Hausmärchen- Fiabe del focolare

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Das Auge- L'occhio (Rapunzel) ***
Capitolo 2: *** Schnee und Stahl- Neve e acciaio (Frau Holle e Rosaspina) ***
Capitolo 3: *** Nèi sotto gli occhi (La fanciulla senza mani) ***



Capitolo 1
*** Das Auge- L'occhio (Rapunzel) ***


1- Das Auge- L'occhio Rating: arancione
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, one-shot


Das Auge- L'occhio


"Hai dei begli occhi... occhi forti, che sembrano capaci di raggiungere distanze infinite."

(Scar, episodio 14)


Le giornate erano ancora fredde, ma i più attenti potevano riuscire a percepire, annusando bene l'aria ghiacciata, un primo sentore di primavera.
Ed era proprio quello che andava cercando una ragazzina sugli undici anni dai capelli biondi e gli occhi scuri e sottili, camminando allegramente per le vie di Berlino assieme ad una sua amica. Era un pomeriggio d'aprile, quel giorno a scuola non avevano assegnato molti compiti e lei era certa di aver sentito un inconfondibile profumo di lillà passando accanto al giardino di una villa elegante.
Non stavano passeggiando nel quartiere in un cui abitavano, ma la ragazzina bionda vi veniva spesso, a trovare uno zio che non era suo zio, e lo conosceva bene. Sapeva anche che, girato l'angolo, avrebbero trovato un meraviglioso negozietto di caramelle che poteva benissimo essere paragonato alla casa di marzapane della strega di Hänsel e Gretel, e non vedeva l'ora di entrarvi. Aveva conservato qualcosa della sua ultima mancia, e pregustava già il sapore della liquirizia e delle caramelle al latte che entro breve avrebbe custodito gelosamente in un sacchetto di carta. Aveva anche in mente di fare un salto da suo zio e offrirgliene un po'- ma non le caramelle al latte, quelle gli davano il voltastomaco.
Avevano appena girato l'angolo che la sua amica Esther si bloccò di botto sul marciapiede, tirandola per la manica del cappotto.
- Alba, ma sei impazzita? Lì non ci possiamo mica entrare! -.
La ragazzina bionda- che rispondeva per l'appunto al nome di Alba- si trattenne a stento dallo sbuffare. Esther era la migliore amica che si potesse trovare- i segreti che le venivano confidati li teneva per sé ed era sempre disponibile nel momento del bisogno- ma in quanto a fegato lasciava parecchio a desiderare.
- Andiamo, qui mica ci conoscono! Non corriamo alcun rischio! -.
- E se invece incontriamo qualcuno del nostro quartiere? E se il padrone del negozio si insospettisce e ci chiede qualcosa? - la incalzò Esther, che non era assolutamente in grado di mentire.
Stavolta Alba sospirò pesantemente, cercando in fretta una soluzione che le permettesse di entrare nel negozio e allo stesso tempo tranquillizzare l'amica.
- Senti, facciamo così – propose, rassicurante – Nel negozio ci entro solo io: tu mi dai i tuoi soldi e mi dici cosa vuoi, d'accordo? Non serve che siamo in due, per comprare qualcosa -.
- Ma... non possiamo! E se... -.
- Andiamo, non è mica la prima volta che lo faccio! E poi se compriamo il negoziante ci guadagna soltanto; credi che gli importi qualcos’altro? -.
- Però... - Esther fece un ultimo, debole tentativo, ma quando Alba allungò una mano si decise a darle le monete che aveva con sé e mormorò: - Del marzapane e qualche caramella alla fragola -.
Alba annuì, le disse di aspettarla lì e attraversò la strada, dirigendosi senza indugio verso l'entrata colorata e accattivante del negozio. Nel varcare la soglia socchiuse gli occhi, ignorando il cartello posto sulla vetrina e lasciandosi invadere da quell'odore assolutamente divino che caratterizzava i negozi di dolciumi. A parecchie persone poteva sembrare fin troppo dolciastro e nauseabondo, ma lei era sicura che i cancelli del paradiso dovessero avere una fragranza simile. I profumi dolci e delicati della fragola e della vaniglia si mescolavano a quello più intenso del cioccolato, con una punta dell'odore speziato del marzapane e dei più stuzzicanti di menta e liquirizia.
C'era parecchia gente, ma se l'era aspettato: lì dentro c'era comunque un piacevole tepore, e se Esther voleva stare fuori al freddo... beh, se l'era voluto lei.
Prima di mettersi in coda volle dare un'occhiata a cosa offriva il negozio quel giorno: sul pesante bancone in legno massiccio erano disposte, in un piccolo espositore, decine di tavolette di cioccolato dai gusti più disparati, mentre gli scaffali addossati alla parete ospitavano enormi contenitori in vetro, che le caramelle vivacizzavano con i loro colori vividi e allegri.
Anche il negoziante era un uomo allegro: stava servendo quella che doveva essere una cliente abituale, perché gettò in un sacchetto una manciata di gelatine senza nemmeno pesarle, e la donna annuì con un sorriso. Oh, anche lei voleva aprire un negozio di caramelle da grande, così da poter rallegrare tutti coloro che vi sarebbero entrati. Era una grande osservatrice, e fin da piccola si era resa conto che la gente sorride sempre- forse inconsciamente- quando si trova davanti alle sue leccornie preferite.
Aveva ormai deciso cosa prendere, per sé e per Esther, e stava per mettersi in coda, quando si accorse che nel negozio c'era in effetti qualcuno che la conosceva. Non se n'era accorta subito perché l'individuo in questione era un bambino la cui presenza di solito nemmeno si notava, tanto era magro e quasi rachitico. Il cappotto era più logoro di un cencio e i capelli non sembravano nemmeno biondi tanto erano sporchi; Alba lo conosceva perché veniva spesso in quel quartiere a trovare suo zio, e si ricordava di lui perché gli aveva rifilato una sonora sberla una volta che le aveva allungato un mazzetto di margheritine smunte e cercato di baciarla.
Ma in fin dei conti le stava anche simpatico, e se continuò ad osservarlo era perché le sembrava che avesse un'aria troppo circospetta mentre adocchiava una tavoletta di cioccolato al latte e faceva correre lo sguardo verso l'uomo dietro il bancone, tenendo d'occhio ogni sua mossa.
Alba temeva di sapere che cosa avrebbe cercato di fare, e il timore si tramutò in realtà non appena il ragazzino allungò una mano e afferrò avidamente la tavoletta tanto bramata.


Esther, sul marciapiede dall'altra parte della strada, cominciava ad avere freddo standosene lì in piedi senza muoversi. Ma non sarebbe entrata in quel negozio per tutto l'oro del mondo, figurarsi per un po' di marzapane e caramelle. Però sentiva già l'acquolina in bocca, e sperava con tutto il cuore che Alba si spicciasse e uscisse di lì il più presto possibile, auspicabilmente con un dolce bottino fra le braccia.
Teneva lo sguardo fisso sul negozio, passando dal cartello che occhieggiava dall'entrata alla vetrina che mostrava tutto ciò che avveniva all'interno.
Cartello-Alba che si guardava intorno, cartello-Alba che stava per mettersi in fila, cartello-Alba che si fermava a fissare qualcosa o qualcuno, cartello-strano ragazzino che prendeva qualcosa dal bancone, cartello-...
Esther ammutolì, fissando con occhi sbarrati quel che accadde nel giro di pochi minuti e che le fece completamente dimenticare il cartello affisso all'entrata.
“Vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei”.


Era successo tutto a una velocità incredibile: il ragazzino- che Alba sapeva chiamarsi Folker- non aveva fatto in tempo a ritirare la mano con la tavoletta di cioccolato che il proprietario l'aveva brutalmente afferrato per un polso, chiudendolo in una stretta ferrea.
Alba aveva visto il terrore negli occhi azzurri di Folker, terrore che gli fece lasciare subito la tavoletta e divincolare convulsamente, ma senza risultato.
- Ecco un altro piccolo ladruncolo – commentò a denti stretti il proprietario, che con la stazza che si ritrovava non sembrava fare alcuna fatica a tenere saldamente lo sparuto ragazzino – Sono stufo marcio di quelli come te, adesso ti insegno io -.
Il servizio ai clienti si era momentaneamente arrestato, ma Alba percepì il clima di assoluta solidarietà di tutti i presenti: i ladri andavano severamente puniti, soprattutto se piccoli e cenciosi.
- Lo sai che cosa facevano un tempo a chi rubava? - tuonò nel frattempo l'omone, gli occhi azzurri e acquosi che mandavano piccoli lampi di rabbia. Si allungò verso il mou che stava tagliando e afferrò il grosso coltello usato fino a poco prima – Gli venivano tagliate le mani! -.
Il terrore divenne un pozzo profondo negli occhi del ragazzino, e il suo viso si trasformò in una maschera di orrore. Alba sapeva che in teoria il massimo che l'uomo poteva fare era denunciarlo alla polizia, ma a undici anni non era del tutto sicura di cosa fosse o non fosse permesso agli adulti.
Davanti a quella minaccia nessuno aveva mosso un dito, e Alba cominciava a temere che quel che capitava a un ragazzino povero e cencioso non interessasse più di tanto alla polizia.
- La pago io! - strillò, quasi senza accorgersene.
Tutti i presenti si voltarono a fissarla, negoziante e ragazzino compresi, e a quest'ultimo guizzarono gli occhi quando la riconobbe.
Alba si fece coraggio; stringendo le monete in pugno, non pensò che avrebbe dovuto rinunciare alla sua liquirizia e alle caramelle al latte, e avanzò di un passo. Finita quella brutta avventura sarebbe andata di corsa a casa dello zio Ed, e lui avrebbe saputo far passare tutto quanto; forse avrebbe anche denunciato quell'uomo alla polizia, perché non si potevano dire certe cose ad un bambino.
Forte di quel pensiero, si era ormai avvicinata al bancone, al coltello e ai due che continuavano a fissarla. Allungò la mano e la aprì, mostrando le monete sul palmo.
- La pago io – ripeté.
L'uomo guardò prima lei e poi le monete, e quando parlò il tono di voce era un po' meno brusco.
- Conosci questo piccolo ladruncolo, signorina? -.
Lei annuì timidamente. Aveva addosso il suo miglior cappotto e i capelli erano puliti e ben pettinati: quell'uomo aveva tutto l'interesse a trattar bene una ragazzina che poteva spendere qualche soldo nel suo negozio. Alba tentò di non pensare al fatto che in quel posto non ci sarebbe nemmeno potuta entrare, e cercò di sorridere, allungando ancor di più la mano.
Senza lasciare il polso ossuto del ragazzino, il negoziante posò il coltello e con la mano libera fece per prendere le monete che Alba gli porgeva.
Sembrava che tutto dovesse risolversi per il meglio, ma in quel momento qualcosa scattò nella mente del piccolo Folker. Forse fu la vergogna di farsi vedere così dalla bambina che gli piaceva, forse l'orgoglio ferito dal dover accettare la sua pietà; fatto sta che sentì come un punteruolo pungergli la lingua e l'istante successivo sputò delle parole che ad Alba sembrarono più affilate del coltello per il mou.
- Sta' ferma, stupida ebrea! -.
Alba lo sentì. Sentì l'intero negozio trattenere il fiato, e si rese conto di essere in un mare di guai.


In seguito rivide quell'episodio tante e tante volte, con gli occhi della memoria: e ogni volta tutto si svolgeva sempre più al rallentatore, come una pellicola difettosa in cui il tempo si dilatava a dismisura. Risentiva le parole di Folker e rivedeva l'espressione del proprietario del negozio: si era fatta dapprima incredula, per poi lasciare il posto alla furia cieca di colui che si sente preso in giro da chi meno potrebbe permetterselo.
La mano che si stava allungando a prendere le monete si fermò a mezz'aria, per poi voltarsi con un movimento fluido del polso e assestare ad Alba un manrovescio così potente da farla finire direttamente addosso al bancone.
Alba ricordava perfettamente il tintinnio prodotto dalle monete che caddero a terra in una cascata metallica, mentre lei non capiva che cosa fosse andato storto: lo zio Ed le aveva detto tante volte che i più deboli e indifesi andavano protetti, ed era quello che aveva fatto.
Ma anche lei era debole e indifesa: quando se n'era resa conto e aveva capito che nessun altro dei presenti aveva uno zio Ed capace di inculcare tali idee di giustizia, il sapore ferroso del sangue le stava già pizzicando la lingua e l'occhio sinistro le era finito proprio contro lo spigolo del massiccio bancone in legno.


