La Signora del Demone Bianco

di Yuki_o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La signora 

 Prologo:  
 

Una  brezza  leggera entrava  dalle shojo aperte,in una bellissima notte estiva.
Una giovane donna stava inginocchiata ad un basso scrittoio impegnata a leggere vari documenti e pergamene, alla luce di una piccola lampada ad olio.
La luce giallognola segnava il suo delicato profilo e dava una colorazione irreale alla sua candida pelle. Portava i capelli raccolti sulla nuca da un semplice fermaglio, indosso un sobrio kimono estivo azzurro.
Nella  grande stanza la fanciulla non era sola: al capo opposto della sala stava compostamente inginocchiato un giovane, immobile come una statua. Se ne stava nella penombra, una presenza silenziosa e severa e volgeva uno sguardo attento e rispettoso, protettivo, ma al contempo discreto alla dama.
I due erano in quelle stesse posizioni ormai da ore, apparentemente indifferenti allo scorrere del tempo. Il sole era tramontato ormai da molto, e l’unico suono a spezzare la quiete notturna era il timido cri-cri dei grilli.
A un tratto, con calma la fanciulla posò il pennello e con grazia si voltò verso il giovane uomo in fondo alla stanza  buia. Con la mano sottile prese la lampada e illuminò la figura silenziosa in ginocchio davanti a lei, fino a che non poté  distinguere i tratti eleganti  del suo volto , i lunghi e lisci capelli scuri e il suo sguardo severo.
I due si fissarono senza proferir parola per un lungo istante mentre i loro occhi si specchiavano l’uno nell’altro, indescrivibili, unici: occhi cangianti a volte bianchi e caliginosi, altre languidi e madreperla, o argentei come raggi di luna. Quello era il marchio della loro stirpe, il sigillo del loro destino.
Hyuga.
-non hai nulla da dirmi Neji-san?-
Disse la giovane, con una voce vellutata e un tono che pareva appena un sussurro. Ma lui si limitò a chinare il capo in un mesto inchino.
-la mia opinione non è mutata Hinata-sama- disse poi.
La fanciulla chinò  leggermente il capo a destra.
-non me l’hai mai esposta la tua opinione- disse, quasi divertita..
Il giovane assunse un’espressione beffarda.
-questo è vero, mia signora, e tuttavia vi assicuro che non è mutata-
Per un attimo il silenzio calò di nuovo mentre la dama avvertiva la brezza notturna lambirle la schiena provocandole piccoli brividi, e non potè non sorridere alle parole che lui le aveva rivolto: per un attimo non erano stati più la signora e il suo vassallo, solo per un attimo come tanti anni prima.
-ritieni che io abbia preso una decisione errata?-
-no, Hinata-sama-
Rispose, sempre tenendo il capo chino a terra.
-ma siete stata avventata- continuò.
Lo disse sottovoce, quasi con sofferenza, come gli avessero strappato quelle parole dal petto. La giovane chinò il capo a sua volta, quasi colpevole.
-era una prospettiva vantaggiosa per il Clan: rifiutare la proposta di matrimonio di Hirohito sarebbe stato folle. Inoltre, era tempo che io mi sposassi, gli anziani sono impazienti, mi chiedono un erede ed è mio dovere assecondarne i voleri-
Il giovane strinse impercettibilmente i pugni, ma nulla sul suo viso tradì una qualsiasi emozione.
Hinata alzò infine il capo.
-allora- disse -non me la rivelerai proprio mai questa tua immutabile opinione?-
Neji non alzò il capo, non disse assolutamente nulla : si prosternò a terra e alzandosi in piedi raggiunse le shojo aperte sul meraviglioso giardino interno, poi volgendo un ultimo sguardo alla sua signora disse:
-buna notte, Hinata-sama-
Dopo di che si diresse con calma risolutezza verso l’ala della villa occupata dalla sua casata. La giovane donna lo seguì con lo sguardo per nulla sorpresa da quel gesto e ascoltò il suono ovattato dei passi decisi di Neji allontanarsi.
Poco prima nel porgli quell’ultima domanda le era quasi sembrato di scorgere un sorriso sul volto austero dell’uomo.
Si alzò e prese la lampada ad olio che giaceva al suo fianco e la spense: intorno a lei calò, infine, la notte


Spazio Autrice


 
ciao, spero che il cap vi abbia intrigato!! 
aspetto le vostre recensioni, se sarete così MAGNIFICI da voler lasciarmene una..altrimenti pazienza!! vi mando cmq un bacione!!
al prossimo cappy!!
boby 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Il dovere
La mattina le era sempre piaciuto passeggiare nei giardini della villa, soprattutto d’estate quando tutto sembra traboccante di vita. I sandali di paglia sottile scricchiolavano sulla ghiaia del selciato, mentre la brezza le solleticava i capelli sulla nuca. I suoni della casa le arrivavano attutiti e lei poteva immaginarsi ogni gesto dei silenziosi abitanti di villa Hyuga.
Nell’ala della servitù suono di passi, affaccendarsi nelle faccende domestiche e sommesso suono di risate. Nelle stanze interne le limpide, quasi metalliche note degli shamizen suonati dalle più giovani figlie del Clan; nelle fresche verande le giovani dame erano impegnate nel suggestivo rituale della Cerimonia del The, e l’aroma pungente della bevanda permeava l’aria.
 Si fermò a contemplare la chioma frondosa di un antico albero dal tronco contorto e imponente: la sua chioma spandeva un’ombra piacevole e il suono delle sue foglie agitate dal vento colmo di nostalgia.
Era ora di andare, lasciare quella villa e compiere il suo dovere, ma non voleva profanare quel momento di contemplazione: chissà quanti altri capostipiti della sua Casata si erano fermati ad ammirare l’imponenza di quella secolare creatura ... non sapeva nemmeno a che specie appartenesse.
-è un Ginko Bilboa* … molti di questi alberi sono considerati sacri per la loro maestosità quasi divina.-
Pronunciò una voce alle sue spalle con naturalezza per rispondere a quella domanda che lei ancora non aveva pronunciato.
-buongiorno Neji-san.-
Disse sorridendo, senza osare ancora muovere un passo, per un attimo desiderando essere ancora la ragazzina impacciata che arrossiva e balbettava,il cui destino sembrava avvolto nell’ombra della mediocrità, dove non avrebbe dovuto adempiere ad alcun dovere. Dietro di lei nessun’altra reazione tradiva la presenza dell’uomo, se non il suo respiro caldo sulla nuca.
-dobbiamo andare Neji-san?-
Un breve silenzio e poi la sentenza.
-ai vostri ordini mia signora-
Ai vostri ordini? Quindi se avesse dato l’ordine avrebbe potuto cambiare lo stato delle cose, tornare indietro? Lui avrebbe sistemato ogni cosa, come sempre, non era forse così?
 -Neji-san…-
Disse esitante, volgendo infine lo sguardo verso il suo silenzioso servitore.
-credi che io riuscirò ad essere abbastanza forte?-
Egli fece un passo avanti, risoluto e all’apparenza impassibile, scandendo poche parole sottovoce.
-io so che voi siete forte, Hinata-sama-
Il fruscio del Ginko si fece sentire, come a concordare con le parole del giovane Hyuga, e infine Hinata ricominciò a camminare verso la casa.
-andiamo Neji … non facciamo attendere gli Anziani: dobbiamo prendere congedo prima di partire.-
Egli stando in piedi sotto la chioma dell’albero attese qualche istante e poi chinando piano il capo disse:
-agli ordini, Hinata-sama…-
E il vento raccolse le sue parole.
 
 
 
Attraverso le tende di bambù filtrava una luce fioca e l’incostante andatura della portantina  la cullava dolcemente; neanche il caldo estivo riusciva a infastidirla e il sonno la colse in fretta.
Al suo fianco procedeva la scorta a cavallo, e l’unico rumore ad accompagnare il loro cammino era il cozzare degli zoccoli sul selciato della strada. Neji procedeva in silenzio al fianco della portantina su cui viaggiava Hinata, all’erta e pronto ad affrontare ogni pericolo: il suo unico pensiero era la sicurezza della sua Signora.
Era stato contrario a quel viaggio sin dall’inizio, così come a quel matrimonio affrettato. Indubbiamente era un’occasione politicamente vantaggiosa, ma sposarsi con il figlio dell’uomo che da bambina aveva tentato di rapirla e il cui gesto aveva portato alla morte di suo padre, Hizashi … era colpa anche di quell’uomo se per tanti anni lui aveva odiato Hinata.
Quel giorno la sua Signora era uscita presto a passeggiare, l’aveva trovata intenta a contemplare l’antico Ginko nel giardino Est della residenza. In quel momento gli era sembrata la stessa bambina fragile e spaventata che era stata anni prima e aveva sperato … aveva sperato che si voltasse per dargli l’ordine di congedare la scorta, di annullare il viaggio: lui avrebbe ubbidito.
Mentre prendevano congedo dagli Anziani non aveva vacillato un istante, mostrando sempre quel sorriso gentile e sofisticato che era la sua maschera di fronte al mondo.
Rivolse un breve sguardo alla finestrella chiusa dalla tendina di bambù: di solito non appena Hinata aveva l’occasione di uscire dal Villaggio, o anche solo dalla villa, non faceva altro che sfinirlo di domande per tutta la durata del viaggio, mentre quel giorno si era ritirata in un impenetrabile silenzio.
Non era preoccupato, ma si sentiva in qualche modo inadempiente la suo dovere nel sapere che lei era in difficoltà e lui non stava facendo nulla. Un tempo non avrebbe nemmeno immaginato che avrebbe dimostrato una così totale dedizione nei confronti proprio di quella giovane, ma ora sapeva che l’avrebbe servita per sempre.
Gli altri membri della scorta erano tutti ninjia che lui stesso aveva addestrato per la protezione della Capostipite e appartenevano alla Casata Cadetta, era stata la stessa Hinata a sceglierli.
-se li hai addestrati tu, Neji-san, allora sono sicura che saranno ninjia eccezionali-
Neji alzò il capo e tornò all’erta: di lì a poco avrebbero attraversato il confine con il Paese del Fulmine.
 
 
 
Mentre vedeva la sua Signora avanzare nel cortile del palazzo del suo promesso sposo e salire la scalinata in cima alla quale lui la attendeva, Neji, in ginocchio nel cortile in segno di rispettoso saluto, artigliò la polvere e strinse i pugni fino a farne sbiancare le nocche.
Vide Hinata giungere in cima di fronte a lui, chinare il capo come saluto e accettare la mano che le porgeva invitandola a seguirlo. La osservò procedere lentamente e con grazie al suo fianco e adempiere ai tediosi convenevoli del caso.
Non appena furono abbastanza lontani da poter alzarsi senza recare offesa al loro illustre ospite, fece cenno ai suoi uomini di portare i cavalli nelle stalle e di portare i bagagli della Padrona nelle stanze a lei assegnate.
Mentre dava le varie disposizioni e si informava circa le abitudini della Casa, non poté vedere Hinata voltarsi e cercare la sua figura nella corte del palazzo.
Soltanto una vecchia servitrice scorse quella giovane Signora volgere uno sguardo troppo intenso per essere casuale, verso il giovane che era giunto al suo fianco alle porte del palazzo, ma continuò a seguire a capo chino il gruppo di nobili che avevano accolto la nobile ospite.
Quella sera aiutò la fanciulla a prepararsi per la notte e rimase molto colpita dalla dolcezza e cortesia con cui si rivolgeva a lei, una vecchia servitrice, augurandole persino un sereno riposo. La lasciò mentre seduto nel suo futon osservava il giardino immerso nella quiete notturna attraverso le shojo aperte: le aveva chiesto di non chiuderle.
Quando tornò verso gli alloggi della servitù rivide il giovane guerriero che aveva portato la Signora a palazzo: se ne stava in piedi nel corridoio, volgendo anche lui lo sguardo verso il giardino. Si accorse subito della sua presenza e le rivolse un leggero cenno di saluto col capo a cui lei rispose con un inchino. Non aveva mai visto uno sguardo così.
Passando oltre, alle spalle dell’uomo, sbirciò laddove costui teneva tanto ostinatamente puntato lo sguardo, e là si intravedeva una stanza, ammobiliata semplicemente ma con eleganza, dove una dama stava seduta compostamente nel suo futon estivo, con i capelli sciolti e indossando un chimono bianco.   
 
