua ricerca di
solitudine; decisi di raggiungerla e camminai verso di lei. A pochi metri mi
fermai e Danielle, dopo qualche secondo, si volse a guardarmi, distogliendo
l’attenzione dal mare agitato che infrangeva i suoi flutti davanti a noi.
“Tristan… cosa fate qui?”
Il tono tradiva la vaga sorpresa
di trovarmi lì, ma non pareva infastidita. Era piuttosto lieta.
Non risposi alla sua domanda e
la scrutai, seguii con attenzione la linea intera della sua figura, e mi
accorsi che era a piedi nudi! In quella stagione fredda lei camminava sulla
spiaggia di Etretat a piedi nudi! Scattò in me, un moto di costernazione che
non seppi trattenere.
“Danielle, ma siete una
sconsiderata!! – Esclamai avvicinandomi, la cinsi per un braccio, e nel gesto,
si scostò un lembo dello scialle. – Camminare a piedi nudi con questo freddo?
Congelerete!”
Lei parve ricordarsene solo in
quell’istante. Abbassò lo sguardo a guardarsi i piedi.
“Oh… sì, ecco… vi parrà sciocco,
ma… volevo sentire la sabbia sotto i piedi. È una sensazione piacevole,
sapete?”
“Cosa?”
La vidi sorridere indecisa,
forse lievemente in imbarazzo. Io invece, non capivo cosa le stesse accadendo.
Poco lontano da noi c’era una piccola barca capovolta con la chiglia verso
l’alto. Doveva essere di un pescatore del posto.
“Venite a sedervi. - La invitai.
- Danielle, siete sicura di sentirvi bene?” Le chiesi, inginocchiandomi di
fronte a lei con l’intenzione di frizionarle i piedi e scaldarli. E così feci.
Ero davvero in apprensione, ma
quando incontrai il suo sguardo azzurro fissarmi con una dolcezza che ritrovavo
dopo tanto tempo, rimasi senza parole, confuso e commosso.
“Siete
davvero un caro ragazzo…”
Mi
fece sorridere perché non ero un ragazzo.
Ero
un uomo innamorato, e il mio amore era adulto, fermo nell’attesa di potersi
esprimere, e mi sarebbe bastato un suo cenno, e nulla mi avrebbe più fermato.
La sua mano bianca sgusciò da sotto lo scialle, e venne a posarsi con una
carezza sul mio viso. Era calda e dolce. Io trattenevo una delle sue caviglie e
le dita coglievano la delicatezza della pelle, mentre con l’altra mano
accarezzavo il dorso del piede.
“Vi
ho fatto stare in ansia per tutto questo tempo, vero? Ma non dovete esserlo, io
sto bene. Oggi, dopo tanto tempo mi sento serena… i ricordi non fanno più
male.”
E
mi sorrise nuovamente, un sorriso dolcissimo che non mi regalava da tanto,
troppo tempo. Coprii la sua mano sulla mia guancia con la mia.
“Davvero Danielle? Siete così
strana…”
Fu allora che mi disse una frase
con non scorderò mai.
“Un po’ di tempo fa, un caro
amico mi disse che aveva letto l’amore sincero che custodivate nel cuore;
lo aveva riconosciuto perché era uguale a quello che provava lui per la sua
donna. Voi Tristan, siete l’amico dell’anima che aspettavo da sempre, quello
che non ho mai avuto neppure da bambina, e che ho desiderato dal primo istante…
quello stesso amico mi disse di non chiudere il mio cuore al vostro
affetto, ma di lasciarvi entrare nella mia vita, perché soltanto voi l’avreste
riempita… quell’amico sapeva che non potevo sperare di essere amata più
di così… mi disse che non conosceva amore che fosse più grande, perché lui
stesso lo aveva provato… Io vi voglio bene, Tristan. Davvero, vi voglio bene
immensamente.”
“Danielle…- Sussurrai ancora, sopraffatto
da un profondo turbamento, prima di appoggiarmi contro il legno della barca,
vicino a lei, e accostare la mia fronte alla sua. – Quando avete parlato col
vostro amico?”
“Durante il nostro ultimo
incontro, sono le cose che mi disse un attimo prima di lasciare Etretat. Sul
momento, vinta dal mio dolore, non compresi, ma ora sì… so quello che voleva
dire, e so che è vero; gli sarò sempre grata, per avermelo fatto capire.”
Non indagai oltre. Non mi
serviva sapere altro.
Nel cuore sentivo solo che dovevo
essere altrettanto grato a quell’amico.
Quel giorno d’autunno fu l’inizio di qualcosa
d’importante.
Il cuore di Danielle lentamente guariva, lasciava andare
il dolore, la sofferenza; lo compresi dalle parole che disse, dai gesti che
fece, dalla luce che tornò a sprigionare una rapida scintilla nel blu delle sue
iridi.
