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Sogni di fuoco
Prima parte
Fuoco.
Fiamme.
Tutto attorno a lei brucia.
Il fumo le rende difficile
respirare, e senza quasi rendersene conto scivola nell’oblio che precede la
morte.
Allison si svegliò sudata e
ansimante nel suo letto.
Si guardò attorno: niente stava
andando a fuoco.
Fece un respiro profondo, ma il
fiato le si mozzò in gola.
Odore di bruciato.
In casa sua.
« Joe. Joe, svegliati. Per l’amore
del cielo, Joe! »
« Cosa? Allison, cosa succede? Le
bambine? »
« La casa va a fuoco, Joe. » In
preda al panico, Allison scese dal letto e corse verso la camera accanto alla
loro.
« Allison, che dici? »
Un assonnato Joe DuBois osservò la
moglie svegliare nel cuore della notte le sue tre figlie.
« Mamma, che c’è? » domandò Ariel,
stropicciandosi gli occhi.
« Torna a dormire » la rassicurò il
padre. Poi si rivolse alla moglie. « Qui a casa è tutto normale, Allison » la
rassicurò, guidandola verso la loro camera da letto.
« Ti assicuro, Joe, che c’è un
incendio. In casa. L’ho sognato. »
Joe osservò la donna e sospirò
rassegnato.
L’aveva sognato.
« E va bene » concesse. « Aiutami a
controllare. »
Un’ora dopo, Joe ed Allison DuBois
tornarono a letto.
« Era così vero » si scusò la
donna. « Mi sentivo soffocare. »
« Non pensiamoci più » replicò Joe.
« Buonanotte. »
Allison non prese sonno.
Era sicura di ciò che aveva
sognato.
Il calore, l’odore… tutto indicava
che qualcosa stesse bruciando, in casa loro.
Eppure nessuna presa di corrente
sembrava essere in corto circuito, niente andava a fuoco.
È stato solo un sogno.
« Allison, hai una faccia… » la
salutò il detective Lee Scanlon quando, alle otto e trenta, fece il suo ingresso
nell’ufficio del procuratore Devalos.
« Non ho dormito molto, stanotte »
spiegò, evasiva. « Cosa ti porta qua, così presto? »
« Un ragazzo è scomparso da casa,
ieri sera poco dopo il tramonto. I genitori ne hanno denunciato immediatamente
la scomparsa. »
« Non devono trascorrere quarantott’ore?
»
Lee sospirò. « In effetti sì. Ma i
signori Davis assicurano che non si sarebbe mai allontanato da casa senza
avvertire. E poi sono amici di Lynn » aggiunse, « e mi hanno chiesto di
occuparmene in via ufficiosa. »
« Se posso fare qualcosa… »
« Te ne sarei grato » fece l’uomo,
consegnando ad Allison un plico.
Lei lo guardò confusa.
« La sua auto, una Toyota grigio
scuro, è stata ritrovata da un amico a pochi isolati da casa. Dentro c’erano le
chiavi e il portafoglio del ragazzo. »
Allison annuì ed estrasse il
contenuto dalla busta, rivolgendo la sua attenzione al portafoglio, in cerca di
un documento del giovane o di qualsiasi altro elemento che potesse aiutarla
nella sua indagine personale.
Contrariamente alle aspettative,
non c’era né la patente di guida né altro documento di riconoscimento, solo una
carta di credito e qualche vecchio biglietto del cinema.
« Non credo di poter fare molto »
si sentì in dovere di avvertire.
Chiuse gli occhi, cercando di
concentrarsi e ottenere una qualsiasi pista che portasse a ritrovare il giovane.
« Mi dispiace » disse dopo qualche
minuto, « ma non sento niente. Magari si sarà semplicemente dimenticato di
avvertire. »
Allison osservò il detective uscire
dalla stanza e lo seguì con lo sguardo fin dentro l’ascensore.
« Signor procuratore, crede che
quel ragazzo stia bene? »
Se Devalos si stupì di quella
domanda non lo diede a vedere: alzò gli occhi dal fascicolo che stava
consultando e parlò per la prima volta da che Allison era entrata nell’ufficio:
« Ancora è presto per fare ipotesi, ma se non si fa vivo nelle prossime ore… »
Lasciò la frase in sospeso: Allison sapeva che non c’era bisogno di aggiungere
altro, perché quanto avrebbe detto Devalos sarebbe stata un’eco dei suoi stessi
pensieri.
