La pietra rossa

di VaniaMajor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Sommovimenti ***
Capitolo 2: *** 2 - Rapporti spezzati ***
Capitolo 3: *** 3 - L'arrivo di Steven Sharphalberd ***
Capitolo 4: *** 4 - La maga e il cavaliere ***
Capitolo 5: *** 5 - Cambio di rotta ***
Capitolo 6: *** 6 - Sospetti ***
Capitolo 7: *** 7 - Rispetto ***
Capitolo 8: *** 8 - Solo mia ***
Capitolo 9: *** 9 - Crysania nei guai ***
Capitolo 10: *** 10 - Un incidente per Steven ***
Capitolo 11: *** 11 - Piano di riserva ***
Capitolo 12: *** 12 - Futuro incerto ***
Capitolo 13: *** 13 - Ti odio con tutto il cuore ***
Capitolo 14: *** 14 - In attesa del momento giusto ***
Capitolo 15: *** 15 - Perduta ***
Capitolo 16: *** 16 - Dover tornare indietro ***
Capitolo 17: *** 17 - Scelte difficili ***
Capitolo 18: *** 18 - Una lunga prigionia ***
Capitolo 19: *** 19 - Ritorno all'ordine ***
Capitolo 20: *** 20 - Il processo di Crysania ***
Capitolo 21: *** 21 - La scelta di Steel ***
Capitolo 22: *** 22- Solace, com'era ***
Capitolo 23: *** 23 - Fizban sbotta ***
Capitolo 24: *** 24 - Odore di casa ***
Capitolo 25: *** 25 - Non poter dimenticare ***
Capitolo 26: *** 26 - Un incontro mai avvenuto ***
Capitolo 27: *** 27 - Le decisioni di Raistlin ***
Capitolo 28: *** 28 - Punto di non ritorno ***
Capitolo 29: *** 29 - Passato, presente, futuro ***
Capitolo 30: *** 30 - Tenebre ***
Capitolo 31: *** 31 - Piani a lungo termine ***
Capitolo 32: *** 32 - Quando serviranno eroi ***



Capitolo 1
*** 1 - Sommovimenti ***


CAPITOLO 1

SOMMOVIMENTI

«Lord Tanis…»
Tanis mormorò qualcosa di intelligibile, a metà tra il sonno e la veglia.
«Lord Tanis…»
La voce insisteva, e costrinse il Mezzelfo a mettersi d’impegno per svegliarsi. Aprì le palpebre e pensò che la stanza fosse ancora un po’ troppo scura per giustificare gli sforzi del domestico per svegliarlo, poi capì che la mattina era semplicemente oscurata da nuvole plumbee e sbuffò, strofinandosi il volto con le mani. Brutto modo per cominciare la giornata.
«Che c’è?- mormorò, alzandosi a sedere sul letto- Spero ci sia un buon motivo per svegliarmi così.» Corrugò la fronte e fissò il domestico. «Non c’entra Laurana, vero?» chiese, improvvisamente agitato.
«Oh, no signore! Non ci sono notizie da Lady Laurana!» gli assicurò il domestico, tranquillizzandolo. Laurana era a Qualinesti da circa tre mesi. Tanis aspettava una sua lettera non prima di un’altra settimana ancora, e se ne avesse ricevute in anticipo non avrebbe potuto attendersi che guai. Lui era rimasto a Solanthas, non avendo voglia di affrontare l’inverno alla corte di Porthios.  Si sarebbe messo in moto ai primi accenni di primavera, giusto per evitare problemi durante il viaggio. Non fosse stato per la voglia di rivedere Laurana, non si sarebbe mosso da dove stava…
Corrugò la fronte e scosse la testa, accorgendosi di essersi perso nei suoi pensieri. Scese dal letto, chiedendo al contempo: «Dunque cosa c’è? Perché mi hai svegliato? Non mi pare di avere particolari impegni, oggi.»
«Lord, avete una visita e il rango del vostro visitatore mi ha spinto a svegliarvi. Chiedo scusa se ho sbagliato.» disse il domestico, inchinandosi a metà.
«Un visitatore?» chiese Tanis, perplesso. Non si trattava certo di Caramon, che il domestico conosceva bene e che comunque si trovava a Solace, nel calore della sua famiglia sempre più numerosa. Non era nemmeno uno dei maghi che bene o male il Mezzelfo frequentava, altrimenti l’agitazione del domestico sarebbe stata molto più palese.
«Un Cavaliere di Solamnia, Lord.- lo sorprese l’uomo- Si è presentato come Steven Sharphalberd. Dice di essere stato mandato da Lord Gunthar.»
«Lord Gunthar?- chiese Tanis, poi sospirò- Scendo subito. Metti l’ospite a suo agio.»
Lasciato solo, Tanis si lavò la faccia e si vestì, pensando a quale grana poteva nascondere la visita di quel Cavaliere di Solamnia. Al momento non erano in atto particolari misure aggressive contro i rimasugli degli eserciti draconici. Gli unici punti di contatto tra i Cavalieri di Solamnia e Tanis erano il monitoraggio del figlio di Ariakas e la tutela di Steel Brightblade, il figlio di Kitiara e Sturm. Tanis si rabbuiò, pensando che con tutta probabilità l’argomento sarebbe stato il secondo. Guardò fuori, pensò che la pioggia monotona di Primomese si accordava perfettamente con l’umore con cui si era svegliato e finalmente scese al piano di sotto.
Trovò il suo ospite in sala da pranzo, dove il domestico aveva apparecchiato per due. Il Cavaliere era in armatura e guardava in giardino, dandogli le spalle. Si voltò con un movimento misurato e marziale sentendolo entrare.
«Buongiorno.- lo salutò Tanis, venendo avanti con la mano tesa- Io sono Tanis Mezzelfo.»
«Buongiorno a voi, Lord.- disse il Cavaliere, inchinandosi in segno di rispetto e stringendogli la mano- Il mio nome è Steven Sharphalberd. Perdonate l’intrusione nella vostra dimora.»
«Di nulla. Prego, accomodatevi e fatemi compagnia. Devo ancora fare colazione.» disse Tanis, indicandogli una sedia. Il Cavaliere ristette un attimo, poi accettò rigidamente l’invito. Il Mezzelfo avvertì il sapore dolceamaro dei ricordi che quell'atteggiamento gli riportava alla mente e osservò bene il suo ospite per distinguerlo dall’ombra di Sturm.
Steven Sharphalberd era un Cavaliere sui trent’anni, con occhi e capelli chiari e l’espressione marmorea tipica della vecchia scuola di Solamnia. Aveva una cicatrice su una tempia, probabile dimostrazione della sua presenza sul campo di battaglia negli ultimi, pericolosi anni. Tanis non l’aveva mai incontrato prima, ma non pretendeva di conoscere tutti gli appartenenti all’ordine. Il domestico servì loro da mangiare, poi sparì di nuovo.
«Siete solo in casa, Lord Tanis?» chiese il Cavaliere. Tanis annuì.
«Mia moglie si è recata a Qualinesti, dove andrò anch’io prima che inizi l’inverno.- spiegò- Avevate bisogno di lei?»
«In verità no, Lord. Sono qui su ordine di Lord Gunthar per farvi una precisa richiesta.» rispose l’uomo.
«Riguarda Steel Brightblade?» chiese Tanis, arrivando subito al punto. Sharphalberd sembrò preso in contropiede, quindi annuì.
«Lord, il nostro Ordine non può accettare che il figlio del nostro più grande eroe, Huma a parte, viva lontano dalle nostre file. Lord Gunthar desidera mostrare al ragazzo l’ambiente che era la vita stessa di suo padre, nella speranza che decida di seguirne le orme.» spiegò Sharphalberd. Tanis lesse nei suoi occhi una profonda ammirazione per Sturm, cosa che lasciò trapelare dal suo viso una certa umanità. Per fortuna Sturm aveva lasciato più di un segno positivo in quell'Ordine tanto gelido.
«E cosa volete da me?» chiese Tanis, sorseggiando un succo di mela. Il Cavaliere sembrò perplesso.
«Non…non siete voi il suo tutore, Lord? Lord Gunthar mi ha riferito che…» mormorò. Tanis posò il bicchiere.
«Steel ha due tutori, tra i quali gli piace dividere il suo tempo.- lo informò, accarezzandosi la barba rossa- Io sono uno di loro. L’altro è una donna: sua zia materna, Katlin Majere. È stato Steel stesso a richiedere di essere affidato anche a lei.»
«Katlin…Majere? La sorella di Caramon Majere?» chiese il Cavaliere.
«E di Raistlin Majere…e di Kitiara Uth Matar.- puntualizzò Tanis, strappando una smorfia all’uomo- Katlin è un’amica e vive a Solace presso il fratello Caramon. Steel si è molto affezionato a lei.»
«A una maga?!» chiese il Cavaliere, con tono scandalizzato. Tanis annuì, decidendo di non stuzzicare ulteriormente Steven Sharphalberd. Katlin non era famosa come i suoi fratelli, ma la parte che aveva giocato nel ritorno dell’arcimago era sulla bocca di tutti, a Palanthas, e tra i maghi, i chierici e i Cavalieri di Solamnia si sapeva qualcosa anche delle altre recenti imprese a cui aveva partecipato. Dopotutto, era stata lei a trovare Steel Brightblade. Nessuno al di fuori di una ristretta cerchia, però, sapeva che la giovane donna non praticava la magia fin dall’autunno a causa delle trame della Regina delle Tenebre.
«Comunque sia, lei si occupa di parte della sua istruzione e già da due mesi Steel si trova a Solace presso Caramon. Se vorrete condurlo a Palanthas dovrete ottenere il permesso di Katlin Majere, temo.» tagliò corto. Al solo pensiero di quel Cavaliere a tenere testa a Katlin, che era pronta a fare a fette chiunque volesse imporre un destino a Steel prima che il ragazzo avesse fatto la sua scelta, una risata inopportuna gli risalì per la gola e Tanis dovette nasconderla strofinandosi la barba.
«Se è così, partirò subito per Solace.- disse il Cavaliere, alzandosi rigidamente come se fosse pronto a un vero e proprio duello- Quella donna dovrà capire quale importanza riveste questa possibilità per il figlio di Sturm Brightblade.»
«Chissà?- lo freddò Tanis, sospirando- In ogni caso, vi consiglio di essere cortese e di non turbare troppo Steel. Nella famiglia di Caramon il ragazzo è felice e, anche se non sono contrario a che conosca la vita da Cavaliere, non mi va che venga forzato.»
«Lo convincerò facilmente, vedrete.- assicurò Steven Sharphalberd, inchinandosi- Mi congedo, Lord Tanis, e vi ringrazio per le informazioni. Vi farò avere mie notizie.»
Ciò detto il Cavaliere si congedò e se ne andò senza aver toccato la sua colazione. Tanis scosse la testa e riprese a mangiare, con un sorriso mesto. Il Mezzelfo non aveva partecipato all’ultima impresa dei Majere, ma Caramon lo aveva informato della morte di Kyaralhana e dei cambiamenti avvenuti in Katlin. Sharphalberd avrebbe affrontato la donna nel periodo peggiore che avrebbe mai potuto scegliere. Sperò che il Cavaliere non fosse così cieco da mettersi contro di lei: Katlin era quasi una nuova madre per Steel e anche senza la sua magia l’avrebbe protetto con le unghie e con i denti.


***


Il segretario di Crysania tamburellò le dita sul tavolo, nervoso.
«La Reverenda Figlia non c’è.» ripeté. Il chierico che gli stava davanti e che gli aveva portato il messaggio annuì, un po’ preoccupato per il palese nervosismo del superiore. «Avete guardato nella cappella privata?» insistette il segretario.
«Abbiamo controllato tutti gli ambienti. Forse la Reverenda Figlia è di nuovo a colloquio con qualcuno dei maghi. Dopotutto, ha avvertito la nostra comunità dei piani della Regina delle Tenebre…»
«Ah, stai zitto!- lo interruppe il segretario, dimenticando nella sua stizza i precetti della cortesia- Non fare ipotesi e vai. Tu non puoi comprendere cose grandi come questa. Lascia certi argomenti a chi è in comunione con Paladine.»
Il chierico si affrettò a inchinarsi e ad andarsene, e il segretario per fortuna non si accorse della smorfia di deprecazione che tese per un attimo il volto del suo subordinato. La Reverenda Figlia non aveva mai trattato così un chierico; men che meno l’aveva fatto Elistan. Secondo la comunità, il segretario si stava prendendo troppe libertà, ma purtroppo la Reverenda Figlia Crysania era momentaneamente occupata con lotte molto più grandi e nobili di quelle che si combattevano all’interno dell’Ordine, perciò tutti cercavano di affinare le loro doti di pazienza e obbedienza, Paladine permettendo.
Il segretario, ignaro di quei commenti e convinto di stare facendo un ottimo lavoro vista la situazione, si alzò da dietro la sua scrivania e iniziò a camminare in tondo, corrucciato e cupo. Non gli andava affatto che la Reverenda Figlia avesse tanto a che fare con i maghi. In particolare, con le Vesti Nere. E qual era la Veste Nera più pericolosa di tutte?
«Raistlin Majere.» Il segretario sibilò il nome senza pronunciarlo con chiarezza, come per un timore recondito di essere sentito. Tutto era filato liscio, dopo la tragedia avvenuta alla Reverenda Figlia nella sua lotta nell’Abisso, ma da quando ella aveva ritrovato la vista e si era unita agli Eroi delle Lance per distruggere il Portale, l’ordine e la calma del Tempio erano andati a farsi benedire.
La Reverenda Figlia aveva davvero spiegato alla comunità quali terribili piani Takhisis avesse in mente e come lei ed altri stessero cercando di trovare un modo per sventarli, ma questo portava la Reverenda Figlia a lasciare il Tempio troppo spesso e a frequentare gentaglia non degna del suo rango! E nemmeno del perdono di Paladine, a dirla tutta!
Il pericolo più grande era ovviamente Raistlin Majere, che già un tempo aveva avvelenato la vita della Reverenda Figlia. Poi c’era quell'elfo oscuro, Dalamar…e quella donna dalla veste rossa, quella maga che da qualche mese per fortuna non si era più vista. Troppa magia aleggiava attorno alla Reverenda Figlia e ciò non era un bene né per lei né per l’Ordine.
«Bisogna fare qualcosa.»
Già, ma cosa? Parlarne a lei sarebbe servito? E se non fosse servito, cosa doveva fare? Il segretario strinse i pugni, decidendo in cuor suo che il bene dell’Ordine doveva avere la priorità anche sulla sua fedeltà alla Reverenda Figlia Crysania. Per prima cosa, avrebbe cercato di monitorare i suoi spostamenti e di capire quali fossero le sue frequentazioni.
Poi le avrebbe parlato con molta chiarezza. La Chiesa aveva bisogno di un capo a tempo pieno e quella situazione di precarietà doveva finire…in un modo o nell’altro.


***


Crysania si alzò dalla sedia che occupava, lisciandosi meccanicamente le pieghe della veste bianca.
«Te ne vai?» chiese Raistlin, fissandola. Lei annuì. «Mi farò sentire io.» disse l’arcimago, poi tossì forte nel fazzoletto. Quell'inverno si stava rivelando difficile per la sua salute, nonostante il fuoco ardesse sempre nel camino in ogni stanza in cui si recava. L’arcimago si stava stancando molto nella ricerca di informazioni sulla Gemma Grigia e sulle sue possibili connessioni con le visioni di Katlin. Inoltre, c’era un altro problema a cui dover porre rimedio…
«Katlin come sta?» chiese Crysania, preoccupata. Non vedeva la sorella di Raistlin da mesi, ormai. Si erano separate sulla strada per tornare a casa, dirigendosi l’una a Palanthas e l’altra a Solace. Da allora Katlin non aveva mai messo piede alla Torre e Crysania non aveva potuto mettersi in viaggio per raggiungerla.
Raistlin tossì ancora, poi fece un gesto seccato.
«Si occupa del figlio di Kitiara e cerca un modo per riassorbire la propria magia.» rispose con voce tagliente, come aveva già fatto molte volte. Quella non era una risposta, in quanto comunicava alla chierica le attività di Katlin, non il suo stato d’animo. Crysania aveva sempre lasciato correre, ma adesso si impuntò.
«Non ti ho chiesto cosa fa, ti ho chiesto come sta.» ribadì, avvicinandosi a lui. L’arcimago la guardò con espressione irritata, appuntando sul suo volto le pupille a clessidra. 
«Vai a Solace a chiederglielo, se ti interessa tanto.» sbuffò. Crysania si accovacciò accanto a lui e gli coprì una mano con le proprie, continuando a guardarlo con i suoi franchi e decisi occhi grigi. Dopo un po’ Raistlin guardò altrove, corrugando la fronte e picchiettandosi le labbra con le dita lunghe e nervose. «Non so dirti come sta.- rispose infine, con evidente riluttanza- La morte della kender l’ha colpita in profondità, ma le apparenze dicono che si è ripresa bene. È concentrata sul suo obiettivo e usa il tempo che le resta per badare a quel ragazzino. Più di questo non so dirti. Non solo lei non parla né con me né con Caramon, ma con la sua magia sembra essere stato strappato da lei anche il legame che mi permetteva di intuire i suoi pensieri.»
«Nella pietra rossa che Katlin si portava dietro dopo il crollo del covo dei maghi di Takhisis?» chiese Crysania, stupita. Raistlin annuì.
«La sua magia, la sua capacità precognitiva…tutto perduto.- mormorò, con una smorfia- Katlin è diventata una donna comune. Non ha più niente di speciale.»
«Troverete un modo per ridarle la magia, ne sono certa. Se Paladine l’ha scelta per iniziare questa nuova lotta, non può aver consumato così il suo ruolo. Katlin è speciale di per sé.» disse Crysania, con decisione. Raistlin la guardò, sollevando un sopracciglio con fare ironico.
«Ammiro la tua sicurezza.- disse, poi scrollò le spalle magre- E forse hai anche ragione, ma questo non ci aiuta a trovare una soluzione.» Sibilò un’imprecazione. «Fortunatamente a Wayreth le cose si sono bloccate. Anche laggiù fervono le indagini.»
Crysania si incupì, notando che Raistlin era più preoccupato per il ritardo nei suoi piani personali che per la sorella. Questo la indispose abbastanza da farla alzare bruscamente.
«È tempo che vada. Sono uscita dal Tempio senza avvisare nessuno.» disse, brusca.
«Non diresti comunque che stai per darti il piacere di venirmi a trovare, Crysania.» sussurrò lui, sardonico. Lei arrossì e lo fulminò con un’occhiata, a cui Raistlin rispose con un sorriso contorto.
«Ti chiamo Dalamar. Ti accompagnerà.» disse l’arcimago.
«No, non chiamarlo. Non sta ancora bene e non lo voglio disturbare.» borbottò Crysania, brusca, dandogli le spalle e incamminandosi verso la porta. Una mano rovente le si serrò sul braccio e la costrinse a voltarsi. Crysania si chiese vagamente come lui avesse potuto raggiungerla in un attimo, ma la sua vicinanza le confondeva i pensieri. Raistlin le sfiorò il volto con le dita, sempre stringendole il braccio tanto forte da farle quasi male, quindi le sfiorò con le labbra la fronte, il naso, la bocca.
«Sei arrabbiata con me, Crysania?» la stuzzicò, gli occhi dorati fissi in quelli di lei. Lei arrossì.
«Riesci sempre a farmi fare e dire quello che vuoi.» mormorò, risentita. Raistlin sorrise ancora, poi la baciò ancora. Quando la lasciò andare, lei sentì un brivido di freddo.
«Scendi con Dalamar, non contrariarmi. Preferisco tu sia accompagnata, e io…» disse l’arcimago, tornando al tavolo e interrompendosi per un attacco di tosse. «…io non sono in grado di uscire, con questo freddo.»
Crysania avvertì la tentazione di restare, soprattutto notando che lui stava male davvero, poi si fece forza e uscì senza salutarlo. Raistlin non voleva la sua pietà e di quando in quando Crysania temeva che si fosse pentito di aver iniziato quella relazione con lei. Poi lui la sorprendeva con quei gesti gentili…La chierica sospirò piano, ben sapendo che l’uomo che amava sarebbe rimasto un mistero per lei anche se le fosse rimasto accanto per tutta la vita.
Iniziando a scendere le scale, incontrò Dalamar, in sua attesa. Entrambi chinarono il capo in segno di saluto, poi l’elfo oscuro le fece strada verso il portone d’ingresso. Crysania lo guardò con un misto di preoccupazione e di deprecazione. Ecco un’altra Veste Nera che in quanto ad animo contorto non scherzava.
Dalamar si era ripreso con fatica dalla ferita infertagli dallo spettro di Kitiara ed era ancora magro e pallido, ma Raistlin le aveva detto che da qualche settimana aveva ripreso a esercitare la magia. La ferita da cui l’elfo oscuro non era ancora guarito, e non sembrava intenzionato a farlo, era la sua rottura con Katlin. Crysania ne aveva conosciuto i particolari soltanto dopo la battaglia contro i maghi della Regina Oscura. Katlin, certa di doversi sacrificare e in preda a pensieri oscuri, aveva spezzato la sua relazione con Dalamar, sigillandola con l’umiliazione di farlo con Raistlin come spettatore. Katlin sapeva che solo una cosa del genere avrebbe potuto mutare in odio i sentimenti di Dalamar nei suoi confronti e il suo piano era andato a buon fine. Anche troppo, visto che Katlin era sopravvissuta e nonostante ciò i due non si erano più visti né parlati.
Crysania pensava che Dalamar fosse preda di pensieri meschini e che l’evidenza delle scelte a cui Katlin era stata messa di fronte lo avrebbero fatto ricredere. Invece, sembrava che le cose si fossero fossilizzate a quella notte di fine estate in cui la loro relazione si era spezzata.
«Stai bene, Dalamar?» chiese Crysania, suo malgrado preoccupata per l’apprendista di Raistlin.
«Sto molto meglio, Reverenda Figlia. Entro l’inizio della primavera sarò tornato quello che ero.» disse Dalamar, aprendo il portone per permetterle di passare.
«E cosa farai allora?» chiese la chierica, mentre lui usciva a sua volta e chiudeva la porta dietro di sé.
«Aiuterò lo Shalafi nelle indagini, ovviamente.- rispose lui, freddo e cortese- Sapete quanto me che il nostro lavoro è solo agli inizi. La Regina Oscura non ha ancora abbandonato i Suoi piani.»
«Sì, lo so.- mormorò Crysania- Proprio per questo non dovrebbero esserci incomprensioni fra noi, Dalamar.»
«Tra noi, Reverenda Figlia? Mi sembra che non ci siano mai stati screzi tra me e voi.» disse l’elfo oscuro, facendo lo gnorri. Crysania corrugò la fronte.
«Sai che sto parlando di Katlin.» lo accusò. Le linee del volto di Dalamar si indurirono percettibilmente.
«Ognuno fa le sue scelte, Dama Crysania, e Katlin ha fatto la sua. Io agisco di conseguenza.» la freddò l’elfo.
«Ma…»
«Stiamo entrando nel Bosco, Dama Crysania.- la interruppe l’elfo, indifferente- Forse non vi conviene pronunciare certi nomi là dentro.»
Crysania serrò le labbra, indignata, ma non replicò. Nel Bosco c’erano in effetti orecchie indiscrete…e forse nemiche. Seguì Dalamar nell’oscurità, chiedendosi con rammarico se l’amore tra l’elfo e Katlin era davvero morto sulla strada per Bloodbay.

 

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Capitolo 2
*** 2 - Rapporti spezzati ***


CAPITOLO 2

RAPPORTI SPEZZATI

Dalamar camminava tra le ombre della notte nel quartiere disabitato che faceva da anticamera al Boschetto di Shoikan. Stava tornando alla Torre dopo un breve incontro con un messo di Crysania, il quale aveva mostrato tutto il suo disagio nell’avere a che fare con una Veste Nera dandogli la lettera e allontanandosi velocemente senza nemmeno chiedergli una mancia.
L’elfo oscuro sorrise con ironia, tirandosi giù il cappuccio nonostante il freddo gli gelasse il volto e passandosi una mano tra i capelli neri. Avvertiva sempre un sottile piacere nel sortire tali effetti su coloro che non seguivano le vie della magia. Si era preparato ad incontrare Dama Crysania stessa, ma evidentemente la chierica non lo aveva considerato opportuno. Forse era meglio così. L’ultima volta che si erano visti, due settimane prima, Crysania l’aveva bersagliato di domande scomode e irritanti, e l’elfo non aveva intenzione di portare avanti quella discussione.
Dalamar corrugò la fronte, contrariato per essersi lasciato andare a certi pensieri. Bastava poco perché l’immagine di Katlin e il suono della sua voce tornassero a inondargli la mente, riempiendolo di bruciante sete di vendetta e facendogli dolere il petto in modo insopportabile. Dalamar strinse i denti, torcendo la bocca in una smorfia involontaria che rese sgradevole il suo viso. Non aveva più visto Katlin dal momento in cui lo spettro di Kitiara gli aveva affondato in corpo il suo pugnale mortifero. L’ultimo ricordo che aveva di lei era il suo volto pallido, i suoi occhi blu che seguivano la sua caduta sul freddo pavimento di pietra…
Il contorto odio che provava deformava il ricordo e gli faceva vedere una luce di soddisfazione negli occhi di lei, anche se oggettivamente sapeva che le cose erano andate diversamente. Il suo Shalafi gli aveva raccontato ogni cosa, anche se in una versione priva di particolari, quando si era finalmente svegliato dal sonno comatoso in cui aveva vagato per settimane. Katlin e Raistlin avevano battuto i maghi di Takhisis, poi la sorella dello Shalafi aveva cercato di soggiogare il pezzo di roccia nera proveniente dal trono di Neraka dando in cambio la sua magia e la sua vita. Il sacrificio della kender Kyaralhana le aveva risparmiato la vita, ma non il potere magico. Esso si era solidificato in una pietra magica di colore rosso sangue, che da mesi Katlin tentava senza successo di riassorbire. Dopodiché, ognuno era tornato alla sua dimora per portare avanti le indagini o risolvere i propri problemi personali.
Il messaggio tra le righe, benché lo Shalafi non ne avesse fatto alcun cenno, era che Katlin l’aveva lasciato perché convinta di dover morire. Dalamar non era uno sciocco: l’aveva compreso benissimo. Ciononostante, non poteva né voleva perdonarla. Katlin era stata egoista e vigliacca, aveva orchestrato il loro litigio in maniera da umiliarlo davanti allo Shalafi, rifiutandosi di dividere con lui sia la conoscenza di ciò che li attendeva, che i suoi ultimi momenti. Dalamar non aveva più intenzione di stare al gioco di quella donna contorta, degna sorella di Raistlin Majere. Si sarebbe vendicato di lei, in un modo o nell’altro…non appena fosse stato certo di poterla guardare in faccia mostrando nient’altro che gelido disprezzo.
Mentre si avviava tra i primi alberi maledetti, la mano di Dalamar scese in una delle tasche della sua veste, stringendo con un movimento convulso l’oggetto che conteneva: un piccolo visore magico a forma di stella a otto punte. Dalamar se lo era ritrovato in tasca la prima volta che aveva potuto vestirsi da solo, dopo la convalescenza. La sua sete di vendetta verso Katlin gli aveva tolto per un attimo la vista, nello scoprire che lei aveva suggellato la fine del loro rapporto con la restituzione di quel regalo che le aveva fatto a Solace, in una notte nevosa…qualcosa come un milione di anni prima, sembrava.
«La pagherà. Devo solo riprendere il controllo e agire con prudenza.» mormorò a se stesso, e gli spettri del Bosco sospirarono come a dargli ragione.
Davanti alla Torre, Dalamar prese un profondo respiro, alzò il mento in una posa aristocratica e quindi entrò, di nuovo in grado di nascondere allo Shalafi il suo turbamento interiore. Non voleva che egli capisse cosa stava tramando...e non si poteva mai sapere fino a che profondità fossero in grado di scavare quegli occhi dorati.
Non molto dopo, si trovava nel laboratorio, dove Raistlin tracciava disegni di rune e circoli magici su un foglio, controllando al contempo tre grossi volumi sparsi sul tavolo.
«Dunque?» chiese Raistlin, seccato, lanciandogli uno sguardo glaciale dalle pupille a clessidra. Dalamar estrasse una lettera dissigillata dalla tasca e la porse al suo maestro.
«Dama Crysania riferisce di averla ricevuta da Tanis Mezzelfo.- disse l’elfo oscuro, mentre Raistlin la prendeva con ruvida decisione e la apriva- Pare sia per i vostri fratelli, Shalafi. Dama Crysania si scusa per averla letta prima di voi, ma era preoccupata.»
Raistlin annuì distrattamente, mentre leggeva il contenuto della lettera. Giunto alla fine, espirò dal naso e gettò la lettera sul tavolo con noncuranza.
«Un Cavaliere di Solamnia cavalca a spron battuto verso Solace per riportare Steel Brightblade in seno all’Ordine di suo padre.- spiegò, sbuffando- Dovrei avvisare Caramon e Katlin? Bah, tutto questo trambusto per una comunicazione inutile!»
«Perché Tanis Mezzelfo lo dice a voi?» chiese Dalamar, perplesso.
«Sa che ho contatti magici con Solace e una lettera spedita a Caramon sarebbe arrivata a destinazione quasi certamente dopo l’inopportuno visitatore. In ogni caso, non mi interessa.» tagliò corto Raistlin, facendo cenno di tornare ai suoi studi.
«Non lo direte a…ai vostri fratelli?» chiese Dalamar, ricordandosi all’ultimo istante di non nominare Katlin. Uno scintillio negli occhi del suo Shalafi gli comunicò che lui se ne era accorto e si maledisse.
«Lo farò quando avrò tempo. Adesso ho cose più importanti da fare.- fu l’aspra replica di Raistlin- Sia Caramon che Katlin sono capaci di far levare le tende a uno scocciatore senza bisogno di essere avvisati in anticipo.»
Dalamar chinò il capo per mostrare che aveva capito. Raistlin tornò a fare i suoi calcoli sul foglio e Dalamar, comprendendo di essere di troppo, fece per andarsene. Il suo Shalafi lo richiamò sulla porta.
«Le nuove elezioni in seno al Conclave si sono bloccate a causa dell’emergenza, Dalamar.- gli disse Raistlin, senza alzare il capo- Vai a Wayreth e tasta il polso ai maghi. Ho bisogno di sapere quanto tempo abbiamo.»
«Va bene, Shalafi…ma perché?» chiese Dalamar. Raistlin lo guardò e l’elfo oscuro riconobbe l’oscura cupidigia che si annidava in fondo alle iridi dorate.
«Perché Katlin non è ancora fuori dai giochi, apprendista.- sussurrò l’arcimago, con un sorrisetto che comparve e subito svanì- E quando sarà di nuovo in possesso della sua magia, voglio che la conquista del seggio delle Vesti Rosse non sia altro che una formalità.»


***


Come poteva riappropriarsi di ciò che era suo?
Più passava il tempo, meno Katlin riusciva a farsene un’idea chiara. Mormorò qualche parola magica, mentre prendeva appunti sul taccuino su cui stava segnando ogni più piccolo spunto le venisse in mente riguardo agli incantesimi rivolti agli oggetti magici. Non che la pietra rossa che era posata sullo scrittoio fosse esattamente un oggetto magico: quella era la sua stessa magia solidificata, motivo per cui non esisteva un incantesimo che vi si potesse adattare…non ancora.
Katlin corrugò la fronte nell’osservare le rune che aveva vergato, poi le depennò con decisione, voltò pagina e ricominciò. Lei e Raistlin stavano lavorando a quel progetto da mesi, ormai. In qualche modo si stavano avvicinando ad un parziale risultato, ma troppo lentamente secondo i parametri di Katlin. Non ne poteva più di sentire che le parole magiche le morivano in bocca come una lista della spesa. Restare tanto tempo imprigionata nel proprio corpo le stava dando uno strano senso di claustrofobia che la rendeva costantemente nervosa.
Katlin corrugò la fronte e tornò indietro di una decina di pagine, scrutando poi il cerchio magico disegnato con inchiostro rosso. Quella parte dell’incantesimo era quasi a posto. Lei e Raistlin, utilizzando i libri che il fratello portava dalla Torre, avevano ideato un circolo che univa tratti evocativi, viaggio nel tempo e modificazione di forma degli oggetti magici. Era un circolo mai visto prima e non era ancora perfetto. Raistlin aveva individuato la pecca con occhio di falco e da un paio di settimane ci stava lavorando alla Torre di Palanthas. Sarebbe passato a condividere i risultati con lei entro un giorno o due. Restavano da stabilire le parole magiche e il rituale adatto.
Katlin sospirò, stanca, e chiuse il taccuino, pulendo poi la penna con uno straccetto. Quel lavoro certosino le faceva sempre venire il mal di testa. Desiderava andare alla Torre di Palanthas, immergersi nel suo oscuro silenzio e nella sua atmosfera magica, che di sicuro l’avrebbero aiutata a concentrarsi. A Solace aveva troppe distrazioni: Caramon e Tika che la viziavano, i due nipotini che volevano le sue attenzioni, Tasslehoff che la trascinava qua e là…e Steel, che necessitava di supporto e di addestramento.
Bah, era inutile che si lamentasse. Era la loro presenza a garantirle la sanità mentale, visto che tutto ciò che le sembrava di avere ormai in pugno l’anno prima le era scivolato tra le dita a causa della vendetta di Takhisis. Katlin si guardò le mani, come se potesse vedervi le tracce di ciò che aveva perduto.
Raistlin le aveva assicurato che le sue chance riguardo a Wayreth erano invariate, perché le nuove elezioni si erano fossilizzate fino a nuovo ordine. I sospetti di Raistlin riguardo alla Gemma Grigia e la ricerca dei maghi traditori che ancora si confondevano tra le fila regolari degli usufruitori di magia richiedevano un’organizzazione che non avrebbe funzionato con l’insediamento di nuovi capi. Par-Salian, Ladonna e Justarius sarebbero rimasti dov’erano fino al rientrare dell’emergenza.
Katlin ne era lieta, in quanto non aveva abbandonato la sua brama per il seggio di Par-Salian, ma era ben altro ciò che le pesava aver perso. Per quello, non c’era rassicurazione che Raistlin potesse farle…e difatti non ci aveva nemmeno provato.
«Dalamar…» mormorò Katlin, stringendo le mani a pugno.
Era stata lei a lasciarlo. Ad umiliarlo. Questo era vero e innegabile. Katlin credeva di non sopravvivere allo scontro con la volontà della Regina delle Tenebre, ma Kyaralhana si era sacrificata, donandole una nuova possibilità di vivere. Paladine stesso le aveva detto che il suo lavoro su Krynn non era ancora finito.
Anche se era sopravvissuta, Katlin aveva saputo che non c’era speranza di recuperare ciò che aveva volontariamente lasciato ancora prima che Dalamar si svegliasse da quel sonno che lo aveva quasi ucciso. Conosceva l’elfo oscuro meglio di quanto lui stesso supponesse: conosceva il suo orgoglio, la sua oscurità e il suo spirito che facilmente si lasciava dominare dal rancore. No, Dalamar non l’avrebbe voluta mai più.
Katlin non era più andata alla Torre per evitare di vederlo. Vi sarebbe tornata solo una volta riavuta la sua magia…solo quando il tempo le avrebbe concesso di lasciarsi i sentimenti alle spalle come roba ormai vecchia.
Scuotendo il capo nel pensare a quel tarlo che la rodeva, Katlin si alzò dallo scrittoio, si sciolse i capelli, poi afferrò la pietra rossa e si buttò a sedere sul letto, rigirandosi nel palmo quell'oggetto prezioso quanto la sua stessa vita. Immersa nei suoi pensieri, impiegò qualche istante per capire che qualcuno stava bussando alla porta.
 «Zia Katlin?»
Katlin alzò lo sguardo cupo dalla gemma che teneva in mano, reagendo al lieve bussare e al richiamo.
«Zia Katlin? Posso disturbarvi? Siete sola?» chiese ancora Steel.
«Entra, Steel.» rispose Katlin, infilando la gemma irregolare in una tasca dei calzoni. Steel chiedeva sempre se fosse sola prima di entrare. Aveva conosciuto Raistlin e ne era rimasto alquanto scosso. Preferiva non trovarsi nella scomoda posizione di disturbare una conversazione fra i due maghi.
Il ragazzino aprì la porta e chinò la testa in un rispettoso cenno di saluto, strappandole un sorriso mesto. Steel aveva una visione della vita molto formale, come suo padre prima di lui. Aveva faticato per quasi due mesi prima di riuscire a farsi chiamare ‘zia Katlin’ e non ‘mia signora’, ma in quanto ad abbandonare il voi per un approccio più confidenziale sembrava non ci fosse speranza. Katlin non aveva più insistito, decidendo che anche quella era una scelta di Steel.
«So che è tardi, zia, ma avrei desiderio di parlare con voi.» disse Steel, serio e rigido.
«Siediti, Steel. Non è così tardi.- disse Katlin, facendogli cenno di occupare la sedia dello scrittoio- Sara sa che sei qui?»
Steel annuì, prendendo la sedia che gli veniva offerta. Poco tempo dopo il ritorno di Katlin e Caramon a Solace, Steel aveva spedito loro una lettera in cui chiedeva di poter passare del tempo con i parenti di sua madre. Caramon e Tika avevano accolto Steel con tutto l’amore possibile e il ragazzino stava trascorrendo l’inverno da loro, alloggiato alla Locanda insieme alla donna che l’aveva allevato, in mancanza di altre stanze libere nella casa dei Majere.
L’ambiente caloroso della famiglia di Caramon, ormai arricchita di ben due figli, aveva ammorbidito un po’ la severità di Steel e stare a stretto contatto con Tasslehoff gli stava dando un’idea del fatto che esistevano nature diverse da quella umana. Era stata una lezione utile per Sturm e Katlin non vedeva perché questo non dovesse funzionare per il figlio.
«Ti riaccompagnerò, quando avremo finito.» aggiunse.
«Non è necessario…» iniziò a protestare Steel, ferito nell’orgoglio.
«È necessario, in quanto non hai ancora compiuto dodici anni e non voglio che ti accada qualcosa.- lo frenò- Ma se ti vergogni di essere scortato da una donna, chiederemo a Caramon.»
«Non è questo, zia. Vorrei solo essere in grado di badare a me stesso.» disse Steel, arrossendo appena. Il sorriso di Katlin fu sincero.
«Non avere fretta, Steel. Hai appena iniziato il tuo cammino per diventare un uomo.» disse, notando quanto Steel fosse cresciuto già solo in quei mesi. Se avesse continuato così, presto l’avrebbe superata in altezza!
Steel Brightblade ricambiò lo sguardo, a sua volta pensando a quanto la zia fosse cambiata da quando l’aveva vista per la prima volta, dopo essere uscito dalla tomba di suo padre alla Torre del Sommo Chierico. Allora Katlin Majere era una maga delle Vesti Rosse che gli ricordava vagamente sua madre, dal cuore sensibile e la mente acuta.
Quell'inverno la maga si era trasformata in una donna comune, ancora più simile a sua madre nell’abbigliamento, nel modo di fare e, stando ai racconti del kender, negli esplosivi scatti di nervi. Steel aveva saputo che la zia aveva momentaneamente perduto la sua magia e questo doveva averla destabilizzata di molto. La sofferenza che le leggeva in viso, la sua determinazione nel non arrendersi, gliela rendevano più cara. Steel ogni tanto si scopriva a rimpiangere che Katlin non fosse davvero sua madre. Lei gli voleva bene in modo sincero e diretto.
Inoltre, mentre suo zio Caramon lo istruiva sull’uso della spada e sulla lotta, la zia lo addestrava a usare pugnali e bastoni. Proprio quel pomeriggio avevano avuto una discussione in merito.
«A cosa mi serve, zia?- aveva chiesto Steel, frustrato, dopo essere stato atterrato dal bastone di Katlin- Un vero Cavaliere usa la spada!»
«Sicché diventerai Cavaliere? Hai già deciso?» gli aveva chiesto lei, appoggiata con noncuranza al suo bastone. Steel aveva abbassato lo sguardo.
«No, non ancora…- aveva ammesso- ma comunque sarò un guerriero, e perché un combattente dovrebbe usare qualcosa di meno nobile di una spada?»
Katlin aveva sospirato con impazienza, ma senza irritazione.
«Cosa succede al Cavaliere se la sua spada si spezza, o va perduta?- gli aveva chiesto- Si arrende e muore perché non intende maneggiare un’arma indegna di lui?»
Steel era rimasto senza parole per replicare. La scena che lei aveva descritto era molto vivida…e imbarazzante.
«Un Cavaliere privilegerà la spada, ma potrà capitargli di trovarsi in una situazione in cui ciò che lui vuole non ha alcun significato. Situazioni di vita o morte.- aveva continuato Katlin, con una luce dura negli occhi- In quelle situazioni, il Cavaliere dovrà saper usare ciò che ha attorno come arma…e ripeto: saper usare. Ciò significa che un addestramento come quello che stai compiendo ora è tutt’altro che inutile, Steel. Più saprai maneggiare ogni arma che ti troverai a dover usare, più il rischio che tu venga ucciso dal tuo avversario decrescerà.»
Steel si era trovato a doverle dare ragione. Sua zia era sempre in grado di spiegargli le cose con parole semplici e concetti limpidi, su cui poi lasciava che lui pensasse da sé. Quel pomeriggio, infatti, aveva troncato il loro allenamento nonostante le sue proteste, dicendogli che avrebbero ricominciato se e quando lui si fosse trovato d’accordo con le sue parole.
Katlin Majere non era ligia all’onore come un Cavaliere di Solamnia, né piena di brama di potere come una Signora dei Draghi, ma aveva le idee molto chiare su cosa significava vivere in un mondo in cui anche la più piccola scelta poteva essere decisiva. Occorreva essere versatili e di mente aperta, se si voleva diventare una persona degna e in grado di badare a se stessa. Steel stava imparando molto da lei e dalle persone che la circondavano.
Quel pomeriggio, però, al kender Tasslehoff era scappata qualche informazione che aveva gelato il sangue del ragazzo. Aveva ponderato a lungo se parlarne o meno con la zia, in quanto non era nella sua natura impicciarsi nei fatti privati altrui, ma sua madre aveva legami con quanto aveva da chiedere e sua zia gli aveva sempre detto di farle liberamente le sue domande. Prese quindi fiato e sedette dritto e rigido.
«Zia, quest’oggi Tasslehoff mi ha raccontato una cosa che…mi ha sorpreso. Non favorevolmente, temo.» esordì, con voce pacata.
«Tasslehoff?- chiese Katlin, perplessa- Di che si tratta? Riguarda qualcuna delle sue avventure, o…»
«In realtà Tas mi ha raccontato della vostra missione dello scorso autunno, dopo il nostro incontro alla Torre del Sommo Chierico.» disse Steel. La vide rabbuiarsi e i suoi occhi chiari furono velati da pensieri che a lui non era dato conoscere.
«Così ti ha raccontato della pietra del trono di Takhisis? E della morte di Kyaralhana?» chiese Katlin. C’erano amarezza e rimorso nella sua voce. Ancora non riusciva a capacitarsi che la kender si fosse sacrificata al posto suo. Steel annuì e sua zia fece altrettanto. «Qualcosa ti è poco chiaro? O hai domande specifiche per me?» chiese Katlin, pensando che la storia del loro combattimento potesse aver destato qualche curiosità nel nipote.
«In verità, zia, Tasslehoff mi ha involontariamente rivelato una cosa che…» Steel si bloccò, imbarazzato, corrugando la fronte in un gesto che lo accomunò terribilmente al padre. Katlin sorrise.
«Parla pure, Steel. Non temere.» disse. Steel alzò bruscamente gli occhi su di lei, deciso.
«Zia, è vero che voi avete una…relazione…con l’elfo oscuro Dalamar?»
La domanda giunse tanto inaspettata che per reazione Katlin impallidì e quindi divenne paonazza, facendo temere a Steel che stesse per svenire o per sbatterlo fuori dalla camera a calci. Katlin chiuse gli occhi e si passò una mano sul volto. Non si era aspettata nulla del genere.
«Perché mi chiedi questo, Steel? Come conosci Dalamar?» chiese, a voce bassa.
«Tanis mi ha raccontato come è morta mia madre.- spiegò Steel, ora pentito di aver affrontato l’argomento- Mi sembra impossibile che voi e colui che ha ucciso mia madre possiate…stare insieme.»
«Tanis ti ha raccontato che Dalamar ha ucciso Kitiara per salvarsi la vita?» chiese Katlin, sempre con una mano sugli occhi. Steel rispose affermativamente. «E porti rancore verso l’apprendista di Raistlin?» chiese di nuovo. Questa volta Steel rifletté più a lungo.
«Non lo so.- ammise infine- Ha combattuto per la sua vita, questo lo capisco. D’altra parte, ha ucciso mia madre. Non so se lo odio, né quanto.»
Katlin lasciò scivolare la mano in grembo e guardò suo nipote.
«Sappi che io e Dalamar avevamo una relazione, che è durata pochissimo e poi è stata bruscamente troncata. Non c’è più niente fra noi. Puoi stare tranquillo, Steel.» gli disse, con voce atona che non le sembrò nemmeno uscita dalla sua bocca.
Steel annuì, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Arrossì un poco, riportando un po’ di tenerezza nel cuore di Katlin.
«Vi chiedo scusa, zia. Non erano fatti miei.» mormorò, contrito. Katlin si alzò e gli accarezzò i capelli.
«Hai diritto di sapere.- lo tranquillizzò- Ora ti accompagno da Sara, va bene? Sarà preoccupata.»
Steel si alzò, precedendo la zia fuori dalla camera. Non vista, Katlin si morse le labbra per non mettersi a piangere. Tasslehoff non l’aveva fatto apposta, ma le sue chiacchiere senza freni stavolta l’avevano danneggiata. Non aveva mai pensato a quale terribile spettro accomunava Steel e Dalamar. La risposta che aveva dato a suo nipote era l’assoluta verità…ma faceva male.
Faceva terribilmente male.

 

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Capitolo 3
*** 3 - L'arrivo di Steven Sharphalberd ***


CAPITOLO 3

L’ARRIVO DI STEVEN SHARPHALBERD

Raistlin muoveva le labbra su silenziose parole di magia, la fronte corrugata nella concentrazione, mentre si fermava, scriveva alcune modifiche e ricominciava daccapo. Katlin seduta dietro di lui, rileggeva gli appunti di mesi di ricerca, ripassando le fasi e controllando che avessero rispettato tutti i presupposti che si erano dati. Bastava un dettaglio per mandare a monte tutto quanto.
L’arcimago si alzò, oltrepassò la barriera magica che collegava la sua stanza a Solace con quella che occupava nella Torre di Palanthas, andò a recuperare un libro con la rilegatura azzurro notte e tornò dall’altra parte, nella totale indifferenza da parte della sorella. Era abituata a vederlo andare e venire attraverso quell'illusione che ora non riusciva più a riconoscere come tale. La scomparsa della sua magia le aveva tolto anche quella capacità, a meno che non tenesse in mano la chiave che il fratello le aveva consegnato.
«Ci siamo quasi.- mormorò Raistlin, sfogliando al contempo le pagine del libro di Fistandantilus- Arrivati a questo punto, credo che non potremo esimerci dal passare alla fase sperimentale.»
«Nella speranza che io non salti in aria, o qualcosa di simile.» sussurrò Katlin, che quel giorno era di pessimo umore. Fuori dalla finestra c’era una terra su cui stava per arrivare la primavera, ma dentro Katlin era inverno pieno. Raistlin corrugò la fronte e le riservò un’occhiata di biasimo.
«Credi forse che io mi stia divertendo, Katlin?- le chiese, aspro e secco- Se non volessi evitare di farti a brandelli o spedirti  nell’Abisso per errore, non avrei trascorso tanti mesi impegnato in questo rompicapo che è farti tornare in possesso della tua magia.»
Katlin annuì, ma a Raistlin non sembrò pentita. Fece una smorfia.
«Non ti fidi delle mie capacità magiche, forse, sorella mia? Hai da proporre di meglio?» chiese, sprezzante. Solo allora Katlin parve recuperare un po’ della sua sensibilità. Arrossì leggermente e scosse la testa per dissipare quel dubbio, con l’espressione di una bambina pentita dei suoi capricci. Raistlin trattenne un sospiro spazientito. Lei era irritata perché non aveva il potere di gestire da sola l’incantesimo. Era costretta a lasciare tutto o quasi in mano al fratello gemello, e questo la indisponeva moltissimo. Anche Katlin era orgogliosa, con una buona dose di presunzione che non la metteva nello stato di affidare ciò che la riguardava agli altri. Dopotutto, si somigliavano non poco.
«Bene, dunque. Appurato che non è questo che ti disturba, voglio ricordarti che non hai scelta. Sei nelle mie mani, ora.- disse, strappandole un lampo d’irritazione nello sguardo, cosa che gli fece stirare le labbra in un sorrisetto- Questo significa che ti tratterò con riguardo. Lo sai: ho ancora mire sul Conclave e tu sei la mia portabandiera. Non posso rischiare di danneggiarti.»
«Oh, grazie mille per il disinteresse con cui lo fai!» sibilò Katlin, chiudendo di scatto il fascicolo di appunti.
«Mi crederesti se parlassi di scopi fraterni?» la schernì lui, sollevando appena un sopracciglio.
«No.- borbottò la giovane donna, poi scrollò le spalle- Hai ragione, anche se non mi piace. E mi fido di te, figurati…Avrei solo voglia di spaccare qualcosa, da tanto mi sento impotente.»
«Se abbiamo lavorato bene, presto potrai farlo senza danneggiare le tue preziose mani, sorella mia.» disse Raistlin, alzandosi con l’aiuto del Bastone di Magius. Lei annuì, cupa, poi lo guardò con perplessità quando lui le porse una mano.
«Cosa…»
«Stamattina, prima di raggiungerti, ho tracciato il cerchio nel laboratorio.- le spiegò lui, quasi con pazienza- Andiamo. Proveremo l’efficacia di questo incantesimo.»
Il volto di Katlin perse ogni colore. Perfino le sue labbra diventarono bianche e Raistlin non ebbe difficoltà a capire da dove le arrivava tanta ansia.
«Nel…laboratorio?- balbettò Katlin, poi si alzò di scatto- No! Io alla Torre non ci vengo!»
«Non fare la bambina, Katlin.» disse lui, seccato.
«Ti ho detto che non ci vengo!- sibilò lei, con voce pericolosa- Ti avevo già detto che…»
«Vigliacca. Hai solo paura di incontrare il mio apprendista.» la gelò lui, fissandola con i suoi inquietanti occhi dorati. Katlin dovette fare violenza su se stessa per non aggredire fisicamente il fratello e dal divertimento nelle sue pupille a clessidra capì che lui ne era ben conscio. Ah, quanto odiava la conoscenza che aveva di lei e dei suoi pensieri! Eppure la loro sintonia quasi perfetta era data dal sangue e dal modo in cui avevano messo in comune le loro vite, e Katlin non poteva lamentarsi. Raistlin doveva provare le stesse cose quand’era lei a mettere in parole e fatti i suoi reconditi pensieri.
«Non ho paura di Dalamar.» disse, tra labbra insensibili.
«Allora vieni.- ribadì Raistlin, tendendole di nuovo la mano dalle dita sottili- Potresti benissimo non vederlo affatto. È occupato altrimenti e noi saremo nel laboratorio. Solo alla Torre possiamo condurre certi esperimenti, Katlin, lo sai bene. O la tua magia, o la tua paura, sorella mia. Di cosa vuoi vivere?»
Per un attimo ancora, Katlin non disse nulla né fece un movimento. Poi, con riluttanza, strinse la mano del fratello. Raistlin annuì, raccolse i loro appunti, poi camminò con lei attraverso il passaggio magico, portando Katlin alla Torre dopo mesi di assenza.
La guardò di sottecchi e vide la nostalgia ammorbidirle per un attimo i lineamenti quando si trovò di nuovo nell’atmosfera buia, silenziosa e antica di quelle mura. Poi la sua espressione si chiuse di nuovo, rendendola imperscrutabile.
Si recarono al laboratorio senza incontrare altro che gli spettri guardiani, i quali si limitarono ad inchinarsi al passaggio del Maestro e di sua sorella. Raistlin spinse Katlin nella sala, chiudendo la porta dietro di loro con una serie di letali incantesimi. La donna, intanto, stava scrutando il cerchio e le rune disegnate sul pavimento con una sostanza rosso sangue.
«Lunitari, riconducimi a te.» mormorò Katlin, sfiorando la pietra rossa che teneva in tasca. Si sentiva come una corda tesa sul punto di spezzarsi. Doveva recuperare la sua magia il prima possibile, o sarebbe impazzita.
«Comincia con il prendere posizione dentro il cerchio.- le disse Raistlin, sbrigativo, mentre controllava un’ultima volta il suo operato- Hai la pietra?»
Katlin la sollevò per mostrargliela, mentre entrava nel cerchio facendo attenzione a non modificare nemmeno un millimetro del disegno con qualche passo incauto. Raggiunse il cerchio più interno, si sedette con la pietra rossa in grembo e attese che Raistlin iniziasse, quasi tremando dal desiderio di ricongiungersi con la propria magia. Raistlin finì di controllare, appurò che tutto era a posto, quindi si chiuse in concentrazione e cominciò.


***


Fu un pomeriggio terribilmente lungo. L’incantesimo non funzionò e Raistlin ne tentò più di una variante, cambiando l’ordine e la pronuncia di alcune parole senza mai ottenere una reazione né dal cerchio, né tantomeno dalla pietra rossa. Katlin, imprigionata nel centro del cerchio magico fino alla fine dell’esperimento, cercò di contribuire come poteva dando suggerimenti che non trovarono riscontro e che irritavano Raistlin tanto quanto le sue risposte brusche irritavano lei.
Dopo tre ore di tentativi inutili sfiorarono la rissa verbale, entrambi tesi e stanchi, e Raistlin fu colto da un accesso di tosse che lo costrinse a fermarsi e sedersi. Katlin rimase in piedi al suo posto, battendo a terra un piede con impazienza e mordendosi il labbro inferiore per la frustrazione. Sembrava che quei mesi di studio non avessero condotto a niente.
«Raist, io esco.» disse infine, brusca, quando la tosse dell’arcimago gli diede un po’ di tregua. Fece per fare un passo fuori dal cerchio, ma Raistlin alzò una mano.
«Ultimo tentativo.- disse l’arcimago, con voce rauca, facendo sparire in una tasca il fazzoletto ora macchiato di sangue- Dopodiché per oggi lasceremo stare. Non stiamo facendo altro che irritarci a vicenda.»
«Sono d’accordo.- sospirò Katlin, un po’ pentita- Cosa proponi?»
«Pronuncia anche tu l’incantesimo.» disse Raistlin, alzandosi con fatica.
«Ma Raist…senza magia che senso ha provare a…» mormorò lei, perplessa.
«Tu fallo.» tagliò corto Raistlin, e Katlin notò i segni della stanchezza e dell’irritazione sul suo viso. Smise di questionare e annuì, limitandosi a chiedergli quale tra le tante versioni intendeva provare. Ormai le sapeva tutte a memoria e quasi avrebbe potuto citarle all’incontrario. Si misero d’accordo per la versione iniziale dell’incantesimo. Entrambi recuperarono la concentrazione, poi iniziarono a sillabare le parole magiche in sincronia quasi perfetta. Dopo le prime parole, le loro voci si fusero perfettamente, registro maschile e femminile della stessa eredità vocale. La pietra rossa nelle mani di Katlin rimase muta e morta, come le parole che le uscivano dalla bocca, ma il cerchio si illuminò vagamente di una luce rossa, la prima reazione ottenuta in tutta la sessione sperimentale.
«Quindi dobbiamo essere entrambi a richiamare la magia.- disse Raistlin quando ebbero concluso la prova e Katlin poté finalmente lasciare la sua prigione vergata sul pavimento- Ma per attivare il cerchio serve un’altra successione di parole. Ci siamo quasi.»
«La pietra non ha dato segni di vita.» gli ricordò Katlin. Raistlin annuì.
«Ci penseremo dopo aver attivato il cerchio. Per oggi finiamola qui, sono esausto e voglio sedermi accanto al fuoco.» disse, brusco, e Katlin si trovò d’accordo. Anche lei era sfinita.
«Mi riaccompagni a casa?» chiese.
«Sì, ti riporto a Solace.» disse lui, mentre uscivano dal laboratorio, poi ebbe un gesto seccato.
«Cosa c’è?» chiese Katlin, perplessa.
«Ho una lettera di Tanis per te. Me l’ha mandata Crysania già da qualche tempo.» sbuffò Raistlin, e di fronte alla sua occhiata perplessa continuò: «Riguarda il figlio di Kitiara, nonché una seccatura in arrivo per te, sorella mia. Comincia a scendere nella mia camera; io recupero quella missiva, se l’ho ancora da qualche parte.»
«Una seccatura di che genere?» chiese Katlin, corrugando la fronte, ma Raistlin era già sparito, teletrasportato in una qualche sala della Torre. Cupa, Katlin iniziò a scendere le scale, chiedendosi come mai Tanis le avesse spedito una lettera…e come mai essa fosse nelle mani di Raistlin. Tanis era a Solanthas e se aveva deciso di farle arrivare notizie tramite suo fratello doveva trattarsi di qualcosa di urgente, tanto da non poter attendere che la lettera facesse un lungo viaggio fino a Solace. D’altronde Raistlin si era dimenticato di dargliela…Cosa c’entrava Steel? Raistlin non sembrava allarmato, solo seccato, ma d’altra parte all’arcimago non interessava quasi nulla del nipote ritrovato da poco.
Persa nelle proprie preoccupazioni, Katlin imboccò un corridoio. Il suo cuore minacciò di fermarsi quando si rese conto che qualcuno stava venendo verso di lei dalla direzione opposta.
“Dalamar! Che Lunitari mi dia la forza…proprio di qui doveva passare?! Proprio adesso?” pensò, sentendosi gelare l’anima dalla paura mentre il suo corpo continuava a camminare per forza d’inerzia verso la figura che si avvicinava. Eccolo, Dalamar. Ancora un po’ magro, dopo la lunga convalescenza dal colpo che Kitiara gli aveva inferto. Sempre bellissimo, algido nella sua veste nera, imperscrutabile nell’espressione dei suoi occhi verdi.
Katlin si sentì ronzare le orecchie come se stesse per perdere i sensi. La testa le pulsava a ritmo con il cuore, il quale sembrava essere pronto a fare una corsa fuori dal corpo e giù per le scale. Cos’avrebbe detto? Cos’avrebbe fatto? E lui, come avrebbe reagito vedendola? L’avrebbe aggredita? L’avrebbe insultata? Le avrebbe rivolto solo un gelido saluto come se non fosse accaduto nulla?
E intanto camminava per quel corridoio che le sembrava eterno, chiedendosi come mai il suo corpo si muoveva tanto bene quando dentro stava svolgendosi un nuovo Cataclisma e come mai sul suo viso non si muoveva un muscolo quando era preda di una tale ridda di sentimenti. A furia di farsi domande senza risposta, Katlin raggiunse Dalamar…e lo superò senza una parola o un gesto. Dalamar fece altrettanto. I due quasi si sfiorarono, passando uno accanto all’altra, ma entrambi continuarono a camminare verso la loro destinazione come se nulla fosse.
I passi di Dalamar si allontanarono e scomparvero dietro la schiena di Katlin, che imboccò le scale e prese a scendere, sentendosi più morta che viva. A metà della scala perse finalmente la forza nelle gambe e caracollò, aggrappandosi alla parete per fermare la sua caduta e appoggiandovisi perché al momento non era in grado di stare in piedi da sola. Ansimava come se avesse fatto un terribile sforzo fisico, ma era solo il tentativo di non mettersi a piangere o a gridare.
Si erano ignorati. Si erano ignorati! Per tutti gli Dei vicini e lontani, cosa c’era di più orribile di quello? Ed erano stati orribili entrambi, si meritavano senza ombra di dubbio!
«Che razza vita hai salvato, Kyara?» mormorò con voce tremante, cercando di riprendere un minimo di controllo. Non aveva davvero più nulla?
Katlin si trascinò in qualche modo fino alla camera di Raistlin. La porta venne aperta prima che lei potesse sfiorare la maniglia e si trovò di fronte il volto irritato del gemello, che con tutta evidenza aveva trovato subito la lettera e la stava aspettando da un po’.
«E dunque? Ci vuole tanto a raggiungere le mie stanze?» le chiese, seccato, poi la scrutò con maggiore attenzione. «È accaduto qualcosa? Sei pallida.» disse, con voce bassa e allusiva. Katlin si limitò a scuotere la testa. Raistlin doveva aver già capito senza alcun bisogno di spiegazioni e lei non aveva la forza di spremersi una parola sull’argomento.
Raistlin la fece entrare, sempre fissandola. Sembrava appena uscita da un combattimento. Doveva aver incontrato Dalamar nel suo percorso, ma il tempo impiegato da Katlin per scendere fin lì era troppo poco perché tra i due potesse essersi svolta una discussione, o anche solo uno scambio di opinioni. Inoltre, avrebbe udito le loro voci. O si erano ignorati, o si erano giusto scambiati un saluto, e Raistlin poteva facilmente immaginare con quanta freddezza da entrambe le parti. Intanto, sua sorella era sconvolta. Gli sarebbe piaciuto poter vedere la faccia del suo apprendista.
Trattenendo un sospiro seccato per quella situazione che lo costringeva a tenere separate le due parti del suo piano, Raistlin chiuse la porta con un tonfo, afferrò la sorella per un polso senza trovare resistenza e la trascinò dall’altra parte del passaggio magico, a Solace. Dopodiché, le mise nella mano inerte la lettera di Tanis.
«Tieni, leggila.» disse, brusco.
Katlin, desiderosa di sottrarsi al suo sguardo che sapeva troppo e di recuperare un minimo di compostezza, aprì la lettera e si mise a leggere. Raistlin vide un velo di colore accenderle il volto durante la prima lettura delle parole del mezzelfo. Non contenta, Katlin lesse il tutto una seconda volta e il rossore le tinse con decisione la parte alta degli zigomi, mentre gli occhi le scintillavano pericolosamente.
«Cavalieri di Solamnia!» sibilò tra i denti, riuscendo a trasformare il nobile titolo in un insulto fatto e finito.
«Cos’hai intenzione di fare?- chiese Raistlin, sollevando un sopracciglio con ironia- Non potrai occuparti di quel moccioso ancora a lungo, Katlin.»
«Forse no,- ammise lei, accartocciando la lettera nel pugno- ma non lascerò che un qualsiasi Cavaliere di Solamnia si permetta di venire a portare via Steel senza il mio permesso.» Storse la bocca in una smorfia. «Questo Steven Sharphalberd farà bene a mitigare i suoi entusiasmi, o sarò costretta a pensarci io.»


***


Tasslehoff Burrfoot salì di corsa le scale della casa di Caramon, sorridendo beato nonostante il freddo ancora persistente gli condensasse il fiato in nuvolette bianche e gli avesse arrossato la punta del naso. Era stata una limpida giornata di fine Secondomese, con un cielo azzurro come i lapislazzuli, e ormai il sole stava tramontando, lasciando il posto a una sera precoce. In lontananza, la superficie del lago Crystalmir riluceva sotto i profili scuri dei Monti Kalkhist.
Il kender iniziava a respirare primavera e ne era contento. Sperava di accompagnare presto Steel da Tanis, a Solanthas, o di fare un giro a Palanthas, magari per fare visita a Dama Crysania. Piuttosto, chissà come stava la chierica? Raistlin non si prodigava in dettagli quando veniva a visitare i suoi fratelli! Sapere qualcosa di Dalamar, poi, era una vera e propria impresa, e Tasslehoff era preoccupato perché Katlin era sempre triste e nervosa. Da quando era morta Kyaralhana sembrava ci fosse molto più silenzio e a Tas questo non piaceva.
Il suo piccolo viso si incupì per un istante, poi aprì la porta e sfoggiò il suo solito sorriso luminoso. Dopotutto, portava novità!
«Caramon!- gridò Tas, entrando in casa come un allegro turbine di vento- Caramon, ci sei, vero? Tika ti manda a dire che…oh, ciao Sturm! No, non posso farti giocare ora…Sì, va bene, ti prendo in braccio, ma tu prometti di non tirarmi il cod…ahia!»
Tasslehoff si chiuse la porta alle spalle tenendo in braccio Sturm, che stava crescendo robusto come suo padre ma con la propensione ai piccoli dispetti della madre. In particolare, a Sturm piaceva giocare con il codino di capelli di ‘zio Tas’, cosa che faceva lacrimare gli occhi del kender e lo induceva a sperare che il piccolo diventasse presto abbastanza pesante da esimerlo dal prenderlo in braccio.
Il piccolo Tanis Majere, che a quanto pareva stava facendo un sonnellino, si svegliò a causa di tutto quel baccano e protestò mettendosi a piangere energicamente.
«Tio Tas, Tanis piange!» disse Sturm, tutto contento.
«Già, e presumo sia colpa mia.- sospirò Tasslehoff- Immagino che questo possa essere un problema. Tuo fratello non si addormenta mai! Ora, dov’è il tuo papà, Sturm?»
«Papà!» strillò Sturm, allungando le braccia verso il genitore che era appena sceso dalle scale.
«Perfetto! Adesso ci vorrà un miracolo perché riprenda il sonnellino!» esclamò il gigante, un po’ esasperato. Caramon amava moltissimo i suoi figli, ma badare a loro lo prosciugava. Era troppo apprensivo. Prese in braccio entrambi i figli, poi si sedette al tavolo e cominciò a cullare Tanis, mentre Sturm abbracciava il collo paterno con evidente adorazione. Tas ridacchiò comparando quell'immagine al Caramon guerriero che conosceva da una vita. Caramon gli scoccò un’occhiata storta, avendo intuito i suoi pensieri.
«Tika non viene a darmi il cambio?» chiese. Lui e la moglie si alternavano tra la casa e la Taverna in maniera da gestire tutto al meglio.
«Tra poco, ma è arrivato…c’è Kat?» chiese Tasslehoff all’improvviso, guardandosi attorno.
«Kat è via con Raistlin da ore.- disse Caramon, corrugando la fronte- Penso stiano facendo qualche esperimento di magia. Chi è arrivato?»
«Dove, alla Torre?» chiese Tas, interessato.
«Sì, alla Torre. Tas, CHI è arrivato?» insistette Caramon.
«Oh, un Cavaliere di Solamnia!- esclamò il kender- Sembra proprio un cavaliere con tutti i crismi, cipiglio e buone maniere e tutto il resto! Cercava Katlin e Steel, ma ha trovato solo Steel, e se non c’è Kat immagino che dovrà parlare con te, perché Tanis ha detto…»
«Tanis? Un Cavaliere di Solamnia?» chiese Caramon, sorpreso e perplesso.
«È un cavaliere che è andato da Tanis cercando Steel e Tanis l’ha mandato qui, ma dovrà parlare con voi se vuole portare Steel a Palanthas.» spiegò Tasslehoff con pazienza. Caramon corrugò la fronte.
«Come si permettono i Cavalieri di mettere fretta a Steel in questo modo?» sbottò.
«Pensi che Kat si arrabbierà?- chiese Tas, interessato- Io ho pensato così, quando ho visto questo cavaliere, e anche Steel lo pensava perché mi ha chiesto subito di chiamarla, e Tika è un po’ preoccupata e ha detto che se lei non c’era poteva tornare a casa e farti andare, perché…»
«Allora vai a dire a Tika di tornare subito.- disse Caramon, alzandosi in piedi e mettendo giù Sturm, che protestò- Steel non può parlare con quel cavaliere senza uno di noi a proteggerlo dalle pressioni che sicuramente subirà. È un ragazzo delicato, non deve essere forzato…»
Caramon fu bruscamente interrotto quando la porta della stanza di Raistlin si spalancò e venne poi richiusa con un rumore secco. Tutti i presenti si voltarono verso il corridoio, da cui stava arrivando Katlin, con un pezzo di carta accartocciato in mano e l’aria tempestosa.
«Ma vi sembra possibile?!- esordì, senza nemmeno salutarli- Ultime notizie da Tanis: i Cavalieri di Solamnia vogliono Steel. Cosa pensano sia, una reliquia di Sturm?!» Si sedette al tavolo, gettando i resti della lettera sulla superficie di legno con un gesto pieno di disprezzo. «Tanis mi ha scritto. A giorni dovrebbe arrivare un signor ‘Il mio Onore è la mia Vita’ per cercare di portare via Steel. Vediamo di fargli capire subito l’antifona.»
«È già arrivato.» disse Tas, semplicemente. Katlin lo fissò socchiudendo gli occhi in un’espressione che lo mise a disagio.
«Prego?» chiese la donna, a voce bassa.
«Ehm…si chiama Steven Sharpqualchecosa, no?» balbettò Tas. Katlin annuì con un movimento circospetto. «Beh, allora è il Cavaliere che è appena arrivato alla Locanda.»
Katlin rimase immobile e in silenzio, come se non avesse capito bene.
«Mi stai dicendo che è già qui?- chiese infine- Quel cavaliere è già qui?»
«Sì, in questo momento sta parlando con Steel ed è proprio per questo che ero venuto a chiederti se non era meglio che…ehi, Kat! Aspetta!» disse Tas, quando Katlin si alzò bruscamente dal tavolo e gli sfrecciò accanto, aprendo la porta e correndo giù per le scale. Il kender scambiò uno sguardo con Caramon, poi si mise a correre dietro a Katlin, urlandole di aspettarlo.
«Tas, di’ a Tika di tornare a casa e darmi il cambio!» gridò Caramon dietro al kender, sperando di essere sentito. Sospirò e chiuse la porta. Quel Cavaliere di Solamnia stava per pentirsi amaramente di aver intrapreso un viaggio verso Solace.

 

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Capitolo 4
*** 4 - La maga e il cavaliere ***


Author’s note: Katlin è furibonda e il signor Sharphalberd sta per diventare un perfetto capro espiatorio. Dalamar, invece, sarà davvero così indifferente? Secondo me…NO! Piccolo avviso: sabato trasloco e non posso assicurare di avere immediatamente la connessione a internet. Se ritardo nell'aggiornamento, non temete: si tratterà di semplici problemi di linea ;)

CAPITOLO 4

LA MAGA E IL CAVALIERE

Tasslehoff  corse dietro a Katlin fino a raggiungerla, anche se il suo passo marziale lo costrinse comunque a un trotto sostenuto. Il kender immaginava che Kat non avrebbe apprezzato la notizia, ma non si aspettava una tale esplosione di sdegno! Evidentemente gli esperimenti che aveva fatto con Raistlin non erano andati bene. E poi, secondo Caramon i due erano andati alla Torre…forse Katlin aveva incontrato Dalamar? Era per questo che aveva quell'espressione particolare da ‘ho assoluto bisogno di uccidere qualcuno’?
Tas aprì la bocca per chiederglielo, poi la richiuse, incerto. In effetti il suo volto parlava per lei. Era evidente che finalmente aveva incontrato Dalamar e che la cosa non era stata piacevole. Tasslehoff trattenne un sospiro. Era veramente dispiaciuto che le cose si fossero sviluppate in quel senso. Decise di aggirare l’argomento per non infierire su una piaga aperta.
«Kat, pensi di sbattere quel Cavaliere fuori dalla locanda a calci?- le chiese, sempre cercando di guardarla in volto- Hai un’espressione abbastanza aggressiva!»
«Dici?» chiese Katlin, ironica.
«Dico. Immaginavo che ti saresti arrabbiata.» ammise Tas. Katlin fece una smorfia.
«Deve aver cavalcato con un drago alle spalle per arrivare tanto presto!- sibilò, evidentemente parlando di Steven Sharphalberd- Raistlin ha ricevuto la lettera di Tanis un mese fa; aggiungici una settimana per farla arrivare da Solanthas…e la stagione invernale…Avrà ammazzato il suo cavallo, pur di venire a disturbarci il prima possibile!»
«Il suo cavallo sembrava stare piuttosto bene, quindi magari l’ha cambiato per strada.- disse Tas, prendendo sul serio l’ironia di Katlin- Anche lui è un uomo tutto d’un pezzo, e…»
«Dopo che l’avrò scrollato per bene, i pezzi bisognerà raccoglierli.» ringhiò Katlin, stringendo per riflesso i pugni. Tasslehoff ci pensò su.
«Normalmente l’avresti scaraventato via con la magia.- rifletté ad alta voce- Adesso cosa farai? Voglio dire…non mi sembra il caso di fare un duello! O lo prenderai a pugni? Però forse lui non vorrà fare una rissa contro una donna, e…»
«Oh, sarò molto civile, Tas.- mormorò Katlin, con voce pericolosamente bassa- MOLTO civile.»
Il kender si zittì notando che, man mano che si avvicinavano alla taverna, l’ira bruciante di Katlin si andava forgiando in qualcosa di più mirato e freddo. Kat era pronta a combattere per Steel ben al di là del suo possibile malumore di partenza. Per lei era una cosa molto seria permettere al ragazzo di fare liberamente le sue scelte. Non avrebbe lasciato campo libero al Cavaliere di Solamnia.
Ora che raggiunsero la soglia, su cui li attendeva Tika, Katlin aveva sul viso una maschera imperscrutabile ed emanava soltanto gelo.
«Kat, meno male che sei arrivata.- disse Tika, apprensiva- Ora vado a dare il cambio a Caramon, così potrà darti man forte.»
«Sta già parlando con Steel?» chiese Katlin. Tika annuì.
«Non fraintendermi…sembra una brava persona. È davvero gentile e sta trattando Steel con modi deliziosi.- sospirò Tika, lanciando un’occhiata alle sue spalle- È solo che…insomma, i Cavalieri avevano promesso che ce lo avrebbero lasciato almeno per un po’! Quel ragazzo ha bisogno di affetto.»
Katlin le passò accanto e le posò una mano sulla spalla, con un sorriso tirato.
«Stai tranquilla. Gli farò ricordare questa promessa.» le assicurò. Tika si preoccupò se possibile ancora di più. Conosceva quello sguardo e non prometteva niente di buono. La donna dai capelli rossi lanciò un’occhiata a Tas e il kender si strinse nelle spalle, sillabando poi il nome di Dalamar mentre disegnava un punto interrogativo nell’aria. Tika sgranò gli occhi e si voltò di nuovo verso Katlin, ma la donna era già entrata.
«Trovo ancora più necessaria la presenza di Caramon, se le cose stanno così.- mormorò Tika, poi si rivolse a Tasslehoff- Io vado a casa. Stai attento che la situazione non prenda una brutta piega, Tas.»
«Io?- chiese Tas, stupito- E se si mettono a picchiarsi cosa faccio?»
«Ti do il permesso di usare una delle mie padelle e di far tornare ai contendenti un po’ di buonsenso.- disse Tika, lanciandogli il grembiule e incamminandosi a passo lesto verso casa- Caramon arriverà subito.»
«Speriamo!» borbottò Tas. Si gettò il grembiule sulla spalla, poi entrò a sua volta, curioso di vedere cosa sarebbe successo.


***


Steel si voltò all’ingresso di sua zia nella sala comune, al momento poco frequentata. Avvertì un palese senso di sollievo nel vederla andargli incontro con quella sua camminata femminile e misurata, anche se il suo volto era del tutto inespressivo, segno che era irritata. E molto.
Il ragazzo non provava timore nei confronti del Cavaliere di Solamnia che era giunto a Solace apposta per lui, ma l’invito dell’uomo era una tentazione che gli giungeva in un momento difficile, in cui stava ancora cercando la propria strada. Quella era una delle occasioni che tanto Tanis e i suoi zii avevano temuto e Steel si rendeva conto che continuando ad ascoltare il cavaliere la sua mente avrebbe preso la direzione di Palanthas senza nemmeno rendersene conto. Iniziava a dare grande importanza alla propria indipendenza mentale, perciò paventava la debolezza che ancora lo caratterizzava. La presenza della zia a quel colloquio gli garantiva di poter ascoltare le proposte dell’Ordine con un maggiore distacco.
Sara, che era rimasta al suo fianco fino a quel momento, si alzò per andare incontro a Katlin, mentre anche Tasslehoff entrava trotterellando, tenendo curiosamente il grembiule di Tika sopra la spalla. Le due donne si scambiarono uno sguardo, poi Sara si congedò con un piccolo inchino al cavaliere e Katlin si approssimò al posto lasciato libero. Steel mosse appena la testa in un cenno di saluto e lo stesso fece la zia nei suoi confronti…neanche dovessero andare in battaglia. Ma quella, nel suo piccolo, lo era.
Steel si voltò verso il cavaliere, Steven Sharphalberd, proprio mentre lui si alzava per salutare cortesemente la nuova arrivata.
«Io sono Steven Sharphalberd, Cavaliere della Corona.- disse l’uomo biondo, inchinandosi- Ho il piacere di parlare con...»
«Katlin Majere.» finì la donna, allungando una mano perché lui la stringesse senza mutare di una virgola la sua espressione facciale. Il cavaliere la prese, per un attimo incerto se continuare il saluto formale baciandole il dorso o se stringerla senza tante cerimonie. Forse a causa della durezza degli occhi di lei scelse la seconda opzione. Vi fu una stretta decisa da entrambe le parti, poi i due si sedettero.
Steel si rese conto che il cavaliere era rimasto stupito nel vedere sua zia. Probabilmente si era aspettato una maga con la veste rossa, una donna debole e subdola che avrebbe cercato di fuorviarlo con le parole. Le storie che gli avevano raccontato avevano messo in luce molto bene quale attrito vi fosse tra Cavalieri e maghi. Invece, sua zia Katlin aveva il piglio della guerriera; lo stava affrontando direttamente con maniere quasi brusche e soprattutto non c’era traccia della sua veste rossa. Sharphalberd non poteva sapere che sua zia aveva perso la magia.
Tasslehoff trascinò una sedia fino al tavolo, presentandosi ad alta voce.
«Salve, io sono Tasslehoff Burrfoot e in qualche modo si può dire che anch’io sono zio di Steel perché ero tanto amico di suo padre e…»
«Tasslehoff Burrfoot, l’Eroe delle Lance che combatté alla Torre del Sommo Chierico?!» chiese Sharphalberd, distogliendo momentaneamente la sua attenzione da Katlin per spostarla sul kender.
«Esattamente, anche se quella fu un’occasione ben triste. Vi ho mai raccontato di quando Laurana andò a cercare il globo dei draghi e Sturm andò sulle mura, e…- intercettando l’occhiata di Katlin, Tasslehoff sospirò e si sedette- Comunque, di cosa stavamo parlando?»
Steel rimase perplesso dall’espressione scioccata sul volto del cavaliere, poi capì: Sharphalberd aveva accettato il fatto che un kender fosse un Eroe, ma un conto era dirlo e un conto era avere a che fare con il kender in persona. Il ragazzo dovette trattenere un sorriso inaspettato.
«Cosa vi ha condotto fino a Solace, Lord?» chiese Katlin, con voce bassa e impersonale. Sharphalberd riportò la sua attenzione su Katlin.
«Sono qui per vostro nipote, signora. Lord Gunthar desidera mostrare al ragazzo la via scelta da suo padre, in maniera che possa seguire le sue orme in una vita fatta d’onore e gloria.»
«Onore e gloria…capisco.» mormorò Katlin, in un modo che non piacque affatto agli occupanti del tavolo. Il cavaliere si irrigidì, e Steel e Tas si scambiarono un’occhiata preoccupata. Katlin unì le mani sul tavolo, come a voler circoscrivere la propria aura negativa. «Lord Sharphalberd, mio fratello Caramon e la Reverenda Figlia Crysania hanno avuto un colloquio con Lord Gunthar, lo scorso anno, e avevamo convenuto alcuni punti fermi nel modo di gestire questa situazione.»
«Lord Gunthar ritiene che sia giunto il momento per il giovane Steel di prendere una decisione.» disse il cavaliere.
«Tralasciando il fatto che il pericolo che ci ha condotti a Steel è ben lungi dall’essere stato debellato e che il ragazzo dovrebbe stare il più lontano possibile dal figlio di Ariakas, posto sotto la vostra tutela,- disse Katlin, sollevando appena un sopracciglio- vi rendete conto, Lord, che questo si chiama ‘forzare’? Voi state dando un ultimatum a Steel e a noi, i suoi parenti, che stiamo cercando di offrirgli un ambiente familiare che sia consono alla sua formazione.»
«Il vostro ambiente familiare è discutibile, se permettete.» fu la secca risposta del cavaliere.
«Ehi!» sbottò Tas. Steel impallidì un po’, poi sentì la mano di sua zia posarglisi sul braccio. Lei non lo stava guardando, ma aveva avvertito che era stato ferito da quelle parole. Il giovane sentì per lei un impeto di affetto. Il cavaliere giudicava senza sapere e Steel si rese conto di aver appena ricevuto un’altra lezione sul libero pensiero.
«Discutibile. Per quale motivo?» chiese Katlin, incitando il cavaliere a scavarsi la fossa.
Steven Sharphalberd si irrigidì sulla sedia. Era arrivato a Solace spinto dal suo senso del dovere e dalla ferrea decisione di strappare il figlio del grande Sturm Brightblade alle grinfie della sua tutrice, maga delle Vesti Rosse. Non aveva nulla in contrario a che Tanis Mezzelfo si occupasse della sua educazione, in quanto egli era un vero Eroe delle Lance e di certo poteva essere un buon esempio per il giovane orfano, ma venire a conoscenza che Steel Brightblade si trovava in un covo di maghi lo aveva fatto rabbrividire. Conosceva le storie su Raistlin Majere e durante l’ultimo anno Lord Gunthar aveva preso quante più informazioni possibili anche sull’operato della donna che ora sedeva di fronte al cavaliere.
Katlin Majere aveva combattuto sotto la protezione di Paladine, per poi darsi alla Veste Rossa. Frequentava molto la malefica torre del fratello e non occorreva un esperto in materia per prevedere che presto o tardi anche lei avrebbe intrapreso la strada degenerativa del fratello maggiore.
Steven Sharphalberd desiderava comunque comportarsi nella maniera più consona ed educata possibile, e sperava di poter instillare un po’ di buon senso in quella donna. Bastava guardare Steel per capire che egli era nato per essere un Cavaliere di Solamnia. Il giovane aveva la giusta severità, lo sguardo adatto. Paradossalmente, c’era uno sguardo molto simile anche negli occhi della maga.
Quelle iridi chiare che lo fissavano non avevano nulla di malleabile. Erano fredde come ghiacci perenni, limpide e ipnotiche, tanto che Steven faticava a reggerne lo sguardo. Si chiese se fosse una sorta di incantesimo e dovette trattenere una smorfia. Quella donna si vestiva come una qualunque mercenaria, ma era pur sempre una Veste Rossa, come i suoi strani capelli striati di bianco gli ricordavano, e Steven Sharphalberd non era abituato a mentire né a dissimulare.
«La vostra famiglia annovera maghi…anche famosi arcimaghi delle Vesti Nere, nonché la Signora dei Draghi. Non si può dire che queste siano buone carte di presentazione.» rispose quindi.
«Ciò è vero.- ammise con tutta tranquillità Katlin- D’altronde, la mia famiglia annovera anche Caramon Majere, Eroe delle Lance, e in maniera indiretta possiamo unirvi Tanis Mezzelfo, Tasslehoff Burrfoot e lo stesso Sturm Brightblade, il quale è cresciuto assieme alle stesse persone che ora state criticando.»
«È vero, lui e Caramon e Raistlin si allenavano insieme, e…» intervenne Tas.
«In ogni caso non avete alcun diritto di criticare ciò che non conoscete. Permettersi di giudicare ciò che non si capisce è un atto di maleducazione.» lo interruppe Katlin, marmorea.
«Signora, non ho bisogno di capire.- sbottò Steven Sharphalberd, indignato- Cosa c’è da capire, quando vostro fratello è la più immonda e malvagia Veste Nera sulla faccia di Krynn? Quando voi siete stata la fautrice del suo ritorno nel mondo? Quando vostra sorella Kitiara Ut Mathar ha guidato gli eserciti della Regina delle Tenebre e ha ucciso…»
Sharphalberd si zittì di colpo, rendendosi improvvisamente conto di quanto stava dicendo. Guardò il ragazzo, pentendosi di aver rinvangato un ricordo per lui tanto doloroso e augurandosi che nessuno gli avesse ancora raccontato la verità. Lesse però nel suo pallore che Steel Brightblade sapeva tutto ciò che c’era da sapere. Il cavaliere aprì la bocca per scusarsi con il ragazzo, quando la porta della taverna si spalancò ed entrò Caramon Majere.
«Steel. Tas. Uscite per qualche attimo con Caramon.» disse Katlin, prendendo la palla al balzo. Il tono era sereno, tranquillo. La voce, invece, era del tutto priva di vita. Tasslehoff prese in mano la situazione, a sua volta molto contrariato con il cavaliere.
«Dai, Steel! Aspettiamo fuori, va bene? Penso che potremmo andare a trovare i cavalli, avranno bisogno di una strigliata e magari mangeranno uno zuccherino dalle nostre mani. Caramon, ci prendi degli zuccherini?» disse, tirando Steel per un braccio e costringendolo a lasciare il tavolo.
«Cosa? Tas, non è il momento di…» sbottò il gigante, avvicinandosi.
«No, no! È proprio il momento!- disse il kender, fingendo allegria e facendo segno a Caramon di seguirlo- Katlin vuole parlare da sola con il cavaliere. È meglio uscire subito!» Queste ultime parole il kender le sillabò soltanto, in maniera che Caramon potesse capire l’antifona senza tante storie. Tas vide Caramon rabbuiarsi e lanciare un’occhiataccia all’uomo biondo seduto al tavolo, ma il guerriero non insistette. Andò dietro al banco, prese una manciata di zuccherini e seguì il kender e il ragazzo fuori dalla sala comune.
Steven Sharphalberd incontrò di nuovo lo sguardo di quegli occhi blu e stavolta vi vide brillare un freddo fuoco capace di incenerirlo. La studiata calma della maga era stata del tutto messa da parte.
«Lord Sharphalberd, ho dovuto ascoltare spesso il parere altrui nei confronti della mia famiglia. Non ho bisogno di infuriarmi per questo. Siamo tutti adulti e in grado di badare alla nostra reputazione. Le azioni ci conducono ad una fama positiva o negativa a seconda dei tempi e degli obiettivi che perseguiamo.- disse Katlin- Voi, però, avete oltrepassato la misura. Le vostre maleducate e sciocche parole hanno ferito l’animo di un ragazzo la cui vita non è mai stata facile, e che ora sta cercando un po’ di serenità. Una cosa che voi volete togliergli imponendogli una vita da Cavaliere di Solamnia!»
«Io…»
«Non ho finito.- lo interruppe bruscamente Katlin, che stava del tutto perdendo la calma- Voi avete ferito i sentimenti di mio nipote Steel. Avete offeso la famiglia che lo ha accolto e che egli ama. Avete camminato come un drago distratto nel suo giardino, rischiando di sradicare quelle giovani piantine che sono state seminate da così poco e che si ergono ancora fragili. Voi siete un danno per noi, Steven Sharphalberd.»
«Signora…»
Katlin si alzò in piedi di scatto, fremente d’ira e tanto minacciosa che il cavaliere posò una mano sull’elsa della spada senza nemmeno accorgersene.
«Voi non sapete niente di cosa sia il vero onore. Non capite i sentimenti altrui e perciò la vostra carica di Cavaliere rimane solo un nome. Non conoscete le vette raggiunte dal cuore di Sturm, o gli abissi di quello di Raistlin, perciò come osate criticare con parole sciocche?!- sibilò la maga- Steel forse diventerà Cavaliere, un giorno, ma sarà lui a deciderlo. Non voi, né l’Ordine, e nemmeno io. Fino ad allora, io proteggerò quel ragazzo da gente come voi, guidata solo da sterili dogmi!»
Steven Sharphalberd rimase ammutolito a fissare quella donna, che in quel momento sembrava tanto più alta e imponente di lui. La forza della sua ira lo inibiva, ma al contempo il cavaliere riuscì a intuire quanto la donna fosse realmente affezionata al ragazzo. Lui aveva creduto che i Majere intendessero utilizzare il nipote in qualche modo, ma sembrava che almeno la donna fosse sincera nel suo prendersi cura di Steel Brightblade.
«Andatevene da Solace, Steven Sharphalberd. Non c’è niente per voi, qui.» finì Katlin, con voce fattasi roca. Diede le spalle al cavaliere e fece per andarsene. Il guerriero si alzò in piedi in uno sferragliare di armatura, le corse dietro e le toccò un braccio.
«Signora…»
Katlin si fermò. Si voltò, già pronta a scontrarsi di nuovo. Vide invece il cavaliere inchinarsi con un movimento rigido.
«Signora, mi rendo conto di avervi offesa con giudizi affrettati, e quel che è peggio ho ferito involontariamente il giovane Brightblade. Me ne rammarico. Vogliate accettare le mie scuse.» Si raddrizzò e stavolta furono i suoi gli occhi in cui brillò una ferrea decisione. «Ciononostante, non mi arrendo, signora. Non è nelle mie abitudini. Lord Gunthar mi ha dato un ordine e io lo eseguirò. Con o senza la vostra approvazione. Io non lascerò Solace senza il giovane Steel.»
Katlin si voltò del tutto, fronteggiando quel cavaliere sfacciato. Duellarono per qualche lungo istante con lo sguardo, senza che nessuno dei due cedesse di un millimetro, poi Katlin storse la bocca in una smorfia.
«State attento a non venirmi fra i piedi, Lord Sharphalberd.- mormorò, corrugando la fronte- La mia pazienza ha un limite.»
Ciò detto, si voltò e uscì, lasciando solo il cavaliere. Egli si avvicinò alla finestra, osservando la donna che si dirigeva alle stalle. Provava inaspettatamente una vaga ammirazione per lei e questo la rendeva degna di essergli avversaria. Quella era diventata una battaglia vera e propria e Sharphalberd non si sarebbe tirato indietro.
«Scoprirete che non si può vincere la pazienza di un cavaliere, signora.» mormorò.


