Sogni di fuoco

di sailormoon81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Nuova pagina 1

Sogni di fuoco

 

Prima parte

 

 

Fuoco.

Fiamme.

Tutto attorno a lei brucia.

Il fumo le rende difficile respirare, e senza quasi rendersene conto scivola nell’oblio che precede la morte.

 

Allison si svegliò sudata e ansimante nel suo letto.

Si guardò attorno: niente stava andando a fuoco.

Fece un respiro profondo, ma il fiato le si mozzò in gola.

Odore di bruciato.

In casa sua.

« Joe. Joe, svegliati. Per l’amore del cielo, Joe! »

« Cosa? Allison, cosa succede? Le bambine? »

« La casa va a fuoco, Joe. » In preda al panico, Allison scese dal letto e corse verso la camera accanto alla loro.

« Allison, che dici? »

Un assonnato Joe DuBois osservò la moglie svegliare nel cuore della notte le sue tre figlie.

« Mamma, che c’è? » domandò Ariel, stropicciandosi gli occhi.

« Torna a dormire » la rassicurò il padre. Poi si rivolse alla moglie. « Qui a casa è tutto normale, Allison » la rassicurò, guidandola verso la loro camera da letto.

« Ti assicuro, Joe, che c’è un incendio. In casa. L’ho sognato. »

Joe osservò la donna e sospirò rassegnato.

L’aveva sognato.

« E va bene » concesse. « Aiutami a controllare. »

Un’ora dopo, Joe ed Allison DuBois tornarono a letto.

« Era così vero » si scusò la donna. « Mi sentivo soffocare. »

« Non pensiamoci più » replicò Joe. « Buonanotte. »

 

Allison non prese sonno.

Era sicura di ciò che aveva sognato.

Il calore, l’odore… tutto indicava che qualcosa stesse bruciando, in casa loro.

Eppure nessuna presa di corrente sembrava essere in corto circuito, niente andava a fuoco.

È stato solo un sogno.

 

« Allison, hai una faccia… » la salutò il detective Lee Scanlon quando, alle otto e trenta, fece il suo ingresso nell’ufficio del procuratore Devalos.

« Non ho dormito molto, stanotte » spiegò, evasiva. « Cosa ti porta qua, così presto? »

« Un ragazzo è scomparso da casa, ieri sera poco dopo il tramonto. I genitori ne hanno denunciato immediatamente la scomparsa. »

« Non devono trascorrere quarantott’ore? »

Lee sospirò. « In effetti sì. Ma i signori Davis assicurano che non si sarebbe mai allontanato da casa senza avvertire. E poi sono amici di Lynn » aggiunse, « e mi hanno chiesto di occuparmene in via ufficiosa. »

« Se posso fare qualcosa… »

« Te ne sarei grato » fece l’uomo, consegnando ad Allison un plico.

Lei lo guardò confusa.

« La sua auto, una Toyota grigio scuro, è stata ritrovata da un amico a pochi isolati da casa. Dentro c’erano le chiavi e il portafoglio del ragazzo. »

Allison annuì ed estrasse il contenuto dalla busta, rivolgendo la sua attenzione al portafoglio, in cerca di un documento del giovane o di qualsiasi altro elemento che potesse aiutarla nella sua indagine personale.

Contrariamente alle aspettative, non c’era né la patente di guida né altro documento di riconoscimento, solo una carta di credito e qualche vecchio biglietto del cinema.

« Non credo di poter fare molto » si sentì in dovere di avvertire.

Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e ottenere una qualsiasi pista che portasse a ritrovare il giovane.

« Mi dispiace » disse dopo qualche minuto, « ma non sento niente. Magari si sarà semplicemente dimenticato di avvertire. »

Allison osservò il detective uscire dalla stanza e lo seguì con lo sguardo fin dentro l’ascensore.

« Signor procuratore, crede che quel ragazzo stia bene? »

Se Devalos si stupì di quella domanda non lo diede a vedere: alzò gli occhi dal fascicolo che stava consultando e parlò per la prima volta da che Allison era entrata nell’ufficio: « Ancora è presto per fare ipotesi, ma se non si fa vivo nelle prossime ore… » Lasciò la frase in sospeso: Allison sapeva che non c’era bisogno di aggiungere altro, perché quanto avrebbe detto Devalos sarebbe stata un’eco dei suoi stessi pensieri.

« Cosa posso fare per lei? »

« Per il momento niente » sorrise l’uomo. « Anzi, una cosa ci sarebbe. So che non spetta a te, ma... ti dispiacerebbe andare al distributore e portarmi una tazza di caffè? »

« Non solo le porterò il caffè » assicurò, « ma sarà un caffè vero, preso in un vero bar. »

 

Dieci minuti dopo, era nuovamente in ascensore, con un bicchiere pieno di fumante bevanda in una mano e un sacchetto di ciambelle appena sfornate nell’altra.

La giornata si prospettava serena, a dispetto della notte appena trascorsa, e non le dispiaceva l’idea di trascorrere la mattinata a riordinare vecchie pratiche; l’unica ombra era il fatto di non aver saputo aiutare Lee…

Ma, si disse, anche quello poteva essere un buon segno: per quanto fosse assurda come ipotesi, forse il ragazzo si era semplicemente dimenticato di contattare i familiari…

Il campanello dell’ascensore la avvertì di essere arrivata al piano; le porte si aprirono più lentamente del solito, e non appena Allison mise un piede fuori dalla cabina capì che qualcosa non andava.

C’era troppa calma, i colleghi sembravano essere spariti e nell’aria si avvertiva uno strano sentore di… morte.

Guardandosi attorno in cerca di una qualsiasi spiegazione, raggiunse l’ufficio di Devalos e le si gelò il sangue quando vide un corpo steso a terra, immobile.

Caffè e ciambelle le caddero di mano, finendo rovinosamente in terra.

Aprì la porta, e nello stesso istante in cui la sua mano toccò la maniglia una strana luce riempì la stanza, seguita da un odore di bruciato.

Allison non fece in tempo a chiedersi da dove potesse venire che alle sue spalle si susseguirono molteplici esplosioni, e lei fu colpita in pieno da una di esse.

 

« Signora? Si sente bene? »

Allison tremava visibilmente, e fu con fatica che aprì gli occhi sullo sconosciuto che le stava parlando. « Vuole che chiamiamo qualcuno? »

Impiegò qualche secondo prima di rendersi conto che si trovava ancora in ascensore, con ciambelle e caffè per il procuratore stretti tra le mani.

« Sto bene » assicurò con un filo di voce.

Che cosa era successo?

Un’occhiata alla pulsantiera alla sua destra le confermò che il prossimo sarebbe stato il suo piano.

Il suono familiare del campanello le comunicò che era arrivata a destinazione, e fu con un senso di apprensione che si avvicinò alla porta.

Si sentì sollevata nel ritrovare il caos che ogni mattina la salutava al suo ingresso, e senza perdere tempo corse verso l’ufficio di Devalos.

Lui era al solito posto, seduto alla scrivania, con una pila di fascicoli in un angolo e l’aria di chi vorrebbe essere ovunque tranne che a riordinare scartoffie.

« Signor procuratore, sta bene! »

Devalos alzò gli occhi sulla donna e un’ombra di preoccupazione oscurò il suo sguardo nel vedere sul viso di lei un’espressione che aveva imparato a conoscere negli anni. « Sono contento che sapermi in ottima salute ti renda felice, ma se chiudessi la porta e mi raccontassi cosa hai visto, mi sentirei ancora meglio. »

Allison non se lo fece ripetere due volte: si chiuse la porta alle spalle, raggiunse la scrivania dove posò il suo acquisto e, sedutasi di fronte al procuratore, iniziò a raccontare quanto accaduto pochi minuti prima.

« Sembrava così reale » si scusò per la seconda volta in meno di dodici ore.

« Non poteva essere semplicemente un… sogno, vero? » chiese Devalos, conoscendo già la risposta. « Magari ti sei scottata con il caffè – a proposito, grazie – ed eri sovrappensiero… »

Allison scosse il capo in segno di diniego: era troppo vero per essere solo frutto della sua immaginazione.

Ma se in ufficio tutti stavano bene, cosa aveva causato quella sensazione che la accompagnava dalla notte precedente?

 

***

 

« Mi sei mancata, oggi » salutò Joe quando la moglie rientrò a casa, nel primo pomeriggio. La raggiunse in cucina e le cinse la vita con le braccia, baciandola sul collo.

« Anche tu. È stata una giornata strana, la mia. A te com’è andata? »

Joe scrollò le spalle, senza staccarsi da lei. « Abbiamo avuto un’offerta per il progetto. Ma ancora è tutto da valutare. »

Allison sorrise. « Sono certa che prenderete la decisione più giusta. »

« C’è qualcosa che ritieni di dovermi dire? »

« Così sarebbe barare… »

Un’occhiata all’orologio ed Allison sciolse l’abbraccio del marito per dedicarsi alla cena.

« Cosa intendi per giornata strana? » domandò Joe. « Più strana di stanotte? »

Con poche parole Allison lo informò della mancanza di sensazioni di qualsiasi genere riguardo la scomparsa del ragazzo dei Davis e della successiva visione su Devalos.

