Affetti da amicizia cronica

di Yvaine0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Father to daughter ***
Capitolo 2: *** Di imbarazzo, isteria e quotidianità ***
Capitolo 3: *** Vivere alla maniera di Ago ***
Capitolo 4: *** Corteggiando alla maniera di Ago! ***
Capitolo 5: *** Andava tutto bene. O forse no. ***
Capitolo 6: *** Papaia e colonne doriche ***
Capitolo 7: *** Migliori amici, amori e scaldaletto ***



Capitolo 1
*** Father to daughter ***




FATHER TO DAUGHTER
I’M GONNA TELL YOU SOMETHING
 
 
Giulia quel giorno si sentiva a pezzi. Se ne stava rannicchiata sul divano di casa sua facendo zapping avvolta nella coperta di lana (s)cucita da sua madre.
Francesco osservava la figlia dalla poltrona, dove sedeva col computer portatile sulle ginocchia. I capelli biondi della ragazza erano legati, arruffati ed elettrizzati, niente a che fare con la solita chioma ordinata e accuratamente acconciata; aveva le borse sotto gli occhi e un’espressione apatica che non le aveva visto in volto nemmeno quando aveva scoperto di essere stata bocciata. Era facile anche per uno che, come lui, di sentimenti non se ne intendeva capire che qualcosa non andava.
«Tutto bene, tesoro?»
Giulia sospirò e scosse il capo come unica risposta. Altro segno eloquente del cattivo umore della ragazza. Sua figlia aveva diciotto anni, era bella, bionda, spensierata e sempre sorridente. Non c’era nulla di più raro che vederla starsene impassibile e silenziosa a far nulla. Fin da bambina era stata iperattiva e da quando aveva imparato a parlare, farla star zitta era stato un bel problema.
Francesco prese un respiro profondo e osservò a lungo la figlia. «Vuoi parlarne?»
«A cosa servirebbe, papà?» brontolò Giulia, contrariata. Non ce l’aveva col padre, non se la sarebbe mai presa con lui. Con sua madre, piuttosto, ma aveva un debole per Francesco e gli avrebbe permesso e perdonato qualunque cosa. Lui, dal canto suo, si rapportava allo stesso modo con la figlia. Tra loro c’era un rapporto speciale, che Sophia un po’ invidiava – o meglio ammirava. 
L’uomo si strinse nelle spalle. «Giulia, non sono un esempio da seguire per tanti motivi, ma sono al mondo da ormai... be’, non diciamo quanti anni o il mio fascino ne verrebbe compromesso. Comunque, ho imparato a conoscere il mondo, credo di saperne abbastanza per darti qualche dritta. Anche qualcuna non molto ortodossa, se necessario. Che ne dici, facciamo due chiacchiere?»
La ragazza rise, incapace di rimanere impassibile di fronte all’inguaribile narcisismo del padre. Annuì, sentendosi già un po’ meglio, e prese un respiro profondo. «È per via di Giorgio. Ancora. Proprio non ne vuole sapere, papà. Non capisco cosa io abbia di sbagliato! Ho una montagna di difetti, lo so, ma do sempre il meglio di me quando c’è lui».
Fin da quando aveva sentito il nome del ragazzo in questione a Francesco si era congelato il sorriso incoraggiante sulle labbra. «Ancora lui, Giulia?»
Lei arrossì un po’, sotto lo sguardo esasperato del padre. Aveva una cotta per Giorgio Semi da anni e anni, non sapeva nemmeno dire da quanto tempo le piacesse. Eppure non c’era verso di farsi notare da lui, nonostante fosse il fratello della sua migliore amica. «Non posso farci niente, l’amore funziona così!»
Sì, Francesco riusciva a capire cosa volesse dire la figlia. Quando aveva incontrato Sophia all’università, aveva fatto presto ad innamorarsi di lei. Avrebbe fatto qualunque cosa, allora, per conquistarla e piacerle, e lo avrebbe volentieri sempre fatto. Da diciotto anni a quella parte, poi, aveva un motivo in più per amare sua moglie: si chiamava Giulia e aveva gli occhi di sua madre.
«Lo so, – Eppure non credeva che quello della ragazza per il giovanotto in questione fosse vero amore. – ma pensare di avere qualcosa di sbagliato è l’errore più grande che tu possa fare. Per quanto io stimi Steve, suo figlio deve essere proprio un imbecille se non ti trova attraente. Non che questo mi dispiaccia, intendiamoci, preferisco che nessuno scansafatiche ti faccia la corte».
«Per quanto riguarda Gio non c’è pericolo che accada...» sospirò la ragazza, sprofondando sempre più sul divano e nella propria tristezza.
Francesco non riuscì a trattenere una risata, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della figlia. «Scusa, Giuly, ma mi sembra di vedere tua madre qualche anno fa».
«Che c’entra mamma?» chiese Giulia, sempre più spaesata. Suo padre non stava operando esattamente nel migliore dei modi, non faceva che dire sciocchezze quel giorno. Che non riuscisse più a comprenderla, improvvisamente? Si stava scoraggiando sempre più.
«La mamma era innamorata di me».
Giulia gli rivolse una seconda occhiataccia. «Non mi dire?»
Francesco rise di nuovo. Sentire il sarcasmo uscire dalle labbra di sua figlia, come scoprire che persino Rocco Agostini si era laureato, era uno di quegli eventi che lasciava allo stesso tempo spiazzati e sul punto di scoppiare in una grossa e grassa risata. Francesco, in entrambi i casi, si abbandonava al riso.
«Credi forse che io e tua madre siamo sempre stati fidanzati?» domandò retoricamente.
Giulia lo guardò confusa. «Be’, no, ovviamente. Non ci credo in certe cose: principe azzurro e il primo amore che dura per tutta la vita. Le brutte esperienze sono necessarie» rispose.
L’uomo si chiese per quale motivo, allora, Giulia si preoccupasse tanto. Sapeva come andavano le cose, sapeva che nella vita bisognava soffrire, eppure se ne stava seduta sul divano con l’aria distrutta e deprimente di uno zombie. Pensò, tuttavia, che fosse saggio non dire nulla in proposito e continuare con il discorso che aveva in mente.
«Voglio raccontarti una storia, Giuly. – proclamò con un sorriso indecifrabile. – Quando avevo la tua età ero un grandissimo stronzo».
Giulia sgranò gli occhi con incredulità: «Papà!» esclamò con aria sconvolta.
Francesco rise di gusto per la sorpresa della figlia. Era naturale che per lei lui fosse una sorta di eroe, un uomo meraviglioso e infallibile, ma la realtà non era esattamente quella. Era tuttavia lusingato dall’alta stima che Giulia nutriva nei suoi confronti. «Lo so, è incredibile, ma...»
La figlia scosse il capo. «No, non è questo. Insomma, è credibilissimo che tu sia stato uno stronzo, – puntualizzò, lasciando il padre con un palmo di naso. – ma hai detto una parolaccia!»
Questa volta fu Francesco a rimanrci di sasso. La guardò qualche istante senza capire, poi scoppiò nuovamente a ridere. «Oh, Giulia, sei spettacolare! – esclamò. – Ho smesso di usare certi termini quando sei nata, solo perché non volevo che tu li imparassi. Non sai che fatica è stato smettere, passavo più tempo a mordermi la lingua che a parlare. Davvero tu riesci a credere che io sia stato un cattivo ragazzo?» domandò poi, incapace di trattenersi.
La figlia si strinse nelle spalle, sistemandosi la coda di cavallo – cosa che fece ben sperare Francesco sul miglioramento del suo umore. «Sì. Cioè, sei biondo, bello e hai gli occhi azzurri. È un classico, no? Bello e stronzo. Tutte le ragazze adorano gli stronz-»
«Ora smetti di ripetere quella parola, però» la rimproverò Francesco, in parte infastidito dalla confessione dalla figlia e in parte dal continuo sentir ripetere quella parolaccia. Aveva passato mesi a mordersi la lingua e a inventarsi esclamazioni pittoresche con cui sostituire le imprecazioni, lo irritava vedere che la sua fatica fosse stata sprecata.
Giulia ridacchiò con aria colpevole e il padre riprese il racconto. «Dicevo? Ah, sì. Alla tua età ero un ragazzo ‘poco simpatico’, ecco. Tuo zio Alex mi odiava con tutto se stesso,  ancora più di oggi».
«Lo zio non ti odia! – puntualizzò la ragazza. Suo padre continuava ad insistere con quella storia, ma era una sciocchezza che si era inventato. – Se ti odiasse non ti avrebbe mai permesso di badare i gemelli, no?»
Francesco fece una smorfia, pensando che, al contrario, era proprio perché lo odiava che lo costringeva a tener d’occhio quelle insopportabili pesti che aveva per nipoti, tuttavia glissò sull’argomento. «Quando andavo al liceo, non portavo rispetto per nessuno, tantomeno per le persone che non conoscevo. Su una cosa ci hai visto giusto, Giulia: piacevo ad un sacco ragazze, ma a me non importava di nessuna, non seriamente. Un giorno sentii una ragazzina più piccola gridare qualcosa di evidentemente riferito a me. Non ricordo le parole esatte, ma so per certo che fecero tanto ridere Rocco».
«Ma d’altra parte ogni cosa lo fa ridere – commentò la figlia. – Era la mamma, vero?»
Francesco sorrise. «Esatto. Aveva detto che ero brutto, o qualcosa di simile. Ovviamente non si aspettava che io avessi sentito, ma di fatti era così. La incontrai da qualche parte il giorno seguente e poi ancora. Non mi aveva fatto una particolare impressione: era bassa, goffa e portava l’apparecchio ai denti. Insomma, niente di particolarmente interessante; a quel tempo in una ragazza guardavo solo le...  – si schiarì la voce, imbarazzato. – il fisico, insomma. Non avevo nemmeno notato quei meravigliosi occhi di cui mi sarei poi, anni dopo, innamorato. Sei davvero fortunata ad avere i suoi occhi, Giulia» le assicurò, non riuscendo a trattenere un sorriso innamorato.
La figlia solitamente si sarebbe esibita in una smorfia disgustata, ma non quel giorno. Soffriva per pene d’amore e sentire la voce di suo padre così piena di sentimento le fece sorgere spontaneo un sorriso. Avrebbe mai un uomo raccontato con tanta emozione a sua figlia di come aveva incontrato lei?
«Vai avanti» lo intimò.
Francesco non se lo fece ripetere due volte, ormai immerso nei ricordi. Sembravano passati secoli da allora, ma ancora si sentiva male quando pensava al suo comportamento. «Feci una scommessa con mio cugino. Gli avevo raccontato di averla udita starnazzare a proposito di quanto fossi normale e non avessi nulla di particolare. Mi sfidò a farla innamorare di me e poi piantarla... e io naturalmente lo feci».
Giulia rise. «Sembra un film! Poi, ovviamente, tu ti sei innamorato davvero e hai cercato di riconquistarla» indovinò.
L’uomo sospirò con un sorriso amaro. «Non esattamente. Io feci ciò che mi era stato detto e Sophia si prese una gran bella cotta per me. Poi io smisi di farmi vivo. La evitavo nei corridoi della scuola e cercavo di starle sempre alla larga per farle capire che era tutto finito. Lei evidentemente era un po’ tarda e continuava di chiedere di me a Steve e Rocco. Cavolo, li aveva catturati tutti con la sua personalità gentile e spontanea. Io ero l’unico idiota che non si era accorto di quanto fosse meravigliosa... Ad ogni modo, ad un certo punto capii di doverle dire le cose come stavano. Ci rimase malissimo. Rimasi in quella scuola per ancora un paio d’anni, poi mi bocciarono. Per tutto il tempo lei mi evitò come la peste, cercando di dimenticarsi della mia esistenza. Ma continuava a soffrire, tanto che riuscì a farmi sentire in colpa. Ecco perché, al momento della bocciatura, decisi di cambiare scuola: non volevo frequentare la sua stessa classe. Be’, quello e la totale assenza di una qualunque voglia di studiare» puntualizzò.
«Cosa che ho ereditato – ridacchiò Giulia. – Eri proprio stronzo, eh!» sbottò poi, oltraggiata dal comportamento del padre da giovane.
Francesco arrossì per la vergogna. Sì, lo era davvero stato. «Si sbaglia quando si è giovani. Eppure qualche anno dopo l’ho ritrovata e me ne sono innorato perdutamente. Avrei fatto qualunque cosa per lei. Non credevo che sarebbe riuscita a perdonarmi per ciò che le avevo fatto e invece lei non mi aveva mai portato rancore».
«Che stupida!» osservò Giulia sconcertata.
«Ehi, non insultare tua madre, bambina!» la rimproverò il padre divertito.
«Ma è una cosa stupida! – obiettò Giulia, ostinatamente. – Tu l’hai trattata malissimo, io ti avrei odiato a morte!»
Francesco si schiarì la gola, come a ricordare alla ragazza che stava sempre e comunque parlando di lui. «Sì, ma Sophia è fatta così. È una persona buona. Con questo non voglio dire che tu non lo sia, ovviamente, ma tua mamma lo è davvero molto. Esistono poche persone come lei».
«Scusa, ma non vedo il suo comportamento come qualcosa di positivo. Proprio non ci riesco. E tutto questo cosa c’entra con me e Giorgio?»
Francesco sbuffò, chiedendosi quando lei si sarebbe tolta quel tizio dalla testa. Tutto questo non c’entrava nulla con Giulia e il figlio di Steve, era un modo come un altro per distrarla e farle capire che «Non tutto è perduto solo perché ora va male, Giulia. – disse con estrema serietà. – La ruota gira: oggi va male, domani meglio, dopodomani ancora peggio di prima e fra un settimana tutto sarà perfetto. Si soffre, ma non bisogna mai arrendersi, bisogna sempre andare avanti e fare del proprio meglio. Non bisogna lasciarsi scoraggiare dalle avversità, sono proprio quelle a rendere rendere migliore la prospettiva della felicità. Capisci?»
La ragazza rimase in silenzio. Distolse lo sguardo da quello del padre e respirò a fondo. Rifletté sulle parole appena udite. «Quindi, magari, - azzardò la ragazza, alzando lentamente gli occhi per incontrare quelli di suo padre. – fra qualche anno Gio si accorgerà di me?»
Francesco sospirò.  «O magari troverai un altro ragazzo, uno migliore, uno che ti ami e ti faccia sentire importante. – tossicchiò. – Un ragazzo serio. Ehm, il più lontano possibile nel tempo, magari» specificò. Non aveva intenzione di vedere sua figlia in mano ad un ragazzo scapestrato solo per sostituire Giorgio; proprio come non voleva che qualcuno gli portasse via la sua bambina tanto presto. L’avrebbe protetta dal mondo il più a lungo possibile, perché, con quella conversazione se ne era reso conto più che mai, ne aveva davvero bisogno.
«Oh, non fare il geloso, papà!» trillò la ragazza, ridendo. Si alzò di slancio e corse ad abbracciare l’unico uomo che, ne era certa, sarebbe sempre stato lì per lei. «Ti voglio bene» gli disse, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Francesco la abbracciò di rimando, sperando che non tutti i ragazzi fossero come lui, che non tutti avessero bisogno di far del male ad una ragazza prima di capire quanto fosse meravigliosa. «Te ne voglio anche io, bambina» rispose, sorridendo tra sé. 