***


«Strega. Maledetta strega!» sibilò Dalamar, tirando un calcio al suo baule. Il coperchio sussultò rumorosamente e Dalamar riprese a camminare in tondo al centro della propria stanza, roso dalla rabbia ma poco propenso a fare fracasso per timore che il suo Shalafi capisse cos’era successo.
Non riusciva a non pensare all’indifferenza sul volto di Katlin quando si erano incrociati in corridoio. Proprio da lì doveva passare, quella sconsiderata?! Il fatto che lei fosse priva di magia e quindi costretta a usare le scale non aveva per lui alcuna valenza di scusa. Men che meno lo aveva il fatto che nemmeno lui l’avesse guardata in maniera palese, né le avesse rivolto la parola. Era lei ad essere in torto! Era lei a dovergli chiedere scusa, ad umiliarsi! Allora lui si sarebbe preso la sua vendetta utilizzando parole che cesellava con pazienza da mesi…
Invece, nulla. Si erano ignorati, continuando a camminare ognuno per la propria strada. Era una fortuna che Katlin non si fosse voltata, perché altrimenti lo avrebbe visto fermarsi in fondo al corridoio e fissarla con odio omicida. Aveva avuto un tale desiderio di strangolarla, o spingerla giù per le scale, che ancora gli facevano male le mani. Le aveva strette a pugno per impedirsi di commettere una sciocchezza. Lo Shalafi lo avrebbe ucciso per un atto del genere.
Si sedette sul letto con un sospiro irritato, passandosi una mano sul volto. Non andava bene. Così non andava bene per niente. Era stato sicuro di poter mantenere la calma, una volta che l’avesse incontrata. Sciocca illusione…Provava ancora troppe cose contrastanti per Katlin. Se l’odiava tanto era perché l’aveva amata altrettanto. Doveva lasciar decantare entrambi i sentimenti, perché solo così sarebbe riuscito a prendersi la sua vendetta.
«Lei è già riuscita a provare indifferenza per me. L’ho visto molto bene.» mormorò, con una smorfia. D’altronde, Katlin era sorella dello Shalafi. Si somigliavano in molte cose.
Dalamar si stese sul letto, cercando di calmarsi. Quando il sonno lo colse, non se ne rese conto. Scivolò nei meandri del sogno, dove una donna che durante la veglia pretendeva di odiare lo accoglieva con il sorriso e gli apriva le braccia, pronta a condividere il suo amore.

 

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Capitolo 5
*** 5 - Cambio di rotta ***


Author’s note: Steel è conteso da tutte le parti in causa e Steven ha deciso di pestare i piedi a Katlin. Come finirà? E Raistlin come la prenderà?

CAPITOLO 5

CAMBIO DI ROTTA

Katlin scese le scale di corsa, allacciandosi alla vita la cinta con i pugnali. Trovò dabbasso Tika, che allattava il figlio più piccolo. Sturm faceva un sonnellino al piano di sopra e la casa era immersa nella tranquillità. Tika sollevò la testa all’ingresso della cognata.
«Esci?» chiese.
«Vado ad allenarmi un po’ con Steel.- rispose Katlin, controllando i pugnali- A quanto pare non ritiene più un disonore utilizzare armi diverse dalla spada.» Sorrise appena, sfoderando le piccole armi per poi riporle con un movimento fluido.
«Non hai pranzato, oggi…» iniziò Tika, preoccupata, ma Katlin scrollò le spalle in una manifestazione di noncuranza. Sembrava di cattivo umore e le sue successive parole glielo confermarono. «Lo scocciatore non ha ancora levato le tende?»
«Se intendi riferirti a Lord Steven, no. Dice che la sua camera alla locanda è molto confortevole.» rispose Tika.
«E tu dagliene una scomoda, almeno si leva dai piedi!» sbuffò la giovane donna, capricciosa.
«Kat…» sospirò Tika, rimproverandola con lo sguardo. Katlin strinse le labbra, poi iniziò a raccogliersi i capelli dietro la nuca con gesti bruschi, legandoli con una striscia di cuoio in una coda alta. Tika la osservò, preoccupata e un po’ indisposta da quel costante cattivo umore della cognata.
Lei e Kat erano amiche, questo era indiscutibile. Katlin era sempre più che gentile con lei, l’aiutava sia nelle faccende domestiche che con i bambini (per non parlare del fatto che era quasi sempre lei a sobbarcarsi Tasslehoff), ma nonostante ciò Katlin non si confidava con lei. Tika desiderava che la giovane si togliesse dal cuore il peso che l’affliggeva parlandone con lei o con Caramon, ma sembrava che dopotutto le sue somiglianze caratteriali con Raistlin fossero molte di più di quanto si era creduto in un primo tempo. La reazione di Katlin alle avversità era il mutismo. Si chiudeva in se stessa a doppia mandata e tanti saluti al resto del mondo. Chi cercava di entrare veniva aggredito.
«Quel dannato cavaliere ha la testa dura.- sibilò Katlin, riportando i pensieri di Tika sull’argomento in discussione- L’altro giorno l’ho scaraventato per bene, eppure non desiste. Non si può dire che non sia ostinato. Inoltre deve possedere una vena masochista, perché gli ho promesso che gliel’avrei fatta pagare se mi fosse stato tra i piedi. Forse non mi ha creduta!» sbottò Katlin, poi intercettò la disapprovazione negli occhi verdi della cognata e si passò una mano sulla fronte, cercando palesemente di contenere la propria ira. «Non posso farci niente. Mi irrita. Prima se ne andrà, prima sarò tranquilla. Ho molto lavoro da fare e questo contrattempo non ci voleva.»
«Steel che cosa ne dice?» chiese Tika, sollevando il piccolo Tanis per fargli fare il ruttino. Katlin allargò le braccia in un gesto eloquente.
«Non dice niente, sa che disapprovo.- Allo stesso tempo, ci sta pensando.- rispose Katlin, corrugando la fronte- So che prima o poi prenderà quella via. Ce l’ha scritto nel sangue. Vorrei comunque che non accadesse ora, quando ancora brancoliamo nel buio riguardo al futuro che ho visto durante la trance. L’Ordine non si rende conto di quanto importante sia, al momento, tenere Steel il più lontano possibile dal figlio di Ariakas.»
Ciò detto, uscì. Tika abbassò lo sguardo sul figlioletto e sospirò. Anche lei sperava che a Steel fosse risparmiato di dover partecipare alle grandi lotte di Krynn. Tutti loro, in famiglia, ne erano stati coinvolti. Per i suoi figli e per il nipote, Tika pregava che il futuro riserbasse una vita normale e tranquilla.
Katlin, intanto, scendeva le scale di corsa. La conversazione le aveva fatto crescere in corpo la voglia di scaricarsi con un po’ di esercizio fisico. Alla base dell’albero, seduto sull’ultimo gradino della scala, c’era Steel ad attenderla. Il ragazzo si voltò e si alzò sentendola arrivare.
«Buongiorno, zia.- la salutò, serio e compito- Spero che questo allenamento non vi sia di disturbo.»
Katlin non poté fare a meno di sorridere. La cortesia di Steel nascondeva un animo fragile e in cerca della propria via come lo era stato quello di suo padre. Era una maschera dietro cui trovare un proprio equilibrio. Katlin si sentiva toccata dalla natura di Steel come non avrebbe mai creduto possibile. Pensare che, venendo a conoscenza della sua esistenza, aveva riso con tanto disprezzo alla volta di Kitiara…
«Tutt’altro, Steel. Ho bisogno di sgranchirmi un po’, mentre attendo che Raistlin metta a punto il lavoro fatto finora.- rispose, posandogli per un attimo la mano sulla spalla- Piuttosto, dov’è Tasslehoff? Di norma non ci lascia soli in queste attività.»
«Tas si trova con lo zio Caramon, il quale è a colloquio con Lord Sharphalberd.» rispose il ragazzo. Il sorriso morì sul volto di Katlin.
«Bene, capisco.» rispose, mentre pensava: “Spero che lo convinca ad andarsene a suon di pugni!”
«Voi disapprovate, zia. Vero?» chiese Steel, abbassando la voce.
«Disapprovo i modi, Steel.- sospirò lei- In ogni caso, è presto per parlarne. Adesso andiamo ad allenarci.» Lo sospinse dolcemente, costringendolo a incamminarsi. Dopo qualche passo, Steel alzò di nuovo lo sguardo su di lei.
«Zia…»
«Lo so.- lo interruppe lei, atona, e Steel si accorse con dispiacere del pallore sul suo viso- So già cosa vuoi dirmi, Steel. Solo, aspetta ancora un po’.»
Steel, dopo un attimo, annuì. I due camminarono fianco a fianco senza accorgersi dei tre individui che stavano giungendo a casa di Caramon.


***


«Dove vanno vostra sorella e il giovane Brightblade?» aveva chiesto Steven Sharphalberd, seguendo i due interessati con lo sguardo, quando si era recato in visita alla moglie di Caramon Majere accompagnato dal guerriero stesso e dal kender.
«Ad allenarsi, presumo.» aveva sospirato Caramon. Quell’uomo sembrava un maestro di pazienza, un brav’uomo forse troppo ingenuo. Steven si trovava a suo agio con lui e non faticava a vederlo nel ruolo di amico e compagno del grande Tanis Mezzelfo.
«Se si tratta di spada, il maestro è Caramon.- aveva puntualizzato Tasslehoff, allegro- Ma Kat è brava con i pugnali e i bastoni, e poi è agile, così Steel si abitua a combattere anche senza usare la forza. O almeno, così dice Kat, e dice anche che io ne sono l’esempio, perché…»
«Vostra sorella è una maga, o così mi è stato narrato.- aveva controbattuto il cavaliere di Solamnia, corrugando la fronte- Com’è possibile che usi delle armi? Inoltre, non l’ho mai vista con addosso la veste rossa, da che mi trovo a Solace. Parimenti, non l’ho mai vista esercitare la magia.» A questa parola gli era sfuggita una smorfia nonostante i suoi sforzi per trattenerla, rendendo palese quanto poco gli piacesse l’argomento.
«Oh, è una storia molto semplice, anche se un po’ triste.- aveva detto Tasslehoff Burrfott, incrociando le braccia sul petto e annuendo- Devi sapere che…»
«Lord Sharphalberd, cosa vi ha detto Lord Gunthar riguardo mia sorella?» gli aveva chiesto Caramon, zittendo Tas parandogli una mano davanti alla bocca. Sul volto di Steven era passata una palpabile incertezza che aveva spinto il guerriero a sospirare. Quel giorno avevano chiarito le rispettive posizioni riguardo a Steel e il cavaliere era rimasto sollevato nel rendersi conto che lo zio del giovane Brightblade non aveva nulla in contrario a che il ragazzo prendesse la via che già era stata di suo padre.
Ciò che il cavaliere non capiva era il legame che si era formato tra Steel e Katlin Majere. Steven non poteva cercare di spezzarlo, né avrebbe comunque saputo raccapezzarcisi. Il cavaliere era sconcertato dalle differenze che passavano tra un membro e l’altro della famiglia Majere…e grazie agli Dei, fino a quel momento gli era stato risparmiato un incontro con il famigerato Raistlin Majere! Caramon Majere, in ogni caso, non voleva che Steven avesse una cattiva opinione di Katlin e questo era ovvio. Come fosse possibile tanto sincero affetto verso una persona tanto discutibile, il cavaliere non riusciva a comprenderlo.
«So che è una maga e che ha cambiato le sue vesti bianche con le rosse, prendendo quindi una strada poco raccomandabile.- aveva mormorato in risposta, rigido e a disagio sotto lo sguardo cupo di Caramon- So che si è riunita da poco a voi, dopo aver vissuto a lungo altrove. So anche che la Regina delle Tenebre l’ha eletta sua nemica.»
«Sono tutte cose vere. Kat ha rischiato la vita per combattere Takhisis e ciò che vedete ora ne è il risultato.» aveva sospirato Caramon.
«Varebbe a dire?» lo aveva incalzato il cavaliere.
«Kat ha perso la magia.- si era inserito Tasslehoff, con la sua voce squillante, guadagnandosi due occhiate di disapprovazione- Non per sempre, credo, anche perché ci sta lavorando con Raistlin, però ora non può lanciare gli incantesimi né andare in trance e poi pensa sempre alla morte di Kyara, perciò si comporta come se fosse Kitiara ed è sempre nervosa…però non si arrende mai e non bisogna sottovalutarla!»
«Durante la battaglia contro i maghi di Takhisis, Kat ha dovuto sacrificare la propria magia e non ha perso la vita solo perché una nostra amica, la kender Kyaralhana, si è immolata al suo posto.- aveva riassunto Caramon, cercando di dare un senso logico alle parole di Tas- Vorrei che capiste in che situazione difficile si trova mia sorella. Lei è buona e ha tanto a cuore Steel. Cercate di non forzarla e di non farle del male, perché non ve lo perdonerei.»
Steven aveva abbassato per un attimo lo sguardo, corrucciato. Non conosceva quei particolari e, anche se questo non mutava la natura della maga, riusciva comunque a fargliela vedere sotto un’altra luce. Era una persona pronta a sacrificarsi per gli altri. Doveva tener conto di quel particolare?
«Inoltre, Katlin ha visto qualcosa di terribile nel futuro e una delle chiavi per non permettere che questo ‘qualcosa’ accada è tenere Steel il più lontano possibile dal figlio di Ariakas…che voi avete in custodia.» aveva aggiunto Caramon. L’osservazione aveva in qualche modo irritato Steven.
«So che ne avete parlato con Lord Gunthar e a questo proposito non dovete temere.- era stata la sua rigida risposta- I due non verranno mai in contatto.»
«Lo spero. Non sottovalutate il potere della Regina.» lo aveva ammonito Caramon, cupo.
«Io vado ad assistere all’allenamento.- li aveva informati Tasslehoff - Lord Steven, perché non vieni anche tu? Così vedrai Steel all’opera.»
Il cavaliere aveva annuito, congedandosi da Caramon e seguendo il kender, che con tutta evidenza sapeva dove andare. Tasslehoff era rimasto in silenzio finché il gigante non era diventato nient’altro che una figura lontana, poi si era deciso a parlare, con un tono serio che aveva sorpreso Steven.
«Una cosa che non sai, Lord Steven, è che sia Steel che Katlin hanno il cuore ferito. Forse è per questo che vanno tanto d’accordo. Si sono sempre sentiti tanto soli e adesso si fanno compagnia. Steel la vede un po’ come la sua mamma, e Kat…credo voglia vederlo felice. Vuole che non viva una vita triste.- aveva mormorato il kender con un tono di voce inusuale, calciando via un sasso e tirando su con il naso- Quando Kyara è morta abbiamo pianto tanto. E’ stata una cosa triste…per tutti noi. Kat non riesce a perdonarsi per non averci impedito di ficcare il naso, ma non è colpa sua. In realtà, ci sarebbero state ancora più lacrime se fosse morta lei. E’ brutto da dirsi, ma so che è così.»
«Siete legati fino a questo punto?» aveva chiesto il cavaliere, corrugando la fronte.
«Oh, certo!- era stata la sicura risposta Tas, sollevando lo sguardo su di lui con sincero entusiasmo- Kat è uno spasso, quando è in vena, e poi è dolce e anche se ogni tanto è un po’…come dire…’raistliniana’, rimane sempre un’amica. Io credo che se le parlaste con più calma potreste capirvi.»
«Chissà…» aveva mormorato Steven, mentre il kender correva avanti verso una radura in cui zia e nipote avevano già iniziato a combattere. Si era così ritrovato ad osservare con occhio critico l’allenamento del giovane Steel. Che razza di maestra d’arme poteva essere una debole maga?! Ancora una volta, aveva dovuto mettere da parte i propri pregiudizi. La donna se la cavava più che bene, aveva un certo stile e sapeva spiegare al ragazzo in modo semplice e diretto. Non sarebbe mai stata una guerriera, ma sapeva offrire un ottimo allenamento di base.
Ora che guardava la donna scherzare con il kender, Steven si rese conto che la sua missione gli imponeva di separare il giovane Brightblade non da una tutrice indegna, ma da coloro che il giovanotto stava imparando a riconoscere come la propria famiglia. Forse era davvero presto per condurre Steel a Solamnia…D’altra parte, non poteva nemmeno decidere di disubbidire a un ordine diretto di Lord Gunthar.
Rimase da parte, corrucciato, all’ombra dell’albero che fino a quel momento gli aveva fatto da schienale. Si era messo alle spalle della donna e se lei si era accorta della sua presenza aveva deciso di non dargli peso. Steel, invece, lo aveva notato e aveva dato il meglio che gli fosse possibile durante l’allenamento, cercando con tutta evidenza la sua approvazione di Cavaliere di Solamnia.
Ora che l’allenamento sembrava concluso, Katlin Majere smise di fingere di non averlo visto. Infilò i pugnali nelle guaine con un solo movimento fluido e si voltò verso di lui esibendo un’espressione scura, avvicinandosi con passo minaccioso.
«Ebbene? Vi siete divertito? Lo spettacolo è stato di vostro gradimento?» chiese, palesemente irritata.
«Siete agile con le armi che portate al fianco.- disse il Cavaliere, inchinandosi lievemente- Steel Brightblade sta ricevendo un buon addestramento di base.» Katlin lo guardò dritto in faccia e Steven notò lampi di sospetto e irritazione in quegli occhi chiari, poi la donna parve aver capito che non si trattava di una provocazione e annuì bruscamente. «Lady Majere, inizio a comprendere le vostre ragioni.- aggiunse, e si accorse di averla sorpresa- Nonostante questo, non disobbedirò ai miei ordini. Porterò il giovane Brightblade a Solamnia. Questo non significa, ovviamente, che verrà separato da voi.»
«Ma quale gentilezza…» mormorò Katlin, socchiudendo appena gli occhi.
«Mi sembra palese che la vostra presenza lo rincuori, per cui chiederò a Lord Gunthar di darvi maggiore fiducia in quanto tutrice del ragazzo.» le disse graziosamente il cavaliere, sicuro di farle qualcosa di gradito. Non capì perché si rabbuiasse tanto, né perché la bocca le si stortasse in una smorfia.
«Non avrete di che preoccuparvi. Sarò io stessa a fare presente certe cose a Lord Gunthar.» disse seccamente la maga, sciogliendosi i capelli con un gesto brusco e incamminandosi dietro a Tas e Steel, che erano già piuttosto distanti. Steven corrugò la fronte.
«Cosa volete dire?» chiese, perplesso. Katlin lo guardò di nuovo e stavolta con la fredda determinazione del sangue magico che le scorreva nelle vene.
«Sono conscia quanto voi che Steel vi seguirà, Lord Steven.- disse- Sappiate, però, che non lo lascerò compiere questo viaggio da solo. Verrò con voi.»
«Come?! Aspettate, voi non…» sbottò il cavaliere, scioccato.
«Non discuterò su questo, Lord Steven.» lo zittì lei. Katlin se ne andò senza più voltarsi indietro, lasciandosi alle spalle un Cavaliere di Solamnia senza parole.


***


«Non ce n’è traccia…» mormorò Raistlin, sfiorando con le lunghe dita nervose le pagine del libro che stava consultando. Lo richiuse, poi si portò le dita alle labbra, in una posa di contrariata concentrazione che gli era tipica. Aveva letto tutto ciò che la sua biblioteca conteneva allo scopo di cercare informazioni sulla Gemma Grigia di Gargath, ma sembrava che quel dannato ed elusivo oggetto fosse scomparso dopo aver creato kender e gnomi ed aver gettato lo scompiglio su Krynn. Non esistevano, a quanto pareva, informazioni serie ed attendibili sulla creazione della pietra, e questo all’arcimago non piaceva per niente.
Questa omertà sull’argomento gli faceva pensare di aver centrato il punto. L’oggetto apportatore di distruzione che Katlin aveva intravisto nelle sue visioni indotte del futuro doveva per forza essere la Gemma Grigia di Gargath. Farsi troppe domande su COME questo sarebbe avvenuto, avrebbe costituito una perdita di tempo. Bisognava iniziare con il trovare quella dannata pietra. Dopodiché, l’avrebbe studiata a fondo.
Raistlin spostò le sue iridi dorate sulla mole di appunti che occupava il tavolo. Oltre agli studi sulla Gemma Grigia, l’arcimago aveva anche apportato delle modifiche sostanziali all’incantesimo che avrebbe permesso a Katlin di tornare in possesso della sua magia. Credeva che gli ostacoli maggiori fossero ormai superati. Restava forse qualche minuscolo dettaglio, ma erano a un buon punto.
Raistlin corrugò la fronte. Era una fortuna che il Conclave si fosse fossilizzato per qualche mese, messo in allarme dagli ultimi avvenimenti riguardanti Takhisis, altrimenti Katlin avrebbe perso le elezioni per i nuovi seggi e il piano dell’arcimago sarebbe andato in fumo. Governare su entrambe le Torri…Il pensiero gli strappò un sorriso duro e affilato come l’acciaio, poi Raistlin si alzò faticosamente dalla sedia aiutandosi con il Bastone di Magius. Era provato dalle tante ore di studio e desiderava riposarsi un po’.
In quel preciso istante, un piccolo rintocco all’interno di una delle sue tasche segrete gli comunicò che Katlin aveva appena fatto la sua comparsa alla Torre. Raistlin non trattenne una smorfia infastidita, ma si risedette. Sua sorella possedeva ancora la chiave magica e aveva il permesso di usarla, sebbene negli ultimi mesi non l’avesse mai fatto di sua spontanea volontà. Forse incontrare Dalamar le aveva tolto quella inibizione. In ogni caso, sembrava che il suo riposo avrebbe dovuto attendere. Raistlin si sedette di nuovo, poi chiamò l’elfo oscuro con la mente, riordinando al contempo il materiale che doveva affidare alla sorella. Qualcuno bussò alla porta e l’arcimago ordinò al suo apprendista di entrare.
«Avete bisogno di me, Shalafi?» chiese Dalamar, entrando silenziosamente nella stanza con le mani affondate nelle maniche della veste nera.
«Prendi una sedia, Dalamar, e attendi con me.» disse Raistlin, facendogli bruscamente cenno di entrare.
«Attendere cosa, Shalafi?» chiese Dalamar, perplesso, chiudendo la porta alle proprie spalle e avvicinandosi al grande tavolo dello studio.
«Mia sorella, Dalamar.» disse Raistlin in tono discorsivo, compiacendosi quando il suo apprendista si pietrificò sul posto. «E’ appena entrata nelle mie stanze. Sarà qui a momenti, immagino. Non potendo usare la magia, impiegherà qualche minuto per fare le scale.»
Impossibilitato a voltare le spalle al suo Shalafi e a fuggire via da quella situazione, Dalamar si sedette, rigido come un pezzo di marmo, e attese in silenzio. Non molti minuti dopo, qualcuno bussò.
«Entra, Katlin.» disse Raistlin, e non fu sorpreso di vedere l’espressione cupa che caratterizzava i lineamenti della sorella. Allo stesso modo, non gli sfuggì il lampo d’odio negli occhi di lei quando si accorse che Dalamar era nella stanza. Katlin chiuse la porta alle proprie spalle, camminò fino al tavolo e, invece di fermarsi, continuò ad avanzare fino a raggiungere la finestra. Lì appoggiò le mani ai bordi di pietra, in una posa tesa. Raistlin non si voltò a guardarla. Dalamar rimase con gli occhi fissi su un punto anonimo del pavimento.
«Ebbene?» chiese Raistlin, quando il silenzio teso si prolungò. Tossì piano e si asciugò le labbra in un fazzoletto.
«Steel verrà a Palanthas ad incontrare Lord Gunthar.» disse Katlin con voce atona.
«Immagino dunque che il Cavaliere di Solamnia sia giunto a Solace.- disse l’arcimago, corrugando appena la fronte- Non sei riuscita a scacciarlo?»
Katlin emise un verso sprezzante che fece quasi trasalire Dalamar. Era molto tempo che non udiva quel suono.
«Conosci i cavalieri e la loro testardaggine.» disse lei, con voce amara.
«Devi fermare il ragazzo, allora.» mormorò suo fratello.
«Non posso farlo. Gli ho promesso di non forzarlo nelle sue scelte. Lo tradirei.» fu la risposta tesa di Katlin. Raistlin si accorse che Dalamar aveva stretto i pugni tanto da sbiancare le nocche. Ecco uno che era stato ‘tradito’ proprio dalla stessa donna che ora stava parlando. Raistlin poteva leggere questi pensieri con molta chiarezza sul volto del suo apprendista e sapeva che anche la sorella conosceva le implicazioni delle proprie parole.
«Di questo non dovrebbe importarti. Steel è una pedina troppo importante nei futuri piani di Takhisis.- la rimproverò, gelido- Fermalo.»
«Lo accompagnerò a Palanthas, così quel dannato rompiscatole non potrà fargli il lavaggio del cervello.» mormorò invece Katlin. Raistlin si voltò verso di lei, contrariato.
«Abbiamo ben altro lavoro da fare, Katlin.» la sferzò con la sua voce tagliente. Batté la mano sulle carte che aveva di fronte. «Questo incantesimo…»
«Lo porterò avanti durante il viaggio.- disse lei, sempre dandogli le spalle- Come hai detto tu stesso, Steel è una pedina troppo importante. Se lo fanno diventare un cavaliere con tutti i crismi, io non avrò più alcun potere sulla sua mente. Deve continuare la sua strada verso il libero pensiero. Lo seguirò.»
«Il libero pensiero è pericoloso, sorella mia.» gli ricordò Raistlin, sarcastico.
«Non se guidato da onore e rispetto. Guarda Caramon.» tagliò corto lei, poi parve trattenere un sospiro. «Bisogna uccidere il figlio di Ariakas senza che i cavalieri sospettino le nostre mosse.» La frase brusca colse di sorpresa Raistlin e fece alzare di scatto la testa a Dalamar. Vi fu qualche attimo di silenzio, poi Raistlin sorrise appena.
«Uccidere il figlio di Ariakas? A tanto vuoi arrivare per difendere quel ragazzino?- sussurrò- Ti avvicini pericolosamente alle Vesti Nere, sorella mia. Progettare un omicidio a sangue freddo…»
«Non mi importa. Lunitari capirà.- sussurrò Katlin- Al momento…» Staccò una mano dalla parete e se la posò sul petto. «Al momento non so nemmeno se indosserò mai più una veste da maga. Il suo colore è l’ultimo dei miei pensieri.»
A Raistlin non piacque il tono sconfitto della sorella. Tantomeno piacque a Dalamar. La sua mente continuava a tornare alle parole del suo Shalafi, al racconto di ciò che era avvenuto alle sue spalle durante il viaggio verso il covo dei Maghi Grigi. Katlin aveva avuto un colloquio simile con se stessa prima di decidere di lasciarlo a quel modo? Come in quello stesso momento, non gli aveva mostrato la sua vera faccia, nascondendo dietro ad un’azione orribile intenti volti al bene delle persone che erano nel suo cuore? Lo aveva lasciato perché lo amava?
Scosse il capo, irato nel rendersi conto di quanto lei avesse ancora potere sulla sua mente. Gli bastava sentirla parlare perché il suo odio per lei vacillasse…Si alzò in piedi bruscamente.
«Se vostra sorella non ha la magia necessaria per farlo, potrei occuparmene io, Shalafi. Avrei la necessaria discrezione per un tale compito.- disse- Ora, se non avete particolari ordini per me, tornerei ai miei studi.»
Sentì il corpo rivestirsi di sudore gelido per la propria impertinenza, stando di fronte a quegli occhi dorati, poi Raistlin annuì, permettendogli di congedarsi. Quando l’elfo ebbe lasciato la stanza, Raistlin si alzò dalla sedia e si avvicinò alla sorella, in un frusciare di vesti nere. Le si fermò a fianco, guardando come lei il Bosco di Shoikan che divideva la Torre dalla città.
«E’ questo il tuo modo di agire, ora? E’ questo che vuoi?» chiese, duro.
«So che hai pensato di uccidere Steel fin dal principio, nel caso le cose fossero andate al di là del nostro potere di modificare il futuro.- lo freddò lei, centrando un pensiero che Raistlin non aveva mai manifestato davvero- La differenza tra me e te, fratello, sta nel fatto che io voglio proteggere la mia famiglia. Uccidere un estraneo…non mi inquieta affatto. Forse sono davvero nera nell’anima, ma questo non dovrebbe interessarti. Né dispiacerti.»
«Va in collisione con i nostri piani.» le ricordò lui. Katlin sorrise con amarezza.
«Sempre pratico, fratello mio…»
Raistlin si voltò verso di lei e la guardò fisso, costringendola a ricambiare lo sguardo. Fu Katlin ad abbassare per prima gli occhi.
«Solo io e te abbiamo il potere di modificare la mia visione.- sussurrò, sofferta- Dobbiamo agire.»
«E non sapendo che pesci pigliare, ti volgi infine al Male.- riassunse Raistlin, sollevando appena un sopracciglio- E’ questo il tuo traguardo?»
«Non temere. Recupererò la magia e poi si vedrà.- disse Katlin, guardando di nuovo la città di Palanthas, all’esterno- Ho perso troppe cose che non potrò riavere…la vita di Kyaralhana, il cuore di Dalamar e i miei sogni di una vita felice. Il potere è ancora alla mia portata e c’è anche la vendetta. Non mi arrenderò, anche se la mia strada si fa oscura.»
Raistlin annuì, avvertendo che lei era sincera. Piena di dolore, rancore e frustrazione, ma sincera. Non sapeva se questo nuovo sviluppo sarebbe stato fonte di problemi in futuro e si ripromise di vigilare sulla sua inquieta sorella.
«Ci occuperemo del figlio di Ariakas.» promise. Katlin si limitò ad annuire e dopo poco se ne andò. Raistlin rimase solo a pensare mentre la notte calava sulla Torre e sugli inquieti spiriti che la abitavano.

 

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Capitolo 6
*** 6 - Sospetti ***


CAPITOLO 6

SOSPETTI

Crysania si sedette alla propria scrivania, allungando al contempo una mano per prendere la tazza di tisana ancora bollente che stava alla sua destra. Le era venuto il mal di testa e non ne era affatto sorpresa. Valutare tutti i chierici di cui le stavano fornendo gli incartamenti non era un compito facile. Sospirò, poi bevve un cauto sorso, sfiorando con le dita i fogli divisi in due pile ben ordinate. Sorrise vagamente nell’avvertire la dolcezza della tisana, cui era stato aggiunto dell’abbondante miele. Aveva detto spesso a chi la serviva di non viziarla, ma non poteva insistere di più: quei piccoli piaceri le venivano elargiti dagli altri chierici come segno d’affetto e stima, e non poteva rifiutarli.
Il pensiero fece scomparire il suo sorriso. Gli occhi grigi furono velati da una certa tristezza e Crysania posò la tazza. Già, i suoi confratelli la stimavano e l’amavano. Eppure lei non desiderava altro che di essere libera e di trasferire la carica e i poteri che deteneva a qualcun altro. Solo così avrebbe potuto seguire la strada che si era scelta…e amare chi desiderava.
Guardò ancora per un attimo i fogli di dati tra cui stava cercando un successore, poi recuperò la tazza, si alzò e camminò fino alla finestra, appoggiandosi al bordo. Trattenne un sospiro mentre guardava fuori, oltre i giardini del Tempio. Sui prati c’era ancora qualcuno che passeggiava, ma la maggior parte della folla di visitatori giornalieri si era allontanata con l’approssimarsi del tramonto. La luce tingeva d’arancio gli edifici di Palanthas, racchiudendoli in un’atmosfera di dolce malinconia. L’unica nota poco dolce era la Torre di Palanthas, che sotto i raggi del sole morente aveva assunto un aspetto sanguigno. Era un pugno nell’occhio, ma anche lei aveva il suo scopo.
«Ogni cosa, nel piano divino, ne ha uno.» mormorò. Pensando in questo modo si potevano sopportare molte più ingiustizie di quanto un’anima meno esercitata alla contemplazione avrebbe potuto fare. Nonostante la propria elevazione spirituale, però, Crysania non era affatto fiduciosa come mostrava di essere.
Sospirò, strofinandosi la fronte con le dita e chiudendo le palpebre, sottraendosi alla luce del sole. Da mesi cercava un sostituto, qualcuno che potesse prendere il suo posto a capo della Chiesa, e ancora non l’aveva trovato. Crysania sapeva che Paladine le avrebbe fatto sentire, nel centro del suo stesso cuore, che quel nome era giusto, che quella persona possedeva la fede e la forza per prendere il suo posto. Ma il nome non compariva davanti ai suoi occhi e la sola cosa che provava nello scorrere un foglio dietro l’altro era sconforto.
Stava passando tempo. Troppo tempo, da quando il Dio le aveva concesso di amare Raistlin Majere, l’uomo che più di ogni altro avrebbe dovuto temere ed odiare. Così tanto che lei cominciava a sentirsi stanca e sfiduciata, e lui – cosa ancora peggiore – stava perdendo la pazienza.
Crysania aprì gli occhi e si guardò le mani, pensierosa. I suoi incontri con Raistlin erano sempre rari, velati dal mistero e dalle ombre della notte. Si era recata alla Torre durante il giorno solo un paio di volte, sempre in veste ufficiale, ma la chierica non era più cieca e non era difficile vedere il malcontento sui volti dei chierici per quelle frequentazioni. Dovevano indagare sulla Gemma Grigia, certo…ma la verità era che Crysania avrebbe desiderato dimorare presso Raistlin ogni giorno della sua vita. La lontananza da lui le pesava, le faceva male, le toglieva le forze. E vedere che nei suoi occhi a specchio si insinuavano irritazione e freddezza sempre più a mano a mano che passava il tempo la induceva a pensare di non stare impegnandosi abbastanza.
“Questo non è vero. Mi impegno eccome!- pensò, d’un tratto piccata- Ha sempre il potere di farmi sentire in torto. Crede che non lo desideri dal profondo del mio cuore?”
A quel pensiero avvampò. Raistlin avrebbe dovuto essere pazzo per non sapere di averla in pugno. Non riusciva mai a dirgli di no quando la chiamava a sé, nelle rare notti in cui era concesso loro di incontrarsi in qualche luogo segreto. E si faceva di cera tra le sue braccia, sotto il tocco delle sue mani e delle sue labbra…
Crysania si toccò le guance ardenti, sospirando tremula. Lei e lui…una donna e un uomo che si amavano, nient’altro. Quei momenti magici e troppo brevi le facevano credere che potessero essere uniti per sempre. Poi l’alba arrivava e con essa quelle speranze fragili andavano in pezzi. Lui infilava di nuovo la sua veste nera…e il muro tra loro era ripristinato.
Sobbalzò con fare colpevole quando qualcuno bussò alla sua porta.
«A…avanti!» disse gentilmente, ergendosi in tutta la sua persona per costringere l’afflusso di sangue alle guance a rifluire. Si sentiva una bambina colta con le mani nella marmellata. Il fatto che ad entrare fosse il segretario non migliorò la situazione.
 «Reverenda Figlia, la funzione della sera…» le ricordò l’uomo.
«Certo. Perdonatemi, ero così immersa nel mio lavoro da aver dimenticato lo scorrere del tempo.» disse lei, con un sorriso mesto. Che Paladine la perdonasse, ma non aveva molta voglia di assistere alla funzione della sera. Si sentiva stanca e di cattivo umore, e voleva solo sedere nella luce del tramonto a bere la sua tisana. Finché non avesse trovato un sostituto, però, questo non le era possibile. Uscì dalla stanza, trincerata nei suoi pensieri. Non si accorse dello sguardo cupo con cui il segretario la seguì prima di chiudere la porta alle loro spalle.

***

«Entra, Dalamar.»
Raistlin alzò lo sguardo sul suo apprendista, che stava obbedendo all’ordine. L’elfo oscuro era appena tornato da Wayreth e l’arcimago intendeva farsi un quadro della situazione prima di immergersi nei suoi studi. Quella sconsiderata di sua sorella aveva deciso di concedersi un inutile viaggio attraverso Krynn in qualità di guardia del corpo del figlio di Kitiara, perciò per un po’ avrebbero abbandonato gli esperimenti volti a concederle di riottenere la magia. Al solo pensiero sentì l’irritazione montargli in corpo e si sforzò di distogliere la mente da Katlin. Privata dei poteri magici, sembrava sfuggire più facilmente al suo controllo, come se un legame tra loro fosse stato reciso.
«Sono tornato, Shalafi.» disse Dalamar, inchinandosi appena. Raistlin annuì e gli fece cenno di sedersi.
«Com’è andata? Cosa si dice nel Conclave?» chiese, soffocando un colpo di tosse nella manica di velluto nero.
«Le indagini proseguono anche da parte dei maghi di Wayreth, Shalafi. Il panico è rientrato, ma sembra che Par-Salian abbia preso la faccenda della Gemma Grigia di Gargath molto sul serio.- disse Dalamar, corrugando la fronte- Stanno esaminando tutto il materiale a loro disposizione, ma è ingente e ci vorrà del tempo.»
Raistlin annuì. Lui, in quanto mago, aveva formalmente accesso al sapere di Wayreth, ma essendo Maestro a Palanthas e visti i suoi trascorsi non aveva insistito per approfittare di quel diritto. Aveva consultato gli antichi documenti già all’epoca della sua fusione con Fistandantilus e un semplice ripasso non valeva i problemi che sarebbero sorti con il Conclave. Dopotutto, lui disponeva della sapienza della Torre di Palanthas, che era invisa a chiunque altro. Non che la cosa stesse offrendo loro una qualche informazione, al momento.
«Mi hanno chiesto come procede la ricerca da parte vostra e ho risposto con sincerità, come mi avevate detto di fare. D’altronde, abbiamo poco da nascondere.- continuò Dalamar- Ho avvisato i maghi anche della mossa dei cavalieri verso il giovane Brightblade. Non hanno accolto positivamente la novità.»
«E’ ovvio. Nessuno che abbia un minimo di discernimento sfiderebbe a questo modo il destino.» fu lo sprezzante commento di Raistlin. Scosse appena il capo, incrociando le dita sulla superficie del tavolo. «Al di fuori della confraternita magica, è difficile che venga compresa appieno la valenza delle visioni di Katlin. Ella ha visto nel cuore della Regina, la quale vive indifferentemente nel passato come nel futuro, e che una simile grazia ci sia stata concessa significa che c’è speranza di evitare quel destino di distruzione. D’altra parte…» Alzò le mani e Dalamar annuì, comprendendo il significato del gesto.
«D’altra parte lottare contro la cecità degli uomini è come sputare controvento.» finì, con una smorfia.
«Non avrei saputo dirlo meglio.- ironizzò Raistlin- Se non verremo aiutati, saremo costretti a ricorrere a mezzi più radicali per toglierci di torno gli ostacoli. Katlin ha ragione.»
«Vi riferite al suo suggerimento riguardo l’eventuale uccisione del figlio di Ariakas?» mormorò Dalamar, a disagio nel ripensare a quella discussione.
«L’omicidio ha smesso di essere un’eventualità nel momento in cui quel Cavaliere di Solamnia ha convinto il giovane Steel a seguirlo.- fu la dura risposta dell’arcimago, che tossì prima di aggiungere- Pensavo di togliere di mezzo entrambi fin dal principio. Poi, i delicati rapporti con il Conclave e l’inaspettato affetto di Katlin per quel moccioso mi hanno indotto ad aspettare. Ora non posso uccidere Steel, manderei in fumo tutto il lavoro fatto su mia sorella. Il figlio di Ariakas è tutto un altro paio di maniche.»
Dalamar corrugò la fronte, ricordando la schiena rigida, la posa tesa e sofferta di Katlin mentre proponeva loro l’omicidio come soluzione. Non avrebbe voluto soffermarsi su quell’immagine perché non riusciva ad esimersi dal vederla fragile, una donna sul punto di spezzarsi che si teneva in piedi con la sola forza di volontà. Si detestava per l’ammirazione che nonostante tutto provava verso la sua indomita testardaggine, la sua determinazione a non arrendersi.
«Quindi le concederete di ucciderlo, una volta arrivata a Palanthas?» chiese, cercando di dominare il proprio tono di voce. Raistlin sollevò un sopracciglio con fare sarcastico.
«Certo che no, apprendista! Katlin non verserà sangue a tradimento. Le sue vesti non si tingeranno dal rosso al nero, quando riacquisterà la magia.» rispose. Tossì forte, prese un fazzoletto da una delle tasche della sua veste e si asciugò la bocca. «Giunti a questo punto, non dubito che sarebbe capace di farlo. Le scorre anche il mio sangue, nelle vene. Questo atto, però, distruggerebbe ogni residua traccia dei suoi sogni e della sua ingenuità. Perderei il controllo su di lei e diventerebbe solo un ostacolo.»
«Ma…allora…?» balbettò Dalamar, rabbrividendo nell’intuire quale sarebbe stata in quel caso la sorte di Katlin. Le pupille a clessidra del suo Shalafi erano vuote e fredde come abissi.
«Allora sarai tu ad uccidere il figlio di Ariakas, Dalamar.- sussurrò Raistlin, ipnotico- Al momento opportuno, dovrai occuparti personalmente di questa faccenda.»

***

Katlin rimase per un attimo incerta a guardare l’interno della propria sacca da viaggio, tenendo in mano il taccuino che conteneva i suoi appunti dell’incantesimo che stava preparando con Raistlin, poi prese una decisione e infilò il piccolo libro sotto ai vestiti, nascondendolo alla vista. Non poteva proteggere il proprio bagaglio da sguardi indiscreti e non voleva che qualche ficcanaso toccasse quei preziosi appunti. Katlin pigiò gli indumenti contro il fondo della sacca, poi osservò il suo lavoro con aria critica, mettendosi le mani sui fianchi.
Non credeva che Sharphalberd si sarebbe messo a frugarle nella borsa e contro Tasslehoff simili accorgimenti erano inutili, ma meglio di così non poteva fare. Non senza magia. Con una smorfia, Katlin si voltò e prese gli ultimi oggetti utili, gettandoli nella sacca con malagrazia. Anche per quelle piccole cose si sentiva impotente. Sospirò e toccò il corpetto di cuoio che indossava. Nascosta in una tasca interna, c’era la pietra rossa che conteneva la sua magia. Quella, almeno, era relativamente al sicuro. Si era accorta in quei mesi che Tas non aveva mai cercato di sottrargliela, nemmeno per sbaglio. Forse il kender provava istintivo rispetto per quell’oggetto nato dal sacrificio di Kyaralhana…fatto stava che sarebbe stata una preoccupazione in meno. Perdere quella pietra avrebbe significato la rovina completa.
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti.» disse Katlin, continuando a guardarsi intorno alla ricerca di eventuali dimenticanze.
«Posso, Kat?» chiese Caramon, stagliandosi sulla soglia.
«Entra pure, sto finendo di preparare i bagagli.- rispose lei, distratta- Pochi minuti e sarò pronta…» La voce le si spense quando gli occhi le caddero davvero sul fratello e si accorse del suo abbigliamento. «Caramon…perché indossi l’armatura?»
Caramon sorrise, entrò nella stanza e le passò una mano sulla testa come se fosse una bambina, scompigliandole i capelli.
«Perché vengo con voi, mi sembra evidente.» rispose. Katlin spalancò gli occhi.
«Come sarebbe a dire che vieni con noi?!» sbottò.
«Kat…»
«Guarda che non ho bisogno della balia. A quel Sharphalberd posso badare benissimo da sola.» disse, inalberandosi.
«Non ne dubito. Vengo per Steel.» annuì il guerriero.
«Vuoi dire che non sono una guardia del corpo sufficiente per nostro nipote?» quasi ringhiò la donna.
«Kat, tu sei una ragazza in gamba. Più che in gamba, ma non puoi pretendere da te stessa troppi sforzi in un momento delicato come questo. Possono esserci in giro sicari della Regina delle Tenebre e sia tu che Steel avete bisogno di essere protetti da certa gentaglia.» spiegò con calma Caramon, dispiaciuto nel vederla così furiosa.
«Te l’ha ordinato Raistlin, vero?» ritorse lei, velenosa. Caramon sospirò.
«Mi ha spronato a seguirti, sì, ma…- alzò una mano per prevenire una sua esclamazione venefica- l’avrei fatto comunque. Anche Tika è d’accordo. Una volta a Palanthas, tornerò a casa dalla Torre di Raist.»
Katlin strinse le labbra tanto da sbiancarle. E così era arrivata al punto di dover girare per Ansalon scortata…Non le piaceva esplodere in quel modo alla minima scintilla, soprattutto con Caramon, ma la situazione era davvero insostenibile per lei. Aveva provato cosa significava essere autosufficienti e ora non riusciva a rassegnarsi al suo ritorno all’impotenza. Era solo una donna dalla salute fragile che se la cavava nel combattimento corpo a corpo: niente di più.
Caramon sospirò di nuovo, poi appoggiò una mano sulla spalla della sorella. Lei non alzò lo sguardo.
«Katlin, a noi tutti dispiace vederti così. Ti sei chiusa a riccio e soffri in silenzio, quando c’è un’intera famiglia e tanti amici che sarebbero felici di ascoltarti e di darti un fazzoletto in caso di lacrime.» disse.
«Per cosa dovrei piangere?» chiese lei, con sarcasmo forzato.
«Per la tua magia. Per Kyara. E per Dalamar.- continuò imperterrito suo fratello, affrontando finalmente l’argomento- Kat, non ne devi parlare per forza, se non vuoi…ma non soffrire per niente. Quando vuoi, puoi reggerti al mio braccio. Con gli anni e l’esperienza si è fatto abbastanza forte.»
Katlin finalmente lo guardò. Il suo sorriso triste, le immagini del passato che quelle parole le portarono alla mente, dissiparono la sua rabbia e la fecero sentire sciocca e ingrata. Scosse il capo, poi passò le braccia attorno al torace del fratello e posò la fronte sul freddo metallo del suo pettorale.
«Perdonami, Caramon.» mormorò soltanto, poi sollevò il viso verso di lui e sorrise. «Sarò felice di viaggiare in tua compagnia, fratello mio. Mi eviterai di strangolare il Cavaliere.»
Caramon sorrise, gioioso, e la strinse in un abbraccio orsino che le fece scricchiolare le costole. Era felice di constatare che il cuore gentile di Kat era sempre al suo posto.
Dopo nemmeno mezz’ora salutarono Tika e i bambini e uscirono di casa per andare ad incontrare Steven Sharphalberd e Steel alla Locanda. Tasslehoff, come poterono constatare, li aveva già raggiunti e vibrava letteralmente dalla voglia di mettersi in viaggio.
«Kat! Caramon! Era ora!- li accolse infatti con voce squillante- Il mattino ha l’oro in bocca, così si dice anche se io non ho mai visto un mattino con una bocca. Tantomeno una bocca che contiene oro. A parte quella di un marinaio che…»
«Buongiorno.» lo interruppe Caramon, salutando il nipote e Steven Sharphalberd.
«Buongiorno.- rispose il Cavaliere, notando il gelo sul viso della maga- Siete davvero sicuri di volerci accompagnare? Sarà un lungo viaggio e non vedo la necessità…»
«La vediamo noi.- lo interruppe Katlin, sgarbata, prima di rivolgersi a Steel- Hai già salutato Sara?» Quando lui annuì si limitò a dire: «Allora partiamo.» e a fare cenno di seguirla alle stalle. Steel e Tas la seguirono subito. Caramon lanciò un’occhiata di scuse a Steven.
«È di cattivo umore.» spiegò.
«Immagino dovrò abituarmi.» sospirò il cavaliere, rigido. Caramon gli batté una mano sulla spalla.
«Avrai modo di conoscere anche la parte migliore di Kat, vedrai.» disse. Steven seguì con lo sguardo la figura flessuosa, un’occhiata intensa che Caramon non capì.
«Ad essere sinceri, lo spero.» mormorò il cavaliere.
I due si incamminarono e andarono a prendere le rispettive cavalcature, pronti a iniziare il lungo viaggio che li avrebbe condotti a Palanthas.

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Capitolo 7
*** 7 - Rispetto ***


Author’s note: Secondo voi Steven Sharphalberd e Katlin riusciranno a non prendersi a morsi prima di arrivare a Palanthas? Intanto la mente acuta di Raistlin lavora…

CAPITOLO 7

RISPETTO

Tasslehoff si alzò in piedi sulla cassa di legno e scrutò l’orizzonte, schermandosi gli occhi con la mano per ripararli dalla luce del sole.
«È un’ottima giornata per navigare.- asserì- Meno male che ha smesso di piovere prima del nostro arrivo al porto, altrimenti avremmo dovuto attendere che si calmasse il mare o che so io, e sono sicuro che sarebbe stato molto noioso. Procediamo spediti, vero?»
Si voltò verso Steel e Katlin, anch’essi seduti su casse e botti nell’attesa del ritorno di Caramon e Steven, recatisi a prendere accordi per il loro passaggio sulla nave che li avrebbe portati al di là dello stretto. Steel si concesse un sorriso. Gli faceva piacere rivedere il mare, che quel mattino luccicava come una distesa di diamanti sotto la luce solare. L’aria sapeva di sale ed era piacevolmente frizzante.
«Sembra tutto calmo. Non mi intendo di navi, ma credo che non avremo problemi, proprio come dici tu.- rispose il ragazzo al kender- Voi cosa ne pensate, zia?»
«Avete ragione entrambi. Se non si alza il vento, nessuno di noi avrà nemmeno a soffrire il mal di mare.» rispose la giovane donna, scherzosa.
«Questo viaggio mi pare sempre più una buona cosa. Sento che una forza mi sospinge verso Solamnia.» disse Steel. Katlin si limitò ad annuire e sperare che la forza in questione provenisse dal desiderio di Sturm di vedere il figlio seguire le sue orme e non dal malvolere di Takhisis che preparava le proprie mosse.
«Mal che vada, ci stiamo divertendo. Ci voleva un viaggio, dopo questo inverno un po’…come dire…triste.- Tasslehoff saltò giù dalla cassa- Inoltre un porto è sempre un posto interessante. Mi piacerebbe fare un giretto per…»
«Tas.» disse Katlin, sollevando appena un sopracciglio.
«Dai, Kat, non succederà nulla! Vorrei solo…»
«Non andare in giro da solo proprio ora. Se Caramon e il cavaliere ritornano, potremmo dover partire subito.» sospirò lei.
«Se volete, potrei accompagnarlo io.» propose Steel, vedendo la delusione dipingersi sul volto allegro del kender. Katlin scosse il capo. Le piaceva ancora meno che Steel se ne andasse in giro con Tas per i vicoli del porto. D’altra parte, non aveva nessuna voglia di andare ad esplorare i dintorni. Aveva dormito poco, avendo sfruttato la nottata alla locanda per studiare l’incantesimo sulla pietra rossa, e quella mattina la infastidiva tutto, compresa la luce del sole sull’acqua.
«Piuttosto, Tas, perché non andate a vedere come mai mio fratello non è ancora tornato? Forse c’è qualche problema riguardo alla traversata.» disse, lanciando un’occhiata verso il fondo del molo. Tra il via vai del marinai e dei pescatori intravedeva la mole di Caramon e l’armatura del cavaliere. Stavano ancora contrattando.
«Beh…va bene. Spero solo che la conversazione sia interessante. E poi potrò guardare bene la nave su cui salperemo. Steel?» disse il kender.
«Vengo con te.» disse il ragazzo, il quale aveva capito che la zia desiderava qualche minuto di solitudine. Katlin li guardò allontanarsi, notando almeno un veloce movimento di mano di Tasslehoff durante il tragitto, poi sospirò e si appoggiò con la schiena contro i sacchi ammonticchiati dietro di lei, sperando di non essere subito richiamata dalla voce irata di qualcuno che era ‘incappato’ nelle dita leste del kender.
Katlin tornò a guardare il mare, pensierosa. L’ultima volta che lo aveva attraversato per tornare a Solace era una donna distrutta, debole e piena di sensi di colpa. Si trovava ora a seguire il percorso a ritroso senza che le cose fossero cambiate di molto. La sua mano salì a cercare il rigonfiamento della pietra rossa sotto alla giubba. Una parte di lei si pentiva di aver ipotecato tante settimane in quel viaggio quando aveva cose più importanti da fare. Purtroppo la sua preoccupazione per la sorte di Steel e una buona dose di testarda stizza verso i Cavalieri di Solamnia erano state sufficienti per metterla sulla via dietro al nipote. Ora non serviva a niente pentirsene e masticare imprecazioni sopra ad un incantesimo che non prendeva vita.
Katlin chiuse gli occhi, corrugando la fronte. Avrebbe voluto essere a Palanthas, in quel momento, seduta accanto a Raistlin nella totale e ombrosa quiete della Torre a lavorare sulla magia. Era quello il suo mondo, scoperto tanto tardi e vissuto per pochi, essenziali mesi.
«Vivere così, in un solo corpo, è una prigione.» mormorò. Non credeva le sarebbe mai mancata la sua capacità di abbandonare la sua forma fisica, ma la situazione corrente l’aveva fatta ricredere. Un’ombra le cadde addosso.
«State bene, Lady Katlin?»
Katlin aprì subito gli occhi, incontrando quelli di Steven Sharphalberd. Il cavaliere era solo.
«Sto benissimo.- rispose, sedendosi dritta e guardandosi attorno- Mio fratello?»
«Arriva subito. Il capitano della nave ha cercato di gonfiare il prezzo, ma siamo giunti ad un accordo. Partiamo dopo pranzo.»
«Bene.»
Cadde un silenzio teso, poi il cavaliere si sedette ove pochi minuti prima si trovava Steel.
«Non è necessario che cerchiate ironia o malevolenza in ogni mia parola, lady Katlin. Non siate così all’erta ogni volta che tento di iniziare una conversazione.» disse Steven, franco. Katlin trattenne un sospiro seccato.
«Lord Sharphalberd, in questo momento per me rappresentate l’intera categoria dei Cavalieri e per i fastidi che mi avete arrecato non posso che sentire una grande irritazione. Mi spiace se questo vi offende.» rispose, brusca.
«Mi rendo conto che per voi questo viaggio rappresenta un problema, ma avreste potuto rimanere a casa vostra, a Solace.» ritorse il cavaliere.
«Assolutamente no.» fu la lapidaria risposta di Katlin, che lo fulminò con i suoi occhi chiari. Steven la fissò.
«Siete una donna testarda.» disse infine, corrugando la fronte.
«Almeno quanto voi.- disse Katlin, alzando il mento in segno di sfida, poi si accorse di essere avviata lungo la strada dell’ira e si impose di darsi una calmata- Ascoltate, Lord Sharphalberd, non voglio litigare con voi. Stiamo procedendo in un clima piuttosto sereno e voglio che le cose rimangano così, per il bene di Steel. Non ce l’ho con voi personalmente, non vi conosco nemmeno, ma…»
«Io invece avrei desiderio di conoscervi meglio.» disse Steven, zittendola. Lo fissò come se fosse impazzito, ma lo sguardo di lui era franco. «Siete la tutrice di Steel Brightblade, la sua seconda madre. Egli vi ama molto, è evidente. Ho già fatto l’errore di denigrare la sua famiglia con parole sciocche, come voi stessa mi avete fatto notare. Conoscere meglio chi sta accanto al ragazzo mi servirà per aiutarlo quando verrà accolto tra i Cavalieri.»
Katlin lo scrutò come a cercare la menzogna, poi rammentò che stava parlando con un Cavaliere di Solamnia. Steven Sharphalberd non avrebbe mai mentito.
«Capisco. Questo…vi fa onore.» disse, annuendo. Steven chinò il capo, accettando rispettosamente il suo giudizio. Un po’ a disagio per quella pace impostale, Katlin si assicurò le ciocche di capelli bianchi dietro le orecchie con un gesto nervoso. «E dunque scambiamo pure due parole, intanto che mio fratello si attarda. Avete sempre desiderato essere un Cavaliere, Lord? C’è una famiglia che vi attende a Solamnia?»
«La mia famiglia serve Paladine con la spada da generazioni. Il mio destino era segnato dalla nascita e l’ho accettato con gioia.- rispose lui, guardando il mare con volto sereno- Mio padre è morto durante la Guerra delle Lance e mia madre vive in vedovanza. Non sono sposato, perciò non ho ancora avuto la gioia di una famiglia mia. E voi?»
«Conoscete la mia storia. Vi siete documentato, no?» disse lei, cupa.
«Sì, ma…»
«Riducete ciò che avete letto ad una dimensione umana e avrete la mia vita. Un lungo susseguirsi di battaglie e guai.- riassunse Katlin, fissando il mare con aria corrucciata- Sono l’incarnazione della terza gemella Majere, sfuggita alle grinfie di Takhisis e vissuta per molto tempo su un altro mondo, ostaggio di un potere magico incomprensibile. Poi sono stata condotta qui, ho ritrovato la mia famiglia, conquistato la veste da maga e distrutto il Portale. Recentemente ho aiutato a scovare e distruggere i germi di una pericolosa setta magica, ma per questo ho perso la magia. Sto cercando di recuperarla. Questo è tutto.»
«E’ molto, anche troppo per poter essere così riassunto.» disse il cavaliere. Katlin fece spallucce.
«Il resto potete immaginarlo. Mi vedete ora, mi sentite parlare, avete assaggiato il mio caratteraccio. Sapete che non uso la magia da un anno. Tirate pure le vostre conclusioni.» disse.
Steven rimase in silenzio per un istante. Dalle sue parole poteva dedurre che lei non era sempre stata così brusca e cupa. Probabilmente la frustrazione per non essere ancora riuscita a riconquistare il potere magico la rendeva nervosa e irritabile. Il kender diceva sempre che in circostanze normali la maga era una persona amabile, allegra. Avvertì un sotterraneo dispiacere per averla conosciuta in simili circostanze.
«E voi? Non avete intenzione di crearvi una famiglia? Siete una donna, e…» chiese. Si sorprese e si offese un po’ quando lei scoppiò a ridere.
«Una famiglia? Io?! Impossibile!» ridacchiò Katlin, sinceramente divertita.
«Perché dite così? Non mi sembra di avervi fatto una domanda ridicola.» disse lui rigidamente. Katlin sorrise.
«Lord Steven, sono la terza gemella Majere. Una maga, anche se al momento priva di poteri. Sono una donna molto più strana della norma. Mi vedete, ho perfino i capelli bianchi! Quale uomo potrebbe stare accanto a una come me?!»
Steven corrugò la fronte, fece per dire la sua, poi vide le linee del suo volto perdere l’allegria e tingersi di profonda tristezza.
«Già, quale uomo?» mormorò ancora Katlin, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia.
Steven rimase sbalordito. Per un attimo gli si mostrò una donna fragile, combattuta, preda di una profonda tristezza. Forse c’era stato un amore, nel cuore della maga? Un amore finito, forse a causa delle vicissitudini che l’avevano segnata? Non riusciva ad immaginare nient’altro che potesse rendere così indifesa una donna tanto fiera e a Solace non l’aveva mai vista in compagnia maschile. Forse si trattava di un mago, che l’aveva abbandonata quando aveva perduto i suoi poteri.
«Mi dispiace di aver risvegliato in voi ricordi spiacevoli.» si scusò. Immediatamente Katlin si irrigidì. Lo fulminò con un’occhiata che avrebbe schiantato a terra una quercia centenaria.
«Ricordi? E chi ha parlato di ricordi?!» lo sferzò con ironia. Si alzò di scatto. «Caramon, Tas e Steel stanno tornando. Direi che abbiamo chiacchierato abbastanza.»
«Lady Katlin…» cercò di trattenerla lui, ma la giovane donna gli aveva già dato le spalle e si era incamminata verso il gruppetto che stava sopraggiungendo. Steven trattenne un sospiro e si alzò a sua volta. Gli dispiaceva averle procurato un dolore e vederla chiudersi di nuovo a riccio, proprio quando stavano parlando serenamente per la prima volta.
“Ci saranno altre occasioni.” si disse. Non avrebbe saputo dire perché il desiderio di conoscerla meglio stesse diventando per lui la priorità di quel viaggio verso Solamnia.

***

Raistlin diede un’ulteriore scorsa alla risposta di Crysania, poi l’accartocciò e la gettò con stizza nel fuoco. La carta si consumò in un istante e i frammenti carbonizzati svolazzarono per un attimo prima di ricadere e scomparire tra le fiamme. Un altro rifiuto.
Tossì forte, come sempre gli succedeva quando perdeva la pazienza, e per precauzione si mise a preparare la pozione lenitiva. Sembrava sarebbe stata una brutta serata in ogni caso e non aveva intenzione di trascorrerla sputando sangue e rantolando per ogni respiro. Fuori pioveva e tirava un vento freddo che si insinuava anche nella stanza ben riscaldata. Dalamar era a Wayreth. La sua sola compagnia era quella degli spettri della Torre.
«Dannazione anche a te, Crysania.» sibilò Raistlin tra i denti, gettando le erbe nell’acqua calda, poi si appoggiò al tavolo e tossì di nuovo nel fazzoletto, così a lungo che alla fine si cavò sangue dalla gola martoriata. Si accasciò sulla sedia, cercando di riprendere fiato e di recuperare la calma. Arrabbiarsi non serviva a niente. Inoltre, visto il clima e le sue condizioni di salute, era molto meglio per lui non avventurarsi all’esterno. Era una buona occasione per starsene tranquillo al caldo, magari riposandosi invece di fare notte sopra ai libri. Il rifiuto di Crysania, però, continuava a rodergli il fegato. Era il terzo in un mese. La cosa stava diventando ridicola.
Raistlin si alzò e versò con mano tremante la pozione in una tazza, poi si mise comodo e iniziò a sorbirla a piccoli sorsi. Era stanco…Stanco di quelle ricerche infruttuose, di lavorare su un incantesimo che non poteva attuare finché quella sconsiderata di sua sorella non fosse giunta a Palanthas, di mantenere equilibri rispettosi all’interno del Conclave che voleva conquistare. Desiderava un momento per sé, un incontro con Crysania che lo ricongiungesse con i suoi desideri di uomo. Invece, niente. Lei continuava a negarsi.
Raistlin corrugò la fronte, ricacciando in gola la tentazione di tossire di nuovo e sigillandola con un altro sorso di tisana.
Durante le ultime settimane, Crysania era diventata sfuggente. L’aveva chiamata nella casa in cui si svolgevano i loro incontri clandestini, ma lei aveva sempre rimandato con parole vaghe. Raistlin si era dapprima seccato e quindi arrabbiato con lei. Si era forse stancata di lui? Iniziava a fare la preziosa? Credeva davvero di poterselo permettere, con lui?! Si ingannava se credeva di potergli sfuggire per sempre.
Ora che aveva ricevuto il terzo rifiuto, però, Raistlin aveva capito che c’era sotto qualcos’altro. Lui aveva in pugno Crysania, di questo non dubitava. Se la chierica non si fidava a recarsi ad un incontro significava che c’erano guai al Tempio. Forse quegli stupidi chierici che guidava avevano colto più di quanto avrebbero dovuto dei rapporti di Crysania con il tanto temuto padrone della Torre di Palanthas.
Raistlin espirò rumorosamente, guardando il fuoco con cupo corruccio. Forse non avrebbe dovuto gettare la missiva tanto precipitosamente. Leggendola con calma, avrebbe potuto intuire con maggiore chiarezza lo stato d’animo di Crysania al momento di scriverla.
La chierica cercava affannosamente qualcuno che la sostituisse, ma le sue indagini erano state fino a quel momento infruttuose. Prima o poi qualcuno avrebbe intuito le implicazioni di una simile ricerca, senza contare che Crysania aveva già ricevuto lamentele da parte del suo segretario per la quantità di tempo trascorsa lontano dal Tempio. Crysania camminava su una corda sottile. Era amata e rispettata per ciò che aveva fatto in passato, ma non occorreva molto per rovinare una reputazione e la chierica frequentava gente che non la metteva in buona luce.
«Io per primo.» sussurrò, con un sorriso storto e maligno. Chissà se qualcuno sospettava la natura del loro rapporto? Questo avrebbe macchiato la reputazione di Crysania per sempre.
Raistlin posò la tazza sul tavolo con malagrazia, fissando le fiamme e giungendo la punta delle dita davanti alle labbra serrate. La sua relazione con Crysania, agli occhi altrui, era quasi un’aberrazione della natura. Ne erano entrambi consci quando avevano deciso di smettere di andare contro i propri sentimenti, si erano sentiti pronti a sfidare le leggi degli uomini e le profonde differenze che li dividevano. Il legame tra loro era troppo forte perché potessero ignorarlo senza perdere per sempre una parte di sé. Un conto, però, era parlarne: un altro conviverci.
“Paladine stesso le diede la sua benedizione. Forse sperava ancora che lei potesse redimermi.- pensò Raistlin con ironico disprezzo- Ma a cosa serve la benevolenza del suo dio se poi quel vecchio non la lascia libera dalle responsabilità che ci separano?”
Qualcuno avrebbe potuto dire che anche lui doveva fare la sua parte, ma quello era ridicolo. Non aveva intenzione di rinunciare a nulla, né alla sua magia né al potere che deteneva in quanto Maestro della Torre. Crysania aveva abbastanza spirito di sacrificio per tutti e due. Che fosse lei a tornare una semplice donna.
“Non sarà mai semplice.” pensò, prendendo ancora la tazza e bevendo un ultimo sorso. Il potere di Paladine non l’avrebbe mai abbandonata; avrebbe perso solo il prestigio della sua carica. Raistlin sapeva di essere egoista e non gliene importava niente. Crysania era sua, ora. Non l’avrebbe restituita al mondo tanto facilmente.
Si adagiò contro lo schienale imbottito, chiudendo un attimo gli occhi. Paladine, comunque fosse, non li stava affatto aiutando. Il dio temeva gi avvenimenti futuri visti da Katlin, questo ormai era chiaro. L’aver condotto la rediviva gemella Majere su Krynn, averle perfino concesso di liberare Raistlin dall’Abisso…
«Voleva avere a sua disposizione tutte le forze possibili.- mormorò l’arcimago, senza aprire gli occhi- Non gli importava che fossero buone o malvagie. Tutte le forze…contro un comune nemico. Takhisis? No. La Gemma Grigia? Forse. Ma perché? Cosa nasconde quella dannata gemma?!»
Cosa poteva spaventare un dio? Anzi, sia Paladine che Gilean? Takhisis era troppo occupata a ricercare la vittoria approfittando della confusione, ma il pericolo doveva essere serio se perfino il Dio della Neutralità si era esposto.
«Cos’è davvero quella gemma?» disse ancora.
Aveva letto quel poco che era stato scritto su di essa, ma questo non lo aveva illuminato. Aveva vagato per il mondo, creato gli Gnomi e i Kender, poi era scomparsa. Tutto ciò non aveva senso. Avevano forse sbagliato direzione nelle indagini? La sua mente si perse in immagini di quelle piccole creature, entrambe fastidiose e prive di significato, molto diverse benché imparentate tra loro. La risposta si nascondeva nella loro natura?
Gli Gnomi…piccole creature dedite alla spiegazione delle leggi di natura e alla creazione di macchinari, entrambe le cose risolte solitamente nel caos più totale. I Kender, poi…insetti chiacchierini e fastidiosi, mani leste senza cervello e senza paura, che si buttavano in ogni avventura senza un pensiero, creando confusione.
«L’unica cosa che hanno in comune è la confusione che portano.» disse Raistlin con disprezzo, afferrando il Bastone di Magius e facendo leva su di esso per alzarsi. Era meglio andare a riposare, visto che…Si bloccò a metà del movimento. La sua mente si era chiusa su un pensiero improvviso.
«Confusione…- pensò- e cos’è la confusione? La mancanza di ordine. Di leggi precise.» E come si traduceva una simile lacuna nell’ordine delle cose? Caos. Un brivido gli corse lungo la schiena.
«Ho trovato la chiave, vecchio matto?» mormorò, rivolgendosi a Fizban.
Doveva assolutamente vedere Crysania. Stavolta non avrebbe accettato un rifiuto.

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Capitolo 8
*** 8 - Solo mia ***


Author’s note: Raistlin sta arrivando alla giusta interpretazione, ma sembra che tutto giochi per tenere divisi lui e Crysania. La chierica riuscirà a non creare scandalo? E mentre Katlin viaggia con un Cavaliere di Solamnia fin troppo interessato, che succede a Dalamar?

CAPITOLO 8

SOLO MIA

Era bella e infida come una sirena. Chiamava il suo nome, attirandolo con i gesti delicati delle mani, il mantello scarlatto drappeggiato sul corpo che ogni tanto lasciava scoperto qualche centimetro di pelle bianca e liscia. Erano nella grotta in cui l’aveva conquistata per la prima volta, un ricordo dolceamaro.
«Dalamar, vieni. Vieni da me.» diceva la strega ammaliatrice. Dalamar, pieno di desiderio e di rancore, si costringeva a restare fermo dov’era, a non cedere alle lusinghe di quella voce e di quelle membra attraenti.
«Strega.- sibilò- Vuoi solo distruggermi e non sarò tanto sciocco da dartene la possibilità!»
«Voglio solo amarti. Ti ho amato sempre, Dalamar.» sussurrò lei con quelle labbra piene che votavano al bacio. Dalamar scoprì i denti in una smorfia.
«Tu mi hai solo tradito e umiliato. Tu non sai amare!» le rinfacciò, gridandole tutto il suo disprezzo.
Katlin cambiò. Perse l’aura di desiderio che le stava attorno, divenne pallida e triste. Il mantello rosso le si fuse sul corpo fino ad assumere l’aspetto di ordinarie vesti da maga. Lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance.
Dalamar avvertì una fitta al petto, le sue ferite suppuranti bruciarono come se qualcuno vi avesse appoggiato le dita. Il sogno non era mai andato avanti in quel modo. Era conscio di trovarsi nel regno onirico del sonno, sognava Katlin quasi ogni notte. Di norma, o cedeva alle sue lusinghe e l’amava quasi con furia, oppure la insultava e poi si svegliava. Katlin non aveva mai pianto. Capì che quell’immagine arrivava dal loro ultimo incontro alla Torre, dall’aura di desolazione che le aveva aleggiato attorno quella volta e che suo malgrado l’aveva colpito. Cercò di svegliarsi, ma non ci riuscì.
«Come posso darti torto?- mormorò Katlin con amarezza- E’ vero, ti ho umiliato e ferito. Volevo che tu mi odiassi. Ci sono riuscita.»
«Stai zitta! Non piangere! Non riuscirai ad impietosirmi!» sbottò Dalamar, più che altro per rammentarlo a se stesso. Lei aveva ancora troppo potere su di lui. Per sua fortuna, sembrava non potesse muoversi da dove stava.
Katlin annuì; senza che le lacrime cessassero di scorrerle sulle guance, i suoi occhi si fecero più duri.
«Dopotutto, è meglio così. La nostra era una relazione impossibile.» Si alzò in piedi e lo fronteggiò.
«Vigliacca!» sibilò Dalamar, stringendo i pugni.
«Tu sei un elfo, io un essere umano. Sarei invecchiata davanti ai tuoi occhi. E’ meglio così.» continuò Katlin. I suoi occhi erano asciutti ora.
«Hai calcolato anche questo, vero? Ci hai messo dentro anche questo, insieme a tutti i tuoi altruistici pensieri di sacrificio?! Credi che non abbia capito che mi avresti lasciato comunque?!» quasi gridò l’elfo. Era furibondo. Non si rendeva più conto di essere in un sogno.
«Sono una Majere, Dalamar. Ti aspettavi di meglio?» sussurrò lei, fissando il suo petto in corrispondenza delle ferite. Dalamar avvertì un dolore bruciante e rantolò.
«Maledetta…» disse fra i denti, portandosi la mano al petto. Fece per lanciarsi contro di lei, desideroso di farle del male, ma una lama lucente gli si spianò di fronte, separandolo da lei e quasi accecandolo.
«Che diavolo…» esclamò.
«Forse il mio posto è altrove.» disse Katlin dietro quella luce, ma la sua voce era incerta.
«Vieni via con me. Ti darò pace.» disse una sconosciuta voce di uomo. Dalamar sbatté le palpebre per vedere con maggiore chiarezza oltre la luce riflessa sulla lama ancora tesa verso di lui. Scorse una sagoma di uomo accanto a Katlin. Un braccio dello sconosciuto si strinse sulla vita di lei e la tirò indietro, lontano dal mago.
«Chi è costui?!» sussurrò Dalamar, scioccato. Katlin abbassò gli occhi, come se si vergognasse. L’uomo la strinse più forte, trascinandola lontano, nel buio della caverna che ora sembrava senza fondo.
«Lasciala immediatamente!» gridò Dalamar, cercando di intervenire. Non ci riuscì. I suoi piedi erano bloccati al suolo. Cercò dentro di sé la magia, ma essa era soffocata da un fortissimo sentimento di odio e…gelosia?!
«Ridarò a Katlin la vita che sognava, anche priva della magia.- disse l’uomo con la spada- Stanne fuori, elfo.»
«Non la toccare!- gridò Dalamar- Se non sarà mia, non sarà di nessun altro uomo!»
Né il guerriero né Katlin risposero a quell’affermazione egoista, ma Dalamar capì di aver detto la verità. Non le avrebbe mai permesso di essere felice con un altro uomo. Se non poteva essere sua, era condannata a restare sola per l’eternità.
«Bada a te, uomo. Se scopro che l’hai anche solo sfiorata, la tua vita non varrà più niente.» minacciò. Di nuovo non vi fu nessuna risposta. I due scomparvero nella tenebra.
«Katlin! Torna indietro!- gridò, sentendosi improvvisamente vuoto e freddo, sperduto- Torna indietro! Torna da…»
«……torna da ME!»
Si svegliò al suono della propria voce che gracchiava queste parole, con il braccio teso verso la finestra da cui proveniva la luce solare e il corpo sporto a metà oltre il bordo del letto, tanto che dovette tirarsi subito indietro per non cadere sul pavimento. Si riadagiò sui cuscini, cercando di calmarsi, poi imprecò, si alzò di scatto e cominciò a lavarsi e vestirsi con gesti bruschi. Sarebbe stato di cattivo umore tutta la giornata: dopo un sogno del genere era inevitabile. Inutile perdere altro tempo a letto.
“Ma cosa la sogno a fare?!- si chiese, irato con se stesso- Devo liberarmi da questa ossessione per lei. È solo una donna come tante altre. E poi, mi pare che lei se la stia godendo molto più di me.”
Strinse le labbra in una linea sottile, sistemandosi la veste nera sul corpo e allacciandosi in vita la cinta. Si trattava solo di un incubo, non doveva fissarsi sulle immagini del sogno. Di sicuro l’uomo sconosciuto era stato evocato da i suoi timori di vederla ricostruirsi una vita in cui lui non aveva alcun ruolo. Niente di più. Magari si trattava perfino di una provocazione da parte della Dea delle Tenebre. Non sarebbe stata la prima volta.
«Era solo un incubo.» mormorò, aprendo la porta e lasciando la propria stanza.
Qualcosa però lo tormentava e gli suggeriva di non lasciare tanto al caso il messaggio datogli dal sogno. C’era qualcosa di troppo plausibile nell’immagine che aveva visto, come se gli fosse stata data la facoltà di sbirciare nel futuro. Dopotutto, al momento Katlin era debole e priva di magia. Stando a quanto aveva potuto vedere di lei, era anche tormentata. Questo non aveva fatto cedere lui, ma forse avrebbe potuto attirare su di lei l’istinto protettivo di un altro uomo. E chi gli assicurava che Katlin, debole e sola, non cedesse?
Dalamar sospirò e si passò una mano sulla fronte. Iniziava a delirare e non aveva tempo per pensare a certe cose. Quello era il suo ultimo giorno alla Torre di Wayreth, almeno per il momento, e non poteva gingillarsi con i propri problemi personali. C’erano questioni molto più serie che richiedevano la sua attenzione. Si ripromise comunque di indagare più a fondo sulla faccenda una volta tornato a Palanthas. Iniziava a sospettare che l’uomo con la spada non fosse un guerriero qualunque. Lei non stava forse viaggiando con…
«Dalamar.»
L’elfo oscuro si voltò sentendosi chiamare. Si trovò di fronte Ladonna che lo osservava con aria sardonica.
«Buongiorno, Ladonna.» salutò con fredda cortesia.
«Il tuo padrone continua a mandarti qui a spiare?» chiese la maga.
«Mi pare che al momento si stia lavorando tutti nella stessa direzione.- obiettò Dalamar- L’esistenza di maghi rinnegati che operano al di fuori delle leggi della magia non è forse un danno per tutti noi?»
Ladonna storse la bocca in una smorfia, ma fu costretta ad annuire. Neanche le Vesti Nere gradivano la novità. Un conto era lavorare per Takhisis nel pieno rispetto di Nuitari; un altro lasciare che venisse creata una setta magica estranea al controllo degli Dei della Magia.
«Lo sono. Questa faccenda non mi piace, anche se mi piace ancora meno trovarmi d’accordo con il tuo Shalafi.- disse Ladonna, corrugando la fronte- Per quanto abbiate fatto fuori gli embrioni della setta, c’è ancora gente che fa perdere le proprie tracce. La Regina delle Tenebre non ha abbandonato il Suo progetto.»
«Ma neanche una parola con le regolari Vesti Nere.» disse Dalamar.
«Infatti.» ammise Ladonna, scrutandolo con astio alla ricerca di sarcasmo. Sul volto indifferente dell’elfo non ne trovò e questo la indispose ancora di più. Era ovvio che si prendeva gioco di lei. Sapeva che Dalamar puntava al suo seggio, alle prossime elezioni dei membri del Conclave.
«Purtroppo, finché questa situazione non sarà risolta ti toccherà continuare a fare il leccapiedi del Maestro della Torre di Palanthas, Dalamar.» sospirò, fingendo un dispiacere che di certo non provava. Dalamar nemmeno si disturbò a rispondere. Fece un gesto di saluto e si avviò lungo il corridoio.
«Sempre che il tuo Shalafi non decida di eliminarti dai giochi. Mi è arrivata voce che Katlin Majere sta iniziando a somigliare molto al fratello. Troppo.- insinuò Ladonna alle sue spalle, costringendolo a fermarsi- Chissà? Magari quando i suoi…problemi…saranno risolti, la vedremo indossare la veste nera. Non sarebbe uno sviluppo interessante?»
Dalamar si voltò con uno scatto iroso, ma Ladonna non c’era già più. Gli giunse solo la sua risatina sarcastica che si allontanava lungo uno dei corridoi. L’elfo strinse i pugni, rammaricandosi di non essere riuscito a resistere all’ira per la provocazione della maga. Anche la sua mente era stata attraversata da quel pensiero e più di una volta negli ultimi tempi.
Dalamar voleva il seggio di Ladonna a qualunque costo. Era disposto a vedere Katlin momentaneamente a capo della Torre di Wayreth, come nei piani del suo Shalafi. Dopotutto, lo sapevano entrambi, lui avrebbe sempre potuto sostituirla alla sua morte e ora come ora non osava in alcun modo sfidare la volontà dello Shalafi. Doveva solo avere pazienza. La vita di un elfo era eccezionalmente più lunga di quella di un essere umano…
Sospirò, passandosi una mano sul volto. Ciò che lo favoriva nell’ambizione, lo ostacolava nei sentimenti. Era a questo che Katlin si riferiva quando nel sogno aveva ammesso che la relazione tra loro non avrebbe potuto reggere? Conosceva così bene le sue mire da sapere che per loro non ci sarebbe stata speranza?
«Non devo più pensare a lei.» mormorò, costringendosi a tornare con la mente alle incombenze della giornata e a concentrarsi esclusivamente su quelle.
Non gli riuscì molto bene.


***


Si stava facendo buio e Raistlin consumava la sua frugale cena con il solo sottofondo dello scoppiettio del fuoco nel camino acceso. Aveva anticipato un po’ il pasto, in quanto quella sera aveva un impegno. Crysania aveva finalmente accettato di incontrarlo.
Sbucciò una mela e la tagliò a fette con metodo, corrucciato. La chierica aveva ceduto a causa delle velate allusioni alla Gemma Grigia contenute nel suo ultimo messaggio. Messa alle strette da quelle novità impellenti, si era infine convinta a rischiare un’uscita notturna. Aveva timore di essere spiata? Raistlin non credeva che i chierici sarebbero arrivati a tanto. Erano solo degli stupidi che nelle difficoltà si rifugiavano nell’invocazione del proprio dio.
«Quel tempio, però, è una prigione.» mormorò tra le labbra socchiuse, asciugandosi infastidito il succo di mela dalle dita per poi iniziare a mangiare. Gli sarebbe piaciuto togliersi lo sfizio di fare un personalissimo discorso a quel gregge di pecore che limitava tanto la libertà di Crysania, ma al momento non era nei suoi piani scoprirsi troppo. Camminava sul filo del rasoio, una mossa falsa e gli si sarebbero scagliati tutti contro. Ora non aveva tempo per dare dimostrazioni di forza. Stava a Crysania fare una scelta chiara e comunicarla al mondo, maledizione!
“Calmati.” si disse, frenando il montare dell’ira. Non era quello lo stato d’animo con cui voleva incontrare Crysania. Passare la notte a litigare con lei non lo attirava affatto. I suoi piani erano ben altri. Le avrebbe parlato delle proprie intuizioni, poiché la lotta contro le visioni di Katlin aveva la priorità su qualsiasi altra cosa, ma poi l’avrebbe avuta per sé. Non l’avrebbe lasciata andare prima del sorgere del sole, sarebbe stato sordo alle sue solite scuse e giustificazioni. La desiderava tanto da volerle male. Da volerla isolare dal resto del mondo. Crysania era sua. Solo sua.
Venne distratto da questi torbidi pensieri dalla consapevolezza che qualcuno si era introdotto nella Torre. Dalamar doveva essere tornato da Wayreth. Non passarono che pochi minuti, infatti, prima che qualcuno sostasse davanti alla porta del suo studio.
«Entra, Dalamar.» disse l’arcimago.
L’elfo oscuro fece il suo ingresso, rivolgendo a Raistlin un breve inchino.
«Vi chiedo scusa se ho interrotto la vostra cena.» si scusò formalmente. L’arcimago fece un gesto distratto verso il cibo rimasto sulla tavola. Aveva già soddisfatto il suo esiguo appetito.
«Novità da Wayreth?» chiese.
«Poche, Shalafi. Ci sono un paio di maghi e una veste marrone che hanno fatto perdere le proprie tracce da tre settimane. Si indaga.- disse l’elfo oscuro, rimanendo in piedi a una certa distanza dal tavolo- Ho parlato con Ladonna, oggi. Pare gioisca in cuor suo del rinvio delle elezioni all’interno del Conclave.»
Raistlin piegò la bocca in un sorrisetto sarcastico.
«Sa che sarà detronizzata. Intuisce le mie mire e non può farci niente. Immagino che per lei sia irritante.- sogghignò- Ti ha attaccato verbalmente?»
«Non proprio. Mi ha solo stuzzicato un po’.» ammise Dalamar.
«E tu non avrai reagito, spero.»
«Non direi, no.»
Raistlin annuì, poi disse: «Credo di aver capito qual è il segreto della Gemma Grigia.»
Dalamar spalancò gli occhi, stupito per quel repentino cambio d’argomento e per la rivelazione fatta con tanta calma.
«Come?- disse- Di cosa si tratta?»
Raistlin socchiuse gli occhi dorati, scrutandolo con le sue pupille a clessidra.
«Caos.» mormorò.
«Caos? Cosa…che intendete dire? Come siete arrivato a questa conclusione?» chiese l’elfo.
«Ho riflettuto sulla sua natura e questo è ciò che mi è balzato alla mente. E’ solo una supposizione, bada, e dovrà essere verificata.- si alzò dalla sedia facendo leva sul Bastone di Magius- Potrai dirlo al Conclave, la prossima volta che ti manderò a Wayreth. Immagino farà un certo effetto. Ora ti lascio.»
«Uscite?» indovinò Dalamar. Raistlin annuì.
«Devo informare Crysania. Spero che, almeno a lei, gli Dei diano qualche suggerimento.» disse, sprezzante.
Dalamar annuì e gli fece spazio, lasciandolo procedere verso la porta. L’arcimago vi era quasi arrivato quando il suo apprendista parlò ancora.
«Shalafi…perdonate la domanda, ma vostra sorella viaggia con la sola compagnia di vostro nipote e del Cavaliere di Solamnia?»
Raistlin si fermò e si voltò, scrutando con sarcasmo l’elfo oscuro.
«Perché me lo chiedi, Dalamar? Credevo non ti interessasse più nulla di mia sorella.» lo pungolò. Dalamar si irrigidì.
«Ho sognato strani avvenimenti. Temo un intervento di messi della Regina.» disse, ma la sua voce suonò falsa. Non ci voleva un genio per capire di che genere fossero i sogni di Dalamar. Raistlin sorrise segretamente, riconoscendo nell’inflessione della sua voce la gelosia. Fu soddisfatto nel notare che Katlin aveva ancora del potere sul suo apprendista; sarebbe tornato utile. Aprì la porta per uscire.
«Con loro ci sono anche il kender e mio fratello Caramon, Dalamar.- disse- Penso tu possa tirare un sospiro di sollievo.»
Chiuse la porta senza gettare nemmeno un’occhiata al volto improvvisamente paonazzo del suo apprendista e si teletrasportò sulla soglia della Torre, incamminandosi poi nel Bosco di Shoikan. Che cosa strana erano i sentimenti…Chissà se c’era ancora speranza per Katlin e Dalamar? Un legame tra loro avrebbe reso più sicura la posizione di sua sorella, tagliando le gambe all’ambizione dell’elfo. Raistlin avrebbe potuto usarli entrambi senza dover rinunciare ad una delle sue pedine. Doveva fare in modo di favorire il loro riavvicinamento.
Presto raggiunse l’abitazione abbandonata che era sua meta fin dal principio. I suoi pensieri tornarono a focalizzarsi su Crysania, cancellando tutto il resto. Quasi fremendo d’aspettativa, Raistlin entrò e si mise ad attendere nel buio più assoluto, anelando il momento in cui la figura biancovestita della donna che amava si sarebbe stagliata sulla soglia.

 

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Capitolo 9
*** 9 - Crysania nei guai ***


CAPITOLO 9

CRYSANIA NEI GUAI

Non fu una notte d’amore per Raistlin. Tre ore dopo essere uscito, l’arcimago tornò alla Torre, entrandovi come una furia, pallido, gli occhi infuocati da una febbre furibonda in cerca di sfogo. Dalamar avvertì il ritorno del suo Shalafi e la prudenza gli suggerì di restarsene chiuso nelle sue stanze, cosicché Raistlin non incontrò nessuno mentre si dirigeva a passi rabbiosi verso la Camera della Visione.
Crysania non si era presentata all’appuntamento. L’aveva aspettata dapprima con ansia, poi con preoccupazione crescente, infine con una furibonda ira che lo spingeva a digrignare i denti per non mettersi a gridare un incantesimo che avrebbe sfasciato il Tempio di Paladine, rendendo un ammasso di macerie il luogo che la nascondeva. Non avesse saputo quanto male gli avrebbe fatto avventurarsi sul terreno sacro, si sarebbe precipitato a sfogare la sua ira sulla diretta interessata. Tenendo a quel poco di salute che ancora gli consentiva di restare in piedi, aveva invece deciso di tornare alla Torre e indagare sui motivi di quella defezione.
Meglio per lei se ciò che l’aveva tenuta lontana si fosse rivelato importante…
Entrò nella Camera della Visione, terrorizzando i Vivi e spingendoli a strisciare via gemendo per sottrarsi alla sorte di essere calpestati senza riguardo. Al momento Raistlin non li vedeva nemmeno, c’era da aspettarsi che avrebbe scaraventato qualcuno di loro nella pozza a calci se solo l’avessero intralciato.
L’arcimago raggiunse la pozza e passò la mano di taglio sopra di essa, facendo schioccare il velluto della manica con la violenza del movimento.
«Mostrami Crysania!» sibilò.
Il liquido che riempiva la pozza si mosse come spazzato da un vento leggero, increspandosi, poi si quietò e trovò l’immagine che Raistlin cercava. Vide il volto pallido di Crysania, le guance accese da un rossore sospetto, gli occhi bassi ma scintillanti di quella testardaggine che lui aveva imparato a conoscere. Le sue labbra erano compresse in una linea sottile e incolore. La chierica era in uno stato di evidente disagio.
Raistlin corrugò la fronte, facendo un altro gesto per allargare la visuale. Qualunque cosa avesse tenuto Crysania lontano da lui, non le portava certo piacere. La cosa affievolì parzialmente la sua ira, ma non la sua curiosità. La visione si allargò, voci estranee a quella di Crysania riempirono la Camera della Visione.
La chierica era seduta con le mani strette a pugno sulle ginocchia, in un atteggiamento che riassumeva quello di una bambina presa in fallo e di una donna orgogliosa sul punto di intavolare una velenosa discussione. Le voci erano confuse, un uomo borbottava qualcosa ad una certa distanza da Crysania. Nessuno le stava vicino e lei non si trovava nella sua stanza.
«Ma è ancora nel Tempio. Che sta succedendo?» mormorò Raistlin, chiedendo alla pozza un altro sforzo. L’immagine si allargò ancora, rivelandogli una sala piuttosto ampia, forse un luogo di riunione per i chierici. Almeno una decina tra uomini e donne vestiti di bianco confabulavano in fondo alla sala, scoccando occhiate confuse e imbarazzate a Crysania. In quel momento, si udì sbattere una porta. Un uomo entrò nella visuale di Raistlin.
“Reverenda Figlia, ci avete ripensato?” chiese quest’ultimo, fermandosi in piedi davanti alla chierica. A Raistlin non piacque il tono arrogante del chierico. Come si permetteva di apostrofare in quel modo irrispettoso il Capo della Chiesa di Paladine? Crysania alzò gli occhi duri e fermi sul nuovo arrivato.
“Teleco, mi meraviglio di te.- disse, severa, facendo abbassare gli occhi agli altri occupanti della sala- Se avevi domande da pormi, potevi farlo in qualsiasi momento. Il fatto che tu abbia preferito tendermi una trappola, cogliermi in fallo, è vile e indegno di te. Indegno della veste che porti.”
“Mi avete costretto a farlo, Reverenda Figlia.- sbottò l’uomo, dando le spalle a Crysania per sfuggirne lo sguardo diretto- Non mi avreste mai risposto con sincerità, lo sapete bene. E non rivoltate la frittata. Siete voi la colpevole di fronte agli occhi di Paladine, qui.”
“Colpevole? Come osi, Teleco?!” sbottò Crysania, avvampando. Raistlin valutò che l’indignazione superasse la vergogna. La cosa lo lusingò sottilmente: lei non era pentita del loro amore. Era evidente, infatti, che infine la loro tresca era stata scoperta. Crysania doveva essere stata colta in fallo mentre cercava di raggiungerlo in città e ciò significava che i suoi movimenti notturni erano stati notati da tempo. La cosa spiegava anche i continui rifiuti della chierica, che probabilmente aveva subodorato uno stringersi della sorveglianza.
Questa faccenda avrebbe portato delle grane a Crysania. Teleco era il suo segretario e forse carezzava da tempo sogni di grandezza. Quella era la sua grande occasione di screditare Crysania e tentare di imporsi quale esempio di rettitudine sugli altri chierici.
«Ah, la storia si ripete sempre, tra i Bianchi come tra i Neri.- disse, con una smorfia derisoria- Dovrai faticare, uomo, se vorrai piegare Crysania.»
Se da un lato la situazione era di suo gradimento, in quanto Crysania libera dal suo ruolo sarebbe finalmente stata di sua esclusiva proprietà, il pensiero che venisse degradata e messa alla gogna per il semplice fatto di amarlo lo disgustava. Paladine aveva benedetto la loro unione, ma alla fine dei conti non li aveva aiutati per niente.
«Vecchio, non permetterò loro di distruggerla. Anche se ciò significasse radere al suolo quel tuo bel tempio.- sussurrò, stringendo gli occhi dorati in due fessure- Richiama i tuoi cani o sarò costretto a farlo io.»