Certo, la strada da percorrere è
ancora lunga, ma la via è tracciata.
Io voglio accompagnarla su
questo percorso, camminando di fianco a lei, e la sorreggerò, quando inciamperà
su un ricordo penoso; lo sostituirò con uno nuovo, con una giovane speranza,
con un sorriso che le possa mostrare l’amore che nutro per lei.
E se è vero che Danielle ha
capito, che ha compreso quello che ho nel cuore, un amore che invade ogni
spazio della mia anima, allora un giorno la primavera sboccerà di nuovo anche
per noi, e saremo felici, insieme. Non importa quanto dovrò aspettare, né
quanto tempo ci vorrà.
Io sento che sarà così.
Me lo dice il mio cuore, me lo
dicono gli occhi di Danielle che in alcuni momenti, quando non me lo aspetto, e
non so spiegare come, mi guardano come nessuno ha mai fatto prima, come se il
suo sguardo riconoscesse chi sono e lei stessa si vedesse attraverso me.
È il mistero che coinvolge le
nostre anime e le lega.
Quel mistero che vive dentro
l’infinito, che leggo nello sguardo della donna che amo.
Quel mistero che gli uomini da
secoli chiamano amore.
§§§§§§§
Un freddo pungente costringeva a restare in casa davanti
al camino acceso; c’era profumo di neve nell’aria, e il cielo bianco e
lattiginoso prometteva di ricoprire tutto il paesaggio da un momento all’altro.
Natale era vicino, mancava meno di una settimana.
Come il solito, Versailles era in fermento per la festa
imminente, e la regina Maria Antonietta dava le ultime disposizioni circa il
ricevimento sontuoso previsto per l’occasione, ignorando bellamente quanto le
spese ingenti dell’organizzazione andassero ad incidere sulle finanze della
Corona, già messe a dura prova dagli sperperi continui a favore dei vari cortigiani
del suo entourage, e nessuno dei suoi fedelissimi, vuoi per interesse o
beata stolta indifferenza, si azzardava a farle notare la questione.
La corte francese proseguiva a vivere circondata e
immersa nella sua opulenza, ignorando la realtà al di fuori della gabbia dorata
che era il palazzo reale coi sui confini, pericolosamente all’oscuro degli
umori sinistri del popolo di Parigi, sempre più sofferente, frustrato,
avvelenato d’odio e malcontento.
Oscar era in piedi alla finestra della sua stanza; lasciava
smarrire lo sguardo lungo le aiuole curate del giardino spoglio di fiori,
mentre sistemava la giacca dell’uniforme, allacciando gli ultimi bottoni del
colletto. Lo fece senza fretta, quasi volesse ritardare il momento in cui
avrebbe messo piede fuori dalla sua camera. In effetti, aveva meno voglia di
altre volte di recarsi alla reggia, anzi, quell’ambiente le diventava sempre
più estraneo e insofferente col passare dei giorni. Da quando era tornata da
Etretat, a parte la gioia di riavere André accanto anche la notte, quella vita
fasulla spesa a beneficio d’onori vuoti, le era diventata insopportabile.
Conosceva la dolorosa realtà di Parigi, aveva visto le ingiustizie coi propri
occhi, e si sentiva una complice di quella colpevole apatia, che partiva
dall’amata regina e arrivava all’ultimo dei signorotti di palazzo, e non voleva
più esserlo.
Sistemò la fascia di seta alla vita, prese la spada
riposta nel fodero, e con gesti misurati e precisi, la legò al fianco. Andrè
era nel cortile che l’aspettava, già pronto per partire, all’apparenza più
paziente di lei, ma esattamente come lei, non rassegnato a quella loro vita
clandestina.
L’amore esigeva di più.
Loro esigevano di più.
Oscar stava ancora pensando alla lettera ricevuta quella
mattina. Arrivava da Sud della Francia; da lì le aveva scritto Danielle, che vi
soggiornava già da quasi due mesi, e lì avrebbe trascorso le festività
natalizie.
Scusami con nostra madre, e portale i miei saluti e
quelli dei suoi nipoti che la ricordano con affetto, le chiedeva.
Era il primo contatto tra loro, dopo l’incontro
drammatico di mesi prima ad Etretat.
Lettera quanto mai inaspettata, anche il contenuto era
stato per Oscar motivo di turbamento. Il tono della missiva era quieto, sereno,
e la sorella non faceva alcun cenno al recente passato o a ciò che per qualche
tempo le aveva divise. Anzi, Danielle dal passato, o buona parte di esso,
prendeva le distanze in modo davvero inconsueto, quasi al punto di ripudiarlo.