Angolo dell’autrice^^
Ciao cari/e!!  scusate la lentezza nell’aggiornare,ma quella cosa obbrobriosa che è la scuola purtroppo ha dovuto avere la precedenza…T_T   Non sono particolarmente entusiasta del capitolo, anzi in realtà lo trovo bruttino, ma tenevo a inserire questa scena dell’arrivo al castello perché mi dava l’opportunità di parlare un po’ anche del mio caro Neji*.*
Non sono soddisfatta come dicevo della resa, mi sembra- come dire- poco incisiva…sigh! Cercherò di migliorare nei cappy futuri,  promesso!!!!!!T____________T
Per questa volta ho provato ha usare i personaggi come narratori interni indiretti, ditemi se trovate che sia un valore aggiunto alla storia o una limitazione, e soprattutto ditemi: Neji non è OOC, vero?????ç.ç
Non so se si è capito(- _ -‘’) ma sono un po’ terrorizzata dall’eventualità di cambiare anche solo minimamente colui che ai miei occhi è la perfezione…hihixP
Per Hinata invece so che è quasi inevitabile…chiedo umilmente perdono ai suoi fan…gommeeee!!! -///-
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, chi mi ha messa nelle storie seguite e chi nelle preferite, e un ringraziamento super speciale a chi mi ha recensito, cioè wustelallagriglia, mente libera, e Kagome_!!!
Un bacio
boby
 
 
 
 
   
 
 
  

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


 
L’abitudine

 
La prima giornata a Palazzo era stata impegnativa, ma non quanto si aspettava, non quanto lo era ogni giorno nella sua Villa. Era stato quasi piacevole trovarsi in situazioni diverse, dover affrontare difficoltà diverse senza il peso di implacabili occhi su di lei.
I convenevoli verso i nobili della corte in qualche modo la divertivano. Ufficialmente la sua visita era semplicemente un omaggio al principe Hirohito in quanto alleato degli Hyuga, ma la questione del matrimonio era già in effetti di dominio pubblico e i cortigiani stavano preparando il terreno con la loro nuova futura padrona.
Vedeva sfilare davanti a lei uomini impettiti, donne dalle acconciature impeccabili e dalle vesti opulente e sapeva bene che il contrasto con la sobrietà del suo aspetto era stridente, ma lei era una Hyuga, la Capostipite, e anche il suo aspetto sembrava ribadirlo al mondo intero e a lei stessa.
L’anziana servitrice che le era stata assegnata le faceva una grande tenerezza con quell’atteggiamento timidamente ossequioso e quel modo di volgere lo sguardo altrove non appena la coglieva a osservarla di nascosto: certo doveva apparirle così diversa da tutte le dame che aveva servito fino a quel momento.
Quella sera sarebbe stata l’ultima e poi sarebbe tornata a Konoha in attesa della visita di Hirohito per la proposta di matrimonio e poi la cerimonia stessa che si sarebbe tenuta ,come da tradizione, a Villa Hyuga. Era tutto pronto.
Quella sera ci sarebbe stato un banchetto di commiato in suo onore: l’affare era concluso, i termini stabiliti, lei era la merce di scambio.
 
 
 
Quella sera sarebbe stata l’ultima. Ormai gli ingranaggi erano avviati e gli eventi avrebbero seguito il loro corso, così come il Destino aveva deciso. Quella sera l’avrebbe vista per la prima volta da più di tre giorni, seduta accanto a lui, leggiadra ed elegante, attorniata da nugoli di cortigiane opulenti e starnazzanti, con le loro risatine isteriche dietro i variopinti ventagli.
Una visione che lo rendeva indeciso tra il disgusto e l’ilarità. Erano così patetiche. Ovunque andasse si sentiva oggetto di sguardi sguaiati e rapaci. Quante volte lo avevano avvicinato con scuse banali ricoprendolo di complimenti insulsi? Quante volte avevano elogiato le sue presunte virtù? La sua supposta fedeltà? La sua ‘indiscutibile’ nobiltà? Quante?
Sì, decisamente propendeva per il disgusto. Aveva chiesto di potersi allenare con i suoi uomini nel cortile di ingresso secondario e non appena la voce si era sparsa quella che per lui era una abitudine e una necessità  si era trasformato nel divertimento mattutino di quegli annoiati e viziati cortigiani.
Le risatine isteriche delle donnette scandivano ogni suo gesto e urtavano violentemente i suoi nervi tanto che nemmeno le sedute di meditazione riuscivano a rilassarlo del tutto. Ma il Clan Hyuga esercitava la pazienza come se fosse una tecnica jujitsu e dunque lui pazientava … per lei.
Quella sera l’avrebbe rivista dopo più di tre giorni. Aveva sentito alcune cameriere che camminando nei corridoi: dicevano che la Signora avrebbe indossato l’abito che Hirohito-sama le aveva donato al suo arrivo per onorarlo durante il banchetto di commiato. Le aveva avvicinate con cortesia e aveva sorriso loro domandandogli cosa sapessero sulla sua Padrona. Le giovani non si erano nemmeno chieste come mai lui chiedesse loro riguardo la sua Signora e avevano risposto arrossendo dolcemente.
Le aveva ringraziate e si era allontanato con un leggero inchino. Le aveva sentite ridere piano imbarazzate e lusingate mentre se ne andavano corricchiando lungo i corridoi. Neji pensò che in quella casa persino le cameriere avevano più contegno di quelle sguaiate cortigiane.
Tornando nella stanza che gli era stata assegnata cercò di non pensare ad Hinata-sama, di non immaginarla avvolta nelle stoffe che le aveva donato lui … poi si rassegnò: di sicuro sarebbe stata magnifica anche con addosso quelle pesanti stoffe così appariscenti … bella come una magnolia a maggio.
 
 
 
Aveva caldo. La stoffa di quell’elegante kimono era troppo pesante per la stagione e le torce poste ad illuminare la tavola erano troppo vicine agli ospiti … avrebbe dovuto prendere con sé il suo ventaglio. Questo pensava Hinata mentre continuava a conversare amabilmente e sorridere ai suoi commensali, seduta a fianco dell’uomo che sarebbe diventato suo marito.
Il caldo del braciere la stava sfinendo ma sarebbe stato estremamente scortese farlo notare, e del resto ci si sarebbe aspettato che essendo lei l’ospite d’onore si dimostrasse più attenzione alle sue esigenze … se ci fosse stato Neji non avrebbe mai permesso una simile sconsideratez- … ma cosa stava dicendo? Neji non c’era quella sera, come non c’era stato il giorno prima durante i colloqui con i notabili di corte e come non c’era stato nemmeno il giorno prima durante ancora la passeggiata con la famiglia di Hirohito…Neji non c’era.
 
 
 
Aveva caldo . La stoffa di quell’elegante kimono era troppo pesante per la stagione e le torce poste ad illuminare la tavola erano troppo vicine agli ospiti … avrebbe dovuto prendere con sé il suo ventaglio. Questo pensava Neji mentre nascosto dietro una possente colonna lignea osservava Hinata-sama conversare amabilmente e sorridere ai suoi commensali, seduta a fianco dell’uomo che sarebbe diventato suo marito.
Vedeva leggere gocce di sudore imperlare la fronte diafana e intaccare la perfezione dei capelli, oramai umidi e scomposti e le gote di lei innaturalmente rosee: indubbiamente si stava trattenendo dal palesare il suo disagio per non offendere il suo ospite, e comunque essendo la sua Signora l’ospite d’onore ci si sarebbe aspettati più attenzione nei suoi confronti.
 Se ci fosse stato lui non avrebbe mai  permesso una simile sconsideratezza … ma lui non c’era, anche se la osservava nell’ombra di quella colonna, non c’era il giorno prima durante i colloqui con i notabili di corte, anche se aveva ascoltato ogni colloquio e bevuto ogni parola dietro le shojo leggere usate dalla servitù, e come non c’era stato il giorno prima ancora durante la passeggiata con famiglia di Hirohito-sama, anche se aveva sostituito di nascosto una guardia della scorta a loro assegnata pagandola per il suo silenzio e se aveva camminato sempre al fianco della sua Signora, in silenzio … lui non c’era.
 
 
Angolo dell’autrice:
salve a tutti/ tutte fanciulle^^
subito imploro perdono per l’attesa…sono una lumaca con la sindrome bradi pesca quando si tratta di scrivere…T_____________T
in principio il capitolo doveva essere più lungo, ma poi impietosita dai miei poveri lettori in attesa del seguito ho deciso di mantenere la stessa lunghezza del cappy pecedente, per rendere la storia più organica^^
bene, dopo questa comunicazione di servizio passo a ringraziare tutti quelli che mi hanno recensita: Kagome_, wusterallagriglia, Mente libera e La Pessimista Cosmica…grazie millissime!!!!!!!!!!!!!!!!*.*
poi chi mi ha messa nelle ‘preferite’: Linuccia_91, e chi nelle ‘seguite’: BON, maryellen, kagome_ e wusterallagriglia…grazieeeeeeeeeeeee^^
ora vi saluto e vi anticipo che finalmente nel prossimo cappy, cascasse il mondo, metterò una scena almeno da rating gialloU_U per qualcosa di più dovrete pazientare…sapete gli Hyuga tendono a essere lentini in queste cose…per nostra sfortuna!!!*boby in versione fan girl ossessiva-compulsiva *
ciao a tutti, al prossimo capitolo!!^O^ 

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


La virtù

 
È notte e all’interno del Palazzo si sta consumando il banchetto di commiato in onore della nobile ninja che sposerà Hirohito-sama.
Fuori dalle mura del Palazzo giungono ovattati gli eco di chiacchiere, risate, musica e cozzare di porcellane appena sovrastate dal frinire dei grilli. L’aria freme e persino la Notte sembra trattenere il respiro.
Acquattati nell’ombra quattro uomini confabulano tesi e all’erta. Hanno abiti vecchi e logori, la pelle scura bruciata dal Sole e gli sguardi stanchi di chi agogna un riposo diverso dal sonno. nelle mani rovinate e callose impugnano armi rudimentali e lanciano verso il palazzo sguardi da lupi famelici.
Sta per avere inizio, con la benedizione della luce della Luna Piena.
 