***

Crysania non poteva credere alla situazione in cui si era cacciata. Eccola lì, seduta come una bambina in castigo mentre Teleco la sgridava davanti ai dieci chierici più eminenti del Tempio. Non poteva fare a meno di sentirsi colpevole, sapeva di aver scelto una strada che la portava lontano dalle responsabilità che si era presa succedendo ad Elistan, ma non era pentita di aver scelto di essere la donna di Raistlin e la Chiesa non poteva rimproverarle nulla. Non aveva forse rischiato la vita più di una volta per combattere l’Oscurità su Krynn? E ora questo chierico da scrivania si permetteva di…
“L’orgoglio, Crysania. Mettilo a tacere. Non è un buon modo di affrontare la situazione.” si disse, mentre Teleco riprendeva la sua sfuriata. Lo scontro era appena iniziato.
«Come…oso?! Reverenda Figlia, siete stata colta a svignarvela dal Tempio in piena notte! Cosa dovevate fare in città di tanto urgente da costringervi a lasciare la nostra santa dimora di soppiatto?»
«Vista la facilità con la quale hai fermato i miei passi, Teleco, immagino ti fossi accorto delle mie assenze già da un pezzo.» disse Crysania, con freddezza.
«Non negate, quindi, di esservi più volte assentata dal Tempio in piena notte?» chiese Teleco, indagatorio.
«Non lo nego, no.» disse Crysania, calmandosi. Era il momento della verità. L’aveva temuto, procrastinato, ma ora che era arrivato scopriva di essere in grado di affrontarlo senza rimorsi né vergogna.
«E suppongo non ci rivelerete dove vi portavano i vostri passi, Reverenda Figlia?» continuò il segretario, sarcastico.
«Da Raistlin Majere.» rispose semplicemente la chierica, fissando Teleco con i suoi limpidi occhi chiari. Il segretario trattenne il fiato, suo malgrado sconvolto dalla tranquillità con cui la Reverenda Figlia aveva pronunciato quel nome. Gli altri chierici lanciarono esclamazioni di sgomento e orrore.
«Senza…senza una convocazione ufficiale?- si trovò a balbettare Teleco, a disagio nel constatare la tranquillità del suo superiore- Di norma, quando vi recate da…lui…per parlare dei grandi fatti di Krynn, egli vi fa mandare un messaggio…»
«Non andavo a parlare con lui dei piani della Regina Oscura, Teleco. Non soltanto, a voler essere precisi.- sospirò Crysania, sentendo suo malgrado le guance colorarsi di un lieve rossore- Andavo semplicemente da lui. Come una donna dal suo uomo. Io e Raistlin Majere abbiamo una relazione.»
Teleco rimase per un istante senza parole per quella ammissione, ben più grave di quella che sperava di strapparle. La fissò, bella e orgogliosa, senza una traccia di colpa sul viso e si chiese se fino a quel momento erano stati tutti ingannati dalla figura della chierica pura e integerrima che Elistan aveva scelto. Pensava di coglierla in fallo e screditarla davanti agli occhi della comunità per costringerla a reagire oppure a farsi da parte. La cosa gli stava però sfuggendo di mano, mettendo in luce fatti ben più gravi di quelli che aveva subodorato. Se lui era ridotto al silenzio, gli altri chierici avevano invece ritrovato la parola.
«Reverenda Figlia, questo…è inconcepibile!»
«Avete tradito i vostri voti e noi!»
«Non posso crederci…Reverenda Figlia Crysania, avete tradito i sacri principi su cui si fonda la nostra Chiesa!»
«Il Dio Paladine non perdonerà…»
A queste parole, Crysania reagì alzandosi in piedi e sollevando una mano per chiedere il silenzio. Lo ottenne: erano tutti abituati a obbedirle.
«Non ho tradito nessuno. L’amore che mi lega a Raistlin, perché di tale sentimento si tratta, per quanto vi sia incomprensibile è reale e sincero, ed è stato benedetto dal Dio Paladine in persona.» li informò, secca.
«Questo non è possibile!» sbottò Teleco, ritrovando la parola.
«È accaduto in seguito alla distruzione del Portale. Paladine ha ascoltato le mie preghiere, ha accolto i miei dubbi e i rimorsi. Egli si è presentato a me e ai Majere, donando la sua reale identità a Katlin Majere e…e dandomi la Sua approvazione riguardo la via che avevo deciso di intraprendere.» Sospirò, intrecciando le dita e stringendole forte. «È una via ardua, ma non mi pento di averla intrapresa. La Luce è in me e mi guida, rendendomi salva dall’Oscurità. Questo mi consente di camminare a fianco dell’uomo che il mio cuore ha scelto, sebbene so che agli occhi del mondo questo connubio possa sembrare un’aberrazione.»
«Come possiamo credervi, Reverenda Figlia?! Voi ci avete mentito!»
«Ho atteso il momento giusto per dirvelo. Era, ed è ancora, mia ferma intenzione lasciare il posto di Capo della Chiesa.- disse, gelandoli- Allo stesso tempo si sono verificati fatti gravissimi che hanno richiesto la mia presenza e i miei poteri. Sapete anche voi che la Regina delle Tenebre sta lavorando attivamente per creare un nuovo esercito per marciare su Krynn.»
«Questo non giustifica le vostre azioni, Reverenda Figlia.- disse Teleco, sdegnato – Recarvi in piena notte a…a incontrare un uomo! Quell’uomo, poi!»
«Un’azione difficilmente comprensibile per chi non ama, mi rendo conto.- fu la replica di Crysania, velata di tristezza- In ogni caso, non dovete temere uno scandalo. Anticiperò l’addio alla mia carica. Stavo già cercando un sostituto valido da tempo.»
«Un…sostituto?» mormorò Teleco. Crysania notò il lampo di avidità negli occhi del chierico e corrugò la fronte. Non credeva che il suo segretario fosse così ambizioso.
«Nessuno di coloro che vivono in questo Tempio è in grado di sostituirmi.- lo gelò- Stavo pensando di valutare i chierici delle piccole comunità sparse per Krynn.»
«Beh…se la Reverenda Figlia è consapevole di dover…» iniziò a dire una chierica.
«E pensate che ci fideremmo del vostro giudizio, dopo che ci avete nascosto tante cose?!- la interruppe Teleco, ormai ripresosi dallo shock- Reverenda Figlia, voi dovrete prima di tutto essere giudicata dalla nostra comunità. Vedremo allora se il dio Paladine vi sarà accanto.»
«Teleco, non c’è bisogno di mettere la Reverenda Figlia in una situazione tanto deprecabile.» commentò uno dei chierici.
«Certo che ce n’è bisogno! Si tratta del Capo della nostra Chiesa, non di un qualunque chierico che si possa espellere nel silenzio! Deve fungere da esempio o le regole che ci siamo dati alla fondazione dell’Ordine diverranno semplici consigli da seguire o meno a seconda della convenienza!- protestò il segretario con veemenza- Volete che il disordine e la promiscuità si infiltrino nella nostra santa comunità?!»
Crysania corrugò la fronte ma non protestò, pur accorgendosi che Teleco stava portando dalla sua parte gli altri chierici. Si era aspettata di essere messa alla gogna, doveva conservare il proprio coraggio. Le spiaceva soltanto lasciare la Chiesa in quel modo disonorevole.
«La Reverenda Figlia sarà ascoltata e giudicata dall’Ordine cui appartiene.- finì Teleco- In attesa di giudizio, rimarrà nelle sue stanze. E saremo noi a cercare un degno sostituto, qualcuno che non infanghi la memoria del santo Elistan.»
A queste parole il volto di Crysania si infiammò, ma di nuovo lei rimase in silenzio. Una delle chieriche le si avvicinò.
«Venite, Reverenda Figlia. Per il momento è comunque meglio che torniate nelle vostre stanze.» le sussurrò. Crysania annuì rigidamente e si incamminò fuori dalla sala con la donna a fianco. Riuscì a sentire ancora un frammento di conversazione.
«Teleco…e se fosse vero? Se il dio Paladine l’avesse davvero benedetta? Se intervenisse, condannandoci per non averle creduto?» stava chiedendo uno dei chierici anziani, un brav’uomo devoto che Crysania aveva sempre apprezzato.
«Non credo affatto che interverrà in sua difesa.» fu la replica secca di Teleco.
Purtroppo, neanche Crysania lo credeva. Paladine l’avrebbe lasciata percorrere la sua strada, con tutti i pro e i contro. Era il momento peggiore perché la cacciassero: i Maghi Grigi erano a malapena stati sconfitti, Takhisis brigava la creazione di un’armata micidiale e su di loro incombeva la visione di distruzione che gli Dei e poi Katlin avevano avuto modo di sperimentare. Senza contare che la giovane donna era ancora priva dei suoi poteri magici e che i piani di Raistlin su lei e Dalamar erano andati in fumo. Era proprio un pessimo momento…ma non aveva avuto la forza di rifiutarsi a Raistlin troppo a lungo.
“Sono diventata imprudente. Ora dovrò affrontarne le conseguenze.” pensò.
La sua assenza di quella notte e il suo prossimo, lungo silenzio avrebbero fatto infuriare Raistlin. Lui l’avrebbe presto contattata, di persona o attraverso Dalamar e quando avesse saputo ciò che stava accadendo…che Paladine proteggesse i suoi chierici!
Crysania sospirò e si passò una mano sugli occhi. Sperava soltanto che l’arcimago non si immischiasse in quella faccenda finché non fosse tutto finito.

***


«La giudicheranno. Stolti!» sibilò Raistlin, irato.
Se lo aspettava, prima o poi, ma non così presto. I chierici erano degli idioti, non era il momento di destabilizzare l’unica figura di potere all’interno della Chiesa di Paladine. La Regina delle Tenebre era molto più presente di quanto quegli ottimisti potessero immaginare e nessuno, tranne Crysania, possedeva un potere e una fede sufficienti a costituire un vero deterrente alle forze della Tenebra. Privarsene per mettere sul seggio più alto uno scribacchino come Teleco era una sorta di suicidio.
“Sono ciechi. Non si rendono conto della grave situazione in cui ci troviamo!” pensò, disgustato. D’altra parte, non ne era sorpreso. Faticavano a capire persino i maghi di Wayreth, che più di chiunque altro conoscevano le aspre lotte tra gli Dei per la conquista di Krynn; non ci si poteva attendere molto da un Ordine clericale ricostituito da poco e affetto da ideologie utopistiche.
L’arcimago corrugò la fronte, combattuto tra la tentazione di rapire Crysania, sottraendola al giudizio altrui, e quella di lasciare che le cose seguissero il loro corso. Dopotutto, alla fine dei conti l’avrebbe comunque avuta per sé. Per il momento avrebbe atteso gli sviluppi della faccenda, vegliando su di lei in silenzio finché le circostanze non lo avessero spinto ad agire in una direzione o nell’altra. Lanciò un’ultima occhiata rovente al volto della chierica, riflesso nella pozza, poi le voltò le spalle e fece per andarsene.
Ristette, mentre un altro pensiero gli si insinuava nella mente tornata fredda. Quella sera Dalamar gli aveva posto una domanda su Katlin che aveva fatto scattare nell’arcimago un campanello d’allarme, ignorato solo a causa dell’impellente desiderio di congiungersi a Crysania.
Perché il suo apprendista era improvvisamente geloso del Cavaliere di Solamnia a cui sua sorella si era aggregata per accompagnare il giovane Brightblade a Palanthas? Come mai un pensiero simile aveva attraversato la mente di Dalamar? Non aveva mai dimostrato palese gelosia, men che meno da quando la loro relazione si era interrotta, e Katlin non era il tipo di donna che flirtasse con tutti gli uomini che incontrava. Anzi, era educatamente scostante.
“Da qualche tempo, nemmeno troppo educatamente.” pensò con sarcasmo.
Corrugò la fronte. Dalamar aveva sognato qualcosa, forse aveva avuto un segno. La Regina Oscura aveva già una volta tentato e ferito il suo apprendista utilizzando l’immagine di Katlin. Possibile che intendesse spingerlo a un gesto insano fomentando la sua gelosia? O c’era della verità, un serio pericolo d’infatuazione nella situazione in cui la sua sconsiderata sorella era andata a cacciarsi?
Rabbuiato, Raistlin tornò alla pozza e cercò in essa un’immagine della sorella. Ciò che vide non gli piacque per niente.

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Capitolo 10
*** 10 - Un incidente per Steven ***


Author’s note: Cosa sta guardando Raistlin attraverso la Camera della Visione? Cos’altro accade in questa notte turbolenta, quali altri sentimenti si stanno agitando con il favore delle tenebre? E quando la pianta questa tizia di fare domande?! XD Read and enjoy!

CAPITOLO 10

UN INCIDENTE PER STEVEN

La nave aveva attraccato solo la sera prima sotto un temporale con i fiocchi, ma avevano deciso di comune accordo di non soffermarsi e di rimettersi in cammino la mattina presto, fidandosi delle previsioni dell’oste, che assicurava cielo sereno per il giorno dopo. Il Cavaliere e Steel non vedevano l’ora di raggiungere il nord e Katlin, sebbene non condividesse affatto la loro fretta, aveva a sua volta una gran premura di ricongiungersi a Raistlin per continuare a lavorare sull’incantesimo che le avrebbe restituito la magia.
Priva di poteri, non poteva nemmeno mettersi in contatto con lui tramite il vecchio specchio magico. Doveva aspettare e basta, trascorrendo parte delle notti a mormorare a mezza voce le parole concordate con Raistlin mentre teneva in mano la pietra, inerte e scura.
Era sorto da poco il sole, quindi, quando i cinque uscirono dalla cittadina di mare e imboccarono la strada che portava a settentrione. Il cielo a nord era sgombro, mentre a sud, sul mare, una bruma cupa impediva di vedere come si sarebbe messo il tempo. L’oste non era stato preciso, o forse loro non erano in grado di indovinare le condizioni atmosferiche a così breve distanza dall’influsso marino.
«Si vede che ha piovuto da poco. Il terreno è ridotto a un pantano.- osservò Caramon, costringendo il cavallo a restare in mezzo al sentiero- Se non fossimo a cavallo, ci sarebbe da infangarsi dalla testa ai piedi.»
«Tas, Steel, seguite Caramon. Non vorrei dovervi vedere a gambe per aria nel fango.» consiglio Katlin con fare scherzoso, sorridendo al kender e al nipote, che procedevano sulla stessa cavalcatura.
«Certamente, zia.» disse subito il ragazzo, conducendo abilmente il destriero al centro del sentiero. Steven annuì, approvando.
«Il giovane Brightblade è portato all’obbedienza. Questo gli sarà utile per diventare il Cavaliere che tutti si aspettano.» mormorò, abbastanza forte perché Katlin lo sentisse.
«Piano con gli entusiasmi, Cavaliere. Non è detto che tutto procederà come volete voi.» gli disse, ignorando il suo stesso consiglio e costringendo il cavallo a camminare nel fango per poter superare Steven Sharphalberd e lasciarselo alle spalle. Non poteva farci niente: come apriva bocca, quell’uomo la irritava. Era troppo diretto, troppo sicuro. In circostanze normali si rendeva conto che l’avrebbe apprezzato; forse sarebbero addirittura diventati amici. Dopo le ultime vicissitudini, però, Katlin si era riscoperta piena dello stesso rancore verso le creature benedette dalla Luce che Raistlin aveva provato per tutta la vita.
“Sono diventata una pessima persona.” pensò, cupa, poi i rimorsi svanirono nel vedere la mano forte e abbronzata del Cavaliere chiudersi sulle sue briglie.
«Cosa fate?!» sbottò, seccata, schiaffeggiandogli la mano per costringerlo a lasciarla andare. Lui non sembrò scalfito dalla sua ira.
«Vi evito di finire in una pozza d’acqua che probabilmente azzopperebbe il vostro cavallo, Lady Katlin.- rispose lui, tirando il suo cavallo in salvo- Questa povera bestia ci si sarebbe spezzata una zampa. Dovreste tenere gli occhi sulla strada, invece di perdervi in pensieri.»
Katlin avvampò nel rendersi conto della verità di quelle parole: il Cavaliere le aveva appena evitato un bagno in una pozza larga e fonda a lato della strada. La cosa non fece altro che irritarla ancora di più.
«Fatevi i fatti vostri, una buona volta!» sbottò, afferrando la sua mano e strappandola dalle redini.
«Kat, perché non cerchi di calmarti? Dovresti ringraziare Steven, ti ha solo fatto un favore.» la sgridò Caramon, preoccupato. Non gli piaceva l’atteggiamento di sua sorella. Di solito non era così sgarbata. Inoltre aveva compreso che l’iniziale prevenzione di Steven per la famiglia Majere si era dissolta dopo aver fatto la loro conoscenza. Si trattava di un brav’uomo, una persona sincera che sarebbe andata d’accordo con Sturm e, se Caramon non si sbagliava, lo spirito indomito di Katlin aveva fatto breccia nella sua armatura. Non gli sarebbe dispiaciuto vedere la sorella legata a un uomo normale, lontana dalla magia e dai pericoli in cui Raistlin si ostinava a ficcarla.
«È vero Kat! Senza contare che hai appena detto a noi di stare al centro della strada e se non mi sbaglio c’è un proverbio su chi predica bene e razzola male, anche se non riesco a raffigurarmi qualcuno impegnato a razzolare come una gallina mentre fa prediche, altrimenti tutti i chierici dovrebbero…» esclamò allegramente Tasslehoff, partendo in un’entusiastica analisi del famoso proverbio.
«Va bene, va bene, ho capito.- lo frenò Katlin con sarcasmo, alzando una mano- Siete tutti molto amici, andate d’accordo e io rovino l’atmosfera. Chiedo scusa.» Intercettò gli occhi preoccupati di Steel e si addolcì percettibilmente, sorridendo. Non voleva rovinargli il viaggio. «Chiedo scusa, sono solo di cattivo umore.- disse in tono più mite, voltandosi verso Sharphalberd per sancire una pace che mettesse tutti d’accordo- Ho reagito in maniera eccessiva, Lord Steven. Vi chiedo scusa.»
Non si aspettava il luminoso sorriso che comparve sul volto avvenente del Cavaliere a quelle parole, illuminandogli gli occhi azzurri di un inaspettato calore.
«Finalmente un sorriso, Lady Katlin!- disse l’uomo- Se devo sopportare una vostra sfuriata perché mi sia concesso di vederlo almeno una volta al giorno, lo farò con gioia.»
Katlin corrugò la fronte, ritrovandosi confusa e senza parole per quella galanteria che non sembrava artificiosa. Da dove era uscito fuori quell’inedito lato del Cavaliere? Eppure era sempre stata tanto velenosa con lui che avrebbe dovuto trattarla come una strega della peggior specie! Non gli aveva mostrato niente di meglio. Improvvisamente la cosa la fece vergognare di sé.
«Ah…beh…non abituatevi.» riuscì soltanto a borbottare, abbassando lo sguardo sulle redini. Si accorse che Caramon stava sorridendo con approvazione e storse la bocca in una smorfia. Sicuramente suo fratello apprezzava che facesse amicizia con gente come quello Steven Sharphalberd piuttosto che con un elfo oscuro come…come…
“Non devo pensarci più.” si impose, assumendo senza saperlo un’espressione sofferta che non passò inosservata a nessuno.
Steven registrò con dispiacere quel repentino incupirsi dell’umore della donna. Pochi istanti prima non aveva scherzato, vederla sorridere gli aveva veramente dato gioia. Non riusciva a capire come, ma la maga dai capelli striati stava diventando per lui un pensiero fisso che riusciva a distrarlo perfino dalla sua missione. Per quanta fretta avesse di accompagnare il giovane Brightblade a Solamnia, si trovava spesso ad apprezzare il viaggio per il semplice fatto di poter posare gli occhi sul volto algido e misterioso di quella donna.
Avvicinò il proprio cavallo a quello di Caramon, lasciandole un po’ di spazio per se stessa.
«Pensi che le mie parole le abbiano fatto dispiacere, Caramon?- chiese, preoccupato- Non era mia intenzione.»
«No, Steven. Anzi, credo le abbiano fatto piacere.- sorrise il guerriero, osservando con aria mesta la sorella- Probabilmente le hai fatto ricordare qualcuno…qualcosa…e per questo è diventata triste.»
«Qualcuno? Un uomo?» chiese Steven, avvertendo una certa inquietudine.
«Ho detto qualcuno? Mi sarò sbagliato! Parlavo così, in generale…» borbottò Caramon, cercando di evitare l’argomento.
«Non parlavi di Dalamar, Caramon?» chiese Tasslehoff, ignaro dell’effetto delle sue parole. Katlin, infatti, li sentì e si voltò verso di loro con sguardo omicida. Caramon impallidì.
«Zitto, Tas! Non nominare quel tizio!» sibilò il guerriero, evitando lo sguardo degli occhi brucianti di sua sorella, che si voltò e diede di sprone al cavallo, mettendo maggiore distanza tra loro. «Raistlin mi darebbe dell’idiota…e avrebbe ragione.- borbottò Caramon, dispiaciuto, vedendo che sia Steven che Steel erano sulle spine per motivi molto simili- Sentite, fate conto che quel dannato elfo oscuro non sia mai stato nominato. È storia passata. Soprattutto per Kat.»
Ciò detto, si chiuse nel silenzio prima di fare altri danni e convinse Tas a non aggiungere altro stringendo le labbra in una linea sottile ed esangue. Quando Caramon era così arrabbiato, era meglio non contrariarlo! Steel abbassò lo sguardo sulle redini, pensieroso. Lui sapeva della relazione tra sua zia e il mago oscuro che aveva ucciso Kitiara, e la cosa continuava a disturbarlo. In parte si trattava di gelosia, non voleva che la figura materna appena conquistata fosse distratta dalla presenza di un uomo. In parte, invece, sentiva di dover odiare quel mago in quanto assassino di sua madre. Era lieto che le cose fra sua zia e l’elfo fossero concluse. Allo stesso tempo, guardare la sua schiena sottile rigida per l’ira lo rendeva triste. Lei lo amava ancora, era evidente.
“Chi penserà a rendere felice te, zia?” si chiese.
Steven Sharphalberd, dal canto suo, era spaventato. Finalmente aveva capito la vera entità della tenebra che stava cercando di ingoiare quella donna. Conosceva Dalamar, l’apprendista di Raistlin Majere. Era una Veste Nera, un elfo oscuro che agiva in maniera dubbia ed era coinvolto da anni nei grandi eventi di Krynn. Quei due si erano dunque amati? Forse…quando Katlin aveva perduto la magia, l’elfo l’aveva abbandonata? C’era da aspettarsi questo e altro da una sordida Veste Nera! Steven sentì il petto gonfiarglisi di indignazione e sofferenza per la maga. Ecco perché lei era così amara, così disillusa! Avvertì un impellente bisogno di consolarla, di tirarla fuori dalla tenebra che la braccava e farle conoscere la vita alla luce del sole.
“È stato Paladine a farci incontrare, Katlin Majere?” pensò, sconvolto dai suoi stessi pensieri.
Fu allora che iniziò a piovere. Dapprima poche gocce, poi sempre più forte, l’acqua si rovesciò su di loro da un cielo fattosi color piombo.
«Un altro temporale. Dannato oste! O ci ha presi in giro, oppure è un incapace!» imprecò Caramon.
«Caramon, qui c’è da finire affogati!- strillò Tasslehoff, cercando di sovrastare il frastuono della pioggia- Guarda come viene giù!»
«Lo vedo, Tas, ma che vuoi fare?! Tornare indietro?!» sbottò il guerriero.
«Ci metteremmo troppo. Non c’è un villaggio, qua attorno?» chiese Katlin, cercando di trattenere il suo destriero che si stava innervosendo.
«A due ore dalla strada, verso est! Mi ricordo di averlo visto sulla mappa!» esclamò Steel, sopportando stoicamente la pioggia martellante.
«Sei sicuro, Steel?» chiese Caramon. Il giovane annuì, deciso.
«Allora ci conviene deviare! Questa tempesta va verso nord e non c’è modo di aggirarla, ha l’aria di voler durare a lungo.- convenne Steven, guardando verso sud le nubi che si ammassavano- Sarà meglio sbrigarci. Ho paura che il peggio debba ancora…» Si zittì, scosso da un brivido, mentre i capelli gli si rizzavano sulla nuca. Subito dopo, un fulmine cadde a terra in mezzo a loro e scoppiò un tuono assordante che terrorizzò i cavalli e strappò loro grida di spavento.
Il cavallo di Katlin si imbizzarrì e si alzò sulle zampe posteriori, spedendola violentemente nel fango. La donna vi atterrò con un grido, perdendo subito il fiato mentre l’acqua gelida e la mota finivano di inzupparla.
«Kat! Kat, stai bene?!-» gridò Tasslehoff, saltando giù dalla sella.
«Lady Katlin, vi siete fatta male?» chiese subito Steven, scendendo a sua volta di sella e correndo da lei. Katlin alzò una mano, accecata dalla pioggia che le scrosciava in faccia.
«Sto…bene. Sto…» balbettò, poi la sagoma scura del suo cavallo impazzito le torreggiò addosso, scalciando.
«Kat, togliti da lì!-» gridò Caramon, terrorizzato.
«Zia Kat!» gridò Steel.
Katlin non riuscì a muoversi. La caduta le aveva tolto sensibilità alla parte inferiore del corpo, non poteva rotolare di lato. Poté solo incrociare le braccia davanti al volto e aspettare che il cavallo la riducesse in poltiglia.
«Via! Via!» gridò il Cavaliere. Si udì un colpo, il cavallo nitrì, poi l’ombra che le incombeva addosso scomparve. Katlin aprì cautamente gli occhi per vedere Steven Sharphalberd con la spada in mano che si chinava su di lei per aiutarla. Evidentemente aveva spinto di lato il cavallo con una piattonata della spada.
«State bene? Lady Katlin, riuscite ad alzarvi?» ansimò, con i biondi capelli zuppi che gli gocciolavano sugli occhi.
«Sto bene, grazie. Un po’ ammaccata.- borbottò, accettando il suo aiuto mentre Caramon cercava di calmare la sua cavalcatura- Vi ringrazio per…»
«Attenzione! Un altro!» strillò Tasslehoff. Vi fu di nuovo un’esplosione accecante che li assordò. I cavalli impazzirono, sfuggendo alla presa di Caramon e Steel e mettendosi a correre, imbizzarriti. Steven protesse Katlin con il proprio corpo mentre le bestie sfrecciavano loro accanto. Il Cavaliere avvertì un dolore obnubilante al collo e una luce bianca gli esplose nella testa, poi non sentì più nulla. Cadde su Katlin, privo di sensi, strappandole un grido di dolore.
«Kat! Steven!» gridò Caramon, correndo da loro.
«Aiutami, Caramon!- ansimò Katlin, gesticolando- È ferito e io…non respiro, dannazione!»
Caramon sollevò il Cavaliere dal corpo della sorella, che si mise faticosamente a sedere. Steven era stato colpito alla base del collo da uno zoccolo, che gli aveva procurato un brutto taglio sfregiato. Perdeva sangue, ma la ferita non sembrava pericolosa.
«Non è grave, ma dev’essere molto dolorosa e forse ha bisogno di qualche punto di sutura. Dobbiamo andarcene da qui.- disse Katlin con una smorfia, alzandosi sulle gambe malferme- Recuperiamo i cavalli e cerchiamo un riparo! Poi penserò a curarlo.»
«Sei in grado di farlo?» chiese Caramon.
«Certo, ho le conoscenze di Raistlin, te ne sei dimenticato?- borbottò Katlin, sostenendo il Cavaliere per permettere a Caramon di alzarsi- Penso io a lui. Voi andate a prendere i cavalli.»
Caramon annuì, poi fece cenno a Tas e Steel e i tre corsero dietro ai destrieri, allontanatisi lungo la strada. Katlin controllò di nuovo la ferita, poi annuì. Non era profonda, l’emorragia sarebbe cessata presto.
«Vi è andata bene, Cavaliere. Questo stupido incidente non vi ha arrecato molto danno.» mormorò, scostandogli i capelli bagnati dalle guance. Sospirò. Ora non aveva più nessuna scusa per trattare male quel pover’uomo. Aveva fatto tutto il possibile per salvarla dai cavalli imbizzarriti, guadagnandosi perfino una ferita.
“Dovrò scusarmi con lui.” pensò, stanca. Si sarebbe sdebitata curandolo e poi avrebbe parlato francamente con lui. Se Steel fosse diventato Cavaliere, Katlin voleva che potesse contare sul supporto di una persona onesta. Steven Sharphalberd, per quanto non volesse ammetterlo, era un uomo di cui ci si poteva fidare.

***

Steven riprese conoscenza lentamente, cullato dal suono della pioggia e da una carezzevole voce di donna che mormorava parole incomprensibili poco distante da lui.
“Dove sono?- pensò, confuso- Cosa mi è successo?”
Aprì gli occhi nel buio. Era sdraiato su un letto e il collo gli bruciava. Si sentiva debole e la testa gli girava. La voce continuava a cantilenare qualcosa, piano. Quando i suoi occhi si abituarono alla tenebra, gli parve di vedere una forma umana seduta ai piedi del suo letto. Teneva qualcosa in mano, da cui proveniva un vago e inquietante lucore rosso. L’addestramento ricevuto agì per lui, spingendolo a cercare la spada accanto a sé. Quando non la trovò cercò di alzarsi, ma una fitta di dolore gli strappò di bocca un grido soffocato. La voce tacque. Ci fu un movimento, un frusciare di vesti, poi una mano fresca gli si poggiò sul braccio.
«Siete sveglio? Aspettate, accendo una luce.»
Si trattava solo di Katlin Majere. Steven si rilassò mentre la donna accendeva una candela e la portava accanto al letto, illuminando la notte.
«Cosa…mi è successo?» mormorò, con voce rauca.
«Sete stato colpito da uno dei cavalli. Non ricordate?- chiese Katlin, appoggiando la candela su un tavolino accanto al letto e trascinando verso di lui una sedia sulla quale accomodarsi- Abbiamo chiesto asilo in un villaggio di contadini, Steel ricordava di averlo visto sulla mappa. Ho curato la vostra ferita, ma inaspettatamente siete stato colto dalla febbre. Cominciavo a preoccuparmi. Ho dato il cambio a Caramon un paio di ore fa. Gli altri dormono.»
Steven la ascoltò, riprendendosi man mano dalla confusione. Ricordava i cavalli che sfrecciavano loro accanto e niente altro. Dovevano essere passate ore. Ormai era notte.
«Grazie per avermi curato.» disse subito, cercando di alzarsi.
«Grazie a voi per avermi salvata. E restate disteso.- lo frenò Katlin, costringendolo a dare retta ai segnali di debolezza del suo corpo- Vi scaldo la medicina.»
Si alzò e raggiunse un piccolo focolare spento in fondo alla stanza. Accese il fuoco con abilità, poi mise a scaldare qualcosa di aromatico. Steven rimase a fissarla, preda di uno strano imbarazzo nel trovarsi solo con lei in quella stanza. Notò che la giovane donna aveva abbandonato i vestiti maschili e indossava una lunga veste rossa. Corrugò la fronte rendendosi conto che doveva essere la sua divisa da maga. Probabilmente era l’unica cosa asciutta che le fosse rimasta dopo il bagno nel fango di quella mattina. Katlin si alzò, frugò nella propria borsa, ne trasse qualcosa che gettò nel liquido in ebollizione.
La luce della candela danzava sui suoi boccoli scuri, sottolineava le forme del suo corpo sotto la veste, rendendola terribilmente sensuale. Steven arrossì e guardò altrove, sorprendendosi della piega che i suoi pensieri stavano prendendo. Forse si trattava della febbre, ma non era mai stato così conscio della bellezza di una donna, né ne era mai stato tanto attratto.
«Ecco, è pronta.» disse infine Katlin, spezzando il silenzio. Lo scrutò, avvicinandosi, e sorrise. «Non vi siete addormentato di nuovo, vero?»
«No, sono…sono sveglio.» mormorò Steven. Lei annuì, posò la tazza fumante sul tavolo, poi lo aiutò a sedersi sul letto con i movimenti esperti di chi è abituato a trattare con i malati. «Siete anche una curatrice?» le chiese per mascherare la propria confusione.
«Sì, ma non in questa vita.- spiegò lei, con un breve sorriso- Mio fratello Raistlin è stato un abile curatore per molti anni, quando ancora era un apprendista. Ho imparato vivendo attraverso di lui.»
«Un curatore? Raistlin Majere?!» borbottò il Cavaliere. Katlin annuì, mettendogli la tazza in mano.
«Vi sorprende sapere che è capace anche di salvare? E come per tutte le cose, anche in questo è un professionista.- mormorò la maga- Ora zitto e bevete. Domattina dovreste essere sfebbrato.»
Steven azzardò un sorso, fece una smorfia, poi continuò a bere. Katlin annuì con un sorriso, approvando, poi il silenzio cadde tra loro. Steven osò alzare un paio di volte lo sguardo sul volto di lei. La vide pallida, distante, forse un po’ triste. Aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani. Probabilmente stava pensando al passato. Si era informato su di lei prima di partire, sapeva che aveva vissuto quasi tutta la sua vita nascosta nella mente dei due fratelli gemelli. Non si era mai soffermato prima a considerare una tale esistenza, ma di certo doveva averle arrecato molte sofferenze. E poi c’era quel mago, Dalamar…Dalla reazione di quella mattina, Steven aveva capito quanto ancora la sua figura fosse radicata nei pensieri di lei. Quando non sopportò più di vederla persa nei ricordi, abbassò la tazza.
«Lady Katlin, se vi è di disturbo tenermi compagnia, andate pure a dormire.- disse, rigido- Non desidero farvi passare la notte in bianco. Ora sto meglio, lo vedete da voi.»
«Oh, non c’è problema, ho già riposato nel pomeriggio.- replicò lei, scuotendosi- E poi, Lord Steven, vorrei approfittare di questa occasione per chiedervi scusa.»
«Scusa?!» ripeté Steven, sbalordito e perplesso. Lei annuì, fissandolo dritto negli occhi.
«Non mi scuso per l’accoglienza che vi ho rivolto a Solace, Cavaliere. La mia ira di quel momento era e rimane giustificata.- precisò, dura- Il mio comportamento successivo, invece, è solo indice del mio brutto carattere. Vi ho messo a disagio e ho ripagato ampiamente gli insulti involontari che avete rivolto a me e alla mia famiglia, senza contare che oggi mi avete salvata, quindi vi chiedo…»
«Io! Io vi chiedo perdono!» la interruppe Steven, afferrandole una mano. Katlin si zittì, perplessa. Steven posò la tazza e, vedendo che lei non si ritraeva, le prese anche l’altra mano. «Mia signora, ora che conosco meglio voi e la vostra famiglia, sono sempre più rammaricato di avervi in qualche modo offeso.- disse, gli occhi azzurri sprizzanti sincerità- Come Cavaliere e come uomo, io vi prego di accettare le mie scuse.»
Katlin lo fissò, senza parole. Il Cavaliere era sincero, tutto in lui comunicava desiderio di espiazione. Conosceva abbastanza quelli come lui per sapere che non mentiva. Le sue mani, tanto più grandi di quelle di lei, stringevano le sue dita con tenero rispetto. Si sentì suo malgrado toccata da quel dietro-front di Steven Sharphalberd e non poté fare a meno di sorridere.
«Siete una persona molto dolce, Lord Steven.- disse, stringendo a sua volta le mani di lui- Perdoniamoci a vicenda e procediamo con maggiore serenità. Vorrei che tutti i Cavalieri fossero come voi. Sareste piaciuto a Sturm.»
Steven arrossì, probabilmente per il piacere e l’orgoglio che quelle parole gli provocarono. Katlin si alzò, sempre sorridendo.
«E cercate di non farvi investire da un altro cavallo, d’ora in poi. Purtroppo…- il suo sorriso si fece amaro- purtroppo non mi è rimasta abbastanza magia nemmeno per evitare i postumi di una stupida caduta da cavallo.»
«Allora lasciate che sia io a proteggervi durante il viaggio, Lady Katlin!- la interruppe lui, stringendo più forte le sue mani- Lasciatemi questo onore. Vi prometto che non avrete bisogno della magia per evitare che vi accada del male. Sul mio onore, penserò io a voi.»
Katlin rimase senza parole per quell’offerta e suo malgrado arrossì. Era la prima volta che un uomo si offriva di proteggerla. Era sempre stata in mezzo al pericolo e tutti attorno a lei l’avevano sempre considerata forte e in grado di badare a se stessa. Anche Dalamar. Essere oggetto della protezione di uomo avrebbe dovuto farla sentire umiliata, offesa, ma c’era qualcosa di così innocente e buono in quegli occhi azzurri che la faccia le andò a fuoco e non riuscì a replicare.
***
Non appena Katlin ebbe mormorato una stentata buona notte al Cavaliere e fu uscita dalla stanza, Raistlin voltò le spalle alla pozza e si teletrasportò davanti alla porta della camera da letto del suo apprendista. Ne forzò la serratura con una sola parola magica pregna di fredda ira, poi entrò e si diresse verso il letto su cui Dalamar si stava riposando.
L’elfo oscuro si alzò a sedere di scatto, avvertendo il pericolo, e si trovò davanti il proprio Shalafi illuminato dalla luce del Bastone di Magius, gli occhi d’oro pieni di un sentimento talmente oscuro e maligno che Dalamar si ritrasse d’istinto, portando alla mente un incantesimo difensivo. Raistlin gli strappò di dosso le coltri e gli fece cenno di alzarsi.
«Preparati, Dalamar.- gli ordinò- Vai a prendere mia sorella.»
«Co…cosa?! Shalafi, che cosa…» balbettò l’elfo, intontito.
«Vai immediatamente a recuperare quell’idiota di mia sorella e portala qui!- ripeté Raistlin, facendolo sobbalzare- Vestiti. Quando sei pronto, vieni nel mio studio. Ti saprò dire dove recarti.» Ciò detto lasciò la camera del suo attonito apprendista e si teletrasportò nel suo studio, ove si sedette al buio, pieno d’ira.
L’arcimago fece una smorfia e strinse la mano sinistra a pugno, come per strangolare qualcuno. Quella notte Paladine aveva ficcato fin troppo il naso nei suoi affari.
Era il momento di riprendere in mano la situazione.

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Capitolo 11
*** 11 - Piano di riserva ***


Author’s note: In questo momento detesto vivacemente tutto il genere maschile, quindi…mi sfogherò su Dalamar! Katlin mi darebbe ragione. Raistlin reagisce alle interferenze nei suoi piani con la consueta decisione. Sarà sufficiente? Read and enjoy!

CAPITOLO 11

PIANO DI RISERVA

Pochi minuti dopo, Dalamar era davanti alla porta dello studio, da cui provenivano sporadici colpi di tosse, cercando di decidersi a bussare. Era ancora stranito per il brusco risveglio in piena notte ma dentro di lui avevano iniziato a montare rabbia e ansia. Rabbia, perché era stanco di essere coinvolto negli affari di una donna che stava cercando soltanto di rimuovere dalla sua vita in maniera radicale. Ansia, perché sapeva che avrebbe obbedito a qualsiasi ordine di Raistlin indipendentemente dalla propria volontà. Conosceva il freddo fuoco che aveva visto nelle pupille a clessidra del proprio Shalafi ed esso costituiva probabilmente il suo più grande terrore.
Avrebbe obbedito. Volente o nolente.
Trattenendo un sospiro più simile a un singulto, Dalamar bussò.
«Vieni, Dalamar.»
L’elfo oscuro aprì la porta. Ebbe la percezione di una tenebra totale prima che il fuoco si accendesse nel camino, illuminando lo studio, piuttosto freddo. Il suo Shalafi non si era curato di illuminare la stanza prima del suo arrivo, pessimo segno. Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al tavolo presso cui era seduto Raistlin. Le fiamme creavano un gioco di ombre sul suo viso, al momento dominato dalle sopracciglia aggrondate e dalle labbra strette in una linea quasi invisibile. Teneva un fazzoletto accanto alla bocca, con cui aveva evidentemente soffocato la tosse. La malattia tendeva ad aggredirlo con maggiore violenza quando era preda dell’ira.
«Shalafi…posso sapere cosa vi ha tanto contrariato, stanotte? Non dovevate incontrare Dama Crysania?» osò chiedere. Raistlin gli lanciò uno sguardo inquietante, poi chiuse le palpebre e sembrò costringersi a calmarsi.
«Siediti.- disse, con voce rauca- Le cose per noi si stanno complicando, in parte in maniera inaspettata.»
Dalamar prese posto, perplesso.
«Katlin? Vi sono state date notizie preoccupanti?» chiese, di malavoglia.
«Non proprio. I fatti sono più complessi.- rispose Raistlin, tagliente- Stanotte non ho visto Crysania, in quanto la Reverenda Figlia è infine stata scoperta.»
«Scoperta?- mormorò Dalamar, corrugando la fronte, poi capì- I chierici hanno notato i suoi…ehm…movimenti notturni?»
Raistlin annuì, sollevando appena un sopracciglio.
«Esattamente. Ci aspettavamo che accadesse, prima o poi, ma da quello che ho potuto intuire dall’interrogatorio cui Crysania è stata fatta oggetto, il suo segretario sospettava che io e lei ci incontrassimo clandestinamente da molto tempo. Stava solo aspettando l’occasione giusta per coglierla in flagrante.» rispose.
«Avete assistito alla scena tramite la Camera della Visione, immagino.» intuì l’elfo oscuro. Non era sorpreso che lo Shalafi fosse così furibondo. Non era un buon momento perché Crysania lasciasse la Chiesa di Paladine, soprattutto nel disonore. Raistlin annuì di nuovo.
«Crysania verrà sottoposta al giudizio della sua…gente.- sputò la parola con palese disprezzo- Con tutta probabilità verrà cacciata. Quel suo segretario mira in alto e cercherà di candidarsi per prendere il suo posto. Più probabilmente, passeranno settimane, se non mesi, in cui l’instabilità e gli intrighi la faranno da padroni.»
«Un brutto momento perché questo accada.» mormorò Dalamar.
«Pessimo. Volevo che Crysania fosse libera, ma non così. La sua immagine deve restare, se non intatta, quantomeno abbastanza pulita da garantirle una forte influenza sui potenti del mondo anche quando si sarà ritirata a vita privata. Un processo la distruggerà.»
«Senza contare che i sicari della Regina Oscura andranno a nozze con la mancanza di protezione in cui si troverà a breve Dama Crysania.» rifletté l’elfo oscuro ad alta voce. Raistlin lo fulminò con un’occhiata, poi tossì forte nel fazzoletto e dovette trascorrere qualche minuto prima che fosse in grado di parlare ancora.
«Lei non ha bisogno di altra protezione che la mia e quella non le manca.- disse, aspro, con voce rotta- Ho necessità che il suo potere rimanga intatto. Lasciare il proprio posto le costerà qualche lacrima e un po’ di rimpianti, ma li supererà.» Tagliò l’aria con un gesto secco, severo con la donna che amava come sarebbe stato con se stesso. «Crysania mi serve potente. Mi serve integra agli occhi del mondo, se non per la sua relazione con me. Anzi, ancora più grande per questo. La vedranno come l’estrema prova del suo buon cuore.- sogghignò, amaro, pieno di disprezzo per la stupidità del mondo- Devono continuare ad amarla. Il vecchio Fizban l’ha benedetta, ma non si metterà a fare bei discorsi in prima persona a quelle pecore dei suoi fedeli. Bisogna pilotare il giudizio dei chierici.»
«Avete già un piano in mente?» chiese Dalamar, suo malgrado ammirato dall’analisi tagliente del suo Shalafi. Non si poteva dire che gli mancasse una visione chiara della situazione!
«Qualche idea ancora informe. Presto saprò come muovermi.- disse Raistlin, poi lo guardò dritto in faccia con i suoi occhi inquietanti- Nel frattempo, tu mi libererai dalla seconda seccatura della serata.»
«Varrebbe a dire?»
«Varrebbe a dire che stai diventando un esperto in sogni premonitori, mio caro apprendista, a meno che non sia la Regina Oscura a mandarti queste visioni.- disse Raistlin, con voce improvvisamente insinuante, appoggiando la testa alla mano sinistra in una posa di divertito sarcasmo- Anche se, a dirla tutta, credo che la novità farebbe piacere alla nostra Signora, in quanto indebolirebbe Katlin in maniera sensibile.»
Dalamar ricambiò lo sguardo, smarrito per quel cambio di atteggiamento.
«Sogni premonitori? Cosa…» D’improvviso, ricordò. Non ne aveva forse parlato al suo Shalafi la sera prima, seppure romanzando le circostanze? L’uomo in armatura che lo minacciava con la sua spada lucente mentre portava Katlin lontano da lui…Dal contorto sorriso che comparve sulle labbra di Raistlin, Dalamar seppe di aver centrato il punto.
«Prima di lasciare la Camera della Visione, ho voluto sincerarmi che i tuoi dubbi fossero solo il prodotto di un errato istinto. A quanto pare, non è così.- disse Raistlin- Paladine ci sta giocando un bello scherzo e io non ho intenzione di lasciargli fare i suoi comodi.»
L’arcimago osservò con studiata indifferenza il volto del proprio apprendista, che passava dal pallido al paonazzo in rapida successione. L’elfo oscuro era geloso marcio e questo andava a suo vantaggio. Non si sarebbe fatto pregare troppo per andare a prendere sua sorella. Magari le avrebbe fatto anche una scenata. Raistlin ormai sapeva che i litigi esplosivi potevano essere origine delle più inaspettate unioni e a questo punto era nei suoi interessi fare sì che Dalamar e Katlin tornassero insieme.
«Quel Cavaliere, Sharphalberd, si sta avvicinando a Katlin. Molto. Troppo. E lei non lo sta fermando.» aggiunse, piantando un altro seme nero nel cuore del suo apprendista.
«Come sarebbe a dire?» mormorò Dalamar, con voce che non riconobbe come sua. Decine di immagini sgradevoli gli riempirono la mente, la sua gelosia galoppante lo mise di fronte a tutto ciò che poteva essere già avvenuto fra la maga e il Cavaliere. L’elfo oscuro sentì una marea rossa salirgli dallo stomaco fino agli occhi, riempiendolo di un istinto omicida che lo spaventò. Lo sconvolse ancor di più rendersi conto di non essere in grado di contenersi davanti al proprio Shalafi, che beveva le sue reazioni con quegli occhi maledetti.
«Dopotutto, anche se è di una razza che le sta sullo stomaco, si tratta di un bell’uomo. Un giovane aitante, protettivo. Gentile con lei, molto. In grado di concederle quelle debolezze che si è sempre negata. Una tentazione su due gambe, se vogliamo metterla in celia.- analizzò Raistlin, crudele- Chissà, forse Katlin non ha ancora rinunciato all’idea di avere una vita normale, felice, e il Dio Paladine gliene vuole concedere l’occasione per sdebitarsi degli sforzi che la mia sfortunata sorella ha dovuto sostenere fino a questo momento. Ora è sola, priva della sua magia, confusa. Un uomo con quel Cavaliere la proteggerebbe per tutta la vita. Lui è disposto a farlo, si è già pronunciato in merito.»
Dalamar, impietrito, lo ascoltò, odiandolo per quello che gli stava dicendo. Non riusciva a capire quanto di vero c’era nelle parole del suo Shalafi, ma riteneva che la percentuale fosse dannatamente alta. In caso contrario, non sarebbe andato a svegliarlo in piena notte in un impeto di ira terribile. Il pericolo c’era, era evidente.
«Stanotte sono andati molto vicini a…» mormorò Raistlin, lanciando il suo ultimo affondo. Andò a segno. Dalamar si alzò in piedi di scatto, i pugni stretti per l’ira, le labbra aperte in un ringhio assassino. C’era ben poco di elfico in lui, in quel momento. Raistlin smise di giocare.
«Voglio che tu vada a prenderla subito. Caramon, con tutta evidenza, non è in grado di badare a lei e non ho intenzione di lasciare che il viaggio unisca quei due ancora di più. Il giovane Brightblade può arrangiarsi.- gli ordinò, secco- Bisogna estirpare questi sentimenti dal cuore di Katlin prima che attecchiscano. Portala qui, ci metteremo d’impegno per ridarle la magia e riprenderemo i nostri piani da dove si erano interrotti, che lei lo voglia o no. Non si gioca più. Non ne abbiamo il tempo.»
«Dove…la trovo, Shalafi?» quasi balbettò Dalamar. Non vedeva l’ora di fare conoscenza con quello Steven Sharphalberd. E di dirgli addio.
«Al momento è sulla strada per il nord, ma hanno deviato nel villaggio di Atony a causa di una tempesta improvvisa. Seguiranno comunque la strada. Arrivaci per via magica, farai prima.»
«Parto immediatamente, Shalafi.- disse Dalamar, cercando di riprendere il controllo di sé- Se Katlin scegliesse una vita senza magia, ci ritroveremmo tutti nei guai. Takhisis canterebbe vittoria. Avete ragione, non c’è tempo da perdere.»
Si voltò, dirigendosi verso la porta. La voce di Raistlin lo fermò.
«Non uccidere il Cavaliere.- lo gelò- Qualunque cosa accada, non ammazzarlo. Abbiamo già abbastanza problemi senza che ti si accusi di aver ucciso un Cavaliere di Solamnia. Teniamo con loro rapporti molto delicati.»
«Shalafi…»
«Senza contare che mia sorella ti odierebbe per tutto il resto della sua vita.» aggiunse Raistlin, facendogli cadere in cuore la tenebra del Boschetto di Shoikan. Dalamar fissò il proprio maestro, cercando disperatamente qualcosa da dire, poi annuì, sconfitto.
«Come desiderate, Shalafi.- disse, amaro- Ma se…se Sharphalberd non si arrendesse? O, peggio…» Deglutì a vuoto. «…se Katlin fosse veramente innamorata di lui e volesse vivere la sua vita di donna?»
Negli occhi di Raistlin balenò di nuovo quel fuoco che lo riempiva di terrore. L’arcimago fece un sorrisetto.
«In quel caso, Dalamar, a Steven Sharphalberd penserò io.»

***

«Lord. Lord, svegliatevi.»
La voce fece aprire gli occhi di Ariakan. Il giovane fece una smorfia nel vedere che era ancora notte, poi una candela venne accesa accanto a lui. Si alzò a sedere, seccato con l’intruso che aveva interrotto il suo sonno.
«Dovevi proprio venirmi a svegliare in piena notte?! Spero tu abbia un buon motivo.» ringhiò, passandosi una mano tra i folti capelli e lanciando un’occhiata fulminante all’uomo in abiti dimessi. Questi chinò il capo in segno di scuse. Ad un’occhiata distratta, lo smilzo e curvo soggetto in abiti dimessi che ora stava armeggiando con la candela poteva sembrare un qualsiasi servo della fortezza solamnica in cui il figlio del tanto temuto Ariakas era tenuto prigioniero, ma la maligna intelligenza nei suoi occhi scuri faceva presupporre che occupasse un gradino gerarchico piuttosto diverso.
Latan Ponkert era, in effetti, il capo delle Vesti Grigie che stavano architettando la sua fuga dalla prigione dei Cavalieri di Solamnia. Quegli sciocchi non sapevano che il servo addetto ai pasti era in realtà un mago rinnegato sotto mentite spoglie!
Per lungo tempo, Ariakas era stato tenuto all’oscuro dei grandi avvenimenti che avevano insanguinato Krynn. Conosceva l’identità di suo padre, sapeva che era stato ucciso da Tanis Mezzelfo in quanto nemmeno la rigida educazione dei Cavalieri poteva far tacere l’entusiasmo nel momento della vittoria. Era stato imprigionato a vita, convinti com’erano che, se libero, avrebbe seguito le orme di suo padre. Beh, non avevano tutti i torti.
Le forze al comando della Regina Oscura avevano preso contatto con lui da tempo, ormai, aspettando l’occasione giusta per farlo fuggire. Questa si sarebbe presentata presto, il momento dell’evasione si avvicinava, sollecitato anche dall’intenzione dei maghi della Torre di Wayreth di aggiungere alla sorveglianza armata anche quella magica.
Ariakas era ben informato. Di quando in quando, Latan usava la magia per raggiungere le sue stanze nelle ore notturne e metterlo a parte degli ultimi avvenimenti. I Cavalieri erano ignari del fatto che la loro stretta sorveglianza veniva beffata con tanta facilità dalle arti magiche che odiavano.
«Vi assicuro che le notizie saranno di vostro interesse, Lord.- disse Latan, con voce appena percettibile, ricordandogli di tenere la voce bassa- Si avvicina il momento in cui sarete libero.»
«Sarebbe anche ora.- borbottò il giovane- È cambiato qualcosa? Ci sono novità?»
«Ricordate che vi ho parlato del giovane Brightblade?» chiese il mago, sollevando un sopracciglio. Ad Ariakan non piacque la lieve ironia. Presto avrebbe fatto capire a quegli stupidi maghi che esigeva maggiore rispetto.
«Il figlio di Sturm Brightblade.» disse, laconico.
«E di Kitiara Ut Mathar.- aggiunse Latan, sollevando un dito con una certa pedanteria- Una pedina importante per i futuri piani della nostra Regina. Un valente guerriero che potrà esservi utile, Lord, se tornerà nelle nostre mani.»
«Sì, ricordo che ve lo siete lasciati sfuggire. Ve l’hanno rapito Tanis Mezzelfo e i fratelli Majere, o sbaglio?- fece Ariakan con sarcasmo, apprezzando la smorfia di dispetto che solcò per un attimo il volto del mago- Mi stai dicendo che l’avete riacciuffato? O devo credere che sia alla nostra porta a pregarci di intraprendere la Via Oscura?»
«Non è necessario fare del sarcasmo, Lord. Stiamo lavorando anche per voi.- disse il mago, aspro- La novità è che i Cavalieri lo hanno mandato a prendere. Presto ci cadrà tra le braccia.»
«Verrà qui?» chiese Ariakan, corrugando la fronte. Il mago annuì.
«Quando sarà tanto vicino a voi, attueremo la sua cattura…e la vostra fuga, finalmente. I nostri piani stanno tornando alla forma originaria.» sussurrò.
Il giovane uomo si alzò e andò alla finestra, cercando di contenere l’ansia e la gioia al pensiero della propria libertà. Guardò i Cavalieri di guardia, nel cortile sotto di lui, e riservò a tutti un pensiero di puro odio. Avrebbe voluto ucciderli uno per uno. Al contempo aveva imparato molto da loro, più di quanto sospettassero. Un giorno li avrebbe ripagati con la stessa moneta.
«Manca poco, dunque.- mormorò- E i Majere?»
«Nessuna nuova, purtroppo.» fu costretto ad ammettere il mago.
«Vanno uccisi.»
«Ne siamo consci, ma al momento Raistlin Majere è al sicuro nella sua Torre. Sua sorella è inerme, senza magia. Non può più farci danno, dopo la terribile esperienza cui la nostra Regina l’ha sottoposta.» riassunse Latan, non senza astio. A causa dei Majere, quasi tutti i maghi Grigi erano morti e la matrice del medaglione che Latan e pochi altri ancora indossavano era andata perduta, costringendoli a lambiccarsi il cervello per permettere al proprio ordine di sopravvivere.
«Un buon motivo per farla fuori con poco sforzo. Costringiamo Raistlin Majere a infuriarsi con noi. Di solito gli uomini commettono errori quando vengono loro toccati gli affetti.» disse Ariakan, tornando a voltarsi verso il mago. Il suo volto avvenente era gelido, terribile.
«Raistlin Majere non è un uomo come tutti gli altri, dovreste saperlo.» gli ricordò Latan.
«Se anche ci sbagliassero, avremmo pur sempre tolto di mezzo uno di quei dannati Majere.- tagliò corto il giovane, poi fece un sorriso tagliente- Dov’è lei ora?»
«A quanto ne sappiamo, scorta il giovane Brightblade.» borbottò il mago.
«E allora mandate dei sicari a farla fuori e rapite il ragazzino. Devo dirvi tutto?! Voi e la vostra flemma! Dopotutto non siete voi a subire la prigionia, logico che non abbiate problemi ad aspettare che arrivino a Palanthas.- sbottò Ariakan, e nei suoi occhi brillò un’eredità della terribile ira paterna- Date un colpo deciso a quei maledetti ficcanaso, Latan. Sono stufo di aspettare!»
Latan corrugò la fronte, con una smorfia, poi annuì.
«Come volete. Tenteremo un attacco discreto ma efficace.» disse, poco convinto. Fino a quel momento, tutti i loro attacchi si erano risolti in un’ulteriore perdita delle loro già scarse forze. Decise all’istante che non avrebbe mandato maghi: solo draconici. Quella vipera di Katlin Majere doveva essere protetta dagli attacchi magici grazie all’arte del fratello, altrimenti sarebbe stata pazza a mettersi in viaggio; era più sicuro usare le semplici e mortali armi dei sicari al loro servizio.
Ariakan annuì con approvazione, comprendendo che il mago stava già formulando un piano.
«Conto su di te, Latan.- disse- E la prossima volta che verrai a trovarmi, voglio che sia per farmi uscire da qui.»

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Capitolo 12
*** 12 - Futuro incerto ***


Author’s note: Siamo in una situazione che non esiterei a definire tesa: Crysania agli ‘arresti’, Raistlin incattivito, Dalamar in caccia di una Kat insidiata dal buon cuore di Steven, i cattivi in vena di pianificare omicidi. Come potrebbe andare peggio?!…potrebbe…

CAPITOLO 12

FUTURO INCERTO

«Katlin, sei sveglia?» chiese Caramon, bussando piano alla porta della camera di sua sorella. Nessuno gli rispose.
«Credo che dorma ancora, Caramon.» disse Tasslehoff.
«Ma come sei perspicace, Tas.» brontolò il guerriero, infilando la chiave nella toppa. Katlin, non potendo più proteggersi con la magia, si chiudeva dentro a chiave ma chiedeva all’oste di turno di affidare sempre una copia della chiave a suo fratello, in caso avesse dovuto fare irruzione per salvarla da qualche situazione sgradevole.
Fino a quel momento, le nottate erano passate nella più completa calma e, se non si teneva conto della notte in cui avevano vegliato a turno il Cavaliere ferito, non avevano perso un’ora di sonno. Caramon si andava tranquillizzando e Katlin anche, a quanto gli era dato di vedere. Aveva fatto pace con Steven e aveva ripreso a dormire come un sasso, recuperando la sua vecchia abitudine. Tika risparmiava quasi sempre sulla colazione di Kat, nei primi tempi della loro convivenza: la ragazza non lasciava il letto prima dell’ora di pranzo!
Aprì la porta, infilando la testa nella stanza in penombra.
«Kat! E’ ora di alzarsi!» disse, più forte. Dal letto venne un mugolio e niente più. Caramon sbuffò. «Certo che ha il sonno proprio pesante…»
Entrò, seguito a ruota da Tasslehoff, e si avvicinò al letto. Katlin dormiva su un fianco, rannicchiata in posizione fetale, con i capelli sparpagliati sul cuscino. Respirava dalla bocca socchiusa e sembrava una ragazzina di dodici anni. Caramon sorrise, intenerito, poi l’occhio gli cadde sull’oggetto che Katlin stringeva tra le mani e corrugò la fronte.
«Ecco perché fa fatica a svegliarsi.- borbottò- Passa le notti su quella dannata pietra.»
Nella mano di Katlin, la pietra rossa in cui si era solidificata la sua magia riposava inerte…o quasi. Caramon riusciva a vedere all’interno, proprio in fondo, un lucore rosso, come una goccia di sangue brillante. Il paragone lo indispose. Sangue di Katlin: cos’altro era se non quello? Takhisis l’aveva quasi uccisa, mentre cercava di distruggere la pietra oscura che dava potere ai Maghi Grigi. Quella gemma sanguigna era la parte di vita che la Regina Oscura era riuscita a strapparle prima che la povera Kyaralhana si mettesse in mezzo, spezzando l’incantesimo mortale.
«Si sta impegnando molto, vero Caramon?- chiese Tasslehoff, a sua volta pensieroso- Continua a mormorare quell’incantesimo che le ha preparato Raistlin anche se sa che non funziona.»
«Non funziona perché lei è senza magia, ma con l’assistenza di Raist funzionerà.- borbottò Caramon, che non aveva capito molto bene quella parte della faccenda- Cerca di prepararsi per non perdere altro tempo una volta arrivati a Palanthas.»
«Ma tu credi che ce la farà? A riavere la sua magia, voglio dire.» continuò il kender. Caramon scrollò le spalle, senza accorgersi della serietà di Tasslehoff, dei suoi occhi che per la prima volta scrutavano con attenzione la pietra rossa che era costata la vita alla sua amica kender.
«Cosa ne posso sapere io?- sospirò il guerriero- So solo che Kat non si fermerà finché non riavrà la sua magia…e se anche volesse arrendersi, Raist non glielo permetterà.» Sospirò ancora e la sua mano scese ad accarezzare i capelli della sorella addormentata. «Vorrei tanto che potesse avere una vita normale, sai Tas? Una vita da donna, una famiglia, dei figli, una felicità semplice che la togliesse dai guai.- mormorò- Se lo dicessi a Raistlin, mi prenderei una lavata di testa. Lui ha troppi progetti su Kat. Ma io…mi piacerebbe che rinunciasse alla magia e pensasse a trovare un uomo da amare. Un uomo normale. Steven, per esempio…» Si animò. «A Steven, Kat piace, te ne sei accorto? È un bravo ragazzo, belloccio, potrebbe anche…»
«Flint…» mormorò Tasslehoff, concentrato, strappando Caramon alle sue fantasie. Scrutò il kender con sorpresa, non comprendendo perché avesse nominato il loro vecchio amico nano. Tas si accorse della sua attenzione e si riscosse, a sua volta un po’ stupito di sé. Guardando dentro la pietra rossa, era rimasto quasi ipnotizzato!
«No, è che…non ti sembra familiare? Voglio dire…questa gemma.» disse.
«Certo, è la pietra di Kat.» disse Caramon, senza capire.
«Ma no, nel senso di prima! Di averla vista prima! Tu non hai questa sensazione?- insistette Tasslehoff, a sua volta un po’ confuso- Non so perché, non ci avevo mai fatto caso, ma guardandola adesso…mi ricorda qualcosa.»
«Qualcosa che hai visto a casa di Flint?» chiese Caramon, perplesso. Tasslehoff lo guardò come se avesse qualcosa sulla punta della lingua, poi sembrò rinunciare. Sospirò e scrollo le piccole spalle.
«Non lo so. Forse.» borbottò.
«Io invece so per certo che parlare accanto al letto di una persona che dorme è una brutta abitudine.- borbottò Katlin, spostando la mano di Caramon dalla propria testa- Ma che ore sono?»
«Tardissimo. Almeno le dieci.- rise Caramon, facendole spazio perché scendesse dal letto- Coraggio, preparati. Andiamo a comprarti un cavallo.»
«Giusto. Datemi qualche minuto.» rispose lei, sbadigliando e riponendo la pietra rossa. Caramon sospinse Tasslehoff fuori dalla stanza e il kender non protestò. Ancora per qualche minuto continuò a rimuginare sul ricordo a metà che si era, per un attimo, affacciato alla sua mente. Quando Katlin li raggiunse per uscire, però, dimenticò tutto. Li aspettava un giro al mercato e le cose interessanti che avrebbe visto occuparono tutta la sua attenzione di kender.

***

La giornata sembrava aver raccolto in sé le migliori caratteristiche di quella fine primavera: sole splendente, cielo limpido, una piacevole brezza settentrionale che impediva di soffrire troppo il caldo. Tutta un’altra cosa rispetto alla tempesta di due giorni prima, un clima perfetto per mettersi in viaggio o per girare attraverso le bancarelle di un mercato. Tasslehoff trovava che fosse un dono del cielo il fatto di poter fare entrambe le cose, sfruttando appieno la giornata.
«Un bel mercato! Davvero carino, per essere una città tanto piccola.- osservò, camminando accanto a Steel- Avresti mai detto che poteva essere un luogo di mercato, guardandola da fuori? Io non l’avrei detto! Ma Caramon lo sapeva, e anche Kat, quindi immagino siano già passati di qui…o forse ci sono passati i gemelli e Kat ha visto attraverso gli occhi di Raistlin! Già, può essere andata così.»
«Non dirlo, Tas, per favore. Pensare a queste cose mi turba molto.» disse Steel. Anch’egli era di umore sereno e non voleva rovinarsi la giornata pensando allo zio arcimago che aveva visto solo di sfuggita e con cui sperava di non avere mai niente a che fare.
«Sì, ti capisco, è una cosa difficile da pensare.- annuì Tasslehoff, atteggiando il piccolo volto ad un’espressione seria mentre la sua mano passava invisibile sul bordo di una bancarella, facendo sparire un bracciale di perle di vetro e una spilla in argento- Kat è qui solo da un paio d’anni, ma è come se avesse sempre vissuto con noi, non so se mi spiego. A volte è difficile farci i conti.»
«La cosa che mi solleva è che ora la zia Katlin sembra più serena. Dal giorno della tempesta non ha più litigato né con il Cavaliere né con zio Caramon.» disse Steel, voltandosi indietro per osservare il trio, fermo a una bancarella a contrattare il prezzo di una sella. La fuga dei cavalli era stata un guaio, il destriero di Katlin si era involato dopo aver lasciato nel fango le bisacce e non c’era stato verso di trovarlo. Quel giorno l’avevano sostituito con un pezzato che ora Caramon portava al morso, ma mancavano i finimenti.
«È vero, l’ho notato anche io. Forse il fatto che Steven l’abbia salvata le ha fatto cambiare idea su di lui.- disse Tasslehoff, pensieroso, poi sorrise- Comunque, sono contento. Kat è tanto buona e le piacciono molto le persone altruiste e sincere. Sono sicuro che d’ora in avanti andranno d’accordo, così potremo divertirci molto di più.»
«Credo che la zia sia in pena per il mio desiderio di diventare Cavaliere.» mormorò Steel, corrugando la fronte. Il kender lo guardò, avvertendo una fitta nel piccolo cuore notando quanto il ragazzo fosse simile a Sturm nei suoi tanti, troppi momenti cupi. Gli batté una mano sulla schiena.
«Io non credo che sia per questo. È solo molto preoccupata per te, vuole che tu stia bene e sia felice. Non so bene cosa ha visto nel tuo futuro, ma sicuramente si sta mettendo d’impegno per fare in modo che nessuno ti faccia del male.- lo consolò- Credo che sarebbe orgogliosa di vederti con l’armatura dei Cavalieri di Solamnia e tutto il resto! Dopotutto, Caramon è sempre stato amico di Sturm e quindi anche a Katlin doveva piacere, anche se invece Raistlin…» Tasslehoff si tappò la bocca con entrambe le mani per evitare di rinvangare il passato e dire qualche sciocchezza che potesse ferire il ragazzo. «Beh, insomma, secondo me a Kat non fa dispiacere se vai a Palanthas, è solo preoccupata perché gli scagnozzi della Regina Oscura ti cercano.- disse, frettoloso- Non vuole che ti rapiscano, o che so io.»
«In effetti, avevo il timore che ci attaccassero lungo la via, ma fino ad ora non è successo niente.» disse Steel, in parte sollevato ma anche parzialmente deluso. Dentro di lui c’era qualcosa che chiedeva di entrare in azione al più presto.
«Perché dovrebbero attaccarci?- chiese Tasslehoff, sgranocchiando una mela comparsa dal nulla- Loro ti vogliono a Solamnia, vicino al figlio di Ariakas! Stai andando proprio dove loro ti aspettano!»
Steel spalancò gli occhi, rendendosi conto per la prima volta di una cosa tanto ovvia. Ecco perché sua zia lo voleva lontano dalla sede dei Cavalieri di Solamnia!
«E poi, una volta là, lei non potrà stare sempre con te per proteggerti. Deve recuperare la sua magia, ricordi?» aggiunse Tasslehoff. Steel annuì, il buonumore ormai definitivamente scomparso. Fece per parlare quando Tas cacciò uno strillo acuto. Il mercante di frutta aveva acchiappato il kender per il codino e lo teneva ben fermo.
«Dove credi di andare, ladro?! Quella mela che stai mangiando non l’hai ancora pagata!» ringhiò l’uomo.
«La…ladro?!» boccheggiò Tasslehoff, paonazzo. Non c’era niente di peggio, per lui, che sentirsi apostrofare con quella parola.
«Signore, vi prego, non adiratevi con il mio amico…» disse Steel, cercando di placare gli animi.
«E tu chi sei, moccioso? Un amico di questo manolesta?»
«Manolesta?!» ansimò Tasslehoff, furibondo. Steel mise una mano in tasca, cercando una moneta.
«Se si tratta di pagare la mela, non c’è problema.- disse, senza perdere in calma e compostezza- Ecco, lasciate che sia io a rifondervi del danno.»
«Ladro a me?! Che offesa! Come ti permetti?!- iniziò a strillare Tasslehoff, tirando un calcio agli stinchi del mercante, che gridò di dolore e lasciò andare il suo codino- Chi ti dice che questa mela è tua? C’è forse un marchio? Sei padrone di tutte le mele del mercato? Di tutte le mele di Abanasinia?! Di tutte le mele di KRYNN?!»
«Tas…» cercò di fermarlo Steel, vedendo che la gente si era fermata ad osservare la scena con curiosità e che il mercante sembrava aver voglia di rompere qualche osso al kender.
«Forse, vista la rotondità della tua faccia e le tue guance rosse come i frutti che vendi…ma questo è dovuto ai troppi brindisi all’osteria, vero?…pensi di essere il Signore delle Mele?! L’Imperatore delle Mele, signori e signore!» continuò imperterrito Tasslehoff, facendo ridere la folla.
«Tas!»
«Io lo ammazzo!» annunciò il mercante.
«Che cosa sta succedendo qui?» chiese una voce forte. Caramon si fece largo e giunse sulla scena del litigio, accompagnato dal Cavaliere e da Katlin, che portava il proprio cavallo al morso. Il guerriero si frappose fra Tasslehoff e il mercante, mentre la maga fece cenno a Steel di avvicinarsi a lei. Non le piaceva che fosse attorniato da tutta quella gente.
«Quel maledetto kender mi ha rubato una mela! E poi mi ha insultato!» sbottò il mercante, più calmo trovandosi davanti a un uomo della stazza di Caramon.
«Io non sono un ladro!» strillò Tasslehoff, indignato. Caramon gli mise una mano sulla bocca, zittendolo e soffocandolo a un tempo.
«Tutto questo trambusto per una mela?- chiese, molto calmo- Via, siate clemente. Ecco, per rimediare prendo altre quattro mele dal vostro banco.» Estrasse qualche soldo dal portamonete e sorrise al mercante. «Così è tutto a posto, che ne dite?»
L’uomo brontolò qualcosa, poi si arrese e accettò lo scambio. La folla si disperse, perdendo interesse. Caramon prese le mele, poi si caricò Tasslehoff, ancora offeso, sotto il braccio.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» propose agli altri.
«Sì, ho fame.- disse Katlin, divertita nel guardare le espressioni confuse di Steven e Steel, turbati da quanto era appena avvenuto- Togliamoci dal mercato, prima di scatenare qualche rissa.»
«Ma…il kender ha davvero rubato una mela oppure no?» chiese Steven dopo qualche attimo, a bassa voce.
«Certo! Ma non se ne è accorto.» rispose Katlin. Ridacchiò nel vedere lo stupore e la disapprovazione negli occhi del Cavaliere. «Tas è un kender, la sua Razza è cleptomane per natura. Non si accorgono di mettere in borsa tutto quello che capita loro sottomano più di quanto una persona normale non passerebbe il tempo a contare i propri respiri.- spiegò, poi le venne da ridere- Quanto tempo che non vedevo una scena come questa! Che nostalgia!»
Rise ancora, sinceramente divertita, tanto che anche Caramon e Tas si voltarono verso di lei.
«Che c’è, Kat? Qualcosa di divertente?» chiese il kender, sorridendo, ormai dimentico della baruffa.
«Sì, tu!- disse lei, abbassandosi a baciarlo sulla fronte, facendolo avvampare- Tu sei il mio divertimento preferito!»
«Che bello vederla così.- mormorò Steel, non conscio di parlare ad alta voce- Avrei voluto che fosse lei, mia madre.»
«Davvero, giovane Brightblade?» chiese Steven. Il ragazzo parve pentirsi di essersi lasciato andare, poi annuì rigidamente. «Ti capisco. È una persona d’onore, anche se è una maga.- disse il Cavaliere, sorprendendolo- Chiederò che le sia concesso di restarti accanto, non temere.»
«Vi ringrazio, Lord Steven. Siete gentile.- disse il giovane, accettando la cortesia con un cenno formale del capo- Purtroppo mia zia non potrà stare sempre al mio fianco, ma mi sarà di sollievo poterla vedere quando ve ne sarà l’occasione.»
«Perché non dovresti vederla spesso, giovane Brightblade?» chiese Steven, perplesso. Steel strinse le labbra.
«Come Tasslehoff mi ha ricordato, la vita di mia zia è tesa verso grandi obiettivi. Presto tornerà a vivere sotto l’aura della Torre di Palanthas. Non appena riavrà la magia, la perderò.» rispose, teso.
«Perché dovrebbe tornare a una vita che con tutta evidenza l’ha fatta soffrire?- chiese Steven, corrugando la fronte- Dovrebbe cercare di essere felice, non di gettarsi nuovamente nell’oscurità!-»
«Forse, se qualcuno le offrisse qualcosa di diverso potrebbe cambiare idea.- mormorò Steel, guardando il Cavaliere di sottecchi, poi arrossì- Ma questo è solo un mio desiderio egoista.»
Ciò detto corse a raggiungere la propria famiglia, lasciandosi alle spalle un Cavaliere di Solamnia alquanto pensieroso.

***

«Come ti sei fatto quella cicatrice?» chiese Katlin.
«Questa?» chiese Steven, sorpreso dalla domanda, sfiorandosi il sopracciglio spaccato a metà.
«Non sei costretto a rispondere, se non lo desideri.» aggiunse la giovane donna. Si trovava ancora al tavolo ove avevano consumato il pranzo e stava finendo l’ultimo bicchiere di vino. Il Cavaliere le aveva fatto compagnia, mentre gli altri si erano allontanati per recuperare i bagagli. Sarebbero partiti di lì a poco e finalmente Kat avrebbe potuto cavalcare senza pesare sul retro della sella di Caramon.
Da quando Steven era rimasto ferito e si erano rappacificati, Katlin aveva scoperto che il Cavaliere era un piacevole compagno di conversazione. Avevano discusso della situazione corrente su Krynn, degli interessi comuni e del futuro di Steel. A Katlin non era sfuggito quanto ciò facesse piacere a Caramon, ma era stanca di dar peso alla cosa e si era goduta qualche ora serena e, per una volta, senza pensieri.
Ora aveva voluto evitare che tra loro cadesse il silenzio, ma forse la domanda era troppo personale. Steven la tranquillizzò con un sorriso.
«Non ho alcun problema a farlo.- disse infatti- Me la sono procurata in battaglia, durante l’attacco di Lord Soth alla città di Palanthas.»
«Eri là?» chiese Katlin, spalancando un po’ gli occhi blu. Questo la fece sembrare molto giovane e il sorriso del Cavaliere divenne dolce.
«Ho avuto l’onore di essere tra i combattenti di quel giorno, sì.» disse. Katlin annuì, pensierosa. Vedendola incupirsi, Steven le sfiorò una mano, ritirandosi subito dopo aver ottenuto la sua attenzione. «Sono io ad averti detto qualcosa di sgradevole, temo.» si scusò.
«No, non è così. È che…quello è un giorno tra i più vividi e terribili della mia vita. Non amo ricordarlo.» disse, finendo poi il vino con una sola, frettolosa sorsata. Si alzò in piedi. «Andiamo a prendere i bagagli?»
Steven annuì, dispiaciuto, e la seguì sulle scale.
«Eri là anche tu? Intendo dire…a Palanthas, quel giorno?» chiese, permettendosi di insistere.
«In tutte le mie forme, tranne quella corporea.- disse lei, e il Cavaliere la vide scrollare le spalle come per un brivido trattenuto- D’altro canto, è a causa dei fatti di quel giorno se ora sono qui. Il Portale e tutto il resto.»
«Capisco.» mormorò Steven. Davanti alla porta di lei, lui parlò di nuovo. Nessuno dei due si accorse di quanto fosse strano che né Caramon, né Tas oppure Steel fossero in corridoio, pronti per partire. «Katlin…oggi Steel diceva che una volta a Palanthas riacquisterai la tua magia.»
«È così.- rispose Katlin, un po’ stupita che un Cavaliere di Solamnia parlasse volontariamente di magia- Io e mio fratello Raistlin stiamo mettendo a punto un incantesimo che mi restituirà ciò che è mio.»
«Lui teme che ti perderà.» la informò, a bruciapelo. Katlin impallidì un po’ ma annuì.
«Anche su questo punto, Steel dice la verità. Non credevo ne fosse così conscio.» mormorò.
«Ma…per quale motivo? Tu ami quel ragazzo, sei una figura importante per il giovane Brightblade!- insistette lui, gli occhi azzurri pieni di sentimento- Non posso credere che separartene non ti porterà dolore.»
«Me ne porterà.- ammise Katlin, cupa- Steven, tu sai che la Regina Oscura vuole la mia vita. Ho bisogno della mia magia per sconfiggerla. E poi…» Sorrise, mesta. «Tu riusciresti a vivere senza la tua spada e l’armatura di tuo padre?» chiese. Steven si irrigidì.
«Non è la stessa cosa.» disse. Katlin fece un gesto vago e mise una mano sulla maniglia della porta.
«Per voi Cavalieri è difficile capire.- disse, con stanchezza ma senza astio, poi gli indirizzò un ultimo sorriso- Comunque sei gentile a preoccuparti per Steel, Steven. Lo apprezzo molto.»
Steven agì prima di pensare. Posò la sua mano su quella di Katlin, impedendole di aprire la porta. La maga lo fissò in volto, perplessa, e rimase colpita dall’intensità del suo sguardo. Per la prima volta si accorse che Steven era un uomo avvenente, il cui fisico poteva sopraffarla in qualunque momento. Arrossì un po’ e si irrigidì, ma lui non fece cenno di volersi avvicinare ancora.
«Non potresti ripensarci?- sussurrò invece- Non potresti…vivere una vita normale? Accontentarti di essere la donna bella, colta e coraggiosa che mi sta davanti in questo momento?»
«Steven…» disse Katlin, comprendendo finalmente che senza sapere come era entrata nel cuore del Cavaliere. Averlo realizzato la imbarazzò e al contempo fece tremare qualcosa dentro di lei.
«Pensaci. Ti chiedo solo questo.- disse ancora lui, senza mai lasciarla andare con lo sguardo- Forse, per recuperare una cosa rischi di perderne molte altre che ti renderebbero felice.» Fece un passo indietro, lasciando andare la sua mano. «E ora ti lascio ai tuoi preparativi. Ti chiedo scusa se ti ho messa a disagio.» finì, rigido, inchinandosi formalmente e dirigendosi verso la propria stanza, nella quale entrò senza più voltarsi.
Piuttosto sconvolta e confusa, Katlin entrò in camera e si fermò al centro di essa, le mani sui fianchi. Steven provava qualcosa per lei? Quello poteva essere un bel guaio. Allora perché le aveva fatto piacere? Solo perché il Cavaliere era un bell’uomo? Solo perché si sentiva sola?
Scosse il capo. Le parole di Steven avevano toccato desideri ormai lasciati alle spalle, speranze perdute dietro troppi orrori per poterli contare. Una vita normale…una felicità di donna…
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti quando una mano le chiuse la bocca con forza e un braccio passò entro i suoi gomiti per serrarle le braccia dietro la schiena. Cercò di piegarsi in avanti per sfuggire all’attacco, ma un corpo le si premette contro, facendola inarcare all’indietro.
“Mi hanno trovata. I messi della Regina mi hanno trovata.” pensò, febbrile, incapace di difendersi. Una bocca le si accostò all’orecchio.
«Quel Cavaliere parla troppo.» sussurrò la voce, un fiato maligno e rovente. Il sangue di Katlin si congelò nelle vene. Conosceva quella voce. Conosceva il fruscio di quelle vesti, la forma di quel corpo tanto vicino.
Non era stata presa di mira dagli scagnozzi di Takhisis. L’uomo nella sua stanza era Dalamar.

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Capitolo 13
*** 13 - Ti odio con tutto il cuore ***


Author’s note: Vendetta, tremenda vendetta! A Dalamar non è piaciuto il corteggiamento di Steven e ha tutta l’intenzione di far vedere a Katlin i sorci verdi. Qualcuno gli dica che se si prova gelosia per la donna che si crede di odiare, significa che la si ama ancora…Read and enjoy!

CAPITOLO 13

TI ODIO CON TUTTO IL CUORE

Avrebbe voluto reagire allo spavento che le aveva fatto prendere, a quella vicinanza violenta che le era stata imposta dopo tanti mesi di lontananza e silenzio, all’accusa che era perfettamente discernibile nelle sue parole, ma non poté. Le forze sembravano averla abbandonata di colpo, lasciandole appena la possibilità di stare in piedi. Si sentiva di ghiaccio e di fuoco, le lacrime le pungevano gli occhi, le bruciava la gola. Dei, quanto le era mancato! Quanto potere aveva ancora su di lei!
Dalamar approfittò del suo smarrimento: si stava divertendo troppo per smettere di umiliarla e, per quanto quell’agguato fosse nato sul momento dopo aver sentito la disgustosa proposta del Cavaliere, la sensazione del corpo di lei contro il proprio gli stava facendo perdere il senno.
Voleva vederla spaventata, alla sua mercé. Lei era più debole di lui e non aveva nulla che la potesse proteggere, non in quel momento. Lo Shalafi era lontano e lui non si sarebbe spinto così oltre da meritare una punizione…forse. Il pensiero lo esaltò. Gettò Katlin sul letto e ve la inchiodò con il proprio peso, serrandole i polsi sopra la testa. Katlin ebbe appena il tempo di esclamare: «Lasciami and…» che l’elfo oscuro provvide a tapparle nuovamente la bocca.
La fissò negli occhi che ora, potendolo guardare in faccia, si stavano riempiendo di comprensione e furore, tanto che le sue iridi stavano diventando scure come la pece.
«Ti stai comportando in maniera discutibile, Katlin. Lo sai, questo? Tuo fratello è molto adirato con te.- la stuzzicò, sarcastico, soffocando il suo tentativo di alzarsi facendo più pressione sul suo corpo- Non pensavo fossi come tua sorella Kitiara, pronta a civettare con qualsiasi uomo. Credevo che lo Shalafi si preoccupasse troppo, ma a quanto pare aveva ragione.»
Il volto di Katlin, appena sopra la sua mano, divenne di una sfumatura di rosso allarmante. Dalamar non seppe giudicare se si trattava di rabbia o di vergogna.
«Vuoi negare? Ho sentito cosa ti ha detto quel Cavaliere.» sputò il titolo come fosse un insulto. «Lo Shalafi ne sarà molto contrariato.»
Le labbra di Katlin si mossero sotto il suo palmo. Lei era davvero furibonda, ma Dalamar fu sicuro di vedere qualcosa in fondo ai suoi occhi…un desiderio, un rimpianto. Storse le labbra in una smorfia. Lei era stata toccata dalle parole di quell’uomo?! Davvero si stava innamorando del Cavaliere di Solamnia?!
«Gliel’hai detto? Sa già che siamo stati amanti? Non lo disgusta avere la donna che fu di una Veste Nera?» le disse, la voce roca di rabbia, avvicinando la bocca al suo orecchio. Se Katlin avesse avuto la sua magia, forse Dalamar si sarebbe fermato, ma al momento non la temeva. Anzi, forse per la prima volta sentiva di poterle infliggere tutte le torture che voleva. Inoltre tenerla così, stretta a lui, lo riempiva di un desiderio di averla tanto forte da fargli male.
“Non la lascerò a nessuno.- giurò a se stesso, pazzo di desiderio- Lei è solo mia!”
«Gli hai detto che ti sei data a me e poi mi hai tradito?- continuò, ormai nemmeno conscio di quello che diceva- Sa di che donna infida e crudele si è innamorato? Quasi mi fa pena. L’hai ingannato per bene, non c’è che dire. Dopotutto anche io sono stato tanto idiota da credere a questi tuoi occhi innocen…»
Una ginocchiata al basso ventre troncò la sua frase a metà, spedendogli una saetta di dolore nelle viscere. Si accasciò su Katlin, perdendo la forza, e lei si liberò spingendolo contro la parete e rotolando a terra.
«Vipera…» sibilò Dalamar, prima che un sacchetto pieno di monete – un sacchetto pesante- lo colpisse al petto, proprio sopra le sue ferite eterne, strappandogli un grido di dolore. Fu solo il primo proiettile. In un secondo divenne il bersaglio di ogni oggetto contundente disponibile.
«Bastardo! Maledetto!- gridò Katlin, che tremava di rabbia, mentre correva per la stanza e si fermava giusto il tempo necessario a caricare il braccio per il tiro- Mi hai spaventata! Mi hai fatta morire di paura, deficiente! Pensavo fosse uno scagnozzo della Regina e invece eri solo tu in vena di crudeltà! Bastardo!»
«Katlin, smettila!» esclamò Dalamar, cercando di ripararsi, ma lei non ne voleva sapere. Riuscì a balbettare le parole di un incantesimo e si circondò di una barriera. Lei non smise di lanciargli contro di tutto. Anzi, passò alla mobilia pesante.
«Ti odio! Ti odio con tutto il cuore!» strillava, fuori di sé. Le scendevano le lacrime dagli occhi e nemmeno se ne accorgeva. La sua espressione terrorizzata e ferita fece sentire Dalamar un verme. Questo riattizzò il suo rancore verso di lei.
«Sono io che ti odio!» le rinfacciò.
«Io ti odio di più! Vieni fuori da lì, vigliacco, che ti ammazzo!!» gridò, sollevando uno sgabello e scaraventandolo contro la barriera magica.
In quel momento, la porta si aprì con gran fragore e il nome di Katlin venne invocato da quattro voci diverse. Caramon e Steven, che avevano sentito gridare la giovane donna e si erano precipitati in soccorso, subito seguiti da Tas e Steel, si fermarono di botto, sgomenti, nel vedere la scena improvvisamente immobile davanti ai loro occhi.
Un mago dalla veste nera era raggomitolato sul letto, avvolto da una barriera magica che emetteva una debole luminescenza azzurra, mentre Katlin teneva alto sopra la testa un comodino che aveva tutta l’aria di essere stata pronta a lanciare contro l’intruso. La stanza era un disastro di oggetti caduti o infranti.
«Dalamar?!» esclamò Caramon, riconoscendo il mago. L’elfo oscuro fece un cenno del capo, senza accennare ad abbassare la barriera. Il guerriero, ignaro dell’improvviso pallore di Steven al suo fianco, si voltò verso la sorella. «Cosa ci fa qui?» chiese. Quando vide il volto rigato di lacrime di Katlin strinse gli occhi in due fessure.
Katlin sospirò, poi lasciò cadere il mobile a terra con gran fracasso.
«Non lo so. E nemmeno lo voglio sapere.» mormorò, facendosi poi largo tra loro per uscire dalla stanza.
«Katlin!» la chiamò Steven, seguendola di corsa. Tasslehoff fece per seguirlo, preoccupato per l’amica, ma Caramon lo trattenne.
«Tas, vai con Steel in camera e aspettaci lì.» ordinò.
«Ma Caramon…» tentò di protestare il kender.
«Subito, Tas!»
Fu Steel ad obbedire, trascinandosi dietro un recalcitrante Tasslehoff. Dalamar sospirò e fece sparire la barriera, scendendo con una smorfia di dolore dal letto. I colpi di Katlin erano andati quasi tutti a segno. Caramon si avvicinò a lui e l’elfo oscuro lo guardò. Il guerriero aveva un’aria estremamente minacciosa.
«Cosa le hai fatto?» chiese, in un ruggito che era già una condanna.
«Sono venuto a prenderla.- sospirò Dalamar, stanco, deluso di sé e di pessimo umore- Lo Shalafi la vuole a Palanthas. Subito.»

