Camera 613

di franciii
(/viewuser.php?uid=97267)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** Domande ***
Capitolo 4: *** drammi ***
Capitolo 5: *** Interrogatorio (Parte I) ***
Capitolo 6: *** Interrogatorio (Parte II) ***
Capitolo 7: *** Telefonate notturne ***
Capitolo 8: *** Poche risposte per troppe domande ***
Capitolo 9: *** Dolci errori ***
Capitolo 10: *** Storie proibite ***
Capitolo 11: *** Verità ancora nascoste ***
Capitolo 12: *** Amari ricordi ***
Capitolo 13: *** Dolci carezze e antidolorifici ***
Capitolo 14: *** John, oh povero John ***
Capitolo 15: *** Non è la realtà, ma solo un sogno... ***



Capitolo 1
*** Primo incontro ***


 “…ha ucciso la madre a dieci anni.”. Smith guardò il fascicolo del ragazzo con perversa curiosità, ora aveva 15 anni e lo stato, o meglio l’FBI, aveva deciso di riaprire il caso per decidere se il ragazzo fosse dovuto rimanere ancora nella clinica psichiatrica oppure se fosse stato meglio mandarlo in carcere.
 
Qui entrava in gioco Smith. Ragazzo giovane ma di talento. Il caso era stato affidato a lui perché non sembrava richiedere molta esperienza lavorativa e perché al momento, nella città di New York, c’erano troppi omicidi per mandare un pezzo grosso dell’ufficio ad indagare sul caso.
 
Smith, che di nome faceva John, aveva accettato.
Però quando si ritrovò davanti alla clinica pensò di aver fatto un cazzata.
 
Il palazzo era bianco e come spesso si vedeva nei telefilm del giovedì, tutt’intorno c’era un enorme giardino cosparso di sedie. Però era deserto, si stava avvicinando il caldo però non c’era anima viva; domando il perché molto tempo più tardi ad un dottore, questi gli rispose che ai pazienti non era consentito di uscire all’aperto se non in casi eccezionali. John era rimasto zitto limitandosi ad uno scettico sopracciglio alzato.
 
La stanza del ragazzo era la numero 613 del nuovo reparto; il compito di John era far confessare il ragazzo per poi sbatterlo in galera.
Si era psicologicamente preparato alla vista di un ragazzo pazzo urlante e con tendenze all’omicidio, ma quando l’infermiera aprì la porta della stanza e con un cenno di capo indicò il ragazzo, tutte le sue convinzioni crollarono come castelli da carta.
 
Will, così si chiamava il ragazzo, era completamente nella norma: capelli mossi e castani, lineamenti del viso ancora fanciulleschi e un fisico magro.
Il ragazzo alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e rivolse a John il più stupito degli sguardi.
 
Come poteva un ragazzo dagli occhi così belli essere un “paziente con tendenze suicide e incline alla violenza” come diceva il fascicolo?  Smith si disse che non era lì per quello, prima di tutto doveva testare la collaborazione del ragazzo.
 
“Ciao…io sono John Smith…tu?”.
 
“Tanto lo so che lo sai…comunque Will…”.
 
Non era un ragazzo particolarmente introverso. Il tono della sua voce era piatto, quasi annoiato.
 
“È un dottore lei? Cos’è venuto a fare qui?”. Assottigliò gli occhi verdi che divennero felini.
 
“No Will, non so un dottore, sono un agente del’FBI. Diciamo che devo occuparmi del tuo caso..ti andrebbe di parlare con me?”
 
“Stiamo già parlando agende Smith.”. Touchè. Un sorrisino divertito gli piega la bocca.
 
“Bene allora vediamo di andare subito al sodo perché non ho tempo da perdere, parlami di quel che è successo cinque anni fa con tua madre…”.
 
Will lo guardò, sbatté le ciglia un paio di volte e ritornò a leggere il suo libro. Smith prese appunti mentalmente e cambiò tattica.
 
“Devo presumere che quel libro sia molto interessante…di che parla?”. Dialogo, si disse, ci voleva dialogo.
 
“Veramente è orribile. È un romanzetto da quattro soldi, però è sempre meglio di niente…”.
 
“Se ti annoi perché non ascolti un po’ di musica o non ti fai un giro?”.
 
Una risata fredda e priva di gioia risuonò nella stanza. John rabbrividì e aspettò che il ragazzo finisse la sua tetra risata.
 
“Ma lei si sente quando parla? Fare un giro? Ascoltare un po’ di musica? Se non l’ha capito io sono un individuo pericoloso e incline al suicidio e alla violenza! Secondo lei mi permettono di fare due passi in giro come se nulla fosse? E poi come l’ascolto un po’ di musica? Faccio canticchiare gli uccellini?”. Aveva sputato ogni singola parola con rabbia e le maniche della camicia dalla foga erano ricadute sui polsi. Quando Will le arrotolò di nuovo sugli avambracci, John notò un particolare che prima gli era sfuggito: aveva i polsi e le mani ricoperte di cicatrici.
 
Will intercettò il suo sguardo.
 
“Belle vero? Questi romanzi fanno schifo da leggere, però hanno le pagine così affilate…lo sa che c’è più probabilità di tagliarsi con un pezzo di carta che con un coltello?”.
 
Smith inconsciamente arretrò di fronte a quello sguardo così acceso e acuto da poter ferire. Sguardo che si spense subito dopo.
 
“Mi scusi…n-non se ne vada…”. John batté gli occhi e si sedette su una sedia poco distante da quella di Will. Il ragazzo tornò a leggere come se nulla fosse e quando quasi due ore dopo John lo avvisò che doveva andare, lui non fece una piega.
 
Fuori dalla stanza trovò il dottore.
 
“Com’è andata allora questa sua prima visita?”. Colse del sarcasmo nella sua voce e non si preoccupò di assumere un tono gentile.
 
“Il ragazzo mi ha informato che non gli è permesso uscire, ascoltare la musica o passeggiare. Capisco perché questi posti vengono anche chiamati carceri. Comunque è andato tutto piuttosto bene, tornerò domani. Arrivederci.” Senza aspettare una risposta si incamminò verso l’uscita.
Una volta fuori prese un respiro profondo, quel posto toglieva l’aria.
 

 
Note:
 
Non so se qualcuno leggerà questa storia, però sappiate che nella mia testa è già completata, si tratta solo di metterla per iscritto xD
Dato che sto scrivendo un’altra storia, che considero un po’ più importante di questa, non posso dire con esattezza ogni quanto aggiornerò, però mi impegno a farlo almeno una volta a settimana!
Grazie mille
 
Fra^^  
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pioggia ***


 Quando John vide per la seconda volta la clinica stava piovendo a dirotto e lui non aveva l’ombrello.
Sarebbe dovuto andarci il giorno precedente , ma la sua ragazza Marika aveva insistito  a passare una giornata insieme, solo loro due. John non si era sentito di dirle di no.
 
Così quel giorno si presentò nella stanza di Will con i capelli chiari scompigliati, il viso arrossato dalla vergogna e un sacchetto in mano.
 
Will era chino su un libro anche quel giorno, e solo una benda bianca che gli circondava la mano, impediva a John di provare una sensazione di deja-vù.
 
“Avevi promesso che saresti venuto ieri…”.
 
La voce di Will era fredda, però in essa si sentiva una nota di amara delusione mista a sorpresa. Non si aspettava di rivedere quell’agente.
John provò una grande pena per quel ragazzo.
 
“Ti ho portato l’Ipod e un paio di libri…”. Lo disse a mo’ di scusa, poi si riscosse. Lui non doveva delle scuse a nessuno, tantomeno ad un ragazzino.
 
La mano fasciata del ragazzino si tese verso il sacchetto e rimase immobile fino a che John non vi pose sopra l’Ipod. Era verde come i suoi occhi. Verde speranza.
 
“La prossima volta non fare promesse che non puoi mantenere”.
 
“Ma chi ti credi di essere? Dovresti ringraziarmi, non farmi la predica!”. Si pentì subito di quelle parole e del tono brusco.
 
Will infatti gli diede di nuovo le spalle e ricominciò a leggere quella che, notò John, era una rivista.
 
“Hai finito il libro? Io te ne ho portati un paio…spero ti piacciano”.
 
“Non ho finito il libro, m lo hanno requisito…sai le pagine delle riviste sono plastificate e non tagliano così tanto…peccato”. John ci mise un po’ a capire quello che il ragazzo gli stava dicendo.
 
Voleva avere delle prove, delle certezza, però la sua domanda fu un’altra.
 
“Perché lo hai fatto?”.
 
Due occhi color di foglia annegarono in un paio color del mare.
Smith si accorse di avere freddo, i vestiti bagnati gli si stavano appiccicando addosso.
 
“Hai freddo. Ti ammalerai…”
 
“Non eludere la domanda! Io mi asciugherò più tardi”.
 
Will gli si avvicinò e gli tolse la giacca, poi prese uno degli asciugamani  che erano poggiati su letto e glielo lanciò.
 
John non capiva. Non capiva nulla.
Quel ragazzo era troppo…troppo complicato per lui.
Più tardi sarebbe andato dal suo capo e gli avrebbe detto che abbandonava il caso.
Lo voleva davvero fare, ma non lo fece.
 
“Comunque lo fatto perché mi annoiavo…”
 
Come quella di un genitore arrabbiato, la mano di John si abbatté sulla guancia di Will.
 
“Stupido ragazzo! Ti annoiavi? Ma porca puttana! Io posso capire che qui non ci sia nulla da fare, ma una persona sana di mente non fa queste cose! Fai così la prossima volta che ti annoi fatti una sega oppure chiamami! OK?”. Aveva urlato.
 
E finalmente la vide. Vide quella scintilla, quella rabbia trattenuta, quella voglia di reagire.
La vide per un attimo negli occhi del ragazzo. Il tempo di un battito di ciglia ed era già sparita. Nascosta dietro quella maschera di sicurezza e insofferenza.
 
“Lo terrò a mente agente. Ah e si cambi per favore, sta bagnando il pavimento. Le felpe sono nell’armadio”.
 
Il ritorno al “lei” fu prevedibile e Will si girò troppo in fretta per vedere il ghigno soddisfatto sulle labbra violacee di John. In quella stanza si gelava.
 
A malincuore si avvicinò all’armadio e prese la felpa più grande e se la infilò.
Non gli stava perfetta ma almeno non sentiva più freddo.
Venne avvolto dall’odore del ragazzo. Un odore dolce, tutto zucchero e farina.
John pensò che l’acqua gli avesse creato qualche problema serio, dove lo trovava lo zucchero quel ragazzo?
 
“Senti Will…mi dispiace per prima, so che ora non hai voglia di parlarmi, però devi farlo!”.
 
Le pagine della rivista smisero di essere girate e John capì di aver ottenuto la sua attenzione.
 
“Io entro il mese prossimo devo decidere se lasciarti qui dentro oppure portarti in prigione…”
 
“E quale sarebbe la differenza?”
 
John si accigliò. Odiava essere interrotto.
 
“Bè…la differenza è che qui ci passeresti la vita, in carcere solo cinque o sei anni…è per questo che mi devi dire quello che è successo! Will ti prego…aiutami ad aiutarti!”.
 
Le pagine ricominciarono il loro lento viaggio e John pensò di aver perso l’ennesima battaglia.
 
John resistette in quella stanza per un’altra ora e ventitré minuti, poi si alzò e andò alla porta.
 
“Will io vado…la prossima volta ti riporto la felpa lavata e stirata…”.
 
“Quand’è la prossima volta?”
 
“Non lo so…presto, ti prometto che torno presto”.
 
Will annuì e John si chiuse la porta alle spalle.
Andare lì era solo una perdita di tempo, il suo capo però lo aveva avvertito. Gli aveva detto che probabilmente non avrebbe ottenuto risultati. Lui però non aveva voluto ascoltarlo e ora si ritrovava in questa situazione senza via d’uscita.
 
L’agente Smith si avviò verso la macchina parcheggiata vicino alla clinica.
La felpa del ragazzo ancora addosso e il suo odore ancora nella testa.
 

