Hausmärchen- Fiabe del focolare di hotaru (/viewuser.php?uid=42075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Das Auge- L'occhio (Rapunzel) ***
Capitolo 2: *** Schnee und Stahl- Neve e acciaio (Frau Holle e Rosaspina) ***
Capitolo 3: *** Nèi sotto gli occhi (La fanciulla senza mani) ***
Capitolo 1 *** Das Auge- L'occhio (Rapunzel) ***
1- Das Auge- L'occhio
Rating: arancione
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, one-shot
Das Auge- L'occhio
"Hai dei begli occhi... occhi forti, che sembrano capaci di raggiungere distanze infinite."
(Scar, episodio 14)
Le giornate erano ancora fredde, ma i più attenti potevano
riuscire a percepire, annusando bene l'aria ghiacciata, un primo
sentore di primavera.
Ed era proprio quello che andava cercando una ragazzina sugli undici
anni dai capelli biondi e gli occhi scuri e sottili, camminando
allegramente per le vie di Berlino assieme ad una sua amica. Era un
pomeriggio d'aprile, quel giorno a scuola non avevano assegnato molti
compiti e lei era certa di aver sentito un inconfondibile profumo di
lillà passando accanto al giardino di una villa elegante.
Non stavano passeggiando nel quartiere in un cui abitavano, ma la
ragazzina bionda vi veniva spesso, a trovare uno zio che non era suo
zio, e lo conosceva bene. Sapeva anche che, girato l'angolo, avrebbero
trovato un meraviglioso negozietto di caramelle che poteva benissimo
essere paragonato alla casa di marzapane della strega di Hänsel e
Gretel, e non vedeva l'ora di entrarvi. Aveva conservato qualcosa della
sua ultima mancia, e pregustava già il sapore della liquirizia e
delle caramelle al latte che entro breve avrebbe custodito gelosamente
in un sacchetto di carta. Aveva anche in mente di fare un salto da suo
zio e offrirgliene un po'- ma non le caramelle al latte, quelle gli
davano il voltastomaco.
Avevano appena girato l'angolo che la sua amica Esther si bloccò
di botto sul marciapiede, tirandola per la manica del cappotto.
- Alba, ma sei impazzita? Lì non ci possiamo mica entrare! -.
La ragazzina bionda- che rispondeva per l'appunto al nome di Alba- si
trattenne a stento dallo sbuffare. Esther era la migliore amica che si
potesse trovare- i segreti che le venivano confidati li teneva per
sé ed era sempre disponibile nel momento del bisogno- ma in
quanto a fegato lasciava parecchio a desiderare.
- Andiamo, qui mica ci conoscono! Non corriamo alcun rischio! -.
- E se invece incontriamo qualcuno del nostro quartiere? E se il
padrone del negozio si insospettisce e ci chiede qualcosa? - la
incalzò Esther, che non era assolutamente in grado di mentire.
Stavolta Alba sospirò pesantemente, cercando in fretta una
soluzione che le permettesse di entrare nel negozio e allo stesso tempo
tranquillizzare l'amica.
- Senti, facciamo così – propose, rassicurante – Nel
negozio ci entro solo io: tu mi dai i tuoi soldi e mi dici cosa vuoi,
d'accordo? Non serve che siamo in due, per comprare qualcosa -.
- Ma... non possiamo! E se... -.
- Andiamo, non è mica la prima volta che lo faccio! E poi se
compriamo il negoziante ci guadagna soltanto; credi che gli importi
qualcos’altro? -.
- Però... - Esther fece un ultimo, debole tentativo, ma quando
Alba allungò una mano si decise a darle le monete che aveva con
sé e mormorò: - Del marzapane e qualche caramella alla
fragola -.
Alba annuì, le disse di aspettarla lì e attraversò
la strada, dirigendosi senza indugio verso l'entrata colorata e
accattivante del negozio. Nel varcare la soglia socchiuse gli occhi,
ignorando il cartello posto sulla vetrina e lasciandosi invadere da
quell'odore assolutamente divino che caratterizzava i negozi di
dolciumi. A parecchie persone poteva sembrare fin troppo dolciastro e
nauseabondo, ma lei era sicura che i cancelli del paradiso dovessero
avere una fragranza simile. I profumi dolci e delicati della fragola e
della vaniglia si mescolavano a quello più intenso del
cioccolato, con una punta dell'odore speziato del marzapane e dei
più stuzzicanti di menta e liquirizia.
C'era parecchia gente, ma se l'era aspettato: lì dentro c'era
comunque un piacevole tepore, e se Esther voleva stare fuori al
freddo... beh, se l'era voluto lei.
Prima di mettersi in coda volle dare un'occhiata a cosa offriva il
negozio quel giorno: sul pesante bancone in legno massiccio erano
disposte, in un piccolo espositore, decine di tavolette di cioccolato
dai gusti più disparati, mentre gli scaffali addossati alla
parete ospitavano enormi contenitori in vetro, che le caramelle
vivacizzavano con i loro colori vividi e allegri.
Anche il negoziante era un uomo allegro: stava servendo quella che
doveva essere una cliente abituale, perché gettò in un
sacchetto una manciata di gelatine senza nemmeno pesarle, e la donna
annuì con un sorriso. Oh, anche lei voleva aprire un negozio di
caramelle da grande, così da poter rallegrare tutti coloro che
vi sarebbero entrati. Era una grande osservatrice, e fin da piccola si
era resa conto che la gente sorride sempre- forse inconsciamente-
quando si trova davanti alle sue leccornie preferite.
Aveva ormai deciso cosa prendere, per sé e per Esther, e stava per mettersi in coda, quando si accorse che nel negozio c'era
in effetti qualcuno che la conosceva. Non se n'era accorta subito
perché l'individuo in questione era un bambino la cui presenza
di solito nemmeno si notava, tanto era magro e quasi rachitico. Il
cappotto era più logoro di un cencio e i capelli non sembravano
nemmeno biondi tanto erano sporchi; Alba lo conosceva perché
veniva spesso in quel quartiere a trovare suo zio, e si ricordava di
lui perché gli aveva rifilato una sonora sberla una volta che le
aveva allungato un mazzetto di margheritine smunte e cercato di
baciarla.
Ma in fin dei conti le stava anche simpatico, e se continuò ad
osservarlo era perché le sembrava che avesse un'aria troppo
circospetta mentre adocchiava una tavoletta di cioccolato al latte e
faceva correre lo sguardo verso l'uomo dietro il bancone, tenendo
d'occhio ogni sua mossa.
Alba temeva di sapere che cosa avrebbe cercato di fare, e il timore si
tramutò in realtà non appena il ragazzino allungò
una mano e afferrò avidamente la tavoletta tanto bramata.
Esther, sul marciapiede dall'altra parte della strada, cominciava ad
avere freddo standosene lì in piedi senza muoversi. Ma non
sarebbe entrata in quel negozio per tutto l'oro del mondo, figurarsi
per un po' di marzapane e caramelle. Però sentiva già
l'acquolina in bocca, e sperava con tutto il cuore che Alba si
spicciasse e uscisse di lì il più presto possibile,
auspicabilmente con un dolce bottino fra le braccia.
Teneva lo sguardo fisso sul negozio, passando dal cartello che
occhieggiava dall'entrata alla vetrina che mostrava tutto ciò
che avveniva all'interno.
Cartello-Alba che si guardava intorno, cartello-Alba che stava per
mettersi in fila, cartello-Alba che si fermava a fissare qualcosa o
qualcuno, cartello-strano ragazzino che prendeva qualcosa dal bancone,
cartello-...
Esther ammutolì, fissando con occhi sbarrati quel che accadde
nel giro di pochi minuti e che le fece completamente dimenticare il
cartello affisso all'entrata.
“Vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei”.
Era successo tutto a una velocità incredibile: il ragazzino- che
Alba sapeva chiamarsi Folker- non aveva fatto in tempo a ritirare la
mano con la tavoletta di cioccolato che il proprietario l'aveva
brutalmente afferrato per un polso, chiudendolo in una stretta ferrea.
Alba aveva visto il terrore negli occhi azzurri di Folker, terrore che
gli fece lasciare subito la tavoletta e divincolare convulsamente, ma
senza risultato.
- Ecco un altro piccolo ladruncolo – commentò a denti
stretti il proprietario, che con la stazza che si ritrovava non
sembrava fare alcuna fatica a tenere saldamente lo sparuto ragazzino
– Sono stufo marcio di quelli come te, adesso ti insegno io -.
Il servizio ai clienti si era momentaneamente arrestato, ma Alba
percepì il clima di assoluta solidarietà di tutti i
presenti: i ladri andavano severamente puniti, soprattutto se piccoli e
cenciosi.
- Lo sai che cosa facevano un tempo a chi rubava? - tuonò nel
frattempo l'omone, gli occhi azzurri e acquosi che mandavano piccoli
lampi di rabbia. Si allungò verso il mou che stava tagliando e
afferrò il grosso coltello usato fino a poco prima – Gli
venivano tagliate le mani! -.
Il terrore divenne un pozzo profondo negli occhi del ragazzino, e il
suo viso si trasformò in una maschera di orrore. Alba sapeva che
in teoria il massimo che l'uomo poteva fare era denunciarlo alla
polizia, ma a undici anni non era del tutto sicura di cosa fosse o non
fosse permesso agli adulti.
Davanti a quella minaccia nessuno aveva mosso un dito, e Alba
cominciava a temere che quel che capitava a un ragazzino povero e
cencioso non interessasse più di tanto alla polizia.
- La pago io! - strillò, quasi senza accorgersene.
Tutti i presenti si voltarono a fissarla, negoziante e ragazzino
compresi, e a quest'ultimo guizzarono gli occhi quando la riconobbe.
Alba si fece coraggio; stringendo le monete in pugno, non pensò
che avrebbe dovuto rinunciare alla sua liquirizia e alle caramelle al
latte, e avanzò di un passo. Finita quella brutta avventura
sarebbe andata di corsa a casa dello zio Ed, e lui avrebbe saputo far
passare tutto quanto; forse avrebbe anche denunciato quell'uomo alla
polizia, perché non si potevano dire certe cose ad un bambino.
Forte di quel pensiero, si era ormai avvicinata al bancone, al coltello
e ai due che continuavano a fissarla. Allungò la mano e la
aprì, mostrando le monete sul palmo.
- La pago io – ripeté.
L'uomo guardò prima lei e poi le monete, e quando parlò il tono di voce era un po' meno brusco.
- Conosci questo piccolo ladruncolo, signorina? -.
Lei annuì timidamente. Aveva addosso il suo miglior cappotto e i
capelli erano puliti e ben pettinati: quell'uomo aveva tutto
l'interesse a trattar bene una ragazzina che poteva spendere qualche
soldo nel suo negozio. Alba tentò di non pensare al fatto che in
quel posto non ci sarebbe nemmeno potuta entrare, e cercò di
sorridere, allungando ancor di più la mano.
Senza lasciare il polso ossuto del ragazzino, il negoziante posò
il coltello e con la mano libera fece per prendere le monete che Alba
gli porgeva.
Sembrava che tutto dovesse risolversi per il meglio, ma in quel momento
qualcosa scattò nella mente del piccolo Folker. Forse fu la
vergogna di farsi vedere così dalla bambina che gli piaceva,
forse l'orgoglio ferito dal dover accettare la sua pietà; fatto
sta che sentì come un punteruolo pungergli la lingua e l'istante
successivo sputò delle parole che ad Alba sembrarono più
affilate del coltello per il mou.
- Sta' ferma, stupida ebrea! -.
Alba lo sentì. Sentì l'intero negozio trattenere il fiato, e si rese conto di essere in un mare di guai.
In seguito rivide quell'episodio tante e tante volte, con gli occhi
della memoria: e ogni volta tutto si svolgeva sempre più al
rallentatore, come una pellicola difettosa in cui il tempo si dilatava
a dismisura. Risentiva le parole di Folker e rivedeva l'espressione del
proprietario del negozio: si era fatta dapprima incredula, per poi
lasciare il posto alla furia cieca di colui che si sente preso in giro
da chi meno potrebbe permetterselo.
La mano che si stava allungando a prendere le monete si fermò a
mezz'aria, per poi voltarsi con un movimento fluido del polso e
assestare ad Alba un manrovescio così potente da farla finire
direttamente addosso al bancone.
Alba ricordava perfettamente il tintinnio prodotto dalle monete che
caddero a terra in una cascata metallica, mentre lei non capiva che
cosa fosse andato storto: lo zio Ed le aveva detto tante volte che i
più deboli e indifesi andavano protetti, ed era quello che aveva
fatto.
Ma anche lei era debole e indifesa: quando se n'era resa conto e aveva
capito che nessun altro dei presenti aveva uno zio Ed capace di
inculcare tali idee di giustizia, il sapore ferroso del sangue le stava
già pizzicando la lingua e l'occhio sinistro le era finito
proprio contro lo spigolo del massiccio bancone in legno.
Esther non aveva capito più niente. Attraverso la vetrina del
negozio, al di là della strada, aveva visto Alba sbattere
violentemente, colpita dall'uomo, e poi accasciarsi al suolo.
Non era corsa a vedere cosa fosse successo: anche se aveva potuto solo
vedere senza sentire, come in un film muto, aveva compreso fin troppo
bene che il proprietario doveva aver intuito la verità su Alba,
perché non avrebbe mai osato colpire una ragazzina ariana.
Era scappata col cuore in gola, certa che da un momento all'altro
l'uomo sarebbe uscito e l'avrebbe rincorsa per quelle vie che lei
nemmeno conosceva, perché era stata Alba a volerci venire, e
senza di lei non sarebbe stata capace di tornare a casa.
Ma in quel momento le importava soltanto di non venire picchiata a
propria volta e, anche se col cuore in gola e il fiato mozzato,
continuò a correre a rotta di collo per la strada. Quando
voltò un angolo alla massima velocità e finì col
sedere a terra, ci mise una decina di secondi a capire che aveva
sbattuto contro qualcuno: un adulto che si stava chinando su di lei,
chiamandola per nome perché l'aveva riconosciuta.
- Esther? Sei Esther, non è vero? L'amica di Alba? -.