***

Katlin riuscì a non correre fino a metà della scala, poi non resse più e le sue gambe decisero per lei, portandola ad attraversare la sala comune della locanda in poche, ampie falcate e ad allontanarsi lungo la strada a sinistra dell’edificio, una via in ombra lontana dal via vai di gente che faceva affari. Raggiunse la fine della via, svoltò a destra in una strada residenziale assolata, poi non seppe seguire la direzione dei propri passi. Gli occhi erano appannati dalle lacrime e correva come se avesse un demone alle calcagna.
Quando si fermò, con i polmoni in fiamme e le gambe martoriate dai crampi, attorno a lei c’erano solo orti deserti. La cittadina era alle sue spalle.
Katlin raggiunse il lato della via sterrata, si sedette contro il palo di uno spaventapasseri e si circondò le gambe con le braccia, affondando il volto nell’incavo così creato. Pianse, il fiato già rotto dalla corsa folle, finché cominciò a vedere macchie colorate dietro le palpebre e temette di essere sul punto di svenire.
L’incontro violento con Dalamar l’aveva sconvolta, portandola ad un parossismo d’ira e dolore che non aveva mai sperimentato in prima persona. Avrebbe voluto ucciderlo e al contempo si sarebbe gettata ai suoi piedi implorando di essere amata. La passione per l’elfo oscuro si era rivelata così profonda, così assoluta, da essere una cicatrice indelebile nel suo cuore.
“Non mi libererò mai del ricordo di lui?- si chiese, cercando almeno di smettere di piangere- Come si può amare così tanto e continuare a vivere senza la fonte di un tale sentimento?”
Le giunse all’orecchio il suono di passi di corsa, un forte tintinnare metallico. Steven l’aveva trovata. Katlin sperò che non si avvicinasse: al momento non era in grado di sostenere una conversazione, men che meno di essere consolata dalla persona che aveva scatenato quel litigio.
“Meschina.- si disse, amara- La colpa di tutto questo è mia. Soltanto mia.”
«Katlin…»
Sentì Steven inginocchiarsi accanto a lei, poi la sua mano le sfiorò il braccio.
«Sto bene. Davvero.- disse, atona, senza alzare la testa- Torna indietro, Steven. Tra poco…tornerò anche io.»
Lui non sembrò darsene per inteso.
«Ti ha fatto del male, Katlin?» le chiese, piano. La preoccupazione nella sua voce le fece venire di nuovo voglia di piangere.
“Steven, non sai che razza di donna sono. Non sai di che egoista credi di esserti innamorato. Sono pur sempre la sorella di Raistlin Majere, che gli Dei mi maledicano.” pensò, stringendo i denti.
«Ce ne siamo fatti entrambi. Ultimamente…» sospirò, poi si decise a sollevare la testa, pur senza guardare il Cavaliere di Solamnia. «Da un po’ di tempo a questa parte, sembra che non riusciamo a fare altro.» mormorò.
La mano di Steven passò sulla sua guancia, asciugando parte delle lacrime che le rigavano il volto. Il gesto fu gentile e Katlin sorrise appena, suo malgrado. Il viso di Steven sembrava scolpito nella pietra tanto era rigido, cupo.
«Katlin, tu lo ami?» le chiese, diretto. La giovane donna chiuse un attimo gli occhi, poi scrollò le spalle.
«Siamo stati amanti.- rispose, sincera- Per essere più precisa, ci siamo amati. Poi io l’ho lasciato. È stata una scelta dettata dalle circostanze, ma non cambia la realtà dei fatti.» Guardò Steven con un sorriso quasi di sfida. «Dalamar mi rendeva debole in un momento in cui dovevo essere forte. Così l’ho lasciato. Non solo: ho fatto in modo di umiliarlo, perché mi odiasse. Ci sono riuscita. Questo forse ti potrà chiarire chi è davvero Katlin Majere.»
«Se hai troncato la vostra relazione, devi aver avuto un valido motivo.- disse lui, corrugando la fronte- Non sei una persona crudele.»
«Ci sono molti modi di essere crudele. Raccontandoti queste cose lo sono con te, non è così?» chiese Katlin, facendolo impallidire. Lei sospirò e le linee del suo volto tornarono ad essere addolorate. Gli prese una mano e la strinse forte. «Non voglio fare del male anche a te, Steven. Non c’è speranza di una vita felice, normale…non per me.- mormorò- Ora risolverò la questione con Dalamar, sentirò cosa vuole da me e poi continueremo il viaggio verso Solamnia. Non farti turbare dall’oscurità che mi circonda. Non ne vale la pena.»
«L’oscurità ti circonda perché tu la ami.» disse Steven, pianissimo. Katlin strinse le labbra e gli scoccò un’occhiata micidiale, pensando si trattasse di una critica, ma il Cavaliere sembrava solo pensieroso.
«È vero. Forse non so vivere nella luce.» ammise, poi si alzò in piedi, spolverandosi i vestiti. Steven si alzò a sua volta, guardandola con i suoi occhi chiari.
«Ora ho capito. Ho capito perché sono stato mandato a Solace.» disse.
«Cosa?» chiese Katlin, perplessa.
«Non sono stato mandato per il giovane Brightblade. Paladine mi ha scelto per salvarti dalla tenebra che ti circonda.» disse Steven. Katlin spalancò gli occhi. Una simile affermazione sulla bocca di qualcun altro l’avrebbe fatta ridere: che presunzione! Detta da un Cavaliere di Solamnia, invece, la frase suonava terribilmente plausibile, definitiva.
«Cosa c’entra Paladine con me? Con te?» disse, ma si accorse dell’incertezza nella sua voce. La sua vita era sempre stata guidata da forze superiori che avevano cercato in ogni modo di toglierle la possibilità di scegliere la propria via. Che il Dio della Luce avesse deciso di ripagarla per i sacrifici fatti dandole la possibilità di ottenere la vita semplice e felice che aveva sempre sognato?
Non seppe se stupirsi ulteriormente quando Steven si chinò a sfiorarle le labbra con un bacio. Non si sottrasse. Avvertì dentro di sé un calore tiepido, un piacevole tepore, prima che il Cavaliere si facesse indietro.
«Katlin, io ti amo.- disse Steven, con parole serie e irrevocabili- Nemmeno io so come sia possibile che tu sia entrata così in profondità dentro di me. Conosco le differenze che ci separano e la scena di poco fa mi ha reso chiaro quanto l’apprendista di tuo fratello sia radicato nel tuo cuore.»
«Steven…» disse lei, con voce rauca. Quella era una trappola, una commovente trappola che l’avrebbe sottratta alla battaglia, alle sue ferite ancora aperte. Era inquietante quanta voglia provasse di gettarvisi ad occhi chiusi.
«So anche che hai bisogno della tua magia per sopravvivere agli attacchi della Regina delle Tenebre.- continuò lui- So che non potrò impedirti di tornare alla Torre di Palanthas per recuperare ciò che hai perso. Dico solo che, se me lo concederai, io combatterò con te.»
«Steven, non sai quanto è grave la situazione in cui ci troviamo.» disse Katlin, scuotendo la testa.
«Non ho bisogno di saperlo per prendere decisioni in merito. Conosco la guerra, so cosa significa. E tu puoi scegliere di combattere nella luce, invece che nella tenebra. Puoi avere accanto tuo fratello Caramon, il kender, Tanis Mezzelfo…e me.» Allungò una mano verso di lei. «Non sei costretta a stare al fianco di quell’elfo oscuro.»
Katlin corrugò la fronte e abbassò lo sguardo sui suoi piedi, poi si passò una mano sulla fronte.
«Sono confusa, Steven. Molto confusa.» Lo guardò. «Dammi tempo. Devo pensare e…e fare un po’ di chiarezza nel mio cuore.»
Steven annuì, accennando un lieve inchino formale.
«Non ho intenzione di forzarti in alcun modo. Sento però di aver agito nella maniera più corretta verso di te.» disse.
«Senza dubbio, e te ne ringrazio.- mormorò lei, con un sorriso triste- Farò in modo di essere altrettanto corretta, Steven. Questo, almeno, te lo prometto.»
Lui annuì con il capo. Non le chiese altre garanzie, non la forzò ad esprimere i suoi sentimenti per lui. Quasi Katlin se ne dispiacque. Tra Dalamar e Steven c’era un abisso, lo stesso che separava le sue personalità. Fare una scelta significava non poter più tornare indietro. Fu scossa da un brivido involontario.
«Torniamo. Dalamar avrà sicuramente qualcosa da dirmi e voglio che se ne vada al più presto.» mormorò, incamminandosi. Steven camminò al suo fianco, in un silenzio che la aiutò a recuperare la calma che, ne era certa, sarebbe presto stata messa di nuovo a dura prova.

***

Dalamar tamburellava nervosamente le dita sulla superficie del tavolo della locanda, gli occhi obliqui fissi sulla porta con una intensità tale da far temere all’oste di vederla esplodere in mille pezzi.
«Quanto ci mette?!» sibilò tra i denti, troppo piano perché perfino Caramon potesse sentirlo. Katlin era scappata da più di mezz’ora, inseguita da quel testa di legno del Cavaliere, e ancora nessuno dei due era tornato. L’elfo oscuro non faticava a immaginarsi una melensa scena di consolazione, tutta abbracci e parole dolci. Storse la bocca in una smorfia, poi si portò una mano al petto. Il colpo ricevuto da Katlin gli faceva ancora male.
A mente fredda, si chiedeva come aveva potuto perdere il controllo in quel modo e assalirla alle spalle. Se non era stupida – e Katlin non lo era- lei non poteva non aver capito quanto ancora fosse ossessionato dalla loro relazione.
“Sono solo un idiota geloso.- si disse, amaro- Ho ancora molto da imparare dallo Shalafi. Lui non si sarebbe mai abbassato a cercare lo scontro. Sembravamo…sembravamo…” Sembravano due amanti in pieno litigio, questo era quanto. Non due che si odiavano davvero, ma due innamorati che non riuscivano a capirsi. Abbassò lo sguardo sul tavolo e strinse la mano a pugno.
«Calmati. Torneranno non appena Katlin si sarà tranquillizzata.» disse Caramon. Dalamar lo guardò con dispetto.
«Non ho detto niente.» replicò, acido.
«Ti si legge in faccia.- disse Caramon, scuotendo la testa- Se sei tanto preoccupato, potevi fare a meno di litigare con lei. O, almeno, potevi essere tu a correrle dietro. Hai lasciato andare Steven, quindi non pentirti del risultato.»
«Caramon, non so di cosa stai parlando e nemmeno mi interessa.- mentì l’elfo oscuro- Sono qui sono perché mi ha mandato lo Shalafi.»
Caramon, che aveva appena saputo le ultime notizie da Palanthas, fissò con aria cupa l’elfo oscuro, poi sbatté la mano sul tavolo.
«Al diavolo, Dalamar, scopriamo le carte!- sbottò- Se hai litigato con Katlin non è perché stai eseguendo gli ordini di Raist, ma perché stai ancora vendicandoti di lei visto che ti ha lasciato!-»
«Caramon…» lo avvertì l’elfo oscuro, seccato.
«E se la vuoi sapere tutta, sono contento che l’abbia fatto! Vi sareste dati solo un mare di sofferenza!»
«So benissimo che non speravi altro.» fu l’aspra replica di Dalamar.
«Quello che mi fa star male è che anche stare lontani vi dà solo sofferenza.- aggiunse Caramon, puntandogli contro un dito minaccioso- Io spero che Steven te la porti via, Dalamar, ma al momento capisco che nel cuore di mia sorella ci sei ancora tu, che gli Dei ti maledicano.»
Dalamar si alzò bruscamente in piedi. Non voleva sentire quelle parole.
«Come lei è nel tuo.» finì Caramon, gelandogli il sangue nelle vene. Per la Dea Oscura, era proprio evidente a tutti?!
«Non dire idiozie.- disse, sprezzante- Sarei uno stupido ad amare ancora una donna che mi ha umiliato. Tra noi, ora, c’è solo un rapporto professionale.»
Caramon, che si stava dimostrando più consapevole e attento di quanto Dalamar avesse mai supposto, disperse le sue parole con un gesto della mano.
«Sai che ti ha lasciato perché credeva di dover morire. Se pur sapendolo non sei capace di perdonarla, la colpa è solo tua.- fu la sua condanna senza appello- Continua a tenerti il tuo orgoglio, se proprio vuoi vedertela scappare via. Steven è un Cavaliere di Solamnia, il suo interesse per mia sorella è per forza di cose una faccenda seria. Lui la aspetterà e sarà capace di starle vicino. Le tue occasioni non dureranno per sempre.»
Dalamar strinse i denti, poi aprì la bocca per replicare con una buona dose di veleno ma fu interrotto dall’aprirsi della porta della locanda. Katlin fece il suo ingresso, seguita da Steven come da una guardia del corpo. La giovane donna si era ripresa perfettamente dalla sfuriata, perché avanzò verso Dalamar guardandolo dritto in faccia con freddezza. Si fermò a meno di un metro di distanza, mettendolo suo malgrado a disagio.
«Raistlin ti ha mandato per condurmi a Palanthas.» disse, e non era una domanda.
«È così.» disse Dalamar, seccato che lei volesse prendere il comando della situazione. Anche Katlin annuì.
«Tra tre giorni. Non prima.» lo freddò, allontanandosi poi verso le scale.
«Tre…giorni?!- sbottò il mago, correndole dietro e afferrandola per un braccio- Lo Shalafi ti vuole a Palanthas immediatamente!»
«Tre giorni.- ribadì lei- E su questo non discuto. Ho…» Alzò lo sguardo oltre Dalamar, incontrando quello del Cavaliere di Solamnia, in attesa accanto a Caramon. «Ho una decisione da prendere.»
Dalamar perse la voce, basito, e Katlin si liberò facilmente della sua stretta. Lo lasciò dietro di sé, attonito e improvvisamente conscio che la sua piccola vendetta gli si era appena ritorta contro moltiplicata per mille.

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Capitolo 14
*** 14 - In attesa del momento giusto ***


Author’s note: La confusione tra i nostri personaggi sta aumentando considerevolmente. Cosa succederà adesso? Raistlin comincia a riorganizzare la situazione ma le forze che tramano alle spalle dei Majere sono sul piede di guerra…

CAPITOLO 14

IN ATTESA DEL MOMENTO GIUSTO

Crysania sedeva alla finestra della sua stanza, guardando fuori. Osservava il via vai dei pellegrini che salivano lungo il viale per entrare nel Tempio oppure si fermavano a riposare sotto l’ombra degli alberi. Soffiava un vento teso che aveva reso il cielo terso e azzurro, pulito. In lontananza, qualche arco bianco di nuvole rarefatte correva veloce verso est. Il sole scaldava, deciso e quasi crudele nella sua intensità anche se ormai stava calando. Presto sarebbe arrivata l’ora di cena e i cancelli sarebbero stati chiusi per la funzione serale.
Tutto, là fuori, procedeva come al solito, nell’atmosfera serena e pacifica del Tempio di Paladine. Nessuno dei fedeli che si recava a rendere omaggio al Dio della Luce sapeva che da alcuni giorni la Reverenda Figlia Crysania era né più né meno che rinchiusa nella sua stanza, in attesa di giudizio.
Chi chiedeva di lei, si sentiva rispondere che la Reverenda Figlia soffriva di una lieve indisposizione che la costringeva a letto. Teleco l’aveva informata anche di questo, senza alcuna vergogna.
Crysania sospirò, strofinandosi la fronte bianca con la mano. Era stanca di aspettare, stanca di portare pazienza per quella sciocca prigionia. Che si decidessero a giudicarla! Conosceva il loro pensiero, sapeva che l’avrebbero espulsa dall’Ordine. L’idea la addolorava profondamente e la preoccupava lasciare il suo posto in un momento tanto delicato, ma ormai quell’attesa inutile e il desiderio di rivedere Raistlin stavano diventando più forti. Voleva che quella tortura finisse, nient’altro.
La porta si aprì, facendole alzare la testa di scatto.
«Buona sera, Reverenda Figlia.- disse Lauril, la chierica che un tempo le aveva fatto da ancella e che ora si occupava di portarle i pasti- Avete appetito? Ho pensato di portarvi la cena con lieve anticipo, in quanto stasera, dopo la funzione, i chierici si riuniranno. Non vorrei lasciarvi digiuna troppo a lungo.»
«Grazie, Lauril.- mormorò Crysania, mentre la donna posava il vassoio sullo scrittoio- Si sta finalmente muovendo qualcosa?»
«Il vostro segretario chiederà ufficialmente di sottoporvi al giudizio dell’Ordine, sì.» ammise lei, arrossendo. Vedendo incupirsi gli occhi di Crysania, non poté fare a meno di abbassare lo sguardo. «Mi dispiace, Reverenda Figlia, ma…è necessario. Voi non potete non rendervi conto che il modo in cui avete agito è contrario a tutte le nostre regole.»
«Stai tranquilla, sono disposta ad accettare il vostro giudizio, Lauril. Qualunque esso sia.» tagliò corto Crysania. Non si sentiva colpevole. Nonostante tutto, non si sentiva in torto. Questo le dava un po’ di respiro. Non avrebbe sopportato di sentirsi colpevole per i suoi sentimenti nei confronti di Raistlin. Sfiorò il medaglione che portava al petto. Paladine era ancora con lei.
Lauril notò il gesto e si avvicinò alla Reverenda Figlia, inginocchiandosi ai suoi piedi con espressione implorante.
«Reverenda Figlia, rinnegate quell’uomo. Vi perdoneranno! Tutti vi amano, qui!- la pregò con enfasi- Paladine perdona i nostri errori con la sua somma benevolenza. Pentitevi, fate ammenda e…fate che tutto torni come prima!»
«Rinnegare Raistlin?- disse Crysania, scuotendo la testa e prendendo le mani della sua ancella- Lauril, rinnegare l’amore è peccato, perché esso è sentimento benedetto da Paladine. E il mio amore è stato davvero benedetto, per quanto voi non possiate capirlo. Nemmeno ve lo chiedo. Come vedi, mi rimetto al vostro giudizio.»
«Ma così finirà che voi…che il segretario Teleco…» balbettò Lauril. Crysania si accorse con preoccupazione della luce di panico nei suoi occhi.
«Lauril, di cosa hai paura?» le chiese. La chierica parve restia nel rispondere, poi si decise.
«Reverenda Figlia, voi siete stata scelta da Elistan e le prove che avete superato vi hanno resa superiore agli altri chierici. Voi avete davvero camminato nella Luce e ne portate l’essenza.- mormorò- Ma gli altri…chi vi succederà, se voi ve ne andrete? Chi saprà condurci tra le braccia di Paladine? Siamo un ordine ancora giovane, così facile da confondere, da manovrare…»
Crysania corrugò la fronte.
«Paladine non lo permetterà.- disse con voce d’acciaio- La nostra Chiesa dovrà ergersi forte, crescere e farsi esperta, perché le battaglie non sono ancora finite. Chiunque prenderà il mio posto, prenderà con sé anche questa responsabilità. Per questo stavo cercando un sostituto, prima di andarmene…»
«E non avete trovato nessuno che sia adatto?» chiese Lauril, sorpresa. Crysania scosse la testa. «Allora probabilmente verrà scelto in via…provvisoria…il segretario Teleco.»
Crysania notò l’incertezza della chierica sulla provvisorietà dell’elezione di Teleco e si incupì. Era evidente che le trame politiche all’interno dell’Ordine erano più forti della fede. Lauril aveva ben ragione di preoccuparsi.
«Anche fuori da qui, io veglierò su di voi. Non vi lascerò soli.- disse, decisa, poi carezzò il volto della chierica- Ora vai, Lauril, non fare tardi alla funzione. Saprai darmi notizie riguardo alla mia chiamata in giudizio, dopo la riunione di stasera.»
La donna sospirò e annuì, poi si alzò e lasciò la stanza con un breve inchino. Crysania rimase dov’era, molto più preoccupata di quanto fosse in precedenza. Rimase assorta nei suoi pensieri finché la stanza non cadde in una penombra venata d’arancio, comunicandole che la lunga sera di tarda primavera era quasi finita.
Si riscosse e mangiò le pietanze ormai fredde, chiedendosi come avrebbe potuto fare in modo che la Chiesa di Paladine continuasse a mantenere buoni rapporti con Maghi e Cavalieri una volta diventata una donna priva di cariche e titoli. La sinergia tra i potenti di Krynn era essenziale per evitare che le visioni di Katlin e i piani della Regina delle Tenebre si realizzassero. Erano ancora ben lungi dall’aver azzerato i pericoli e un uomo come Teleco non era adatto a tenere in mano le redini di una situazione tanto spinosa.
“Cosa posso fare?” si chiese Crysania. Proprio per evitare un tale stato di confusione aveva chiesto a Raistlin di aspettare. Ora il danno era fatto e avrebbe potuto mantenere il suo ruolo solo sconfessando la sua relazione con il mago. “Ma come potrei?- si domandò, sentendosi gelare- Ne morirei…e anche se lo facessi, non mi permetterebbero più di tenere contatti con lui e con i maghi, cosa che ci renderebbe deboli ed estranei ai grandi fatti di Krynn. No, il danno è irreparabile, ormai.”
Avrebbe voluto parlarne con Raistlin, ma i contatti tra loro si erano interrotti da quando era stata scoperta. Se Katlin fosse stata alla Torre, l’arcimago le avrebbe forse mandato la sorella con il compito di fare da tramite, ma l’amica era in viaggio verso Solamnia con il giovane Steel e a quell’ora aveva a malapena lasciato l’Abanasinia. Nessuno poteva aiutarla a trovare una soluzione.
Più tardi, quando fu buio, si sdraiò sul suo letto e giacque insonne, tormentata. Quando udì la voce alla porta sobbalzò così violentemente da essere sul punto di cadere oltre il materasso.
«Raistlin?!» sussurrò, incredula, scattando a sedere e guardandosi attorno con frenesia.
«Shirak.- disse la voce- Disturbo il tuo sonno, Crysania?»
Crysania spalancò gli occhi alla luce del Bastone di Magius, bevendo con lo sguardo il viso tirato dell’uomo che amava, il corpo ricoperto dalle vesti di velluto nero, gli occhi maledetti che la fissavano con altrettanta brama.
«Raistlin!» esclamò, correndo a rifugiarsi tra le sue braccia, respirando il suo odore inebriante e decadente. Lui la strinse, premendo le labbra contro i suoi capelli e Crysania si lasciò sfuggire un singhiozzo. «Non credevo che saresti venuto!»
«Mi costa grave sforzo e danno, Crysania. Ho poco tempo.- la freddò lui, scostandola da sé- Sarò breve. Interverrò in questa farsa che hanno architettato contro di te.»
«No, Raistlin! Non puoi interferire con…» tentò di interromperlo lei, afferrando le sue braccia, ma lui non intendeva perdere tempo. Crysania poteva già vedere come l’aura benefica del Tempio stava agendo negativamente su Raistlin. I suoi occhi ardevano di febbre.
«Posso e lo farò. Stai tranquilla, non mi presenterò alla vostra porta. Farò intervenire il Conclave. Sei troppo importante per la lotta in corso, non permetteranno che tu venga allontanata nel disonore.- mormorò, con un lampo micidiale negli occhi dorati- Io ti voglio libera, Crysania, ma non disonorata. Mi servi integra.»
«È solo una manovra a tuo vantaggio, quindi?» chiese lei, aspra.
«A vantaggio di tutti, mia cara.- disse lui, carezzandole il volto mentre le sorrideva, ironico- Non temere il giudizio altrui. Paladine è ancora con te.»
«Lo so.» disse Crysania, guardandolo quasi con sfida. Il sorriso di Raistlin si allargò a quella reazione, poi si trasformò in una smorfia di dolore.
«Devo tagliare corto, presto non avrò le forze necessarie ad andarmene con la magia.- disse in fretta- Tieni duro e non perdere la pazienza. Attendi mie nuove. Presto Katlin sarà qui e mi farà da portavoce.»
«Katlin?!- chiese Crysania, sbalordita- Ma…non è in viaggio?»
«Ho mandato Dalamar a prenderla. Si sta…distraendo troppo e il gioco a nascondino di quei due mi ha definitivamente lacerato i nervi. Al momento è più importante recuperare la sua magia che proteggere il figlio della mia sciagurata sorellastra. Ergo: tra un paio di giorni sarà qui.- riassunse Raistlin, ancora irritato per la piega presa dagli eventi- Il tuo Dio mi ha fatto proprio un bello scherzetto…»
«Cosa intendi dire?- chiese Crysania- Cosa…» Raistlin barcollò e si portò una mano alla testa, costringendola a usare tutta la sua forza per tenerlo in piedi. «Raistlin! Raistlin, stai bene?» gli chiese, febbrile.
«Devo andarmene, Crysania. Questo posto è la mia antitesi, sto perdendo le forze.- sibilò lui, al limite- Abbi fiducia nei miei mezzi e non disperare. Aspetta il momento giusto, presto avrai notizie da Katlin. E non perdere di vista l’obiettivo. La Regina continua a muoversi e dietro le visioni di mia sorella si cela qualcosa di peggio.»
«Hai capito di che si tratta?» ansimò la chierica, gli occhi grigi ingranditi dalla paura.
«Caos.- mormorò l’arcimago, congelandole il sangue nelle vene- Almeno credo.» Si chinò per posarle un bacio rovente sulle labbra. «Arrivederci, Crysania.»
Prima che le parole lasciassero le sue orecchie, Raistlin era già scomparso, la tenebra era calata nella stanza e le mani di Crysania si protendevano nel vuoto. La chierica se le strinse al seno, sentendo improvvisamente un gran freddo.
«Arrivederci…Raistlin.» mormorò tra labbra insensibili, avvertendo per la prima volta un’altra forza agire contro di loro. La sentiva premere tutt’intorno a lei. Si aggrappò al medaglione del drago di platino, cercando protezione, preda di una paura senza nome.


***


«Non hai capito un accidente!» quasi gridò Dalamar, frustrato e ormai al limite della propria pazienza.
«Ho capito benissimo, invece. Semplicemente non ho intenzione di dartela vinta.- lo rimbeccò Katlin, salendo in sella- Possiamo continuare a parlare mentre si parte. Salta in sella.»
«Smettila di darmi ordini! Non ho intenzione di viaggiare con voi!» sibilò il mago oscuro.
«Potrei dirti la stessa cosa. Ora finiscila e vieni con noi, oppure torna indietro da solo. A me non importa.» lo gelò lei, facendo cenno agli altri di partire.
Dalamar digrignò i denti, furibondo. Katlin lo stava costringendo a seguirli per tre giorni, durante i quali avrebbe deciso se obbedire all’ordine di suo fratello o meno. L’elfo oscuro riteneva la situazione non solo irritante, ma anche pericolosa. La tentazione che Paladine aveva mandato a Katlin aveva avuto il suo effetto. Dalamar scoccò un’occhiata d’odio puro al Cavaliere di Solamnia, che ricambiò fissandolo con oscuro cipiglio e disapprovazione. Non si erano ancora rivolti una parola, ma Dalamar era sicuro che in tre giorni non sarebbero mancate le occasioni di scontro. Anche il moccioso lo guardava come se sperasse di vederlo volatilizzarsi. Perfino Tasslehoff stava in silenzio, conscio che la situazione era vicina ad un punto di rottura.
Caramon gli si affiancò.
«Dai, salta in sella. Se ci pensi un attimo, Raist si arrabbierà di più se tornerai a mani vuote.» gli disse, volendo evitare altri litigi esplosivi. Dalamar strinse le labbra in una linea sottile, poi si arrese e salì dietro a Caramon. Cavalcarono in silenzio finché non uscirono dalla città, poi fu Katlin stessa a riprendere la conversazione. Sembrava aver tutta l’intenzione di non permettere più a Dalamar di coglierla alle spalle.
«Mi dispiace che Crysania si venga a trovare in questa situazione.- disse, attirando l’attenzione di tutti- Comunque, abbiamo tempo. I chierici non si muoveranno in fretta, anche se qualcuno mira al seggio di Crysania i tempi di conferma della candidatura e delle elezioni saranno inevitabilmente lunghi, pena uno scandalo senza precedenti che potrebbe minare alla base la credibilità della Chiesa di Paladine.»
«Vedo che nemmeno l’amicizia che le porti è in grado di agire sulla tua testardaggine.» disse Dalamar, amaro. Katlin gli lanciò un’occhiata ironica.
«Per favore, non parlarmi di buoni sentimenti.- disse, sarcastica- Raistlin vuole Crysania per sé…è solo che lo scandalo non gioverebbe a nessuno dei due, nei suoi piani. Anche io ho diritto di vivere nei tempi che mi sono scelta. Non è che Crysania stia rischiando la vita.»
«I Cavalieri di Solamnia chiederanno sicuramente di intervenire sulla vicenda.- disse Steven, inserendosi nella conversazione- La Reverenda Figlia Crysania ha errato, ma la benedizione di Paladine è sempre stata su di lei. Non ci accontenteremo di niente di meno.»
«Altro elemento che allungherà il processo.- osservò Caramon, poi si incupì- Comunque è orribile che Crysania debba subire questa umiliazione, poverina. Raistlin doveva pensarci prima…fare qualcosa per evitarlo.»
«Sapevano entrambi che poteva accadere e hanno accettato il rischio.» mormorò Katlin. Dalamar si accorse con sollievo che il giudizio negativo del Cavaliere sulla relazione tra Crysania e lo Shalafi aveva incupito la giovane donna.
“Non è cambiata. Non ancora.” pensò, avvertendo suo malgrado uno slancio di tenerezza verso di lei.
«Comunque sono sicuro che Raistlin non la lascerà da sola. Voglio dire, avrà sicuramente un piano o qualcosa del genere, e poi lui non è il tipo che non entra nei posti che gli sono proibiti…anzi! Sarà già andato da lei.- intervenne Tasslehoff, animandosi- Crysania poi è una donna molto forte e non ha paura. È entrata nell’Abisso! Vi ho mai raccontato di quella volta che Caramon era ubriaco e si credeva Raistlin ed è arrivato Lord Soth e Crysania…»
«Indipendentemente da Crysania, devi tornare a prendere possesso della tua magia. O vuoi tradire i tuoi stessi Dei?- lo interruppe Dalamar, secco- Non abbiamo tempo di giocare, Katlin.»
«Non sto giocando. Sto accompagnando mio nipote a Solamnia. Sai anche tu quanto la Regina lo desideri.» disse Katlin, dura, sorridendo poi al viso pallido di Steel. Il ragazzo sembrava aver preso molto male la comparsa dell’elfo che aveva ucciso sua madre e la scena di litigio cui aveva assistito non aveva aiutato a fargli cambiare opinione.
«Desidera molto di più la tua vita.» ritorse Dalamar, guadagnandosi un’occhiata preoccupata di Caramon. L’elfo oscuro capì che l’omone aveva perso di vista questo importante elemento, fuorviato dalla preoccupazione di Katlin per Steel. Si ripromise di utilizzare quel sentimento per far breccia nel gemello dello Shalafi cosicché lo aiutasse a portare via quella testarda.
«Katlin è ben protetta, qui.» disse Steven, rigido, strappandogli un sorriso di derisione.
«Dalla tua possente spada, immagino.- replicò- Vorrei proprio vederti all’opera contro le Vesti Grigie di Takhisis, grand’uomo!»
«Combatterei, come sempre. Cosa cercate di insinuate?» disse Steven, offeso.
«Insinuo che non durereste cinque minuti, Cavaliere.» lo rimbeccò l’elfo oscuro.
«Voi mi insultate!»
«Anche io proteggerei Zia Katlin!» intervenne Steel, allargando il litigio a tre persone.
«Encomiabile, giovane Brightblade, se solo tu ne fossi in grado.» fu il secco giudizio di Dalamar. Steel impallidì e barcollò sulla sella.
«Come osate parlare in questo modo al ragazzo?!» sbottò Steven, indignato, mettendo una mano sull’elsa della spada.
«Ehi, finitela!- li sgridò Caramon- Avete ragione entrambi, ma i toni non mi piacciono.»
«Non ho bisogno della balia, signori.- li sferzò Katlin, stanca di essere al centro della contesa- Io bado a me stessa. Grazie per la vostra dedizione, le vostre spade sono un valido aiuto, ma contro i maghi non avreste scampo. Questo non è un disonore, badate. È solo l’amara realtà, come Dalamar ha fatto notare.» Lo guardò con astio per la situazione tesa che aveva creato. «Quale fortuna che adesso una potente Veste Nera sia con noi a proteggerci!» finì, caustica.
Il disprezzo che le lesse negli occhi fece diventare Dalamar paonazzo. Questo bastò a Steven, che tolse con riluttanza la mano dall’elsa della spada, e a Steel, che abbassò di nuovo lo sguardo sulle redini.
Il silenzio tornò a cadere sul gruppo di cavalieri e non fu più spezzato per tutto il pomeriggio.


***


Più tardi, quella sera, Katlin sedeva con la schiena contro un tronco d’albero, assorta nella contemplazione dei riflessi rosso cupo all’interno della gemma che teneva in mano. Steel dormiva accanto al fuoco, con Tasslehoff, e poco lontano Caramon faceva la guardia. Katlin ne poteva vedere la schiena possente, i capelli castani sfiorati dal rosso delle fiamme. Dalamar e Steven si erano allontanati per fare un giro di controllo lungo la via, in direzioni diverse. La giovane donna sperava che si tenessero a debita distanza l’uno dall’altro. Non aveva più voglia di litigare e le occhiate d’astio che i due uomini si lanciavano erano inequivocabili.
Stanca di tenere a bada gli altri oltre che se stessa, sospirò e sfiorò con un dito la superficie irregolare della pietra. Irresistibile, la sua magia la chiamava, la voleva con sé. Katlin sapeva che non avrebbe mai rinunciato ad essa, anche non volendo rendere omaggio al sacrificio che la kender Kyaralhana aveva fatto per concederle di sopravvivere; allo stesso tempo, le sue azioni successive non erano ancora decise.
«Un tempo era più facile, senza dubbio.» borbottò. Vivere attraverso Raistlin e Caramon le aveva sempre risparmiato di dover scegliere. Non che le mancasse la terribile sensazione di essere trascinata come un peso morto. Solo, le sue troppe anime non avevano ancora smesso di litigare nel suo cuore e nella sua mente.
«Posso, Kat? Non stai provando incantesimi, vero?»
Katlin alzò la testa su Tasslehoff, comparso accanto a lei. Sorrise e scosse la testa, facendogli cenno di sedersi accanto a lei e posandosi la pietra in grembo. Il kender non aveva mai cercato di toccarla, come se la relazione con la morte di Kyara vi avesse posto una sorta di tabù valido anche per lui. La cosa aveva evitato che Raistlin circondasse la gemma di incantesimi letali.
«Non dormi? Non sei stanca?- le chiese Tas, studiando il suo viso- Quel Dalamar ti ha fatto proprio arrabbiare oggi e Flint mi diceva sempre che arrabbiarsi è stancante. Infatti con me si stancava sempre! Anche se forse si stancava perché era avanti con gli anni e non perché…»
Katlin ridacchiò, circondandosi le ginocchia con le braccia.
«In effetti sono un po’ stanca di tutta la faccenda.- ammise- In ogni caso mi sto vendicando costringendolo a viaggiare con noi per qualche giorno, quindi va bene così.»
«Ma poi andrai con lui a Palanthas?» chiese Tas, corrugando la fronte.
«Per forza. Per quanto oggi io abbia minimizzato, la situazione di Crysania è seria.- disse Katlin, pensierosa- Inoltre, sono troppo vulnerabile. Ho ancora un ruolo nelle battaglie che verranno e non ho intenzione di sottrarmi. Devo essere forte…molto più di quanto lo sia adesso.»
«Steven non la prenderà bene.» disse Tas. Katlin lo guardò con stupore e disapprovazione. «Ehm…cioè…non è che io abbia origliato la vostra conversazione, certo che no, però parlavate ad alta voce e Steel e Caramon facevano tanto silenzio, e poi si era capito che gli piacevi perché ti guarda sempre. Così quasi pensavo che ti avrebbe chiesto di sposarlo seduta stante e invece non l’ha fatto ed è arrivato Dalamar e la situazione si è complicata. Io non so chi scegliere per te, perché c’è da ammettere che i maghi sono più interessanti, però i Cavalieri sono…»
Sotto lo sguardo indecifrabile di Katlin, Tas ebbe il buon gusto di arrossire. Trovò di colpo molto interessanti le punte dei suoi stivali.
«Scusa, non sono fatti miei.» borbottò. Fu sollevato quando Katlin gli posò una mano sulla testa, scendendo poi a tirargli dolcemente il codino.
«Non ti preoccupare, Tas. Non mi sono offesa, né arrabbiata.- gli sorrise lei, mesta- In effetti hai ragione: sono entrambi molto interessanti.»
«E chi sceglierai?» chiese il kender, curioso e dimentico dell’imbarazzo di un minuto prima.
«Potrei anche starmene da sola. Dipende dalla strada che sceglierò di seguire, immagino.- disse lei, pensierosa, alzando la pietra rossa all’altezza degli occhi- Prima devo pensare a riavere la mia magia.»
«A proposito di quella pietra…» disse Tasslehoff, riottenendo la sua attenzione. Il kender sembrava perplesso, agitato. «Senti, forse mi sbaglio, ma credo di averla già vista. O almeno di averne vista una uguale uguale. Dici che sia possibile che ne esista un’altra?»
«Cosa intendi dire, Tas?» chiese Katlin, perplessa.
«Me ne sono accorto dopo…voglio dire, con il tempo. È un ricordo molto nebbioso…no, nebuloso. Riguarda Flint. Qualcosa a casa di Flint.» disse Tasslehoff, concentrato. Katlin corrugò la fronte.
«Nel periodo in cui vivevate insieme?- chiese- Io non ricordo nulla, quindi immagino che Raistlin e Caramon non siano coinvolti. Forse lavorava a un rubino, o qualcosa di simile?»
«No, non è così. E mi sembra che ci fossero già anche Raistlin e Caramon.- disse Tasslehoff, così concentrato da mordersi la lingua nello sforzo di ricordare- Non lo so, è come un ricordo che non vuole uscire. Ed è strano, perché io di quel periodo mi ricordo proprio tutto!»
Katlin lo osservò con un certo allarme, corrugando la fronte. Tasslehoff, per quanto confuso, sembrava serio. Allora come mai lei non ricordava nulla in proposito? Se si fosse trattato di un normale sasso o pietra preziosa, difficilmente Tas avrebbe riesumato il ricordo. Una pietra rossa a casa di Flint…
«Senti, Tas…» iniziò, piegandosi verso il kender. La mossa le salvò la vita. Una freccia si piantò nella corteccia dell’albero a meno di cinque centimetri dalla sua testa. Si gettò a terra, gridando, mentre Tas estraeva subito il suo piccolo pugnale.
«Ci attaccano! Caramon!» gridò Katlin, mentre suo fratello si alzava di scatto snudando la spada e Steel si svegliava di soprassalto.
«Draconici! Dannazione, dovevano essere nascosti da una barriera o roba simile!- esclamò Caramon, vedendo materializzarsi improvvisamente davanti a loro una dozzina di draconici e uno sciamano- Kat!»
«Agli arcieri ci penso io, Caramon!» gridò lei, afferrando la balestra che teneva accanto a sé e prendendo la mira, sentendosi penosamente indifesa senza magia.
«Zia!» esclamò Steel, facendo per alzarsi.
«Tu stai giù, Steel!» gli ordinò lei, scagliando la prima quadrella e facendo subito una vittima.
«Dove sono Steven e Dalamar?!» chiese Caramon, portandosi a fianco della sorella mentre i draconici partivano alla carica.
«Non lo so.- disse lei- Per il momento temo che dovremo arrangiarci senza di loro.»

 

 

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Capitolo 15
*** 15 - Perduta ***


Author’s note: Conoscete l’espressione ‘perdere tutto’? L’Abisso è sempre più profondo di quanto lo si immagina…

CAPITOLO 15

PERDUTA

Si era allontanato nella direzione opposta con l’intenzione di verificare che la via fosse libera. In quel tratto, la strada offriva molte macchie di alberi e arbusti in cui sarebbe stato facile nascondersi per tendere loro un agguato quella notte, o la mattina dopo. Fino a quel momento il viaggio era stato tranquillo, ma Steven sapeva che gli occhi della Regina Oscura erano su di loro. Se il pensiero non si fosse affacciato da sé alla sua mente, la comparsa di quella Veste Nera sarebbe bastata a rammentarglielo. Non aveva male interpretato le occhiate di odio e gelosia dell’elfo oscuro, perciò non si sorprese quando avvertì un lieve rumore di passi alle sue spalle. L’elfo l’aveva raggiunto in silenzio, probabilmente con la magia, ma ora cercava lo scontro. Imponendosi di non mettere mano alla spada, almeno per il momento, Steven si voltò per fronteggiare il suo rivale.
Dalamar era una sagoma più buia della tenebra che lo circondava. Solo gli occhi brillavano appena alla luce di quel poco di luna d’argento che sbucava tra le nubi, facilitandogli l’operazione di guardarlo in faccia.
«Cosa volete, mago?» disse. Era sereno. Si aspettava quel faccia a faccia, prima o dopo. Era evidente che quel reietto provava per Katlin un malsano senso di possesso.
«Un buon sangue freddo, Cavaliere.- rispose lui, sarcastico- Avete subito intuito che si trattava di me.»
«Non ho incontrato altri nemici lungo la via.» disse Steven, calcando sull’appellativo. I denti di Dalamar brillarono per un attimo, mostrandogli che aveva colto e apprezzato la definizione.
«Un Mago Grigio potrebbe comparirvi alle spalle in qualsiasi momento e tagliarvi la gola con la stessa facilità.- sussurrò- Io, invece, volevo essere sentito.»
«Perché siete qui?» tagliò corto Steven.
«Sarò breve, non temete.» disse Dalamar, poi si spostò in avanti di pochi, rapidi passi. Steven indietreggiò, mettendo mano alla spada, ma l’elfo si fermò ad una certa distanza da lui. «State lontano da Katlin, se vi preme la vita.- sibilò il mago dalla veste nera- Non sarò tanto cortese da darvi altri avvertimenti, Steven Sharphalberd. State lontano da lei!»
«Un avvertimento inutile, in quanto non verrà ascoltato, Lord Dalamar. Non ho intenzione di lasciare il suo fianco. Le ho fatto una promessa e la manterrò.» disse Steven, rigido.
«Povero sciocco. Non avete idea dei poteri contro cui vi state mettendo.»
«Dovrei avere paura di voi, Lord Dalamar?- chiese Steven, irritandosi- Mi spiace, ma sono un Cavaliere e non sono uso alla paura.»
«Dovreste provarne, sciocco agitatore di spade. Dovreste. Se non di me, di chi sta sopra di me.» disse Dalamar con palese disprezzo. Steven avvertì suo malgrado un brivido.
«Vi riferite…a Raistlin Majere?» disse. Il sogghigno che comparve sulle labbra dell’elfo lo esacerbò. «Non lo temo! Una forza più grande è al mio fianco, ora. Sono stato scelto…»
«Da Paladine? Per salvarla?- ridacchiò Dalamar- Siete davvero uno sciocco! Una pedina del Dio della Luce!»
«Sono felice di esserlo!- replicò Steven, orgoglioso- Katlin ha bisogno di essere strappata alla Tenebra in cui cercate di rinchiuderla!»
Dalamar tagliò l’aria con un gesto secco, rispedendo al mittente le parole.
«Voi non sapete niente! Né di lei, né della sua missione! Paladine l’ha gettata nella mischia e ora vuole darle un contentino per lavarsi la coscienza?!- disse il mago, irato- Non siate così fiero di fare il portabandiera della Luce, Cavaliere, quando essa tratta Katlin né più né meno come l’ha trattata la Tenebra: un’utile arma! Non credete che sarà esonerata dal combattere fino all’ultimo sangue solo perché voi avete tanta premura di starle accanto!»
«Menzogna! Bestemmia!» esclamò Steven, sentendo il sangue andargli alla testa.
«Sapete che dico la verità.- ritorse Dalamar, cinico- Fate un favore a voi stesso. Statene fuori. State lontano da quella donna. Occupatevi del ragazzo, è tutto quello che potete fare per lei.»
Il mago oscuro voltò le spalle al Cavaliere, ma Steven lo afferrò per un braccio, trattenendolo. Le parole dell’elfo lo stavano suo malgrado ferendo. Era vero, lui sapeva poco di Katlin e dei grandi piani divini, ma il sentimento che lo muoveva era sincero e il più grande ostacolo che si frapponeva tra lui e la donna che amava era proprio colui che lo stava minacciando.
«Voi…voi osate dirmi di starle lontano?!- ansimò, faticando a mantenere il controllo- Voi, che l’avete abbandonata alla prima occasione?!»
Dalamar si torse come una serpe, afferrandogli il collo con una mano sottile ma vibrante d’odio.
«Attento, la mia pazienza ha un limite.» ringhiò.
«Io so che l’avete abbandonata. Caramon mi ha raccontato.- continuò Steven, spingendo Dalamar e facendolo quasi cadere a terra- Lei si stava sacrificando per voi. Per tutti voi! E la sua colpa non è stata forse non morire? Se avesse perso la vita nel luogo in cui la Regina Oscura l’aspettava per ucciderla, verreste a raccontarmi che non l’avreste perdonata? Rimpianta? Voi l’amate ancora, Dalamar, ma siete troppo pieno di rancore e ambizione per cederle!»
«Come osate, voi?! Voi non c’eravate! Non sapete niente!»
«Io so la sua tristezza quando l’ho incontrata. So il suo odio, il suo rancore verso tutto e tutti. Ne ho avuto un assaggio.- disse Steven, cercando di riprendere il controllo di sé mentre pensava al suo primo incontro con la donna che adesso stava difendendo a spada tratta- E da quando siete arrivato non mi è stato difficile associare quel dolore a voi, Lord Mago. Le riempie gli occhi non appena li posa sul vostro volto. Io ve la porterò via. Quant’è vero che sono vivo, ve la porterò via!»
Dalamar si rialzò. Sembrava emanare tenebra da tutta la sua persona. Steven sentiva crescere attorno a lui un’aura omicida, ma ormai non aveva intenzione di fermarsi. Avrebbe messo in chiaro le cose con il suo rivale e l’avrebbe costretto a ritirarsi.
«Voi sapete solo farle del male. Se c’è ancora un briciolo di affetto per lei, dentro di voi, lasciatela andare.- disse con voce vibrante- Voglio vederla sorridere. Voglio…»
«Tu che ne sai del suo sorriso? Non l’hai mai visto. Non lo vedrai mai.- sibilò Dalamar, le mani tese come artigli pronti a calare sulla vittima- Credi di averla vista sorridere, sciocco? Io conosco per filo e per segno cosa succede al suo volto, ai suoi occhi, alle sue labbra quando è veramente felice. Io l’ho vista. L’ho vista disperata. L’ho vista giocare come una bambina. L’ho vista appassionata tra le mie braccia! L’ho vista agonizzante per aver salvato la mia vita!» gridò Dalamar, mentre immagini del tempo passato lo inondavano, spazzando via il rancore e i pensieri crudeli di cui si era ammantato per tanto tempo, lasciandolo solo pieno di una passione per Katlin che lo scuoteva in tutto il suo essere. Una mano, senza che vi fosse pensiero coerente a guidarla, scivolò in una tasca a stringere il gioiello a stella che le aveva regalato tanto tempo prima.
«Allora la amate ancora, come temevo.» mormorò Steven, impallidendo.
«Ti ucciderò, prima di permetterti di toccarla.» promise Dalamar, ma prima che potesse passare alle vie di fatto un grido squarciò l’aria.
«Draconici!»
Dalamar imprecò tra i denti e cominciò a correre, subito superato da Steven con la spada in mano. Era il momento peggiore per un attacco! Non appena avvistarono il fuoco da campo si accorsero di essere alle spalle del gruppo di attaccanti. Era un’ottima occasione per incalzarli su entrambi i fronti, trasformando l’agguato in una disfatta, ma Dalamar si rese subito conto di non poter utilizzare la magia in grande stile, almeno per il momento.. Gli altri sarebbero entrati nel raggio d’azione del suo incantesimo.
“Vorrà dire che li farò fuori uno alla volta.” pensò, gelido, la mente già piena di magia. Forse, se si fosse sfogato un po’, sarebbe riuscito ad evitare di fare a pezzi il Cavaliere, salvandosi dal contravvenire pericolosamente agli ordini del suo Shalafi.

***

Si risolse subito in uno scontro corpo a corpo. Sembrava più una spedizione volta a testare le loro forze che un attacco vero e proprio. Una truppa più consistente avrebbe potuto ucciderli con una pioggia di frecce; perfino i sopravvissuti apprendisti dei Maghi Grigi avrebbero trovato poca resistenza. Fortunatamente, per il momento sembrava che la fama dei Majere facesse ancora paura al nemico e la nascente setta non voleva attrarre troppo l’attenzione di maghi e milizie, ma quanto sarebbe durata quella tregua?
«Attenti allo sciamano!» gridò Katlin, evitando due fendenti mentre cercava di trovare un varco per colpire con i suoi pugnali. In quei momenti, invidiava la spada di Caramon.
«C’è poco da stare attenti!- esclamò suo fratello, che stava tenendo a bada due draconici cercando al contempo di tenere Steel fuori dalla mischia- Dove diavolo è Dalamar quando serve?!»
«Non lo…attenzione!»
L’aria fu invasa da dardi magici. Caramon si gettò su Steel e fu colpito di striscio. La sua armatura si annerì e avvertì una forte bruciatura al fianco.
«Zio Caramon, attento!» gridò Steel, alzando la sua corta spada. Il draconico che si stava gettando sulla coppia a terra si trovò il ventre infilzato da parte a parte. Caramon si alzò velocemente, mentre il draconico diventava di pietra e strappava l’arma di mano al ragazzo.
«Bel colpo, Steel! Ora stammi dietro!- ringhiò- Kat, Tas! Tutto bene?!»
«Più o meno, Caramon.» ansimò Tasslehoff, rotolando sotto le gambe di un draconico. I proiettili magici l’avevano risparmiato e Katlin aveva avuto la prontezza di farsi scudo con il suo avversario, che era crollato a terra morto. La giovane donna si scagliò contro il rettile che mirava alla vita di Tas, lo stordì colpendolo violentemente alla base del collo con l’elsa del pugnale, poi approfittò del suo stordimento per tagliargli la gola.
«Tas, vienimi dietro! Dobbiamo far fuori quello sciamano!» disse al kender, che annuì e le corse dietro nel tentativo di evitare la mischia e concentrarsi sul nemico più pericoloso.
«Per Solamnia!»
La voce maschile che gridò l’invocazione anticipò solo di qualche istante la sagoma in armatura di Steven Sharphalberd, che piombò alle spalle dei draconici con la spada in pugno. Caramon sospirò di sollievo. Con l’appoggio di Steven e Dalamar si sarebbero liberati più in fretta di quelle dannate lucertole. Tasslehoff e Katlin sembrarono gettarsi entrambi su un draconico, ma all’ultimo momento il primo scartò a destra e il secondo a sinistra, lasciando l’avversario confuso alle loro spalle e continuando a correre verso lo sciamano, che stava finendo di salmodiare un nuovo incantesimo.
«Maledizione!» sibilò Katlin, decidendo che non c’era tempo per raggiungere l’usufruitore di magia. Lanciò un pugnale, mirando alla testa della creatura, ma l’arma rimbalzò contro una barriera.
«Kat, è protetto da…ops!» strillò Tasslehoff, cadendo a terra quando un draconico gli fece lo sgambetto e rotolando subito via per evitare di vedere la testa separata di netto dal corpo. Katlin strinse i denti, conscia di non poter fare nulla e di essere totalmente esposta all’incantesimo dello sciamano, quando il draconico fu avvolto da una luce giallastra e la protezione magica si infranse.
«Katlin! Ora!» disse una voce nella notte, quella di Dalamar. Katlin scagliò il secondo pugnale, sperando di fare in tempo. La lama colse lo sciamano in mezzo alla fronte quando ancora doveva pronunciare l’ultima sillaba. Il draconico mago aprì la bocca in un muto grido di dolore, poi cadde all’indietro con le braccia ancora spalancate.
La giovane tirò un sospiro di sollievo, subito interrotto da un sibilo di spada. Katlin saltò all’indietro ed evitò il fendente, ma non il successivo calcio del draconico, che la colse al ventre e le tolse il fiato, scaraventandola per terra. Cadde duramente, avvertendo il suono di qualcosa che toccava terra e rotolava via. Il sangue le si gelò nelle vene.
«La pietra!» ansimò, guardando freneticamente l’erba calpestata. Non l’aveva messa al sicuro! Si allungò per afferrare la gemma rossa mentre il draconico alzava la spada per piantargliela in corpo, sapendo solo che se perdeva la pietra tanto valeva morire. Mentre le sue dita si chiudevano sulla sua irregolare superficie, una sfera di fiamme si portò via il draconico, lasciando al suo posto solo un paio di stivali ancora pieni, che caddero di lato con un fruscio. Katlin si tirò a sedere, dolorante, mentre Dalamar correva al suo fianco e si abbassava su un ginocchio.
«Tutto bene? Sei ferita?» le chiese, sbrigativo.
«No. Stavo…stavo per perdere…» balbettò Katlin, cercando di riprendersi.
«Stai dietro di me. Ora ci penso io.» le disse il mago, alzandosi a farle da scudo e cominciando a mormorare le parole di un incantesimo. Katlin si alzò da terra a fatica, guardando con sospetto e sorpresa l’alto corpo del mago vestito di nero, le sue mani sottili sollevate. Dalamar l’aveva salvata. Non solo, ora la stava proteggendo! Nei suoi occhi aveva intravisto una traccia della sua antica gentilezza per lei. Si trattava della stessa persona che solo qualche ora prima l’aveva spaventata a morte e presa a male parole?
Katlin scosse la testa, irritata con se stessa. La battaglia non era ancora finita. Abbassò lo sguardo per recuperare i pugnali, quando una sensazione cupa e gelida che ben conosceva la colse. Si raddrizzò, scandagliando febbrilmente la notte con gli occhi spalancati. Non aveva più magia, ma era ancora molto sensibile alla volontà di Takhisis. Ne era stata posseduta e quasi uccisa. Non poteva sbagliarsi: tra le ombre, qualcuno operava magia proibita e oscura puntata contro di loro. I draconici non erano venuti da soli.
«Dalamar!» gridò, ma lui era nel pieno dell’incantesimo. Katlin strinse la gemma rossa tanto forte da farsi male. “Spero che Raistlin abbia ragione.- pensò, ricordando le ipotesi del gemello- Dei della Magia, proteggeteci!”
Alzò la gemma all’altezza del viso, chiamando a raccolta tutta la sua forza, sperando che Dalamar si voltasse prima che il collegamento alla propria magia grezza venisse meno. Le vibrarono anche le ossa quando l’incantesimo mortale li colpì. Strinse i denti, mugolando di dolore, la gemma finalmente luminosa tra le sue mani. La sua magia stava reagendo a quell’attacco, difendendo lei e Dalamar con una barriera che Katlin sentiva vacillare. Aver salmodiato gli incantesimi su di essa ogni notte aveva rafforzato il legame, ma era ancora ben lungi dall’averle restituito il potere.
«Kat!» gridò Caramon, spaventato, vedendo una luce rossa avvolgere la sorella e l’elfo oscuro. Una forza tenebrosa spingeva per invadere la barriera, concentrandosi attorno alle mani tese di Katlin.
«Un Mago Grigio?!» esclamò Dalamar, finalmente conscio di ciò che stava avvenendo dietro di lui.
«Non è…un apprendista!- ansimò Katlin- Dalamar, fai presto! Non resisterò…a lungo!» La pietra iniziava a bruciare nelle sue mani, si faceva incandescente. La luce era così intensa che a Katlin sembrava di vedere brillare il sangue nei vasi sanguigni, come per un richiamo. Le faceva male la testa, tra gli occhi.
Dalamar lesse la paura del cedimento sul suo viso, la avvertì nella vacillante barriera che li separava da morte certa. Non perse tempo e salmodiò un incantesimo altrettanto potente che potesse spazzare via la magia dell’avversario.
«Katlin!» gridò Steven, uccidendo il suo avversario e correndo verso la luce rossa. Fu intercettato da Caramon, che lo afferrò per un braccio.
«Fermo! Se ti avvicini rimarrai ucciso inutilmente.- lo frenò, guardandosi attorno per accertarsi di aver messo in fuga gli ultimi due draconici rimasti- Contro la magia c’è poco da fare.»
Steven strinse i denti, sapendo di non avere argomenti per ribattere. In quel momento si udì la voce di Dalamar esclamare un’ultima parola magica con quanto fiato aveva in gola. La barriera rossa scoppiò come una bolla di sapone, la tenebra venne ricacciata dalla magia dell’elfo oscuro e nella notte qualcuno lanciò un’esclamazione di dolore.
Quando questo finì, il gruppo di combattenti vide Katlin in ginocchio, a terra, sfinita. Dalamar stava correndo verso il luogo da cui era provenuta la magia.
«Non l’ho ucciso. È riuscito a scappare.- disse subito l’elfo- Dannazione!»
«Kat! Kat, tutto a posto?» chiese Tasslehoff, precipitandosi dall’amica.
«Zia, state bene?!» ansimò Steel, raggiungendoli.
Katlin alzò su di loro uno sguardo smarrito, stranamente infantile nella vacua sorpresa che conteneva.
«Kat, sei ferita?- chiese Caramon, piegandosi su un ginocchio accanto a lei mentre Steven la scrutava con ansia alle sue spalle- Cosa c’è che non…»
Katlin alzò lentamente le mani. Caramon dapprima non capì, poi Dalamar li raggiunse e inalò aria con un sibilo scioccato, facendo aprire gli occhi al guerriero. Le mani di Katlin erano vuote.
«Non c’è più.- mormorò la giovane, sconvolta- La pietra rossa è scomparsa!»

***

Raistlin aprì gli occhi nel buio, destato da un sonno leggero e portatore di sogni scomodi. Qualcosa non andava. Si alzò e si vestì, decidendo che l’ansia che avvertiva dentro di sé non gli avrebbe comunque concesso di riposare.
«Ci sono movimenti all’esterno del Bosco di Shoikan?» chiese ad uno degli spettri. Il volto evanescente si mosse da destra a sinistra.
«No, padrone. Tutto è tranquillo, nel Bosco.» mormorò. Raistlin annuì, corrugando la fronte. Quindi non si trattava di intrusi. Aveva chiesto per esserne certo, ma dentro di sé sapeva che non si trattava di un problema simile. Era inquieto. Qualcosa era accaduto, o stava per succedere.
Scese alla Camera della Visione, di pessimo umore. Dalamar e Katlin non erano ancora tornati e non sarebbero comparsi prima di un paio di giorni. Non si preoccupava per la sorella, ora che aveva per guardia del corpo il suo apprendista. Che fosse successo qualcosa a Caramon? O a Crysania? Si trattava senza dubbio di un presagio riguardante le poche persone a cui era legato e in un tale momento non poteva permettersi di prendere la sensazione sottogamba.
Aveva visto Crysania la notte prima e la chierica, pur se rinchiusa, stava benissimo. Non credeva che qualcuno fosse così folle da attentare alla sua incolumità all’interno del Tempio di Paladine, ma…Entrò nella Camera della Visione e i Vivi gli fecero largo, avvertendo la sua ira ancora informe. L’arcimago si avvicinò alla pozza, scrutandola con occhi gelidi.
«Mostrami Crysania.» mormorò. Come prevedeva, la donna dormiva nella sua stanza, indisturbata. Raistlin si concentrò e non ebbe difficoltà a percepire, oltre alle protezioni magiche di cui lui l’aveva ammantata, la benevolenza di Paladine che la circondava. Crysania era in una botte di ferro.
«Allora di che si tratta?» sibilò, seccato. Caramon? Possibile che i messi della Regina avessero attaccato il gruppo di viaggiatori per rapire Steel Brightblade? Raistlin la riteneva una mossa stupida, il ragazzo si stava gettando da sé nelle braccia del nemico, ancora ignaro della stretta che stava per stringersi riguardo alla sorveglianza del figlio di Ariakas.
«Mostrami Caramon.» ordinò alla pozza. L’immagine svanì, si ricompose, mostrandogli un campo disseminato di cadaveri di draconici. «Un attacco!» sibilò, contrariato. Allora aveva visto giusto, i Grigi avevano tentato un’azione stupida e dannosa! Qualcuno si muoveva, vicino al fuoco ancora acceso. Raistlin riconobbe la sagoma massiccia del fratello, poi la piccola figura del kender entrò nella luce. Almeno erano sopravvissuti, erano tutti seduti attorno al fuoco, segno che l’allarme era rientrato. Ma…non erano in troppi?
«Dalamar! Imbecille!» inveì Raistlin, irato, rendendosi conto che le figure in più erano proprio il suo apprendista e sua sorella. Cosa diavolo ci facevano ancora lì? Era così che Dalamar obbediva ai suoi ordini? Meditando di fare una chiacchierata interessante con l’elfo oscuro, Raistlin avvicinò il suo sguardo magico al gruppo seduto attorno al fuoco. La voce di sua sorella mormorava qualcosa. Dalamar le era seduto accanto e sembrava molto pallido. Raistlin corrugò la fronte: era successo qualcosa di più grave di un semplice attacco.
La conversazione che ascoltò superò di gran lunga le sue più fosche previsioni.

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Capitolo 16
*** 16 - Dover tornare indietro ***


Author’s note: La Pietra Rossa è scomparsa! Fine della fanfiction! Ovviamente scherzo…ma cosa è successo? Si è disintegrata? E’ tornata dentro Katlin? Oppure…Read and enjoy!

CAPITOLO 16

DOVER TORNARE INDIETRO

«Vi dico che non è stata distrutta!»
La voce di Katlin sovrastò le ipotesi accavallate che gli altri, in preda al panico, le stavano riversando addosso. L’evidente stizza nella sua voce, tanto simile a quella di Raistlin, riportò il silenzio.
Il loro piccolo accampamento era disseminato di cumuli di polvere cinerina, resti dei draconici prima trasformatisi in pietra. Come Dalamar aveva subito avvertito, non c’era traccia del mago che li aveva attaccati. Il suo cadavere non giaceva a terra, quindi il nemico era riuscito a fuggire. L’elfo oscuro era sicuro di averlo danneggiato, contrastando il malefico flusso magico con cui aveva cercato di ucciderli, ma con tutta probabilità non si era trattato di un danno letale.
Ora che il pericolo era passato, tutta l’attenzione si era concentrata sulla scomparsa della gemma di Katlin. Solo Steven sembrava perfettamente calmo e Dalamar non aveva faticato a comprendere che per il Cavaliere di Solamnia era tutto di guadagnato se Katlin fosse stata tagliata fuori in via definitiva dai grandi sentieri della magia. Da oltre il fuoco gli lanciò un’occhiata tagliente, con una smorfia. Era seduto accanto a Katlin, mentre sull’altro lato sia il kender che il moccioso avevano tenuto alla larga la Veste Nera. Dalamar sentì l’irritazione crescere. Era l’unico che poteva essere di qualche utilità in quell’occasione e loro lo ghettizzavano?!
«Allora cosa è successo? Te ne sei fatta un’idea?» chiese, più aspro di quanto avesse voluto. Lesse la disapprovazione negli occhi chiari di lei. Non ci voleva un genio per capire che entrambi si trovavano in un brutto guaio. Non appena lo Shalafi avesse saputo degli ultimi avvenimenti, avrebbe voluto la testa di qualcuno. Dalamar pensava che, potendo scegliere, l’arcimago si sarebbe accontentato della sua. Dopotutto, Katlin aveva usato la gemma rossa per dargli tempo di contrastare il Mago Grigio…
«Se lo sapessi, sarebbe facile porvi rimedio.- disse Katlin, tagliente, poi si tirò indietro le ciocche di capelli bianchi che le scendevano sul viso- No, ancora non so che fine abbia fatto. Posso però assicurarvi che non è stata distrutta dalla magia di quel tizio e che, parimenti, non è tornata dentro al mio corpo. Me ne sarei accorta.»
«E questo che alternative lascia?» chiese Caramon, perplesso.
«Non lo so ancora. Ci devo riflettere.» mormorò Katlin, il viso teso in un’espressione concentrata.
«Zia…si trattava dei Maghi Grigi di cui mi avete parlato?» osò Steel, sfiorandole un braccio per avere la sua attenzione.
«Sì, Steel. Quel che ne resta.» ammise lei.
«Quel che ne resta è abbastanza per farci ammazzare.- disse Caramon, corrugando la fronte- Pensavamo di averli sterminati, o almeno di aver troncato i loro contatti con Takhisis. Dannazione, che nervi! Tutti i sacrifici fatti…per cosa?!»
«Non dire così, Caramon! Abbiamo tarpato loro le ali e per molto tempo faticheranno a tornare veramente forti! Hai visto come Dalamar ha sconfitto quel tipo. Voglio dire…potevano darci più filo da torcere, no? Vero, Kat?» disse Tasslehoff.
«Non era potente. Quanto un buon apprendista, non di più.- convenne Dalamar- I maghi contro cui abbiamo combattuto andando verso Bloodbay erano molto più in gamba.»
«Ne consegue che della setta sono rimaste le briciole. Non dobbiamo comunque sottovalutarli, la volontà Oscura li guida.» mormorò la giovane donna, cupa.
«Essi non entreranno in Solamnia. Non raggiungeranno il figlio di Ariakas, se è questo che temi.» intervenne Steven, posando una mano su quella di lei. Con sommo fastidio di Dalamar, Katlin non si sottrasse.
«Ho paura, invece, che questo attacco sia il segno che i nostri nemici si stanno riprendendo e che presto tenteranno di rapire anche Steel.- passò un braccio intorno alle spalle del ragazzo, stringendolo a sé senza pensare al suo imbarazzo- Cercheranno di approfittare della mia…assenza. Finché possono.»
«E adesso la situazione si è aggravata.» disse Dalamar. Le sue parole, come piombi, caddero fra loro e li ridussero al silenzio.
«Adesso che si fa, Kat?- mormorò infine Tasslehoff- Temo…ehm…che Raistlin si arrabbierà parecchio scoprendo che…beh…che la pietra non c’è più.»
«Senza dubbio ci inonderà di parole interessanti.» sospirò Katlin, lasciando andare Steel e sottraendo la mano alla stretta di Steven per passarsi le palme sul viso e appoggiarvi poi la testa, stanca.
«Perché dovrebbe prendersela con te, Kat? Non è stata colpa tua se è successo tutto questo.» disse Caramon, scuotendo la testa.
«Prima di ogni cosa, mi rinfaccerà che tutto questo non sarebbe successo se avessi seguito Dalamar alla Torre di Palanthas.- disse lei, amara, alzando lo sguardo solo per fulminare l’elfo oscuro come se tutto quel parapiglia fosse colpa sua- E mi rincrescerà molto non poterlo contraddire.»
«Avremmo già dovuto essere…» intervenne lui, piccato.
«…in viaggio, lo so.» terminò lei, dura.
«Questo significa che ora te ne andrai? Ci lascerai sulla strada per Solamnia?» chiese Steven, arrivando subito al punto. Katlin gli lanciò un’occhiata dubbiosa, poi guardò il volto pallido di Steel e sorrise, mesta.
«Non lo so. Ci devo pensare, la situazione è complicata. Datemi una nottata di tranquillità.» rispose.
«In effetti sarebbe meglio dormire.- disse Caramon, alzandosi in piedi- I grandi discorsi possono aspettare la luce del sole.»
«Questo l’avrebbe detto anche Flint! E probabilmente anche Tanis, il che significa che Caramon ha ragione.- disse Tasslehoff, dando in un grande sbadiglio- Chi fa il primo turno di guardia?»
«Io.- disse Katlin, alzandosi in piedi- Con te.» Indicò l’elfo oscuro e si avviò senza attendere risposta.
Dalamar corrugò la fronte quando lei lo scelse con tanta risolutezza, ma si alzò da dove stava, sordo quanto lei alle proteste dei due guerrieri. Katlin voleva parlare con l’unica persona che potesse capire quanto era avvenuto poco prima e di dormire non se ne parlava. I due si avviarono verso la strada, lasciandosi alle spalle il fuoco da campo e la preoccupazione di Caramon e Steven.

***

La situazione era molto più grave di quanto aveva pensato. Non solo la setta dei Maghi Grigi operava ancora la magia, nonostante la pietra proveniente dal trono di Neraka fosse stata distrutta, ma quei maledetti si erano riorganizzati a sufficienza da sentirsi in grado di testare la forza dei suoi apprendisti.
Dalamar era potente, ma qualunque mago poteva trovarsi in pericolo se la situazione era sfavorevole. Senza contare che la sua sciagurata sorella aveva visto volatilizzarsi tra le sue mani l’unica speranza di riavere la magia. Chiuso nel suo studio, lasciata la Camera della Visione, Raistlin si arrovellava su quella questione, cercando di dipanare la matassa.
Secondo Katlin la magia non era rientrata nel suo corpo, men che meno era andata distrutta. Era scomparsa. Ma per andare dove? E, ipotesi orribile, nelle mani di chi?
Raistlin tossì forte, ma ignorò il malore e continuò a scartabellare i libri che aveva accumulato sul tavolo, cercando qualcosa che lo illuminasse, che portasse la sua mente sulla strada giusta. La soluzione a quel problema andava trovata immediatamente, non c’era tempo da perdere.
“Pensa, per l’Abisso! Pensa!- si disse, nervoso- Deve esserci una spiegazione a questo improvviso volatilizzarsi della gemma.”
La pietra, con tutta evidenza, si era per così dire risvegliata tra le mani di Katlin. Sua sorella doveva aver ripetuto su di essa la prima parte dell’incantesimo che stavano formulando per consentire il riassorbimento e questo ne aveva fomentato il potere latente. I casi, secondo Raistlin, erano due: o la pietra era stata catturata dall’aura tenebrosa del Mago Grigio e ora si trovava nelle mani dei loro nemici, oppure essa aveva cercato di sfuggire alla presa di Takhisis…rifugiandosi altrove.
«Ma dove?» disse ad alta voce, per poi piegarsi in due a un nuovo accesso di tosse, che lo lasciò spossato. Strinse le labbra nel vedere gocce di sangue sul palmo della mano con cui si era coperto la bocca. Era stanco, teso e malato. Possibile che niente girasse mai per il verso giusto?! Come avrebbe voluto essere tra le braccia fresche di Crysania, in quel momento, invece che chiuso nella Torre ad arrovellarsi per non dover gettare all’aria anni interi di piani ben costruiti!
Si chiuse il pugno sullo sterno con una smorfia, sentendo dolore ai polmoni, poi chiuse con un gesto rabbioso il libro che aveva davanti e si alzò. Non poteva restare lì a lambiccarsi senza costrutto. Lo attendevano molte cose da fare. Aveva progettato di aspettare il ritorno di Dalamar e Katlin, ma visto il loro ritardo avrebbe sbrigato le faccende che lo attendevano prima del loro arrivo.
Corrugò la fronte al pensiero di lasciare Crysania per tanti giorni senza notizie. Inoltre, nel frattempo il processo avrebbe potuto iniziare. Si sarebbe affrettato per quanto possibile, ma quel viaggio a Wayreth andava fatto. Katlin doveva farsi ricevere al Tempio non appena tornata a Palanthas. Questo avrebbe fatto sentire la chierica meno in balia degli eventi.
Raistlin prese carta e penna lasciando ai due una nota che poi era un ordine, in caso non fosse tornato prima della coppia. Una volta che lui fosse rientrato, si sarebbero messi tutti e tre a pensare a come diavolo rimediare al danno fatto dai Maghi Grigi. Intanto quella sventata di sua sorella poteva perlomeno rendersi utile.
Raistlin afferrò il Bastone di Magius, si drappeggiò il mantello sulle spalle e sollevò il cappuccio a nascondere il viso tirato. Fece per iniziare a mormorare l’incantesimo, poi ebbe un ripensamento. Allungò la mano verso il tavolo e prese i fogli ripiegati su cui aveva scritto gli incantesimi per Katlin, infilandoli poi in una tasca nascosta della sua veste nera. Forse la risposta si celava proprio nella magia che avevano attivato e già sapeva che si sarebbe ritagliato del tempo per rifletterci sopra. Non aveva intenzione di rinunciare ai suoi ultimi piani di conquista.
Raistlin lasciò la torre alle prime luci dell’alba, diretto a Wayreth. Il Conclave non poteva più agire nell’ombra: bisognava salvare Crysania dalla vergogna ed eliminare il figlio di Ariakas. Raistlin aveva la ferma intenzione di perseguitarli finché non fosse stato sicuro di avere il loro appoggio.

***

Katlin camminò fino ad essere sicura di avere per compagni solo la tenebra e Dalamar, poi si fermò, costringendo l’elfo oscuro a fare lo stesso. Espirò rumorosamente, cercando di liberarsi dalla tensione. Non era così razionale come aveva lasciato intendere. La perdita della gemma l’aveva messa in serio allarme, senza contare che adesso la sua situazione personale si era avvicinata a un punto di non ritorno. Doveva fare una scelta, e subito.
«Cosa ne pensi?» chiese al mago, brusca.
«Riguardo alla pietra rossa?»
«Certo, riguardo alla pietra.- lo sferzò lei, seccata- Di che altro dovrei parlare?!»
Dalamar si prese qualche attimo prima di rispondere, forse per evitare di farle notare che in effetti quella situazione derivava dalle sue stupide speranze di farsi una vita normale. Katlin fu contenta che lui non cogliesse la palla al balzo per mettersi a litigare e cercò di costringersi a parlare a sua volta con maggiore calma.
«Temo che la Tenebra se la sia portata via e che ora sia in mano al nostro nemico.- disse infine l’elfo oscuro, cupo- È un’ipotesi da far venire i brividi. Potrebbero distruggerla o, peggio, trovare il modo per servirsene. Il tuo potenziale magico è sempre stato straordinario.»
Katlin annuì, accettando il parere professionale.
«Sì, ci ho pensato anche io. In questo caso, bisognerebbe scoprire dove è finito quel dannato mago e strappargli il bottino senza perdere tempo.- mormorò- Però…non ne sono sicura.»
«Credi che la situazione sia diversa?»
«Non ho avuto la sensazione che mi sia stata rubata, quanto che sia sparita. Di sua volontà.» borbottò Katlin. Dalamar corrugò la fronte.
«Cosa vuoi dire?» chiese.
«Come se…la pietra avesse deciso da sé di sottrarsi al rischio di essere catturata dalla volontà oscura di Takhisis.» spiegò lei, un po’ titubante. Faticava lei stessa a dare credibilità alle proprie parole, ma mai come in questo caso desiderava seguire l’istinto. D’altra parte, si trattava della sua magia, una parte del suo corpo. Le sensazioni a volte andavano usate più del cervello.
«Per andare dove? Non pensi di averla riassorbita, vero?» continuò a indagare l’elfo oscuro, sentendosi preda di una sensazione di deja-vu. Da quanto tempo non si confrontavano con tanta calma? Da quanto non parlavano così di magia, due professionisti istruiti dallo stesso Maestro?
«No. Non è dentro di me. Però…»
«Non stai solo cercando di tergiversare per non dover abbandonare seduta stante quell’uomo?» disse Dalamar, acido. Lei lo fissò con uno scatto viperino, una luce pericolosa negli occhi.
«Sto parlando sul serio, Dalamar! Piantala con la tua contorta gelosia!» sibilò Katlin, furibonda.
«Contorta?! E poi chi ha parlato di gelosia?» ritorse lui.
«Ah, per favore! Ho poca fiducia in me stessa nel campo dei sentimenti, ma non sono stupida.- disse lei, sprezzante- So benissimo che ti dà fastidio l’idea che mi conceda a un altro uomo.»
«È a lui che dovrebbe infastidire toccare una donna posseduta da una Veste Nera.» sogghignò il mago.
«Si vede che è un uomo migliore di te.» gli gettò in faccia lei, facendolo ammutolire di colpo. Il buio non le concedeva di vedere se era diventato pallido o paonazzo. «Comunque non sto tergiversando. Le possibilità di una mia relazione con Steven al momento non hanno peso.- lo frenò, decidendo di chiudere la questione- Sono convinta che la pietra non sia in mano nemica. Per questo non ti ho chiesto subito di gettarci all’inseguimento del Grigio. La gemma si è volatilizzata…per andare a finire dove? Beh, questo non lo so.»
Dalamar la frenò alzando una mano davanti al suo viso, poi le fece cenno di sedersi. La cosa sarebbe andata per le lunghe e non gli dispiaceva affatto pensare di avere inchiodati sulla schiena gli occhi gelosi dell’insonne Cavaliere di Solamnia. Lo soddisfaceva anche vedere che al momento l’uomo sembrava l’ultimo dei pensieri di Katlin. Era una maga, prima di essere una donna…come lui stesso aveva amaramente sperimentato.
«Tu credi che gli incantesimi che vi hai gettato sopra, pur senza talento magico, l’abbiano in qualche modo protetta.- riassunse, attendendo un suo cenno per continuare- Sapevi che avrebbe resistito alla Tenebra, altrimenti non te ne saresti fatta scudo.»
«Raist la pensava in questo modo e io mi sono fidata. Non potevo fare altro, a ben guardare.- mormorò Katlin, meditabonda- Nelle mie mani, la magia avrebbe protetto il mio corpo da incantesimi che in altre circostanze sarebbero stati facilmente domati dal mio potere. A quanto pare, aveva ragione.»
«Ma lo Shalafi non aveva immaginato un avvenimento del genere.» mormorò Dalamar.
«Non direi, no. Penso che avrò da sopportare una lavata di capo epocale, sempre che si accontenti di questo.- sospirò Katlin, guardandolo storto- Già il fatto che ti abbia mandato a prendermi significa che era irato con me. Quando saprà della sparizione della pietra sarà furibondo!»
«Non ne dubito.- disse Dalamar, decidendo di non cogliere la provocazione- Per tornare ai fatti, di che incantesimi hai circondato la pietra? Non ho collaborato con lo Shalafi alla realizzazione dell’incantesimo per restituirti la magia.»
«Si tratta di questo.» disse lei, infilando una mano sotto il corsetto e passandogli un taccuino. Dalamar mormorò una parola, facendo comparire una sfera di luce magica sopra le loro teste, poi aprì il piccolo libro.
«Vedi? Si tratta di un incantesimo a triplice azione.- gli spiegò Katlin, piegandosi verso di lui per indicargli lo schema del cerchio magico- C’è un incantesimo di accettazione, uno temporale e poi quest’ultima parte su cui stiamo ancora lavorando…»
Dalamar fu suo malgrado distratto dalla sua vicinanza. La sua voce lievemente roca, il profumo dei suoi capelli, la linea del suo collo proteso verso di lui…Un’ondata di ricordi e di desiderio lo assalì e dovette farsi forza per tornare cosciente di quanto lei stava dicendo.
«Accettazione e incantesimo temporale, quindi.- riassunse- E li hai ripetuti costantemente?»
«Ogni notte.- annuì lei- Non serviva a niente, ma le parole hanno una loro forza anche se non ho più il talento per farle funzionare. Evidentemente stavo preparando la gemma nel modo giusto. L’accettazione era completata, direi, visto come mi ha protetta. E l’incantesimo temporale serviva a riportarla al momento in cui si è scissa dal mio…»
Smise di parlare improvvisamente, come se avesse perso il fiato.
«Cosa? Hai capito qualcosa?» le chiese lui, comprendendo che la mente di lei doveva aver trovato qualche indizio utile.
«Io…oh, per tutti gli Dei della Magia! Un incantesimo temporale!- gemette Katlin, mettendosi le mani nei capelli in un modo al contempo buffo e allarmante- Se è vero, allora…»
«Allora cosa?!» sbottò l’elfo oscuro, stupito e parecchio preoccupato. Katlin si alzò in piedi di scatto e lo afferrò per una spalla, strattonandolo.
«Vieni, presto, ci serve Tasslehoff!»
«Il kender?! Cosa c’entra il kender in tutto questo?!» chiese lui, confuso. Katlin allargò le braccia, come se fosse sconsolata.
«Se ho ragione, Tas è l’unico che possa aiutarci.»

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Capitolo 17
*** 17 - Scelte difficili ***


Author’s note: Mentre la mia esistenza va alla deriva completa, Krynn mi chiama all’ordine per finire questa storia. Perciò, rimettiamoci a scrivere! Katlin, probabilmente, ha avuto un colpo di genio. La situazione è grigia e la confusione regna sovrana. Come la prenderà Steven?

CAPITOLO 17

SCELTE DIFFICILI

«Ascoltami, Tas. E’ molto, molto importante.» esordì Katlin, fissando il kender negli occhi.
Era andato a svegliarlo di corsa, scoprendo che nessuno aveva ancora ceduto al sonno, ma aveva ignorato sia le domande di suo fratello che le occhiate perplesse e preoccupate di Steel e Steven. Non aveva tempo per loro, non in quel momento. Le serviva solo Tasslehoff e trascinò via il kender, conducendolo nel buio fino a raggiungere Dalamar, che era rimasto ad aspettarli vicino alla via, perplesso.
«Dimmi tutto, Kat. Ma…ho fatto qualcosa? Ho detto qualcosa che non va?» chiese Tasslehoff, preoccupato per la luce febbrile negli occhi di lei. Non gli sembrava arrabbiata, ma la nottata non era stata delle migliori e da mesi gli occhi di Katlin non si accendevano se non per rabbia. Lei, invece, sorrise e scosse il capo.
«Non hai fatto o detto niente che non vada, Tas.- lo rassicurò- Anzi, credo che tu possa darmi una mano.»
«Una mano? E con cosa? Per la Pietra?» chiese il kender, improvvisamente eccitato. Guardò Dalamar, che aveva dipinta la disapprovazione su ogni linea del volto.
«Non capisco a cosa ti serva il kender.» disse, infatti. Katlin lo ignorò.
«Tas, ricordi ciò che mi stavi raccontando poco prima che ci attaccassero?» chiese a Tasslehoff. Il kender corrugò la fronte, poi sorrise.
«Ah, sì, certo! Stavamo parlando della pietra in casa di Flint! O meglio,- si corresse- della pietra simile alla tua che credo di aver già visto in casa di Flint, anche se non sono del tutto sicuro.»
«Hai centrato il punto.» lo interruppe Katlin, scoccando un’occhiata di sbieco a Dalamar. L’elfo oscuro si incupì, sempre più confuso.
«Flint chi? Flint Fireforge?» chiese, ma di nuovo venne ignorato.
«Tas, ho bisogno di sapere nei dettagli cosa ricordi.» continuò Katlin, fissando Tas negli occhi. A Dalamar sembrava un cobra ipnotizzatore.
«Beh…uhm…non è che ricordi davvero qualcosa. È stato più…come dire…sai quando un’immagine ti compare nella mente senza motivo? Una cosa futile che avevi dimenticato e che poi improvvisamente ricordi, e…»
«Potrebbe non essere una cosa così futile, Tas. Cerca di ricordare.» disse Katlin, pressante. Vedendo che era seria, Tasslehoff si concentrò.
«Non so dire quando è successo.- borbottò infine, il viso tutto teso nello sforzo di ricordare con precisione- Riesco a ricordare solo la voce di Flint che mi chiama e io che mi volto per rispondergli. Un istante prima stavo guardando una grossa pietra del colore del sangue, chiusa a chiave dentro uno dei bauli di Flint. Non so perché avessi aperto il baule, né perché non…sai…» Arrossì. «In circostanze normali avrei preso la gemma per guardarla.- ammise, poi aggiunse- Ovviamente l’avrei restituita! Ero solo curioso, la curiosità è innata in noi kender. Invece…non credo di aver avuto voglia di prenderla. È strano.»
Si chiuse in se stesso, incrociando le braccia sul petto, cercando di venire a capo di quel mistero uscito dai suoi stessi ricordi.
«Sei sicuro di non ricordarti altro, Tas? Non c’erano Caramon o Raistlin, o…»
«C’era Tanis. Credo.» aggiunse il kender, incerto. Schioccò le dita, seccato. «È come se questo ricordo fosse nato quando ho guardato dentro la tua gemma l’altra mattina, Kat! Non so proprio spiegarmelo!»
«Io invece credo di aver capito.- sospirò Katlin, passandosi una mano sulla fronte, poi guardò Dalamar- E tu?»
«Credi che la pietra rossa abbia viaggiato nel tempo, vero? Nel passato.» dedusse lui.
«Nel mio passato.- precisò Katlin- È parte di me. Dev’essere andata a rifugiarsi in un luogo e un tempo che mi appartiene.»
«Cosa stai cercando di dire, Kat?- chiese Tasslehoff, perplesso, poi si illuminò- Vuoi dire che quella che ho visto era la vera pietra?! Cioè, la tua? Quella del futuro, cioè del presente, però nel passato?»
«Kender, chiudi quella bocca!- lo zittì Dalamar, che iniziava a sentire i sintomi di un mal di testa con i fiocchi- Katlin, cosa ti fa pensare una cosa del genere? Il kender potrebbe benissimo aver visto una pietra che somigliava alla tua. Non puoi basare le tue convinzioni su un ricordo tanto labile.»
«Ehi, labile a chi?!»
«Calma Tas, non si riferiva a te.- lo placò Katlin, fissando Dalamar con la cocciutaggine dei Majere- Tas non ha toccato quella gemma. Non capisci? La pietra ha salvato la mia magia dalla distruzione grazie al sacrificio di Kyaralhana. È sacra, a modo suo. Tasslehoff non ci si è mai nemmeno avvicinato.»
«È vero. Verissimo!» esclamò Tas, agitato.
«E l’ha vista a Solace. A Solace, Dalamar! Casa mia!» insistette Katlin.
«Tu non hai mai vissuto a Solace prima di due anni fa.» replicò Dalamar, con una smorfia involontaria. Parlare di Solace gli aveva riportato alla mente una passeggiata notturna, nel gelo invernale. Gli aveva ricordato un bacio casto e pieno di un amore ancora inespresso. Negli occhi di Katlin non si rifletté lo stesso ricordo. La sua mente era altrove.
«Dimentichi che avevo due anime che hanno vissuto là fin dalla nascita.- mormorò, immersa nei propri frenetici pensieri, poi annuì- Ne sono convinta: la gemma si è rifugiata in un’epoca in cui ancora non era minacciata dalla Regina delle Tenebre e la vita su Krynn mi sembrava un’oasi felice. Resta da capire a che periodo risale il ricordo di Tas, e poi…»
«E poi?» chiese Dalamar, poco convinto.
«E poi mio fratello Raistlin mi condurrà nel passato e recupererò ciò che è mio.» finì Katlin, decisa. Si alzò in piedi.
«Tornerai indietro nel tempo, Kat?!» ansimò Tasslehoff, insieme eccitato e terrorizzato nel ricordare cos’era avvenuto l’ultima volta che aveva intrapreso in prima persona un viaggio simile.
«Sono un essere umano, non turberò il flusso temporale in alcun modo.» annuì la giovane donna. Dalamar la afferrò per un polso, per pentirsene subito dopo e lasciarla andare come se si fosse scottato.
«Come pensi di verificare la veridicità del ricordo di Tasslehoff? È un kender.- osservò, zittendo sul nascere le proteste del diretto interessato- Potrebbe aver fatto confusione. Non puoi basarti solo sulla sua parola.»
«Ho intenzione di controllare alla Biblioteca di Palanthas. Forse Astinus avrà fatto menzione alla cosa.» disse lei, rifiutandosi di permettergli di instillarle dubbi.
«Perciò tornerai a Palanthas? Con me? Come avresti dovuto fare fin dal principio?» insistette Dalamar, ora sarcastico. Katlin strinse le labbra in una linea sottile e si voltò verso le tre figure sdraiate più lontano. L’elfo oscuro tradì la sua contrarierà con una smorfia. Lei era ancora tanto riluttante a separarsi dal Cavaliere? Anche in un momento come quello, in cui rischiava di perdere la sua magia per sempre?
Tasslehoff, più sensibile, fece scivolare le dita sul palmo di Katlin e le strinse la mano, riportandola alla realtà.
«Non devi preoccuparti per Steel, Kat.- le disse, serio- Io e Caramon lo proteggeremo. Vedrai, non ci accadrà niente fino a Palanthas. Tu devi risolvere i tuoi problemi, Kat, è il solo modo che hai di riavere la tua magia. Caramon dice che te la cavi benissimo anche senza, però io mi accorgo che ti manca qualcosa e che non stai bene e che forse per continuare a vivere bene non ti resta altra scelta che fare la maga.»
Dalamar e Katlin lo fissarono con stupore, poi lei chiuse gli occhi improvvisamente umidi e strinse forte la mano di Tas.
«Guai al prossimo che mi dice di non fidarmi della capacità di giudizio di un kender.» mormorò, poi riaprì gli occhi e guardò Dalamar. «Ti seguirò, Dalamar, ma domattina. Devo prima parlare con Steel e…»
«E con Sharphalberd?» finì lui, rancoroso.
«Sì, con Steven. Se lo sai, finiscila di farmelo pesare.» mormorò Katlin, dandogli le spalle e dirigendosi verso il campo. Dalamar rimase a fissare la sua schiena, preda di sentimenti troppo contrastanti. Soddisfazione per la vittoria ottenuta, gelosia verso il Cavaliere di Solamnia, rimpianto per la dolcezza di notti ormai troppo, troppo lontane…
«Dalamar.»
L’elfo oscuro abbassò lo sguardo su Tasslehoff, che lo fissava con una curiosa espressione.
«Perché non vai insieme a lei nel passato?- gli propose, lasciandolo senza parole- Forse un viaggio potrebbe aiutarvi a fare pace, no? Vi volevate tanto bene e io mi sento triste quando vi vedo litigare. Steven è tanto bravo ma forse non va bene per Kat. Perché non ne approfitti per stare un po’ insieme a lei?»
Ciò detto, Tas sorrise e si allontanò come se nulla fosse. Stanco, Dalamar si portò una mano alla fronte. Al di là della sapienza di uomini ed elfi, quella piccola creatura gli aveva appena offerto un’occasione, forse l’unica, di avvicinarsi di nuovo a Katlin…se era questo che voleva.
“Dovrei smetterla di sottovalutare i kender.” pensò.
Avrebbe dovuto convincere entrambi i fratelli Majere, ma riteneva di poter riuscire a trovare complicità nel suo Shalafi. Dopotutto, non era stato proprio lui a spingerlo di nuovo verso Katlin?