Più lontano, nel villaggio adiacente al Palazzo, in una capanna malandata un bambino se ne sta  in un angolo, le ginocchia strette al petto e il capo nascosto, stringe forte gli occhi e prega con tutto il cuore di aver preso i Kami perché donino al mondo una notte senza sangue.
Un mattina Kon si è svegliato prima del solito, ma il caldo che in quei giorni cominciava a farsi sentire lo ha fatto desistere dal rimanere a crogiolarsi nel suo futon. Il piccolo si era diretto alla latrina , ma una volta giunto lì aveva udito delle voci e si era incuriosito: gli uomini nel villaggio si alzavano tutti prima dell’alba per andare nei campi ed era strano che a quell’ora fossero ancora lì a confabulare. Tese le orecchie e si mise in ascolto curioso e divertito. Più tardi avrebbe riferito ai suoi amici quello che aveva sentito e si sarebbero fatti qualche risata.
Il sorriso che aveva fatto capolino sul suo volto di bambino davanti alla prospettiva di quella burla innocente aveva ben presto lasciato posto al terrore mano a mano che la sua consapevolezza del  significato di quelle parole cresceva: corse via, lontano dalle case, verso il pozzo, e poi ancora sulla strada fino al boschetto dove si andava a raccogliere la legna da ardere.
Nascosto dietro un cespuglio tramante fissava il vuoto: non avrebbe dovuto sentire quelle parole, non avrebbe dovuto essere così curioso e malizioso! I Kami lo stavano punendo per il suo essere un fannullone proprio come diceva sempre obachan …
Kon rimase rannicchiato a lungo dietro al cespuglio, ripensando al giorno in cui con i suoi amici era andato al Castello del Signore, di nascosto, per vedere l’arrivo della Dama Ninjia: non avevano scorto molto e gli altri  erano tornati al villaggio delusi, ma lui l’aveva visto: procedeva altero in groppa alla sua giumenta bruna, e appariva elegante anche nella livrea modesta dei servitori. Al fianco gli pendeva una katana cerimoniale a testimoniare la sua posizione sociale elevata, ma persino quell’oggetto prezioso sfumava in bellezza se paragonato alla seta che erano i suoi capelli: quando aveva incrociato i suoi occhi aveva creduto che volesse strappargli l’anima.
Il magnifico cavaliere si era avvicinato alla portantina e aveva sussurrato con gli occhi bassi qualche parola alla sua padrona, prima di entrare nel cortile, così lui aveva potuto intravedere il profilo di quella donna. Non sapeva perché ma gli aveva ricordato una bambola di porcellana.
Ripensando a quel giorno le parole dei contadini tornarono a vorticagli in testa: quella notte … di nascosto … il banchetto … fargliela pagare …
Volevano uccidere la Signora.
Kon si era alzato e aveva cominciato a correre all’impazzata, era arrivato all’ingresso del palazzo e era entrato nel cortile che portava all’alloggio della servitù: doveva dirlo a obachan!
-Kon, disgraziato cosa fai qui? Perché non sei a casa a badare alle bestie?-
Il ragazzino si era gettato tra le braccia della vecchia e affondando il volto nel seno prosperoso aveva pianto, poi aveva raccontato tutto a obachan che ascoltava con gli occhi sbarrati e continuava a chiedergli se fosse sicuro di quello che diceva. Alla fine la vecchia lo aveva preso per mano e lo aveva condotto per i corridoi quasi correndo per quanto glielo permettevano l’età e lo sgomento.
Alla fine erano giunti davanti a una stanza, obachan gli aveva messo le mani sulle spalle e aveva detto:
-Va tutto bene, figliolo. Ricorda solo di essere rispettoso.-
Kon non aveva annuito. Poi obachan aveva aperto le shojo: davanti a loro, seduto contro una colonna se ne stava il Cavaliere di quel giorno e di nuovo incontrando i suoi occhi Kon si chiese se non avessero rubato la loro luce alla Luna.
Ricorderà per sempre lo sguardo di Neji-sama non appena riuscì a finire di raccontare quello che aveva udito dai suoi compaesani:  non aveva mai avuto così tanta paura. Poi l’uomo si era alzato porgendo un breve inchino a obachan dopo avergli intimato il silenzio. Mentre gli passava accanto gli aveva sfiorato i capelli quasi distrattamente: -Bravo.- aveva detto in un sussurro.
Poi era uscito, lasciando dietro di sé solo un leggero aroma come di bosco e abeti.
Kon si era sfiorato i capelli lì dove li aveva smossi lui: mentre parlava nemmeno una volta gli aveva chiesto se era sicuro.
 
 
Neji scrutava i volti dei nobili seduti ai tavoli con un vago senso di disappunto nel constatare la loro grettezza e vacuità: aveva mandato una giovane cameriera a prendere il ventaglio di Hinanta-sama nella sua stanza e fatto cenno ai servitori perché allontanassero il necessario le lanterne dalle sua Signora. Con non poco fastidio aveva fermato un cameriere che stava per servire del sakè alla sua Padrona: Hinata-sama  non sorbiva mai alcool, solo the e che fosse adeguatamente infuso.
L’incompetenza era una di quelle poche cose che riusciva a infastidire davvero il giovane Cadetto.
Da dietro una colonna colse il gesto di uno dei suoi uomini; fino a quel momento non vi erano stati movimenti sospetti, ma la notte era ancora giovane e temeva le parole del ragazzino: un attentato sarebbe stato davvero una pessima conclusione per quel viaggio.
Avrebbe potuto essere una burla certo, ma lo sguardo di quel ragazzo … non mentiva ed era spaventato. Verità e Paura sono messaggeri del Destino.
Lo aveva riconosciuto: faceva parte di quel gruppo di marmocchi che al loro arrivo avevano tentato di cogliere il volto di Hinata-sama, ma davanti alla tenda della portantina erano rimasti delusi, solo lui si era attardato e ne aveva incrociato lo sguardo: i suoi occhi gli avevano ricordato quelli di un gatto.
Prima di tonare a vegliare sul banchetto di quegli idioti che osavano sedere alla stessa tavola della sua Signora volse un ultimo sguardo alla Luna, e come  una preghiera chiese ai Kami una notte senza sangue …
 
 
Angolo dell’autrice:
Miei  beloved  lettori, avete presente quella cosa del rating giallo? Beh, ero stata troppo ottimista -.-“
No non disperate, ci sarà, lo giuro, ma per ora vi farò attendere…gomenasai…(T_T)
Questo capitolo sarà probabilmente(macchè probabilmente SICURAMENTE-.-“) noioso per voi da leggere, però portate pazienza!! Ho introdotto un nuovo personaggio che nel suo piccolo farà grandi cose^^
Hinata stavolta non ha parlato per niente, però vedrete che nel prossimo capitolo si riscatterà e finalmente la vedremo in versione capostipite!! Muahahahahahaha!!!
…oh, no!! Ho spoilerato!!! O_O”
E va beh!:P  Vi prego non abbandonatemi, continuate a seguirmi e …PER FAVORE  RECENSITE!!! T_T
Ringrazio tutti quelli che hanno letto silenziosamente, che hanno recensito*.*, e quelli che hanno messo nelle seguite e nelle preferite questa storia^3^!!!
Alla prossima(please…ç.ç)
Baci,
boby
 
  

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


La forza




Hirohito, Signore del Palazzo del Paese del Fulmine osservava compiaciuto i suoi ospiti, riuniti intorno a lui a banchetto: la sua corte come uno scrigno era colma di perle e la più fulgida risplendeva magnifica al suo fianco: Hinata Hyuga, Capostipite del Clan Hyuga del Villaggio della Foglia. Quella donna raffinata e discreta sarebbe divenuta la sua sposa … se solo pensava che suo padre aveva tentato di stroncare la sua vita ancora in boccio il cuore gli doleva. Davvero otu-sama credeva che quella gemma fosse un pericolo? Davvero quelle mani di seta potevano impugnare un arma, formare un sigillo? Quella creatura profumava di incenso e rugiada, la battaglia era così lontana dallo scalfirne lo splendore.
Quasi a risposta alle sue domande un ombra catturò la sua attenzione da dietro una colonna. Hirohito, nel suo palazzo, al suo banchetto trattenne il fiato: da dietro una colonna lignea lo guardava Neji Hyuga. Pur nella luce rossastra delle lampade quell’uomo appariva abbagliante nel suo kimono bianco da battaglia – che strano abbigliamento per  il desinare. Possedeva lo stesso fascino mistico della sua ospite, la stessa promessa di morte sublime. Era questa promessa elegante che temeva otu-sama?
Quell’uomo era giunto a capo della scorta di Hinata-san e lo aveva da subito impressionato: sembrava che la sua sola presenza bastasse a mutare l’atmosfera intorno a lui - a un suo minimo movimento i suoi uomini erano pronti a dispensare morte o clemenza. Lo aveva osservato, studiandolo come un rivale, invidiando ogni cenno d’intesa e ogni sguardo di approvazione che Hinata-san gli aveva elargito … aveva invidiato perfino il disappunto che le aveva procurato l’assenza di quell’uomo possente.
Sì, possente. Aveva un fisico esile, prestante … intrigante, eppure appariva un gigante pronto a schiacciare il mondo sotto un piede con indifferenza, sufficienza … eleganza. Come un affascinate attore del Teatro No*.
Anche ora lo guardava intensamente, come se avesse voluto ammonirlo: quello era il suo territorio, ma non era lui il dominatore, non in quel momento. Quello Hyuga insolente rivendicava un potere non suo senza vergogna proprio nella sera che sanciva – tacitamente- l’accordo con Hianta-san. Avrebbe dovuto indignarsi, allontanarlo dalla tavola, ma sapeva che doveva aspettare.
 Quella notte c’era in gioco molto più che il suo orgoglio di Principe. Quando quel pomeriggio aveva ricevuto in udienza lo Hyuga le sue parole lo avevano sconvolto :  chi poteva voler attentare alla vita di Hinata-san?
 Non gli restava che aspettare che il folle si palesasse, lui in ogni caso non poteva fare nulla. Non invidiava quello stolto che aveva deciso di gettare la vita al vento con quell’azione  abominevole. Lo aveva letto negli occhi di quell’impassibile ninjia, mentre la rabbia vorticava nelle sue iridi cangianti … quel pazzo era già morto.
 
Hinata si guardava intorno con discrezione. Aveva scorto la disposizione degli uomini di Neji-san intorno al convivio, pronti ,sembrava a un agguato. Aveva passato in rassegna ogni volto e ogni espressione:all’erta. Nulla più. Neji-san li aveva addestrati troppo bene. Ma lui dov’era?
Aveva creduto-temuto- che non ci fosse, ma poi le era stato portato il ventaglio, le torce erano state riposizionate, il sakè usuale sostituito con il the. Era lui, poteva vederlo in ogni gesto, in ogni sfumatura della loro vita racchiusa dietro quelle cure, quelle attenzioni. Dov’era?
 
Uomini spaventati e segnati avanzavano nell’ombra, cercando riparo dietro il mantello della notte: la Luna piena loro nemica li spiava curiosa. Gli attrezzi che brandivano come armi erano quelli con cui per tutta la vita avevano coltivato quella terra ostile per un signore vanesio e irresponsabile. Erano tremanti e disorganizzati –certo- ma risoluti nel loro destino: chi conosce la terra lo sa, dalla morte nasce la vita. Si avvicinano furtiva ma goffi e non sanno che sono già stati scoperti, che una sentinella dalla pagoda centrale li ha scorti molto tempo prima che varcassero le mura del Castello Superiore. I ninja di Konoha li osservano e sanno che nello stesso momento altri occhi stanno scrutando la stessa avvilente scena, occhi nascosti dietro una colonna durante il banchetto della loro Padrona.
 
Neji con il Byakugan può distinguere con facilità i flussi di chakra in tutti gli esseri viventi per un raggio di quasi 20 km, a 360°. Può stimare rapidamente e con precisione assoluta numero e portata di qualsiasi attacco, può con un solo sguardo censire la popolazione di volatili di un bosco. Neji con il Byuakugan poteva distinguere chiaramente le rughe profonde sui volti di quegli uomini emaciati, l’affanno dei respiri, il tremore della mani a reggere rudimentali strumenti di coltura: quelli non erano assassini. Neji non aveva certo bisogni del Byakugan per riconoscere l’ombra della disperazione che aleggiava rapace sulle quelle schiene piegate dalla fatica. La conosceva, l’aveva provata in un passato che gli sembrava sempre più estraneo e lontano. Diede l’ordine ed era già tutto finito.
 
Hirohito attendeva il segnale di Neji Hyuga per porre fine a quell’odiosa faccenda e il suo sguardo che vagava compiaciuto tornava sempre, quasi febbrile, a posarsi sulla giovane al suo fianco. Era bellissima, composta, ma assente. Lo sapeva che stava cercando lui tra quei volti arrossati dal sakè che lei non aveva nemmeno sfiorato. Sorseggiava posata del the che le era stato portato da una cameriera quasi di soppiatto, come se quella piccola tazzina di fine porcellana nascondesse chissà quale messaggio.
In un istante si ritrovò a fissare di nuovo quella colonna, dietro alla quale il canee da guardia degli Hyuga aveva presieduto alla serata, con quell’insopportabile cipiglio severo e arrogante a un tempo, ma ora non c’era più.
Una disgustosa sensazione di soddisfazione lo pervase appena realizzò che per quanto lei l’avesse cercato non l’avrebbe trovato. Sapeva di essere patetico, si sentiva patetico nella sua gratta gelosia. Tornò a fissare la ceramica elegante in cui una solerte servitrice mesceva il sakè tiepido con dovizia per lui e riprese la sua calma attesa, attesa che quell’uomo dagli occhi di Luna consumasse la sua vendetta.
 
