SAVE MY SOUL

di nitro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Questa storia ha partecipato al concorso "What if..e se fosse andata in un altro modo?" organizzato da Dark Iris91, classificandosi prima a pari merito. Dovevamo cambiare un avvenimento di uno dei quattro libri della Meyer e da lì sviluppare la nostra fic.  Spero che vogliate lasciarmi un vostro commento :)!
 



Le prime 12 righe della storia appartengono al libro Eclipse e quindi di proprietà della Meyer.


SAVE MY SOUL

 

Chi è felice non si muove. (Thomas Mann)

Jacob,
so che spedirti questo biglietto infrange le regole. Lei aveva paura di ferirti, e non voleva che ti sentissi in alcun modo obbligato. Ma so che, se le cose fossero andate diversamente, da parte mia avrei voluto poter scegliere.
Ti prometto che mi prenderò cura di lei, Jacob. Grazie - per lei - per tutto.
Edward
 
« Jake, abbiamo soltanto questo tavolo » disse Billy. Fissava la mia mano sinistra.
La morsa delle dita afferrava il legno con forza tale da rischiare di distruggerlo. Aprii le dita una a una, concentrandomi con tutto me stesso, poi strinsi una mano nell'altra per non rompere nulla.
« Vedi, tutto sommato non importa » borbottò Billy.
Mi alzai da tavola, sfilandomi la maglietta. Forse, finalmente, Leah era andata a dormire.
 
Mio padre appoggiò con cautela la mano sul mio avambraccio, come se il suo tocco avesse potuto infrangere l’equilibrio precario che mi teneva tra la forma umana e quella animale.
Ansimai, scosso dai tremiti dell’impazienza, ma la mia espressione rassegnata rivelava che lo avrei ascoltato.
« Ho parlato con Sam questo pomeriggio, siamo entrambi d’accordo sulla necessità di allontanarti dalla riserva per un po’ ».
Liberai bruscamente il braccio dalla sua stretta e mi diressi verso la porta.
Billy spinse la carrozzina agilmente attorno al tavolo e mi sbarrò la strada. Aveva capito esattamente le mie intenzioni. Nei suoi occhi lampeggiava la determinazione e quel briciolo di pazzia di chi volesse fermare un treno in corsa.
« Aspetta figliolo, parliamone con calma. Siediti per favore ».
C’era qualcosa di diverso nel suo tono che mi convinse ad ammansire l’animale, che scalpitava dentro di me. Mentre mi accomodavo di nuovo sulla sedia, il mio sguardo divenne più docile.
Un’altra busta apparve tra la gamba di mio padre e il bracciolo della sua sedia, cominciai a domandarmi se avesse costruito dei doppi fondi in modo da poterla usare come porta-attrezzi.
La busta era molto diversa dall’invito che avevo stretto poco tempo prima tra le mie dita, la lettera era tanto spartana e semplice quanto l’invito era lussuoso ed elaborato.
Poche righe, scritte in una calligrafia incerta e tremolante, sporcavano un foglio stropicciato e testimoniavano la rabbia con cui quella lettera era stata scritta.
 
Caro Billy,
spero con tutto il cuore che tu non debba leggere quanto sto per scrivere.
Il nostro villaggio è stato attaccato dagli spiriti malvagi. Dopo la sparizione di molti nostri compagni, abbiamo individuato i vampiri responsabili. Questa notte attaccheremo.
Se io e mia moglie non dovessimo tornare, il capo del nostro clan ti spedirà questa lettera.
Ti prego di prenderti cura di mia figlia. So che ti sto chiedendo un grosso impegno, ma... Billy, sei il mio più caro amico, non lascerei la mia bambina nelle mani di nessun altro.
Tuo Harald
 
Alzai le sopracciglia per far capire la mia perplessità.
« Ti ricordi di Harald Ulvensonn? Veniva spesso a trovarci dalla Norvegia quando eri più piccolo ».
Il nome non mi era totalmente nuovo, e nei miei ricordi nebulosi prendeva lentamente forma il viso gioviale di un uomo bianco, coperto da una rada peluria bionda. Più ci pensavo e più mi ritornavano alla mente altri particolari; Harald era un uomo massiccio ricoperto da una strana pelliccia nera e portava sempre con sé una piccola ascia dentellata. La mia mente ancora giovane e ingenua non si era mai chiesta cosa significasse il suo strano abbigliamento, ma in quel momento capii che quell’uomo era la personificazione del luogo in cui mio padre stava tentando di spedirmi. Freddo e pericoloso, adatto soltanto alla tempra di un vichingo.
« Dovrei andare al polo nord? Fammi capire, volete che combatta da solo un clan di vampiri e in più che faccia da baby-sitter a una bambina? Non se ne parla ».
La mia espressione si fece più severa, stavo perdendo la pazienza.
« I vampiri non ci sono più, hanno sterminato tutti e se ne sono andati. È stata un’esecuzione e credo di sapere chi siano i mandanti ».
Billy strinse le mani a pugno e scosse la testa, era rimasto molto colpito da ciò che era successo al suo amico. « Nei giorni della tua malattia ho discusso con Cullen di questa lettera. Il dottore mi ha spiegato chi sono i Volturi e data la loro avversione verso i clan più numerosi del loro, hanno attaccato il villaggio di Harald ».
Cullen.
Quel nome, benché riferito al padre del Cullen a cui stavo pensando, mi provocò un dolore secco al petto.
I miei pensieri corsero verso Bella e rimasi fermo a fissare il vuoto per parecchio tempo.
La sofferenza che provavo ogni volta che vedevo quel dannato succhiasangue, ogni volta che appoggiava le sue fredde mani su di lei, mi stava dilaniando dall’interno, come un infido parassita.
Forse avrei dovuto cogliere l’occasione di allontanarmi da quel luogo, allontanarmi da loro… da lei. Certo non mi sarei mai aspettato un miracolo, ma qualsiasi posto era meglio di Forks.
Poi mi resi conto che non avevo ancora metabolizzato completamente ciò che mio padre stava tentando di comunicarmi.
Bella mi aveva parlato dei Volturi, una specie di famiglia reale dei vampiri che avocava a sé l’esercizio del potere giudiziario della loro specie. L’equivalente di un tribunale; ammesso che i vampiri conoscessero il significato della parola “giustizia”.
Il loro interesse verso il villaggio dell’amico di mio padre non era dovuto alla numerosità del suo clan, come aveva fatto intendere mio padre, ma alla natura dei suoi membri.
Harald Ulvensonn faceva parte di un branco di mutaforma. Non sapevo che ne esistessero altri, eccetto il nostro.
« Billy, non vi siete conosciuti a una fiera di pesca, vero? »
Mio padre strabuzzò gli occhi.
« Che cosa? Parli di Harald? Oh giusto, ti avevo raccontato questo? Beh… ovviamente no. Ora lo sai Jake. I vampiri non attaccano interi villaggi senza motivo. In Norvegia c’è... » sul suo viso l’imbarazzo per la bugia raccontata si trasformò in rabbia. « C’era un branco di lupi. Verrò con te, ho delle faccende da sbrigare e devo prendermi cura della bambina. Tu intanto, potrai sfogarti un po’ ».
Un senso di curiosità solleticò il mio inconscio. Una realtà completamente diversa dalla mia riposava dall’altra parte del mondo e aspettava di essere scoperta.
La mia voglia di partire e correre via ricevette finalmente uno scopo. Avevo una meta che mi avrebbe permesso di svuotare un po’ la mente e curare il mio cuore ferito.
Fu così che, dopo aver contratto debiti con mezza tribù Quileute, io e Billy acquistammo i biglietti per la Norvegia e partimmo verso quella terra lontana.
Mi ritrovai su uno scomodissimo sedile di aereo, troppo stretto per contenere le mie lunghe gambe. Il viaggio fu talmente lungo da portarmi all’esasperazione; per far correre il tempo più veloce mi ridussi persino a leggere una guida completa sulla Scandinavia.
Odiavo leggere.
L’aereo cominciò la sua discesa verso l’aeroporto di Tromsø, città che non avevo mai sentito nominare, e si gettò tra le nuvole bianche che lo avevano accompagnato per tutto il tragitto. La terra apparve scura e rocciosa, circondava la piccola città in uno scuro abbraccio e poi si gettava nel mare, creando un profilo discontinuo e frastagliato. I fiordi si susseguivano uno dopo l’altro e creavano uno spettacolare scenario.
Noleggiammo un’auto e partimmo verso il villaggio sperduto in cui era vissuto il branco di Harald.
Guidare per quelle stradine sconnesse, non mi recava alcun fastidio, ero abituato ei sentieri sterrati della riserva, ma man mano che ci allontanavamo dalla civiltà mi sentivo sempre più inquieto. Adoravo la natura, la foresta e tutto il mondo che nascondeva, ma conoscevo bene i pericoli che si potevano nascondere tra gli alberi fitti.
In cuor mio speravo che mio padre avesse ragione sull’assenza dei succhiasangue e mi sentii, per la prima volta da quando ero diventato un lupo, vulnerabile.
Avevo data per scontata la protezione del branco; nonostante la mia indole indipendente, la vita con i compagni al mio fianco era più semplice.
Sam aveva acconsentito alla mia partenza. Questo pensiero mi rassicurava un po’. Sapeva che sarei stato in grado di cavarmela da solo.
Il rumore di carta stropicciata, che proveniva dalle mani nervose di mio padre, mi riscosse dai miei ragionamenti contorti. Billy studiava la cartina con una ruga di preoccupazione sulla fronte. La rigirava di continuo e la colpiva con il suo grosso indice nel punto in cui credeva ci dovessimo dirigere. Sfortunatamente quel punto cambiava ogni volta che ruotava la cartina.
Passarono molte ore prima che riuscissimo a trovare la strada giusta, che si dirigeva verso la costa. Lo sterrato scorreva monotono sotto le ruote del veicolo.
Finalmente vidi un piccolo agglomerato di case. Erano apparse da dietro un fitto pineto e mi scrutavano con aria mansueta. Eravamo arrivati a destinazione.
Il villaggio era molto spartano. Per certi versi assomigliava alla nostra riserva.
Le case erano in legno e tutte guardavano verso la via principale, che peraltro era l’unica strada. Molti attrezzi da pesca pendevano dalle staccionate delle abitazioni e testimoniavano la vivacità degli abitanti del posto. Purtroppo di loro non c’era alcuna traccia. Il villaggio era completamente deserto.
Parcheggiai accanto ad una catasta di reti da pesca abbandonate e non appena fui sceso dall’auto, rimasi colpito dall’odore gradevole che colpì le miei narici. Salso e resina. Aldilà della foresta che circondava il paese doveva esserci il mare. Provai un forte desiderio di correre a vedere la costa. Dovevo trovare il modo di accertarmi se i fiordi erano così belli, come avevo visto dall’aereo.
La voce dura di mio padre mi ricordò che avrei dovuto aiutarlo a scendere dall’automobile e a salire sulla sua carrozzina.
« Billy Black? »
Mi voltai di scatto e vidi un vecchio sull’uscio della casa accanto alle reti abbandonate. La sua barba lunga e incolta e gli occhiali rotondi mi ricordarono le immagini di Mago Merlino, che le mie sorelle mi facevano vedere da piccolo. Mancava soltanto una tunica azzurra e una bacchetta magica. Il vecchio si teneva sulle spalle una coperta consunta e reggeva in mano un fucile, che doveva avere come minimo i suoi anni.
Non riuscii a frenare un sorriso perplesso; se credeva di riuscire a combattere i vampiri con quell’arnese era certamente fuori strada.
« Sono io. Lei deve essere Arnulf Borgen, il capo del villaggio. Questo è mio figlio Jacob Black ».
Merlino abbassò il fucile e ci fece cenno di entrare. La sua abitazione odorava di erbe selvatiche e spezie. M’indicò un divano su cui sedermi e mi mise in mano una tazza di una sostanza liquida sconosciuta. L’odore era buono, ma il mio stomaco aveva bisogno di qualcosa di più solido.
L’intruglio sapeva di muschio e rosmarino, un abbinamento culinario perfetto!
Dopo aver rifilato a mio padre la stessa diavoleria, il vecchio parlò con un inglese stentato.
« In nome dell’alleanza che lega i nostri branchi, vi ringrazio della vostra presenza e vi do il ben venuto ».
Mi chiesi che tipo di alleanza ci legasse, ma non osai rivolgergli la parola. Quell’uomo mi metteva in soggezione, nonostante fosse alto la metà di me e pesasse quasi come un bambino.
« Gli spiriti malvagi non si erano mai spinti così a Nord. Mai avevano osato attaccare un branco intero. Purtroppo i Volturi sono potenti. Hanno occhi e orecchie ovunque ».
Mio padre corrugò le sopraciglia a quelle parole.
« Credevo che nessuno fosse a conoscenza dell’esistenza di questo branco. Mi è stato raccontato dell’avversione dei Volturi verso i lupi mannari del Nord, ma credevo che non sapessero dei mutaforma ».
Anche quel vecchio, come tutto in quella nazione, aveva un nome strano. Arnulf strinse gli occhi e guardò mio padre intensamente.
« Credo che quelli non abbiano capito in cosa siamo diversi dai mannari. Hanno sterminato tutti senza pietà. Alcuni mesi fa sono cominciate le sparizioni. Ogni tanto qualcuno partiva per la pesca in mare e non tornava più. Quando abbiamo capito di cosa si trattasse abbiamo deciso di agire, ma erano in troppi. Sono morti tutti. Ringrazio le Valchirie per aver risparmiato almeno la figlia di Harald. Fortunatamente gli altri non avevano figli, erano giovani. Troppo giovani per averne e per raggiungere il Valhalla! »
Billy parlò a lungo del lutto che li aveva colpiti. Io me ne stavo seduto sul divano e ascoltavo svogliatamente.
Mio padre chiese, dove si trovasse la bambina e Arnulf lo informò che probabilmente si era recata sulla scogliera. Poi il vecchio si rivolse a me.
« Ragazzo. Andresti a recuperarla? Non mi piace che stia fuori di notte e non le fa per niente bene stare da sola ».
Sgranai gli occhi e sperai che Merlino non mi avesse visto. Fuori dalla finestra c’era il Sole. Non avevo idea di che ora fosse, perché il mio cervello era confuso dallo jet lag, ma secondo la luce doveva essere pomeriggio inoltrato. La senescenza doveva avergli offuscato il cervello.
Arnulf ridacchiò e si avvicinò per guardarmi negli occhi. Era alto come me che ero seduto sul divano. Gli occhi grigi, oltre gli occhiali, erano vispi, ma riuscii a scorgere una vena di pazzia all’interno di quelle iridi. Mi scrutavano nell’anima ed ebbi timore che riuscisse a capire ciò che stavo pensando sul suo conto.
« Non sono un vecchio rimbambito! Non ancora. Sono le undici e mezzo di sera. In Norvegia esiste un fenomeno chiamato “Sole di Mezzanotte”, per quasi un mese non cala mai la notte! E ora vai! »
Corsi fuori da quella stanza, seguito dalla profonda risata di mio padre.
Era stato quasi peggiore di quando Cullen mi leggeva nel pensiero, Arnulf era riuscito a capirmi soltanto con uno sguardo.
Quell’uomo anziano emanava un’aura di saggezza e antichità, potevo percepirlo. Incuteva un certo timore reverenziale e sicuramente, quando era nel fiore degli anni, doveva essere stato un capobranco. Mio padre forse non era riuscito a sentirlo, ma le mie orecchie da lupo avevano registrato il tono perentorio con cui mi aveva parlato. Aveva usato un timbro da Alfa. Come fosse riuscito a parlarmi così pur essendo in sembianze umane, rimase un quesito irrisolto. Almeno per il momento.
Decisi di non pensarci e mi gettai tra gli alberi.
I jeans mi davano un senso di oppressione, avevo voglia di trasformarmi e correre libero in quel bosco, ma per quello avrei avuto tempo; dovevo trovare la figlia di Harald e riportarla a casa.
I raggi del Sole filtravano attraverso il fogliame della foresta e creavano disegni oscuri sul terriccio umido del sottobosco. L’aria era fresca e intrisa di odori portati da un pungente venticello. La natura approfittava della breve estate per rinascere e prosperare, regalandomi i suoi profumi.
Indossavo solo una maglietta ma il vento freddo non poteva raggiungermi. Il grande Spirito, per mezzo di Taha Aki, mi aveva donato il calore corporeo, un’arma perfettamente efficace contro le intemperie.
Gli alberi si fecero più radi e l’odore di salsedine si fece più forte. Il mare era vicino.
La foresta s’interruppe e lasciò spazio a una distesa di rocce che, pochi metri davanti ai miei piedi, si gettava a capofitto tra le onde.
Mi spinsi agilmente verso il precipizio e osservai la costa. Rimasi meravigliato dall’immensità del panorama. Il mare blu era calmo, si appoggiava dolcemente sul crinale della scogliera e accompagnava la miriade di insenature che questa disegnava. La roccia nera s’immergeva a tratti liscia e verticale e a tratti frastagliata da grossi massi. Quello che mi colpì di più fu l’altezza di quei capolavori naturali. Per milioni di anni il mare aveva modellato, come uno scultore, il profilo di quella costa e la aveva resa slanciata e perfetta. Il Sole, quel meraviglioso Sole di Mezzanotte che si può osservare solo nel circolo polare artico, illuminava il panorama di colori e chiaroscuri. Era il pittore che donava lucentezza e sfumature alla scultura del mare.
Respirai a pieni polmoni quell’essenza naturale e sorrisi al vento. Il mio cuore si alleggerì di un po’ del suo fardello.
Tra i mille profumi della natura, uno in particolare mi sorprese. Era una fragranza che non avevo mai fiutato prima. Era dolce e selvatica allo stesso tempo. Assomigliava all’essenza delle rose che crescevano spontanee ai margini dei boschi.
Il profumo mi lasciava in bocca un sapore mielato ma pungente, come l’odore della rosa. Estasiante ma ingannevole, fatto apposta per distrarre la preda dalle grosse spine che usava come arma.
Seguii la scia attraverso le rocce irregolari e raggiunsi un’insenatura abbarbicata su un piccolo promontorio.
Fu lì che la trovai.
La fanciulla era seduta con la schiena contro la parete rocciosa e si cingeva le gambe con le braccia, proteggendo il viso dal vento nell’incavo formato tra le ginocchia.
L’esile corpo era coperto da una pelliccia grigiastra e il capo era nascosto dal pesante cappuccio dell’indumento.
Mi avvicinai a lei lentamente, non volevo rischiare di spaventarla. Purtroppo la mia corporatura non mi aiutava ad avere dei movimenti delicati; urtai accidentalmente un sasso, che rotolò fino all’orlo del precipizio cozzando sui suoi simili e creando un gran frastuono.
« Piccolina, non ti spaventare! »
La fanciulla alzò il capo di scatto e si guardò attorno allarmata. Quando voltò il viso verso di me, rimasi senza fiato. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce. (Leonard Cohen)
 