Esther non aveva capito più niente. Attraverso la vetrina del negozio, al di là della strada, aveva visto Alba sbattere violentemente, colpita dall'uomo, e poi accasciarsi al suolo.
Non era corsa a vedere cosa fosse successo: anche se aveva potuto solo vedere senza sentire, come in un film muto, aveva compreso fin troppo bene che il proprietario doveva aver intuito la verità su Alba, perché non avrebbe mai osato colpire una ragazzina ariana.
Era scappata col cuore in gola, certa che da un momento all'altro l'uomo sarebbe uscito e l'avrebbe rincorsa per quelle vie che lei nemmeno conosceva, perché era stata Alba a volerci venire, e senza di lei non sarebbe stata capace di tornare a casa.
Ma in quel momento le importava soltanto di non venire picchiata a propria volta e, anche se col cuore in gola e il fiato mozzato, continuò a correre a rotta di collo per la strada. Quando voltò un angolo alla massima velocità e finì col sedere a terra, ci mise una decina di secondi a capire che aveva sbattuto contro qualcuno: un adulto che si stava chinando su di lei, chiamandola per nome perché l'aveva riconosciuta.
- Esther? Sei Esther, non è vero? L'amica di Alba? -.
Anche lei lo riconobbe: era lo zio di Alba, quello che voleva andare a trovare una volta uscita dal negozio. Quello che non era suo zio, in effetti: la sua amica una volta le aveva spiegato che lo chiamava così anche se non era fratello di nessuno dei suoi genitori... ma in quel momento non se lo ricordava più. Continuava a respirare affannosamente, senza parlare, mentre lui la fissava con degli occhi di un castano così chiaro da sembrare giallo e le chiedeva cosa le fosse successo.
La aiutò a rimettersi in piedi, e le suggerì gentilmente di calmarsi.
- Io... io non volevo... non è stata colpa mia! - strillò finalmente all'indirizzo di un Edward Elric che si stava ormai avvicinando alla trentina – Io le ho detto di non entrare... ma lei non mi ha ascoltato... -.
- Lei? Lei chi? Alba? - domandò Ed, corrugando la fronte – Sei con lei? Ma dov'è? Cos'è successo? -.
Esther pigolò ancora una volta che non era stata colpa sua, e a mozziconi spiegò cos'aveva visto attraverso lo schermo della vetrina del negozio. A Ed bastò sentire le parole "Alba" e "colpita" per lasciar perdere la ragazzina e correre nel negozio di dolciumi del suo quartiere.
Non appena mise piede oltre la soglia, sentì il sangue defluire e il respiro mozzarsi; non tanto per l'orribile spettacolo che gli si presentava davanti, quanto per chi ne era la protagonista.
- Al... - mormorò, dimenticandosi il finale "ba" come faceva spesso, chiamando quella che non era suo fratello ma una ragazzina nemmeno sua parente. La soccorse all'istante, chiamandola stavolta per intero, ma lei giaceva al suolo priva di sensi. Il pavimento di legno del negozio, spazzato quella mattina dal garzone, era coperto di sangue; sangue che si era ormai rappreso sul bordo del bancone e tra i capelli di Alba.
I pochi clienti presenti sembravano bloccati dall'orrore e il proprietario, dal canto suo, non si era di certo aspettato una conseguenza del genere.
Intanto Ed, inginocchiato per terra, si era sentito per un momento sollevato nel constatare che Alba era soltanto svenuta; ma il sollievo svanì nel nulla non appena le voltò la testa e si rese conto che la ferita non era sulla testa, ma proprio sull'occhio. Nell'occhio.
Ed non aveva lo stomaco delicato; non l'aveva mai avuto. Non aveva avuto nemmeno un conato di vomito quando si era ritrovato con due moncherini sanguinolenti al posto di un braccio e di una gamba, all'età di undici anni. Ma non poté sopprimere un moto di orrore quando tolse un po' di sangue dalle palpebre e le scostò il più delicatamente possibile: quell'occhio nero come la pece e profondo come il cielo notturno non c'era più; al suo posto vi si trovava un grumo molle e informe, una sostanza viscosa resa ancor più viscida da tutto il sangue che stava uscendo.
Ed allontanò subito le dita da quell'orrore, voltandosi verso il padrone del negozio, sorprendendolo alle proprie spalle con il viso stravolto di chi aveva visto ogni dettaglio.
- Mi porti un paio di bende, si muova! - gli intimò, in una manciata di parole che nel silenzio che era calato sembrarono quasi un ruggito.
L'uomo deglutì lentamente, verde in faccia, e annuì. Si diresse dietro il banco, barcollando leggermente, e tornò porgendo a Ed un paio di pezze pulite.
- Venga qui e le tenga la testa - ordinò poi Ed, al che l'uomo rispose con un'espressione ancor più terrificata. Non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi a quell'abominio che dietro al sangue nascondeva un occhio profondamente ferito, ma quell'uomo che ebreo non era affatto lo stava guardando come se avesse voluto ucciderlo seduta stante, con due occhi che- lui non lo sapeva, ma in qualche modo lo intuì- sembravano aver visto le cose più orribili di questo mondo. E dell'altro, in effetti.
Prima che il proprietario del negozio si decidesse a muovere un muscolo, a farsi avanti fu un ragazzino che Ed conosceva di vista, smunto e sporco. In realtà l'aveva già conosciuto: era una delle tante persone identiche alle loro controparti dell'altro mondo, identiche nell'aspetto fisico ma non in tutto il resto.
Quello che nell'altro mondo si chiamava Fletcher- il ragazzino che si era spacciato per Al, assieme a suo fratello, per portare avanti le ricerche sulla pietra rossa- aveva l'aria di uno che sta per vomitare da un momento all'altro. Ma si avvicinò in silenzio, si inginocchiò dietro ad Alba- senza preoccuparsi di stare inzuppando i pantaloni laceri proprio dentro la pozza di sangue- e le prese delicatamente la testa. Ed non fece domande, anche se a stare al racconto mozzato di Esther quel ragazzino era la causa di tutto, e bendò velocemente Alba in modo da coprire l'occhio.
Poi la prese fra le braccia e uscì senza dire una parola- non servì, bastò un'occhiata e il proprietario, anche qualche anno dopo, ci avrebbe pensato due volte prima di colpire chiunque, persino una ragazzina ebrea. Folker rimase inginocchiato nel sangue per qualche istante, e se Ed si fosse dato la pena di guardarlo forse avrebbe rivisto in lui quel ragazzino che tanti anni prima- e in un altro mondo- si era sentito un mostro per aver causato la perdita del corpo a suo fratello.
Ma non lo guardò, e quando uscì non si stupì più di tanto nel vedere la piccola Esther che lo aspettava, appoggiata a un lampione che sembrava quasi sorreggerla. Ed le fece un cenno e lei lo seguì, mentre si dirigevano verso l'ambulatorio medico più vicino.


*     *     *

Tre giorni dopo Alba stava cominciando a capire che i pirati con una benda sull'occhio non dovevano fare una bella vita.
Vedere il mondo con un occhio solo era estremamente faticoso: l'occhio destro le si stancava in fretta, soprattutto se provava a leggere; dopo un po' non riusciva più a mettere a fuoco e le veniva un gran mal di testa.
Stava anche iniziando a chiedersi se, dato che d'ora in poi avrebbe visto solo metà del mondo alla volta, ciò non avrebbe inevitabilmente influenzato i suoi pensieri e il suo modo di vivere. Avrebbe capito solo la metà delle cose? O quella selezione forzata l'avrebbe portata a riflettere di più, cosa che d'altra parte faceva da quando era nata e osservava il padre con occhi identici ai suoi, mentre la teneva fra le braccia? Le era sempre piaciuto il fatto di aver ereditato da lui quegli occhi scuri e sottili, anche se era bionda come la madre: pochissime persone potevano vantare un simile accostamento, e il fatto di non essere geneticamente comune l'aveva sempre fatta sentire speciale.
Beh, quanti suoi coetanei potevano esibire una benda su un occhio che in realtà non c'era più? A conti fatti, poteva anche fingere di essere la figlia maledetta del pirata Morgan.
Ridacchiò guardando il soffitto, persa nelle sue fantasticherie, ma il sorriso le morì sulle labbra: le aveva fatto male, quando si era risvegliata dall'anestesia e aveva trovato lo zio Ed accanto a lei, che le aveva spiegato come il medico avesse dovuto asportare l'intero bulbo oculare per il semplice motivo che il bulbo oculare non c'era più. Non che le avesse raccontato nei dettagli come ciò che era rimasto fosse più simile a un grumo informe che a una sostanza fibrosa, ma non era servito perché Alba non aveva più chiesto niente. Né aveva accennato al perché fosse entrata in quel negozio pur sapendo che le era vietato, e non aveva nemmeno chiesto che fine avesse fatto Folker.
Esther era lì accanto a lei che piangeva, e aveva cercato di sorriderle, scusandosi per la sua assurda testa dura.
Lo zio Ed si era poi occupato di tutto, mentre lei riposava: aveva riaccompagnato Esther a casa e aveva avvertito suo padre e sua madre, anche se Alba si stava ancora chiedendo come avesse fatto a raccontare loro una cosa del genere. Quando si era svegliata di nuovo sua madre era accanto a lei, con i muscoli del viso tesi e gli occhi lucidi ma asciutti; suo padre era seduto vicino al muro, e la stava guardando con quello stesso sguardo che apparteneva anche a lei, ma che da quel momento si sarebbe ridotto di metà.
Si era resa conto di aver cominciato ad osservare gli occhi di chiunque come mai aveva fatto prima di allora: a registrarne il colore, sondarne i guizzi, rimanere affascinata a guardarne ogni singolo movimento e impercettibile cambiamento.
E si era resa conto che chiunque avesse detto "Gli occhi sono lo specchio dell'anima" aveva perfettamente ragione.
 

Ed si trovava in cucina con il signor Rod, che in quel mondo era il padre di Alba ma nell'altro un ex-colonnello dell'esercito che rispondeva al nome di Mustang, e non aveva ancora detto una parola.
Continuava a ripensare ad Alba, a quella benda che le nascondeva praticamente un quarto del viso, e al fatto che quando l'aveva vista si era sentito catapultato in un punto del tempo confuso, tra passato e presente e mondi speculari che si intersecavano fra loro.
Il periodo che aveva trascorso in quel mondo e in quello da cui veniva ormai si equivalevano, ma c'erano ancora momenti in cui si sentiva di nuovo come se fosse stato sul punto di tornare indietro. Come quando aveva visto Alba con la benda sull'occhio, mentre osservava lui e il mondo con lo stesso sguardo a metà che ricordava essere appartenuto a Mustang.
Chissà se faceva sempre parte di quell'onnipresente principio dello scambio equivalente: il Mustang di questo mondo non aveva perso un occhio come la sua controparte di Amestris, ma in compenso era accaduto a sua figlia.
E anche lui aveva perso un paio di parti del corpo all'età di undici anni, ma era stato qualcosa di profondamente diverso: lui se l'era cercata, la sua era stata la punizione del peccatore. Ma Alba era un'innocente: non aveva fatto niente, assolutamente niente per meritare una cosa simile.
- Tutto questo è disgustoso. Semplicemente disgustoso – esordì finalmente Ed, sputando quelle parole come se fossero state dei brandelli di cibo andati a male.
- Lo sai che sono d'accordo con te – rispose il signor Rod continuando a guardare il tavolo – Ma il fatto è che non possiamo farci niente -.
- Potreste andarvene – suggerì Ed senza peli sulla lingua, brusco come lo era tutta quella situazione – Al si trova in Irlanda, ma ha contatti anche in Inghilterra e sono sicuro che riuscirebbe a... -.
- No – lo interruppe il signor Rod – Non ce ne andremo. È questa casa nostra, non l'Inghilterra -.
Ed poteva essere d'accordo, ma non del tutto.
- Casa è un posto dove ci si dovrebbe sentire al sicuro – disse.
- Casa è il luogo a cui si è legati, anche se noi stessi gli abbiamo dato fuoco – ribatté lui con uno sguardo penetrante. Ed gli aveva raccontato- ormai parecchi anni prima- tutte le avventure sue e di Al nel mondo da cui venivano, e ogni volta si stupiva di come il signor Rod riuscisse a ricordarne ogni particolare.
- Anche dopo... - Ed represse un nuovo moto di orrore nel ripensare a come era stata ridotta Alba - … anche dopo quello che è successo? -.
Vide il signor Rod stringere le labbra e assottigliare gli occhi.
- Appunto. Credi che possa succedere qualcosa di peggio? -.
Ed non rispose. Sperava con tutto se stesso che avesse ragione, ma il suo sesto senso- quello che non si fidava mai di niente e di nessuno, e che negli ultimi tempi era più attivo e sospettoso che mai- non gli credeva.
Qualcosa gli diceva che si era solo all'inizio.


La piccola Alba era sempre stata una bambina riflessiva, sin da quando, appena nata, squadrava suo padre con occhi identici a quelli di lui, con immenso divertimento di quest'ultimo.
Vedere le reazioni di coloro che le stavano più vicino la fece riflettere su cose di cui i suoi coetanei non sospettavano nemmeno l'esistenza, ma il comportamento che la sorprese di più fu quello di sua cugina Win.
Forse ormai l'orologiaia più esperta di Berlino, a quasi trent'anni Win era ancora nubile e viveva in un alloggio per conto suo, con annesso laboratorio. Le malelingue del quartiere commentavano che sarebbe rimasta zitella per il resto della vita, ma a lei non sembrava importare granché.
Per Alba sua cugina era una specie di maga che viveva nel suo antro di stregonerie, dove invece che paioli fumanti si potevano trovare orologi ticchettanti, molle e ingranaggi in una cacofonia estremamente affascinante.
Quando la vide entrare nella sua camera, una settimana dopo l'incidente, pensò che poteva approfittarne per farsi leggere qualche pagina del suo libro preferito, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Win le porse uno strano involto di stoffa nera.
- Voglio che lo porti sempre con te, ma fa' in modo che tuo padre e tua madre non lo trovino mai – le disse.
Alba non chiese che cosa fosse: srotolò il tessuto scuro e scoprì un coltello infilato in un fodero di pelle. Lo tolse e poté constatare che la lama non era più lunga di dieci centimetri, piatta e appuntita.
- È molto affilato, perciò sta' attenta a non tagliarti. Me l'ha fatto avere Schrott dopo che gli ho riparato di nascosto l'orologio preferito di sua moglie: l'aveva fatto cadere e non voleva che lei se ne accorgesse – raccontò Win – Segreto per segreto -.
Schrott aveva un negozio di coltelleria ed era un abile arrotino, ma Alba era ancora confusa.
- Io... cosa... -.
- Voglio che lo usi – le spiegò Win, seria come non l'aveva mai vista – Se dovesse succedere ancora una cosa del genere -.
- Ma... -.
- Sai, Alba, sono stanca di veder andarsene le persone a cui tengo di più senza che possano fare nulla per difendersi. I miei genitori sono morti sotto le bombe e il mio migliore amico di tubercolosi: se capitasse qualcosa anche a te, non riuscirei a sopportarlo -.
Alba studiò la lama, suo malgrado affascinata: era affilata e luccicante come la luna, e pensare che avrebbe potuto macchiarsi di sangue umano le fece correre un brivido lungo la schiena.
- Ma non è pericoloso? - domandò un'ultima volta – Io non lo so usare, e non... -.
- Credimi, Alba – rispose Win con un sorriso stanco, scostandole i capelli dalla benda – Ti stupirebbe sapere quanta gente ha in mano cose che non sa usare -.