Anche lei lo riconobbe: era lo zio di Alba, quello che voleva andare a
trovare una volta uscita dal negozio. Quello che non era suo zio, in
effetti: la sua amica una volta le aveva spiegato che lo chiamava
così anche se non era fratello di nessuno dei suoi genitori...
ma in quel momento non se lo ricordava più. Continuava a
respirare affannosamente, senza parlare, mentre lui la fissava con
degli occhi di un castano così chiaro da sembrare giallo e le
chiedeva cosa le fosse successo.
La aiutò a rimettersi in piedi, e le suggerì gentilmente di calmarsi.
- Io... io non volevo... non è stata colpa mia! - strillò
finalmente all'indirizzo di un Edward Elric che si stava ormai
avvicinando alla trentina – Io le ho detto di non entrare... ma
lei non mi ha ascoltato... -.
- Lei? Lei chi? Alba? - domandò Ed, corrugando la fronte – Sei con lei? Ma dov'è? Cos'è successo? -.
Esther pigolò ancora una volta che non era stata colpa sua, e a
mozziconi spiegò cos'aveva visto attraverso lo schermo della
vetrina del negozio. A Ed bastò sentire le parole "Alba" e
"colpita" per lasciar perdere la ragazzina e correre nel negozio di
dolciumi del suo quartiere.
Non appena mise piede oltre la soglia, sentì il sangue defluire
e il respiro mozzarsi; non tanto per l'orribile spettacolo che gli si
presentava davanti, quanto per chi ne era la protagonista.
- Al... - mormorò, dimenticandosi il finale "ba" come faceva
spesso, chiamando quella che non era suo fratello ma una ragazzina
nemmeno sua parente. La soccorse all'istante, chiamandola stavolta per
intero, ma lei giaceva al suolo priva di sensi. Il pavimento di legno
del negozio, spazzato quella mattina dal garzone, era coperto di
sangue; sangue che si era ormai rappreso sul bordo del bancone e tra i
capelli di Alba.
I pochi clienti presenti sembravano bloccati dall'orrore e il
proprietario, dal canto suo, non si era di certo aspettato una
conseguenza del genere.
Intanto Ed, inginocchiato per terra, si era sentito per un momento
sollevato nel constatare che Alba era soltanto svenuta; ma il sollievo
svanì nel nulla non appena le voltò la testa e si rese
conto che la ferita non era sulla testa, ma proprio sull'occhio. Nell'occhio.
Ed non aveva lo stomaco delicato; non l'aveva mai avuto. Non aveva
avuto nemmeno un conato di vomito quando si era ritrovato con due
moncherini sanguinolenti al posto di un braccio e di una gamba,
all'età di undici anni. Ma non poté sopprimere un moto di
orrore quando tolse un po' di sangue dalle palpebre e le scostò
il più delicatamente possibile: quell'occhio nero come la pece e
profondo come il cielo notturno non c'era più; al suo posto vi
si trovava un grumo molle e informe, una sostanza viscosa resa ancor
più viscida da tutto il sangue che stava uscendo.
Ed allontanò subito le dita da quell'orrore, voltandosi verso il
padrone del negozio, sorprendendolo alle proprie spalle con il viso
stravolto di chi aveva visto ogni dettaglio.
- Mi porti un paio di bende, si muova! - gli intimò, in una
manciata di parole che nel silenzio che era calato sembrarono quasi un
ruggito.
L'uomo deglutì lentamente, verde in faccia, e annuì. Si
diresse dietro il banco, barcollando leggermente, e tornò
porgendo a Ed un paio di pezze pulite.
- Venga qui e le tenga la testa - ordinò poi Ed, al che l'uomo
rispose con un'espressione ancor più terrificata. Non aveva
alcuna intenzione di avvicinarsi a quell'abominio che dietro al sangue
nascondeva un occhio profondamente ferito, ma quell'uomo che ebreo non
era affatto lo stava guardando come se avesse voluto ucciderlo seduta
stante, con due occhi che- lui non lo sapeva, ma in qualche modo lo
intuì- sembravano aver visto le cose più orribili di
questo mondo. E dell'altro, in effetti.
Prima che il proprietario del negozio si decidesse a muovere un
muscolo, a farsi avanti fu un ragazzino che Ed conosceva di vista,
smunto e sporco. In realtà l'aveva già conosciuto: era
una delle tante persone identiche alle loro controparti dell'altro
mondo, identiche nell'aspetto fisico ma non in tutto il resto.
Quello che nell'altro mondo si chiamava Fletcher- il ragazzino che si
era spacciato per Al, assieme a suo fratello, per portare avanti le
ricerche sulla pietra rossa- aveva l'aria di uno che sta per vomitare
da un momento all'altro. Ma si avvicinò in silenzio, si
inginocchiò dietro ad Alba- senza preoccuparsi di stare
inzuppando i pantaloni laceri proprio dentro la pozza di sangue- e le
prese delicatamente la testa. Ed non fece domande, anche se a stare al
racconto mozzato di Esther quel ragazzino era la causa di tutto, e
bendò velocemente Alba in modo da coprire l'occhio.
Poi la prese fra le braccia e uscì senza dire una parola- non
servì, bastò un'occhiata e il proprietario, anche qualche
anno dopo, ci avrebbe pensato due volte prima di colpire chiunque,
persino una ragazzina ebrea. Folker rimase inginocchiato nel sangue per
qualche istante, e se Ed si fosse dato la pena di guardarlo forse
avrebbe rivisto in lui quel ragazzino che tanti anni prima- e in un
altro mondo- si era sentito un mostro per aver causato la perdita del
corpo a suo fratello.
Ma non lo guardò, e quando uscì non si stupì
più di tanto nel vedere la piccola Esther che lo aspettava,
appoggiata a un lampione che sembrava quasi sorreggerla. Ed le fece un
cenno e lei lo seguì, mentre si dirigevano verso l'ambulatorio
medico più vicino.
* * *
Tre giorni dopo Alba stava cominciando a capire che i pirati con una benda sull'occhio non dovevano fare una bella vita.
Vedere il mondo con un occhio solo era estremamente faticoso: l'occhio
destro le si stancava in fretta, soprattutto se provava a leggere; dopo
un po' non riusciva più a mettere a fuoco e le veniva un gran
mal di testa.
Stava anche iniziando a chiedersi se, dato che d'ora in poi avrebbe
visto solo metà del mondo alla volta, ciò non avrebbe
inevitabilmente influenzato i suoi pensieri e il suo modo di vivere.
Avrebbe capito solo la metà delle cose? O quella selezione
forzata l'avrebbe portata a riflettere di più, cosa che d'altra
parte faceva da quando era nata e osservava il padre con occhi identici
ai suoi, mentre la teneva fra le braccia? Le era sempre piaciuto il
fatto di aver ereditato da lui quegli occhi scuri e sottili, anche se
era bionda come la madre: pochissime persone potevano vantare un simile
accostamento, e il fatto di non essere geneticamente comune l'aveva
sempre fatta sentire speciale.
Beh, quanti suoi coetanei potevano esibire una benda su un occhio che
in realtà non c'era più? A conti fatti, poteva anche
fingere di essere la figlia maledetta del pirata Morgan.
Ridacchiò guardando il soffitto, persa nelle sue fantasticherie,
ma il sorriso le morì sulle labbra: le aveva fatto male, quando
si era risvegliata dall'anestesia e aveva trovato lo zio Ed accanto a
lei, che le aveva spiegato come il medico avesse dovuto asportare
l'intero bulbo oculare per il semplice motivo che il bulbo oculare non
c'era più. Non che le avesse raccontato nei dettagli come
ciò che era rimasto fosse più simile a un grumo informe
che a una sostanza fibrosa, ma non era servito perché Alba non
aveva più chiesto niente. Né aveva accennato al
perché fosse entrata in quel negozio pur sapendo che le era
vietato, e non aveva nemmeno chiesto che fine avesse fatto Folker.
Esther era lì accanto a lei che piangeva, e aveva cercato di sorriderle, scusandosi per la sua assurda testa dura.
Lo zio Ed si era poi occupato di tutto, mentre lei riposava: aveva
riaccompagnato Esther a casa e aveva avvertito suo padre e sua madre,
anche se Alba si stava ancora chiedendo come avesse fatto a raccontare
loro una cosa del genere. Quando si era svegliata di nuovo sua madre
era accanto a lei, con i muscoli del viso tesi e gli occhi lucidi ma
asciutti; suo padre era seduto vicino al muro, e la stava guardando con
quello stesso sguardo che apparteneva anche a lei, ma che da quel
momento si sarebbe ridotto di metà.
Si era resa conto di aver cominciato ad osservare gli occhi di chiunque
come mai aveva fatto prima di allora: a registrarne il colore, sondarne
i guizzi, rimanere affascinata a guardarne ogni singolo movimento e
impercettibile cambiamento.
E si era resa conto che chiunque avesse detto "Gli occhi sono lo specchio dell'anima" aveva perfettamente ragione.
Ed si trovava in cucina con il signor Rod, che in quel mondo era il
padre di Alba ma nell'altro un ex-colonnello dell'esercito che
rispondeva al nome di Mustang, e non aveva ancora detto una parola.
Continuava a ripensare ad Alba, a quella benda che le nascondeva
praticamente un quarto del viso, e al fatto che quando l'aveva vista si
era sentito catapultato in un punto del tempo confuso, tra passato e
presente e mondi speculari che si intersecavano fra loro.
Il periodo che aveva trascorso in quel mondo e in quello da cui veniva
ormai si equivalevano, ma c'erano ancora momenti in cui si sentiva di
nuovo come se fosse stato sul punto di tornare indietro. Come quando
aveva visto Alba con la benda sull'occhio, mentre osservava lui e il
mondo con lo stesso sguardo a metà che ricordava essere
appartenuto a Mustang.
Chissà se faceva sempre parte di quell'onnipresente principio
dello scambio equivalente: il Mustang di questo mondo non aveva perso
un occhio come la sua controparte di Amestris, ma in compenso era
accaduto a sua figlia.
E anche lui aveva perso un paio di parti del corpo all'età di
undici anni, ma era stato qualcosa di profondamente diverso: lui se
l'era cercata, la sua era stata la punizione del peccatore. Ma Alba era
un'innocente: non aveva fatto niente, assolutamente niente per meritare una cosa simile.
- Tutto questo è disgustoso. Semplicemente disgustoso –
esordì finalmente Ed, sputando quelle parole come se fossero
state dei brandelli di cibo andati a male.
- Lo sai che sono d'accordo con te – rispose il signor Rod
continuando a guardare il tavolo – Ma il fatto è che non
possiamo farci niente -.
- Potreste andarvene – suggerì Ed senza peli sulla lingua,
brusco come lo era tutta quella situazione – Al si trova in
Irlanda, ma ha contatti anche in Inghilterra e sono sicuro che
riuscirebbe a... -.
- No – lo interruppe il signor Rod – Non ce ne andremo. È questa casa nostra, non l'Inghilterra -.
Ed poteva essere d'accordo, ma non del tutto.
- Casa è un posto dove ci si dovrebbe sentire al sicuro – disse.
- Casa è il luogo a cui si è legati, anche se noi stessi
gli abbiamo dato fuoco – ribatté lui con uno sguardo
penetrante. Ed gli aveva raccontato- ormai parecchi anni prima- tutte
le avventure sue e di Al nel mondo da cui venivano, e ogni volta si
stupiva di come il signor Rod riuscisse a ricordarne ogni particolare.
- Anche dopo... - Ed represse un nuovo moto di orrore nel ripensare a
come era stata ridotta Alba - … anche dopo quello che è
successo? -.
Vide il signor Rod stringere le labbra e assottigliare gli occhi.
- Appunto. Credi che possa succedere qualcosa di peggio? -.
Ed non rispose. Sperava con tutto se stesso che avesse ragione, ma il
suo sesto senso- quello che non si fidava mai di niente e di nessuno, e
che negli ultimi tempi era più attivo e sospettoso che mai- non
gli credeva.
Qualcosa gli diceva che si era solo all'inizio.
La piccola Alba era sempre stata una bambina riflessiva, sin da quando,
appena nata, squadrava suo padre con occhi identici a quelli di lui,
con immenso divertimento di quest'ultimo.
Vedere le reazioni di coloro che le stavano più vicino la fece
riflettere su cose di cui i suoi coetanei non sospettavano nemmeno
l'esistenza, ma il comportamento che la sorprese di più fu
quello di sua cugina Win.
Forse ormai l'orologiaia più esperta di Berlino, a quasi
trent'anni Win era ancora nubile e viveva in un alloggio per conto suo,
con annesso laboratorio. Le malelingue del quartiere commentavano che
sarebbe rimasta zitella per il resto della vita, ma a lei non sembrava
importare granché.
Per Alba sua cugina era una specie di maga che viveva nel suo antro di
stregonerie, dove invece che paioli fumanti si potevano trovare orologi
ticchettanti, molle e ingranaggi in una cacofonia estremamente
affascinante.
Quando la vide entrare nella sua camera, una settimana dopo
l'incidente, pensò che poteva approfittarne per farsi leggere
qualche pagina del suo libro preferito, ma non fece in tempo ad aprire
bocca che Win le porse uno strano involto di stoffa nera.
- Voglio che lo porti sempre con te, ma fa' in modo che tuo padre e tua madre non lo trovino mai – le disse.
Alba non chiese che cosa fosse: srotolò il tessuto scuro e
scoprì un coltello infilato in un fodero di pelle. Lo tolse e
poté constatare che la lama non era più lunga di dieci
centimetri, piatta e appuntita.
- È molto affilato, perciò sta' attenta a non tagliarti.
Me l'ha fatto avere Schrott dopo che gli ho riparato di nascosto
l'orologio preferito di sua moglie: l'aveva fatto cadere e non voleva
che lei se ne accorgesse – raccontò Win – Segreto
per segreto -.
Schrott aveva un negozio di coltelleria ed era un abile arrotino, ma Alba era ancora confusa.
- Io... cosa... -.
- Voglio che lo usi – le spiegò Win, seria come non
l'aveva mai vista – Se dovesse succedere ancora una cosa del
genere -.
- Ma... -.