 
Note:
Eccoci qui con il secondo capitolo! Mi dispiace molto di non averlo postato prima ma sono stata piuttosto impegnata  ç_ç
Che dire…è un po’ noioso lo so, però è necessario!
Ringrazio SilverAlchemist e damnedmoon per aver recensito e un grazie anche ai lettori anonimi :)
A presto
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Domande ***


 John tornò a casa bagnato, infreddolito e completamente incazzato.
Marika, la sua ragazza e futura moglie, sapeva come comportarsi in questi casi. Sorridere, dargli sempre ragione e soprattutto ascoltare qualunque cosa lui avrebbe avuto voglia di dirgli.
 
John trovò nel viso dolce e familiare di Marika un rifugio caldo e pronto ad accoglierlo.
Le si avvicinò e la baciò con passione.
La portò in camera da letto e fecero l’amore. Lui era distante, lei era paziente.
 
Lui aveva bisogno di tutta quella carne femminile sotto le mani, aveva bisogno di guardarla negli occhi e di non trovarci due pozzi verdi ad attenderlo. Finalmente dopo baci bollenti e dolci curve, John si scordò di quel ragazzo.
 
Però quando si addormentò, sognò bende bianche e pagine insanguinate.
 
Intanto nell’ospedale di Willows, un ragazzo invece di dormire canticchiava, la sua voce risuonava cupa fra i corridoi della clinica addormentata. Però nessuno udì alcun rumore quando una pagina di un libro venne calata con violenza su di un braccio magro, tingendolo di porpora.
E mentre il sangue colava il ragazzo chiuse gli occhi e si abbandonò ad un sonno senza sogni.
 
I dottori , ancora una volta, lo salvarono e si chiesero chi fosse quell’idiota che gli aveva dato un libro.
 
 

 
 
La sveglia di John suonò come tutte le mattine alle 6.45 e lui come tutte le mattine desiderò di poter dormire un’ora di più. Però si alzò, andò in bagno a lavarsi e radersi, e si vestì per andare in ufficio.
Marika dormiva ancora e lui non se la sentì di svegliarla, così le posò un lieve bacio sulla guancia morbida.
 
Prima di andare dal ragazzo, sarebbe andato in ufficio. Doveva parlare con il capo.
 
Il palazzo dell’ FBI era in centro e lui ci mise mezz’ora per arrivarci. Chiese subito del suo capo e quest’ultimo lo fece accomodare nel suo ufficio.
 
- Allora Smith, di cosa volevi parlarmi?-
 
- Capo..io ho qualche problema con l’incarico che mi è stato affidato…- John maledì la propria voce tremante.
 
- Beh mi sembra una cosa abbastanza facile. No? Devi solo far confessare un criminale! Nulla che tu non abbia già fatto!-. John provò il desiderio di spaccare la faccia al suo capo per fargli capire meglio il concetto.
 
- Ma qua non si tratta di far confessare un criminale! Si tratta di far parlare un ragazzo che da piccolo ha subito chissà quale trauma! Una persona normale non uccide la propria mamma a 10 anni! E poi il padre dov’è? Perché nessuno a chiesto di questo ragazzo?- Capì di essere andato oltre quando vide lo sguardo del suo capo farsi duro e poco comprensibile.- io s-scusi non volevo urlare.-
 
- E allora non farlo. Comunque il passato di quel ragazzo non è un problema tuo! Però se vuoi saperlo suo padre è stato ucciso durante una rapina. Una vittima innocente purtroppo…-
 
- Ma come faccio? Io non sono in grado di seguire questo caso!-
 
- E allora lascialo! Avanti basta che tu dica “non voglio più seguire questo caso” e io lo affiderò a qualcun altro!-
 
Il silenzio di John fu eloquente, e il capo Jeffery sorrise vittorioso.
 
- Ragazzo non farti prendere troppo da quel ragazzo! Solo fai il tuo lavoro e fallo bene! e ora vattene che ho da fare!-
 
John si alzò e senza dire una parola uscì dall’ufficio e andò a sedersi alla propria scrivania, si prese la testa fra le mani e avvertì il forte desiderio di piangere.
Conosceva quel ragazzo da meno di una settimana eppure era riuscito a scuoterlo come nessuno mai aveva fatto. Doveva trovare un modo per farlo parlare…deciso a risolvere il problema chiamò Marika che a quell’ora della mattina era ancora in casa. Rispose dopo il terzo squillo:
 
- John? È successo qualcosa?- rispose lei con voce preoccupata
 
- No tesoro, stai tranquilla….solo mi serve un consiglio ecco…-
 
Marika rise cristallina. John che chiedeva un consiglio a lei? Il mondo si era capovolto.
 
- Un consiglio? John sicuro di stare bene?-
 
John sbuffò spazientito. Non sopportava di essere preso in giro.
 
- Sto benissimo! Se mi lasciassi parlare, forse potrei spiegarti!- sentendo il silenzio dall’altro capo del telefono continuò- ti ricordi che ti ho parlato di quel nuovo caso?-
 
- Il ragazzo del manicomio?-
 
- Esatto lui! Tu sei una donna e queste cose le capisci…quindi…è estremamente imbarazzante…ma come posso fare per farmi entrare nelle sue grazie? Insomma la fiducia, quelle cose lì…-
 
L’imbarazzo di John lo circondava come una bolla d’aria che la nuova risata di Marika ruppe tranquillamente.
 
- Oh John! Come posso darti io un consiglio? Se quel ragazzo fosse una donna ti direi seducilo! Però nel tuo caso non so proprio cosa dirti! Oh caro stasera cosa vuoi per cena?-
 
John mise giù il telefono prima di poterle rispondere. Quella donna era inutile, lui le chiedeva un consiglio e lei che faceva rideva? In quel momento si sentiva molto Thomas Bishop*, solo che lui non provava l’istinto di uccidere.
 
Si alzò dalla sedia della sua scrivania e si avviò all’esterno, pronto per incontrare nuovamente il ragazzo dagli occhi verdi.
 
 

Note:
 
* Personaggio del libro “Io ti troverò”- di Shane Stevens. Bishop considerava tutte le donne demoni e per questo andò in giro per l’America ad ucciderle. Se vi piacciono i thriller leggetevi questo :D
 
Allora questo capitolo è corto e fa schifo. Lo so perdonatemi ma volevo aggiornare prima di partire :D Ebbene si sabato parto e non ci vediamo più per una settimana! Non piangete ç_ç
Ringrazio di cuore  damnedmoon e _____Manu_____ (Tu devi aggiornare! È un ordine u.u) per aver recensito lo scorso capitolo!
A presto e un bacio a tutti ^^
Fra

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** drammi ***


 Quando John riuscì ad andare alla clinica si era ormai fatta sera e quindi l’orario di visita era finito da un pezzo.
Ma la sua non era una visita di cortesia, quel ragazzo gli avrebbe detto la verità quel giorno. John ne era quasi sicuro. Quasi perché quegli occhi verdi nascondevano segreti che lui non era sicuro di voler scoprire, però lo pagavano per farlo e i soldi mettevano a tacere anche la paura che ora gli attanagliava lo stomaco.
Salutò le infermiere del reparto, fece un cenno con la testa al dottore ed entrò nella stanza numero 613.
 
Will era appollaiato su di una sedia che era stata spostata sotto la finestra. Così con gli occhi persi nel cielo non si accorse della presenza di John, o meglio, non diede segno di averla notata.
 
Infatti poco dopo la sua voce da bambino lo apostrofò.
 
“Ha mantenuto la promessa…è tornato presto questa volta…”.
 
John sorrise lievemente e chinò in avanti il capo, quasi a ringraziare il ragazzo per quello che alle proprio orecchie era sembrato un complimento.
 
“Si sono tornato presto…però non ti ho portato la felpa, me la sono scordata…mi dispiace…”. Non era vero. La sera prima, dopo il sesso, l’aveva lavata e asciugata e messa in un sacchetto pronta per essere portata al proprietario, però la mattina prima di uscire aveva provato una fitta al cuore all’idea di riportarla indietro e così l’aveva rimessa nell’armadio. Provò un grande senso di vergogna però Will fece un gesto con la mano come per scacciare quel pensiero e tornò a guardare fuori dalla finestra.
 
John si sedette sul letto e lo fissò: solo allora si accorse del braccio nuovamente fasciato.
 
“Cosa hai fatto al braccio?”, lo chiese con apparente tranquillità, però strinse forte i pugni chiusi contro le gambe.
 
“Mi sono tagliato. Per sbaglio, si intende”.
 
John scattò in piedi e lo guardò con rabbia.
 
“Per sbaglio certo! La carta ti è scivolata sul braccio per pura distrazione! Me lo immagino, certo…”. La voce fu così sarcastica che per un attimo il ghignò sparì dalle labbra di Will. Solo un attimo però.
 
“Non mi crede? E perché mai agente?”.
 
Frustrato, John provò l’impulso di prenderlo a sberle.
 
“Lo leggo nei tuoi occhi! Non pigliarmi per il culo ragazzino! Io ti conosc-”
 
“Io non sono un ragazzino! E lei non conosce nulla di me! Perché è venuto stasera? Vuole sapere se ho ucciso mia madre? Bene l’accontento! Si l’ho uccisa, il perché? Lo scopra lei! Infondo è questo il suo lavoro! E ora se ne vada, torni a casa dalla sua ragazza!”.
 
Quando Will finì di urlare, l’aria intono a John si congelò.
Il tempo parve rallentare e tutta la rabbia che prima lo aveva avvolto svanì, portata via dal vento.
“Hai ragione io non ti conosco affatto…ah una cosa domani ti faccio portare la felpa”.
 
Ora Will piangeva.
 
“Portare da chi? Lei non torna? I-io mi dispiace di aver urlato…per favore non se ne vada! Non mi abbandoni anche lei…PER FAVORE!”.
 
John poggiò la mani sulla maniglia e senza guardarsi indietro uscì da quella maledetta stanza. Avrebbe dato le dimissioni per quel caso, lo avrebbe affidato a qualcun altro.
 
I singhiozzi di Will lo accompagnarono per tutto il corridoio.

 
Note:
 
Fa schifo lo so… scusate ç_ç solo che il sole mi ha fatto male! Mi sono scottata i piedi, i piedi! Ma vi pare normale??? O.O
Ringrazio di cuore damnedmoon ,  LightningStrike e _____Manu_____ per aver recensito lo scorso capitolo! E mi scuso per non aver risposto alle vostre bellissime recensioni, mi rendete una donna felice <3
Al prossimo
Fra

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Interrogatorio (Parte I) ***


 John non vide Will per una settimana esatta. Non un giorno in più, non uno in meno.
Aveva affidato il caso ad un ragazzo che lavorava all’FBI da soli pochi mesi. “Imparerai molto”, gli aveva detto e poi gli aveva dato una sonora pacca sulla spalla di incoraggiamento.
 
Da quel giorno qualcosa nella mente di John, qualcosa di già fragile,  si era spezzato.
Da quel giorno aveva iniziato a sentire una vocina nella propria mente, era fredda e derisoria. John l’aveva chiamata truce trottolino* .
 
E anche ora, mentre lui era seduto alla sua scrivania, il truce trottolino aveva iniziato a ridere e a canticchiare un motivetto che John aveva spesso sentito uscire dalle labbra di Will: Ring a ring of roses, a pocket full of posies, atishoo atishoo, we all fall down…”**
La mente di John cercava di scacciarlo, ma questo puntualmente ritornava.
 
Capì di essere  totalmente impazzito quando vide Will che veniva scortato dalla polizia nella sala degli interrogatori. Gemendo disperato chiuse forte gli occhi, sperando di non vederlo più, ma quando gli riaprì la sua allucinazione c’era ancora  e aveva un labbro spaccato. Gli passò un minuto per la mente che quella potesse non essere un’allucinazione, però non fece in tempo ad afferrare concretamente quell’idea che l’agente a cui aveva affidato il caso gli si parò davanti e cominciò a blaterare. John ci mise un po’ a capire quello che stesse dicendo.
 
“…pugno! Ti rendi conto? Così l’ho portato qui…Smith mi stai ascoltando?”. L’agente Price, così si chiamava, gli agitò una mano davanti alla faccia, e John si risvegliò dal suo letargo mentale.
 
“Cosa? Scusa mi ero distratto un attimo…dimmi pure tutto”.
 