In der Ecke - Nell'angolo:
Salve! Partendo dal presupposto che, come ho detto già milioni di volte, mi sono affezionata incredibilmente ai personaggi di questa storia, ho creato anche una marmaglia di gente che costituisce la seconda generazione. Qui conosciamo Giulia, la figlia di Francesco e Sophia (e in parte la storia di come sono andate le cose tra di loro, a grandi linee), con accenni a Giorgio. Personaggio che probabilmente approfondiremo nelle prossime puntate. 
Qui Giulia ha già diciotto anni, il che significa che Francesco è intorno ai quaranta (sopra i quaranta). 
Inoltre, come avrete notato (sempre che io non abbia fatto pasticci con l'HTML), questa Giulia ha un volto, ed è quello di Kristen Bell. Ovviamente potete non immaginarla come tale, chi mi conosce sa che non amo utilizzare attori per definire i volti dei miei personaggi, ma per quanto riguarda la seconda generazione di questa raccolta, qualche attore ce l'ho (mi sono fatta prendere dalla moda, per la barba di Merlino!). 
Spero che il racconto e Giulia vi piacciano. :3

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Capitolo 2
*** Di imbarazzo, isteria e quotidianità ***


Questo capitolo è dedicato a tutte le persone che
hanno avuto il coraggio di leggere questa raccolta
e continueranno a farlo.
 
Mi rendo conto che non sia il massimo della bellezza,
ma non posso stare senza i miei ragazzi.

 

 
Di imbarazzo, isteria
e quotidianità

 

Arianne e Rocco.
Post università.

 
 
Arianne Venturi aveva pensato spesso al suo futuro durante la sua adolescenza. Come sarebbe stata la sua vita una volta adulta? Sarebbe rimasta zitella, mal sopportando le prese in giro di sua sorella per sempre? Si sarebbe sposata e avrebbe avuto dei figli? Sarebbe stata una donna in carriera, magari, e non avrebbe avuto tempo per nulla al di fuori del suo soddisfacente lavoro.
Di tutte le cose che avrebbe potuto immaginare, però, Rocco Agostini era l’unica che non aveva mai preso in considerazione seriamente. E come avrebbe potuto? In fondo ‘Rocco’ e ‘seriamente’ erano parole che non potevano stare nella stessa frase. Non senza l’aggiunta di una negazione, almeno. 
Eppure quella sera erano lì, seduti assieme sul divano di casa a guardare un film strappalacrime che non piaceva a nessuno dei due. Lei era incinta di due gemelli iperattivi e scalcianti – e come avrebbero potuto non esserlo, con il padre che si ritrovavano? – e lui... be’, lui era il solito bonaccione di sempre. Non faceva che agitarsi sul divano nel tentativo di trovare un posizione comoda e cacciare la noia, mentre Arianne, tremendamente irritata dai suoi continui movimenti, era sul punto di esplodere. Aveva appena deciso di dargli una portentosa gomitata, quando lui balzò in piedi, proclamando che sarebbe andato a preparare cioccolata in tazza per entrambi.
Arianne in quel momento si convinse di non aver mai udito parole più dolci uscire dalla bocca del suo compagno.
Si ritrovò a riflettere su loro due. Rocco non era cambiato negli ultimi quindici anni e non sarebbe cambiato mai, ne era certa. Era stata lei a cambiare al posto suo. Non aveva mai smesso di considerarlo un cretino, era oggettivamente impossibile, ma lo aveva accettato così com’era. Aveva imparato a ridere con lui dei pasticci che combinava – la maggior parte delle volte, almeno – e a sopportare ogni suo cambiamento di umore. Aveva capito come comportarsi di conseguenza ad ogni suo atteggiamento ed era finita per innamorarsi follemente ed irreversibilmente di lui.
«Ehi, Rocco», se ne uscì improvvisamente Arianne, sentendo il desiderio impellente di esternare i propri pensieri. Non l’aveva mai fatto esplicitamente prima di allora, ma in quel momento, sotto l’influsso di un film romantico e dei propri ormoni impazziti, aveva deciso di dirgli una volta per tutte quali fossero i propri sentimenti per lui.
«Sì?» domandò, incerto.
«Credo di amarti».
Rocco guardò la ragazza con aria stralunata e arrossì leggermente sulle orecchie. «No, Riry, non scherzare, cosa ho combinato questa volta? Non l’ho fatto apposta, te lo giuro».
Lei sbuffò e incrociò le braccia appena al di sopra del pancione, esasperata. «Posso sostenere fermamente che tu sia un cretino? Io ti dico per la prima volta che ti amo e tu credi che sia una ripicca?» Era in quei momenti che desiderava che il suo compagno fosse un tantino più sveglio. Non che Ago fosse stupido, questo ormai lo aveva capito da tempo. Il problema era che si immedesimava tanto nella parte dell’idiota da non riuscire più a ricordare di avere un cervello, a volte. Quanto lo odiava in quei momenti!
Rocco abbozzò un sorriso e batté le palpebre con aria assente. «Scusa, non ti stavo ascoltando. Che hai detto?»
Le sembrava un incubo. Qualcuno lo aveva drogato? Si era rincoglionito del tutto? Che qualcuno nascondesse al più presto tutti i coltelli di casa o giurava che l’avrebbe sgozzato nel sonno. «Come sarebbe a dire che non mi ascoltavi?»
Si strinse nelle spalle. «Il film mi ha distratto», ridacchiò.
Arianne sbuffò sonoramente e spostò lo sguardo sul televisore. «Sai che ti dico, pezzo di imbecille? Io me ne vado a dormire. Ah, e tu dormi sul divano, ‘sta notte» proclamò, alzandosi a fatica.
Era incinta di sei mesi, ma il suo pancione sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro.
Sua sorella non faceva che chiederle perché il bambino ci stesse mettendo tanto a nascere. Forse aveva fatto male i conti? E certo, pensava Arianne, perché io sono cretina. Aveva studiato medicina e, secondo lei, non era in grado di calcolare quando sarebbe dovuto nascere suo figlio? Il punto era che c’erano due bambini e che mancavano ancora tre mesi alla loro entrata in scena. Non era colpa di Genevieve, però, se la sorella non aveva raccontato a nessuno che il parto sarebbe stato doppio. Voleva che fosse una sorpresa, ma soprattutto era intenzionata ad evitare mille commenti su quanto sarebbe stato difficile crescere due gemelli.
Rocco sospettava che con la gravidanza la di lei insofferenza si fosse acuita fino a diventare cronica, ma non aveva mai osato accennare qualcosa a riguardo di fronte a lei. Ora tutto le faceva saltare i nervi, a meno che non provenisse da Sophia. Per qualche motivo tutto quello che la loro amica potesse dire o fare risultava sempre estremamente piacevole agli occhi della sua compagna. Ecco perché Ago le aveva proposto di trasferirsi a casa loro finché Arianne non avesse partorito – sempre che il parto risolvesse il problema.
«Ma, Riry, il film non è ancora finito!» obiettò lui, allarmato dalla prospettiva di dover dormire sul divano. I suoi amici –Francesco– lo prendevano in giro per via del carattere forte di Arianne, lo chiamavano il casalingo. Cosa si sarebbe detto di lui, sapendo che era anche costretto a passare la notte in salotto per un motivo così sciocco?
Lei agitò una mano con incuranza e irritazione. «E chi se ne frega? Lo abbiamo visto venti volte e fa schifo ad entrambi. Lei muore e lui piange per tutta la sua vita. Bello schifo!». Arianne, sotto quello strato di isteria, si rendeva conto di essere particolarmente suscettibile. Era sempre stata irascibile di natura e gli ormoni altalenanti la stavano facendo impazzire: nell’ultimo periodo era più lunatica di sua sorella Genevieve e Rocco messi assieme, roba da fare uscire di testa chiunque. Chiunque tranne Ago, che sembrava non essersi mai divertito tanto in vita sua, salvo poi spaventarsi ogni qual volta lei si dimostrasse affettuosa.
«Sei arrabbiata, per caso?»
Si sentiva estremamente frustrata: il suo compagno era un ritardato e per di più lei era enorme. Era una dannata balena lunatica! «Tu dici?» brontolò, un attimo prima di sparire dietro la porta della camera.
Ago rimase immobile per qualche secondo, fino a che non udì le molle del materasso cigolare fastidiosamente sotto il peso di Arianne.
Finalmente solo, si abbandonò ad un liberatorio sorriso a trentadue denti.
Rocco non era abituato a far fronte all’imbarazzo. Tante volte era stato messo in ridicolo e anche di più ci si era messo da solo, ma una donna che, dopo tanti anni insieme, gli confessava di amarlo era tutta un’altra storia.
Era sempre stato implicito, non c’era mai stato bisogno di dirlo e a lui in fondo andava bene così. Rocco glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento; così tante volte che, in fondo, il solo fatto che lei non l’avesse – quasi mai – mandato al diavolo equivaleva ad un “ti amo anche io”.
Sentirselo dire così, con tanta semplicità, da una persona orgogliosa e riservata come lei, lo aveva pietrificato.
Potendo, si sarebbe messo ad urlare dalla gioia. E lo avrebbe fatto volentieri e in pieno diritto, se solo non ne avesse appena combinata una delle sue facendo arrabbiare Arianne. Ma si sarebbe fatto perdonare. Quello che importava in quel momento era rimettere in ordine le idee e fare in modo che la sua compagna sbollisse la rabbia in pace.
Era assurdo anche per lui che si fosse imbarazzato tanto per tre semplici parole. Eppure quando Arianne gli manifestava il suo affetto – pensò, mentre spruzzava sulla propria cioccolata una quantità industriale di panna montata –  il cervello gli andava in pappa. Si sentiva sempre disarmato e ogni pensiero compiuto sgusciava via dalla sua mente senza che lui potesse riacciuffarlo. La sua testa diventava vuota - come era credenza comune che fosse – e a lui sembrava di fluttuare nell’aria. Non aveva mai provato sostanze stupefacenti nella sua vita, ma supponeva che l’effetto fosse più o meno quello. Per dirla con una frase di sua invenzione – o almeno così sosteneva che fosse(*)–, Arianne era la qualità preferita di eroina. Dopo averlo pensato, però, Rocco decise che quelle parole non sarebbero mai uscite dalla sua bocca: erano assurdamente inquietanti!
Prese un lungo sorso dalla propria tazza e realizzò con una certa sorpresa che a lui la panna montata non piaceva.
«E ora?» sussurrò, guardandosi attorno alla ricerca di una soluzione.
 