Dovette ammettere, però, il particolare di non aver propriamente riconosciuto il procuratore nel corpo che aveva visto.

« Probabilmente non vuol dire nulla » provò a tranquillizzarla, pur senza credere fino in fondo alle sue stesse parole. « Magari domani andrà meglio… »

 

*

 

La mattina seguente Allison si alzò con un senso di insoddisfazione che non la abbandonò neanche quando, assieme a Lee Scanlon, poco dopo mezzogiorno, raggiunse casa Davis.

« Grazie per avermi chiesto di venire. »

« Grazie a te per non aver mollato il caso » replicò Lee.

Parcheggiarono l’auto lungo il marciapiede della strada residenziale dove abitavano i Davis, e fianco a fianco raggiunsero la porta di ingresso.

Allison si guardò intorno, sperando di cogliere qualcosa che la aiutasse a risolvere il mistero della scomparsa del giovane; quando il portoncino si aprì, si stupì di trovarsi davanti una donna non più grande di lei, con profonde occhiaie sul volto pallido.

« Sono il detective Scanlon » si presentò Lee. « E lei è Allison DuBois, dell’ufficio del procuratore.»

Allison vide la donna impallidire ancora di più, se possibile, e farsi piccola mentre a sostenerla giunse un uomo alto, dai capelli sale e pepe e dallo sguardo fiero.

« Avete scoperto qualcosa? » domandò Carl Davis, dopo aver appreso le generalità dei due visitatori e averli invitati ad accomodarsi in casa.

« Ancora no, ma stiamo facendo il possibile per ritrovare Andrew » assicurò Lee, precedendo Allison in soggiorno.

« Posso chiedervi di usare il bagno? » domandò Allison: mentre Lee era occupato a prendere le informazioni necessari per l’apertura delle indagini che, ormai ne era certa, sarebbero partite la sera stessa, lei ne avrebbe approfittato per fare un giro della casa, in cerca di qualcosa che sperava le saltasse agli occhi come accadeva ogni volta.

Seguì le indicazioni di Shannon Davis per raggiungere il bagno al piano di sopra e, assicuratasi di essere rimasta sola, iniziò la sua personale ricerca.

Dopo dieci minuti raggiunse gli altri in soggiorno: come era accaduto il giorno precedente nell’ufficio di Devalos, anche in casa Davis nulla aveva attirato la sua attenzione.

Bastò un’occhiata a Lee per fargli capire il fallimento della sua ricerca.

Si sentiva scoraggiata per non riuscire a fare il suo lavoro come era richiesto, e quasi a mo’ di scusa, rivolse un sorriso mortificato ai genitori del ragazzo.

 

« Attento a quello che fai, Andrew! » esclamò Carl Davis, alzandosi e gettando a terra il bicchiere che teneva in mano. « Non ti permetterò di rovinarti la vita. »

« Non capisci, papà… » Andrew sembrava esausto: sedeva sulla sedia di fronte il genitore, i gomiti appoggiati alla scrivania e la testa tra le mani. « Sono stanco di vivere nella tua ombra. »

« Chi ti ha riempito la testa di simili sciocchezze? I tuoi amici? »

« Papà, ti prego… »

« Non c’è niente da discutere. Finché vivrai sotto il mio tetto, che ti piaccia o no, seguirai le mie regole. »

 

« Grazie per averci dedicato il vostro tempo. Appena avremo notizie ve le comunicheremo. »

Lee ed Allison raggiunsero l’auto e il detective le passò gli appunti della conversazione avuta con i Davis.

La donna li scorse rapidamente, senza trovare nulla di particolare.

« Ho visto qualcosa » disse infine. « Andrew e suo padre hanno litigato. Non so quando, né l’argomento della discussione. Ma se l’ho visto avrà una qualche ragione… »

« Carl non ha accennato a discussioni avute col figlio » commentò Lee. « Secondo te nasconde qualcosa? »

« Ne dubito. Ma come ho detto prima, se ho visto il litigio dovrà pur esserci una motivazione… motivazione che mi sfugge… »

Rimasero in silenzio qualche secondo.

« La prossima mossa? » chiese la donna. « Non dirmi che dobbiamo aspettare… »

Lee sorrise. « La procedura vorrebbe così. Ma noi ora ci troveremo casualmente alla tavola calda dove lavora Mark Newton. L’amico che ha ritrovato la macchina di Andrew » spiegò, notando un’espressione curiosa sul volto dell’amica.

« E speriamo di avere più fortuna. »

 

Raggiunsero la tavola calda in venti minuti.

« Mark Newton? » chiese Lee alla cameriera che si era avvicinata alla porta, al loro ingresso, per accompagnarli al tavolo.

La ragazza, “Phoebe” si leggeva sul cartellino che portava attaccato all’uniforme rosa e bianca, li fece accomodare in un angolo più appartato e assicurò che Mark sarebbe arrivato in pochi minuti.

« Nell’attesa, vi offro il caffè » disse, e versò loro due generose tazze di bevanda scura.

Come promesso, dopo un paio di minuti, un ragazzo allampanato, dai capelli rossi e con le lentiggini, raggiunse il loro tavolo.

« Phoebe ha detto che volevate parlarmi… »

« Siediti » lo invitò Lee, dopo essersi presentato.

« Avete trovato Andrew? »

« Ancora no » ammise Allison. « Ma ci stiamo lavorando. »

Mark annuì, dicendosi pronto a rispondere a qualsiasi domanda avesse aiutato il ritrovamento del suo amico.

« Da quello che ci hai detto, hai trovato la macchina di Andrew vicino casa sua. »

« Sì, è così. Dovevamo vederci per andare al cinema con gli altri amici, ma  quando Shannon ha detto che non era ancora rientrato mi sono meravigliato: non aveva mai disertato un appuntamento senza avvertire. Ho pensato che avesse fatto tardi in università, e ho risalito la strada per qualche isolato, fino a trovare la Toyota. »

Lee prese appunti, mentre Allison scrutava con attenzione il viso del giovane.

« Vai avanti. Quando hai trovato l’auto hai pensato che si fosse dimenticato dell’appuntamento e l’hai chiamato più volte al cellulare, giusto? »

« Ho provato ad aprire la portiera. » Si passò una mano sul viso, come a voler rimuovere con un solo gesto la stanchezza. « Quando ho capito che era chiusa è come suonato un campanello d’allarme; ho preso il cellulare e l’ho chiamato non so quante volte. Solo alla fine mi sono accorto che i miei tentativi erano inutili: dall’interno dell’auto proveniva la suoneria del telefono di Andrew, e guardando meglio ho potuto scorgerne anche il lampeggiare del display. A quel punto ho chiamato i genitori e poi insieme abbiamo chiamato voi. »

Scanlon annuì. « Tu sai che ancora non sono trascorse le quarantott’ore necessarie per far partire le indagini, vero? »

« Ma voi state comunque indagando, no? Non aspetterete davvero un altro giorno prima di dare il via alle ricerche. »

Mark sembra davvero preoccupato per l’amico, rifletté Allison. Si voltò verso Lee per avere il via libera nelle domande che riteneva opportuno porre al ragazzo.

Non aveva ancora deciso cosa domandare per prima, quando vide piovere banconote bruciate, alcune ancora accese, insieme a quello che aveva tutta l’aria di essere del talco…

Si riscosse immediatamente: forse aveva trovato qualcosa.

« Dimmi, Mark » iniziò Allison. « Che tu sappia, Andrew ha problemi economici di qualche genere? »

Il giovane rise. « Ma avete visto la sua casa? »

Lee ed Allison si scambiarono un’occhiata eloquente: in effetti, i Davis non possono certo dirsi persone con difficoltà economiche…

« Andrew si lamenta spesso che suo padre è uno spilorcio » continuò Mark ignorando i pensieri degli altri due, « ma gode di un conto personale su cui gli zeri fanno lunghe file… »

« Ne sei sicuro? » insistette Allison.

« Assolutamente. E poi so che ha intenzione di trasferirsi altrove. Penso stesse organizzando un trasloco. »

 

Alle due e mezza, rientrarono in centrale.

« Ne sono sicura, Lee. Andrew ha qualche problema di natura finanziaria. »

Lee la guardò in silenzio. « Non abbiamo elementi per poter richiedere un controllo dei suoi movimenti » ammise.

« Lo so, ma deve esserci un modo per aggirare l’ostacolo… »

« Da domani sarà avviata la ricerca ufficiale. E dobbiamo solo sperare che non sia troppo tardi… »

Allison salutò l’amico e raggiunse Devalos nel suo ufficio.

Con poche parole lo mise al corrente della mattinata trascorsa con Scanlon e non nascose la frustrazione per non aver trovato niente che potesse esser loro d’aiuto.

« Eppure sento che qualcosa ci viene nascosta » confidò al procuratore. « Ne sono certa, quel ragazzo è nei guai fino al collo. È una sensazione » anticipò la domanda dell’uomo, « ma sento di doverla ascoltare. »

« Domani mattina chiederò al giudice di concedere un mandato per controllare il conto e i tabulati telefonici del giovane Davis » promise il procuratore. « Se c’è qualcosa di anomalo, lo scopriremo in pochi minuti. »

« Grazie, signor procuratore. »

Devalos si limitò a fare un gesto con la mano, a intendere che non c’era bisogno di ringraziare. « Credo che dovresti tornare a casa, Allison » aggiunse. « Hai una faccia stanca, e domani dovrai partecipare alle ricerche, se vorrai: dovrai essere al meglio delle forze. »

 

Pochi minuti dopo, Allison aveva raggiunto la sua auto in garage.