“Stavo dicendo che quel ragazzo, Will, non mi ha detto una parola in tutta la settimana, così un giorno mi sono stancato e l’ho minacciato di portarlo qui, lui si è messo ad urlare e mi ha tirato un pugno! Ecco perché è qui…”
 
John annuì serio, poi si ricordò di un particolare.
 
“Perché ha un labbro spaccato?” John amava questo lato del proprio carattere. Riusciva a mettere paura alla gente senza bisogno di alzare la voce. Gli bastava avere la voce piatta e fredda e gli occhi duri. Sorrise internamente quando vide Price guardarlo attonito.
 
“Bè… quando sono venuti a prenderlo gli agenti è di nuovo impazzito…mordeva e tirava calci… m-magari si è fatto male lì…”, balbettava ora.
 
John rise forte. Quella risata gli ricordava il truce trottolino, che ora rideva di lui:
Zuccherino! Hanno maltrattato il tuo povero piccolo Will. Pensi che te lo porteranno via? Tanto lo sai che lo faranno! Non mentire a te stesso…
 
John smise si ridere e riportò lo sguardo, ora non più tanto fermo, sull’agente Price.
 
“Comunque…cosa volevi da me?”.
 
“Noi volevamo interrogare il ragazzo e ho pensato che magari volessi partecipare…”
 
John soppesò le parole del collega con attenzione, poi si disse che non c’era nulla di male e dopo essersi alzato, si diresse verso la stanza degli interrogatori.
 
Era una sala come un’altra. Poche cose la rendevano particolare: una scrivania con un gancio per le manette, un vetro riflettente e la totale assenza di finestre.
Will era compostamente seduto su di una sedia di plastica e quando vide John entrare nella stanza non potè fare a meno di lanciargli uno sguardo amareggiato.
 
“Bene, direi che possiamo pure cominciare, Smith tu assisterai e basta…tutto chiaro?”. Ora era l’agente Price a comandare, il truce trottolino sghignazzo.
 
“Will…tu hai passato una settimana con John e una con me senza farti uscire nessuna informazione importante…come mai?”, non doveva essere aggressivo. Il trucco stava tutto lì.
 
Però quel giorno Will non sembrava in vena di parlare, infatti si limitò a fissare il vetro sulla parete di fronte a lui. John si incrociò nervosamente le gambe e sospirò. Price se ne accorse.
 
“Devi dire qualcosa John? Forse sei capace di farlo parlare tu, oppure devo spaccargli la faccia!”, urlò sputacchiando un po’ di saliva.
 
Will rise.
 
“Il gioco dell’agente buono e dell’agente cattivo con me non funziona…provate qualcos’altro!”.
 
“Noi non stiamo giocando Will. Però se tu vuoi giocare io sono disposto a farlo”.
 
“Zitto Smith parlo io qui!”. John alzò le mani in segno di resa e si accomodò di nuovo sulla sedia con un sorriso che sapeva di vittoria e di sfida. Will la raccolse velocemente.
 
“Si voglio giocare. Facciamo così, giochiamo ad obbligo e verità!”. La voce di Will aveva preso un tono folle e le sue pupille si erano dilatate a tal punto da coprire il verde dei suoi occhi. Price sperò che Smith gli rispondesse di no, o almeno che tentasse di farlo ragionare il altro modo, ma quando vide sulla sua faccia la stessa espressione del ragazzo capì di aver perso.
 
“Ok Will, comincia tu!”.
 
“Obbligo o verità! Non può tirarsi indietro in nessun caso”.
 
“Mmmm verità!”. Si stava divertendo davvero e questo lo preoccupava. Intanto Will aveva assunto un’aria pensierosa, poi trillò quando gli venne un’idea.
 
“Perché non mi ha più ridato la felpa?”.
 
Domanda semplice, riposta semplice.
 
“Me ne sono scordato…”. Will rise di gusto e agitò un dito come per sgridare un bambino cattivo.
 
“La verità! Lei mi dice la verità e io la ripago con la stessa moneta”.
 
John si ritrovò spiazzato. Da quando quel ragazzino lo conosceva così bene?
Decise per una volta di dire la verità. Una mezza verità.
 
“Ok lo ammetto, volevo conservare un ricordo di te, infondo sei stato il mio primo caso importante! Ora tocca a me però, obbligo o verità?”
Vide l’indecisioni in quegli occhi verdi.
 
“Obbligo…”
 
John rimase spiazzato, non si aspettava davvero quella scelta.
 

 
Note:
 
*questo soprannome non è mio, è di quel pezzo di genio di Stephen King. Preso dal libro: “La bambina che amava Tom Gordon”, anche in quel caso si trattava di una vocina nella testa di qualcuno xD
 
** Questo è il girotondo in inglese. Ora non dovete immaginarlo cantato da tanti bambini amorevoli e teneri. È un motivetto che trovo sinceramente inquietante :DD
 
Scusate l’immenso ritardo ma sono stata un po’ impegnata! Ho deciso di dividere in due il capitolo altrimenti sarebbe diventato troppo lungo xD
Ringrazio tanto tanto _____Manu_____ , damnedmoon e LightningStrike  che hanno recensito ** amorini miei vi adorooooo
Un grazie immenso anche a chi si limita a leggere in silenzio, suvvia fate uno sforzo e dato a me povera scrittrice una piccola recensione! No? va beh vi amo lo stesso u.u
Al prossimo capitolo!
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Interrogatorio (Parte II) ***


 Guardò negli occhi Will con un velo di incredulità. Però non si scompose troppo e iniziò a pensare ad un possibile obbligo.
 
“Che obbligo posso darti?”, disse con voce pensierosa, poi aggiunse “forse quello di dire sempre la verità oppure potrei trovare un modo per umiliarti”. Gli occhi di John brillavano.
 
“Sinceramente sopporto da una vita le umiliazioni”, rispose Will in tono leggermente divertito. John si accigliò un po’.
 
“Allora mostrami qualcosa che non hai mai mostrato a nessuno!”.
 
Will sorrise accettando quella tacita sfida. Si alzò in piedi e sollevò leggermente la maglietta. Sulla sua schiena, poco prima che la pelle sparisse sotto i pantaloni, c’era un tatuaggio, uno di quelli fatti in casa con chiodi e inchiostro. Aveva la forma di un punto di domanda.*
John lo fissò sconcertato, poi Will riabbassò la maglia e si rimise a sedere. Le labbra tirate in un sorriso che sapeva di vittoria.
 
“Fatto, contento ora?”.
 
“Beh…io credo di si…ma quando te lo sei fatto?”.
 
Will agitò una mano nell’aria per scacciare quelle parole.
 
“Non può chiedermelo! Le regole del gioco sono diverse. Ora tocca a me, obbligo o verità?”.
 
Continuarono a giocare fino a che il sole non calò dietro i grattacieli della città, quando finalmente John si alzò da quella maledetta sedia si era fatto buio e l’agente Price lo aspettava spazientito.
 
“Spero ti sia divertito a giocare! Ora mi vuoi dire a cosa è servita tutta questa messa in scena?”, urlò Price sputacchiando un po’ di saliva. John prima di rispondere fece un passo indietro.
 
“Mi è servita per scoprire molte cose su Will, lo sapevi che il suo colore preferito è il rosso?”, poi aggiunse vedendo l’espressione rabbiosa di Price, “però questo non è importante…comunque sappi che mi riprendo il caso”.
 
Price lo guardò come si guardavano i matti. Con un misto di compassione  e disgusto.
 
“Adesso ti vuoi riprendere il caso? Ma se la settimana scorsa mi hai pregato di occuparmene. Io davvero non ti capisco, però senti fa come vuoi, io sono stufo di quel moccioso, di te e di tutto il resto!”, la sfuriata gli tolse il respiro e così si ritrovò ad ansimare pesantemente, come un animale arrabbiato.
 
Però John non fece caso a questo, il suo cervello si era fermato a quel “fa come vuoi”, il caso quindi era ancora suo. Sorridendo si avvicinò a Price e gli diede una pacca sulla spalla.
 
“Grazie! Ti farò sapere come vanno le cose, ora devo riaccompagnare il ragazzo alla clinica”, Price non fece nemmeno in tempo a dirgli che non gli interessava, che John era già andato a prendere il ragazzo dalla stanza.
 
 

 
Nella macchina della polizia regnava il silenzio. Will guardava fuori dal finestrino con evidente interesse, mentre John pensava a quello che aveva scoperto quel giorno.
Will aveva un fratello più grande di lui di un paio di anni, viveva con lui e sua madre in una piccola cittadina vicino a New York. Suo fratello si chiamava George e sua madre Susan. Will diceva di non ricordarsi molto di quel periodo, ricordava solo tanta, tanta felicità. Del padre di Will non si sapeva nulla, o almeno il ragazzo non aveva voluto dire nulla.
Suo malgrado John dovette ammettere di essersi divertito. Aveva davvero scoperto molte cose su quel ragazzo, e il ragazzo ne aveva scoperte altrettante su di lui.
 
Quando arrivano alla clinica John scoprì che Will si era addormentato, così con molta delicatezza lo svegliò.
 
“Will...Will svegliati, siamo arrivati!”.
 
Will aprì prima un occhio poi l’altro. È incredibilmente tenero, pensò John, poi si diede dello stupido per averlo pensato. Il ragazzo lo guardò leggermente incredulo, poi si ricordo del perché fosse in una macchina. I suoi occhi ripresero subito la loro solita luce.
 
“Mpf…ok”. Uscì dalla macchina e andò direttamente nella clinica dove un dottore lo aspettava, si avvicinò anche John.
 
“Buona sera, mi dispiace per l’ora tarda ma abbiamo avuto dei… contrattempi”, disse John cortese ma freddo.
 
“Non si preoccupi. La prossima volta però mi avverta. Will tu vai a prendere le pillole, la signorina Mc Kaine ti sta aspettando”.
 
“Dica alla signorina che le pastiglie se le può ficcare su p-”, il ceffone di John si abbatté sulla guancia del ragazzo con uno schiocco sonoro.
 
“Bada a come parli ragazzo. Domani verrò io da te e quando chiederò alla signorina Mc Kaine delle pastiglie mi aspetto di avere una risposta soddisfacente. Chiaro?”, sibilò tagliente John. Poi si chiese come aveva fatto a trovalo tenero. Il truce trottolino nella sua testa smaniava di dargli la risposta, però lui fece finta di non sentirla.
 
“Certo signore”, la voce di Will sputava abbastanza  veleno da poter uccidere un piccolo animale. Poi il ragazzo entrò nella clinica e l’unica cosa che sentirono le orecchie di John fu il rumore del motore acceso, che gli ricordò di avere una casa e una ragazza che lo aspettava ansiosa, e chi era lui per privarla ancora della proprio dolce compagnia?
 
Facendo un cenno al dottore si avvicinò alla macchina e salì. Prese posto dove prima c’era Will, il sedile ancora pregno del suo odore. Senza accorgersene anche John si addormentò.

 
 
Note:
 
* in pratica è semplice: prendi un chiodo, lo immergi nell’inchiostro e ti buchi la pelle! Ed ecco comparire un bel tatuaggio! Questa cosa non l’ho inventata io, ma l’ho presa dal libro “Noi ragazzi dello zoo di Berlino” xD
 
Scusate il ritardo! So che avevo promesso di postarlo prima ma ho avuto una settimana piena…io dico solo a me devono capitare un sacco di problemi d’estate??? D:
Però non vi assillerò oltre con i miei problemi…
In questo capitolo si scoprono un po’ di cose sul passato di Will che verranno poi approfondite. Ah il tatuaggio di Will è abbastanza importante, non l’ho citato solo per far denudare quel povero fanciullo di fronte a John! Non solo per quello almeno *se ne va fischiettando*
Voglio (si voglio u.u) ringraziare Desir de Lilas, damnedmoon e _____Manu_____ per aver recensito lo scorso capitolo! Cavolo credo di amarvi **
Poi ringrazio anche i lettori silenziosi, amo anche voi però magari potreste lasciarmi anche un commentino…no? va beh io ci ho provato…
Alla prossima! :DD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Telefonate notturne ***


 Quando finalmente la macchina della polizia arrivò davanti a casa sua, John dormiva ancora. Venne svegliato da un agente che picchiettava dolcemente il dito sul finestrino. Sbadigliò e svogliatamente uscì dalla macchina calda e rassicurante per immergersi nell’aria fredda della notte.
Salutò l’agente e andò ad aprire il portone di casa.
Marika lo aspettava ovviamente sveglia.
 