Un numero incalcolabile di cucchiaiate di panna montata gettate nel bidone dopo, Rocco decise di andare a riposare.  
Quella notte, volente o nolente, dormì sul divano. Il suo orgoglio virile gli aveva consigliato di entrare in camera e fare finta di nulla, in fondo era lui che portava i pantaloni in casa e poteva dormire dove preferiva. Ma la porta chiusa a chiave dall’interno lo costrinse a ricordare che su quel letto stavano già dormendo in tre, sarebbe stato carino lasciare che Arianne e i bambini riposassero in pace.
 
La mattina successiva Rocco si alzò presto per preparare la colazione – sperando che ad Arianne non venisse nessuna voglia impossibile da esaudire. Preparò il caffè, mise in tavola il cartone del latte e una bottiglia di succo di frutta, così che lei potesse scegliere quello che preferiva. Dispose i biscotti preferiti della ragazza su un piatto e si impegnò per sagomare con essi un cuore, che, per quanto lui cercasse di aggiustarlo, continuava ad assomigliare ad una palla da basket (**).
Quando Arianne lo raggiunse, fu sorpresa nel trovarlo intendo ad armeggiare con dei biscotti. Non poté fare a meno di sorridere, nonostante la rabbia della sera precedente. Quella mattina si sentiva molto meglio, più serena, e aveva deciso che in fondo era stato meglio se Rocco non aveva sentito la sua confessione: a quel punto sarebbe stato imbarazzante trovarselo di fronte agli occhi.
Ago stava per gettare tutto sul pavimento, quando si accorse che la ragazza lo stava osservando dalla porta. «Ah, buongiorno, mia bella innamorata!»
«’Giorno, Ago. Che cosa combini?» domandò, sorridendo.
«Ti ho preparato la colazione. Guarda cosa ho fatto con i biscotti!»
La ragazza si sporse per osservare il piatto. «Oh – Arianne non avrebbe saputo dire che cosa ci fosse da guardare, ma decise di stare al gioco. – Che bravo!» esclamò, trattenendo a stento le risate.
Rocco si gonfiò di orgoglio e si sedette al tavolo. «Con che cosa vuoi fare colazione? Caffè, latte o succo di frutta?»
Lei si avviò verso la dispensa. «Credo che mi preparerò un tè» proclamò.
«E allora il caffè lo bevo io!» decise, ficcandosi in bocca un paio di biscotti.
Arianne accese la radio mentre aspettava che l’acqua bollisse. Ascoltarono la musica in silenzio, godendosi la strana serenità di quella mattina.
«Lavori oggi?»
«Oggi sì, ma da lunedì sono a casa».
«Peccato».
«Perché?»
«Be’, pensavo volessi farmi una dichiarazione d’amore in grande stile per riparare a quella mancata di ieri sera» sogghignò il ragazzo, sorridendo sornione.
La sentì deglutire sonoramente e poté immaginarla chiaramente stringere i pugni con aria stizzita. Poi però Arianne sospirò pazientemente, volenterosa di non perdere la calma. Non avrebbe risposto a quella provocazione bella e buona. Sarebbe stata superiore, lei era superiore.
Aprì il bidone per gettare via l’involucro del tè e... «ROCCO AGOSTINI!» strillò furibonda.
Rocco balzò sull’attenti, alzandosi immediatamente in piedi. La cucina sembrava essere improvvisamente diventato un luogo pericoloso per lui. «Sì?» domandò, con la sua migliore faccia di bronzo.
«Sai spiegarmi perché ci sono quattro dita di panna sul fondo del bidone?» ringhiò la ragazza, trovandola un’ottima scusa per sfogare la rabbia.
Rocco sorrise, cercando freneticamente una via di fuga. «Sai, Riry, credo di aver sentito Sophia nel pianerottolo, vado a...»
«IMBECILLE! Dove stai andando? Vieni subito qui
 
 
 
 
 
 
(*) La citazione è chiaramente presa da Twilight, ma Rocco ha la bizzarra abitudine di dimenticarsi dove ha sentito le cose per poi credere di averle inventate. Chiaramente a volte lo fa apposta, non è realmente ritardato.
(**) Il che la dice lunga sul talento di Ago per il disegno. Ahahah, scusate, non sono riuscita a trattenermi dal commentare. :D
 
In der Ecke – Nell’angolo
Ed ecco a voi un primo, vero stralcio di vita di Arianne e Rocco! Ebbene sì, aspettano un bambino, anzi due. Non c’è niente da dire, io li adoro insieme.
Questa shot è nata così, perché qualche giorno fa mi è capitato sotto gli un post it con scritto “ricorda di scrivere il San Valentino di Rocco e Arianne”. Chiaramente me lo sono dimenticata, ma per farmi perdonare – da me stessa, quella rompiscatole – ho scritto questa. Mi soddisfa abbastanza. Certo, non è un’opera d’arte, ma spero vi abbia fatto sorridere. :) 
Spero che abbiate trascorso delle serene vacanze pasquali. 
Un abbraccio a tutte,
Michela

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Capitolo 3
*** Vivere alla maniera di Ago ***


~Living in Ago’s way!

 
 
 

(14 Febbraio,
San Valentino)

-Il quarto anno al liceo di Ago-.

