Cigarettes and Valentines di innerain (/viewuser.php?uid=79157)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A guy named Joe. Billie Joe. ***
Capitolo 2: *** Save your own god ***
Capitolo 1 *** A guy named Joe. Billie Joe. ***
Author's notes:
Questo è il risultato di tre notti insonni, un po' di
rancore tenuto al calduccio per discreto tempo, un pizzico di follia e
tanta, troppa voglia di scrivere qualcosa di insensato e di molto,
molto lontano dal mio solito stile di scrittura.
L'ho scritto in cinque minuti, senza neanche sprecarne uno per
rileggerlo. E' un plagio bello e buono allo stile del grande J.D.
Salinger, il mio personalissimo mito letterario. E a Holden. Holden
Caulfield.
Forse sarà una semplice follia che non merita neanche il
nome di one-shot, forse la porterò avanti. Dipende da voi,
soprattutto. .. Spero vi piaccia, e forse spero anche un po' di no. Ho
tante idee in mente, ma ho timore che possa diventare una cosa
demenziale e pallosa. Insomma, fatemi sapere che ne pensate. Siete
anche liberissimi di sputarmi in un occhio.
Ah, one last thing: questa "cosa", one shot o fan fiction che sia,
sarà piena zeppa di strane e volgari espressioni. E tante
parolacce, e imprecazioni varie. .. Il personaggio lo imponeva. Se vi sta bene, mi fa piacere, altrimenti girate al largo. Io ho avvertito.
Titolo:
A guy named Joe. Billie Joe.
Soundtrack: 1000 hours, by
Green Day
~
I
was half in love with her by the time we sat down. That's the
thing about girls. Every time they do something pretty, even if they're
not much to look at, or even if they're sort of stupid, you fall half
in love with them, and then you never know where the hell you
are. Girls. Jesus Christ. They can drive you
crazy. They really can.
[Il
giovane Holden - J.D. Salinger]
~
Billie Joe, è il mio nome.
Non William Joseph, non Billy, non Joe, niente di tutto questo.
Billie Joe. E basta.
Billie perché mia madre pensava sempre
all’Alabama, alle mucche e al caviale. E a come potesse dare
da mangiare il caviale alle mucche, ma solo a quelle
dell’Alabama. Perché diceva che quelle del
Wisconsin il caviale non lo gradivano. Non lo gradivano, cazzo. Capisci?
.. Come se potessi distinguere una mucca del Wisconsin da una
dannatissima mucca dell’Alabama. Come se ne avessi mai vista
una, di dannatissima mucca.
E quindi Billie. Billie perché le sembrava di vedere un
vecchio nonnetto seduto sotto al vecchio portico a fumarsi la sua
vecchia pipa, con la sua voce sdentata d’emozioni che impreca
contro il sole e le nuvole che gli rovinano il grano. E i polli. Billie
le ricordava i polli.
Joe, onestamente, non lo so. Joe, Billie Joe. Che diamine di nome. Fa
pensare alle mucche e al caviale e a tutto il resto.
Ma ora basta.
Sono seduto di fronte a quella finestra del secondo piano, una grossa,
lucida vetrata che riflette qualche raggio di sole, e quel riflesso di
quei corpi che saltellano e si piegano e saltellano di nuovo, come in
preda alla peggiore delle follie. Peggio della mia, accidenti.
Però non sono folli. Non tutti. C’é il
ballerino finocchio, e quello sì che è pazzo; per
farsi incastrare così dai genitori o che so io, a farsi
prendere per i fondelli a quel modo, con i tutù, le
calzamaglie e tutto il resto.. Ce ne vuole.
.. Tutti. Ma non lei.
Lei no.
Lei sembra una di quelle dannatissime farfalle che ti si posano sulla
spalla, con una gentilezza da non crederci, e poi scappano. Volano via.
.. E ti lasciano il fantasma del loro tocco, quello che a sfiorarti la
pelle ti sembra il più gentile del mondo.
E lei non salta, lei vola. Come una farfalla. Salta, e non la vedi
più toccare terra finché quelle dannatissime
scarpette rosa, ma d’un rosa che non capisci,
perché non è rosa confetto, e non è
neanche rosa fucsia, non sfiorano di nuovo terra, e poi via, di nuovo
su, su in aria e via con il vento.
.. Oh. Cazzo. “Via con il vento”. .. Se mi
sentissero..
.. Se mi sentissero? E se anche fosse?
Ora fa un po’ fresco, la sua testa non spunta più
dalla finestra. Non la vedo più.
Tira un bel venticello, e la luna si specchia per metà nelle
pozze di fango e acqua che se ne stanno tremanti a terra. Chiudo gli
occhi, e m’immagino di avere in mano un mazzetto di
margherite, di quelle che crescono dietro la discarica. Di quelle che
hanno un profumo buono. Le stringerei forte, e forse gliele darei. O
forse no. Forse scapperei soltanto.