Neji fissava gli uomini sporchi e spaventati legati ai suoi piedi: c’era una procedura molto semplice da adottare in casi come quelli, una procedura che lui conosceva alla perfezione. Non erano soldati quelli di fronte a lui, erano più semplicemente disperati allo sbaraglio, e dunque la possibilità che dietro di loro vi fosse un marionettista con un piano più grande non era da escludere. Il procedimento più adatto in quel momento era indubbiamente l’interrogatorio separato: identificare il più debole del gruppo e ottenere più informazione possibile … anche con la tortura se necessario.
Continuò a osservare quelle creature consumate dalla vita sondandone le reazioni: nulla, la più assoluta apatia. Neji era profondamente frustrato. Aveva sperato in una lotta che gli desse soddisfazione, per sfogare la rabbia e l’indignazione per l’affronto subito da Hinata-sama alla corte del suo patetico ospite, ma quelli che cosa avrebbero potuto dargli? Si specchiava nei loro occhi e vedeva chiaramente cosa fosse in quel momento. Un carnefice. Non c’erano marionettisti dietro quelle membra stanche. Nessun complotto.
-Cosa volete dalla mia Padrona?-
 
Quella voce profonda penetrò fin nelle viscere dei contadini catturati, e l’apatia in cui erano calati sembrò incrinarsi. Alcuni alzarono lo sguardo, altri strinsero i pugni. Infine uno parlò.
-Giustizia. Riscatto. Forse solo soddisfazione … o forse volevamo solo morire.-
L’uomo dagli occhi di Luna parlò di nuovo loro.
-Chi siete?-
-Uomini .- lo sguardo di chi rispose era quasi divertito dall’ironia della sua stessa risposta – ma in fondo nemmeno tanto diversi da bestie … viviamo nel villaggio.-
Il ninja si chinò fino a portare il suo sguardo alla loro altezza … si mise allo loro altezza.
-Raccontami la tua storia, vecchio.-
 
Hirohito non percepì nulla di strano fino all’ultimo. Il silenzio fu l’araldo scelto dallo Hyuga. Gli si materializzò davanti come la nebbia in Autunno, mentre avvicinava il sakè alle labbra. Non ebbe il coraggio di sorbirlo. Il kimono candido sembrava animato da un misterioso e impercettibile chiarore, mentre la brezza leggera della notte turbava la perfetta compostezza della chioma scura dell’uomo di fronte a lui.
Non gli fu rivolto alcun segno di rispetto: il ninja non si inchinò davanti a lui. Nei suoi occhi la stessa furia di quel pomeriggio, una sete si sangue mai placata. Che diavolo voleva?!
-Hirihito-sama-  disse e il suo nome parve un insulto pronunciato da quelle labbra – questa notte un gruppo di vostri sudditi ha attentato alla vita di Hinata-sama, signora della Casata degli Hyuga di Konoha. Io in quanto erede della Casata Cadetta al servizio di Hinata-sama rivendico il diritto di giudizio su tali uomini al tuo cospetto.-
Detto questo si fece da parte per mostrargli un gruppo di creature che definire uomini lo ripugnava e a cui in uno sguardo espresse tutto il suo disprezzo.
-Concesso.- disse.
Neji Hyuga continuò: - In qualità di giudice su questi uomini io dichiaro con diritto la loro non-responsabilità per i fatti della notte in questione. Sono dunque liberi.-
Silenzio. Sembrava che la consapevolezza di quelle parole non volesse raggiungere la coscienza dei presenti.
-Come?!- l’urlo di Hirohito attraversò l’aria ferendo il manto dell’oscurità.
 
Neji aveva sopportato, aveva represso la sua rabbia fino a quel momento e solo per un istante aveva fatto trapelare il disgusto, l’indignazione, solo nell’istante in cui aveva incontrato gli occhi di Hinata-sama. Ma ora, ora avrebbe dimenticato chi era e cosa doveva fare, ora lo avrebbe punito quel verme senza cervello.
Sentì il chakra ribollirgli nelle vene, i muscoli tendersi e l’eccitazione oscena della battaglia pervaderlo. Il Byakugan attivato gli permetteva di cogliere tutto il mondo intorno a lui. Fu un istante, scattò in avanti e poté vedere la paura negli occhi di Hirohito.
-Sei morto … -
 
Vide la mano protendersi e le dita diafane chiudersi intorno al collo sudaticcio del Signore, vide i lineamenti di Neji deturpati dalla rabbia e percepì la forza devastante del chakra del più forte degli Hyuga. Lasciò cadere la tazza e immaginò il the versasi sul legno lucido.
-Neji!! – tuonò.
 
 
 
Angolo dell’autrice


O_O kami-sama!! Miei adorati lettori mi sono appena resa conto di un errore nel Capitolo Secondo!! Come ho potuto!! Mi ero bevuto un pezzo di frase!! Gomena sai!!!!!!!!!!!!! T______________T
A parte questo torniamo al nuovo capitolo!!^_^
Sinceramente non sono proprio soddisfatta di questo capitolo…bah…non mi convince…sarà colpa di HirohitoU_U  no seriamente mi sembra fiacco…comunque ho cercato di allungarlo perché qualcuno mi minaccia di bandierine arancioni…T_T (ebbene sì, mi riferisco a te Falsa Dea Molto Adorata, visto che brava?? Mi sono impegnata per te*.*) comunque spero di sbagliarmi e di aver prodotto qualcosa che possa piacervi…scusate la mia incompetenza…(_  _)”
Allora…dunque…ok, lo so che vi aspettavate magari un po’ più di azione, un po’ di sangue…vi capisco, li volevo anch’ioU_U tuttavia non ci sono…per ora!! *boby ride sommessamente con sguardo maligno*
La verità è che mi sono resa conto che tutto il tono della storia verteva sulla pacatezza e il controllo delle emozioni esercitato dagli Hyuga su se stessi, e quindi io cosa ho fatto?? Ma li ho fatti perdere il controllo ovviamenteU_U muahahahahaha!! Sono sadicaxDDD
A parte le idiozie-////- la verità è che mi piaceva trattare la vicenda in modo più verosimile, meno ninja insomma , proiettando il fantomatico attentato in una realtà di indigenza e insoddisfazione che caratterizzava tutte le comunità di persone ‘comuni’ attorno allo sfarzo dei palazzi U_U(perdonami kishi-sensei!! ç.ç) spero mi perdonerete…T_T
Comunque! Effettivamente questo episodio creerà una svolta!! Neji ha perso il controllo, Hinata interviene per salvare Hirohito ma ormai il danno è fatto!! Che en sarà del matrimonio? E il nostro Neji che ripercussioni subirà per il suo affronto?? Mi sento come i declaimer post telefilm pomeridiano-.-“
Anyway!! Continuate a seguirmi e recensirmi (per piacere ç.ç) aspetto con ansia di sapere cosa ne pensate!!^_^
Ringrazio intanto le 8 persone che hanno inserito tra le seguite, le 3 nelle preferite e l’1 nelle ricordate!! Vi adoro profondamente!!! ^O^
Inoltre ringrazio tutti coloro che hanno recensito lo scorso cappy!! Falsa Dea Molto Adorata, Kagome_, La Pessimista Cosmica, Kiki Faeries Chibi, Mrs_Depp, Mente Libera e wusterallagriglia!!!! A voi un bacione speciale (ebbene si faccio favoritismi, che vi stupite?? Siamo in Italia U_U)

Alla prossima^_^

Bacio

boby
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


L’ubbidienza
 
 
 
 
 
Vide la mano fermasi a un soffio dalla gola, le dita adunche e tremanti per la tensione di quel gesto, le portate rovesciate sul tavolo e i cibi sparsi che macchiavano il kimono bianchissimo di quella creatura che era Neji-san in quel momento. La guardava con il Byakugan ancora attivato, lo sguardo confuso e implorante come mai avrebbe creduto di scorgerlo. Non vacillò e rimase in piedi fissandolo impassibile- proprio come lui le aveva insegnato ad essere.
-Hirohito-sama, avete ceduto al mio onorevole cugino il diritto su quegli uomini davanti alla corte qui riunita a banchetto, come osate ora minare la sua autorità al mio cospetto?-
Le parole di Hinata, il suo tono calmo e il timbro misurato stupirono lei per prima, come ogni volta in cui si riscopriva capace di simile autorità. Si sentiva estranea a se stessa e in quell’istante aveva anche paura, un sordo timore che rendeva i suoni intorno a lei –sussurri sconcertati, oggetti in bilico finiti in frantumi e calpestati- ovattati e lontani, disorientandola. Aveva paura degli occhi di Neji-san …
Mai il principe Hirohito le era sembrato tanto piccolo e insignificante, tanto orribilmente patetico, come in quel momento mentre, scomposto, giaceva a terra inerme e terrorizzato, la pelle resa lucida dal sudore, lo sguardo vacuo per il sakè bevuto e per l’angoscia e la bocca oscenamente aperta a scoprire denti sottili e opachi mentre il respiro ansante rendeva tutta la sua figura ancora più infima.
Le faceva pena, in realtà, ma provava anche fastidio al suo cospetto, né riusciva più a richiamare a sé quella cortese indifferenza che aveva eretto a scudo e protezione tra loro; scudo a lei dalla sua inettitudine, protezione a lui dal suo disprezzo. Il suo futuro sposo … ancora un istante e Neji-san gli avrebbe senza sforzo  squarciato la gola con le sue mani sottili ed eleganti, recidendo la carotide e mettendo fine al fastidioso e concitato alzarsi e abbassarsi del petto di quell’uomo … quell’uomo.
Ma era davvero un uomo quello? Sembrava più un topo, una piccola creatura dal corpo sgraziato che giaceva contorcendosi sotto gli artigli del magnifico predatore sopra di lui. Persino nel mezzo della follia, dell’eccitazione dello scontro, mai lui aveva perso compostezza ed eleganza. Era scattato con un potente colpo di reni, era atterrato deciso di fronte al suo obiettivo e stava per colpire, senza esitazioni, senza sbavature: perfetto. Crudele.
La sua domanda aleggiava ancora nell’aria ma né Hirohito né altri sembravano in grado di risponderle. Riprese a parlare.
-Neji-san vieni qui, te ne prego.-
Aveva dato un ordine diretto, non aveva alcun dubbio che sarebbe stato eseguito. Eppure si sbagliava. Lui era ancora lì.
-Neji-san- ripeté, la voce minacciò di incrinarsi – ho detto di venire qui.-
Ma lui non si muoveva. Non voleva. Hinata vedeva i suoi muscoli tremare, mentre il raziocino e i desideri cozzavano in uno scontro tra titani nel suo animo. Avrebbe davvero disobbedito alla Capostipite? Avrebbe disobbedito a lei?
Un lamento tremendo e bestiale,  basso e indefinibile proruppe dalla gola di Neji e sfuggì alle labbra, strette tanto da aver assunto un colore violaceo. Si alzò e fece qualche passo verso la sua Signora, ma senza mai alzare il volto da terra. Quando si inginocchiò al suo fianco il movimento fu così fluido, così veloce e urgente, che parve più l’accasciarsi di una bestia sfinita. Era una supplica di perdono.
Hinata infine riuscì a incontrare il suo sguardo, e fu allora che temette che la sua maschera cadesse, come cera che si scioglie sotto i raggi di un sole troppo caldo, perché quegli occhi che credeva di conoscere, che aveva visto ogni giorno per anni, quegli occhi ora erano ardenti e spaventosi, come tizzoni infernali. Aveva paura degli occhi di Neji-san …
Distolse lo sguardo, riprese a parlare.
 