***

«Hai fallito.»
«Era presente anche Dalamar, mio signore…l’elfo oscuro apprendista di Raistlin Majere.- replicò Laiota, con una smorfia- Questo non era previsto. Nessuno ci aveva avvisato dei suoi movimenti.»
«Il che significa che la vostra rete di spie è scarsa e inefficiente.» tagliò corto Ariakan, seccato.
Laiota non ribatté. Era stanco, ferito, e si era trascinato con la magia fino a quel luogo sicuro utilizzando le sue ultime energie. Non aveva la forza di spiegare al suo futuro generale quanto difficile fosse prevedere le mosse dei Majere e di chi gravitava loro intorno.
«Il ragazzo era con loro?» chiese Ariakan, più calmo. Laiota annuì.
«Lo stanno conducendo qui, da noi. Non dovremo fare alcuna fatica per riportarlo nella sfera d’influenza della nostra Oscura Signora. I Cavalieri sono ciechi.» sogghignò il mago.
Ariakan corrugò la fronte, poi annuì. Il figlio di Kitiara sarebbe stato un ottimo elemento, che avrebbe gettato le fondamenta per il nuovo ordine che intendeva dare alle armate delle Tenebre. Era molto comodo che stesse per gettarsi di sua spontanea volontà tra le loro braccia, invitato alla rovina da quegli stessi Cavalieri di Solamnia che lo tenevano su un palmo di mano per le gesta di suo padre, Sturm Brightblade.
Il figlio del grande e terribile generale di Sua Maestà Oscura, però, non era uno sciocco. Sapeva che quell’apparente vantaggio aveva vita breve se i Majere continuavano indisturbati a mettere loro i bastoni tra le ruote. I maghi dovevano fare di più. Peccato che, a quanto pareva, non ne fossero ancora in grado.
«È stato quel Dalamar a batterti?- chiese, cupo- Mi confermi che Katlin Majere non ha usato la magia?»
«Così è, anche se…» Laiota si interruppe, riflettendo. «No, ella non ha usato la magia, eppure la barriera che ha fermato il mio attacco non è stata creata dall’elfo oscuro.» ponderò.
«Cosa vuoi dire?»
«Katlin Majere teneva qualcosa in mano e questo oggetto sprigionava una forza sufficiente a tenermi a bada. Allo stesso tempo, l’ho vista lottare con le armi dei comuni mortali, il che significa che non ha attivato alcuna magia.» Rifletté ancora per un istante, massaggiandosi il braccio dolente che aveva preso di striscio il colpo magico di Dalamar. «Probabilmente il fratello l’ha fornita di una protezione magica.»
«Il che significa che altre vostre incursioni hanno un’alta probabilità di finire male.» sospirò il giovane, scuotendo la testa. «Lascia perdere, Laiota. Aspettiamo che Brightblade arrivi a Palanthas e andiamo avanti con i piani già predisposti. Dei Majere ce ne occuperemo quando le tue spie avranno le idee più chiare.» finì con sarcasmo.
Laiota annuì, riluttante ad ammettere la sconfitta. La Regina Oscura voleva la vita di Raistlin e Katlin Majere e al momento la ragazza avrebbe dovuto rivelarsi un bersaglio facile. Lo irritava scoprire che non era così. La magia oscura era ancora troppo debole se paragonata a quella della Triade che da sempre ne governava l’utilizzo. Katlin Majere aveva ancora il favore di Lunitari…e probabilmente anche di Nuitari. Conveniva rassegnarsi ad aspettare. Dopotutto, presto Steel Brightblade si sarebbe gettato da solo nelle loro mani.

***

Steven camminava accanto a Katlin in perfetto silenzio, stanco oltre ogni dire in quell’alba successiva a una notte insonne. Il Cavaliere non aveva chiuso occhio. Prima la discussione con l’elfo oscuro, poi l’attacco al loro campo, quindi la sparizione della pietra che conteneva la magia di Katlin…Steven sentiva che quel momento aveva segnato la via di un destino fino a quel momento incerto. La giovane donna era tesa nel recupero della sua magia, a qualunque costo. Ogni tentennamento era svanito, lo vedeva nei suoi occhi chiari, in cui brillava uno sguardo d’acciaio. I suoi screzi con l’elfo erano svaniti nella foga professionale che l’aveva colta, tanto che i due avevano trascorso alcune ore a parlarsi in privato.
Steven non aveva potuto chiudere occhio e non era stato colto di sorpresa dal richiamo di lei, alle prime luci. Lo aveva sfiorato sulla spalla, attirando la sua attenzione, e gli aveva fatto cenno di seguirla in silenzio mentre gli altri dormivano ancora. Sapeva cosa gli avrebbe detto: le era solo grato che avesse deciso di offrirgli una spiegazione invece di sparire semplicemente dalla sua vita.
«Devo andare a Palanthas con Dalamar.» esordì lei, senza mezzi termini. Steven annuì.
«Hai trovato il modo di recuperare ciò che è tuo?» chiese, piano.
«Forse. Devo studiare un piano e avrò bisogno dell’aiuto di mio fratello Raistlin. Non posso perdere tempo.- rispose lei, corrugando la fronte- Non credo vi attaccheranno, in mia assenza. Steel sta andando dove il nemico desidera che sia, quindi…»
«Lo proteggeremo, Katlin. Il giovane Steel non è solo.» disse il Cavaliere, rigido. Lei sorrise.
«Lo so. Mi fido di voi.» rispose. Steven smise di camminare e la guardò, costringendola a fare altrettanto.
«Hai scelto lui?» chiese, a bruciapelo. Lei parve riflettere, poi si incupì.
«Non ho scelto niente. Niente e nessuno, se non che sarò di nuovo una maga. Non posso farne a meno.- mormorò- Vado con Dalamar perché può aiutarmi, sa di cosa ho bisogno. Questo non significa che sia tornata ad essere la sua donna. Affatto.»
Steven non disse nulla. Attese che lei aggiungesse qualcosa.
«Allo stesso tempo, questo significa che non sei tenuto a continuare a pensare a me, Steven. Prima di ogni cosa, io resto una maga. Cosa può legare un Cavaliere a una maga come me?- scosse il capo- Steven, mentirei se ti dicessi che i tuoi sentimenti non hanno toccato il mio cuore, ma non posso prometterti nulla.»
Steven alzò una mano e le carezzò una guancia. I suoi occhi erano tristi, ma decisi. Katlin avvertì una fitta di rimpianto.
«Io aspetterò anche se tu non mi chiederai di farlo, Katlin. Aspetterò che tu riacquisti la tua magia, se è questo che vuoi, e che tu possa fare una scelta nel pieno possesso della tua coscienza. Per parte mia, ti amo.- ribadì lui- Sempre di più, temo, ora che sarai lontana. Se deciderai di poter superare la distanza tra un Cavaliere e una maga…anche io la supererò con te.»
«Steven…» sussurrò lei.
«Vai. Fai quello che devi fare.» le disse lui, per poi voltarle le spalle e lasciarla sola. Katlin lo guardò allontanarsi con un groppo in gola, avendo percepito quanto gli fosse costato essere così comprensivo, poi esalò il fiato con difficoltà. Probabilmente non meritava tanta abnegazione, tanta pazienza. Purtroppo era ancora confusa, provava un rancore indicibile per Dalamar ma l’attrazione che ancora li legava non le concedeva di darsi al Cavaliere se non con un carico di rimorsi che non intendeva sopportare. Se si fosse liberata dei suoi sentimenti per l’elfo oscuro, allora si sarebbe rifugiata tra le braccia di Steven. In caso contrario, l’aspettava la Torre di Wayreth e il seggio del vecchio Par-Salian. Il potere era un ottimo incentivo a dimenticare i sentimenti. Raistlin gliel’aveva insegnato bene.
Meno di due ore dopo, era pronta per partire con Dalamar. Non si attardò troppo nel salutare gli amici e il fratello, decisa a muoversi prima di essere presa da scrupoli o ripensamenti. Caramon le posò la mano sulla spalla, annuendo con comprensione.
«Ci vediamo a Palanthas, Kat.- disse, sorridendo- Sono sicuro che tutto si aggiusterà, vedrai.»
«Grazie, Caramon. State accanto a Steel.» disse lei, rispondendo al sorriso.
«Passeremo da Tanis, così magari confonderemo un po’ le acque con quei maghi grigi. Ci pensavamo già ieri sera.» disse il guerriero, scambiando un’occhiata con Steven, che annuì.
«Non sapranno tanto facilmente come e quando il ragazzo sarà vicino al nostro illustre prigioniero.» assicurò il Cavaliere di Solamnia.
«Stai tranquilla, Kat! Qui ci pensiamo noi!» disse Tas, sfoggiando un entusiasmo che non provava. Pensare di essere estromesso da un viaggio nel tempo lo deprimeva moltissimo e ancora di più lo affliggeva aver volontariamente accettato di non seguire la sua amica per consentire a Dalamar di riconquistarla. Il buon cuore si pagava caro…
«Ottimo.- annuì Katlin, stringendo poi la mano a Steel per non imbarazzarlo con effusioni affettuose- Abbi cura di te, Steel. Tornerò presto.»
Il ragazzo annuì, poi lanciò un’occhiata dura a Dalamar.
«Abbiate cura di mia zia. Non fatele correre rischi inutili.» disse, facendo capire senza tanti giri di parole che per quanto lo riguardava il pericolo peggiore era proprio l’elfo oscuro. Dalamar non batté ciglio.
«Andiamo?» disse soltanto, esortando Katlin. Lei annuì, guardando un’ultima volta il volto di pietra di Steven. Il Cavaliere desiderò poterla stringere, nasconderla in un posto sicuro, dirle ancora una volta quanto fossero forti i suoi sentimenti per lei, ma l’onore e l’orgoglio lo lasciarono muto e immobile.
Katlin tornò a guardare l’elfo scuro, decisa a non farsi influenzare dalla situazione che si lasciava momentaneamente alle spalle. Si incamminò con Dalamar e dopo pochi passi lui la afferrò per un polso. Un istante dopo, erano entrambi scomparsi.

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Capitolo 18
*** 18 - Una lunga prigionia ***


Author’s note: Finché il collegamento con Krynn è ripristinato, approfittiamone! Andiamo a vedere come si sta muovendo Raistlin e come sta la povera Crysania, in attesa del processo infamante…

CAPITOLO 18
UNA LUNGA PRIGIONIA

Raistlin fissava il vecchio Par-Salian sprofondato nella poltrona, con le punte delle dita unite davanti agli occhi imperscrutabili e predatori. Non riusciva a fare a meno di notare i segni della vecchiaia sul suo viso, né a reprimere una sensazione di piacere nel pensare che il grande mago delle Vesti Bianche stava finalmente per essere privato del favore degli Dei della Magia.
“È quello che ti meriti, dannato vecchio!” pensò in un angolo nascosto della propria mente, lontano da qualunque intrusione indiscreta. Sapeva che su di lui erano sempre puntati gli occhi attenti di più divinità di quante volesse gestire. Sul suo viso non si rifletté alcuno di questi pensieri mentre attendeva che Par-Salian riprendesse a parlare.
«Rimane inconcepibile che stiano trattando in questo modo il Capo della Chiesa di Paladine. Se a così breve tempo dalla nascita dell’Ordine si sviluppano tali lotte di potere, temo che la fiducia del popolo verrà meno.» sospirò la Veste Bianca. Era seriamente preoccupato per quell’episodio. Lo turbava che Crysania fosse stata seguita, spiata e quindi imprigionata. Alzò uno sguardo di rimprovero sull’arcimago che gli sedeva davanti, per quanto non potesse più permettersi da tempo di trattarlo come il ragazzo talentuoso ma pericoloso a cui aveva maledetto gli occhi per tentare di ammorbidirne il cuore. «C’è da dire che se tu non l’avessi trascinata nella tua oscurità…»
«Non metterti a fare la predica, adesso. Par-Salian, siamo oltre simili osservazioni cieche e senza costrutto.- lo censurò subito Raistlin, sarcastico- Quello che occorre fare ora lo sai.»
«Per questo ho mandato Justarius. Sarà la nostra voce al processo.- disse l’anziano mago- I poteri e l’integrità di Crysania ci sono indispensabili per continuare a combattere i piani di Takhisis in un momento tanto delicato.»
«Del tutto vero. Immagino sia per questo che Ladonna non è presente al colloquio?»
«Non fare il sarcastico. Ladonna non sopporta la tua presenza e non desidero creare occasioni di scontro tra voi.- lo sgridò Par-Salian, poi sospirò, stanco- Non è facile avere a che fare con te e lo sai bene, visto che usi questo nostro imbarazzo senza alcuno scrupolo.»
Raistlin sogghignò appena, sapendo che la parola imbarazzo celava in realtà paura e inquietudine. Dopotutto, era sopravvissuto sia alla possessione di Fistandantilus che alla condanna dell’Abisso. Era un essere più che umano, cui tutto era possibile. Sì, gli piaceva leggere la paura sui volti degli altri maghi. Lo ripagava per tutte le cose che aveva perso.
«Cosa mi dici, invece, dei Maghi Grigi? Avrebbero dovuto essere distrutti dopo la vostra incursione al loro quartier generale, ma a quanto mi racconti i tuoi fratelli sono stati attaccati lungo la via per Palanthas.» continuò Par-Salian.
«È così. Avrò maggiori dettagli parlando con mia sorella e con il mio apprendista, ma visti i risultati direi che il nostro attacco dello scorso anno ha tarpato loro le ali.- disse Raistlin, corrugando le sopracciglia- Purtroppo, devono aver trovato un altro sistema per ricevere la magia direttamente dalla Regina. Il colpo che abbiamo inferto alla setta ha certamente allungato i tempi per una loro organizzazione e per molto tempo non costituiranno un vero problema, ma se lasciamo loro la possibilità di riprendersi, un giorno dovremo vedercela ancora con questi rinnegati.»
«Abbiamo qualche nome, ma ce ne facciamo poco. Sono protetti da Takhisis, invisibili anche agli occhi delle Vesti Nere.- disse Par-Salian, alzandosi e andando alla finestra, ove Solinari e Lunitari splendevano- Bisogna trovarli e sradicarli. Sono una piaga, un insulto a tutte le nostre leggi.»
Raistlin si alzò dalla poltrona appoggiandosi al Bastone di Magius.
«Sono d’accordo.- mormorò- Anche per questo ci serve Crysania. E la magia di mia sorella, ovviamente. Ma anche a questo porremo rimedio.»
Par-Salian si voltò verso di lui, cupo.
«Raistlin, non spingere troppo in là quella giovane. Non costringerla a correre per starti dietro. La ucciderai.» mormorò. Raistlin sentì suo malgrado una forte irritazione pervaderlo nel sentire quelle parole.
«Se hai finito le accuse, per stasera mi ritiro.- disse, sprezzante- Sono stanco. Domani tornerò a Palanthas. Voi fate quello che dovete e lasciate a me il resto. Non mettetemi i bastoni tra le ruote.»
«Non ti sei mai soffermato sugli avvertimenti altrui, non è vero?»
«Sicuramente non sui tuoi, Par-Salian. Non ne ho bisogno. Buonanotte.»
Raistlin scivolò fuori dalla stanza prima che l’irritazione si trasformasse in rabbia, dandogli il la per fare o dire qualcosa di azzardato di cui poi si sarebbe pentito. Per il momento aveva bisogno del sostegno dei maghi di Wayreth. Uccidere Par-Salian non era esattamente il modo migliore per assicurarselo. Lo irritava anche che fosse stato mandato Justarius a rappresentare il Conclave al processo contro Crysania. Non ci voleva un genio per capire come una tale mossa avesse grande valenza politica.
Justarius rimaneva il rivale principale di Katlin nella gara per la poltrona più importante e, dopo aver subito una sconfitta nel campo della magia durante gli esami sostenuti dalla donna di Yolta, Par-Salian aveva ritenuto necessario far sapere che la Veste Rossa aveva la fiducia e l’appoggio di chi stava per lasciare l’ambita carica.
“Non intralcerete i miei piani. Katlin diventerà signora di questa torre, che vi piaccia o no.” pensò, entrando in camera sua.
«Shirak.» mormorò, facendo splendere la gemma del Bastone di Magius. Non voleva accendere fuochi né candele e la luce fredda del bastone lo calmava. Si sedette vicino alla finestra, guardando l’ombra di Nuitari nel cielo nero. I tre aspetti della magia, i tre volti tangibili delle vie percorribili dai mortali, sembravano fissarlo dall’alto, come a volergli dare un messaggio rassicurante. Gli Dei della Magia gli erano ancora accanto e Raistlin sentiva che essi attendevano la rinascita di sua sorella. La magia non aveva abbandonato Katlin in via definitiva. Poteva tornare in suo possesso. Se solo quell’idiota avesse seguito Dalamar, invece di farsi soffiare la pietra rossa da sotto il naso, in pochi giorni di lavoro avrebbero potuto risolvere la questione!
Si passò la mano sulla fronte, spianando le rughe di contrarietà. Più ci pensava, meno credeva che la gemma fosse stata rubata. Si era salvata in maniera indipendente dall’attacco dei Grigi. Ma come? Dov’era andata a cacciarsi? Sperava che Katlin, avendo subito l’attacco in prima persona, si fosse fatta un’idea più precisa.
«Lunitari, resta accanto a quella tua sciocca discepola.- mormorò, fissando la luna rossa- Statele tutti accanto. Brancola nel buio e deve ritrovare la via.»
Una voce maligna gli chiese come potesse essere tanto sicuro di sapere quale fosse la via di Katlin, ma la scacciò con risolutezza. Sapeva valutare gli esseri umani e Katlin doveva essere una maga. Era il suo destino. Il sangue non mentiva. Chiuse per un attimo gli occhi, stanco, cercando un’immagine che lo calmasse. Gli venne in mente Crysania e avvertì uno spasmo di sofferenza, una mancanza.
Desiderava vederla, toccarla, parlare con lei. Erano separati da troppo tempo. Pensare che aveva creduto di poter vivere senza di lei, quando era tornato dall’Abisso…a chi voleva darla a bere? Desiderava Crysania con tutto se stesso, voleva il dominio assoluto sulla sua mente e sul suo cuore. Solo a causa dei suoi piani, della freddezza dei suoi calcoli, riusciva a starle lontano.
«Presto sarai solo mia.- disse alla stanza vuota, con un sorrisetto- Una volta fuori da quella Chiesa di inetti, ti avrò finalmente per me.»
Cullato dalle dolci immagini di lei, Raistlin si appisolò. Le Lune vegliarono il suo sonno, per una volta tranquillo.

***

Crysania era in piedi di fronte a un’assemblea di chierici, una decina di membri che militavano nella Chiesa fin dalla sua fondazione da parte di Elistan. Il suo ex-segretario era in piedi e le leggeva i capi d’accusa. Si trattava di una sorta di assemblea preliminare per far conoscere all’accusata e a coloro che avrebbero fatto da giudici quali erano le trasgressioni di cui si sarebbe discusso. Simili situazioni erano state regolate da norme precise sulla carta, ma fino a quel momento non era mai stato necessario ricorrervi. I chierici sembravano molto a disagio al pensiero di dover giudicare la Reverenda Figlia, ma al contempo il solo nome di Raistlin Majere andava a colpire i loro più pii sentimenti, offendendoli. Crysania pensava che alla fine di quel piccolo circo Teleco avrebbe ottenuto quello che voleva: sbatterla fuori dall’Ordine e accaparrarsi le simpatie degli anziani grazie alla sua crociata di paladino della giustizia in previsione delle successive elezioni.
“Purtroppo, non posso farci molto.” pensò, suo malgrado impensierita dal futuro che si delineava per la Chiesa di Paladine.
«In breve, questo implica una relazione di natura non consona tra la nostra Reverenda Figlia e la terribile Veste Nera. Un tale legame può solo macchiare il buon nome della nostra Chiesa. L’onta dev’essere ripulita.- finì Teleco- La Reverenda Figlia Crysania ha già ammesso di essere colpevole e questo chiede una punizione immediata ed esemplare. È tutto.»
Si sedette, un po’ arrossato per l’enfasi. Gli anziani si guardarono, cercando di evitare lo sguardo limpido e diretto degli occhi grigi di Crysania. Uno di loro si schiarì la voce e prese la parola.
«Reverenda Figlia…quanto è avvenuto è oltremodo increscioso, per noi e per l’Ordine. Non possiamo soprassedere.» mormorò.
«Allo stesso tempo, vorremmo evitarvi una vergogna. Siete sempre stata una persona di misericordia, avete operato miracoli per il nostro Dio e non desideriamo farvi alcun male.- precisò un altro, giungendo le mani sul tavolo come se la stesse pregando- Questa vostra relazione con il mago non è ancora giunta alle orecchie della comunità. I chierici minori credono che voi siate indisposta da qualche giorno, niente di più. Vorremmo proporvi un patto, al fine di evitare uno scandalo.»
«Un patto?» chiese Crysania, perplessa, corrugando la fronte. Teleco si tese, contrariato dalla piega presa dalla conversazione.
«Quale patto?» chiese infatti, acido.
«Reverenda Figlia, vi chiediamo di troncare la vostra scandalosa relazione con Raistlin Majere.- disse uno dei chierici, deciso- Vi purificherete dalla sua immonda influenza e tornerete al vostro ruolo.» Alzò una mano per frenare le proteste di Teleco. «Ovviamente, noi anziani non potremo più riporre cieca fiducia in voi, non potete chiederci tanto. Riteniamo perciò necessario che voi affrettiate la scelta di un successore, a cui passerete carica e responsabilità in maniera discreta, ritirandovi poi a vita privata.»
«A vita…privata?» mormorò Crysania, basita dalle richieste dei chierici.
«Vivrete una vita tranquilla e santa, lontana dalla Chiesa ma sempre nell’abbraccio di Paladine, Reverenda Figlia.- la incalzò un chierico dalla barba grigia, sorridendo- Manterrete il vostro prestigio, il vostro buon nome non sarà mai macchiato. Il vostro peccato non lascerà mai questa stanza, Reverenda Figlia. Krynn continuerà a portarvi rispetto.»
«Rispetto?» sussurrò ancora Crysania. I chierici annuirono, pensando a torto di aver fatto breccia nella sua testardaggine, di averle fatto una buona offerta. Non si erano accorti delle sue guance arrossate, della luce ardente che le aveva acceso gli occhi. Il suo corpo stava tremando d’indignazione.
«Fratelli, tutto ciò è molto generoso, ma…» tentò di protestare Teleco.
«Suvvia, fratello Teleco. La cosa più importante è…»
«Mi rifiuto.» la frase decisa di Crysania li zittì. La chierica si alzò in piedi, cercando di non stringere i pugni, di non rendere troppo aspra la voce pur se avrebbe voluto schiaffeggiarli tutti. «Mi rifiuto di accettare la vostra proposta. Io non rinnegherò mai i miei sentimenti per Raistlin. Per essi, sono pronta ad affrontare il giudizio della comunità.»
«Reverenda Figlia…»
«Questo è ciò che mi dice il cuore. Non ho intenzione di rinnegare un sentimento che è stato benedetto persino da Paladine! Non credete che avessi già avuto il discernimento di decidere di abbandonare la mia carica per non mettervi in imbarazzo? Perché credete che abbia fatto tanti colloqui, viaggiato tanto negli ultimi due anni?!- continuò lei, indignata e suo malgrado ferita dalla loro incapacità di capire- Vi avrei lasciato in buone mani, ma non vi avrei mai abbandonati senza essere sicura di aver trovato un’anima toccata da Paladine! Ora, però, mi rifiuto. Mi rifiuto di andarmene come una ladra, nell’inganno e nella mistificazione della verità. Vergognatevi, fratelli, perché avete chiesto ad una vostra sorella di tradire il suo cuore. Non è questo che la via della Luce ci insegna!»
«Cercate solo di imbrogliare le carte, Reverenda Figlia! Amare una Veste Nera non può essere previsto nella via della Luce!» sbottò Teleco, alzandosi a sua volta in piedi.
«Come può un mortale dire ciò che è giusto e ciò che non lo è?!- lo censurò Crysania- Ho portato sulle mie spalle il peso di questo sentimento, l’ho combattuto…anche io la pensavo come voi…ma era proprio la luce, era l’amore a spingermi verso Raistlin! Grazie a questo sentimento i suoi piani di distruzione sono saltati, grazie ad esso abbiamo la forza di combattere Takhisis, che sta riprendendo le forze! L’amore ci conduce a Paladine! Non riuscite a capire, fratelli, che non è una questione d’orgoglio, un capriccio? È il mio destino seguire quell’uomo. Non vi rinuncerò per salvarmi la faccia!»
Riprese fiato, sconvolta, nel silenzio attonito degli altri chierici, che non l’avevano mai vista parlare con tanta veemenza. I chierici abbassarono il capo. Teleco storse la bocca, come se avesse morsicato un limone, poi parlò.
«Queste dichiarazioni tagliano la testa al toro, fratelli. Non ci rimane altra scelta che denunciare la Reverenda Figlia all’intera comunità ed emettere un verdetto sulla punizione che le spetta.» disse.
«Teleco, purtroppo, ha ragione. Reverenda Figlia, non ci lasciate altra scelta.» sospirò uno dei chierici anziani. Crysania annuì.
«Fate ciò che credete meglio.» disse soltanto, alzando una mano per stringere forte il medaglione sacro. Non aveva paura. Sentiva di essere nel giusto. Solo, le procurava dolore sapere di perdere in quel modo ogni influenza sulla Chiesa, che invece di continuare la lotta contro le forze del Male si sarebbe chiusa a riccio sulla propria purezza.
“Raistlin…se solo potessi vederti.” pensò. Lui le avrebbe dato coraggio, l’avrebbe fatta sentire protetta…Ma no. Quello era il suo mondo, la sua responsabilità. Doveva, e poteva, cavarsela da sola. Mentre tornava in camera sua, l’affiancò la chierica che le faceva da ancella nel periodo in cui i suoi occhi erano ciechi.
«Due missive per voi, Reverenda Figlia.» mormorò, mettendole in mano due fogli e allontanandosi velocemente, sapendo che ovunque c’erano occhi e orecchie indiscreti. Crysania non smise di camminare e guardò le due lettere solo una volta che fu al sicuro nella sua stanza. Una delle due missive era scritta su pergamena con una scrittura regolare e con sua somma sorpresa risultò venire dalla Torre di Wayreth. Il mago Justarius la informava che i maghi del Conclave non avevano intenzione di lasciarla sola ad affrontare il giudizio dei confratelli. La Veste Rossa l’avrebbe presto raggiunta per dare la sua versione dei fatti e fare pressioni perché non la esponessero alla pubblica vergogna.
L’altra lettera la sorprese ancora di più. Era di Katlin, come le comunicò subito la sua scrittura inclinata e nervosa, verticale. Diceva: “Crysania, sono arrivata adesso a Palanthas. Domani mattina al più tardi passerò a trovarti. Non ti mancherà il mio supporto. Abbi fiducia.”
Katlin a Palanthas?! Di già?! Questo la sollevò un po’. Avere il supporto della sorella di Raistlin l’avrebbe fatta sentire meno in balia degli eventi.

***

«E questo cosa starebbe a significare?! So benissimo di aver combinato un pasticcio, grazie tante!» sbottò Katlin, appallottolando il messaggio di Raistlin e lanciandolo dall’altra parte della stanza.
«Se hai finito di gridare…» disse Dalamar, sarcastico, raccogliendo il foglio e allargandolo per leggerlo a sua volta. Katlin arrossì e incrociò le braccia sul petto, seccata. Non aver trovato Raistlin alla Torre l’aveva messa in ansia e scoprire che il fratello le aveva lasciato un messaggio di chiaro rimprovero l’aveva fatta sbottare. Dalamar lesse la nota del suo Shalafi, scrutando di sottecchi la giovane maga, che indossava di nuovo la veste rossa e stava ora andando alla finestra, passandosi le dita tra i capelli castani.
«Hai già fatto, in parte, ciò che ti ha chiesto.- disse infine- Hai capito dov’è finita la gemma, no?»
«Sì.- disse lei, senza voltarsi, poi sospirò- Avrei comunque preferito che fosse qui.»
Dalamar evitò di dire che l’avrebbe preferito anche lui. Erano arrivati da qualche ora, si erano riposati e Katlin aveva mandato un messaggio a Crysania per farle sapere della sua presenza a Palanthas. Si stava facendo sera, ora, e loro erano soli. L’elfo oscuro credeva che anche lei ne fosse dannatamente consapevole.
«Vado da Crysania.» disse infatti, di colpo, lasciando la finestra e camminando verso la porta.
«Non ti faranno entrare. È tardi. Ti faranno storie anche domani, in pieno giorno; figurati di sera.» la fermò lui. Lei, inaspettatamente, si arrese subito.
«Hai ragione.» sospirò. Si sedette al tavolo, cincischiando con i bordi di uno dei libri che vi erano posati. «È solo che ho fretta. Molta.»
«Se davvero la tua pietra è finita nel passato, non hai motivo di avere tutta questa premura. Una volta compiuto il viaggio, potrai tornare nel flusso del tempo poco dopo la tua scomparsa dal presente. Me ne accerterò io.» disse Dalamar, con gli occhi ancora fissi sulla lettera del suo Shalafi. Non occorreva un genio per capire quanto quell’accavallarsi di difficoltà stesse esacerbando la pazienza dell’arcimago.
«Grazie.- rispose automaticamente Katlin, per poi corrugare la fronte con perplessità- Perché, hai intenzione di essere tu l’esecutore dell’incantesimo temporale?»
«Non all’andata, no. Lo Shalafi è più potente e accurato di me.» rispose l’elfo con noncuranza, smettendo di far finta di leggere e avvicinandosi alla sua sedia.
«E allora cosa…»
«Intendo occuparmene al ritorno, mia cara.» mormorò Dalamar. Il suo tono di voce e il fatto che si fosse avvicinato tanto da incombere su di lei le diedero i brividi.
«Al…ritorno?- chiese, avvertendo un brivido di gelo- Mi stai dicendo che…»
«Esatto, Katlin. Ho deciso di fare questo viaggio insieme a te. Sono certo che lo Shalafi non me lo rifiuterà.» finì per lei il mago. Un sorriso gli stirò le labbra nel vedere il viso di Katlin impallidire in un’espressione che conteneva in eguali quantità orrore e panico. Per la prima volta dopo tanto tempo, Dalamar ebbe la soddisfazione di aver lasciato senza parole la testarda e incomprensibile sorella del suo Shalafi.

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Capitolo 19
*** 19 - Ritorno all'ordine ***


Author’s note: Si prospetta un viaggio nel tempo parecchio problematico…Dalamar ha accolto il suggerimento di Tasslehoff, ma Katlin non è assolutamente d’accordo!

CAPITOLO 19

RITORNO ALL’ORDINE

Dalamar aprì lentamente gli occhi, poi si svegliò del tutto e per prima cosa sospirò, chiudendo di nuovo le palpebre. Era stanco e di pessimo umore. Brutto modo di cominciare la giornata. Si girò sulla schiena, facendo frusciare il lenzuolo, e si strofinò la faccia con le mani. Non aveva nemmeno voglia di alzarsi.
La sera prima si era conclusa con una litigata con i fiocchi: Katlin gli aveva proibito di seguirla nel passato, lui le aveva ribadito che avrebbe insistito con lo Shalafi per accompagnarla e nessuno dei due si era mosso dalla propria posizione, limitandosi ad alzare sempre più il volume della voce, finché non si erano mandati al diavolo a vicenda, chiudendosi ognuno nei propri appartamenti per non doversi più guardare in faccia. Dalamar aveva ancora la gola un po’ infiammata per tutto quel vociare. Sul momento si era perfino divertito, ma durante la notte era scivolato in una sorta di stato depressivo. Non ne poteva più di litigare con lei.
Si voltò su un fianco, tirando indietro i capelli neri con una mano e corrugando la fronte. Quella sciocca situazione aveva riacceso in lui i sentimenti per Katlin. Era inutile che tentasse di nascondersi dietro l’odio e il rancore. Quelli c’erano ancora, senza dubbio. Non era tipo da dimenticare o perdonare gli affronti subiti e Katlin l’aveva umiliato più di una volta. Non aveva avuto fiducia in lui e nel suo amore, preferendo troncare la loro relazione come una pianta malata piuttosto che cercare di condividere il peso che la sua missione le aveva messo sulle spalle. Dalamar non gliel’avrebbe mai perdonato.
Allo stesso tempo, il timore di vederla consegnarsi a un altro uomo e averla potuta stringere di nuovo tra le braccia avevano riacceso in lui la passione…e l’affetto, inutile negarlo. La voleva accanto a sé. La desiderava come donna, come amica, come collega. Gli Dei sapevano quanto avrebbe preferito abbracciarla, piuttosto che inveirle contro. Quella notte aveva continuato a pensare ai momenti che avevano vissuto insieme. Aveva ricordato come si fosse introdotta nella Torre la prima volta, ingannandolo fin dall’inizio per evitare di essere uccisa come semplice intrusa. Poi il viaggio compiuto alla ricerca dei pezzi dello Scettro dei Tre, le serate passate a guardarla disegnare alla luce del fuoco, la preoccupazione crescente nel notare il deperimento del suo corpo posseduto da Takhisis. Era stato terribile pensare di averla persa, quand’era sembrato che niente le avrebbe concesso di vivere, e poi sapere che sarebbe tornata nel suo mondo privo di magia.
Si era baloccato con le immagini della loro notte a Solace, trascorsa camminando fianco a fianco e parlando senza stancarsi mai, segnando con le loro impronte il manto nevoso. Aveva riportato alla mente i loro rari baci, l’unica occasione in cui era stata sua anima e corpo. Gli bastava pensarci perché la pelle gli bruciasse di desiderio insoddisfatto. Fece un sorriso amaro e si alzò a sedere.
“Chi l’avrebbe mai detto? Se avessi saputo che mi sarebbe entrata dentro con tale intensità, avrei fatto meglio a ucciderla quella notte, quando si è introdotta nella Torre.” si disse, cinico, mentre cominciava a vestirsi. Sicuramente si sarebbe risparmiato un sacco di grane. Mentre afferrava la veste, l’occhio gli cadde sul gioiello a forma di stella che durante la notte era scivolato sul pavimento. Ci aveva giocherellato durante i momenti insonni e doveva essersi addormentato tenendolo in mano. Si infilò la veste, poi si chinò a raccoglierlo.
Trattenne un sospiro. Chissà se lei si era svegliata? Che nottata aveva passato, dopo la loro litigata? Di che umore era?
«Viyushalor.» comandò, desiderando prepararsi al loro incontro. Quando la vide all’interno del gioiello magico, fu solo parzialmente sorpreso. Katlin non era alla Torre. Stava discutendo con un chierico di Paladine. Era seduta su una sedia e osservava con gelo totale l’agitazione dell’uomo in veste bianca, rispondendo brevemente di quando in quando. Katlin era già uscita per andare a trovare Crysania, probabilmente con il preciso intento di evitare di vederlo per quella mattina. Dalamar scosse la testa, rassegnato: credeva che il chierico avesse ben poche possibilità di impedirle di vedere la Reverenda Figlia. Quando la sorella dello Shalafi si metteva qualcosa in testa, fermarla era praticamente impossibile. Quando era arrabbiata, poi, meglio farle largo senza tante storie.
«Ho tutto il tempo di recuperare un po’ di raziocinio, dunque.» mormorò, con un sorrisetto sarcastico per se stesso. Infilò il visore in tasca e fece per allacciarsi in vita la cintura, quando un volto pallido e incorporeo comparve accanto alla porta della sua camera. Corrugò la fronte. «Cosa c’è?» chiese l’elfo oscuro, perplesso.
«Il Maestro è tornato.» sussurrò lo spettro, prima di scomparire.
«Sia ringraziato Nuitari.» disse Dalamar, affrettandosi e uscendo dalla propria camera. Il ritorno di Raistlin gli semplificava le cose…anche se temeva di andare incontro a una lavata di capo epocale. Immaginando di trovare lo Shalafi nello studio, vi si diresse senza indugio. Come prevedeva, la sua voce lo invitò ad entrare prima ancora che potesse sfiorare la porta per bussare. Entrò, scrutando con circospezione il volto dello Shalafi per cercare di capire quale pericolo immediato correva. Lo vide corrucciato, stanco, ma forse non arrabbiato come lui e Katlin avevano temuto. Forse. Con lo Shalafi non si poteva mai dire.
«Bentornato, Shalafi. Siete stato alla Torre di Wayreth? Ci sono novità?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle. Raistlin non gli rispose subito, continuando invece a fissarlo. Brutto segno.
«Dovrei essere io a chiederti se ci sono novità, Dalamar.- sussurrò infine Raistlin, con voce pericolosamente bassa- Anzi, avrei apprezzato che una spiegazione esauriente alla tua negligenza e alla sua assenza fosse stata la prima cosa ad uscirti di bocca in mia presenza.»
Dalamar impallidì e deglutì a fatica. Aveva pensato che lo Shalafi non fosse arrabbiato?! Eppure ormai avrebbe dovuto imparare a non sottovalutarlo!
«Avendo letto la vostra nota a Katlin, ho immaginato che foste al corrente di quanto è accaduto.» rispose, con voce troppo rauca per i suoi gusti.
«So cosa è avvenuto, ma gradirei sapere perché entrambi mi avete disobbedito. E dov’è quella sventata di mia sorella?!» sbottò Raistlin, con una smorfia, per poi iniziare a tossire violentemente. Soffocò i singulti nella manica, fissando il suo apprendista con gli inquietanti occhi dorati.
«Katlin è in visita a Dama Crysania, al momento. Ha voluto portarle prima possibile una prova concreta del suo supporto.» si affrettò a rispondere Dalamar, sperando che la notizia avrebbe migliorato lo stato d’animo dello Shalafi. A queste parole, Raistlin gli fece cenno di sedersi e raccontare. Dalamar riassunse gli eventi degli ultimi giorni in poche parole.
«Perciò quel Cavaliere di Solamnia ha fatto breccia nella corazza di Katlin?» chiese infine Raistlin, schiarendosi la gola infiammata.
«Anche troppo.- ammise l’elfo oscuro, con una smorfia- La scomparsa della gemma, però, l’ha richiamata all’ordine. Non ha esitato a lasciare i nuovi affetti per tornare qui e trovare con voi una soluzione.»
«Il passato, quindi?- ponderò Raistlin, corrugando la fronte- Sì, credo che Katlin abbia trovato la soluzione a questo enigma. Stupefacente che sia stato Tasslehoff a fornirle la giusta chiave…ma ormai so quanto sia sbagliato sottovalutare i kender. Soprattutto quel kender.»
«Lo sto imparando anche io.» ammise Dalamar, riluttante. Raistlin sollevò un sopracciglio, sarcastico.
«E le ultime parole al Cavaliere? Cosa si sono detti?» chiese.
«Non lo so. Non ero presente, Katlin si è allontanata con lui. L’espressione dei loro volti al ritorno non esprimeva alcuna gioia, quindi immagino l’abbia scaricato…o gli abbia imposto di aspettare che questa questione si risolva.- ammise l'elfo oscuro, avvertendo di nuovo i morsi della gelosia- Direi che per il momento possiamo evitare di preoccuparcene.»
Raistlin annuì per chiudere l’argomento, anche se il suo apprendista non faticò a capire che gli aveva letto in volto quanto per lui la storia fosse ben lungi dall’essere stata accantonata. Raistlin si alzò, andando agli scaffali per recuperare alcuni dei libri di Fistandantilus.
«Il passato…Solace durante la nostra adolescenza.- mormorò, riportando alla mente i dettagli dell’incantesimo temporale e le immagini di quel tempo lontano- In tre giorni sarò in grado di mandarla laggiù. Nel frattempo sarà il caso di risolvere la situazione di Crysania.»
«Ormai saranno prossimi al processo. Cosa vi ha detto il conclave, Shalafi?» chiese Dalamar.
«La supporteranno, il suo potere spirituale e politico fa di lei un alleato troppo prezioso nella lotta ai nuovi maghi di Takhisis perché possano permettersi di perderla.- disse Raistlin, sarcastico, ricordando l’ultimo colloquio con Par-Salian- Hanno mandato Justarius. Dovrebbe arrivare in città domani.» Non si sorprese di vedere Dalamar corrugare la fronte. Il suo apprendista non era stupido: si era accorto subito di quale significato avesse quella manovra.
«Fortunatamente Katlin è stata la prima a presentarsi a Crysania.» mormorò infatti, pensieroso.
«Sì, con questa mossa si è in parte fatta perdonare le dabbenaggini precedenti.» disse l’arcimago, con una smorfia infastidita sul volto. In realtà avrebbe voluto prenderla a schiaffi, ma non aveva tempo per queste cose. C’erano fin troppe cose di cui occuparsi, in quei giorni. «Aspetterò che deponga a favore di Crysania, poi la manderò indietro, nella speranza che Tas non si sia del tutto bevuto il cervello.»
«Riguardo a questo, Shalafi…»
Raistlin, che aveva già aperto un libro, alzò lo sguardo seccato sul suo apprendista.
«Vorrei che mi mandaste con lei.» si spremette Dalamar tutto d’un fiato, raccogliendo il coraggio necessario a insistere con il suo Shalafi.
«Ah. E come mai?- gli chiese Raistlin dopo un attimo di silenzio- Perché dovrei fare la fatica di spedire due maghi indietro nel tempo?»
«Potrò riportarla al presente con la mia magia.» disse subito Dalamar. Raistlin sollevò appena un sopracciglio.
«Basterà affidarle un congegno magico come quello che Par-Salian diede a Caramon, originandomi tanti guai. Qui non abbiamo kender che possano creare confusione.» tagliò corto l’arcimago.
«Avrà bisogno di difesa…»
«A Solace? In quel periodo? Non credo proprio.- lo stuzzicò Raistlin, stringendo gli occhi dorati come un gatto che punta la preda- Sarà al sicuro. Se la sa cavare, se c’è da menare le mani, e a Solace l’unico mago in circolazione ero io. A voler essere precisi, non ero nemmeno un apprendista.»
Dalamar strinse le labbra in una linea quasi invisibile. Sapeva che lo Shalafi non gliel’avrebbe resa facile, ma era pronto ad essere sincero, per una volta.
«Desidero avere un’altra possibilità, con lei.» disse, senza abbassare lo sguardo. Gli occhi di Raistlin sembrarono volergli entrare nell’anima e l’elfo non riuscì a reprimere un brivido mentre avvertiva un sordo pulsare nella testa, come se lo Shalafi stesse scartabellando tra i suoi pensieri. Sapeva che era solo una sensazione, ma sorprendentemente realistica.
«Finalmente.- disse Raistlin, sorprendendolo, mentre si lasciava andare contro lo schienale e univa davanti al viso la punta delle dita, continuando a scrutarlo- Hai deciso di smetterla di girarci intorno, almeno tu.»
«Con…con qualche spinta esterna, lo ammetto.- mormorò Dalamar, deglutendo a fatica nel rendersi conto di averla scampata- Ho la vostra approvazione?»
«Sì.- rispose subito Raistlin, senza girarci intorno- Così come siete, riuscite solo a rendervi inutili e a far scomparire nell’oblio la vostra intelligenza.» Riaprì il libro. «Permesso accordato. Vedi di far fruttare l’occasione, Dalamar.»
«E…se lei dovesse protestare?» chiese Dalamar, titubante. Quando lo Shalafi alzò lo sguardo, sarcastico, aggiunse: «Ieri sera mi ha gridato che niente la costringerà ad avermi a fianco in questa ricerca.»
Raistlin piegò la bocca in un sorrisetto privo di allegria.
«Lei farà quanto le ordinerò. E adesso lasciami lavorare, Dalamar.» disse, gelido.
Dalamar annuì e si alzò, lasciando velocemente la stanza. Non avrebbe voluto essere nei panni di Katlin: Raistlin li stava muovendo come pedine, ma per una volta questo andava a vantaggio dell’elfo oscuro. Il gelo bruciante di quelle pupille a clessidra gli aveva comunicato che la pazienza dell’arcimago verso la testarda sorella era ormai giunta al termine.


***


Crysania sentì dei passi fermarsi appena fuori dalla porta dei suoi appartamenti. Qualcuno bussò.
«Avanti.» disse, alzandosi dall’inginocchiatoio su cui era rimasta da quando si era svegliata, quella mattina. Rivolgeva preghiere a Paladine per fortificare il suo spirito. Il processo era vicino, ormai: il giorno dopo la sua umiliazione pubblica sarebbe cominciata. Voleva affrontarlo a testa alta, sicura della benedizione di Paladine. Non seppe se vergognarsi un po’ quando le spuntò un sorriso sulle labbra, nel vedere Teleco aprire la porta con un’espressione imbronciata sul volto. Qualcosa doveva averlo contrariato.
«Reverenda Figlia, c’è…una visita.- brontolò il suo ex-segretario- Vi lascio mezz’ora, non di più. E’ già scandaloso che dei maghi entrino nel Sacro Tempio…»
“Maghi?” pensò Crysania, avvertendo un piccolo tuffo al cuore. Sapeva che non poteva trattarsi di Raistlin, la reazione di Teleco sarebbe stata sicuramente molto più…interessante, per usare una parola cara a Tasslehoff, ma non aveva potuto fare a meno di pensare subito a lui. Forse si trattava di un mago del Conclave, Raistlin l’aveva avvertita che avrebbe cercato di coinvolgerli nella sua difesa. L’unica visita che aspettava era quella di Katlin, ma la giovane non indossava la veste da un anno, ormai…
Rimase sorpresa di essere sbugiardata dall’apparire del volto della terza gemella Majere, che indossava le sue vesti rosse con ritrovata sicurezza.
«Katlin!- esclamò, andandole incontro- Benvenuta!»
«Crysania, sono felice di vederti.- disse lei, con un sorriso, per poi congedare un paonazzo Teleco con un gesto noncurante- Grazie, ora puoi lasciarci sole.»
«Mezz’ora!» ribadì Teleco, altezzoso, chiudendo la porta. Katlin sogghignò.
«Suscettibile, il chierico. Come se potesse sbattermi fuori di qui, volendo…» mormorò, divertita.
«Katlin, hai…hai recuperato la magia?!» chiese Crysania in un sussurro. La giovane donna, però, scosse la testa.
«Anzi, l’ho persa del tutto! Ho perso la gemma rossa, ma la recupererò presto.- spiegò, vedendo Crysania sbiancare- Questo, paradossalmente, mi ha restituito qualche certezza. Sediamoci, ti spiego tutto.» In poche parole, le raccontò gli avvenimenti delle ultime settimane. «…e come risultato, mi toccherà fare un viaggio indietro nel tempo. Ce la farò, non ho dubbi. Sono sicura che Tasslehoff ha visto giusto.»
«Che Paladine ci illumini la via…è un brutto momento perché tu sia così indifesa. Senza contare il giovane Steel in viaggio senza protezione magica! Dovremmo essere tutti a fianco dei Cavalieri di Solamnia, a vigilare, invece di perdere tempo così.» disse Crysania, alzandosi e andando alla finestra. Guardò i prati ben curati del Tempio, ove andavano e venivano i fedeli. «Sono tutti ignari delle trame del Male, mentre pare che siano quasi pronti a sferrare il primo attacco. Ciò che mi sta accadendo non aiuta.»
«No, infatti. Bisogna concludere la faccenda una volta per tutte.- sbuffò Katlin- Domani deporrò al tuo processo. In un modo o nell’altro, ne uscirai pulita.»
Crysania si voltò a guardarla e, incontrando quelle iridi grigie, il volto della maga si addolcì.
«Non mi fraintendere, Crysania. Sai che io, fra tutti, non ho mai considerato la tua storia con Raistlin una cosa malvagia.» le ricordò, con un sorriso mesto. La chierica annuì, arrossendo appena. In effetti, era stato solo grazie a Katlin se i due avevano avuto un’altra occasione e non l’avevano sprecata.
«Lo so, ma…sono giorni che mi sento ripetere quanto ho sporcato la mia anima. Sono un po’ scossa.» sussurrò, passandosi una mano sul volto. Katlin si alzò e la raggiunse alla finestra. Guardò fuori per un attimo, cupa.
«E’ proprio quello che vogliono. Non glielo concedere. Tu sei la salvezza, per Raistlin, e lui ti completa. E’ quanto di più meraviglioso possa accadere a due esseri viventi.» disse, dura. Crysania scrutò il suo sguardo fisso in lontananza, le linee di preoccupazione sul suo volto incorniciato dalle ciocche di capelli bianchi. «Anche io sono confusa.- continuò Katlin, come se non si fosse accorta di essere sotto esame- Sono confusa da troppo tempo, forse, e se ne sono approfittati tutti. E’ tempo di tornare ad essere forte. Forse…avevo solo paura di sapere cosa volevo e di lottare per riconquistarlo.»
Si voltò verso Crysania. Lei le posò una mano sulla spalla, sorridendo.
«Ora lo sai.» disse. Non era una domanda. Katlin fece un sorriso amaro.
«Temo di sì. Inizierò con il tornare una maga. Su questo non si transige, non tradirò gli Dei della Magia quando hanno più bisogno di alleati. Quello che accadrà dopo…»
«Crysania!» sbottò una voce, mentre la porta si apriva di colpo, sbattendo. Crysania registrò il movimento repentino di Katlin che si spostò davanti a lei con due pugnali in mano, pronta a difenderla, poi riconobbe il nuovo ospite.
«Tanis?!» esclamò, facendo rilassare Katlin, che rise nel vedere Teleco arrivare di corsa, così indignato da essere senza parole.
«Tanis, sei stato perfino più scortese di me con quel pover’uomo?» sghignazzò la maga, riponendo le armi.
«Gli ho solo messo fretta. Chiedo scusa, chierico Teleco.- disse Tanis, riprendendo fiato e facendo un cenno con la testa all’ex segretario di Crysania per poi entrare nella stanza e chiudersi la porta alle spalle- Crysania…mi hanno detto del processo. Non temere, farò sentire anche la mia voce.»
«Grazie, Tanis, Sei un amico.» disse Crysania, commossa, prendendo tra le sue le mani del Mezzelfo. Lui sorrise, mesto. Non aveva mai approvato l’influenza di Raistlin su chicchessia, ma gli Dei sapevano che quella giovane donna aveva sofferto anche troppo.  Si rivolse a Katlin.
«Tu non dovresti essere in viaggio con Steel e Sharphalberd, il Cavaliere di Solamnia?» chiese, corrugando la fronte.
«Arriveranno a breve, insieme a Caramon e Tas. Io ho dovuto precederli a causa di un…problemino sorto lungo la strada. Ti contatteranno, al loro arrivo.» tagliò corto Katlin, scrollando le spalle.
«Mi ha sorpreso sapere che non hai rimandato il Cavaliere a casa con le pive nel sacco.- ammise Tanis- Steel…voleva venire a nord, vero? Ha voluto tentare la strada di suo padre? L’ho capito non appena mi è giunta notizia della vostra partenza.»
Katlin annuì e il suo viso si incupì percettibilmente.
«Sì, non ho avuto cuore di proibirglielo. Deve scegliere da solo la sua strada.»
Tanis le posò una mano sulla spalla.
«Hai fatto bene.» le disse soltanto, ma a Katlin fece piacere. Anche Tanis teneva a Steel e le sue parole di approvazione le giungevano gradite.
«In quanto al Cavaliere, - continuò Katlin- non è una cattiva persona. Anzi, forse è uno degli uomini migliori che abbia mai conosciuto.» Si interruppe, stringendo le labbra, e Tanis e Crysania si scambiarono un’occhiata sbalordita. Katlin scrollò le spalle come per liberarsi di un pensiero e sorrise. «Bene, Crysania, ti lascio in compagnia di Tanis. Torno alla Torre, Raistlin potrebbe essere rientrato. Ci vediamo domani per il processo.»
Con un cenno di saluto, uscì dalla stanza, lasciando soli il Mezzelfo e la chierica, che si scambiarono un’altra occhiata sconcertata. Non avevano mancato di notare la traccia d’affetto nella voce di Katlin quando aveva parlato del Cavaliere.
«Credevo che Kat odiasse i Cavalieri di Solamnia.» disse Tanis, perplesso.
«Infatti. Credo…- mormorò Crysania, più preoccupata di prima- credo che Katlin non mi abbia raccontato tutto quello che è successo durante il suo viaggio.»


***


Katlin attraversò il Bosco di Shoikan quasi correndo, le labbra strette in una linea sottile. Il fatto che fosse senza magia non agevolava il passaggio e la protezione di Raistlin era ormai vecchia. Meglio non attardarsi in mezzo a spettri che ancora le portavano rancore per non aver potuto bere il suo sangue anni addietro…
Non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nello sbucare davanti all’ingresso della torre, per quanto non avesse alcuna voglia di litigare nuovamente con Dalamar. Aveva accarezzato l’idea di prendere alloggio a Palanthas, ma Raistlin non gliel’avrebbe perdonato e aveva già collezionato abbastanza motivi per farlo arrabbiare. Non appena fu all’interno dell’edificio, qualcosa dentro di lei le comunicò che suo fratello era tornato. Sentiva la sua presenza, come se riempisse ogni angolo. Raistlin era davvero, a tutti gli effetti, padrone di quella torre. Chiese conferma al viso spettrale che comparve all’imbocco delle scale per puro scrupolo.
«Il Maestro è tornato?»
Il volto disincarnato annuì, poi scomparve. Le portavano meno rispetto da quando non aveva più magia. Katlin salì le numerose scale che conducevano allo studio di Raistlin e quando arrivò era senza fiato. Aprì la porta. Suo fratello era chino sui libri di Fistandantilus, con una pagina tenuta a mezz’aria dalle lunghe dita dorate. Alzò gli occhi maledetti su di lei quando entrò.
«Com’è andata?» chiese. Katlin capì che si riferiva alla sua visita a Crysania.
«Domani andrò a testimoniare. E’ arrivato anche Tanis, non le mancano gli alleati.- rispose, cauta- E tu cosa mi dici?»
«Justarius sarà qui domani o dopo in nome del Conclave.» disse lui, tornando a guardare il libro.
«Ah…capisco.» borbottò Katlin. Si sedette, sulle spine. Lui non pareva intenzionato ad aggiungere altro e il silenzio cadde fra loro, pesante e gelido. Riconobbe il libro che Raistlin stava consultando. «Hai già visto Dalamar, suppongo.» disse. Suo fratello stava scrutando con attenzione gli appunti dell’antico arcimago riguardo ai viaggi nel tempo.
«Sì.» fu la sola risposta di Raistlin. Katlin rimase immobile e silenziosa, sentendo crescere la tensione. Sapeva di averlo deluso, di averlo fatto arrabbiare. Conosceva i pensieri di Raistlin meglio dei propri e quel silenzio la irritava. Avrebbe preferito che le gridasse contro, che la insultasse per il suo comportamento idiota degli ultimi mesi. Invece, niente. Ripassava incantesimi che conosceva benissimo e che presto avrebbe usato per portarla a Solace…e la ignorava. Katlin si alzò di scatto.
«Insomma, parla! Dimmi qualcosa! Lo so che ce l’hai con me, so che me lo merito, quindi…» sbottò, parandosi di fronte alla sua sedia, fremente d’ira.
Raistlin chiuse il libro con un sospiro, come se avesse a che fare con una bambina idiota, poi si alzò lentamente e guardò per un attimo con freddezza il suo volto arrossato prima di alzare la mano e schiaffeggiarla con forza. Katlin cadde a terra, troppo sbalordita dal gesto per reagire, portandosi una mano alla guancia che andava facendosi rovente.
«Così va meglio? Confido che questo basti a farti tornare in te stessa. Ti ho concesso fin troppo tempo per riprenderti dalla morte di Kyaralhana e dai tuoi problemi sentimentali con Dalamar. Ora finiscila di fare la bambina: stai svilendo i tuoi doni e la tua intelligenza.- disse l’arcimago, ogni parola una staffilata che congelava il sangue di Katlin nelle vene- Basta idiozie. Ne hai già commesse anche troppe.»
Katlin si rialzò lentamente, il volto di pietra su cui iniziava a spiccare l’impronta delle dita di Raistlin. Guardò il fratello con freddo odio, ma l’arcimago capì che era diretto contro le verità che aveva appena pronunciato più che contro lui stesso. E, in ogni caso, non gli importava. Katlin doveva darsi una sveglia.
«Molto bene. Hai riassunto al meglio la situazione.- mormorò Katlin- La vacanza è finita. Ora, cosa devo fare…Maestro?»
Raistlin sollevò un sopracciglio, sarcastico, avvertendo la fiamma riaccendersi nell’anima di sua sorella.
«Siediti.- disse- Abbiamo molte cose da fare e pochissimo tempo per portarle a compimento.»

 

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Capitolo 20
*** 20 - Il processo di Crysania ***


Author's note: La situazione è molto tesa. Per Crysania è giunto il momento di difendersi. Caramon, invece, non sa come gestire un Cavaliere innamorato...

CAPITOLO 20

IL PROCESSO DI CRYSANIA

La sala per le riunioni plenarie dei chierici di Paladine era stata usata di rado, fino a quel momento, ma come tutto il resto del Tempio mostrava all’osservatore esterno la grande cura e la ricerca del mistico che aveva fatto da base all’intero progetto architettonico. La sala era intonacata di bianco. Semicolonne segmentavano le pareti per andare poi a unirsi nelle nervature delle volte a crociera che costituivano il soffitto. Lastre lucide di marmo chiaro alte tre metri facevano da decorazione, correndo lungo tutto il perimetro delle pareti e riflettendo con un lucore latteo la luce che entrava dalle altissime finestre poste in fondo alla sala, dietro ai seggi della commissione giudicante. Le vetrate erano state costruite con cura, alternando vetri trasparenti ad altri dorati, conferendo un’atmosfera mistica alla sala. La loro posizione permetteva di sfruttare al meglio il percorso del sole nel cielo.
Nel complesso, pensò Tanis mentre prendeva posto, la sala spingeva alla riflessione e alla serenità. Peccato che, in quel momento, gli occupanti delle lunghe panche di legno fossero tutti in preda a una grande agitazione. Si voltò, sentendosi sfiorare una spalla.
«Kat! Vieni, siediti.» disse alla giovane donna, facendole posto.
«Ti guardavi attorno?» chiese Katlin, accettando l’invito. Anche quella mattina indossava la Veste Rossa ed era un pugno nell’occhio in tutto quel bianco.
«Pensavo a quanto è bella questa stanza e a quanto sia stupido quello che vi si sta per svolgere.- ammise Tanis, corrugando la fronte- Sembra assurdo che abbiano deciso di mettere alla gogna Crysania davanti a tutto l’Ordine.»
«Le lotte di potere esistono anche all’interno della Chiesa.- disse Katlin, scrollando le spalle- Vediamo di fare il possibile per farli pentire di averci messo il bastone tra le ruote.»
Tanis fece per parlare, ma si accorse di aver perso la sua attenzione. La maga stava seguendo con lo sguardo una seconda Veste Rossa che era appena entrata nella sala, subito dietro la commissione giudicante, che ora stava prendendo posto. Quando l’uomo si voltò verso di loro, si scambiarono un saluto chinando il capo.
«Un altro mago?» chiese Tanis, perplesso.
«Justarius, al momento a capo delle Vesti Rosse. Viene da parte del Conclave.» disse Katlin, con un luccichio avido nello sguardo. Tanis la guardò, perplesso, incapace di capire se quel mago piacesse o meno alla ragazza, poi decise di non chiedere nulla. Meglio non immischiarsi negli affari dei Majere, quando si trattava di magia e affini.
«Ecco Crysania.» mormorò Katlin, e Tanis si sporse per vedere l’ingresso dell’imputata. Fiera e pallida, scortata da due chieriche, Crysania entrò senza badare alle occhiate e ai sussurri attorno a lei, e prese posto sulla sedia riservata ai citati in giudizio. Il Mezzelfo strinse la labbra, profondamente contrariato dalla piega presa dagli eventi. Non vedeva l’ora di dire la sua su quella faccenda. Era il primo a pensare che Raistlin non meritasse di avere accanto quella donna, ma chi erano tutti loro per decidere una cosa tanto importante? Non ebbe bisogno di chiedere l’opinione di Katlin: disprezzo e preoccupazione si potevano leggere in ogni tratto del suo volto.
Iniziò l’interrogatorio. Crysania fu costretta a rivelare che la sua relazione con Raistlin, in realtà, era iniziata durante il lungo e drammatico viaggio che aveva condotto alla disfatta dei piani dell’arcimago.
«Quindi ci avete tradito fin da allora?!» sbottò Teleco, che faceva parte della commissione, senza curarsi di far tacere il brusio dei chierici che assistevano all’interrogatorio. Crysania non abbassò lo sguardo dei suoi limpidi occhi grigi.
«Fu l’amore a salvarci tutti. La Luce che riuscii a riaccendere nel cuore di Raistlin Majere lo convinse al sacrificio e salvò Krynn. Per i miei momenti di debolezza pagai con la vista e venni graziata dalla pace dello spirito.- disse, pacata- Cosa, in tutto ciò, costituisce tradimento dei principi della nostra Chiesa?»
Tanis finse di grattarsi la barba per nascondere un sorriso di fronte al momento di incertezza del segretario, spiazzato dalla tranquillità della risposta.
«Come siete coinvolta nella rinascita di Raistlin Majere, Reverenda Figlia?» chiese un chierico anziano, superando l’impasse.
Crysania  raccontò di essere stata chiamata a Solace da Caramon, di aver accettato di scortare Katlin ‘Ym Adoonan in quanto benedetta da Paladine e in missione per suo conto. Era stata lei a salvare Raistlin dall’Abisso, disse, e ad intercedere presso il Dio Paladine perché la sua vista fosse risanata.
«Dovremmo dunque credere che la sorella di Raistlin Majere, una donna che adesso indossa le Vesti Rosse, sia graziata dalla benedizione di Paladine?» chiese uno dei giudici, perplesso e incredulo.
«E’ stato Paladine stesso a fare in modo che Katlin Majere tornasse su Krynn. Credo sia una delle persone più benedette dalla Sua Luce presenti in questa stanza.» affermò tranquillamente Crysania, suscitando un vespaio. Tanis guardò Katlin di sottecchi, aspettandosi di vederla imbarazzata o irritata da quell’affermazione; dopo tutto ciò che le era capitato, il suo carattere paziente era peggiorato moltissimo e stava diventando cinica come suo fratello Raistlin. Invece, la vide fissare le proprie mani con profonda tristezza. Corrugò la fronte. Doveva esserle successo qualcos’altro, in quegli ultimi giorni. La maga sembrava stranamente vulnerabile nel sentir parlare del passato.
«Katlin ha distrutto il Portale, rischiando l’anima e la vita per liberare Krynn dallo spettro di un nefasto futuro.- continuò Crysania, alzando la voce- La stessa cosa ha fatto lo scorso anno, distruggendo l’oggetto che offriva magia malvagia agli adoratori di Takhisis, perdendo in questo modo tutti i propri poteri. E Raistlin Majere l’ha aiutata in ogni momento, in questa lotta al Male! Queste sono le persone con cui ho condiviso i miei giorni e le mie lotte, insieme agli Eroi delle Lance, e per cui ora vi permettete di giudicarmi!»
Le sue ultime parole, scandite con voce vibrante di indignazione, zittirono la sala. I giudici si schiarirono la gola.
«Ammesso che le vostre preoccupazioni riguardo la Tenebra siano fondate, Reverenda Figlia, e che Paladine desideri servirsi di queste anime corrotte per motivi che ci sono nascosti, - disse Teleco, in maniera così maleducata da far muovere sulla panca persino Justarius- negate forse di aver imbastito una relazione illecita e segreta con il suddetto arcimago? Una relazione che va avanti da mesi, se non da anni?»
Crysania alzò il mento in segno di sfida.
«Non lo nego. Sono la donna di Raistlin Majere e ne sono fiera.» disse. La sala esplose nel disordine. I chierici si alzarono, gridarono il loro sdegno, il loro dolore per tale notizia. Il giudice più anziano tentò di riportare l’ordine.
«Silenzio! Silenzio, insomma, un po’ di disciplina! Reverenda Figlia, non è il momento di fare proclami! Si chiami qualcuno a testimoniare, ora!»
Tanis fece per alzarsi, incredibilmente adirato nel vedere il sorrisetto sul volto di quel chierico mingherlino che aveva dato il via a quel circo, pronto a far sentire la propria voce. Katlin lo afferrò per un braccio e lo costrinse a stare al suo posto.
«Aspetta. Vado io.- gli disse- Farò più scena. E’ meglio che la tua deposizione avvenga quando gli animi si saranno calmati. Tu sei una voce più autoritaria di me, qua dentro.»
«Spero tu abbia ragione.» borbottò Tanis, mentre lei si alzava e con passo sicuro iniziava a farsi largo per raggiungere il banco dell’imputata. Vederla fendere la folla bianca come una piccola macchia di sangue fece tornare la calma. I chierici, intimoriti dal poco che sapevano di quella donna, tornarono a sedersi.
«Chiedo di poter intervenire in quanto testimone diretta dei fatti, signori giudici.- disse Katlin con voce chiara, fermandosi in piedi alla destra di Crysania- Ritengo che a questo punto sia necessario mettere in luce alcuni fatti che potranno chiarire la posizione della Reverenda Figlia.»
«Siete voi Katlin ‘Ym Adoonan, meglio conosciuta come Katlin Majere?» chiese il chierico anziano, scrutandola.
«Sono io, e che Paladine possa prendersi la mia vita se mentirò in quest’aula.» disse Katlin. Tanis, come tutti i presenti, si fece attento. Benché avesse viaggiato con Crysania e i Majere per recuperare lo Scettro dei Tre, ancora adesso non conosceva con esattezza le modalità che avevano portato alla situazione odierna.
«Inizierò dicendovi che voi, oggi, state osando giudicare qualcosa che è stato benedetto e approvato da Paladine stesso.» disse la ragazza, senza tante cerimonie, scandalizzando tutti. Tanis vide Crysania voltarsi verso di lei con uno sguardo di velato rimprovero. «E’ così.- continuò la donna, imperterrita- Voi servite Paladine e portate la Sua parola tra le genti di Krynn. Perfetto. E’ giusto così. C’è però da valutare il fatto che nessuno di voi ha mai parlato direttamente con Lui. In questa stanza siamo in tre ad aver avuto il piacere di fare due chiacchiere di persona con il Dio della Luce e una di esse è la Reverenda Figlia. Cosa credete di fare, rivoltandovi contro la sola persona che può mettervi in comunicazione con Colui che adorate?»
«Taci, idolatra!» sbottò Teleco.
«Idolatra? Io?!- continuò Katlin, sarcastica, senza nemmeno alzare la voce- Io sono stata scelta da Paladine per distruggere il Portale, cosa che ho fatto, e per donare un futuro libero dalla Tenebra a Krynn, missione che sto ancora svolgendo. Ho dato l’anima per Lui, letteralmente. Egli mi ha concesso di liberare mio fratello dall’Abisso e di guarire la Reverenda Figlia Crysania. Sì, proprio così.- disse, voltandosi verso un gruppetto di chierici che si era messo a mormorare- La prova di ciò l’avete davanti agli occhi. Credete che della mera magia avrebbe potuto cancellare una cecità voluta dal Dio stesso, liberare mio fratello dalla prigione dell’Abisso? Non credo arriviate a tanto…sareste voi stessi a dar prova di carenza di fede. Semplicemente, non capite la grandezza della visione del Dio che servite.»
«State forse dicendo che anche Raistlin Majere, in qualche modo, serve Paladine?» chiese Teleco, con una smorfia disgustata.
«No. Mio fratello non serve nessuno.- rispose Katlin, tranquilla- Tuttavia, al momento le sue azioni vanno nella stessa direzione di quelle di Paladine, il che è lo stesso. E ora, se mi è ancora concesso parlare, vi rivelerò come sono andate veramente le cose.»

***

Caramon pagò l’oste, evitò la cameriera che l’aveva puntato fin da quando erano entrati nella locanda e imboccò il corridoio per andare in camera e stendersi un po’. Fortunatamente le giornate erano serene e non avevano fatto brutti incontri lungo la strada, ma cominciava ad essere stanco. Non vedeva l’ora di arrivare a Palanthas per farsi rispedire a casa da Raistlin. Voleva vedere Tika e i bambini.
“Sarebbe meraviglioso riuscire a passare un anno intero a casa mia senza essere disturbato.” pensò, sospirando. Fece capolino nella stanza che Steel divideva con Tasslehoff. Il kender era seduto per terra, intento a fare l’inventario dei suoi beni. Steel, sdraiato sul letto, guardava il soffitto con occhi cupi. Si voltarono entrambi sentendo aprire la porta.
«Tutto bene, qui?- chiese il guerriero- Tas, non tenere sveglio Steel troppo a lungo. Fatevi una bella dormita, domani avremo parecchia strada da fare.»
«Ho quasi finito, Caramon, non ti preoccupare!- rispose Tasslehoff, cominciando a riordinare- Pensa, mi sono trovato in borsa tre cucchiai di legno colorato che non sapevo di avere, senza contare un monocolo che non è della mia misura e un…»
«Zio Caramon, ci sono notizie di zia Katlin?» chiese Steel, speranzoso, tirandosi a sedere. Caramon ristette, perplesso.
«Non credo ci farà avere sue notizie mentre siamo per strada, Steel. Sarà molto impegnata a cercare di riavere la sua magia, penso.» rispose. Evitò di aggiungere che sperava di non dover scoprire che Raistlin si era imbufalito con la sorella…meglio arrivare a Palanthas a cose risolte.
«Oh…capisco.» mormorò il ragazzo, abbassando lo sguardo.
«Non preoccuparti, Steel. Andrà tutto bene. La troveremo ad aspettarci a Palanthas.- lo rassicurò Caramon con un sorriso, intenerito dall’evidente affetto del ragazzo per la zia- Non si perderebbe mai il tuo ingresso nelle file dei cadetti dei Cavalieri. Anche solo per lanciare qualche frecciatina a Lord Gunthar.»
Tasslehoff ridacchiò e Steel sorrise, immaginando la scena. Sì, zia Katlin sarebbe stata capace di presenziare alla consegna con addosso la veste da maga, minacciando Lord Gunthar di chissà che tremenda vendetta se gli fosse capitato qualcosa.
«Intanto, spero che i maghi abbiano fatto qualcosa per rendere inoffensivo il figlio di Ariakas. L’attacco della scorsa settimana è stato un brutto segno.» borbottò Caramon, tornando a incupirsi.
«Sicuramente faranno le cose sul serio, Caramon. Voglio dire: sono maghi! Sono abituati ad essere seri! Anche troppo, direi.- interloquì Tasslehoff- Inoltre, anche io sono sicuro che Kat sarà là ad aspettarci. Forse il viaggio nel tempo con Dalamar sarà una cosa lunga, ma questo è il bello dei viaggi nel tempo: puoi tornare indietro nel momento che vuoi! Cioè…almeno credo. Voglio dire, mi pare che non ci fossimo mai posti questo problema ai tempi del nostro viaggio, vero Caramon?»
«Suppongo di sì.- borbottò Caramon, un po’ confuso- Tas, vieni un attimo in camera mia, devo darti una cosa. Buona notte, Steel. Ci vediamo domani.»
Il ragazzo alzò una mano in segno di saluto e si stese, mentre Tasslehoff si alzava a raggiungeva Caramon in corridoio, curioso.
«Cosa devi darmi, Caramon?» chiese. Il guerriero gli fece cenno di seguirlo e di abbassare la voce.
«Tas, vorrei che tu evitassi di parlare del viaggio di Kat.» disse, piano.
«Perché?» chiese Tas, perplesso. Caramon aveva la faccia dei momenti in cui soleva fargli “discorsi importanti”.
«Perché sia Steel che Steven sono preoccupati per lei…» cominciò a dire Caramon.
«Ah, ho capito.- lo frenò Tas- È per Dalamar, vero?»
«Beh…sì, anche. Per motivi diversi, entrambi non vogliono nemmeno sentirlo nominare.- disse Caramon, con una smorfia che fece capire quanto anche lui gli avrebbe torto volentieri il collo- Immaginare quei due in viaggio da soli non li tranquillizzerà di certo. Anche io sono preoccupato.»
Tas rifletté, poi annuì.
«Ho capito, Caramon. Cercherò di non fare il suo nome. Anche se…insomma, io credo che Dalamar e Katlin siano fatti per stare insieme, capisci? Come Raistlin e Crysania! So che sembra un controsenso, ma sono persone migliori quando si amano che quando si odiano, non so se mi spiego.- borbottò il kender, che con tutta evidenza aveva pensato a lungo alla cosa- Non trovi anche tu?»
«Ah…ciao Steven. Stavi…ehm…perlustravi i dintorni?» disse Caramon, a disagio, guardando oltre le spalle di Tas. Il kender si voltò e vide Steven Sharphalberd all’inizio del corridoio. Il suo volto cupo, gli occhi azzurri scuriti da un sentimento interiore, facevano capire che aveva ascoltato le ultime parole di Tasslehoff. Il kender trattenne un sospiro desolato. Come al solito, aveva detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.
«È tutto tranquillo.» disse il Cavaliere, avanzando per raggiungere la sua camera. Superò Caramon e Tas, aprì la porta ed entrò, lasciandoli soli. Caramon e Tas si guardarono.
«Credi che abbia sentito?» chiese il guerriero, dispiaciuto. Il kender annuì e scrollò le spalle.
«Mi dispiace tanto per lui. Speriamo che non se la prenda troppo a male.- disse- Io torno in camera, altrimenti Steel potrebbe insospettirsi. Buonanotte, Caramon!»
Caramon, lasciato solo, si passò una mano sulla fronte, poi scosse la testa ed entrò nella camera che divideva con il Cavaliere. Era anche colpa sua se Steven si era innamorato di Katlin, aveva premuto perché ciò accadesse: ora doveva dargli almeno un po’ di supporto morale.
Il Cavaliere era sdraiato sul letto e gli dava le spalle.
«Steven…» lo chiamò Caramon. Lui non diede segno di averlo sentito. Lo chiamò un’altra volta senza ottenere alcuna reazione. Caramon scosse la testa. Era impossibile che Steven dormisse già; con tutta evidenza, non voleva parlare. Sperando in cuor suo che Steven trovasse la forza di rassegnarsi alla realtà dei fatti, Caramon desistette e si sdraiò a sua volta. Il tempo avrebbe sistemato ogni cosa.

***

«Non credevo sarebbe durato così a lungo.» disse Tanis, stanco.
«Ed è solo il primo giorno.» mormorò Katlin, facendo un cenno del capo a Crysania, che stava uscendo dalla sala sotto la scorta di due chieriche. Stava ormai tramontando il sole e per quel giorno il processo era stato sospeso. Crysania e Katlin erano state sentite più volte, chiedendo loro di scendere nei dettagli della loro missione e dei rapporti di Crysania con Raistlin, almeno finché a Katlin non erano saltati i nervi. Quando, pressata dalla loro insistenza, aveva ricordato ai giudici che alcuni dei segreti che conservava erano legati alla società dei Maghi e alle loro attività, anche Justarius si era alzato in piedi e le aveva dato supporto. Per quanto potessero essere rivali per la poltrona a Wayreth, erano comunque colleghi leali alle leggi della Magia.
L’intervento della Veste Rossa aveva riportato i chierici a toni più miti e in breve la seduta era stata tolta. Ora Crysania sarebbe tornata nelle sue stanze, in attesa di ricominciare la mattina dopo, quando avrebbero deposto Tanis e Justarius.
«Alloggi alla Torre?» le chiese Tanis, aiutandola a evitare la fiumana di chierici.
«Sì, ma…domani mattina andrò via. Con Dalamar.» disse lei, con una piccola smorfia amara. Tanis le scoccò un’occhiata stupita, conoscendo la situazione tesa tra la maga e l’elfo oscuro. «Devo fare un viaggio magico, ti risparmio i dettagli.- sbuffò Katlin, spiegandosi meglio- Parto domani, ma dovrei essere di ritorno in tempi brevi. Spero che, nel frattempo, questa farsa finisca. Se Steel giungesse a Palanthas prima del mio ritorno…»
«Lo raggiungerò subito, non temere.» la rassicurò Tanis, ottenendo in cambio un sorriso sincero. Tanis sorrise a sua volta, ma chinò il capo per nasconderle la colpevole malinconia che l’aveva assalito d’un tratto, come accadeva fin troppo spesso nel riconoscere in lei piccole somiglianze con Kitiara. Si sarebbe mai liberato di quel fantasma?
Rialzò il capo quando Justarius li raggiunse.
«I chierici stanno facendo un errore.» furono le sue prime parole.
«Indubbiamente. E’ chiaro che l’unica cosa che possono rimproverarle è di amare Raistlin.» sospirò Tanis.
«Stanno rischiando di danneggiare anche le nostre indagini.- disse Katlin, seccata- Justarius, sono lieta che il Conclave ti abbia mandato. Crysania ha bisogno dell’aiuto di tutti.»
«Perché è a vantaggio di tutti.» annuì il mago, riconoscendo con realismo la situazione. La guardò fisso. «Indossi di nuovo la veste. Ci sono…cambiamenti, rispetto a quanto il Conclave sa?»
Katlin fece un sorrisetto professionale.
«Non ancora.» rispose soltanto, lasciando intendere che qualcosa bolliva effettivamente in pentola, poi scrollò le spalle. «Non temere, comunicherò con tempestività ulteriori cambiamenti nella mia condizione. E…Ariakan?» chiese, abbassando la voce.
«Crediamo si prepari a fuggire.- rispose Justarius, corrugando la fronte- Siamo in stato di allarme. I Cavalieri di Solamnia sono più fiduciosi.»
«L’importante è che qualcuno vigili.» disse Katlin, annuendo, poi chinò il capo in segno di saluto e si allontanò, uscendo dalla sala.
«Sta per riavere la sua magia.» mormorò Justarius, stupendo Tanis.
«Come fate a dirlo?» chiese, perplesso. Justarius fece un sorriso enigmatico.
«Lunitari è tornata nei suoi occhi.»

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Capitolo 21
*** 21 - La scelta di Steel ***


Author’s note: Mi chiedo se la sequela delle mie sfighe derivi dal fatto che Raistlin mi ha lanciato una maledizione, tipo: “Finché non finirai questa fanfiction, te ne capiteranno di ogni!”…Eppure è anche colpa loro, la comunicazione salta spesso! Colpa di Takhisis? Mah…Intanto, Steel dovrà decidere come comportarsi…

CAPITOLO 21

LA SCELTA DI STEEL

Raistlin alzò lo sguardo sui suoi apprendisti. Entrambi avevano smesso le vesti da mago, che avrebbero suscitato uno scalpore eccessivo nella vecchia Solace. Dalamar portava un copricapo di pelle che gli copriva parzialmente le orecchie appuntite e aveva riesumato i vestiti utilizzati per camuffarsi durante il loro viaggio verso il Mare di Sangue. Katlin, invece, indossava una veste lunga, dalla gonna ampia. Aveva protestato un po’, dicendo che i suoi vestiti da uomo andavano benissimo, ma Raistlin le aveva ricordato che all’epoca le donne guerriere attiravano troppo l’attenzione e che Kitiara, con tutta probabilità, sarebbe stata a Solace. Se avesse saputo della presenza di una spadaccina, l’avrebbe sfidata per il solo gusto di umiliarla.
«Se il periodo è quello giusto, saremo tutti a Solace.- aveva detto loro la sera prima, davanti ad una cena frugale- Cercate di evitarci. Non voglio complicare gli intrecci temporali e conoscerci prima del dovuto, sorella; se malauguratamente non poteste farne a meno, mi raccomando a te, Dalamar: cancella la memoria di tutti i coinvolti, prima di andartene. Me compreso.»
Dalamar aveva annuito. Il flusso temporale doveva continuare a scorrere senza ostacoli, che comunque sarebbero stati spazzati via dalla corrente. Stavolta non c’erano kender che potessero cambiare la storia e questo era un sollievo.
Si erano accordati di recitare la parte della giovane donna in viaggio con la sua scorta per suscitare meno scalpore. Avrebbero cercato di impossessarsi della pietra intrufolandosi di nascosto in casa di Flint, ma nel caso questa fosse passata di mano sarebbero stati costretti a fare qualche ulteriore indagine.
Ora, i due erano all’interno del pentacolo magico, cui Dalamar aveva già dato forza per evitare di prosciugare completamente le energie dell’arcimago, che dopo l’incantesimo sarebbe rimasto solo alla Torre. Aveva alcune faccende da sbrigare, dopo aver spedito indietro nel tempo i suoi apprendisti, e trascorrere due settimane a vomitare sangue nella solitudine della sua dimora non era nei piani.
Fissò Dalamar e Katlin, e tra loro passò una comunicazione silenziosa. La giovane donna, che non doveva mantenere la concentrazione, annuì per entrambi. Avevano preso tutto quello che occorreva per la missione, compreso un congegno temporale da usare nel malaugurato caso Dalamar si fosse trovato nell’impossibilità di usare la propria magia. Meglio non correre rischi.
Raistlin alzò le braccia e iniziò a salmodiare l’incantesimo, piegando ai suoi voleri il flusso del tempo. Vi fu una grande luce, la stanza sembrò deformarsi attorno a loro come se forze contrastanti ne stessero tirando le mura centenarie in tutte le direzioni, poi i suoi due apprendisti divennero diafani e quindi scomparvero, lasciandolo solo. Raistlin riabbassò le braccia e barcollò fino alla poltrona che aveva preparato allo scopo, crollandovi sopra, senza forze.
«Andati.» mormorò, cercando di trattenere il tremore che gli scuoteva il corpo, la nausea che montava come una marea. Se avesse cominciato a tossire, avrebbe rigettato il pranzo. Strinse i denti per impedirselo. Allungò una mano scarna verso i bicchieri di vino preparati su un tavolo lì accanto. Colpì il primo, mandandolo a fracassarsi sul pavimento. Proprio per questo ne aveva preparati tanti…Riuscì ad afferrare il secondo e lo portò con un movimento maldestro alla bocca. Se ne rovesciò qualche goccia sulla veste, prima di raggiungere con successo le proprie labbra. Trangugiò due sorsi, lasciando che l’alcolico gli restituisse un po’ di effimera forza, poi lasciò andare il bicchiere, che raggiunse il fratello in cocci sul pavimento.
Si accasciò contro lo schienale, facendo una smorfia per l’odore di vino che gli aleggiava attorno. Avevano controllato negli archivi di Astinus e nelle cronache passate non c’era traccia né della pietra rossa, né del viaggio di Katlin e Dalamar. La cosa non li aveva sorpresi: lo Storico aveva evitato di citare persino la nascita di Katlin, in quanto la sua esistenza era in gran parte aliena alle leggi del mondo di Krynn. La pietra doveva essere giunta a Solace prima che Flint, come tutti gli altri, lasciasse il villaggio. Occorreva recuperarla prima della loro separazione, altrimenti cercarne le tracce sarebbe diventato troppo complicato.
L’arcimago chiuse gli occhi, la bocca piegata in una smorfia di amara malinconia. Era lieto di non accompagnare sua sorella in quel viaggio. Rivedere un passato che, a distanza di tanti anni, sembrava un paradiso luminoso, sarebbe stato una fonte di pena troppo profonda. Aveva altro da fare e a cui pensare. Avrebbe iniziato con il moccioso.