- Sai, Alba, sono stanca di veder andarsene le persone a cui tengo di
più senza che possano fare nulla per difendersi. I miei genitori
sono morti sotto le bombe e il mio migliore amico di tubercolosi: se
capitasse qualcosa anche a te, non riuscirei a sopportarlo -.
Alba studiò la lama, suo malgrado affascinata: era affilata e
luccicante come la luna, e pensare che avrebbe potuto macchiarsi di
sangue umano le fece correre un brivido lungo la schiena.
- Ma non è pericoloso? - domandò un'ultima volta – Io non lo so usare, e non... -.
- Credimi, Alba – rispose Win con un sorriso stanco, scostandole
i capelli dalla benda – Ti stupirebbe sapere quanta gente ha in
mano cose che non sa usare -.
Quando Ed rivide Alba, costei era giunta ad una sua personale conclusione:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba
era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due
fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una
spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la
fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma
leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che
compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e
lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua
Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie
lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non
riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie
simili.
Alba si era zittita un momento, persa in una riflessione che le era
appena venuta in mente: si stava chiedendo se sarebbe ancora riuscita a
piangere anche dalla parte senza occhio. Da dove sarebbero scese le
lacrime?
Ma stava parlando con Ed, per cui tenne questo dubbio per dopo. Sorrise
di un sorriso birichino, sentendo tendersi in maniera strana i muscoli
sul lato sinistro del volto, attorno a un'orbita ormai vuota.
- Se ti fai crescere i capelli un altro po', magari la prossima volta vengo io a salvarti – concluse soddisfatta.
Tecnicamente questa storia è
arrivata terza ad un contest a cui ho partecipato un po' di tempo fa,
però da allora ne ho cambiato qualche parte, quindi non so se
è un discorso ancora valido.
Comunque, nel contest in questione
avevo scelto la tabella “Non per stomaci delicati”: dovevo
quindi utilizzare come elementi importanti il coltello e il negozio di
caramelle, ed inserire la frase: “Tutto questo è
disgustoso”.
È in assoluto la prima volta
che scrivo una fic del genere, e prima che possiate muovermi la stessa
critica fatta dalle giudici del contest dico che mi sono informata: so
che è possibile, se il colpo inferto è violento e nel
punto giusto, ridurre un occhio in questo stato, vista la sostanza
fibrosa e delicatissima che lo compone. Ho letto di gente che ha fatto
la stessa fine perché si è vista lanciare contro un
cavolo, credetemi.
Poi mi sembrava in linea con la
storia di “Full Metal Alchemist”, dove più di un
bambino viene mutilato in modo orrendo, o peggio ancora.
Questa raccolta vuole essere in
ordine temporale, anche se non ho ancora ben deciso come strutturarla:
avrete forse capito, però, che in ogni capitolo ci saranno dei
riferimenti ad una favola dei Grimm, e nel prossimo capirete
perché. Anche il titolo della serie è una citazione del
loro libro, che personalmente adoro- e ormai qualcuno l'avrà
anche capito.
Nella prossima storia ci sarà
un ulteriore scarto temporale, e comparirà di nuovo una faccia
nota- una faccia notissima, personalmente uno dei miei personaggi
preferiti nella serie. Chi, secondo voi?
Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di “Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon”:
Shatzy:
a dire il vero il motivo per cui Eliza sa dell'altro mondo è
perché- anche se non l'ho specificato- ha torchiato Rod e se
l'è fatto dire. XD Sennò credo che difficilmente uno
potrebbe immaginarsi una cosa simile... è un po' fuori dalla
portata di qualsiasi intuito, penso.
Sono contentissima che la bambina ti
piaccia: anche nel caratterizzarla in seguito, ho cercato di mescolare
elementi presi da entrambi i genitori con un carattere che sia suo e
solo suo. Non so se l'esperimento è riuscito, in fondo è
il primo vero OC di questa storia. ^^
Ah, Ed dev'essere Ed; e comunque
credo che, dopo tutto quello che hanno passato, certi pensieri per lui
siano talmente naturali che non deve nemmeno sforzarsi. È Al
quello che sa trovare aspetti positivi dappertutto, è
soprattutto per questo che si compensano.
Anche se tutto ciò che
riguarda i vari luoghi in cui è ambientata la storia me lo sono
in gran parte inventato, se trovo qualcosa di simile in Germania ti
faccio un fischio! ^^
Come ho già detto, poi, i veri
Roy e Riza sono soltanto tuoi, io non mi ci provo neanche a prenderli
in mano. Non dopo che qui me li sono rigirati come volevo in modo tanto
libero!
E... ehm... com'è andata la
lettura di questa one-shot? Ti avviso che saremo sul drammatico anche
nella prossima- meno cruento, comunque- però è una storia
a cui tengo particolarmente, perciò mi farebbe molto piacere ricevere un tuo commento... sappi che è tanto, tanto triste.
CioccoMenta:
pensa che la chiacchierata tra Ed e Liza non era neanche prevista, l'ho
inventata man mano che scrivevo perché all'inizio volevo
semplicemente raggiungere la consueta lunghezza del capitolo. XD
Però poi dev'essere venuto fuori bene, visto che l'avete
apprezzato tutti- perlomeno chi mi ha lasciato un commento. Sono
contenta anche che Rod neo-padre ti sia piaciuto. ^^
MusaTalia:
caspita, non pensavo che Rod padre avrebbe seminato il terrore in
questo modo! Sì, era un po' esaltato, ma chi non lo sarebbe? A
differenza di Hughes, lui poi si è calmato...
La battuta dell'alchimia me la
ricordavo anch'io, in non so che puntata di FMA... infatti ho anche
pensato di tirarci fuori qualcosa, ma vedremo.
Riguardo la fic che mi hai consigliato, non appena ho un po' di tempo ci farò sicuramente un salto, grazie. ^^
Per quanto riguarda i capitoli dell'altra storia, ecco la “soluzione”:
1- Dove un cane è l'inizio di tutto
2- Refoli di cenere
3- Misteri svelati
4- Faville in musica
5- Solo un ticchettio in più
6- L'alba di settembre
… chissà l'ultimo, come si intitolerà! XD
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Capitolo 2 *** Schnee und Stahl- Neve e acciaio (Frau Holle e Rosaspina) ***
2- Schnee und Stahl- Neve e acciaio
Questa storia si è classificata prima al
contest “L'immagine parla di... viali innevati” di
AudreyConnell, con mia grande gioia! ^^
Immaginate questa storia ambientata
qui.
Schnee
und Stahl- Neve e acciaio
"Andiamo, Al!"
(Edward Elric, episodio
5)
Una ragazzina pallida dai capelli biondi raccolti in una treccia si
stagliava nel bianco immacolato come la sagoma di un fantasma. Il suo
unico occhio, scuro e sottile, stava guardando un albero caduto al
limitare del bosco, ormai ricoperto dalla neve che sembrava proteggerlo
come una coperta.
- Andiamo, Al! -.
La ragazzina distolse lo sguardo dall'albero, raggiungendo un uomo
sulla trentina la cui treccia bionda era appena più scura
della
sua.
- Zio Ed, un cerchio alchemico potrebbe farlo tornare com'era prima? -
chiese.
Edward Elric alzò lo sguardo verso quell'albero spezzato, il
cui
tronco scuro contrastava col bianco della neve che quasi feriva gli
occhi.
- Non lo so – ammise. In teoria un albero era un essere
vivente,
tuttavia non era sicuro che guarirlo con l'alchimia fosse proibito come
con gli esseri umani. Ma tanto in quel mondo l'alchimia non esisteva,
quindi ormai che importava? – Non lo so. Ma è
meglio che
andiamo -.
La ragazzina annuì, seguendolo nella neve. Erano ormai
abbastanza lontani dal villaggio che avevano lasciato quella mattina, e
stavano per inoltrarsi nel bosco di cui quell'albero caduto sembrava
quasi un cancello aperto.
Al momento non nevicava, ma non si capiva se il cielo fosse coperto
oppure no: era di un bianco sporco più scuro della coltre di
neve sulla terra, come se quest'ultima si stesse specchiando in una
pozzanghera.
Comunque Ed aveva già cominciato ad andare avanti, e lei lo
seguì senza perdere altro tempo.
Lui e Al se n'erano andati presto dalla casa in cui erano stati
ospitati per alcuni mesi dalle controparti in quel mondo di Winry, del
colonnello Mustang e del tenente Hawkeye. Si erano trovati un alloggio
per conto loro qualche mese prima della nascita del bambino della
signora Eliza (fisicamente identica alla Riza che avevano conosciuto
nel loro mondo), in modo da lasciare alla famiglia il tempo di
organizzarsi per accogliere il nascituro.
Ed ricordava perfettamente quella dolce sera di settembre, dopo il
crepuscolo, in cui Win era venuta ad informarli che era nata la figlia
dei suoi zii Roderich ed Eliza- in pratica sua cugina, nonostante la
forte differenza d'età. E aveva saputo che, malgrado la
piccola
fosse nata esattamente al tramonto, l'avevano chiamata Alba.
Anche se lui, poi, non l'aveva mai chiamata così. Non
mancavano
mai una cena settimanale a casa di coloro che per primi li avevano
accolti a Berlino, e fin da subito Ed l'aveva chiamata "Al".
In realtà scherzava, ma la piccola aveva dimostrato presto
di
apprezzare molto il diminutivo: già dopo qualche mese si
voltava
subito non appena udiva quell'unica sillaba. Poi, quando
imparò
a camminare, nel momento in cui Ed chiamava il fratello per tornare a
casa era ormai tradizione che la piccola Alba si presentasse
all'ingresso con la berretta in testa e la sciarpa al collo, pronta a
seguirlo.
Ora Ed si chiedeva se in qualche modo non l'avesse già
intuito,
che un giorno avrebbe davvero dovuto andarsene con lui, lasciando per
sempre la sua casa.
Stavano avanzando nella neve, tra alberi alti e scuri come pali che a
un occhio inesperto potevano sembrare tutti uguali, e lanciò
un'occhiata ad Alba per accertarsi che non stesse faticando troppo.
Ma la ragazzina gli teneva dietro senza problemi, e con l'occhio sano
guardava ogni tanto in su, fra le cime degli alberi, che si infilavano
nel cielo grigio come le loro radici fossero state lassù,
invece
che quaggiù.
Ed sorrise brevemente, scoprendosi ancora una volta orgoglioso di
quella caparbietà che la caratterizzava. Malgrado avesse
conosciuto bene entrambi i suoi genitori- in questo mondo e nell'altro-
gli capitava spesso di pensare che sarebbe anche potuta essere figlia
sua. Non solo per l'età- in fondo quando era nata lui aveva
già diciannove anni- ma anche perché gli sembrava
di
rivedersi in lei. Se a undici anni, quando era morta sua madre, non
avesse avuto Al, sarebbe diventato esattamente così.
Edward Elric, che a trent'anni passati non si riteneva affatto vecchio,
si sorprendeva a volte a pensare che gli sarebbe piaciuto insegnarle
l'alchimia.
- Zio Ed – Alba lo chiamò, riscuotendolo dai suoi
pensieri.
- Cosa c'è? -.
- Te la ricordi la storia di Frau Holle? (¹) -.
Ancora?, si
ritrovò a
chiedersi Ed, incredulo. Alba aveva compiuto quindici anni da circa tre
mesi, eppure non era passato giorno che non se ne fosse venuta fuori
con una delle fiabe della sua raccolta preferita. Ricordava ancora che
era stato Al a regalarle quel libro grosso come un tomo d'enciclopedia,
per il suo settimo compleanno. "Da
Al per Al" aveva scritto sulla prima pagina quello
sciagurato, dedicandole forse la più grande ossessione della
sua vita.
Alba quel libro l'aveva divorato,
anche se aveva imparato a leggere soltanto da un anno; poi aveva
continuato a rileggerlo saltando qua e là fra le pagine; e
quando aveva perduto l'occhio sinistro, dato che i primi tempi la vista
le si appannava spesso, tediava chiunque le capitasse a tiro per farsi
leggere un paio di favole.
"Fiabe del focolare", s'intitolava quel libro. Beh, dopo otto anni Ed
nel focolare ce l'avrebbe buttato per davvero, magari maledicendo quei
malaugurati fratelli Grimm.
Poi Alba non gli avrebbe mai più rivolto la parola, e quella
era
un'eventualità a cui preferiva non pensare, ma almeno si
sarebbe
liberato di...
- Se non te la ricordi te la racconto, vuoi? - si offrì la
ragazzina, affiancandolo in un paio di salti. Ed gemette
silenziosamente: da quando quel libro non l'aveva più, Alba
si
ripeteva due o tre fiabe al giorno, dato che ormai le aveva imparate a
memoria e non voleva assolutamente dimenticarle. Ed erano più di
seicento.
- Me la ricordo benissimo, non ti preoccupare. Ti è venuta
in mente vedendo tutta questa neve? -.
Alba sorrise, con le labbra e con l'unico occhio che le rimaneva,
soddisfatta che lo zio Ed capisse sempre le cose al volo.
- Già. È bello pensare che i fiocchi di neve
siano in
realtà piume fuoriuscite da un cuscino sprimacciato, non
credi?
Perché dà un senso di calore, e la neve
così
compatta sembra quasi una coperta – Alba liberò
una nuvola
di vapore nell'aria – Naturalmente è solo
un'analogia, ma
è... confortante -.
Ed annuì. Eppure da quelle fiabe Alba era sempre riuscita a
ricavare delle riflessioni che stupivano tutti quelli che le stavano
attorno, lui compreso, che inizialmente non riusciva a capire come
delle favolette per bambini potessero celare simili significati. Poi si
era documentato, e aveva scoperto che alcuni studiosi ritenevano che le
fiabe potessero derivare da miti più antichi, iniziatici ed
esoterici, di cui i racconti magici per bambini erano i discendenti.
Cose che nel suo mondo si perdevano nelle pieghe dell'alchimia, ma che
lì affascinavano e attraevano, anche se pochi riuscivano a
leggervi attraverso come faceva Alba.
Aveva pianto solo una volta, silenziosamente e contro i palmi delle
mani, quando avevano cominciato quel viaggio.
