Al-Kìmia

di Sweet Milly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Straniero ***
Capitolo 3: *** La piccola Versailles ***
Capitolo 4: *** Il campo di addestramento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il bambino guardava sua mamma con occhi terrorizzati. Non sapeva cosa fare. Le guance rigate dalle lacrime. Lei continuava a urlarle addosso. -Ti avevo detto di smetterla di pensare a queste cose stupide!-. Lui non capiva ancora cosa ci fosse di stupido nel giocare a casa con un amico. Quest’ultimo era vicino a lui, spaventato come lui dalla reazione della donna. -Basta, adesso mi sono stancata! Devi capire qual è il tuo posto e il tuo futuro!- Prese il figlio per il colletto della camicia e lo trascinò vicino al camino. Dal fuoco tirò fuori una barra di ferro. La sua estremità era incandescente ed aveva una forma strana. -No, mamma, no. Per favore- pianse il bambino. Lei lo strattonò. -Joan! Vieni a darmi una mano! Maverick, occupati del bambino- La donna chiamò i suoi scagnozzi. Il primo arrivò vicino a lei e tolse la camicia al ragazzino tremante che osservava l’altro grosso uomo avvicinarsi al suo amico. Aprì i palmi davanti a lui. Si vide un raggio nero e viola uscirne e colpire l’altro bambino in pieno viso. Questo cadde a terra. E non si mosse più. -No! Mamma, mamma, che ha fatto!- urlò il figlio. Gli occhi blu bagnati di lacrime. Il tizio chiamato Joan afferrò il bambino e lo tenne fermo mentre la madre posava il ferro incandescente sul petto del figlio. La stanza si riempì di urla.

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Capitolo 2
*** Straniero ***


CAPITOLO 1
 
Lo straniero
 
Lui si fece di un passo più vicino. Mi sorrise e avvicinò il viso al mio. Il mio cuore accelerò quando le nostre labbra si sfiorarono.
Ma non si incontrarono mai.
Un rumore tremendamente fastidioso ci aveva distratti. Che diamine era stato?!
Aprii gli occhi nel buio della mia stanza e il suono della sveglia mi riempì le orecchie.
-Dannazione!- mugugnai – Stavo per baciare Jared Padalecki!-.
Mi sporsi sul comodino per spegnere quel malefico orologio, senza scendere dal letto.
Ci sarei riuscita facilmente se mi fossi alzata. Ma l’idea di abbandonare quel caldo rifugio non mi passava neanche per l’anticamera del cervello.
Dopo aver fatto abbastanza danni, riuscii nel suo intento.
Rimasi in ascolto. Ero sicura che, se avessi svegliato i miei genitori alle cinque di mattina perché io dovevo studiare latino, mi avrebbero strozzata.
Tirai un sospiro di sollievo quando capii che non avevano sentito niente.
 
-Tu sei pazza a svegliarti a quell’ora!- Martina scuoteva la testa in segno di disappunto. Era la mia migliore amica. Ci conoscevamo dalle elementari e da quando avevamo legato non ci eravamo mai separate. E grazie anche a un pizzico di fortuna perché eravamo sempre state in classe insieme.
In tutta risposta sbadigliai e dissi: - Lo so, ma ieri non ho proprio studiato niente. Ergo, almeno se mi interroga le so dire qualcosa!-
-Fai come me- rispose l’altra- non alzarti neanche!-.
Sebbene le vacanze natalizie fossero ormai terminate da più di due mesi, non avevamo ancora ripreso il ritmo dello studio.
Poi la ragazza ricordò qualcosa ben più interessante dell’interrogazione imminente di latino.
-Marty, domani arriva lo studente nuovo!-
La nostra professoressa di inglese ce lo aveva comunicato qualche tempo prima. Si trattava di un ragazzo americano che avrebbe trascorso nella nostra classe i restanti mesi di scuola. Doveva sicuramente essere uno scambio culturale, avevo pensato. Anche io voglio andare in America, avevo aggiunto. Ma ben sapevo che il mio papà iperprotettivo mi avrebbe lasciata andare dall’altra parte del mondo solo quando avessi superato i trent’anni.
Entrammo in classe e ci sedemmo ai nostri posti salutando i compagni già arrivati e intenti a copiare i compiti per la giornata.
-E’ vero, speriamo sia bello!- mi rispose.
-Martina!- la rimproverai ridendo sotto i baffi- Pensa a Marco invece!-
-Ecco, pensa a Marco che è meglio- . Il ragazzo in questione le sovrastava in piedi davanti ai nostri banchi, rivolgendo a Martina uno sguardo diffidente.
-Ma tesoro, sai che per me esisti solo tu!- cinguettò la ragazza.
-Si si certo-  rispose lui scettico.
La campanella d’inizio delle lezioni risuonò nell’edificio e i ragazzi si apprestarono a seguire la prima ora: latino.
L’insegnante entrò e, dopo aver compilato il registro, estrasse i numeri per l’interrogazione.
non mi accorsi neanche di non essere stata estratta.
Mi ero già persa chissà dove. Stavo riflettendo su cosa sarebbe potuto cambiare con uno nuovo compagno di classe. Magari assolutamente niente o forse tutto. Il che in effetti poteva essere un bene. Era sempre tutto così noioso e piatto ci voleva qualcosa per movim...
- Manni, stai attenta all’interrogazione che può servirti!- la professoressa cercò la mia attenzione.
-Si, certo mi scusi- risposi e quando la professoressa continuò a fare domande ai due poveri malcapitati mi  voltai verso Martina.
-Interrogazione? Di già?-
-Ohi, ma ci sei? Li ha chiamati quasi un quarto d’ora fa-
-Ah-
-Aurora, sei proprio fusa-
-Ma che ci posso fare se non mi sono neanche acc…- non finii la frase che venne interrotta dall’insegnante:
-Visto che proprio non ti riesce di interessarti a noi, va’ a farmi una commissione. Così magari un po’ d’aria ti sveglia. Fammi delle fotocopie per tutta la classe di queste pagine qui- mi indicò le pagine e mi porse il libro.
-Va bene , vado- e uscii dalla classe.
Mi dirigevo verso la scalinata centrale, le fotocopiatrici si trovavano al piano terra vicino alla bidelleria.
Aprii il libro che mi aveva dato la professoressa. Intanto cominciai a scendere.
- Vediamo quanti orribili compiti ci vuole assegnare questa volta, come se fossimo in un liceo classico!- . Osservai gli esercizi e rabbrividii.
-Ugh, quella donna è una sadica! Ma quanta roba…-
A metà della scalinata saltai un grandino e, prima che potessi accorgermene, ero finita ai piedi delle scale.
-Ahi, che dolore!- mi massaggiai il sedere che aveva attutito la caduta. Mi tolsi la cascata di ricci castani che mi era finita davanti agli occhi e mi impediva di vedere qualsiasi cosa.
Il libro e gli occhiali erano finiti ben lontani da me. Imprecai. Se gli occhiali si fossero rotti ero certa che mia madre si sarebbe messa a strillare, lo stesso valeva per il libro e l’insegnante.
- Tutto bene? Ti sei fatta male?-  Mentre ancora ero alle prese con il mio fondoschiena, avvertii la voce di qualcuno davanti a me. Quando alzai il viso per vedere chi fosse, sbiancai.
Deam Aalten mi stava guardando preoccupato mentre mi porgeva gli occhiali e il libro.
-Tutto okay? Aspetta, forse senza occhiali non vedi…- e cercò di infilarmeli.
-No no no. Ci vedo bene anche senza!- glieli presi dalle mani. – Li uso solo per scuola, lo studio o il computer  e la televisione…- mi fermai. Ma chi se ne frega della storia dei tuoi occhiali! Hai davanti il ragazzo che ti piace e gli racconti dei tuoi occhiali??
Sentivo il cuore battere all’impazzata.
- Capisco. Allora, niente di rotto?-
-Ehm, no. Niente- . Deam notò la mia mano sinistra ancora intenta a far passare il dolore al sedere e rise. In quel momento il mio viso diventò di un preoccupante color porpora.
-Dai, ti aiuto ad alzarti- ancora che sorrideva Deam mise un braccio intorno alla mia vita e mi tirò su.
In piedi la differenza tra lui e me era quasi imbarazzante. Io ero molto bassa e minuta, lui al contrario era alto e aveva un fisico snello e muscoloso.
-Avevi delle commissioni per caso…ehm…-
-Aurora- mi presentai- E sì, devo fare delle fotocopie- gli sorrisi.
-Io sono Deam, piacere. Ti accompagno se vuoi- continuò. Annuii incapace di dire altro.
 