 

 
Rocco Agostini giaceva steso sul letto di Sophia Neri e osservava incantato il soffitto, mentre tra le mani reggeva un grosso volume di storia dell’arte. La ragazza, seduta alla scrivania lo osservava divertita, mentre evitava accuratamente di guardare il proprio libro della medesima materia. Non poteva biasimarlo se non riusciva a studiare. Persino lei, dal canto suo, si incantava a fare qualunque altra cosa una volta aperto il libro di tale odiosa materia. La prima opzione fra tutte che le veniva ogni volta in mente era dormire, come testimoniavano i frequenti e violenti sbadigli che la coglievano. Per questo aveva accettato di buon grado l’idea di Ago di studiare insieme. Era una fortuna che avessero entrambi una delle due strazianti ore settimanali con la Ghiberti , il giorno seguente. Tuttavia, era evidente che  era per entrambi impossibile riuscire a studiare.
Sophia sbuffò, mentre il telefono cominciava a squillare, riportandola sul pianeta terra. –Togli i piedi dal cuscino, Ago, che schifo- rimproverò l’amico, raggiungendo il telefono.
-Ma ho tolto le scarpe!-
-Mi fa schifo lo stesso! Ci metto la faccia, io, lì!-
Il ragazzo obbedì, invertendo la posizione: testa sul cuscino, piedi in fondo al letto. – Meglio?-
Premette il tasto verde sulla cornetta e la portò all’orecchio, riconosciuto il numero. –Molto, grazie. Pronto?-
-Fammi indovinare, quel tonto di Rocco è lì con te-
-Esatto. Vuoi che saluti da parte tua il tuo Valentino?-
Arianne Venturi, fiera e intelligente compagna e amica della bruna sbuffò sonoramente. –Potrei minacciare di prenderti a pugni per ciò che stai insinuando, ma ribatterò alludendo al fatto che sei tu quella che ospita in casa sua Rocco il giorno di San Valentino.-
-Ma che centra, lui ormai vive qui!- rise lei. –Mi dispiace, ma è inutile arrampicarti sugli specchi: questi giochetti con me non attaccano!-
-Sembra di sentir parlare lui- commentò Arianne, sconsolata. Quel tipo la stava influenzando, e non c’era nulla da fare.
Sophia rise. –Vuoi che te lo passi? Così magari vi accordate per qualche romantico incontro, visto che è San Valentino!-
-Manco morta-.
La ragazza rise nuovamente. –Non avevo dubbi.-si affacciò alla porta della propria stanza e richiamò l’attenzione dell’amico. –Ago, vogliamo sapere cosa regalerai ad Ary per la festa degli innamorati!-
-Parla per te, scusa!- replicò indignata Arianne.
Il moro, in tutta risposta si alzò a sedere, guardò di sottecchi l’amica e poi la intimò ad andarsene con un brusco cenno infastidito della mano.
Sophia sgranò gli occhi e lasciò la stanza, raccontando sorpresa ad Arianne come l’avesse appena cacciata. –Così impari a dire cretinate.- ridacchiò l’altra, per ripicca.
 
 
Sophia tornò in camera sua dopo un po’ e lanciò un'occhiataccia al ragazzo steso sul suo letto, riponendo il cord-less al suo posto. - Ago, si può sapere per quale motivo mi hai appena cacciato come una mosca? - domandò irritata, incrociando le braccia.
Il moro ridacchiò. - Perché lo sei - 
- Dopo questa me ne vado a mangiare e non ti preparo niente - sbuffò, dirigendosi verso la cucina.
Sentì l'amico ridere e prima ancora di aver raggiunto i fornelli lo vide entrare nella stanza seguito da Alex, suo fratello.
- Alex, vero che tua sorella è una mosca fastidiosa? -
- Assolutamente sì -.
Sophia sbuffò. - Che ci fai a casa? Non hai una ragazza da importunare? O ancora la tua fidanzata non sa che state insieme? - 
Rocco si sedette al tavolo e iniziò a ridere battendo un pugno sul legno. 
- Tu non hai alcun diritto di ridere - lo rimproverarono in coro, lanciandogli la stessa identica occhiataccia. I fratelli Neri avevano ereditato gli occhi dalla madre, entrambi. Erano così simili almeno quanto lo sguardo dell’uno era diverso da quello dell’altra. Uno maturo e divertito, l’altro limpido ma sempre un po’ incerto.
Sophia mise in forno due pizze surgelate e poi si appoggiò al mobile, in attesa che suo fratello le comunicasse le sue intenzioni.
- Sì, sì, esco. Non guardarmi così: sembri la mamma -.
- Grazie - .
Alex sbuffò e diede una pacca sulla spalla a Rocco. - Ti affido mia sorella, amico -, 
- Certo, ci penso io a lei! - proclamò lui, dandosi due orgogliose pacche sul petto. - Quando è pronta la pizza, donna? -
- E aspetta un po', morto di fame! L'ho appena messa su! - sbottò Sophia, divertita. 
- Ciao ragazzi! - 
- Ciao Alex! - 
- Ciao, amico! - 
La ragazza accompagnò il fratello alla porta e quando tornò in cucina trovò Rocco steso supino sul tavolo che osservava rapito lo schermo del cellulare.
- Ago?! - lo richiamò stupita. - che stai facendo? -
Lui rise e si sedette lì in mezzo, sul tavolo. - Gu mi ha scritto - ridacchiò.
- Buono -  commentò lei, poco convinta. - è in giro con il gruppo di nuovi imbecilli e Francesco, immagino -.
Rocco si accigliò. - Fra non è un imbecille -
- Oh, certo che no. Non farmi usare il termine giusto per lui, per favore. Non vorrei che gli escrementi si offendessero- ridacchiò.  
Ago sbuffò. - Gu ci raggiunge dopo cena. Porta un po' di film e da bere - 
- A casa mia non si beve -.
Rocco annuì risoluto e digitò sul telefono "A casa sua non si beve". Invio. - Ora lo sa. - 
- Lo sapeva anche prima -.
- Bè, suppongo che non lo sapesse nessuno invece. Ho sempre visto i bicchieri, pensavo che anche voi beveste… -
- Ago, parlavo di alcol! -
Lui rise. - Oh sì, giusto! Ora ha più senso! - rise di nuovo e incrociò le gambe. - Quando mangiamo? -
- Fra cinque minuti. Intanto mi spieghi perché non hai voluto rispondere prima? - 
- Eri al telefono con lei, no? - 
Sophia si grattò un braccio, cercando di capire dove il ragazzo volesse arrivare. - Certo. Te l'avevo detto -. 
- Appunto. Lei capisce sempre tutto. Qualunque sarebbe stata la mia risposta lei avrebbe intuito la mia sorpresa. -
- Posso intuirla anche io? -
- Mi prometti che non le dirai niente? -
- Così mi offendi! - Sophia batté i piedi per terra. - Ti ho sempre assecondato, fin da quando lei ha incominciato a piacerti. Nonostante spesso tu avessi palesemente torto, non ti ho mai detto contro. Certo, non è che io abbia mai affermato il contr - - stava farfugliando frasi a raffica, sapendo di risultare buffa.
- Stai calma! - rise Rocco. - Te lo dico! - 
- Ago - sospirò lei. - Sto scherzando 
- E pure io! -
- Allora, mi dici cos'hai in mente?- 
- Senti, senti... -
Sophia ascoltò attentamente la spiegazione dettagliata dell'amico mentre le rivelava che lui e Arianne non stavano ancora insieme quindi sarebbe stato stupido festeggiare durante la giornata delle coppie. Lui avrebbe quinto preso il coraggio a quattro mani e avrebbe fatto qualcosa di carino alla ragazza il giorno seguente, per la festa dei single. 
- Geniale - commentò la ragazza, piacevolmente sorpresa, ma poco convinta. - E cosa di carino avresti in mente? -
- Ho già imparato a memoria una poesia, ascolta. Però non interrompermi, ci vuole sentimento. - 
Sophia ridacchiò. - Sarò muta come un pesce - 
Rocco annuì e si schiarì la voce. 
Si mise in piedi sul tavolo come se fosse un palco scenico e batté forte la testa con il lampadario.
Sophia scoppiò a  ridere e il ragazzo la rimproverò con lo sguardo, fingendosi indignato. - Allora?! - 
La ragazza nascose le risa dietro una mano e un'espressione innocente. - Scusa, non lo faccio più -
Il moro annuì e si schiarì di nuovo la voce. Respirò a fondo e iniziò con voce profondo e incredibilmente -per i suoi standard- seria: - I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
e i passanti che passano li segnano a dito
ma i ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno
ed è la loro ombra soltanto 
che trema nella notte
stimolando la rabbia dei passanti 
la loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
essi sono altrove molto più lontano della notte
molto più in alto del giorno
nell'abbagliante splendore del loro primo amore.-
Sophia sorrise, piacevolmente sorpresa dall'amico. Questa volta si era veramente messo di impegno e aveva preparato qualcosa di bello e romantico per Arianne. Forse sarebbe stata la volta buona che lei avrebbe capito di ricambiare i suoi sentimenti. (Perché di questo fatto Sophia ne era certa.)
Rocco l'aveva stupita. Si sarebbe congratulata con lui non appena il ragazzo avrebbe finito di pretendere silenzio.
Era stato bravo, Sophia era orgogliosa di lui. Aveva avuto davvero un'ottima idea e l'atmosfera era davvero romantica. Oddio, non tanto lì nella stanza. Ma se si fossero trovate di fronte due persone che si piacevano -coscienti o meno- lo sarebbe stato sicuramente.
Non poté però fare a meno di sussurrare: - chi si ama, baci - e accusare una risatina sotto i baffi al pensiero della pubblicità.
Rocco le sorrise, ma alle sue parole si incupì. - Come facevi a sapere che stavo per dire quella frase? - 
La ragazza sgranò gli occhi, confusa. - è la pubblicità dei Baci Perugina? - suggerì, con una domanda retorica.
Agostini saltò giù dal tavolo e ridacchiò, colpevole e vagamente imbarazzato. - Ah ecco dove l'ho sentita! Non era un sogno premonitore quindi! Era la pubblicità! - 
La bruna si batté una mano sulla fronte, sconsolata. Il suo amico non sarebbe cambiato mai!

 

In der Ecke - Nell'angolo
Rieccomi qua, a parlare di Rocco Agostini e company. ^^
Nonostante tutto, non riesco proprio ad abbandonare questi ragazzi. ♥ 
Questa penso sarà una raccolta di missing moments della compagnia degli squilibrati di A&R e Noi diamo i numeri quando ci batte il cuore. Aggiornata molto sporadicamente, prevedo. 
Per orientarsi del tempo, userò l'anno scolastico di Ago come punto di riferimento.
Per chi non conosce la storia, faccio un breve elenco dei personaggi principali:
Rocco -Ago- Agostini, Gianluca -Gu- Belli, Steve Semi e Francesco Ravanni sono i protagonisti maschili delle vicende. Sono tutti nella stessa classe, anche se l'ultimo tende a saltare la scuola, e dopo il suo quarto anno cambia istituto.
Sophia -Soph- Neri, Arianne -Riry- Venturi, Federica, Lucia, Lisa e Benedetta sono le protagoniste femminili, un anno in meno dei ragazzi, tutte nella stessa classe.
All'allegra compagnia si aggiungono Alex Neri, il fratello maggiore di Sophia e Genevieve -Gen- Venturi, sorella maggiore di Arianne. 
Bene, penso sia tutto. Per eventuali chiarimenti, chiedete pure! ^^





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Capitolo 4
*** Corteggiando alla maniera di Ago! ***


~Romancing in Ago’s way!
 
 
 
(15 Febbraio,
Festa dei single)


-Il quarto anno al liceo di Ago-.