Era accaduto tutto talmente in fretta che Ed aveva dovuto pensarci a
lungo, per ricostruire i fatti, sezionando e ritagliando ogni singolo
momento. E dire che era sempre stato convinto di riuscire a capire
tutto. Ma la sua solita perspicacia, quell'intuizione che lo portava a
svelare i meccanismi più nascosti delle cose, stavolta non
era
servita a niente.
Quel giorno Alba aveva passato l'intera giornata con lui: erano andati
fuori città, in una specie di mercatino che alla ragazza
interessava molto e a cui Ed si era offerto di accompagnarla.
Stava appunto riportandola a casa, quando già all'entrata
del
quartiere in cui Alba abitava avevano visto diverse camionette e gruppi
interi di soldati aggirarsi per le vie.
Alba era impallidita, ma non aveva detto una parola. Era solamente
diventata bianca come un cencio quando erano giunti presso casa sua e
aveva visto la porta desolatamente aperta.
Ed stava per fare prontamente marcia indietro, attanagliato da un
dubbio viscido come una serpe, quando una voce aveva ordinato loro di
fermarsi. Erano scesi dall'auto, e in men che non si dica si erano
ritrovati circondati da un gruppo di SS.
- Documenti! - aveva intimato il comandante, e Ed glieli aveva
consegnati senza dire una parola.
Quando l'uomo aveva letto che Ed era un legittimo cittadino tedesco, i
suoi toni si erano leggermente ammorbiditi nel chiedere:
- Che cosa ci fa nel quartiere ebreo? -.
Stava per dire qualunque cosa che non fosse la verità,
quando una voce familiare lo anticipò:
- Quest'uomo stava in casa di ebrei, signore -.
A parlare era stato un giovanotto dal fisico asciutto ma leggermente
muscoloso, perfettamente fasciato dalla divisa. Un giovanotto che
tuttavia conservava ancora, nei profondi occhi blu scuro, qualcosa del
ragazzino sparuto che era stato quando era ancora identico a Wrath.
Ed riconobbe Wilhelm, e si sentì gelare. Non l'aveva
più
visto da quando Al se n'era andato dalla Germania, ma sapeva che sua
madre era morta da parecchio tempo, e in effetti si era chiesto
più volte che fine avesse fatto. Avrebbe dovuto immaginarlo
che
un orfano come lui, senza una famiglia o qualcuno a cui appoggiarsi,
sarebbe finito dritto nelle nuove squadre speciali, soprattutto ora che
non aveva più Al su cui fare affidamento. Forse ce l'aveva
addirittura con lui, per essersene andato via così.
Ma in quel momento l'unica cosa che contava era che Wilhelm lo
conosceva fin da quando era arrivato a Berlino, sapeva in casa di chi
aveva vissuto e soprattutto conosceva Alba. Erano spacciati; Ed avrebbe
dato il braccio e la gamba sani per poter usare ancora l'alchimia, solo
una volta. Ma era inutile anche pregare: gliel'avrebbero portata via.
- Ma se n'è andato non appena sono state emanate le leggi
sulla
razza. Lui e sua nipote – accennò ad Alba
– hanno
tagliato i ponti con quegli sporchi giudei da tempo -.
L'ufficiale annuì, guardando Ed con una certa aria di
approvazione, mentre quest'ultimo cercava in tutti i modi di richiamare
l'attore che era in lui: non poteva
fare una faccia allibita, non in
quel momento. Si atteggiò come se Wilhelm gli avesse
legittimamente reso giustizia.
… che razza di verme, era diventato.
In quei lunghi anni aveva imparato una cosa che nel mondo da cui veniva
non avrebbe mai appreso: se laggiù la sua intelligenza, la
sua
forza e soprattutto la sua alchimia avevano davvero potuto fare
qualcosa, in quel mondo aveva scoperto, per la prima volta in vita sua,
di poter essere completamente impotente.
Ed era la sensazione più terribile che avesse mai provato,
un
pozzo nero e senza fondo in cui si sentiva inesorabilmente cadere:
nell'altro mondo, persino quando era morta sua madre aveva potuto
provare a fare qualcosa.
Qualcosa che aveva portato alle conseguenze
più nefaste, ma non ricordava di essersi mai sentito
impotente
come in quel momento, specialmente perché aveva qualcuno da
proteggere e non poteva rischiare.
Quando il comandante aveva permesso loro di andare, Ed aveva annuito e
aveva guardato Wilhelm negli occhi per un istante, mettendo poi un
braccio sulle spalle di Alba e portandola via con sé.
La ragazzina si era fatta trascinare come una marionetta senza vita,
l'unico occhio completamente vuoto. Quando furono usciti dal quartiere,
diretti a casa di Ed, mormorò con una voce che non riconobbe
come sua:
- Li hanno portati via? -.
- Credo di sì -.
Ed sapeva anche che quel giorno Win aveva in programma di andare a
trovare i suoi zii: quando lui e Alba fossero tornati dalla loro gita,
avrebbero dovuto cenare tutti insieme. Pensò che
più
tardi avrebbe fatto un salto nel suo laboratorio, per sicurezza, ma era
praticamente certo che fosse stata presa anche lei.
- Al – disse Ed, così piano che quella sillaba
sembrò
un sospiro – Domani ce ne andremo da Berlino; dobbiamo
raggiungere il confine con l'Olanda, poi decideremo sul da farsi. E
dovremo anche dare nell'occhio il meno possibile: è come se
tu
non avessi documenti, perciò dovremo viaggiare parecchio a
piedi
-.
Alba annuì impercettibilmente, poi nascose il viso tra le
mani e
pianse. Anni prima, quando aveva perduto l'occhio sinistro, si era
chiesta se sarebbe ancora riuscita a piangere da quel lato. Beh, ora
non sapeva più da dove le stavano scendendo le lacrime, e
nemmeno le importava: sapeva soltanto che non aveva più una
famiglia, che era una clandestina nel suo stesso Paese e che l'unico
che le restava non era nemmeno un suo parente.
Dal canto suo, mentre guidava e osservava la strada senza vederla, Ed
stava pensando che quando era successo a lui, almeno un fratello gli
era rimasto.
Così si era rimesso in viaggio, con un'Al che non era suo
fratello ma una ragazza, tra l'altro figlia di un Mustang che in
realtà non era Mustang. A voler fare il punto della
situazione,
le cose si erano complicate di parecchio.
Pensava che, una volta arrivati in Olanda, avrebbero potuto in qualche
modo andare in Inghilterra e magari raggiungere Al in Irlanda: era da
quando aveva lasciato Berlino che non aveva più sue notizie,
anche se in fondo sentiva che doveva stare bene. Avrebbe anche potuto
scrivergli, ma non aveva più un indirizzo a cui ricevere una
risposta, e non sarebbe servito. Sapeva che aveva avuto dei figli,
rendendolo finalmente zio
sul serio, anche se non aveva nemmeno idea di
che faccia avessero.
Si erano ormai addentrati fra gli alberi, e avevano camminato per un
bel tratto quando Alba si fermò, guardando fisso davanti a
sé. Per quanto le rimanesse soltanto un occhio, aveva una
vista
acuta quanto quella di un falco.
- È... un cimitero? Nel bel mezzo del bosco? -
domandò.
Ed guardò a sua volta, e in effetti dovette constatare che
quelle lapidi sprofondate nella neve, unite fra loro da gradini
scivolosi scavati nel terreno e lastricati di pietre ghiacciate, non
potevano essere altro che un cimitero. L'aria stessa sembrava
cristallizzata, quasi visibile nella nebbiolina candida che si alzava
dalla neve.
- Probabilmente è quello del villaggio che abbiamo lasciato
stamattina – ipotizzò Ed. Non era raro che,
soprattutto
nelle campagne, i camposanti sorgessero nei posti più
impensabili – Devono essere lontani dai posti abitati per una
questione d'igiene, lo sai -.
- Questo lo si sa da poco, zio Ed – lo contraddisse lei
– In
origine era principalmente una questione culturale: i morti dovevano
stare ben separati dai vivi, ricordi? -.
- Già – lui l'aveva imparato magari un po' tardi,
ma ormai gli era ben chiaro.
- A proposito – continuò Alba, mentre si
avvicinavano al
cimitero innevato, immerso in un silenzio reso ancor più
profondo dalla neve – Perché stamattina al
villaggio ci
hanno detto di... "non farci troppo caso"? Fare caso a cosa? -.
- Non lo so – in effetti più di una persona aveva
rivolto
loro quell'ermetico consiglio, ma nessuno si era spiegato in proposito
– Niente di pericoloso, immagino, altrimenti ci avrebbero
avvertito -.
Alba annuì, mentre si inoltravano in quel luogo sospeso nel
tempo. Stavano per salire i pochi gradini, facendo bene attenzione a
dove mettevano i piedi, quando la ragazza notò qualcosa con
la
coda dell'occhio. Il destro, ovviamente.
- Zio Ed – chiamò piano – C'è
qualcuno laggiù. Sembra una donna -.
I lunghi anni trascorsi in quel mondo avevano insegnato a Ed a non
stupirsi davvero più di nulla: aveva incontrato altre
persone
con la stessa faccia di coloro che c'erano al di là del
portale-
a volte amiche, a volte nemiche- e gli ultimi avvenimenti gli avevano
ormai ampiamente dimostrato che non c'era nulla che l'uomo non potesse
arrivare a fare- nel bene e nel male.
Oltre a tutto ciò, un'altra cosa che aveva comunque imparato
era
che ci sarebbe sempre stato qualcosa
in grado di sconvolgerlo e farlo
ricredere sulle proprie posizioni.
E vedere la maestra Izumi rannicchiata nella neve, in un cimitero nel
cuore di un bosco innevato, davanti a quattro monticelli di neve che
sembravano le tombe di quattro bambini... beh, rientrava decisamente in
quest'ultima categoria.
Le si era avvicinato come in sogno, senza dire una parola ad Alba che
era rimasta ferma dov'era.
- Anche lei qui, allora? - mormorò Ed quando le fu accanto,
aspettando una risposta che non venne. Certo, lo sapeva benissimo che
non era la vera maestra Izumi: innanzitutto perché lei era
morta, e poi perché lì erano nel mondo al di
là
del portale. Ma aveva sperato di incontrarla, soprattutto dopo aver
rivisto anche la controparte di sua madre.
- La maternità è il dono più bello che
la vita possa
fare ad una donna, sapete? - esordì lei senza nemmeno
guardarlo,
con voce quasi assente.
- Co... come? - domandò Ed. Si rese conto che non si era
rivolta
solo a lui: Alba era proprio lì dietro, comodamente seduta
su
una lapide che aveva ripulito dalla neve, intenta ad osservare quella
strana donna. Ed stava per dirle qualcosa sulla sacralità
dei
cimiteri, quando la ragazza chiese, accennando alle quattro piccole
tombe:
- Sono i suoi figli? -.
La donna non rispose, allungandosi a tracciare qualcosa nella neve.
Aveva i capelli talmente sporchi che le ciocche se ne stavano ormai
distinte le une dalle altre, in una selva intricata quanto poteva
esserlo la testa della Medusa coperta di serpenti. Avvolta in uno
scialle consunto, scrisse nella neve quattro nomi che tuttavia Ed non
riuscì a leggere.
- Wolfgang, Rudolph, Anna e Tobias – lesse invece
tranquillamente Alba – Tre maschi e una femmina? -.
- Sapete, dicono che ci siano donne maledette che non possono diventare
madri. Magari per un malocchio fatto quand'erano piccole, o
perché troppo deboli. Ma io non sono debole – si
raddrizzò un po', e sia Ed che Alba poterono vedere un
ingrossamento all'altezza del ventre, chiaro segno di gravidanza
avanzata – Pensavo di chiamarlo Hermann. O Helga, se
è una
femminuccia -.
- Ma allora che ci fa qui al freddo? Avanti, la riaccompagniamo noi al
villaggio – Ed fece per aiutarla a rialzarsi, ma lei
sollevò leggermente una mano. Bastò a fermarlo,
perché anche se non era la maestra Izumi aveva comunque un
che
di autoritario.
- Non mi illudo. Morirà anche lui prima di nascere, e
dormirà qui assieme ai suoi fratelli –
mormorò,
quasi in una cantilena – Che senso ha fare dei bambini che
non
sono ancora nemmeno dei bambini? -.
Ed non disse nulla: si era accorto che gli occhi di quella donna,
seppur scuri e allungati come quelli della sua insegnante, erano molto
diversi. Quasi velati, persi in un dolore senza più tempo o
dimensione: chissà da quanto tempo si trovava in quel bosco,
al
freddo, a vegliare i suoi bambini. Senza dubbio doveva essere
considerata la pazza del villaggio o qualcosa del genere, per questo
gli avevano detto di non farle caso.
- Dov'è il padre di questi bambini? - domandò.
- Non sono bambini. Non per lui e non per gli altri. Solo per me. Anche
se non hanno mai parlato né camminato né pianto -.
- Ma dov'é?
- insistette Ed. Era certo che non dovesse trattarsi
del signor Curtis conosciuto nell'altro mondo: lui non avrebbe mai
abbandonato sua moglie.
- Forse è andato in guerra: al villaggio non ci hanno detto
che
hanno già chiamato alle armi parecchi uomini? –
ipotizzò Alba, per poi fare cenno a Ed di avvicinarsi, senza
dar
segno di volersi spostare dalla lapide su cui era ancora appollaiata.
Gli sussurrò piano, per non farsi sentire dalla donna: - Zio
Ed,
la conosci? -.
Ed non rispose, ma Alba capì comunque. Il suo occhio corse
alla
donna, per poi tornare su di lui: - È la madre di Wrath, non
è vero? -.
- Tu... - balbettò Ed, preso alla sprovvista, chiedendosi
come
diavolo facesse a saperlo. D'accordo che era la cugina di Win;
d'accordo che il suo mondo e la storia di quella famiglia si erano
già intrecciati più volte, ma addirittura... -
…
tu come lo sai? -.
- I nomi dei bambini – spiegò semplicemente Alba
– Le
loro iniziali formano il nome "Wrath", se aggiungi anche quello che
deve ancora nascere -.
Ed dovette strabuzzare gli occhi, perché la ragazza sorrise
piano: d'accordo, non era vecchio ma stava decisamente iniziando a
perdere colpi. Tuttavia Alba viveva
per quei giochi di parole, per cui
non se la prese più di tanto.