Quando Ed rivide Alba, costei era giunta ad una sua personale conclusione:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie simili.
Alba si era zittita un momento, persa in una riflessione che le era appena venuta in mente: si stava chiedendo se sarebbe ancora riuscita a piangere anche dalla parte senza occhio. Da dove sarebbero scese le lacrime?
Ma stava parlando con Ed, per cui tenne questo dubbio per dopo. Sorrise di un sorriso birichino, sentendo tendersi in maniera strana i muscoli sul lato sinistro del volto, attorno a un'orbita ormai vuota.
- Se ti fai crescere i capelli un altro po', magari la prossima volta vengo io a salvarti – concluse soddisfatta.






Tecnicamente questa storia è arrivata terza ad un contest a cui ho partecipato un po' di tempo fa, però da allora ne ho cambiato qualche parte, quindi non so se è un discorso ancora valido.
Comunque, nel contest in questione avevo scelto la tabella “Non per stomaci delicati”: dovevo quindi utilizzare come elementi importanti il coltello e il negozio di caramelle, ed inserire la frase: “Tutto questo è disgustoso”.
È in assoluto la prima volta che scrivo una fic del genere, e prima che possiate muovermi la stessa critica fatta dalle giudici del contest dico che mi sono informata: so che è possibile, se il colpo inferto è violento e nel punto giusto, ridurre un occhio in questo stato, vista la sostanza fibrosa e delicatissima che lo compone. Ho letto di gente che ha fatto la stessa fine perché si è vista lanciare contro un cavolo, credetemi.
Poi mi sembrava in linea con la storia di “Full Metal Alchemist”, dove più di un bambino viene mutilato in modo orrendo, o peggio ancora.  
Questa raccolta vuole essere in ordine temporale, anche se non ho ancora ben deciso come strutturarla: avrete forse capito, però, che in ogni capitolo ci saranno dei riferimenti ad una favola dei Grimm, e nel prossimo capirete perché. Anche il titolo della serie è una citazione del loro libro, che personalmente adoro- e ormai qualcuno l'avrà anche capito.

Nella prossima storia ci sarà un ulteriore scarto temporale, e comparirà di nuovo una faccia nota- una faccia notissima, personalmente uno dei miei personaggi preferiti nella serie. Chi, secondo voi?

Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di “Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon”:
Shatzy: a dire il vero il motivo per cui Eliza sa dell'altro mondo è perché- anche se non l'ho specificato- ha torchiato Rod e se l'è fatto dire. XD Sennò credo che difficilmente uno potrebbe immaginarsi una cosa simile... è un po' fuori dalla portata di qualsiasi intuito, penso.
Sono contentissima che la bambina ti piaccia: anche nel caratterizzarla in seguito, ho cercato di mescolare elementi presi da entrambi i genitori con un carattere che sia suo e solo suo. Non so se l'esperimento è riuscito, in fondo è il primo vero OC di questa storia. ^^
Ah, Ed dev'essere Ed; e comunque credo che, dopo tutto quello che hanno passato, certi pensieri per lui siano talmente naturali che non deve nemmeno sforzarsi. È Al quello che sa trovare aspetti positivi dappertutto, è soprattutto per questo che si compensano.
Anche se tutto ciò che riguarda i vari luoghi in cui è ambientata la storia me lo sono in gran parte inventato, se trovo qualcosa di simile in Germania ti faccio un fischio! ^^
Come ho già detto, poi, i veri Roy e Riza sono soltanto tuoi, io non mi ci provo neanche a prenderli in mano. Non dopo che qui me li sono rigirati come volevo in modo tanto libero!
E... ehm... com'è andata la lettura di questa one-shot? Ti avviso che saremo sul drammatico anche nella prossima- meno cruento, comunque- però è una storia a cui tengo particolarmente, perciò mi farebbe molto piacere ricevere un tuo commento... sappi che è tanto, tanto triste.
CioccoMenta: pensa che la chiacchierata tra Ed e Liza non era neanche prevista, l'ho inventata man mano che scrivevo perché all'inizio volevo semplicemente raggiungere la consueta lunghezza del capitolo. XD Però poi dev'essere venuto fuori bene, visto che l'avete apprezzato tutti- perlomeno chi mi ha lasciato un commento. Sono contenta anche che Rod neo-padre ti sia piaciuto. ^^
MusaTalia: caspita, non pensavo che Rod padre avrebbe seminato il terrore in questo modo! Sì, era un po' esaltato, ma chi non lo sarebbe? A differenza di Hughes, lui poi si è calmato...
La battuta dell'alchimia me la ricordavo anch'io, in non so che puntata di FMA... infatti ho anche pensato di tirarci fuori qualcosa, ma vedremo.
Riguardo la fic che mi hai consigliato, non appena ho un po' di tempo ci farò sicuramente un salto, grazie. ^^
Per quanto riguarda i capitoli dell'altra storia, ecco la “soluzione”:
1- Dove un cane è l'inizio di tutto
2- Refoli di cenere
3- Misteri svelati
4- Faville in musica
5- Solo un ticchettio in più
6- L'alba di settembre
… chissà l'ultimo, come si intitolerà! XD

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Capitolo 2
*** Schnee und Stahl- Neve e acciaio (Frau Holle e Rosaspina) ***


2- Schnee und Stahl- Neve e acciaio Questa storia si è classificata prima al contest “L'immagine parla di... viali innevati” di AudreyConnell, con mia grande gioia! ^^

Immaginate questa storia ambientata qui.


Schnee und Stahl- Neve e acciaio


Schnee und Stahl

"Andiamo, Al!"


(Edward Elric, episodio 5)


Una ragazzina pallida dai capelli biondi raccolti in una treccia si stagliava nel bianco immacolato come la sagoma di un fantasma. Il suo unico occhio, scuro e sottile, stava guardando un albero caduto al limitare del bosco, ormai ricoperto dalla neve che sembrava proteggerlo come una coperta.
- Andiamo, Al! -.
La ragazzina distolse lo sguardo dall'albero, raggiungendo un uomo sulla trentina la cui treccia bionda era appena più scura della sua.
- Zio Ed, un cerchio alchemico potrebbe farlo tornare com'era prima? - chiese.
Edward Elric alzò lo sguardo verso quell'albero spezzato, il cui tronco scuro contrastava col bianco della neve che quasi feriva gli occhi.
- Non lo so – ammise. In teoria un albero era un essere vivente, tuttavia non era sicuro che guarirlo con l'alchimia fosse proibito come con gli esseri umani. Ma tanto in quel mondo l'alchimia non esisteva, quindi ormai che importava? – Non lo so. Ma è meglio che andiamo -.
La ragazzina annuì, seguendolo nella neve. Erano ormai abbastanza lontani dal villaggio che avevano lasciato quella mattina, e stavano per inoltrarsi nel bosco di cui quell'albero caduto sembrava quasi un cancello aperto.
Al momento non nevicava, ma non si capiva se il cielo fosse coperto oppure no: era di un bianco sporco più scuro della coltre di neve sulla terra, come se quest'ultima si stesse specchiando in una pozzanghera.
Comunque Ed aveva già cominciato ad andare avanti, e lei lo seguì senza perdere altro tempo.


Lui e Al se n'erano andati presto dalla casa in cui erano stati ospitati per alcuni mesi dalle controparti in quel mondo di Winry, del colonnello Mustang e del tenente Hawkeye. Si erano trovati un alloggio per conto loro qualche mese prima della nascita del bambino della signora Eliza (fisicamente identica alla Riza che avevano conosciuto nel loro mondo), in modo da lasciare alla famiglia il tempo di organizzarsi per accogliere il nascituro.
Ed ricordava perfettamente quella dolce sera di settembre, dopo il crepuscolo, in cui Win era venuta ad informarli che era nata la figlia dei suoi zii Roderich ed Eliza- in pratica sua cugina, nonostante la forte differenza d'età. E aveva saputo che, malgrado la piccola fosse nata esattamente al tramonto, l'avevano chiamata Alba.
Anche se lui, poi, non l'aveva mai chiamata così. Non mancavano mai una cena settimanale a casa di coloro che per primi li avevano accolti a Berlino, e fin da subito Ed l'aveva chiamata "Al".
In realtà scherzava, ma la piccola aveva dimostrato presto di apprezzare molto il diminutivo: già dopo qualche mese si voltava subito non appena udiva quell'unica sillaba. Poi, quando imparò a camminare, nel momento in cui Ed chiamava il fratello per tornare a casa era ormai tradizione che la piccola Alba si presentasse all'ingresso con la berretta in testa e la sciarpa al collo, pronta a seguirlo.


Ora Ed si chiedeva se in qualche modo non l'avesse già intuito, che un giorno avrebbe davvero dovuto andarsene con lui, lasciando per sempre la sua casa.
Stavano avanzando nella neve, tra alberi alti e scuri come pali che a un occhio inesperto potevano sembrare tutti uguali, e lanciò un'occhiata ad Alba per accertarsi che non stesse faticando troppo.
Ma la ragazzina gli teneva dietro senza problemi, e con l'occhio sano guardava ogni tanto in su, fra le cime degli alberi, che si infilavano nel cielo grigio come le loro radici fossero state lassù, invece che quaggiù.
Ed sorrise brevemente, scoprendosi ancora una volta orgoglioso di quella caparbietà che la caratterizzava. Malgrado avesse conosciuto bene entrambi i suoi genitori- in questo mondo e nell'altro- gli capitava spesso di pensare che sarebbe anche potuta essere figlia sua. Non solo per l'età- in fondo quando era nata lui aveva già diciannove anni- ma anche perché gli sembrava di rivedersi in lei. Se a undici anni, quando era morta sua madre, non avesse avuto Al, sarebbe diventato esattamente così.
Edward Elric, che a trent'anni passati non si riteneva affatto vecchio, si sorprendeva a volte a pensare che gli sarebbe piaciuto insegnarle l'alchimia.
- Zio Ed – Alba lo chiamò, riscuotendolo dai suoi pensieri.
- Cosa c'è? -.
- Te la ricordi la storia di Frau Holle? (¹) -.
Ancora?, si ritrovò a chiedersi Ed, incredulo. Alba aveva compiuto quindici anni da circa tre mesi, eppure non era passato giorno che non se ne fosse venuta fuori con una delle fiabe della sua raccolta preferita. Ricordava ancora che era stato Al a regalarle quel libro grosso come un tomo d'enciclopedia, per il suo settimo compleanno. "Da Al per Al" aveva scritto sulla prima pagina quello sciagurato, dedicandole forse la più grande ossessione della sua vita.
Alba quel libro l'aveva divorato, anche se aveva imparato a leggere soltanto da un anno; poi aveva continuato a rileggerlo saltando qua e là fra le pagine; e quando aveva perduto l'occhio sinistro, dato che i primi tempi la vista le si appannava spesso, tediava chiunque le capitasse a tiro per farsi leggere un paio di favole.
"Fiabe del focolare", s'intitolava quel libro. Beh, dopo otto anni Ed nel focolare ce l'avrebbe buttato per davvero, magari maledicendo quei malaugurati fratelli Grimm.
Poi Alba non gli avrebbe mai più rivolto la parola, e quella era un'eventualità a cui preferiva non pensare, ma almeno si sarebbe liberato di...
- Se non te la ricordi te la racconto, vuoi? - si offrì la ragazzina, affiancandolo in un paio di salti. Ed gemette silenziosamente: da quando quel libro non l'aveva più, Alba si ripeteva due o tre fiabe al giorno, dato che ormai le aveva imparate a memoria e non voleva assolutamente dimenticarle. Ed erano più di seicento.
- Me la ricordo benissimo, non ti preoccupare. Ti è venuta in mente vedendo tutta questa neve? -.
Alba sorrise, con le labbra e con l'unico occhio che le rimaneva, soddisfatta che lo zio Ed capisse sempre le cose al volo.
- Già. È bello pensare che i fiocchi di neve siano in realtà piume fuoriuscite da un cuscino sprimacciato, non credi? Perché dà un senso di calore, e la neve così compatta sembra quasi una coperta – Alba liberò una nuvola di vapore nell'aria – Naturalmente è solo un'analogia, ma è... confortante -.
Ed annuì. Eppure da quelle fiabe Alba era sempre riuscita a ricavare delle riflessioni che stupivano tutti quelli che le stavano attorno, lui compreso, che inizialmente non riusciva a capire come delle favolette per bambini potessero celare simili significati. Poi si era documentato, e aveva scoperto che alcuni studiosi ritenevano che le fiabe potessero derivare da miti più antichi, iniziatici ed esoterici, di cui i racconti magici per bambini erano i discendenti.
Cose che nel suo mondo si perdevano nelle pieghe dell'alchimia, ma che lì affascinavano e attraevano, anche se pochi riuscivano a leggervi attraverso come faceva Alba.