« Cosa posso fare per lei? »
« Per il momento niente » sorrise
l’uomo. « Anzi, una cosa ci sarebbe. So che non spetta a te, ma... ti
dispiacerebbe andare al distributore e portarmi una tazza di caffè? »
« Non solo le porterò il caffè »
assicurò, « ma sarà un caffè vero, preso in un vero bar. »
Dieci minuti dopo, era
nuovamente in ascensore, con un bicchiere pieno di fumante bevanda in una mano e
un sacchetto di ciambelle appena sfornate nell’altra.
La giornata si prospettava
serena, a dispetto della notte appena trascorsa, e non le dispiaceva l’idea di
trascorrere la mattinata a riordinare vecchie pratiche; l’unica ombra era il
fatto di non aver saputo aiutare Lee…
Ma, si disse, anche quello
poteva essere un buon segno: per quanto fosse assurda come ipotesi, forse il
ragazzo si era semplicemente dimenticato di contattare i familiari…
Il campanello dell’ascensore la
avvertì di essere arrivata al piano; le porte si aprirono più lentamente del
solito, e non appena Allison mise un piede fuori dalla cabina capì che qualcosa
non andava.
C’era troppa calma, i colleghi
sembravano essere spariti e nell’aria si avvertiva uno strano sentore di… morte.
Guardandosi attorno in cerca di
una qualsiasi spiegazione, raggiunse l’ufficio di Devalos e le si gelò il sangue
quando vide un corpo steso a terra, immobile.
Caffè e ciambelle le caddero di
mano, finendo rovinosamente in terra.
Aprì la porta, e nello stesso
istante in cui la sua mano toccò la maniglia una strana luce riempì la stanza,
seguita da un odore di bruciato.
Allison non fece in tempo a
chiedersi da dove potesse venire che alle sue spalle si susseguirono molteplici
esplosioni, e lei fu colpita in pieno da una di esse.
« Signora? Si sente bene? »
Allison tremava visibilmente, e fu
con fatica che aprì gli occhi sullo sconosciuto che le stava parlando. « Vuole
che chiamiamo qualcuno? »
Impiegò qualche secondo prima di
rendersi conto che si trovava ancora in ascensore, con ciambelle e caffè per il
procuratore stretti tra le mani.
« Sto bene » assicurò con un filo
di voce.
Che cosa era successo?
Un’occhiata alla pulsantiera alla
sua destra le confermò che il prossimo sarebbe stato il suo piano.
Il suono familiare del campanello
le comunicò che era arrivata a destinazione, e fu con un senso di apprensione
che si avvicinò alla porta.
Si sentì sollevata nel ritrovare il
caos che ogni mattina la salutava al suo ingresso, e senza perdere tempo corse
verso l’ufficio di Devalos.
Lui era al solito posto, seduto
alla scrivania, con una pila di fascicoli in un angolo e l’aria di chi vorrebbe
essere ovunque tranne che a riordinare scartoffie.
« Signor procuratore, sta bene! »
Devalos alzò gli occhi sulla donna
e un’ombra di preoccupazione oscurò il suo sguardo nel vedere sul viso di lei
un’espressione che aveva imparato a conoscere negli anni. « Sono contento che
sapermi in ottima salute ti renda felice, ma se chiudessi la porta e mi
raccontassi cosa hai visto, mi sentirei ancora meglio. »
Allison non se lo fece ripetere due
volte: si chiuse la porta alle spalle, raggiunse la scrivania dove posò il suo
acquisto e, sedutasi di fronte al procuratore, iniziò a raccontare quanto
accaduto pochi minuti prima.
« Sembrava così reale » si scusò
per la seconda volta in meno di dodici ore.
« Non poteva essere semplicemente
un… sogno, vero? » chiese Devalos, conoscendo già la risposta. « Magari ti sei
scottata con il caffè – a proposito, grazie – ed eri sovrappensiero… »
Allison scosse il capo in segno di
diniego: era troppo vero per essere solo frutto della sua immaginazione.