***

«Non credevo ci avrebbero attaccati! Sono proprio stupidi…vero, Caramon?» esclamò Tasslehoff, mentre spingeva a distanza il braccio armato di pugnale del bandito di fronte a lui per poi sferrare un colpo che colse l’uomo alla fronte e lo spedì a terra, disteso sulla schiena con braccia e gambe spalancate.
«Probabilmente non hanno capito con chi avevano a che fare.» ringhiò Caramon, sollevando un uomo talmente brutto e grosso da far intuire un incrocio con un orco. Il grosso guerriero scaraventò l’avversario alle proprie spalle con un ruggito soddisfatto. «Ti dirò che non mi dispiace menare un po’ le mani.»
Steven Sharphalberd, che aveva appena terminato di salutare gli avversari alla maniera solamnica, si avventò contro il gruppo di banditi, la spada pronta a bere il loro sangue. Finalmente i malviventi si accorsero di quanto fosse stata incauta la loro scelta di vittime lungo la strada per Palanthas e voltarono le spalle ai viaggiatori, correndo via tra grida e imprecazioni e lasciando sul terreno i due compagni incoscienti.
«Peccato.» borbottò Caramon, grattandosi una guancia. Steven rinfoderò la spada senza battere ciglio.
«Non ho potuto sferrare un solo colpo…» mormorò Steel, che aveva a sua volta estratto la sua piccola daga nella speranza di cimentarsi in battaglia.
«Non avere fretta, Steel. Sei ancora sotto addestramento.» gli ricordò Caramon, posandogli una mano affettuosa sul capo.
«Lo so, zio Caramon, ma mi pesa non potervi essere d’aiuto in questo viaggio.» disse il ragazzo, incupendosi in un’espressione che lo rendeva più simile a suo padre.
«Macché, Steel! Queste erano solo delle mezze calzette e poi tu ti devi tenere fresco per l’allenamento dei Cavalieri.- disse Tasslehoff, stuzzicando con la punta del piede il bandito svenuto- Voglio dire, immagino che a Solamnia si facciano cose da uomini duri, perché i Cavalieri diventano tutti alti e muscolosi, oltre a farsi crescere dei baffi lunghissimi, per cui…»
«Tasslehoff Burrfoot ha ragione, giovane Steel. Non è necessario che dimostri alcunché. Noi siamo i tuoi protettori e sarebbe irresponsabile da parte nostra permetterti di subire lesioni in battaglie tanto infime.- disse Sharphalberd, con un sorriso- Il tuo momento verrà.»
«Comunque Kat aveva ragione. Gli scagnozzi del figlio di Ariakas non ci hanno più attaccati.- disse Tas- Quanto manca a Palanthas?»
«Un paio di settimane.» rispose Caramon, con un sospiro. Tornò a salire in sella, come se l’accenno a Katlin l’avesse reso frettoloso.
«Non ci attaccheranno più, se davvero preme loro che il ragazzo arrivi in Solamnia.» mormorò Steven, mentre anche gli altri riprendevano posto sulle rispettive cavalcature.
«Vorrei solo sapere come stanno andando le cose.- borbottò Caramon- Da quando Kat è andata via, ci hanno lasciati senza informazioni! Almeno Raistlin avrebbe potuto farci sapere qualcosa!»
«Ehm…Caramon?» lo chiamo Tas.
«Cosa?»
«Dunque…Kat ti ha per caso lasciato il suo specchio? Cioè, quello con cui parla con Raistlin?» chiese il kender, pensieroso.
«Lo specchio…? Ah, quello! Sì, dev’essere nel mio zaino. Perché?- gli chiese Caramon, voltandosi a guardarlo con perplessità- Sappi che non lo posso usare per contattare Raist. Funziona solo al contrario e preferirei comunque evitare di disturbarlo a meno che non vi sia costretto da....»
«Infatti credo ti stia contattando lui. La tua sacca brilla.» lo interruppe Tasslehoff, indicando la schiena del guerriero. Caramon corrugò la fronte, ma si affrettò a sfilarsi il grosso zaino dalla schiena. Da una delle tasche veniva un lucore argenteo. Masticando un’imprecazione, sperando di non aver tenuto in attesa suo fratello per chissà quanto tempo con il rischio di essere coperto di parole sferzanti, Caramon slacciò la cinghia e prese lo specchio, sotto gli occhi attenti e pieni di disapprovazione di Steven Sharphalberd. Il guerriero visse un attimo di panico mentre cercava nella memoria la parola di comando che serviva ad attivare lo specchio, poi la sua mente si sbloccò e Caramon mormorò le poche, facili sillabe, pensate per chi non sapeva usare la magia. Subito, la superficie dello specchio gli rimandò il volto tirato e stanco del gemello.
«Alla buon’ora.- sibilò subito Raistlin, seccato- Iniziavo a pensare che Katlin non te l’avesse lasciato o che quello stupido del kender lo avesse barattato per qualche gingillo.»
«Scusa, Raist…era nello zaino. Stavamo mettendo in fuga dei banditi.» borbottò Caramon.
«Siete stati attaccati?» chiese l’arcimago, corrugando le sopracciglia. Caramon scrollò le spalle.
«Semplici ladri. Niente messi della Regina, non da quando Kat è partita.- lo rassicurò- Ci sono novità? Come va il processo di Crysania? E nostra sorella?»
«Non ti ho chiamato per il piacere di chiacchierare con te, Caramon.» lo censurò Raistlin, per poi fermarsi qualche istante a tossire. Caramon corrugò la fronte. Suo fratello era evidentemente spossato e malato. Aveva bisogno di cure. Dov’era quel dannato elfo oscuro quando il suo Maestro aveva bisogno di aiuto?! Fece per parlare, ma Raistlin alzò una mano verso lo specchio, come se avesse intuito la sua preoccupazione.
«Devo parlare con il ragazzo.» disse, sfiatato. Caramon si incupì.
«Steel?»
Il giovane, che già stava fissando lo zio, si tese, allarmato. Il Cavaliere di Solamnia si incupì ancora di più.
«Non credo sia il caso di…» iniziò. Caramon gli chiese di tacere con un’occhiata.
«Perché vuoi parlare con Steel?» chiese al gemello, sospettoso. Non aveva bisogno di Steven Sharphalberd per capire che suo fratello stava macchinando qualcosa. Fino a quel momento aveva valutato l’esistenza di Steel fastidiosa come quella di una zanzara. Perché ora voleva parlargli?
«Non fare lo zio protettivo, Caramon. Parlarmi non gli nuocerà. Anzi, ci porterà del bene.- disse Raistlin, con una smorfia cinica- Ora liberami dalla vista della tua faccia contrariata e passa lo specchio al ragazzo. Subito.»
La nota d’acciaio nella voce del gemello fece nascere un’ira informe nel ventre di Caramon, ma l’omone respirò a fondo e annuì, pur senza cambiare espressione. Non gli piaceva l’idea di quella conversazione e non riteneva che Katlin avrebbe approvato, ma Raistlin teneva le redini di quella battaglia insidiosa e non gli si poteva rifiutare nulla senza un buon motivo. Al momento, Caramon era a corto di obiezioni. Spronò il cavallo fino a portarsi accanto al nipote.
«Tieni, Steel. Raistlin vuole parlarti.- disse, porgendo lo specchio al ragazzo- E’ già attivo, devi solo parlare guardando la superficie e lui ti sentirà.»
Steel allungò le mani verso lo specchio con titubanza, come se ne temesse il contatto.
«No, giovane Steel!- sbottò Steven- Caramon, proibisco questa conversazione! L’Arcimago deve stare lontano dal ragazzo!»
«Mi spiace, Steven, ma è inutile che tu proibisca qualcosa. Se anche non passassi lo specchio a Steel, Raist troverebbe il modo di parlargli. Se questo è ciò che vuole, né io né tantomeno tu potremo fermarlo.» disse Caramon, mentre le dita di Steel si chiudevano attorno al manico dello specchio.
«Caramon ha ragione, Steven. Meglio farli parlare.- intervenne Tas, preoccupato- Voglio dire, Raistlin non è bello quando si arrabbia, non ti piacerebbe, e lui si arrabbia tanto facilmente…»
Steel lasciò i tre adulti a discutere, gli occhi ormai posati sulla figura vestita di nero che lo scrutava con quelle inquietanti iridi dorate oltre l’elusiva barriera dello specchio. Aveva incontrato lo zio stregone una volta sola e si erano a malapena rivolti la parola. Quell’uomo gli faceva venire i brividi, lo temeva per i suoi trascorsi e lo rispettava per il potere che era riuscito a conquistarsi. Era uno strano connubio di cui non aveva ancora dipanato il significato e riflettersi in quelle pupille a clessidra non aiutava a schiarirgli le idee.
«Vi…vi trovo bene, Signore.» mormorò, cercando di mostrarsi calmo. Le labbra del fratello di sua madre si piegarono in una smorfia.
«Non mentire, ragazzo. Niente frasi di educata conversazione, non ho tempo.- tagliò corto il mago, trattenendo un colpo di tosse con evidente fatica- Lascia questi idioti a discutere e allontanati. Ciò che sto per dirti riguarda te solo.»
«Allontanarmi?» sussurrò Steel, preoccupato. Nessuno lo sentì. I toni tra Caramon e Steven si stavano scaldando.
«Quanto basta. Non ci vorrà molto.» annuì Raistlin. Steel annuì, titubante, poi scese di sella.
«Dove vai, Steel?!» chiese Tasslehoff, stupito.
«Lo zio Raistlin desidera parlarmi lontano…lontano dal chiasso.- disse il ragazzino, aggirando la verità senza dover mentire- Non vi preoccupate, rimarrò in vista.»
«Non tollero questa situazione!- esclamò il Cavaliere,  paonazzo per l’ira- Non permetterò che quel losco figuro abbia una conversazione privata con il giovane Brightblade!»
«Quel losco figuro è mio fratello, Steven.- replicò Caramon, irato con tutto e con tutti per quel pasticcio- E anche fratello di Kat! Ti sei scordato della lavata di capo che ti ha fatto lei per questi tuoi giudizi lapidari?!»
L’accenno a Katlin, al primo litigio che aveva quasi posto fine sul nascere a qualunque rapporto il Cavaliere volesse avere con lei, zittì Steven, che impallidì e fece un passo indietro, come se Caramon l’avesse schiaffeggiato. Steel non rimase a sentire il resto. Si allontanò lungo la via, tenendo gli occhi fissi sulla figura oscura.
«Sono…mi sono allontanato, Signore.» disse. Sentiva le mani percorse da un fremito nervoso e si impose di calmarsi. Non voleva mostrare paura.
«Bene. Tutte quelle idiozie mi stavano stancando.- disse Raistlin, con una smorfia- Ragazzo, sai cosa ti aspetta in Solamnia? Tua zia Kat dovrebbe averti accennato ai fatti che ti coinvolgono…»
«Se vi riferite ai soldati della Regina delle Tenebre, Signore, ne sono consapevole. Essi mi vogliono tra loro…a causa di mia madre.- rispose subito Steel, incupendosi- So che Cavalieri e Maghi si aspettano un mio rapimento da parte delle loro forze e che questo sarebbe di grave danno per tutti voi. Addirittura per Krynn, anche se i dettagli su questo aspetto mi sono stati celati.»
Raistlin annuì, con uno scintillio negli occhi. Steel capì che si trattava di freddo apprezzamento per la sua analisi razionale della situazione, priva di lagnanze o timori da bambino. Non seppe perché, ma il pensiero di essere stato considerato positivamente da quell’uomo tanto esigente lo fece sentire orgoglioso.
«Questo è un buon riassunto della situazione, Steel. Ora ascoltami: una volta giunto alla sede dei Cavalieri di Solamnia, sarai attaccato. Non importa cosa dicono i Cavalieri o quanto i maghi stiano all’erta. I messi della Regina non si lasceranno scappare l’occasione. Sei una preda troppo ghiotta. Ariakan verrà fatto fuggire e faranno di tutto perché tu li segua, a qualunque costo.»
«Zia Katlin ha detto…»
«Non importa ciò che ha detto Katlin. Lei potrebbe non essere presente in quel momento.- lo interruppe Raistlin, gelandolo- I Cavalieri sono ciechi, impiegheranno del tempo a capire e reagire quando scatterà l’attacco dei Grigi. I Maghi vigilano all’esterno della fortezza e dovranno forzare gli animi restii dei Cavalieri per poter intervenire. Ci vorrà tanto, troppo tempo. Avrai accanto solo quel cavaliere dalla lingua lunga, forse mio fratello e il kender. Sicuramente verrai raggiunto da Tanis. Fin qui è tutto chiaro?»
Steel annuì, avvertendo un piccolo moto interiore di sollievo al pensiero di avere accanto anche il Mezzelfo. La situazione dipinta dall’arcimago era molto più complessa e pericolosa di quella che aveva immaginato. Inoltre, l’idea che sua zia non fosse al suo fianco al suo arrivo al quartier generale dei Cavalieri lo aveva messo in ansia. Le parole successive lo colsero del tutto alla sprovvista.
«Devi liberarti di questi scocciatori e farti prendere.»
«Co…cosa?!» balbettò Steel, convinto di aver sentito male.
«Mi hai capito. Fatti rapire. Mettiti nelle loro mani.- ribadì Raistlin, gli occhi dorati lucidi e imperscrutabili fissi sul pallore del nipote- Non dovrai temere che ti facciano del male, sei una preda preziosa. Ti tratteranno con i guanti.»
«Ma io…io…»
«Non capisci? No, vedo che sono andato troppo oltre.» Raistlin ridacchiò, una risata maligna che finì in uno scoppio di tosse senza fiato. «Ragazzo, tu sei prezioso per la Luce quanto per la Tenebra. Tuo padre è un paladino agli occhi di tutti, una figura di carisma entrata nella leggenda.- continuò con sarcasmo accentuato- Se ti metteranno le mani addosso, si muoveranno tutti. Subito, senza tante discussioni. Sradicheremo una volta per tutte questa pianta malata.»
«Non capisco, Signore.» fu costretto ad ammettere Steel, anche se una vaga comprensione iniziava a farsi strada nella sua mente troppo adulta.
«Ti userò per seguire le mosse dei nostri nemici, mio caro nipote. La mia magia mi consentirà di seguire i tuoi spostamenti. Tieni lo specchio con te.- mormorò Raistlin, predatorio- Dopo averti rapito, i Grigi si riuniranno per fuggire verso il nascondiglio che sicuramente hanno già approntato. Allora, io e il mio apprendista ci occuperemo di liberarti…e di uccidere quelle dannate seccature, Ariakan compreso.»
Steel si irrigidì, il suo corpo fu scosso da un tremito di paura e indignazione.
«Dovrei…fare da esca?» riassunse. Raistlin annuì.
«Non temere. Non ti accadrà nulla. Tornerai a riabbracciare i nostri stupidi parenti.» gli disse, sarcastico. Steel abbassò il capo, riflettendo.
«Zia Katlin non ne sa nulla, vero?- chiese infine- Lei non accetterebbe di mettermi in pericolo.»
Raistlin corrugò la fronte, contrariato da quella domanda, ma il ragazzo lo stupì annuendo.
«Va bene, lo farò. Voglio dare il mio contributo. Non lascerò che si decida per me il mio futuro.- disse, con un lampo negli occhi che gli ricordò il piglio testardo di sua sorella Kitiara- Questi Grigi plasmerebbero la mia mente, mi metterebbero in gabbia. Voglio essere io a decidere la mia strada. Vi aiuterò.»
Raistlin annuì lentamente.
«Non una parola a Caramon o al Cavaliere. Tantomeno al kender.- gli ricordò, brusco- Tieni lo specchio. Ci vedremo al momento opportuno.»
Attese di vedere il volto del nipote, un bambino troppo serio per la sua età, annuire in segno di approvazione, poi chiuse la comunicazione. Tornò ad accasciarsi contro lo schienale della poltrona, spossato dalla conversazione. Aveva bisogno di mangiare, di bere altro vino. Provò sollievo al pensiero di non dover assistere alla snervante diatriba che attendeva il figlio di Kitiara. Meglio tenere Caramon e le sue preoccupazioni da mamma chioccia fuori da quel progetto. Ora non restava che l’ultimo impegno della giornata: il suo incontro con Justarius.
Prima ancora di aver formulato il pensiero, Raistlin sprofondò in un sonno profondo e senza sogni. Quando si svegliò, molte ore dopo, Nuitari era una sfera di oscurità che lo osservava dal riquadro di cielo notturno oltre i vetri della finestra.

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Capitolo 22
*** 22- Solace, com'era ***


Author's note: Perdonate il ritardo causa lavoro...sorry...

 

Attraverso il velo delle palpebre chiuse splendeva il sole del pomeriggio. Il mondo aveva smesso di girare come impazzito, ma le dita di Dalamar erano ancora serrate attorno al suo polso. Aprì gli occhi, titubante. Erano sul ciglio di una strada polverosa, immersi fino alle ginocchia nell’erba alta e nel pungitopo. Il sole splendeva alto nel cielo velato di un soffocante pomeriggio estivo. Katlin si voltò verso Dalamar, che stava aprendo gli occhi in quel momento, infastidito dal forte riverbero della luce sulla polvere chiara della strada.
«Ci siamo?» chiese.
«Direi di sì.» annuì lui, poi si accorse di tenerle ancora stretto il polso sottile e la lasciò andare come se si fosse scottato. Katlin, da parte sua, iniziò a massaggiarlo come per cancellare il suo tocco dalla pelle.
«Sì, siamo sulla strada per Solace.- mormorò, guardandosi attorno- Dovremmo trovarci a due miglia dal paese, più o meno. Riconosco quel vecchio tiglio.»
Dalamar si tirò fuori dalla piccola giungla e mise piede sulla strada deserta, guardandosi attorno con la fronte corrugata.
«E’ normale che non ci sia nessuno?» chiese, mentre lei lo raggiungeva a fatica, tenendo alzate le gonne ingombranti.
«Sono tutti nei campi. Dovresti vedere il traffico al tramonto.- rispose, spazzando l’abito con gesti seccati, già accaldata- Bene, è estate e siamo a Solace. Raist avrà sicuramente calcolato il giusto lasso temporale. Possiamo incamminarci.»
«Bene. Sai dove andare, una volta a Solace?» chiese Dalamar con tono neutro, controllando che il bagaglio li avesse seguiti senza danno.
«Certo che sì. Solace è casa mia.» fu il lapidario commento di lei, che si incamminò senza aspettarlo. L’elfo oscuro piegò la bocca in una smorfia. Katlin non gli aveva ancora perdonato di essersi imposto quale sua guardia del corpo in quel viaggio nel tempo.
“Beh, non può farci niente. Sono qui con lei e farà meglio ad abituarvisi.” pensò, trasformando la smorfia in un sorrisetto sarcastico. Anche se Katlin avesse recuperato subito la sua gemma dalla casa di Flint Fireforge, opzione che al mago sembrava fin troppo ottimistica, li aspettava una notte insieme a Solace, senza nessuno che potesse mettersi in mezzo e rovinare tutto. Dalamar non aveva intenzione di sprecarla. Se le parole non servivano a riconciliarli, avrebbe tentato la carta della passione. Quella non mancava a nessuno dei due. Doveva fare di nuovo sua quella donna, se non voleva impazzire.
Katlin si voltò a guardarlo con sospetto, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Sei la mia guardia del corpo, non dovresti accelerare il passo? O devo entrare a Solace per i fatti miei?» chiese, scontrosa.
Dalamar non replicò, limitandosi a raggiungerla. Camminarono l’uno accanto all’altra in silenzio, circondati dal canto assordante delle cicale. Presto la via si immerse in una fresca boscaglia e Dalamar riconobbe l’altura da cui si godeva la vista di Solace.
«Dalamar…hai mai visto Solace prima della Guerra delle Lance?» gli chiese Katlin con una voce mite, sommessa, che gli ricordò tempi migliori.
«No, mai.» rispose, guardando la sua figura snella chiusa nell’abito che non era abituata a indossare. Lei alzò gli occhi chiari verso di lui e Dalamar vide sul suo viso il fantasma di un dolore.
«Allora preparati. Non ti deluderà.» disse Katlin, con un sorriso che non nascose la sofferenza nel suo tono di voce. L’elfo oscuro corrugò la fronte, perplesso, poi i due superarono il grosso masso al limitare del territorio di Solace e gli alberi si aprirono davanti a loro sul sentiero in discesa che entrambi conoscevano bene. Dalamar fu il primo a fermarsi, per un attimo stupefatto. Aveva letto le descrizioni sui libri di Astinus, ma ciò che vedeva andava oltre.
«Solace.- mormorò Katlin, accanto a lui- Solace, com’era.»
Davanti a Dalamar si stendeva una città sugli alberi. Il bosco di vallenwood, uno spettacolo di per sé, celava tra i suoi rami il più particolare e affascinante villaggio di Uomini su cui l’elfo avesse mai posato gli occhi. Tutto, dalle case alle botteghe, era costruito tra i rami degli alberi, spesso inglobandone parti come se gli edifici non fossero che generosi frutti dei vallenwood. La gente andava e veniva su passerelle tese tra le fronde. Era magnifico. Lo disse ad alta voce prima di rendersene conto.
«Sì, lo era. Poi passarono i draghi e questo divenne un ricordo.» disse Katlin. Prese un respiro profondo, come per calmarsi. «Coraggio, andiamo. Cerchiamo di non dare troppo nell’occhio.»
«Comportati da signorina di buona famiglia e andrà tutto bene.» disse lui, sarcastico, guadagnandosi un’occhiata di fuoco, poi i due ripresero a camminare lungo il sentiero, scendendo verso Solace. A mano a mano che si avvicinavano, Dalamar si accorse che c’era molta vita anche a livello del suolo, gente che si affrettava e bambini che giocavano. C’era anche qualche edificio.
«La fucina di Flint è quella.- gli mormorò Katlin, indicandogli con un piccolo gesto una casa di modeste dimensioni- Il nano non avrebbe mai potuto vivere sugli alberi!» Sorrise, divertita da un ricordo. «Solace era una specie di porto franco. Convivevano Razze e costumi diversi, senza troppi problemi.»
«Ci presentiamo subito a lui o…- chiese Dalamar, interrompendosi per scansare tre bambini che giocavano con un cerchio di legno e che li guardarono con curiosità- o preferisci aspettare?»
«Andiamo prima alla Taverna e prendiamo due stanze. E’ impossibile che due viaggiatori, per di più a piedi, non approfittino di un alloggio decente quando viene data loro l’occasione. Avremo modo di andare da Flint più tardi. Vorrei entrare di soppiatto senza avere alcun contatto né con lui, né con gli altri.» rispose Katlin.
Dalamar annuì, approvando. Quanto più possibile, dovevano evitare qualsiasi coinvolgimento con gli Eroi delle Lance. Cancellare loro la memoria sarebbe stata una scocciatura.
“Questo però spiegherebbe i ricordi confusi del kender.” rifletté, incupendosi, mentre seguiva Katlin lungo una scala che girava attorno ad un tronco d’albero e che li condusse alle passerelle superiori. Si erano affidati al flusso del Tempo e il massimo che potevano sperare era di recuperare la magia di Katlin senza fare troppi danni. Il futuro non poteva comunque essere cambiato.
«Ecco la Taverna. Non è molto diversa da quella di oggi, collocazione a parte. Il nucleo centrale è rimasto lo stesso.» disse Katlin, voltandosi verso di lui con un sorriso che la fece sembrare una ragazzina. Dalamar annuì, anche se lei gli aveva già dato le spalle. La giovane donna non se ne rendeva conto, ma ad ogni passo pareva lasciarsi alle spalle un mese di vita, un mese di sofferenza. Quello era il mondo in cui la sua anima aveva soggiornato per riunirsi con i gemelli che non conosceva. Per la prima volta, vi camminava in forma corporea. L’elfo oscuro non riusciva ad immagine come dovesse sentirsi in quel momento.
Entrarono nella sala comune della Taverna, a quell’ora deserta a parte per l’oste grassoccio che aveva diretto il locale prima che la moglie di Caramon ne diventasse la proprietaria. Dalamar aspirò il profumo di spezie, patate e birra e decise che almeno su quel versante il tempo era stato clemente. Conosceva quell’odore.
«Buongiorno! Buongiorno, signori!- li salutò Otik, posando il boccale che stava asciugando e aggirando il bancone, puro legno di vallenwood, per andare loro incontro- Posso esservi utile? Siete viaggiatori? Che ne dite di un boccale di birra fresca per dissetarvi, signori? E’ una giornata torrida…»
«Apprezziamo la tua offerta, oste. Mia Signora, andate a sedervi, tratto io con l’oste.- rispose Dalamar, rivolgendosi subito a Katlin con gentilezza per sottolineare il loro rapporto e attendendo che lei si allontanasse verso il focolare spento per continuare- Buon uomo, avete stanze oltre alla birra? La mia Signora è stanca, stiamo tornando ad Haven ma la carrozza ha avuto dei problemi lungo la via. Abbiamo fatto qualche miglio a piedi e vorrei farle trascorrere una notte tranquilla qui al vostro villaggio. Dice che Solace le piace molto. Verranno a prenderci fra un paio di giorni.»
«La vostra Signora è già stata qui?» chiese Otik, guardando ora la giovane donna con interesse.
«Da bambina. E’ figlia di un nobile, io bado alla sua incolumità.- tagliò corto l’elfo, ostentando un calibrato fastidio per l’attenzione dell’oste- Allora, avete stanze?»
«Una sola, a dire il vero. Ultimamente sono tornati alcuni nativi di Solace che non hanno più fissa dimora e si sono stabiliti qui.- si scusò Otik, contrito- Ma posso darvi modo di dormire nella sala comune, se volete lasciare il giaciglio alla giovane signora…»
«La prendiamo. Non curarti di me.- disse subito Dalamar, che non poteva credere a tanta fortuna- Portaci le birre, oste.»
Otik annuì, fece per andare, poi sembrò ripensarci.
«Siete elfo, signore? Scusate se vi faccio una domanda indiscreta, ma i vostri lineamenti…Conosco un Mezzelfo e i vostri occhi sono proprio come…»
L’occhiata di Dalamar bastò a zittire il povero Otik e a farlo sparire in cucina lasciando la frase a metà. Dalamar fece una smorfia. Non voleva essere paragonato a Tanis Mezzelfo. Avevano avuto anche troppe cose in comune. Raggiunse il tavolo di Katlin, che aveva gli occhi fissi sul focolare.
«Tutto a posto per stanotte, anche se la Taverna è piena di recenti arrivi.» le disse, sedendosi di fronte a lei.
«Se non ricordo male, Kitiara alloggia qui quando litiga con Tanis.- borbottò Katlin, persa nei suoi pensieri- Riteniamoci fortunati di non aver ancora incrociato nessuno. Probabilmente sono da qualche parte ad allenarsi al combattimento.»
«Meglio per noi.» disse Dalamar, mentre Otik tornava nella sala con due boccali di birra fresca. Li portò al loro tavolo con un sorriso gentile. Katlin gli sorrise a sua volta.
«Perdonatemi…Flint Fireforge è al villaggio? Oppure è fuori per qualche fiera?» chiese, con voce pacata.
«Conoscete il nano, signora?» chiese l’oste, stupito. Lei annuì.
«Mio padre comprò per me un bracciale d’argento alla fiera di Haven. Amo molto i suoi lavori.- raccontò, mentendo con spigliata serenità- Ditemi, è in casa?»
Otik si grattò il mento, riflettendo.
«Vediamo…beh, posso assicurarvi che il nano è a Solace. Dove si trovi in questo momento è più complicato da supporre. Immagino sia in giro con il Mezzelfo, Brightblade, i Majere e quel matto di un kender…Oh, scusatemi, non potete sapere di chi sto parlando!- Otik rise, scuotendo la testa- Il nano sta insegnando ad alcuni ragazzi del villaggio a cavarsela da soli, sapete, ad affrontare il mondo là fuori, che è molto più pericoloso di casa propria. Magari non servirà a nulla, ma i giovani sono giovani…In ogni caso, se non lo vedrete qui a cena potrete andare a cercarlo a casa sua dopo l’imbrunire. Si trova…»
«Sotto i vallenwood, lo so.» lo interruppe Katlin con un altro sorriso. Otik annuì, contento di aver potuto soddisfare la curiosità della giovane, poi li lasciò soli. Katlin alzò il boccale.
«Alla nostra missione.» propose, e Dalamar, dopo un attimo di sorpresa, alzò a sua volta il boccale. Una nota argentina sancì il loro brindisi, poi entrambi bevvero un sorso. Il silenzio scivolò tra loro, per una volta privo di tensione.
Katlin fece roteare la birra, incantata dai giochi della schiuma sulla superficie dorata, chiedendosi se non stava vivendo un sogno. Era irreale trovarsi nella Solace dei suoi ricordi, parlare amabilmente con Otik che era morto tanti anni prima. Le dava uno strano senso di incertezza sapere che da qualche parte, nei dintorni, i suoi fratelli diciottenni vivevano uno dei loro ultimi spensierati pomeriggi d’estate. A tutto questo si aggiungeva la presenza di Dalamar, per la prima volta dopo tanto tempo così naturale, giusta. Lo spiò di sottecchi, preda di una strana, dolce sensazione.
I suoi occhi vagarono sulle mani dalle dita lunghe e sottili strette attorno al boccale, mani di cui conosceva il tocco, la forza e la delicatezza propria della sua Arte. I tratti del suo viso, assorto in pensieri che le erano celati, le erano così familiari che avrebbe potuto disegnare il suo ritratto anche senza averlo davanti. Amava il modo in cui il colore dei suoi occhi si scuriva quando era preso dai pensieri, quando si celava dentro la propria oscurità per non lasciar entrare il mondo. Qualcosa, nella piega della bocca, le faceva sempre venire voglia di baciarlo, o di chiamarlo per nome nella speranza di vederlo sorridere. Moriva dalla voglia di passare le dita tra i suoi capelli neri, in un gesto di affetto e possesso che le era stato concesso troppo poco.
Trattenne un sospiro, abbassando di nuovo lo sguardo sulla sua birra. Ne bevve un sorso, sconcertata dalla propria debolezza. Da tanto tempo non si concedeva di pensare a Dalamar in quel modo. Aveva scacciato dalla propria mente la possibilità di riallacciare il suo rapporto con l’elfo oscuro, usando come scudo la paura e il rancore. Lui, da parte sua, negli ultimi tempi aveva fatto di tutto per farsi odiare!
Katlin corrugò la fronte, posando il boccale sul tavolo. Lo amava ancora? Il cuore le gridava di sì. Lui non poteva volerla ancora. Steven Sharphalberd era più adatto a lei sotto tutti i punti di vista, a parte le sue cieche convinzioni da Cavaliere. Allora perché, perché solo guardarlo mentre sedeva davanti a lei le faceva venire voglia di piangere?
“Il cuore sa. La mente nega.” si disse, sorridendo con cinismo a quella filosofia spicciola. Stava commettendo gli stessi errori per cui aveva tormentato Raistlin? A questo si riduceva la questione? Si passò una mano sui capelli, poi fece una smorfia di fastidio nel rendersi conto di aver appena distrutto l’acconciatura che celava i suoi capelli bianchi.
«Lascia, ti metto a posto io.» disse Dalamar a voce bassa, alzandosi e andandole accanto. Si mise ad armeggiare con le forcine e i nastri come se fosse abituato a pettinarla, celandola con il corpo agli sguardi di Otik. Katlin si arrese al suo tocco, arrossendo appena nel sentire le sue dita delicate tra i capelli. Un suo scatto sarebbe stato sospetto e si trattenne dall’allontanarlo da sé.
“Così, però, penseranno che la guardia del corpo si porta a letto la padroncina.” pensò, arrabbiandosi per l’imbarazzo.
«Dalamar…»
«Ho quasi finito.»
«…vai tu da Flint? Questo pomeriggio?»
Dalamar smise per un attimo di aggiustarle i capelli, perplesso. Pensava che lei lo stesse censurando per la confidenza che si era preso, invece si trattava di un piano d’azione.
«Se credi…allora non vuoi parlargli?» chiese con noncuranza, tornando ad assicurare la ciocca disordinata.
«Meglio di no. Ricordi la casa che ti ho indicato?» continuò Katlin.
«Sì. Mi introdurrò all’interno con la magia e prenderò la pietra dal baule. Il nano non si accorgerà nemmeno del mio passaggio.» la rassicurò Dalamar.
«Se non la trovassi…»
«Studieremo un piano alternativo.- finì per lei il mago, allontanando con riluttanza le mani dai suoi capelli e tornando a sedersi- Abbiamo tempo, Katlin. Ho comunque bisogno di un paio di giorni per trovare le forze necessarie a riportarci a casa.»
Lei annuì. Entrambi finirono la birra con sorsi lenti, senza fretta. Ad un certo punto, una ragazzina dai capelli rossi sfrecciò correndo per la sala comune e uscì nel sole, richiamata invano da Otik. Katlin sorrise tra sé, intenerita nel riconoscere Tika, poi si alzò.
«Oste, sareste così cortese da accompagnarmi alla mia camera? Vorrei riposare.» chiese. Otik si affrettò a raggiungerla e la giovane donna, dopo un’occhiata d’intesa con Dalamar, sparì con il robusto oste verso le camere da letto. Dalamar uscì dalla Taverna, abbassando sulla fronte il berretto che portava, poi si incamminò, cercando una scala che gli consentisse di scendere dai vallenwood. Katlin non aveva tutti i torti: se potevano risolvere la faccenda senza avere contatti con nessuno, tanto meglio.
Gli abitanti del villaggio non gli lanciavano più di un’occhiata, noncuranti riguardo la sua provenienza o la sua razza. Dalamar scosse il capo, iniziando a scendere. Solo un villaggio come quello avrebbe potuto dare i natali a gente come gli Eroi delle Lance. Il resto del mondo era troppo cieco e ripiegato su se stesso per reagire agli orrori perpetrati dagli scagnozzi della Regina delle Tenebre. Sorrise con sarcasmo nel ricordarsi che anche la propria veste era nera e che aveva fatto la sua parte, al tempo.
Una volta sceso a livello del suolo, Dalamar passò dietro ad un tronco di vallenwood e, accertatosi che nessuno lo stava guardando, si infilò un anello al dito. Subito, il suo corpo divenne invisibile agli occhi delle creature viventi. Questo avrebbe reso le cose più facili. Impiegò qualche attimo a riconoscere la casa di Flint tra gli edifici a terra, poi riconobbe la struttura indicatagli da Katlin e vi si diresse. La casa era silenziosa e Dalamar sbirciò dalle finestre per puro scrupolo. Era evidente che, come aveva detto loro Otik, il nano non era in casa.
Dalamar pronunciò una parola e si ritrovò dentro la stanza che stava osservando un attimo prima, senza dover fare la fatica di forzare la serratura. Si guardò attorno, valutando il mobilio curato in contrasto con un certo disordine sicuramente dovuto al coinquilino del nano, il kender Tasslehoff. Nella stanza erano presenti due bauli e di certo Fireforge ne conservava altri nella sua stanza da letto, chiusi a chiave per cercare di proteggerne il contenuto dalle mani leste del kender. Dalamar non aveva intenzione di mettere sottosopra la casa come un ladruncolo. Si sfilò l’anello per lavorare meglio, prese un gessetto da una tasca e vergò un circolo magico attorno ai propri piedi.
Si concentrò sull’immagine della gemma di Katlin e il cerchio iniziò a brillare di una luce rossa. Essa sarebbe entrata in risonanza con l’oggetto dei suoi desideri, illuminandolo ovunque si trovasse. La luce si propagò come un filo di fuoco, attraversando la stanza. Una fioca luminescenza circondò un baule con rinforzi in ottone posto accanto al tavolo. Dalamar corrugò la fronte. La luce era troppo debole. Una parola magica e una breve ispezione gli diedero ragione: il baule aveva sicuramente contenuto la gemma fino a poco tempo prima, tanto da conservare l’aura necessaria a reagire al suo incantesimo, ma ora la pietra rossa non c’era più.
Dalamar sospirò. Non si era aspettato niente di meglio. Il nano doveva aver dato la pietra a qualcun altro. Stava a loro scoprire chi ne fosse diventato il proprietario.
L’elfo, purtroppo, aveva un vago sospetto. Tolto il kender, solo un’altra persona a Solace avrebbe potuto provare interesse per un oggetto così palesemente magico. Un sospiro gli sfuggì di bocca al pensiero di dover avere a che fare con il suo Shalafi anche durante quel viaggio nel tempo.

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Capitolo 23
*** 23 - Fizban sbotta ***


Author’s note: Era ingenuo pensare che per Kat e Dalamar le cose sarebbero andate lisce…Intanto il processo a Crysania sta raggiungendo il suo culmine. Quale sarà il verdetto?

CAPITOLO 23

FIZBAN SBOTTA

Justarius immaginava che Raistlin Majere non lo avrebbe incontrato all’interno delle mura della Torre di Palanthas. Quel luogo era interdetto a tutti coloro che non fossero espressamente invitati dal Padrone della Torre e Majere non si sarebbe mai sognato di permettere a un qualsiasi membro del Conclave di avere accesso alla sua dimora e ai suoi segreti. Non si era stupito, quindi, quando quel pomeriggio aveva ricevuto un invito a cena con una mappa che conduceva al quartiere disabitato nei pressi del Boschetto di Shoikan.
Non ebbe grandi difficoltà a trovare la casa. Bussò alla porta ed entrò quando la voce bassa e sibilante dell’arcimago gli diede il suo permesso. Si trovò all’interno di una stanza resa abitabile senza eccessiva cura ma con discreto senso pratico. Una tavola era apparecchiata con una cena fredda e del vino rosso in una caraffa. Raistlin Majere era seduto a capotavola, alla sua destra, e beveva qualcosa che emanava un odore pungente da una tazza di terracotta smaltata. Gli lanciò un’occhiata gelida con i suoi imperscrutabili occhi dorati.
«Siediti, Justarius, benvenuto. Spero non ti sia stato troppo difficile arrivare fin qui.» lo accolse, facendogli un cenno con la mano sottile. La sua voce era rauca, sofferente. Probabilmente aveva avuto una delle sue crisi e la tisana nella sua tazza doveva essere la medicina lenitiva da cui non si separava mai.
«Non ho avuto alcuna difficoltà.- rispose, prendendo posto- Immaginavo volessi sapere come procede il processo. Tua sorella?»
«E’ via per faccende con il mio apprendista. E ti sbagli riguardo al processo: so molto, se non tutto.- disse Raistlin- Credevi davvero che avrei atteso con pazienza il responso? Ma non ascoltarmi senza mangiare. Serviti pure.»
«Tu non mangi?»
«Mi accontenterò di un frutto. Stasera non ho appetito.»
Justarius si servì senza fare complimenti. Non temeva tranelli da parte dell’arcimago: al momento gli era utile in qualità di testimone per il processo e nella lotta contro i Grigi. Attaccò il pollo in salsa con discreto appetito.
«Dal quartier generale dei Cavalieri di Solamnia ci arrivano notizie di movimenti. Servitori, soprattutto. Si sono insediati bene all’interno della struttura.- disse, tra un boccone e l’altro- Si capisce che stanno aspettando l’arrivo del ragazzo per tentare qualcosa, ma non vi sono attività che possano insospettire i Cavalieri. Senza le azioni dei Grigi risalenti allo scorso anno, nessuno si sarebbe accorto delle trame per far fuggire Ariakan.»
«Si sono scoperti per eliminare noi Majere, ma è stato un azzardo. Era troppo presto, considerate le loro forze.- disse Raistlin, sbucciando pensierosamente uno strano frutto- D’altra parte, erano costretti a farlo. Io e Katlin abbiamo cambiato il futuro.»
«Che rimane ancora incerto, però.» puntualizzò Justarius.
«Motivo per cui ci stiamo impegnando tanto per risolvere queste seccature.- disse Raistlin, sollevando appena un sopracciglio- Il consiglio dei chierici si pronuncerà su Crysania…quando? Domani? Il giorno dopo?»
«Domani, credo. Ormai le posizioni sono state chiarite. Qualunque cosa si dica sulla condotta della Reverenda Figlia, l’Ordine deciderà di espellerla. Si sono esposti troppo sottoponendola a giudizio. Fare marcia indietro li esporrebbe al ridicolo.» disse la Veste Rossa, corrugando la fronte.
«Ciechi e sciocchi! Non mi aspettavo di meglio.- sibilò Raistlin, con una smorfia- Stanno facendo il gioco della Regina Oscura e nemmeno se ne accorgono.»
«Sono convinti di agire per il bene della comunità. L’Ordine si basa su regole e principi molto precisi, che i chierici non vogliono vengano meno. La loro comunità è ancora troppo giovane, temono che simili concessioni a Dama Crysania possano portare a confusione e disordine.» analizzò Justarius, con acume.
«Sono così chiusi in loro stessi che prima o dopo finiranno per restaurare un regime cieco come quello del Sommo Chierico di Istar.- fu il giudizio di Raistlin- Comunque, non m’importa dove andranno a finire finché non trascinano nei guai le persone che mi sono utili.»
Justarius nascose una piccola smorfia nel masticare la carne che aveva in bocca. Per Raistlin Majere tutto il mondo si divideva tra persone utili e persone inutili, e la seconda categoria era immensa. Non riusciva a capire se l’Arcimago amasse davvero la Reverenda Figlia. In questo caso, Crysania poteva essere la sua debolezza, un’informazione preziosa per il Conclave. Purtroppo, Justarius credeva che Raistlin non fosse cambiato dai tempi della sua impresa nell’Abisso. Se si fosse trovato a scegliere tra il potere e l’amore, quell’uomo torturato e contorto avrebbe sempre stretto le dita adunche sulla sua Magia, sacrificando tutto il resto.
«Vedrai Crysania dopo il processo? Stavo pensando di condurla a Palanthas…»
«Starà con Tanis fino all’arrivo di mio fratello Caramon, che poi la prenderà in custodia e la condurrà a Solace. E’ più sicuro.» lo interruppe Raistlin, all’apparenza pacato. In realtà, l’arcimago si aspettava quella proposta travestita da educato invito per nascondere il fatto che ospitare la donna di Raistlin Majere alla Torre di Wayreth significava trattenere a portata di mano un possibile ostaggio da utilizzare contro di lui. Non avrebbe mai lasciato Crysania nelle mani del Conclave.
«Allora…non la vedrai?» chiese Justarius, non troppo sorpreso.
Raistlin si pulì la bocca con un tovagliolo, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso tagliente.
«La vedrò. Solo che lei non saprà della mia presenza.» disse.

***

Crysania, per la prima volta da tempo, non provava alcun nervosismo. Era dritta in piedi, dietro a quello che ormai considerava il banco degli imputati. Davanti a lei, su alti scranni, era seduta la giuria che presto avrebbe emesso il verdetto finale. Tutti i testimoni erano stati ascoltati, le deposizioni erano state registrate per archiviarle. Chi voleva che Crysania restasse a capo della Chiesa di Paladine aveva fatto del suo meglio per dipingere con chiarezza l’integerrima onestà con cui la donna aveva condotto ogni suo rapporto con i Majere in relazione alle battaglie che erano in atto contro Takhisis. Questo, i chierici che la giudicavano non potevano negarlo. Era evidente quanto il coraggio e la fede di Crysania avessero contribuito a cacciare la Tenebra da Krynn. Pure, nessuno aveva potuto difenderla dalla colpa principale che la macchiava agli occhi del suo Ordine: la sua relazione amorosa con Raistlin.
Le labbra di Crysania si piegarono in un sorriso mesto, subito intercettato dall’occhio vigile di Teleco, il cui viso si torse in una smorfia, come se l’uomo avesse mangiato un limone. Il suo ex-segretario non poteva capire l’origine di quel sorriso e forse pensava che lei si facesse beffe del loro giudizio. Non era così. Anche se non prestava orecchio ai mormorii dei suoi giudici, sapeva che avrebbe sofferto nell’ascoltare il verdetto, non fosse stato altro perché esso avrebbe decretato la fine di una parte essenziale della sua esistenza. No, non era né per incoscienza né per disprezzo che sorrideva. Il suo cuore era caldo perché gli amici che l’avevano raggiunta per offrirle sostegno l’avevano inondata di affetto e stima, di cui ogni loro parola era stata pregna. Tanis, ora distante a causa dei problemi con il figlio di Ariakas, Katlin, i Cavalieri di Solamnia e le parole del Conclave attraverso la voce del mago Justarius…Anche Caramon era riuscito a far arrivare una lettera, il giorno prima. Aveva sperato di giungere a Palanthas in tempo per testimoniare, ma era ancora a tre giorni di viaggio dalla città.
Tutti avevano cercato di difenderla. Tutti avevano capito i suoi sforzi, apprezzato la costanza con cui aveva combattuto. Questo le aveva dato abbastanza forza da sopportare quanto stava per accadere.
Il suo ruolo le sarebbe mancato e le venivano i brividi al pensiero della pericolosa debolezza in cui la Chiesa sarebbe caduta, ma a quel punto voleva solo che il calvario finisse. Voleva essere libera di amare Raistlin. Libera di vederlo, stargli accanto. Le mancava come se non riuscisse a prendere abbastanza fiato nei polmoni, come se il suo corpo si fosse intorpidito, la mente annebbiata.
“Lo amo. Non mi pentirò mai di questo.” pensò, alzando il mento in un inconscio gesto di sfida. Non sapeva che, in quello stesso momento, una figura magra e fragile seduta su una panca in fondo alla sala stava pensando la stessa cosa, mentre la divorava con gli occhi.
Raistlin stava già arrivando al limite della sopportazione e mantenere sembianze camuffate non lo aiutava affatto, ma riteneva di poter resistere fino al verdetto di quegli imbecilli vestiti di bianco. Paladine sembrava non voler infierire più di tanto su di lui, quel giorno. Dopo il processo avrebbe portato Crysania via da lì. Avrebbe avuto tempo dopo per recuperare, grazie alle sue amorevoli cure. Il solo pensiero bastò a incendiargli il sangue e l’arcimago si impose di darsi una calmata. Non era né il luogo né il momento di pensare a certe cose.
Si fece attento quando i giudici si alzarono, alcuni con un accenno di imbarazzo, altri cupi in volto. La sentenza si leggeva loro in fronte. Il gran numero di chierici presenti nella sala ondeggiò come se spazzato da una folata di vento. La tensione era palpabile. Intercettò un’occhiata di Justarius, che lo stava cercando in sala, ma se la fece scivolare addosso e il mago non lo riconobbe. Raistlin era abituato a dissimulare in presenza di gente ben più pericolosa di un gruppo di chierici imbelli e una Veste Rossa.
«Reverenda Figlia Crysania,- iniziò a parlare un chierico anziano, con voce grave- oggi si decide il vostro futuro all’interno del nostro Ordine. Ciò che sappiamo su di voi, ampiamente confermato dalle deposizioni degli ultimi giorni, è che siete una donna coraggiosa, la cui fede è forte e pura. Il vostro impegno nel tenere lontana da Krynn la Regina delle Tenebre e nel combattere coloro che ne auspicano il dominio è fuori discussione. Voi siete stata un faro di luce in un’epoca travagliata, Reverenda Figlia.»
«Questo, purtroppo, non può cancellare il fatto che avete infranto una regola basilare del nostro Ordine, Reverenda Figlia, per non parlare della violazione al semplice buon senso!- intervenne Teleco, più astioso del dovuto- Avete ammesso voi stessa di aver mentito più volte per poter lasciare il Tempio allo scopo di incontrarvi con Raistlin Majere, che non solo è l’Arcimago malvagio più potente che la Storia ricordi, ma è anche il nemico che avete dovuto affrontare per impedire una lotta di potere che avrebbe distrutto il nostro mondo! Peggio, avete instaurato con lui una relazione d’amore licenziosa, sempre tenendo l’Ordine all’oscuro!»
«Questa azione, la vostra testardaggine nel difenderla, ci risultano incomprensibili, Reverenda Figlia.- continuò un terzo chierico, grave- Pure, i chierici del nostro Ordine vi amano. I sentimenti che ci legano a voi hanno reso molto difficile il nostro compito. Dopo aver raccolto una maggioranza significativa, siamo giunti alla decisione di volervi tendere la mano un’ultima volta.»
«Tendere la mano?» mormorò Crysania, corrugando appena la fronte. Dove volevano andare a parare? Pensava l’avrebbero espulsa senza tanti giri di parole, e invece…
«Abiurate Raistlin Majere. Qui e ora. Rinunciate alla vostra natura di donna per tornare ad essere una Figlia Eletta di Paladine, a lui solo dedicata.- disse il chierico, con voce forte e chiara perché tutti sentissero- Tornate in seno alla vostra vera famiglia, fate penitenza e purificatevi dai cedimenti che vi hanno afflitta. Noi vi riaccoglieremo, Reverenda Figlia, perché vi amiamo e abbiamo bisogno di avervi tra noi in tempi tanto incerti.»
Raistlin, dal fondo sala, sentì montare il disprezzo. Quei chierici…ancora le chiedevano di tornare sui suoi passi? Di lasciarlo, come se il suo tocco potesse contaminare l’anima pura di Crysania? Erano degli idioti, dei bigotti e Raistlin avrebbe volentieri pronunciato un incantesimo di fuoco per cancellare quegli stupidi vermi dalla faccia di Krynn. Sapeva che il mondo non avrebbe mai accettato la loro unione, fin da quando aveva deposto le armi e si era preso il lusso di riposare tra le braccia di lei, ma di norma non era costretto a fare i conti con la realtà. Assistere ai giudizi di ignoranti che sputavano sulla loro relazione lo riempiva d’odio. E di timore? Timore che lei lo lasciasse, che si facesse irretire dalla debolezza di quegli sciocchi, dal loro evidente terrore di rimanere soli? Forse. Non riteneva falsi o deboli i sentimenti di Crysania, ma conosceva la sua dedizione, il suo senso del dovere.
Qualcosa nel modo in cui Crysania chinò per un attimo la testa, sconfitta, il leggero movimento in avanti che compì il suo corpo, come se le mancassero le forze, gli strinse il petto in una morsa peggiore di quel malessere crescente che gli causava la forte opposizione alla Tenebra da parte di quel luogo consacrato.
“Non cederai. Non puoi cedere alle loro pressioni, ai loro capricci da bambini viziati!- pensò, irrigidendosi suo malgrado, gli occhi fissi su quei capelli d’ebano, sulla schiena vestita di bianco- Non essere debole. Non mi tradire, Crysania!” Se lei avesse ceduto, si sarebbe alzato da dove si trovava, l’avrebbe rapita senza un pensiero per il caos che si sarebbe creato e l’avrebbe rinchiusa nella Torre finché il mondo non l’avesse dimenticata.
Crysania rialzò la testa, le sue labbra si aprirono per pronunciare le parole che avrebbero deciso il loro futuro.
«Non è…» iniziò.
«…né giusto, né divertente. Smettetela subito.»
Tutti si voltarono bruscamente come un sol uomo verso l’ingresso della sala. Una voce secca e un po’ incerta, da persona anziana, aveva interrotto la Reverenda Figlia con tono irritato. Raistlin sentì la bocca seccarglisi. Conosceva quella voce.
«Chi osa interrompere…» sbottò uno dei giudici, rivolgendosi all’intruso ancora celato agli occhi dell’arcimago dalle teste dei molti chierici seduti davanti a lui. Gli bastava guardare il pallore e lo sbalordimento sul volto di Crysania, però, per sapere di aver già capito chi era l’imbucato alla festa.
«Oh, stai zitto, Garel! Parli sempre più veloce di quanto la tua testa pensi, e dire che ormai sei abbastanza vecchio da sapere che agli anziani è dovuto rispetto!- continuò l’intruso, facendosi avanti fino a mostrarsi a tutti nella sua veste macchiata color grigio topo e l’improbabile cappello in bilico sulla testa canuta- Siete riusciti a infilare tante di quelle sciocchezze una dietro l’altra, in questi giorni, che ho dovuto per forza raccogliere le mie carabattole e venire qui a mettervi un po’ di sale in zucca. Spostati, mia cara, fammi guardare bene in faccia questi caproni.»
Crysania si fece indietro sotto la sollecitazione del bastone nodoso del mago, ancora troppo scossa per emettere suono.
«Ma…insomma! E’ un oltraggio! Chi siete voi?!» gridò Teleco, paonazzo.
«Chi sono io?! Caro ragazzo, come sei ignorante delle cose del mondo! Io sono…uhm…sono Far…no, Furb…no, no, aspettate un attimo…Dov’è quel kender, quando mi serve?!»
«Fizban.» suggerì Crysania, atona.
«Fizban! Esatto! Per tutte le squame di drago, una ragazza tanto intelligente e voi la volete sbattere fuori dall’Ordine come una bambina cattiva che ha rubato la marmellata!»
«Signor…Fizban, voi non dovreste essere qui.- continuò Teleco, con una smorfia- Non siete autorizzato, chiunque voi siate, a interferire con questo processo…»
«Sono più autorizzato di tutti voi messi assieme e se Elistan fosse qui vi farebbe una lavata di capo esemplare. A te più che a ogni altro. E adesso, zitto, Teleco!»
Nel sentir nominare Elistan, alcune teste si raddrizzarono improvvisamente, guardando il mago dalle vesti grigie come se lo vedessero per la prima volta. Forse ricordavano la visita di quel vecchio a Elistan morente? Raistlin ne era al corrente e pensava che i chierici più intelligenti non avrebbero impiegato molto a fare due più due. Nel frattempo, Teleco era ripiombato sulla sua sedia, le labbra serrate come se un anatema gliele avesse chiuse. Probabilmente era proprio così.
«Voi state giudicando una donna a causa dei suoi sentimenti, cosa che è già abbastanza grave, ma quel che è peggio è che la state giudicando per la cosa più bella che il Creato metta a disposizione degli esseri viventi: l’amore.- continuò Fizban, e nella sua voce si insinuò una nota dura che stonava con il suo aspetto trascurato- Non seguite forse la Luce? Non siete tutti con il cuore e la mente volti al Bene? Allora perché questi chierici, il cui scopo è portare la Luce su Krynn, si affannano tanto a distruggere la fonte benefica più forte di tutte, l’unica possibilità di redenzione per le anime perse?!»
«Messa in questo modo…» tentò di interagire uno dei giudici. Erano tutti intimiditi senza sapere perché. Raistlin, pur sentendosi malissimo per la fortissima aura sacra nella sala, cominciava a divertirsi.
«Cosa importa se la vostra amata Reverenda Figlia ha dato il suo cuore a una Veste Nera? Non è forse la più grande abnegazione, la più grande prova di purezza essere capaci di amare ciò che sembra creato per attirare solo odio, disprezzo? Non si tratta di pietà, ciò che voi confondete con i più alti sentimenti. E’ amore, mi spiego?- continuò Fizban, sempre più autoritario, poi sembrò intristirsi- Figli miei, l’amore è tutto ciò che conta. Se perdete di vista questo quando ancora siete così giovani, la Regina delle Tenebre non avrà gran difficoltà a stringere le sue mani sul vostro futuro.»
Queste parole misero i brividi addosso a tutti. Sembravano una condanna. Fizban batté il bastone a terra, spezzando il momento cupo.
«Voglio aggiungere che oltre che ciechi, siete anche sordi.- continuò, tornando al tono polemico- Quante volte la Reverenda Figlia vi ha detto che Paladine l’aveva benedetta e che lei stessa stava cercando un sostituto degno di prendere il suo posto, in maniera da ritirarsi e continuare le sue battaglie senza gravare sull’Ordine? Eppure avete continuato a incolparla, come se non avesse fatto altro che ingannarvi! Le avete chiesto di rinnegare il suo cuore, e quindi di rinnegare una benedizione di Paladine stesso!»
«Impossibile!»
«Non abbiamo mai…»
«Un tale sacrilegio…»
«Mio Signore, ti prego, basta.» mormorò Crysania, osando toccare un braccio del vecchio. Fizban le batté una mano con affetto, ignorando il tumulto.
«Ho quasi finito, mia cara. Ora!- sbottò, battendo di nuovo il bastone a terra e ottenendo un immediato quanto sorprendente silenzio- Siete delle teste dure e so che appena me ne andrò di qui ricomincerete a girare intorno e mordervi la coda. Quindi, ecco cosa faremo. Vi darò un po’ di tempo per pensarci con calma. Nel frattempo, la Reverenda Figlia Crysania si prenderà una vacanza. E’ rinchiusa da troppo tempo e le ci vuole un po’ di aria fresca.»
«Come sarebbe a dire?! Dove credete di andare?!» protestò Garel. Fizban si girò a metà verso la congrega dei chierici, come cercando qualcuno con lo sguardo. Raistlin non si sorprese più di tanto quando il vecchio gli fece l’occhiolino, guardando con facilità oltre la sua illusione.
«Porto la Reverenda Figlia a fare due passi con alcuni vecchi amici.- disse Fizban, circondando con un braccio la vita di Crysania- Voi, nel frattempo, recuperate un po’ di cuore. Spero non mi deluderete.»
Garel fece per parlare di nuovo, ma non poté. Nel punto in cui stavano Fizban e Crysania si sprigionò una luce intensa, calda come un abbraccio, che accecò tutti fra grida e tumulti. Quando essa si spense, il vecchio mago e la Reverenda Figlia erano scomparsi.
«Magia! Magia operata all’interno del Tempio…» stava gridando uno dei giudici.
«Non era magia! Ancora non capite?!» Justarius si era alzato e veniva avanti cercando di prevenire un plausibile momento di fobia verso i maghi e il Conclave. «Signori, quello non era un mago!»
«E allora cos’era?! Cosa…» balbettò il chierico Garel.
Raistlin approfittò della confusione per uscire dalla sala. Presto sarebbero arrivati alla risposta e l’intero Ordine si sarebbe sentito umiliato, forse colpevole. L’intervento di Fizban aveva posto fine a quel processo farsesco. In un modo o nell’altro, Crysania non sarebbe più tornata al Tempio. E nemmeno lui. Non c’era più niente che gli interessasse in quel luogo; aveva sofferto abbastanza, il suo fisico reclamava riposo e oscurità. Era ora di andarsene.
Con un ultimo sorrisetto sarcastico nel sentire il chiasso all’interno della grande sala, Raistlin mormorò poche parole e si teletrasportò nella confortante tenebra della sua Torre. Avrebbe riposato e poi si sarebbe messo in contatto con Crysania, finalmente.
Non era difficile capire dove Fizban l’aveva portata. Caramon avrebbe avuto buona cura di lei.

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Capitolo 24
*** 24 - Odore di casa ***


Author’s note: Avevamo lasciato Dalamar e Katlin in una Solace tanto bella quanto, purtroppo, trascorsa. La gemma di Katlin non è più nel baule di Flint e tutte le strade portano al giovane Raistlin. Come si concilia questo con l’ordine perentorio di non avere contatti pericolosi? Non si concilia…

CAPITOLO 24

ODORE DI CASA

La Taverna dell’Ultima Casa era animata, quella sera. Quattro uomini discutevano di messi e commerci a un tavolo vicino all’ingresso. Un nutrito gruppo di giovani che chiacchieravano e ordinavano da bere si era sistemato vicino al bancone. Un’eterogenea compagnia di locali e stranieri, tra cui un kender, un nano e un mezzelfo, sedeva a un tavolo lungo vicino alla finestra, chiacchierando in toni più pacati. Un piccolo tavolo non lontano dal corridoio che portava alle stanze da letto era occupato dall’elegante coppia di stranieri giunti quella mattina. Otik aveva il suo daffare, ma c’era abituato. Amava il suo lavoro e la gente che affollava la Taverna.
Fu divertito e un po’ sconcertato nel vedere in cosa era impegnata la giovane signora di Haven, quando portò da bere a lei e alla sua guardia del corpo. Su un foglio di carta di buona qualità, la giovane schizzava a carboncino gli avventori riuniti nella sala.
«Siete brava, mia signora.» disse, apprezzando. In verità, brava non rendeva l’idea. Lei sorrise brevemente, con un luccichio di soddisfazione negli occhi che apparve e sparì subito, sostituito da una profonda concentrazione. «Avete parlato con il nano? Se volete, posso chiamarlo.»
«Non ancora. Non disturbatelo. Ci sarà tempo.» rispose lei, con voce leggera. Un’occhiata penetrante dell’elfo che le stava accanto convinse Otik a non perdersi in chiacchiere e a tornare al suo lavoro.
Dalamar si girò verso Katlin. La maga non aveva accolto con sorpresa la notizia della sparizione della gemma dalla casa di Flint ed era giunta alla sua stessa conclusione: doveva averla Raistlin. Il problema sarebbe stato farsela consegnare. Se lo Shalafi aveva avvertito la magia che conteneva, e Dalamar non si sentiva di sottovalutarlo nemmeno in anni così giovanili, difficilmente si sarebbe lasciato convincere a lasciarla andare. Offrirgli una ricompensa poteva renderlo ancora più testardo nel rifiuto.
«La ruberò. Mi introdurrò in casa e la porterò via, così non sarò costretta ad avere contatti con lui. Poi tornerò qui. Passerò da te per avvisarti, quando avrò concluso.» aveva detto Katlin, riflettendo.
«Pensi di farcela? Forse è meglio che me ne occupi io.» aveva chiesto Dalamar, chiedendosi con un angolo della mente come avrebbe reagito Katlin quando si fosse resa conto che avrebbero dovuto dividere la camera. Lei aveva scosso la testa.
«Conosco quella casa come le mie tasche. Non si accorgeranno nemmeno della visita di un intruso, finché non sarà tardi; lascerò tutto al suo posto.- aveva insistito- Tu dovrai distrarli. Spero che vengano a cena alla Taverna, stasera, altrimenti domani dovremo farli convocare da Otik.»
La fortuna li aveva aiutati. I futuri Eroi delle Lance erano riuniti alla Taverna per cenare, mancava solo Kitiara. Da quando erano scesi nella sala e li avevano trovati già intenti a mangiare, Katlin si era chiusa dietro un viso inespressivo e, sorprendendolo, era tornata nella loro camera per poi riapparire con in mano un mazzo di fogli e del carboncino. Si era seduta e si era messa a disegnare, con una concentrazione maniacale che non le vedeva da un po’. Non aveva osato disturbarla, mentre i visi e i corpi prendevano forma sotto le sue dita.
Eccoli là, i giovani Eroi delle Lance…C’era Tanis Mezzelfo, innocente e malinconico con quel suo viso senza barba, ancora più elfico di come Dalamar l’aveva conosciuto. C’era il nano, Flint, burbero e forte, che faceva da padre a quel gruppo di ragazzini. Sturm Brightblade, rigido come un palo perfino a tavola con gli amici, educato e formale, già Cavaliere nello spirito se non nella realtà. C’erano i gemelli Majere, le cui differenze caratteriali spiccavano ancora più drammatiche negli anni dell’ultima adolescenza. Caramon sembrava un gigante senza cervello, ridanciano e con la bocca sempre piena. Lo Shalafi era un ragazzo magro e schivo, antipatico a prima vista, quel tipo di giovane nato per essere crudelmente deriso o di cui, più saggiamente, avere paura. Il kender era sempre se stesso: una dannata pulce fastidiosa. Dalamar non avrebbe saputo dire quante volte Flint e Tanis avessero restituito oggetti a Otik o agli avventori, tutti apparentemente abituati alla mano lesta del kender. Tasslehoff aveva già lanciato più di un’occhiata incuriosita nella loro direzione: si sorprendeva che fossero stati lasciati in pace fino a quel momento.
«Kitiara.» mormorò Katlin, accanto a lui, con voce gelida. Dalamar alzò gli occhi di scatto per riflesso, poi si affrettò a riportarli sul suo piatto di patate, mentre accanto al loro tavolo passava la figura sinuosa e aggressiva di Kitiara. La giovane guerriera non li degnò di un’occhiata, attraversando la sala senza guardare nemmeno il tavolo degli amici. Era evidentemente furibonda per qualcosa. L’aura che emanava era molto simile a quella che circondava Katlin nei suoi momenti d’ira. La guardò e non si stupì della luce d’odio nei suoi occhi chiari mentre seguiva l’entrata in scena della sorellastra.
«Ehi, Kit!» esclamò Caramon, facendole un cenno che lei ignorò. Tanis la seguì con occhi sofferti, incerto se rivolgerle o meno la parola, ma quando lei uscì senza guardarsi indietro lasciò perdere ogni remora e si alzò da tavola per seguirla all’esterno.
«La fortuna è dalla nostra. Ci siamo liberati anche di Tanis, che ti avrebbe fatto troppe domande.» mormorò Katlin.
«Devono aver litigato.» osservò Dalamar. Chissà se Kitiara aveva già l’abitudine di accoltellare i suoi amanti, nonostante la giovane età? La bocca gli si storse in una smorfia.
«Lei vuole andare a nord, lui non vuole seguirla. Presto si separeranno. Ormai manca poco.» disse lei. Ogni frase fu pronunciata con un tono distante, atono. Dalamar corrugò la fronte, ma prima che potesse chiederle qualsiasi cosa lei posò il carboncino. «Finito.» mormorò.
Gli passò il disegno, un piccolo capolavoro di espressione artistica. Katlin aveva colto l’atmosfera, il legame tra le persone tanto diverse sedute al tavolo. E perché no? Esse erano state la sua vita.
«Regalalo a Flint. Gli farà piacere.- mormorò Katlin- Ecco cosa dirai…»
Dalamar ascoltò attentamente, poi annuì e si alzò, stando attento a tenere il disegno in maniera da non sbavare il carboncino. Si avvicinò al tavolo, ottenendo l’immediata attenzione del kender e di Raistlin, che lo fissava con diffidenza.
«Perdonatemi…Flint Fireforge?» chiese, rivolto al nano. Quando questi annuì bruscamente, continuò: «La mia Signora desidera sapere se può passare dalla vostra forgia domani mattina. Ha conosciuto i vostri lavori grazie alla Fiera di Haven e intende acquistare. Inoltre…- aggiunse, prima che il nano o altri potessero intervenire- desidera farvi dono di questo. Il vostro gruppo ha risvegliato la sua creatività. Ha visto…dei veri amici, dice.»
Allungò il foglio verso Flint, che lo prese in silenzio, perplesso e senza parole. Tutti allungarono il collo per vedere di cosa si trattava, perfino Raistlin, pur con un certo sussiego. Rimasero senza parole. Dalamar avrebbe giurato perfino di vedere un luccichio sospetto nascere negli occhi del nano. Forse Katlin aveva ragione: quello era un momento delicato, appena precedente a una separazione ormai programmata.
Il primo a ritrovare la parola fu il kender, come al solito.
«Ma…siamo noi! Cioè, il disegno di noi! Guarda, questo sono io! E questo è Caramon, guarda come mangia! E tu…Flint, sei veramente rugoso, sai?» esclamò, estasiato.
«Taci, pomolo di porta! E giù le mani, questo è mio!» sbottò Flint, con un ringhio.
«Raist, guarda! Ci somiglia davvero! E’ possibile essere così bravi a disegnare?» disse Caramon, a bocca aperta.
«La vostra Signora è molto brava, invero.» mormorò Sturm, facendo un cenno del capo alla giovane donna ancora seduta al tavolo in fondo. Gli altri si uniformarono al suo gesto cortese; Tasslehoff, addirittura, si sbracciò in un saluto entusiasta. Raistlin si fece indietro, sbuffando. La cosa non lo interessava.
Katlin sorrise appena, senza dare espressione al proprio viso, poi si alzò e, con un inchino cortese, uscì dalla sala comune per dirigersi, apparentemente, in camera.
«Non si unisce a noi?» chiese Tas, deluso.
«La mia Signora è stanca, la carrozza ci ha traditi sulla strada tra Solace ed Haven e abbiamo camminato a lungo per prendere alloggio qui.» disse Dalamar.
«Siete di Haven?» chiese Flint, poi strinse le labbra in un’espressione di disapprovazione. Si era accorto della sua identità di elfo, finalmente. Dalamar si levò il cappuccio, palesandosi a tutti.
«Ci siamo trasferiti in Solamnia da alcuni anni, ormai. Veniamo da Palanthas, ma le origini della mia Signora sono di Haven…» sospirò.
«Solamnia?!» sbottò Sturm, senza potersi trattenere.
«Palanthas…» mormorò Raistlin. Un luccichio d’interesse avido brillò finalmente nei suoi occhi.
«Ma sei un elfo!» osservò Caramon, con poca diplomazia.
«E’…una lunga storia. Non voglio annoiarvi.» si schermì Dalamar.
«Non ci annoiate.- assicurò Sturm, poi sembrò ripensarci e guardò il nano- Non è vero, Flint?»
«Dai, amico, siediti con noi e bevi qualcosa!- rincarò Caramon- Tanto sei da solo, no? Facciamo quattro chiacchiere, raccontaci del nord!»
«Sai, a Caramon e Sturm piacciono le storie del nord anche perché ci devono andare…cioè, Sturm ci va, e anche Kitiara, mentre noi…» interloquì Tasslehoff, pronto a raccontare a tutti i fatti privati del gruppo.
«Gli elfi non mi piacciono.- grugnì Flint, freddando gli animi- Ma…va bene, siediti. In omaggio alla tua…padrona…che è stata tanto gentile.» Ciò detto ripiegò con ogni cura il disegno, riponendolo in una tasca.
Dalamar si sedette, con un sorrisetto soddisfatto. Ora doveva solo tenerli occupati per un’oretta. Non riteneva che sarebbe stata una cosa difficile. Quei giovani erano assetati di notizie dal mondo esterno e lui ne poteva fornire tante da tenerli avvinti per una settimana. Sperava solo che Katlin non incontrasse difficoltà, ma ricordando l’espressione sul suo volto si rimproverò: quando la sorella dello Shalafi era di quell’umore, nemmeno un drago avrebbe potuto fermarla.

***

Non le fu difficile sgattaiolare fuori dalla locanda, approfittando della stessa porta sul retro che anni dopo avrebbe decretato la formazione del gruppo degli Eroi delle Lance. La sala era gremita, gli ordini fioccavano e non fu un problema approfittare di un momento in cui le cucine erano rimaste sguarnite. Si allontanò nella notte, camminando con decisa sicurezza lungo le passerelle e allontanandosi fra le fronde dei vallenwood.
Una strada percorsa centinaia di volte, anche se mai con i propri piedi; le tornava alla mente con facilità, conducendola senza tentennamenti alla casa dei fratelli Majere, che da tempo vivevano soli. Katlin non avrebbe saputo dire cosa provava in quel momento. Forse, nulla. Viveva quel momento come un sogno particolarmente vivido, un viaggio nella memoria che non aveva nulla di reale. Nella sua mente fiammeggiava l’immagine della pietra rossa, la sua magia in forma solida. La voleva a tutti i costi, desiderava averla tra le mani come mai prima. Sentiva che le cose stavano cambiando, che in lei qualcosa si era sbloccato. La magia non l’avrebbe più rifiutata, ora. Doveva solo riportare la gemma nel suo tempo e sottoporsi all’incantesimo di Raistlin. Tutto si sarebbe sistemato.
Purtroppo, al momento suo fratello era proprio l’ostacolo che la separava dalla pietra rossa. Katlin corrugò la fronte, decisa. Raistlin doveva averla riposta in casa, al riparo da occhi indiscreti. Non aveva le conoscenze per rendersi conto della valenza della gemma, ma non gli mancava l’istinto per la magia e doveva aver compreso di aver messo le mani su qualcosa di potenzialmente utile alla sua ricerca nell’Arte. Riusciva quasi a vederlo, mentre blandiva Flint per ottenerla dopo aver sentito le chiacchiere di Tasslehoff al riguardo…
Katlin si fermò. La casa era quella. Si guardò attorno, nel buio, ma non vide nessuno. La casa, benché pulita, era vissuta e necessitava di qualche riparazione. Caramon si dava da fare, ma quando non era al lavoro si faceva allenare da Flint. Inoltre, presto i gemelli sarebbero partiti, lasciando Solace per molto, molto tempo. Entrambi avevano inconsciamente iniziato a recidere i legami con il paese di nascita e solo Caramon vi sarebbe rimasto fedele, alla fine.
Katlin cavò di tasca un paio di arnesi sottili e con due movimenti astuti aprì la serratura. Afferrò le gonne con una mano e si insinuò all’interno della casa, chiudendo la porta dietro di sé. A tentoni, cercò la candela posata al centro della tavola, la accese con una scintilla della pietra focaia, poi si affrettò a chiudere gli scuri per evitare che il pur fioco chiarore fosse visibile dalla finestra. Non perse tempo a guardarsi attorno. Afferrò il moccolo di candela ed entrò nella camera da letto dei gemelli, iniziando la sua ricerca.
Mezz’ora dopo scrutava ogni anfratto della sala da pranzo, frustrata. Non c’era. Non la trovava da nessuna parte! Eppure doveva averla Raistlin! Dove diavolo l’aveva ficcata?! La casa era minuscola e lei conosceva tutti i suoi nascondigli, quindi…perché non la trovava?! Dopo altri quindici minuti di ricerca che la fecero sudare per la tensione, dovette arrendersi. Si sedette al tavolo, le labbra strette in una linea invisibile, le mani serrate a pugno sulle ginocchia. Niente: la gemma non era in casa. Raistlin doveva averla addosso.
Katlin masticò un’imprecazione, poi si coprì gli occhi con una mano e respirò a fondo, cercando di calmarsi. Inutile farsi venire una crisi di nervi. Era destino che incontrasse i suoi fratelli. Ecco perché non ricordava nulla di una pietra rossa: i ricordi erano stati cancellati dalla magia di Dalamar. Se così doveva essere, così sarebbe stato.
«E io ho perso un sacco di tempo per niente.» mormorò, seccata. Si alzò e si mise a riordinare la casa per cancellare i segni del suo passaggio. Procedendo con metodo, non più accecata dalla frenesia del suo obiettivo, Katlin cominciò a essere conscia di ciò che la circondava. Riconosceva la sensazione al tatto dei mobili, dei vestiti, delle coperte dei fratelli. Il vago odore di cibo ed erbe che aleggiava in casa le era dannatamente familiare. Quando lasciò la camera da letto e vi gettò un’ultima occhiata, non poté fare a meno di pensare a Caramon, fermo nella stessa posizione ad osservare il gemello febbricitante dopo la morte della loro mamma.
Si spostò in sala da pranzo, ma stava perdendo in risolutezza. Il peso di ricordi non suoi iniziava a soffocarla, chiudendole la gola. Si affrettò, spegnendo la candela con le dita umide per non fare fumo e aprendo gli scuri delle finestre. Restò per un attimo in piedi al buio, per la prima ed ultima volta in contatto con quella che sarebbe stata la sua casa, se Takhisis non l’avesse strappata a Krynn nel momento della nascita. Mancava solo la figura di sua madre Rosamun, ripiegata sulla sua sedia a dondolo con gli occhi meravigliati fissi su chissà quale visione, e la voce di suo padre Gileon che annunciava il ritorno dal lavoro.
Gli occhi le bruciarono come se stessero andando a fuoco. Annaspando, Katlin cercò a tentoni la maniglia, spalancò la porta e uscì, chiudendo l’uscio dietro di sé. Corse via, inseguita dai suoi fantasmi.

***

Preda di un nervosismo che gli faceva vibrare le ossa, Raistlin camminava a testa bassa, gli occhi fissi sui piedi in movimento. Aveva lasciato bruscamente i suoi amici al tavolo insieme a quell’elfo chiacchierone. Gli altri erano degli sciocchi: quel tizio non era un semplice viaggiatore, né una guardia del corpo comune. Aveva occhi troppo intelligenti, acuti…e gelidi. Quello doveva aver messo mano al pugnale più volte, nella sua vita. Inoltre, le sue informazioni su Palanthas e dintorni avevano innescato di nuovo il desiderio represso di Caramon di recarsi al nord con l’amico e la sorella.
Raistlin, pur interessato a sua volta, aveva dovuto andarsene. La loro partenza per Wayreth era una cosa decisa, non aveva intenzione di ritornare sull’argomento, perciò avrebbe lasciato che il sonno riportasse il raziocinio all’interno del cranio di quel bue di suo fratello. Era già abbastanza agitato senza bisogno di dover sostenere un’altra sfinente discussione su cosa lo attendeva alla Torre…
Il giovane alzò bruscamente lo sguardo nel notare una figura nell’ombra, in piedi, appoggiata alla balaustra che si affacciava sulle radici dei vallenwood. Era una donna snella, con i capelli sciolti sulle spalle. Corrugò la fronte e si spostò contro il tronco dell’albero, incerto se procedere, con il rischio di dover attaccare discorso con qualcuno di sua conoscenza, oppure attendere nel buio che la sagoma passasse oltre e si allontanasse. Mentre ancora tentennava, la figura alzò il viso alle fronde mosse dal vento. Una lama di luce lunare disegnò i suoi lineamenti con una fugace pennellata. Il fiato si bloccò nel petto di Raistlin. Il suo cuore si strinse in un grumo doloroso.
«Ma…mamma?» rantolò, prima di potersi frenare.
La donna si voltò con uno scatto che nulla aveva dei movimenti languidi della defunta madre dei gemelli, poi corse via, scomparendo nella tenebra. Raistlin si riportò al centro della passerella, deglutendo la saliva acida che gli aveva inondato la bocca. Il movimento con cui la donna aveva alzato il capo, il languore malinconico dei suoi lineamenti, erano stati la copia fedele di Rosamun Majere.
«E’ un’idiozia.» mormorò tra sé, seccato per quel momento di debolezza, ma qualcosa dentro di lui non pensava di aver sognato. Non era un tipo sentimentale. Quella donna era stata…una visione? O cosa? Un dannato fantasma?!
Impiegò un po’ di tempo per calmarsi e percorrere gli ultimi metri che lo separavano da casa. Aprì la porta, maledicendo suo fratello e la sua abitudine di dimenticarsi di chiudere la serratura, poi accese la candela sul tavolo e si sedette, cercando di calmarsi. I suoi sensi, però, restavano tesi e all’erta, come se vi fosse un pericolo. Anche lì, in casa, sentiva che qualcosa non andava. Si guardò attorno, le labbra serrate, il respiro sottile.
Tutto era al suo posto. La sua anonima, povera casa era la stessa di sempre. Eppure…
La mano gli scese alla cinta. In una scarsella era contenuta una strana gemma ritrovata da Flint, qualcosa che aveva fatto cantare il sangue di Raistlin alla sola vista. L’aveva acquisita quella mattina, prima di pranzo. Ora vi serrò la mano e di nuovo sentì un brivido magico, insieme alla certezza che qualcosa non andava.
La porta si aprì con un colpo, facendolo sobbalzare. Alzò uno sguardo di fuoco sul suo gemello.
«Caramon! C’è bisogno di fare tanto chiasso?!» sibilò, seccato per avergli concesso di spaventarlo.
«Scusa, Raist.- disse subito il gigante, poi sorrise- Che serata! Peccato che te ne sei andato, quel tizio era una miniera di informazioni!»
«Non ne dubito.» replicò Raistlin, alzandosi. Non ne voleva parlare. Si avvicinò alla stanza da letto e lì, sulla soglia, impietrì. Caramon, ignaro, iniziò a spogliarsi per la notte.
«Domani io e Sturm pensiamo di andare a disturbarlo ancora un po’, se è dell’umore.- continuò, sfilandosi la camicia e mettendo a nudo il petto possente- E poi mi piacerebbe vedere la sua Signora. Peccato sia andata a dormire subito, sembra sia bella e…»
Raistlin si voltò verso Caramon con un movimento serpentino che lo zittì. Il giovane si trovò scrutato dagli occhi inquietanti di suo fratello, senza sapere cosa aveva detto per contrariarlo.
«Ra…Raist? Ho…detto qualcosa che non…»
«Domani verrò anch’io a parlare con gli stranieri, Caramon.» lo sorprese Raistlin.
«Ma….credevo non ti interessassero.» borbottò.
«Mi interessano più di quanto tu non creda.» rispose lui, voltandosi di nuovo verso la camera. Non si ingannava: qualcuno era stato in casa, durante la loro assenza. Tutto sembrava al suo posto, ma c’era una foglia sbriciolata per terra, accanto al suo letto. Raistlin aveva dato una spazzata ai pavimenti prima di uscire per la cena. Ma chi, a Solace, avrebbe mai partorito l’idea di andare a frugare in casa di due poveracci come i fratelli Majere?
Due stranieri, forse. Due che cercavano qualcosa di speciale. Qualcosa come una gemma rossa. E Raistlin non si sarebbe sorpreso affatto se l’indomani avesse scoperto che la donna incrociata sulle passerelle, quella che gli aveva mozzato il fiato come per un colpo d’ascia, era la stessa che aveva disegnato il loro ritratto, quella sera.

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Capitolo 25
*** 25 - Non poter dimenticare ***


Author’s note: Scusate l’assenza, problemi lavorativi…Mai sottovalutare il colpo d’occhio di Raistlin! E adesso?!

CAPITOLO 25

NON POTER DIMENTICARE

Erano ormai a un giorno di viaggio dal quartier generale dei Cavalieri di Solamnia. Il lungo viaggio da Solace era quasi concluso e Caramon aveva osservato con rassegnazione la luce di ansia e desiderio che aveva man mano soffuso il volto del giovane Steel, facendo quasi scomparire la preoccupazione per la lontananza di sua zia. Inutile che si intestardissero: Steel era nato per essere Cavaliere, come suo padre prima di lui.
“Almeno qualcuno uscirà contento da questa esperienza.” pensò, rabbuiato. Per parte sua, nonostante la partenza entusiasta ora si sentiva stanco e di cattivo umore. Non gli piaceva che Kat fosse andata via con l’elfo oscuro, si pentiva di aver incoraggiato Steven a provare sentimenti verso sua sorella, avrebbe voluto imporsi sul ragazzo e farlo restare a Solace ancora per due anni o tre. Soprattutto, avrebbe voluto stringere le mani attorno al collo sottile del suo gemello per la conversazione privata che aveva preteso con Steel. Caramon non aveva idea di cosa i due si fossero detti, ma lo sguardo del ragazzo quando gli aveva restituito lo specchio magico…beh, non gli era piaciuto per niente. Raistlin era fin troppo bravo a manipolare gli altri per i suoi scopi.
«Caramon, stai bene? Hai fame? Hai la faccia di uno che ha mangiato un limone.» gli disse Tasslehoff, sporto sulla sella dietro di lui. Caramon scrollò le spalle possenti.
«Non ho niente.- borbottò- Però non hai avuto una brutta idea. Fermiamoci a fare uno spuntino. Vi va? Steven? Steel?»
«Per me va bene, zio Caramon.» assentì il ragazzo, senza mostrare di avere appetito. Anche Steven annuì. Si era fatto silenzioso e si era incupito a sua volta, negli ultimi giorni.
«Fermiamoci in cima alla salita, così sarà più facile tenere d’occhio la strada in entrambe le direzioni.» disse soltanto, pratico.
Caramon annuì e spinse il cavallo a un piccolo scatto in avanti, per controllare che il loro punto di sosta prescelto fosse tranquillo e non occupato da altri viaggiatori. Ci voleva una pausa. Più si avvicinavano alla sede dei Cavalieri, più il guerriero sentiva un peso sul cuore. Brutti presentimenti nell’aria.
“Sto diventando paranoico.” si disse. Tika lo avrebbe sgridato, incitandolo ad essere positivo per il bene del ragazzo. Già, ma Tika non sapeva bene quanto lui cosa significava fare la pedina all’interno dei giochi intessuti da coloro che praticano la magia…
«E’ già occupato, Caramon.» lo riportò alla realtà Tasslehoff.
«Eh?» chiese, confuso. Il braccio di Tas gli comparve a fianco, indicando di fronte a loro.
«C’è già qualcuno che bivacca. Dovremo fermarci un po’ più giù, a meno di volere un po’ di compagnia. Personalmente non mi dispiacerebbe chiacchierare un po’, ma immagino che per voi non sia lo stesso. Voglio dire, guarda che facce…» finì il kender, borbottando.
In effetti c’era una persona seduta sul ciglio della strada, ma non stava bivaccando. Sembrava in attesa. Forse era stanca, o non si sentiva bene. Si trattava di una donna. Caramon corrugò la fronte, osservando quella figura vestita di bianco mentre si avvicinavano.
«E’ una chierica di Paladine.- disse, perplesso- Cosa ci fa una donna sola sulla strada per…» D’improvviso sgranò gli occhi e trattenne il fiato.
«Cosa? Caramon, cosa c’è?!» chiese Tasslehoff, avvertendo la tensione della sua schiena.
«Per tutti i fulmini, quella è Crysania!»
«Cosa?!» sbottò il kender, sporgendosi oltre la mole del gigante tanto da essere quasi orizzontale sulla sella. La figura bianca si era voltata verso di loro e si stava alzando. Quella era proprio Crysania, senza alcun dubbio. Caramon spronò il cavallo, guadagnandosi richiami preoccupati da parte di Steven, più indietro.
«Crysania!- esclamò Caramon, scendendo di sella mentre il cavallo ancora scalpitava- Per tutti i draconici, che ci fai qui?! Sola?! Dovresti essere…»
«Al Tempio, a farmi giudicare.- finì per lui la donna, con un sorriso ambiguo- Qualcuno ha deciso che avevo espiato abbastanza.»
«E’ meraviglioso trovarti qui!» disse Tasslehoff, eccitato dalla novità che stava scuotendo il mortorio degli ultimi giorni.
«Qualcuno?! Chi…» balbettò Caramon, perplesso.
«La Reverenda Figlia Crysania?!» chiese Steven, giunto in quel momento insieme a Steel. Crysania alzò lo sguardo sui due e chinò il capo in un cenno di saluto.
«Crysania, questi sono Steel Brightblade, nostro nipote, e Steven Sharphalberd, un Cavaliere di Solamnia.- disse velocemente il guerriero, liberandosi delle formalità- Crysania, come fai a trovarti qui? E’ stato Raistlin?»
Crysania scosse il capo, poi sorrise a Tasslehoff.
«E’ stato un amico speciale del nostro Tas.» rispose soltanto. Il kender e Caramon capirono e si scambiarono un’occhiata stupefatta.
«Beh…allora non c’è niente da aggiungere. Voglio dire, è un sollievo sapere che almeno lui non si è arrabbiato con te. Non che avessi dubbi, ma i chierici a volte sono così testardi! Senza offesa, Crysania…» disse Tas.
«Nessuna offesa, Tas.- assicurò Crysania, poi guardò Caramon- Posso accompagnarvi?»
«Non…» mormorò Caramon, perplesso, poi la prese gentilmente per il gomito e si avvicinò, sussurrando: «Non preferisci andare da Raistlin? Non vi vedete da molto tempo. Possiamo fare una deviazione e scortarti da lui, se vuoi.»
I grigi occhi di Crysania furono attraversati da un lampo di malinconia, ma la chierica scosse la testa e posò gentilmente una mano su quella del guerriero.
«Se sono stata condotta a voi, c’è sicuramente un motivo, Caramon. Vi seguirò. Raistlin saprà presto di potermi vedere, se ne avrà il desiderio.» disse.
«Immagino che lui lo sappia già.» borbottò Caramon.
«Già, lui sa sempre tutto.- asserì Tasslehoff, annuendo- Crysania probabilmente ha ragione, se Fizban l’ha portata da noi allora forse deve seguirci. Noi andiamo dai Cavalieri di Solamnia, Crysania. Sai…per Steel.»
Crysania annuì e alzò lo sguardo per sorridere al ragazzo. Lo vide troppo serio, pallido. Anche lei, come Caramon poco prima, avvertì nelle ossa che i guai erano appena cominciati. Stava per succedere qualcosa.
“Paladine, cosa c’è in serbo questo ragazzo? Cosa c’è in serbo per tutti noi?” si chiese. Fu scossa da un brivido. Presa dal processo interno al Tempio, per qualche tempo si era quasi scordata delle immani potenze in gioco contro i Majere e le forze del Bene. Negli occhi cupi di quel ragazzino, nell’assenza di Raistlin e Katlin, Crysania ritrovò bruscamente la realtà di quanto li attendeva.


***


Dalamar si alzò dal letto con uno scatto, passando dall’immobilità al movimento con la stessa rapidità con cui la sua pazienza si era spezzata. Katlin ci stava mettendo troppo. Lui aveva tenuto avvinti Flint e gli altri con le sue novità dal nord per più di un’ora, anche se ad un certo punto il giovane Raistlin se n’era andato con una scusa brusca, e dopo averli salutati aveva aspettato un’altra mezz’ora. Nessuna traccia di Katlin. Possibile che qualcosa fosse andato storto? Che lo Shalafi, tornando, avesse colto la donna in flagrante?
Non poteva più stare lì ad aspettare. Doveva andarle incontro e scoprire cos’era successo. Uscì dalla propria camera, controllando che nessuno si fosse soffermato nei paraggi. Non aveva alcuna intenzione di incrociare Kitiara per sbaglio. Tutto era silenzioso. Dalamar scivolò fuori dalla stanza da letto, tornò nella sala comune e sgattaiolò oltre la porta d’ingresso, seguito solo dal fioco rumore di pentolame in cucina, dove una luce era ancora accesa. Si allontanò un po’, poi si bloccò. Katlin stava entrando proprio in quel momento. Si ritirò precipitosamente nell’ombra e tornò in camera. Lungi da lui mostrarle inutilmente la sua preoccupazione!
“Non è mai stato nel mio carattere fare mosse altruistiche.” si rimproverò, seccato con se stesso. Attese, seduto sul letto, poi la sentì bussare. Si alzò e aprì, come se niente fosse. Lei scivolò dentro senza nemmeno guardarlo in volto. Andò subito alla finestra, le mani appoggiate all’intelaiatura di legno.
Dalamar corrugò la fronte. Qualcosa non andava in lei. La testa era china, come se stesse fissando i propri piedi, la schiena un po’ curva. Nel complesso dava una sensazione di sconfitta e desolazione che gli riportò alla mente il tempo in cui Takhisis aveva utilizzato il suo corpo fino allo stremo.
«Katlin.» mormorò. Lei scosse la testa, invece di rispondere, facendogli capire di non avere molta voglia di parlare. L’elfo oscuro si avvicinò, le sfiorò un braccio. «Non l’hai trovata.» disse.
«Raist deve portarla con sé.» mormorò lei, senza alzare la testa. Dalamar corrugò la fronte.
«Gliela sottrarrò domani, allora.» le disse. Come prevedeva, ottenne solo un altro cenno del capo. Non essere entrata in possesso della gemma non costituiva la sola causa di quell’atteggiamento sconfitto, introverso. «Cosa c’è?» sussurrò.
«Ho…sottovalutato la portata dei miei ricordi, temo.» si spremette lei con fatica, senza guardarlo in faccia. Esalò il fiato con impazienza per se stessa, passandosi una mano sulla guancia. «Dammi tregua. Grazie per avermi atteso, ma…torna in camera tua. Ne parleremo domattina.»
«E’ questa la mia camera.»
Katlin alzò la testa e lo guardò, momentaneamente smarrita.
«Oh…scusa, allora. Sai indicarmi la mia?» chiese, la mente altrove. Dalamar prese un respiro. Sembrava un pessimo momento per ammetterlo, ma il giochetto era finito.
«Abbiamo una sola camera, Katlin. Otik non aveva altro da offrirci.» rispose, calmo.
Sul volto di Katlin si susseguì una ridda di sentimenti e colori che l’elfo riuscì a leggere senza difficoltà, sentendosi più stanco e amareggiato che divertito, per quanto non volesse ammetterlo. Stupore, comprensione, sospetto, collera, furia, gelo. L’ultima stazione sembrò quella definitiva. Probabilmente Katlin non aveva voglia di svegliare tutta la locanda cercando di sbatterlo fuori a calci dalla camera.
«Capisco.- disse soltanto- Allora c’è poco da fare. Non sono così poco signorile da farti dormire per terra, quindi divideremo il letto. E’ già accaduto.» Si abbassò e scaraventò sul letto doppio le loro sacche da viaggio, sistemandole con gesti bruschi in mezzo al materasso. «Ecco. Tutti felici e contenti. Ora fammi il piacere di essere abbastanza gentiluomo da voltarti mentre mi levo questo dannato vestito.»
«Katlin…»
«Voltati, per favore.»
«Katlin, dobbiamo parlare. Cos’è successo mentre eri in casa di…» insistette Dalamar, iniziando a irritarsi.
«Non voglio parlare!- sibilò lei, paonazza, poi cercò di dominarsi- Voglio dormire. Sono stanca. Dividerò il letto con te, ma non ho intenzione di discutere, ora. Chiudi la bocca e dammi modo di riposare!»
Dalamar ne sostenne lo sguardo, valutando se insistere o meno, poi cedette e si voltò. La sua idea di sedurla era andata in fumo prima ancora di iniziare e, tanto per cambiare, era colpa dello Shalafi. Con Katlin in tali condizioni di spirito, doveva ritenersi fortunato che non gli fosse saltata alla gola per quel piccolo trucchetto volto a passare la notte in intimità.
Sentì dietro di sé i fruscii del vestito che veniva sfilato e poi cadeva sul pavimento e suo malgrado avvertì il desiderio risvegliarsi. Katlin non aveva tutti i torti a non fidarsi di lui. Credeva di saper essere più freddo, contando che fino a una settimana prima l’avrebbe presa volentieri a schiaffi. Invece, reagiva come un ragazzino. Era perfino imbarazzante.
«Buonanotte.»
Il lapidario saluto giunse come segnale che poteva voltarsi. Katlin era già sotto il lenzuolo, da cui usciva un braccio nudo e una spalla coperta dalla sottoveste bianca. Il viso era così affondato nel cuscino che non riusciva a vederne nulla. Stringendo le labbra in una linea sottile, Dalamar scalciò via gli stivali, si spogliò con ostentata noncuranza e si mise a sua volta a letto, spegnendo la candela con un soffio forse troppo irritato.
Cominciò così una notte che prevedeva insonne. A pochi centimetri dal corpo di lei, nel caldo estivo della camera, si sentiva bruciare e non sapeva a quale delle due cause attribuire la colpa. Al contempo doveva contenere sia la voglia di alzarsi a sedere sul letto e mettersi a litigare per il solo gusto di giungere a un punto di rottura, che quella di chiederle di nuovo cosa le avesse dipinto quella desolazione sul volto. Lei era sveglia. Lo capiva dal suo respiro veloce e poco profondo, dalla tensione della spalla e della schiena, appena discernibili nel buio.
L’elfo si coprì gli occhi con l’avambraccio, esalando un breve sospiro. Maledizione al kender e alle sue belle proposte…Sarebbe stato più facile continuare a odiare quella donna. Lei gliene aveva dato motivo fino alla nausea, no? Allora perché intestardirsi, perché mandare in poltiglia un cervello di cui andava fiero per una dannata umana che sapeva solo tradirlo?!
Il corpo al suo fianco sussultò appena, scosso da un singulto appena percettibile. La sensazione che provò nel capire che Katlin stava piangendo silenziosamente gli diede la risposta che cercava. Per amare, purtroppo, non era necessaria alcuna buona ragione.
Allungò una mano e scaraventò giù dal letto l’effimera barriera, poi si sporse su di lei e le posò un bacio sui capelli, circondandole le spalle con un braccio. La sentì irrigidirsi, trattenere il fiato con un ansito. La strinse ancora più forte al suo petto, come se volesse imprigionarla, impedirle una reazione che ancora non c’era stata. Continuò a baciarla sul capo, sulla curva delicata del padiglione auricolare, sulla tempia.
«Dalamar, cosa…smettila…» balbettò lei, cercando senza grande sforzo di liberarsi. Era confusa…e forse non voleva affatto essere libera. Qualcosa l’aveva sconvolta tanto da portarla al pianto e lui non aveva saputo vedere oltre le sue richieste di solitudine, i suoi modi altezzosi. Forse Dalamar non aveva mai capito un accidente di quella donna.
Coprì la bocca di lei con la propria e finalmente Katlin tentò di spingerlo via, di liberarsi. Troppo tardi, per entrambi. Le sue proteste non durarono a lungo e la passione tenuta a freno per mesi, mascherata d’odio, si prese quanto dovuto.