-Bene. Ce l’abbiamo fatta in un tempo ragionevole.- Disse qualche minuto dopo quando raggiungemmo la mia aula. In effetti, ci avevamo messo fin troppo poco.
-Mi dispiace se ti ho fatto perdere tempo-
-Tranquilla! Tanto avevo l’ora buca-  fece l’occhiolino.
-Allora grazie- non potei fare a meno di sorridergli. Lui ricambiò e il mio viso tornò rosso.
-Ci vediamo, Aurora- . Lo osservai salire al piano superiore e poi svanire. Rientrai in classe proprio quando i suoi compagni avevano finito l’interrogazione.
Distribuii le fotocopie e infine tornai al posto a far finta di ascoltare la spiegazione.
Deam Aalten. Si era trasferito qui dall’Olanda qualche anno fa. Mi ero presa subito una cotta per lui quando lo avevo visto per la prima volta, camminare per i corridoi della scuola. Lui era un anno più grande e non ci eravamo mai rivolti la parola, almeno fino ad oggi.
-Si può sapere che ti è successo?!- sussurrò Martina.
-Eh?-
-Sei tutta scombussolata. Non è che sei caduta, vero?-  la fulminai con lo sguardo.
-Il fatto che sia spesso distratta non implica che cada per terra altrettanto spesso!-
-Oh. Capisco. Quindi sei caduta, ti sei fatta male?-  tratteneva le risate solo perché eravamo nel bel mezzo della spiegazione.
Mi stizzii: - No, e poi Deam Aalten mi ha aiutato e mi ha accompagnato a fare le fotocopie- ripensai alla brutta figura. Perché per una volta che parlavo con lui doveva trovarmi a terra che mi massaggiavo le chiappe?
-Wow, Deam! Non è quel biondino che ti piace?-
-Già…- e cadde il discorso. Notai che Marco era stato attento al loro discorso per tutto il tempo, probabilmente perchè aveva sentito Martina che parlava di un altro ragazzo con enfasi. Quando tornai a prestare attenzione alla lezione, mi voltai e vidi che anche Martina lo stavo fissando intensamente.
Sorrisi lievemente. Il loro era proprio un bel rapporto. Spesso sembravano in crisi, ma andava sempre tutto per il meglio. Si volevano un gran bene e questo aggiustava le cose.
-Sei molto fortunata- affermai sulla strada per casa.
Nonostante abitassimo lontano l’una dall’altra Martina mi accompagnava sempre fin sotto il mio portone, dove la mamma di Martina la veniva a prendere.
Questa mi guardò confusa: - Per cosa?-.
-Beh, per aver un ragazzo come Marco al tuo fianco. Tiene davvero molto a te-
-Se vuoi te lo cedo!- scherzò, poi si fece seria. - Lo so, ormai non riuscirei più a stare senza di lui. Almeno credo- rise. Poi si rivolse a me con lo sguardo infuocato di determinazione.
-Ora tocca a te trovarti un bel ragazzo! Hai capito!?- si mise davanti a me sovrastandola. Come quasi tutte le persone che conoscevo , era più alta di me.
-Okay, afferrato- balbettai.
-Brava, e farai meglio a fare come ti dico-. Riprendemmo a camminare.
Sospirai. Il problema era che non ero fortunata con i ragazzi. Nonostante fossi un tipo allegro non ero mai stata spigliata con i ragazzi che mi piacevano. Qualche minuto più tardi ero arrivata e stavo aprendo il portone di casa  voltandomi verso la mia amica che se ne andava. Senza guardare lo aprii di scatto e sentii qualcuno gemere.
-Oddio!- attraverso i vetri c’era un ragazzo che si massaggiava il naso. Fui molto tentata di scappare e tornare dopo. Ma cambiai idea ed entrai incerta.
-Tutto bene?-chiesi titubante. Il giovane si accorse di me e mi fulminò con lo sguardo facendomi sussultare. Aveva i capelli castani scompigliati sul viso che facevano contrasto con gli occhi blu. Mi  guardò furibondo e si alzò. Da seduto sembrava molto più minuto. Invece era imponente. Fisico snello e tonico.
-Scusa- tentai. Seconda figuraccia con un ragazzo nello stesso giorno, grande, Aurora, stai facendo progressi! Mi dissi.
-Sei forse rincretinita?!- mi ringhiò addosso. Mi irritai. Va bene che gli avevo appena dato il portone in faccia, ma non c’era ragione di trattarmi in quel modo!
-Ho chiesto scusa! Non l’ho fatto apposta!-
-Allora sei proprio una stupida-
-Ma insomma! Stavo guardando da un’altra parte!- mi infiammai, ma chi si credeva di essere?
Ghignò: -Questo conferma la mia teoria. Solo un’idiota può aprire il portone di scatto guardando altrove! Gli occhiali non ti servono a niente??!-
-Ehi, ti ho già chiesto scusa, mi sembra!- detto questo me ne andai prendendo l’ascensore.
-Non finisce qui!- lo sentii urlare.
-Ma tu guarda che tipo!- dissi sul pianerottolo dell’appartamento, poi entrai in casa.
Ancora nervosa percorsi il corridoio e arrivai in camera mia lanciando lo zaino sul divano.
-Cara, sei tornata?-
-Sì, mamma!-. Andai da lei in cucina. Come tutti i giorni era intenta a preparare il pranzo. Mi accolse  con un gran sorriso.
-Come è andata la giornata?-
Esitai un attimo, poi risposi: - Bene- .
Mentre mi accomodavo a tavola chiesi: -Papà?-
-Tuo padre rimarrà in ufficio fino a tardo pomeriggio-.
Miz madre era una casalinga, mentre papà faceva l’avvocato. Avevo anche una sorella più grande che frequentava il secondo anno all’università di medicina di Torino e che viveva lì. Anche se non abitavamo troppo lontano da lì, il suo trasloco era stato necessario a causa dell’obbligo di frequenza.
Finito di pranzare mi chiusi in camera e mi distesi sul divano ad ascoltare l’mp3.
 