Ma se in ufficio tutti stavano
bene, cosa aveva causato quella sensazione che la accompagnava dalla notte
precedente?
***
« Mi sei mancata, oggi » salutò Joe
quando la moglie rientrò a casa, nel primo pomeriggio. La raggiunse in cucina e
le cinse la vita con le braccia, baciandola sul collo.
« Anche tu. È stata una giornata
strana, la mia. A te com’è andata? »
Joe scrollò le spalle, senza
staccarsi da lei. « Abbiamo avuto un’offerta per il progetto. Ma ancora è tutto
da valutare. »
Allison sorrise. « Sono certa che
prenderete la decisione più giusta. »
« C’è qualcosa che ritieni di
dovermi dire? »
« Così sarebbe barare… »
Un’occhiata all’orologio ed Allison
sciolse l’abbraccio del marito per dedicarsi alla cena.
« Cosa intendi per giornata strana?
» domandò Joe. « Più strana di stanotte? »
Con poche parole Allison lo informò
della mancanza di sensazioni di qualsiasi genere riguardo la scomparsa del
ragazzo dei Davis e della successiva visione su Devalos.
Dovette ammettere, però, il
particolare di non aver propriamente riconosciuto il procuratore nel
corpo che aveva visto.
« Probabilmente non vuol dire nulla
» provò a tranquillizzarla, pur senza credere fino in fondo alle sue stesse
parole. « Magari domani andrà meglio… »
*
La mattina seguente Allison si alzò
con un senso di insoddisfazione che non la abbandonò neanche quando, assieme a
Lee Scanlon, poco dopo mezzogiorno, raggiunse casa Davis.
« Grazie per avermi chiesto di
venire. »
« Grazie a te per non aver mollato
il caso » replicò Lee.
Parcheggiarono l’auto lungo il
marciapiede della strada residenziale dove abitavano i Davis, e fianco a fianco
raggiunsero la porta di ingresso.
Allison si guardò intorno, sperando
di cogliere qualcosa che la aiutasse a risolvere il mistero della scomparsa del
giovane; quando il portoncino si aprì, si stupì di trovarsi davanti una donna
non più grande di lei, con profonde occhiaie sul volto pallido.
« Sono il detective Scanlon » si
presentò Lee. « E lei è Allison DuBois, dell’ufficio del procuratore.»
Allison vide la donna impallidire
ancora di più, se possibile, e farsi piccola mentre a sostenerla giunse un uomo
alto, dai capelli sale e pepe e dallo sguardo fiero.
« Avete scoperto qualcosa? »
domandò Carl Davis, dopo aver appreso le generalità dei due visitatori e averli
invitati ad accomodarsi in casa.
« Ancora no, ma stiamo facendo il
possibile per ritrovare Andrew » assicurò Lee, precedendo Allison in soggiorno.
« Posso chiedervi di usare il
bagno? » domandò Allison: mentre Lee era occupato a prendere le informazioni
necessari per l’apertura delle indagini che, ormai ne era certa, sarebbero
partite la sera stessa, lei ne avrebbe approfittato per fare un giro della casa,
in cerca di qualcosa che sperava le saltasse agli occhi come accadeva ogni
volta.
Seguì le indicazioni di Shannon
Davis per raggiungere il bagno al piano di sopra e, assicuratasi di essere
rimasta sola, iniziò la sua personale ricerca.
Dopo dieci minuti raggiunse gli
altri in soggiorno: come era accaduto il giorno precedente nell’ufficio di
Devalos, anche in casa Davis nulla aveva attirato la sua attenzione.
Bastò un’occhiata a Lee per fargli
capire il fallimento della sua ricerca.
Si sentiva scoraggiata per non
riuscire a fare il suo lavoro come era richiesto, e quasi a mo’ di scusa,
rivolse un sorriso mortificato ai genitori del ragazzo.
« Attento a quello che fai,
Andrew! » esclamò Carl Davis, alzandosi e gettando a terra il bicchiere che
teneva in mano. « Non ti permetterò di rovinarti la vita. »
« Non capisci, papà… » Andrew
sembrava esausto: sedeva sulla sedia di fronte il genitore, i gomiti appoggiati
alla scrivania e la testa tra le mani. « Sono stanco di vivere nella tua ombra.