Quando Sophia il giorno seguente si tuffò trafelata all'interno della scuola, come sempre in ritardo, non riuscì nemmeno ad imboccare le scale che quattro mani che ben conosceva la afferrarono per lo zaino e poi per le braccia, ai lati.
La ragazza batté le palpebre un po' di volte, stordita, prima di identificare i suoi amici: Gianluca e Rocco. - Oh buongiorno – salutò. - Sentite, sono contenta di vedervi, sono contenta che siate affettuosi, ma sono in ritardo – aggiunse, frettolosa. 
- Mancano cinque minuti - la corresse Rocco, atteggiandosi a bambino capriccioso. - Hai tutto il tempo di ascoltarmi e poi andare su! - 
Lei scosse il capo, allarmata. - Ho la Ghiberti ora! – si lagnò al solo pensiero della prof di arte.
Gianluca a quelle parole la liberò, cosciente di quanto l’infernale donna fosse sensibile ai ritardi, ma Rocco corse ad afferrarla per la cintura del cappotto prima che potesse mettere piede sul primo scalino. - Non mi interessa! - 
- Ago! Ma hai avuto quella pazza alla prima ora?! - 
Il riccio annuì, sconsolato. - Ogni giovedì purtroppo -.
- Dai, allora lasciami, Ago! Ci vediamo all'interv- -
- No! - Rocco iniziò a pestare i piedi per terra, attirando gli sguardi severi delle bidelle e degli ultimi studenti che entravano. - ASCOLTAMI! - 
Incontrando gli sguardi di rimprovero della bidella e delle segretaria, Sophia sospirò e alzò le braccia in segno di resa. Avrebbe dovuto di nuovo portare pazienza e sopportare le pazze idee di Rocco e le sclerate della Ghiberti. - Veloce – lo intimò infine, sconsolata. 
- Sìsìsìsì! - Rocco batté le mani un paio di volte, allegro. 
- Sbrigati! - 
- Sì, sì, dammi un attimo – prese tempo, guardandosi intorno, le mani affondate nelle tasche. 
- Ti prego dimmi che non ti sei dimenticato cosa devi dirmi! - 
Ago incrociò le braccia. - Ma per chi mi hai preso? – domandò, indignato. 
Gianluca si intromise: - Proprio perché sa con chi ha a che fare, se lo chiede. -
- Grazie per la fiducia! – Rocco incrociò le braccia, qualcosa stretto nel pugno.
- MUOVITI! - lo rimbeccarono i due in coro.
- Ok, ok. Soph, sono un genio! - le comunicò il moro, tornando raggiante come sempre. 
Prima che il riccio potesse intervenire con un "su questo ho i miei dubbi" Sophia lo trucidò con lo sguardo e invitò l'amico a concludere il discorso. 
- Tieni - ridacchiò soddisfatto, prima di metterle in mano un i-pod. - Cerca la play list di San Romano. È un nome in codice, così non si capisce cosa sono.  Ci sono due canzoni, lì. La prima è quella che ho deciso di dedicare ad Arianne. Gliela canterò oggi all'uscita! - 
La ragazza annuì e sorrise al ragazzo. Forse aveva davvero avuto una buona intuizione questa volta, il suo amico. - Ottima idea! Tu sai di che si tratta? -chiese a Gu. 
- E’ una sorpresa, dice che io dovrò assistere in diretta. E’ una fortuna solo tua e di Fra conoscere i dettagli del piano – ammise, con una smorfia esasperata. Sembrava stanco delle allegre cavolate di Rocco, ma Sophia era sicura che in fondo si divertisse anche lui a assistere a queste.
- Yahoo - si finse entusiasta la ragazza, con una smorfia. Faticava a credere che la scelta del migliore amico di Rocco fosse ricaduta proprio su Francesco Ravanni, ma ormai se ne era fatta una ragione. In fondo non aveva nulla da spartire col biondo, nonostante le amicizie comuni. - Ora non c'è più tempo, a dopo! - concluse frettolosa, scappando su per le scale prima di poter sentire altro, fuori dalla portata dei capricci da bambino di Rocco.
 
All'intervallo Arianne osservava di sottecchi l'amica che, le cuffie di un i-pod non suo nelle orecchie, fissava il vuoto facendo strane espressioni ogni manciata di secondi. - Proprio non puoi farmi sentire..? - chiese per la terza volta, preoccupata dalle smorfie accigliate della ragazza.
Sophia scosse il capo risoluta e le sorrise sforzandosi, con scarso successo, di sembrare tranquilla e positiva. - No, no. - coprì il display mettendosi l'apparecchio in tasca. - Tranquilla, tutto ok. Lo scoprirai presto - tossicchiò e nascose un 'e non so se sia un bene' in una risatina nervosa.
La giovane Venturi inarcò un sopracciglio, ma si limitò a scuotere il capo, rassegnata alla stranezza dell'amica. Cosa poteva pretendere da una che passava gran parte del suo tempo con Rocco Agostini?
 
Le ragazze uscirono dalla classe per ultime, come al solito, e Sophia era un fascio di nervi. Temeva la reazione dell'amica alla sorpresa di Ago, ma ciò che vide quando giunse nel corridoio quasi la fece sprofondare nel panico. Rocco le aspettava davanti alle scale, un sorriso smagliante e lo stereo della scuola già attaccato alla spina. - Mia cara Arianne - proclamò, allegro. - Questa te la dedico! - 
Sophia si diede una pacca sulla fronte, aspettando con un po' di preoccupazione la reazione dell'amica a ciò che sarebbe venuto.
Rocco spinse bruscamente Gianluca verso il registratore e lui gli lanciò un’ occhiata in tralice da sotto i ricci, ma premette il tasto play, poi si fece da parte e si unì al gruppetto di spettatori dall’altra parte rispetto alla giovane Venturi. C’erano tutti, lì ad assistere all’esibizione di Ago:  Steve, Federica, Benedetta, Lucia, Lisa. Tutti, tranne Francesco, notò Sophia, sollevata, raggiungendo gli altri.
Rocco, estremamente esaltato, iniziò a cantare, senza degnare nessuno di uno sguardo, sulle note di una canzone spagnola ( http://www.youtube.com/watch?v=ouQo-WIM5AY) studiata durante le lezioni con la bionda professoressa in tutte le terze liceo (compresa quella delle ragazze. Era totalmente immerso in ciò che faceva, nelle rapite parole e nelle approssimative pronunce.
Sophia, nonostante fosse piacevolmente colpita dall’impegno che stava dimostrando l’amico, non si azzardò ad osservare le espressioni di Arianne durante l'esibizione di Rocco, troppo impegnata ad ascoltare e osservare la piccola folla che si stava radunando lì attorno: la sorpresa e sorridente prof di Spagnolo con la regale insegnante di Lettere, la Lunardini di matematica, il professor Paolini -decisamente compiaciuto-, le bidelle e qualche studente uscito tardi dall’aula ma giusto in orario per lo spettacolo organizzato da Rocco.
Sophia si chiedeva quanto fosse adatta all’occasione una canzone contro lo sfruttamento dei coloni europei nel Sud America, ma non disse niente. Attese in silenzio che la musica finisse, poi sorrise a Rocco, che gongolava esaltato e volse infine lo sguardo verso Arianne, che, mantenendo il suo solito contegno, osservò severa il ragazzo a lungo, poi soffiò una risata. –Sei ufficialmente un tipo originale- commentò, con un sorriso, scuotendo il capo.
Ago si illuminò. –Quindi ti piaccio!-
-Non esagerare. Ho solo detto che sei un tipo insolito.- aggiunse, con una smorfia divertita. –Salve, prof, ciao, ragazzi- salutò, voltandosi verso le scale e prendendo a scendere.
Rocco fece un gesto di entusiasmo, afferrò lo zaino e la rincorse, sorridente. –Quindi non ti piaccio?-
-Oh, per l’amore del cielo, smettila! Non è che se non ti insulto significa che ti amo!-
-Quindi mi ami?-
-Rocco, santo cielo!-
L’ultima frase che sentirono fu quella, seguita dalla fragorosa, allegra e contagiosa risata del ragazzo.
Sophia sorrise, vedendoli sparire insieme giù per le scale.
-A cosa dovevamo tutto questo?- domandò la professoressa Lunardini a Steve, che si accinse a spiegare in maniera sommaria alla donna le continue attenzioni del giovane Agostini verso la bella e fiera ragazza di terza Q.
Le ragazze, intanto, commentavano l’accaduto ridendo e sognando il momento romantico in cui qualcuno avrebbe dedicato loro una canzone nei corridoi della scuola.
Romantico, sì, ma soprattutto imbarazzante, avrebbe volentieri aggiunto Sophia.
- Com’è andata, secondo te?- le domandò Gianluca, cercando di mascherare l’interesse con una smorfia di sufficienza. Affondò le mani nelle tasche, incurvandosi leggermente all’indietro.
Sophia sorrise, raggiante. –Meglio non poteva andare-.
-Cosa te lo fa pensare?-
-E’ arrossita!- sussurrò, entusiasta.

 

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Capitolo 5
*** Andava tutto bene. O forse no. ***


~All was well. Or maybe not.

 

(Simone)
-Dopo l’università-
 

Ciò che dava un po’ di pepe alla vita di coppia di Simone e Susanne erano i battibecchi.
Fin dall’università avevano sempre bisticciato per ogni cosa.
Prima fra tutte la Nutella.
L’adorata Nutella di Susanne che Simone ogni mattina le rubava facendole puntualmente saltare i nervi.
Finivano sempre per sgridare come bambini, ogni volta che capitava qualche sciocchezza.
Poi erano cresciuti ed era passato del tempo.
Avevano avuto un figlio: Lorenzo. Un bambino bellissimo, con gli stessi riccioli scuri della madre e il volto rotondo e solare del padre.
Simone adorava la sua famiglia. Giorno dopo giorno, bisticcio dopo bisticcio, sentiva finalmente di aver trovato il suo posto nel mondo. Era sempre stato scaricato da tutte le ragazze di cui si era innamorato. E ora finalmente, era convinto di aver trovato quella giusta. 
Susanne con lui si scornava, litigava, ma poi rideva e facevano pace.
Poi un giorno, lui le aveva chiesto di sposarlo. Lei aveva accettato e il piccolo Lorenzo aveva fatto il paggetto. Ed era così dolce che Simone avrebbe voluto averne altri, di bambini.
Col tempo i bisticci si fecero di più.
Poi una mattina, lui rubò la Nutella alla sua amata e quando lei lo trovò sul divano con suo figlio, il barattolo di vetro e due cucchiai incrociò le braccia.
Simone sorrise, birichino. «Oh, oh, Lollo, mamma ci ha beccati».
Il bambino rise e Susanne sospirò. «Sei sempre il solito».
Lui si alzò, lasciando il barattolo al bambino. «Ti scoccerà sapere che è finita» la provocò.
Susanne lo guardò negli occhi, seria, a lungo. Poi si voltò e andò in cucina. «Non vedevo l’ora».
E quella volta, Simone l’aveva capito bene, la Nutella non era stata l’unica cosa a finire.