“Tesoro sono tornato, vai pure a dormire…”. Una macchia scura sul divano mugugnò qualcosa e pesantemente si alzò.
 
“Hai fatto tardi oggi. Vuoi mangiare qualcosa?”, chiese lei con voce assonnata. John rise sommessamente.
 
“è mezzanotte passata! Tu vai a dormire io ti raggiungo fra poco”, sussurrò John, poi andò a posarle un lieve bacio sulle labbra. Marika annuì e, al buio, tentò di raggiungere la stanza da letto.
 
John non perse tempo. Poggiò le chiavi sul tavolino, appese il cappotto e andò in bagno.
Come tutti gli uomini non ci mise molto, però spese molto tempo ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio.
 
Era giovane, venticinque anni non erano così tanti, e abbastanza carino. Avrebbe potuto avere tutte le donne del mondo se solo le avesse volute. Invece lui stava con la stessa ragazza dal liceo. Loro non erano una coppia, ma La coppia e fra poco si sarebbero sposati. Giusto il mese prima l’idea del matrimonio lo rendeva euforico e non faceva fatica ad immaginarsi con Marika per il resto della vita. Invece ora quell’idea stessa lo deprimeva. Era troppo giovane per sposarsi.
La voce della sua promessa lo riscosse dai suoi pensieri.
 
“Johnny caro* vieni a letto. È tardi”.
 
Quel nomignolo irritava John, però come al solito lo ignorò e si affrettò ad andare a letto.
Le coperte erano calde e comode, molto comode.
 
Marika si sporse su di lui per baciarlo con passione, lui le posò una mano sulla coscia. Anche lei erano giovane e bella, però ora quel corpo non lo eccitava, quegli occhi neri che lo avevano fatto innamorare, ora lo lasciavano totalmente indifferente. Tolse la mano dal corpo di lei e le voltò le spalle, borbottando un: “Buonanotte”, a mezza voce.
 
Troppo femminile come corpo?, insinuò il truce trottolino.
 
John lo ignorò. Poco prima di perdere conoscenza gli tornò in mente l’odore di Will. Tutto zucchero, farina e…mele.
Ecco di cosa sapeva Will, di torta di mele.**
 
 

 
 
 
Nelle case di tutto il mondo vigeva una regola non-scritta che diceva che chiamare una persona dopo le nove di sera era da maleducati. Figurarsi alle due di notte.
 
Così quando suonò il telefono John bestemmiò in tutte le lingue che conosceva, per poi agguantare il telefono.
 
“Pronto…?”, chiese con la voce di uno che era stato appena svegliato da un sogno meraviglioso.
Tutta l’ira svanì quando sentì la voce dall’altro capo del telefono.
 
“Agente Smith? Sono Will…”, la sua di voce era spaventata e lieve.
 
“Will perché mi stai chiamando a quest’ora?”, poi aggiunse lievemente preoccupato “è successo qualcosa? Stai male?”.
 
“No..solo…lei mi aveva detto di chiamarla nel caso mi stessi annoiando…e quindi…”, non terminò la frase, però John capì lo stesso quello che voleva dirgli. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare. Per la seconda volta in quel giorno John pensò che Will fosse tenero, a modo suo ovviamente.
 
John si alzò da letto e fece segno a Marika di tornare a dormire tranquilla.
Andò in cucina e si sedette su una delle sedie del tavolo.
 
“Will mi ricordo di avertelo detto, però non credi che sia un po’…come dire…inopportuno telefonarmi alle due di notte? E poi cosa ci fai sveglio a quest’ora?”.
 
“Le pastiglie…è per questo che non le volevo prendere”, rispose Will con una punta di irritazione nella voce.
 
John si soffermò un attimo a pensare che le pastiglie non causavano insonnia, ma al contrario sonnolenza, però poi decise che non era un fatto importante.
 
“Bè…allora facciamo così: parliamo fino a che tu non ti addormenti, ok?”, la proposta di John era ragionevole e sperò che non ci volesse troppo perché stava morendo di sonno. Però dall’altra parte il truce trottolino fece le fusa nella sua testa, parlare con Will lo rendeva stranamente mansueto.
 
“No…non va bene”, disse Will, poi aggiunse interrompendo sul nascere la voce di John che aveva tentato di replicare “sto usando il telefono della clinica…possiamo parlare per altri sette minuti. Potrei anche ricaricare il telefono, però poi devo fare un’altra telefonata…”, Will pronunciò l’ultima frase con una leggera punta di soddisfazione nella voce.
 
“A chi?”, chiese John brusco, mentre il truce trottolino prese a ringhiare.
 
“A una persona…”, rispose vagamente Will.
 
“Ma no davvero? E io che pensavo volessi chiamare i teletubbies! Avanti dimmi chi!”.
 
“A nessuno…”
 
“Cosa? M-ma se un minuto fa ai detto il contrario!”
 
“Volevo solo sentire la tua reazione”, gongolò Will malizioso.
 
John arrossì dalla vergogna pensando alle proprie reazioni e si affrettò a cambiare discorso.
 
Alla fine Will dovette ricaricare tre volte il telefono. Quando la linea cadde per l’ultima volta erano da poco passate le tre.
 
John ritornò a letto addormentandosi subito. Aveva ancora il telefono stretto in mano e un sorriso tenero sul viso.

 
 
Note.
 
* Preso da “Lilly e il vagabondo” xD
** Qui si necessita una spiegazione.  Il fatto che Will profumi di torta di mele può essere un po’ strano, però qui l’espressione va resa come un modo di dire. Infatti la famiglia alla torta di mele è un po’ come la nostra famiglia della mulino bianco, dove tutti sono felici e cose belle. Quindi John associa la torta a Will per quello che rappresenta! xD spero che si sia capito quello che volevo dire…
 
Questo capitolo è corto, noioso e completamente inutile…mi dispiace davvero ma l’ispirazione è volata via .-. ho pubblicato oggi perché domani parto e sto via fino al 30, porterò via il pc di mio padre però non potrò aggiornare D: scusateeeeee
Ringrazio tanto tanto _____Manu_____  e damnedmoon  per aver recensito! Ve l’ho detto che vi amo vero?? Bene lo ripeto ancora u.u Vi amooooo!
Amo anche voi lettori anonimi :3
baciiii
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Poche risposte per troppe domande ***


La mattina seguente John si svegliò con un mal di testa di dimensioni epiche e con una mano indolenzita. Infatti stretto in essa c’era ancora il telefono e capì di averlo tenuto per tutta la notte.
Sbadigliando si alzò e andò in cucina sperando di trovare un caffè pronto, per sua gioia Marika ne aveva fatta una caraffa piena. Senza pensarci due volte, iniziò a berlo direttamente da quella, sperando di alleviare almeno in parte il dolore.
Il caffè di Marika era come al solito buonissimo e John sorrise mentre continuava a bere. Poi fece un’espressione confusa. Marika gli aveva fatto il caffè, ma ora dov’era lei?
 
“Marika? Dove sei?”, urlò John, sperando di sentire la voce della ragazza che gli rispondeva. Però questo non accadde. Così con una leggera ansia abbandonò il caro amato caffè e andò a cercarla per casa. Dopo dieci minuti si arrese all’idea che Marika non si trovava lì e a quel punto l’ansia si trasformò in panico.
Fece per prendere il telefono e chiamarla, quando vide un biglietto poggiato sul tavolo della cucina.
 
-Ciao caro, sono andata a fare un po’ di spese con le mie amiche! Spero di essere a casa per pranzo, comunque ti ho lasciato in frigo il pollo.
 
                                                                                                          Baci M.
 
P.s. ha chiamato un certo William…gli ho detto che lo avresti richiamato più tardi.-
 
Will ha chiamato ancora, il truce trottolino sembrava felice quella mattina. Forse era sua la colpa del mal di testa.
John si diede dello scemo per averci anche solo pensato, in fondo si trattava solo di una vocina nella sua testa. Era una cosa normale…
Chissà come mai John pensò che in effetti non fosse una cosa normale, però decise di mettere da parte questi pensieri.
Will lo aveva chiamato ancora. Ovviamente pensò subito al peggio. Si erano sentiti poche ore prima, quindi o quel ragazzo si annoiava troppo facilmente oppure gli era successo qualcosa. Quest’ultimo pensieri gli fece stranamente correre lunghi brividi sulla schiena.
Così andò a prepararsi in tempo da record: neanche cinque minuti dopo era pronto per uscire.
 
 

 
 
Arrivò davanti alla clinica proprio quando scoppiò a piovere e così John si bagnò come un pulcino. Ogni volta che andava in quel posto gli succedevano le cose più strane.
Sbuffò e si affrettò ad entrare. Salutò la solita infermiera e fece un cenno al solito dottore, solo che questo invece di ricambiare il saluto, gli si avvicinò e lo guardo grave.
 
“Agente noi due dobbiamo parlare”, disse il dottore con il tono di uno che sta per annunciare la fine del mondo.
 
Questo fece scattare in John un’ondata di panico.
 
“Cosa è successo a Will?”, più che una domanda sembrava un ordine. E anche il dottore se ne accorse, perché si affrettò a rispondere.
 
“Ieri sera Will a fatto una telefonata…una a lei e un’altra…”.
 
John interruppe bruscamente il dottore, “E una a nessuno! A speso tutte le monete con me!”, disse e nella voce c’era una traccia di sottile soddisfazione.
 
“Se mi facesse finire di parlare!”, rispose il dottore e John mormorò qualcosa imbarazzato. “ Will ha telefonato a lei con i gettoni e ha chiesto il cellulare ad un infermiera per fare un’altra telefonata. Sarebbe contrario al regolamento ma il ragazzo è qui da così tanto tempo che è difficile negargli qualcosa”, aggiunse poi, rivolgendo a John uno sguardo apologetico.
 
“Ma chi ha chiamato? Sua madre è morta, suo padre pure e non credo che abbia molti amici oppure una ragazza!”.
 
A quest’ultimo pensiero il truce trottolino ringhiò forte, facendogli dolere la testa.
 
“Ovvio che non ha amici! Però ha un fratello a cui era , o è, molto legato”.
 
Una serie infinita di lampadine si accese nel cervello di John. Si era scordato del fratello.
 
“ E cosa v-voleva dal fratello?”, balbettò ridicolmente.
 
Il viso del dottore si fece di nuovo grave.
 
“Lo ha fatto venire qui…ora sta parlando con Will nella sua stanza…la domenica la clinica è aperta ai familiari”, rispose il dottore.
 
John alzò un sopracciglio.

“E cosa c’è di male se Will vuole vedere il proprio fratello?”
 
“Ma lei lo ha letto il fascicolo che ho fatto avere al suo collega?”, poi aggiunse vedendo l’espressione confusa di John “ l’agente che si è occupato di John per quella settimana, mi ha chiesto il fascicolo su Will e sulla sua famiglia! Gliel’ho inviato per fax questa mattina presto…strano che non l’abbia avvertita, mi aveva detto che l’avrebbe chiamata subito…”
 
Un dubbio si instaurò nella mente di John.
 
“Dottore…il nome completo di Will è William vero?”, chiese con una vocina piccola che non gli si addiceva per nulla.
 
“Che io sappia no. Sul certificato di nascita il nome è solo Will. Perché me lo chiede?”
 
John si sarebbe preso a pugni da solo se ne avesse avuto il tempo, poi ritornò con lo sguardo sul dottore.
 
“Nulla c’è stato un piccolo fraintendimento…mi può dire cosa c’era scritto sul fascicolo? Ora non ho tempo di andare in ufficio…”
 
Il dottore sospirò pesantemente, poi condusse John nel proprio ufficio e gli fece cenno di accomodarsi su di una delle poltrone.
 
“Diciamo che i due ragazzi, prima della morte della madre si intende, erano molto legati. Will guardava George come un modello da seguire. Cosa abbastanza ovvia vista l’assenza del padre. Però George abusò del “potere” che aveva sul fratello. Lo istigava a fare cose cattive e Will semplicemente gli ubbidiva. Qualunque cosa dicesse per lui era oro colato. La polizia pensa sia stato George ad istigare Will all’omicidio…”, lasciò la frase in sospeso.
 