La mattina dopo ero seduta al banco intenta a sbadigliare quando venni interrotta dalle mie compagne.
-Ehi, ma non sei eccitata di vedere il nuovo ragazzo?- mi chiese Gloria.
Risposi con un sorriso :- Non molto, almeno non ora,  ho troppo sonno-. Ero stata entusiasta per tutte e due le settimane precedenti e ora che era arrivato il momento pensavo solo al letto caldo che avevo abbandonato quella mattina, del quale sentivo una grande mancanza.
-Dai, svegliati, che tra poco suona e scopriamo chi è!- Martina mi punzecchiava allegra il braccio.
-Va bene, d’accordo. Ora sono attiva, contenta?-  in quel preciso momento suonò la campanella.
Tutti si misero ai loro posti, in silenzio.
L’aria si era riempita di un denso senso di attesa. Era assurdo che fossero tutti così tesi. In fondo era solo un compagno.
Dopo dieci minuti entrò la professoressa di inglese con il ragazzo. Ebbi un tuffo al cuore e per poco non svenni.
-Oh. Mio. Dio- sussurrai.
-E’ proprio carino, eh?- Martina quasi saltellava. Per me era quasi uno scherzo.  Il cuore prese a martellarmi in petto.
-Marty,- cominciai- ricordi il maleducato di cui ti ho parlato ieri al telefono?- fissavo il ragazzo attonita, con un nodo alla gola.
-Sì, che c’entra adesso?-
-E’ lui-. Lui si stava guardando in giro e , quando posò i suoi occhi su di me , serrò la mascella.
Martina mi guardava allibita. - Stai scherzando! Non può essere!-
-Ti dico che è così-. Non avrei mai potuto dimenticare quegli occhi di un blu così intenso da sentirsi affogare.
- Ragazzi, vi presento Kevin Harris. Viene da Boston e rimarrà con noi per un anno intero!- .
Nel frattempo nella classe si era alzato un brusio di voci che facevano commenti su Kevin.
Il ragazzo mi guardava ancora con occhi severi e mi sentii in soggezione. Avrei voluto gridargli di smettere di fissarmi in quel modo!
-Questa sarà una buona occasione per migliorare il vostro inglese! Non sprecatela!- continuò la professoressa.
Un momento, pensai, con me, lui aveva parlato un perfetto italiano. Anche se parlare era una parola grossa, visto che non aveva fatto altro che insultarmi. Il solo pensiero mi fece innervosire. Tutto questo sarebbe stato un incubo, ne ero più che certa.
-Prego Kevin, siediti pure vicino a Marco- disse l’insegnante in inglese e gli indicò il posto. Il ragazzo che prima era compagno di Marco si era già spostato vicino a un altro in modo da lasciare il banco vuoto.
Trasalii.
-Viene proprio qui davanti!- sussurrò allegra Martina. Io maledivo il giorno in cui avevo deciso di sedermi nei banchi dietro a Marco.
Quando Kevin si sedette la professoressa si rivolse a lui per l’ultima volta, sempre parlando in inglese: - Ora ti lascio alle tue lezioni. Buona fortuna! Ci vediamo dopo- e poi continuò in italiano – Ragazzi trattatelo bene, mi raccomando, ci vediamo - .
E uscì seguita da un coro di “Arrivederci” e di alunni che si alzavo per salutarla e prendevano a girare per la classe aspettando la lezione successiva.
Rimasi seduta. Kevin si voltò verso di me e sorrise in tono di sfida.
-Guarda chi c’è qui- disse- l’imbranata con gli occhiali. Il mondo è proprio piccolo-  Mi innervosii subito.
-Il maleducato! Ho fatto proprio bene a tirarti il portone in faccia! Cos’è, fai il finto straniero?- riferendomi al fatto che parlava molto bene l’italiano.
Lui allargò il sorriso e non potei fare a meno di notare che era molto carino. – Il mio non è uno scambio culturale, è un trasferimento. Per cui è più che normale che conosca la lingua!- detto questo, si alzò e subito venne circondato dal resto dei compagni.
-Insopportabile!- esclamai- Non poteva andare in un’altra classe?!-
-No- rispose tranquilla Martina - noi siamo la classe meno numerosa, per questo l’hanno messo qui- 
Guardai il gruppo che aveva accerchiato Kevin. Tutte le ragazze già gli saltavano tra le braccia.
-Marco, io sto dalla tua parte- gli dissi poco dopo. Lui mi guardò confuso e annuì senza sapere perché.
Ribollivo di rabbia. Quel suo atteggiamento da presuntuoso mi dava proprio sui nervi.
-Aurora, tu sei una persona calma e tranquilla-mi dissi- Adesso vai in bagno e ti calmi-.
Obbedii a me stessa e andai in bagno senza chiedere a nessuno perché l’insegnante tardava ancora ad arrivare.
 
-Ora sì che sto meglio- constatai dopo essermi sciacquata il viso. 
Corsi fuori dal bagno diretta verso la classe, non era il caso di farsi trovare fuori all’arrivo della professoressa.
Prima che potessi raggiungere l’aula vidi qualcuno comparire da dietro un angolo e andai a sbatterci contro.
-Sicura di vederci senza occhiali?- .
Alzai gli occhi al suono della voce e vidi Deam ridacchiare. Arrossii all’istante.
-Sì che ci vedo. Ma sei spuntato all’improvviso!-
-Okay, colpa mia- sorrise e il mio battito cardiaco aumentò di conseguenza-Dove stavi andando?-
Non risposi, ero rimasta incantata dal suo sorriso e dai suoi occhi castani. -Aurora?-
-Eh? Ah, sì… In classe-
-Stai bene?-
-Sì. E’ che il nuovo arrivato mi dà su i nervi- cominciammo a incamminarci verso l’ aula.
-Il ragazzo americano? Sì, ho sentito parlare del suo arrivo-.
In quel momento arrivammo davanti la porta della classe. Notai Kevin appoggiato allo stipite che parlava annoiato con un gruppo di compagni. Quando si accorse di noi, posò i suoi occhi su Deam.
Rimasero ad osservarsi per secondi che sembravano interminabili.
Kevin aveva uno sguardo scettico e freddo. Deam sembrava preoccupato.
- Deam?- tentai. Nessuna risposta..
Osservai gli strani sguardi che si lanciavano i due e ne rimasi confusa. Si era creato all’istante una sorta di connessione tra Deam e Kevin, una connessione molto intensa. Il tutto durò pochi secondi. Lo richiamai. Subito dopo l’attenzione di entrambi si rivolse altrove. Kevin tornò in classe dopo che una delle ragazze lo aveva chiamato, Deam invece ora mi guardava accennando un sorriso.
-Beh, io ora torno in classe- disse.
-Allora ciao- gli sorrisi. E il ragazzo se ne andò.
Rimasi ancora qualche momento ferma, cercando di capire cosa fosse successo.
Avevo la netta sensazione che ci fosse qualcosa di strano.
Alla fine rientrai in classe anche se l’insegnante non arrivò che l’ora dopo.
 