 
 
In der Ecke – Nell’angolo
Prima di tutto, nel caso non si fosse capito, il motivo della separazione, no, non è la Nutella. Non sono è così scoppiata, Susanne. xD Il motivo lo lascio immaginare a voi. Per ora. Per come la vedo io, Susy era stanca. Stanca di una relazione basata esclusivamente sui battibecchi e sullo scherzo. Stanca anche di bisticciare, perchè no? Fate voi.
Pooooi:
Qui trovate un elenco, uno schema riassuntivo dei personaggi della prima generazione. Non so se può essere visualizzato anche da chi non mi ha aggiunto su facebook o non ce l’ha per niente, ma ora cercherò di paciugare con le impostazioni della privacy perché si veda. Nel primo link ci sono i personaggi della prima generazione, nel secondo quelli della seconda generazione (i figli, per intenderci).
 
 http://www.facebook.com/notes/yvainezero-efp/guida-ai-personaggi-di-noi-diamo-i-numeri-quando-ci-batte-il-cuore-i-generazione/406606618061
 
 http://www.facebook.com/notes/yvainezero-efp/guida-ai-personaggi-di-noi-diamo-i-numeri-quando-ci-batte-il-cuore-ii-generazion/406605503061
 
Bene, penso di non aver altro da dire. Tornerò, prima o poi, con il prossimo racconto! :D

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Capitolo 6
*** Papaia e colonne doriche ***


 

 
PAPAIA E COLONNE DORICHE
 

 
Benedetta era seduta sul divano di casa Agostini con aria un po’ incerta. Era ad una di quelle feste che Rocco definiva “super”, ma che di fatti si concludevano sempre con lui piuttosto ubriaco e Gianluca e Sophia che cercavano di evitare che vomitasse per tutta la sala. Aveva una pessima sensazione, motivata dalla propria disastrosa tendenza a tirarsi addosso ogni genere di sfortuna e aveva la netta sensazione che rimanere lì da sola con Rocco in quello stato non significava nulla di buono. Dov’erano finiti tutti?
«Quindi avete ristrutturato casa – se ne uscì Rocco in quel momento con voce leggermente acuta, reggendo un vassoio di bicchieri contenenti liquidi non bene identificati. – Avete riempito il salotto di colonne in stile dorico, mi hanno detto».
Benedetta gli rivolse un’occhiata allucinata. Di cosa stava parlando? «Non ho ristrutturato un bel niente. E, anche se fosse, dubito che piazzerei colonne doriche nel mio salotto, Ago» sottolineò, mentre il ragazzo si sedeva accanto a lei.
«Eppure
mi avevano detto che...» Rocco lasciò la frase in sospeso, annuendo con convinzione.
La ragazza alzò gli occhi al soffitto e sospirò. «Be’, ti hanno mentito» gli concesse, allontanandosi di qualche centimetro da lui. «Che hai lì dentro?» domandò, sbirciando i bicchieri sul vassoio proprio mentre lui li posava sul tavolino.
«Vodka e succo di papaia! – esclamò con gioia, come se avesse appena vinto alla lotteria. – Mia madre è fissata con la papaia!»
Benedetta non riuscì a trattenere una risata vedendo l’entusiasmo dimostrato dall’amico. Iniziava però a chiedersi dove fossero finiti Gianluca, Steve e Federica. Che stessero ripulendo qualche disastro combinato da Rocco prima che tornassero i signori Agostini? Sophia era ancora sul terrazzo e parlava fitto al telefono con Alex. Benedetta continuava a lanciarle occhiate agitate, nella speranza che tornasse in salotto al più presto, per condividere con lei quel momento di follia Agostiniana: lo sapevano tutti che non c’era nessuno che sapesse gestire Rocco bene come Sophia.
«Ne vuoi? – propose Ago porgendo un bicchiere alla ragazza bionda. – È roba forte, eh!»
Benedetta gli lanciò un’occhiata scettica. Proprio lui voleva avvertirla di non esagerare con gli alcolici? «Lo so - rispose, afferrando uno dei bicchieri di carta, risoluta. – Alla salute!» proclamò un secondo prima di ingoiare d’un fiato il contenuto del bicchiere.
Rocco la imitò dopo un gridolino esaltato che rischiò di mandarle di traverso alcol e risate.
«Tutto bene?» gli chiede la ragazza, osservandolo con sfida.
Rocco scoppiò in una grossa risata e le premette le labbra sulle sue.
Benedetta sgranò gli occhi, sconvolta, e si tirò indietro giusto un attimo prima che Ago tentasse di gettarle le braccia al collo e approfondire il bacio.
Le batteva forte il cuore; era in uno stato di confusione che non le permetteva di metabolizzare bene alcunché. Non sapeva se ridere, indignarsi o prendere a pugni il ragazzo. Il suo primo pensiero fu Walter. Il secondo fu pura e semplice incredulità per quello che Sophia aveva appena gridato al cellulare, facendosi sentire da tutti: «NON CE L’HO LA SIRINGA!»

 
 
 
Scritta in risposta alla sfida di Mariuga.
Avvertimento: flashfic (storia di max 500 parole)
Coppia: Benedetta/Rocco
Prompt: siringa, papaia e dorico (stile delle colonne)
 
In der Ecke – Nell’angolo:
È una flashfic piuttosto sciocca, ma anche abbastanza IC. Non significa nulla, ovviamente: potete considerarla un racconto AU come anche un semplice frutto di qualche bicchiere di vodka e succo di papaia di troppo. ^^ Rocco sarà sempre e solo di Arianne, potete starne certe.
Volevo provare anche io a fare questo gioco delle sfide a cui partecipano in molti, ultimamente. Ma sono troppo pigra per iscrivermi al CoS, quindi ho scirtto in chat ad una mia cara amica (che non trovate su EFP, purtroppo) e l’ho sfidata a scrivere una flashfic Gianluca/Sophia. Lei in risposta mi ha sfidato a scrivere questa.
Se volete potete provare a sfidarmi anche voi, sarebbe divertente! XD (L’unica cosa che vi chiedo è di non sfidarmi a scrivere long fiction, perché non credo che ce la farei. Al limite una miniraccolta!) Se avrete voglia di farlo scrivetemi pure un’email qui su EFP, sarò felice di accettare. :D 

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Capitolo 7
*** Migliori amici, amori e scaldaletto ***


Questo racconto è un po’ per Alessia, che probabilmente non lo leggerà mai:
è per vendicare ciò che è successo a lei che ho scritto uno degli
episodi che leggerete, quello che porta il suo nome.
 
Ma soprattutto questo racconto è dedicato a Maria, senza la quale il personaggio
di Alberto non sarebbe lo stesso e, forse, non ci sarebbe proprio.
Questa è tutta tua, Meri-chan.
 