- Zio Ed – continuò Alba, sottovoce –
Voglio che
tracci per lei il cerchio che serve per la trasmutazione umana -.
No, doveva aver sentito male. Stava invecchiando per davvero, accidenti.
- Zio Ed, respira. Tanto lo sai che non succederebbe niente. Prendilo
come un regalo per me -.
… l'aveva detto sul serio.
- Lo so che il mio compleanno è stato ormai tre mesi fa...
ma
siamo vicini ad Hanukkah, ricordi? E anche se io non sono
più
una bambina... -.
"Dopo tutto quello che ho passato ho diritto ad un regalo, no?". Non lo
disse, ma Ed lo sentì lo stesso e sospirò.
- A parte il fatto che è proibito, lo sai... - ma che stava
dicendo? Lì l'alchimia neanche esisteva - … non
servirebbe a niente, l'hai detto anche tu -.
- Magari le darebbe un po' di pace -.
Per quanto a volte si illudesse che Alba gli somigliasse almeno un po',
ogni tanto se ne saltava fuori con delle cose che solo Al avrebbe
potuto dire.
- Al, non so se sia una buona... -.
- Signora, sa che esiste un modo per riportare in vita gli esseri
umani?
- fece lei a voce più alta, per farsi sentire dalla donna
che
alzò impercettibilmente la testa – Ma è
il ricorso
estremo: dopo quello, non c'è più nulla -.
Ed la fulminò con lo sguardo, chiedendosi se quella potesse
rientrare nella categoria "ribellione adolescenziale", anche se
decisamente poco usuale.
- È... è davvero possibile? - domandò
esitante la donna, stringendo le braccia sul proprio ventre.
- Si chiama "trasmutazione umana" – continuò Alba,
mentre
nuvole di vapore accompagnavano ogni sua parola – Con un
cerchio
alchemico, si può tentare di riportare in vita un corpo
umano,
richiamandone l'anima. Ma se non funziona nemmeno questo, non rimane
altro che rassegnarsi -.
La donna si voltò verso di loro, vedendoli forse per la
prima volta.
- Al... chimia? - ripeté – Che cos'è? -.
Ed sapeva che, se avesse avuto ancora diciotto anni, quella domanda
innocente gli avrebbe fatto più male di quanto sarebbe stato
disposto ad ammettere. Ma era diventato adulto da tanto tempo,
perciò le rispose:
- Significa che "uno è tutto e tutto è uno". Che
tutte le
cose sono indissolubilmente legate fra loro da un flusso, e l'alchimia
può controllare lo scorrere di tale energia, incanalandola
in un
cerchio – non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe
dovuto
spiegarlo a lei,
che per prima gliene aveva parlato.
La donna tacque un momento, osservandolo assorta.
- Qualcuno potrebbe dire che anche la morte fa parte di questo flusso
– mormorò poi, facendo sussultare Ed, che rivide
per un
momento gli occhi ferini della sua insegnante – …
ma non
io. Voglio che provi -.
Somigliava più a un ordine che a un desiderio, ma a lei Ed
avrebbe obbedito più che volentieri.
Si arrese e sospirò di nuovo, sentendo gli arti d'acciaio
più ghiacciati che mai, per poi iniziare a tracciare il
cerchio.
A distanza di tanti anni lo ricordava ancora alla perfezione, e in tale
frangente non aveva nemmeno bisogno di un gesso: bastò
raccogliere un ramo caduto e affondarlo nella neve. Ma quella era la
parte più semplice.
Mentre tracciava il cerchio esterno attorno alle quattro piccole tombe,
continuava a ripetersi che l'alchimia in quel mondo non esisteva. Che
comunque non aveva nemmeno raccolto i materiali necessari a comporre un
corpo umano, perché di sicuro quei quattro corpicini
dovevano
essere già decomposti. Quindi a rigor di logica non sarebbe
successo niente. Niente.
Ed cominciava a sentirsi un idiota irrazionale, ma rifare quei segni e
ripercorrere quei passaggi, pur a tanti anni di distanza, lo fece
tremare.
Che cosa ne sapeva che non sarebbe finito tutto come l'ultima volta?
- C'è qualcosa di cui hai paura? - domandò Alba
senza tanti
giri di parole, osservandolo da quella che era diventata ormai sua
lapide personale.
- Sembra stupido, lo so – ammise Ed.
- La paura non è stupida – ribatté la
ragazza – C'è sempre un motivo -.
- Sai, Al, è un po' come... - Ed tacque un momento,
chiedendosi se
rivangare uno degli episodi peggiori che Alba si era trovata ad
affrontare - … se qualcuno ti chiedesse di entrare di nuovo
in
un certo negozio di caramelle. Capisci cosa intendo? -.
Era sicuro che avesse compreso, e che non si fosse irrigidita un attimo
solo per il freddo.
Quando Ed ebbe concluso, nell'assoluto silenzio di quel cimitero
innevato, si tirò su ad ammirare il suo cerchio alchemico.
Non
ne tracciava uno da tanto di quel tempo che stava per cadere vittima di
un attacco di nostalgia, ma si riscosse.
- Va bene – mormorò – Va bene... -.
Si inginocchiò nella neve, allungando le braccia verso il
cerchio. Si concentrò sul pensiero di quando avrebbe rivisto
Al,
e di quanto ne avrebbe riso con lui. Sì, perché
sarebbe
andato tutto bene.
… ma perché diavolo si era lasciato convincere?
Che
assurdità era mai quella? E se avesse rivisto il portale? E
se
fosse successo qualcosa ad Alba e alla controparte della maestra Izumi?
E se... se fossero
comparsi quattro Homunculus?
Ed scosse violentemente la testa. Diamine, aveva più di
trent'anni eppure la paura gli stava attanagliando le viscere. Stava
per poggiare i palmi sul cerchio, quando...
"Ehi, un momento!" pensò "Manca il sangue."
Alzò gli occhi verso la donna, che stava osservando le
quattro
tombe con espressione indecifrabile. Senza il suo sangue la
trasmutazione umana non avrebbe funzionato nemmeno nel suo mondo,
quindi... Ed si sentì un verme, un'altra volta. Stava
prendendo
in giro quella che era stata la sua maestra, la cosa più
simile
ad una madre
che lui e Al avessero avuto dopo la morte di Trisha Elric.
Ma non poteva rischiare, neanche in quel mondo dove l'alchimia non
funzionava.
Poggiò i palmi delle mani sul cerchio, con un movimento che
sembrò rimbombare nell'intera foresta.
Malgrado tutto, Alba era rimasta tutto il tempo con il fiato sospeso.
Sapeva fin da subito che non avrebbe funzionato, che comunque era
qualcosa di proibito e che lo zio Ed aveva ancora una paura tremenda
dall'ultima volta che ci aveva provato. Lo aveva visto esitare
all'ultimo momento, ma alla fine si era deciso, e aveva anche sospirato
di sollievo quando alla fine non era successo niente.
Anche se, nel momento in cui Ed aveva poggiato le mani sulla neve, lei
si era sentita improvvisamente strana.
- Mi dispiace – mormorò Ed – Non ha
funzionato -.
Guardò la donna, che stava ancora osservando le quattro
piccole
tombe dei suoi figli, e pensò che in ogni caso doveva
assolutamente riportarla al villaggio: non poteva lasciarla
lì,
nel bel mezzo di un bosco straripante di neve.
- Signora, venga con noi – disse, alzandosi e avvicinandosi a
lei,
per poi mormorare: - Ormai questi quattro bambini sono un tutt'uno con
questa foresta -.
- Lo so – si stupì quando la sentì
rispondere con una
voce che non era quella lenta e cantilenante sentita finora. La
guardò in viso, e vide che gli occhi non erano
più opachi
e appannati, ma lucidi e perfettamente consapevoli, come lo erano stati
quelli della sua maestra – Ma oramai lo sono anch'io -.
Il dolore tornò a velarle lo sguardo, che lei
riportò di nuovo sui quattro monticelli di neve.
E Ed si rese conto, per l'ennesima volta, quanto i due mondi separati
dal portale fossero in realtà legati l'uno all'altro,
esattamente come i loro abitanti: anche se non lo sapeva, quando da
bambino aveva incontrato la maestra Izumi lei stava già
morendo;
e lo stesso valeva per la donna china nella neve davanti a lui. Non
poteva fare niente; in quel mondo assurdo non poteva mai fare niente.
- Io non posso lasciarla qui – mormorò ancora,
completamente impotente.
- Ma io posso rimanerci – ribatté lei, carezzando
delicatamente il nome del suo primo figlio tracciato nella neve
–
Resto con i miei bambini -.
- Così condanna a morte certa anche il figlio che sta
aspettando! -.
- Morirà comunque – fece lei, modulando di nuovo
la voce in una specie di cantilena – Morirà con me
-.
- No, lei... - Ed sentì qualcosa tirargli la manica, e
quando si
voltò vide Alba accanto a sé, finalmente scesa
dal suo
sgabello di pietra.
- Forse dovremmo andare – gli disse, guardandolo con
quell'unico
occhio che risaltava sul volto pallido, simile a un corvo nella neve
– Mi dispiace, non avrei dovuto insistere -.
Già, lui doveva portare Alba oltre il confine. In salvo,
lontano
da quella follia da cui non era riuscito a salvare la sua famiglia.
Non aveva potuto fare niente per la maestra Izumi, e non avrebbe potuto
fare ugualmente nulla per la sua controparte in quel mondo. Win aveva
perfettamente ragione: il tempo gira in tondo, e nemmeno con un cerchio
alchemico avrebbe potuto controllarne il flusso.
Stavano ormai uscendo da quel bosco surreale, trovando la strada in
quell'intrico di legno nero e neve candida. Ed era ancora immerso negli
avvenimenti di nemmeno un'ora prima, e andava avanti quasi per inerzia.
Alba si sentiva un po' in colpa, anche se non sapeva bene per cosa, ed
era da un po' che sentiva un certo fastidio che ormai non riusciva
più ad ignorare.
- Zio Ed, devo fare pipì – e così
dicendo andò a nascondersi dietro un albero.
Ed, che aveva annuito distrattamente, rimase un po' sorpreso nel
ritrovarsela accanto neanche cinque secondi dopo. Un'Alba perfino
più pallida del solito lo informò, con voce
grave, di
avere le mutande sporche di sangue.
Dire che Ed rimase a bocca aperta per lo stupore è ancora
poco,
ma gli bastò guardare in faccia la sua compagna di viaggio
per
capire quello che stava pensando.
Non si diede nemmeno il tempo di imprecare mentalmente contro il
meccanismo biologico femminile e il suo eccezionale tempismo,
perché scoppiò in una forte risata che
tranquillizzò immediatamente la ragazza.
- Cielo, Al, no! - esclamò Ed – Non è
stata la
trasmutazione, anche perché una trasmutazione non
è
nemmeno avvenuta! -.
- Ah... - fece lei, riprendendo colore – Quindi... non mi
mancano degli organi, vero? -.
- No, certo che no! È una cosa... beh, del tutto naturale! -.
- Da-davvero? - naturale? Il sangue sulle mutande? E lei che pensava
che
quella fosse la sua punizione di peccatrice per aver voluto tentare una
trasmutazione umana. Non che l'avesse davvero pensato,
ovviamente,
però... si era un po' spaventata. Non le sembrava una cosa
proprio normale.
- Andiamo, credo che dovrò spiegarti... beh, un po' di cose
– in effetti non gli era mai venuto in mente. A quindici anni
compiuti, Alba era ancora secca e diritta come il giunco di una palude,
perciò non aveva affatto pensato che... accidenti. E adesso
toccava a lui?
Stava cominciando a pensare di buttare all'aria anni di studi alchemici
e chimici e iniziare un discorso infarcito di fiori e apine, quando
guardò Alba e si rese conto che non c'era nulla di cui
vergognarsi. Era semplice biologia umana, in fondo.
- Zio Ed, e... qui
come faccio? -.
- Ah... sì! Sì, ecco... - Ed frugò
nello zaino,
tirando fuori delle pezze di stoffa pulite – Puoi usare
queste.
Al prossimo villaggio vedremo di trovare di meglio -.
Alba annuì, prendendole e tornando dietro all'albero.
Nei minuti in cui rimase solo nella neve, un dubbio sorse dalle
conoscenze alchemiche di Ed, come la nebbia che si alza fra l'erba: una
vocina che gli diceva che forse la prima mestruazione di Alba e
ciò che avevano appena vissuto nel bosco fossero davvero
collegati. Un dubbio assurdo, in effetti, che tuttavia non
riuscì più a togliersi dalla testa.
Quando Alba tornò e si rimisero in cammino, fece per
cominciare il suo discorso, ma la ragazza lo precedette:
- Stavo pensando... hai presente Rosaspina? Sai quando si punge un dito
col fuso, si addormenta... eccetera eccetera? - Ed tacque, sicuro che
fosse una domanda retorica – Il sangue che esce dal dito, che
sia
una metafora di questa... questa cosa? In fondo anche lei ha quindici
anni, quando succede -.
- Può essere – ammise Ed, grato che da dietro
quell'albero fosse tornata la Al di sempre.
- Comunque sia, zio Ed – continuò lei,
improvvisamente seria
– Non per offenderti, ma preferisco i regali di zio Al -.
Ed non si offese, ma neanche rispose.
- Anzi, la prossima volta che provo a chiedertene uno... –
continuò, guardandolo severamente con quell'unico,
penetrante
occhio – … per favore, minacciami con un automail
-.
(¹) Frau:
significa “signora” in tedesco
Nel contest, oltre ad ispirarci all'immagine data, dovevamo scegliere
un particolare “set” con un certo elemento. Avendo
scelto
il set “Inverno”, l'elemento che dovevo inserire io
è il regalo.
Ci sono vari riferimenti a questo concetto: il regalo convenzionale,
ossia il libro di fiabe nominato all'inizio, il regalo inteso come
favore personale e... la maternità negata, intesa come dono
non
ricevuto.
I riferimenti alle favole li ho presi un po' da dei libri e un po' da
Wikipedia: “Rosaspina” è, come avrete
capito, la
versione dei Grimm de “La bella addormentata nel
bosco”.