Salì in vettura e mise in moto.

Ingranò la retromarcia per uscire dal parcheggio, completò la manovra e si mosse verso la rampa che l’avrebbe portata sulle strade di Phoenix, diretta verso casa.

A dieci metri dal posto auto, tutto accadde velocemente: avvertì un odore di bruciato all’interno dell’abitacolo, un lampo l’accecò per qualche istante, e quando riacquistò l’uso della vista dovette sterzare violentemente verso sinistra per evitare di investire la figura vestita di bianco, a un metro da lei.

Tamponò un’auto parcheggiata ma non le importava… una sola cosa le premeva sapere, una volta scesa dalla macchina: dov’era finito quel ragazzo? Perché ne era più che certa che fosse lì per lei. Era stata forse un’allucinazione?

 

 

Primo tentativo di scrivere una storia su Medium... non so come sia il risultato finale, ma personalmente sono soddisfatta: è stato difficile descrivere e spiegare le sensazioni provate da Allison, specialmente è stata dura cercare di renderle in modo che anche chi non ha mai avuto simili esperienze possa farsi una vaga idea di cosa si provi...

Se poi si aggiunge che l'indagine poliziesca, per quanto non prettamente scientifica nella serie, non è il mio forte... be', il lavoraccio è assicurato XD

Sono riuscita a rendere in milionesima parte tutto ciò? Non lo so, lascio a voi la parola dopo questo primo capitolo (non temete, in tutto sono solo sei ^^ )

Attendo i vostri commenti, nel bene e nel male ;)

Bax, Kla

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Nuova pagina 1

Seconda parte

 

 

 

Cos’era quel posto?

Non lo riconosceva, anzi era sicura di non averlo mai visto.

Sembrava… sì, era un bosco.

Si guardò intorno cercando di identificare quel luogo sconosciuto, ma senza successo.

Aiutami.

Era un sussurro, eppure era talmente chiaro nella sua mente…

Chi stava chiedendo aiuto? E dove si trovava?

Non doveva mettersi contro di loro! A chi apparteneva quella seconda voce? Per lui non c’è più niente da fare. Non può essere salvato, ormai.

Senza sapere come, Allison si trovò a levitare sopra quel bosco, cercando di capire chi avesse parlato.

Improvvisamente, tutto ciò che aveva sotto di sé fu avvolto dalle fiamme e successivamente sommerso dall’acqua.

Il fuoco si estinse quasi subito, lasciando al suo posto solo terreno bruciato.

Per un breve istante restò incantata alla vista dei meravigliosi colori che quel deserto le offriva, ma la sua attenzione fu presto calamitata da ciò che era successo alla foresta: là dove appena un attimo prima c’erano alberi, ora c’erano tronchi ricoperti di cenere.

 

Si svegliò madida di sudore, e con una sensazione di soffocamento si mise a sedere sul letto.

Che diavolo voleva dire quel sogno?

Chi le aveva parlato?

Non ricordava di essersi mai sentita così inutile, neanche quando Lucas Harvey le aveva reso impossibile avvalersi dei suoi sogni, condizionandoli.

Un pensiero le balenò alla mente, ma lo scacciò subito: ricordava perfettamente che il fantasma di Harvey era stato portato via dalle anime che a causa dell’uomo non era stato possibile salvare, quindi era altamente improbabile, anzi impossibile, che ci fosse un collegamento con quanto stava vivendo in quel momento…

Ma allora perché non riusciva a risolvere il mistero?

Perché tutti i suoi sogni e le sue sensazioni erano dei vicoli ciechi?

 

« Sei riuscita a riposare? » le chiese Joe quando scese in cucina, poco dopo le sei del pomeriggio.

« Diciamo di sì, anche se non troppo. Ho fatto uno strano sogno in cui… »

Lo squillo del telefono interruppe quell’inizio di conversazione. Allison rispose immediatamente e ascoltò con molta attenzione quanto l’interlocutore stava dicendo.

Con un « Okay, arrivo subito » chiuse la comunicazione e corse nell’ingresso, pronta per uscire.

« Era Lee » spiegò al marito. « Pare che abbiano trovato qualcosa… »

 

« Abbiamo controllato al microscopio il conto di Andrew » spiegò Scanlon all’arrivo di Allison in centrale. « Ci sono movimenti sospetti: accrediti piuttosto elevati, per essere uno studente universitario. »

« A che conclusione siete arrivati? »

« Siamo in una situazione di stallo » ammise Lee. « Ma i ragazzi della scientifica stanno rivoltando l’auto del ragazzo in cerca di qualcosa. Più di questo non posso chiedere, almeno finché non sarà avviata l’indagine ufficiale… »

Allison ascoltò in silenzio le parole dell’amico. « C’è altro? »

Lee sorrise, quasi aspettando di sentirsi rivolgere quella domanda. « Pare che abbia prelevato parecchio, nell’ultimo mese. »

« Quanto? »

« Si tratta di cifre più o meno grandi, che in apparenza non destano sospetti, ma che sommate raggiungono la somma di sessantamila dollari. Stando alle dichiarazioni dei conoscenti, il ragazzo non aveva motivo di prelevare così tanto in così poco tempo… »

« E il trasloco a cui ha accennato Mark Newton? »

« Non c’è traccia di acquisti di immobili a suo nome. Abbiamo controllato i tabulati telefonici ma non risulta esserci niente di anomalo. Se non abbiamo una pista migliore, credo che dovremo arrivare alla conclusione di un allontanamento spontaneo da casa… »

« Non puoi dire sul serio! » esclamò Allison battendo i palmi contro la scrivania del detective. « Ho fatto un altro sogno, e sento che qualcosa ci sta sfuggendo. »

« Ragiona, Allison. Non ci sono segni di lotta, né dentro né fuori la sua auto; ha prelevato contanti per un totale di sessantamila dollari, e ha sul conto migliaia di dollari che aspettano di essere spesi… con cifre simili si starà facendo una risata alle nostre spalle. »

« Devi avere fiducia in me, Lee » insisté. « Ho visto qualcosa, devo solo capire cosa… Proprio prima di raggiungerti ho fatto un sogno. Stavo tentando di dirtelo anche prima. »

« Ti ascolto » sospirò il detective, appoggiandosi meglio allo schienale della sedia.

Con poche parole, Allison descrisse quanto aveva visto: si rendeva conto che non fosse granché come indizio, ma sperava potesse convincere Scanlon a non abbandonare le indagini.

« Stai dicendo che dobbiamo cercare una foresta? » volle accertarsi Lee. « Ha senso. Quante foreste ci saranno sul pianeta? Un paio… »

« Smettila, Lee. »

« Scusa. Ma davvero, Allison, come posso prendere sul serio una notizia del genere? »

« Hai ascoltato bene? » continuò la donna. « Ho detto che la foresta c’era, ma poi è diventata qualcos’altro. Gli alberi erano ricoperti di fango e cenere. E ricordo benissimo l’alternanza di colori: rosso, giallo e bianco, per la precisione. »

Senza una parola, Lee si alzò e raggiunse un collega poco distante da loro.

Allison non capì di cosa stessero parlando: vide l’altro uomo porgere a Lee un libro che l’amico si affrettò a sfogliare; quando sembrò aver trovato cosa cercava, le fece cenno di raggiungerlo.

« C’è solo un posto che mi viene in mente » ammise porgendole il libro aperto un una serie di fotografie. « Somiglia in qualche modo a ciò che hai visto? »

Allison lesse il titolo del libro: Da Las Vegas a Las Vegas – Diario di viaggio in Arizona e Utah. Riaprì il Diario alle pagine indicatale da Lee e studiò quelle immagini attentamente: ritraevano rocce dai colori più disparati, dal rosso al bianco, al viola, al grigio; gli alberi sembravano…

Lesse la didascalia: migliaia di pezzi di tronchi d'alberi pietrificati che sono diventati minerali dai bellissimi colori. « La Foresta pietrificata, nel Painted Desert! Come ho fatto a non pensarci prima… Ne sono certa: è ciò che ho sognato! »

« Dista quasi duecento miglia da Phoenix » commentò Lee. « Più di tre ore di viaggio. Se anche partissimo adesso, arriveremo che sarà già buio… » Afferrò il telefono e compose un numero.

Dopo qualche minuto, aveva predisposto che la polizia del luogo li aiutasse nelle indagini, mentre lui li avrebbe raggiunti l’indomani mattina con una squadra.

 

***

 

Durante il tragitto fino a Holbrook, la mente di Allison vagò senza sosta, alla ricerca di qualche indizio che le fosse sfuggito.

Le tornarono in mente le parole rivoltele dalla voce del sogno che aveva fatto il pomeriggio precedente: cosa voleva dire con Non doveva mettersi contro di loro? E chi erano “loro”?

Guardò l’orologio.

Erano le otto passate, e viaggiavano già da un paio d’ore.