Migliori amici, amori e scaldaletto

-A new generation story.-
 


Alberto Pulcinelli camminava per strada sempre a testa alta.
Studiava economia un paio di ore al giorno, giocava a calcio altrettante, suonava la chitarra un’ora ogni sera e si atteggiava a latin lover ventiquattro ore su ventiquattro, anche mentre dormiva.
Aveva una terza grande passione, oltre la musica e il calcio, e questa erano le ragazze.
Sarebbe quindi meglio dire che Alberto Pulcinelli camminava per strada a testa alta finché non sentiva l’impellente bisogno di voltare il capo per guardare il sedere di qualche passante.
Immagine molto indicativa, ma non abbastanza per descrivelo. Non era il classico bello sciupafemmine, era una ragazzo molto più profondo e complicato di quanto non si credesse.
La sua terza grande passione erano le ragazze, dicevo; una in particolare tendeva a fargli girare la testa (in tutti i sensi) più spesso delle altre. Era alta, formosa, allegra e si chiamava Giulia Ravanni. Non era la ragazza più sveglia della città, ma era dolce, disponibile e spiritosa. Aveva la stessa età di Alberto, ma era in classe con me, per via di un errore di percorso che l’aveva portata alla bocciatura.
Alberto era irrimediabilmente cotto di Giulia, ma lei non lo degnava di uno sguardo. Era troppo impegnata a cercare di attirare le attenzioni di Giorgio, il migliore amico proprio di Alberto, nonché mio fratello. Una sfiga immonda, no? Erano – eravamo – tutti estreamente connessi da legami strettissimi e, potenzialmente, sarebbe potuto essere tutto perfetto. Bastava solo una spintarella, un’unica mossa per assemblare il puzzle. Bastava che Giulia si accorgesse di ciò che provava Alberto nei suoi confronti e tutti i tasselli sarebbero andati al posto giusto. Ma non era possibile che accadesse. Non lo era, perché Alberto aveva un miriade di difetti, ma il più riprovevole era l’arrendevolezza. Si era arreso in partenza. Si era arreso all’idea che Giulia fosse innamorata di Giorgio e non aveva mai provato a farsi conoscere da lei. Non si erano quasi mai parlati, non avevano mai scherzato. Avevano riso con me, magari, o con mio fratello. Avevano visto gli stessi film, avevano riso alle stesse battute, avevano passato intere giornate sotto lo stesso tetto, condiviso la stessa bottiglia d’acqua in afose giornate d’Agosto, magari. Ma nulla di più. Non avevano mai sostenuto una vera conversazione, non si erano mai sorrisi. E capirete che non ci si può innamorare, se non si sorride insieme almeno una volta.
Qual è il mio ruolo in tutto questo, dite? Io sono Eva Semi, la migliore amica di entrambi. Li conosco come le mie tasche – anzi, forse conosco le loro meglio delle mie –, ecco perché posso informarvi sull’accaduto come se l’avessi vissuto sulla mia stessa pelle. Anche perché, in un certo senso, è così. Vi ho già spiegato come i fili delle nostre vite fossero tutti irrimediabilmente intrecciati? Be’, era una treccia di quelle casuali e per questo molto più complessa. Di quelle che si formano quando si tengono gli auricolari dell’iPod in tasca e questi si annodano e sembrano non aver alcuna intenzione di districarsi mai più. Così eravamo noi.
Le nostre vite si erano attorcigliate durante una delle rimpatriate in cui i nostri genitori si incontravano, dopo tanto tempo, assieme a tutti i loro compagni e amici del liceo. Fu così che conobbi Alberto, ad a malapena due anni. Un tempo era il classico bambino con la testa nel pallone. Era stata l’adolescenza a fregarlo, come succede un po’ a tutti i ragazzini.
Aveva scoperto le ragazze con l’inizio delle superiori. Essendosi iscritto al liceo classico, si era ritrovato immerso nel loro affascinante universo, ammirando le diverse specie di femmina esistenti come avrebbe fatto un ornitologo nella foreste pluviale.
La sua prima, vera ragazza era stata Francesca, una sua compagna, in quarta superiore. Non troppo alta, mora e formosa. Un po’ volgare, sicuramente, ma lui non sembrava farci molto caso. La prima ragazza è pur sempre la prima ragazza e Alberto si crogiolava nella vita di coppia come se gli si fosse aperto un mondo. E, in un certo senso, era così. Fu con Francesca che Alberto scoprì – ehm – l’arte di rotolarsi sotto le lenzuola in compagnia. Era stato a causa di Francesca che si era scatenato ‘il mostro’, ovvero il terribile umorismo malizioso ed allusivo made in casa Pulcinelli, ed era stato a causa di Francesca che avevo coniato il termine ‘scaldino’. Era chiaro come il sole, infatti, che Alberto fosse ancora cotto di Giulia e l’unico primato di Francesca nel suo cuore era quello di averlo introdotto alla disciplina olimpionica del riscaldamento dei letti altrui. La sua importanza nella vita di Alberto era pari a quella che avrebbe avuto lo stesso scaldaletto di cui aveva preso il nome e ben presto, con l’arrivo dell’estate, anche la sua utilità scemò.
Dopo di lei, fu il turno di Alessia, una tizia alta, bruna, con un sorriso ebete e due meloni nel reggiseno. Ovviamente la sua unica qualità non era l’indossare un cestino per la frutta sotto la maglietta, era anche estremamente intelligente. Motivo per cui,  una volta iniziata la quinta liceo, aveva bellamente piantato Alberto dicendo di aver bisogno di concentrarsi solo sulla scuola in vista della maturità. Aspirava al cento ed era sicura di potercela fare, se solo si fosse impegnata abbastanza. L’orgoglio di Alberto subì un duro colpo; si lamentò per giorni e giorni, incredulo di essere stato scaricato per via dello studio – non potete immaginare quanto fosse divertente ascoltarlo delirare in proposito e, magari, infierire un pochino.
Caso che volle che, tuttavia, solamente il suo orgoglio ne venisse intaccato, perché, come dimostrò l’arrivo di una successiva ragazza, il suo cuore pulsava ancora solo per Giulia, mentre l’amichetto del piano di sotto si invaghiva ciclicamente di altre giovani fanciulle di bell’aspetto. Le rispettava e voleva loro bene... solo non abbastanza da sovrastare i sentimenti che nutriva per Giulia.
La ferita di Alberto fu curata da una seconda Francesca. Questa omonima era forse la più simpatica di tutte le ragazze del mio migliore amico, l’unica con cui avrei potuto, forse, stringere amicizia. Francesca era intelligente, simpatica e paziente. Il suo difetto più grande era quello di essere perdutamente innamorata di Alberto. E quando dico ‘perdutamente’, intendo dire che a causa di questo aveva – o avrebbe - perduto tutta la propria dignità. Ogni parola uscita dalla bocca di Alberto era, per lei, oro colato, e così ogni sua azione, ogni suo comportamento, anche il più infantile. Non si arrabbiava quando erano insieme e lui mi telefonava per fare due chiacchiere e nemmeno sentendolo continuamente nominare Giulia. Poteva bidonarla per giocare a calcio, per guardare la partita, per uscire con gli amici, per vedere un film porno con mio fratello; poteva dirle che non aveva voglia di vederla, che sarebbe rimasto in casa e per poi invece uscire con gli amici; poteva abbracciarmi in sua presenza, fare battute sconce, avrebbe potuto girare nudo per strada. Francesca non se la sarebbe presa. Non con lui. Con me, forse, con Giorgio, con Alan, ma mai con Alberto. Una ragazza del genere era pane per i denti di un ragazzo nella situazione di Alberto che, pur essendosi affezionato a Francesca, continuava ad osservare Giulia da lontano con aria malinconica. Dopo non molto tempo, però, la sua eccessiva flessibilità cominciò a star stretta al signorino Pulcinelli – o meglio, gli stava troppo larga. Il suo bisogno di essere coccolato e viziato era perfettamente colmato dalle attenzioni di Francesca, ma ciò che lui avrebbe voluto era una ragazza che lo mandasse a quel paese senza troppi giri di parole quando lui superava il limite, una che lo tenesse un po’ in riga, che lo facesse penare per farsi perdonare. Fu lui a lasciarla, questa volta, con il caldo consiglio di tirare fuori gli attributi e non farsi mettere i piedi in testa. Un po’ mi dispiacque, perché, come ho già detto, nonostante il suo problemino con l’imposizione di se stessa e dei propri ideali, era una gran brava ragazza, carina e simpatica. Peccato che ci sia rimasta così male per il due di picche di Alberto, che non volle più vedere lui, né qualcuno di noi a lui caro, me inclusa.
Dopo Francesca II, era stato il turno di Clara. Per quanto riguarda questa donzella in particolare, non sarò in grado di dirvi molto. Si incontrarono in discoteca durante l’estate dei vent’anni di Alberto. Quella era stata la relazione più breve che avesse mai avuto. Non avevo nemmeno avuto il tempo di farmi un’idea negativa di lei, ché avevano già troncato di netto. Ricordo solamente che aveva i capelli corti e rossicci, era altissima e aveva un sorriso molto dolce. Alberto era sempre molto vago quando gli chiedevo di lei. Addirittura si rifiutò di darle il mio numero di telefono, quando lei glielo chiese. Questo, assieme ad un paio di episodi di cui non sono a conoscenza, avevano spinto mio fratello Giorgio a credere che Clara fosse molto più simile ad Albi di quanto lui non avesse in un primo momento creduto. Avevano gli stessi gusti, in un certo senso. In altre parole, si supponeva che Clara fosse omosessuale e Alberto avesse preso un granchio enorme. I suoi grugniti e gli strategici cambi di argomento ogni qual volta la conversazione vergeva su di lei non facevano che confermare le ipotesi di mio fratello. Mi chiedo per quale motivo avesse voluto il mio numero...
Ma continuiamo con il nostro viaggio attraverso le relazioni di Alberto Pulcinelli.
Dopo Clara, era stato il momento della breve parentesi chiamata Tanja, una studentessa universitaria tedesca in Erasmus. Alberto incontrò anche lei in discoteca, ma, questa volta, sembrava essergli andata un po’ meglio. Per lo meno aveva azzeccato l’orientamento sessuale, ma per quanto riguarda il carattere, io non ne sarei così sicura.
Tanja era tedesca e, lasciando perdere gli stereotipi, era una ragazza con le palle. Era l’esatto contrario di Francesca II. In un primo momento, Alberto fu felice di aver trovato una ragazza a cui correre dietro, con cui faticare un po’. Tanja non era un cagnolino, era un gatto selvatico. Sapeva essere dolce affettuosa, ma era possessiva e orgogliosa. Non sopportava che Alberto passasse del tempo con altre ragazze, senza la sua supervisione, né che la snobbasse per il calcio o gli amici. Ecco perché la mia idea di intraprendere uno scambio epistolare con lei per migliorare il mio tedesco svanì ben presto: Tanja mi odiava. Ogni volta che Alberto passava a casa mia per fare due chiacchiere con me o Giorgio, doveva portar con sé anche lei, se non voleva essere mandato in bianco per una settimana. Non che questo a noi desse fastidio, ma le occhiatacce che mi rivolgeva ogni volta che aprivo bocca non passavano di certo inosservate. Alberto aveva sempre avuto un forte istinto di protezione nei miei confronti e ben presto smise di portarla con sé. All’inizio fu abbastanza semplice. Tanja si era fidata di Alberto, quando le aveva detto che per lui ero come una sorella e che, soprattutto, Giorgio non gli avrebbe mai permesso di sfiorarmi nemmeno con un dito. Questo sembrò tranquillizzarla, ma poi Giulia tornò dalle vacanze e riprese a frequentare casa mia, come aveva sempre fatto. Questo, al contrario, non le piacque per niente. E come avrebbe potuto farlo? Una nuova ragazza, a lei sconosciuta, frequentava la maledetta casa delle tentazioni. Non una semplice ragazza, per di più, ma la ragazza per cui Alberto aveva una cotta da sempre. Lui non riuscì più scrollarsela di dosso; Tanja riprese a seguirlo quando veniva a casa nostra, ma questa volta palesava la sua insofferenza nei confronti miei e di Giulia con borbottii nella sua lingua madre. Nessuno di noi era madrelingua tedesco, ma tutti e quattro avevamo frequentato un liceo linguistico e studiato quella lingua: qualcosa riuscivamo a coglierlo e non tutto era poi così carino. Alberto rideva forte, in imbarazzo, quando comprendeva qualche cattiveria di troppo. Si sopporta tutto per un amico e, di conseguenza, io portavo pazienza.