John aveva premuto le mani in testa. C’era qualcosa che gli sfuggiva.
 
“Ma dottore anche considerando il forte fascino che George aveva su Will, come è arrivato al matricidio? Insomma aveva solo dieci anni! A quell’età io amavo con tutto me stesso mia madre!”
 
“Ma se lei avesse visto quella donna seviziare ogni giorno l’amato fratello? Si immagini la scena: sua madre che sta picchiando il fratello. Lui piange, urla, si dimena ma lei non si ferma. Allora George urla a Will di salvarlo…lei cosa avrebbe fatto?”.
 
John scosse la testa, per vinto.
 
“Forse in quel caso…ma arrivare ad ucciderla! E poi come? Con che forza? Ci sono troppe cose che non vanno nella sua versione!”, ribatté deciso John. Will non era il colpevole. Poi aggiunse, “ com’è stato trovato il cadavere?”.
 
“La madre era stesa sul pavimento con ancora la cintura in mano. Aveva il cranio sfondato. George abbracciava stretto Will, che piangeva disperato”, bisbigliò il dottore, quasi timoroso di pronunciare quelle parole ad alta voce.
 
“Chi ha confessato?”, chiese stancamente John.
 
“Nessuno dei due…vennero fatto delle indagini. Will venne mandato qui e George in un carcere minorile. È stato rilasciato per insufficienza di prove un paio di mesi fa. Fra poco farà diciassette anni”.
 
“ E Will non è stato rilasciato…?”, si interruppe da solo. I pazzi non vengono rilasciati.
 
“Will è stato dichiarato mentalmente infermo. Ha tentato il suicidio diverse volte”, continuò il dottore rispondendo alla domanda di John. “ Ora io devo tornare al mio lavoro e lei al suo. Vada in quella stanza e cacci quel George. Io non ho l’autorità per farlo”.
 
“Ma cosa può fargli qua dentro…”
 
“L’ultima volta che è stato qui gli ha bucato la schiena con un chiodo!”, disse sprezzante il dottore , poi senza aggiungere altro, si alzò e andò verso la porta, tenendola aperta per fare uscire John.
 
John uscì da quella stanza come un automa, la mente persa in altri pensieri.
Cosa significava quel tatuaggio? E perché George lo aveva fatto a Will?
Mentre domande come queste gli affollavano la testa, il truce trottolino alzò la testa e annusò l’aria speranzoso. Avrebbe rivisto Will.
 
 

Note:
 
Faccio schifo. Lo so, davvero mi sento in colpa da morire. Vi ho fatto aspettare per più di due settimane e il risultato è questo capitolo penoso D:  nelle vacanze speravo mi venisse l’ispirazione, ma nulla di nulla. Avrò riscritto questo capitolo almeno mille volte e non mi convince per niente…la prossima volta andrà meglio, lo giuro sulla testa di Will u.u
Voglio ringraziare _____Manu_____ , kia_screamo91, damnedmoon  e LightningStrike  per aver commentato lo scorso capitolo! :D ragazze mie, io vi amo! <3
Grazie anche a te, o dolce lettore anonimo!
Al prossimo capitolo ^^
Fra :)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Dolci errori ***


 John aveva paura. Paura di aprire quella maledetta porta. Nella sua immaginazione Will era steso sul letto e suo fratello lo tatuava con un chiodo sporco d’inchiostro. Ma quando trovò il coraggio di aprire la porta ogni sua paura scomparve: Will e il fratello erano seduti l’uno di fronte all’altro e si tenevano le mani. Sembrava stessero confessando i loro segreti.
John provò l’istinto di scusarsi  e di chiudere la porta, si sentiva come un bambino che beccava i genitori a fare cose sconce.
George squadrò John con i suoi occhi verdi così simili a quelli del fratello. Will invece gli rivolse un sorriso abbozzato e ritirò le mani, nascondendole sotto le cosce.
 
“Agente…cosa ci fa lei qui?”, chiese alla fine il ragazzo rompendo il silenzio che si era creato.
 
John prese tempo. La verità era che anche non sapeva perché fosse venuto lì. Come aveva potuto pensare di arrivare lì e cacciare via il fratello di Will? Lui non ne aveva alcun diritto.
 
“Emm…sono venuto a trovarti come al solito. Però vedo che sei in buona compagnia”, disse alla fine. Non era proprio la verità, però pensò che potesse bastare.
 
Will lo guardò in maniera strana, quasi come se John si fosse dimenticato di una cosa di vitale importanza.
 
“Ma è domenica…la domenica ci sono le visite dei parenti e degli amici”, controbatte Will.
 
John fu tentato di dirgli che anche Lui era un suo amico, però poi pensò che non fosse una cosa adatta da dire e cambiò argomento.
 
“Ah…giusto me lo ero scordato! Quindi lui deve essere un tuo parente”, disse accennando con la testa a George.
 
Gli occhi di Will presero a brillare di qualcosa che assomigliava a cieca devozione, John rabbrividì inconsciamente.
 
“Si lui è mio fratello George! George lui è l’agente Smith!”, rispose Will con voce gongolante.
 
John tese rigido una mano e George l’afferrò.
 
“Piacere Agente”, disse con voce calma e adulta. Ammaliante. Una voce che poteva costringerti a fare quello che voleva.
 
“Il piacere è tutto mio”.
 
George poi si alzò e si mise davanti a Will, posandoli le mani sulle spalle.
 
“Ora io devo andare, ricordati quello che ho detto e chiamami più spesso! D’accordo?”.
 
“Ma sei qui da pochissimo! Ora l’agente se ne va e tu puoi rimanere ancora…vero agente? Vero che ora lei va via?!”, piagnucolò Will con la voce leggermente acuta.
 
John si limitò a distogliere lo sguardo e George a sorridere lievemente.
 
“No, l’agente non deve andare, io si. Ci sentiamo presto Sunshine”. Detto questo si chinò in avanti e posò un dolcissimo bacio fraterno sulle labbra di Will, gli occhi di quest’ultimo erano lucidi.
Il truce trottolino ringhiò così forte che per un attimo John ebbe paura che lo avessero sentito anche gli altri. Si ritrovò quindi a tirare un sospiro di sollievo quando George varcò la soglia della porta e sparì.
 
Il silenzio era quasi assordante. Solo i lievi singhiozzi di Will lo interrompevano.
 
“Will…so che probabilmente sarai arrabbiato con me, però-”
 
“Arrabbiato? Sono furioso! Finalmente ero riuscito a farlo venire qui e le cosa fa? Arriva a rovinare tutto!”, lo interruppe bruscamente Will con gli occhi che lanciava saette da dietro le lacrime.
 
John assorbì il colpo senza fiatare e cercò di guadagnare informazioni in un altro modo. Will intanto si era andato a sedere sulla sedia sotto la finestra, dandogli le spalle. Un forte deja-vù fece accapponare la pelle di John.
 
“Come hai contattato tuo fratello?”, chiese titubante.
 
“Secondo lei? Con la telepatia?”, rispose Will con forte sarcasmo e fu solo grazie a un miracolo che John non gli spezzò il collo dalla rabbia.
 
“Intendo dire- ricominciò con una nota spazientita nella voce- come hai avuto il suo numero…siete stati lontani per molto tempo”, concluse. Facendo capire a Will che lui sapeva.
 
“è stato lui a telefonarmi appena uscito di prigione, mi ha dato un numero da chiamare in caso avessi bisogno di lui e Dio solo sa quanto avessi avuto bisogno di lui quella sera…”, rispose infine in un sussurro. John aggrottò le sopracciglia.
 
“Quale sera?”.
 
Il silenzio che si creò appesantì l’aria come una coperta di lana. Dopo quelli che parvero secoli Will si decise a rispondere: “Quella in cui lei mi ha detto che mi avrebbe fatto portare la felpa da qualcun altro…ammetto di essere stato parecchio male quella sera”, aggiunse alla fine facendo sentire in colpa John. Senso di colpa che svanì completamente quando comprese il senso della frase. Will era stato male perché lui lo aveva “rifiutato”! si impedì di sorridere e tornò al discorso.
 
“Ma il dottore mi ha detto che ti hai chiamato tuo fratello ieri sera, dopo aver telefonato a me!”, sbottò John dopo qualche minuto di riflessione.
 
Will alzò le spalle e tornò a guardare il cielo. La maglietta del pigiama si era alzata leggermente e così il tatuaggio di Will faceva bella mostra di sé. John preso da non si sa quale istinto allungò la mano e lo toccò. Will saltò in aria dallo spavento e la sua pelle si ricoprì di brividi.
 
“Cosa sta facendo? È impazzito?!?”, urlò dopo che si fu ripreso dallo spavento.
 
John arrossì come una ragazzina e cercò di elaborare una scusa valida. Non ne trovò nessuna. Sul suo indice ancora la sensazione della liscia pelle del ragazzo.
 
“Se tu mi dici cosa significa, io ti dico perché l’ho fatto”. Era un ragionamento infantile, però sembrò funzionare perché Will sbuffò e si girò completamente verso di lui, dando le spalle al cielo di mezzogiorno.
 
“Me l’ha fatto mio fratello…quando ero piccolo mi chiamava Query(1) perché facevo sempre delle domande, su qualunque cosa. Poi ho smesso quando è morta mamma. Solo questo…ora lei! Perché mi ha toccato?”.
 
John rimase zitto. Lui si era fatto un sacco di congetture sul possibile significato di quel fottuto tatuaggio e alla fine non significava nulla? Si sentiva amareggiato e doveva ammetterlo si era aspettato di più. Ora però toccava a lui rispondere.
 
“Beh…dato che te l’ha fatto con un chiodo, volevo sentire se la pelle era diversa al tatto…”, finì la frase bofonchiando e Will scoppiò a ridere. Una risata cristallina che sembrò sistemare il mondo.
 
“Lei…ahaha! Voleva sentire se la mia pelle è morbida?!? Oddio ahahah”, continuò a ridere prendendo in giro John. Quest’ultimo invece di arrabbiarsi provò una profonda gioia e si lasciò andare anche lui ad una grossa risata.
 
Will continuò a ridere fino a che non gli vennero le lacrime agli occhi e si gettò sul letto tenendosi lo stomaco. Sghignazzava anche mentre cercava di riprendere fiato. John si sedette di fianco a lui sorridendo felice.
 
“Era da tanto che non ridevo così. La devo ringraziare per questo”, disse e poi fece una cosa terribilmente infantile, si avvicinò a John e gli diede un leggero bacio sulla guancia. Jonh smise di respirare, fissò negli occhi quel ragazzino così perfido e perse si perse in quel verde. E alla fine capitolò.
Sporgendosi arrivò alle labbra di Will e le baciò con una dolcezza tutt’altro che fraterna. Un turbinio di emozioni gli affollò la mente, percepiva ogni senso amplificato e insieme ovattato.
Durò tutto un battito di ciglia, poi John si ritirò come scottato e capì davvero quello che aveva fatto. Senza nessuna parola corse fuori. Senza degnare di uno sguardo nessuno si precipitò in macchina. Il fiato spezzato e il sesso premuto contro i pantaloni.
Will nella sua stanza rimase immobile a guardare il soffitto. Un lieve sorriso increspava le sue labbra.
 

 
Note:
 
(1): Query significa punto di domanda in inglese :DD
 
Lo so che volete uccidermi! Però non lo farete perché io sono troppo carina per morire *si va a nascondere*
Quindi… eccoci qui!!! Come vi sembra questo capitolo? Finalmente John ha fatto quello che doveva u.u
Esigo ringraziare damnedmoon , _____Manu_____  e Evey_f  per aver commentato lo scorso capitolo *___* il mio amore per voi è grande come il cielo :3
Amo anche te lettore anonimo!!! *O*
Alla prossima dolci pasticcini ripieni
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Storie proibite ***


   John scappò via come se fosse inseguito dal diavolo. Spinse ai limiti la propria vecchia macchina per arrivare presto a casa e sfogare la propria voglia e il proprio senso di colpa su Marika.
 
Arrivato a casa gettò il cappotto a terra e andò in cucina dove la sua ragazza stava cucinando.
 
“Hey tesoro sei già a casa…meno male”, disse lui e avvicinatosi l’abbracciò da dietro.
 