Di sicuro la sua famiglia era pronta per recarsi a scuola o al lavoro.

 

« Andrew, che ti è successo? »

« Tranquilla, Jane. Ho solo bisogno di un posto dove stare, per stanotte. »

La ragazza si scostò lasciando entrare Andrew Davis nella casa illuminata solo da un paio di lampade.

« Dio mio, Andrew! Sei ferito! Chi ti ha fatto questo? Devi andare subito in ospedale! »

« No! Nessun ospedale. Sto bene, credimi. »

Si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Andrew poggiò le sue labbra su quelle della ragazza. « Credimi, amore mio, tutto si risolverà per il meglio. Te lo prometto. »

« Lavorerei altri mille anni, se servisse a tenerti lontano dai guai. Sono stati loro, non è vero? » Non attese risposta. « Ti prego, Andy. Bastiamo solo noi due e il nostro bambino. Rinuncia, prima che sia troppo tardi. »

Andrew allungò una mano a sfiorare il ventre piatto della donna. « Meriti di più… »

Jane avvertì una punta di insicurezza nella voce del compagno. Afferrò il telefono cellulare dal mobile nell’ingresso, compose il numero di emergenza e porse il telefono a Andrew. « Non mi servono lussuosi palazzo dove abitare: stiamo bene qui. Non voglio niente. Solo te. »

« Abbi fiducia, Jane. So quello che faccio. »

« Nove uno uno. Qual è la sua emergenza? »

Jane esitò prima di richiudere la comunicazione con la polizia.

Nel silenzio della notte, il rumore della porta d’ingresso che veniva chiusa risuonò forte come uno sparo.

 

« … ma aspettano noi per rimuovere il corpo. A quanto pare, hai avuto ragione ancora una volta. »

Allison riaprì gli occhi e per un breve istante si domandò dove fosse.

Lee le stava parlando, senza staccare gli occhi dalla strada avanti a loro.

« Corpo? Quale corpo? » L’ultima cosa che ricordava era che stava pensando alla sua famiglia, e fino a quel momento Lee non aveva fatto menzione di alcun cadavere.

Il detective le rivolse una fugace occhiata. « Mi stai ascoltando? Non ti sarai addormentata! »

« Non lo so… voglio dire, credo di sì. Per quanto ho dormito? »

Lee rise. « Non molto, temo. Giusto il tempo di una telefonata da parte dell’ispettore Corradine della polizia di Holbrook. »

« E…? »

« Hanno trovato un corpo carbonizzato nascosto tra i tronchi di pietra del parco nazionale. »

Un corpo bruciato. Sembrava quadrare con i sogni dell’ultima settimana…

« Ti risulta che Andrew Davis avesse una fidanzata? » domandò poi al detective.

Lui sembrò riflettere qualche secondo prima di rispondere negativamente.

« Ho sognato una certa Jane » spiegò, « che sembrava essere la compagna di Andrew. Probabilmente aspettavano un figlio… »

« Strano. Nessuno la nomina, né i familiari né gli amici che abbiamo interrogato… »

« E temo non sia l’unica cosa di cui amici e parenti fossero all’oscuro. Da quanto ho visto, credo che Andrew possa essere invischiato in affari poco chiari… Di che natura lo ignoro » anticipò la domanda di Lee, « ma quando saremo di ritorno a Phoenix dovremmo cercare questa Jane. »

« Non è molto… »

Allison rifletté. « Dovremmo cercare nelle tavole calde… magari cominceremo da quella dove lavora l’amico, Mark… »

 

Giunsero sul luogo del ritrovamento dopo quasi un’ora.

Allison restò affascinata dallo spettacolo offerto dai tronchi pietrificati e mineralizzati.

Continuò a guardarsi attorno mentre Lee raggiungeva il capo della polizia Corradine e veniva ragguagliato sulle indagini.

« A quanto sembra, è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco alla nuca » stava dicendo l’ispettore a Lee, « e successivamente gli è stato dato fuoco. Un’esecuzione in piena regola. »

« Qualche traccia utile? »

« Il parco è video sorvegliato. Abbiamo già chiesto le registrazioni degli ultimi dieci giorni ai responsabili della sicurezza e dovrebbero arrivare tra qualche ora in centrale. Tuttavia, ci sono segni di pneumatici poco più avanti. Con un po’ di fortuna riusciremo a identificare il tipo di gomma e di conseguenza risalire al modello di auto usata. »

 

L’attenzione di Allison fu catturata da una figura poco più distante dal gruppo di poliziotti.

Era un giovane di circa venticinque, ventotto anni; ricoperto di fango, osservava il rinvenimento del cadavere con un’espressione addolorata in viso.

Con molta cautela, la donna lo raggiunse.

« Andrew » sussurrò.

Il ragazzo alzò lo sguardo fissando i suoi occhi azzurri in quelli di Allison.

 

Andrew e suo padre stavano litigando nello studio dell’uomo.

« Finché vivrai sotto il mio tetto, che ti piaccia o no seguirai le mie regole! »

« E allora dovrò farlo per poco tempo ancora! »

 

La visione terminò rapidamente così come era avvenuta.

Aveva un che di “già visto”, ma l’ultima frase fu quella che attirò l’attenzione della medium. La prima volta che aveva assistito alla discussione tra i due Davis era certa di non averla sentita…

« Stavi comprando casa, vero? È questo che vuoi farmi capire? Cosa c’entra con la tua morte? » azzardò a chiedere alla figura che aveva dinanzi.

Andrew aprì la bocca per dire qualcosa ma si bloccò. Sembrava spaventato: si guardò attorno e iniziò a indietreggiare.

« Ti prego, non scappare! » supplicò Allison. « Chi ti ha fatto questo, Andrew? Chi è stato? »

Senza una parola, Andrew le voltò le spalle e iniziò a correre.

Dietro di lui, Allison giurò di aver visto un’ombra nera che lo inseguiva…

 

« Il coroner ha confermato la causa della morte » spiegò Scanlon, sulla strada di ritorno verso Phoenix. « Ci sono ancora alcuni esami da fare per stabilire da quanto tempo si trovi in quelle condizioni, ma per quando arriveremo in città il corpo sarà già nelle mani del nostro medico legale.»

« Mi dispiace per la sua famiglia » commentò Allison.

« Non siamo sicuri che si tratti di Andrew Davis » sottolineò Lee, ma Allison non parve averlo sentito.

« Magari se avessi capito prima la natura dei miei sogni… »

Rifletté qualche minuto prima di confidare al detective l’ultima visione. « Cosa credi abbia voluto dirmi, dandomi quel segno? »

« Per quanto l’identità del corpo non è ancora confermata » ripeté, « a voler fingere che sia così, probabilmente aveva ragione l’amico: Andrew voleva andarsene di casa » ipotizzò Lee, « ma la fuga non è finita come lui sperava… »

« E che mi dici dell’ombra che ho visto inseguirlo? »

« … o più probabilmente si era cacciato in guai talmente grossi che, anche da morto, nessuno vuole che si sappiano. »

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Nuova pagina 1

Terza parte

 

 

« Chi può aver fatto questo al nostro Andrew? »

Shannon Davis nascose il viso tra le mani, rifiutandosi di guardare la fotografia che ritraeva il corpo irriconoscibile del figlio.

Il medico legale aveva dovuto ricorrere alle impronte dentali per poter essere certo dell’identità del giovane, e subito dopo Lee aveva chiamato i Davis chiedendo loro di presentarsi in centrale il prima possibile.

Carl Davis, in piedi dietro la moglie, le accarezzava la testa e teneva lo sguardo fisso davanti a sé: anche lui, notò Allison, non guardava le fotografie posate sul ripiano della scrivania di Lee.

« Siete certi che non vi abbia detto nulla su quali fossero i suoi affari? Magari qualcosa di poco conto, in apparenza? » chiese il detective, raccogliendo le foto e richiudendo il fascicolo.

« Non ha mai accennato a nulla che potesse turbarlo » confermò Carl.

« Per caso conoscete una certa Jane? » volle sapere Allison.

« No » risposero insieme i Davis. Poi Shannon continuò: « Chiedete a Mark: lui la conoscerà di sicuro, se era un’amica di Andrew. »

 

*

 

« Salve, Mark. »

Il ragazzo alzò gli occhi dalla cassa e li posò sulla donna che aveva dinanzi.

« Sono Allison DuBois, dell’ufficio del procuratore. Ho una domanda da farti. »

« Riguarda Andy, vero? L’avete trovato? »

« Sì » confermò. « Ma sono qui per chiederti se conosci una certa Jane. »

Mark non nascose lo stupore per quella richiesta.

« Jane? Jane Adams? Pensate che sia coinvolta? Se è così, vi sbagliate di grosso: Jane non farebbe male a una mosca. »

Allison non rispose, ma si limitò a fissare il giovane.

« Dovrebbe essere di servizio ai tavoli » disse Mark dopo qualche secondo di silenzio. « Se vuole vado a chiamarla… »

« Chi è? » domandò, lanciando un’occhiata alla sala

Mark Newton le indicò una ragazza bionda piuttosto esile, dall’altra parte del locale.