Aveva pianto solo una volta, silenziosamente e contro i palmi delle mani, quando avevano cominciato quel viaggio.
Era accaduto tutto talmente in fretta che Ed aveva dovuto pensarci a lungo, per ricostruire i fatti, sezionando e ritagliando ogni singolo momento. E dire che era sempre stato convinto di riuscire a capire tutto. Ma la sua solita perspicacia, quell'intuizione che lo portava a svelare i meccanismi più nascosti delle cose, stavolta non era servita a niente.
Quel giorno Alba aveva passato l'intera giornata con lui: erano andati fuori città, in una specie di mercatino che alla ragazza interessava molto e a cui Ed si era offerto di accompagnarla.
Stava appunto riportandola a casa, quando già all'entrata del quartiere in cui Alba abitava avevano visto diverse camionette e gruppi interi di soldati aggirarsi per le vie.
Alba era impallidita, ma non aveva detto una parola. Era solamente diventata bianca come un cencio quando erano giunti presso casa sua e aveva visto la porta desolatamente aperta.
Ed stava per fare prontamente marcia indietro, attanagliato da un dubbio viscido come una serpe, quando una voce aveva ordinato loro di fermarsi. Erano scesi dall'auto, e in men che non si dica si erano ritrovati circondati da un gruppo di SS.
- Documenti! - aveva intimato il comandante, e Ed glieli aveva consegnati senza dire una parola.
Quando l'uomo aveva letto che Ed era un legittimo cittadino tedesco, i suoi toni si erano leggermente ammorbiditi nel chiedere:
- Che cosa ci fa nel quartiere ebreo? -.
Stava per dire qualunque cosa che non fosse la verità, quando una voce familiare lo anticipò:
- Quest'uomo stava in casa di ebrei, signore -.
A parlare era stato un giovanotto dal fisico asciutto ma leggermente muscoloso, perfettamente fasciato dalla divisa. Un giovanotto che tuttavia conservava ancora, nei profondi occhi blu scuro, qualcosa del ragazzino sparuto che era stato quando era ancora identico a Wrath.
Ed riconobbe Wilhelm, e si sentì gelare. Non l'aveva più visto da quando Al se n'era andato dalla Germania, ma sapeva che sua madre era morta da parecchio tempo, e in effetti si era chiesto più volte che fine avesse fatto. Avrebbe dovuto immaginarlo che un orfano come lui, senza una famiglia o qualcuno a cui appoggiarsi, sarebbe finito dritto nelle nuove squadre speciali, soprattutto ora che non aveva più Al su cui fare affidamento. Forse ce l'aveva addirittura con lui, per essersene andato via così.
Ma in quel momento l'unica cosa che contava era che Wilhelm lo conosceva fin da quando era arrivato a Berlino, sapeva in casa di chi aveva vissuto e soprattutto conosceva Alba. Erano spacciati; Ed avrebbe dato il braccio e la gamba sani per poter usare ancora l'alchimia, solo una volta. Ma era inutile anche pregare: gliel'avrebbero portata via.
- Ma se n'è andato non appena sono state emanate le leggi sulla razza. Lui e sua nipote – accennò ad Alba – hanno tagliato i ponti con quegli sporchi giudei da tempo -.
L'ufficiale annuì, guardando Ed con una certa aria di approvazione, mentre quest'ultimo cercava in tutti i modi di richiamare l'attore che era in lui: non poteva fare una faccia allibita, non in quel momento. Si atteggiò come se Wilhelm gli avesse legittimamente reso giustizia.
… che razza di verme, era diventato.
In quei lunghi anni aveva imparato una cosa che nel mondo da cui veniva non avrebbe mai appreso: se laggiù la sua intelligenza, la sua forza e soprattutto la sua alchimia avevano davvero potuto fare qualcosa, in quel mondo aveva scoperto, per la prima volta in vita sua, di poter essere completamente impotente.
Ed era la sensazione più terribile che avesse mai provato, un pozzo nero e senza fondo in cui si sentiva inesorabilmente cadere: nell'altro mondo, persino quando era morta sua madre aveva potuto provare a fare qualcosa. Qualcosa che aveva portato alle conseguenze più nefaste, ma non ricordava di essersi mai sentito impotente come in quel momento, specialmente perché aveva qualcuno da proteggere e non poteva rischiare.
Quando il comandante aveva permesso loro di andare, Ed aveva annuito e aveva guardato Wilhelm negli occhi per un istante, mettendo poi un braccio sulle spalle di Alba e portandola via con sé.
La ragazzina si era fatta trascinare come una marionetta senza vita, l'unico occhio completamente vuoto. Quando furono usciti dal quartiere, diretti a casa di Ed, mormorò con una voce che non riconobbe come sua:
- Li hanno portati via? -.
- Credo di sì -.
Ed sapeva anche che quel giorno Win aveva in programma di andare a trovare i suoi zii: quando lui e Alba fossero tornati dalla loro gita, avrebbero dovuto cenare tutti insieme. Pensò che più tardi avrebbe fatto un salto nel suo laboratorio, per sicurezza, ma era praticamente certo che fosse stata presa anche lei.
- Al – disse Ed, così piano che quella sillaba sembrò un sospiro – Domani ce ne andremo da Berlino; dobbiamo raggiungere il confine con l'Olanda, poi decideremo sul da farsi. E dovremo anche dare nell'occhio il meno possibile: è come se tu non avessi documenti, perciò dovremo viaggiare parecchio a piedi -.
Alba annuì impercettibilmente, poi nascose il viso tra le mani e pianse. Anni prima, quando aveva perduto l'occhio sinistro, si era chiesta se sarebbe ancora riuscita a piangere da quel lato. Beh, ora non sapeva più da dove le stavano scendendo le lacrime, e nemmeno le importava: sapeva soltanto che non aveva più una famiglia, che era una clandestina nel suo stesso Paese e che l'unico che le restava non era nemmeno un suo parente.
Dal canto suo, mentre guidava e osservava la strada senza vederla, Ed stava pensando che quando era successo a lui, almeno un fratello gli era rimasto.


Così si era rimesso in viaggio, con un'Al che non era suo fratello ma una ragazza, tra l'altro figlia di un Mustang che in realtà non era Mustang. A voler fare il punto della situazione, le cose si erano complicate di parecchio.
Pensava che, una volta arrivati in Olanda, avrebbero potuto in qualche modo andare in Inghilterra e magari raggiungere Al in Irlanda: era da quando aveva lasciato Berlino che non aveva più sue notizie, anche se in fondo sentiva che doveva stare bene. Avrebbe anche potuto scrivergli, ma non aveva più un indirizzo a cui ricevere una risposta, e non sarebbe servito. Sapeva che aveva avuto dei figli, rendendolo finalmente zio sul serio, anche se non aveva nemmeno idea di che faccia avessero.
Si erano ormai addentrati fra gli alberi, e avevano camminato per un bel tratto quando Alba si fermò, guardando fisso davanti a sé. Per quanto le rimanesse soltanto un occhio, aveva una vista acuta quanto quella di un falco.
- È... un cimitero? Nel bel mezzo del bosco? - domandò.
Ed guardò a sua volta, e in effetti dovette constatare che quelle lapidi sprofondate nella neve, unite fra loro da gradini scivolosi scavati nel terreno e lastricati di pietre ghiacciate, non potevano essere altro che un cimitero. L'aria stessa sembrava cristallizzata, quasi visibile nella nebbiolina candida che si alzava dalla neve.
- Probabilmente è quello del villaggio che abbiamo lasciato stamattina – ipotizzò Ed. Non era raro che, soprattutto nelle campagne, i camposanti sorgessero nei posti più impensabili – Devono essere lontani dai posti abitati per una questione d'igiene, lo sai -.
- Questo lo si sa da poco, zio Ed – lo contraddisse lei – In origine era principalmente una questione culturale: i morti dovevano stare ben separati dai vivi, ricordi? -.
- Già – lui l'aveva imparato magari un po' tardi, ma ormai gli era ben chiaro.
- A proposito – continuò Alba, mentre si avvicinavano al cimitero innevato, immerso in un silenzio reso ancor più profondo dalla neve – Perché stamattina al villaggio ci hanno detto di... "non farci troppo caso"? Fare caso a cosa? -.
- Non lo so – in effetti più di una persona aveva rivolto loro quell'ermetico consiglio, ma nessuno si era spiegato in proposito – Niente di pericoloso, immagino, altrimenti ci avrebbero avvertito -.
Alba annuì, mentre si inoltravano in quel luogo sospeso nel tempo. Stavano per salire i pochi gradini, facendo bene attenzione a dove mettevano i piedi, quando la ragazza notò qualcosa con la coda dell'occhio. Il destro, ovviamente.
- Zio Ed – chiamò piano – C'è qualcuno laggiù. Sembra una donna -.
I lunghi anni trascorsi in quel mondo avevano insegnato a Ed a non stupirsi davvero più di nulla: aveva incontrato altre persone con la stessa faccia di coloro che c'erano al di là del portale- a volte amiche, a volte nemiche- e gli ultimi avvenimenti gli avevano ormai ampiamente dimostrato che non c'era nulla che l'uomo non potesse arrivare a fare- nel bene e nel male.
Oltre a tutto ciò, un'altra cosa che aveva comunque imparato era che ci sarebbe sempre stato qualcosa in grado di sconvolgerlo e farlo ricredere sulle proprie posizioni.
E vedere la maestra Izumi rannicchiata nella neve, in un cimitero nel cuore di un bosco innevato, davanti a quattro monticelli di neve che sembravano le tombe di quattro bambini... beh, rientrava decisamente in quest'ultima categoria.


Le si era avvicinato come in sogno, senza dire una parola ad Alba che era rimasta ferma dov'era.
- Anche lei qui, allora? - mormorò Ed quando le fu accanto, aspettando una risposta che non venne. Certo, lo sapeva benissimo che non era la vera maestra Izumi: innanzitutto perché lei era morta, e poi perché lì erano nel mondo al di là del portale. Ma aveva sperato di incontrarla, soprattutto dopo aver rivisto anche la controparte di sua madre.
- La maternità è il dono più bello che la vita possa fare ad una donna, sapete? - esordì lei senza nemmeno guardarlo, con voce quasi assente.
- Co... come? - domandò Ed. Si rese conto che non si era rivolta solo a lui: Alba era proprio lì dietro, comodamente seduta su una lapide che aveva ripulito dalla neve, intenta ad osservare quella strana donna. Ed stava per dirle qualcosa sulla sacralità dei cimiteri, quando la ragazza chiese, accennando alle quattro piccole tombe:
- Sono i suoi figli? -.
La donna non rispose, allungandosi a tracciare qualcosa nella neve. Aveva i capelli talmente sporchi che le ciocche se ne stavano ormai distinte le une dalle altre, in una selva intricata quanto poteva esserlo la testa della Medusa coperta di serpenti. Avvolta in uno scialle consunto, scrisse nella neve quattro nomi che tuttavia Ed non riuscì a leggere.
- Wolfgang, Rudolph, Anna e Tobias – lesse invece tranquillamente Alba – Tre maschi e una femmina? -.
- Sapete, dicono che ci siano donne maledette che non possono diventare madri. Magari per un malocchio fatto quand'erano piccole, o perché troppo deboli. Ma io non sono debole – si raddrizzò un po', e sia Ed che Alba poterono vedere un ingrossamento all'altezza del ventre, chiaro segno di gravidanza avanzata – Pensavo di chiamarlo Hermann. O Helga, se è una femminuccia -.
- Ma allora che ci fa qui al freddo? Avanti, la riaccompagniamo noi al villaggio – Ed fece per aiutarla a rialzarsi, ma lei sollevò leggermente una mano. Bastò a fermarlo, perché anche se non era la maestra Izumi aveva comunque un che di autoritario.
- Non mi illudo. Morirà anche lui prima di nascere, e dormirà qui assieme ai suoi fratelli – mormorò, quasi in una cantilena – Che senso ha fare dei bambini che non sono ancora nemmeno dei bambini? -.
Ed non disse nulla: si era accorto che gli occhi di quella donna, seppur scuri e allungati come quelli della sua insegnante, erano molto diversi. Quasi velati, persi in un dolore senza più tempo o dimensione: chissà da quanto tempo si trovava in quel bosco, al freddo, a vegliare i suoi bambini. Senza dubbio doveva essere considerata la pazza del villaggio o qualcosa del genere, per questo gli avevano detto di non farle caso.
- Dov'è il padre di questi bambini? - domandò.
- Non sono bambini. Non per lui e non per gli altri. Solo per me. Anche se non hanno mai parlato né camminato né pianto -.
- Ma dov'é? - insistette Ed. Era certo che non dovesse trattarsi del signor Curtis conosciuto nell'altro mondo: lui non avrebbe mai abbandonato sua moglie.
- Forse è andato in guerra: al villaggio non ci hanno detto che hanno già chiamato alle armi parecchi uomini? – ipotizzò Alba, per poi fare cenno a Ed di avvicinarsi, senza dar segno di volersi spostare dalla lapide su cui era ancora appollaiata. Gli sussurrò piano, per non farsi sentire dalla donna: - Zio Ed, la conosci? -.
Ed non rispose, ma Alba capì comunque. Il suo occhio corse alla donna, per poi tornare su di lui: - È la madre di Wrath, non è vero? -.
- Tu... - balbettò Ed, preso alla sprovvista, chiedendosi come diavolo facesse a saperlo. D'accordo che era la cugina di Win; d'accordo che il suo mondo e la storia di quella famiglia si erano già intrecciati più volte, ma addirittura... - … tu come lo sai? -.
- I nomi dei bambini – spiegò semplicemente Alba – Le loro iniziali formano il nome "Wrath", se aggiungi anche quello che deve ancora nascere -.
Ed dovette strabuzzare gli occhi, perché la ragazza sorrise piano: d'accordo, non era vecchio ma stava decisamente iniziando a perdere colpi. Tuttavia Alba viveva per quei giochi di parole, per cui non se la prese più di tanto.
- Zio Ed – continuò Alba, sottovoce – Voglio che tracci per lei il cerchio che serve per la trasmutazione umana -.
     