La prima cosa che vidi furono i suoi occhi. Due enormi zaffiri brillavano alla luce del crepuscolo perenne. Le iridi assomigliavano alla superficie di un lago cristallino, sul cui fondo erano sparpagliati i giacimenti della pietra Turchese. Le pagliuzze celesti illuminavano un viso ovale e perfetto. La carnagione pallida risaltava ancor di più gli occhi meravigliosi di quella fanciulla.

I lineamenti delicati non erano quelli di una bambina. Ero di fronte ad una ragazza che ormai aveva superato da un pezzo l’età dell’adolescenza.
 

Mi accorsi che la stavo fissando in maniera troppo insistente e abbassai lo sguardo imbarazzato.
 

Mio padre si era riferito a lei come a una bimba piccola e nella mia mente mi ero creato un’immagine che non corrispondeva alla realtà. Mentre mi ripromettevo di maledire Billy per aver omesso quel piccolo particolare, cercai nella mia mente il nome di quella ragazza che sicuramente mi era stato detto e cui non avevo prestato molta attenzione. Dovevo rimediare alla frase infelice con cui avevo esordito.
 

Per quanto mi fossi sforzato, non riuscii a ricordare come si chiamasse.
 

La ragazza si alzò in piedi con un agile balzo e mi squadrò da capo a piedi.
« Jacob Black, immagino ».
Evidentemente lei possedeva una memoria migliore della mia.
Stava di fronte a me con le braccia conserte e attendeva una risposta. Si era sistemata sopra un grosso masso per potermi guardare dritto negli occhi e sfoggiava uno sguardo fiero e altezzoso.
Osservai meglio il suo viso. Non c’erano segni di sofferenza sulla sua pelle diafana, le labbra sottili erano incurvate in uno strano ghigno. Non era l’espressione che ci si aspetta di vedere sul viso di una persona rimasta improvvisamente orfana.
« Hai intenzione di rimanere lì impalato? Sembri sconvolto ».
Provai a risponderle ma riuscii soltanto a balbettare. Mi sentivo un perfetto idiota. Respirai a fondo e finalmente riuscii a replicare a tono.
« Credevo fossi una bambina. Sono rimasto sorpreso, ma forse non mi sbagliavo del tutto… »
Scosse la testa e le sue labbra si aprirono in una debole risata. « Io me ne torno a casa ».
Mi passò accanto e mi lanciò uno sguardo severo da oltre il cappuccio peloso. Sentii nuovamente quel dolce profumo di rosa. Trovai incredibile che un odore così dolce provenisse da un essere così… acido.
L’aggettivo giusto da attribuire a quella ragazza era “acido”.
La ragazza si mise a correre e sparì nella foresta.
Sentii le mie labbra aprirsi in un lieve sorriso. Quel breve scambio di battute mi aveva divertito.
Mossi velocemente le mie gambe attraverso gli alberi e la raggiunsi in pochi secondi. Rallentai il passo per poterle stare accanto. Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto fosse minuto il suo corpo, il suo viso arrivava a stento al mio petto.
Una domanda continuava a volteggiare nella mia mente, ma non aveva ancora trovato risposta.
« Posso sapere il tuo nome, piccolina? »
Volevo finalmente dare un appellativo a quell’essere tanto particolare.
Non mi guardò, continuò a concentrarsi sul sottobosco davanti a sé, ma disseminò nel vento una parola che non riuscii a cogliere con precisione.
Rikke.
Dalla casa del capo villaggio proveniva un buonissimo odore di carne ai ferri. Mi precipitai dentro precedendola.
Lei entrò e scambiò un paio di parole con Arnulf. Parlarono nella loro lingua e non riuscii a capire ciò che dicevano, ma sicuramente lei fece qualche osservazione su di me, perché Merlino mi guardò e rise, esponendo una dentatura ormai consumata dal tempo.
Quando si tolse il cappuccio della pelliccia, rimasi sconcertato per la seconda volta da quando l’avevo vista, e la conoscevo soltanto da poche decine di minuti.
I suoi capelli si liberarono dall’indumento e scesero sinuosamente fino a posarsi sui suoi fianchi. Erano lunghi e incredibilmente lisci, di una tonalità di biondo che non avevo mai visto nella mia vita. Quella gradazione di colore aveva in sé qualcosa di bianco e meraviglioso che ricordava il colore della corolla delle calle.
Quei capelli così chiari incorniciavano l’ovale pallido del viso e facevano risaltare i suoi occhi, come due gioielli scolpiti nel zaffiro e abbandonati sulla neve.
Quelle iridi così fredde mi riportarono sulla terra, nella cucina di Arnulf. Quegli occhi mi stavano letteralmente fulminando, mi bruciavano in un modo in cui solo il ghiaccio riesce a fare.
Sentii le mie guance avvampare e abbassai di nuovo lo sguardo a terra. Perché non riuscivo a sostenere quello sguardo?
Quella ragazza emanava luce. Splendeva di luce propria come un a stella nel firmamento, e i suoi occhi erano due stelle ancora più belle.
Mio padre entrò dalla porta sul retro, non mi ero nemmeno accorto che non era in cucina.
« Che il Grande Spirito mi fulmini! Sei diventata una donna bellissima! Ovviamente non ti ricordi di me, ma quando sei nata, sono venuto in Norvegia a trovare tuo padre e ti ho stretto con queste grosse braccia! Eri così piccola! »
Cosa diavolo stava facendo mio padre? Il mio morale, che aveva già toccato livelli infimi, sprofondò nell’imbarazzo.
La ragazza non sembrò infastidita dalle sue parole, gli sorrise e gli strinse la mano.
« Non è l’unico a pensare che sia ancora una bambina ».
La frecciatina giunse alle mie orecchie in fiamme e mi pungolò.
Durante la cena Billy e Arnulf parlarono a lungo di ciò che era successo e di come avrebbero dovuto sistemare gli affari in sospeso del clan.
Arnulf menzionò la lettera di Harald e concordò che la ragazza sarebbe stata meglio con Billy. Lui era vecchio e non sarebbe riuscito a prendersene cura. Harald credeva che affidarla a una tribù simile alla loro fosse la cosa migliore per la figlia.
Quando i due menzionarono l’affidamento e la prospettiva di lasciare la Norvegia, il viso della ragazza si turbò e per un momento perse la sua luce.
Per tutto il pasto avevo cercato di concentrarmi sul mio piatto e di non alzare lo sguardo su di lei ma in quel momento mi sentivo come calamitato dalla sua espressione triste.
I suoi occhi incontrarono i miei e mi maledirono di nuovo.
Si alzò da tavola e si congedò.
« La mia casa è quella in fondo alla strada. Billy, ho preparato la stanza degli ospiti, Jacob può dormire sul divano ».
Uscì dalla casa del vecchio e portò con sé l’odore di rose.
« Cosa le hai fatto? Ha appena perso i genitori e tu la infastidisci? » mio padre era furioso. Mi guardava con occhi truci e assassini.
Stavo per giustificarmi e avvertirlo che non mi era apparsa così turbata, ma Arnulf parlò prima di me.
« Billy, non prendertela con il ragazzo. Rikke è sempre stata una ragazza dura. Non sa ancora come affrontare questa situazione e non è abituata a stare con ragazzi estranei al clan. Jacob rappresenta il mondo che dovrà affrontare, quando sarà strappata alla sua terra ».
Mio padre si calmò ma continuò a guardarmi severamente.
Roteai gli occhi e guardai fuori dalla finestra.
Rikke…allora quella parola soffiata nel vento era il suo nome.
Erano le due di notte, ma il Sole era ancora ben visibile all’orizzonte. Mi chiesi se il mio cervello si sarebbe mai abituato a quegli strani ritmi.
Sentii un rombo di motore provenire dalla fine della strada. Le mie orecchie addestrate riconobbero il canto di una vecchia Harley Sportster.
Possibile che quella ragazzina guidasse una moto?
Le mie labbra si curvarono in un ghigno.
Aiutai a mettere a posto le stoviglie e poi sospinsi la carrozzina di mio padre fino alla casa dei Ulvensonn. Era uguale alla casetta di legno di Arnulf, solo più grande e con più stanze.
Non avevo voglia di dormire. Buttai la maglietta sul divano e mi legai i jeans attorno alla caviglia.
La foresta mi aspettava.
Il vento ululava forte tra gli alberi e le mie orecchie animali mi aiutavano a percepire ogni singolo fruscio creato dalle foglie. La musica del bosco ritmava la mia corsa e i profumi degli arbusti riempivano i miei polmoni di aria pulita.
Corsi per ore cercando di svuotare la mia mente, ma il viso di Bella tornava sempre a tormentare i miei pensieri.
Aveva preferito lui, aveva scelto la morte eterna al posto della vita meravigliosa che avrei potuto offrirle.
Una fitta di dolore scosse il mio petto e fui costretto a fermarmi. Il terriccio sotto le mie zampe era umido, brumoso come il mio animo.
Mi ero ritrovato a pensare all’imprinting una miriade di volte. Se fossi stato colpito da quella forza misteriosa, avrei potuto legare a me la mia Bella e renderla incapace di amare chiunque altro. In seguito a quello che era successo, invece, non mi restava che pensare all’imprinting come alla forza che mi avrebbe permesso di dimenticarla.
Il mio cuore sarebbe mai riuscito a guarire? Avrebbe mai distrutto la dura corazza che si era costruito attorno?
Mossi le mie zampe lentamente e raggiunsi una piccola radura. Mi accucciai sul prato e lasciai che il vento mi lisciasse il pelo rossiccio sulla schiena.
I miei occhi furono attratti da un piccolo grappolo di fiorellini che, come me, si lasciavano cullare dalla brezza.
I petali di quei gioielli naturali erano di un blu molto intenso, con delle sfumature celesti sui bordi.
La mia immaginazione corse veloci al mare, alle onde che scrosciavano poco lontano da quella radura. Il suono raggiungeva le mie orecchie, calmo e rilassante. Quell’acqua cristallina era blu come i fiorellini che mi facevano compagnia, celeste come il cielo sereno, azzurra come i due zaffiri che illuminavano il viso di Ricky.
Mi misi seduto, appoggiato sulle zampe anteriori.
Perché mai le mie riflessioni erano volate fino a lei?
Persino i fasci di luce che filtravano dalle fronde mi ricordavano lei e i suoi capelli chiari, quasi bianchi, che possedevano una luminosità incredibile.
Il ritmo del mio cuore aumentò; la testa mi girava. Sentii un rumore sordo, come un tonfo all’altezza del petto. Il sangue pompava potente nelle mie arterie, incrinò la dura corazza che rivestiva il mio muscolo cardiaco fino ad aprirsi un varco in esso.
La crepa era stata aperta. Quella luce era riuscita a farsi strada dentro di me.
Non avevo voluto ammetterlo prima, ma quando si era girata verso di me su quella scogliera, per una frazione di secondo, avevo sperato che la sensazione di vuoto che si era cerata nel mio stomaco fosse proprio l’imprinting che avrebbe cambiato la mia vita.
I battiti incessanti tormentavano le mie tempie, che pulsavano senza pietà.
La mia forma di lupo non era in grado di gestire il turbine di emozioni che mi stava lacerando.
Mutai in forma umana e corsi verso la scogliera. Quella radura aveva cominciato a darmi un senso di claustrofobia insopportabile.
L’immensità del Mar Glaciale Artico riuscì a sedare l’ansia. Sorrisi a quella distesa d’acqua pacifica; quei flutti dovevano essere gelidi, ghiacciati come gli sguardi che Ricky mi aveva rivolto.
Mi diedi dello stupido e ghignai. Ero debitore al mare per avermi fatto capire, che non sarei mai stato capace di gestire una ragazza tanto difficile.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dov'è il dolore, là il suolo è sacro. ( Oscar Wilde)



 