« Sei stato molto utile, grazie. »

La donna raggiunse uno dei tavoli liberi e rimase in attesa che Jane la raggiungesse per prendere la sua ordinazione.

Con Scanlon avevano pensato che, se l’ultimo sogno fosse stato vero, la ragazza si sarebbe confidata più con una donna che con un detective.

Ed Allison avrebbe potuto cogliere molti più segnali di una poliziotta qualsiasi.

« Cosa prende, signora? »

Jane era più carina di quanto avesse immaginato: nel suo sogno, indossava una vestaglia e aveva i capelli arruffati, come chi è stato buttato giù dal letto nel cuore della notte.

Di fronte a lei, c’era una giovane donna dai lineamenti delicati, un fisico minuto e un paio di occhi color del mare.

Ed Allison pensò che negli ultimi tempi quegli occhi avessero versato più lacrime di quanto fosse pensabile, per una ragazza di appena ventitré anni.

« Qualcosa non va? » le chiese, dopo aver ordinato una tazza di caffè.

Jane la osservò con un sorriso tirato e si affrettò a negare.

« Ho bisogno di parlare con te, Jane » le disse Allison, quando l’altra stava per raggiungere un altro tavolo. « Di Andrew. »

Bastò il nome del ragazzo per far vacillare Jane.

« Siediti » la invitò Allison. « Sono Allison DuBois, dell’ufficio del procuratore » si presentò. « Assieme al detective Scanlon lavoro al caso di Andrew Davis. »

« Lo sapevo che gli sarebbe successo qualcosa » mormorò Jane, nascondendosi il viso tra le mani. « Non ha voluto darmi retta, e adesso… »

« Dimmi quello che sai, Jane. Fallo per lui, per Andrew. E per il vostro bambino. »

La ragazza alzò lo sguardo su Allison. « Come fa a sapere…? »

Allison sorrise. « Era un segreto? La vostra relazione, intendo. Perché? »

Jane sospirò. « Ha conosciuto la sua famiglia, no? Non potevano permettere che l’erede del patrimonio Davis sposasse una cameriera di fast food… »

« Ma non è solo per questo, vero? »

Jane sembrò tentennare. « No. In effetti, no. »

« Perché, allora? »

« Mark. È innamorato di me… »

« Mark Newton? L’amico di Andrew? »

La ragazza annuì. « Non volevamo ferirlo… poi ho scoperto di essere incinta, e volevo che Andrew parlasse con Mark. Non so se abbia avuto modo di farlo… »

La mente di Allison lavorava a gran velocità. Possibile che Mark Newton fosse coinvolto?

Sapeva bene che, nei controlli effettuati nei giorni passati, niente era saltato all’occhio degli investigatori, ma una nuova ispezione non avrebbe guastato…

« Cosa stava combinando Andrew, Jane? A che gli servivano sessantamila dollari? »

L’interpellata scosse la testa. « Non lo so. So che aveva qualcosa in mente, ma non mi ha mai voluto rendere partecipe fino in fondo. »

« Di chi aveva paura? Chi ha picchiato Andrew, qualche sera prima che sparisse? »

« Non lo so. Glielo giuro, io non so nulla… »

« Volevi chiamare la polizia » insisté Allison. « Chi volevi denunciare? »

« La prego, mi lasci in pace. Non so cosa stesse facendo Andrew. So solo che era preoccupato per qualcosa: mi raccontava che riceveva telefonate nel cuore della notte, e che aveva qualche sospetto. Ma non mi ha mai detto altro. »

« E che mi dici della casa? »

Jane sembrò stupita da quella domanda.

« La casa che Andrew aveva comprato, o aveva intenzione di acquistare » continuò Allison.

« Non ho idea di cosa stia parlando, signora DuBois. »

Allison sospirò porgendole un fazzoletto sul quale aveva scritto il proprio numero di telefono e quello di Scanlon. « Va bene. Ma se dovesse venirti in mente qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a contattarci. »

 

***

 

Finalmente poteva andare a dormire: dopo una giornata lunga come quella appena conclusasi, Allison non vedeva l’ora di lasciarsi avvolgere dalle braccia di Morfeo.

Stava per mettersi a letto quando decise di concedersi un momento di coccole extra: cosa c’era di meglio di un bagno rilassante, per porre fine alle fatiche della giornata?

Preparò il bagno ed entrò nella vasca piena di schiuma, lasciando che il tepore dell’acqua le sciogliesse i muscoli; rimase immersa per quasi trenta minuti, durante i quali si impose di non pensare a niente, specialmente al caso a cui stava lavorando.

Quando l’acqua cominciava a raffreddarsi, si alzò e uscì dalla vasca, rabbrividendo, e si affrettò ad indossare l’accappatoio.

Con gesti veloci si asciugò e si mise il pigiama: adesso era pronta per un buon sonno ristoratore.

Scostò le coperte.

E un urlo le morì in gola.

 

Lo squillo del telefono la risvegliò da quell’incubo.

Una assonnata Allison prese l’apparecchio che il marito le stava porgendo, ancora con gli occhi chiusi.

Più di una volta aveva pensato che non avesse senso continuare a dormire in quelle posizioni, se a ogni squillo del telefono era sempre lei a rispondere: dopotutto, le chiamate alle cinque e trenta del mattino non potevano essere per nessun altro, in famiglia.

Con le immagini di una testa mozzata di agnello nella mente, disse: « Pronto? »

« Allison, sono Scanlon. Scusa se ti ho svegliata… »

La donna accese l’abatjour e si mise a sedere sul letto. « Ci sono novità? »

Joe si mosse accanto a lei.

Ascoltò quanto Lee aveva da dirle senza rispondere se non con qualche monosillabo, promettendo solamente di raggiungerlo il prima possibile.

Chiuse la comunicazione e chiamò il marito. « Joe, era Lee. Mi aspettano… »

« Un marito qualsiasi sarebbe geloso se, alle cinque del mattino, la moglie ricevesse una telefonata da parte di un altro uomo, e diventerebbe sospettoso se lei lo lasciasse solo nel letto per raggiungere l’altro… »

« Ma tu no. Ed è per questo che ti amo. Ci vediamo più tardi. Pensi tu alle ragazze? » 

Senza aspettare risposta diversa dal solito mugolio, Allison corse in bagno a prepararsi.

Venti minuti dopo, era diretta alla centrale di polizia.

 

*

 

 

Carl e Shannon Davis giunsero nell’ufficio del procuratore poco dopo le otto.

« Sapevate che Andrew faceva uso di stupefacenti? » domandò Devalos, aggiornato sul caso da Allison pochi minuti prima dell’arrivo dei coniugi Davis.

« La scientifica ha trovato tracce di eroina nell’auto di vostro figlio » spiegò Lee.

Carl si affrettò a negare. « Non vi permetterò di infangare il nome di Andrew! »

« Non è nostra intenzione lanciare false accuse » assicurò Devalos, « ma questa scoperta mette tutto sotto una luce diversa. Ora abbiamo una pista tangibile da seguire. »

Per qualche minuto il silenzio dell’ufficio del procuratore fu rotto solo dai singhiozzi di Shannon Davis.

« Vi interesserà sapere che abbiamo rintracciato Jane. Jane Adams, per l’esattezza » disse Lee quando sembrò che la donna si fosse calmata, rileggendo gli appunti sul suo taccuino. « Era la fidanzata di vostro figlio. E a quanto pare, aspettavano un bambino… »

 

Andrew e suo padre stavano litigando nello studio dell’uomo.

Il ragazzo sembrava stanco di quella discussione, ma non intendeva darla vinta al genitore.

« Finché vivrai sotto il mio tetto, che ti piaccia o no seguirai le mie regole! »

« E allora dovrò farlo per poco tempo ancora! »

Carl Davis parve sorpreso da quell’affermazione, ma subito riacquistò la sua baldanza e rise. « E dove vorresti andare a vivere? A casa di quella sgualdrina? Possibile che tu non l’abbia ancora capito? Mira solo ai soldi, quella lì… quella Jane. È uguale a tutte le altre, è solo una putt… »

« Taci! » urlò Andrew. Con un solo gesto fece volare via le carte dalla scrivania e vi girò intorno, trovandosi a pochi centimetri dal volto del padre. « Non osare chiamare la madre di mio figlio a quel modo. Che ti piaccia o no, io la sposerò. Solo la morte potrà impedirmi di fare di lei la signora Davis! »

Gli occhi di Carl divennero due fessure. « Attento a ciò che chiedi: potrebbe avverarsi. »

 

« Lei lo sapeva » mormorò Allison. « Sapeva di Jane. E ha minacciato suo figlio… »

Shannon Davis alternò lo sguardo da Allison al marito. « Di cosa sta parlando, Carl? »

L’interpellato parve impallidire leggermente, poi si riprese. « Non è niente, cara. »

« Ti scongiuro, dimmi che non hai niente a che vedere con la morte del nostro Andrew. »

Nessuno disse nulla per quella che sembrò un’eternità.