Marika dopo essere trasalita per lo spaventò, si rilassò fra le braccia dell’uomo e con un pizzico di divertimento e malizia notò l’erezione di John che premeva duro contro le sue natiche. Così si rigirò nell’abbraccio e gli andò a baciare il collo.
 
“Cosa abbiamo qui! Guarda che mi hai solo abbracciato…”, con la mano scese a toccargli il cavallo gonfio dei pantaloni. John trattenne rumorosamente il respiro e voltò la testa per non doverle guardare gli occhi.
Pensò che lei meritasse molto di meglio e tentò di staccarsi da lei, però lei non lo lasciò andare e lascivamente si mise in ginocchio di fronte a lui e soffiò sulla sua erezione ormai quasi scoperta.
 
John gemette di frustrazione e di piacere.
Quando poi la donna lo prese in bocca, le mise le mani nei capelli e strizzò forte gli occhi.
 
Non fu difficile immaginare le labbra di Will che succhiavano il suo cazzo, gli bastava chiudere gli occhi e pensare a lui.
 
A letto palpava il seno morbido di lei e immaginava un petto piatto. Entrava dentro di lei sperando in altri buchi e ben altri gemiti.
 
Quando finalmente il suo corpo capitolò, un nome gli solletico la lingua e fece forza per uscire, ma Marika troppo impegnata a godere non si accorse che non si trattava del proprio.
 

 
Restarono accoccolati sul letto per un tempo interminabile, il silenzio aveva reso l’aria statica e il tempo liquido.
 
John aveva ancora in mente quelle labbra sottili e dolci. Le voleva ancora, eccome se le voleva.
 
 E poi ad ondate arrivò. Il senso di colpa si fece strada in lui senza bussare e lo investì con violenza inaudita. Si faceva schifo per quello che aveva fatto. Aveva tradito la propria donna per un ragazzino, l’aveva tradita per un paio di occhi verdi e una bocca di rosa.
 
Provava l’impulso di vomitare.
 
Di colpo si sciolse dall’abbraccio e corse in bagno. Rigetto l’anima e sperò anche tutti i sensi di colpa. Quelli però aleggiavano intorno a lui.
 
Decise di andare sotto la doccia.
 
Uso l’acqua fredda mentre con la spugna si lavava ferocemente il corpo. Si sentiva sporco e disgustoso e voleva solo togliersi di dosso quei ricordi.
 
Però prima che potesse fare qualcosa, prima che potesse impedirlo, il truce trottolino, con voce melodiosa e soave ora, iniziò a raccontare.
 
Raccontò di cuori oscuri e sogni infranti, di sesso e di amore.
 
John si accucciò sotto l’acqua fredda e ascoltò ogni parola. Lasciò che quella storia gli si conficcasse in testa e nel petto con la violenza e il dolore di una scudisciata, lasciò che quelle parole gli si posassero sullo stomaco in una strato vischioso.
 
Il suo cantastorie smise di parlare solo quando le labbra di John divennero blu per il freddo e quando il suo cuore iniziò a battere troppo lentamente , solo allora lo lasciò in pace, con l’ovvia  promessa di tornare.
 
John allora si alzò, uscì dalla doccia e si preparò.
Non appena uscì dal bagno, Marika gli corse incontro preoccupata.
 
“John…cosa è successo? Perché hai questa faccia?”.
Lui si limitò a scuotere la  testa e ad appoggiarla sulla spalla di lei, troppo fragile per parlare.
 
A distruggere quella tetra calma, ci pensò il telefono di John, che prese a squillare vivacemente.
John si asciugò gli occhi e andò a rispondere.
 
“Si, pronto?”, la voce ancora umida.
 
“John? È successo qualcosa? Hai una voce strana…”, chiese una voce conosciuta.
 
“Si William sto bene…ho solo un po’ di raffreddore…ah, senti, volevo scusarmi per non averti più richiamato, ho avuto dei contrattempi”, e per quando si fosse sforzato, la sua mente tornò a qual bacio.
 
Una risata metallica gli giunse alle orecchie.
 
“Non ti preoccupare! Senti…quando hai tempo, dovresti venire qui. Abbiamo grosse novità sul caso”, rispose Price con tono pragmatico, suscitando la curiosità di John, che finalmente riuscì a mettere da parte i suoi pensieri.
 
“Qui a farci compagnia c’è un certo Thomas Tale che dice di essere il padre di Will e George…ah c’è anche George qui”. Poi aggiunse “Fra poco lo interroghiamo, pensavo volessi assistere…”.
 
John rispose che sarebbe arrivato al più presto possibile e chiuse la telefonata.
Contento di avere qualcos’altro a cui pensare salutò Marika e corse fuori.
 
La ragazza scosse la testa di fronte alla stranezza del fidanzato, però poi lasciò perdere perché in fondo lo amava anche per quello.
 
Quando però andò in bagno per lavarsi, sentì la pelle accapponarsi.
Lo specchio era stato coperto da un asciugamano e la spugna nella doccia era ricoperta di sangue, gettato per terra c’era il piccolo rasoio che solitamente usava lei.
 
Molto più tardi, quando la sera John sarebbe tornato a casa, Marika gli avrebbe guardato attentamente il corpo e con orrore avrebbe notato i piccoli tagli che coronavano la pelle candida delle sue braccia.
 
John, in macchina, non si accorse nè del sangue, nè del dolore, troppo preso ad ascoltare nuovamente la sua storia.

 
 
Note:
 
Per la serie chi non muore si rivede -.-“
Faccio schifo, lo so! Non ho scusanti, solo che non aveva proprio voglia di scrivere e infatti guardate che capitolo orribile…è corto e deprimente e fa prendere alla storia una piega che non volevo prendesse…però quel che è fatto, è fatto!
Ringrazio Colin_from_Mars e damnedmoon  per le stupende recensioni nello scorso capitolo! Spero di non avervi deluse troppo! Ormai lo sapete che vi amo no?
Sono troppo accaldata per amare anche te lettore anonimo, quindi mi limito ad adorarti con tutta me stessa **
Bacioni
Fra :)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Verità ancora nascoste ***


 Il telefono di John continuò a suonare ininterrottamente per tutto il viaggio da casa sua all’ufficio, lui però era troppo preso dalla sua storia anche solo per sentirlo. Così più tardi quando lo controllò vide che le telefonate perse erano 19, lui non si prese neanche la briga di richiamare, Marika poteva aspettare.
Non appena John varcò al soglia dell’ufficio, Price gli fu addosso, e stava per dirgli tutto quello che aveva scoperto, quando le parole gli si congelarono in gola. Rimase lì, bloccate, incapaci di scendere o di salire. La camicia del collega era rossa, o meglio, le maniche erano rosse.
 
“Cosa cazzo è successo John?”, disse con una certa urgenza nella voce, solo allora John si accorse di un leggere bruciore lungo tutte le braccia, così si tirò su la camicia e vide tanti piccoli tagli, non erano profondi, ma ora facevano male.
Però John non sapeva come se gli fosse fatti.
 
“Non lo so…davvero…io credo in doccia, però…”, non finì la frase e non fu necessario, Price capì comunque. Infatti lo prese con estrema dolcezza per le spalle e lo portò nell’infermeria e dato che era Domenica dovette lui occuparsi di quei graffi. Bastarono un po’ di disinfettante e un paio di cerotti, e John fu come nuovo. Nei suoi occhi però c’era una strana luce, sembrava stessero guardando ad un passato molto remoto, quel passato in cui i ricordi sono fatti di luce e le parole portate dal vento.
 
Forse John si accorse dello sguardo che il collega gli riservava, per cui raddrizzò leggermente le spalle e scosse la testa.
 
“Grazie per…tutto, però ora vorresti portarmi del presunto padre di Will?”, disse con voce stanca e ruvida.
 
Price annuì brevemente e sempre con molta gentilezza gli sfilò completamente la camicia e gli diede la propria giacca, non era il massimo dell’eleganza però era sempre meglio di niente.
Insieme si avviarono verso l’aula degli interrogatori e Price prese a spiegare i dettagli della situazione.
 
“Sono venuti insieme poco dopo mezzogiorno, il ragazzo si è presentato come il fratello di Will, mentre l’uomo come il padre…sinceramente sembravano onesti, però sul certificato di nascita di Will non compare quel cognome…è per questo che ti ho chiamato”, spiegò con voce calma e piatta facendo assimilare a John tutte le informazioni necessarie. Quest’ultimo fece un cenno con la testa come a confermare quelle parole.
 
Quando vice i due uomini due pensieri gli si affacciarono in mente. Il primo che il ragazzo era effettivamente George e il secondo che quel Thomas Tale non assomigliava per niente ai due figli.
 
Si presentarono con molta freddezza, però George rivolse un sorriso strano a John, un sorriso che sembrava dire “io so quello che hai fatto” e John non potè impedirsi di rabbrividire.
Fu Price il primo a parlare.
 
“John è l’agente che si sta occupando del caso di Will, quindi ho voluto che fosse presente anche lui. Signor Tale lei non ha voluto un avvocato, sa questo cosa vuole dire vero?”, chiese con voce fredda ma educata, Thomas annuì brevemente, così Price continuò:” Benissimo, lei dice di essere il padre di Will, mentre lei dice di essere il fratello, tutto giusto fino a qui?”. George fece per annuire ma il signor Tale si schiarì la voce per parlare.
 
“Veramente no”, disse spiazzando completamente sia John che Price, la voce di quest’uomo aveva un che di ammaliante e superbo, una voce che sapeva sempre quello che dire e come farlo. “Io non sono il padre naturale di George e di Will, come probabilmente avete saputo quest’ultimo è disgraziatamente morto in un incidente, io ero stato il secondo marito di Susan”. Concluse così, con un sorriso sulle labbra, contento forse di aver lasciato i due agenti senza parole.
 
“E lei dov’è stato per tutti questi anni?”, chiese rude John, voleva sapere perché quell’uomo aveva abbandonato i suoi due ragazzi, ma soprattutto Will, al proprio destino.
 
“Dove sono stato? Beh dalla mia famiglia! Sono stato il marito di Susan solo per due anni, poi ho chiesto il divorzio e me ne sono andato”, rispose Tale.
 
Price aggrottò le sopracciglia, mentre le spalle di George si irrigidirono improvvisamente e la bocca gli si piegò all’ingiù, come se avesse assaggiato del cibo avariato.
 
“E, se posso, come mai avete divorziato?”.
 
“Diciamo che io e Suze avevamo delle divergenze, se si possono chiamare così. Litigavamo spesso e quasi sempre per colpa dei suoi modi con i ragazzi, tendeva a diventare violenta con loro, specialmente con George”, aggiunse alla fine e lo fece con voce sussurrata, come se avesse paura di essere sentito dalle persone sbagliate. John si allungò sul tavolo e toccò il braccio di George che aveva preso a tremare.
 
“Hey calma. Qui non ti succederà nulla…va bene? mi credi?”
 
George annuì e tirò sul col naso, forse John aveva giudicato troppo in fretta quel ragazzo.
Però se John era comprensivo, Price era indignato.

“Quindi lei ha abbandonato i due ragazzi nelle mani di quella pazza?”
 
A queste parole gli occhi di Tale si scurirono di rabbia antica.
 
“Ho fatto di tutto per toglierli a quella donna, ma lei era la madre naturale e non c’erano prove a testimoniare le mie parole. Qualsiasi giuria non mi avrebbe dato l’affido, così sono andato via”, concluse. Price sospirò stancamente e si poggiò alla sedia, quel caso si stava rilevando più complicato del previsto.
 
Alla fine sbottò, rompendo il silenzio che si era creato: “E cosa ci fa qui, ora, dopo ben cinque anni?”
 
“Beh ho saputo che pochi mesi fa George era uscito di prigione, così sono andato da lui e mi ha raccontato tutto quello che mi ero perso, se non lo avessi visto, non avrei saputo mai della morte di Susan”, disse con un alzata di spalle, quasi non esistesse alcun problema.
 
“Quindi se lei non c’entra con l’omicidio di sua moglie, se non ha visto i suoi figli per tutto questo tempo, cosa vuole da noi?”, chiese John al limite della pazienza, ora le braccia gli prudevano e non si gratto solo perché temeva la reazione di Price.
 