-Che giornata movimentata, non trovi?- Martina quel giorno si era divertita come una matta a fare ingelosire Marco guardando Kevin per tutto il giorno.
Io invece ero stata sempre innervosita dalla sua presenza. Ero così sollevata adesso che tornavo a casa, lo avrei rivisto solo l’indomani.
Salutai l’amica e salii a casa. Una volta entrata, mi tolse il giaccone e mi diressi stanca verso la mia camera. Passai davanti alla cucina.
-Ciao mamma, papà- li sentii chiacchierare, ma non li guardai e tirai dritto verso la mia dolce camera che ospitava il dolce letto.
Posai gli occhiali sulla libreria, lanciai via la pesante cartella, che scivolò lontano da lei, poi lanciai me stessa sul letto.
Non feci neanche in tempo a chiudere gli occhi che mi chiamarono: - Aurora! Vieni qui! Dobbiamo parlare!- . Mio padre non ce la faceva proprio a lasciarmi in pace.
Sbuffando li raggiunsi. – Non potevo riposare prima di…- per poco non mi misi ad urlare.
Mio padre era seduto a capotavola e alla sua destra sedeva Kevin con il suo sguardo da spaccone.
-Che diavolo ci fa lui qui?!- in effetti mi ritrovai a strillare, nonostante non ne avessi intenzione. Poi mi ricordai di ieri. Kevin stava uscendo da casa mia quando gli avevo quasi rotto il naso! Non ci avevo fatto caso!
-Ma come siamo cortesi, complimenti. Anche a me fa piacere vederti!- disse sprezzante Kevin.
-Zitto tu!- aveva un sorrisetto talmente irritante!
-Ehi, calma, Aurora.- mi zittì papà–E’ una cosa seria-
-Cosa è successo?-
-Siediti e ti spiego tutto-.
Erano tutti seduti intorno al tavolo. Mi stavano facendo agitare. L’attesa mi metteva ansia.
-Ditemi quello che dovete- ordinai. Cominciai a torturarsi una ciocca di capelli, lo facevo sempre quando ero nervosa.
-Okay, ma devi ascoltare tutto e stare calma, perché è una cosa molto importante-.
Capii che sarebbe stata una cosa un po’ lunga, così appoggiai il gomito al tavolo, così che il braccio non si stancava mentre mi pasticciavo la ciocca.
-Va bene- dissi infine.
Prese fiato e cominciò a parlare: - Devi sapere che in giro per il mondo ci sono delle famiglie speciali-.
-Speciali, cioè che hanno un sacco di soldi?-. Kevin quasi scoppiò a ridere, lo fulminai all’istante. Ora ero ancora più nervosa e aumentai la velocità della mano nei capelli.
-No, beh... come posso metterla…- continuò mio padre. E sbottai:
-Dai, papà arriva al sodo! Puoi dirlo chiaramente, per favore?- mi era sembrato che  stesse cercando di raccontare la vera storia della cicogna a una bambina.
Kevin intanto seguiva con gi occhi la mia povera ciocca di ricci.
-Sei un’Alchimista- rispose papà.
Mi bloccai e alzai un sopracciglio. Non capivo se mio padre mi stesse prendendo in giro o avesse detto qualcosa senza senso.
-Sarebbe a dire?-
-Che hai dei poteri- continuò lui.
-Poteri? Suvvia papà, che cosa stai dicendo?- Aveva drizzato la schiena.
-Poteri come una specie di magia, però puoi controllare solo un elemento-.
Ero stordita, poi pensai che fosse tutto uno scherzo. Mi alzai dandogli le spalle e mi diressi verso la porta mentre dicevo:
-So che sono una ragazza alla quale piace leggere romanzi fantasy, ma quando volete farmi scherzi del genere, per favore fatelo quando ho già dormit…-
All’improvviso vidi qualcosa di luminoso passarmi veloce di fianco e colpire il frigorifero causando un gran botto. Mi voltai sconvolta. Kevin teneva i palmi delle mani aperti rivolti verso di me. Ero sicura di vedere delle specie di scintille provenire dalle sue mani.
Ero sbalordita, il buco nel frigorifero fumava ancora.
-H-ha distrutto il frigo… -balbettai. Cos’era quella roba?
-Sono questi i poteri di cui ti parlavo, tesoro- continuò mio padre.
Dopo un po’ mi ripresi:-Ma, io cosa c’entro con tutto questo?- ero sempre più confusa – Non so fare queste cose!-
-Beh, perché devi imparare, cara- mi spiegò la mamma.
-Ed è a questo scopo che ti trasferirai-, finì il marito.
Fu come se fossi stata investita da una valanga.
-Come, scusa?- balbettai.
-Esatto, andrai in un posto dove ci sono altri Alchimisti come voi due, vivrai lì e svilupperai i tuoi poteri-
-Mi stai buttando fuori di casa?- chiesi incredula. Sempre così iperprotettivo e adesso mi mandava a vivere da un’altra parte prima del tempo? Erano tutti impazziti?!
-Ma no, tesoro, figurati. Il fatto è che in questo posto sarai affiancata da ragazzi come te e da persone che ti aiuteranno -. Mi suonava come la perfetta descrizione di un manicomio.
-In quanti dovremmo essere?- domandai. Non sapevo come reagire, se esultare, piangere o urlare e sgridarli per questo scherzo. Ma l’adrenalina mi impediva tutto ciò.
-Non molti. Sarà per te un’ottima occasione per imparare nuove lingue! Anche se lì hanno tutti già imparato l’italiano-.
Esitai un attimo: - Altre lingue?-
Questa volta fu la mamma a spiegare: -Sì, cara, quando papà ti stava spiegando che ci sono diverse famiglie con questi poteri, voleva dire che queste famiglie vengono da altri paesi del mondo-.
-Quindi è una cosa di famiglia?- Cercavo di fare chiarezza in una situazione così assurda.
Kevin nel frattempo era tornato immobile e ascoltava.
-Beh, diciamo che i poteri sono ereditari-
Ebbi un’illuminazione:- Allora anche mia sorella...?- . Magari la storia dell’università era tutta una farsa!
I miei genitori scossero la testa:- La trasmissione non è sempre uguale, ogni tanto capita che salti una generazione.-
Riflettei, poi mi rivolse di nuovo a loro:-Ah. Quindi chi dei due li ha?- .
-Io.- rispose il padre. Non ne rimasi sorpresa. Mia madre non era il tipo da strani poteri.
-E quale elemento dovremmo controllare?-, adesso cominciavo a incuriosirmi.
Mio padre sorrise: - Noi subiamo l’influenza del Sole- poi, alzatosi in piedi, allargò le braccia e dopo poco tutto il suo corpo prese fuoco.
Quasi urlai. Era una fiamma dorata ed emanava una forte luce.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che non urlasse dal dolore.
L’attimo dopo la fiamma era sparita.
-Anche tu imparerai a fare molte cose-
- E quando dovrei trasferirmi?-
-Domani. Verranno a prenderti nel tardo pomeriggio e ti porteranno alla residenza. Lì troverai tutti gli altri. Alcuni sono già lì da un po’, altri sono arrivati da una settimana-.
Vivere con un gruppo di persone sconosciute? Deglutii: l’idea non mi allettava per niente. Poi, pensai a qualcosa di molto peggio. - Non dirmi che ci sarai anche tu…- . Mi ero rivolta a Kevin, che mi guardava con ostilità.
-Non sei l’unica cui questa cosa non piaccia-.
Fantastico, mi dissi, andavo in un posto dove non conoscevo nessuno , ad allenare poteri che neanche sapevo di avere fino a poco fa e per di più avrei vissuto tutto questo con quel odioso, arrogante, maleducato...
-Papà, non puoi insegnarmi tu?- piagnucolai.
-No, tesoro, io oramai non pratico più. Lì troverai il giusto insegnamento, non ti preoccupare-.
Sbuffai. Mia mamma mi disse di cominciare a preparare le mie cose e che tra poco avrebbero pranzato.
Da lì a poco Kevin se ne andò e la famiglia si riunì per pranzo.
 
Dopo mangiato la mamma mi aiutò a fare i bagagli. Ero piuttosto preoccupata e in ansia. Non volevo andare via, tutto questo mi causava una strana sensazione. Si supponeva che io avesse chissà quale sorta di potere, che fossi una cosiddetta Alchimista. Avevo visto mio padre e Kevin usarli, eppure ancora mi sembrava una situazione irreale. Era successo tutto così in fretta. Non ci stavo capendo niente. Tra poco ti sveglierai e ti ritroverai nel bel mezzo di una lezione di storia, mi dicevo. Sì, ne ero sicura.
-Non posso parlarne ai miei amici, vero?- diedi voce ai miei pensieri.
Mia mamma sospirò mentre infilava un’altra T-shirt in valigia: - Temo proprio di no, tesoro-.
-E come frequento la scuola? Che cosa dovrei dire? Aspetta… Non andrò più a scuola? E i miei amici?-, sapevo che stavo andando nel panico. Mi ero sempre lamentata della quotidianità ma, ora che avrei perso quelle cose così normali per me, le rivolevo con tutta me stessa.
Lei cercò di tranquillizzarmi: - Potrai ancora andare a scuola, magari non tutti i giorni, ma tranquilla che continuerai a vedere i tuoi amici-.
Le sue parole ebbero l’effetto desiderato, mi fecero calmare. Annuii  e continuai a impachettare.
Quella notte  non dormii per niente bene.
 

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Capitolo 3
*** La piccola Versailles ***


Ecco il secondo capitolo!!! Spero che questa storia vi piaccia!! fatemi sapre cosa ne pensate! ;)

CAPITOLO 2
 
La piccola Versailles

 
La mattina dopo il suono di quella stramaledetta sveglia mi fece svegliare di soprassalto. Mi stropicciai il viso e posi fine a quel suono fastidioso. Erano le sette in punto e qualche lieve raggio di luce cercava di entrare dalle finestre. Rimasi a fissare il soffitto. Avevo bisogno di qualcosa che mi dicesse che ieri era stato tutto uno sogno. Non poteva essere reale.
Ricordavo il buco nel frigo, mio papà che prendeva fuoco e non sentiva niente.
Dovevo trasferirmi. E’ così che avevano detto??
Sentii affiorare un po’ di panico quando ricordai che nel sogno, la sera, mia mamma mi aveva aiutato a fare i bagagli mentre ero leggermente scossa. Sapevo che li avremmo messi vicino alla scrivania, che si trovava a fianco del mio letto. Deglutii. Non volevo voltare la testa. Poi mi presi in giro. Ma di che cosa avevo timore?
E invece eccole lì. Due valigie. Ok, ero confusa.
Decisi di alzarmi. Mi trascinai verso la cucina con lentezza. Magari dovevo fare un gita e me n’ero dimenticata! Sì, mi piaceva come idea. In fondo mi dimenticavo sempre tutto. Mi attaccai allo stipite della porta quando vidi il buco nel frigorifero.
-Non può essere!- sibilai. Quindi era tutto vero? Essere un’Alchimista e tutto il resto?
-Tesoro! Ti sei alzata presto, potevi prendertela con calma. Hai tutta la giornata per prepararti. L’auto arriverà nel pomeriggio tardo-. Mi salutò con un gran sorriso.
-Mamma- la mia voce era un sussurro. Lei notò il mio sguardo piuttosto scosso.
-Aurora, tutto bene?-.
-Dov’è papà?- volevo un’ultima conferma a quell’assurdità.
-Si sta preparando per andare a lavoro, ma ha detto che sarà a casa quando vai via-.
Mi sedetti al tavolo della cucina, mia mamma tranquilla che mi preparava la colazione. Io tenevo gli occhi fissi sul frigorifero. L’aveva fatto Kevin.
Kevin, quel grosso, irritante…
-Buongiorno cara, sei mattiniera!- mi salutò mio padre. Gli corsi incontro.
-Rifallo- e agitai le mani davanti al suo viso.
-Cosa?- mi guardava confuso.
-Quella cosa di ieri! Rifalla!- . Il suo viso sembrò illuminarsi.
-Ah! Dici questo?-  e con un lieve sorriso alzò il braccio destro e la mano prese fuoco.
La mia bocca si spalancò in attesa di un urlo di dolore. Ma come il giorno precedente non arrivò.
-Sei eccitata per oggi, vero?-. più che eccitata ero sempre più scossa. Quando vide che non rispondevo, ma guardavo sempre la mano, fece sparire la fiamma e continuò :- Hai già avvisato che oggi non andrai a scuola?-. Quella domanda mi colpì come una doccia fredda.
-No-.
-Beh, dai sbrigati a farlo. Io vado a lavorare. A stasera-. E andò via.
E ora che mi inventavo? Non ero capace a mentire… Per cui… “Marty non vengo a scuola oggi perché devo trasferirmi in una casa piena di Alchimisti.. Ah, sì, perché, non te l’ho detto? Pare che sia capace di prendere fuoco senza farmi niente” ??. Non mi sembrava il caso.
In camera mia seduta sul letto cercai di scriverle una mezza verità. Mi arrovellai per qualche minuto, poi decisi di scriverle che avevo da fare con la mia famiglia.
Poi gettai il telefonino sotto il cuscino e mi sdrai.ai Volevo dormire un altro paio d’ore per cercare di focalizzare meglio la situazione.
 