Il punto in cui si dice che le fiabe potrebbero derivare da miti
più antichi, è un riferimento alle teorie di
Vladimir
Propp.
Fra un po' potrei
pubblicare
qualcos'altro (sì, lo so che dovrei darmi dei limiti), una
storia incentrata su Al e su altri personaggi. Nel caso, si
intitolerà “Roots-
Radici”.
Rispondendo alle recensioni:
piwy: sono contenta che tu sia arrivata a leggere fin qui,
e mi fa
piacere che i personaggi siano ancora riconoscibili. Rispondendo alle
tue domande: sì, quelli su cui il padre di Eliza ha condotto
le
ultime ricerche erano cerchi alchemici, anche se vi ho solo accennato.
E non credo che Ed lo verrà mai a sapere, dato che le prove
sono
state bruciate.
Sì, Al è in Irlanda con chi pensi, e sto anche
pensando di scrivere qualcosa al riguardo...
Shatzy: a dire il vero era la prima volta che scrivevo una
fic del
genere, perciò è stata soprattutto un
esperimento. L'idea
mi è venuta dai prompt del contest a cui la storia aveva in
origine partecipato: l'avvertimento “Non per stomaci
delicati”, appunto, il negozio di caramelle, il coltello e la
frase “Tutto questo è disgustoso.”
Praticamente
l'idea è venuta fuori da sola, mettendo insieme tutti questi
elementi, e volevo proprio cimentarmi in qualcosa di diverso dal mio
solito. Però ti assicuro che era unica nel suo genere, non
ce ne
saranno altre così esplicite.
Anch'io, quando ho fatto un conto delle età, mi sono resa
conto
che Ed avrebbe avuto ormai trent'anni, ma in fondo dobbiamo abituarci
all'idea: se non può più tornare indietro, in
questo
mondo rimarrà fino alla fine. Perciò, anche in
questo
capitolo, ho cercato di renderlo un po' più adulto, pur
facendo
di tutto perché rimanesse sempre lui.
Guarda, la faccenda della moglie e dei coltelli è del tutto
casuale, non ci avevo minimamente pensato. Però, cavolo,
potrebbe anche starci! O_O
Per quanto riguarda Al, tutto quello che puoi immaginare e sospettare
è esatto. XD Cavolo, avrei una voglia di iniziare un'altra
storia su di lui, ma dovrei infilarci un sacco di OC e non so se
è il caso... boh, vedremo.
Grazie per l'informazione sul RoyAi Day, ma sinceramente su di loro
(quelli di Amestris) non so proprio scrivere. Ho letto qualche fic
davvero bella, ma dubito fortemente che riuscirei a tirare fuori
qualcosa, ormai sono troppo abituata a... Rod e Liza. XD
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Capitolo 3 *** Nèi sotto gli occhi (La fanciulla senza mani) ***
3- Nèi sotto gli occhi
Nèi
sotto gli occhi
"Non abbiamo ricevuto niente in
cambio. Tutto ci è stato strappato via!"
(Edward Elric, episodio
16)
Un paio di volte avevano rischiato grosso, ma erano finalmente riusciti
ad arrivare al confine. Febbraio era ancora feroce, ululante di venti
che ruggivano nelle pianure, affilati come lame che non avevano bisogno
di alcun arrotino.
Quando erano ormai in prossimità della prima cittadina
olandese,
Ed pensò che era ora di mettere in pratica una cosa su cui
rimuginava ormai da un po' di tempo. Non erano più in
territorio
tedesco, quindi nel proseguire verso le città portuali sulla
costa potevano anche prendersi un po' più di tempo. Ma non
troppo, perché viste le mire espansionistiche della Germania
non
ci voleva un genio a capire che avrebbero presto cercato di attaccare
anche quel piccolo, piatto stato pieno di dighe e tulipani ancora
addormentati nella terra gelata. (¹)
- Al, senti – cominciò Ed – Visto che
siamo
abbastanza al sicuro, pensavo di andare con più calma
adesso. E
nel frattempo insegnarti qualcosa -.
- Vuoi dire studiare? - Alba voltò la testa da una parte e
dall'altra, ma al paese più vicino mancavano ancora un paio
di
chilometri – Non dovremmo prendere una stanza, prima? -.
- No, non intendevo questo – specificò Ed,
guardandola
serio – Non sarebbe una cattiva idea che imparassi un po' a
difenderti -.
Le sopracciglia aggrottate di Alba gli chiesero subito di spiegarsi
meglio.
- Abbiamo lasciato la Germania e presto ci imbarcheremo per
l'Inghilterra, questo è sicuro. Ma siamo solo tu e io, e
potrebbe succedere qualsiasi cosa, pericoli ce ne sono ovunque. Non si
può mai sapere -.
- Io non voglio fare del male a nessuno – borbottò
Alba.
- Non si tratta di fare del male, ma di evitare che ne facciano a te.
Ne hai tutto il diritto – replicò Ed.
La ragazza sembrava ancora poco convinta, così Ed
continuò:
- Sai Al, mio fratello è una delle persone più
miti che
conosco, eppure ti assicuro che in un corpo a corpo è
imbattibile. O meglio, era
– si corresse poi.
- Quando il suo corpo era costituito da un'armatura? - chiese Alba.
- Già, ma è ancora piuttosto forte. Non
c'è niente
di male a imparare a difendersi, sai? - Ed la studiò un
attimo
da capo a piedi, valutando su quanta forza potesse contare quel
corpicino esile ma resistente – Però a mani nude
non
è il caso, ti servirebbe qualcosa da usare -.
- Ce l'ho, qualcosa da usare – lo stupì lei,
estraendo
dalla tasca interna del cappotto il fodero con il coltello che le aveva
regalato Win. Che aveva sempre portato con sé, come sua
cugina
le aveva detto di fare, anche se non l'aveva mai usato. Neanche per
tagliare una mela – Credi che possa andare bene? -.
Ed fece tanto d'occhi.
- E questo... da dove salta fuori? - domandò, incredulo
– Da quando giri con questa roba in tasca? -.
- Me l'aveva regalato Win. Dopo... - Alba indicò la benda
che le
copriva parte del viso - … dopo la faccenda dell'occhio. Mi
aveva detto di portarlo sempre con me, nel caso fosse successa di nuovo
una cosa simile. Però ovviamente non l'ho mai usato -.
Ed prese in mano il coltello, studiandone la lama corta e sottile,
perfettamente affilata. Era piccolo e leggero, ma se utilizzato nel
modo giusto poteva risultare più letale di una pistola;
più silenzioso e preciso. Praticamente perfetto.
- Bene, questo va oltre tutto quel che speravo. Possiamo cominciare
anche subito -.
Restituì il coltello ad Alba, che non rispose e non tolse
l'arma
dal fodero. E nemmeno si mosse, osservando Ed che si toglieva il
cappotto e la giacca, iniziando poi ad arrotolarsi le maniche della
camicia.
- Non rischi di prenderti una polmonite? - chiese Alba.
- Sciocchezze, malgrado le apparenze io sono fatto tutto d'acciaio
– ribatté lui, per poi mettersi in posizione
– Prova
ad attaccarmi. Se hai paura di farmi male, mira all'automail: non lo
scalfirai nemmeno, sta' tranquilla -.
L'occhio di Alba si soffermò sul braccio d'acciaio, andando
ad
osservare le diverse componenti unite tra loro da giunture metalliche
costituite da innumerevoli viti e bulloni. Win diceva sempre che ogni
meccanismo, in fondo, era uguale a un altro.
Poteva provare.
- D'accordo – si arrese. Era vero, comunque: senza Ed non
sarebbe
stata in grado di fare niente, di andare da nessuna parte, di
difendersi dal minimo sopruso. Che mondo disgustoso, ne era sempre
più convinta.
- Bene – Ed le fece un cenno con la mano d'acciaio
– Sono qui che ti aspetto -.
Malgrado la situazione, Ed stava seriamente rischiando di commuoversi:
gli mancava solo un libro di cucina tra le mani, mentre Alba lo
attaccava da ogni angolazione possibile, e la storia si sarebbe
ripetuta come tanti anni prima, dall'altra parte con la maestra Izumi.
Più invecchiava e più diventava sentimentale,
accidenti!
Nonostante fosse cresciuta in città, Alba era piuttosto
agile.
Un po' goffa nell'attacco, ovviamente, e di certo sarebbe stato ancora
peggio se si fosse trattato di parare i colpi, ma era un inizio. Un
allenamento come quello ci voleva proprio, ormai ne era certo.
Come le aveva detto, stava cercando di colpire soltanto l'automail, la
manica della camicia in salvo arrotolata sopra il gomito. Malgrado
l'inesperienza, non stava colpendo alla cieca: sembrava che ad ogni
affondo mirasse perlomeno ad un punto ben preciso, il che era un'ottima
cosa.
Gli unici suoni udibili erano il sottile stridio metallico, negli
istanti in cui il coltello colpiva l'automail, e il respiro dei due,
che rilasciava nuvole di vapore denso. Tutto quel tempo in cammino
aveva temprato parecchio il fisico di Alba, che dopo una decina di
minuti di attacchi senza sosta si ritrovò tuttavia ad
ansimare.
Si fermò un attimo, raddrizzò le spalle e poi
ricominciò, sorprendendo parecchio Ed: dov'era tutta la
riluttanza dell'inizio? Sembrava quasi che si fosse prefissa uno scopo
e ci dovesse arrivare a tutti i costi.
Ed parava i suoi affondi senza alcun problema, lasciando tuttavia che
lo colpisse perché si abituasse un po' alla sensazione di
quando
un'arma raggiunge il proprio obiettivo, anche se in quel caso non
affondava nella carne. Ma aveva l'impressione che Alba si stesse
stancando troppo, perciò per il momento era meglio
concludere.
Fece per allungare il braccio d'acciaio, con l'intenzione di bloccarle
il polso che teneva il coltello, quando all'improvviso l'automail non
obbedì. Ci fu come un leggero schiocco, e da un momento
all'altro Ed si ritrovò con l'avambraccio penzolante,
completamente inerte dal gomito alle dita.
Non riusciva più a muoverlo.
- C-come... - Ed si bloccò, credendo a stento ai propri
occhi – Come...?
-.
- Togliendo un bullone e allentando qualche altra vite – lo
informò tranquillamente Alba, mostrandogli in effetti il
bullone
che teneva in mano – È un modo per indebolire
l'avversario, no? -.
Ed guardò sbigottito il suo braccio d'acciaio con la parte
inferiore che penzolava, al momento del tutto inutile. Aveva appena
creato un mostro?
Tuttavia, osservando l'automail con occhi ancora sgranati, si
ritrovò a sorridere: oh, era stato suo l'errore. Aveva forse
dimenticato che in fondo quella ragazzina era figlia delle controparti
di Mustang e del tenente Hawkeye? Freddezza e intuito in battaglia;
mira perfetta.
Aveva trovato pane per i suoi denti. Avrebbe potuto tirare su un nuovo
Hughes.
- Come facevi a sapere che quel bullone era un punto fondamentale del
braccio? - le chiese, voltandosi verso di lei – E le altre
viti?
-.
Alba stava lanciando in aria il bullone, lei stessa incredula per
ciò che era riuscita a fare.
- Beh, sapevo che a forza di allentarle sarebbe successo qualcosa:
viti, molle e bulloni sono i punti fondamentali di qualunque
meccanismo. Sono la cugina del miglior orologiaio di Berlino, ricordi?
- non terminò di dirlo, che il sorriso le morì
sulle
labbra. Dov'era il miglior orologiaio di Berlino, adesso?
Ed doveva averle letto nel pensiero, perché le si
avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
- Su, aiutami a risistemare il braccio. Poi sarà meglio
arrivare
in paese prima che faccia buio, magari riprendiamo domani. Ma la
prossima volta segui un'altra tattica, d'accordo? Lo sai che non ne ho
di ricambio -.
Alba annuì, riscuotendosi, e rimise il bullone al suo posto.
Strinse più che poté, aiutandosi col coltello.
Qualche minuto più tardi, quando avevano ormai ripreso il
loro cammino nella neve, Ed si ricordò d'un tratto dell'altra
volta in cui gli era successa una cosa simile: la prima volta che aveva
combattuto contro Envy, il braccio gli si era bloccato nello stesso
modo, anche se fin dall'articolazione della
spalla. Corrugò
la fronte, osservando l'arto malgrado fosse ormai coperto da strati di
vestiti.
- Vuoi vedere che...? -.
Alba si chiese perché mai lo zio Ed avesse emesso d'un
tratto un
grugnito strozzato, seguito da una serie di imprecazioni ringhiate fra
i denti.
- Ma tu guarda quella... quella...
il miglior meccanico di Amestris, eh? Te lo do io, il miglior meccanico
di Amestris! Ci stavo rimettendo la pelle, e poi ha anche fatto finta
di niente! Ma dico, io! Ero in ospedale, conciato per le feste, e lei:
“Ah, Edward, smettila di trattare così i miei
automail”! E con che coraggio poi mi ha anche ordinato di
bere
quella schifezza biancastra! -.
- Che hai da borbottare? - chiese Alba, che di quel monologo grugnito
non stava capendo nulla. Aveva come l'impressione che lo zio Ed se la
stesse prendendo con qualcuno; chi, poi, non era dato saperlo.
- Ah, niente – fece lui – Continua a camminare -.
La fortuna fu dalla loro, in Olanda: non erano più
clandestini-
soprattutto Alba- e poterono quindi viaggiare in tutta
comodità
in treno, fino a raggiungere la costa. Alba trovò molto
interessante mettersi a leggere tutti i cartelli, avvisi e annunci che
trovavano, stupendosi di riuscire a capire praticamente tutto, vista la
somiglianza dell'olandese col tedesco. Non era mai stata fuori dalla
Germania- anzi, a dire il vero aveva visto ben poco anche fuori
Berlino- e malgrado tutto trovarsi all'estero la affascinava.
Cercava di non pensare ai suoi genitori e a sua cugina,
perché
sapeva che non sarebbe comunque servito a niente, ma ad ogni stazione
in cui si fermavano sobbalzava alla vista di ogni bell'uomo coi capelli
neri, o di ogni donna bionda dai capelli raccolti e la schiena dritta.