      Dedicai le due settimane che seguirono il mio arrivo al Circolo Polare Artico a perlustrare ogni centimetro della foresta che circondava il villaggio.
Ormai conoscevo ogni radura, ogni sentiero per le scogliere e ogni singolo albero, o almeno credevo.
Di giorno aiutavo mio padre e il vecchio a sistemare il villaggio e di notte mi fiondavo tra gli alberi.
La ragazza si era fatta vedere poco. Sembrava volesse stare lontana da quel villaggio e dai suoi tre abitanti. Arnulf aveva provato a discutere con lei del suo comportamento ma aveva ottenuto soltanto una grossa discussione nella loro lingua natia.
Ogni mattina partiva sulla sua Sportster del ’74 e tornava soltanto a notte fonda, sempre se di notte si poteva parlare. Il Sole di Mezzanotte aveva totalmente sconvolto i miei ritmi vitali. Ormai non capivo più in che periodo della giornata mi trovassi.
Per fortuna il vecchio mi comunicò che il Sole sarebbe tramontato presto. Luglio stava per giungere al termine e la luce, nelle ore notturne si faceva sempre più fioca.
Non tutto ciò che mi disse, mi rallegrò; infatti, il Nord della Norvegia era famoso anche per i suoi lunghi e rigidi inverni, caratterizzati dal fenomeno inverso al Sole di Mezzanotte: la Notte Polare. Dieci mesi di crepuscolo, dieci mesi di neve e ghiaccio.
Anche quella notte mi ritrovai a correre tra gli arbusti del sottobosco.
Quella terra così ostile al mio lato umano costituiva fonte di mistero e gioia per il lupo che si nascondeva dentro di me.
C’era qualcosa di ancestrale e arcano che mi scatenava delle reazioni a livello viscerale; come se il mio corpo riconoscesse la presenza di uno soffio vitale antico e primordiale.
Quel luogo era ricco di contrasti, Sole e Luna si alternavano alla guida della vita a ogni stagione; e di stagioni ce n’erano soltanto due. Estate e inverno, luce e buio.
Anche Ricky nascondeva in sé le stesse contraddizioni della sua terra. Il suo viso donava luce, i suoi occhi ricordavano il riverbero dei lontani bagliori siderali, ma il suo animo era buio. Emanava una strana oscurità.
Le poche volte che ero riuscito posare lo sguardo su di lei avevo notato una piccola fossetta di angoscia che turbava le linee delle sue labbra sottili. Lentamente aveva dismesso quella maschera fiera con cui mi aveva accolto e ne aveva indossata una più umile e triste.
Il vecchio aveva ragione; forse le era servito del tempo per elaborare il suo lutto e stava giungendo allo stadio della consapevole realizzazione.
I miei pensieri furono interrotti da uno strano odore. L’esalazione sapeva di acredine e terriccio…ricordava l’odore della morte.
Fiutai la scia e la seguii fino a un declivio che non avevo mai visto. Gli alberi s’interruppero in maniera non naturale e mi lasciarono scorgere uno scenario terrificante.
Tronchi divelti e rami spezzati giacevano a terra, monconi di grossi alberi troneggiavano inquietanti sul terriccio rosso.
Perché la terra era cremisi? Scesi di più verso quel macabro terrapieno e capii.
Il sangue si era mescolato al fango e aveva tinto tutto di vermiglio. Ero sul luogo, dove era avvenuta la battaglia tra Volturi e lupi. Camminavo sul sangue dei miei simili caduti.
Il pelo sulla mia nuca si rizzò e un ringhio istintivo risuonò nella mia gola.
Tornai sui miei passi. Per la prima volta mi sentii veramente stanco. Volevo allontanarmi da quell’atmosfera macabra, chiudere gli occhi e dimenticare la mia scoperta.
Quando vidi il villaggio in lontananza, mi trasformai e indossai i pantaloni.
Entrai in casa degli Ulvensonn e mi diressi verso la camera degli ospiti. Avevo bisogno di raccontare a mio padre ciò che avevo visto.
« Non c’è. Lui e il vecchio sono andati a Tromsø ».
Mi voltai allarmato e vidi Ricky appoggiata sullo stipite della porta della sua camera. Non mi aspettavo di vederla.
Il mio sguardo interrogativo la spronò a continuare.
« C’è la festa per l’ultima notte di Sole. Eri stato avvisato ».
Mio padre me l’aveva detto il giorno precedente, ma me ne ero completamente scordato. Ultimamente ero molto disorientato.
La giovane mi guardava con un’espressione severa e indagatrice. Cercai di giustificarmi.
« Non è colpa mia se questo maledetto Sole mi confonde le idee! Non so nemmeno che ora è… e poi non ci sei andata neanc… »
« Dove sei stato finora, Jacob? »
Non aveva ascoltato una parola di ciò che avevo detto. Non avevo voglia di discutere, non dopo di ciò che avevo dovuto vedere.
« Non ti riguarda, dove vado ».
Mi voltai verso il corridoio che portava al soggiorno, la mia camera, ma una piccola mano mi bloccò.
La sua pelle diafana creava uno strano contrasto sul mio braccio scuro. Quella mano non era forte, ma trasmetteva una determinazione che m’indusse a fermare il mio corpo.
« Non devi più andare nella foresta ».
Il suo tono di voce era risuonato come un ordine perentorio, e la mia indole non era incline a essere domata, non da lei. La mia risposta fu secca, guidata dal mio fastidio.
« Non parlarmi così. Non ti permettere di dirmi cosa devo fare! »
La sua reazione mi lasciò spiazzato quasi quanto la vista del sangue dei lupi mescolato al fango.
Ricky cominciò a gridare, la sua voce era disperata e aggressiva. Due piccoli pugni bianchi percossero il mio petto.
« Non puoi andarci! Non devi! È pericoloso, gli spiriti malvagi potrebbero attaccarti! Da solo non potresti sopravvivere! » dai suoi occhi colarono grosse gocce, come stelle cadenti dal cielo blu. Forse non si era nemmeno accorta delle sue lacrime, continuava a urlarmi contro frasi sconnesse e a colpirmi.
« Jacob, non potrei sopportare la vista di un altro lupo straziato. Io non… »
Il mio corpo agì d’istinto, trascinato da una forza interiore che nemmeno sapevo di possedere.
Le misi una mano dietro la schiena e la attirai a me, la sollevai da terra e la strinsi forte al petto.
I pugni di Ricky diventarono sempre più deboli, fino a cessare del tutto.
Le sue spalle cominciarono a essere scosse da sussulti sempre più ravvicinati. Quando il suo corpo si lasciò finalmente andare alla disperazione, le sue piccole mani arpionarono i miei pettorali e il suo volto affondò tra il mio collo e la clavicola.
Ogni lacrima era un frammento del muro di dolore, che era elaborato e valicato. L’unico modo per scavalcare un muro di cinta è varcarlo, non serve a nulla girarci attorno. Ricky aveva evitato di pensare al suo lutto per troppo tempo, e in quel momento sciolse tutti i grovigli che si erano attorcigliati attorno al suo cuore.
Camminai fino al suo letto, cercando di non turbare la sacralità della sua sofferenza, e mi distesi sopra le lenzuola, facendola adagiare su di me.
Non so per quanto tempo rimanemmo avvinghiati l’uno all’altra, forse minuti, forse ore, ma rimasi ad ascoltare rapito i suoi singhiozzi, come se stessi ascoltando un antico cantico.
Lentamente, così com’erano cominciati, i sussulti del suo petto si calmarono e Ricky accostò la sua guancia più vicina al mio collo.
Involontariamente la mia mano era finita dietro la sua nuca e la stava cullando dolcemente.
Con una leggera pressione la costrinsi ad alzare il viso e a guardarmi.
Le sue iridi screziate mi guardavano, acquose e rossastre.
Non sapevo cosa dire in un momento così difficile per lei, la cosa migliore probabilmente sarebbe stata non dire nulla, ma non riuscii a stare zitto.
« I vampiri non ci sono più. Ho perlustrato tutta la zona intorno al villaggio ».
Le sue labbra si curvarono in un debole sorriso.
« Ricky, perché ti allontanavi intere giornate da sola, se temevi ci fossero ancora quelle sanguisughe nei paraggi? »
Ciò che mi rispose, mi fece accapponare la pelle.
« Desideravo che mi prendessero. Volevo essere condotta nel Regno di Hel, dove riposano le anime morte senza gloria ».
La sua voce era bassa e ovattata; trasmetteva qualcosa di sacro, al cui cospetto io mi sentivo profano.
« Non vedevo altra soluzione al dolore che mi ero chiusa dentro, ma c’era un modo meno violento per sentirmi meglio ».
I suoi occhi brillarono di nuovo di quella luce siderale, che tanto mi aveva sconcertato.
« Grazie, Jacob ».
Le sorrisi e la strinsi più forte.
Ricky appoggiò la testa sul mio petto e rimase in silenzio.
Io persi la cognizione del tempo e dello spazio e caddi in un sonno profondo.
Era da molto che non riuscivo a rilassarmi così completamente da addormentarmi senza fatica, in maniera del tutto spontanea.
A svegliarmi fu un buonissimo odore di pesce fritto. Mio padre si stava sicuramente dilettando nelle sue ricette preferite.
Ricky non era più distesa sul mio petto e dovetti ammettere la mia delusione quando non la vidi nemmeno accanto a me.
Corsi in cucina, ma non ebbi nemmeno il tempo di salutare, che mio padre m’impartì una sfilza d’istruzioni che mi annebbiò il cervello ancora frastornato dalla dormita.
« Prendi i pesci e portali da Arnulf. Poi torna qui e aiutami con le verdure. Ah, già che ci sei, avvisa Rikke che il pranzo è quasi pronto ».
Le pietanze, preparate da Billy, erano deliziose, e anche i due visi pallidi le apprezzarono molto.
Ricky non alzò mai lo sguardo dal suo piatto. Cercai più volte di incontrare i suoi occhi ma quelli mi sfuggivano sempre. Era come se fosse imbarazzata per qualcosa e non avesse il coraggio di incrociare il mio sguardo.
Non riuscii a capirne il motivo. In fondo non avevamo fatto nulla di sconveniente.
Arnulf interruppe le mie considerazioni annunciando che la settimana successiva avrebbe eseguito un antico rituale vichingo per celebrare la nascita della loro tribù. Non riuscii a cogliere lo strano nome del rituale, ma in me si accese una grande curiosità.
Finito il pranzo, seguii Ricky fuori dalla casa del vecchio; ero intenzionato a parlarle.
« Ehi Ricky! Aspetta. C’è qualcosa che non va? »
Lei si voltò di scatto.
« Per tutti i Tuoni! Potresti evitare di prendermi alle spalle? Comunque il mio nome è Rikke ».
« Già…scusa. Ma non riesco a dirlo» maledetta pronuncia inglese. « Mi chiedevo perché hai evitato il mio sguardo per tutto il pranzo ».
Le sue guance diafane si tinsero di un bellissimo colore rosa, il colore delle rose appena sbocciate.
« Ehm… non ti stavo evitando… solo che non avevo mai dormito con un ragazzo. Ero soltanto un po’ in imbarazzo, tutto qua ».
Mi scappò una risatina di sollievo, che fu subito sedata dalla gelata che mi lanciarono gli occhi di Ricky.
Fortunatamente non era intenzionata a tenermi il muso.
« Ti piacciono le moto? »
« Se mi piacciono? Io le adoro! Era da un po’ che volevo chiederti di provare la tua Harley ».
Ricky mi fece segno di seguirla, la Sportster ci aspettava sul retro di casa Ulvensonn.
Saltai in sella a quella moto storica e accesi il motore. Il suo rombo era come una dolce musica.
Ricky raccolse i lunghissimi capelli in una coda, salì dietro di me e mi circondò la vita con le braccia.
La vecchia Harley era tenuta alla perfezione e le sue prestazioni erano ancora eccellenti. La spinsi al massimo sulla strada per Tromsø e in men che non si dica ci ritrovammo alle porte della città
Decidemmo di fare una passeggiata tra le vie di quella meravigliosa metropoli.
Camminando tra quelle case pittoresche e tra quei magici scenari capii perché la chiamassero la Parigi del Nord.
Passammo davanti ad una chiesa e vidi una coppia di sposi attorniata da una folla di parenti gioiosi.
I miei pensieri corsero immediatamente a Forks. Bella si sarebbe sposata tra qualche settimana.
Evidentemente il mio viso si era incupito, perché Ricky chiese cosa mi stesse succedendo.
Ci accomodammo su una panchina nel parco di fronte alla chiesa e decisi di raccontarle la mia storia.
Avevo bisogno di discutere con qualcuno estraneo alla mia famiglia e al mondo in cui vivevo. Anche se non la conoscevo per niente, c’era qualcosa in lei che mi portò a fidarmi cecamente.
Le raccontai di come Bella ed io ci fossimo ritrovati dopo molti anni che lei era stata lontana da Forks. Di come mi fossi invaghito di lei. Le parlai della sua storia con Edward, del modo in cui l’aveva trattata e di come la avessi sostenuta nel momento del bisogno. Mi ero innamorato di lei e avevo continuato a sperare che scegliesse me fino a che Bella non aveva deciso di sposare lui.
L’unica cosa che non menzionai fu la natura di Cullen. Non sarebbe stato saggio fare sapere a Ricky che conoscevo un vampiro e che questo non fosse morto per mia mano.
La giovane ascoltò tutto con interesse, mi fermava spesso per conoscere più particolari riguardo quella triste faccenda e non giudicò mai le mie azioni o le decisioni di Bella. Più parlavo e più la mia anima si alleggeriva e il mio cuore si liberava dalla sua armatura.
Ritornammo alla moto all’imbrunire. Finalmente il Sole aveva deciso di nascondersi dietro la linea dell’orizzonte e di lasciare spazio alla vera notte.
Il tramonto donò dei riflessi rosa ai capelli di Ricky che mi fecero sorridere.
La ringraziai per la bella giornata e per avermi dato la possibilità di guidare la sua Harley.
« Prego! È stata una giornata di liberazioni per entrambi… »
 
L’antico rituale doveva essere eseguito sulla cima di un promontorio sperduto in mezzo ai fiordi. Il viaggio a piedi fu lungo, partimmo subito dopo pranzo e arrivammo al tramonto.
Arnulf era alla guida della nostra piccola spedizione, io, che trasportavo mio padre sulle spalle, ero in fondo alla fila. La lentezza dei passi del vecchio mi annoiava da morire, e quando persino la vista della foresta mi stancò, posai gli occhi su Ricky, che camminava davanti a me.
Nonostante fosse molto piccola, il suo corpo era snello e slanciato. Le sue gambe, strette in dei bellissimi pantaloni di pelle, lasciavano poco spazio all’immaginazione.
I capelli setosi danzavano sui suoi fianchi sinuosi come spighe di grano mosse dalla brezza.
Mi lasciai cullare da quel panorama fino alla nostra meta.
La formazione di rocce, che creava quel promontorio, era più scura di quelle che lo circondavano. Vicino al precipizio c’era una specie di incudine naturale e a terra giaceva un enorme martello in pietra con il manico scolpito con tante piccole rune.
Adagiai mio padre sopra una coperta e mi accomodai di fronte allo strano altare.
Ricky appoggiò la sua pelliccia, che aveva tenuto in braccio per tutto il tragitto, ai piedi dell’incudine.
Il vecchio, prima di partire, ci aveva pregato di osservare un silenzio assoluto durante il rituale, così non mi azzardai a porre la miriade di domande che mi frullavano per la mente.
Arnulf sollevò il martello e batté tre volte sull’incudine. Quell’enorme battente doveva essere molto pesante, ma il vecchio lo issò senza fatica sopra la sua testa, per poi colpire con una forza sbalorditiva.
Il vecchio parlò in una lingua antica, guardando il mare all’orizzonte. Cantilenava alzando le braccia al cielo. La sua voce era melodiosa e soave.
Ricky cominciò a danzare nel semicerchio che circondava l’incudine di fronte a me.
Muoveva le braccia e i fianchi a ritmo con la melodia, i suoi occhi erano chiusi ma i suoi piedi sapevano esattamente, dove posarsi. I lunghi capelli danzavano insieme a lei, spargendosi nel vento.
I suoi movimenti flessuosi mi affascinarono, la osservai estasiato eseguire quei passi.
Con mio dispiacere il canto terminò e Ricky si accomodò alla destra dell’incudine. Il vecchio posò le sue gracili membra al lato opposto.
Arnulf si rivolse a Ricky, sempre nella sua lingua natia. Lei lo ascoltava con sguardo fiero. Il suo viso diffondeva l’orgoglio di appartenenza a quella tribù, a quel popolo.
Improvvisamente mi ricordai di quando avevo portato Bella a sentire le leggende dei Quileute. Si era addormentata tremante tra le mie braccia, osservando il fuoco; invece Ricky era totalmente rapita da quel rituale perché sentiva il legame con le loro leggende. Le percepiva nelle viscere come io avvertivo le leggende dei Quileute.
Arnulf sorrise a me e a mio padre, ci spiegò che, con il rituale appena compiuto, aveva chiesto la benevolenza del dio Thor, protettore del popolo Vichingo, e aveva benedetto la pelliccia dei genitori di Ricky.
Un brivido mi attraversò le scapole. L’indumento della ragazza era fatto con la pelliccia di due lupi. Sebbene non capissi quella strana usanza, compresi l’affetto e l’orgoglio che animava Ricky quando portava quella pelliccia.
Arnulf accese un piccolo fuoco, alimentandolo con delle erbe profumate e cominciò la sua storia.
 