Il resto della giornata trascorse tranquillo. Non so come cercavo di abituarmi all’idea di andare a vivere da un’altra parte. La cosa mi esaltava e innervosiva allo stesso tempo.
Alle sette di sera la macchina era sotto casa ad aspettarmi.
La mia agitazione aumentò. Scesi con i bagagli e i miei genitori.
L’auto era un’Audi nera con i vetri oscurati. Nessuno scese a darmi una mano.
Quando ebbi caricato tutto, mi voltai per salutare i miei genitori.
Li abbracciai entrambi –Puoi venire a trovarci a casa quando hai voglia- mi dissero.
-Va bene, salutate Clara- dissi riferendomi a mia sorella.
Mi staccai da loro: - Allora, io vado-
Mentre entravo in macchina, sentii mia madre dirmi: - Comportati bene anche quando sei a scuola! E ricordati di lavarti i denti!-
Mi sedetti nei posti dietro sorridendo. Il quel momento avevo deciso che avrei preso questo cambiamento con più positività.
Il sorriso mi morì in viso quando notai chi avevo di fianco.
-Ce ne hai messo di tempo- il solito tono sprezzante di Kevin.
-Vieni oggi anche tu?- cercai con tutta me stessa di non urlargli addosso.
-Perspicace-.
-E dove hai vissuto fino ad adesso?-
-Albergo-.
Mi innervosii:- Senti, ho capito io non ti sto simpatica. Bene, la cosa è reciproca. Inoltre, dato che lì non conosciamo nessuno a parte noi due, forse potremmo almeno provare a far finta di sopportarci, okay?-.
L’autista si voltò verso di noi. Era un uomo piuttosto giovane, probabilmente di origine indiana. Aveva un viso simpatico, e sorrise.
-Salve, Aurora! Io sono il padrone della residenza. Chiamami Bob-
Quasi scoppiai a ridere, ma mi trattenni.- Salve, molto piacere-
Bob sorrise ancora, poi si girò e mise in moto la macchina.
Mi agitavo sul posto ansiosa di arrivare a destinazione, nonostante fossimo appena partiti. Mi voltai verso Kevin. Teneva il mento appoggiato al dorso della mano e il gomito sul finestrino. Osservava in silenzio le case che scorrevano veloci.
 Il sole stava lentamente tramontando e intorno a noi tutto si stava dipingendo di colori meravigliosi. Man mano che procedevano le case diventavano sempre meno numerose. Ci stavamo dirigendo verso la periferia della città.
-Ma dove siamo diretti?- non ce la facevo più ad aspettare.
-Ecco, siamo arrivati!- esclamò entusiasta Bob mentre girava ed entrava in una strada appena fuori città che percorreva il bosco. Tutto intorno era pieno di alberi.
Alla fine della via trovammo un imponente cancello di ferro battuto.
-Wow… ma che posto è questo?- mi sporgevo verso i posti anteriori per vedere meglio fuori dal parabrezza.
Oltrepassato il cancello, apparve davanti a noi una stupenda villa di tre piani, completamente bianca. Prima vi era un viale che terminava con una piazzetta nel centro della quale vi era una fontana. 
-Oh, santo cielo! Questo è davvero uno scherzo!- esclamai allegra. Alla fine ero passata al posto davanti del passeggero.
-E devi vedere com’è all’interno!- gongolò Bob.
La macchina si fermò appena davanti al portone d’ingresso.
Scendemmo tutti e tre dalla macchina. Kevin e Bob si apprestarono a scaricare i bagagli. Io, invece,  corsi a mirare l’edificio
-Ma è bellissima! – poi raggiunsi gli altri due.
Anche il giardino era ricco di alberi, e dietro la casa vi era una piccola serra collegata all’edificio da un sentiero in pietra. Dalla piazzetta inoltre si formava un’altra piccola strada che portava al garage. L’intero terreno era delimitato dalla recinzione di ferro e dal bosco.
-Ma è davvero tutto tuo?- continuai aiutando Bob che aveva preso i miei bagagli. Quest’ultimo sorrise in segno di assenso. Pensai che dopotutto la permanenza in un posto così non poteva essere poi tanto male.
Subito dopo eravamo sul pianerottolo. Presi un gran respiro.
-Agitata?- domandò Bob.
-Decisamente-, poi mi rivolsi a Kevin, speranzosa di trovare un alleato -Tu, invece?- . Lui mi guardò:- Ti sembro agitato?-
Corrucciai la fronte: –No, e non so come fai a essere così tranquillo-. In tutta risposta Kevin alzò le spalle.
-Allora, siete pronti a entrare? Vi stanno aspettando- annunciò Bob. Presi un altro grosso respiro, poi annuii.
Calma Aurora, calmati, pensavo, sono solo altre persone come te. E allora perché avevo un gran peso sullo stomaco?
Bob aprì il portone ed entrammo nell’ingresso, posammo i bagagli ai lati della porta. Accennai un sorriso. Era molto bello anche all’interno, sembrava piuttosto accogliente.
A destra vi era la scala in mogano che portava ai piani superiori ed era appoggiata alle pareti della stanza che stava dietro.
A sinistra del corridoio c’era un grande arco che separava l’ingresso dal salotto. Per quello che
 riuscivo a scorgere, sembrava molto ampio ed ero certa di sentire lo scoppiettio di un camino. Inoltre si percepiva una grande attività in quella parte della casa. Ci dovevano essere delle persone riunite.
-Siamo arrivati!- annunciò Bob -Venite tutti qui per le presentazioni!-
Ricominciai ad agitarmi, e peggiorai quando vidi arrivare gente dal salotto o scendere le scale.
Davanti a noi c’era un gruppetto di cinque persone, due adulti e tre giovani, tutti di nazionalità diversa. Mi sentivo in soggezione a causa dei tre ragazzi;chi mi rendeva particolarmente nervosa era un’affascinante ragazza dai corti capelli biondi e gli occhi verdi. Non smetteva di fissarmi.
La mia attenzione fu catturata un attimo da una simpatica signora, bassa, grassoccia e molto abbronzata, che mi sorrideva. Mi tranquillizzava, così mi concentrai su di lei per evitare lo sguardo della bionda. Poi mi presi un momento per osservare anche gli altri presenti.
Gli altri due ragazzi erano uno di colore, molto alto e di corporatura robusta. All’inizio poteva rendere inquieti, ma a guardarlo bene, mi resi conto che aveva un viso amichevole. L’altro ragazzo era un po’ più serio, i suoi capelli erano biondissimi  e i suoi occhi grigi; leggermente più basso del primo, era anche più minuto.
L’ultimo dei presenti era un ometto attempato dagli occhi a mandorla e la pelle scura; doveva essere eschimese, costatai.
Salutarono tutti Bob, che ricambiò. Poi si rivolse a noi:- Allora, loro sono Corinne, Hermand e Kaleb - indicando i due biondi e il ragazzo di colore. Corinne mantenne un’aria di sufficienza, mentre gli altri due mi sorrisero e ricambiai il saluto.
-Questi invece sono Jink e Rebecca, mi aiutano a tenere in piedi questo posto…- fece una pausa come se si fosse accorto di qualcosa.
-Ma, - disse,- dove sono gli altri due?-
-Eccoci, eccoci! Eravamo nella serra!- si sentì una voce maschile provenire da quella che probabilmente era la cucina. Preceduto da un rumore di passi svelti, dal gruppo spuntò un giovane biondo con un bambino in braccio.
I suoi occhi incontrarono i miei ed entrambi avemmo un tuffo al cuore, piacevolmente sorpresi. Il ragazzo posò il bimbo a terra e mi corse incontro.
-Aurora!-
-Deam!- esclamammo insieme.
-Tu qui?- chiese lui-Non dirmi che sei…-
-Un’Alchimista, o come si chiama…? Pare di sì, e tu?-
-Sì, che sorpresa!-
Dovetti sforzarmi per non saltargli addosso; ero così contenta di vederlo, almeno in quella casa c’era un volto amico.
Anche Deam sembrava contento di vedermi e il mio sorriso si allargò di più.
 