Fu Devalos a rompere il silenzio. « Le consiglio di dire tutto ciò che sa. Il prossimo passo sarà un interrogatorio ufficiale… »

Carl Davis sospirò. « È vero, sapevo che Andrew si vedeva con una cameriera di quella tavola calda. Non ne ero entusiasta » ammise. « Credevo fosse come tutte le altre, una che mirava ai soldi. »

« È per questo che avete litigato, qualche sera prima della sua scomparsa? »

« No. Mi aveva chiamato il direttore della banca dicendomi che Andrew stava facendo movimenti poco chiari con il proprio conto. Gli ho chiesto spiegazioni, ma non me le ha volute dare. » L’uomo si passò una mano sul viso, come a voler scacciare il ricordo della lite. « Gli ho detto che finché fosse stato sotto il mio tetto avrebbe dovuto seguire le mie regole, e lui mi ha assicurato che non ci sarebbe stato ancora per molto. È stato allora che la discussione si è spostata su Jane… »

« Crede che avesse acquistato un appartamento in cui intendeva trasferirsi a breve termine? »

« Non lo so » Carl scosse la testa.

È sincero, pensò Allison e provò un moto di compassione per quell’uomo.

« Da quanto tempo conosceva Jane Adams? » continuò Lee.

« Non molto. Un paio di mesi, forse… »

« Abbastanza per farsi un’idea del tipo di ragazza che fosse. »

« Perché non mi hai mai detto niente, Carl? » gemette Shannon.

« Contro quella ragazza non avevo niente di personale » assicurò Carl, ignorando il commento della moglie al suo fianco. « Non volevo che Andrew venisse preso in giro da un’arrampicatrice. Ma temo di aver sbagliato sul suo conto… »

Il singhiozzo della signora Davis ruppe il silenzio creatosi dopo le ultime parole del marito.

« Glielo giuro » disse l’uomo. « Non avrei mai potuto fare del male ad Andrew! »

Scanlon chiuse il blocco degli appunti e si alzò, imitato dagli altri. « Resti a disposizione » intimò all’uomo prima di congedarsi e uscire dalla stanza, seguito da Allison.

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


Nuova pagina 1

Quarta parte

 

 

« Aveva acquistato un appartamento… »

« Sei sicuro di quello che fai, Andrew? »

« Questa è la sua offerta finale, signor Davis? »

« Attento, ragazzino. Stai giocando col fuoco. »

« Hai comprato una casa? »

« Attento, ragazzino. Stai giocando col fuoco. »

« Non mi piace questa storia… »

Boom!

« Ripensaci, sei ancora in tempo. »

« Ho vinto l’asta. La casa è mia. »

« Attento, ragazzino… »

« Eri stato avvertito. »

Boom!

 

Allison si svegliò madida di sudore.

Con una mano stringeva forte le coperte, mentre con l’altra, stretta all’altezza del petto, cercava di far calmare i battiti del cuore.

Fece per accendere la luce, quando notò una chiazza scura tra le lenzuola. Scostò le coperte e non riuscì a trattenere un urlo alla vista di una testa di pecora ancora grondante sangue.

 

Con il cuore che sembrava volerle uscire dal petto, Allison si svegliò da quello strano sogno.

Che diavolo stava succedendo?

La sua mente aveva deciso di giocarle dei bruttissimi tiri, oppure…?

Accese l’abat-jour sul suo comodino e controllò il letto: bene, era pulito, niente sangue né teste mozzate di animali.

Tirò un sospiro di sollievo e si distese nuovamente: doveva vederci chiaro, di questo ne era più che convinta, ma da dove cominciare?

Si sforzò di ricordare cosa avessero detto le voci del sogno appena conclusosi: ricordava poco, forse per la prima volta da che aveva memoria.

Era certa che ci fosse un collegamento col fuoco… qualcosa tipo… « Giocare col fuoco » ripeté a bassa voce.

E due esplosioni, quelle non potevano essere dimenticate.

E poi… qualcosa le sfuggiva.

Chiuse gli occhi cercando di concentrarsi meglio, e come un flash vide l’immagine di una casa.

« Ma certo! » si disse, mettendosi a sedere. « La casa è il nodo di tutta la faccenda! »

Cercando di non fare rumore, si diresse in cucina e accese il computer.

Non sapeva cosa cercare ma di certo l’avrebbe saputo non appena l’avesse trovato.

Accese la luce e si mise al lavoro.

Mentre attendeva che il computer si avviasse, si preparò un caffè: erano appena le cinque del mattino, e aveva proprio bisogno di una carica.

Con la tazza fumante in mano si sedette al tavolo e lasciò vagare lo sguardo per la stanza.

L’immagine delle teste mozzate viste negli sogni le tornò in mente.

Decise che ne avrebbe parlato con Devalos e Scanlon.

Iniziò a digitare sul computer; non sapeva dove andare a parare, quindi si limitò a una ricerca sugli appartamenti venduti e acquistati negli ultimi tempi: in base ai suoi sogni, il giovane Davis aveva acquistato da poco una casa, e lei sperava di trovare qualche collegamento utile nelle varie agenzie pubblicizzate in rete.

Dopo quasi un’ora, la sua ricerca non aveva ancora dato frutti.

Stava per alzare bandiera bianca quando Joe la raggiunse, ancora assonnato.

« A che ora ti sei alzata? »

Allison guardò l’orologio. « Circa le cinque. »

Joe si chinò sullo schermo del portatile e non si trattenne dall’esclamare, con tono esasperato: « Allison, ancora una casa? Non ne avevamo già parlato tempo fa? »

« Non è per noi » si schermì la donna, memore dell’ultima volta che, per un suo sogno male interpretato, per poco non aveva condannato la più piccola delle sue figlie a una morte dolorosa, vent’anni più avanti. « Sto solo facendo una ricerca per il caso a cui sto lavorando. »

Rapidamente spiegò cosa le stesse suggerendo il suo intuito, e quando ebbe finito attese che Joe le dicesse qualcosa. Sarebbe andata bene qualsiasi cosa, anche che il suo era un tentativo disperato.

« Hai detto una frase, prima, che mi lascia pensare… » commentò infine l’uomo, prendendo posto accanto a lei. « Hai detto “asta”… »

Allison rifletté qualche momento, stupita di come quel termine avesse colpito il marito più della descrizione delle teste mozzate. « Hai idea di cosa voglia dire? »

« Non ne sono sicuro, ma non sono molti i casi in cui un appartamento possa essere venduto all’asta. » Prese il computer e digitò “aste immobiliari” nel motore di ricerca. Dopo meno di due secondi, lo schermo del portatile rispose con oltre trecentomila risultati. Le prime sei voci dell’elenco erano semplici pubblicità di agenzie immobiliari, ma la settima sembrava rispondere alle sue domande.

Cliccò sul link e scorse il testo. « Ecco, come pensavo » disse, indicando con il cursore un punto a metà della pagina. « Le aste immobiliari avvengono in caso di fallimento, o sequestro di beni appartenenti alla malavita. »

Allison parve illuminarsi. « Ma certo! Le teste di animali! Non è un caso che le stia sognando, vero? Non vengono usate dalla mafia come avvertimenti? Devo chiamare Devalos! »

 

« Ha un senso » commentò il procuratore. « Le attività di Davis negli ultimi temi erano sospette ai suoi stessi amici e familiari, e il modo in cui l’abbiamo ritrovato poi… »

« In base ai miei sogni, pare che sia quest’appartamento il movente per l’omicidio. Ma non abbiamo idea di chi siano i mandanti né gli esecutori… »

Scanlon scosse la testa. « Forse non tutto è perduto. Stavo rileggendo le dichiarazioni rilasciate da Mark Newton. Quel ragazzo sa qualcosa, ne sono certo. »

 

« Allora, Mark » iniziò Scanlon. Erano da poco passate le nove del mattino quando, insieme ad Allison, raggiunse Mark Newton nel suo appartamento. « Finiamola di girarci intorno. Andrew è morto, è stato ucciso, molto probabilmente da gente molto, molto cattiva. » Si sentiva un idiota a parlare al ragazzo come fosse un bambino, ma a quel punto Lee voleva essere sicuro che afferrasse bene il concetto. « Quindi, se sai qualcosa, siamo tutt’orecchi. »

Mark si passò le mani sul viso. « Andrew aveva acquistato una casa » disse esausto. « Mi aveva fatto giurare di non dire nulla a riguardo… »

« Non credo che quel giuramento abbia valore, oggi. »

« Si trattava di un’asta. Un’asta giudiziaria. »

Allison sospirò. Le sembrava di non aver mai sospirato tanto come in quel periodo, ma quel caso le stava facendo saltare i nervi. « Questo l’abbiamo già preso in considerazione. Ci interessa sapere altro, Mark. E sai a cosa mi riferisco. »

« Quale casa aveva acquistato, Mark? » domandò Lee. « Non si trattava di un appartamento qualsiasi, vero? Andrew è stato ucciso a causa di quell’abitazione, e so che voi due eravate buoni amici: ti avrà certamente detto a chi apparteneva, e come era venuto a sapere dell’asta. »

« Ai Bonaventura » disse dopo quella che sembrò un’eternità. « L’appartamento era dei Bonaventura. » Si accasciò sulla sedia chiuse gli occhi.

Allison rifletté che appariva più rilassato dopo aver fatto quel nome: sicuramente si era tolto un gran peso dal cuore, e sperò che, grazie a quell’informazione, riuscissero ad arrestare gli assassini di Andrew Davis.