Molti secoli fa, all’inizio della storia e dei tempi, una violenta guerra civile insanguinava il nostro popolo per il controllo delle terre e dei mari.
La nostra tribù si distingueva per i suoi guerrieri valorosi. Molti dei nostri caduti erano condotti dalle Valchirie nel Valhalla per diventare i guerrieri di Odino.
Le dee scendevano dal cielo in groppa ai loro fidi compagni, i lupi.
Gli animali fiutavano il campo di battaglia, individuavano gli animi dei combattenti degni e aiutavano le Valchirie nel loro compito di nocchieri.
Thrud, figlia di Thor, osservò Sigurd, il capo della nostra tribù mentre combatteva con grande valore gli invasori venuti dal sud. Rimase talmente colpita dal suo valore e dal suo coraggio che s’innamorò perdutamente di lui. Il suo sentimento era talmente forte che Sigurd, quando scendeva in battaglia, si sentiva protetto e sicuro, conscio che qualcuno lo guardava dall’alto.
La Valchiria decise di scendere sulla terra e stare con Sigurd. Non appena si videro lui riconobbe colei che lo amava sopra ogni cosa, vegliando su di lui, e, non riuscendo più a staccarsi da lei, la chiese in sposa.
Thor, adirato dal tradimento della figlia, incatenò il giovane capo tribù all’incudine che troneggia il Promontorio Nero, e la costrinse a ucciderlo con le sue mani.
Thrud eseguì il macabro rituale e poi si tolse la vita sotto lo sguardo impotente del padre, che benedì questo luogo in sua memoria.
Il lupo di Thrud, Eirik, un enorme lupo nero come la notte, rimase accovacciato accanto al corpo dei due amanti per anni, finché di loro non rimase che un mucchio di ossa e polvere.
L’animale dimostrò un attaccamento e un’umanità che commossero Thor. Così, il dio del tuono gli donò la capacità di trasformarsi in uomo.
Eirik tornò al villaggio di Sigurd e visse tra quella gente per moltissimi anni. Tramandò la storia dei due amanti sfortunati e generò molti figli che, come lui, acquisirono la possibilità di mutare forma, fino a creare un’intera tribù di lupi e lupe.
Alcuni secoli dopo, al tempo del capo Birger, quando la terra e il mare divennero ghiaccio perenne, un terribile flagello venne a tormentare le nostre terre.
Esseri malvagi, immortali e bevitori di sangue giunsero da ovest attraverso il ghiaccio e portarono morte e sofferenza.
Il corpo dei guerrieri lupo si dimostrò resistente al punto da poter uccidere quelle creature empie, ma il numero di lupi al villaggio era troppo esiguo per sconfiggere il flagello.
Thor, preoccupato per la sorte del suo popolo, mandò un esercito di guerrieri lupo. Gli animali arrivarono da dove erano giunti gli esseri malvagi.
Erano i guerrieri della tribù Quileute che avevano inseguito i vampiri sfuggiti all’ira del Grande Spirito.
I due clan si unirono in un’alleanza eterna e, insieme, grazie all’esperienza dei Quileute e al coraggio dei Vichinghi, sconfissero i bevitori di sangue.
Birger chiese al capobranco Quileute di tramandare la storia dell’alleanza soltanto di Alfa in Alfa e di capo clan in capo clan. L’esistenza del branco di mutaforma vichingo doveva rimanere un segreto, ma l’alleanza doveva essere ricordata per l’eternità.
« Birger promise lo stesso e oggi, per la prima volta io ho raccontato l’intera storia dell’alleanza ».
Arnulf guardò me e Billy con sguardo solenne.
« Voi siete i discendenti di una grande stirpe di capi clan. Billy, questa storia ti fu tramandata da tuo padre e Jacob », il suo sguardo s’indurì, procurandomi un certo disagio. « Anche tu avresti potuto essere a conoscenza di questo segreto, se solo avessi accettato il tuo destino ».
Ovviamente si riferiva al mio rifiuto di assumere la carica di Alfa nel mio branco, ruolo che mi era sempre spettato di diritto ma che non avevo mai avuto il coraggio di accettare.
Avevo ceduto a Sam il comando e mi ero sottomesso alla sua autorità.
Sotto lo sguardo severo del vecchio, però, cominciai a chiedermi se non fosse giunta l’ora di assumere finalmente le mie responsabilità.
L’atmosfera di quella notte e il racconto delle gesta valorose dei nostri antenati fecero nascere in me un prepotente orgoglio. Il mio istinto ancestrale spintonava il mio animo reticente e lo spronava a mostrare la sua temerarietà.
Ritornammo indietro al buio. Arnulf e Ricky camminavano senza difficoltà tra i grovigli del sottobosco, quasi possedessero la mia stessa vista notturna perfetta.
Il vecchio, che era rimasto in un rispettoso silenzio, per tutto il tragitto, si congedò ed entrò nella sua casetta.
Io portai mio padre nella sua stanza e corsi in cucina per prepararmi qualcosa da mangiare. Avevo una fame da lupo.
Ricky aveva avuto la stessa idea, la trovai accovacciata e intenta a ispezionare la dispensa.
Si rialzò con una scatola di cereali al cioccolato, esattamente quello che avevo in mente di sgranocchiare. Quando mi vide, le sue labbra sottili si aprirono in un sorriso.
Presi due tazze dalla credenza e versai dentro del latte freddo.
Ci accomodammo sul divano, in altre parole il mio letto, e finalmente riuscii a sfamare il mio stomaco vuoto.
« Allora, come ti sono sembrate le leggende del nostro popolo? »
Posai la tazza vuota a terra e le risposi.
« Il racconto di Arnulf mi ha colpito. Le vostre divinità sono così diverse dalle nostre credenze, ma sono rimasto in ascolto, come imbambolato, per tutto il tempo ».
« È una bella storia d’amore. Amore di Thrud per Sigurd, degli dei per il loro popolo ».
Si alzò e raccolse la mia tazza. « Ne vuoi ancora?» e sorrise all’entusiasmo con cui dissi di sì. Quando ritornò dalla cucina, continuò con le sue riflessioni.
« Si narra che l’amore di Thrud fosse stato talmente potente, da impedirle di ascoltare il volere del padre; e il volere di un dio è sicuramente più forte del volere di un uomo che desidera comandare la figlia. Mi piace pensare che l’imprinting che legava i miei genitori avesse un’origine divina, un amore talmente grande da sconfiggere il tempo e la mortalità umana ».
Gli occhi di Ricky brillarono al ricordo dei suoi genitori.
Decisi di farle una domanda personale.
« Potrei sapere come mai tu non sei una lupa? Insomma, nella nostra tribù non ci trasformiamo tutti; nei secoli, molti hanno dimenticato come si fa e solitamente si trasformano soltanto gli uomini. Ma mi sembra di capire che nel villaggio erano tutti dei mutaforma ».
« Sono molti anni che mi faccio la stessa domanda. Tutti i miei amici, arrivati alla pubertà, si sono trasformati. Io no. Mio padre credeva che con il tempo sarei maturata anch’io. Ovviamente non è stato così. È già successo in passato che qualcuno rimanesse in forma umana per tutta la vita. Me ne sono fatta una ragione ».
Tuttavia, i suoi occhi s’intristirono e si abbassarono sul pavimento.
 « Scusa. Sono uno stupido ».
Ricky mi prese delicatamente la mano e mi sorrise.
« Non preoccuparti, Jacob ».
La sua manina, tanto era piccola, si perdeva nel mio palmo enorme. Osservai le nostre dita intrecciate.
« Hai detto che nella tua tribù si trasformano solo gli uomini. Come mai? »
« A dir la verità nel nostro branco c’è una ragazza, Leah. Non sappiamo perché le donne non si trasformino ma lei ha una teoria. Da quando è diventata lupa non ha più le mestruazioni. Crede di essere diventata sterile e per questo è convinta che le donne non debbano trasformarsi, per procreare e far prosperare la tribù ».
Ricky aggrottò le sopracciglia.
« È una teoria abbastanza maschilista, strano che proprio una donna la pensi così ».
Scoppiai a ridere di gusto. Era giunta alla mia stessa conclusione.
« Infatti, secondo me Leah non è nemmeno una donna. È troppo mascolina! »
Due zaffiri glaciali placarono la mia risata immediatamente.
« Devi capirla. Starà soffrendo molto ».
Leah soffriva veramente tanto, non avevo mai parlato con lei del suo problema femminile, ma sapevo benissimo che c’era qualcos’altro a straziarle il cuore. Sam. Sam ed Emily. Mi vergognai di me stesso. Non avrei dovuto prendermi gioco di lei, nonostante i suoi pensieri turbassero l’animo del branco.
« Non credo sia sterile. Ogni lupa del nostro clan ha avuto un figlio: mia madre, le madri dei miei amici…generazioni di lupi nati da lupe. L’assenza delle mestruazioni è normale. Fino a che decidono di rimanere delle mutaforma, la loro mancanza serve a posticipare la menopausa. Se decidessero di rimanere umane e ricominciare a invecchiare quelle ricomparirebbero ».
Rimanemmo a chiacchierare fino alle prime luci dell’alba, quando i primi timidi raggi del Sole bussarono alla finestra del salotto.
La tenue luminescenza illuminò il viso di Ricky per un istante ed io rimasi affascinato da come la sua pelle rifletteva la luce, come se fosse proprio lei a emanarla.
I suoi occhi incontrarono i miei e mi sorrisero, regalandomi un angolo di cielo turchese.
Il mio cuore mancò un paio di battiti; ormai la corazza era stata completamente distrutta dal suo bagliore. 

      

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ascoltateli. I figli della notte... quale dolce musica emettono. (Dracula di Bram Stoker)

 

        Settembre trascorse veloce come una folata di vento. Io e Ricky avevamo approfittato di ogni singolo minuto di luce per guidare la sua moto meravigliosa.
La mia anima diventava ogni giorno più leggera, uno strano sentimento di appagamento infondeva tepore nelle mie membra. Cominciavo a pensare al detto “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” come alla mia filosofia di vita, ma non potevo fare a meno di chiedermi come mi sarei sentito una volta tornato a casa, rivedendo i suoi grandi occhi scuri. Gli occhi di Bella.
Affinché la mia mente non si tormentasse troppo, mi lasciavo coinvolgere volentieri dalla passione che Ricky dimostrava per la sua terra e per le due ruote.
Avevo visitato molte cittadine del Nord della Norvegia, ma all’inizio del mese di ottobre fummo costretti a riporre la moto sotto un telo a causa del freddo e della neve imminente. Anche la luce ormai non sosteneva più le nostre gite. Il Sole non si alzava più di molto oltre l’orizzonte e l’atmosfera era impregnata da un costante crepuscolo.
Le notti a Forks potevano essere molto scure, ma c’erano sempre le stelle a favorire la vista degli abitanti della foresta; in quel villaggio sperduto, invece, la luce siderale non riusciva a raggiungere la terra, lasciandola avvolta dalle tenebre più totali.
Il clima era andato sempre più peggiorando, finché una sera le grosse nuvole nere e dense di neve si decisero a liberare i fiocchi dalla loro prigione celeste.
Quella notte, mentre la tempesta di neve infuriava sulla Norvegia, feci uno strano sogno.

 

 
Una bufera di neve infuriava sulla natura morta della foresta e Ricky camminava tra i turbini di quella tormenta. Io la osservavo da lontano, nascosto tra gli alberi.
La giovane alzò il viso, incorniciato dal cappuccio della sua pelliccia e quando i suoi occhi incontrarono il cielo, le nuvole si aprirono lasciando spazio a un’immensa Luna piena.

 

Ricky scrutava rapita il satellite rotondo e piangeva, un pianto silenzioso ma disperato; io volevo avvicinarmi a lei per guardare insieme il cielo, per consolarla, ma una forza sconosciuta m’impediva di raggiungerla. A ogni mio passo, la sua figura si allontanava da me e il suo corpo diventava sempre più trascendentale. Preso dal panico, cominciai a correre, ma Ricky sparì del tutto, lasciandomi solo in quella distesa di neve.
 
Mi svegliai sul mio divano. Ero sudato e terrorizzato. Mi misi a sedere e mi tolsi dagli occhi i capelli neri, che ormai mi arrivavano alle spalle.

 

La sensazione di panico che mi tormentava lo stomaco non voleva abbandonarmi, si era arpionata alla mia angoscia come un tremendo parassita.
Mi alzai e mi diressi verso la camera di Ricky; se qualcuno mi avesse visto, sarei stato preso per stupido o, peggio, per un maniaco, ma dovevo assicurarmi che lei fosse sana e salva nel suo letto.
La porta della sua stanza era aperta. La mia vista mi aiutò a mettere a fuoco la figura del letto nella penombra. Scrutai meglio tra quelle coperte e quando le trovai vuote, il mio cuore si bloccò. Cominciai a sudare freddo, riuscivo a percepire che c’era qualcosa di sbagliato in tutta quella storia. Qualcosa non andava.
Mi precipitai fuori dalla casa e senza pensarci su mi trasformai. I pantaloni con cui dormivo si distrussero con un rumore secco, sparpagliandosi nella foresta.

 

Corsi a perdifiato senza una meta precisa, non riuscivo a pensare lucidamente.
La parte razionale del mio cervello riuscì a imporsi sul panico, se fosse successo qualcosa a Ricky a causa della mia stupidità, non me lo sarei mai perdonato.
Ricordai a me stesso che c’era un modo infallibile per trovarla: il mio fiuto. Nell’angoscia ero riuscito a dimenticarmi anche quest’aspetto basilare del mio essere lupo. Non mi ero nemmeno accorto che la neve aveva smesso di cadere; era adagiata placidamente sul terreno.
Ritornai sui miei passi e cercai il suo profumo. Continuavo a sperare che la tormenta non avesse coperto il suo odore.

 

Finalmente trovai la scia profumata di rose, che Ricky si lasciava sempre alle spalle. La seguii, ma più m’immergevo nel buio della foresta, più quella traccia diventava difficile da seguire. Un altro odore si sovrapponeva alla deliziosa essenza di rose, una scia selvaggia e animalesca. Riconobbi l’aroma che solitamente noi lupi emanavamo nell’aria, ma in quello c’era qualcosa di più selvaggio e duro.
 

Un campanello d’allarme istintivo mi raddrizzò i peli sulla schiena. La paura ricominciò ad attorcigliarmi lo stomaco.
 

Ormai ero sicuro che Ricky fosse in pericolo.
 