-Siamo nella stessa scuola- spiegò Deam.
-Direi che è fantastico! Bene, ora possiamo fare le presentazioni come si deve- .
Mi resi conto che Kevin non aveva proferito parola, era rimasto fermo a osservare la situazione.
-Dunque,- continuò- loro sono Kevin e Aurora- indicando noi.
-Benvenuti!- esclamarono Hermand e Kaleb facendomi l’occhiolino.
Sorridendo risposi:- Grazie mille. E grazie per l’ospitalità- aggiunsi rivolgendomi a Bob.
Kevin fece solo un cenno con il capo.
Subito dopo notai il bambino di prima che stava in piedi davanti a Deam. Doveva aver circa cinque anni ed era di origine asiatica.
-E lui?- domandai. Questo, sentitosi preso in causa, si nascose dietro le gambe del giovane.
Mi avvicinai e mi piegai sulle ginocchia per essere alla stessa altezza del piccolo.
Intanto mi rispose Rebecca guardandolo teneramente.
-Questo bimbo è giapponese. Si chiama Kei ed ha quattro anni.-
Gli rivolsi un sorriso. Era un bambino così tenero. Ma come mai così piccolo era già lì?
-Sei un Alchimista anche tu?- chiesi scherzando. Rimasi un po’ stupita quando lo vidi timidamente annuire col capo.
Bob rianimò nuovamente la situazione unendo le mani, le quali produssero un sonoro clap , poi disse:
-Bene, ragazzi, ora vi mostro le vostre camere, così vi sistemate. Tra un’oretta ci sarà la cena qui in sala da pranzo e poi tutti a letto che da domani cominciano gli allenamenti!-
Rimasi confusa riguardo all’ultima parola, poi seguì Kevin e Bob su per le scale . Deam mi aiutò con i bagagli.
Giungemmo al terzo piano. Era diviso da un corridoio ma di L rivestito di moquette bordeaux e i muri ai lati erano tappezzati da quadri, come la maggior parte della casa. Salendo avevo constatato che tutti i piani erano simili, a parte per il colore della moquette: verde al primo, blu al secondo e bordeaux al terzo. Svoltammo l’angolo del corridoio, lì vi erano due porte, una davanti all’altra. Ne notai poi una terza diversa dalle altre che chiudeva il corridoio; era una di quelle a soffietto in stile orientale.
-Quella è la sala bagno- spiegò Bob accorgendosi del mio sguardo perplesso.
-Lo abbiamo costruito basandoci sulle spa orientali. Ce n’è uno in ogni piano-
Rimanevo sempre più affascinata da quella casa, eppure qualcosa mi diceva che c’era molto altro da scoprire.
Bob fece entrare Kevin e me nelle rispettive camere.
-Ma che carina!- esclamai. La stanza non aveva dimensioni eccessive, ma era fornita di tutti i comfort. Nella parete di fronte alla porta c’era un letto a una piazza e mezza con coperte e cuscini rossi e vicino una scrivania in legno sotto un’ampia finestra. A destra vi era un armadio e a fianco una toilette in stile antico in legno con un grande specchio e appoggiato alla parete della porta vi era un piccolo mobiletto che sorreggeva un televisore. Infine a sinistra c’era una piccola porticina che conduceva al bagno personale.
-Non è molto grande, ma spero possa andare bene. Non tutte le stanze di questa casa sono molto grandi- si scusò Bob.
-Ma cosa dici!?- io la trovavo decisamente perfetta.
Bob mi lasciò sola con Deam e andò a parlare con Kevin.
Non potei fare a meno di sorridergli – Tutto questo è veramente strano- dissi e guardandomi intorno mi sedetti sul letto.
-Vederti arrivare qui è stata una cosa strana- rise Deam.
-Già, anche questo. Sono un po’ preoccupata. Non so cosa aspettarmi da questo posto. Tu che ne pensi?-
Il ragazzo alzò le spalle. –Qui è ok. Io vivo qui da quando sono arrivato in Italia. Hermand, Corinne e Kaleb sono arrivati dopo, uno per uno. Sono dei tipi a posto, anche se Corinne è un po’ difficile a volte- chissà perché  non ne ero sorpresa.
Deam notò i miei occhi ancora un po’ perplessi. Posò gentilmente le mani sulle mie spalle facendo sì che lo guardassi negli occhi, poi parlò.
-Aurora, ti sto dicendo di non preoccuparti. Ti aiuteremo noi, non sarà difficile, vedrai-
Mi persi nei suoi occhi color nocciola e cominciai ad arrossire quando mi accorsi di quanto fosse vicino il suo viso. Anche lui se ne rese conto e si allontanò di scatto.
Accennò un sorriso e disse: -Ti lascio disfare i bagagli. Ci vediamo giù a cena- e se ne andò.
Lo  osservai uscire dalla stanza, poi, senza farmi vedere, lo seguii e mi appoggiai allo stipite della porta. Mi ritrovai a sospirare mentre Deam spariva dietro l’angolo del corridoio. La sua presenza mi faceva proprio uno strano effetto.
All’improvviso sentii la risata di qualcuno vicino a me. Kevin rideva sotto i baffi.
-Cosa vuoi?!-
-E tu che ti preoccupavi di non conoscere nessuno- disse schernendomi – Direi che ti stai ambientando piuttosto bene- poi ancora ghignando indicò il mio viso –Se lo vuoi rendere meno evidente, ti consiglio di lavarti la faccia-  rise e poi si chiuse in camera.
Mi stizzii. - Fatti gli affari tuoi!- urlai. Entrai in camera chiudendo la porta alle mie spalle.
Nonostante tutto decisi di seguire il consiglio di Kevin e andai a sciacquarmi il viso.
Quando uscii da bagno iniziai a sistemare le mie cose prima di cenare. Mi piaceva l’idea di avere una camera che fosse mia interamente, e non in parte come lo era stato condividendo la stanza con mia sorella.
Tirai fuori il mio adorato notebook e lo posi sulla scrivania insieme a una cornice con una foto che ritraeva me e Martina a Londra davanti al Big Ben. Avevo amato veramente tanto quel viaggio fatto con i miei amici.
Prima di scendere per la cena mi cambiai.
Mentre percorrevo il corridoio diretta alle scale mi ritrovai a pensare a quell’ultima sera trascorsa sul London Eye. Sorrisi tra me. Ricordavo ancora così bene quegli occhi color ghiaccio.
-Ahia!- esclamai. Avevo sentito un piccolo colpo dietro la testa. Mi voltai per vedere cosa fosse stato.
Kevin era di fronte a me e mi guardava con un sopracciglio alzato.
-Ancora tu!- dissi esasperata. Vederlo aveva il potere di irritarmi subito. Non mi piaceva averlo intorno. E lo avevo conosciuto da poco, figuriamoci viverci insieme!
-Se non ti avessi colpito non saresti scesa dalla tua nuvola e saresti, a quest’ora, ai piedi della scalinata- mi rimproverò.
-Ma di cosa stai parlando?!- poi rivolsi lo sguardo al pavimento. Deglutii. Ero a un passo dal primo gradino e non me n’ero accorta. Kevin cominciò a scendere.
-Fosse stato per me, ti avrei lasciato cadere, ma poi avresti fatto rumore e io sarei stato costretto a fare lo sforzo di scavalcarti-.