Fu George ora a raddrizzare le spalle ed a schiarirsi la voce. Tutti lo guardarono straniti, nessuno si aspettava un suo intervento.
 
“L’ho chiamato io. Prima di tutto perché avevo scoperto quale fosse la clinica di mio fratello e in secondo luogo perchè lui può aiutarlo ad uscire dal quel maledetto posto”, disse, lo voce che tremava ancora un pò, ma con una lieve inflessione vittoriosa.
 
“E come?”, chiesero bizzarramente all’unisono John e William.
 
George si mise seduto comodo, incrociò le braccia e sorrise sornione. Tutto era pronto e finalmente lui poteva raccontare.
 
 
Note:
 
Sono una merda che cammina, credetemi lo so! Scrivete pure tutti gli insulti che volete, me li merito tutti! Dopo più di una settima pubblico questo capitolo, che invece di togliere dubbi ne aggiunge altri mille T.T perdonatemi ma non so più che pesci pigliare! In teoria nel prossimo capitolo dovrebbe esserci la risoluzione del problema, quindi fatevi avanti! Sono curiosa di sapere quello che le vostre menti contorte creano u.u
Quindi alla prossima mie amate. Grazie mille per i commenti dello scorso capitolo, vi amo, tutte!
Bacii
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Amari ricordi ***


 George si stiracchiò un attimo prima di cominciare a parlare e John vide distintamente l’ombra di totale impazienza che corse negli occhi di Price, a dir la verità anche lui iniziava a sentirsi abbastanza impaziente e solo in quel momento si accorse del dolore sordo che provava nelle braccia, ma tentò di ignorarlo perché George si era finalmente deciso a parlare.
 
“La storia è un po’ lunga, però ormai non posso tornare indietro…diciamo che dopo che Thomas se ne andò, il comportamento di mamma cambiò nei confronti miei e di Will. Lui divenne il figlio prediletto, quello da proteggere e amare, io divenni quello cattivo che creava solo problemi”, la voce qui gli divenne più aspra e dura e il sorriso che prima gli aveva illuminato il volto sparì completamente.
“Le mie punizioni divennero sempre più lunghe e dure, e quelle di Will ritornarono ad essere semplici ceffoni…lei diceva che era colpa mia se anche Thomas se ne era andato, perché io ero un bambino cattivo che la costringeva a punirmi. Mentre Will era il suo dolce angioletto.
“Pian piano iniziai ad odiare quel bambino che mi aveva portato via tutto: il padre, la madre e anche la vita. Lui si era portato via tutto…mia madre mi costringeva a portarmelo sempre dietro, ovunque andassi, la responsabilità di ogni suo respiro era mia. Il giorno in cui mia mamma morì avevo portato Will al luna-park, avevo tredici anni, e speravo che lui fosse abbastanza distratto dalle giostre per pensare a me che cercavo di fare colpo sulla ragazza che mi piaceva, Lizzy…”, pronunciò quel nome con lentezza, si fece scivolare ogni lettera di quel nome con gusto e i suoi occhi si riempirono di ricordi, poi però si riscosse e i suoi occhi i gonfiarono d’odio.
 
“Quello stupido però si perse in tutta quella confusione e io lo cercai per tutto il giorno; lo trovai che piagnucolava accanto ad un venditore di hot-dog. Vederlo lì sano e salvo mi fece provare una strana gioia e quando lui mi corse incontro sorridendo lo presi in braccio e lo coccolai un po’ prima di tornare a casa. Non gli dissi di non dire nulla alla mamma perché lo ritenevo abbastanza sveglio, lui però appena arrivammo a casa si gettò fra le braccia della mamma e le disse che si era perso ma che io, il suo eroe, lo avevo ritrovato. Lei lo mise in terra, gli diede un buffetto sulla guancia e si sfilò la cintura e…”, la voce gli si spezzò per quella che John sapeva essere rabbia e non dolore. John aspettò con innaturale pazienza che riprendesse a parlare, ma George stette zitto. Il signor Tale gli posò una mano sul braccio e strinse forte.
 
Per la prima volta anche Price stette zitto e John provò l’incondizionato desiderio di non ascoltare la fine della storia.
 
La verità era lì, sospesa nell’aria, nessuno però voleva respirarla. Forse sarebbe stato meglio aprire una finestra e lasciare che il vento se la portasse via. Peccato che in quella stanza di finestra non c’è ne fosse nessuna.
 

 
 
E mentre George nuotava nel passato, Will sognava sul presente.
Il sapore di quel bacio gli era rimasto ancora sulla labbra e per quanto Will avesse cercato di scordarlo, quello puntualmente si ripresentava. Quel bacio sapeva di dolore, colpa e incompletezza. Forse se ne avesse potuto avere un altro avrebbe cambiato idea, forse avrebbe smesso di pensare a John come al suo salvatore.
Che poi a lui John non piaceva. Prima di tutto era tremendamente arrogante, la prima volta che era stato lì aveva voluto la verità, poi gli aveva rubato la felpa e soprattutto gli aveva rubato il tempo che avrebbe voluto dedicare a suo fratello. A quel pensiero sorrise e si toccò un punto sul fondo della schiena, dove spiccava un grezzo tatuaggio.
Per tutto il tempo che era stato chiuse nella clinica non aveva fatto altro che pensare al fratello e a ciò che provava per lui. Ne era stato innamorato, di questo era certo. Un amore malato, perverso e non ricambiato, però un amore che lo aveva fatto sentire bene, vivo.
Poi era arrivato quel John e aveva rovinato tutto, lui e quei suoi occhi così disponibili, lui e quei suoi capelli che sembravano così morbidi.
Sbuffò e affondò la faccia nel cuscino.
 
A lui non piaceva John.
 
Non ci mise molto ad addormentarsi in quella posizione.
Sognò occhi gentili che gli sorridevano e giovani labbra che lo baciavano. Al risveglio avrebbe avuto bisogno di una doccia.
 
 

 
 
Anche se sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, George non versò neppure una lacrima, prese invece un respiro profondo e cercò di ricomporsi.
“Ehm…scusate questa scenata. Cosa stavo dicendo? Ah, la cintura”, la voce era ancora tremolante ma allo stesso tempo sicura. Il peggio ormai era passato. “Non credo ci sia bisogno di dire esattamente quello che mi fece, credo ve lo possiate immaginare. Sta di fatto che quella volta ci andò molto pesante, così pesante che Will cercò di bloccarla in qualche modo, lei però sembrava posseduta e non si fermava, colpiva colpiva colpiva. Fino a quando non si sentì un rumore di qualcosa che si infrange e non mi cadde addosso. Will aveva il fiatone e teneva una bottiglia rotta in mano. Non credo che quel colpo l’avesse uccisa, però di certo l’aveva fermata. Lui allora mi aiutò ad alzarmi e mi abbracciò stretto. Credo che fu la vicina a chiamare la polizia…forse mi aveva sentito urlare…”, detto questo si rilassò come se si fosse tolto un peso dallo stomaco e si accasciò sulla sedia.
John lo guardava non del tutto convinto.
 
“Ma se è stato lui ad ucciderlo, perché in carcere ci sei finito tu?”, chiese con voce titubante.
 
George lo guardò come se fosse scemo, cosa che lo irritò notevolmente.
 
“Va bene che ho detto di odiarlo, ma era pur sempre mio fratello e aveva dieci anni! Diciamo che mi addossai la colpa…la polizia mi diede retta anche perché Will aveva incominciato a delirare. Così mi arrestarono e dato che ero minorenne e anche maltrattato ridussero la pena. Legittima difesa così dice il verbale. Will finì in quel centro perché gli diagnosticarono problemi psichici gravi. Però io non ci ho mai creduto, credo che lo abbiamo messo lì per non sbatterlo ai sevizi sociali…”, aggiunse poi bofonchiando.
 
John sorrise per la scarsa stima che il ragazzo aveva dimostrato per la legge, poi si rese conto che era finita. Il caso era concluso. Will era colpevole e lui aveva il dovere di arrestarlo, anche se la sua pena sarebbe stata ridotta a pochi anni.
 
Senza rendersene conto si alzò e lasciò che fosse Price a spiegare tutte le procedure, lui avvertiva nella testa e nel petto un ronzio che gli annebbiò i sensi. Dovette appoggiarsi al muro per non cadere.
Il truce trottolino non si limitò a ringhiare, ma pianse, morse e fece male, molto male.
Ora era finita davvero. Non avrebbe più rivisto Will, se non al processo, non avrebbe mai più guardato quegli occhi stupendi, già gli sembrava che i contorni di quel viso fossero sbiaditi.
 
Dolore.
 
Paura.
 
Palpitanti sensazioni che gli scorrevano sotto pelle e gli infuocavano il sangue come veleno.
 
Gli occhi, la voce, l’odore, il sangue, le labbra.
 
Tutto.
 
E poi più nulla.
 

 
Note:
Ccccciao! :) so di essere in un tremendo ritardo ma questa volta ho una scusa: la scuola u.u mi sta succhiando via la vita ç_ç però va beh xD
Questo capitolo non mi convince del tutto, però non avevo voglia di rifarlo per la terza volta >.<
Ringrazio con tutta la mia non-vita D e c e m b e r, e _____Manu_____  che hanno commentato lo scorso capitolo :3
Dato che non sono più una persona vera e che quindi non ho più un’anima esigo per il prossimo capitolo più recensioni u.u insomma già io sono depressa se poi non mi motivate nemmeno le cose si mettono male >.<
Ovviamente scherzoooo quindi se vi va lasciate un commentino, altrimenti nulla xD
Alla prossima :D
Vi amo, ve l’ho detto no?
Fra

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Dolci carezze e antidolorifici ***


 John aprì gli occhi e si affrettò subito a richiuderli quando una luce bianca cercò di accecarlo. Sentiva un lieve dolore pulsante alla testa e le braccia sembrava compresse dentro una garza.
I tagli riuscì a pensare John anche se questo gli causava delle piccole fitte.
Solo dopo un po’ ti tempo si accorse che qualcuno stava chiamando il suo nome e solo dopo un uso sfrontato delle meningi associò la voce ad un viso: Marika.
 
“John! John riesci a sentirmi? Infermiera presto venga, credo si stia svegliando”, disse la ragazza con voce stanca ma ora felice.
John percepì all’improvviso la presenza di altre persone nella stanza. Probabilmente un dottore e l’infermiera. Provò di nuovo ad aprire gli occhi e questa volta riuscì a tenerli aperti e distinse il profilo di Marika. Il suo volto era stanco quanto la voce.
 
“D-dove sono?”, chiese e la gola gli bruciò come si avesse ingoiato veleno.
Marika gli avvicinò alla bocca una cannuccia e John potè placare, almeno in parte, l’arsura della voce.
 
“Sei in ospedale. Sei svenuto in centrale e Price ti ha portato qui…come ti senti ora?”
 
Il dottore che fino a quel momento era stato zitto si schiarì la voce per attirare l’attenzione. John pensò che i dottori fossero fatti con lo stampino, aveva tutti quello sguardo clinico e fintamente preoccupato.
 
“Signore lei ha preso una brutta botta in testa e le ferite sulle braccia, anche se superficiali, vanno curate meglio. Però nel complesso le sue condizioni sono stabili, ancora un paio di giorni di riposo e potrà uscire dall’ospedale”, disse il dottore.
 
John si lasciò andare ad un lamento e tentò di mettersi a sedere, una fitta alla testa però gli fece rinunciare all’impresa. Marika gli sorrise mesta e gli carezzo la testa con dolcezza, John trovò quel contatto rassicurante e allo stesso tempo fastidioso.
 
“Anche lei signorina dovrebbe andare a casa a riposare…e questo è un ordine da medico”, aggiunse vedendo la ragazza pronta a ribattere “Il suo ragazzo ora sta bene e sono certo che riuscirà a cavarsela anche senza di lei. Arrivederci”, così dicendo il dottore se ne andò.
 
Marika aveva arricciato le labbra però si era alzata dalla sedia di fianco al letto e aveva promesso a John che sarebbe tornata l’indomani.
 
“Va bene tesoro, riposati ora e non preoccuparti per me”, rispose lui con un sorriso.
 