»
« Chi ti ha riempito la testa di
simili sciocchezze? I tuoi amici? »
« Papà, ti prego… »
« Non c’è niente da discutere.
Finché vivrai sotto il mio tetto, che ti piaccia o no, seguirai le mie regole. »
« Grazie per averci dedicato il
vostro tempo. Appena avremo notizie ve le comunicheremo. »
Lee ed Allison raggiunsero l’auto e
il detective le passò gli appunti della conversazione avuta con i Davis.
La donna li scorse rapidamente,
senza trovare nulla di particolare.
« Ho visto qualcosa » disse infine.
« Andrew e suo padre hanno litigato. Non so quando, né l’argomento della
discussione. Ma se l’ho visto avrà una qualche ragione… »
« Carl non ha accennato a
discussioni avute col figlio » commentò Lee. « Secondo te nasconde qualcosa? »
« Ne dubito. Ma come ho detto
prima, se ho visto il litigio dovrà pur esserci una motivazione… motivazione che
mi sfugge… »
Rimasero in silenzio qualche
secondo.
« La prossima mossa? » chiese la
donna. « Non dirmi che dobbiamo aspettare… »
Lee sorrise. « La procedura
vorrebbe così. Ma noi ora ci troveremo casualmente alla tavola calda dove lavora
Mark Newton. L’amico che ha ritrovato la macchina di Andrew » spiegò, notando
un’espressione curiosa sul volto dell’amica.
« E speriamo di avere più fortuna.
»
Raggiunsero la tavola calda in
venti minuti.
« Mark Newton? » chiese Lee alla
cameriera che si era avvicinata alla porta, al loro ingresso, per accompagnarli
al tavolo.
La ragazza, “Phoebe” si leggeva sul
cartellino che portava attaccato all’uniforme rosa e bianca, li fece accomodare
in un angolo più appartato e assicurò che Mark sarebbe arrivato in pochi minuti.
« Nell’attesa, vi offro il caffè »
disse, e versò loro due generose tazze di bevanda scura.
Come promesso, dopo un paio di
minuti, un ragazzo allampanato, dai capelli rossi e con le lentiggini, raggiunse
il loro tavolo.
« Phoebe ha detto che volevate
parlarmi… »
« Siediti » lo invitò Lee, dopo
essersi presentato.
« Avete trovato Andrew? »
« Ancora no » ammise Allison. « Ma
ci stiamo lavorando. »
Mark annuì, dicendosi pronto a
rispondere a qualsiasi domanda avesse aiutato il ritrovamento del suo amico.
« Da quello che ci hai detto, hai
trovato la macchina di Andrew vicino casa sua. »
« Sì, è così. Dovevamo vederci per
andare al cinema con gli altri amici, ma quando Shannon ha detto che non era
ancora rientrato mi sono meravigliato: non aveva mai disertato un appuntamento
senza avvertire. Ho pensato che avesse fatto tardi in università, e ho risalito
la strada per qualche isolato, fino a trovare la Toyota. »
Lee prese appunti, mentre Allison
scrutava con attenzione il viso del giovane.
« Vai avanti. Quando hai trovato
l’auto hai pensato che si fosse dimenticato dell’appuntamento e l’hai chiamato
più volte al cellulare, giusto? »
« Ho provato ad aprire la portiera.
» Si passò una mano sul viso, come a voler rimuovere con un solo gesto la
stanchezza. « Quando ho capito che era chiusa è come suonato un campanello
d’allarme; ho preso il cellulare e l’ho chiamato non so quante volte. Solo alla
fine mi sono accorto che i miei tentativi erano inutili: dall’interno dell’auto
proveniva la suoneria del telefono di Andrew, e guardando meglio ho potuto
scorgerne anche il lampeggiare del display. A quel punto ho chiamato i genitori
e poi insieme abbiamo chiamato voi. »
Scanlon annuì. « Tu sai che ancora
non sono trascorse le quarantott’ore necessarie per far partire le indagini,
vero? »
« Ma voi state comunque indagando,
no? Non aspetterete davvero un altro giorno prima di dare il via alle ricerche.
»
Mark sembra davvero preoccupato
per l’amico, rifletté Allison. Si voltò verso Lee per avere il via libera
nelle domande che riteneva opportuno porre al ragazzo.