 

« Ho sentito parlare dei Bonaventura » commentò Scanlon mentre guidava diretto verso l’indirizzo dato da Newton. « Sono specializzati in spaccio e prostituzione, e se non ricordo male, qualche tempo fa l’FBI ha arrestato parecchi esponenti della famiglia… »

« Resta il problema di come collegare l’omicidio di Andrew a loro… non sarà facile. »

« Vero » convenne Lee. « Ma almeno sappiamo dove proseguire con le indagini. »

 

Giunsero all’angolo tra la Northern e la Nona Avenue.

Più che un appartamento, era una casa più grande di quella dove abitava lei stessa, rifletté Allison, e si domandò che affari stesse conducendo Andrew per potersi permettere una simile abitazione.

Il vialetto di ingresso era ben curato, così come il giardino, con piante ornamentali e statue in gesso agli angoli. Scelta di dubbio gusto, pensò la donna, e con un’alzata di spalle raggiunse il porticato.

Lee bussò, identificandosi, ma come era prevedibile nessuno rispose.

Il detective fece un rapido giro della casa, dopo aver fatto promettere ad Allison che non si sarebbe mossa dal giardino, e ritornò dopo pochi minuti.

« Niente di sospetto » comunicò, « ma comunque manderò qualcuno a controllare la zona. »

« E? »

« E ho un piano per non restare con le mani in mano. »

 

« Che intenzioni hai, Lee? » Devalos sembrava sospettoso riguardo le intenzioni del detective e non lo diede a nascondere.

L’interpellato sorrise, sornione. « Diciamo che ho qualche conoscente che mi deve dei favori… »

« Non sarà pericoloso? »

«Di certo non sarà una passeggiata, Allison… »

La donna scosse la testa. « Deve pur esserci un modo meno… esposto per indagare! »

« Fidatevi di me. »

 

***

 

Le notti seguenti, Allison dormì male: non aveva avuto incubi, ma una sensazione di attesa che non l’abbandonò finché, il mattino del terzo giorno, non fu svegliata dallo squillo del telefono.

« Lee! » rimproverò dopo aver riconosciuto chi era all’altro capo del telefono. « Non hai più chiamato! Il procuratore ed io siamo stati in pensiero: perché non ci hai aggiornati? »

« Hai ragione, scusami. Ma ho avuto parecchio daffare con i miei conoscenti. Abbiamo una traccia. Ci vediamo da Devalos tra mezz’ora. »

Allison si vestì in fretta, lasciando che fosse suo marito a occuparsi delle ragazze.

Quando arrivò nell’ufficio del procuratore, trovò Devalos e Lee chini sopra una serie di fotografie.

« Accomodati, Allison » salutò Devalos indicandole la sedia di fronte alla sua. « Abbiamo dei nomi, finalmente. »

La donna osservò i volti ritratti dalle foto. Non credeva di averli mai visti, ma d’altro canto nei suoi sogni non aveva visto nessuna persona che non fosse Andrew…

« Sappiamo dove sono? »

Scanlon annuì. « Se ne stanno occupando i ragazzi della narcotici. A breve dovrebbero arrivare in centrale. »

« Che prove ci sono che siano loro i responsabili dell’omicidio di Andrew? »

Devalos e Scanlon si scambiarono un’occhiata.

« Non mi dite che non ne abbiamo! »

« Li sbattiamo al fresco con una scusa qualsiasi – hanno una lunga lista di reati che pende sulle loro teste – e intanto noi avremo tutto il tempo per cercare prove del loro coinvolgimento nell’assassinio. »

Ad Allison non piaceva molto quel piano, ma dovette ammettere che non aveva avuto fiducia neanche nell’idea di Scanlon, tre giorni prima, e ora era grazie a quella che avevano preso due uomini…

La sua attenzione venne catturata da uno di loro. Johnny Mallard. Sembrava poco più che ventenne, a dispetto dell’età riportata nel fascicolo, un volto dai lineamenti delicati con occhi verdi che, anche dalla foto, sembravano avere vita propria.

 

« Di’ al tuo amico di lasciar perdere. » Johnny Mallard era in piedi, appoggiato al muro, e aveva un’espressione seria dipinta in viso.

« Non mi darà ascolto » disse l’interlocutore, nascosto in un cono d’ombra, di fronte a Mallard.

« Be’, sforzati. Se non abbandona l’asta finirà in guai grossi. Mi sta simpatico, il ragazzo, e non vorrei dovergli recapitare qualche messaggio poco… amichevole. »

L’altro rise. « Una dose di bastonate non gli farà male. Comunque, come ho già detto, non accetterà un consiglio simile. Hai da accendere? »

Johnny tirò fuori dalla tasca un accendino, illuminando per pochi secondi il viso di Mark Newton.

 

« Mark Newton sapeva tutto! » esclamò Allison. « L’ho appena visto parlare con Mallard: Johnny gli aveva chiesto di convincere Andrew ad abbandonare l’asta… »

« Non basta questo per dire che è coinvolto » la ammonì Devalos.

« Lo so » convenne la donna, « ma Newton non ha mai fatto parola di un simile colloquio: non credete che avrebbe dovuto parlarcene, in uno dei nostri incontri? »

« Tutto ciò che ci suggerisce la tua visione è il fatto che era a conoscenza dell’asta » ragionò Lee, « e che un eventuale acquisto non fosse ben voluto… »

 

« Che mi dici di Andrew Davis? »

Johnny Mallard sedeva nella stanza interrogatori di fronte il detective Scanlon.

Allison era nella sala attigua, intenta ad osservare lo scambio di battute tra i due uomini.

« Mai sentito. »

« Avanti, Mallard » lo incalzò Lee. « Sappiamo degli affari dei tuoi… capi. E sappiamo anche che sono stati loro a commissionare a te e a Bobby Weisberger l’assassinio del giovane Davis. »

Mallard socchiuse gli occhi e li fissò in quelli di Lee. « Non so di cosa stia parlando. »

Il detective aprì il taccuino. « E dimmi. Il nome Mark Newton ti dice niente? »

Allison giurò di vedere la mascella del giovane contrarsi nell’udire quel nome. Erano sulla pista giusta.

« Non rispondi? Be’, ti aiuto a rinfrescare la memoria. Mark Newton era un amico di Andrew Davis, lo stesso che aveva acquistato la casa sulla Nona Avenue. »

« E questo cosa c’entra con me? »

« Presto detto. Newton ha parlato di un vostro incontro, in cui hai ammesso di aver ricevuto ordini di dare una lezione a Davis. Quanto ci è voluto per passare da “una dose di bastonate” all’omicidio? »

Sta bluffando, notò Allison, ma a quanto pare è una tattica che funziona.

Dal vetro poté vedere Johnny spalancare gli occhi e chinarsi leggermente in avanti col busto.

« Quel bastardo! » sbottò infine Mallard. « Lo avevo pregato di convincere l’idiota del suo amico, ma non ha neanche fatto un tentativo! Lo voleva morto, quel figlio di… »

« Quindi » lo interruppe Scanlon, « stai confessando di avere ucciso Davis? »

« Voglio un avvocato » disse solamente l’altro, resosi conto di aver decretato con le sue stesse parole la fine della sua libertà.

 

« Un gioco da ragazzi » commentò Lee uscendo dalla sala interrogatori. « Si è fatto rigirare come niente, e adesso è il turno di Weisberger. »

Robert “Bobby” Weiberger era l’opposto di Mallard: ben piazzato e scuro di carnagione, sedeva con le braccia incrociate e fissava il detective negli occhi a mo’ di sfida.

Lee cercò di ripetere il bluff di poco prima ma dovette riconoscere che Weiberger era molto più avvezzo a simili giochetti di quanto lo fosse Mallard.

Il suo interrogatorio fu più un monologo di Scanlon, ed Allison credette che l’uomo l’avrebbe fatta franca.

Quando sembrava che Lee fosse sul punto di cedere, un agente entrò in sala, portando una cartella che diede al detective.

Allison osservò l’amico aprire il dossier e leggere la documentazione; lo vide confrontare i suoi appunti con i documenti appena ricevuti, finché non mise di fronte a Bobby Weiberger una serie di fotografie.

« Questa è la tua auto, vero? » chiese. « Una Volkswagen Touareg Station Wagon nera. »

« E con ciò? »

« Un’auto simile è stata ripresa dalle telecamere del parco nazionale della Foresta Pietrificata, giù a Holbrook. Scommetto che se mando qualcuno a controllare troveranno molte corrispondenze tra la tua macchina e le tracce rinvenute laggiù. »

Weiberger sogghingò. « Vi serve un mandato, e nessun giudice vi autorizzerebbe senza avere delle prove concrete dalla vostra. »

Sa il fatto suo, rifletté Allison sempre più scoraggiata.

« Hai ragione » concesse Lee, « ma forse dimentichi che le telecamere hanno ripreso tutto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto… »

 

Quando Lee uscì dalla sala interrogatori, Allison volle sapere se realmente avevano prove sufficienti per un mandato.

« Giudica tu stessa » rispose Lee, mostrandole il volto sfocato di un uomo alla giuda di una Touareg nera in quello che sembrava essere il Painted Desert.