 
-Ebbene Hirohito-sama, non risponde alla mia domanda? Dovrò subire anche questo affronto?-
La voce, gelida e vellutata, che pronunciò queste parole gli parve, per quanto famigliare, così lontana … sentiva sotto le mani la pelle curata pungere e graffiare a contatto con il suolo scabro. Era a terra, confuso e sentiva in gola il cuore pompare concitato, a tratti soffocandolo, mentre il sakè bevuto pulsava dolorosamente contro le sue tempie e il sudore imperlava la pelle anche sotto il kimono.
Aveva creduto di morire. Aveva sentito distintamente il gelo della paura e dell’aspettativa impadronirsi di lui, mentre la mano di Neji Hyuga si tendeva, i suoi occhi ardenti lo incatenavano e le gambe gli cedevano incapaci di sopportare il peso di quella furia, di quell’odio … prima di quel giorno, prima di quegli occhi, non avrebbe nemmeno mai creduto possibile un odio così.
Ora però quella voce lo chiamava, sapeva a chi apparteneva e per questo si forzò a ricomporsi, sollevandosi in ginocchio e deglutendo piano, passandosi una mano sulla pelle sudata del volto.
-Hinata-san, come potete pensare che io voglia recarvi affronto? Non voglio e mai lo farò. Chiedo venia per il mio atto sconsiderato di contestazione, ma … in nome dei Kami ditemi: devo essere io, signore di questo castello e di queste terre, a sopportare l’affronto di essere malmenato impunemente, nelle mura del mio stesso castello, nelle mie stesse terre?-
La voce gli tremava e il tono era tutt’altro che autorevole. A terra, ancora inginocchiato non osava rivolgere lo sguardo a Hinata-san; lo teneva basso, puntato in iridi sconvolgenti. Anche Neji Hyuga, infatti, era inginocchiato a terra, e lo fissava. Lo sguardo non riluceva più di furia omicida, ma l’odio e quello che solo ora riusciva a identificare come disprezzo ancora traboccavano in quell’abisso.
Mentre parlava alcuni servitori erano accorsi, sollevando i tavoli, raccogliendo cibo e frantumi, sollevando lui stesso. Si ritrovò in piedi prima di poter formulare anche solo a stesso quel desiderio. La Signora degli Hyuga davanti a lui non vacillava. Hirohito continuò a parlare, sempre più debole, sempre più insicuro, sempre più vittorioso.
-Mia signora, avete ben udito le mie parole: il vostro congiunto ha attentato alla mia vista dinanzi all’intera Corte. Mi avrebbe ucciso.-
-Se avesse voluto uccidervi state ben certo che l’avrebbe fatto.-
Se aveva creduto di aver riacquistato almeno un po’ di coraggio con quell’ultima frase, pronunciata finalmente a testa alta, senza più i suoi occhi addosso, questo gli venne di nuovo meno al gelo delle parole che la fanciulla davanti a lui gli aveva appena rivolto. Ammutolì davanti a lei e per la prima volta la vide come qualcosa di diverso da un ornamento, un’occasione politica: la vide come un’avversaria e ne fu atterrito.
Ella chinò poi il capo, il volto contratto, prima di parlare ancora.
-Vi ritenete dunque offeso, mio diletto ospite?- chiese.
Hirohito annuì, vigliaccamente, senza riuscire a pronunciare una sola parola.
La vide sospirare: -Molto bene. Come capostipite della Casata non posso lasciare correre un simile episodio. Neji Hyuga sarà punito, come prescrive la nostra legge, secondo le disposizione del Capostipite. Ritenete che questo sia sufficiente Hirohito-sama?-
Era sufficiente? Hirohito non lo sapeva. Non sapeva nulla fuorché ciò che riguardava il suo corpo stanco e spossato,il battito ancora incostante del suo cuore e la sua mente offuscata. Annuì, o almeno dovette averlo fatto pensò. Aveva creduto che potesse essere finita, ma di nuovo li si rivelò l’ingenuità della sua speranza.
 
 
-Ebbene, allora vi sarà data questa soddisfazione, signore, poiché vi ritenete offeso dal mio congiunto, lo punirò. Tuttavia anche voi, intromettendovi nel suo diritto, lo avete offeso e per questo io rivendico, offesa a mia volta, che nel giorno stesso della punizione anche voi rendiate conto al nostro orgoglio con delle pubbliche scuse.-
Quando Neji sentì quelle parole venir pronunciate da Hinata-sama sentì gonfiarsi nel petto, insieme all’angoscia, alla rabbia, alla vergogna anche orgoglio per la sua Padrona. Pubbliche scuse. Avrebbe riscattato la sua inettitudine con l’umiliazione della sua stessa vittima.
Vittima … avrebbe potuto esserlo. Ancora poteva quasi sentire sotto le unghie la consistenza scivolosa di quella pelle unticcia. Ancora intimamente bramava la soddisfazione di prendersi la vita di quell’inetto.
Nessuno è più immeritevole di morte di un pastore negligente, di un re che trascura i suoi sudditi, di un padrone che sfrutta i suoi servitori: non si ripaga la fedeltà con l’oblio. Ognuno di quegli uomini avrebbe potuto essere lui, ognuno di quegli uomini avrebbe potuto essere suo padre.
Rivide la figura fredda e rigida distesa su un futon bianco, il volto coperto da un drappo candido. Riassaporò le lacrime versate e il dolore, rivide il ragazzino che, quella mattina, aveva denunciato l’attentato: i suoi abiti macilenti, le unghie rotte e sporche, gli occhi rossi. Aveva pianto, anche lui.
Aveva agito da sconsiderato? Sì. Aveva messo a rischio il matrimonio e così l’alleanza? Sì. Aveva messo in pericolo il futuro di Hinata-sama?...Sì. Ma lo avrebbe rifatto. Se ci fosse stata anche solo una possibilità di prendersi la vita di quell’inetto che si faceva chiamare Signore di quelle terre. Non è forse da punire il non far nulla come un’altro qualunque un errore? Non è forse da biasimare un uomo che, vedendo la sua famiglia perire, invece che adoperarsi per salvarla se ne allontana, per salvare così solo se stesso?
Lo odiava. Lo odiava come ogni uomo che sia stato schiavo odia il suo aguzzino, come ogni orfano odia l’uomo che lo ha reso tale, lo odiava. Solo in un’altra occasione aveva perso così il controllo, ed allora era solo un ragazzino presuntuoso e arrabbiato. Lo ricordava bene, quell’esame di selezione dei chunin, quando aveva affrontato lei, Hinata-sama: l’aveva quasi uccisa.
Anche stavolta, come allora lo aveva fermato. No, nemmeno quella volta erano state le braccia di Gai-sensei o di Kakashi-sensei a frenare quell’ultimo colpo, come quella notte non era stata la sua voce: erano stati i suoi occhi, la sua vita.
E ora proprio lui che aveva giurato di servirla per sempre, in quel lontano giorno d’inverno, ghiaccio e neve, l’aveva così profondamente delusa. Meritava una punizione, meritava la punizione. Aveva un solo rimpianto: di nuovo, anche la sua espiazione l’avrebbe fatta soffrire.
Non faceva altro che provocarle dolore. Lui era dolore.
 
 
La vecchia servitrice guardava la scena da lontano, nascosta dalle ombre del palazzo, trattenendo il fiato e le lacrime. Era solo una vecchia semplice e nella sua vita aveva più volte dovuto piegare il capo e subire le umiliazioni più varie in silenzio, aveva custodito i segreti più osceni e assecondato le richieste più indicibili.
La famiglia che aveva sempre servito aveva prodotto uomini forti e crudeli o deboli e inetti. Quella terra doveva essere condannata da una maledizione a non conoscere mai un signore degno della fedeltà della sua gente; questo si era detta, rassegnata alla sua sorte. Fino a quella sera.
Quando una delle sentinelle della giovane Signora era venuto a chiamarla sin nelle stanze delle donne aveva avuto paura, paura che ciò che aveva detto Kon si fosse rivelato sbagliato e che volessero punirla, o peggio, che volessero il bambino.
Aveva seguito mesta la guardia e aveva raggiunto uno dei tanti cortili minori. Lì aveva visto lui.
Se ne stava in ginocchio di fronte a vari uomini del villaggio e la donna scorgendo i loro volti rabbrividì: li conosceva tutti.
Quel giovane dall’aspetto così nobile parlava con loro, guardandoli negli occhi senza disprezzo, senza scherno. Quando si rese conto che non aveva nemmeno legato loro i polsi ai sentì il fiato venirle meno, mentre, insolente, la speranza in lei si rianimava.
Le ordinò di portare acqua, bende e cibo, di riferirgli i nomi di ognuno e mantenere su tutto il massimo silenzio. Mentre preparava un po’ di riso e qualche sottaceto i singhiozzi e le lacrime la scuotevano.
Quell’uomo arrivato dal nulla, come un dio ai loro occhi, li trattava da pari a pari. Lo aveva oscurarsi nel sentire il racconto dei soprusi, delle tassazioni, delle campagne militari fallimentari, della fame. Il loro era un grande regno, per questo la dinastia regnante possedeva ingenti ricchezze, ma la gente di quelle terre moriva di fame.
Prima che se ne andasse, portando con sé gli uomini del villaggio, gli si era avvicinata e timidamente aveva osato parlare.
-Mio signore, perdonatemi. Che ne sarà di questi sconsiderati?-
Le tremava la voce, le mani sudavano e non osava nemmeno aprire gli occhi. L’attesa della risposta le parve un tempo infinito
-Non temere, non succederà nulla. Vai tranquilla e riferiscilo pure ai loro famigliari. Quel bambino li ha salvati.-
Non avrebbe mai dimenticato il suono di quelle poche parole: la voce di velluto le carezzava il cuore, lo sguardo di fuoco le ghiacciò l’animo. Come quella mattina dopo il racconto di Kon quell’uomo che sembrava uno spirito celeste trasudava la minaccia di dolorosa morte di un demone. Uno spirito dal cuore puro. Un demone senz’anima.
Ora mentre guardava quell’uomo inginocchiato ai piedi di quell’eterea fanciulla, dall’animo d’acciaio, le lacrime di nuovo le pungevano gli occhi fastidiosamente. Aveva salvato i loro uomini, aveva riservato loro rispetto e comprensione, aveva lottato per loro.
Quella notte le aveva detto che Kon li aveva salvati, e di sicuro se il ragazzo non avesse parlato quei poveracci sarebbero stati scoperti e giustiziati, ma la vera salvezza di cui quegli uomini avevano disperatamente bisogno non era quella del corpo. La dignità che quello straniero gli aveva restituito, quella li aveva salvati. Aveva salvato la loro umanità.
 
 
Mentre Hinata voltava le spalle alla folla di cortigiani in subbuglio e a quella notte crudele, il peso delle conseguenze di quei brevi momenti le gravava sul cuore così ostinatamente da farle male. Neji-san procedeva silenzioso e calmo poco dietro di lei.Nessuna parola riguardo quello che era appena accaduto, niente tranne nuova distanza che inesorabilmente si frapponeva tra loro: tra la padrona e il servitore
Raggiunsero le stanze che le erano state riservate e lì si salutarono come ogni sera. Lei sempre prigioniera del proprio ruolo, lui sempre infinitamente lontano, ognuno carico del fardello delle proprie responsabilità.
Quando poco dopo le ancelle la aiutarono a spogliarsi delle vesti ingombranti una di loro, dallo sguardo dolce e affranto, osò chiederle quale fosse la punizione che attendeva Neji-san.
Riconobbe nel luccichio di quegl’occhi scuri le vestigia di un’infatuazione per il giovane straniero. Provò tenerezza e invidia per quei sentimenti semplici. Le rispose con gentilezza, quasi consolandola con lo sguardo.
-La fustigazione. La fustigazione pubblica.-
Pronunciare quelle parole fu doloroso anche per lei.
 