(…) Non tornerò più a
Versailles, né a quella vita. Lo dico con una tale convinzione, che forse ti
stupirà, ma io non metterò più piede a corte, e non per le ragioni che potresti
pensare; ho scoperto che non ne ho bisogno, e che posso essere molto felice
conducendo una vita più semplice. Sono arrivata a questa consapevolezza con il
tempo, attraverso molteplici esperienze, grazie anche ad una persona che mi ha
aperto gli occhi (…)
Tristan De Laundes, lo ricordava molto bene; un caro
amico per Danielle, e forse qualcosa di più, ma questo la sorella non lo diceva
chiaramente, come se volesse mantenere il riserbo. Tristan l’aveva accompagnata
laggiù, senza imporsi, ma lasciando a lei ogni definitiva decisione per non
crearle imbarazzo.
(…) La sua presenza nella
mia vita è diventata quasi indispensabile. Con lui sono naturalmente me stessa,
libera di esprimermi e confrontarmi su un piano paritario, come non mi era mai
successo con nessun uomo – a parte, forse André - e questa è una cosa che mi fa
sentire meravigliosamente bene. Lentamente, mi sono accorta di nutrire un
grande affetto per lui… un affetto che tende ad avere altre sfumature che sto
ancora cercando di comprendere… (…)
Oscar lesse tra le righe quello che Danielle ancora non
ammetteva. Lei c’era già passata, ma era un evento nuovo per la gemella. Danielle
aveva fatto una scelta, e sembrava quella giusta. Oscar se ne rallegrava,
mentre avvertiva che anche la sua vita la chiamava a prendere una decisione che
coinvolgeva la persona più importante che aveva accanto.
Voleva vivere l’amore alla luce del sole, voleva amare
Andrè liberamente. Voleva cambiare la sua vita e i tempi sembravano maturi.
Aveva espresso il suo desiderio anche a lui, e André si era mostrato
comprensivo, come sempre, manifestando la medesima volontà.
“Io voglio questo quanto te; credi che non ci abbia
pensato? Troveremo un modo, Oscar. Forse ci vorrà tempo e pazienza, magari non
sarà semplice, ma insieme ci riusciremo. Dobbiamo credere nel futuro… nel
nostro futuro insieme… io voglio crederci, Oscar. E tu?”
Anche lei voleva crederci.
E voleva credere nelle parole sorprendenti che chiudevano
la lettera di Danielle.
Le aveva attese come una speranza, senza sapere se
sarebbero mai arrivate; la prova che la ferita di Danielle si era chiusa senza
inaridire il suo cuore, anche per merito di Tristan, e che non conservava
rancore. Danielle aveva perdonato, se qualcosa c’era da perdonare. Erano ancora
sorelle, un legame di sangue e spirito che non poteva essere estinto.
(…) Hai ripreso il tuo
posto a Versailles, vero? Il dovere governa tutta la tua vita, è sempre venuto
prima d’ogni altra cosa, forse prima della stessa felicità.
E l’uomo che ami è sempre
al tuo fianco, discreto, ma costante… e innamorato, dunque capace di sostenere
il peso di ogni difficoltà, per incoraggiarti ad affrontarla.
Sai, è tutto così limpido,
adesso. Sei la mia gemella, la sola che ho, un fatto che rende il nostro legame
qualcosa d’esclusivo. Non abbiamo nulla di simile con le nostre sorelle
maggiori. Per questo so come possa essere difficile per te, conciliare il dovere
con ciò che il tuo cuore anela davvero. Mi è costato fatica, ma ho capito che
si è in sintonia con un’altra persona, quando si hanno in comune gli stessi
pensieri, quando s’intuisce il sentire dell’altro.
In fondo, l’amore è un po’ anche
questo, non credi?
Con Tristan mi succede
qualcosa di simile, e con te… beh, se ti conosco, e lo posso dire perché ti
somiglio molto, credo che la tua vita ti vada stretta e cercherai orizzonti più
vasti e lontani, che possano contenere quello che provi per André.
La falsità della nostra
società avviata al disastro non può bastarti, e non la vuoi accettare.
Non la puoi vivere.
Ho indovinato, vero?
Oscar, ti voglio bene e ti
sono vicina, adesso più di prima.
Sarò pronta in ogni momento
a sostenere le scelte future che farai.
Non mi aspetto nulla di
meno dal tuo coraggio.
Sappi che se busserai alla
mia porta, la troverai aperta.
Con affetto sincero,
Danielle
Oscar aveva riposto la lettera in un cassetto, e lo aveva
chiuso a chiave, come se dovesse custodire e proteggere un pezzo del suo cuore.
Troppe verità erano contenute in quei pochi tratti d’inchiostro che
riguardavano la sua vita e quella di André. Nessun altro per ora doveva
leggerla, né sua madre, meno che mai suo padre, l’ultima delle persone che
poteva capire. L’ambizione del generale le aveva dato quella vita, e lei ora
non la voleva più. Si sorprendeva a pensare che non le era mai appartenuta, ma
lo aveva compreso solo di recente.