No, doveva aver sentito male. Stava invecchiando per davvero, accidenti.
- Zio Ed, respira. Tanto lo sai che non succederebbe niente. Prendilo come un regalo per me -.
… l'aveva detto sul serio.
- Lo so che il mio compleanno è stato ormai tre mesi fa... ma siamo vicini ad Hanukkah, ricordi? E anche se io non sono più una bambina... -.
"Dopo tutto quello che ho passato ho diritto ad un regalo, no?". Non lo disse, ma Ed lo sentì lo stesso e sospirò.
- A parte il fatto che è proibito, lo sai... - ma che stava dicendo? Lì l'alchimia neanche esisteva - … non servirebbe a niente, l'hai detto anche tu -.
- Magari le darebbe un po' di pace -.
Per quanto a volte si illudesse che Alba gli somigliasse almeno un po', ogni tanto se ne saltava fuori con delle cose che solo Al avrebbe potuto dire.
- Al, non so se sia una buona... -.
- Signora, sa che esiste un modo per riportare in vita gli esseri umani? - fece lei a voce più alta, per farsi sentire dalla donna che alzò impercettibilmente la testa – Ma è il ricorso estremo: dopo quello, non c'è più nulla -.
Ed la fulminò con lo sguardo, chiedendosi se quella potesse rientrare nella categoria "ribellione adolescenziale", anche se decisamente poco usuale.
- È... è davvero possibile? - domandò esitante la donna, stringendo le braccia sul proprio ventre.
- Si chiama "trasmutazione umana" – continuò Alba, mentre nuvole di vapore accompagnavano ogni sua parola – Con un cerchio alchemico, si può tentare di riportare in vita un corpo umano, richiamandone l'anima. Ma se non funziona nemmeno questo, non rimane altro che rassegnarsi -.  
La donna si voltò verso di loro, vedendoli forse per la prima volta.
- Al... chimia? - ripeté – Che cos'è? -.
Ed sapeva che, se avesse avuto ancora diciotto anni, quella domanda innocente gli avrebbe fatto più male di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere. Ma era diventato adulto da tanto tempo, perciò le rispose:
- Significa che "uno è tutto e tutto è uno". Che tutte le cose sono indissolubilmente legate fra loro da un flusso, e l'alchimia può controllare lo scorrere di tale energia, incanalandola in un cerchio – non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe dovuto spiegarlo a lei, che per prima gliene aveva parlato.
La donna tacque un momento, osservandolo assorta.
- Qualcuno potrebbe dire che anche la morte fa parte di questo flusso – mormorò poi, facendo sussultare Ed, che rivide per un momento gli occhi ferini della sua insegnante – … ma non io. Voglio che provi -.
Somigliava più a un ordine che a un desiderio, ma a lei Ed avrebbe obbedito più che volentieri.
Si arrese e sospirò di nuovo, sentendo gli arti d'acciaio più ghiacciati che mai, per poi iniziare a tracciare il cerchio. A distanza di tanti anni lo ricordava ancora alla perfezione, e in tale frangente non aveva nemmeno bisogno di un gesso: bastò raccogliere un ramo caduto e affondarlo nella neve. Ma quella era la parte più semplice.
Mentre tracciava il cerchio esterno attorno alle quattro piccole tombe, continuava a ripetersi che l'alchimia in quel mondo non esisteva. Che comunque non aveva nemmeno raccolto i materiali necessari a comporre un corpo umano, perché di sicuro quei quattro corpicini dovevano essere già decomposti. Quindi a rigor di logica non sarebbe successo niente. Niente.
Ed cominciava a sentirsi un idiota irrazionale, ma rifare quei segni e ripercorrere quei passaggi, pur a tanti anni di distanza, lo fece tremare.
Che cosa ne sapeva che non sarebbe finito tutto come l'ultima volta?
- C'è qualcosa di cui hai paura? - domandò Alba senza tanti giri di parole, osservandolo da quella che era diventata ormai sua lapide personale.
- Sembra stupido, lo so – ammise Ed.
- La paura non è stupida – ribatté la ragazza – C'è sempre un motivo -.
- Sai, Al, è un po' come... - Ed tacque un momento, chiedendosi se rivangare uno degli episodi peggiori che Alba si era trovata ad affrontare - … se qualcuno ti chiedesse di entrare di nuovo in un certo negozio di caramelle. Capisci cosa intendo? -.
Era sicuro che avesse compreso, e che non si fosse irrigidita un attimo solo per il freddo.
Quando Ed ebbe concluso, nell'assoluto silenzio di quel cimitero innevato, si tirò su ad ammirare il suo cerchio alchemico. Non ne tracciava uno da tanto di quel tempo che stava per cadere vittima di un attacco di nostalgia, ma si riscosse.
- Va bene – mormorò – Va bene... -.
Si inginocchiò nella neve, allungando le braccia verso il cerchio. Si concentrò sul pensiero di quando avrebbe rivisto Al, e di quanto ne avrebbe riso con lui. Sì, perché sarebbe andato tutto bene.
… ma perché diavolo si era lasciato convincere? Che assurdità era mai quella? E se avesse rivisto il portale? E se fosse successo qualcosa ad Alba e alla controparte della maestra Izumi? E se... se fossero comparsi quattro Homunculus?
Ed scosse violentemente la testa. Diamine, aveva più di trent'anni eppure la paura gli stava attanagliando le viscere. Stava per poggiare i palmi sul cerchio, quando...
"Ehi, un momento!" pensò "Manca il sangue."
Alzò gli occhi verso la donna, che stava osservando le quattro tombe con espressione indecifrabile. Senza il suo sangue la trasmutazione umana non avrebbe funzionato nemmeno nel suo mondo, quindi... Ed si sentì un verme, un'altra volta. Stava prendendo in giro quella che era stata la sua maestra, la cosa più simile ad una madre che lui e Al avessero avuto dopo la morte di Trisha Elric.
Ma non poteva rischiare, neanche in quel mondo dove l'alchimia non funzionava.
Poggiò i palmi delle mani sul cerchio, con un movimento che sembrò rimbombare nell'intera foresta.


Malgrado tutto, Alba era rimasta tutto il tempo con il fiato sospeso. Sapeva fin da subito che non avrebbe funzionato, che comunque era qualcosa di proibito e che lo zio Ed aveva ancora una paura tremenda dall'ultima volta che ci aveva provato. Lo aveva visto esitare all'ultimo momento, ma alla fine si era deciso, e aveva anche sospirato di sollievo quando alla fine non era successo niente.
Anche se, nel momento in cui Ed aveva poggiato le mani sulla neve, lei si era sentita improvvisamente strana.
- Mi dispiace – mormorò Ed – Non ha funzionato -.
Guardò la donna, che stava ancora osservando le quattro piccole tombe dei suoi figli, e pensò che in ogni caso doveva assolutamente riportarla al villaggio: non poteva lasciarla lì, nel bel mezzo di un bosco straripante di neve.
- Signora, venga con noi – disse, alzandosi e avvicinandosi a lei, per poi mormorare: - Ormai questi quattro bambini sono un tutt'uno con questa foresta -.
- Lo so – si stupì quando la sentì rispondere con una voce che non era quella lenta e cantilenante sentita finora. La guardò in viso, e vide che gli occhi non erano più opachi e appannati, ma lucidi e perfettamente consapevoli, come lo erano stati quelli della sua maestra – Ma oramai lo sono anch'io -.
Il dolore tornò a velarle lo sguardo, che lei riportò di nuovo sui quattro monticelli di neve.
E Ed si rese conto, per l'ennesima volta, quanto i due mondi separati dal portale fossero in realtà legati l'uno all'altro, esattamente come i loro abitanti: anche se non lo sapeva, quando da bambino aveva incontrato la maestra Izumi lei stava già morendo; e lo stesso valeva per la donna china nella neve davanti a lui. Non poteva fare niente; in quel mondo assurdo non poteva mai fare niente.
- Io non posso lasciarla qui – mormorò ancora, completamente impotente.
- Ma io posso rimanerci – ribatté lei, carezzando delicatamente il nome del suo primo figlio tracciato nella neve – Resto con i miei bambini -.
- Così condanna a morte certa anche il figlio che sta aspettando! -.
- Morirà comunque – fece lei, modulando di nuovo la voce in una specie di cantilena – Morirà con me -.
- No, lei... - Ed sentì qualcosa tirargli la manica, e quando si voltò vide Alba accanto a sé, finalmente scesa dal suo sgabello di pietra.
- Forse dovremmo andare – gli disse, guardandolo con quell'unico occhio che risaltava sul volto pallido, simile a un corvo nella neve – Mi dispiace, non avrei dovuto insistere -.
Già, lui doveva portare Alba oltre il confine. In salvo, lontano da quella follia da cui non era riuscito a salvare la sua famiglia.  
Non aveva potuto fare niente per la maestra Izumi, e non avrebbe potuto fare ugualmente nulla per la sua controparte in quel mondo. Win aveva perfettamente ragione: il tempo gira in tondo, e nemmeno con un cerchio alchemico avrebbe potuto controllarne il flusso.


Stavano ormai uscendo da quel bosco surreale, trovando la strada in quell'intrico di legno nero e neve candida. Ed era ancora immerso negli avvenimenti di nemmeno un'ora prima, e andava avanti quasi per inerzia.
Alba si sentiva un po' in colpa, anche se non sapeva bene per cosa, ed era da un po' che sentiva un certo fastidio che ormai non riusciva più ad ignorare.
- Zio Ed, devo fare pipì – e così dicendo andò a nascondersi dietro un albero.
Ed, che aveva annuito distrattamente, rimase un po' sorpreso nel ritrovarsela accanto neanche cinque secondi dopo. Un'Alba perfino più pallida del solito lo informò, con voce grave, di avere le mutande sporche di sangue.
Dire che Ed rimase a bocca aperta per lo stupore è ancora poco, ma gli bastò guardare in faccia la sua compagna di viaggio per capire quello che stava pensando.
Non si diede nemmeno il tempo di imprecare mentalmente contro il meccanismo biologico femminile e il suo eccezionale tempismo, perché scoppiò in una forte risata che tranquillizzò immediatamente la ragazza.
- Cielo, Al, no! - esclamò Ed – Non è stata la trasmutazione, anche perché una trasmutazione non è nemmeno avvenuta! -.
- Ah... - fece lei, riprendendo colore – Quindi... non mi mancano degli organi, vero? -.
- No, certo che no! È una cosa... beh, del tutto naturale! -.
- Da-davvero? - naturale? Il sangue sulle mutande? E lei che pensava che quella fosse la sua punizione di peccatrice per aver voluto tentare una trasmutazione umana. Non che l'avesse davvero pensato, ovviamente, però... si era un po' spaventata. Non le sembrava una cosa proprio normale.
- Andiamo, credo che dovrò spiegarti... beh, un po' di cose – in effetti non gli era mai venuto in mente. A quindici anni compiuti, Alba era ancora secca e diritta come il giunco di una palude, perciò non aveva affatto pensato che... accidenti. E adesso toccava a lui?
Stava cominciando a pensare di buttare all'aria anni di studi alchemici e chimici e iniziare un discorso infarcito di fiori e apine, quando guardò Alba e si rese conto che non c'era nulla di cui vergognarsi. Era semplice biologia umana, in fondo.
- Zio Ed, e... qui come faccio? -.
- Ah... sì! Sì, ecco... - Ed frugò nello zaino, tirando fuori delle pezze di stoffa pulite – Puoi usare queste. Al prossimo villaggio vedremo di trovare di meglio -.
Alba annuì, prendendole e tornando dietro all'albero.
Nei minuti in cui rimase solo nella neve, un dubbio sorse dalle conoscenze alchemiche di Ed, come la nebbia che si alza fra l'erba: una vocina che gli diceva che forse la prima mestruazione di Alba e ciò che avevano appena vissuto nel bosco fossero davvero collegati. Un dubbio assurdo, in effetti, che tuttavia non riuscì più a togliersi dalla testa.
Quando Alba tornò e si rimisero in cammino, fece per cominciare il suo discorso, ma la ragazza lo precedette:
- Stavo pensando... hai presente Rosaspina? Sai quando si punge un dito col fuso, si addormenta... eccetera eccetera? - Ed tacque, sicuro che fosse una domanda retorica – Il sangue che esce dal dito, che sia una metafora di questa... questa cosa? In fondo anche lei ha quindici anni, quando succede -.
- Può essere – ammise Ed, grato che da dietro quell'albero fosse tornata la Al di sempre.
- Comunque sia, zio Ed – continuò lei, improvvisamente seria – Non per offenderti, ma preferisco i regali di zio Al -.
Ed non si offese, ma neanche rispose.
- Anzi, la prossima volta che provo a chiedertene uno... – continuò, guardandolo severamente con quell'unico, penetrante occhio – … per favore, minacciami con un automail -.





(¹) Frau: significa “signora” in tedesco


Nel contest, oltre ad ispirarci all'immagine data, dovevamo scegliere un particolare “set” con un certo elemento. Avendo scelto il set “Inverno”, l'elemento che dovevo inserire io è il regalo.
Ci sono vari riferimenti a questo concetto: il regalo convenzionale, ossia il libro di fiabe nominato all'inizio, il regalo inteso come favore personale e... la maternità negata, intesa come dono non ricevuto.
I riferimenti alle favole li ho presi un po' da dei libri e un po' da Wikipedia: “Rosaspina” è, come avrete capito, la versione dei Grimm de “La bella addormentata nel bosco”.
Il punto in cui si dice che le fiabe potrebbero derivare da miti più antichi, è un riferimento alle teorie di Vladimir Propp.