 
 
Angolo dell’autrice


Salve miei beloved lettori!! Spero che nonostante l’indecente intervallo tra un aggiornamento e l’altro sia rimasto qualcuno a seguire questa fic … ma se così non fosse avreste la mia totale comprensione … perdoooooooooooooooooonoooooooooooo!! T___________T
Bene torniamo a cose più serie: innanzitutto capitolo di transizione, un po’ di passaggi sottointesi sono stati svelati comprese le motivazioni del comportamento di Neji, e su queste mi vorrei fermare un attimo U.U
Ho cercato e ricercato il modo più adatto di esprimere i sentimenti che mi sono figurata possano aver scosso Neji e fondamentalmente tutto deriva dalla sua sete di uguaglianza!! Non cari, non ho detto giustizia, Neji è un ninja e non l’ha disegnato la Marvel ovviamente xDD
Non è la situazione dei contadini in sé quindi ad avergli fatto perdere il controllo, ma la vicinanza di questa situazione alla sua stessa esperienza: Neji è comunque appartenete a un nobile clan e quindi serviva più della pietà per smuovere un personaggio simile.
So che il collegamento non è immediato, ho cercato delle cause profonde per minare il ferreo autocontrollo dello Hyuga, spero che la cosa non sembri (come dice una mia cara amica^^) tirata per i capellixP
In quel caso non mi resterebbe comunque che chiedere venia, temo ç.ç
 
Concluso il momento serio ecco la parte che preferisco … i miei commenti!! Muahahahahahah!!
Allora, poca roba e in primis questo: se qualcuno (sì, Mrs_Depp sto parlando anche con te!!xDD) osa lamentarsi della lunghezza di questo capitolo( della serie ‘è troppo breve’) verrà subito preso in consegna dalla sottoscritta e sostituito a Neji nella fustigazione, capito???
Per Jashin!!
xDD a parte gli scherzi( perché ovviamente scherzavo) davvero mi sono messa d’impegno per allungare il cappy, spero il risultato sia soddisfacente^^
inoltre chiedo umilmente perdono per ogni eventuale errore/orrore di battitura * si prostra a terra cercando di fondersi con la polvere *
ora passo ai ringraziamenti!! *.*
 
GRAZIE MILLE a :
- le 3 persone che hanno preferito;
- le 2 che hanno ricordato;
- le 10 che seguono …
… questa storia!! Vi adoro dal profondo del cuore!! *3*
 
Infine MANDO UN GRAZIE IMMENSO E MILLE ABBRACCI a chi a recensito, ovvero:
- thecinu
- La Pessimista Cosmica
- wustelallagriglia
- Mrs_Depp
- Mente Libera
- Falsa dea molto adorata
- Kagome_
… e ora un’ultima PREGHIERA(davveroU.U), vi prego recensite!!! fatemi sapere se il capitolo vi piace o anche se vi fa schifo!! Per me è importante per riuscire a migliorare, dal canto mio mi impegno ad accettare ogni critica nel migliore dei modi, purché costruttiva!! Per favoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee *.*
 
E ora vi saluto!!^_^
 
Alla prossima,
 
bacio
 
boby
 
  

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


L’espiazione
 
 



Fustigazione.
C’era un che di violento e sporco in quella parola, come una nota amara che sottintendeva l’umiliazione.
Fustigazione.
La pubblica fustigazione in territorio straniero, davanti al principe, all’uomo, che aveva tentato di uccidere, che voleva tuttora uccidere.
Nessuno gli aveva riferito quale fosse la decisione di Hinata-sama circa la sua punizione, ma del resto era forse necessario? Conosceva il codice del Clan Hyuga, ne portava i dettami impressi sul corpo. Ogni atto di insubordinazione e oltraggio da parte di un membro del Clan era soggetto a condanna da parte del Capostipite. La pena prevista per i membri della Casata Cadetta era la morte o, nel suo caso, il pubblico supplizio.
Neji non temeva il dolore per sé, sapeva di poterlo sopportare, ma quando l’indomani l’alba avrebbe sfiorato con i suoi raggi il suo volto e il suo sguardo sarebbe corso a lei, spontaneamente: ecco Neji temeva quel momento. Sinceramente non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare il dolore sul suo volto, nei suoi occhi. Non sapeva se avrebbe saputo sostenere la sofferenza di Hinata-sama.
L’aveva tradita, aveva disatteso i suoi ordini, lui aveva … come era potuto succedere? Neji seduto sulla veranda della sua stanza teneva il capo abbandonato, le ginocchia strette al petto, e guardava la Luna.
Hinata-sama gli aveva concesso un ulteriore privilegio non facendo sorvegliare la sua porta quella notte, nonostante la sua condizione. Un’ulteriore onore … non lo meritava. Non la meritava.
Ogni notte, dacché erano arrivati in quel Palazzo, la sua Signora nel coricarsi lasciava le shojo interne aperte sul cortile e così aveva continuato a fare anche ora, anche in quello stesso istante. Alla luce soffusa di una lampada a olio attendeva l’avvento del sono leggendo mesta rotoli di corrispondenza o, quando poteva concederselo, poesie. Era un’abitudine che conservava sin da quando poteva rammentare. Era da tempo che se n’era reso conto: non sapeva neanche più distinguere la sua vita da quella di Hinata-sama.
Si muoveva, agiva, persino pensava in funzione di quello che sarebbe stato meglio per lei. Non c’era altro nella sua vita: la protezione del Villaggio della foglia, certo, l’onore del suo Clan, ovviamente, il ricordo di suo padre, sempre indelebile, e lei.
Tuttavia Neji lo sapeva bene: se anche tutto il suo mondo fosse scomparso, se il Villaggio e il Clan si fossero dissolti o avesse perso la memoria di sua padre, comunque lui avrebbe continuato a vivere, tenacemente, come un uomo mutilato e senza coscienza, ma avrebbe continuato a respirare e trascinarsi come un’ombra finché gli fosse rimastalei, se invece l’avesse persa non ci sarebbe stato altro che la morte.
Così era: le aveva donato anche la sua anima.
 Era sempre stato così fin da quel giorno di pioggia e neve.
 
Con al coda dell’occhio il giovane Hyuga percepiva ogni movimento nella stanza di Hinata-sama: gli bastava seguire l’alternarsi delle ombre sulla superficie delle shojo nella stanza illuminata. Poteva senza sforzo immaginare le ancelle esperte che le si affaccendavano intorno per scioglierle i capelli -un lungo e soffice velo di tenebre sul viso di porcellana- oppure che le facevano scorrere esperte i vari strati di stoffa sulla pelle candida -uno sull’altro, con cura, per non danneggiare la stoffa pregiata- liberando al sua Signora da quel bozzolo di soffocante ricchezza come una farfalla che si disfi della crisalide.
Se solo avesse volto il capo i suoi occhi avrebbero incontrato quello spettacolo, lo sapeva, sarebbe bastato un movimento minimo. Ma poi, cosa sarebbe successo?
Neji era immobile, mollemente abbandonato e questo non si addiceva al ‘genio degli Hyuga’.
E se avesse davvero deciso di volgere il capo verso quella porta? Anche solo un istante, verso di lei? Al solo pensiero si sentiva fremere, preso da una inspiegabile euforia … così patetico! Come se non avesse mai visto una donna in vita sua …
Neji affondò profondamente le unghie nel pavimento in legno e sperò –pregò- che il dolore pungente delle unghie spezzate e della pelle lacerata lo potesse distrarre dalla verità che si stava affacciando al suo animo. Non bastò. Nulla sarebbe bastato.
 
Le aveva mandate via tutte, non sopportava più la loro presenza.
Due ancelle per la vestizione, due per scioglierle l’acconciatura e altrettante per lavarle il trucco dal viso: insopportabile. Non sopportava le loro mani che l’accarezzavano sopra la stoffa pesante, che le pettinavano con cura i capelli, che le sfioravano fresche il viso.
Non le sopportava, semplicemente.
Hinata si sentiva irrequieta, accaldata … si sentiva bruciare la pelle e mancare il fiato, le mani le tremavano. A terra, distesa nel futon, non aveva nemmeno la forza di allungare le dita a lambire il rotolo del rapporto giornaliero che giaceva la suo fianco: da sempre aveva l’abitudine di leggere prima di assopirsi.
Cos’era quella sensazione pungente e debilitante che rendeva il suo respiro irregolare e le sue labbra tremanti? Perché gli occhi le bruciavano come dopo aver pianto a lungo e la gola era secca come se avesse gridato?
Paura.
Nell’esatto momento in cui aveva risposto alla domanda di quell’ancella, nell’istante in cui le sue labbra avevano dato una forma al destino di Neji-san, la paura l’aveva avviluppata silenziosamente, lentamente, completamente.
Tremava.
L’aria fresca entrava dalle shojo ancora socchiuse e lambendola scuoteva il suo petto: quella leggera brezza sferzava il suo animo come una bufera.
Era colpa sua: lei lo aveva portato lì, lui non voleva,lei aveva scelto Hirohito, lui non si fidava.
Lei.
Si sentiva così sporca, la sua stessa pelle era il sudiciume da cui avrebbe voluto liberarsi, inutile simulacro di una debolezza infinita. Lei.
Il giorno dopo avrebbe dovuto vedere il sole lambire il viso severo di Neji-san, avrebbe dovuto scorgere i suoi occhi impassibili privi di qualsiasi timore. Come avrebbe fatto a sopportare la stoffa del kimono che leggera sarebbe scesa a scoprire la sua pelle candida? Il braccio dell’aguzzino levarsi brandendo la frusta? Vederla calare sulla sua schiena e ferire la carne, il sangue scendere a bagnare la stoffa avvolta intorno ai fianchi …
Hinata si portò una mano alla bocca, serrando le labbra con forza, nel tentativo di frenarne il tremito inconsulto: simili reazioni non erano accettabili, neanche allora, mai.
Perché non l’aveva fermato? Perché non aveva capito cosa aveva in mente? Come mai lo sentiva così lontano? Quelle mura profumate di incenso e fiori potevano separarli davvero fino a quel punto?
Non lo concepiva. Non più, perché ormai la sua vita era completamente fondata, invariabilmente condizionata da Neji-san. Lui era froza.
Avrebbe dovuto essere arrabbiata: aveva agito di sua iniziativa, senza interpellarla e aveva finito per creare una grave situazione che avrebbe potuto compromettere il matrimonio con Hirohito.
Meritava quella punizione eppure …
Si levò di scatto abbandonando le coltri appena tiepide eppure così soffocanti. Camminava per la stanza come un animale in gabbia, terrorizzata dalla sua stessa ombra.
Non riusciva a fermarsi anche se con indosso solo il kimono leggero e a piedi scalzi aveva freddo nell’umidità notturna. Guardava la Luna con occhi imploranti, osservava il suo lento viaggio verso l’orizzonte con impazienza mentre il suo cuore pompava frenetico.
Si sentiva così inutile … ma c’è forse un modo per fermare la Luna? C’è forse un modo per fermare il Tempo?
L’alba la colse tremante e amareggiata. Ormai non le rimaneva che pregare i Kami perché vegliassero su di lui.
Era il giorno della condanna di Neji.
 
Kon se ne stava rannicchiato dietro una catasta di legna aspettando che la pattuglia passasse oltre, tendendo l’orecchio all’erta. Era quasi arrivato.
Quando la sera prima era andato a origliare alla taverna del vecchio Jin cosa fosse successo al castello, per poco le gambe non gli erano cedute quando aveva sentito le chiacchiere di quei vecchi ubriaconi. Era corso a casa a chiedere conferma a obachan e quella si era messa piangere.
Fustigazione.
No.
Era corso fuori fino al confine del Villaggio, laddove, in cima alla collina, si poteva ben vedere il maniero del Signore. Davanti a sé aveva l’immagine del giovane cavaliere come gli era apparso la prima volta che lo aveva incontrato, un araldo di luce e un demone della guerra, o come lo aveva scorto il girono stesso al castello, inginocchiato davanti a lui, nobile e lontano come le statue degli dei nei templi dei monaci di montagna.
Cosa gli avrebbero fatto?
Kon era tornato a casa prima che fosse troppo buio, per non fare preoccupare troppo obachan e si era infilato a letto senza proferire parola, ma non aveva chiuso occhio: non poteva lasciare le cose come stavano, non ce la faceva.
 Voleva rivederlo, ad ogni costo.
 Un ultima volta.
 