« Quindi il caso è chiuso? »

« Se vogliamo metterla in questi termini… Non sei soddisfatta, vero? »

Allison scosse la testa. « Mallard e Weisberger sono solo due pedine… E ancora non sappiamo perché quella casa fosse così importante per Andrew e per i Bonaventura. »

« Temo che non lo sapremo mai… »

« E Mark Newton? » domandò, ricordando le parole di Mallard durante l’interrogatorio.

« Non possiamo incriminarlo » rispose Lee. « Ma scommetto che non ti fermerai, vero? »

Allison rise. « Si vede che mi conosci proprio bene… »

 

Mezz’ora dopo, Allison raggiunse Newton alla tavola calda.

« Signora DuBois, posso fare qualcosa per lei? » la salutò il ragazzo, raggiungendola alla porta d’ingresso e accompagnandola a un tavolo più appartato.

« Abbiamo arrestato gli assassini di Andrew » lo aggiornò Allison. « Un certo Johnny Mallard… il nome ti dice niente? »

Mark impallidì, ma si riprese immediatamente. « Perché dovrebbe? »

« Perché non hai avvertito Andrew di quanto Mallard ti aveva detto? Lo volevi morto, vero? »

« Non conosco questo Mallard » disse Mark, ed Allison notò come la sua fronte cominciava a imperlarsi di sudore. « Chi vi ha detto il contrario? »

« Eppure abbiamo la deposizione di Johnny Mallard in cui parla di un vostro incontro. Perché ce l’avevi con Andrew? »

Il ragazzo parve riflettere qualche istante. « E voi della polizia date credito più alle parole di un assassino che a quelle di un onesto cittadino? » Mark si alzò e rivolse ad Allison un sorriso che, notò la donna, di sincero non aveva niente. « Se vuole scusarmi, signora DuBois, il mio turno è terminato, e ho un impegno che non posso rinviare. Se ha bisogno di altro, sa dove trovarmi. »

Il ragazzo fece appena pochi passi, quando Allison sentì sussurrare un nome: « Jane. »

« Jane » ripeté Allison. « È per lei che ha fatto sì che Andrew andasse avanti, nonostante il pericolo. Probabilmente il tuo intervento sarebbe stato inutile, magari Andrew avrebbe portato a termine l’acquisto; ma tu non hai voluto correre rischi, vero Mark? E ora stai correndo da lei a offrirle una spalla su cui piangere, sperando che prima o poi lei si leghi a te. Ma non cantare vittoria troppo presto: la giustizia farà il suo corso. Non sei direttamente coinvolto nell’omicidio » concesse, superandolo e dirigendosi verso la porta, « ma Mallard sarà contento di non assumersi le responsabilità al cento per cento. Ti ha già tirato in ballo, e anche un avvocato alle prime armi saprà approfittare di questo. »

Allison uscì dal locale prima che Mark potesse reagire alle sue parole. Era certa di aver fatto centro, ed era fiduciosa che, prima o poi, anche Mark Newton avrebbe dovuto rispondere della morte di Andrew Davis.

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Nuova pagina 1

Epilogo

 

 

« Ti prego, di’ loro che mi dispiace. »

Allison si svegliò e si guardò intorno: erano le tre e ventidue di notte, lei era nel suo letto accanto a Joe e dalla camera delle ragazze non sembrava arrivare alcun suono.

Eppure era certa di aver sentito qualcosa.

« Di’ a Jane che la amo e che non mi perdonerò mai per averla lasciata a crescere un figlio da sola. »

« Andrew? »

Chiamato, il giovane apparve davanti a lei.

« Abbiamo arrestato i tuoi assassini » disse Allison, ma nella sua voce non c’era l’emozione presente ogni volta che veniva chiuso un caso. « Perché volevi quella casa? » domandò infine vinta dalla curiosità.

Andrew sorrise, o almeno così sembrò ad Allison: un sorriso triste pieno di rammarico.

« Non mi bastava ciò che avevo » confidò il ragazzo. « Volevo essere qualcuno, ma ho scelto la strada sbagliata. »

« Perché proprio quella casa? » insisté Allison.

Andrew la fissò negli occhi per un breve istante prima di abbassare lo sguardo sulle sue scarpe. « Il controllo. Quella è una zona tranquilla, piena di gente all’apparenza rispettabile… chi mai avrebbe potuto sospettare che fosse il centro di un traffico di droga internazionale? »

« Per questo? È per questo che hai mandato tutto all’aria? Per la droga? »

« Volevo dare a Jane di più » provò a difendersi.

« E invece sei stato ucciso. » Allison non voleva imprimere un tono di rimprovero nella sua voce ma non riuscì a impedirselo.

« Se potessi tornare indietro… » Si passò una mano sul volto e rimase in silenzio per alcuni minuti.

La donna si sentì quasi in colpa per averlo aggredito a quel modo e allungò una mano per posargliela sulla spalla, salvo poi afferrare soltanto aria là dove c’era il ragazzo.

« Che mi dici di Mark? » volle sapere Allison.

Andrew sospirò. « Il solo errore che ha commesso è stato quello di cadere anche lui nel tunnel. »

« Sapeva di te e Jane? »

« Credo che alla fine l’avesse capito. Non è stupido, l’avete conosciuto… »

Allison fece infine la domanda che temeva di fare. « Sai che ha avuto contatti con uno dei tuoi assassini? »

« Mark era come un fratello, e lo stesso io per lui… »

Non ha risposto alla domanda, constatò Allison ma non lo fece notare al ragazzo.

« Tra due giorni arriverà un grosso carico di droga » disse Andrew, dopo qualche altro istante di silenzio. « I Bonaventura non se lo lasceranno scappare. »

 

***

 

Devalos abbassò l’audio del televisore.

Sullo schermo, le immagini della retata effettuata alle prime luci dell’alba parlavano da sole.

Allison vide gli agenti scortare in manette fino alle auto quelli che dovevano essere le teste del traffico di droga a Phoenix e non riuscì a reprimere un sorriso di soddisfazione.

« Ora vuoi spiegarmi come facevi a saperlo? »

« Diciamo che ho avuto una soffiata » si schernì, non volendo dare ulteriori spiegazioni al suo capo.

Devalos la osservò sottecchi. « Per caso ha qualcosa a che vedere con la morte di Andrew Davis? »

Allison sorrise e prese la sua borsa dalla sedia accanto la scrivania. « Se non le dispiace, signor procuratore, avrei un impegno. » Senza dare il tempo all’uomo di rispondere, si avviò verso l’uscita, e pochi minuti dopo era in macchina, diretta a casa di Jane Adams.

La ragazza la fece accomodare, e non nascose la curiosità per quella visita inattesa.

« Ho un messaggio, da parte di Andrew… Ma se non ti dispiace dobbiamo aspettare qualcuno. »

Jane accettò quella condizione e pochi minuti dopo si udì un’auto rallentare e fermarsi davanti la casa.

Ci fu un momento di imbarazzo quando, sulla soglia, Jane si trovò di fronte i Davis, e toccò ad Allison fare gli onori di casa.

« Immagino sappiate tutti quale sia il mio… dono »  cominciò quando avvertì la tensione scemare. Non attese risposta e continuò: « Andrew vorrebbe che vi dessi un suo messaggio. »

Carl Davis fece per alzarsi, ma la moglie lo fermò costringendolo a stare seduto sul divano in finta pelle del salotto di Jane.

« Andrew vorrebbe che conosciate Jane » disse rivolta ai Davis. « È una brava ragazza, e come già sapete porta in grembo il figlio di Andrew. Vostro nipote. »

« Mi dispiace » mormorò Jane, cercando invano di trattenere le lacrime. « Amavo vostro figlio, e se solo potessi darei la mia vita pur di… »

« Basta così » la interruppe Shannon. La voce tradiva l’emozione che provava in quel momento, ma lo sguardo era fiero, seppure colmo di dolore. Si alzò e lentamente si avvicinò a Jane, seduta in un angolo della poltrona di fronte a lei. « Se Andrew ti ha scelta come madre di suo figlio, avrà avuto le sue ragioni » disse, allungando una mano verso la ragazza. « Non ti conosco, ma ho intenzione di non perdere altro tempo prezioso. »

Il silenzio che seguì a quelle parole fu rotto solo dai singhiozzi delle due donne che sedevano abbracciate.

Allison avrebbe dovuto dire ancora molte altre cose ai tre, ma non voleva rovinare quel momento di intimità che si stava creando tra le due donne più importanti della vita di Andrew.

Fu con un lieve timore che osservò Carl alzarsi e raggiungere Shannon e Jane, ma poté tirare un sospiro di sollievo quando vide le sue braccia allargarsi e poi richiudersi attorno alle due donne.

Cercando di fare il meno rumore possibile uscì dalla stanza, lasciando ai tre un po’ di intimità.

Con la coda dell’occhio vide Andrew apparire alle spalle del padre; l’ombra nera che lo seguiva sembrava essere svanita.

Si voltò verso di lui e gli sorrise.

Mentre usciva dalla stanza, giurò di sentire la voce del ragazzo che la ringraziava, e finalmente provò la soddisfazione che le era mancata subito dopo l’arresto dei suoi assassini.

Sì, tutto il resto poteva aspettare…

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