Fra un po' potrei pubblicare qualcos'altro (sì, lo so che dovrei darmi dei limiti), una storia incentrata su Al e su altri personaggi. Nel caso, si intitolerà “Roots- Radici”.

Rispondendo alle recensioni:
piwy: sono contenta che tu sia arrivata a leggere fin qui, e mi fa piacere che i personaggi siano ancora riconoscibili. Rispondendo alle tue domande: sì, quelli su cui il padre di Eliza ha condotto le ultime ricerche erano cerchi alchemici, anche se vi ho solo accennato. E non credo che Ed lo verrà mai a sapere, dato che le prove sono state bruciate.
Sì, Al è in Irlanda con chi pensi, e sto anche pensando di scrivere qualcosa al riguardo...
Shatzy: a dire il vero era la prima volta che scrivevo una fic del genere, perciò è stata soprattutto un esperimento. L'idea mi è venuta dai prompt del contest a cui la storia aveva in origine partecipato: l'avvertimento “Non per stomaci delicati”, appunto, il negozio di caramelle, il coltello e la frase “Tutto questo è disgustoso.” Praticamente l'idea è venuta fuori da sola, mettendo insieme tutti questi elementi, e volevo proprio cimentarmi in qualcosa di diverso dal mio solito. Però ti assicuro che era unica nel suo genere, non ce ne saranno altre così esplicite.
Anch'io, quando ho fatto un conto delle età, mi sono resa conto che Ed avrebbe avuto ormai trent'anni, ma in fondo dobbiamo abituarci all'idea: se non può più tornare indietro, in questo mondo rimarrà fino alla fine. Perciò, anche in questo capitolo, ho cercato di renderlo un po' più adulto, pur facendo di tutto perché rimanesse sempre lui.
Guarda, la faccenda della moglie e dei coltelli è del tutto casuale, non ci avevo minimamente pensato. Però, cavolo, potrebbe anche starci! O_O
Per quanto riguarda Al, tutto quello che puoi immaginare e sospettare è esatto. XD Cavolo, avrei una voglia di iniziare un'altra storia su di lui, ma dovrei infilarci un sacco di OC e non so se è il caso... boh, vedremo.
Grazie per l'informazione sul RoyAi Day, ma sinceramente su di loro (quelli di Amestris) non so proprio scrivere. Ho letto qualche fic davvero bella, ma dubito fortemente che riuscirei a tirare fuori qualcosa, ormai sono troppo abituata a... Rod e Liza. XD
 

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Capitolo 3
*** Nèi sotto gli occhi (La fanciulla senza mani) ***


3- Nèi sotto gli occhi
Nèi sotto gli occhi


"Non abbiamo ricevuto niente in cambio. Tutto ci è stato strappato via!"

(Edward Elric, episodio 16)


Un paio di volte avevano rischiato grosso, ma erano finalmente riusciti ad arrivare al confine. Febbraio era ancora feroce, ululante di venti che ruggivano nelle pianure, affilati come lame che non avevano bisogno di alcun arrotino.
Quando erano ormai in prossimità della prima cittadina olandese, Ed pensò che era ora di mettere in pratica una cosa su cui rimuginava ormai da un po' di tempo. Non erano più in territorio tedesco, quindi nel proseguire verso le città portuali sulla costa potevano anche prendersi un po' più di tempo. Ma non troppo, perché viste le mire espansionistiche della Germania non ci voleva un genio a capire che avrebbero presto cercato di attaccare anche quel piccolo, piatto stato pieno di dighe e tulipani ancora addormentati nella terra gelata. (¹)
- Al, senti – cominciò Ed – Visto che siamo abbastanza al sicuro, pensavo di andare con più calma adesso. E nel frattempo insegnarti qualcosa -.
- Vuoi dire studiare? - Alba voltò la testa da una parte e dall'altra, ma al paese più vicino mancavano ancora un paio di chilometri – Non dovremmo prendere una stanza, prima? -.
- No, non intendevo questo – specificò Ed, guardandola serio – Non sarebbe una cattiva idea che imparassi un po' a difenderti -.
Le sopracciglia aggrottate di Alba gli chiesero subito di spiegarsi meglio.
- Abbiamo lasciato la Germania e presto ci imbarcheremo per l'Inghilterra, questo è sicuro. Ma siamo solo tu e io, e potrebbe succedere qualsiasi cosa, pericoli ce ne sono ovunque. Non si può mai sapere -.
- Io non voglio fare del male a nessuno – borbottò Alba.
- Non si tratta di fare del male, ma di evitare che ne facciano a te. Ne hai tutto il diritto – replicò Ed.
La ragazza sembrava ancora poco convinta, così Ed continuò:
- Sai Al, mio fratello è una delle persone più miti che conosco, eppure ti assicuro che in un corpo a corpo è imbattibile. O meglio, era – si corresse poi.
- Quando il suo corpo era costituito da un'armatura? - chiese Alba.
- Già, ma è ancora piuttosto forte. Non c'è niente di male a imparare a difendersi, sai? - Ed la studiò un attimo da capo a piedi, valutando su quanta forza potesse contare quel corpicino esile ma resistente – Però a mani nude non è il caso, ti servirebbe qualcosa da usare -.
- Ce l'ho, qualcosa da usare – lo stupì lei, estraendo dalla tasca interna del cappotto il fodero con il coltello che le aveva regalato Win. Che aveva sempre portato con sé, come sua cugina le aveva detto di fare, anche se non l'aveva mai usato. Neanche per tagliare una mela – Credi che possa andare bene? -.
Ed fece tanto d'occhi.
- E questo... da dove salta fuori? - domandò, incredulo – Da quando giri con questa roba in tasca? -.
- Me l'aveva regalato Win. Dopo... - Alba indicò la benda che le copriva parte del viso - … dopo la faccenda dell'occhio. Mi aveva detto di portarlo sempre con me, nel caso fosse successa di nuovo una cosa simile. Però ovviamente non l'ho mai usato -.
Ed prese in mano il coltello, studiandone la lama corta e sottile, perfettamente affilata. Era piccolo e leggero, ma se utilizzato nel modo giusto poteva risultare più letale di una pistola; più silenzioso e preciso. Praticamente perfetto.
- Bene, questo va oltre tutto quel che speravo. Possiamo cominciare anche subito -.
Restituì il coltello ad Alba, che non rispose e non tolse l'arma dal fodero. E nemmeno si mosse, osservando Ed che si toglieva il cappotto e la giacca, iniziando poi ad arrotolarsi le maniche della camicia.
- Non rischi di prenderti una polmonite? - chiese Alba.
- Sciocchezze, malgrado le apparenze io sono fatto tutto d'acciaio – ribatté lui, per poi mettersi in posizione – Prova ad attaccarmi. Se hai paura di farmi male, mira all'automail: non lo scalfirai nemmeno, sta' tranquilla -.
L'occhio di Alba si soffermò sul braccio d'acciaio, andando ad osservare le diverse componenti unite tra loro da giunture metalliche costituite da innumerevoli viti e bulloni. Win diceva sempre che ogni meccanismo, in fondo, era uguale a un altro.
Poteva provare.
- D'accordo – si arrese. Era vero, comunque: senza Ed non sarebbe stata in grado di fare niente, di andare da nessuna parte, di difendersi dal minimo sopruso. Che mondo disgustoso, ne era sempre più convinta.
- Bene – Ed le fece un cenno con la mano d'acciaio – Sono qui che ti aspetto -.
 

Malgrado la situazione, Ed stava seriamente rischiando di commuoversi: gli mancava solo un libro di cucina tra le mani, mentre Alba lo attaccava da ogni angolazione possibile, e la storia si sarebbe ripetuta come tanti anni prima, dall'altra parte con la maestra Izumi. Più invecchiava e più diventava sentimentale, accidenti!
Nonostante fosse cresciuta in città, Alba era piuttosto agile. Un po' goffa nell'attacco, ovviamente, e di certo sarebbe stato ancora peggio se si fosse trattato di parare i colpi, ma era un inizio. Un allenamento come quello ci voleva proprio, ormai ne era certo.
Come le aveva detto, stava cercando di colpire soltanto l'automail, la manica della camicia in salvo arrotolata sopra il gomito. Malgrado l'inesperienza, non stava colpendo alla cieca: sembrava che ad ogni affondo mirasse perlomeno ad un punto ben preciso, il che era un'ottima cosa.
Gli unici suoni udibili erano il sottile stridio metallico, negli istanti in cui il coltello colpiva l'automail, e il respiro dei due, che rilasciava nuvole di vapore denso. Tutto quel tempo in cammino aveva temprato parecchio il fisico di Alba, che dopo una decina di minuti di attacchi senza sosta si ritrovò tuttavia ad ansimare. Si fermò un attimo, raddrizzò le spalle e poi ricominciò, sorprendendo parecchio Ed: dov'era tutta la riluttanza dell'inizio? Sembrava quasi che si fosse prefissa uno scopo e ci dovesse arrivare a tutti i costi.
Ed parava i suoi affondi senza alcun problema, lasciando tuttavia che lo colpisse perché si abituasse un po' alla sensazione di quando un'arma raggiunge il proprio obiettivo, anche se in quel caso non affondava nella carne. Ma aveva l'impressione che Alba si stesse stancando troppo, perciò per il momento era meglio concludere. Fece per allungare il braccio d'acciaio, con l'intenzione di bloccarle il polso che teneva il coltello, quando all'improvviso l'automail non obbedì. Ci fu come un leggero schiocco, e da un momento all'altro Ed si ritrovò con l'avambraccio penzolante, completamente inerte dal gomito alle dita.
Non riusciva più a muoverlo.
- C-come... - Ed si bloccò, credendo a stento ai propri occhi – Come...? -.
- Togliendo un bullone e allentando qualche altra vite – lo informò tranquillamente Alba, mostrandogli in effetti il bullone che teneva in mano – È un modo per indebolire l'avversario, no? -.
Ed guardò sbigottito il suo braccio d'acciaio con la parte inferiore che penzolava, al momento del tutto inutile. Aveva appena creato un mostro?
Tuttavia, osservando l'automail con occhi ancora sgranati, si ritrovò a sorridere: oh, era stato suo l'errore. Aveva forse dimenticato che in fondo quella ragazzina era figlia delle controparti di Mustang e del tenente Hawkeye? Freddezza e intuito in battaglia; mira perfetta.
Aveva trovato pane per i suoi denti. Avrebbe potuto tirare su un nuovo Hughes.
- Come facevi a sapere che quel bullone era un punto fondamentale del braccio? - le chiese, voltandosi verso di lei – E le altre viti? -.
Alba stava lanciando in aria il bullone, lei stessa incredula per ciò che era riuscita a fare.
- Beh, sapevo che a forza di allentarle sarebbe successo qualcosa: viti, molle e bulloni sono i punti fondamentali di qualunque meccanismo. Sono la cugina del miglior orologiaio di Berlino, ricordi? - non terminò di dirlo, che il sorriso le morì sulle labbra. Dov'era il miglior orologiaio di Berlino, adesso?
Ed doveva averle letto nel pensiero, perché le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
- Su, aiutami a risistemare il braccio. Poi sarà meglio arrivare in paese prima che faccia buio, magari riprendiamo domani. Ma la prossima volta segui un'altra tattica, d'accordo? Lo sai che non ne ho di ricambio -.
Alba annuì, riscuotendosi, e rimise il bullone al suo posto. Strinse più che poté, aiutandosi col coltello.
Qualche minuto più tardi, quando avevano ormai ripreso il loro cammino nella neve, Ed si ricordò d'un tratto dell'altra volta in cui gli era successa una cosa simile: la prima volta che aveva combattuto contro Envy, il braccio gli si era bloccato nello stesso modo, anche se fin dall'articolazione della spalla. Corrugò la fronte, osservando l'arto malgrado fosse ormai coperto da strati di vestiti.
- Vuoi vedere che...? -.
Alba si chiese perché mai lo zio Ed avesse emesso d'un tratto un grugnito strozzato, seguito da una serie di imprecazioni ringhiate fra i denti.
- Ma tu guarda quella... quella... il miglior meccanico di Amestris, eh? Te lo do io, il miglior meccanico di Amestris! Ci stavo rimettendo la pelle, e poi ha anche fatto finta di niente! Ma dico, io! Ero in ospedale, conciato per le feste, e lei: “Ah, Edward, smettila di trattare così i miei automail”! E con che coraggio poi mi ha anche ordinato di bere quella schifezza biancastra! -.
- Che hai da borbottare? - chiese Alba, che di quel monologo grugnito non stava capendo nulla. Aveva come l'impressione che lo zio Ed se la stesse prendendo con qualcuno; chi, poi, non era dato saperlo.
- Ah, niente – fece lui – Continua a camminare -.