Correvo. A quel punto inseguivo soltanto l’olezzo di cane, perché le rose non si sentivano più.
Continuavo a ripetermi nella testa che non sarebbe dovuto succederle nulla, salvarla era un obbligo.
Gli alberi sfrecciavano accanto a me a velocità folle, finché la scia mi portò da lei.
La vidi appoggiata al tronco di un albero, gli occhi erano aperti, spalancati, terrorizzati e le sue labbra erano contratte in una smorfia di dolore. L’odore del suo sangue arricciò le mie narici.
Il suo sguardo era fisso su qualcosa, scrutava il buio di fronte a lei con incertezza.
Distinsi chiaramente tra gli alberi due occhi grossi e ferini, gialli e iniettati di sangue.
L’enorme figura barcollò fuori dall’oscurità e si mosse verso Ricky.
Non avevo mai visto una creatura tanto spaventosa.
Il cranio enorme aveva le sembianze di quello di un lupo; la sua schiena, più umana che animale, era ricoperta di peli scuri. Il resto del corpo sembrava umanoide, eccetto le grandi zampe artigliate al posto delle mani. Pareva sospeso tra le due forme, imprigionato in una trasformazione mal riuscita.
Era un lupo mannaro. Non un mutaforma, ma un vero e proprio licantropo.
I muscoli della bestia guizzarono sotto la scura peluria, Ricky chiuse gli occhi ed io mi fiondai in mezzo tra la preda e il cacciatore, proprio mentre questo sferrava il suo attacco mortale.
Spinsi di lato il licantropo con tutto il corpo. Era rimasto troppo affascinato dalla sua preda e non si era accorto né mia presenza, né del mio balzo. L’animale cadde a terra rovinosamente.
Ricky era ancora addossata al tronco e guardava la scena con gli occhi sbarrati. Si reggeva il braccio nel punto in cui gli artigli avevano lacerato la pelliccia e la carne. Un grosso livido disturbava i lineamenti gentili del suo volto.
La vista del suo corpo percosso e indifeso permise che una rabbia animale invadesse ogni tessuto e ogni vena del mio corpo.
Prima che il licantropo riuscisse a rialzarsi, mi avventai su di lui e cominciai a mordere e a lacerare con furia. Strappavo ogni centimetro di carne che trovavo ancora intatto.
I suoi artigli graffiavano il mio ventre, ma la mia furia ceca mi impediva di sentire il dolore.
Infine riuscii a mordere la giugulare, il sangue fluì caldo tra le mie fauci. La creatura ebbe gli ultimi spasmi e poi ci fu il silenzio.
Mi voltai adagio verso Ricky. Le sue meravigliose iridi azzurre erano ancora spaventate. Mi avvicinai lentamente e mi accucciai a poca distanza da lei.
Sentivo chiaramente i battiti accelerati del suo cuore, probabilmente la sua mente non era ancora riuscita a concepire di essere in salvo. Cercai di appiattire le orecchie sulla testa e assumere una postura remissiva.
I suoi occhi assenti percorsero il lupo che aveva di fronte e poi si posarono sui miei. Per alcuni istanti continuò a fissarmi con gli occhi atterriti, ma poi avvicinò lentamente una mano al mio muso e mi accarezzò delicatamente le orecchie.
Vidi la sorpresa illuminarle il viso, assieme ad un meraviglioso sorriso.
Un sorriso sincero e di gratitudine. Mi aveva riconosciuto.
« Jake… »
Il mio nome, pronunciato da quella voce così soave, si librò nella foresta come un fiocco di neve soffice.
Il corpo teso di Ricky finalmente si rilassò, le sue gambe cedettero e la sua schiena strisciò sul tronco fino a toccare terra. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con la pelliccia e chiuse gli occhi. Notai che il suo corpo era scosso da lunghi brividi.
Accostai il mio corpo animale al suo e cercai di riscaldarla un po’ con il mio pelo, anche se il tremore era più probabilmente dovuto alla paura che al gelo.
Le sue dita sottili percorsero le lunghe strisce di sangue che fasciavano il mio ventre, il contatto con le mie ferite le corrugò la fronte, ma appena capì che sotto quel sangue la lesione ormai era rimarginata, la preoccupazione abbandonò il suo viso.
Le sue mani continuarono ad accarezzarmi ed io mi lasciavo cullare. In quel momento provai sensazioni nuove, strane. Mi sentivo leggero e appagato, come se fossi esattamente nel luogo in cui ero destinato a essere… al suo fianco.
Da molto tempo non mi capitava di essere così spensierato e felice.
Sì, ero felice. Più felice di quanto non ero mai stato in quella terra meravigliosa che stavo pian piano scoprendo. Finalmente il mio cuore riusciva a stare lontano dall’immagine di Bella.
Osservai il viso di Ricky; i suoi lineamenti erano stranamente dolci e apprezzai molto quel lato del suo carattere che mi aveva nascosto fino a quel momento.
Era una creatura ricca di contraddizioni, dura e gentile, ma pur sempre meravigliosa.
Quella notte avevo rischiato di perderla e mi resi conto che non averla più accanto non era una possibilità che la mia mente avrebbe potuto accettare.
Improvvisamente mi ricordai delle sue ferite e guardai le sue braccia e i lividi sulla sua guancia, ma lei non sembrava accorgersi del dolore, il suo sguardo era stato rapito da qualcosa nel cielo.
Alzai gli occhi e vidi una bellissima Luna piena; il cielo, ormai liberato dai nuvoloni densi di neve, creava un’atmosfera limpida e suggestiva.
Si poteva vedere ogni singolo cratere, ogni bizzarro rilievo del nostro satellite.
Il mio istinto prese il sopravvento e comincia a cantare alla Luna; lunghi ululati risuonarono nella foresta creando un lamento romantico.
Avevo gli occhi chiusi ma riuscii a percepire il sorriso che il mio canto procurò alla ragazza che sedeva al mio fianco.
Ricordai la mia infanzia, di come mi fosse sempre piaciuto stare a osservare le stelle e la Luna che inscenavano il loro eterno viaggio nel teatro del cielo. Prima di scoprire le leggende sulla mia tribù, prima di diventare un lupo, ero già affascinato dallo strano sentimento di nostalgia che la vista della Luna provoca nell’animo degli esseri viventi.
Essere un lupo mi permetteva finalmente di omaggiare il piccolo pianeta grigio con le melodie più idonee; scalavo le note della natura in un crescendo di suoni e la mia gola risuonava di felicità.
Quando la mia natura animale fu finalmente soddisfatta, feci salire Ricky sulla mia schiena e la riportai a casa.
«Aspetta qui», mi disse mentre spariva oltre all’ingesso della sua casa.
Uscì pochi minuti dopo con un paio dei miei pantaloni.
« Era esattamente quello che ti serviva… » non era una domanda e lo disse con un ghigno di fierezza.
Contraddizioni…
Tornò in casa ed io mi trasformai.
Cercai di non far rumore, perché se Billy avesse scoperto la scappatella notturna di Ricky e le sue ferite, sarebbe andato su tutte le furie ed io avevo bisogno di pensare a come raccontargli ciò che era successo.
Non era il racconto della battaglia che mi metteva in difficoltà, ma ciò che avevo sognato. Lo strano segno che il mio corpo, o la mia mente mi aveva voluto dare.
Perché quel sogno premonitore mi aveva avvertito che Ricky era in pericolo?
Era come se una strana connessione unisse le nostre vite. Alcuni avrebbero parlato di destino, di quella forza sovrannaturale che intrecciava le esistenze degli umani; alcuni, invece, avrebbero parlato di fortuna, ma percepivo che c’era qualcosa di più concreto a legarmi a Ricky.
Decisi di rimandare le mie riflessioni.
Ricky era in cucina, si stava detergendo i tagli sulle braccia con il disinfettante.
Non pensai nemmeno alle mie azioni ma corsi ad abbracciarla. La strinsi talmente forte da procurarle un gemito di dolore che mi costrinse a chiedere scusa.
« Ho avuto paura di perderti ».
I suoi occhi, o meglio, i suoi zaffiri brillarono per me.
« Grazie Jacob, senza di te sarei… »
« No! Non dirlo! Ormai e passato, però devi spiegarmi cosa ci facevi di notte, da sola in quella foresta ».
Ricky sospirò e mi disse che prima doveva darsi una sistemata. Per fare più in fretta la aiutai a ripulire la pelliccia e le procurai una borsa con del ghiaccio per i lividi.
Ci sedemmo al tavolo della cucina con due grosse tazze di latte ai cereali.
« Mi è successa una cosa strana, mi sono svegliata nel cuore della notte con una sensazione di nostalgia nel petto. Il mio corpo smaniava di camminare tra gli alberi, di posare i piedi sulla neve soffice, appena caduta. Volevo vedere la Luna piena ».
« Sei impazzita? Insomma ti senti bene? » era pur sempre la figlia di due lupi, ma gli umani non stanno svegli la notte per guardare la Luna, o almeno generalmente. Per qualche strano motivo condivideva la mia stessa, particolare passione.
Mi rimproverò con lo sguardo.
« Sto bene, ma il mio corpo ha agito d’istinto, non lo so, non ho saputo resistere. Così sono uscita e sono corsa nella foresta. Ho inseguito il cielo nascosto dalle nuvole, fino a che non ho trovato uno spicchio di sereno. La Luna era così bella, mi sono imbambolata a guardarla, ma quel mannaro deve aver seguito il mio odore, come sicuramente hai fatto anche tu e mi ha trovato e… » strinse i pugni sul pelo della pelliccia a lei tanto cara e abbassò lo sguardo, le mie mani andarono immediatamente a coprire le sue per confortarla.
« Mi ha attaccato. Mi ha colto alla sprovvista, ho tentato di fuggire ma era inutile. Era troppo veloce. Ho corso fino allo sfinimento, poi ho dovuto appoggiarmi a un tronco e respirare. Il resto lo sai ».
Mi sorrise ancora e come ogni volta, il mio cuore perse alcuni battiti.
« Jacob, io… ti devo la vita. Sei un ragazzo meraviglioso. Sei dolce e altruista e… mi sto affezionando a te… »
Il cuore si risvegliò e fece le capriole. Sentii le mie guance avvampare.
« Ti ho già detto che non devi preoccuparti. Non avrei potuto lasciarti nei guai, mi sono spaventato a morte » poi l’imbarazzo mi fece pronunciare una frase totalmente idiota. Il mio cervello pensò: ”anch’io mi sono affezionato a te… ”, ma la mia boccaccia disse:
« Sai, ti preferisco quando non sei scorbutica come al solito ».
Ricky si alzò da tavola e mi sputò in faccia una frase in norvegese che non capii, ma dal tono, era sicuramente un insulto.
La guardai mentre si allontanava dalla cucina e mi lasciava solo. Il suo lato irascibile era uscito nuovamente allo scoperto.
Contraddizioni…
Eppure quel carattere così complicato non mi era nuovo. C’era qualcun altro, qualcuno che conoscevo alla perfezione che si comportava alla stessa maniera, una persona gentile e tranquilla, ma che si faceva spesso sopraffare dalla rabbia; ed ebbi un po’ di difficoltà ad ammettere che quella persona era proprio Jacob Black.

        

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Su le Nordiche nevi ella già sparge le sue rose l'Aurora. (Vincenzo Monti)

 


Il crepuscolo perenne regnava incontrastato sulla terra fredda e sui fiordi bagnati dal mare nero ormai cristallizzato. Il tempo scorreva lento e immutato per il Circolo Polare Artico e le sue creature. Soltanto per me gli istanti si susseguivano rapidamente in una corsa mozzafiato.