Non aveva ancora deciso cosa
domandare per prima, quando vide piovere banconote bruciate, alcune ancora
accese, insieme a quello che aveva tutta l’aria di essere del talco…
Si riscosse immediatamente: forse
aveva trovato qualcosa.
« Dimmi, Mark » iniziò Allison. «
Che tu sappia, Andrew ha problemi economici di qualche genere? »
Il giovane rise. « Ma avete visto
la sua casa? »
Lee ed Allison si scambiarono
un’occhiata eloquente: in effetti, i Davis non possono certo dirsi persone con
difficoltà economiche…
« Andrew si lamenta spesso che suo
padre è uno spilorcio » continuò Mark ignorando i pensieri degli altri due, « ma
gode di un conto personale su cui gli zeri fanno lunghe file… »
« Ne sei sicuro? » insistette
Allison.
« Assolutamente. E poi so che ha
intenzione di trasferirsi altrove. Penso stesse organizzando un trasloco. »
Alle due e mezza, rientrarono in
centrale.
« Ne sono sicura, Lee. Andrew ha
qualche problema di natura finanziaria. »
Lee la guardò in silenzio. « Non
abbiamo elementi per poter richiedere un controllo dei suoi movimenti » ammise.
« Lo so, ma deve esserci un modo
per aggirare l’ostacolo… »
« Da domani sarà avviata la ricerca
ufficiale. E dobbiamo solo sperare che non sia troppo tardi… »
Allison salutò l’amico e raggiunse
Devalos nel suo ufficio.
Con poche parole lo mise al
corrente della mattinata trascorsa con Scanlon e non nascose la frustrazione per
non aver trovato niente che potesse esser loro d’aiuto.
« Eppure sento che qualcosa ci
viene nascosta » confidò al procuratore. « Ne sono certa, quel ragazzo è nei
guai fino al collo. È una sensazione » anticipò la domanda dell’uomo, « ma sento
di doverla ascoltare. »
« Domani mattina chiederò al
giudice di concedere un mandato per controllare il conto e i tabulati telefonici
del giovane Davis » promise il procuratore. « Se c’è qualcosa di anomalo, lo
scopriremo in pochi minuti. »
« Grazie, signor procuratore. »
Devalos si limitò a fare un gesto
con la mano, a intendere che non c’era bisogno di ringraziare. « Credo che
dovresti tornare a casa, Allison » aggiunse. « Hai una faccia stanca, e domani
dovrai partecipare alle ricerche, se vorrai: dovrai essere al meglio delle
forze. »
Pochi minuti dopo, Allison aveva
raggiunto la sua auto in garage.
Salì in vettura e mise in moto.
Ingranò la retromarcia per uscire
dal parcheggio, completò la manovra e si mosse verso la rampa che l’avrebbe
portata sulle strade di Phoenix, diretta verso casa.
A dieci metri dal posto auto, tutto
accadde velocemente: avvertì un odore di bruciato all’interno dell’abitacolo, un
lampo l’accecò per qualche istante, e quando riacquistò l’uso della vista
dovette sterzare violentemente verso sinistra per evitare di investire la figura
vestita di bianco, a un metro da lei.
Tamponò un’auto parcheggiata ma non
le importava… una sola cosa le premeva sapere, una volta scesa dalla macchina:
dov’era finito quel ragazzo? Perché ne era più che certa che fosse lì per lei.
Era stata forse un’allucinazione?
Primo tentativo di
scrivere una storia su Medium... non so come sia il risultato finale, ma
personalmente sono soddisfatta: è stato difficile descrivere e spiegare le
sensazioni provate da Allison, specialmente è stata dura cercare di renderle in
modo che anche chi non ha mai avuto simili esperienze possa farsi una vaga idea
di cosa si provi...
Se poi si aggiunge
che l'indagine poliziesca, per quanto non prettamente scientifica nella serie,
non è il mio forte... be', il lavoraccio è assicurato XD
Sono riuscita a
rendere in milionesima parte tutto ciò? Non lo so, lascio a voi la parola dopo
questo primo capitolo (non temete, in tutto sono solo sei ^^ )
Attendo i vostri
commenti, nel bene e nel male ;)
Bax, Kla
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