Mi sdegnai. Tentai di dargli una piccola spinta per fargli pensare di perdere l’equilibrio, ma lui mi schivò e, prendendomi la vita con un braccio, mi tirò su.
-Non ci provare, ragazzina- sul suo viso comparve un ghigno. Poi continuò a dirigersi verso il piano terra che ancora mi teneva a mezz’aria.
Ero rimasta sconcertata dalla velocità dei movimenti di Kevin. Poi mi resi conto di come mi stava tenendo e arrossii di vergogna.
-Lasciami andare!- ordinai e cominciai a muovermi agitando gambe e braccia.
-Così non tenterai di fare altri scherzi stupidi-
-Oh, andiamo! Non sono un sacco di patate, mettimi giù!-
-Hai ragione, un sacco di patate sarebbe più leggero e piacevole di te- mi fece saltare per poter riacquistare la presa che si era allentata a causa dei miei strepiti.
Ero piuttosto irritata e il rossore non accennava a passare.
-Vuoi lasciarmi?!- ripresi ad agitarmi.
-Se continui a muoverti così finirai per cadermi e rotolare giù dalle scale, il che forse è la soluzione migliore-
Quando raggiungemmo il pianerottolo del piano terra Kevin mollò la presa all’improvviso.
Riuscii a non cadere per miracolo.
-Deficiente- dissi fulminandolo. Lui mi ignorò dirigendosi verso una stanza dalla quale provenivano rumori di piatti e chiacchiere . Lo seguii ed entrammo nella sala da pranzo.
Era una sala molto elegante. Il pavimento era rivestito da parquet scuro, i mobili appoggiati alle pareti erano in mogano, come il lungo tavolo posto al centro. La tavola era raffinatamente apparecchiata e sopra di esso c’era un meraviglioso lampadario di cristallo a goccia.
Ci sedemmo negli unici posti liberi. Uno accanto all’altra, presi posto sbuffando.
Il mio umore però cambiò quando vidi che a fianco a me c’era Kei, il bimbo giapponese di prima. Lui mi rivolse un sorriso timido e ricambiai.
Poi cominciarono a mangiare. A metà delle portate Bob cominciò a parlare interrompendo le altre discussioni.
-Allora, Kevin e Aurora. Dovete sapere che ognuno di noi qui possiede un potere differente- spiegò attirando la nostra attenzione.
-Ad esempio: Corinne controlla l’Elettricità, Hermand l’Acqua e Kaleb la Terra. Kei e Deam rispettivamente i Fiori e il Vento- e sorrise orgoglioso dei ragazzi.
Guardai Deam che sorrise. Rimasi affascinata. Una nazione, un elemento differente.
-E voi?- chiese Kaleb riferendosi a me e Kevin.
Parlai per prima. Il mio tono di voce era un po’ incerto. –Mi hanno detto che la mia famiglia percepisce l’influenza del Sole-.
-Davvero?- esclamò curioso Hermand. Bob sorrise soddisfatto. Probabilmente lo sapeva già, mi dissi.
-Ti  hanno detto?- mi fece il verso Corinne.
Mi bloccai. –Ehm, sì. Mi hanno detto solo ieri che ero un’Alchimista. Quindi non ho mai usato i miei poteri-.
-Oh mon Dieu!- fu la sua risposta. Abbassai lo sguardo, imbarazzata.
-Oh, non ti preoccupare! Gli allenamenti ti serviranno a imparare!- esclamò allegro Bob. Gli sorrisi grata.
Poi attendemmo che il turno Kevin a parlare. Mi voltai verso di lui. Non aveva prestato attenzione a noi e aveva continuato a mangiare. Ora si era fermato e, dopo un sospiro annunciò: - Io controllo l’elemento della Luna-.
Cadde un silenzio carico di tensione. I quattro ragazzi guardavano Kevin in modo strano. Più o meno lo stesso sguardo che avevo visto rivolgere a lui il giorno prima da Deam. Non capivo perché. Bob, Jink e Rebecca invece avevano un’aria molto più rilassata. Io ero rimasta confusa. Kevin pure era tranquillo, aveva ripreso a mangiare, come se si fosse aspettato quella reazione. Il resto cena trascorse tranquilla. Io cercavo di aiutare Kei a mangiare, a quanto sembrava la forchetta era troppo pesante. Cercai anche di socializzare un po’ con il resto dei ragazzi, dato che l’atmosfera era tornata quella di prima e il chiacchiericcio era tornato, ma ero troppo timida per riuscirci a pieno. Con Deam invece era più facile, anche se non ci eravamo mai parlati a scuola prima della magra figura che avevo fatto sulle scale, era piacevole chiacchierare con lui. Ogni tanto avevo spostato lo sguardo su Kevin, intento a mangiare , non dava retta a nessuno. Ero perplessa, perché si doveva comportare così? Cosa c’era che non andava in quel ragazzo?
Una volta finito Bob mandò subito tutti a letto con la scusa che l’indomani sarebbero cominciati gli allenamenti. Mi avevano riferito che non sarei riuscita ad andare a scuola finchè non avessi imparato a usare i miei poteri; poi avrei ripreso le lezioni normalmente e sarei andata agli allenamenti il pomeriggio.
In realtà, già non vedevo l’ora di vedere Martina. Non mi era permesso dire niente ai miei amici, almeno per il momento.
Ero così stanca, non vedevo l’ora di andare a dormire, anche se ero piuttosto nervosa se pensavo al giorno dopo. Nonostante avessi appena cenato, sentii un fastidio allo stomaco, come se avessi i morsi della fame.
Questa storia di sviluppare i poteri mi agitava. Se già Kei così piccolo ci era riuscito, perché i miei non si erano mai manifestati? E come avrei fatto ad imparare?
Salii le scale diretta in camera insieme a Kei, Kevin e Deam. Quest’ultimo si fermò al secondo piano e ci augurò buona notte. Il suo sguardo si soffermò un momento su di me prima di andare. Kei camminava dietro me e Kevin. A un certo punto notai che Kei si era fermato davanti a una delle porte prima dell’angolo che conduceva alle nostre stanze.
-E’ la tua stanza?-chiesi. Il bimbo annuì e la gli posai una mano sulla testolina dai capelli corvini.
-Allora sei nella camera attaccata alla mia-  gli rivolsi un gran sorriso –Buona notte, Kei-.
Quando Kei entrò nella stanza  mi voltai per tornare alla mia. Non mi sarei mai aspettata di vedere Kevin che mi fissava. Lo osservai dubbiosa. Il suo sguardo era indecifrabile e sembrava volesse leggermi dentro. Mi prese un po’ alla sprovvista. Lui riprese subito a camminare e presto arrivammo alle stanze.
Il ragazzo fece per subito per entrare, ma lo fermai prima che potesse chiudere la porta.
-Senti,- cominciai – da domani penso proprio che avrò bisogno d’aiuto. Spero che riusciremo a trovare un modo di sopportarci. Buonanotte!- cercai di dirgli perché Kevin aveva già chiuso la porta.
Sospirai, che ragazzo impossibile!  
Una volta in camera cercai di addormentarmi il più presto possibile in vista della particolare giornata che mi attendeva il giorno dopo.