Senza che me ne accorgessi, arrivò novembre e anche lui corse via.
Quella mattina guardavo il mare, il mio sguardo volava sulle piccole imperfezioni della crosta ghiacciata. La mia vista, sebbene fosse acutissima, non riusciva a raggiungere la linea dell’orizzonte. Il mare e il cielo erano fusi assieme da una particolare saldatura grigia fatta di nebbia.
Udii dei fruscii alle mie spalle e riconobbi il passo sicuro di Ricky. Mi voltai rivolgendole un sorriso, ma rimasi turbato nel vedere la sua espressione contrita.
« Che succede? »
Si accomodò su un masso accanto a me e fissò la distesa di ghiaccio, prima di posare i suoi occhi sul mio viso.
« Vorrei chiederti un favore… »
La spronai a continuare.
« Mi accompagneresti sulle distese di ghiaccio a Nord? »
La sua richiesta era alquanto insolita, giacché era stata lei a spiegarmi che d’inverno non ci si poteva allontanare troppo dal villaggio.
Vide il rifiuto dipingersi sul mio volto, ma non mi lasciò argomentare i miei dubbi.
«Ogni anno in questo giorno i miei genitori mi portavano a Nord e insieme attendevamo la mezzanotte per festeggiare il mio compleanno».
« Ma è pericoloso! Potremmo imbatterci in altri mannari… »
« Non essere sciocco Jake! I licantropi sono solitari ».
Le mie sopracciglia si aggrottarono, percepii chiaramente la tensione sulla mia fronte.
« Non ti è mai venuto in mente di raccontarmelo prima che perlustrassi tutta la zona per mesi? »
Ricky mi regalò una risata cristallina.
« Così ti tieni in forma! Anche se devo ammettere che quegli addominali non han bisogno di altre cure… »
Le mie guance avvamparono e cercai di nascondere parzialmente il viso, puntando lo sguardo a terra, ma il mio orgoglio maschile m’impedì di farlo.
Le sorrisi e mi sentii lusingato per quel complimento; in fondo andavo fiero del mio fisico e sapevo che doveva fare un certo effetto sulle ragazze.
Poi la mia mente fu riportata sulla terra da un’improvvisa illuminazione.
« Aspetta, oggi è il tuo compleanno? »
Quanto potevo essere stupido? Evidentemente non c’era un limite alla mia sconfinata dote di dimenticare le cose.
« Domani. Il 22 novembre » si alzò e mi porse la mano bianca. « Allora mi ci porti? Andrei da sola se non mi servisse un mezzo di trasporto più veloce del vento... e se può convincerti, tuo padre e Arnulf lo sanno ».
Quell’ultima affermazione mi aiutò a decidere, anche se non avrei mai saputo dire no allo sguardo determinato con cui Ricky mi fronteggiava.
Corsi tra gli alberi e poi tornai da lei con le sembianze di un enorme lupo rossiccio.
Correre con il suo corpo sulla schiena era una sensazione meravigliosa, stringeva le mani attorno al mio collo e teneva la testa appoggiata tra le mie grandi scapole.
Il ghiaccio e la neve si alternavano sotto le mie zampe mentre mi dirigevo a Nord. Sentivo i miei muscoli reagire alle sollecitazioni del terreno in maniera flessuosa e naturale; allo stesso modo il corpo di Ricky si adattava ai miei movimenti. Era come se un unico organismo si muovesse all’unisono, mosso da un meccanismo vecchio quanto il mondo.
La strana connessione, che percepivo tra me e Ricky, era rimasta un mistero; avevo cercato una risposta nel vecchio Arnulf, ma avevo ottenuto soltanto una frase criptica che non avevo capito.
“Le anime affini si prendono e si salvano”.
Anche in quel momento, mentre mi accarezzava un orecchio, percepivo la sua felicità, come se le nostre anime fossero unite.
Il paesaggio boschivo lasciò lentamente spazio a una sconfinata distesa di ghiaccio, che si confondeva con l’orizzonte lontano.
Corsi per ore su quella superficie cristallina, finché un leggero strattone ai peli del mio collo non mi fece capire che eravamo giunti alla meta.
Ricky balzò giù dalla mia schiena e mi porse i pantaloni che le avevo affidato. Si voltò e mi lasciò il tempo di ritornare umano e rivestirmi.
Avvicinandomi a lei notai il profondo strappo sulla pelliccia che indossava e, scosso dal ricordo ancora vivido delle sue ferite, accarezzai la sua schiena nel punto in cui le unghie del licantropo avevano lacerato l’indumento.
Sussultò per quel contatto improvviso, ma non si sottrasse alle mie carezze.
Il mio sguardo vagò sull’immensità di quella lastra di ghiaccio, attorno a noi non c’era nulla, soltanto cielo e neve rappresa, avvolti nella costante penombra.
« Perché hai scelto questo posto? Non c’è nulla da vedere ».
Ricky volto la testa di lato per potermi guardare, regalandomi uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
« Lo scoprirai tra poco, Jake. Conosci la storia delle Valchirie? »
Strinsi le palpebre, dubbioso.
« Sì, credo di sì, sono le serve di Odino. Incaricate di trovare gli spiriti dei guerrieri più coraggiosi; ma questo che cosa centra ora? »
Le sue spalle ruotarono e mi fissò dritto negli occhi. Il suo piccolo corpo era di fronte a me e i suoi occhi mi guardavano con estrema serietà.
« Gli antichi Vichinghi narrano che le Valchirie, perennemente in viaggio nella volta celeste, in un particolare periodo dell’anno, si facciano vedere nei cieli del Nord. Le loro scintillanti armature e le briglie dorate dei loro lupi creano uno spettacolo di luci e suoni soavi. La luce del Nord sorgerà presto su questa landa desolata. Per questo ogni anno i miei genitori mi portavano qui. Sono nata il primo giorno dell’anno, in cui è possibile scorgere l’Aurora ».
Improvvisamente l’oscurità che ci circondava fu rischiarata da uno strano bagliore verdognolo. Istintivamente alzai lo sguardo a cielo e rimasi stupefatto dallo spettacolo che si apriva davanti ai miei occhi.
Lunghi fasci di luce verde dondolavano in contrasto con il cielo buio che li sovrastava.
I magnifici bagliori sembravano quasi possedere un corpo solido, fluttuavano nell’aria come nastri accarezzati dal vento e mentre si allontanavano verso l’orizzonte, si coloravano di tinte più vivaci, a tratti dorate e a tratti vermiglie.
La meraviglia che quella terra selvaggia suscitava in me mi lasciava senza fiato.
La Luce del Nord spargeva i suoi raggi come petali soffici, i petali di una rosa screziata di mille colori.
Sentii Ricky sospirare, abbassai gli occhi e vidi il suo volto rivolto verso il cielo, un po’ più in basso del mio petto.
Una strana malinconia piegava le sue labbra in un sorriso, la luce verde donava riflessi smeraldini alle acque cristalline nelle sue iridi.
I suoi capelli erano cullati da una brezza leggera e si spargevano al vento; sembravano danzare a ritmo del lieve suono metallico che l’Aurora creava con i suoi nastri di rame.
Il suo viso, illuminato da quella luminescenza, era ancora più bello. Le mie mani erano attratte dal candore di quella pelle sfolgorante, il mio corpo fremeva all’idea di attirare a sé la sua figura tanto fragile. La mia anima voleva fondersi con la sua e ondeggiare nel cielo come l’aurora. Volevo inebriarmi del suo profumo di rose fresche.
La sua voce melodiosa, in armonia con il silenzio che ci aveva accolti, raggiunse i miei sensi come una dolce carezza.
« Non ti ho chiesto di venire soltanto per rivedere il luogo in cui ho passato momenti meravigliosi con i miei genitori », si morse il labbro inferiore. « Volevo stare sola con te. Sento di provare qualcosa per te dal primo momento in cui ti ho visto, ma te lo dico solo ora perché non ne ero sicura e non volevo darti un’impressione sbagliata… »
Le sue labbra sottili ma piene si schiusero per attrarre l’aria gelida; come un petalo che si libera dalla corolla, il suo labbro inferiore rivelò la sua rotondità perfetta.
La vista di quel capolavoro naturale mi sedusse e non la lasciai terminare la sua confessione.
Con un braccio le cinsi la vita e la sollevai da terra, con l’altro le accarezzai una guancia.
I suoi occhi, color cobalto, prima rivolti verso il cielo, si posarono nei miei grandi occhi scuri, poco prima che le nostre labbra si sfiorassero.
Un debole gemito di sorpresa proruppe dalla sua bocca alla mia, ma fu subito soffocato dalla mia voglia di cogliere quella rosa appena sbocciata.
Le sue mani cinsero delicatamente le mie spalle e poi risalirono, accarezzando la mia pelle ambrata, fino alle mie guancie, dove si fermarono saldamente, come a impedirmi di fuggire da lei.
Le nostre bocche si rincorsero, prima lentamente, poi, quando anche le nostre lingue s’incontrarono, cominciarono a inseguirsi con più determinazione.
Le mie labbra si muovevano voraci sulle sue, erano bramose di conoscere ogni centimetro di quella morbida superficie.
La mia anima, colpita da una miriade di scintille di piacere, percepiva chiaramente la serenità che si sprigionava da Ricky.
Per quanto bizzarro potesse sembrarmi, era come se le nostre anime si fossero fuse veramente e provassero gli stessi sentimenti. Era come se potessi leggere nella sua mente e sfogliare le pagine rosee delle sue emozioni. E quelle emozioni si susseguirono nelle nostre menti in un turbinio di luci e colori.
Ricky si staccò da me e subito l’aria gelida rimarcò l’assenza delle sue labbra sulle mie.
La delusione per il suo allontanamento fu presto eclissata dalla luminosità dei suoi occhi, mentre mi guardavano, dolci e languidi.
La riappoggiai delicatamente a terra e strinsi forte al mio petto il suo capo. Accarezzai a lungo i suoi capelli setosi e morbidi, cullando la mia mano con i brividi che mi procurava quel contatto.
L’aurora vegliò su di noi e sul nostro abbraccio per tutta la notte, continuò a brillare nel cielo anche quando ci avviammo verso il villaggio e avrebbe continuato a brillare fino all’avvento del nuovo anno.
Mentre mi fiondavo nuovamente nel fitto della foresta, l’atmosfera divenne improvvisamente più cupa, a causa delle ombre degli alberi che scurivano ancora di più il crepuscolo che aleggiava al posto delle rime luci dell’alba.
Anche il mio animo ricevette un duro scossone. I pensieri felici che mi avevano accompagnato fino a quel punto lasciarono spazio a un dubbio insidioso.
Le mie riflessioni corsero veloci al futuro, alla possibilità che un giorno una ragazza avrebbe potuto scatenare in me l’imprinting, alla possibilità di far soffrire chiunque si trovasse al mio fianco in quel momento.
 Dopo Bella, mi sto affezionando a un’altra ragazza con cui potrò stare soltanto fino a che non sarò colpito dall’imprinting. Se soltanto fosse successo con Bella…
Un dolore alla scapola destra spezzò il mio pensiero. La mano di Ricky si era arpionata saldamente al mio pelo, provocandomi un’improvvisa fitta.
Scacciai il pensiero di Bella dalla mia mente, perché non volevo rovinare quella nottata stupenda con i miei tristi ricordi.
Arrivati nei pressi del villaggio, mi fermai per trasformarmi, volevo passeggiare con Ricky fino a casa Ulvensonn.
Lei balzò giù dalla mia schiena e s’incamminò senza aspettarmi.
Quando la raggiunsi, provai a porgerle la mia mano ma fui costretto a lasciarla cadere nel vuoto. Decisi di lasciar stare, forse si sentiva in imbarazzo, come quando avevamo dormito assieme.
Quando vidi le sagome scure delle case disabitate, la bloccai, incapace di starle lontano e cercai di abbracciarla per alleviare un po’ il senso d’imbarazzo che la attanagliava. La sua reazione, purtroppo, mi lasciò senza parole.
« No, lasciami stare. Vado a dormire » e sgusciò via dal mio abbraccio, lasciandomi con le braccia a mezz’aria e un’espressione ebete sulla faccia.
Ho forse già iniziato a farle del male?Com’è possibile… eppure c’è qualcosa che la turba in me. Forse anche lei è giunta alla triste conclusione che la nostra storia, non ancora nata, è destinata a morire.  Accidenti a te Jacob Black. Se soltanto avessi avuto l’imprinting con Bella non avrei avuto l’occasione di far soffrire Ricky.
Ma quel pensiero, in quel momento, risuonò distorto nella mia mente, come una nota stridente in una melodia armoniosa.
Perché mai sarei potuto stare meglio, avendo l’imprinting con Bella?
Al pensiero degli occhi cristallini e sinceri di Ricky, la vita che avevo immaginato con Bella si era improvvisamente appannata e aveva assunto tinte più sfocate, come un dipinto colpito da una secchiata d’acqua trasparente.
Forse, dopotutto sarebbe stato meglio essere legato per sempre a Ricky, trascinato dalla forza invincibile dell’amore che i lupi possono provare.
Ricky è una ragazza meravigliosa, ha sempre detto tutto ciò che pensava senza nascondere nulla, né sentimenti né cose negative. Bella mi ha illuso, Ricky non ha mai cercato di stare con me, fino ad oggi. Fino a che non ha capito di provare qualcosa per me. Non sono il suo ripiego, non sono solo l’amico con cui piangere. Il rapporto di confidenza è reciproco, posso trovare conforto in lei, non dolore. Ha saputo essermi amica senza usarmi. La credevo più misteriosa ma conoscendola ho capito. Vive la vita con una trasparenza e una genuinità difficile da trovare nelle persone. Perché l’ho lasciata fuggire? Perché non ho capito prima cosa provo per lei? Sono uno stupido.
Fermai il flusso della mia coscienza e corsi al villaggio. Mio padre e Arnulf stavano raccogliendo le grandi reti da pesca ghiacciate che riposavano vicino alla casa del capo clan, e le gettavano in enormi sacchi neri.
Discutevano sulle ultime faccende da sistemare al villaggio e udii Billy annunciare la nostra partenza. Voleva essere a casa prima della fine dell’anno.
Vedere gettati via gli strumenti della vita di ogni giorno di chi aveva dimorato in quel villaggio, mi provocò un segno di disagio.
Il clan, il villaggio e la mia vita in Norvegia erano finiti. La parola “fine” minacciava la mia esistenza come una ghigliottina sulla gola di un condannato.
Cercai Ricky ovunque, ma non la trovai.
« Ragazzo! » Arnulf mi chiamò con la sua mano adunca.
« Se cerchi Rikke… è appena andata sulla costa a Sud ».
Biascicai un “grazie” nervoso e corsi verso i fiordi, con una sensazione di panico che mi attanagliava le viscere. 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Come corpo ognuno è singolo, come anima mai. (Hermann Hesse)

 

 

Il cielo si era coperto di un denso strato di nuvole. Lampi minacciosi saettavano tra i nembi. Scesi agilmente tutta la costa, verso Sud, alla cieca, finché una scia profumata non m’indicò la via.
Seguendo le rose trovai Ricky.
Era accovacciata sulle rocce, rannicchiata nella sua pelliccia per proteggersi dal vento furioso che imperversava sui fiordi.
Mi avvicinai lentamente, ad ogni passo il mio cuore rombava sempre più prepotente nei miei timpani.
Non feci in tempo a raggiungerla che lei si voltò, fronteggiandomi con uno sguardo severo. Le sue labbra erano ornate da una piccola fossetta di angoscia.
Provai a parlare con un tono sicuro, ma la mia voce uscì flebile e incerta. Il ruggito del vento sovrastò le mie parole, costringendomi a urlare.
« Perché sei scappata così? » un tonfo nelle mie orecchie mi annebbiò la vista, temevo la sua risposta.
I suoi occhi rotearono verso il cielo ostile e poi scrutarono i miei, erano accesi da una strana ira, ma potevo scorgere della tristezza tra quel mare blu.
« A cosa pensavi mentre correvi verso casa? » le sue mani si chiusero a pugno, come se cercassero in se stesse un appiglio, al quale aggrapparsi per non scivolare nella tristezza.
Non seppi cosa rispondere. Si era accorta che i miei pensieri erano corsi lontano da lei.
« Rispondimi! O sei troppo codardo per ammetterlo? »
Allargai le braccia. « Per ammettere cosa? »
« Che sei ancora innamorato di Isabella e che avresti voluto avere l’imprinting con lei! »
I tremiti della rabbia scuotevano il suo corpo di porcellana e rischiavano di mandarlo in mille pezzi, come una bambola rotta.
La mia bocca si aprì per lo stupore. Alzai le mani in un gesto di giustificazione e scossi la testa. Il mio non voleva essere un diniego, stavo soltanto manifestando la mia incredulità. Non solo si era accorta del mio cambiamento d’umore, ma aveva anche intuito a cosa stavo pensando. Tuttavia, Ricky pensò che stessi cercando di negare e si arrabbiò ancora di più.
« Ti ho sentito! Non cercare di negare! »
Feci un passo verso di lei, ma mi bloccai subito.
« Cosa? » mi misi le mani tra i capelli e me li tormentai nervosamente. « Mi stai dicendo che hai sentito a cosa stavo pensando? »
Anche il suo volto si distese per la meraviglia e le sue mani si rilassarono, permettendo ai palmi di liberarsi dalle unghie taglienti che li avevano scalfiti.
« Sono stata così presa da ciò che avevo sentito, che non mi sono nemmeno posta il problema della maniera in cui lo avevo sentito » il suo sguardo, però, non aveva perso la sua aurea indagatrice. « Questo non cancella i tuoi pensieri ».
Si sbagliava, era totalmente fuori strada. C’era qualcuno che era riuscito a cancellare persino i miei sentimenti per Bella, non soltanto i pensieri. Istintivamente sorrisi e mi rilassai.
« Lo trovi divertente? »
« No. Sorrido, perché sembra che il tuo nuovo potere non sia infallibile. Non hai sentito tutto. Non hai udito la conclusione cui sono giunto. »
Mi avvicinai a lei e la abbracciai. Tentò di divincolarsi ma non poteva nulla contro i miei muscoli. Attesi che si calmasse, sorridendo, a costo di sembrare impertinente.
« Ricky, quando ti ho visto per la prima volta, su quella scogliera, ho sperato di essere colpito dall’imprinting. Sono rimasto totalmente affascinato da te e ho sentito fin da subito una sorta di connessione tra di noi. Gli avvenimenti di questa notte lo confermano» non sapevo come farle capire che ormai il mio cuore era lontano da Forks. « Credimi se ti dico che il pensiero di ferirti mi distrugge, per questo motivo ho pensato a Bella. Sarebbe stato un buon deterrente, che mi avrebbe impedito di farti del male, ma mi è bastata una rapida riflessione per capire che avrei voluto fossi tu la mia anima gemella. Non ho mai creduto di poterlo pensare, ma sei migliore di lei ».
Il suo sguardo si addolcì un po’. Puntellò le mani sul mio petto e mi allontanò da lei. Mi mostrò la schiena e non mi parlò per alcuni minuti. Osservai le sue spalle alzarsi e abbassarsi, mosse dal tormento interiore. Attesi che finisse di riflettere.
« Anche se dovessi crederti, rimane il problema dell’imprinting. Prima o poi mi abbandoneresti » si voltò e mi guardò dritto negli occhi.
Nel cuore sapevo che sarebbe stato difficile legarmi a qualcun’altra. Era una certezza che nasceva dal profondo, da un angolo del mio animo che nessun’altra era mai riuscita a scalfire. Era la mia parte selvaggia, quella animale, a farsi sentire. Ululava forte le sue certezze fino alla parte più razionale del mio cervello.
« No. Il legame che c’è tra noi deve voler dire qualcosa ».
 
Ricky non mi aveva più parlato da quel giorno, ma quando giunse il momento della nostra partenza, fu costretta a collaborare per sistemare i bagagli nell’automobile.
Ricevetti molte battute acide, ma poi feci progressi fino a strapparle un sorriso che sollevò il mio morale. L’idea di vivere con una ragazza sempre scontrosa, cozzava con il mio ideale di casa tranquilla e pacifica.
Arnulf seguì i nostri preparativi con interesse e salutò Billy con grande calore. Conversò a lungo con Ricky e poi si rivolse a me.
« Vieni con me » il timbro da Alfa mi mise in soggezione ancora una volta. Indirizzò un altro breve ceno di saluto verso gli occupanti della macchina e mi condusse nella foresta.
Gettò a terra il suo bastone e mi sorrise.
« Il legame dei lupi con la natura è formidabile. Anche dopo essere rimasto migliaia di anni in forma umana, il mio unico desiderio è finire la mia vita nella foresta. È il destino del lupo » il suo sguardo s’indurì. Si tolse gli occhiali e mostrò due iridi vivaci, ancora fresche e vitali; molto diverse dagli occhi senili che mi avevano accolto al mio arrivo in Norvegia. « L’istinto da Alfa scalpita prepotente in te, non dovresti abbatterlo con la tua cocciutaggine » si spogliò dei suoi vecchi abiti e si trasformò.
Davanti ai miei occhi apparve un lupo nero. Il suo manto perfetto era nero come la notte.
Mi lanciò un’ultima occhiata e poi corse tra gli alberi. Lo seguii con lo sguardo finché non scomparve. Non sparì tra il fitto della foresta come un qualsiasi animale, ma scomparve letteralmente in una nuvola di fumo dorato.
Una voce riecheggiò prepotente nella mia testa.
Lasciati andate ai tuoi istinti… e tu e Rikke abbraccerete insieme il destino.
Il lungo viaggio in aereo mi consentì di riflettere sulle parole del vecchio Arnulf. Ormai quel nome non aveva più alcuna importanza per me, da quando lo avevo visto scomparire tra gli alberi non ero riuscito a togliermi dalla testa la leggenda che parlava del lupo nero di Thrud, Eirik. Possibile che quel vecchio pazzo fosse il primo lupo? Colui che generò la tribù di mutaforma della Norvegia?
Più ci pensavo e più mi sembrava impossibile, ma quella pareva essere l’unica spiegazione alla sua voce autoritaria e alla sua aura di mistero.
Mentre l’aereo atterrava sull’aeroporto di Seattle scorsi una piccola lacrima bagnare le gote pallide di Ricky. Senza pensarci su, appoggiai una mano sul suo braccio e le sorrisi quando vidi che la strinse tra le sue.
Forks ci accolse con una bufera di neve e il viaggio notturno in macchina fino alla riserva non fu per niente piacevole.
Quando arrivammo, mi tuffai sul divano e caddi in un sonno profondo.
 