***


Quando Dalamar si svegliò la luce del sole gli feriva gli occhi. Si alzò a sedere di scatto, maledicendosi per aver ceduto al sonno senza chiarire con Katlin, dopo che entrambi avevano perso il ben dell’intelletto. Ora si sarebbe messa sulla difensiva, accidenti…La vide in piedi, che guardava fuori dalla finestra aperta. Gli dava le spalle, rigida come una lancia infitta nel terreno.
«E’ stato…» esordì lei.
«…uno sbaglio?- la anticipò, amaro, gettando di lato il lenzuolo e iniziando a vestirsi- Per favore, non dire idiozie. Insulti la mia e la tua intelligenza.»
Lei si voltò, il viso paonazzo.
«E allora cos’è stato?- sibilò- Tu mi odi, sei stato abbastanza chiaro in materia. Non serve a nessuno di noi cedere al piacere in questo modo. Siamo entrambi superiori a questo, per fare eco alle tue parole.»
«Sicuramente non servirà a te, che hai un Cavaliere di Solamnia per amante!» sbottò Dalamar, smettendo di far finta di vestirsi e alzandosi per fronteggiarla.
«Co…amante?!» boccheggiò Katlin.
«Stai negando?»
«Certo che nego!»
«Bugiarda! Ho visto come ti guarda, come tu sei debole alle sue lusinghe.- quasi ringhiò l’elfo- E sì, mia cara: ti odio.»
«Questo lo sapevo, grazie tante.» disse Katlin tra i denti, stringendo i pugni come per impedirsi di saltargli agli occhi.
«Ti odio perché non riesco a smettere di volerti.» sputò fuori lui. Ebbe almeno la soddisfazione di ridurla al più completo silenzio. «Tu mi hai umiliato, mi hai condotto dove volevi senza un pensiero su quali fossero la mia volontà o i miei desideri. Non ho mai concesso a nessuno di prendermi per il naso, Kat, e tu lo hai fatto troppe volte!- continuò, quasi vibrando per la furia e la passione che lo stavano riempiendo di nuovo, come se il suo sangue non fosse fatto che di fuoco- Ciò per cui mi detesto, per cui vorrei punirti fino alla fine dei miei giorni, è che in un modo che ancora mi sfugge mi hai legato a te e non mi è concesso liberarmi. Perché credi che sia venuto fin qui, dannazione, per farti da balia asciutta?!»
Katlin sembrò rimpicciolire e ringiovanire di botto. Gli stava di fronte come una bambina sperduta, confusa, impreparata.
«Allora tu…io…stanotte…» balbettò. Inconsciamente, alzò le mani come a volerlo raggiungere, o attrarre a sé. Per Dalamar fu una risposta sufficiente. Lei lo voleva ancora, come il suo corpo gli aveva dimostrato quella notte. Ci sarebbe stato tempo per chiarire il ruolo di quello Steven Sharphalberd. Ora voleva solo annullare la distanza che li separava.
Riuscì a fare solo un passo. Quello successivo fu sottolineato da un discreto ma inequivocabile battere di nocche sulla porta. Katlin abbassò bruscamente le braccia, come svegliandosi da un sogno, e Dalamar trattenne un’imprecazione, stentando a credere quanto la sfortuna si stesse accanendo su di lui. Prese la camicia e la infilò, mentre Katlin apriva la porta di uno spiraglio e scambiava poche parole con l’oste.
Quando sentì richiudersi la porta, si voltò. Katlin alzò su di lui occhi gelidi e professionali e gli offrì la ciliegina sulla torta di quella delirante mattinata d’estate.
«Raistlin è nella sala comune.- gli comunicò- Vuole parlare subito con noi.»

 

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Capitolo 26
*** 26 - Un incontro mai avvenuto ***


Author’s note: Eccomi qui con un nuovo capitolo dopo tanti mesi. Mi dispiace immensamente avervi lasciati in questo modo, ma ho passato un periodo poco piacevole della mia vita, soprattutto per ciò che concerne la salute. Niente di grave, ma una patologia agli occhi mi ha impedito di dedicarmi alla scrittura. Pian piano guarirò e ricomincerò, fortunatamente questa lunga storia non è lontana dalla sua conclusione. Ci incamminiamo, anche se piano piano?

CAPITOLO 26
UN INCONTRO MAI AVVENUTO


Katlin uscì dalla camera con uno stato d’animo molto più calmo rispetto a qualche momento prima. Ci sarebbero stati tempo e modi per chiarire la questione con Dalamar, per ripensare al cedimento che suo malgrado aveva avuto durante la notte. Una parte di sé al momento era confusa e umiliata, anche se animata da una speranza così informe da risultare irritante, e l’avrebbe distratta se solo gliene avesse data la possibilità. Quanto avvenuto non doveva intaccare la sua professionalità. La attendeva un confronto con Raistlin e non aveva intenzione di farsi trovare impreparata. Anzi, la prospettiva le restituiva un po’ di lucidità.
In parte, se l’era aspettato. Avendo frugato in casa dei gemelli e incrociando Raistlin lungo la via, non era impossibile che il giovane tanto astuto avesse avuto qualche sospetto sui nuovi arrivati. O forse suo fratello era irritato perché le chiacchiere di Dalamar avevano entusiasmato Caramon e ciò andava contro i suoi piani di viaggio verso Wayreth? Voleva raccomandare loro di farsi i fatti propri? In un modo o nell’altro, era destino che si incontrassero, come l’assenza della gemma nella memoria del fratello dimostrava. Quello sarebbe stato lavoro per Dalamar. In un modo o nell’altro, Katlin voleva riaverla entro sera.
Lanciò all’elfo un’occhiata di sbieco e non lesse agitazione sul suo volto. Era inespressivo, professionale come sempre. Avrebbe lasciato a lei l’onere di gestire la situazione. Lui avrebbe agito in seguito, a seconda di come si fossero messe le cose.
«Mi spiace davvero, signora, ma il giovane Majere ha tanto insistito…» mormorò Otik, precedendoli nella sala comune.
«Non hai ragione di preoccuparti, oste. – gli disse Katlin, garbata – Sono sicura che il ragazzo avrà avuto un buon motivo per chiedere di parlare con noi.»
Entrarono nella sala comune, deserta a quell’ora del mattino. La luce del sole entrava copiosamente dalle finestre e dalla porta spalancata, tingendo d’oro la polvere nell’aria. Un ragazzone in piedi vicino alla soglia si voltò di scatto, esibendosi in un sorriso nervoso. I suoi occhi guizzarono subito verso uno dei pochi angoli in ombra, come a voler cercare conferma sul comportamento da tenere. Caramon era sulle spine: brutto segno.
Katlin fece un cenno del capo al suo giovane gemello e poi si diresse con Dalamar al tavolo ove li attendeva Raistlin, che si stava alzando in piedi per riceverli con irritante lentezza. La donna dovette reprimere l’urgenza di sorridere. Vedere Raistlin tanto arrogante quanto giovane, con quel suo viso serio ancora salvo dalle devastazioni della Prova, stuzzicava il suo senso dell’umorismo. Fortunatamente, la situazione poco allegra e la nostalgia che quella visione le instillava frenarono sul nascere qualsiasi spunto di ilarità fuori luogo.
Raistlin, dal canto suo, scrutava con attenzione i nuovi arrivati, ricordando solo all’ultimo istante di alzarsi a salutare per mostrare almeno una superficiale cortesia. Non sapeva con che razza di gente aveva a che fare e non voleva scoprirsi subito. Caramon lo raggiunse al tavolo, agitato, e quasi fece cadere la sedia nel tentativo di scostarla dalla tavola per farsi posto. Il giovane trattenne una smorfia di fastidio per la goffaggine del gemello, ma quel giorno preferiva averlo accanto: se i due stranieri avessero assunto un atteggiamento ostile, Caramon l’avrebbe difeso a qualunque costo.
Badò poco all’elfo, che aveva comunque catalogato la sera prima come un tipo ben più pericoloso di un servo qualunque…senza contare la sua identità di elfo rinnegato, unica spiegazione a un rapporto di servitù verso un essere umano. Si concentrò sulla donna, di cui finalmente riusciva a vedere il volto in piena luce. Era giovane, doveva avere l’età di Kitiara, anche se i capelli scuri acconciati dietro la nuca lasciavano intravedere parecchi fili bianchi. Il viso era pallido e piuttosto anonimo, gli occhi blu lo guardavano con un misto di blanda curiosità e supponenza a cui Raistlin non credette per un solo istante. L’aveva osservata con attenzione, la sera prima, al tavolo. Mentre l’elfo attaccava discorso, il volto in ombra gli era sembrato intenso, pieno di una brama incomprensibile. Gli occhi le luccicavano come pugnali. Quello che vedeva ora non era il vero volto della signora del nord, che forse aveva qualcosa da nascondere.
«Buongiorno. Io sono Katlin ‘Ym Adoonan.- disse lei – E voi, mi dicono, siete i gemelli Majere.»
«Caramon e Raistlin Majere, sissignora.- intervenne Caramon, allungando la grossa mano cordiale- Ci spiace disturbarvi, ma Raist voleva parlare con voi e anch’io…cioè…la vostra guardia del corpo ci parlava di Palanthas e…»
«Taci, Caramon.- disse Raistlin, tentando di rimanere calmo- E ritira quella mano. Una signora di buona famiglia non stringe la mano ai villici.»
Caramon lasciò subito cadere il braccio con un commovente imbarazzo sul volto. Katlin ne fu dispiaciuta, ma preferì lasciare Raistlin nelle sue convinzioni…sempre che fossero tali. Si sedette con Dalamar accanto, conscia che gli occhi di Raistlin la scrutavano con ben più che mera curiosità.
«Siete originaria di Haven ma vivete a Palanthas, a quanto ci ha raccontato la vostra guardia del corpo.- esordì Raistlin- Posso chiedervi cosa vi porta a Solace, se non sono indiscreto?»
«Lo siete.- rispose lei, facendolo irrigidire – D’altra parte, non vedo perché non dirvelo. Sono qui per condurre un affare delicato.»
«Con Flint Fireforge?» chiese il giovane, che aveva spremuto per bene Otik.
«Non esattamente.» ritorse Katlin, senza sbilanciarsi.
«Un affare che vi porta a camminare di notte per un paese che non conoscete senza la vostra guardia del corpo?» la provocò Raistlin. La donna di fronte a lui sollevò appena un sopracciglio. Il suo autocontrollo era ammirevole. «Ci siamo incrociati sulle passerelle, ieri sera. Non ricordate?»
“Eccoci qua. Ieri mi ha riconosciuta e gli sono sembrata sospetta.” pensò Katlin, sollevata nel capire finalmente cosa aveva portato Raistlin da lei. Eppure, era sufficiente come motivazione? Per quanto potesse forse averlo insospettito vedere una giovane nobile, che in teoria aveva fatto credere di essersi ritirata in camera, sola di notte lungo le passerelle, poteva essere un motivo sufficiente perché una persona schiva come Raistlin si interessasse tanto?
«La mia sicurezza è affar mio. Inoltre non rammento di aver incontrato uno di voi, solo una figura che si nascondeva nell’ombra. Immagino che anche a Solace sia lecito prendere una boccata d’aria.» rispose, con voluto sarcasmo.
«Una delle poche cose che è sempre lecito cercare e prendersi senza chiedere il permesso, sì.» ritorse Raistlin. Vide che la donna stringeva appena le palpebre e si congratulò con se stesso per averle fatto perdere almeno un po’ della sua studiata indifferenza.
«Il vostro tono non è molto cordiale, Sh…giovane Majere.- intervenne l’elfo, il volto cupo- Sembra quasi stiate accusando la mia signora per aver avuto l’ardire di permettersi una passeggiata.»
«Raist, il signor elfo ha ragione.- borbottò Caramon, preoccupato- Perché parli così? Perché sei arrabbiato?»
«Una passeggiata che vi ha condotto verso una dimora vuota dei proprietari, signora?- insistette Raistlin, ignorando tutto ciò che non fossero quegli occhi blu che di attimo in attimo si facevano più duri- Per cercare cosa?»
L’elfo scattò in piedi e Caramon lo imitò nello spazio di un secondo, stendendo protettivamente il braccio davanti a Raistlin, che non aveva fatto una piega.
«Non vi permetto di rivolgervi con questo tono…» sibilò Dalamar, minaccioso.
«Non provate ad alzare le mani su mio fratello, voi!» sbottò Caramon, che non aveva dubbi su chi difendere, benché egli stesso fosse sbalordito dalle velate accuse di Raistlin a quella signora bella e gentile. Non sapeva cos’era successo, ma il malumore di Raist era cominciato la sera prima, quando erano tornati a casa. A cosa era dovuto?
Qualsiasi ulteriore peggioramento della situazione fu evitato dalla giovane donna, che alzò una mano a frenare la sua guardia del corpo.
«Dalamar, perché tu e il fratello di questo giovane mago non uscite a…prendervi una boccata d’aria?- disse, ironica- Io e il giovane Majere ci chiariremo meglio per i fatti nostri.
«Io non lascio Raist!» sbottò Caramon.
«Signora, non credo sia il caso…» protestò Dalamar, che in realtà attendeva quel momento fin dal principio. Raistlin ristette, incerto, poi intercettò l’occhiata della giovane donna e corrugò la fronte.
«Vai, Caramon. Non mi succederà niente.» disse al gemello con voce calma. Caramon non parve convinto.
«Sei sicuro, Raist?» borbottò.
«Certo! Credi forse che questa signora abbia intenzione di tagliarmi la gola, con Otik che va avanti e indietro?» lo sferzò Raistlin con sarcasmo. In realtà, non si fidava di quella donna. Per niente. Nei suoi occhi, però, aveva letto la verità: si trattava di qualcosa di serio, probabilmente legato alla magia. Non si sarebbe lasciato sfuggire quell’occasione.
Zittito dalla ragionevole obiezione del fratello, Caramon si decise a uscire insieme a Dalamar, le spalle un po’ curve. Raistlin attese che fossero lontani entrambi prima di guardare di nuovo in volto la straniera. Si trovò di fronte una donna del tutto diversa, carismatica se non bella. I lineamenti di lei tornarono a dargli la bizzarra sensazione di stare guardando sua madre.
«Va bene, Raistlin Majere. Di cosa mi accusi? Parla chiaro.» gli disse. Non gli piacque la punta di divertimento nella sua voce.
«Vi siete introdotta in casa mia, ieri sera.» rispose, brusco.
«Perché avrei dovuto?» chiese la donna.
«Cercavate una cosa che Flint non ha più…e che ora credete abbia io.» disse lui, pratico.
«E ce l’hai?» ritorse lei, con un sorrisetto. Raistlin si strinse nelle spalle magre.
«Forse.- non si sbilanciò- Non do niente per niente.»
La donna rise piano, annuendo.
«Sì, mi pare giusto. Va bene, giochiamo a carte scoperte.- disse, facendo un gesto vago con la mano- Si tratta della gemma rossa che Flint teneva in casa e che ora possiedi tu. E’ mia.»
«Ah sì?» chiese Raistlin, scettico.
«Hai avvertito la sua magia, non è vero?» continuò la giovane donna, come se avesse deciso di non dar peso ai suoi interventi. Raistlin corrugò la fronte ma non rispose. «Non si tratta di un veicolo per incantesimi, se è questo che credi. In realtà, è totalmente inutile per qualsiasi mago che non sia io.»
«Voi siete una maga?»
«Una Veste Rossa.- ammise lei- Servo Lunitari. Sorpreso?»
Raistlin storse la bocca. Quindi lei era una di quelle maghe che avevano timore ad andare in giro con la veste dell’Ordine? Il suo rango poteva spiegare meglio lo strano rapporto con l’elfo, eppure non era convinto.
«Non sento provenire magia, da voi. La state celando?» chiese con voce venata di palese scetticismo.
«Non esattamente.- sospirò lei- Per vicissitudini che non ho voglia di raccontare, la mia magia mi ha abbandonata da quasi un anno, solidificandosi nella gemma che ora è nelle tue mani.»
«Cosa…?!»
«Hai avvertito il suo potenziale. Non cercare di ingannarmi, Raistlin.- lo avvertì – E’ una pietra sanguigna, grande quasi quanto un pugno. Sappiamo entrambi di che si tratta, non prendiamoci in giro.»
«Va bene, parliamo chiaro.- disse Raistlin, brusco- Chi siete voi? Se questa famosa pietra cristallizza la vostra magia com’è possibile che sia stata trovata a Solace?»
Katlin corrugò la fronte. A quel punto nemmeno lei poteva tirarsi indietro.
«Avrei preferito non dirtelo, ma…come ti dicevo, sono una maga. Anche Dalamar lo è. Veniamo davvero da Palanthas, come vi è stato raccontato ieri sera, ma io non sono nobile e lui non è la mia guardia del corpo.»
«Questo l’avevo intuito, grazie.- commentò il giovane, sarcastico – Dunque?»
«Il fatto è che noi non siamo di questo “tempo”. Veniamo dal futuro.» Raistlin continuò a guardarla impassibile, così gli svelò quel poco che poteva dirgli senza temere di fare danni. «Siamo i tuoi apprendisti, Raistlin. Sei stato tu a mandarci a Solace per recuperare la mia magia.»
***
«Ne sei certo?» sussurrò Tanis, prendendo Caramon in disparte.
«Più che certo. Coglieranno questa occasione per far scappare Ariakan, Raist è stato molto chiaro…e sai che le sue informazioni sono sempre esatte.» borbottò.
«Tranne quando gli fa comodo che non lo siano.» venne spontaneo mormorare a Tanis, scuotendo poi la testa di fronte all’incupirsi del guerriero. «Non mi fraintendere, Caramon, ma tuo fratello non mi è mai sembrato molto preoccupato per le sorti del ragazzo.»
«Non per Steel, ma anche lui ha i suoi motivi per volerlo vivo e nei nostri paraggi. Prova ne è che ha voluto parlargli attraverso lo specchio.» sospirò Caramon, decidendo di non prendersela per l’ovvia verità detta dal Mezzelfo.
Avevano incontrato Tanis solo un’ora prima. Il Mezzelfo era andato loro incontro partendo dalla fortezza dei Cavalieri, deciso a offrire una scorta ulteriore vista la situazione delicata. Era rimasto molto sorpreso di trovare Crysania in mezzo a loro, anche se Lord Gunthar era stato raggiunto da una missiva dei chierici dell’Ordine che chiedevano se i Cavalieri di Solamnia avessero recenti notizie della Reverenda Figlia…
Ora Crysania sedeva a lato della strada, insieme a Steel e Tasslehoff. Il suo viso era pallido e un po’ sofferente per i pensieri che non l’abbandonavano, nonostante l’intervento dello stesso Paladine. Tasslehoff cercava di alleggerire l’atmosfera, ma anche Steel era chiuso a chiave dentro se stesso a doppia mandata. Steven Sharphalberd stava parlando con i cinque Cavalieri giunti insieme a Tanis, forse raccontando loro del singolo attacco di cui erano stati vittima.
Caramon non aveva potuto fare a meno di notare che la naturale agitazione del ragazzo al pensiero di iniziare una nuova vita si era come modificata dopo la conversazione privata avuta con Raistlin. Steel sembrava essere sempre immerso in pensieri cupi, come se la sua mente stesse arrovellandosi su una questione importante che non riusciva a dipanare. Caramon avrebbe voluto insistere per farlo parlare di cosa lo crucciava, ma era restio a sollecitare troppo suo nipote. Rispettava il suo silenzio come aveva rispettato quello di Sturm.
«Quindi Raistlin farà sapere ai maghi dove e come i Grigi tenteranno la sortita?» chiese ancora Tanis, incerto. Caramon annuì. «E’ un suicidio da parte loro, Caramon.»
«Lo so, ma forse il gioco vale la candela.- mormorò il gigante- Per loro, Ariakan e Steel sono due pedine troppo importanti. Non credo che io e te possiamo renderci conto di quanto. Non siamo gente che guarda nel futuro.»
Tanis gli lanciò un’occhiata stranita, poi sorrise e gli batté una mano sulla spalla.
“Dovrei aver imparato a non sottovalutare Caramon.” pensò, provando un po’ di nostalgia per quel ragazzo tutto muscoli e niente cervello che le battaglie e gli orrori vissuti avevano reso un adulto affidabile e disilluso.
«Non ci siamo accorti dei maghi di guardia fuori dalla fortezza, uscendo per venirvi incontro. Questo mi induce a pensare che tu e Raistlin abbiate ragione: se i Cavalieri non si sono accorti del Conclave in allarme, non si accorgeranno nemmeno dei Grigi finché non sarà tardi.» disse a voce bassa, per evitare di farsi sentire da Steven e dagli altri soldati.
«Se gliene parlassimo ora, riceveremmo i soliti commenti ottimisti.- disse Caramon, scuotendo la testa- Forse Steven mi darebbe retta, ma il piano di Raistlin rimane il migliore. Sapremo dove e quando i Grigi attaccheranno. I maghi faranno il primo tentativo di fermarli, così i Cavalieri avranno il tempo di capire e reagire.»
«E speriamo che vada tutto bene.- Tanis aprì le braccia in un gesto di frustrazione- Noi cerchiamo di stare attenti a Steel. Di più non possiamo fare, sembra che ci remi tutto contro.»
Caramon sogghignò.
«Come sempre, Tanis. Fortunatamente, gran parte del nostro gruppo è riunito al suo fianco e nelle difficoltà peggiori tendiamo a dare il meglio!»
Tanis sorrise suo malgrado, poi aprì la bocca per chiedere se c’erano notizie di Katlin, ma fu interrotto da Tasslehoff, che aveva fatto una corsa fino a loro.
«Steven dice che si parte.- li avvisò, accennando al cavaliere biondo, che li stava guardando e annuì nella loro direzione- Andiamo? E’ un pezzo che non metto piede in una fortezza solamnica e devo dire che ne ho una certa nostalgia, anche se non saprei dire come mai…non è che siano molto divertenti…»
«Il tuo desiderio sarà presto esaudito.- disse Tanis, con un sospiro- Un’ultima domanda: notizie di Kat?»
«L’ultimo a vederla sei stato tu.- rispose Caramon, scrollando le spalle con volto cupo- Non ne ho idea.»
«Raistlin non ci ha detto nulla quando ci ha contattati, ma dovrebbe essere indietro nel tempo con Dalamar.- disse Tasslehoff, a sua volta pensieroso- Immagino che ti abbia detto della gemma che è scomparsa dopo che quello sciamano…cioè, un intero gruppo di draconici…ci ha attaccato.»
«Sì, ha accennato qualcosa a me e a Dama Crysania.» ammise il Mezzelfo.
«Beh, se Raistlin sta preparando un assalto col botto immagino che quei due torneranno presto.- considerò il kender- Kat e Dalamar sono forti e Raist gli avrà detto di tornare per tempo.»
«Lo penso anch’io.» disse Caramon, un po’ stupito dall’analisi acuta del kender.
«Speriamo solo che Steven non la prenda male. Che quei due sono tornati insieme, voglio dire.» aggiunge Tas, rovinando la buona impressione e costringendo il gigante a tappargli la bocca con una mano. Si sentì a disagio sotto lo sguardo stupefatto di Tanis, mentre Tas si sbracciava nel tentativo di liberarsi e riprendere a respirare.
«Sono tornati insieme?!- sbottò il Mezzelfo – Da quando?! E cosa c’entra Sharphalberd?»
Caramon lasciò andare Tasslehoff, che prese fiato boccheggiando, e spostò il peso da un piede all’altro, sulle spine.
«E’ una lunga storia…» cominciò.
Steel, nel frattempo, veniva riscosso dai suoi pensieri dalla mano delicata di Crysania, che gli si era poggiata su una spalla. Alzò lo sguardo su di lei, che conosceva ancora poco ma di cui sentiva di potersi fidare.
«Andiamo, Steel? I Cavalieri hanno fatto cenno di volersi mettere in cammino.» gli disse, pacata. Lui annuì e si alzò, afferrando la sua sacca e controllando la corta daga alla cintura. Si rese conto in un secondo momento di avere ancora gli occhi grigi di lei puntati addosso.
«Mia Signora?» chiese, perplesso e un po’ inquieto. Da quando aveva parlato con Raistlin Majere, temeva in ogni momento di lasciar trapelare qualcosa della loro conversazione, del piano azzardato del mago. Quella donna era il capo dei Chierici di Paladine, quindi forse poteva leggere in lui anche le cose più nascoste…
«Non devi essere preoccupato, giovane Steel.- disse lei, procurandogli un tuffo al cuore- Se la tua scelta di diventare Cavaliere è stata presa in piena coscienza, non devi concedere a chi ti vuole male di rovinarti questo momento. Sono sicura che Caramon e Tanis si prenderanno cura della tua incolumità…e del tuo sogno.» Sorrise, un gesto di dolcezza che la rese meno algida. «Paladine ama chi sa sognare. Sono sicura che tua zia Katlin deve averti già detto qualcosa di simile.»
Steel si scoprì a sorridere a sua volta, trascinato dalla benevolenza della chierica e dal ricordo delle parole di sua zia, che lo spronavano a cercare la propria strada a qualsiasi costo. Questo parve bastare a Crysania, che era ignara della vera motivazione del suo turbamento. La donna si diresse verso Caramon, Tanis e Tasslehoff, lasciandolo ai suoi preparativi. Non vide il sorriso di Steel morire in un’espressione incupita, i suoi occhi venarsi di un misto di timore e risolutezza.
Prima di inseguire il suo sogno, Steel si era preso l’onere di aiutare gli zii a sconfiggere i malvagi e, per quanto avesse paura, non aveva intenzione di tirarsi indietro.

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Capitolo 27
*** 27 - Le decisioni di Raistlin ***


Author’s note: Non so come ringraziarvi per le parole meravigliose che mi avete scritto quando, dopo tanto tempo, ho postato un nuovo capitolo di questa fanfiction. Non sapete quanta carica mi avete dato! Vi ringrazio con tutto il cuore, davvero…

Spero che il prossimo capitolo, incentrato sul nostro arcimago preferito, non vi deluda. Buona lettura, non manca molto alla fine!

CAPITOLO 27


LE DECISIONI DI RAISTLIN

Crysania aprì gli occhi, senza un vero senso d’allarme ma passando con decisione dal sonno alla veglia. Tutto era tenebra, tranne per la percezione di un lucore arancione alle sue spalle. Il fuoco da campo era ancora acceso, probabilmente a far compagnia ad uno dei Cavalieri di Solamnia messi di guardia. La notte era nel suo pieno, non c’era la minima traccia del grigio dell’alba. Non ricordava di essere stata disturbata da un incubo, quindi…perché si era svegliata?
Si voltò sulla schiena, lentamente, e guardò attorno a sé. Un Cavaliere le dava le spalle, seduto al fuoco con la schiena dritta di chi non ha la minima intenzione di cedere al sonno. Gli altri sembravano dormire con tranquillità. Tas vicino al giovane Steel, Caramon a pancia in su, Tanis su un fianco, gli altri Cavalieri in un gruppetto a sé stante. Non c’era niente che non andasse, come prevedibile vista la vicinanza alla fortezza che era la loro destinazione. I Grigi non sarebbero stati tanto sciocchi da tentare una sortita. Dunque, cosa l’aveva destata?
Crysania corrugò la fronte, concentrando le proprie facoltà. Non avvertiva alcun pericolo, né presenza maligna. Eppure, qualcosa sembrava solleticarle il fondo della mente, spingendola a lasciar perdere ogni tentativo di rimettersi a dormire e a cercare di capire cosa c’era che non andava.
Si alzò a sedere, poi si tirò in piedi, aspettandosi di vedere il Cavaliere voltarsi verso di lei e chiederle dove stesse andando. Quando capì che non sarebbe accaduto, corrugò la fronte. Il soldato era sveglio…come aveva potuto non essere allarmato dai suoi movimenti?
“Magia?” pensò, e subito il suo cuore ebbe un tuffo. Raistlin! Si guardò attorno, febbrile. Le parve di vedere un’ombra più scura delle altre, lungo la strada da cui erano arrivati, muoversi impercettibilmente. Fece un passo, poi si fermò. E se si fosse sbagliata? Se fosse stata una trappola? Guardò ancora verso il Cavaliere, che non si era mosso di un millimetro, poi tornò a scrutare il buio lungo la via. Una luce che conosceva fin troppo bene si accese e si spense in un breve lampo, ma fu sufficiente.
Cominciò ad allontanarsi, senza osare correre anche se ormai sapeva di essere coperta dalla magia. Il cuore le batteva in petto come se stesse sfiancando se stessa in una corsa all’ultimo respiro, quindi temeva che se avesse accelerato il passo avrebbe finito per sferrarsi il colpo di grazia. Si scoprì a serrare le mani in due pugni frementi di tensione e si costrinse a rilassare le dita mentre i suoi occhi frugavano la notte, cercando ancora quel movimento, quella luce…
Poi l’ombra venne avanti, il cappuccio scivolò mostrandole il lieve chiarore dei suoi capelli bianchi, la gelida luce che brillava in fondo alle pupille a clessidra.
«Crysania.» mormorò lui, allungando una mano. Un secondo dopo, Crysania era nel suo abbraccio, lo stringeva con la forza disperata di una lontananza protratta troppo a lungo. Sentì il suo respiro incerto tra i capelli, inalò il profumo decadente degli ingredienti per incantesimi e sentì le lacrime pungerle gli occhi.
«Raistlin…Raistlin…» si trovò a ripetere, a corto di parole che riuscissero a spiegare la sua emozione.
«Sono qui, Crysania.» Le sue braccia la strinsero con fermezza, un gesto di possesso inconscio.
«Temevo di non vederti ancora per lungo tempo. Non ti ho più sentito fin dalla notte in cui…»
«Hai sopportato una prova molto dura, Crysania.- disse lui, carezzando i suoi capelli scuri- Ora è finita. Con il benestare di quel matto del tuo dio, è finita.»
Crysania esalò un tremulo sospiro, corrugando la fronte.
«Non è ancora finita.- lo corresse- Dovrò fare in modo di avere diritto di scelta sul mio successore, oppure…»
«Questo avverrà senza che tu debba tornare al Tempio, Crysania.» la freddò Raistlin, una nota dura nella voce.
«Ma…»
«Niente ma.» Raistlin si sciolse dall’abbraccio con fare brusco e la guardò fisso. «Quel tempo della tua vita è finito, Crysania. Non sono venuto qui per discutere, ma per venirti a prendere. Ci sarà tempo per le parole e i dettagli più tardi.»
«Raist…» iniziò a replicare Crysania, ma fu zittita da due dita di lui sulle labbra, poi Raistlin la superò e si diresse verso il piccolo accampamento. La chierica corrugò la fronte e trattenne qualche parola sprezzante che le era salita alla lingua. Non le piaceva essere zittita in quel modo umiliante, ma non aveva nemmeno intenzione di litigare subito con lui. Prese un profondo respiro per cercare di calmarsi ed esortarsi alla pazienza, poi lo seguì, chiedendosi cos’avesse in mente l’arcimago.
Raistlin, giunto in prossimità dei dormienti, lanciò della sabbia in direzione del Cavaliere di guardia, mormorando un paio di parole, e questo si accasciò su un fianco senza emettere nemmeno un suono. Gli altri continuarono a dormire: evidentemente la Veste Nera aveva protetto se stesso con un incantesimo di silenzio come aveva fatto con Crysania. La chierica lo vide inginocchiarsi accanto al gemello e scuoterlo.
Caramon cercò si alzarsi a sedere con uno scatto, ma Raistlin ebbe la prontezza di mostrarsi subito alla sua vista. Il guerriero ricadde sulla schiena, sbalordito. Fece per aprire la bocca, ma il suo gemello alzò una mano per imporgli il silenzio.
«Porto via Crysania.- gli sussurrò- Avverti tu gli altri, non voglio seccature né discussioni. Il piano va avanti come previsto, lei non vi servirà. La porto a Palanthas e poi a Solace, se credi che tua moglie sia dell’umore giusto per ospitarla.»
Caramon annuì, confuso.
«Ma…ma certo.» balbettò.
«Bene.» Raistlin fissò per un attimo lo sguardo su Steel e Caramon fu portato a fare lo stesso. «Fammi un favore: lascia il mio specchio al ragazzo.- aggiunse l’arcimago- Un ulteriore sistema di sicurezza, diciamo così. Con quello addosso, saprò sempre dove si trova»
«Va bene.» sussurrò Caramon. Raistlin si alzò, ma suo fratello lo trattenne per una manica. «Raist…che ne è di Kat?»
Raistlin si liberò con un movimento del braccio, seccato.
«Tornerà per tempo. Ora fai la guardia, visto che ho addormentato quella testa di rapa.» rispose soltanto, brusco. Si allontanò da suo fratello e tornò da Crysania, cingendole la vita per sospingerla in fretta lontano dal piccolo accampamento. «Vieni.- sussurrò- Torniamo a Palanthas.»
«Raistlin…cosa significa che Katlin tornerà “per tempo”? In tempo per cosa?» gli chiese la chierica.
Raistlin strinse impercettibilmente le dita sul fianco di Crysania, preso alla sprovvista. Dovette trattenere un sogghigno: avrebbe dovuto stare più attento alle parole, con lei presente. Di quando in quando dimenticava quant’era acuta la sua mente.
«Tornerà prima del tentativo di Ariakan di fuggire, mia cara.- disse, tranquillo- Anche lei sa che qualcosa bolle in pentola e ho raccomandato a Dalamar di tornare, appunto, per tempo.»
«Ma…tornando indietro con la magia, non avrebbero potuto semplicemente apparire il giorno stesso della loro scomparsa nel passato?» indagò Crysania. C’era qualcosa che non le tornava, qualcosa di stonato…I suoi pensieri vennero interrotti dal contatto con le labbra di Raistlin, che l’aveva attratta bruscamente a sé e aveva preso possesso della sua bocca, svuotandole la mente e facendole diventare le gambe molle gelatina.
«Possiamo parlarne dopo?- le sussurrò sulle labbra, il fiato caldo come una carezza- Siamo stati lontani fin troppo e non voglio più aspettare, Crysania. Per le parole ci sarà tempo in seguito.»
Raistlin sogghignò quando lei balbettò un assenso, poi la strinse a sé e mormorò le parole dell’incantesimo che li avrebbe portati alla Torre. Non le aveva propriamente mentito: desiderava davvero passare la notte con lei, senza spazio per altro che la reciproca vicinanza. Allo stesso tempo, non aveva alcuna intenzione di dirle che Dalamar era d’accordo con lui per tenere Katlin fuori dai piedi finché fosse necessario. Ancora due giorni e anche quella storia scomoda avrebbe avuto termine.
Serviva solo un po’ di pazienza.
***
Quando Raistlin uscì dalla Taverna, visibilmente pallido e con gli occhi illuminati da una luce febbricitante, Caramon non c’era. L’elfo attendeva pazientemente, appoggiato alla balaustra. Vedendolo uscire, gli rivolse un cenno del capo e fece per rientrare.
«Dov’è mio fratello?» chiese Raistlin, pur intuendo la risposta.
«E’ tornato a casa. Lo troverete là…giovane Majere.» gli rispose lo straniero, rientrando e chiudendosi la porta alle spalle. Raistlin si incamminò con passo rapido, la testa un groviglio di paure, domande, sogni di gloria. Ciò che gli aveva rivelato quella donna era folle, completamente folle, e lui avrebbe dovuto essere un pazzo completo per crederle, eppure…Non riusciva a pensare che gli avesse mentito. Era stata troppo precisa, circoscritta. Era andata dritta al punto senza infiorettare di chiacchiere le proprie rivelazioni.
Lei e quell’elfo venivano da un futuro che lo vedeva potente, temuto, un mago capace di spedire i propri apprendisti – perché tali si dichiaravano i due viaggiatori – indietro nel tempo. La gemma rossa era la magia cristallizzata della sua futura discepola. C’era di che perdere la testa. Desiderava credere e al contempo non si fidava. Chi gli diceva che quei due non fossero maghi rinnegati? Se aveva messo le mani su un manufatto magico, forse doveva coinvolgere le autorità, fare una denuncia o quantomeno indagare…
«Purtroppo non abbiamo tempo da perdere. Devo riavere la gemma e, con essa, la mia magia.- aveva detto la donna chiamata Katlin- Non farò grande sforzo per convincerti, Raistlin. Portami la gemma oggi pomeriggio, all’imbocco della strada per Solace. Ti dimostrerò che essa mi appartiene.»
«E se decidessi diversamente?» l’aveva provocata, sarcastico. Lei aveva aperto le mani sul tavolo in un gesto di rassegnazione che indicava quanto poco le piacesse pensare ad una soluzione meno pacifica, ma quanto fosse preparata a stare al suo gioco, se necessario.
«Come vedi, non ti sto minacciando, Raistlin.- aveva risposto lei, pacata- Ho saputo dov’è la gemma e la rivoglio, pacificamente o per mezzo della forza. In questo momento Dalamar è un avversario fuori dalla tua portata e ha già cancellato il ricordo di noi dalla mente di tuo fratello. Quando avremo la gemma, scompariremo dal passato senza lasciare alcuna traccia. Non essere avventato, non ne ricaveresti altro che danneggiare te stesso. E qui nessuno lo vuole. Dammi retta: oggi pomeriggio, prima di cena, fatti trovare con la pietra rossa all’ingresso di Solace.»
Raistlin raggiunse casa propria ed entrò, per un attimo preda del timore di dover scoprire che suo fratello era svanito nel nulla, ma Caramon era tranquillamente seduto al tavolo a bersi un bicchiere di latte e si voltò al suo ingresso.
«Raist! Dov’eri?» gli chiese, con il suo solito sorriso stupido e affettuoso.
«Dovresti saperlo.» lo provocò Raistlin, chiudendosi la porta alle spalle. Il sorriso di Caramon vacillò.
«Davvero? Caspita…scusami, non mi ricordo. Devo aver dormito pesante, stanotte…probabilmente ieri sera ho mangiato troppo e stamattina sono un po’ confuso. Avevamo in progetto di fare qualcosa?» Si interruppe, preoccupato per il modo in cui il suo gemello sembrava volerlo infilzare con gli occhi. «Raist…che c’è? Perché mi guardi così? Ho combinato qualche guaio?» chiese, posando il bicchiere mezzo vuoto e assumendo un’aria da cane bastonato che irritò e al contempo convinse Raistlin dei poteri del mago elfo.
«Non ti ricordi della donna di ieri sera? Delle chiacchiere su Palanthas?» tentò per l’ultima volta.
«Cavoli, ho parlato ancora di Palanthas?!- borbottò Caramon, contrito- Scusa, Raist…davvero, lo sai che verrò con te. Se ne ho parlato non l’ho fatto apposta, te lo giuro, nemmeno ci penso più! E…di che donna parli?»
Raistlin fece un gesto vago per chiudere il discorso, poi si sedette a sua volta, pensieroso. E così era vero: l’elfo aveva cancellato selettivamente la memoria di Caramon. Lo stesso avrebbero fatto con lui, una volta conclusa la transazione, per non interferire con l’evolversi del futuro. Raistlin ebbe un sorriso storto nel pensare che in fin dei conti si trattava di obbedire a se stesso, più che a quei due stranieri.
«Perché sorridi, Raist? Non sei più arrabbiato?» mormorò Caramon, incerto se aspettarsi o meno una qualche pungente rimostranza.  
«Non sono arrabbiato, Caramon, perciò non starmi addosso.- sospirò Raistlin, alzandosi e scoccando al gemello un’occhiata seccata- Oggi pomeriggio avrò da fare, quindi niente allenamenti con Flint…»
«Dobbiamo andare da qualche parte?» chiese subito Caramon, premuroso.
«Io avrò da fare, testa dura, non tu. Puoi andare dove ti pare…anzi, mi faresti un favore nel lasciarmi in pace. Non sono cose che ti riguardino.»
«Non capisco, Raist…»
«Concerne la scuola di magia.- mentì Raistlin, dirigendosi verso la camera da letto- Come vedi, non sono fatti tuoi ed è meglio che tu vada a dimenare un po’ quella tua stupida spada invece di starmi tra i piedi. Volevo solo avvisarti per non dovermi sorbire le tue rimostranze a cena. Ora mi riposo un po’, stamattina mi sono svegliato male. Non mi disturbare.»
«Come vuoi, Raist…» disse Caramon, docile.
Raistlin si stese sul letto e dopo qualche minuto suo fratello uscì, dopo essersi aggirato senza scopo per la cucina. Il giovane apprendista rimase a scrutare il soffitto, la gemma rossa nel palmo della mano.
***
Non si trattò di prendere una decisione cosciente. Fu guidato dall’istinto e dalla curiosità verso la magia che l’aveva sempre spinto a cercare di superare i propri limiti. Se nel suo futuro era scritto che sarebbe diventato un potente arcimago e che avrebbe tenuto in mano il destino di molti, intralciare i propri piani sarebbe stato quantomeno ridicolo.
Si alzò e uscì, dirigendosi al luogo dell’appuntamento. Non sapeva ancora se fidarsi di quei due stranieri, soprattutto della donna chiamata Katlin, ma la gemma gli sussurrava che doveva essere ceduta. Stava soffrendo, si agitava. E in quell’ansia sotterranea Raistlin vedeva riflessi gli occhi chiari della sua futura apprendista, l’atteggiamento sconfitto che la notte prima gli aveva tanto ricordato sua madre.
“E’ sua.- pensò- Mi sembra di tenere in mano il cuore pulsante di quella persona. Eppure sento che potrebbe essere parte del mio stesso sangue, della mia stessa magia.”
Si soffermò un istante, il viso oscurato da un pensiero, poi riprese a camminare. C’erano altri segreti che non gli erano stati rivelati. Visto che avrebbe dovuto dimenticare ogni cosa, non se ne sorprendeva. Pure, lo stizziva doversi accontentare. Tutti vorrebbero conoscere il futuro. Con un sorrisetto di commiserazione, Raistlin pensò che doveva lavorare ancora sul proprio autocontrollo se finiva per indulgere in desideri così comuni e puerili.
Lasciò Solace e si inoltrò nella boscaglia, sul sentiero in salita che portava fuori dal paese. A mezza via, prese a destra e si fece largo tra la vegetazione. La scelta del luogo per l’appuntamento l’aveva convinto più di tanti altri elementi nel breve racconto della straniera. La piccola radura a destra della strada era un luogo che lui frequentava quando voleva scrollarsi di dosso Caramon e studiare in santa pace, o catalogare le erbe raccolte per usi futuri. Era un posto suo, mai condiviso, né era capitato che vi trovasse estranei. Se la donna lo conosceva, doveva essere stato per suggerimento del Raistlin del futuro.
E lì li trovò, l’elfo seduto con la schiena contro un albero e lei in piedi ad attendere. Raistlin si fermò, scrutandoli con i suoi penetranti occhi azzurri. L’elfo si alzò e si portò protettivamente accanto alla donna, palesandogli per la prima volta con chiarezza la relazione sentimentale che intercorreva tra loro. Gli scappò un sorrisetto sarcastico ed ebbe la soddisfazione di vedere l’elfo che si corrucciava, come se avesse intuito il suo pensiero di dileggio. La donna, invece, venne avanti di un passo.
«L’hai portata.» disse, senza intonazione interrogativa. Raistlin infilò una mano in tasca e prese la pietra, alzandola poi alla mutevole luce del sole che penetrava tra le fronde. Questa trasse dalla superficie sfaccettata riflessi sanguigni che sfiorarono i volti degli occupanti della radura.
«E’ questa?» chiese Raistlin, anche se conosceva già la risposta.
«Sì.- rispose la donna, con una sorta di sospiro- Sì, sia ringraziata Lunitari…» Nel vederlo incupirsi, sorrise. «Conosci anche tu la Dea Rossa della Magia. L’hai vista…tempo fa.»
Raistlin strinse le labbra in una linea sottile. Come faceva quella donna a saperlo? Possibile che invecchiando fosse diventato tanto chiacchierone da rivelare i suoi segreti a dei semplici apprendisti?! Quasi gli venne la tentazione di ignorare la mano protesa di Katlin ‘Ym Adoonan e tornarsene a casa, ma sarebbe stato un gesto inutile e sciocco. Si fece avanti e posò con riluttanza la gemma nel palmo di lei.
Subito, la pietra mandò un lampo che si riverberò nei vasi sanguigni dalla mano lungo tutto il braccio, accendendoli di rosso fin sotto la manica del vestito, come se la gemma le stesse cedendo del sangue.
«Ti ha riconosciuta. Si sta svegliando.» mormorò l’elfo. Il viso della donna si illuminò di un sorriso aperto, il primo sorriso sincero da quando Raistlin l’aveva conosciuta, ed esso ebbe il potere di fargli fermare il cuore per un istante. Quello era il sorriso di Caramon. Identico, portato sulla bocca di una donna ma palesemente di famiglia. Prima la somiglianza con sua madre, ora suo fratello…non poteva essere una coincidenza!
«Chi sei, veramente?» gli sfuggì detto tra le labbra insensibili.
Lei si accorse del suo turbamento e il sorriso si fece mesto.
«Lo saprai…un giorno.- mormorò, con una dolcezza nuova- Dovremo entrambi avere pazienza, fino a quel momento. Grazie di tutto, Raist.»
Fu l’ultima cosa che udì, perché la mano dell’elfo gli si parò davanti agli occhi e parole appena sussurrate lo sprofondarono nell’oblio. Cadde in un sonno di ricordi cancellati, trattenendo solo la vaga immagine di un volto che un giorno lontano gli sarebbe apparso familiare.
Katlin guardò il giovane fratello accasciarsi sull’erba come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili, mentre Dalamar cancellava selettivamente i suoi ricordi.
«Vai a fondo, Dalamar.- gli ricordò- Temo di esserci anch’io, nascosta da qualche parte nella sua mente.»
Dalamar non le rispose, concentrato nella magia, e Katlin non insistette. Sapeva che avrebbe fatto un buon lavoro: ne era prova il fatto che nè Raistlin nè lei avrebbero ricordato in seguito quell'incontro.
Si fece indietro, stringendo nei palmi la gemma rossa con l'affetto che avrebbe riservato a un amico ritrovato. Aveva sperimentato di nuovo il terrore di perdere per sempre la sua magia e senza l'aiuto di Tas probabilmente non avrebbe mai scoperto dove - e quando - andare a cercarla.
"Tasslehoff, Paladine benedica te e tutti i kender." pensò, non per la prima volta. Guardò la gemma. Quando l'aveva afferrata, aveva avvertito la sensazione di essere benedetta da sangue nuovo, più forte. Ora, un minuscolo grano di luce rimaneva acceso al centro della pietra e pulsava in maniera regolare, come un piccolo cuore.
"Sei sveglia? Hai deciso di tornare a me?" si chiese, meravigliata e contenta. Forse non sarebbe stato necessario un altro sforzo da parte sua e di Raistlin per perfezionare l'incantesimo di accettazione. Sentiva che ora era la magia stessa che anelava di ritornare nel suo corpo, come se avesse deciso di averla punita a sufficienza per la debolezza della sua anima e avesse avvertito la sua nuova risoluzione a dedicarle l'intera esistenza.
«Fatto.- disse Dalamar in quel momento, riscuotendola- Quasi non riesco a credere che sia stato così semplice. Da giovane era molto più facile da convincere.»
«Ti inganni. Si è convinto a venire solo perchè non poteva fare altrimenti...e, non dimentichiamolo, perchè il suo immenso talento per la magia l'ha convinto che stavo dicendo la verità e che questa magia appartiene a me.» Soffocò una risata. «Ancora un po' e avrebbe compreso anche la nostra parentela. Raistlin non è mai un avversario da sottovalutare.»
Dalamar scosse la testa, fissando il giovane corpo, magro ma ancora sano, dell'arcimago che aveva imparato a temere più della morte stessa.
«Lo lasciamo qui?» chiese.
«Non gli capiterà nulla. Non è destino.»
L'elfo annuì, poi le si avvicinò. Avevano deciso di recarsi ad Haven con la magia per lasciare Solace come se non vi avessero mai messo piede. Lì si sarebbero riposati un paio di giorni, possibilmente avrebbero chiarito gli ultimi sviluppi della situazione tra loro, poi Dalamar avrebbe attivato l'incantesimo temporale che li avrebbe riportati a casa. Con un calcolato ritardo, anche se Katlin non lo sapeva: lo Shalafi voleva che la trappola ordita contro i Grigi fosse ormai scattata, senza che la giovane donna potesse prendervi parte.
«Sei pronta? Vuoi dare un ultimo sguardo a Solace?» le chiese, come per un ripensamento. Lei scosse la testa. Non aveva intenzione di guardarsi indietro un'altra volta. Il passato aveva fatto il suo tempo e ora doveva pensare solo al futuro. Dalamar tracciò i segni convenzionali, poi la strinse a sè con un braccio attorno alla vita e iniziò a salmodiare le parole dell'incantesimo.
Katlin avvertì subito che stava accandendo qualcosa di imprevisto. La gemma divenne rovente tra le sue dita e prese a tremare. Abbassò gli occhi, spaventata, e vide le proprie mani inondate di luce rossa, come ferro sulla forgia.
«Dalamar!» chiamò, con voce strozzata, ma il mago elfo aveva ultimato l'incantesimo. Mentre la magia li trascinava via, la gemma si sciolse e penetrò attraverso la pelle di Katlin, invadendole il corpo, riprendendo possesso di ogni parte di lei che aveva contenuto il talento magico.
L'attimo di gioia fu breve. Con la magia, tornò anche il suo dono e maledizione, quella preveggenza che le aveva sconvolto la vita. Gli occhi di Katlin si spalancarono sul futuro che fino a quel momento non era riuscita a cogliere nella sua interezza, sulla visione della catastrofe che aveva messo in ansia perfino gli Dei.
Gridò, mentre l'incantesimo di Dalamar andava in pezzi e li spediva a gambe all'aria a metà strada verso Haven, dritti dentro un fosso.

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Capitolo 28
*** 28 - Punto di non ritorno ***


Steel socchiuse la porta, guardando a destra e a sinistra. I due Cavalieri di guardia erano arrivati in fondo al corridoio e si sarebbero voltati entro pochi istanti. Steel si richiuse velocemente in camera e deglutì a fatica, stringendo una mano sul petto, dove poteva sentire la superficie dura dello specchio raccomandatogli da suo zio Raistlin.

Doveva uscire da quella camera, se voleva far scattare la trappola secondo le modalità richieste dall'arcimago, ma come poteva fare se non veniva lasciato solo nemmeno per un istante?
Erano arrivati alla fortezza quella mattina, accolti da Lord Gunthar in persona che aveva soffocato a stento la sua commozione nel riconoscere in Steel i tratti paterni. Per quanto emozionato di trovarsi tanto vicino al suo sogno, il ragazzo non aveva dimenticato di essere finito al contempo pericolosamente vicino agli artigli di Takhisis, a quel futuro che sua madre Kitiara gli decantava nei sogni e che faceva impallidire sua zia Kat.
Lod Gunthar aveva mostrato a Steel e ai suoi tutori quali sarebbero stati i suoi alloggi, ma le chiacchiere oziose erano durate poco. Sia Tanis che Caramon avevano tutta l’intenzione di far pesare ai Cavalieri quella convocazione dalla tempistica tanto infelice, mentre Steven aveva da fare rapporto sul viaggio e sulla zia Katlin. La dama votata a Paladine li aveva lasciati un paio di notti prima, in silenzio. Caramon aveva spiegato che si sarebbe recata a Solace con mezzi propri, senza aggiungere altro, ma Steel aveva dedotto che anche nella sua scomparsa doveva esserci lo zampino di Raistlin Majere.
Steel aveva pensato di approfittare della discussione sicuramente lunga per restare da solo e cominciare a pensare al da farsi. Aveva lamentato un malessere dovuto alla stanchezza del lungo viaggio e subito gli era stato concesso di andare in camera a riposare mentre gli adulti risolvevano le loro divergenze. Nemmeno Tasslehoff l’aveva accompagnato, una premura di zio Caramon per permettergli di dormire senza sopportarne le chiacchiere, e Steel aveva sospirato di sollievo in cuor suo, perché non avrebbe saputo come sviare il kender.
Purtroppo, il suo piano si era incagliato su un dettaglio non previsto: le due guardie di sentinella alla porta. Lord Gunthar non prendeva poi così sottogamba gli avvertimenti degli Eroi delle Lance e non voleva che al ragazzo succedesse qualcosa di sgradevole.
“Come faccio?” pensò, guardandosi attorno. Doveva pensare qualcosa, e alla svelta. L’arcimago non gli aveva dato molto tempo, voleva agire quella notte. I maghi erano all’erta, da qualche parte. Lui avrebbe condotto i Grigi, nascosti fra la servitù e sicuramente già consci della sua presenza nella fortezza, in trappola. Ma come arrivare a farsi prendere?
«Pensa, Steel Brightblade. Pensa in tutte le direzioni.» mormorò. Sua zia e il kender gli avevano insegnato che a volte bisogna cercare la soluzione nell’improbabile, anche per prendere alla sprovvista il nemico.
Guardò la camera, il letto, la piccola scrivania con il lume nuovo, mai utilizzato. Una finestra dava su una piccola corte di servizio e la porta era di legno massiccio rinforzato da liste di metallo. Steel aggrottò la fronte e andò alla finestra, guardando di sotto. Un soldato che smontava dal turno di guardia attraversò la corte, scambiando poche parole con chi andava a dargli il cambio, poi ognuno andò per la sua strada e il cortile fu vuoto.
Steel aprì la finestra e si guardò attorno. C’era un’altra finestra aperta, a poca distanza dalla sua, ma da quello che aveva capito della struttura dell’edificio doveva affacciarsi su un’altra stanza privata. Si sporse e guardò alla sua sinistra. Dopo un paio di metri iniziava un alto muro con finestre simili alla sua al primo piano e finestre senza vetri e intelaiature, più strette, al suo livello, con una serie di minuscole feritoie per gli arcieri molto più in alto.
Poteva arrivare fino alle finestre aperte sul primo corridoio di passaggio senza farsi scoprire e, soprattutto, senza sfracellarsi al suolo? Cornicioni non ce n’erano, come da attendersi in una costruzione di tipo militare che offriva pochi appigli ad eventuali assalitori. Di saltare fino alla prima apertura non se ne parlava, a meno di avere un paio d’ali. Steel si morse il labbro inferiore, tornando a guardare all’interno della stanza. Doveva arrivare fin là…ma come?!
Impiegò quasi dieci minuti a trovare la soluzione, probabilmente suicida, ma era l’unica cosa che gli venisse in mente. Non voleva sapere cosa significasse contrariare il fratello di sua madre: preferiva rischiare. Tolse le lenzuola al letto, le legò con estrema cura, poi trascinò il giaciglio sotto la finestra, cercando di fare meno rumore possibile. Rimase immobile qualche istante per attendere una reazione delle sentinelle e lasciar passare due addetti delle cucine che stavano attraversando il cortile, chiacchierando. Uno di loro lanciò un’occhiata all’apparenza distratta alla sua finestra aperta. Steel sperò che fosse uno dei Grigi. Se avesse dovuto girare a vuoto troppo a lungo per la fortezza, sarebbe stato ritrovato e chiuso di nuovo nella sua stanza.
«Prima devo evitare di cadere di sotto.» si disse, rimettendosi all’opera con il cuore che batteva forte. Legò le lenzuola al letto, che era massiccio avrebbe certamente retto il suo peso, poi si calò con esse lungo il muro. Attese un istante in quella posizione precaria, il cuore in gola, poi iniziò a dondolare. Ogni oscillazione lo portava più vicino al muro, alle sue pietre antiche e non più perfettamente combacianti, a quella finestra sul corridoio che gli Dei mantenevano deserto per chissà quale misterioso motivo.
Con un ultimo colpo di reni e un ansito che parve venire fin dal fondo della sua anima, Steel arrivò a portata della parete di pietra. Si allungò all’ultimo momento, rischiando il tutto per tutto, e calciò il muro per darsi lo slancio verso la finestra. Le dita tese della sua mano destra si aggrapparono dolorosamente al bordo della finestra, lasciandolo a mezz’aria per un istante. Poi mollò il lenzuolo e rafforzò la presa sul bordo della finestra, aderendo al muro come una mosca. Non avrebbe saputo dire come trovò la forza di issarsi sul bordo di pietra e poi ricadere a peso morto sul pavimento del corridoio. Era terrorizzato dal rischio appena corso di rompersi l'osso del collo. Allo stesso tempo, era fiero di aver calcolato ogni movimento con esattezza ed essere riuscito a evadere la sorveglianza.
Si alzò in piedi sulle gambe tremanti, cercando di riprendere un po' di confidenza mentre controllava che lo specchio fosse ancora al sicuro sotto al giustacuore. Doveva togliersi da lì, se non voleva farsi scoprire dai Cavalieri...anche se quel camminamento di raccordo sembrava poco frequentato. Si sarebbe fatto scorgere solo dalla servitù, nella speranza di attirare gli sguardi giusti. Si sorprese che qualcosa, dentro di lui, stesse godendo del rischio.
"Alla fin fine, forse posseggo una parte del carattere di mia madre." pensò.
Corse via, silenzioso, inoltrandosi nella fortezza.
***
«Non sto dicendo che sia sbagliato a prescindere! Quello che voglio dire è...»
«Che è troppo presto.- finì Lord Gunthar, annuendo - Mi rendo conto del vostro punto di vista, Caramon Majere. Non crediate che sia insensibile alle ragioni di famiglia. Per le nostre abitudini, però, il ragazzo è pronto da tempo all'addestramento. Perchè fargli perdere altri anni? Per un pericolo che nemmeno sappiamo se davvero ci minaccia?»
«Lord Gunthar, con il dovuto rispetto, speravo che almeno fossimo andati oltre l'uso del condizionale nel parlare dei piani di Takhisis.» intervenne Tanis, corrucciato.
«Non vi rendete conto di quali rischi corre il ragazzo?- disse Caramon, infervorato- Io sono più simile a voi che a un mago e come voi non mi raccapezzo in mezzo a visioni, trame del Conclave e roba simile. Eppure, perfino io mi rendo conto che qui c'è in gioco qualcosa di molto più grande di una semplice setta di esaltati. Voi non c’eravate, su quell’isola. Non avete potuto constatare quanto fossero già organizzati.»
«Motivo per cui avremo particolare cura nel tenere d'occhio il giovane Brightblade finché non sarà adulto. Spero convincerete anche vostra sorella delle nostre buone intenzioni. Non mettiamo in dubbio le vostre parole, Caramon Majere, ma temo che stiate sottovalutando i Cavalieri di Solamnia.» sottolineò Lord Gunthar, testardo.
Tasslehoff, nel suo angolo, scosse la testa con una certa rassegnazione. La discussione, noiosa come poche, andava avanti da un pezzo senza che le due posizioni trovassero un vero compromesso. Tas, estromesso a priori, aveva ormai guardato e toccato tutto ciò che di interessante era contenuto nella stanza - che non era al livello della dimora privata di Lord Gunthar, già esplorata da Tas tanti anni prima in compagnia di Fizban- e aveva iniziato ad annoiarsi. Pesantemente. Questa era una condizione di spirito veramente pericolosa, che i suoi amici avrebbero notato se fossero stati meno presi dal tentativo di aprire gli occhi al capo dei Cavalieri. Per come stavano le cose, però, Tas era in balia di se stesso.
Finì per decidere di andare a fare un giro. Non ne poteva più di sentire quei toni alterati e di starsene zitto e in disparte. Aprì la porta quel tanto che bastava e sgattaiolò fuori, producendosi in un sentito sospiro di sollievo. Più tardi sarebbe stato sgridato, ma al momento gli sembrava un prezzo modesto da pagare per potersi sgranchire un po’ le gambe!
Bighellonò in giro per i corridoi e le sale al primo piano per un'oretta, poi imboccò una stretta rampa di scale e la salì fino in cima, trovandosi in breve all'aria aperta, sugli spalti della fortezza. I Cavalieri di guardia lo salutarono con rispetto e lui ricambiò con squillanti "Buon pomeriggio!".
Il kender si affacciò a guardare il panorama che iniziava ad assumere un piacevole color arancio, respirando il tiepido vento meridionale. Lo metteva di buon umore vedere quanto la gente, laggiù, lo apostrofasse ancora come un Eroe delle Lance da trattare da pari e non come un dannatissimo fastidio. Parte di quei Cavalieri erano sopravvissuti all'attacco alla Torre del Sommo Chierico, erano stati al fianco di Sturm e Laurana in battaglia. Avevano conosciuto sia lui che Flint. Immaginava che certe cose cambiassero le persone.
"Sicuramente hanno cambiato me." pensò, con un sospiro mesto. Stare lassù rendeva molto vividi i ricordi di quelle battaglie, di quei lutti. A Tas non piaceva pensare di essere diventato una persona malinconica - un kender triste andava bene solo nelle barzellette grottesche - ma ogni tanto il cuoricino gli si stringeva e si ritrovava a tirare su col naso.
"Speriamo di non dover vedere altre cose tristi. Le avventure mi piacciono solo se non perdo gli amici per strada." pensò, corrugando la fronte. Ne aveva persi così tanti...Flint, Sturm, Kitiara, lo gnomo Gnimsh...Kyaralhana...
«Tasslehoff!»
Si riscosse nel sentire la voce di Steven Sharphalberd. Si voltò e sorrise, contento della distrazione. Il Cavaliere stava camminando verso di lui, i capelli biondi lucenti al sole.
«Ehilà, Steven! Bel panorama, da quassù! Hai finito di raccontare com'è andato il viaggio?» chiese Tasslehoff, a cui sarebbe piaciuto ascoltare la versione dei fatti di Steven su quel lungo viaggio da Solace.
«Sì, ho fatto rapporto.- ammise lui, guardando per un attimo verso sud- E' stato...un lungo cammino.»
«Già, parecchio lungo. Un po' troppo tranquillo.» sospirò Tas, storcendo il naso. Questo gli valse un'occhiata sbalordita del Cavaliere.
«Tranquillo?!»
Tas si strinse nelle spalle.
«Oh, certo...abbiamo subito un paio di piccoli attacchi e poi è arrivato Dalamar e Kat ha perso la pietra rossa e Crysania è scappata dal Tempio con Fizban, ma...» Scosse la testa. «Sai, Steven, poi noi questo è niente! Voglio dire: ci sono successe cose più eccitanti! Eserciti fantasma, città assediate, boschi che cantano, città di mare senza il mare...quella volta non fu colpa mia...Da quando ci siamo messi in viaggio non ho visto nemmeno un drago! Insomma!»
«La cosa ti dispiace?» gli chiese Steven, attonito. Pensava di aver capito il kender, ma si rendeva conto ora di aver sottovalutato la follia avventurosa di quelle piccole creature.
«Parecchio. Ma...- Tas sospirò, un sospiro che parve svuotarlo- per il bene di Steel, e visto che a voi piace tanto la tranquillità, dovrò accontentarmi. Spero solo che Raistlin abbia bisogno di noi per qualche altra missione, o roba simile. Con lui è assolutamente impossibile annoiarsi.»
Steven si guardò attorno, come per essere certo che nessuno li stesse ascoltando, poi si abbassò su un ginocchio per parlare a Tas sullo stesso livello.
«Tasslehoff, si sa niente di Katlin?- mormorò- Caramon mi ha risposto di non avere notizie. Non lo ritengo un uomo portato a mentire, ma penso...temo che per quel suo fratello arcimago potrebbe mantenere dei segreti. Tu ne sai qualcosa?»
Tasslehoff scosse la testa, serio.
«Non so niente nemmeno io, sai? Credo che lo stesso valga per Caramon. Finchè Kat rimane indietro nel tempo, nemmeno Raistlin può sapere cosa stanno facendo lei e Dalamar.» rispose, dispiaciuto. Steven annuì, cupo.
«Credo di capire.- disse, pensieroso- Allora il mago elfo è andato con lei?»
Tasslehoff abbassò il capo e strisciò un po’ i piedi, a disagio.
«L’avevo immaginato.- lo sorprese Steven, che si rialzò e andò a sporgersi dagli spalti, guardando l’orizzonte- Quando mi ha detto che il suo viaggio esigeva una magia che la portasse nel passato, ho immaginato che non le sarebbe stato concesso di andare sola. Non senza poteri magici. Ero certo che l’elfo le avrebbe fatto da spalla. Tuttavia…» Sospirò, piano. «Lei appartiene a un mondo che mi è estraneo.- ammise- Nonostante ciò, tradirei la mia parola e il mio onore se mi tirassi indietro prima di ricevere da lei parole di rifiuto.»
«Steven…» iniziò a dire Tasslehoff, stupito che il cavaliere avesse scelto lui, fra tutti, per svelare la profondità dei suoi sentimenti verso Katlin.
«Le chiederò di diventare mia moglie. Sono convinto che esista ancora la possibilità di strapparla alla tenebra.- finì Steven, con un sorriso spento ma coraggioso- Nel frattempo, farò tutto ciò che è in mio potere per ottemperare alla sua richiesta di aver cura del giovane Steel. Il ragazzo mi è caro, al di là delle mie promesse fatte a Katlin. Insisterò perché sia sotto la mia tutela, in modo da garantire su di lui una sorveglianza impenetrabile agli scagnozzi della Regina delle Tenebre.»
«La cosa ti fa molto onore, Steven. E sono sicuro che farà piacere anche a Caramon! E Tanis. Piuttosto…- interloquì con voce squillante, volendo spostare l’attenzione su qualcosa che non riguardasse direttamente Katlin – chissà come si trova Steel nella sua nuova stanza? Non credi abbia bisogno di compagnia? Ormai si sarà fatto un bel sonnellino, sono sicuro che stia meglio e abbia voglia di fare quattro chiacchiere!»
«Non hai tutti i torti, Tasslehoff. Forse gli farebbe piacere visitare una parte della fortezza, prima di sederci a cenare.» disse il cavaliere, pensieroso.
«Ottima idea!- esclamò il kender, cogliendo la palla al balzo- Dai, andiamo a prenderlo e…ma dove sarà?  Hai idea di dove l’abbiano alloggiato? Spero ci sia un letto in più nella sua stanza, perché al momento Caramon e Tanis sono di un umore veramente noioso!»
Steven non potè trattenere un sorriso. Annuì e fece cenno al kender di seguirlo. Scesero di nuovo le scale, poi imboccarono alcuni corridoi. Il Cavaliere rimase in silenzio, forse pensando a Katlin lontana nel Tempo, perciò Tas si prese l’incarico di fare conversazione da sé, mettendosi a raccontare le proprie avventure insieme ai Cavalieri di Solamnia. Era arrivato giusto al momento in cui Laurana stava per mettere le mani sul Globo dei Draghi, quando incrociarono due guardie di ronda.
«Il giovane Brightblade?» chiese Steven, mentre il fiume di parole del kender si interrompeva.
«E’ ancora nella sua stanza.» rispose una delle guardie.
«Molto bene.»
Tas trotterellò fino alla porta, seguito più lentamente da Steven, e bussò con entusiasmo.
«Steel! Steel, sono Tasslehoff! Dai, svegliati, Steven ci porta a fare un giro!» Attese qualche istante, ma da dietro la porta non venne alcun suono. «Ehi, Steel! Tutto bene? Siamo noi, apri!»
Di nuovo, rispose solo il silenzio. Il kender alzò uno sguardo perplesso e preoccupato su Steven, che mise mano alla maniglia e aprì la porta senza tante cerimonie.
«Giovane Bright…» iniziò a dire, prima di trattenere il fiato con un suono strozzato. Il letto era stato spostato sotto la finestra spalancata e la stanza era vuota. «Brightblade!» esclamò Steven, entrando di corsa insieme a Tasslehoff, mentre le due guardie accorrevano. Tas si inerpicò sul letto e guardò giù, terrorizzato dalla prospettiva di trovare il corpo del ragazzo sfracellato nel cortile sottostante. Vide, invece, un lenzuolo annodato che oscillava dolcemente al vento serotino.
«Che cosa significa?- mormorò Steven, sconvolto- E’ stato portato via?»
«A me non sembra. Cioè…dai maghi grigi ci si aspetta qualcosa di meglio che un’evasione dalla finestra, no?» disse il kender, che faticava a raccapezzarsi.
«Maledizione!- sibilò il Cavaliere tra i denti- Dobbiamo trovarlo! Tas, vai a chiamare Caramon e Tanis. Voi, mettete gli altri Cavalieri in allerta! Brightblade è sparito!»
Le guardie e Steven corsero fuori per dare l’allarme. Tasslehoff scese dal letto e iniziò a tornare sui suoi passi, un po’ intontito. C’era qualcosa che non quadrava. Il kender aveva la stranissima sensazione che Steel si fosse allontanato di sua spontanea volontà…Ma perché?! E, in quel caso, dov’era andato a cacciarsi?
***
«Soddisfatti?» disse Ariakan, osservando con freddezza i Cavalieri che avevano appena messo a soqquadro le sue stanze.
«Non è qui…eppure avrei giurato…» mormorò un Cavaliere biondo, il più infervorato in quel gruppetto di uomini che erano passati come cicloni nella sua piccola prigione.
«Non so chi o cosa stiate cercando, ma come vedete qui si fa la monotona vita da prigioniero che voi Cavalieri avete deciso per me tempo fa.- continuò Ariakan, sprezzante- Ora, se non avete altro da dire o fare, andatevene. Voglio stare solo.»
Il Cavaliere strinse la bocca in una linea sottile, poi si consultò con gli altri e il gruppo uscì, lasciando la solita coppia di guardie fuori dalla porta. Ariakan storse la bocca in una smorfia. La loro utilità era nulla. Riceveva da un pezzo visite non previste, protetto dal silenzio magico, e presto sarebbe evaso. Ormai era questione di giorni, se non di ore. Il ragazzo, il giovane figlio di Kitiara, era vicino, quindi il piano stava per attuarsi. Sollevò appena un sopracciglio nel chiedersi se quell’agitazione fosse dovuta proprio a Steel Brightblade. I Cavalieri non si erano degnati di dirgli cosa stavano cercando. Forse speravano di trovare i Grigi nascosti dietro le sue tende.
«Stolti!» mormorò tra i denti, andando a sedersi. Fu suo malgrado sorpreso di vedere aprirsi il passaggio segreto usato dai maghi. Dunque avevano ben motivo di sospettare, i Cavalieri! Probabilmente i tre che ora stavano entrando, conducendo qualcuno con loro, avevano atteso fino a quel momento che gli intrusi se ne andassero. Erano Latan, Laiota e Falana, una maga dallo sguardo sfuggente che fingeva di lavorare come sguattera. E Laiota teneva stretto…
«Steel Brightblade?!» scappò detto ad Ariakan, incontrando lo sguardo del ragazzino.
«E’ arrivato oggi, mio Signore.- disse Latan, ammantando subito la stanza di silenzio magico- Pensavamo di rapirlo stanotte, ma lo abbiamo pescato che vagava solo per i corridoi.»
«Ci ha reso la vita facile. Non ha fatto resistenza.» aggiunse Laiota.
Ariakan si alzò e squadrò il giovane, che Takhisis tanto desiderava facesse parte delle sue future forze. C’era un sano timore, in quegli occhi, ma anche una testardaggine e una fermezza non comuni. Conoscendo l’identità dei genitori, era da prevedere che il suo carattere non fosse quello di un normale ragazzino.
«Non ho fatto resistenza perché vi cercavo, signore.» disse questi, sorprendendoli. Ariakan sollevò appena un sopracciglio.
«Mi cercavi?» chiese, atono. Il ragazzo chinò il capo e si abbassò su un ginocchio per quanto glielo consentiva la presa di Laiota.
«Sono venuto qui per voi, signore. Sono al vostro servizio. Comandatemi e io obbedirò.» continuò Steel Brightblade. I maghi si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Ariakan venne avanti e afferrò tra le dita il viso del ragazzo, scrutandolo negli occhi.
«Perché dovrei crederti?» chiese, gelido.
«Mia madre, signore…- disse il ragazzo, le parole un po’ confuse per la pressione delle dita sulle guance- Da molto tempo mi mostra in sogno le glorie che mi attendono al vostro fianco. Più mi avvicinavo al castello, più la sua presenza si faceva imperiosa. Ho faticato a nasconderlo ai miei parenti.»
«Kitiara Uth Matar?- chiese Ariakan, guardando Laiota che annuì – Il suo intervento ti ha dunque dischiuso le porte dell’ambizione, Steel Brightblade?»
«Signore, io vivo e ragiono come un Cavaliere, ma posseggo il sangue di mia madre.- insistette il giovane, senza abbassare lo sguardo- Voi desiderate i miei servigi e io una causa cui votare la mia spada e il mio onore. Sono ancora giovane, ma crescerò. Vi sarò utile senza forzature, ma con la fedeltà propria della mia stirpe. Signore, sono qui per fuggire con voi.»
Ariakan strinse gli occhi in una fessura, poi lasciò andare il ragazzo.
«E come concili questo con l’affetto che, mi dicono, ti lega a una delle nostre principali spine nel fianco? Katlin Majere.» chiese, ogni parola come una staffilata. Ebbe la soddisfazione di vedere avvampare e poi impallidire il giovane, che per un attimo riacquistò la sua età effettiva.
«Amo mia zia, come fosse una seconda madre.- mormorò, rauco- Ciò che sto facendo…mi costa pena, perché so che le farà del male. Pure, ho deciso. Andrò fino in fondo.»
«Mente.» intervenne Falana per la prima volta. Ariakan la guardò, poi spostò di nuovo la sua attenzione su Brightblade.
«Falana pensa che il ragazzo ci stesse cercando per ordire qualche trappola nei nostri confronti, spinto dai suoi parenti.» spiegò Latan.
«Una trappola?» mormorò Ariakan.
«Non ne sono sicuro.- intervenne Laiota- I Cavalieri e i suoi accompagnatori dovrebbero essere tutti degli attori consumati, per fingere tanta apprensione alla sua scomparsa. Là fuori si sta scatenando il panico.»
«Non mento! E ve lo posso provare.- intervenne Steel, secco- Ho un dono per voi. Guardate sotto il mio giustacuore.»
Falana allungò una mano e pronunciò una parola.
«Magia.- sussurrò- Non attiva, ma…»
«E’ uno specchio.- disse Steel- E’ stato creato da Raistlin Majere. L’aveva mio zio Caramon, in modo da poter avvertire suo fratello se qui fosse avvenuto qualcosa di strano. Ve lo porto in dono, perché sappiate che sono convinto della mia scelta. Ho sottratto loro il principale mezzo di comunicazione che avrebbe potuto mettere in pericolo la vostra fuga, signore. Vi prego di credermi: sono in buona fede.»
Ariakan fece un cenno imperioso a Laiota che, suo malgrado intimorito, infilò una mano sotto al giustacuore del ragazzo ed estrasse lo specchio. I maghi lo fissarono con invidioso interesse e annuirono quasi in contemporanea.
«E’ potente, Lord. Probabilmente il ragazzo dice la verità. Questo oggetto non è stato creato da un mago da quattro soldi.» disse Laiota. Ariakan annuì, poi voltò loro le spalle. Prese la sopraveste e se la infilò con un gesto deciso.
«Che tu menta o meno, ragazzo, verrai con noi.- disse, tornando a guardare i suoi maghi con occhi pieni di oscuro carisma che fecero rabbrividire Steel nel profondo – Approfitteremo della confusione che hai creato. Finalmente è arrivata l’ora di abbandonare la mia prigione.»
Altrove, Raistlin Majere incurvò le labbra in un sorrisetto nell’osservare la scena attraverso la pozza nella Camera della Visione. Era giunto il momento di recidere la giovane pianticella dell’ordine fedele a Takhisis. Steel aveva fatto la sua parte. Quando avesse attivato lo specchio, l’arcimago avrebbe saputo raggiungerlo.
Per Ariakan e i suoi, le ore erano ormai contate.

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Capitolo 29
*** 29 - Passato, presente, futuro ***


Author’s note: Siamo ormai a pochi passi dalla fine! Come potrò mai ringraziarvi per la vostra pazienza? La magia è tornata dentro il corpo di Katlin e il futuro si apre di fronte ai suoi occhi. Steel è scomparso e i nostri amici si trovano a dover fronteggiare un combattimento non previsto. Il futuro è in bilico…

 

CAPITOLO 29
PASSATO, PRESENTE, FUTURO

Finalmente il velario era stato scostato. Finalmente, la magia era tornata con prepotenza nel suo corpo, ridandole posto nelle cose. Questo non le portò alcuna gioia.
Vide il futuro, quella disgrazia così totale e definitiva da costringere perfino gli Dei a intervenire nei fatti del mondo, a tentare di cambiare le carte in tavola trascinandola su Krynn e consentendole di riportare Raistlin alla vita. Vide il Caos, un Dio dimenticato rinchiuso in una gemma misteriosa, passata ai posteri come innocua leggenda. Vide la devastazione che avrebbe portato, l’ecatombe che si preparava, il totale disgregamento della Vita e delle leggi che la governavano. La scomparsa della Magia.
Come si poteva fermare un essere del genere? Quale speranza poteva esserci di fronte a tanta, spietata volontà di distruzione? Alcuni si pararono di fronte al gigante. Katlin vide Tasslehoff e ne conobbe la morte coraggiosa. Avvertì la fine di tante persone care, mentre coloro che ancora dovevano nascere, figli di una generazione che aveva bisogno di Eroi, avrebbero dato tutto per fermare quel potere mostruoso. Steel, ormai adulto…una ragazza sconosciuta che si proclamava figlia di Raistlin ma non lo era…un giovane dalla veste bianca che somigliava ai gemelli…
“Non ce la faranno. Non senza perdere tutto.” pensò Katlin, sconvolta.
Poi, davanti all’essere di fuoco ella vide pararsi se stessa, Raistlin, Crysania e Dalamar. Questo quartetto sembrava più concreto del resto della visione, consentendole di capire che tale alleanza era frutto dei cambiamenti che la sua venuta su Krynn aveva apportato allo scorrere del Tempo. Un tale dispiegamento unito di forze non era previsto e forse avrebbe risollevato le sorti del mondo.
Poi, ai tre giovani si aggiunse un quarto ragazzo, dal viso innocente, gli occhi verdi dal taglio allungato e i capelli neri. Si voltò a guardare non l’immagine di Katlin, parata davanti al mostro con gli altri, ma dritto negli occhi magici di lei, come se riuscisse a vederla attraverso il Tempo. Katlin fu sconvolta nel riconoscere se stessa in parte di quei lineamenti.
«Voi la troverete, Madre. Io la custodirò.» disse il ragazzo, con il suo stesso sorriso. E Katlin capì.
La visione si spezzò insieme all’incantesimo di Dalamar, strappandole un grido e scaraventando entrambi i maghi dentro a un fosso. L’elfo oscuro fu il primo a riaversi. Si tirò faticosamente a sedere, scioccato per essere stato strappato all’incantesimo con tanta violenza, scrollando la testa per cercare di schiarirsela.
«Cos’è successo? Dove siamo? Katlin…» mormorò, cercandola con lo sguardo.
La trovò accanto a sé, raggomitolata a palla, i palmi delle mani schiacciati sugli occhi e i denti stretti in una smorfia di sofferenza.
«Ti sei fatta male? Katlin!» sbottò Dalamar, chinandosi su di lei per accertarsi delle sue condizioni. Lei si raggomitolò ancora di più, emettendo un gemito da animale morente che gelò il sangue dell’elfo. «Katlin, cos’hai?! Se non me lo dici, non posso capire!- esclamò, poi si rese conto che le mani di lei erano vuote e temette che gli si fermasse il cuore- La…pietra? Dov’è la pietra rossa?! L’avevi in mano! Dove…»
«Dentro di me.» lo interruppe lei con voce strozzata. Si tolse le mani dagli occhi, che si spalancarono in uno sguardo folle e stralunato. «La magia è tornata dentro di me.»
«Questa è un’ottima notizia! Il passaggio ti ha procurato dolore? Ti senti meglio, ora?» Dalamar si alzò e le tese una mano per aiutarla a venir fuori dal fosso, stanco ma contento di sapere che per una volta le cose stavano girando nella direzione giusta. Lei ignorò la sua mano tesa, continuando a restare sdraiata a terra, in posizione fetale. L’elfo corrugò la fronte. C’era qualcos’altro.
«Cos’è accaduto?» chiese.
«La Gemma Grigia.- disse lei, in un lungo sospiro- L’ho vista, Dalamar. La fonte della distruzione che terrorizza gli Dei, il futuro che stiamo cercando di evitare. La Gemma imprigiona un Dio, più potente e terribile di tutti quelli che conosciamo. Un giorno uscirà dalla sua prigione e ridurrà a niente tutto il Creato. Egli è il Caos.»
Dalamar avvertì uno spiacevole formicolio attraversargli le membra, come se le parole di Katlin gli avessero fatto toccare con mano la propria morte. Non dubitò per un istante della veridicità della sua visione. Aveva sempre saputo che solo un fatto al di là di ogni immaginazione avrebbe potuto forzare Paladine e Gilean ad acconsentire al ritorno di Raistlin Majere.
«C’è qualcosa…che noi possiamo fare?» chiese, con voce improvvisamente roca. Katlin chiuse gli occhi, poi si fece forza e si alzò a sedere. Annuì.
«Sarà la prossima generazione a combattere, ma avere Raist, Crysania, me e te al loro fianco cambierà le carte in tavola, dandoci una speranza. Dobbiamo trovare la Gemma Grigia. Inoltre…- si alzò in piedi, vacillando per un istante- nascerà una creatura la cui esistenza non era prevista, il cui compito sarà custodire la Gemma dopo che noi l’avremo resa inoffensiva, per garantire la pace.»
«Una creatura non prevista? Che creatura?» chiese Dalamar, corrugando la fronte. Katlin si portò una mano al ventre, poi lo fissò negli occhi con un sentimento oscuro e bruciante che lo trapassò come un tempo avevano fatto le dita roventi del suo Shalafi.
«Nostro figlio, Dalamar.- rispose lei, aspra- Ieri notte abbiamo concepito un bambino.»