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Capitolo 4
*** Il campo di addestramento ***


Il cielo era di un bel blu cobalto e non c’era una nuvola, ma faceva piuttosto freddo. Anche se era marzo si preannunciava che la primavera si sarebbe fatta aspettare ancora un po’.
Quella mattina non avevo le forze di alzarmi da quel letto così caldo e morbido.
Tuttavia all’improvviso sentii un brutto presentimento. Dannazione!, pensai, sono in ritardo per l’autobus!
Così di malavoglia saltai giù dal letto e feci per dirigermi di corsa in bagno. Ma la porta non era dove era solita essere, e sbattei la faccia al muro.
-Ahia!- mi massaggiai il viso. Non capivo. Cercai a tentoni sul muro l’interruttore della luce. Quando lo trovai e lo feci scattare e mi diedi della stupida.
Mi ero dimenticata di non essere più a casa mia. Guardai l’orologio. Erano appena le sette.
Aprii la porta della camera e sbadigliando.
-Non avrai mica intenzione di scendere in quelle condizioni, vero?-
Mi bloccai con la bocca ancora aperta mentre i miei occhi si posavano su un Kevin ghignante già vestito di tutto punto.
-Wow, tu sì che sei sexy! Conciata in questo modo, avrai un sacco di ragazzi ai tuoi piedi- avanzò di un passo verso di me e fece finta di annusare l’aria.
-Probabilmente la causa è l’alito - . Il ghigno sul suo viso si allargò.
In tutta risposta gli sbattei la porta in faccia.
Quanto ero stata scema! A cosa avevo pensato mentre uscivo dalla stanza?! Quel dannato ragazzo…
Ancora irritata mi sbrigai a lavarmi, vestirmi e a dare una veloce sistemata alla stanza. Poi finalmente scesi a fare colazione.
Li trovai già tutti lì a parlare tra loro. Kevin parlava con Bob, Deam con gli altri ragazzi, perfino Jink era impegnato con Kei.
Rebecca mi venne incontro. –Buongiorno cara!- mi salutò radiosa e non potei far a meno di fare lo stesso. Questa donna aveva il potere di mettermi a mio agio.
-Dormito bene?-
-Benissimo. Sono già tutti in piedi?-
-Sì, e hanno già tutti fatto colazione. Questi ragazzi sono abituati a svegliarsi presto- spiegò conducendomi in cucina. Che vergogna, pensai, il primo giorno e sono già in ritardo.
Non ci ero ancora stata in cucina. Per la verità non avevo ancora visto molto della casa. La cucina era piccola e accogliente. Era stipato di oggetti e utensili e il tavolo al centro era stato apparecchiato con cura.
-Ti ho preparato la colazione. Spero che ti vada bene- . Poi vidi la tavola imbandita di brioches, pane e nutella, cereali, marmellata e una bella tazza di latte. E mi illuminai.
-E’ una meraviglia! Grazie- sorrisi e mi accomodai.
-Buon appetito!- rispose Rebecca e si mise a lavare i piatti. Mentre mangiavo notai una portafinestra davanti a me che dava sul giardino.
-Cosa c’è la fuori?- domandai.
Quando Rebecca capì a cosa mi riferivo, rispose:-Appena fuori c’è un piccolo gazebo e più avanti la nostra piccola serra e ovviamente tutto intorno il nostro giardino-.
-Non vedo l’ora di vederla- pensai ad alta voce.
Rise. –E’ molto bella, sì. Kei ci passa un sacco di tempo lì dentro e fa crescere tutti i fiori e le piante-.
Avevo appena finito di far colazione e stavo per chiedere più informazioni su Kei, quando sentii Bob chiamare tutti in sala.
-Ragazzi, su, sbrigatevi che è ora che si comincino gli allenamenti-annunciò e i ragazzi si diressero tutti verso una porta attaccata alla parete del sottoscala e cominciarono a scendere.
Mi sentii subito nervosa e inadeguata e mi fermai. Non ero ancora pronta, ero troppo agitata. Mi sembrava ancora tutto uno scherzo.
Vidi Deam che mi passava davanti e mi fece un gesto di incoraggiamento a seguirlo.
-Non ti preoccupare, cara. Il nostro Kevin qui ti darà una mano- sentii Bob dietro alle spalle. Feci per girarmi, ma Kevin mi prese per un braccio e mi trascinò giù per le scale.
-E’ ora che impari a controllare i tuoi poteri, non credi?-
Prima che potessi ribattere eravamo arrivati giù. Ci trovavamo in una sala simile a una palestra molto grande, ma non c’erano attrezzi. Il pavimento era irregolare, c’erano delle piccole dune e degli infossamenti e, in fondo, una cabina a forma di parallelepipedo, non troppo piccola, simile a quelle che si usano per ripararsi quando si testano le bombe. Le alti pareti e le piccole finestre rettangolari in cima, che all’esterno erano appoggiate al suolo, delimitavano il bizzarro ambiente.
-Ma che posto è questo…- esclamai sorpresa.
-Mi piace chiamarla l’Arena- sorrise Bob soddisfatto.
Corinne, Hermand e  Kaleb si erano già disposti uno a una certa distanza dall’altro. Prima di raggiungere il suo posto Deam si fermò accanto a me e mi augurò buona fortuna.
Sussultai violentemente quando sentii Bob urlare: - Cominciate!-. L’istante dopo la strana palestra si riempì di lampi e suoni assordanti.
La mascella quasi mi cadde a terra. Rimasi ad osservare i miei nuovi coinquilini esercitarsi nelle Arti Alchemiche. Corinne faceva scaturire dalle sue mani piogge di lampi e fulmini che la circondarono; Kaleb si divertiva a creare piccoli terremoti e smuovere il terreno creando e distruggendo piccole montagne; Hermand invece si destreggiava nel controllare vortici d’acqua spuntati apparentemente dal nulla. Lasciai il meglio per ultimo.
Deam stava sospeso a mezz’aria, concentrato teneva le mani verso il basso e ne faceva uscire correnti d’aria forti al punto da sollevarlo da terra. Nel compiere questo esercizio gli era spuntato un sorriso di soddisfazione e i capelli gli si spettinavano intorno al viso.
-Stupefacente, vero?- esclamò Bob, forte abbastanza da poterlo sentire in quel frastuono. –Più ci si esercita, più si impara a controllare i propri poteri e a svilupparli sempre di più- poi mi guardò sorridendo. –Non temere, Kevin ti insegnerà come fare-
Annuivo senza ascoltare veramente il padrone di casa, ero incantata dalla magia alla quale stavo assistendo, quindi mi ci volle un momento prima che afferrassi il senso di quelle parole.
-Che cosa?!- domandai sconvolta l’attimo dopo.
-L’ho detto con quel tono anch’io- commentò Kevin.
-Tuo padre gli ha chiesto che fosse il tuo mentore-. rimasi ad osservare quel giovane che proprio non mi andava a genio. Ecco perché era a casa mia.
-Quindi è per questo che ti sei preso il portone in faccia?- mi rivolsi a lui, schernendolo. Kevin mi fulminò con lo sguardo. Poi sospirai esasperata:-Va bene.- . Sapevo perfettamente che se mio padre voleva che le cose stessero così, non c’era niente da fare.
-Quando si comincia?- domandai, con una certa agitazione nella voce.
-Ora- esordì Kevin. Mi prese per un braccio trascinandomi in un angolo dell’arena che fosse sgombro. Mi prese alla sprovvista e strattonai via il braccio. Lui si pose di fronte me. Il suo sguardo era deciso e concentrato e i suoi occhi erano di un blu molto intenso.
-Stai attenta- disse. Confusa osservai i suoi movimenti. Dopo qualche istante piegò le braccia davanti a sé, un palmo rivolto verso l’altro, tenendole a distanza. Fissò lo sguardo su di me e il momento dopo nello spazio tra le sue mani, lentamente cominciò a formarsi una sfera di luce argentea.
Rimani affascinata da quella magia e osservavo rapita i piccoli sbuffi che, come serpentelli, entravano e uscivano dal lucente globo.
Kevin unì di colpo le mani di colpo e la sfera sparì. Scossi la testa per ridestarmi dall’ipnosi in cui ero caduta.
-Credi di poterci riuscire?- alzò un sopracciglio notando l’espressione da ebete appena comparsa sul mio viso.
-Scusa?- quasi strillai.
-Come potrei riuscirci??! Non sapevo neanche di possedere chissà quale potere fino a ieri!-.
Per me era ancora impensabile che sarei riuscita, prima o poi, anche solo a far comparire una scintilla, figuriamoci una palla di energia!
-Beh, queste sono solo le basi, dovresti sbrigarti a impararle- disse con il suo solito tono spavaldo.
Impallidii alla parola “basi”.
-E come faccio?- chiesi agitata.
Sbuffò: -Purtroppo è mio compito insegnartelo-
-Ah beh, buona fortuna- dissi sarcastica.
L’ora successiva trascorse lentamente, fui costretta a essere ripresa da Kevin in continuazione, perché non ascoltavo o perché non ero capace a fare quello che lui chiedeva.
Il fatto era che proprio non capivo il meccanismo. Mi veniva detto di concentrarmi, liberare la mente, e far fluire la mia energia fino ai palmi in modo da generare il globo di luce.
A sentirlo spiegare sembrava anche semplice, ma non sapevo da dove cominciare. Si supponeva che io possedessi questi poteri e che dovessi percepire un flusso di energia in me. Ma io non sentivo nulla! Era dannatamente frustrante!
-Tu! Fai attenzione!- Kevin fece schioccare le dita davanti ai miei occhi : mi aveva sorpresa di nuovo a non ascoltare.
-Sei troppo insofferente- risposi tranquilla. Non lo facevo apposta, ma non potevo fare a meno di sbirciare vero Deam dall’altra parte dell’arena che si esercitava. Si notava che si stava divertendo, il fresco sorriso che compariva sul suo viso era eloquente.
Kevin sbottò:-Senti, già non mi va di stare qui, cerca di imparare in fretta-.
Sbuffai vedendo l’ennesima espressione irritata comparire sul viso del ragazzo. E fui costretta a concentrarmi nuovamente su di lui.
 
 
 

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