« Sveglia! »
Aprii gli occhi e vidi, a pochi centimetri dal naso, il volto raggiante di Embry Call.
« Fratello, mi sei mancato! » mi ritrovai stritolato dalle sue forti braccia. « Avanti, dov’è questa meraviglia? »
Il mio cervello era ancora in fare rem e non capì, dove Embry volesse arrivare.
« La bionda! Dov’è? Girano voci che sia uno schianto… »
Mi alzai di scatto e lo fulminai.
« Accidenti, siamo tornati da poche ore e ci sono già dei pettegolezzi? » mi avvicinai minaccioso al suo volto. « Non ci provare Embry. Ricky non reggerebbe le tue idiozie. Lasciala dormire in pace ».
« Che palle. Stasera la porti da Sam? C’è la festa di fine anno del branco. Conto di vederla. Chissà che tra noi non scoppi l’amore! »
Corse fuori dalla cucina schivando le mie scarpe, che volarono sopra la sua testa. La sua risata gentile non m’impedì di sprofondare nella gelosia, che mi trascinava a fondo come una melma viscosa. E se qualcuno dei miei compagni fosse stato colpito dall’imprinting vedendo Ricky?
Scacciai questo triste pensiero per tutta la giornata, ma quando scesi dall’auto, fuori dalla casa di Sam, cominciai a contare mentalmente chi dei miei amici non avesse ancora il cuore occupato.
Rimanevano Embry, Seth e Leah, e dei tre avrei potuto scartare per certo solo quest’ultima.
« Jake! Mi ascolti? Sono presentabile? »
Scoppiai a ridere. Ricky non era mai stata interessata ai vestiti, ma in quel frangente continuava a guardarsi nello specchietto laterale. Aveva paura di non essere accettata nel gruppo.
Osservai la linea perfetta dei pantaloni di pelle e la maglietta nera con scollatura.
 « Non preoccuparti, mio padre ha raccontato tutto a Sam questa mattina. Tutti sanno di te ed è come se ti conoscessero già. Sono ragazzi semplici, ma se devo darti un’opinione… allora sappi che sei anche troppo bella. » la coprii con la sua pelliccia.
« Perché troppo? »
Non le risposi, perché la porta si aprì, mostrando il volto sorridente di Paul.
« Guarda chi ha deciso di allietarci nuovamente con la sua presenza! »
« Paul, spostati che non vedo! » mia sorella sbucò da sotto la spalla del suo ragazzo e mi si fiondò contro.
« Rachel, non sapevo fossi tornata! » la osservai mentre si presentava a Ricky con un sorriso.
« Non volevo passare le vacanze lontana dalla mia famiglia. Tu e papà siete tornati e mi mancava Paul, e in più dovevo conoscere il nuovo membro della famiglia Black! »
« Sono fortunato che a casa tua non c’è posto per tua sorella. Sono molto felice di poterla ospitare » Paul mi rivolse un sorriso complice, al quale risposi con un grugnito.
Anche Quil ed Embry si erano affacciati alla porta e incitavano tutti a rientrare.
Presentai Ricky al branco, le rimasi accanto finché Emily non la coinvolse in una discussione culinaria alla quale si aggiunse Kim, la fidanzata di Jared.
I ragazzi vollero sapere tutto del mio viaggio in Norvegia e mi bombardarono di domande, fui salvato soltanto dall’arrivo della cena, che fu accolta da un ululato di soddisfazione.
Embry fece accomodare Ricky accanto a sé e la lusingò di complimenti. I morsi di gelosia che tormentavano il mio stomaco erano smorzati dalla consapevolezza che nessuno, quella sera, avrebbe allontanato Ricky da me, nessuno avrebbe avuto l’imprinting con lei.
Fu proprio quell’ultima osservazione a farmi rendere conto della mancanza di un membro del branco. Mi rivolsi a Leah.
« Dov’è tuo fratello? ».
Sulla tavola calò un silenzio spettrale, vidi i miei compagni scambiarsi occhiate nervose.
Fu Sam a rispondermi.
« Seth non ha potuto essere con noi a cena. Ci raggiungerà dopo cena, per la pattuglia notturna » con lo sguardo mi comunicò che c’era molto di più da dire riguardo Seth ma che quello non era il momento.
Lasciai cadere il discorso e mi godetti quella rimpatriata tra amici. Mi erano mancati tutti e non vedevo l’ora di correre ancora con loro nella foresta. Volevo sentire le loro voci riempirmi la testa; per quanto irritanti potessero essere i miei compagni, dopo tutti quei mesi lontano da loro, avevo bisogno di una corsa con il branco. Volevo sentirmi parte di un organismo pulsante.
Paul cominciò a chiedere a Ricky informazioni sulla sua tribù. Ebbi paura che l’argomento la facesse soffrire, ma, dal modo in cui rispondeva, capii che le faceva bene parlare dei suoi genitori.
Mia sorella volle sapere che posizione avesse occupato all’interno del branco suo padre.
« Era capobranco ».
Embry si mise le mani sulla faccia, simulando un’espressione terrorizzata e mi guardò.
« Ci mancava un’altra Alfa nel gruppo! Due non bastavano… »
Ricky mi osservò dubbiosa ma non chiese nulla. Si limitò a sorridere a Embry.
Soltanto dopo il brindisi di mezzanotte, mentre la riportavo a casa, ritornò sull’argomento.
« Non mi avevi detto di essere il vero Alfa, Jake. Ora capisco cosa intendeva Arnulf quando, il giorno della cerimonia al promontorio, ti ha rimproverato per non aver accettato il tuo destino ».
« Non ho mai voluto essere responsabile delle vite dei miei amici ».
Ricky mi posò una mano sul braccio. « Non devi giustificarti con me. Ora vai con il tuo branco » mi baciò velocemente sulla guancia e scese dalla macchina.
Mi portai una mano nel punto in cui le sue labbra si erano posate e sorrisi.
Un rumore di nocche sul finestrino mi fece sussultare.
Mi voltai di scatto e vidi Seth.
Scesi dall’auto, lo abbracciai e poi mi allontanai di qualche passo per ammirare quanto fosse era cresciuto nei mesi della mia assenza. Era diventato alto quasi quanto me e aveva sviluppato una notevole massa muscolare. Il volto non era più quello di un ragazzino impaurito, ma era diventato quello di un uomo. Osservai meglio i suoi lineamenti e vidi delle rughe di angoscia.
« Quando ho chiesto di te a tavola è sceso il silenzio. Cos’è successo? ».
Prima di parlare spostò più volte il peso da una gamba all’altra, come se stesse cercando di pesare le stesse parole da dire.
« Ero a casa Cullen » si morse il labbro, vedendo il mio sguardo sbigottito e sputò fuori tutto ciò che doveva dire.
Ogni parola era un fardello in meno sulle sue spalle e una preoccupazione in più nel mio cuore.
« Bella è tornata dalla luna di miele incinta. Non abbiamo ben capito come sia successo. Ci sono state delle complicazioni durante la gravidanza, la bambina sembrava succhiarle tutto il sangue. Prima di morire ha dato alla luce una bambina, Renesme » alla notizia della morte di Bella sbiancai.
« No! Aspetta, non è morta veramente, cioè sì, ma è diventata una vampira. Ora sta benissimo. Ho avuto l’imprinting con lei. Con la bambina voglio dire. Non con Bella. È una bambina speciale, sono felice ».
Non appena riuscii a respirare, gli chiesi perché fosse così scosso, nonostante la sua felicità.
« Due settimane fa, mentre eravamo a caccia, una vampira estranea ha visto Renesme e ha raccontato ai Volturi della sua esistenza. Ha creduto che Bella avesse tramutato in vampiro una bambina, pare sia proibito tra i vampiri. Però Renesme è viva! Il suo cuore batte e soprattutto è nata, non è stata creata. Cresce molto velocemente, beve sangue umano, ma mangia anche cibo normale. Comunica con delle immagini mentali. Alice li ha visti arrivare. Vogliono punire i Cullen! »
« Aspetta Seth, stai facendo confusione. Potrai descrivermi la bambina in un secondo momento. Mi stai dicendo che sta per scoppiare una guerra? »
Seth annuì tristemente e si appoggiò alla mia macchina.
« I Volturi stanno arrivando. Mancano meno di due settimane. Ti sto chiedendo aiuto, Jacob ».
« Tu vuoi proteggere i vampiri? Non si tratta più di salvare la città o Bella, come contro quel clan di neonati. Tu vuoi difendere i Cullen? »
Cominciavo a innervosirmi.
« Sam credeva che uccidere la bambina sarebbe stato più facile. Ho dovuto lottare a lungo per convincerlo della bontà di Renesme. Ora sono venuto da te e ti sto pregando di aiutare il tuo branco ».
« Sei mio amico, ma prima di perdere una decisione devo vedere in che razza di situazione ti sei cacciato. E devo parlare con Sam ».
Seth mi sorrise speranzoso. « Sam ci attende nel bosco per parlare. Bella ha detto che avresti risposto così ».
« Bella? »
« Sì, mi ha incaricato di dirti che sarebbe lieta di vederti e parlare con te della bambina. Vuole darti delle spiegazioni e chiedere il tuo aiuto di persona, credo ».
 
La settimana seguente fu un vero inferno. Passai giornate intere a rimuginare sulle parole di Seth. Sam mi aveva spiegato tutti gli avvenimenti con più calma e avevo cominciato a capire la vera natura della bambina. Purtroppo, però, non riuscivo ad accettare l’idea di difendere un gruppo di succhiasangue, nonostante si trattasse di Bella.
Cercai di evitare Ricky il più possibile, non volevo rischiare che sentisse i miei pensieri riguardo alla famiglia di vampiri che viveva a poche miglia da noi. Sapevo che, alla fine, avrei dovuto spiegarle tutto, ma non riuscivo a trovare le parole.
Quando finalmente mi decisi a vedere Bella e a parlarle, scegliemmo un luogo d’incontro neutrale: il confine tra il territorio Quileute e quello dei Cullen.
Quel giorno pranzai velocemente e mi congedai da tavola con una scusa qualsiasi, Seth mi attendeva in giardino. Percepii chiaramente lo sguardo di Ricky sulla mia nuca, ma m’imposi di non girarmi. Non avrei sopportato la vista delle sue iridi celesti, rese tristi dal mio essere schivo.
Arrivammo alla radura e attendemmo i Cullen. Seth mi lanciava occhiate furtive, tormentandosi le mani per il nervosismo.
Improvvisamente sentii un odore acre che mi bruciò il naso. Era il tanfo dei vampiri.
Edward arrivò per primo, camminava con prudenza, guardandomi negli occhi, come se volesse sondare il terreno prima di far uscire allo scoperto sua moglie.
Quando vidi Bella mi sentii mancare. Era diventata pallida come un lenzuolo. Le sue iridi, un tempo marroni, erano di uno strano e sgradevole color ocra. La sua aria da bambina indifesa era totalmente sparita; potevo percepire la sua forza e la sua pericolosità.
I nostri occhi s’incontrarono e il mio istinto da lupo vibrò. Desideravo trasformarmi e lacerare la sua pelle dura come il marmo. Volevo distruggere quell’essere freddo e spettrale che aveva ucciso Bella.
Improvvisamente, da dietro il lungo vestito azzurro della vampira, sbucò una chioma di riccioli.
La vista del viso della bambina mi riportò su una dimensione più umana.
Era bellissima.
Lunghi boccoli color rame incorniciavano un visetto tondo e sorridente. Non appena vide Seth, allungò le manine per richiamarlo a sé e lui non la fece attendere.
« È bello rivederti, Jacob » avevo dimenticato quanto potesse essere irritante la voce di Edward.
Vorrei poter dire la stessa cosa.
Non risposi, tanto mi avrebbe sentito ugualmente.
« Jake. Posso parlarti in privato? » Bella consegnò sua figlia nelle mani di Edward, comunicandogli con lo sguardo di non preoccuparsi per lei, poi si avvicinò a me.
Abbassò la voce, in modo che le sue parole potessero essere udite soltanto da me.
« Ti trovo bene » il suo sorriso mi aiutò a trovare in lei un po’ della Bella che un tempo conoscevo, ma non mi provocò più quei sussulti interiori che mi scuotevano ogni volta che la vedevo.
« Sto bene, grazie » non mi premurai di abbassare la voce, tanto Edward avrebbe sentito comunque.
Evidentemente si era aspettata una risposta diversa, perché i suoi occhi si abbassarono per la delusione.
« Mi dispiace che tu non sia venuto al mio matrimonio, ma ho capito le tue ragioni ».
« Non ha più importanza ora. Me ne sono andato a causa tua, questo lo sai, ma la Norvegia mi ha fatto bene » una piccola parte di me avrebbe voluto sbatterle in faccia i miei sentimenti per Ricky, ma proprio questi mi dissuasero da fare una cosa tanto infantile. Non m’interessava cosa avesse pensato Bella sapendomi legato a un’altra. Non avrebbe avuto il diritto di giudicarmi o sentirsi chiamata in causa. Non le appartenevo più; se mai le ero appartenuto.
« Sono qui per chiederti aiuto. I Volturi vogliono fare del male alla mia famiglia. Per favore, Jake, abbiamo bisogno di te ».
Non è possibile!
Una strana voce rimbombò nella mia mente, ma non ci feci troppo caso.
« Ho riflettuto a lungo. Sarei felice di uccidere i Volturi. Ho un conto in sospeso con loro, ma non puoi chiedermi di dimenticare la tua stessa natura, così simile a quella dei vampiri che vuoi combattere ».
È un vampiro!
Di nuovo quella voce nella mia testa. Voleva rimarcare, perché non avrei dovuto aiutarla.
« Anche il tuo branco è in pericolo. Se vi vedessero, vorrebbero sterminarvi. È stato difficile convincere Sam ma lui ha capito. Essendo il vostro Alfa, potrebbe costringerti a stare dalla nostra parte, ma io voglio che tu ci stia accanto di tua spontanea volontà. Ti prego. In nome di ciò che c’è stato tra noi… » le sue sopracciglia s’incurvarono e mi scrutò intensamente. Il suo naso si arricciò, come se stesse cercando di odorare qualcosa. Vidi le sue labbra distendersi in un sorriso rassegnato. « Forse preferiresti combattere in nome di ciò che ti lega alla ragazza che ci sta osservando da dietro quell’albero… so che i Volturi hanno ucciso la sua famiglia ».
Isabella è un vampiro! Come hai potuto?
Istintivamente mi voltai verso la direzione che Bella mi stava indicando con la mano.
Lo sguardo deluso di Ricky mi fece sentire un lurido traditore. Mi sentivo colpevole di tutte le accuse che mi stava lanciando.
« In tutti questi mesi non hai trovato il tempo di avvertirmi della tua amicizia con gli spiriti malvagi? » tremava, le sue membra erano scosse da violenti sussulti. La sua pelle diafana era rossa e accaldata. Non l’avevo mai vista così sconvolta.
Mi voltò le spalle, il disprezzo che avevo letto nei suoi occhi non le permetteva di guardarmi in faccia.
« Non provare a seguirmi. Stai lontano da me ».
Si dileguò tra gli alberi a una velocità sconvolgente. Le bastarono pochi balzi per sfuggire dalla mia vista.
Sparì, lasciandomi solo con la mia vergogna.
La mano di Seth sulla mia spalla mi ricordò che in fondo non ero solo. Il tentativo di confortarmi andò a vuoto, ormai il mio cuore era sprofondato nella disperazione.
Le avevo fatto del male.
« Jacob, ho sentito il suo odore soltanto alla fine. Mi dispiace » sobbalzai al contatto con la mano gelida di Bella e mi ritrassi.
Mi voltai a guardare Edward, l’unico che avrebbe potuto sapere del suo arrivo prima di tutti noi.
« Sono desolato. Ero troppo concentrato sui tuoi pensieri » parlava delle sue intrusioni nella mia mente con una tale naturalezza da lasciarmi basito.
Inutile sanguisuga! Ti sei sempre intromesso nella testa di tutti e hai tralasciato proprio la mente della persona che più mi sta a cuore. Se solo avessi saputo della sua presenza… La colpa era mia. Non potevo biasimare nessun altro. Avrei dovuto parlarle prima.
 