***
Caramon si fermò al centro del cortile ormai quasi buio, guardandosi attorno. Era già passato da lì? Non gli sembrava, ma iniziava a perdersi in quella dannata fortezza. Dov'era andato a cacciarsi suo nipote?!
«Steel!» chiamò. Perchè si era allontanato? Era stato rapito? Secondo Tasslehoff era molto improbabile che i Grigi avessero portato via il ragazzo calando semplicemente un lenzuolo dalla finestra...Steel avrebbe reagito, le guardie avrebbero sentito qualcosa. E poi, erano maghi! La magia serve proprio per questi casi di necessità, no?
Allora Steel si era allontanato di sua spontanea volontà? Ma perchè?! Sapeva quanto quella situazione fosse pericolosa, con il figlio di Ariakas detenuto nello stesso edificio. Caramon non sottovalutava l'intelligenza del nipote e Katlin era sempre stata chiara con lui riguardo ai rischi che correva. Allora, perchè?!
“Sarebbe meglio avvisare Raist?” si chiese, rabbrividendo al pensiero di ciò che gli avrebbe detto il gemello in una simile situazione, poi scosse il capo. Non solo preferiva cavarsela da solo, ma aveva affidato lo specchio a Steel per precisa volontà di Raistlin, perciò in quel momento il ragazzo doveva averlo con sé. Il pensiero gli fece corrugare la fronte, mentre un’inquietudine nuova cominciava a formarglisi nello stomaco, ma venne interrotto nei suoi ragionamenti dalla vocetta di Tasslehoff, che si era sporto da una bifora sopra di lui. Torce e lampade erano accese ormai quasi dappertutto, ma l’operazione andava avanti con disordine a causa dell’allarme in corso, perciò il corridoio era ancora al buio.
«Caramon! L’hai trovato?!» chiese.
«Macchè, neanche l’ombra!- esclamò il guerriero, alzando lo sguardo sul kender e su Tanis, che era con lui- Voi?»
«Nessuna traccia. Al momento direi che la stessa cosa vale per i Cavalieri. Pare che Steven abbia perfino fatto un sopralluogo nella cella di Ariakan, ma senza risultato.- rispose il mezzelfo, tirandosi la barba in un gesto di frustrazione- Com’è possibile che Steel sia semplicemente scomparso?! Deve essere da qualche parte!»
«Se quei Grigi gli hanno torto un solo capello, spicco loro la testa dal collo!» ruggì Caramon, con ira.
«Caramon, raggiungici! Non vieni con noi sugli spalti? Proviamo a percorrere tutti i camminamenti per controllare i cortili interni!» disse Tasslehoff, recuperando al volo una delle sue borse prima che cadesse oltre il bordo della finestra e la tracolla rischiasse di strangolarlo.
«No, faccio di nuovo il giro del pianterreno.- disse lui, scuotendo la testa- Magari troverò…»
«Zitto!» gli ingiunse di botto Tasslehoff, lasciandolo perplesso.
«Tas, cosa c’è?» chiese Tanis, guardando il visetto improvvisamente tirato del kender. Tasslehoff era ancora sporto dalla finestra, in tensione, e ascoltava qualcosa.
«Non sentite niente?» chiese, con un tono di voce che al mezzelfo non piacque affatto. Gli ricordava qualcosa di brutto, una scena già vissuta in un momento che ora sembrava appartenere alla vita di qualcun altro…
«Io non sento niente.» sbuffò Caramon, da sotto.
«Io nemme…» iniziò Tanis, prima di percepire un fischio sottile e lontano. Il suono, dapprima colto solo dalle sensibili orecchie del kender, riempì anche quelle del mezzelfo e Caramon stesso cambiò espressione.
«Cos’è questo suono?» chiese. Il fischio si fece più intenso, calando su di loro e prendendo potenza, diventando man mano più fondo, quasi un rombo. La comprensione investì tutti e tre gli amici nel medesimo istante.
«DRAGHI!!» ruggì Caramon a voce spiegata, subito imitato da Tanis e Tasslehoff, cui risposero le grida di allarme dei Cavalieri, a loro volta fin troppo usi a quel suono terribile. Uno o più draghi stavano piombando sulla fortezza approfittando della tenebra.
«Caramon, vieni su!» esclamò Tanis, prima che un corpo gigantesco riempisse il cielo sopra le loro teste, sfrecciando velocemente, subito seguito da un secondo e un terzo. Si udirono grida, due stridi da far accapponare la pelle, poi ci fu un boato che fece tremare l’edificio. Tasslehoff  fu a un passo dal volare oltre la finestra, ma Tanis fu lesto ad acchiapparlo per la treccia e tirarlo indietro.
«Ci attaccano! Caramon, vieni su!- ripeté Tanis- Andiamo in cima alla fortezza! Hanno le Dragonlance e…» Fu interrotto da un altro boato spaventoso, seguito da grida. Caramon si ritrovò in mezzo a Cavalieri che spuntavano da ogni dove, abbandonando la ricerca di Steel per raggiungere gli spalti, dov’erano montate attrezzature per lanciare le Dragonlance. Il guerriero non se lo fece ripetere due volte. Corse su per le scale, raggiunse Tanis e Tasslehoff che avevano già lasciato la finestra per seguire i Cavalieri e insieme, senza fiato, giunsero all’aperto, in cima alla fortezza.
«State giù!» gridò qualcuno, prima che uno dei draghi, un Blu dall’imponente apertura alare, passasse rasente le mura, buttandoli tutti a terra per lo spostamento d’aria e sfasciando tra le zampe due meccanismi per tirare le lance.
«Dannazione!- ringhiò Caramon, alzandosi e sfoderando la spada- Che ci fanno qui i draghi?!»
«Per fortuna non ci trovano del tutto impreparati.» disse una voce alle loro spalle. I tre si voltarono e videro Steven, che sfoggiava un brutto taglio sulla mano ma aveva negli occhi la luce dura del Cavaliere nel suo ambiente. «Vedete? Stanno già portando le Dragonlance. Li scacceremo, se non riusciremo a ucciderli. Quello che mi chiedo è perché stiano facendo una cosa tanto stupida…»
Le fiamme create dall’alito micidiale dei draghi si stavano propagando da qualche parte a ovest della fortezza e fumo si innalzava dal portone principale. Alcuni Cavalieri stavano preparando le lunghe aste micidiali nei pressi dei meccanismi di lancio, che al momento costituivano il bersaglio preferito dei draghi.
«Tanis, dai un’occhiata laggiù!» disse Tasslehoff, guardando qualcosa oltre gli spalti, prima di appiattirsi di nuovo a terra quando uno dei draghi decise di puntarli. Caramon, Tanis e Steven si prepararono allo scontro impari con le spade in pugno, prima che una pioggia di fuoco si abbattesse contro il drago, strappandogli uno strido di dolore e protesta e costringendolo a cambiare direzione. Passò sopra le loro teste con fragore e si sfogò scagliando una saetta all’interno della fortezza.
«Ma che…» mormorò Steven.
«I maghi!- sbottò Caramon, ricordando- E’ vero! I maghi del Conclave sono qui attorno, ci daranno una mano!»
«I maghi?!» chiese Steven, sbalordito. Nello stesso istante, due dardi sparati contro i Cavalieri andarono a infrangersi contro una muraglia invisibile erta a protezione della fortezza. Steven guardò Caramon, incerto.
«Maghi di Wayreth, Steven. Stazionano qui attorno per aiutarvi a fare la guardia, e…- scosse il capo- Al diavolo! Per una volta, sono contento che ci siano! Vi daranno il tempo di preparare le Dragonlance!»
Tanis zittì l’amico afferrandogli improvvisamente un braccio.
«Siamo tutti qui, vero? Ci siamo tutti riuniti qua sopra, non è vero?» chiese, febbrile.
«Sì…più o meno tutti i Cavalieri sono qui o stanno arrivando.» rispose Steven, incerto.
«Cos’altro puoi fare con tre draghi che…» iniziò Caramon, prima che la sua voce fosse soverchiata dalle strida dei tre draghi, uno dei quali aveva iniziato una battaglia di incantesimi contro i combattenti nascosti attorno alla fortezza. Si capì solo l’imprecazione di Tanis, semiassordato dal frastuono.
«Tanis, qual è il problema?» chiese Steven. Tasslehoff ansimò: la sua piccola mente sveglia aveva capito dove conducevano i ragionamenti di Tanis.
«Nessuno sta cercando Steel!» strillò, mettendosi quasi a saltare per l’ansia.
«Certo che no! Ovviamente…» disse Caramon, poi si zittì, incerto, e guardò Tanis. Il mezzelfo annuì.
«Nessuno cerca Steel e la fortezza è vuota perché siamo tutti in quest’ala a combattere!- gridò per farsi sentire oltre il baccano- Direi che è la condizione ideale per…»
«…un’evasione?!» finì Steven, con voce improvvisamente strozzata. Tasslehoff schizzò via come una scheggia, tornando a imboccare le scale, e dopo un solo istante i tre uomini lo seguirono. D’improvviso si erano resi conto che la sorveglianza dell’intera fortezza stava per essere elusa con estrema semplicità.
***
Dalamar si svegliò nel pieno delle sue forze la mattina dopo. Il sole che entrava dagli scuri socchiusi gli feriva gli occhi ma non fu a causa di questo dettaglio se passò dall’incoscienza alla lucidità con tanta prontezza. Quando avevano preso una stanza in una locanda, dopo aver lasciato Solace e raggiunto Haven – cosa avvenuta dopo un altro incantesimo spossante e riuscito solo in parte e una scarpinata da incubo protrattasi fino a notte inoltrata- aveva avuto la ferma intenzione di concludere la diatriba sorta quella mattina, ma lo shock della rivelazione fattagli da Katlin congiunta alla profonda stanchezza lo avevano tanto prostrato da fargli perdere conoscenza una volta giunto in camera, mentre ancora le chiedeva di spiegargli tutto daccapo!
Poteva essere una delle notti più importanti della sua vita, eppure non era riuscito a resistere al sonno. Era stato così fesso da lasciarsi scappare l’unico momento in cui avrebbe potuto parlarle senza la certezza di vederla chiudersi a riccio o aggredirlo?! Più tempo lasciava passare, meno il momento di passione che avevano condiviso avrebbe avuto presa su di lei. Era pur sempre la sorella dello Shalafi: gli si gelava il cuore al pensiero che lei potesse uccidere il feto nel suo grembo pur di essere libera. Oppure lo avrebbe fatto lo Shalafi stesso, contrariato per il possibile ritardo nei suoi piani? Ma quel bambino aveva un ruolo futuro da ricoprire…o no?
“Idiota! Mille volte idiota!” si disse, cercando Katlin con lo sguardo. L’altra metà del letto, però, era vuota. Come temeva…era fuggita! Tornata in possesso della magia, lo aveva lasciato nel passato per risolvere la questione a modo suo! Arrivò a mettere un piede sul pavimento prima di rendersi conto che lei era ancora nella stanza. Era seduta, vicino alla finestra. I capelli scuri erano aggrovigliati sulle spalle e le coprivano il volto, indossava solo la lunga sottoveste bianca e doveva essersi accorta del suo risveglio perché era tesa fino allo spasimo.
«Hai dormito bene?» chiese, con voce rauca.
«Io non…non avrei dovuto dormire. – mormorò Dalamar, cercando dentro di sé un modo per riprendere il filo della discussione – Dobbiamo parlare di quello che hai visto…e del bambino.»
«Immagino che sarai contento.» lo interruppe lei, tra i denti.
L’elfo oscuro tacque, limitandosi a corrugare la fronte. Rimase in silenzio, lasciando che fosse lei a muovere i primi passi sul campo di battaglia. Il momento dello scontro era arrivato.
«Di avermi umiliata, intendo.- continuò Katlin, senza voltarsi, le mani serrate sulle braccia come a proteggersi- Hai dimostrato che l’orgogliosa sorella di Raistlin Majere non ha abbastanza coerenza o autocontrollo da resistere alla passione della carne. L’ambiziosa Katlin Majere si è fatta mettere incinta dopo una notte passata con la persona che più la detesta al mondo.» Si voltò a metà, il volto contorto in una smorfia di ira e disprezzo…forse per se stessa. «Sei contento?! Sei soddisfatto, adesso?!»
«Sì.» rispose Dalamar, gelido. Lei serrò le labbra e sbiancò visibilmente anche nella penombra della camera. «Un’umiliazione ciascuno mi sembra un ottimo punto di partenza.» aggiunse, ricordandole quella ben più grave che lei gli aveva inflitto l’anno prima.  Ebbe la soddisfazione di vederla andare fuori dai gangheri. Katlin si alzò e fece tre passi verso di lui, a pugni stretti come se volesse saltargli addosso e prenderlo a cazzotti, ma riuscì a fermarsi prima di raggiungere il letto.
«Ti odio!» sibilò, sconvolta.
«Ti odio anch’io.» ritorse lui, indifferente. La vide piegarsi come per un colpo ricevuto. Si alzò con lentezza, chiedendosi perché ora si sentiva tanto forte, tanto sicuro. Da dove gli veniva tutta quella calma? Forse dal modo in cui Katlin gli aveva detto che avevano generato un figlio, con quella luce terrorizzata e piena di dolore negli occhi, come se avesse temuto di vederlo scomparire per sempre. La notte in cui avevano fatto l’amore, il suo corpo aveva parlato per lei. Gli aveva raccontato la sua disperazione, la solitudine, il bisogno di lui. L’aveva letto nella voce che aveva invocato il suo nome, sulla pelle rovente, nella stretta delle sue braccia.
Inoltre, Dalamar non si sbagliava su quanto aveva provato nel sapere che lei gli avrebbe dato un figlio. Puro trionfo. E non perché quell’anima ancora informe, un giorno, avrebbe avuto un ruolo di spicco nel combattere la tragedia che gli Dei tentavano di evitare. L’onore di una tale paternità lo sfiorava appena. No…era trionfante perché questo bambino avrebbe legato Katlin a lui per sempre. Ora nessuno gliel’avrebbe più portata via, nessuno avrebbe potuto spezzare il loro legame. Fu grazie a questa certezza che non ebbe difficoltà a mettere in parole il pensiero successivo.
«E se mi odi per lo stesso motivo per cui io ti odio, non fatico a credere che lo Shalafi ci ritenga due poveri imbecilli.» disse, sfidandola con lo sguardo dall’altra parte del letto. Katlin divenne paonazza, poi impallidì come se tutto il sangue le fosse stato tolto dalle vene.
«Cosa vuoi dire?» balbettò.
«Lo sai benissimo. Sono stato abbastanza chiaro, ieri mattina.»
Lei scosse la testa e fece un passo indietro, per poi fermarsi. Non voleva mostrarsi debole.
«No, non lo so.» disse, atona.
«Ammettilo, Katlin.»
«Cosa?»
«Ammettilo!»
«Smettila. Non so nemmeno di cosa stiamo parlando.» sbottò, alzando la voce, desiderando sfuggire a quegli occhi che improvvisamente sembravano sapere tutto.
«Ammettilo!» quasi gridò Dalamar, aggirando il letto. Katlin si coprì le orecchie con le mani, arretrando suo malgrado.
«Basta, smettila! Non ti voglio ascoltare, non voglio…NO!» Dalamar l’aveva afferrata per le braccia. «No, lasciami Dalamar!»
«Ammetti che non è finita.- disse l’elfo oscuro, affondando una mano tra i suoi boccoli aggrovigliati per costringerla a guardarlo in volto- Ammetti che non è mai finita tra noi. Che è ancora tutto qui.» La baciò prima che lei potesse rispondere e non si stupì di sentirla tremare di passione trattenuta a stento. Quando la lasciò andare, erano entrambi senza fiato. Katlin lo guardava con gli occhi blu spalancati in uno stupore smarrito, che gli fece venire voglia di baciarla ancora. La mano posata sulla sua schiena scivolò sul fianco e si fermò sul ventre di lei, facendola sussultare.
«Desidero questo bambino. Un bambino nostro.- sussurrò l’elfo oscuro sulle sue labbra – Un bambino che ti rende di nuovo mia, Katlin.» La fissò. «Hai paura?»
Negli occhi della maga si accese il fuoco del suo orgoglio indomito, ma non riuscì a trattenere una smorfia sofferta.
«Non averne. Io sono qui.» finì Dalamar, stringendola a sé come se volesse farla diventare parte del proprio corpo. Dopo qualche istante, Katlin si aggrappò a lui con tutte le sue forze.
«Ti odio…perché non riesco a separarmi da te.» mormorò, strappandogli un sorriso. Rimasero così per qualche istante, poi sciolsero l’abbraccio di comune accordo. Dalamar le chiese di ripetergli tutto ciò a cui aveva assistito durante la visione e Katlin passò l’ora successiva a descrivergli ogni singolo dettaglio che ricordava, fermandosi spesso alle osservazioni puntuali dell’elfo oscuro. Quando finì, Dalamar era pallido.
«La distruzione totale di Krynn…» mormorò.
«Ecco perché gli Dei mi hanno portata qui…e mi hanno concesso di liberare Raistlin.- annuì Katlin- Il futuro non è ancora cambiato, ma possiamo combattere, se non ci facciamo ammazzare prima dagli scagnozzi di Takhisis. Credo che Lei sia l’unica a non sapere, troppo presa dai Suoi sogni di conquista. Inoltre, il bambino…» Si posò la mano sul ventre in un gesto inconscio e corrugò la fronte.
«Non sarà un bambino qualunque, questo è chiaro. Custode della Gemma Grigia…Una vita non comune.»
«Raistlin saprà cosa fare. Ne parleremo con lui.- tagliò corto Katlin, brusca- Ciò che conta è che abbiamo una speranza. I modi e i tempi ci verranno rivelati man mano.»
Dalamar annuì senza aggiungere altro. Con tutta probabilità, ora che Katlin aveva recuperato la magia, lo Shalafi avrebbe ripreso a tramare contro il Conclave. Cosa sarebbe successo al bambino? Con chi sarebbe cresciuto? E come avrebbe acquisito il potere di tenere rinchiuso il Caos? Tutte domande che al momento non avevano risposta.
«Dobbiamo tornare a casa al più presto.- disse Katlin, interrompendo le sue riflessioni- Il nostro compito è concluso. Steel ha bisogno di me e…e voglio parlare con mio fratello.»
«Domani. Ho bisogno di riposo.» annuì Dalamar. Le vide passare sul viso una certa contrarietà e sperò che non si offrisse di tentare l’incantesimo. Se fossero tornati troppo presto nel flusso del Tempo, lo Shalafi avrebbe voluto la sua pelle. Quando la vide scrollare le spalle, riprese a respirare normalmente. Dopo tanta astinenza dalle pratiche magiche, doveva aver ritenuto meglio non rischiare.
Questo gli avrebbe dato tutta la giornata per calmarsi e godere finalmente della compagnia di lei, una breve parentesi di piacere. Le discussioni sarebbero riprese una volta nel futuro, lo sapeva fin troppo bene…Sperava solo che il piano dello Shalafi si attuasse senza danni per il ragazzo; in caso contrario, l’elfo oscuro era certo che avrebbe assistito a uno scontro epico tra fratelli.

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Capitolo 30
*** 30 - Tenebre ***


Author’s note: Ormai ci siamo, i giochi sono fatti! Steel riuscirà a portare a termine la sua pericolosa missione? Tutti sono alla sua ricerca, compresi due personaggi ormai da tempo consegnati alla Storia…


CAPITOLO 30


TENEBRE

Steel continuò ad avanzare a passo veloce, anche se iniziava ad avvertire fitte sgradevoli al fianco. Mani lo tenevano saldamente per le braccia, guidato com’era da due maghi dei Grigi. Non lo avevano legato, ma sui suoi occhi c’era una benda ed era stato avvertito che al primo suono che gli fosse uscito di bocca l’avrebbero ridotto all’incoscienza. Non si fidavano di lui, anche se Ariakan aveva accettato la sua sottomissione. Lo portavano con loro, ma non volevano che vedesse come sarebbero usciti dalla fortezza. Con tutta evidenza, avevano intenzione di lasciarvi delle spie anche nel futuro.
Questo gli impediva di vedere dove stavano andando, ma le sue orecchie funzionavano fin troppo bene e gli avevano dato un’idea di cosa stesse accadendo attorno a lui. C’erano state alte strida e alcune esplosioni che avevano fatto tremare il cuore di Steel. La sua mente sveglia gli aveva comunicato che si trattava di un attacco di draghi e lo spostamento in massa dei Cavalieri verso un’ala della fortezza gliene aveva dato la conferma. Aveva così compreso che si trattava di un diversivo per sguarnire il percorso che il gruppo dei malvagi avrebbe seguito per evadere.
“Un trucco semplice, ma efficace.- pensò, lucido nonostante la paura- Con simili forze sempre pronte, Ariakan avrebbe potuto tentare la fuga già da tempo. Aspettavano davvero di avermi nelle loro mani, come temeva zia Kat.”
Purtroppo gli era capitato di sentire anche gemiti soffocati, tonfi di corpi che cadevano a terra e parole magiche sussurrate e aveva dovuto stringere i denti per non reagire in alcun modo. Sperava solo che gli sfortunati che stavano incrociando la loro strada non avessero perso la vita.
«Di qua, mio Signore.» mormorò Latan, più avanti.
Steel fu tirato bruscamente verso sinistra, tanto che inciampò nei propri piedi. Sarebbe caduto se le mani non l’avessero sostenuto, trascinandolo avanti.
«Quindi per raggiungermi usavate questi passaggi?» sentì borbottare ad Ariakan.
«Creati da noi all’interno delle mura, mio Signore. I Cavalieri non ne sono a conoscenza.- disse Laiota, con sarcasmo- Ancora un tratto, poi potremo uscire.»
Steel fu felice di quella piccola conversazione, che gli aveva rivelato la posizione dei maghi. Laiota, che stava tenendo in custodia lo specchio di Raistlin, era quello che reggeva saldamente il suo braccio sinistro. Il che significava che la mano a destra apparteneva alla donna. Una volta fuori, Steel avrebbe pronunciato la parola che gli aveva insegnato l’arcimago e lo specchio avrebbe reagito, confondendo i maghi quanto bastava da consentire alla Veste Nera di coglierli di sorpresa. Come Raistlin li avrebbe raggiunti e affrontati, per il ragazzo restava un mistero.
“Non pensare a cose inutili. Fai il tuo dovere.” si ingiunse, emulando senza saperlo il comportamento di suo padre Sturm. Aiutando lo zio arcimago, poteva evitare un combattimento pericoloso allo zio Caramon, a Tanis e Tas…soprattutto, poteva aiutare a sconfiggere coloro che avevano quasi ucciso sua zia e le avevano fatto perdere la magia. Una corrente d’aria fresca lo distrasse dai propri pensieri.
«Ci siamo.» sussurrò Latan. Nonostante queste parole, rimasero per alcuni minuti immobili, in attesa. Altrove risuonavano grida, strida acute e misteriosi boati. «Via libera.» disse ancora il mago e finalmente si mossero. Uscirono all’aria aperta, ora correndo. Steel fu preso dal panico. Doveva parlare ora? Oppure aspettare? Sicuramente c’erano dei rinforzi da qualche parte, una squadra addestrata che avrebbe preso in consegna i preziosi pupilli della Regina delle Tenebre. L’arcimago poteva sconfiggerli tutti oppure era meglio fargli affrontare pochi avversari alla volta?
Si maledisse per non averci pensato prima, per non aver posto una domanda tanto importante quando poteva farlo. Ora stava alla sua capacità di giudizio, al suo istinto.
“Aspetta.” disse una voce nella sua mente. Volle riconoscervi quella paterna e decise di seguire il consiglio. Suo zio era il mago più potente e spietato di Krynn. Doveva fidarsi delle sue capacità. Continuò quindi a correre, allontanandosi dalle mura sicure della fortezza dei Cavalieri. Qualcuno lanciò un grido, dietro di loro, ma chiunque fosse rimasto di guardia lassù era solo e non avrebbe potuto dare l’allarme per tempo…non con i draghi che attaccavano senza posa. Il passo dei fuggitivi non rallentò. Alla sua destra, la mano di Falana si contrasse appena. Avvertì che Laiota, a sinistra, rallentava il passo, costringendolo a fare altrettanto.
“Ci siamo.” pensò Steel, tendendosi inconsciamente. A dargli ragione, udì una voce sibilante a una certa distanza, davanti a loro.
«Lord Ariakan, benvenuto. Mi sembrate in forma.»
«Odio i convenevoli.- lo zittì bruscamente- Dove sono le cavalcature?»
«Poco lontano da qui, Lord. Saremo la vostra scorta. State tranquillo, ora siete fuori portata per quei…Cavalieri.»
Il modo sprezzante con cui la parola venne pronunciata fece salire il sangue alla testa di Steel. Aprì bocca prima ancora di rendersene conto, esclamando la parola di comando che aveva mandato a mente. Si accese una luce che trapelò anche sotto la benda che portava. Laiota mandò un’esclamazione e inconsciamente lo lasciò andare, mentre si levavano imprecazioni soffocate e Latan esclamava: «Lo specchio!».
Steel ne approfittò per assestare un robusto spintone alla sua destra, scrollandosi di dosso Falana, che cadde a terra. Il giovane si strappò la benda dagli occhi. Una rapida occhiata gli comunicò che Ariakan, Latan e un draconico che era con loro si erano coperti gli occhi per proteggerli dalla luce. Laiota stava lanciando a terra lo specchio magico, ancora illuminato. Più lontano c’era una squadra armata, composta da uomini e draconici, che stava correndo verso di loro.
Steel si voltò, deciso a levarsi di torno come gli aveva raccomandato lo zio arcimago prima che iniziasse il finimondo, ma una mano lo afferrò per la caviglia, facendolo finire a terra con un grido strozzato.
«Il ragazzo! Brightblade! Non fatelo scappare!» esclamò Ariakan, mentre Falana cercava di trattenere Steel, che scalciava per liberarsi.
«STEEL!»
Steel alzò la testa di scatto. Quella era la voce di…Tanis?! Fu l’ultima cosa a cui pensò. In quel preciso momento, il mondo attorno a lui esplose e tutto diventò buio.
***
«Dannazione…dannazione! Che Paladine li punisca per i loro crimini!» disse tra i denti Steven Sharphalberd, chinato su un corpo riverso a terra. Le dita sul collo dell’uomo non stavano rilevando alcun battito. Era morto.
«Non si può dire che abbiano coperto le loro tracce.» osservò Caramon, con una smorfia. Era già il secondo cadavere che incontravano in pochi metri di corridoio.
«Il problema è che difficilmente i segni del loro passaggio ci diranno dove si sono cacciati o in che direzione stiano fuggendo.- sottolineò Tanis, guardandosi attorno- Non credo abbiano semplicemente seguito i corridoi. Se si sono intrufolati nelle stanze di Ariakan, devono conoscere passaggi a noi ignoti.»
«Nella nostra stessa fortezza…che vergogna!» disse Steven, incupito tanto che i suoi lineamenti risultavano stravolti.
«Bisognerebbe andare a controllare sugli spalti.» suggerì Tasslehoff, guardandosi attorno nella speranza di individuare qualche passaggio segreto che facilitasse la loro ricerca.
«Già, con la sola speranza di vedere qualcosa con questo buio.- interloquì Tanis, scuotendo il capo- Senza contare il tempo che impiegheremmo a scendere di nuovo e inseguirli. No, non ne abbiamo il tempo.»
«Siamo comunque ad un punto morto.- sbottò Caramon- Se solo non avessi dato lo specchio a Steel, a quest’ora avrei già chiamato Raist. Lui saprebbe cosa fare!»
«Ci manca solo Raistlin…» borbottò Tanis, senza farsi sentire.
«Beh, immagino che per prima cosa ci guarderebbe male…voglio dire, in fondo ci siamo fatti scappare da sotto il naso sia Steel che Ariakan!- disse Tas- Essere guardati male da Raistlin è da brividi, sai Steven? Con quegli occhi dorati e le pupille a clessidra e quel non so che di malvagio che...»
Il Cavaliere si alzò da terra con uno scatto, interrompendo le divagazioni del kender.
«Possiamo provare a uscire direttamente dalla porta sul lato orientale. E’ quello che offre maggiore protezione a una fuga.- disse- Si dirigeranno comunque all’esterno e perderemo meno tempo che continuando ad aggirarci per i corridoi sperando di intercettarli.»
«Ottima idea, Steven. Guida tu.» approvò Tanis. Il gruppo si mise di nuovo a correre per i corridoi, seguendo Steven, le armi sguainate. In pochi minuti giunsero a una corte non troppo grande, deserta e illuminata da alcune torce. Le loro orecchie furono riassalite dai suoni della battaglia che si combatteva all’ingresso principale. Steven e Caramon si presero l’onere di smuovere il grosso portone, ben chiuso da liste scorrevoli di metallo. Uscirono dalla fortezza, guardandosi attorno. Tutto era buio, la notte ormai aveva preso il posto del crepuscolo.
«Non si vede un accidente!» commentò Tas, sottolineando l’ovvio.
«Potremmo averli anticipati.- ricordò loro Caramon- Tanis, come ci muoviamo?»
«Io e Tas restiamo vicini alle mura per controllare che nessuno sgattaioli fuori. Tu e Steven potreste…» iniziò il mezzelfo, ma fu interrotto da un grido d’allarme proveniente dagli spalti, alla loro sinistra. Alzarono tutti lo sguardo di scatto. Un Cavaliere rimasto al suo posto di guardia, la cui sagoma si intravedeva alla luce delle torce poste in cima alla fortezza, stava indicando qualcosa. Poi, convinto di essere solo, si voltò e scomparve, probabilmente per correre a chiedere rinforzi.
«Sono là! Che fortuna!» disse Tasslehoff, iniziando a correre.
«Non fuggiranno!» disse Steven, seguendolo a ruota. La vergogna che quell’evasione costituiva per i Cavalieri lo aveva riempito di ira e sdegno. Inoltre gli si gelava il sangue al pensiero di dover dire a Katlin di aver concesso al nemico di sequestrare il giovane Brightblade. Le aveva fatto una promessa e intendeva mantenerla.
Non fecero molta strada, nemmeno quella sufficiente a individuare i fuggitivi. Alcune sagome scure si staccarono dalla tenebra che avvolgeva le mura massicce e andarono loro incontro, le spade sguainate.
«Ci attaccano!» avvertì Caramon, prima di lanciarsi a testa bassa contro i due uomini che gli stavano piombando addosso.
«Previdenti, questi scagnozzi della Regina Oscura…» mormorò Tanis, correndo a dargli man forte. Deviò un fendente diretto verso la sua testa, poi iniziò a incrociare le lame con il suo avversario, che dallo stile di combattimento si rivelava un draconico. Tanis lo incalzò, stringendo i denti, poi si fece indietro di un passo quando l’hoopak di Tas assestò da dietro una robusta bastonata sulla testa del draconico, stordendolo e facendolo caracollare in avanti. Tanis lo finì con un fendente al collo, ritraendo subito la lama per evitare che rimanesse incastrata nella carne che si faceva pietra.
«Ce ne sono ancora, Tanis!» esclamò Tasslehoff, raccogliendo un sasso e scagliandolo con mira micidiale contro uno dei tre sicari che stavano circondando Steven, il quale li teneva a bada dopo averli rigidamente salutati come prevedeva la Misura. Caramon esplose in un ruggito e si scagliò con tutto il suo peso contro uno dei suoi due avversari, spedendolo a gambe all’aria. Ebbe così modo di fracassare la faccia del secondo con un colpo poderoso dell’elsa della spada, per poi accanirsi contro il draconico che stava cercando di rialzarsi.
«Steven, arriviamo!» esclamò Tasslehoff, scagliando un secondo sasso che convinse definitivamente il malcapitato ad abbandonare lo scontro con il Cavaliere e ad eliminare quella piccola pulce. Non aveva fatto i conti con l’hoopak di Tas, che si abbatté sul suo ginocchio con un arco micidiale. Tanis udì distintamente il suono dell’articolazione che andava fuori sede, seguita dalle strida doloranti del draconico, subito zittite da un nuovo cozzo poco rassicurante.
«Fuori dai piedi! Ci state facendo solo perdere tempo!» esclamò il mezzelfo, ingaggiando nuovamente battaglia. La spada di Steven sprizzò scintille nello scontrarsi con quella del draconico e al secondo, poderoso colpo riuscì a fargliela volare via di mano. Fu in quel momento che, in lontananza, si accese una luce accecante che distrasse i contendenti.
«Ma che…hanno acceso una luce! Poco furbo da parte loro!» sbottò Tasslehoff.
«Cos’è quella luce?! Magia?!» esclamò Steven, con una stretta allo stomaco. Laggiù c’era il ragazzo! Caramon masticò un’imprecazione.
«Lo specchio di Raist!- disse- L’aveva Steel! Forse è un segnale!»
«STEEL!» gridò Tanis alla volta della luce, menando un colpo micidiale contro il suo avversario, che cadde a terra in agonia. Il ragazzo doveva sapere che erano lì per lui, che non era solo! In quel momento il mezzelfo provò la strana sensazione di tornare indietro nel tempo. Era Steel o forse Sturm quello che aveva bisogno del suo aiuto? O ancora, Kitiara? Passato e presente si confusero per un istante dentro di lui. Non poteva permettere che Steel fosse portato via! «Corriamo, possiamo ancora…»
Venne bloccato da un grido di dolore che lo fece voltare di scatto. Il draconico disarmato da Steven aveva approfittato del momento di distrazione del Cavaliere e gli aveva appena piantato un lungo pugnale nel fianco, creandosi un varco nella cotta di maglia, per poi fuggire velocemente alla volta della luce.
«Steven!» esclamò Caramon, correndo a sorreggerlo.
«Non è niente.- disse il Cavaliere tra i denti- Mi sono distratto, colpa mia. Non pensate a me, andate a…»
In quel momento, la notte fu rischiarata da una micidiale esplosione che arrossò il cielo e inghiottì la luce dello specchio come se non fosse mai esistita.
***
Galleggiava nella tenebra, senza peso. Non udiva più alcun suono.
“Sono tutti morti?- si chiese- Sono morto anch’io?”
Come si poteva sopravvivere a un simile potere? Gli era parso che il mondo intero esplodesse. Dovevano essere tutti morti. Anche lui era morto. Forse, tenendo conto di quanti problemi la sua stessa esistenza aveva creato, era un bene per tutti.
«Steel.»
Una figura di tenebra ritagliata dalla tenebra stessa. Un corpo sinuoso rivestito dall’armatura, riccioli tagliati corti. Due occhi come gemme furibonde. Un sorriso micidiale.
«Madre?» mormorò Steel.
«Cos’hai fatto, Steel?! Hai concesso a quello scheletro del mio fratellino di usarti come una pedina?!- recriminò lo spettro di sua madre Kitiara- Il tuo posto è con me. Con la Regina delle Tenebre! Senti il richiamo della gloria, Steel. Il potere! Tu lo vuoi, come lo volevo io!»
Immagini gli affollarono la mente. Vide se stesso adulto, un Cavaliere dell’Oscurità, in sella a un drago. La creatura gli era fedele, lo serviva come si conveniva al figlio della più potente Signora dei Draghi mai vissuta. Poteva avere la gloria, se avesse votato il suo onore alla causa oscura. Non poté evitare di provare orgoglio e desiderio alla vista di sé in un tale futuro.
«E’ il tuo stesso sangue che ti chiama, Steel.- continuò Kitiara- La scelta è già fatta. Ascolta i tuoi desideri e falli diventare realtà!»
Steel avrebbe voluto chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie per non sentire quelle parole. Nella tenebra, non poteva fare né l’una né l’altra cosa. Allora parlò.
«Madre, la strada che mi proponi è piena di lusinghe, ma condurrà Krynn alla distruzione!- protestò- Io lo so! Zia Katlin ha visto…»
«Quella donna non ha abbastanza del nostro sangue nelle vene perché tu la chiami zia!- lo interruppe lo spettro di sua madre, la voce come una frusta- E’ una straniera. La sua anima non ha importanza. E’ morta per Krynn e il suo guscio di adesso non è nulla per te! Preferisci credere a quella fragile donnetta piuttosto che a tua madre?! Steel, se Raistlin uccide Ariakan accadranno cose irreparabili. E tu ne sarai responsabile davanti alla Regina Oscura!»
Kitiara sembrò volerlo raggiungere, trasportata dalla sua foga, ma senza risultato. Il contatto con lui, per qualche motivo, le era precluso. La frustrazione sul suo bel viso lasciò bruscamente il posto a una dolcezza altrettanto terribile.
«Steel, stai sprecando tempo prezioso. Stai buttando via un futuro di gloria, e per cosa? Per le visioni di una pazza straniera? Lei si sbaglia! Tutti si sbagliano! Pugnala quello scheletro dalle vesti nere e fuggi con il tuo Signore! La Regina delle Tenebre avrà il dominio di Krynn, figlio!» Allungò una mano guantata, non nel gesto amorevole di una madre ma in quello d’invito di un generale. «Seguimi, Steel. Questa è la tua unica scelta.»
Steel, pur se tormentato, si ribellò in cuor suo a quelle parole. Sua madre gli imponeva il futuro. I suoi zii, i suoi amici, gli avevano insegnato che questo andava cercato e costruito da sé. Steel voleva credere a questa opportunità, anche se significava rinunciare alla gloria.
Prima che potesse pronunciare il suo rifiuto, nella tenebra sorse una luce splendida, come se richiamata dalla sua ritrovata decisione. La luce fece arretrare lo spettro di sua madre, che parve ripiegarsi su se stessa.
«Vattene, Sturm!- sibilò- Il ragazzo è mio!»
Nella luce si delineò la figura di un Cavaliere. Egli fece il gesto di sguainare la spada che portava al fianco. Questo bastò per riconsegnare la Signora dei Draghi all’oscurità.
«Pa…padre?!» mormorò Steel, sopraffatto dalla commozione. Il Cavaliere si voltò verso di lui. Steel ne guardò il volto grave, la bocca incorniciata dai folti baffi, su cui pareva tanto difficile far nascere un sorriso. I suoi occhi erano calmi e puliti, come pozze d’acqua pura.
«Svegliati e ferma Raistlin, Steel. Ariakan non deve essere ucciso.»
Le sue parole lo sbalordirono oltre ogni dire. Non ebbe nemmeno la forza di replicare. Da quando suo padre era d’accordo con quanto diceva sua madre?! La figura di luce parve comprendere il suo dilemma, le linee sul suo volto si distesero in un’espressione di inusitata tenerezza.
«Vi sarà utile nella battaglia che attende te e i figli dei miei amici, nel futuro che Katlin Majere ha intravisto. La forza di Ariakan è grande, anche se votata alla Regina.- spiegò- Vi darà filo da torcere, è vero. Sarà la vostra spina nel fianco. Alla fine, però, presterà il suo coraggio alla stessa causa che vi vedrà giocarvi tutto per la sopravvivenza. In parte, anche lui possiede l’anima di un Cavaliere.»
Steel si sentiva completamente frastornato. Era la prima volta che suo padre gli faceva un discorso così lungo. Avrebbe voluto fermare quel momento e conservarlo per l’eternità. Al contempo, in lui cresceva un’urgenza febbrile, la certezza che mentre lui giaceva nell’incoscienza lo zio arcimago aveva tutto l’agio di uccidere Ariakan…sempre che non l’avesse già fatto!
«Svegliati, Steel!» gli ordinò suo padre con voce imperiosa.
Steel aprì gli occhi alla notte, una tenebra più consona alla natura, rischiarata dal vago rossore del fuoco. Le sue narici furono improvvisamente piene dell’odore nauseabondo della carne bruciata. Poi, una voce.
«Sei un traditore della tua stessa Dea, Raistlin Majere!»
Ariakan! Era ancora vivo! Steel si alzò faticosamente sui gomiti, indolenzito. L’esplosione gli aveva fatto fare un bel volo. Qualunque incantesimo l’arcimago avesse gettato, aveva carbonizzato la scorta di Ariakan, ma non il giovane erede del Signore dei Draghi. Forse era stato protetto contro la magia…ma le sue carte fortunate erano finite. Glielo si leggeva in faccia, pur se tesa in un’espressione di sprezzante coraggio.
Davanti a lui si ergeva la figura in apparenza fragile dell’arcimago, avvolto nelle sue vesti nere, i capelli bianchi sciolti sulle spalle. Steel non poteva vederlo in viso, ma udì le sue parole di congedo, lo vide sollevare una mano la cui pelle era dorata. Ariakan era spacciato.
Non ci pensò due volte. Obbedendo all’ordine congiunto dei suoi genitori, Steel si alzò da terra e corse a fermare Raistlin.

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Capitolo 31
*** 31 - Piani a lungo termine ***


Author's note: Mamma mia...il povero Steel riuscirà a fermare Raistlin? Cosa accadrà ad Ariakan? Il futuro è ancora tutto da costruire...Penultimo capitolo!!

CAPITOLO 31

PIANI A LUNGO TERMINE

Raistlin fece pochi passi all’interno della devastazione che aveva appena compiuto. Si era trasportato laggiù guidato dallo specchio magico donato a Caramon, risparmiando in questo modo parte delle sue forze. Un singolo incantesimo ben mirato aveva avuto ragione sia della ridicola scorta di Ariakan che dei tre sciocchi che avevano osato definirsi maghi. I loro corpi carbonizzati giacevano in posizioni scomposte sul terreno bollente. Aveva avuto cura di proteggere il ragazzo dagli effetti più eclatanti dell’incantesimo, ma l’aveva visto scagliato lontano dall’esplosione e ora giaceva a qualche distanza, privo di conoscenza. In quel momento, cessata la sua utilità, per l’arcimago rivestiva ben poca importanza.
Strinse appena le palpebre sugli occhi dorati nello scrutare il figlio del grande Ariakas, che per qualche tempo era stato teoricamente il suo generale. Come se lui avesse mai riconosciuto un’autorità superiore alla propria…Le sue labbra si stirarono in un sorrisetto gelido nel notare come il figlio somigliasse al padre. Era pieno di superstizioso timore a causa della potenza cui era stato testimone, ma lo fissava con orgoglio e piglio battagliero. Sciocco.
«Immaginavo che saresti sopravvissuto a un primo attacco.- mormorò Raistlin con voce sommessa, letale- La nostra Regina non è tipo da lasciare senza protezione i Suoi favoriti. Di che si tratta? Un anello magico? Un medaglione? L’armatura di cui ti sei rivestito?»
Ariakan, ancora ammutolito, tradì con uno sbattere di ciglia l’esattezza dell’analisi di Raistlin. L’arcimago indicò con il Bastone di Magius ciò che restava dei maghi di Takhisis.
«Tu e questi sciocchi avreste dovuto capire che il vento era cambiato quando sono tornato in vita.» continuò l’arcimago, portando alla mente l’incantesimo letale che avrebbe posto fine a quella seccante lotta che si trascinava già da troppo tempo.
«Ti saresti arreso, tu, al posto mio?» lo provocò Ariakan, amaro. Raistlin sollevò appena un sopracciglio, apprezzando la sfida.
«No.- ammise- Eppure, ho sacrificato tutto per non vedere Krynn distrutta. Mi chiedo se anche tu, vedendo il futuro, non avresti sacrificato la tua ambizione. Sia quel che sia. Morendo servirai la tua Regina meglio che conquistando il mondo.»
«Cosa vuoi dire?»
«Che il futuro che Lei ha visto va cambiato e che tu devi morire.» fu il lapidario commento di Raistlin, improvvisamente seccato con se stesso. La magia era pronta dentro di lui, eppure perdeva tempo in chiacchiere. Perché si sentiva frenato? Avvertì la bizzarra sensazione di essere osservato, come se gli Dei avessero accentrato tutta la loro attenzione su di lui. Come se le tre Lune della Magia stessero attendendo di vedere cos’avrebbe fatto con un’ansia nervosa, tesa. Le sue mani stavano diventando pezzi di ghiaccio. Sentì la familiare morsa della tosse che gli stringeva i polmoni. Perché?
«Sei un traditore della tua stessa Dea, Raistlin Majere!»
Raistlin sollevò di nuovo le pupille a clessidra sulla sua vittima. La sua gelida risoluzione spazzò via le sensazioni contrastanti, quell’inusuale necessità di procrastinare. Takhisis e i suoi scagnozzi andavano distrutti alla radice.
«Muori, Ariakan.- sussurrò, iniziando a levare la mano affusolata verso la sua vittima- Chiudiamo questa faccenda.»
In quel preciso istante, appena prima che potesse pronunciare la singola parola che avrebbe strappato la vita al giovane guerriero, un corpo magro e agile gli piombò addosso, spezzando la sua concentrazione e spedendolo dolorosamente a terra.
«Cosa…?!» rantolò, abbassando lo sguardo. Aggrappato alla sua veste, pallido come un cencio nonostante il bagliore rosso delle fiamme che andavano spegnendosi, c’era Steel. «Tu?!»
«Non dovete ucciderlo!- disse il ragazzo, con una fermezza che contrastava col tremito che lo scuoteva- Ariakan non deve essere ucciso!»
Raistlin storse la bocca in una smorfia, poi si mosse nel tentativo di liberarsi dalla presa ma Steel non lo lasciò andare. Ariakan sguainò un pugnale, deciso ad approfittare dell’occasione per ribaltare la situazione, quando uno strido assordante riempì le loro orecchie, subito seguito dallo sbattere d’ali di un drago, che stava planando nella loro direzione con l’evidente intento di salvare il futuro generale delle truppe tenebrose. Ariakan lanciò un’occhiata di odio al mago, per un attimo incerto sul da farsi, poi, vedendo che Raistlin si era finalmente scrollato Steel di dosso, si decise per la fuga.
«Ci rivedremo, Majere! Anche tu, Brightblade, che mi hai tradito e salvato!- promise- Non è finita qui!»
Raistlin aprì la bocca per operare la sua magia, ma il fiato gli si strozzò in gola. Iniziò a tossire come se il suo corpo avesse deciso di volersi spaccare in mille pezzi. Sentì su di sé le mani del ragazzo, che cercavano di farlo sedere in una posizione più comoda, e le scacciò con uno schiaffo violento. Inizialmente il desiderio di ridurlo in cenere per il suo tradimento non gli permise di capire le parole che gli uscivano di bocca.
«Non deve essere ucciso!- ripeteva, la voce rotta da un pianto che non voleva manifestarsi- Vi prego, signor mago, dovete credermi! Mia madre…e anche mio padre…mi hanno rivelato che ci servirà. Ci sarà utile in futuro! Per questo l’ho lasciato andare, vi prego di credermi!»
Raistlin aprì gli occhi lacrimanti, respirando in rantoli, e vide Ariakan prendere il volo in sella al drago. Spostò le sue pupille a clessidra sul giovane viso del nipote. Mai come in quel momento gli parve il figlio di Sturm. La cosa lo riempì di ulteriore irritazione.
«Sciocco…moccioso! Che hai…fatto?!» ansimò, stentando a prendere il fiato necessario. Il palmo della sua mano e le sue labbra erano umidi di sangue. «Hai…vanificato tutto!»
«Signore, Ariakan combatterà con noi una guerra futura che io non conosco, ma di cui mio padre mi ha parlato.- disse Steel, terrorizzato dalla rabbia dello zio ma deciso ad andare fino in fondo- Forse voi sapete di che si tratta. Forse è l’evento che tormenta zia Katlin.»
Raistlin corrugò le sopracciglia, mentre la tosse si placava. La guerra futura? Era probabile che si trattasse della spaventosa visione di distruzione che aveva sconvolto Katlin durante il loro viaggio verso Bloodbay, la stessa che lo stava conducendo alle ricerche sulla Gemma Grigia di Gargath. Il ragazzo non poteva saperne nulla. Possibile che Sturm avesse davvero visitato l’inconscio del figlio?
«Ci servirà?- chiese, sprezzante- Per questo ci hai quasi fatti uccidere?»
Steel abbassò per un attimo il capo, poi estrasse con cautela un pugnale nascosto.
«Vi avrei difeso con la vita, signore. So prendermi le mie responsabilità.- mormorò- Vi giuro, la morte di Ariakan ha spaventato mia madre Kitiara e spinto mio padre a parlarmi. Egli ci è nemico, ma nel momento del massimo bisogno presterà la sua forza alla vostra causa. Solo per questo vi ho fermato.»
Raistlin lo fissò per un istante, poi se lo scrollò definitivamente di dosso. Si alzò sulle ginocchia, puntellandosi a fatica con il Bastone di Magius.
«Dunque, combatterà la distruzione che ci incombe addosso?- mormorò tra sé, quasi dimentico del ragazzo- Tutte le forze schierate contro il Caos, se le mie intuizioni sono esatte…Capisco.»
Ora comprendeva il perché del suo tentennare, di quella sorta di tensione negli alti livelli della Magia quando si era preparato a sferrare il colpo letale. Lui e Katlin erano davvero i jolly del mazzo. Potevano salvare tutto…o contribuire alla distruzione completa di Krynn. Avevano già cambiato troppe cose, smosso le acque fin nel profondo. L’unica cosa certa che riservava loro il futuro era la minaccia della distruzione totale.
«Steel!»
Sia l’arcimago che il ragazzo alzarono di scatto la testa a quel richiamo. Raistlin fece una smorfia.
«Tanis.- sibilò- Con Caramon, immagino. Ti stanno venendo a prendere, ragazzo.» Si alzò a fatica. Steel ora riusciva a intravedere due sagome alte che stavano correndo verso di loro. L’arcimago si abbassò a prendere lo specchio, che giaceva intonso sul terreno devastato, poi voltò le spalle al ragazzo.
«Ve…ve ne andate?» balbettò Steel, incredulo di non essere stato ucciso da quell’uomo terrificante.
«Sono stanco e devo riposare. Di’ a Caramon di tornare a Palanthas. Avrò bisogno di parlargli.» furono le sferzanti parole dell’arcimago, che mormorò qualcosa e scomparve nella notte come se non fosse mai esistito. Steel rimase inginocchiato a terra, tremante, finché non venne raggiunto da Tanis e Caramon, entrambi sconvolti dalla preoccupazione.
«Steel! Gli Dei siano ringraziati, stai bene!» esclamò Caramon, inginocchiandosi accanto a lui con un sorriso felice e perplesso allo stesso tempo. Il nipote era l’unico essere vivente non carbonizzato nelle vicinanze.
«Cos’è successo? Ti hanno rapito?- gli chiese Tanis, febbrile, posandogli le mani sulle spalle- Ti abbiamo cercato ovunque…Come sei sopravvissuto all’esplosione? Abbiamo visto una fiamma magica…»
«E’ stato il signor mago…voglio dire, mio zio Raistlin.» si impappinò il ragazzo. Il contatto umano che Tanis gli stava offrendo lo confortava e al contempo gli dava un’idea chiara di quanto fosse andato vicino a rimetterci la pelle. Si era comportato nel modo giusto? Sperava di sì.
«Raist?! Questo macello…è stato Raist?!» sbottò Caramon, attonito. Tanis si limitò a esalare un sospiro di irritazione e ansia. Avrebbe dovuto immaginare che in quel caos c’era il suo zampino! «Steel, ma dov’è ora? Se n’è andato?- chiese il guerriero, agitato- E dov’è Ariakan? Raist l’ha ucciso con la magia? Quando il drago è calato, qualcuno è salito sulla sua groppa…»
«Non l’ha ucciso. Ariakan è scappato con quel drago. E’…è una storia lunga.» mormorò il ragazzo, poi chinò il capo, come sopraffatto. Tanis scambiò un’occhiata con Caramon e scosse il capo.
«Ci racconterai tutto una volta tornati alla fortezza, Steel. Ora appoggiati a me.» disse il mezzelfo, aiutando Steel ad alzarsi.
«Ma certo…certo, Steel, ora non parlare. Torniamo subito indietro.- si affrettò a dire Caramon, premuroso- Recuperiamo Tas e Steven…sai, è stato ferito…Mangerai qualcosa e ti riposerai e ci spiegherai con calma.»
«Steven…ferito?» chiese Steel, con un lampo di preoccupazione negli occhi.
«Niente di grave, Steel. Se la caverà. Coraggio, ora.» lo esortò gentilmente Tanis. Appoggiandosi a lui, sorretto anche dalla mano gentile e forte di suo zio Caramon, Steel si incamminò verso la fortezza dei Cavalieri. Non vide l’occhiata tesa che si scambiarono i suoi tutori. Tanis abbassò lo sguardo sulla giovane testa scura e strinse i denti. Se Ariakan era fuggito, significava che non era ancora finita. La tranquillità, per tutti loro, si rivelava una volta di più nient’altro che un’utopia.
***
Raistlin si destò a fatica da un sonno pesante, malsano. Rimase immobile per qualche istante, gli occhi ancora chiusi, mentre le immagini della notte precedente scorrevano nella sua mente, svegliandolo del tutto. L’uso della magia lo aveva spossato, ma ancora di più l’aveva prosciugato aver dovuto combattere contro la sorda resistenza degli Dei della Magia a ciò che stava per compiere. Volevano Ariakan vivo…Se il ragazzo non fosse intervenuto, avrebbe potuto commettere un grave errore. Allora perché nessuno l’aveva avvertito prima? Cosa frenava gli Dei dall’avvisarli con precisione del pericolo incombente?
L’arcimago si alzò a sedere, poi scese dal letto con gesti lenti e misurati. Gli sfuggì qualche colpo di tosse, ma niente in confronto alla crisi che aveva avuto la notte precedente. Bene, si era ripreso quasi del tutto. Si vestì e uscì dalle sue stanze, ignorando il saluto degli spettri, dirigendosi verso la Camera della Visione. Voleva capire come procedevano le cose nella fortezza dei Cavalieri, dopo l’evasione rocambolesca della sera prima.
I Cavalieri si stavano riprendendo dallo shock dovuto all’attacco delle forze tenebrose e lavoravano con impegno nel riparare i danni causati dai draghi. Trovò Tanis, Caramon e il kender al capezzale del ragazzo, che protestava di volersi alzare dal letto ma si stava scontrando con l’istinto da mamma chioccia dello zio. Dal pallore sul volto di Tanis, Raistlin dedusse che Steel avesse già raccontato loro ciò che era avvenuto. Le parole successive glielo confermarono.
«Quindi non è ancora finita.»
Steel abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
«Io non so nulla del futuro, ma credo alle parole dei miei genitori. Si adattano alle poche cose che zia Katlin si è lasciata sfuggire per cercare di farmi desistere dal recarmi qui.- mormorò- Ci sarà una guerra devastante, un giorno. Qualcosa che costringerà Luce e Tenebra ad allearsi.»
«Io non so di che si tratti, ma questa cosa non mi piace per niente.» borbottò Caramon, preoccupato. Raistlin storse la bocca in una smorfia sarcastica. Sempre puntuali, le osservazioni di suo fratello…
«Se Raistlin non ha ucciso Ariakan, probabilmente ha pensato che Steel avesse ragione.- interloquì Tasslehoff, dondolandosi sullo sgabello- E se ha pensato che avesse ragione…beh, allora ci sono un sacco di cose che non sappiamo!»
«Cosa che mi piace poco quanto sapere il figlio di Ariakas in giro per Krynn.» disse Tanis.
«E ora? Cosa faremo? Lo cerchiamo? Credo che ci vorrà parecchio tempo perché gli scagnozzi di Takhisis tornino a organizzarsi, ma se gli lasciamo campo libero ci troveremo a ricominciare daccapo.» chiese Caramon, perplesso.
«Credo ti convenga andare a Palanthas e sentire cosa vuole tuo fratello. Abbiamo bisogno di chiarirci le idee. Lui, purtroppo, sembra l’unico a sapere cosa diavolo stia succedendo.- disse il mezzelfo, facendo scaturire un altro sorrisetto sul volto dell’arcimago- E tu, Steel? Vieni con noi o vuoi comunque restare qui?»
Il ragazzo fece per rispondere, ma Raistlin non udì quale fosse la sua risoluzione. La sua attenzione si era spostata altrove. Qualcuno si era materializzato nella Torre. I suoi apprendisti erano tornati, in perfetto orario.
***
Katlin si limitò a fissare il gemello con occhi che si spalancavano in un’espressione sempre più allarmante. Dalamar era, al contrario, molto calmo. Con irritazione crescente, la maga si era resa conto che il momento del loro ritorno nel flusso del tempo era stato deciso con grande cura da Raistlin prima ancora che partissero. Quell’imboscata ad Ariakan era stata minuziosamente preparata alle sue spalle mentre ancora era in viaggio per scortare suo nipote.
«Quindi Ariakan ci servirebbe vivo. E Steel, insieme a tutti noi, rimane in pericolo. Anzi…tu stesso l’hai messo in pericolo! Come ti è venuto in mente di esporlo in questo modo?!» quasi balbettò alla fine del breve racconto, troppo furibonda per esprimersi con frasi più articolate.
«Si è reso utile, sorella, cosa che non si può dire sia valida per molte altre persone. Anche più di quanto credevo, visti gli ultimi sviluppi.- disse Raistlin, sarcastico- Dovresti smetterla con questo atteggiamento da madre premurosa, non ti si addice.»
L’arcimago notò che a quelle parole Katlin aveva perso un po’ di colore in viso e il suo apprendista aveva guardato altrove con studiata indifferenza. Quei due non gli avevano ancora raccontato tutto. A quanto pareva, avevano impiegato pochi giorni per recuperare la magia di Katlin, conservata nientemeno che da se stesso ragazzo, e ora essa era tornata nel corpo di sua sorella. Aveva avvertito il cambiamento fin dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lei, come una vibrazione che la faceva apparire più viva. Katlin e Dalamar si erano dati il cambio nel raccontargli l’impresa, ma giunti al momento in cui avevano cancellato i suoi ricordi sull’accaduto sua sorella gli aveva chiesto di Steel. Raistlin si era trovato a informarla con poche, scarne parole degli ultimi avvenimenti.
Era evidente, però, che al racconto dei suoi apprendisti mancava qualcosa.
«Temo anch’io che Ariakan ci servirà, in futuro.» disse Katlin, causandogli un piccolo moto di sorpresa.
«Hai visto qualcosa, non è vero? La tua facoltà di andare in trance è tornata.» intuì, protendendosi verso di lei con una luce micidiale negli occhi dorati. Lei scambiò un’occhiata con Dalamar, ulteriore prova della loro ritrovata complicità, poi annuì.
«La Gemma di Gargath contiene il Caos, Raist…ma a questo eri arrivato anche tu, da quanto deduco dai tuoi piani. Questo Caos è un Dio supremo, la forza primigenia da cui tutto si è originato e contro cui gli Dei non hanno potere, ma sarà anche la nostra nemesi se non fermiamo il Suo risveglio.- spiegò, la voce arrochita da un atavico terrore- Era destino che Krynn fosse distrutta o le sue leggi sconvolte alla radice se noi non avessimo cambiato il futuro. Ora…»
«C’è una speranza, Shalafi.- disse Dalamar, assistendola nel momento in cui la sua voce venne meno- Katlin ha visto il risveglio di questo Dio di immane potenza, ma i nostri poteri congiunti, insieme a quelli di Dama Crysania, gli si opporranno. Questo è uno dei cambiamenti essenziali che si sono operati con il vostro ritorno nel mondo. Altri si uniranno a noi, compreso almeno un figlio di vostro fratello Caramon. E poi…» Stavolta fu a lui che la voce morì in gola. Vi fu un attimo di silenzio, che Raistlin non disturbò. Conteneva troppe informazioni inespresse, particolari che non gli sarebbero mai stati rivelati a voce ma che poteva leggere sui volti tormentati dei suoi apprendisti. Archiviò tutto, come sempre faceva, in vista di una futura utilità.
«Nascerà una creatura che sarà capace di custodire la Gemma e chiudere la partita.- disse infine Katlin, con occhi tanto cupi da essere diventare quasi neri- Dovremo…dovremo decidere insieme come educarlo al suo compito, fratello mio.»
Perfino il ferreo autocontrollo di Raistlin si incrinò quando Katlin portò inconsciamente una mano al grembo, fissandolo con un insieme di timore e combattività. Si ritrovò in piedi prima ancora di aver pensato a muoversi. La sedia si sbilanciò e cadde con fragore alle sue spalle.
«Un…figlio?!» sibilò, fulminando la sorella con lo sguardo. Dalamar si alzò a sua volta, come a voler intervenire, e le pupille a clessidra si spostarono sull’elfo oscuro, inchiodandolo sul posto e facendo sparire ogni colore dal suo volto. «Sei stato tu, Dalamar? Ma certo, che domande! Ho introdotto all’Arte due idioti e non ne ho avuto sentore fino a questo momento?!»
«Commenta pure la nostra idiozia, se credi. Io l’ho già fatto.- intervenne Katlin, amara, alzandosi in piedi a sua volta- Nonostante ciò, questi sono i fatti. Porto in grembo il figlio di Dalamar e a quanto pare è stato un evento voluto dal Fato. Sarà la nostra arma definitiva. Lo farò nascere.»
Raistlin abbassò lentamente il Bastone di Magius, che aveva alzato come per colpire uno dei due stupidi che gli stavano di fronte, se non entrambi. Poteva vedere con gli occhi della mente i propri piani futuri che andavano in fumo…e tutto per la stolta passione carnale tra i suoi apprendisti! Li aveva sopravvalutati. In quel momento, che il moccioso in gestazione sarebbe diventato utile alla lotta contro il Caos non rivestiva per lui alcuna importanza.
«Dunque, questo è il tuo futuro? Moglie e madre, una donna comune?- chiese alla sorella, la voce stillante sarcasmo e sottile disprezzo- Dopo tutta la fatica che ci è costata riavere il tuo talento? Dopo che hai lasciato il tuo mondo per camminare sotto la protezione di Lunitari?! Sei un’idiota, Katlin! Dovrei uccidervi entrambi!»
Si scostò dal tavolo e andò alla finestra, rigido per l’ira trattenuta. La risposta della sorella lo colse a metà del percorso.
«Io voglio Wayreth.»
Si voltò di scatto. Guardò il volto pallido della sorella, che lo fronteggiava con ritrovata calma, ora che gli aveva rivelato il suo segreto e aveva sopportato la sua ira. Annuì di fronte al suo sguardo, che sembrava volesse scavarle l’anima.
«Voglio Wayreth, Raist. Non ho cambiato idea. Anzi, sono ancora più convinta di quando fosti tu a trascinarmi nei tuoi piani.- disse- Ora che il pericolo non è più immediato, torneranno a chiedere l’elezione di nuovi Capi. Mi candido. Voglio il seggio di Par-Salian.»
Ora la riconosceva. Raistlin si rilassò nel corpo, mentre la sua mente si faceva ancora più acuta e micidiale.
«E il bambino? Non vi sarà possibile crescerlo, se ci dedichiamo al controllo delle Torri. Non avrete né il modo né il tempo di fare i genitori.» le ricordò, comprendendo nel discorso il pallidissimo Dalamar.
«C’è Caramon. Sono sicura che lo crescerà finché non dovremo occuparci della sua educazione magica.» disse Katlin, scrollando le spalle. La noncuranza con cui lo disse certificò alle orecchie dell’arcimago la veridicità delle sue intenzioni.
«E tu, Dalamar? Sei il padre. Che ne pensi?» lo provocò.
«Sono d’accordo con Katlin.- disse l’elfo, professionale- Siamo maghi, prima di ogni altra cosa. Inoltre, avere il controllo delle Torri ci garantirà un controllo sul nostro Ordine che non potremmo avere allo stato attuale. E’ uno dei rari casi in cui all’ambizione si sposa una reale necessità.»
«La necessità di avere il potere di tirare le fila del mondo.- aggiunse Katlin- C’è troppo in gioco. Non possiamo permetterci né tentennamenti, né sentimentalismi. Io per prima ho intenzione di giocare tutto per avere quel seggio. Dobbiamo conquistare quel potere che hai tramato per ottenere, fratello mio. A qualunque costo.»
Raistlin scrutò i suoi apprendisti e non vide alcun tipo di  dubbio o incertezza negli occhi di entrambi. Erano proprio i suoi apprendisti…disposti a sacrificare qualsiasi cosa per il potere. Certo, Katlin lo faceva per il bene di Krynn e Dalamar come una sorta di investimento a lungo termine, ma lo spietato desiderio di potere era fin troppo simile a quello che animava lui, il Signore della Torre di Palanthas. Da Katlin non proveniva alcun istinto materno, che a quanto pareva si era già sfogato sul giovane nipote. Dalamar pareva molto più interessato al proseguimento della sua relazione con Katlin che al frutto della stessa. Erano entrambi disposti ad aspettare di godersi il figlio, nell’attesa del tempo in cui avrebbero potuto fargli da maestri, più che da genitori.
“Un altro bambino solo, con un destino più grande di lui.- pensò Raistlin- Dev’essere un tratto di famiglia.”
«Molto bene.- mormorò, tornando al tavolo e sedendosi sullo scranno che Dalamar si affrettò a sollevare dal pavimento- Se questa è la vostra risoluzione, possiamo iniziare a parlarne.»
Katlin e Dalamar si sedettero a loro volta, tesi e attenti. Sulle labbra dell’arcimago si disegnò un vago, contorto sorriso. Le punte delle sue dita si unirono nel gesto che lo contraddistingueva quando si preparava a una conversazione importante.
«Il futuro giace nelle nostre mani.- iniziò, suadente - Costruiamolo a nostra immagine e somiglianza, apprendisti.»

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Capitolo 32
*** 32 - Quando serviranno eroi ***


CAPITOLO 32

QUANDO SERVIRANNO EROI

Era scontato che sarebbe finita così. Steven continuava a ripetersi questa frase, mentre guardava senza davvero vederli i propri commilitoni che si dedicavano alle esercitazioni con la dragonlance. Lord Gunthar era rimasto gravemente scosso dall’attacco diretto dei draghi alla fortezza, in un periodo che avrebbe dovuto essere pacifico, per non parlare dell’evasione di Ariakan. Il Capo dei Cavalieri aveva dovuto accogliere in udienza uno dei maghi del gruppo di Wayreth, che li aveva aiutati durante l’attacco, e parlare con lui del reale pericolo. Si trattava, forse, della prima volta in cui le due realtà si confrontavano senza acrimonia. La disciplina aveva di conseguenza modificato i propri parametri di severità: l’allarme era tornato troppo alto per permettere che certe abilità andassero perdute nella memoria.
Steven avrebbe dovuto essere con loro, nonostante la ferita al fianco dolesse ancora, ma quella mattina era giunta alla fortezza la maga che gli aveva sconvolto l’esistenza. Ora non riusciva a voltarsi verso di lei. Con la coda dell’occhio vedeva la macchia rossa delle sue vesti, il lieve ondeggiare al vento dei capelli striati di bianco. Ma non riusciva a voltarsi.
«Ti dedicherai alla magia.» riassunse, attraverso labbra insensibili.
«E’ la mia vita.» ammise lei. Anche la sua voce era cambiata. Gentile, ma con un fondo di durezza. No, non era durezza…era determinazione. Era la voce di un soldato che sa cosa lo aspetta sul campo di battaglia. Questo poteva capirlo.
«E l’elfo oscuro?» chiese, già conoscendo la risposta.
«Sarà con me. Il suo aiuto mi sarà necessario.- disse Katlin, poi sospirò e si voltò verso di lui, come a costringerlo a fare altrettanto- Sono tornata me stessa, Steven, e questa me stessa non ha posto al tuo fianco. Mi è stata data una strada difficile da percorrere, ma è necessario che io riesca in questa impresa che chiederà tutte le mie forze, se ho a cuore il destino di Krynn. Non c’è speranza, per me, di diventare una donna normale. Io non posso accettare i tuoi sentimenti.»
Steven si appellò a tutta la forza d’animo che l’onore di Cavaliere poteva fornirgli. Si voltò verso di lei, si abbassò su un ginocchio e le prese una mano, portandosela alle labbra.
«Signora, voi non avete alcun obbligo verso di me.- disse, formale- Stimo la vostra forza e rispetterò i vostri sentimenti. Come Cavaliere, mi impegno a fare quanto possibile affinché il mio Ordine vi sia di supporto un giorno, nella grande battaglia che i vostri occhi hanno visto. Ora, con vostra licenza, vi lascio. Vostro nipote dovrebbe raggiungervi a momenti.»
Si alzò rigidamente, cercando di non farsi toccare dalla luce gentile nata d’un tratto negli occhi di lei, e le voltò le spalle per scendere dagli spalti. Fu trattenuto dalla sua voce.
«Steven, mi sei stato caro.- mormorò Katlin- Ti prego, abbi cura di Steel.»
Suo malgrado, Steven si voltò. La guardò per un lungo istante, sapendo che non avrebbe più posato gli occhi su di lei per molto tempo, poi annuì.
«Lo giuro sul mio onore…Katlin.» disse, poi tornò ad allontanarsi senza più voltarsi indietro. Katlin rimase dov’era, a scrutare l’orizzonte con occhi pieni di pensieri.
«Zia Katlin?»
Si voltò alla voce del ragazzo, uno dei pochi che in quei giorni poteva strapparle un sorriso. Steel, vestito di un’armatura leggera adatta alla sua corporatura, con una spada al fianco, la stava raggiungendo. I lineamenti della maga si addolcirono nel constatare quanto somigliasse a Sturm. Il sangue aveva preso il sopravvento, non c’era alcun dubbio. Vedeva già dei cambiamenti nel volto di suo nipote. Una nuova forza, un’ombra dell’uomo che sarebbe diventato.
«Steel, sono felice di vedere che stai bene.- disse, abbracciandolo brevemente per non imbarazzarlo- Se devo dirti la verità, quando ho saputo quello che è successo stavo per saltare agli occhi di Raistlin e cavarglieli con le unghie…»
«Non dovete, zia! Ho accettato spontaneamente di aiutarlo!- la interruppe Steel con veemenza- Era mio dovere fare qualcosa. Anzi, ho temuto di incorrere nella sua ira quando l’ho fermato a quel modo. Non so se vi è stato detto che Ariakan…»
«So, Steel. E, se anche non volessi fidarmi di tua madre, non ho dubbi sulle parole di Sturm.- lo tranquillizzò lei, con un sorriso- Se Ariakan ci servirà…ebbene, sopporteremo la sua presenza finché non si renderà utile! Sei stato eccezionale, Steel. Coraggioso. Sono molto fiera di te.»
Steel arrossì lievemente, poi si irrigidì.
«Zia, penso che Steven Sharphalberd vi abbia detto che…che intendo diventare un Cavaliere.- disse- Se dovrò combattere, voglio farlo nel miglior modo possibile. Io resterò tra i Cavalieri e ne condividerò l’addestramento.»
«Se questa è la tua scelta, hai la mia benedizione, Steel.- disse la maga, con un sorriso fattosi mesto- Tanis, ieri, mi diceva che Lord Gunthar ha acconsentito alla tua richiesta di passare le estati a Solace, ogni due anni, ad addestrarti con Caramon e Tas. Mi fa piacere che tu abbia intenzione di tenere care le nostre lezioni. Inoltre, vorrei che tu sviluppassi un buon rapporto con i tuoi cugini. Combatteranno al tuo fianco. Quando serviranno eroi, sarete i primi a essere chiamati.»
«Avete visto Tanis?- chiese Steel, con un sorriso raggiante di fronte alla sua approvazione- Ho pensato che in questo modo potrò assimilare una maggiore apertura alle diverse tecniche di combattimento, conciliando la possibilità di mantenermi in contatto con la famiglia. Lui si è trovato d’accordo.»
«L’ho visto sulla via per Palanthas, con Caramon e Tas. Stava per lasciarli perché Laurana è in ansia per la sua prolungata lontananza, ma ha fatto in tempo a raccontarmi della tua scelta. Sembrava sollevato di saperti a Solace una volta ogni tanto.- lo informò Katlin, trattenendosi dal rivelare come invece Tanis si fosse incupito quando lei gli aveva rivelato alcuni dettagli della sua visione e, soprattutto, la prossima nascita di un altro mezzelfo- Questo conforta anche me, Steel. Soprattutto perché da adesso le nostre strade saranno costrette a separarsi.»
Steel sembrò barcollare come per un colpo ricevuto.
«Cosa intendete dire?» mormorò. Katlin tornò a guardare fuori, verso l’orizzonte, come raccogliendo le idee. A Steel sembrò di rivederla nel giorno in cui si erano conosciuti per la prima volta.
«Come tu inizi la tua avventura di Cavaliere, Steel, anch’io devo dedicarmi ad ottenere quanta più forza possibile all’interno del mio Ordine.- disse, guardando lontano, in un futuro che il ragazzo non era sicuro di voler vedere a sua volta- Sarà un lavoro molto lungo e delicato. Richiederà anni, nonché tutte le mie forze.» Abbassò finalmente lo sguardo su di lui. «Ci vedremo ancora, Steel, ma di rado. Se avrai bisogno di aiuto, ci sarò, ma sono sicura che saprai percorrere la tua strada senza bisogno che io ti tenga per mano. Stai diventando un uomo. E io…io devo diventare qualcosa in più che una semplice donna.»
Steel avvertì la tentazione di protestare. Avrebbe voluto abbracciarla, piangere, trattenerla. Era come perdere sua madre un’altra volta. Nonostante ciò, capiva che si trattava di qualcosa di troppo grande perché potessero essere ascoltati i suoi capricci di bambino. Ognuno di loro doveva combattere a modo suo. Sua zia non era felice, ma era determinata. In quel momento gli ricordava in qualche modo il fratello arcimago, per quanto non fosse così terribile. C’era qualcosa che li accomunava: l’incredibile forza d’animo nel raggiungere l’obiettivo.
Si trovò a inchinarsi rigidamente, un segno di accettazione formale che punse di lacrime gli occhi di Katlin. Le sembrò davvero di rivedere Sturm. Quell’immagine faceva male al cuore.
«Zia, comprendo. Non vi verrò meno.- disse il ragazzo, con voce rauca- L’obiettivo di tutti noi è identico e ci condurrà di nuovo fianco a fianco. Saprò aspettare di rivedervi…e di mostrarvi che…che diverrò un bravo Cavaliere.»
«Ne sono sicura, Steel.- mormorò Katlin- Ora concediti di fare il bambino e permetti a me di trattarti come tale…vieni qui.» Aprì le braccia. Steel tentennò, poi vi si rifugiò, stringendo sua zia come se dovesse trasformarsi in fumo da un momento all’altro. Katlin lo strinse a sua volta, sentendo per lui quell’istinto materno che la creatura nel suo ventre non le aveva ancora trasmesso, cercando di dimenticare per un solo attimo gli anni di intrighi che l’attendevano.
***
«Sono a…»
«SIAMO A CASA, TIKA!!!»
Un piatto si fracassò, in cucina. Si alzò il pianto di un bambino.
«Caramon?!» esclamò una voce di donna.
«Tas, maledizione! Hai spaventato Tanis!»
Mentre il guerriero tirava uno scappellotto al contrito kender, Tika si precipitò in corridoio con il piccolo Tanis, cresciuto in quei mesi, tra le braccia. La precedeva Sturm, con la sua corsa ancora incerta sulle gambe robuste e grassocce, che al vederli spalancò gli occhi e tese le braccia. Aveva riconosciuto il papà.
«Rieccoci a casa, Tika.» disse Caramon, con un sorriso felice, acchiappando il figlio e facendolo volare per aria, per poi stringere a sé la moglie col neonato, che piangeva per quell’assoluta confusione a cui non era abituato.
«Finalmente! Caramon, sei stato via così tanto…» mormorò la donna dai capelli rossi, con il cuore che ancora le batteva all’impazzata.
«Anche questo viaggio si è concluso, Tika. Sono a casa.» rispose il guerriero, commosso. Tasslehoff gonfiò le guance, seccato.
«Oh, insomma, tutti che si abbracciano…Nessuno vuole abbracciare ME?! Benissimo! Si fanno preferenze, vedo! Va bene, va bene, l’inutile zio Tas avrebbe fatto bene a restarsene a Palanthas…»
«Bentornato anche a te, Tas.- disse Tika, con un risolino- Ci sei mancato. Vero, Sturm? Ti ricordi dello zio Tas, vero?»
Caramon fece chinare il bambino verso il kender. Questo lo studiò per un attimo, poi allungò una mano verso la lunga treccia di Tas e tirò. Scoppiò a ridere gioiosamente.
«Ahia!- strillò Tas- Sì, direi che si ricorda di me. No, Caramon, non darmelo in braccio! Se tu…oh, e va bene.» Tas, sospirando, si rassegnò. Prese Sturm in consegna mentre la coppia si concedeva un bacio molto caloroso e, arrossendo, si diresse in cucina.
Non molto dopo, erano tutti là. Caramon si era messo comodo, liberandosi dell’armatura. Tasslehoff mangiucchiava mentre Tika preparava la cena. Tanis si era riaddormentato e il piccolo Sturm faceva cavalluccio sul ginocchio del papà. Il kender aveva appena finito di raccontare il loro viaggio con Steel, soffermandosi ampiamente sull’ultima battaglia alla fortezza. Non gli era dispiaciuta affatto quella parentesi d’azione!
«Insomma, ora Steel diventerà un Cavaliere. Non è magnifico?! Insomma, non proprio adesso, ci vorrà l’addestramento, però sarà proprio come Sturm, con l’armatura e la spada e tutto il resto!- finì, sgranocchiando un pezzo di pane croccante- Secondo Kat, diventerà una specie di eroe. Penso abbia ragione, sembra che ce l’abbia scritto in faccia. Sarebbe stato carino vederlo diventare un Cavaliere Oscuro su un drago, però immagino sarebbe più difficile andarci d’accordo. Meglio così, in fondo.»
Caramon guardò la moglie, che sembrava confusa.
«Ci hai capito qualcosa?» chiese.
«Quasi tutto…credo. Potrai farmi un resoconto più chiaro in un altro momento.- rispose Tika, scuotendo i riccioli rossi e cominciando a scodellare la zuppa- Come siete tornati? Merito di Raistlin?»
Caramon si incupì così di botto da farla rimanere con il mestolo a mezz’aria, sorpresa.
«Che c’è? Qualcos’altro che devo sapere?» chiese, preoccupata.
Caramon si prese qualche attimo per rispondere, ponderando quali effetti avrebbe potuto avere su di lei la sua ultima conversazione con Raistlin.. Lui, Tas e Tanis si erano recati a Palanthas, ma erano stati intercettati da Katlin a metà strada. Lei li aveva informati della sua gravidanza, cosa che ancora faceva prudere le mani al gigante dalla voglia di stringerle al collo di quel maledetto elfo oscuro, e del fatto che il futuro le si era rivelato, ma aveva preferito non aggiungere altro, lasciando il compito a Raistlin. Lei aveva proseguito per raggiungere la fortezza dei Cavalieri, Tanis li aveva lasciati per ricongiungersi a Laurana che si era spaventata venendo a sapere dell’attacco dei draghi blu e aveva mandato una missiva allarmata al marito, e Caramon e Tas erano giunti in città il giorno prima, sul fare della sera.
Avevano preso alloggio in una buona locanda, sapendo che Raistlin li avrebbe trovati comunque. E così era stato.
«Secondo il ragazzo, Ariakan ci serve vivo. Combatterà dalla nostra parte, quando sarà il momento.- aveva detto, per poi esalare il fiato in un secco sbuffo denso di sarcasmo- Quando la distruzione si leverà sul mondo, credo che perfino le più infime creature faranno di tutto per non essere distrutte.»
«Il Caos…Non riesco nemmeno a immaginarlo.» aveva mormorato Caramon, sconvolto da quelle ultime rivelazioni. Steel e i suoi figli si sarebbero trovati in pericolo, un giorno…Costretti, come lui e il gemello, a prendere in mano il destino di un mondo intero. Era un po’ troppo da mandare giù tutto in una volta. Inoltre, avrebbe avuto un figlio mago! C’era di che farsi venire i capelli bianchi…
«E’ una fortuna che tu non ci riesca, fratello mio, né io mi rammarico di non avere il dono di nostra sorella. Questa visione l’ha sconvolta profondamente. Grazie al cielo, le ha anche dato la forza di fare quanto deve.»
«Sicché io morirò?- li aveva interrotti Tas, meditabondo- Non è che non mi vada di raggiungere Flint e Sturm, però lasciarvi sul più bello…non so, non mi pare giusto. E’ molto eroico questo mio combattere un Dio…voglio dire, un Dio!…però il fatto di morire così…»
«Non morirai, kender, purtroppo per tutti noi.- aveva sospirato l’arcimago, seccato, alzandosi in piedi e soffocando alcuni colpi di tosse- Quantomeno, dipenderà dai vostri discendenti. Il tuo “atto eroico”, se tutto andrà come nei nostri piani, probabilmente non avrà luogo, costringendo Krynn e noi poveri disgraziati a sopportare ancora per anni le tue stupide chiacchiere.»
Tas si era offeso e aveva fatto per ribattere, ma Caramon si era alzato rumorosamente, posando una mano sul braccio del fratello.
«Raist, quali sono questi piani?- aveva chiesto, brusco- Ho diritto di conoscerli. Saranno i miei figli, a combattere. Devo sapere!»
Raistlin l’aveva fissato con quei suoi imperscrutabili occhi, poi aveva scostato la sua mano con fastidio.
«Prendere il controllo del Conclave. Trovare la Gemma. Controllarla costantemente perché non ci colga di sorpresa e combattere quando sarà il momento.- aveva risposto, mellifluo- Questo è il nostro piano, Caramon. Tu pensa ad addestrare i tuoi figli. Steel ha già preso la strada giusta e Katlin ha un lungo lavoro davanti a sé. I dettagli non ti devono interessare. Vivete una vita tranquilla, voi che potete…finché non sarete chiamati.»
Poi li aveva lasciati, informandoli che l’indomani avrebbe mandato Dalamar a prenderli per farli tornare a casa dalla Torre. Caramon non aveva avuto il coraggio di chiedere più nulla. Nelle pupille a clessidra di suo fratello aveva intravisto un abisso di cose non dette, un micidiale lavorio della sua mente grande e terribile…
Si accorse in quel momento di essersi imbambolato. Tika lo aveva chiamato già diverse volte e il piccolo Sturm gli stava battendo le mani sul ginocchio per spronarlo a ricominciare.
«Scusa…dicevi?» borbottò Caramon, ritornando alla pacata atmosfera di casa sua. Tika si era incupita in volto.
«Raistlin ti ha detto qualcosa, vero?- chiese- Qualcosa che dovrà avvenire in futuro?»
Caramon aprì la bocca per rispondere, ma fu bloccato dal rapido alzarsi di una mano di Tika, che scosse con veemenza la testa.
«Non dirmi niente, Caramon. Non voglio saperlo.- gli disse, decisa, poi fece un sorriso mesto- Viviamo giorno per giorno. Affronteremo le cose a mano a mano che si presenteranno. E’ molto meglio, non credi anche tu?»
Caramon avvertì un principio di lacrime pungergli gli occhi. Sospirando, annuì, poi si alzò con il bambino in braccio e andò ad abbracciare la moglie, sentendo di amarla ogni giorno di più.
Tasslehoff uscì dalla cucina in punta di piedi per lasciarli soli, sentendosi molto sensibile e nobile. Si chiuse la porta alle spalle e scese qualche gradino della scala, per poi sedersi con le ginocchia strette al petto. Alzò lo sguardo al cielo fattosi scuro, pennellato di arancio solo a occidente. Le stelle stavano riempiendo la volta cupa, splendendo della loro luce fredda. Tasslehoff fissò la costellazione del Paladino.
«Sarò pronto, vedrai.- sussurrò, pensando a Fizban- Non farò brutta figura! E se…se Kat si sbagliasse e io dovessi morire lo stesso…» Sospirò profondamente, come se il suo corpo non riuscisse più a contenere il respiro. Sorrise, mesto. «Se si sbagliasse, di’ a Flint di tenermi un posto sotto quell’albero. Avrò tante, tante avventure da raccontargli…»
***
Crysania alzò gli occhi dal foglio che aveva tra le mani, poi chiuse la palpebre e prese un profondo respiro. Attorno a sé sentiva suoni gioiosi. Il frusciare del vento caldo tra le fronde degli alberi, le risate della famiglia di Caramon che giocava con i bambini, la voce squillante di Tasslehoff che raccontava a Katlin e Dalamar in visita– impossibilitati a un po’ di tempo da soli dal kender in vena di chiacchiere e da un Caramon piuttosto orientato allo sterminio degli elfi oscuri – tutti i dettagli dell’attacco dei draghi alla fortezza dei Cavalieri.
Il sole splendeva, caldo sulla sua pelle. Era una parentesi di gioia tranquilla. Se Crysania avesse voluto trovarvi un messaggio per il futuro, sarebbe stato senz’altro di conforto. In quel momento, però, il suo animo era in subbuglio. Riaprì gli occhi e tornò ad abbassare lo sguardo sulla lettera che aveva ricevuto il giorno prima. Una lettera da Palanthas.
Da quando Raistlin l’aveva mandata a Solace, aveva vissuto una parentesi di quiete in cui si era imposta di non pensare al futuro. Aveva aiutato Tika con i bambini, dato assistenza a chi nel villaggio poteva avere bisogno di cure o di supporto per la propria anima. Accolta con il consueto, affettuoso rispetto dagli abitanti di Solace, aveva potuto trascorrere alcuni giorni sereni. Il pensiero più assillante era il suo desiderio di sapere cosa stesse combinando Raistlin. Sapeva che aveva in mente un piano e temeva che qualcuno ne sarebbe rimasto ferito.
E ora, la lettera. Gli stessi chierici che avevano voluto giudicarla, ora la pregavano di tornare. Crysania guardò di nuovo le parole vergate in inchiostro nero, senza leggerle…ormai le sapeva a memoria. L’Ordine era rimasto sconvolto dalla vicenda del suo processo e ancora di più dalla sua scomparsa. Avevano bisogno di lei per riportare le cose alla normalità. Paladine sembrava aver voltato loro le spalle…nelle vesti di Fizban, in effetti, era parso parecchio irritato…ed erano pronti a riconsiderare tutta la vicenda, a cercare di capire le sue motivazioni.
Crysania sospirò di nuovo, poi il vento le portò un lieve odore di rose decadenti e di sostanze misteriose. Il cuore le fece un balzo in petto nell’udire il fruscio di lunghe vesti. Avrebbe potuto essere uno degli altri maghi, ma non si sbagliava. Lui era lì. Non si voltò, approfittando degli ultimi istanti di solitudine per ripiegare la lettera e consentire al sangue affluito alle sue guance di tornare dove gli competeva. Non voleva mostrargli in modo troppo palese quanto la sua presenza riuscisse sempre a sconvolgerla, quanto le fosse mancato.
“Lo sa. Ti legge dentro, Crysania.” si disse. Le sue labbra si piegarono involontariamente in un sorrisetto. Credeva ancora di avere qualche speranza di ingannare l’intuito di Raistlin? Inoltre, sarebbe servito a qualcosa? Ormai aveva gettato l’orgoglio…o no?
Un’ombra si posò su di lei, poi Raistlin fu al suo fianco. Le vesti nere attiravano la luce del sole, ma l’arcimago non sembrava soffrire il caldo. Il suo volto, quel volto tanto temuto e amato, incorniciato dai lunghi capelli bianchi, era chinato verso di lei con espressione imperscrutabile. Sembrava star bene, una volta tanto.
«Posso sedermi?» sussurrò. Lei annuì, facendogli posto sul vecchio ceppo che le faceva da sedile. Lui si sedette con cautela, attento come sempre a non mettere il proprio corpo in condizione di sforzarsi. La sfiorò con un braccio e Crysania avvertì una scossa attraversarla, riaccendendole la pelle di un delicato rossore. Raistlin, che non l’aveva sfiorata per caso, nascose un sorriso: quando gli occhi le si illuminavano di imbarazzo e desiderio, nell’istante in cui riusciva a vederla com’era prima che i suoi occhi maledetti compissero lo scempio, era veramente bellissima.
«Hai fatto ciò che dovevi?- gli chiese Crysania- Ora capisco cosa volevi dire quando mi hai assicurato che Katlin sarebbe tornata “per tempo”. Non volevi che ti mettesse i bastoni fra le ruote. Sapevi che si sarebbe opposta al coinvolgimento di suo nipote.»
Raistlin scrollò le spalle magre, posando il Bastone di Magius accanto a sé, sull’erba.
«Ho evitato inutili discussioni. Le cose sarebbero andate comunque come avevo previsto, scontrarmi con Katlin sarebbe stata una sciocca perdita di tempo.- tagliò corto- Immagino ti abbia informato riguardo al resto della faccenda.»
Crysania annuì e i suoi occhi si abbassarono per un istante sul foglio che aveva tra le mani. Fu sufficiente per appuntarvi l’attenzione dell’arcimago.
«Cos’è?- chiese, la voce un sibilo poco rassicurante- Vuoi dirmelo tu, Crysania, o devo scoprirlo da solo?»
Crysania gli passò il foglio, ergendosi per riflesso.
«Mi richiamano al Tempio. Hanno bisogno di me.» disse, mentre lui leggeva. Raistlin chiuse la mano sul foglio, che andò a fuoco e si ridusse in cenere. Le sue iridi dorate, ora di nuovo gelide e spietate, la fissarono. Attendeva una risposta chiara. «Tornerò. Ma…- frenò ogni sua reazione alzando una mano- non come Capo della Chiesa. Non posso più conciliare la mia vita con quel ruolo. Ho fatto la mia scelta.» Trattenne un sospiro, abbassando la mano e chiudendo i pugni sulle ginocchia, guardando ora davanti a sé come per non essere influenzata dal carisma di lui.
«Sarò io a scegliere il mio successore, Raistlin. Devo trovarlo. Ci vuole una persona che unisca buon cuore alla capacità di tenere in piedi una comunità capillare come la nostra e non sarà facile trovare qualcuno. L’hai detto anche tu: la mia autorità non deve venire meno.»
Raistlin fece un gesto vago con la mano, seccato. Non gli piaceva che gli si rinfacciassero le sue stesse parole, nemmeno quando queste conservavano la loro validità. Era vero: Crysania doveva tornare. Doveva continuare ad essere una figura d’autorità per la Chiesa di Paladine. Nella visione di Katlin era lei, nelle sue vesti bianche, a stargli accanto in battaglia…non un qualsiasi altro chierico subentrato alla sua carica. Sarebbe stata sua…ma solo in parte.
“Come io per lei, del resto.” si ricordò, sarcastico. Quanto tempo avrebbe avuto da dedicarle, preso dalle sue trame sul Conclave e dalle indagini sulla Gemma di Gargath? Nessun matrimonio, niente figli, non una delle sicurezze che un uomo avrebbe dovuto offrire a una donna.
«Non saremo mai una coppia agli occhi del mondo.» disse lei, mettendo in parole i suoi pensieri. La guardò e fu stupito dalla dolcezza del sorriso sulle sue labbra, dopo parole tanto fatidiche. «Lo saremo nei nostri cuori, Raistlin.- aggiunse, con un sussurro- Lo saremo nei momenti in cui potremo dimenticarci del mondo. Forse saranno rari, ma ho deciso di vivere per essi quando mi sono innamorata di te.»
Raistlin ristette per qualche istante, turbato dai propri sentimenti per una volta quasi più forti del suo ferreo autocontrollo, incerto se cedere alla tentazione di stringerla a sé nonostante la piccola folla poco distante o limitarsi a una risposta verbale. Trovò un compromesso prendendole la mano e portandosela alle labbra, esprimendo con lo sguardo ciò che non sapeva o voleva manifestare in altro modo.
«Troveremo quei momenti, mia cara.- mormorò, giurandolo a se stesso più che a lei- Dovessi strapparli a forza al flusso del Tempo, li troveremo.» Sorrise, e qualcosa in quel sorriso spedì un brivido di passione e inquietudine lungo la schiena di Crysania.  «A volte mi chiedo perché non mando al diavolo il fato di questo mondo che non mi ha dato nulla se non umiliazioni. Perché non dovrei rapirti, rinchiuderti in una stanza della Torre e trascorrere il resto della mia vita con te e con la mia magia?»
La domanda era seria. Raistlin se ne accorse solo nell’istante in cui la formulava. Perché doveva continuare a preoccuparsi per Krynn? A lavorare per gli Dei che l’avevano sempre bersagliato di disgrazie e sofferenza? Perché non lasciava stare tutto quanto?! Le stesse domande parvero passare per un istante sul viso di Crysania, adombrandole i lineamenti, poi lei sorrise di nuovo e la sua luce quasi lo accecò. La chierica si voltò a guardare dietro di loro, il volto soffuso dalla tenerezza di una madre.
«Credo che la risposta sia quella, Raistlin.- disse- Non è forse così?»
Raistlin seguì il suo sguardo, aggrottando le sopracciglia, per un attimo incerto di cosa lei volesse dire. C’era solo quel rozzo bue di suo fratello che trasportava sulla schiena il moccioso, facendogli fare cavalluccio, mentre Tika stava loro accanto per controllare che il bambino non cadesse. Tasslehoff rideva, da sciocco kender qual era, e pungolava Caramon come fosse un vero cavallo. Katlin e Dalamar sedevano un po’ in disparte. Sua sorella teneva in braccio il secondo figlio di Caramon, cercando forse di abituarsi ai neonati, e tra i due maghi c’era di nuovo un’atmosfera di nauseante melassa.
“Per questo? Io farei tutti questi sforzi…per questo branco di idioti?!” pensò, acido. Una voce più sincera, dentro di lui, disse di sì.
Quel branco di idioti era la sua famiglia. Quelle persone, le cui voci e risa avrebbero sempre legato il suo cuore a Solace e ai pochi momenti belli del passato, erano il motivo per cui era tornato in vita. Il motivo per cui aveva lasciato l’Abisso per darsi una seconda possibilità. Tanti si erano persi per strada…ma loro erano ancora lì. Erano ancora lì, insieme alla donna che amava, per ricordargli cosa significava vivere.
Le dita di Crysania si chiusero più forte sulle sue, come a sollecitare una risposta. Raistlin sogghignò, scuotendo piano la testa. Piuttosto che ammettere ad alta voce una cosa simile, si sarebbe fatto scuoiare.
«Raistlin! Crysania!- li chiamò Tas, completamente ignaro di spezzare l’atmosfera- Tika ha preparato la merenda! Vi va di mangiare?»
Raistlin esalò una risatina sibilante che si concluse con qualche colpo di tosse. Scosse di nuovo il capo.
«Anche solo per liberarci da quel kender, dovrei lavarmene le mani.- disse, sarcastico, poi prese il Bastone di Magius e si alzò, allungando l’altra mano verso Crysania- Li raggiungiamo, mia cara, prima che mi venga voglia di trasformarlo in un insetto e ingoiarlo intero?» Lei annuì e rise, accettando il suo aiuto.
Si riunirono agli altri, immergendosi nella provvisoria pace che il presente offriva, sotto un cielo che ancora sapeva poco o niente delle nubi che un giorno l’avrebbero oscurato.

La Gemma di Gargath, in un luogo lontano e nascosto, attendeva sognando. Per un attimo, una luce rossa come fuoco la percorse, una minaccia inespressa. Poi, si quietò. Il Tempo continuò a scorrere lungo il suo nuovo corso, verso un futuro ancora da costruire.

 

FINE


Author’s note: Siamo arrivati alla fine. Qui, dopo tanto tempo, terminano le avventure alternative alla saga originale di Dragonlance. Qui, i fili delle mie trame si riallacciano al futuro visto da Weis&Hickman, ma con la speranza che vi possano essere cambiamenti anche importanti. Steel diverrà un Cavaliere di Solamnia. Katlin probabilmente riuscirà ad ottenere il seggio di Par-Salian (quando Raist si mette in testa qualcosa…) e il bambino ancora senza nome farà quel che deve, spero senza soffrire troppo. Io non sarò con loro quando queste cose accadranno. Auguro loro ogni bene, ma al loro fianco c’è Tasslehoff, per cui mi fido! :D
Io ringrazio tutti voi dal profondo del cuore per la pazienza, la costanza e l’affetto con cui avete seguito questa saga. Una storia nata quindici anni fa, pensate un po’… “Lo Scettro dei Tre” ormai è in piena adolescenza! Dalla prossima settimana mi avventurerò in un mondo nato dal mio cuore, non più preso a prestito. Nella sezione Originali Fantasy, troverete presto l’inizio della saga “Ko-Mython”, la cui anteprima è contenuta nel blog http://komython.blogspot.it . Spero di potervi dare il benvenuto su quel nuovo mondo!

Grazie ancora a tutti.
Che la benedizione di Solinari, Lunitari e Nuitari sia su di voi.

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