Non le era mai capitato di vedere una ragazza con i capelli corti come
quelli di Win, ma era certa che, se fosse successo, non sarebbe
riuscita a sopprimere l'impulso di correrle dietro.
Non ne aveva mai parlato con Ed, ma sperava davvero che stessero bene.
Che li avessero magari messi in qualche prigione perché la
razza
ebrea non interferisse con la purezza degli ariani, e anche se trattati
in qualche modo che fossero vivi. No, non osava nemmeno pensare a una
qualunque altra ipotesi.
- Come sei messa con l'inglese? - Ed, che si era attardato un momento a
fare chissà cosa, si sedette di nuovo di fronte a lei, in
sottofondo il brusio dei passeggeri che prendevano posto.
- Mah, più o meno. A scuola me la cavavo -.
- Sarebbe il caso che cominciassi a rispolverarlo. Lo sai dove stiamo
andando, no? - proseguì Ed, che aveva già
spiegato ad
Alba la sua idea di raggiungere Al passando per l'Inghilterra. In ogni
caso, in entrambi i Paesi si parlava inglese.
- E come? Ti ricordo che i miei libri non li ho mica qui -.
- Ho appena trovato questa da un venditore ambulante qui fuori
–
Ed le porse una grammatica un po' spiegazzata, piena di orecchie che
dovevano essere state fatte da uno scolaro non proprio diligente
– Non è un granché, ma è
meglio di niente -.
Alba sfogliò qualche pagina, trovando alcuni esercizi
già fatti, ma a suo parere non molto corretti.
- Devo studiare? - chiese, alzando lo sguardo su Ed.
- Beh, il viaggio verso la costa è ancora lungo, e qui
dentro
non ci si può certo allenare nel corpo a corpo –
fece Ed,
scacciando il ricordo di quando lui e Al avevano dovuto affrontare dei
guerriglieri su un treno: quella volta i vagoni erano stati un egregio
campo di battaglia.
Alba diede un'occhiata alle tavole stampate sul libro che spiegavano le
regole grammaticali inglesi. “Se non sai cosa fare, fai
qualcosa
di utile” le diceva ogni tanto sua madre; consiglio che lei
seguiva di quando in quando, perché come suo padre trovava
davvero gradevole starsene in orizzontale da qualche parte ad osservare
il soffitto o il paesaggio fuori dalla finestra.
Ma adesso sua madre non c'era, e neanche suo padre. Era il caso che la
pigrizia venisse rimandata; almeno se fosse stata impegnata in qualcosa
non avrebbe avuto il tempo di pensare troppo.
- Va bene – disse infine – Hai una matita? -.
Non era mai stata su una nave prima d'ora. Nemmeno su un battello o una
semplice barca: ed era impressionante quanto il mare fosse vasto e
senza confini, quanto il cielo vi si specchiasse in quella giornata
nuvolosa in cui il sole faceva ogni tanto capolino dalle nuvole,
illuminando le onde di abbaglianti gocce di luce.
Ma come faceva il capitano a sapere dove andare? La terra era ormai
scomparsa, lasciata indietro più di un'ora prima: sapeva
solo
che si stavano dirigendo verso nord-ovest, verso l'Inghilterra, ma in
tutta onestà non avrebbe saputo dire in che direzione fosse.
Aveva salutato anche lei quando erano partiti, malgrado in effetti non
avesse nessuno da salutare. Aveva salutato la gente sulla banchina, chi
rimaneva e chi forse sarebbe partito in seguito; lei e Ed non erano gli
unici che stavano espatriando per sfuggire a quella che si stava
rivelando una vera e propria guerra europea. Perché diavolo
a
suo padre non era venuto in mente prima di andarsene, ancora quando le
era successo “l'incidente”? Lo zio Ed aveva avuto
ragione
anche allora, a dire che quello non era ancora niente.
“Basta, basta.” Alba chiuse gli occhi e
inspirò a
fondo quell'aria fredda che sapeva di sale, sperando che oltre ai suoi
polmoni raggiungesse anche la sua anima. Quella rabbia inutile si stava
mescolando alla torbida preoccupazione in cui non doveva cadere,
perché ogni volta non sapeva se sarebbe riuscita a
risalirne.
“Basta.”
- Tutto bene? Hai un po' di nausea? - Ed le si avvicinò,
appoggiandosi a sua volta al parapetto del ponte.
- No, sto bene. Stavo solo guardando il mare – rispose lei,
per poi
tacere. Entrambi sapevano che il mal di mare non c'entrava nulla, e Ed
si voltò, poggiando i gomiti sul parapetto e lasciando
vagare lo
sguardo fra i passeggeri. Il mare non faceva mai bene a chi aveva
troppi pensieri, ma quel viaggio per nave era inevitabile.
Solo dopo un po' che osservava la variegata umanità presente
sul
ponte, si rese conto di star fissando un viso piuttosto familiare. Un
altro.
Una giovane donna, probabilmente di famiglia ricca, forse addirittura
con qualche traccia di nobiltà; piuttosto diversa dal
giovane
soldato in divisa e coi capelli cortissimi che ricordava, sempre
sull'attenti e pronta a svolgere il proprio dovere. Ma nonostante
l'abito raffinato e il cappello che nascondeva certamente
un'acconciatura elegante, quel neo sotto la guancia sinistra era
inconfondibile.
- Chi è? - domandò Alba, allungando il collo,
accorgendosi
di come lo zio Ed stesse osservando un'apparente sconosciuta con quello
sguardo.
- Un certo sottotenente... vediamo se ti ricordi – la
sfidò Ed con un sorriso sornione.
- Sottotenente? Maria Ross, allora – rispose pronta lei, che
le
sue avventure nell'altro mondo le conosceva ormai a memoria.
- Proprio così -.
- Non ha l'aria del sottotenente, comunque –
commentò Alba, squadrando da capo a piedi la giovane
sconosciuta.
- Non fissarla così, finirà per accorgersene
– la ammonì Ed.
- Oh, ma io sono la povera ragazzina con un occhio solo. Qualche
comportamento strano mi è permesso –
ribattè
tranquillamente Alba, abbarbicandosi sul parapetto e sporgendosi fuori
per metà. Non fosse stata lei, Ed le avrebbe detto di
scendere
perché era pericoloso.
Non stavano più guardando l'elegante controparte del tenente
Maria Ross, perciò quando Ed si sentì rivolgere
la parola
quasi sobbalzarono tutti e due.
- È una bella giornata, non trovate? -.
In effetti si trattava proprio della donna che stavano guardando poco
prima, la quale li aveva raggiunti senza che se ne accorgessero,
accompagnata da un uomo che doveva essere il suo maggiordomo. Parlava
un tedesco impeccabile, quasi meglio del loro.
Dopo un istante di sorpresa, Ed rispose:
- Già, è una fortuna essere partiti con un tempo
così -.
La donna annuì, con un cenno elegante del capo, per poi
chiedere:
- Scusate la curiosità, ma non mi sembrate olandesi.
Sbaglio, forse? -.
- No, non si sbaglia affatto – rispose Ed – Veniamo
dalla Germania. Da Berlino, per la precisione -.
Altro cenno.
- Capisco. Vi auguro di fare buon viaggio: il capitano di questa nave
è un amico di famiglia, e vi assicuro che è uno
dei
migliori -.
- Sono felice di saperlo. Allora sarà un ottimo viaggio,
grazie -.
Dopo questo breve scambio di battute la donna proseguì,
seguita
dal suo accompagnatore, a cui poco più avanti
mormorò
qualcosa.
Alba, che non aveva aperto bocca durante quella conversazione,
continuò ad osservarla per qualche istante.
- Uh... le piaci, zio Ed –
constatò maliziosa, e
per quel commento si beccò una pacca su una spalla, neanche
fosse stata Al per davvero.
- Oh, sta' zitta – ribatté lui.
- Adesso ti invita a cena. O forse per il tè -.
Come se tutta quella scena fosse stata scritta su un copione inventato
da Alba, il domestico personale di quella donna tornò
indietro,
avvicinandosi a loro.
- La signorina sarebbe lieta se poteste unirvi a lei più
tardi, per un piccolo rinfresco all'ora del tè -.
Anche se non la stava guardando, Ed sapeva perfettamente che faccia
stava facendo Alba. Suo fratello non si era mai permesso di prenderlo
in giro in quel modo.
- Ci... ci farebbe molto piacere, grazie – rispose, preso
leggermente alla sprovvista.
L'uomo fece un piccolo inchino, comunicando loro il numero della cabina
e l'ora, per poi andare a raggiungere la giovane donna che lo stava
aspettando più avanti.
- È strano, sai? - Alba, accanto a lui, sembrava avere
abbandonato
la modalità “presa in giro”,
improvvisamente seria
– Con tutta la gente che c'è su questa nave,
è
venuta proprio da te. Hai mai pensato che forse, a livello inconscio,
la gente di questo mondo sa di avere avuto un legame con te,
chissà quando e da qualche altra parte? Che le controparti
di
qua e di là siano in qualche modo legate? -.
Eccome, se l'aveva pensato. Da quando aveva incontrato Alfons. Da
quando aveva conosciuto Win, Roderich e Eliza. Qualcosa c'era, ma
sinceramente la sua curiosità di scienziato era emotivamente
troppo stanca per mettersi a indagare anche su questo.
- Senti Al, limitiamoci ad andare a questo tè –
disse Ed,
mentre la brezza marina si alzava e il cielo si rannuvolava sempre
più – Ci sarà di sicuro qualcosa di
buono -.
Quella ragazza faceva decisamente parte della nobiltà
olandese,
visto il lusso della cabina e l'abbondanza del tavolino imbandito per
il tè. La signorina Marije, come la chiamava il maggiordomo,
si
era cambiata d'abito, indossandone uno da pomeriggio, e stava ora
sorseggiando delicatamente il suo tè da una tazzina decorata.
- Prendete uno di questi pasticcini al pistacchio – stava
dicendo ai suoi ospiti – Sono davvero squisiti -.
Ed, che era ormai abituato ad ogni genere di essere umano, non faceva
molto caso alla formalità di Marije, mentre Alba sembrava un
po'
incerta: sapeva perfettamente di essere cresciuta in una famiglia
semplice, né ricca né nobile, ma non credeva ci
fosse
gente che si comportava davvero come i nobili dei libri.
Però prese un pasticcino al pistacchio, e lo
trovò
davvero buono. Dopo aver versato un goccio di latte nel tè
rimise subito il bricco sul tavolo, senza passarlo a Ed. Era tanto
abituata ad evitargli ogni liquido di origine vaccina che ormai lo
faceva senza nemmeno pensarci, ma questo la loro ospite non poteva
saperlo.
- Gradisce un po' di latte nel tè? - gli chiese infatti.
- No, grazie. Lo prendo senza – rispose Ed, chiedendosi che
diavolo
ci facessero lì. Era un modo come un altro per evitare a
Alba di
rimuginare troppo, dato che non era il caso che la facesse allenare nei
corridoi, e non poteva certo passare tutta la giornata a leggere o
dormire. Oltretutto il tempo sereno di quella mattina si era
già
guastato, e la grigia pioggia del Mare del Nord si stava riversando
silenziosa sul ponte della nave.
Ma non capiva che cosa quella donna potesse volere da un uomo e una
semplice ragazzina: un po' di compagnia, nella noia del
viaggio? E perché proprio loro?
- Quanti anni hai? - Marije si rivolse a Alba, sorridendole
cortesemente.
- Quindici – rispose lei, che per fortuna aveva appena
inghiottito l'ultimo boccone.
- E dimmi, cosa fai per passare il tempo durante il viaggio? Leggi? -.
Alba avrebbe voluto farle notare che erano partiti appena quella
mattina, per cui il problema della noia non si era ancora posto.
Comunque rispose:
- Sì, mi piace leggere -.
- E che genere di libri preferisci? - continuò Marije.
Alba lanciò una fugace occhiata a Ed, come a
giustificarsi: “Me l'ha chiesto lei!”. Quindi disse
tranquillamente:
- Di solito un libro in particolare, anche se non l'ho qui con me: le
fiabe dei fratelli Grimm -.
- Oh – la giovane donna appoggiò la tazza sul
piattino con
un movimento delicato – L'ho letto anch'io anni fa, come
esercizio di tedesco voluto dal mio insegnante. Mi ha causato qualche
incubo -.
Alba assunse un'espressione leggermente perplessa, anche se ad
accorgersene fu solo Ed.
- In particolare quella storia... quella della fanciulla senza mani a
cui
ne vengono fatte due d'argento... era davvero aberrante -.
Alba lanciò a Ed un'occhiata eloquente: già
parecchi anni
prima aveva insistito che quella fiaba fosse in realtà la
“sua” storia. “Non è che qualcuno aveva attraversato il Portale
anche
allora?” era stata una delle sue ultime ipotesi al riguardo.
- E quando la fanciulla traccia col gesso un cerchio attorno a
sé
per tener lontano il diavolo... - stava dicendo Marije - ...un cerchio
col gesso? È davvero assurdo -.
Alba, intenta a tracciare cerchi di gesso liquido nel suo
tè, commentò:
- Magari può essere la trasposizione in fiaba di un qualche
evento
accaduto davvero, in un posto molto lontano. Come
quando alla fanciulla
vengono donate due mani d'argento al posto di quelle tagliate -.
D'argento, e non d'acciaio.
- Anche questo è davvero inquietante: so che esistono delle
protesi per chi avuto la sfortuna di una mutilazione, ma non diventano
certo come un arto vero e proprio. Come avranno potuto immaginare una
cosa simile? - continuò a chiedersi Marije, sorseggiando il
suo
tè.
- Già, chissà come sarà stato
possibile –
concordò Alba, anche se Ed fu certo che in quelle parole ci
fosse un'allusione rivolta a lui.
“E poi” avrebbe detto Alba, se avesse potuto
continuare
quella conversazione “quando il re va a cercare moglie e
figlio,
non mangia e non beve nulla per sette anni, ma Dio lo mantiene in vita.