Camminava rasente ai muri, corricchiando, ben sapendo che non avrebbe dovuto essere lì: il Castello Superiore non era certo luogo per un pezzente come lui, ma non gli importava: doveva raggiungere la Piazza Principale.
Con circospezione si affacciò alla scalinata che gli avrebbe concesso l’accesso alla sua meta: lì chiunque avrebbe potuto vederlo, ma non importava. Gli bastava un istante, uno solo: voleva solo vederlo ancora!
Persino lontano com’era poteva udire i bisbigli delle dame nascoste dai ventagli variopinti e quelli degli uomini, dalle voci arrochite dal troppo sakè.
Tutti, avvoltoi, se ne stavano in circolo, intorno al piazza che in quel giorno era il più crudele patibolo come intorno al palcoscenico. La vittima era l’attore principale e tutti lo attendeva non con ansia.
Kon sentì calde lacrime di rabbia pungergli gli occhi, ma le trattenne. Prese un profondo respiro e si lanciò su per le scale, di corsa, sperando nella buona sorte.
Quando raggiunse la cima della rampa aveva la gola secca e sentiva le gambe pesanti, ma sapeva che ce l’aveva fatta: subito si nascose in un cespuglio mentre davanti a lui si allargava l’ala dei cortigiani in attesa. Ora che era così vicino a farsi scoprire cominciava a sentire il fremito della paura e tutti quei bisbigli erano così spaventosi … se solo avessero potuto sparire … silenzio … silenzio …
Silenzio.
Kon rizzò la schiena e lentamente diresse lo sguardo oltre le foglie del suo rifugio.
Il sole ferì i suoi occhi, ma non importava.
Lui era lì.
Lo spettacolo poteva cominciare.
 
L’alba lo aveva trovato sveglio e vigile, mentre aveva appena salutato la Luna. Di lì a poco sarebbero venuti a prenderlo, dunque era bene che si preparasse.
Si era bagnato con acqua fredda e pulita, aveva indossato un semplice yukata bianco e si era pettinato i capelli. Null’altro aveva indosso, nemmeno il corpi-fronte della Foglia: a celare il Segno Maledetto sulla sua fronte solo bende candide. Il bianco era il colore della colpa, il colore della morte.
Le guardie bussarono alla sua porta che si aprì. Li stava aspettando contemplando lo spettacolo della rugiada del mattino che brillava ai raggi del primo Sole. Una volta Hinata-sama gli aveva letto una poesia che parlava di una scena simile. Molto suggestiva.
Si era lasciato scortare docilmente, guardando dritto avanti a sé. Mano a mano che i corridoi sfilavano davanti al suo sguardo sentiva una fredda calma scendergli nell’animo. A pochi metri dalla porta che dava sulla piazza si fermò.
Le guardie lo osservavano indecise, in soggezione alla sua presenza come chiunque.
-Entrerò da solo e da solo uscirò. Qualsiasi cosa dovesse succedere non varcate questa porta. Chiaro?-
Non attese una risposta, non attese un solo istante di più. Era pronto.
 
Non sentiva niente. Né la stoffa sulla pelle né i suoni intorno a lei. Le gambe vacillavano e doveva usare tutta la sua concentrazione per mantenere la parvenza di impassibilità che sola si addice a chi guida il Clan Hyuga.
Hirohito avrebbe voluto parlarle, lo capiva da come le rivolgeva speranzoso lo sguardo, ma non poteva se non era lei la prima a salutarlo. E lei non lo avrebbe salutato, non lo avrebbe sopportato.
Fissa il vuoto davanti a sé, immersa nei sussurri d’attesa della folla di cortigiani che si è lì radunata. Un vento leggero alzava sottili e vaporose onde di polvere dal suolo e qualche insetto già vagava tra i fiori del giardino e quelli dipinti sui ventagli delle sdegnose dame di corte che con gesti stizzosi cercavano di allontanarli. In un altro momento lo avrebbe trovato divertente. In un'altra situazione … in un’altra vita.
I momenti si protendevano così a lungo che davvero aveva sperato che il Tempo si fosse fermato, che i Kami avessero avuto pietà di lei, ma poi era arrivatolui e se non avesse avuto il Sole davanti avrebbe creduto che fosse giunta l’alba.
Non sarebbe stato un paragone esagerato.
Neji.
Se ne stava fermo immobile al centro della piazza, lo sguardo fermo osservando tutto e nulla, avvolto in uno yukata che sotto il Sole appariva accecante, così leggero da far intravedere le ombre del suo corpo.
Aveva sempre pensato a lui come a una spada magnifica e affilata, dall’aura potente,mortifera. Così non era allora. C’era calma intorno a lui. Pace. Davanti ai suoi occhi la spada riposava in un fodero d’avorio … che non era meno splendido della lama.
Neji.
Hinata strinse il ventaglio fra le mani, e sentì il bambù graffiarle la pelle.
Avrebbe dovuto essere arrabbiata per la sua condotta che lo aveva portato a un simile risultato, correndo un enorme rischio politico. Avrebbe dovuto affrontare questa condanna come nulla più che un piccolo inconveniente, qualcosa di insignificante.
Sentì di nuovo il bambù inciderle la pelle.
Avrebbe dovuto calmarsi.
Non restava ormai che aspettare, e nella notte, di nuovo come da bambina, avrebbe versato le sue lacrime di donna.
 
Aveva raggiunto il palo predisposto al centro dello spiazzo e aveva visto le cinghie pronte a terra, il bastoncino di legno tenero da mordere per sopportare il supplizio e la guardia pallida e tramante che lo attendeva per prepararlo. Ne aveva avuto quasi pietà.
Gli si era avvicinato cauto, fermandosi vicino al palo. Lo aveva osservato chinarsi e afferrare le cinghie per legarlo e allora aveva scoperto la schiena. Un braccio alla volta, per non lacerare la stoffa della veste, e la sua pelle aveva rifulso sotto il Sole del mattino, i cui raggi gentili ancora non bruciavano.
Era pronto.
Lasciò che il giovane soldato lo legasse, il torace premuto contro il legno, volgendo le spalle al suo aguzzino. Quello gli porse il legnetto, accostandoglielo alle labbra, ma Neji lo rifiutò, scuotendo appena il capo. Uno Hyuga sa sopportare il dolore.
In quella posizione non poteva scorgere Hinata-sama, e ne era in qualche modo grato. Quella sarebbe stata l’ultima goccia, l’ultima delusione. Avrebbe pagato il prezzo del suo errore e dopo di che sarebbe potuto tornare da lei. Pensando questo si ritrovò quasi a desiderare la frusta …
Attese, ma non molto. Giunse la prima frustata e, mano a mano che il dolore si susseguiva e cresceva, Neji ricordava chi fosse,cosa fosse. Un guerriero, unaspada.
 
Kon tenne per tutto il tempo gli occhi fissi su dilui.
Sin da quando aveva fatto il suo ingresso nello spiazzo, quando aveva scoperto il torace -esisteva davvero un uomo così bello?- fino a che era calata la prima frustata, e la seconda, e la terza. Tutti e trenta i colpi -li aveva contanti- come se perderne uno solo fosse un crimine.
Era colpa sua. Se lui non avesse sentito quella conversazione, se se ne fosse rimasto a letto …
Per tutto il tempo non cambiò posizione, anche se le gambe gli dolevano e i sassi contro la pelle facevano male. Persino quando se ne furono andati tutti, attese immobile il tramonto e il cambio della guardia al cancello. Tornò a capo chino a casa e andò a dormire senza mangiare nulla. Obachan non era ancora tornata.
Si addormentò subito e pianse silenziosamente nel sonno.
Era colpa sua.
 
Non aveva voluto aiuto.
 Lo aveva visto tornare lentamente ma con determinazione verso il Castello, senza mai abbassare lo sguardo. Nessuno, per tutto il tempo, aveva osato emettere un fiato.
Hinata aveva gli occhi aridi e la gola secca. Le mani giacevano molli sul suo grembo. Non tremavano più.
Si alzò di scatto, senza rendersene conto e uscì dalla stanza senza salutare nessuno, senza sapere dove stesse andando. Sapeva solo che la vecchia servitrice la stava seguendo, faticosamente.
Era stato così irreale.
Non sapeva che la pelle potesse essere così bianca, né il sangue così rosso. Davvero la carne lacerata produceva un suono così secco? Era possibile che Neji non avesse prodotto alcun suono?
Correva per i corridoi sul legno lucido, goffa nelle stoffe ingombranti del kimono, e con lo sguardo spiritato di chi cerca la strada nel buio.
Correva.
Non seppe dove era diretta finché non fu arrivata e allora si sentì sciocca nello scoprirsi sorpresa, perché in fondo era così ovvio, era così giusto che fosse lì … dove altro avrebbe potuto essere, se non con lui?
 
Avrebbe ricordato quel giorno per sempre.
Era entrata nella stanza come un furia: i capelli in disordine, il volto arrossato e le labbra schiuse, col respiro affannato. Non l’aveva mai vista così.
Era tornato nelle sue stanze da solo, come aveva annunciato avrebbe fatto e ora tentava di spogliarsi dello yukata e fermare l’emorragia sulla schiena, o non avrebbe potuto muoversi il giorno dopo.
Era sudato, pallido e spossato per la perdita di sangue. La veste sgualcita quasi non lo copriva ed era macchiata di sangue. Se ne stava seduto a terra, davanti a sé un bacile con dell’acqua pulita e delle bende, mentre lei sulla soglia lo sovrastava.
Non sembravano nemmeno degli Hyuga, tutto quello che rimaneva a ricordargli il peso di quell’eredità erano gli occhi. I loro occhi. Sarebbe forse bastato chiuderli, una piacevole illusione.
Fu il suo unico pensiero coerente, dopo di che smise di pensare. Non fu più possibile.
Dopo di che tutto fu solo mani, sguardi e silenziose bugie.
 
Hinata si era chinata su di lui lentamente, con cautela quasi, e le sue dita avevano sfiorato il suo viso.
Con i pollici, delicatamente, aveva seguito il profilo delle sue labbra, accarezzandole con lo sguardo, così profondo e torbido, come il mare in tempesta.
Profumava di glicine e si muoveva come se le sue membra fossero di seta, senza peso alcuno. Sentiva il suo respiro caldo e affannato e questo gli fece accelerare il cuore. Si sentiva avvolgere dal turbine di sensazioni in cui era calato e aveva paura … paura di non emergere più.
Era così vicina.
Le sue mani vagavano sfiorandole il collo, sentendola sospirare, tra i suoi capelli come in un labirinto ma mai, mai aveva staccato gli occhi dai suoi.
Era così vicina.
La stoffa era un impaccio, la ostacolava, eppure lei sembrava non curarsene.
Avvicinò il volto a lei sfiorandole le labbra con le dita, rubandole un sorriso. Si scostò, vinto da quegli occhi, e con le labbra le sfiorò il collo, il lobo dell’orecchio, affondò nei suoi capelli e respirò il suo profumo.
Lei.
La schiene gli doleva.
Fu come un fulmine, gli strappò un gemito e si allontanò, ritraendosi in sé come una bestia ferita.
Ma lei gli si fece incontro, come un cucciolo che cerchi calore, senza mai esitare, senza mai arrossire.
Lo fece voltare, con dolcezza e sfiorò le ferite con delicatezza, con venerazione. Aveva con sé uno dei panni bagnati che erano nel bacile e piano, lentamente iniziò a bagnare le ferite, pulirle e sciacquare il sangue, l’onta, la paura.
Neji guardava avanti a sé e credeva d impazzire.
Erano le sue mani? O era l’acqua fredda? Così morbide … erano forse le sue labbra? Avrebbe voluto vedere … sarebbe potuto morire.
Non seppe mai né quando né come: tutto si spense in un fulgore bianco, come i suoi occhi.
 Bianco come gli occhi di Hinata.
 Bianco come il piacere.
 