Ci fu un giorno, però, in cui mio fratello Giorgio scoppiò. Si mise a camminare avanti e indietro nel salotto, sproloquiando a proposito di stalking e diffamazione. Poi si fermò, guardò Tanja dritto negli occhi e cominciò a sputare fuori tutto ciò che si era tenuto dentro fino a quel giorno. Era stufo di quella ragazza; poteva essere bella quanto Alberto voleva, poteva essere anche simpatica, a volte, ma non poteva intrufolarsi in casa altrui e insultare tutti, non in una lingua che era incorrettamente convinta nessuno capisse.
Tanja ci rimase malissimo. Non trovò alcuna argomentazione per ribattere, riconoscendo forse i suoi errori e non si presentò più a casa nostra. Nel giro di pochi giorni, Giulia troterellava in giro al settimo cielo alla prospettiva di essere stata così coraggiosamente difesa da Giorgio. Questi, dal canto suo, non faceva che ripeterle che stava difendendo solo sua sorella. In tutto ciò, Alberto sembrava particolarmente depresso per lo sviluppo che stavano prendendo le cose: Giulia sembrava ancora più innamorata di prima. Di Giorgio, però. Per sfogare la propria frustrazione, prese coraggio e andò all’appartamento in cui abitava Tanja, per piantarla, ma non fece in tempo. La incontrò a metà strada assieme alla coinquilina. Quando lo vide, lei gli corse incontro con un’espressione truce e lo scaricò senza troppi giri di parole: “Voi italiani non siete persone serie”. Lo accusava di averla solo usata per farsi bello agli occhi delle sue sgualdrine – sì, temo che una di esse fossi io -, di essere un bambino viziato ed egocentrico, che ragionava esclusivamente con l’amichetto del piano di sotto. Non avrebbe combinato nulla nella vita, era destinato a rimanere solo come un cane, bla, bla, bla, avrebbe dovuto imparare a portare rispetto per le donne e a non pensare solamente al calcio e agli amici e “Auf nicht mehr wiedersehen, mein Schatz!”. (*)
Fu un sollievo per tutti. Tranne che per lo stupidissimo orgoglio di Alberto, ovviamente. Lui passò giorni e giorni ad insultarla, incapace di accettare di essere stato battuto sul tempo. Tutto questo, accadde in un paio di mesi, forse tre.
Siamo quasi giunti al termine della lista. Le ragazze indicate sopra, sono quelle che, nel tempo, io ho avuto occasione di conoscere. Non ho mai pedinato Alberto in giro per i locali, tantomeno posso sapere quante volte una ragazza sia entrata in casa sua – o viceversa. Queste sono le relazioni di cui mi ha parlato, quelle più importanti e in cui, in qualche modo, sono stata coinvolta –da lui o da loro.
Quelle di cui vi parlerò da ora in avanti, sono quelle che hanno cambiato le cose.
Dopo Tanja, Alberto passò un po’ di tempo a diffidare delle ragazze, sempre e solo coinvolto in storie poco serie. Era il periodo in cui alla nostra compagnia si era aggiunto Michele, un ventiseienne decisamente fuori corso che frequentava l’università assieme ad Alberto e Giorgo e per cui, lo ammetto, avevo una mostruosa cotta. Nel vano tentativo di combinare qualcosa tra me e il suddetto Michele, Alberto cominciò a trascinarmi in giro con loro. Ebbi modo, dunque, di assistere all’autopresentazione di Silvia Marchesi e di odiarla fin dal primo momento. Esordì avvicinandosi al tavolo a grandi, ancheggianti, falcate, accompagnata dal mio ex, Alan, e dalla sua nuova ragazza, chiaramente la migliore amica. Eravamo in una discoteca, seduti ad un tavolino mentre mio fratello sbaciucchiava una tizia di colore di nome Rachel, che aveva presentato come la sua nuova ‘puffetta’ – squallore e disgusto nell’udire quel nomignolo.
In stile Sandra Dee alla fine di Grease, Silvia aveva preso con sé – leggasi: afferrato con fare rapace - Alberto e l’aveva trascinato in pista, lasciandomi così in balia di due coppiette dagli animi agitati e un Michele in preda ad un forte attacco di ridarella, imbarazzato quanto me nel dover reggere il moccolo. Glissando sulle battutine del mio simpaticissimo ex ragazzo, torniamo a parlare della coppia del momento.
A parte la pessima prima impressione che Silvia mi fece con quel suo microscopico tubino rosso e i tacchi alti almeno quaranta centimetri, ebbi la (s)fortuna di conoscerla meglio e poter così avere la conferma del suo essere la figlia del demonio. Magari non proprio di Satana, ma di uno dei suoi emissari. Ad ogni modo doveva aver qualcosa a che fare con il diavolo, perché non era umanamente possibile che una ragazza fosse così bella. Alta, magra – magrissima! – con tutte le fantomatiche “curve al posto giusto”. Gambe infinitamente lunghe, capelli neri come la pece e perfetti in ogni circostanza, pelle liscia, senza una lentiggine o una qualunque imperfezione, due occhi azzurri in grado di congelare all’istante l’autostima di qualunque ragazza. L’unica cosa che le mancava erano le fossette sulle guance, ma quelle erano inevitabilmente sinonimo di simpatia e spontaneità, elementi che a lei mancavano.
Un demone nel corpo di una dea, Silvia era la pura essenza dello ‘scaldinismo’. Questa volta, però, c’era una sostanziale variante nella direzione dello scaldinismo: sembrava essere Alberto quello che veniva usato a proprio piacimento da Silvia, per dimenticare il proprio ex o fare ingelosire qualcuno o magari solo per noia. Lui si era invaghito di lei – o meglio del suo fisico - a tal punto da lascirsi giostrare come lei preferiva, senza aver mai nulla da obiettare, senza mai opporsi. Era il classico caso in cui un paio di gambe troppo lunghe fanno perdere la testa ad un ragazzo.
Alberto: un nome e una garanzia; quella che si sarebbe sempre trovato la ragazza sbagliata.
La relazione con Silvia segnò l’inizio di una nuova fase nella vita di Albi e di tutti noi. Assieme a lei, arrivò Rachel, tanto per cominciare, ma questo è un problema che non riguarda il nostro caro Pulcinelli. Al contrario, un periodo di crisi familiare lo riguardò eccome. Proprio in quel periodo, Alberto scoprì che suo padre tradiva sua madre. Lo shock fu grande per lui, tanto che per un po’ di tempo non mise più piede in casa propria, trasferendosi invece nella stanza degli ospiti di casa Semi, ovvero la mia. Fu un bel cambiamento per tutti, soprattutto visto che a Silvia non importava un fico secco che la casa in cui faceva visita al suo ragazzo appartenesse a terzi, non si faceva quindi scrupolo a suonare il campanello a qualunque ora del giorno e della notte. Nel giro di poco tempo, inoltre, scoprì che sua madre non solo aveva riaccettato il marito in casa, ma era anche incinta. Un altro duro colpo per Alberto.
Per distrarlo, io e Giorgio organizzammo una vacanza di due settimane in montagna. Avevamo una villetta a due piani e un sacco di camere da letto, dove abitavano i genitori di mio padre. Furono ben felici di accoglierci là. Chiaramente, l’invito alla vacanza, che avrebbe dovuto coinvolgere solo me, mio fratello e Alberto, fu espanso anche anche alle fidanzate e, addirittura, ad Alan (più ragazza) e Michele.
Furono due settimane d’inferno. Per me, almeno. Silvia non ci mise molto captare la mia antipatia nei suoi confronti, acuita dalla caparbietà con cui si ostinava a indossare abitini succinti durante le scampagnate o alla sera, all’aperto, quando la temperatura scendeva vertiginosamente e tutti noialtri (eccezion fatta per la sua compare Laura) mettevamo i giubbotti. Trovò la cosa molto divertente, considerata la mia tendenza a non essere scortese con gli altri, e iniziò a fare dispetti di ogni tipo, durante quella convivenza forzata, e apparentemente accidentali, uniti a frecciatine demoralizzanti, allusioni alla mia conclusa storia con Alan e alla mia incapacità di farmi notare da Michele.
La negatività di quella ragazza non passò inosservata ad Alberto, ma, per qualche motivo, quando si parlava di Silvia non sembrava capace di intendere e di volere. Che ne fosse innamorato davvero era improbabile, conoscendolo, ma se era davvero così, io non ero nessuno per mettermi tra lui e la possibilità di stare con la persona che amava.
Il fatto che lei lo tradisse era noto a tutti, ma lui non voleva saperne. Erano solo dicerie, non era possibile. E, anche se fosse stato, a lui non importava. Non era davvero innamorato, si ostinava a dire, stavano insieme perché si piacevano, ma non sentimentalmente. Quello che sentivo parlare in quei momenti, non era il vero Alberto. Era l’effetto che le suddette gambe lunghe avevano avuto su di lui. Continuavo a chiedermi quando sarebbe rinsavito.
Quella con Silvia fu forse la sua relazione più duratura. Rimasero insieme a lungo, finché, finalmente, non ci furono sviluppi tra Alberto e Giulia. Le mie conoscenze a proposito di questo periodo, sono piuttosto distorte dall’incredibile entusiasmo della mia migliore amica e nondimeno da quello della controparte maschile. In quel periodo io ero in vacanza al Lago di Bolsena con i miei genitori, il mio fratello migliore e le famiglia di alcuni suoi compagni di scuola. Giorgio rimase a casa e, a quel tempo, Alberto stava ancora da noi.
Giulia aveva trovato Giorgio e Rachel intenti a scambiarsi effusioni. Era l’unica a non sapere che stessero insieme, ma, a quel punto, lo scoprì. Scappò via in lacrime, disperata, andando poeticamente a sbattere contro Alberto, che stava rientrando dopo una partita a calcetto. Le chiese cosa avesse e, nel pieno di una crisi isterica, Giulia gli raccontò tutti. Passeggiarono per la città parlando di Giorgio e dei suoi contraddittori messaggi, che Alberto le spiegò non essere per nulla tali, anzi chiarissimi tentativi di non illuderla. Giulia ci rimase male inizialmente, ma apprezzò molto l’improvviso (?) interesse di Alberto e la sua gentilezza. Iniziò a frequentarlo come amico e nel giro di una settimana, lui la baciò e lei ricambiò.
Al mio ritorno dal Lago, a Cesena erano cambiate un bel po’ di cose. Tanto per cominciare, io avevo appianato i rapporti con mio padre, Rachel e Giorgio avevano smesso di chiamarsi ‘puffo’ e ‘puffetta’ – grazie a Dio –, Alberto e Giulia si erano messi insieme e sembravano la coppia più felice del mondo, Silvia era stata bellamente piantata quando lui si era finalmente accorto di avere più corna del padre di Bambi e la nuova arrivata in casa Pulcinelli si sarebbe chiamata niente po’ po’ di meno che Giulia.
La nuova coppia era un piacere per gli occhi e per l’anima. Erano entrambi estremamente belli, Giulia gioiosa come non mai e Alberto finalmente felice di poterla avere tutta per sé. Le cose non sarebbe potuto andare meglio di così, non per loro almeno. Erano innamorati e la dolcezza che esprimeva ogni loro gesto era un toccasana per un’inguaribile romantica come me, che voleva loro così tanto bene.
Vorrei sapervi dire come è andata a finire, ma purtroppo non posso. A quanto ne so, la loro storia continua. Sono passati otto mesi da quando si sono messi insieme, ma, già da ormai sei, io non li ho più visti. Stufa della monotonia della mia vita – che girava intorno alla mia famiglia, ai miei amici. Volevo, una volta tanto, fare qualcosa per me, così – sono partita per un lungo viaggio in Giappone. Ora abito e lavoro come ragazza alla pari a casa di una parente della mia insegnante di giapponese. Rimarrò qui ancora qualche mese e poi, forse, tornerò a casa.
Al mio ritorno, vi farò sapere come stanno le cose.
Momentaneamente Giulia non mi rivolge la parola, offesa dalla mia partenza, ma a giudicare dai racconti via Skype di Alberto, va tutto a gonfie vele.
Vi terrò aggiornati.
 


 
(*) Auf wiedersehen è “arrivederci”. Auf nicht mehr wiedersehen è la mia traduzione totalmente letterale di un “a mai più rivederci”. Mein Schatz sta per “Tesoro mio”.

Ed ecco qui un esperimento. Eva, figlia di Steve e Federica, racconta le avventure sentimentali del suo migliore amico, figlio niente po' po' di meno che di Walter e Benedetta di Rinunce d'amore (e, sì, mi sto autopubliccizando, ma è a fin di bene, per dimostrare che, alla fine, anche quei hanno avuto un lieto fine. Di che parlo? Cliccate e lo scoprirete!) ^^
Come ho già detto, questo racconto è un'esperimento. Era un sacco di tempo che pensavo di far raccontare una storia a qualcuno che ci è dentro ma non ne è il protagonista, ma è una tecnica ancora da appianare. Spero che almeno un po' vi sia piaciuto. :)

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