.. Ora vado.
.. Dove?
..Voglio scappare. Ecco dove. Via. Voglio andare via. Via da queste
mura che sembrano cingere in una morsa un dannatissimo postaccio schifo
dove Lui, lì su, non sembra mai averci dato
un’occhiata, neanche per un attimo, neanche per sbaglio.
Dimenticati da Dio, ecco cosa siamo. E se avesse un dannatissimo
aiutante, saremmo dimenticati anche da lui. Anche dal suo segretario,
cazzo.
.. Ora vado.
Voglio imparare a vivere.
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Capitolo 2 *** Save your own god ***
Author's notes: A
dover essere sincera, non avevo alcuna intenzione di scrivere un
secondo capitolo. Nessuna intenzione volontaria di
mettermi volontariamente
a scriverlo. Eppure, stavo guardando il video di Jesus of
Suburbia per l'infinitesima volta, un po' per un senso di nostalgia
improvviso che m'era venuto.. E ho cominciato a scrivere.
E' più lontano dallo stile di Holden, me ne rendo conto.. Ma
lo stile di Salinger sarebbe stato poco adatto a questa circostanza.
E' breve, è uno sfogo, ma ha un suo perché. Se mi
andrà, quando mi andrà, ogni tanto
posterò qualche capitolo.. Ma non sarà mai una
storia unitaria, mai una trama che si svolgerà. Non per ora,
almeno.
PS: Non intendo offendere nessuno con l'uso improprio di nomi o
riferimenti religiosi. Fate un po' come vi pare.
Titolo: Save your own god.
Soundtrack: Jesus of Suburbia,
Green Day
It was that kind of a
crazy afternoon, terrifically cold, and no sun out or anything,
and you felt like you were disappearing every time you crossed a
road.
~J.D. Salinger, The Catcher in the Rye
Il Cristo perduto, strappato via a quella divinità suo
padre, votato all’odio e figlio dell’amore, dove i
miei genitori però non si sono mai veramente amati.
Forse
è del mio sangue che devo lasciare qualche traccia in questo
lurido mondo, forse è me che vogliono, vedere la mia anima
sfracassata sul ciglio della strada come fosse poesia per gli
analfabeti.
Vostro martire,
per una causa in cui neanche credo.
Un mondo in cui
mi lascio marcire tra cocci, stracci, braccia, mille volti che tanto
non rivedrò mai, cento parole che non mi dicono nulla,
troppi suoni che non sono che assenza di silenzio, troppi dolori che
sono gli unici a risvegliarti il corpo.
Un coccio dopo
l’altro, mi rispecchio in questo bicchiere caduto.. No,
aspetta. Non caduto. Gettato contro quel muro, quello della sua stanza.
E ora delira.
Ora urla, piange, singhiozza, ride.
Come quel matto che sta al parco centrale, solo che quello quando gli
è passata la sbronza potrebbe star meglio, se non fosse che
non si da neanche il tempo di diventare sobrio.
Un coccio dopo
l’altro, sento le mani scricchiolare tra i vetri.
Forse è così che si è sentita tutta
quella gente lapidata, crocifissa, bruciata viva. O tutti e tre insieme.
No, forse no.
Loro almeno non si dovevano preoccupare di raccogliere i pezzi di loro
stessi, dopo, quando avevano finito di morire.
Che importa, io
sono già morto, ma la faticata non me la toglie nessuno.
Chi sono io?
Chi mi ha crocifisso a questa città, a questa vita?
Chi mi ha appeso al collo il giogo di una vita di nulla?
Eccola, la mia
vita.
La mia fottutissima vita è come un bicchiere, come i cocci
rotti di un bicchiere.
Ti rendi conto
di vivere solo quando uno di quei maledettissimi cocci ti lacera la
mano; solo quando soffri, vivi, solo quando ritrovi quei cocci sparsi
allora vivi.
Quando ne trovi uno sotto al tavolo, uno quasi invisibile, uno di
quelli che ti si conficca nell’indice e non lo riesci a
togliere, e stai per il resto della tua vita con questo affare che ti
punge e ti graffia. Oppure ci sono i cocci grossi, quelli che ti
tagliano proprio la mano. Ma quelli sono talmente grossi che li vedi..
Eppure non li eviti. Non li puoi evitare. Come la morte. Mica la puoi
evitare, quella.
Eppure, sta
sotto al naso di tutti.
Grande, grossa,
sta sempre là. Siamo stati messi al mondo mortali, no?
Eppure ce ne freghiamo.
C’è
un coccio sotto alla sedia. Chissà se quello mi
farà finalmente mandare a fanculo tutto e scapparmene via.
Prima,
però, mi toccherà ripulire questo casino di vita.
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