È come lo zio Al! Non ha mangiato né bevuto nulla
per quattro
anni, ma è rimasto comunque in vita! Vedi, zio Ed, quella
che ha
cercato moglie e figlio è stata in realtà l'anima del re,
non il suo corpo.”
Ma Ed intervenne:
- Forse un giorno la scienza avanzerà tanto da rendere
possibile
una cosa del genere. Ho saputo che dovrebbero iniziare ad usare un
nuovo antibiotico su cui si è fatta ricerca fino ad ora:
penicillina, la chiamano. Se funzionasse davvero contro le infezioni
batteriche, già quest'anno la medicina farebbe passi da
gigante
-.
Il sorriso educato di Marije fece capire a Ed che non doveva aver mai
sentito parlare di quel nuovo antibiotico.
- Lei è un medico? - chiese la donna, per mantenere viva la
conversazione.
- No, mi occupo di chimica -.
- Capisco -.
A Ed sembrava che quell'inusuale tè, voluto forse dalla noia
di
una ricca ragazza un po' viziata, stesse volgendo al termine. Lei non
aveva detto praticamente niente di sé, e loro stessi avevano
a
malapena rivelato i propri nomi. Gli sembrava una donna un po'
sfuggente, o magari semplicemente non dotata di una brillante
personalità; comunque fosse, non riusciva a pensar male di
lei.
Forse perché la sua controparte di Amestris era stata una
delle
poche donne che l'avevano abbracciato nella sua vita, in un momento
cruciale come poteva esserlo una reazione alchemica infinita, aprendo
una breccia e salvandolo.
- Noi stiamo andando in Inghilterra perché io sono ebrea
–
disse d'un tratto Alba, che aveva finito la sua tazza di tè
– In Germania hanno arrestato la mia famiglia, ma viaggiando
da
clandestini siamo riusciti ad attraversare il confine e ad arrivare fin
qui -.
Ed corrugò la fronte, chiedendosi perché Alba
avesse
sciorinato d'un fiato tutta la loro storia ad una perfetta estranea.
- Lei perché sta scappando? -.
La domanda a bruciapelo di Alba sorprese Ed e turbò Marije,
che si affrettò a rispondere:
- Oh, non... non sto affatto scappando. Mi sto trasferendo in
Inghilterra
perché probabilmente mi sposerò con un giovane
inglese,
il figlio di un ottimo amico di mio padre. Non ritiene prudente che io
rimanga in Olanda, con quel che sta accadendo -.
- Deve sposare un nobile? -.
- Sì, ma non crediate che entrerò a far parte
della
famiglia reale – sembrò scherzare lei, eppure a Ed
sembrò che la maschera indossata fino a quel momento si
fosse
irrimediabilmente incrinata – Si tratta di piccola
nobiltà
di campagna, sarò fortunata se vedrò Londra un
paio di
volte all'anno -.
- Congratulazioni, allora – disse Ed, che aveva ormai capito
la
situazione – Credo sarà meglio che ora togliamo il
disturbo -.
Si alzò, imitato da Alba, e Marije fece altrettanto.
- Spero avremo modo di vederci ancora, prima di arrivare in Inghilterra
– disse gentilmente la ragazza – Mi ha fatto molto
piacere
conoscervi -.
- Ha fatto piacere anche a noi. E credo che su una nave come questa le
occasioni di incrociarci ancora non mancheranno -.
Alba salutò con un cenno del capo e un lieve sorriso, ma non
disse più nulla.
- Lo vedi? Lo vedi? - Alba, rimasta silenziosa e impassibile fino al
rientro nella loro cabina, sembrava quasi fuori di sé
– Lo
vedi come dicono la verità, quelle fiabe? -.
- Vuoi andare a cena o sei a posto? - chiese Ed, buttandosi sul letto
senza nemmeno togliersi le scarpe.
- Te ne sei accorto, vero? L'amore trionfa sempre, i re ritrovano le
loro
regine anche dopo aver vagato sette anni, tra foreste di rovi e boschi
pieni di giganti – Alba continuò a parlare
sommessamente,
appoggiando la testa alla porta appena chiusa – Lo sapeva
troppo
bene. Perché deve sposare un re, lei che non vuole? -.
- Non deve sposare un re, ma un esponente della piccola
nobiltà. L'hai sentita, no? -.
- E le principesse innamorate dei contadini non sono destinate a una
vita felice, vero? -.
- Suppongo di no. Anche se in questo caso forse è uno
studente, o un figlio di commercianti -.
- E quanto scommetti che tu gli somigli? -.
- A chi? - Ed aprì gli occhi, capendo finalmente quanto
quella
ragazza fosse in realtà dolce e spontanea come la sua
controparte di Amestris. Una dolcezza destinata a frantumarsi presto, a
nascondersi dietro a una maschera necessaria per sopravvivere
–
Al re o al contadino? -.
- Zio Ed, credo che salterò la cena. Ho un po' di mal di
stomaco
– fece Alba, togliendosi le scarpe e arrampicandosi sul suo
letto, quello di sopra nella struttura a castello.
- Sarà stato il latte -.
- Dicono che chi nasce con un neo sotto l'occhio è destinato
alle
lacrime, lo sapevi? - mormorò Alba contro il cuscino, ma Ed
la
udì perfettamente – Non è giusto. Non
è
giusto neanche questo -.
Ma dov'era? Non era Berlino, non sembrava una città tedesca
e
nemmeno olandese, a lei che aveva visto solo quelle. E cos'erano quelle
bandiere e quegli stendardi, quello strano simbolo su sfondo verde mai
visto prima d'ora? Un mostro, un drago con un corno sulla fronte e
denti acuminati? Una... una chimera?
La gente era gente, le case case, per le vie c'erano alcune bancarelle
che vendevano frutta e verdura, pesce e tessuti, strane pietre e
articoli di ogni genere. Più avanti c'era anche un ambulante
con
parecchi libri usati; decise di darci un'occhiata.
Dopo una veloce scorsa ai diversi titoli, Alba si accorse di non
conoscerne nemmeno uno. Possibile? Romanzi mai letti, fiabe mai
sentite, autori sconosciuti ed eventi storici mai studiati. Ne prese in
mano uno a caso e, letto il titolo, fece tanto d'occhi: lo
aprì
di scatto, scorrendo le pagine, incredula e sbigottita. Disegni di
cerchi, nozioni su argomenti mai sentiti, disquisizioni sull'energia e
su come incanalarla, facendole assumere la forma desiderata. Continui
riferimenti al concetto di “scambio equivalente”.
Era...
era... alchimia?
Alba ansimò, posando il libro come se scottasse.
Camminò
tanto in fretta da non vedere dove stava andando- ma tanto non poteva
saperlo, perché non sapeva dov'era. O forse lo sapeva, ma
non
riusciva a crederci. Come aveva fatto? Dov'era il Portale?
Perché si attraversava un Portale, no? No? Quand'era successo? E
dov'era lo zio Ed?
- D'accordo, calmati
– Alba si bloccò, quasi inciampando nei
propri passi, e respirò a fondo – Sei in una
città,
c'è un sacco di gente. Chiedi a qualcuno -.
Postasi un primo, minimo obiettivo, si sentì più
calma e
determinata a capire che stava accadendo. Ma non fece in tempo a
muovere un passo che il suo cuore fece un altro tuffo. Più
profondo e sconvolgente, come se nel suo petto ci fossero stati gli abissi marini invece che carne e sangue.
Un metro più avanti, un uomo era fermo sul marciapiede,
messo di
profilo e intento ad osservare l'edificio di fronte a sé. Un
uomo con una zazzera nera che iniziava ormai a brizzolarsi, ma la
mascella sempre ben disegnata e ben rasata.
- Papà... - non finì di
sussurrarlo, incredula, che l'uomo
si voltò e Alba poté vedere una benda identica
alla sua
che gli copriva parte del viso.
O anche suo padre aveva perso un occhio, o quell'uomo non era lui.
E doveva averla vista, perché quell'occhio
incontrò il
suo e sembrò all'improvviso sorpreso e turbato. Ma forse era
solo lei a sentirsi così, e i suoi sentimenti si stavano
semplicemente riflettendo sul suo viso, perché quell'uomo
non
poteva sapere chi era lei.
E infatti adesso non stava guardando lei, ma qualcuno accanto a lei.
- Acciaio. Di nuovo qui?
-.
Alba voltò la testa, e vide al suo fianco lo zio Ed. Non
fece in
tempo ad aprire bocca per chiedergli tutto quello che le stava passando
per la testa, che lui si chinò e la scrollò,
prima
leggermente e poi sempre più forte.
- Al? Ehi, Al! -.
- Tuo fratello adesso
è una ragazzina, Acciaio? Ne avete combinata un'altra delle
vostre? -.
Alba si drizzò a sedere di scatto, facendo sussultare Ed che
quasi cadde dalla scaletta del letto a castello.
- Ehi, ma... che ti prende? - esclamò Ed – Mi hai
fatto venire un colpo! -.
- Ah... scusa – Alba si guardò intorno,
disorientata – Ma... dove siamo? -.
- Dove siamo? Sulla nave, siamo. Quella per l'Inghilterra –
Ed la
scrutò attentamente – Hai fatto un brutto sogno? -.
- Io... n-no. Credo di no. Non era brutto – quel risveglio
così brusco gliel'aveva fatto dimenticare, eppure se
chiudeva
gli occhi vedeva galleggiare sulla retina il viso di suo padre. Un viso
con una benda, che le fece venire la pelle d'oca.
- Sono stato dal medico di bordo, ti ho portato qualcosa per il mal di
stomaco – disse Ed, porgendole una pastiglia e un bicchiere
d'acqua.
Quando Alba li ebbe mandati giù, Ed continuò:
- Una boccata d'aria ti farebbe bene. Ha smesso di piovere, che ne dici
di una passeggiata sul ponte? -.
Alba annuì piano, ancora confusa. Perché le
sembrava di
aver appena letto un libro di alchimia, che lo zio Ed le aveva
descritto tante volte? Era stata tutta suggestione?
- Allora preparati, forza. Lavati la faccia -.
Quando fece per scendere dal letto, Alba ricordò d'un tratto
tutto il sogno, un fulmine a ciel sereno che la fece barcollare assieme
al rollìo della nave.
- Zio Ed... -.
- Sì? - rispose lui, sicuro che il discorso sarebbe tornato
su
quella Marije che avevano appena conosciuto e il suo amore infelice.
- Ma che diavolo
c'era in quei pasticcini? -.
(¹) In effetti l'Olanda venne invasa nel maggio 1940
Non so da dove è uscita questa roba, ma mi piace.
Chissà se si può dire lo stesso di voi.
Il riferimento nella prima parte, quando a Ed si blocca un braccio
perché manca un bullone, è all'episodio 22 della
prima
serie. Poi ci sono altri riferimenti nel corso del capitolo, e compare
un'altra nostra conoscenza, che nella prima serie è apparsa
poco
ma che sinceramente mi ha molto colpito. Ho sempre visto dei veri e
propri slanci materni in Maria Ross: è l'unica a ritenere
che Ed
sia ancora più un bambino che un adulto, e che abbia bisogno
di
quell'affetto che continua a rifiutare da tutti. Meravigliosa la scena
dell'abbraccio, mi ha quasi commosso.
La fiaba dei fratelli Grimm, incredibile ma vero, esiste sul serio: ci
sono le mani d'argento attaccate a dei moncherini e un cerchio di gesso
tracciato per tenere lontano il diavolo (leggere per credere). E il re
che non mangia e beve per sette anni, ma nonostante tutto rimane in
vita. Impressionante quanto somigli a una certa storia, no?
Spero che questo capitolo non vi risulti troppo angst, anche se vista
la Storia- con la S maiuscola- non c'è troppo da
rallegrarsi.
Comunque i prossimi capitoli si alzeranno di tono, non preoccupatevi.
D'ora in avanti questa storia continuerà su binari paralleli
a
“Roots- Radici”- si intersecheranno di tanto in
tanto, non
so ancora come.
In ogni caso, la prossima volta Ed e Alba li ritroverete nel nuovo
capitolo di quella storia.
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, come sempre! ^^
Rispondendo alle recensioni:
Hanako_Hanako:
in effetti ho
cercato di caratterizzare Alba nel modo più
“umano”
possibile, pur tenendo presente i caratteri dei suoi genitori. In
realtà questa storia è un sequel di altre, per
cui le
risposte a tutte le tue domande le puoi trovare in “Die Uhr-
L'orologio”. ^^
MusaTalia:
è bello
sapere che c'è gente che sa che il termine
“fiaba”
non si riferisce per forza ad un mondo perfetto fatto di melassa- anzi,
spesso e volentieri è tutto il contrario! In questo capitolo
credo di toccare il picco dell'angst, più o meno, ma vedrai
che
nei prossimi ci risolleveremo.
Sono contenta che Alba ti piaccia, sto cercando di caratterizzarla il
più possibile come un personaggio originale, pur tenendo
presente che siamo in Fma e ricordandomi di chi sono i suoi genitori. ^^
CioccoMenta:
in realtà
era la prima volta che scrivevo qualcosa un minimo splatter,
perché di solito non lo leggo e non lo guardo- e per fortuna
non
mi è mai capitato di assistere a qualcosa del genere nella
realtà. Però ci tenevo a fare una descrizione un
minimo
realistica di ciò che accade ad Alba, visto che l'idea mi
è comunque venuta da quel che succede a Mustang nella serie.
Felice che tu abbia apprezzato anche la parte delle mestruazioni! ^^ Ci
stava troppo bene, secondo me, con la comparsa di Izumi, la sua storia,
la perdita dei suoi organi e tutto il tema della maternità.
E
poi sì, volevo mettere Ed in difficoltà.
Nello scorso capitolo è scritto anche che Win viene
arrestata
assieme ai suoi zii, comunque è un particolare che
può
sfuggire.
Spero possa piacerti anche questo aggiornamento!
Tomoyo_Daidoji:
il rapporto di
Ed con i “doppi” è ciò che mi
ha intrigato
fin da quando è arrivato nel nostro mondo, per questo ho
deciso
di approfondire la questione. Sono contenta che Alba ti piaccia:
è sempre una bella prova, riuscire ad inventare un
personaggio
originale che sia in qualche modo convincente. ^^
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