 
 
 
 


Angolo dell’autrice
 
Coff-coff… ebbene che dire? Sono viva U_U”
PERDONOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!
T_T
Non farò commenti lunghi, se no mi uccidete (giustamente)
Voglio solo dire che ho scelto di raccontare questo episodio attraverso i personaggi che più influiranno sul futuro di questa storia, cercando di dare spazio più che a un personaggio a un sentimento: il dolore.
No, non sono sadica (anche) , ma Neji e Hinata tendono a esserlo … vi risulta?? :P
Comunque sia, queste sono qualcosa come 7 pagine… 7 interminabili pagine!!
*boby muore*
Comunque, DEVO e VOGLIO dedicare la parte tenerosa (?) a Mrs_Depp che forse dopo questo non mi ucciderà xDD
Ringrazio ora tutte le persone che mi seguono (12) quelle che mi ricordano (2) e quelle che mi preferiscono (4) … vi amo *_______*
In particolare prego che Jashin benedica chi mi recensisce ogni volta!!

-Wustelallagriglia
-ecila94hina
-Ayame chan
-La Pessimista Cosmica
-kagome_
-Mrs_Depp
-Falsa dea molto adorata
… lo sapete che vi VENERO, vero?? *_*
 
Alla prossima
 
Bacio
 
boby
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


La verità







Il futon fruscia contro la sua pelle, la avvolge, la abbraccia mentre Hinata si agita nel sonno, in volto l’espressione tormentata di chi vorrebbe chiudere gli occhi ma non può, non può fuggire da se stessa. Sta sognando la giovane Signora e le ancelle nella stanza attigua, stanche per la lunga giornata di lavoro, non si accorgono del suo silenzioso tormento. Sta ricordando, Hinata, del tempo in cui ancora poteva avere paura di un’ombra o di un presagio, quando in primavera era bello vedere il giardino verdeggiante inondato di pioggia e luce.
 È irrequieta e cerca conforto ma intorno a lei non c’è nulla, solo sogno e pioggia … piove.
 
Piove nevischio da questo cielo grave e tetro, bagna, quasi insozza, ogni cosa. Non è più possibile nemmeno camminare sull’erba tenera del giardino: la terra è tanto pregna d’acqua che sembra di affondare in una palude rigogliosa e lussureggiante dove foglie turgide di pioggia splendono come gocce di giada.
Persino respirare è faticoso e l’umidità è come una patina tiepida che occlude la gola: si sente l’odore –il sapore- della pioggia.
Dolce.
Hinata corre, affondando nel terreno, stentando a respirare e sente  gli abiti opprimerla in un soffocante abbraccio, fradici e gelidi.
Non può ancora crederci …
 
Gli anziani del Clan Hyuga siedono immobili e alteri nella grande stanza dove si diffonde una luce fredda e tenue, come se il cielo fosse entrato dalle shojo aperte e avesse dipinto l’aria col proprio grigiore. Fuori la pioggia si mesce alla neve.
Fa freddo.
Il giorno che aspettava da tutta la vita era arrivato e tutto avrebbe avuto fine in quello stesso giorno d’Inverno. L’alfa e l’omega.
Avevano scelto infine ed erano pronti a comunicare il loro volere: di lì a poco sarebbe stato annunciato chi fra lei, Hanabi-chan e Neji-nii san sarebbe diventato il nuovo Capostipite del Clan. Era un momento solenne, definitivo e irripetibile, eppure … Hinata non sentiva nulla. Il suo cuore non infuriava in petto, le gambe non le tremavano e non avvertiva il familiare rossore salirle alle guance per tradirla: era come se la vita che aveva sempre albergato in lei l’avesse momentaneamente abbandonata, come se si fosse nascosta lasciandola come un guscio vuoto, impassibile e freddo ma nessuno se ne accorse. Immobile e cristallizzata in un limbo di non-vita era così straordinariamente simile a tutti i membri del Clan lì riuniti. Era così Hyuga …
Hinata infatti lo sapeva bene, che si trattava solo di formalità, che il nuovo capostipite era  stato scelto il giorno in cui, semplicemente, alla sua inettitudine si è rivelata un’alternativa, altrettanto decorosa, più adatta … Hanabi.
Ecco perché sgranò gli occhi e osò alzare lo sguardo,perché tremòe sudò e non riuscì più a respirare. Non era la scelta più logica, non la scelta più efficace … non era la scelta. Avrebbe dovuto alzarsi, ringraziare. Avrebbe dovuto. Solo altri doveri, ancora e per sempre. Si prostrò, si alzò e corse -poi avrebbe chiesto scusa, solo altre bugie.
Corse, corse verso di lui senza sapere di stare cercandolo, senza nemmeno immaginare che lo avrebbe trovato … perché ha sempre saputo, dove fosse ma non come raggiungerlo. Corse.
Lo immaginava serio, composto … addolorato? No, addolorato mai.
Sfinito, questo sì … fragile.
Kami, non deve piangere!
“Lo sapevo” le dice. Non avevamai permesso che gli porgesse le sue domande.
“Hanno fatto la scelta più ovvia. Sei la primogenita.”
“Sono debole” - e la ferì dirlo, una volta di più, a lui.
“Lo sono tutti, lo siamo tutti”-  lui non sussurrvaa mai.
Hinata non lo ha mai guardato così, in volto. Piove e i capelli sono più scuri, la pelle più candida, le labbra più rosse. Era bello. Non lo aveva mai pensato. Lui è bello.
“Non preoccuparti per me”-  le disse: non la lasciava mai avvicinare.
“Sto bene”
“Cosa farai?”-  si chiese perché si ostinasse … non rispondeva mai alle tue domande.
“Non sono affari tuoi” - che voce fredda …
Non risponde mai alle sue domande.
“Farò quello che si sono sempre aspettati da me: sparirò o morirò. È lo stesso”
… di solito.
Sente freddo, troppo freddo. Perché ha risposto?
“Idiota”
Non l’ha mai guardata così, in volto. Brividi. La pioggia, forse?
Il sorriso sul suo viso è amaro come la fiele, come il metallo di una katana, come il rimpianto.
“Proprio tu … a me.”
Sì, proprio lei, per la prima volta senza paura, senza nulla da dimostrare, solo lei: finalmente la vita divampa di nuovo in lei, come una sorgente discreta e preziosa. Sola.
“Sei un codardo, un debole.” - Non reagisce, la confondeva e faceva arrabbiare.
“Cosa direbbe tuo padre? Se potessi guardarti in uno specchio ti disgusteresti: sei prostrato davanti al nemico e davanti a me!”
Alzò lo sguardo.
“Sei tu il nemico?”
Non sapeva che fare, non respirava: che le avesse rubato la voce con quello sguardo, con quelle parole?
Lui lo vide che piangeva … lui la vedeva.
Davvero.
Solo ora capì che nessuno prima lo aveva fatto mai.
Non aveva  nulla da perdere, ormai.
“Se davvero non la vuoi questa vita, dalla a me Neji Hyuga. Dammi tutto, finanche la tua anima: questo è l’unico modo in cui ti permetto di morire.”
“Perché?”
lo sapeva.
“Perché io sono la capostipite. Se sei uno Hyuga, se sei anche solo un uomo, ti basterà.”
Sorrideva. Sapeva.
“Non ti chiamerò più per nome da oggi in poi. Lo prometto.”
“Io invece lo farò sempre.”
Tremarono.
Sarà la pioggia?
 
 
 
 
 
 
 
Kon camminava rasente al muro, aspettando il momento … per poi correre! Sapeva dove andare, sapeva che non avrebbe incontrato nessuno, perché nessuno andava da lui … tranne lei.
I suoi passi echeggiavano nei corridoi che sembravano lamentarsi per essere stati disturbati. La strada non era lunga e di nuovo la sua ombra lo fronteggiava da sopra la carta sottile della porta e sembrava schernirlo, schernire il suo cuore in tumulto e lo sguardo esitante. Gli stava chiedendo se quel giorno ce l’avrebbe fatta, se sarebbe riuscito a fare il passo, ad entrare. Kon lo sapeva ed esitava … solo un altro istante.  
“Non entri ragazzo?”
La sua voce. Come ogni giorno, sempre la stessa domanda. I piedi solo allora sembrarono riprendere vita e prima ancora di saperlo era entrato: in quella stanza c’era la primavera.
Neji-san se ne stava inginocchiato allo scrittoio e tracciava segni eleganti sulla pergamena liscia e inquietante, che sembrava minacciare ‘nessun errore, nessuna esitazione’ come un’altra porta che non sarebbe riuscito ad aprire.
I suoi gesti lo incantavano ed erano indescrivibili, ma comunque nulla se paragonati ad un altro spettacolo: il suo viso. Se fosse stato una donna nessuna al mondo avrebbe potuto dirsi più bella.
Come descrivere il colore dei suoi capelli? Quando il sole li colpiva parevano seta purpurea e cangiante, all’ombra niente più che un frammento dell’oscurità stessa. E le labbra? Non avevano certo bisogno di improbabili unguenti per risaltare, per farsi desiderare … per ricordare a chiunque le guardasse la sua piccolezza , meschinità
Gli occhi. Non si poteva parlare degli occhi, semplicemente. Avrebbero dovuto inventare una nuova lingua per descriverli, una lingua che parlasse di bellezza e morte, di mistero, comprensibile solo a demoni e dei.
Il ragazzo non parlava mai quando si trovava in quella stanza, solo osservava. Era capace di rimanere ore, lì, in ginocchio senza lamentarsi, lasciandosi ipnotizzare da una bellezza che –si rendeva conto- forse percepiva solo lui. E ne era grato.
 
 
 
“Ragazzo, non si preoccuperanno i tuoi parenti se ogni giorno sparisci per venire qui?”
Quasi non poteva crederlo quando udì la domanda, a stento poté rispondere.
“Non ho parenti, solo Oba-chan, ma lei lavora tutto il giorno al Castello, non se ne accorgerà …”
Lui non aggiunse altro e Kon abbassò il capo mentre chissà come trovava la forza di proseguire mesto.
“… ma se vi dò fastidio, signore, me ne vado immediatamente.”
Non sarebbe stato esagerato piangere per il dolore che gli provocarono quelle parole sussurrate, ma non furono le ultime quel giorno.
“No, resta. Non mi dai alcun fastidio.”  
Kon non sapeva, non l’avrebbe mai detto: si può piangere di felicità.
 
 
 
Non sapeva com’era successo, né perdeva  tempo a chiederselo. Anche oggi stava correndo, senza esitazioni ormai verso la sua stanza.
Quando arrivava, bussava e attendeva che la voce che lo muoveva  in ogni suo gesto oramai, gli desse il permesso di entrare. Non sapeva com’era successo, ma Neji-sama dal silenzio del suo eremo aveva deciso di prendersi cura di lui.
Gli stava insegnando a scivere.
Kon non sapeva, non immaginava nemmeno: si può morire di felicità.
 
“Tieni ragazzo, esercitati finché non avrai riprodotto questo kanji” disse Neji-sama porgendogli un foglio su cui eleganti linee nere spiccavano come un ricamo prezioso.
“Sì, Sensei. Cosa significa?” chiese timidamente Kon.
La risposta lo fece tremare.
“Verità.”
Fuori dalla stanza, nei corridoi dormienti si udirono soffici passi di donna.
 



Angolo dell’autrice (?)


Eccomi qua.
Ve l’avevo detto no?? CE LA FECEEEEEEEEEEEEEE!!!!!
U_U9
Insomma, ho finito la maturità e giustamente ho finito anche il capitolo…sempre che sia rimasto qualcuno a leggere e le mie parole non si risolvano in una triste eco...T_T
Va beh, faccio mea culpa -.-‘’
Questo capitolo inizia con un flash back ( e questo lo dico perché dubito delle mie capacità di scrittrice e non delle vostre di lettori, ovviamente *_*)
Ho cercato di dare un inizio alla storia servo-padrona, che altrimenti galleggiava libera nel limbo del “chissà come!” xD
Spero che non vi deluda, come sempre, quindi fatemi sapere!!! J
Sono circa 5 pagine quindi nonostante tutto mi sono impegnata anche per una lunghezza accettabile!
Ora vi saluto e spero di avere presto notizie!!! *_______________* (anche per gli insulti ovviamente!!)
Un bacione
Yuki-o
 
 
 
 
 
  
 

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