Quella sera Ricky non tornò a casa. La cercai per tutta la riserva, finché Sam non mi comunicò che sarebbe stata per qualche giorno a casa sua, in compagnia di Emily.
« Sta bene? »
Sam non mi rispose subito. Sembrava sul punto di dirmi qualcosa di molto importante, ma poi mi disse soltanto che non dovevo preoccuparmi.
Attesi il suo ritorno per giorni, ma Ricky non si fece vedere.
Una notte, mentre pattugliavo i confini della tenuta dei Cullen, Leah mi avvicinò.
Era in forma umana e aveva uno sguardo molto tormentato.
« Trasformati, Jake. Non voglio che gli altri ci sentano ».
Normalmente sarei stato infastidito dalla sua presenza, non l’avevo mai completamente accettata all’interno del branco, ma, sapendo che l’astio era reciproco, doveva trattarsi di qualcosa di molto importante.
« Che succede? »
« Ricky non è a casa di Sam. È stata da lui soltanto una notte, l’ho vista scappare nella foresta ».
Comincia ad ansimare. « Non è possibile. Sam non mi mentirebbe ».
« Sì, se significherebbe averti al suo fianco in battaglia. Mi punirà per avertelo detto ma non potevo sopportare di vederti così tormentato » disse Leah in un sussurro.
La rabbia mi fece precipitare velocemente verso la forma animale.
Corsi nella direzione in cui udivo i pensieri del mio capobranco. Andai da lui senza un intento preciso, senza sapere dove se mie azioni mi avrebbero portato.
Sam!
Vidi la sua grossa figura accovacciata in una radura. Il tono del mio pensiero lo fece alzare di scatto.
L’enorme lupo nero mi guardò, nei suoi occhi c’era una sfumatura di preoccupazione.
Dov’è Ricky?
Istintivamente la mia voce era uscita come un latrato di ammonimento.
Calmati, Jake. Non devi preoccuparti per lei.
Comincia a ringhiare.
L’hai lasciata sola nel bosco! Mi hai mentito Sam!
Non corre alcun pericolo. Sa badare a se stessa.
Quando era diventato così cinico? Sam aveva sempre avuto a cuore la vita di ogni essere umano, soprattutto di quelli a lui vicini.
Dagli alberi uscirono dei grossi lupi. I nostri compagni avevano sentito la nostra lite ed erano venuti a controllare.
Quil ed Embry uggiolavano per il dispiacere di sentir litigare due membri del branco. Gli altri, soprattutto Leah, si erano seduti in disparte e osservavano in silenzio.
Sam cercò di farmi ragionare, ma sta volta usò il timbro da Alfa. La presenza del gruppo lo mise in agitazione e sentì l’esigenza di marcare la sua posizione.
Ricky sta bene. Ho bisogno di te per l’imminente battaglia. Domani combatterai con il tuo branco e poi potrai andare a cercarla.
Non potevo credere a quelle parole.
Se i Volturi dovessero trovarla nel bosco, non avrebbe scampo. Non puoi permettere che corra un tale pericolo.
Non è in pericolo! È a centinaia di miglia da qui!
Le sue parole mi confusero, ma la rabbia sommerse la confusione e mi fece diventare testardo e risoluto.
Voglio soltanto cercarla. Quando sarà al sicuro, vi raggiungerò.
Un ringhio minaccioso scaturì dalla gola di Sam. Non tollerava l’insubordinazione.
Sono il tuo Alfa e devi obbedirmi!
L’istinto esplose prepotente dentro di me. Cercai di trattenerlo per non ferire i miei amici, ma la forza con cui mi colpì fu inarrestabile.
Un Alfa non mette in pericolo un membro del suo clan!
La mia voce risuonò forte e autoritaria. Il mio timbro da Alfa riempì le menti dei miei compagni.
Il mio corpo tremava e fronteggiava quello di Sam in posizione d’attacco.
Non osare, Jacob. Hai rinunciato al tuo diritto di nascita tempo fa. Non sono più disposto a offrirti il comando del branco.
Non volevo distruggere gli equilibri del gruppo, non era mai stata la mia intenzione, ma non potevo più sottostare a ordini, che apparivano tanto sbagliati.
Tieniti il tuo branco. Tieni il tuo posto di Alfa. Qui non c’è più spazio per me.
I muscoli contratti di Sam si allentarono un po’.
Non puoi andartene.
Non aveva parlato in modo autoritario, aveva voluto dimostrarmi la sua delusione e, forse, il suo pentimento, ma ormai era troppo tardi.
Il capobranco che si era celato a lungo dentro di me era uscito allo scoperto e non aveva intenzione di ritornare a sottomettersi a un’autorità che ormai non riconosceva più.
Non c’è posto per due Alfa in un branco ed io non ero più il Beta di Sam.
Mi allontanai dal gruppo, seguito dalle flebili voci dei miei compagni.
Non abbandonarci, Jake!
Non andare, amico!
Quil ed Embry avrebbero sofferto il mio distacco più di tutti loro.
Sei un idiota!
Farai soffrire tua sorella!
Jared e Paul non mi avrebbero perdonato facilmente.
Ti capisco fratello. Spero vorrai ancora aiutarci, quando troverai Ricky. Può farlo, vero Sam?
Seth aveva dovuto combattere il suo stesso branco per proteggere Renesme. Lui era riuscito a portare Sam dalla sua parte, io non ci ero riuscito.
La voce fredda e distaccata di Sam fu il mio ultimo contatto con il branco.
Se torni, attieniti al piano concordato con i Cullen. Non si attacca fino al mio segnale.
Poi il legame mentale si spezzò e nella mia testa calò il silenzio più assoluto.
Dopo un iniziale senso di smarrimento, cominciai ad abituarmi a quel silenzio, a quella solitudine.
Corsi fino a casa di Sam, individuai la scia dell’odore di Ricky e seguii il profumo di rose, sperando che mi avrebbe portato da lei.
Le mie zampe macinavano il terreno come un rullo compressore, non avevo mai corso così velocemente in vita mia. Il mio cuore pompava il sangue e irradiava i miei muscoli tesi per lo sforzo e per la preoccupazione.
I chilometri passavano e la scia si faceva sempre più forte. Il suo profumo si intensificò nei pressi di un corso d’acqua. La montagna, in quel punto, creava una piccola valle e il suo versante, a picco sul fiume, era interrotto da una piccola apertura nella roccia. L’odore di rose si fece più intenso, man mano che mi avvicinavo alla grotta.
Entrai nella cavità con passo incerto. Le mie zampe sprofondarono nel terreno umido, lenendo il bruciore provocato dalla lunga corsa.
Mi addentrai in quella stretta caverna e seguii l’angusto sentiero che si snodava nella roccia verso il basso. Improvvisamente le pareti si allargarono e fecero spazio a una cavità più larga, una piccola ampolla d’aria nella roccia della montagna.
Le pareti bianche erano percorse da migliaia di riflessi luminosi provenienti dal laghetto azzurro che riposava sul fondo.
Le acque erano cristalline e lasciavano intravedere il fondo ghiaioso.
Rimasi affascinato dalla semplicità di quel quadro della natura che, soltanto con il bianco e l’azzurro, era riuscita a dipingere un capolavoro. Mi addentrai in quel terreno di marmo bianco e immersi le zampe nelle acque placide.
Uno strano suono solleticò il mio udito. Era una dolce musica che mi provocò dei brividi piacevoli lungo la schiena.
Mi voltai e fui travolto dal dolcissimo profumo di rose che accompagnava sempre Ricky.
E poi la vidi.
Un magnifico lupo bianco mi guardava dall’alto di una roccia altrettanto candida.
La certezza che quell’animale magnifico fosse Ricky era trascinata dall’istinto del mio cuore.
I suoi occhi magnetici mi catturarono. Affondai in quei profondi zaffiri ornati da piccole pagliuzze celesti.
La mia mente si svuotò e si riempì di lei. Tutto ciò che sentivo, vedevo o provavo era lei, nient’altro che lei, la mia Ricky.
L’intensità di quei sentimenti mi lacerava l’anima, ma non provavo dolore. Tutto il mio essere s’incentrò su di lei, come se fosse l’asse portante sul quale il mio mondo ruotava.
Quel suono lieve che avevo sentito alle mie spalle era il basso uggiolio con cui mi stava salutando.
Corsi nell’acqua bassa del laghetto e mi arrampicai sulla sua roccia per raggiungerla.
Mentre mi avvicinavo a lei, mi ritrasformai e la vidi fare lo stesso.
Il mio corpo bramava il contatto con quella pelle d’avorio. La abbracciai teneramente e accostai le mie labbra alle sue.
I suoi occhi meravigliosi si chiusero e la sua bocca soffice mi accolse in un dolce bacio.
Le sue membra tremavano e le sue mani fremevano sul mio petto, mentre le accarezzavo i lunghi capelli.
Quando non riuscii più a respirare, mi staccai da lei ansimando.
Cosa ci sta succedendo, Jake?
Il suo pensiero soave nella mia mente mi fece sorridere.
È questo l’imprinting di cui abbiamo tanto sentito parlare?
Anche lei era stata colpita da questa forza meravigliosa e indomabile? Perché non ci era successo prima?
Forse perché la mia vera anima non era ancora uscita allo scoperto…ora che sono una lupa anch’io, hai potuto conoscere la vera me…
« Jake, è strano parlare con il pensiero… »
« Hai ragione» era giunto il momento di chiarire una volta per tutte i nostri malintesi. Purtroppo non sapevo come cominciare il discorso e buttai lì una frase sconnessa. « Mi hai fatto preoccupare… »
I suoi occhi si rattristarono. Era il momento di raccontare tutto.
« Non dovevo mentirti, ma dopo quello che è successo al tuo clan non… »
« Dopo quello che mi è successo, non credi che io sia capace di reggere qualunque notizia? »
Abbassai lo sguardo per la vergogna e lei rincarò la dose.
« La cosa che mi ha fatto più male, Jake, è la completa devozione che hai avuto verso di lei quando ti ha chiesto aiuto. Il tuo sguardo diceva che l’avresti sostenuta ad ogni costo »
Non era assolutamente vero! La gelosia le aveva annebbiato la mente! Era arrivato il momento che lei sapesse come era riuscita a farmi rinascere.
« Quando sono venuto in Norvegia, volevo allontanarmi da Bella. Volevo dimenticare il mio amore per lei. Non te lo nascondo » cercai di respirare correttamente. Non ero abituato a esporre i miei sentimenti.
La sua pelle d’avorio, accanto alla mia ambrata, creava un gioco di colori meraviglioso. Le nostre anime sembravano fluttuare unite attorno ai nostri corpi. L’atmosfera nascondeva una sacralità quasi religiosa. Guardai nel mio cuore e finalmente seppi cosa dire.
« Non ero alla ricerca di un miracolo. Non avrei mai creduto che l’amore fosse possibile, ma il tuo amore mi ha reso completo. Supplico perché tutto questo non finisca. Sei la mia anima gemella, la mia migliore amica. Tu mi hai accolto e hai salvato la mia anima ».
Il suo viso di porcellana si aprì in un meraviglioso sorriso. Mi gettò le braccia al collo e mi baciò.
« Mi credi, Ricky? »
« Riuscirai mai a chiamarmi Rikke? » al mio cenno di diniego rispose con una risata cristallina. « Ti credo. I pensieri non mentono » poi il suo viso divenne più serio.
« Hai lasciato il tuo branco per me…ma loro hanno bisogno del tuo aiuto ».
« Lo so » l’affetto che ancora mi legava ai miei compagni scalpitava dentro di me.
« Voglio venire anch’io ».
No! Saresti in pericolo e… non sapresti resistere alla tentazione di attaccare coloro che hanno ucciso la tua famiglia…
« Non sono stupida. La vendetta non mi ridarà i miei genitori. Sam mi ha spiegato il vostro piano… »
« Ti ha aiutata lui con la trasformazione? » il senso di colpa s’insinuò nel mio petto. Forse ero stato troppo duro con Sam, ma ormai non potevo tornare indietro. Il mio orgoglio non me l’avrebbe consentito.
« Sì, ma ascoltami. Mi ha detto di stare lontana dalla riserva se non me la fossi sentita di vedere i Volturi, ed io me ne sono andata. Più che altro non volevo più vedere te… ma ora che siamo insieme, sono convinta di potercela fare. So che se mi sentirò persa, tu sarai al mio fianco… per sempre ».
La presi per mano e la aiutai a scendere dalla roccia.
Ci trasformammo e imboccammo il sentiero che conduceva fuori dalla caverna.
Un lupo bianco e un lupo rossiccio correvano fianco a fianco, condividendo anima, mente e cuore.
Ci avviammo verso la battaglia, verso il nostro destino insieme.
I suoi pensieri risuonavano dolci ma decisi, marcati dal timbro da Alfa che anche lei possedeva. Eravamo un branco, una famiglia di due lupi sullo stesso piano gerarchico.
La mia anima era finalmente completa e felice, l’amore di Ricky aveva distrutto la corazza del mio cuore e lo aveva avvolto con una corolla di petali di rosa.
Ti amo.
La mia mente non riusciva a pensare ad altro.
Ora capisco cosa ha provato Thrud vedendo Sigurd.  Jeg elsker deg… ti amo Jacob.

 
 
 
 
 
 
 
 
 Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno commentato e seguito la storia o anche solo letto. Ricordo che le vostre opinioni sono sempre ben accette..
 
 
Riporto il giudizio di Dark Iris91 (nel testo, la frase che dovevo usare è in grossetto): 
  
Prima classificata: “Save my soul” di Nitro

Correttezza grammaticale e sintattica, ortografia: 15/ 15 punti
Gestione del What..if?: 15/15 punti
Originalità: 9/10 punti
IC personaggi: 9/10 punti
Utilizzo della frase: 8,5/10
Giudizio personale: 9/10 punti
Totale 65,5/70

Una storia meravigliosa la tua. Grammatica eccellente, uno stile così fluido e particolare da far si che le 40 pagine scorrano senza che il lettore nemmeno se ne renda conto. Il what…if? non solo è stato gestito benissimo, senza risultare troppo “strano” ma sei riuscita a ricreare qualcosa di talmente tanto bello e ricco da poter quasi pensare che sia possibile. Le atmosfere nordiche, le leggende dei lupi del nord che si mescolano a quelle degli dei del pantheon germanico, il tutto unito alla saga che ho amato di più in questi anni: sono rimasta molto colpita. Eccellenti descrizioni davvero, particolareggiate ma senza essere appesantite. Ho amato ogni riga di questa storia, i titoli dei capitoli costituiti dalle frasi di grandi autori sono un colpo di genio davvero (quella su Dracula poi mi ha spiazzata!) e amo che finalmente Jacob abbia accanto una vera donna, non un’infantile egoista che gioca con i sentimenti del proprio migliore amico. La frase scelta è molto bella ed usata benissimo, il culmine di un rapporto che si sviluppa lentamente fra i ghiacci del nord e che termina nella Forks che tutti conosciamo. Dopo questa storia le atmosfere della Meyer non basteranno più ai lettori, talmente ricco è lo scenario che sei riuscita a creare. Ottimo lavoro, brava. 

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