Si apprestò a raggiungere André che l’attendeva con i
cavalli già pronti, per andare a Versailles. Mentre scendeva le scale del suo
palazzo, pensò che poteva essere una delle ultime volte che lo faceva per
recarsi alla reggia. Sembrava l’ultima volta di tutto.
Senza rammarico, immaginava finire i suoi giorni da
colonnello, con la divisa scarlatta simbolo di ciò che fu, dimenticata per sempre
in un armadio polveroso di quel palazzo. Il pensiero aveva qualcosa di
malinconico e struggente, ma era dolce allo stesso tempo.
Attraversò il vasto spazio antistante l’ingresso, raggiunse
l’esterno, dove trovò André già in sella al suo cavallo che salutava con un
gesto della mano la vecchia governante, affacciata ad una delle finestre
laterali.
“Come sta Danielle?” le chiese, appena lei fu in sella a
Caesar.
“Sta benissimo, ma per un po’ credo che non la vedremo.
Tristan è con lei…”
“Ne ero certo…” rispose André, con tranquillità. I
cavalli si mossero al trotto lungo il viale del giardino.
“Credo che Danielle, possa esserne innamorata…” commentò
vaga, fissando un punto lontano oltre le siepi che profilavano le aiuole. Danielle
non ammetteva nulla di simile, ma nascosto tra le righe c’era qualcosa che
faceva ben sperare, un’idea latente, un seme che forse attendeva la stagione
giusta per fiorire e diventare robusto.
“Ne dubiti?” domandò André con un sorriso convincente.
Lei lo guardò.
“Tu ne sembri certo…” constatò, pensando che poteva
rispondere all’invito di quella lettera.
“Credo solo che possa accadere qualcosa tra loro… se non
è già accaduta… magari, Danielle non lo sa ancora. È una possibilità concreta,
non credi, Oscar? Da molto tempo, sono convinto che Tristan possa essere l’uomo
giusto per tua sorella.”
“Lo dirà il tempo…” concesse Oscar, che era arrivata al cancello
della villa. Colpì con decisione i fianchi del cavallo e partì al galoppo.
André si lanciò subito dietro a lei, forse anche lui, per l’ultima volta nelle
vesti d’attendente.
Ci sono vite scritte nel destino, altre che scriviamo
noi, magari sbagliando, o forse accompagnando la sorte. Amori che possono
riconoscersi tardi, eppure viaggiano a lungo insieme nella stessa direzione
prima di allacciare gli sguardi. Ci sono cuori e anime che devono passare
attraverso l’inferno per arrivare alla felicità del paradiso, strade tortuose
che non sempre si comprendono, che sembrano impraticabili, ma da qualche parte
portano, e la meta attende solo di essere raggiunta. Per quanto si faccia, non
la si può evitare, perché è sempre stata lì per noi. Non importa quando si
arriva, quanto si allunga o accorcia la strada, l’importante è arrivare. La felicità
forse apparirà più grande rapportata alla sofferenza scontata lungo il percorso.
C’è un tempo per ogni cosa, e tutto nell'universo ha i suoi tempi. Anche l’amore.
Inutile forzarlo; lui, più d’ogni altra cosa o vita, si
prende i suoi ed è fedele solo alle sue leggi.
Tu uomo, impara a rispettarle.
Fine
Eccola qui, la tanto agognata fine, almeno per me.
Non sarà quella che vi aspettavate, ma in qualche maniera è
quella che avevo concepito io; aveva una forma nebulosa e un po’ vaga all’inizio,
ma è diventata sempre più concreta verso gli ultimi capitoli, e si è tradotta
in parole e pensieri abbastanza in fretta. Danielle ora è vista attraverso lo
sguardo altrui, un po’ a distanza, ma lasciando suggerire il suo sentire e il
suo vissuto, e il futuro possibile.
Non so come la vedete voi, ma per me c’è tutto. Era qui che
volevo arrivare. Attendo come sempre le vostre opinioni uguali o contrarie, mi
direte se vi è piaciuta o meno. È stato bello questo viaggio, stimolante e
anche faticoso. C’è sempre un po’ di tristezza e anche un po’ di gioia, ma va
bene così, e io odio allungare inutilmente il brodo. Spero di avervi dato
qualcosa. Io vi ringrazio per tutto il sostegno, l’incoraggiamento e la
pazienza che avete avuto con i miei tempi biblici; potevate abbandonarmi, ma
siete coraggiose e non l’avete fatto. Non tornerò a scrivere tanto presto,
almeno non in questo fandom, ma come lettrice sarò presente.