La fortuna fu dalla loro, in Olanda: non erano più clandestini- soprattutto Alba- e poterono quindi viaggiare in tutta comodità in treno, fino a raggiungere la costa. Alba trovò molto interessante mettersi a leggere tutti i cartelli, avvisi e annunci che trovavano, stupendosi di riuscire a capire praticamente tutto, vista la somiglianza dell'olandese col tedesco. Non era mai stata fuori dalla Germania- anzi, a dire il vero aveva visto ben poco anche fuori Berlino- e malgrado tutto trovarsi all'estero la affascinava.
Cercava di non pensare ai suoi genitori e a sua cugina, perché sapeva che non sarebbe comunque servito a niente, ma ad ogni stazione in cui si fermavano sobbalzava alla vista di ogni bell'uomo coi capelli neri, o di ogni donna bionda dai capelli raccolti e la schiena dritta. Non le era mai capitato di vedere una ragazza con i capelli corti come quelli di Win, ma era certa che, se fosse successo, non sarebbe riuscita a sopprimere l'impulso di correrle dietro.
Non ne aveva mai parlato con Ed, ma sperava davvero che stessero bene. Che li avessero magari messi in qualche prigione perché la razza ebrea non interferisse con la purezza degli ariani, e anche se trattati in qualche modo che fossero vivi. No, non osava nemmeno pensare a una qualunque altra ipotesi.
- Come sei messa con l'inglese? - Ed, che si era attardato un momento a fare chissà cosa, si sedette di nuovo di fronte a lei, in sottofondo il brusio dei passeggeri che prendevano posto.
- Mah, più o meno. A scuola me la cavavo -.
- Sarebbe il caso che cominciassi a rispolverarlo. Lo sai dove stiamo andando, no? - proseguì Ed, che aveva già spiegato ad Alba la sua idea di raggiungere Al passando per l'Inghilterra. In ogni caso, in entrambi i Paesi si parlava inglese.
- E come? Ti ricordo che i miei libri non li ho mica qui -.
- Ho appena trovato questa da un venditore ambulante qui fuori – Ed le porse una grammatica un po' spiegazzata, piena di orecchie che dovevano essere state fatte da uno scolaro non proprio diligente – Non è un granché, ma è meglio di niente -.
Alba sfogliò qualche pagina, trovando alcuni esercizi già fatti, ma a suo parere non molto corretti.
- Devo studiare? - chiese, alzando lo sguardo su Ed.
- Beh, il viaggio verso la costa è ancora lungo, e qui dentro non ci si può certo allenare nel corpo a corpo – fece Ed, scacciando il ricordo di quando lui e Al avevano dovuto affrontare dei guerriglieri su un treno: quella volta i vagoni erano stati un egregio campo di battaglia.
Alba diede un'occhiata alle tavole stampate sul libro che spiegavano le regole grammaticali inglesi. “Se non sai cosa fare, fai qualcosa di utile” le diceva ogni tanto sua madre; consiglio che lei seguiva di quando in quando, perché come suo padre trovava davvero gradevole starsene in orizzontale da qualche parte ad osservare il soffitto o il paesaggio fuori dalla finestra.
Ma adesso sua madre non c'era, e neanche suo padre. Era il caso che la pigrizia venisse rimandata; almeno se fosse stata impegnata in qualcosa non avrebbe avuto il tempo di pensare troppo.
- Va bene – disse infine – Hai una matita? -.


Non era mai stata su una nave prima d'ora. Nemmeno su un battello o una semplice barca: ed era impressionante quanto il mare fosse vasto e senza confini, quanto il cielo vi si specchiasse in quella giornata nuvolosa in cui il sole faceva ogni tanto capolino dalle nuvole, illuminando le onde di abbaglianti gocce di luce.
Ma come faceva il capitano a sapere dove andare? La terra era ormai scomparsa, lasciata indietro più di un'ora prima: sapeva solo che si stavano dirigendo verso nord-ovest, verso l'Inghilterra, ma in tutta onestà non avrebbe saputo dire in che direzione fosse.
Aveva salutato anche lei quando erano partiti, malgrado in effetti non avesse nessuno da salutare. Aveva salutato la gente sulla banchina, chi rimaneva e chi forse sarebbe partito in seguito; lei e Ed non erano gli unici che stavano espatriando per sfuggire a quella che si stava rivelando una vera e propria guerra europea. Perché diavolo a suo padre non era venuto in mente prima di andarsene, ancora quando le era successo “l'incidente”? Lo zio Ed aveva avuto ragione anche allora, a dire che quello non era ancora niente.
“Basta, basta.” Alba chiuse gli occhi e inspirò a fondo quell'aria fredda che sapeva di sale, sperando che oltre ai suoi polmoni raggiungesse anche la sua anima. Quella rabbia inutile si stava mescolando alla torbida preoccupazione in cui non doveva cadere, perché ogni volta non sapeva se sarebbe riuscita a risalirne. “Basta.”
- Tutto bene? Hai un po' di nausea? - Ed le si avvicinò, appoggiandosi a sua volta al parapetto del ponte.
- No, sto bene. Stavo solo guardando il mare – rispose lei, per poi tacere. Entrambi sapevano che il mal di mare non c'entrava nulla, e Ed si voltò, poggiando i gomiti sul parapetto e lasciando vagare lo sguardo fra i passeggeri. Il mare non faceva mai bene a chi aveva troppi pensieri, ma quel viaggio per nave era inevitabile.
Solo dopo un po' che osservava la variegata umanità presente sul ponte, si rese conto di star fissando un viso piuttosto familiare. Un altro.
Una giovane donna, probabilmente di famiglia ricca, forse addirittura con qualche traccia di nobiltà; piuttosto diversa dal giovane soldato in divisa e coi capelli cortissimi che ricordava, sempre sull'attenti e pronta a svolgere il proprio dovere. Ma nonostante l'abito raffinato e il cappello che nascondeva certamente un'acconciatura elegante, quel neo sotto la guancia sinistra era inconfondibile.
- Chi è? - domandò Alba, allungando il collo, accorgendosi di come lo zio Ed stesse osservando un'apparente sconosciuta con quello sguardo.
- Un certo sottotenente... vediamo se ti ricordi – la sfidò Ed con un sorriso sornione.
- Sottotenente? Maria Ross, allora – rispose pronta lei, che le sue avventure nell'altro mondo le conosceva ormai a memoria.
- Proprio così -.
- Non ha l'aria del sottotenente, comunque – commentò Alba, squadrando da capo a piedi la giovane sconosciuta.
- Non fissarla così, finirà per accorgersene – la ammonì Ed.
- Oh, ma io sono la povera ragazzina con un occhio solo. Qualche comportamento strano mi è permesso – ribattè tranquillamente Alba, abbarbicandosi sul parapetto e sporgendosi fuori per metà. Non fosse stata lei, Ed le avrebbe detto di scendere perché era pericoloso.
Non stavano più guardando l'elegante controparte del tenente Maria Ross, perciò quando Ed si sentì rivolgere la parola quasi sobbalzarono tutti e due.
- È una bella giornata, non trovate? -.
In effetti si trattava proprio della donna che stavano guardando poco prima, la quale li aveva raggiunti senza che se ne accorgessero, accompagnata da un uomo che doveva essere il suo maggiordomo. Parlava un tedesco impeccabile, quasi meglio del loro.
Dopo un istante di sorpresa, Ed rispose:
- Già, è una fortuna essere partiti con un tempo così -.
La donna annuì, con un cenno elegante del capo, per poi chiedere:
- Scusate la curiosità, ma non mi sembrate olandesi. Sbaglio, forse? -.
- No, non si sbaglia affatto – rispose Ed – Veniamo dalla Germania. Da Berlino, per la precisione -.
Altro cenno.
- Capisco. Vi auguro di fare buon viaggio: il capitano di questa nave è un amico di famiglia, e vi assicuro che è uno dei migliori -.
- Sono felice di saperlo. Allora sarà un ottimo viaggio, grazie -.
Dopo questo breve scambio di battute la donna proseguì, seguita dal suo accompagnatore, a cui poco più avanti mormorò qualcosa.
Alba, che non aveva aperto bocca durante quella conversazione, continuò ad osservarla per qualche istante.
- Uh...   le piaci, zio Ed – constatò maliziosa, e per quel commento si beccò una pacca su una spalla, neanche fosse stata Al per davvero.
- Oh, sta' zitta – ribatté lui.
- Adesso ti invita a cena. O forse per il tè -.
Come se tutta quella scena fosse stata scritta su un copione inventato da Alba, il domestico personale di quella donna tornò indietro, avvicinandosi a loro.
- La signorina sarebbe lieta se poteste unirvi a lei più tardi, per un piccolo rinfresco all'ora del tè -.
Anche se non la stava guardando, Ed sapeva perfettamente che faccia stava facendo Alba. Suo fratello non si era mai permesso di prenderlo in giro in quel modo.
- Ci... ci farebbe molto piacere, grazie – rispose, preso leggermente alla sprovvista.
L'uomo fece un piccolo inchino, comunicando loro il numero della cabina e l'ora, per poi andare a raggiungere la giovane donna che lo stava aspettando più avanti.
- È strano, sai? - Alba, accanto a lui, sembrava avere abbandonato la modalità “presa in giro”, improvvisamente seria – Con tutta la gente che c'è su questa nave, è venuta proprio da te. Hai mai pensato che forse, a livello inconscio, la gente di questo mondo sa di avere avuto un legame con te, chissà quando e da qualche altra parte? Che le controparti di qua e di là siano in qualche modo legate? -.
Eccome, se l'aveva pensato. Da quando aveva incontrato Alfons. Da quando aveva conosciuto Win, Roderich e Eliza. Qualcosa c'era, ma sinceramente la sua curiosità di scienziato era emotivamente troppo stanca per mettersi a indagare anche su questo.
- Senti Al, limitiamoci ad andare a questo tè – disse Ed, mentre la brezza marina si alzava e il cielo si rannuvolava sempre più – Ci sarà di sicuro qualcosa di buono -.  


Quella ragazza faceva decisamente parte della nobiltà olandese, visto il lusso della cabina e l'abbondanza del tavolino imbandito per il tè. La signorina Marije, come la chiamava il maggiordomo, si era cambiata d'abito, indossandone uno da pomeriggio, e stava ora sorseggiando delicatamente il suo tè da una tazzina decorata.
- Prendete uno di questi pasticcini al pistacchio – stava dicendo ai suoi ospiti – Sono davvero squisiti -.
Ed, che era ormai abituato ad ogni genere di essere umano, non faceva molto caso alla formalità di Marije, mentre Alba sembrava un po' incerta: sapeva perfettamente di essere cresciuta in una famiglia semplice, né ricca né nobile, ma non credeva ci fosse gente che si comportava davvero come i nobili dei libri.
Però prese un pasticcino al pistacchio, e lo trovò davvero buono. Dopo aver versato un goccio di latte nel tè rimise subito il bricco sul tavolo, senza passarlo a Ed. Era tanto abituata ad evitargli ogni liquido di origine vaccina che ormai lo faceva senza nemmeno pensarci, ma questo la loro ospite non poteva saperlo.
- Gradisce un po' di latte nel tè? - gli chiese infatti.
- No, grazie. Lo prendo senza – rispose Ed, chiedendosi che diavolo ci facessero lì. Era un modo come un altro per evitare a Alba di rimuginare troppo, dato che non era il caso che la facesse allenare nei corridoi, e non poteva certo passare tutta la giornata a leggere o dormire. Oltretutto il tempo sereno di quella mattina si era già guastato, e la grigia pioggia del Mare del Nord si stava riversando silenziosa sul ponte della nave.
Ma non capiva che cosa quella donna potesse volere da un uomo e una semplice ragazzina: un po' di compagnia, nella noia del viaggio? E perché proprio loro?
- Quanti anni hai? - Marije si rivolse a Alba, sorridendole cortesemente.
- Quindici – rispose lei, che per fortuna aveva appena inghiottito l'ultimo boccone.
- E dimmi, cosa fai per passare il tempo durante il viaggio? Leggi? -.
Alba avrebbe voluto farle notare che erano partiti appena quella mattina, per cui il problema della noia non si era ancora posto. Comunque rispose:
- Sì, mi piace leggere -.
- E che genere di libri preferisci? - continuò Marije.
Alba lanciò una fugace occhiata a Ed, come a giustificarsi: “Me l'ha chiesto lei!”. Quindi disse tranquillamente:
- Di solito un libro in particolare, anche se non l'ho qui con me: le fiabe dei fratelli Grimm -.
- Oh – la giovane donna appoggiò la tazza sul piattino con un movimento delicato – L'ho letto anch'io anni fa, come esercizio di tedesco voluto dal mio insegnante. Mi ha causato qualche incubo -.
Alba assunse un'espressione leggermente perplessa, anche se ad accorgersene fu solo Ed.
- In particolare quella storia... quella della fanciulla senza mani a cui ne vengono fatte due d'argento... era davvero aberrante -.
Alba lanciò a Ed un'occhiata eloquente: già parecchi anni prima aveva insistito che quella fiaba fosse in realtà la “sua” storia. “Non è che qualcuno aveva attraversato il Portale anche allora?” era stata una delle sue ultime ipotesi al riguardo.
- E quando la fanciulla traccia col gesso un cerchio attorno a sé per tener lontano il diavolo... - stava dicendo Marije - ...un cerchio col gesso? È davvero assurdo -.
Alba, intenta a tracciare cerchi di gesso liquido nel suo tè, commentò:
- Magari può essere la trasposizione in fiaba di un qualche evento accaduto davvero, in un posto molto lontano. Come quando alla fanciulla vengono donate due mani d'argento al posto di quelle tagliate -.
D'argento, e non d'acciaio.
- Anche questo è davvero inquietante: so che esistono delle protesi per chi avuto la sfortuna di una mutilazione, ma non diventano certo come un arto vero e proprio. Come avranno potuto immaginare una cosa simile? - continuò a chiedersi Marije, sorseggiando il suo tè.
- Già, chissà come sarà stato possibile – concordò Alba, anche se Ed fu certo che in quelle parole ci fosse un'allusione rivolta a lui.
“E poi” avrebbe detto Alba, se avesse potuto continuare quella conversazione “quando il re va a cercare moglie e figlio, non mangia e non beve nulla per sette anni, ma Dio lo mantiene in vita. È come lo zio Al! Non ha mangiato né bevuto nulla per quattro anni, ma è rimasto comunque in vita! Vedi, zio Ed, quella che ha cercato moglie e figlio è stata in realtà l'anima del re, non il suo corpo.”
Ma Ed intervenne:
- Forse un giorno la scienza avanzerà tanto da rendere possibile una cosa del genere. Ho saputo che dovrebbero iniziare ad usare un nuovo antibiotico su cui si è fatta ricerca fino ad ora: penicillina, la chiamano. Se funzionasse davvero contro le infezioni batteriche, già quest'anno la medicina farebbe passi da gigante -.
Il sorriso educato di Marije fece capire a Ed che non doveva aver mai sentito parlare di quel nuovo antibiotico.
- Lei è un medico? - chiese la donna, per mantenere viva la conversazione.
- No, mi occupo di chimica -.
- Capisco -.
A Ed sembrava che quell'inusuale tè, voluto forse dalla noia di una ricca ragazza un po' viziata, stesse volgendo al termine. Lei non aveva detto praticamente niente di sé, e loro stessi avevano a malapena rivelato i propri nomi. Gli sembrava una donna un po' sfuggente, o magari semplicemente non dotata di una brillante personalità; comunque fosse, non riusciva a pensar male di lei. Forse perché la sua controparte di Amestris era stata una delle poche donne che l'avevano abbracciato nella sua vita, in un momento cruciale come poteva esserlo una reazione alchemica infinita, aprendo una breccia e salvandolo.
- Noi stiamo andando in Inghilterra perché io sono ebrea – disse d'un tratto Alba, che aveva finito la sua tazza di tè – In Germania hanno arrestato la mia famiglia, ma viaggiando da clandestini siamo riusciti ad attraversare il confine e ad arrivare fin qui -.
Ed corrugò la fronte, chiedendosi perché Alba avesse sciorinato d'un fiato tutta la loro storia ad una perfetta estranea.
- Lei perché sta scappando? -.
La domanda a bruciapelo di Alba sorprese Ed e turbò Marije, che si affrettò a rispondere:
- Oh, non... non sto affatto scappando. Mi sto trasferendo in Inghilterra perché probabilmente mi sposerò con un giovane inglese, il figlio di un ottimo amico di mio padre. Non ritiene prudente che io rimanga in Olanda, con quel che sta accadendo -.
- Deve sposare un nobile? -.
- Sì, ma non crediate che entrerò a far parte della famiglia reale – sembrò scherzare lei, eppure a Ed sembrò che la maschera indossata fino a quel momento si fosse irrimediabilmente incrinata – Si tratta di piccola nobiltà di campagna, sarò fortunata se vedrò Londra un paio di volte all'anno -.
- Congratulazioni, allora – disse Ed, che aveva ormai capito la situazione – Credo sarà meglio che ora togliamo il disturbo -.
Si alzò, imitato da Alba, e Marije fece altrettanto.
- Spero avremo modo di vederci ancora, prima di arrivare in Inghilterra – disse gentilmente la ragazza – Mi ha fatto molto piacere conoscervi -.
- Ha fatto piacere anche a noi. E credo che su una nave come questa le occasioni di incrociarci ancora non mancheranno -.
Alba salutò con un cenno del capo e un lieve sorriso, ma non disse più nulla.


- Lo vedi? Lo vedi? - Alba, rimasta silenziosa e impassibile fino al rientro nella loro cabina, sembrava quasi fuori di sé – Lo vedi come dicono la verità, quelle fiabe? -.
- Vuoi andare a cena o sei a posto? - chiese Ed, buttandosi sul letto senza nemmeno togliersi le scarpe.
- Te ne sei accorto, vero? L'amore trionfa sempre, i re ritrovano le loro regine anche dopo aver vagato sette anni, tra foreste di rovi e boschi pieni di giganti – Alba continuò a parlare sommessamente, appoggiando la testa alla porta appena chiusa – Lo sapeva troppo bene. Perché deve sposare un re, lei che non vuole? -.
- Non deve sposare un re, ma un esponente della piccola nobiltà. L'hai sentita, no? -.
- E le principesse innamorate dei contadini non sono destinate a una vita felice, vero? -.
- Suppongo di no. Anche se in questo caso forse è uno studente, o un figlio di commercianti -.
- E quanto scommetti che tu gli somigli? -.
- A chi? - Ed aprì gli occhi, capendo finalmente quanto quella ragazza fosse in realtà dolce e spontanea come la sua controparte di Amestris. Una dolcezza destinata a frantumarsi presto, a nascondersi dietro a una maschera necessaria per sopravvivere – Al re o al contadino? -.
- Zio Ed, credo che salterò la cena. Ho un po' di mal di stomaco – fece Alba, togliendosi le scarpe e arrampicandosi sul suo letto, quello di sopra nella struttura a castello.
- Sarà stato il latte -.
- Dicono che chi nasce con un neo sotto l'occhio è destinato alle lacrime, lo sapevi? - mormorò Alba contro il cuscino, ma Ed la udì perfettamente – Non è giusto. Non è giusto neanche questo -.


Ma dov'era? Non era Berlino, non sembrava una città tedesca e nemmeno olandese, a lei che aveva visto solo quelle. E cos'erano quelle bandiere e quegli stendardi, quello strano simbolo su sfondo verde mai visto prima d'ora? Un mostro, un drago con un corno sulla fronte e denti acuminati? Una... una chimera?
La gente era gente, le case case, per le vie c'erano alcune bancarelle che vendevano frutta e verdura, pesce e tessuti, strane pietre e articoli di ogni genere. Più avanti c'era anche un ambulante con parecchi libri usati; decise di darci un'occhiata.
Dopo una veloce scorsa ai diversi titoli, Alba si accorse di non conoscerne nemmeno uno. Possibile? Romanzi mai letti, fiabe mai sentite, autori sconosciuti ed eventi storici mai studiati. Ne prese in mano uno a caso e, letto il titolo, fece tanto d'occhi: lo aprì di scatto, scorrendo le pagine, incredula e sbigottita. Disegni di cerchi, nozioni su argomenti mai sentiti, disquisizioni sull'energia e su come incanalarla, facendole assumere la forma desiderata. Continui riferimenti al concetto di “scambio equivalente”. Era... era... alchimia?
Alba ansimò, posando il libro come se scottasse. Camminò tanto in fretta da non vedere dove stava andando- ma tanto non poteva saperlo, perché non sapeva dov'era. O forse lo sapeva, ma non riusciva a crederci. Come aveva fatto? Dov'era il Portale? Perché si attraversava un Portale, no? No? Quand'era successo? E dov'era lo zio Ed?
- D'accordo, calmati – Alba si bloccò, quasi inciampando nei propri passi, e respirò a fondo – Sei in una città, c'è un sacco di gente. Chiedi a qualcuno -.
Postasi un primo, minimo obiettivo, si sentì più calma e determinata a capire che stava accadendo. Ma non fece in tempo a muovere un passo che il suo cuore fece un altro tuffo. Più profondo e sconvolgente, come se nel suo petto ci fossero stati gli abissi marini invece che carne e sangue.
Un metro più avanti, un uomo era fermo sul marciapiede, messo di profilo e intento ad osservare l'edificio di fronte a sé. Un uomo con una zazzera nera che iniziava ormai a brizzolarsi, ma la mascella sempre ben disegnata e ben rasata.
- Papà... - non finì di sussurrarlo, incredula, che l'uomo si voltò e Alba poté vedere una benda identica alla sua che gli copriva parte del viso.
O anche suo padre aveva perso un occhio, o quell'uomo non era lui.
E doveva averla vista, perché quell'occhio incontrò il suo e sembrò all'improvviso sorpreso e turbato. Ma forse era solo lei a sentirsi così, e i suoi sentimenti si stavano semplicemente riflettendo sul suo viso, perché quell'uomo non poteva sapere chi era lei.
E infatti adesso non stava guardando lei, ma qualcuno accanto a lei.
- Acciaio. Di nuovo qui? -.
Alba voltò la testa, e vide al suo fianco lo zio Ed. Non fece in tempo ad aprire bocca per chiedergli tutto quello che le stava passando per la testa, che lui si chinò e la scrollò, prima leggermente e poi sempre più forte.
- Al? Ehi, Al! -.
- Tuo fratello adesso è una ragazzina, Acciaio? Ne avete combinata un'altra delle vostre? -.


Alba si drizzò a sedere di scatto, facendo sussultare Ed che quasi cadde dalla scaletta del letto a castello.
- Ehi, ma... che ti prende? - esclamò Ed – Mi hai fatto venire un colpo! -.
- Ah... scusa – Alba si guardò intorno, disorientata – Ma... dove siamo? -.
- Dove siamo? Sulla nave, siamo. Quella per l'Inghilterra – Ed la scrutò attentamente – Hai fatto un brutto sogno? -.
- Io... n-no. Credo di no. Non era brutto – quel risveglio così brusco gliel'aveva fatto dimenticare, eppure se chiudeva gli occhi vedeva galleggiare sulla retina il viso di suo padre. Un viso con una benda, che le fece venire la pelle d'oca.
- Sono stato dal medico di bordo, ti ho portato qualcosa per il mal di stomaco – disse Ed, porgendole una pastiglia e un bicchiere d'acqua.
Quando Alba li ebbe mandati giù, Ed continuò:
- Una boccata d'aria ti farebbe bene. Ha smesso di piovere, che ne dici di una passeggiata sul ponte? -.
Alba annuì piano, ancora confusa. Perché le sembrava di aver appena letto un libro di alchimia, che lo zio Ed le aveva descritto tante volte? Era stata tutta suggestione?
- Allora preparati, forza. Lavati la faccia -.
Quando fece per scendere dal letto, Alba ricordò d'un tratto tutto il sogno, un fulmine a ciel sereno che la fece barcollare assieme al rollìo della nave.
- Zio Ed... -.
- Sì? - rispose lui, sicuro che il discorso sarebbe tornato su quella Marije che avevano appena conosciuto e il suo amore infelice.
- Ma che diavolo c'era in quei pasticcini? -.





(¹) In effetti l'Olanda venne invasa nel maggio 1940



Non so da dove è uscita questa roba, ma mi piace. Chissà se si può dire lo stesso di voi.
Il riferimento nella prima parte, quando a Ed si blocca un braccio perché manca un bullone, è all'episodio 22 della prima serie. Poi ci sono altri riferimenti nel corso del capitolo, e compare un'altra nostra conoscenza, che nella prima serie è apparsa poco ma che sinceramente mi ha molto colpito. Ho sempre visto dei veri e propri slanci materni in Maria Ross: è l'unica a ritenere che Ed sia ancora più un bambino che un adulto, e che abbia bisogno di quell'affetto che continua a rifiutare da tutti. Meravigliosa la scena dell'abbraccio, mi ha quasi commosso.
La fiaba dei fratelli Grimm, incredibile ma vero, esiste sul serio: ci sono le mani d'argento attaccate a dei moncherini e un cerchio di gesso tracciato per tenere lontano il diavolo (leggere per credere). E il re che non mangia e beve per sette anni, ma nonostante tutto rimane in vita. Impressionante quanto somigli a una certa storia, no?
Spero che questo capitolo non vi risulti troppo angst, anche se vista la Storia- con la S maiuscola- non c'è troppo da rallegrarsi. Comunque i prossimi capitoli si alzeranno di tono, non preoccupatevi.

D'ora in avanti questa storia continuerà su binari paralleli a “Roots- Radici”- si intersecheranno di tanto in tanto, non so ancora come.
In ogni caso, la prossima volta Ed e Alba li ritroverete nel nuovo capitolo di quella storia.

Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, come sempre! ^^


Rispondendo alle recensioni:
Hanako_Hanako: in effetti ho cercato di caratterizzare Alba nel modo più “umano” possibile, pur tenendo presente i caratteri dei suoi genitori. In realtà questa storia è un sequel di altre, per cui le risposte a tutte le tue domande le puoi trovare in “Die Uhr- L'orologio”. ^^
MusaTalia: è bello sapere che c'è gente che sa che il termine “fiaba” non si riferisce per forza ad un mondo perfetto fatto di melassa- anzi, spesso e volentieri è tutto il contrario! In questo capitolo credo di toccare il picco dell'angst, più o meno, ma vedrai che nei prossimi ci risolleveremo.
Sono contenta che Alba ti piaccia, sto cercando di caratterizzarla il più possibile come un personaggio originale, pur tenendo presente che siamo in Fma e ricordandomi di chi sono i suoi genitori. ^^
CioccoMenta: in realtà era la prima volta che scrivevo qualcosa un minimo splatter, perché di solito non lo leggo e non lo guardo- e per fortuna non mi è mai capitato di assistere a qualcosa del genere nella realtà. Però ci tenevo a fare una descrizione un minimo realistica di ciò che accade ad Alba, visto che l'idea mi è comunque venuta da quel che succede a Mustang nella serie.
Felice che tu abbia apprezzato anche la parte delle mestruazioni! ^^ Ci stava troppo bene, secondo me, con la comparsa di Izumi, la sua storia, la perdita dei suoi organi e tutto il tema della maternità. E poi sì, volevo mettere Ed in difficoltà.
Nello scorso capitolo è scritto anche che Win viene arrestata assieme ai suoi zii, comunque è un particolare che può sfuggire.
Spero possa piacerti anche questo aggiornamento!
Tomoyo_Daidoji: il rapporto di Ed con i “doppi” è ciò che mi ha intrigato fin da quando è arrivato nel nostro mondo, per questo ho deciso di approfondire la questione. Sono contenta che Alba ti piaccia: è sempre una bella prova, riuscire ad inventare un personaggio originale che sia in qualche modo convincente. ^^

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