Finalmente la ragazza si decise a lasciare la camera e John poté richiudere gli occhi e provare a riposare un poco.
Però un’infermiera entrò per cambiarli la flebo con gli antidolorifici e fece prendere aria alla stanza.
John la bloccò prima che se ne andasse.
 
“Scusi! Potrei avere il mio cellulare, devo fare una chiamata molto importante, però non so dove è stato messo…”, chiese con la voce ancora roca.
 
“E chi deve chiamare? La sua ragazza è appena uscita…e poi lei deve riposare!”, rispose l’infermiera con tono dolce ma deciso.
 
“Non devo chiamare la mia ragazza…per favore io DEVO fare questa telefonata…”, la pregò lui. Aveva solo quella possibilità.
Il cuore martellava violento nel petto.
 
La donna parve indecisa ma poi sbuffò e andò a prendere il telefono nel borsone che era stato messo nell’armadio e lo consegnò a John.
 
“Cerchi di essere breve”, lo ammonì e John annuì come uno scolaretto obbediente.
 
Appena l’infermiera uscì John cercò di comporre il numero ma le mai gli tremavano così forte che dovette tentare due volte prima di riuscirci.
Poi attese.
 
Dai avanti…rispondo! Avanti…
 
Il cuore continuava la sua corsa e a quel punto il tempo parve dilatarsi e farsi gommoso.
Però poi una voce rispose.
 
“Si pronto?”.
 
“Price!”, urlò John euforico, “Dio non sai quanto sono felice di sentire la tua voce!”
 
Una risata metallica gli giunse alle orecchie.
 
“Anche io! Ma dimmi un po’ come stai? Mi hai fatto prendere uno spavento in centrale…”, disse Price rimproverandolo, come se fosse stata colpa sua. Ma forse lo era.
 
“Mi dispiace…però fra pochi giorni sono come nuovo! Piuttosto devo chiederti una cosa sul caso…”.
 
“Dimmi pure”, lo intimò Price.
 
“Will…il ragazzo è già stato dimesso dalla clinica?”
 
Ti prego dimmi di no, dimmi di no…
 
“Si”, cazzo pensò John ma poi continuò ad ascoltare Price “Subito dopo averti portato all’ospedale abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Il processo si dovrebbe tenere fra una settimana. L’avvocato ha già parlato con il padre e cercheranno di far leva sulla legittima difesa e sui cinque anni passati in quel manicomio…comunque dovrebbe andare tutto bene, al massimo si farà sei mesi agli arresti domiciliari”, spiegò Price con voce molto pratica e formale.
 
John non sapeva se ridere o se piangere. Will era libero, finalmente libero e lui…lui non era neanche riuscito a dirgli ciao. Poi il truce trottolino, evidentemente rimasto illeso anche dopo la botta, gli suggerì la risposta con quella sua vocina fredda e impertinente.
John non ci pensò due volte e chiese a Price l’ennesimo favore, Price, forse troppo buono con l’amico, sospirò e gli disse quello che voleva sapere.
 
Si salutarono poco dopo e John finalmente potè dormire, la testa non gli doleva più. Pensò che fosse grazie alle fusa del truce trottolino, non gli venne in mente che forse l’antidolorifico stava facendo effetto.
Nel suo sogno c’era Will, nudo e ansante.
Il mattino dopo fu molto difficile spiegare all’infermiera il perché dei suo pantaloni bagnati.


                                                                             …
 
 
Sei giorni dopo John, vestito come un pupazzo di neve perché Marika diceva che se si fosse preso un malanno ora sarebbe rimasto fottuto, suonò al campanello di una casa piccola ma curata.
Ad aprirgli la porta venne un uomo che gli sorrise affabile.
 
“Benvenuto signor Smith, prego entri dentro”, disse l’uomo.
 
John sorrise ed entrò nella casa. Anche lì, sospeso nell’aria, a rendergli il cuore palpitante e il sorriso ebete, c’era un profumo di mele.
Qualcuno aveva fatto una torta.
 

 
Note:
Lo so che mi volete morta! So che vorreste vedere il mio cadavere orrendamente mutilato MA, perché in questi casi c’è sempre un ma, questa volta non è colpa mia! È colpa della scuola che mi sta succhiando via l’anima ç___ç
Spero mi perdonerete con questo capitolo *.*
Ringrazio con tutto il mio cuoricino damnedmoon , AmaimonChan  e OurThirteen  per aver commentato lo scorso capitolo! Siete il motivo che mi spinge a non suicidarmi quando sono depressa, davvero grazie *____*
Al prossimo capitolo, dove ne vedremo delle belle *.*
Fra ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** John, oh povero John ***


 L’aroma del caffè appena fatto riempia l’ambiente e John seduto composto con le mani in grembo, si guardava intorno curioso. La casa non era molto grande, però era accogliente  e alle pareti c’erano moltissime foto, volti sorridenti e falsi.
 
John e il signor Tale si lanciavano sguardi senza avere il coraggio di iniziare un discorso, a rompere il silenzio ci pensò il telefono che iniziò a squillare e Thomas andò nell’altra stanza a rispondere.
Dopo aver pronunciato poche frasi, tornò in cucina e sorrise a John.
 
“Will e George saranno qui a momenti, sono andati a fare una passeggiata…sa Will voleva godersi la sua nuova libertà e poi lui e George hanno molte cose da dirsi”, poi aggiunse, quasi parlando a se stesso “sarà difficile ricominciare per loro”.
 
John sorrise educato ma non disse nulla, sentiva infatti l’euforia, e anche qualcos’altro, scorrergli rapida nelle vene.
 
Nella cucina c’era così tanto silenzio che tutti quei rumori così familiari, il ronzio del frigorifero o lo sgocciolare del rubinetto, parevano amplificati, però entrambi non si sentivano imbarazzati, ma semmai troppo persi nei propri pensieri.
 
Poi la porta di casa si aprì e le voci di due ragazzi riempirono l’aria.
 
“Siamo a casa!”, lo dissero all’unisono ma John avvertì la lieve differenza fra le due voci, quella di Will ancora infantile e quella di George già adulta.
 
Entrarono in cucina e sulle prime non si accorsero della presenza di John, poi George lo notò e gli sorrise imbarazzato.
 
“Ah salve agente, che bella sorpresa trovarla qui…credo”, disse e si grattò distrattamente la nuca. Will puntò lo sguardo nella stessa direzione del fratello e quando vide John spalancò gli occhi per un attimo e assunse un’aria imbarazzata e scappò via dalla cucina.
 
“Will torna subito qui! Lo scusi…ma fa così ogni volta che qualcuno parla di lei, dannato ragazzo!”, imprecò fra i denti, senza rabbia ma con un pizzico di irritazione.
 
“Non si preoccupi, se non le dispiace vado a parlargli, dopo tutto sono venuti qui per questo”, disse finalmente John.
George indifferente si versò una tazza di caffè e si sedette al tavola per berla.
 
“Oh certo, certo…la sua camera è la seconda del corridoio”, rispose il padre.
 
John andò a cercare la stanza. Avendo la casa solo un piano non fu così difficile e in poco tempo si trovò di fronte alla camera di Will, la porta era di legno scuro.
Bussò e senza aspettare una risposta entrò dentro.
Quello che colpì John fu la completa assenza del colore bianco, ogni cosa era colorata dalle pareti alla lampada sulla scrivania.
Steso sul letto, coperta verde, che leggeva un libro c’era Will.
 
“Ciao…ti trovo meglio ora, sembri…felice”, tentò John ma le pagine del libro continuavano a scorrere.
 
“Sono passato per vedere come stavi…potresti anche rispondere sai!?”, sbottò all’improvviso. Will alzò gli occhi dal libro e gli sorrise freddo.
 
“Sto bene grazie”, si poteva lavorare sulla gentilezza, però John pensò che fosse già qualcosa, così sospirò leggermente e si andò a sedere su di una sedia che era stata posta sotto la finestra, da lì si vedeva tutta la strada.
 
“Sono contento che tu sia uscito da quel posto, il tuo caso mi ha sinceramente tolto ogni energia, negli ultimi tempi pensavo solo a te…”, disse, poi vedendo il senso che aveva preso la frase si affrettò a correggersi. “Nel senso che volevo sistemare le cose al più presto…ecco”, borbottò imbarazzato.
 
Si come no, ah quanto era mancata a Will quella vocetta gelida che invece di fare le fusa lo sfotteva…
 
Will in compenso aveva chiuso il libro e fissava la parete. Dopo un po’ sulle labbra del ragazzo comparve un ghigno cattivo.
 
“Signore come vanno le braccia? Mi è stato detto che si era fatto male…”, disse con malizia e cattiveria.
 
John arrossì senza capire dove il ragazzo volesse andare a parare.
 
“Cosa…io…no…”.
 
“Il suo collega, credo si chiami Price, mi ha detto che è stato in ospedale perché si era graffiato le braccia e aveva perso molto sangue”, continuò con fare angelico il ragazzo.
 
John si imbronciò e imprecò mentalmente contro Price.
 
“è stato solo un incidente”, cercò di pararsi il culo come poteva però la scusa era patetica anche alle sue orecchie.
 
“Certo, certo è stato solo un incidente…o magari si annoiava!”, esclamò alla fine, come se si fosse ricordato una cosa all’improvviso. Si alzò dal letto e si mise di fronte a John, che intanto aveva aggrottato le sopracciglia non capendo.
 
“Cosa aveva detto lei? Ah si, qualcosa come se ti annoi fatti una sega, non tagliarti le braccia,(1) magari lei di seghe se è fatte troppe e ha deciso di fare qualcos’altro! Dopotutto lo ha appena ammesso lei di avermi pensato sempre!”, si allungò fino a trovarsi con gli occhi perfettamente allineati a quello di John e continuò “Magari si toccava pensando a me, magari non ha fatto altro che pensare alle mie labbra, magari intorno al mio cazzo!”
 
John rimase impalato, senza avere la forza di fare nulla, ogni muscolo del corpo era teso per la vicinanza del ragazzo e al contempo pareva volersi ritirare disgustato, quelle cose che stava dicendo Will erano dannatamente vere ma sbagliate, stava rendendo tutto vano e disgustoso. Finalmente trovò la forza e si tolse di dosso quel ragazzo malefico.
 
“Non vorrebbe baciarmi ancora agente? Su avanti venga qui, glielo sto chiedendo io!”, allargò le braccia e sorrise.
 
Perché, perché gli stava facendo quello? Perché anche se lo aveva insultato e deriso lui aveva voglia di andare e davvero sbatterglielo in faccia per farselo succhiare? Perché voleva abbandonare tutto e portarselo via, in posto lontano, solo loro due?
 
Si prese un pugno e lo morse con forza poi, con un atto che richiese tutta la sua forza di volontà, voltò le spalle ai suoi desideri e scappò via.
 
Questa volta ad accompagnarlo all’uscita furono le sue risate.(2)

 
 
 
Note:
 
(1): Riferimento al capitolo 2
(2): Riferimento al capitolo 4
Ciao, lo so che avete pronti i forconi e volete mettermi al rogo però se lo fate non potrete mai sapere cosa succede nel prossimo capitolo! *spera di convincerle e non ci riesce*
Scusate davvero l’immenso ritardo ma la scuola mi sta davvero uccidendo ç__ç
Questo capitolo non mi convince molto ma dovevo farlo. So che molte, se non tutte, si aspettavano taaanto amore in questo capitolo però la mia idea originale non era quella e per una volta ho voluto fare un finale che fosse quello già pre-fissato. Che poi non è così perché in origine Will doveva morire, però poi non sono riuscita a eliminarlo. Come forse si sarà capito questo è l’ultimo capitolo, il prossimo sarà l’epilogo dove tutte le cose prenderanno un senso u_u
Inizio a ringraziare  AmaimonGirlChan, D e c e m b e r, _____Manu_____ e OurThirteen per aver recensito lo scorso capitolo! Nell’epilogo poi farò tutti i ringraziamenti possibili e immaginabili!
Alla prossima :D
Fra
 
p.s. anzi N.B. in questo capitolo comparve il Vero Will, cioè un bastardo un po’ pazzo che si crede già grande. Quindi ammazzate pure i vostri, e lo ammetto anche i miei, sogni di un Will dolce tenero e carino ç___ç

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Non è la realtà, ma solo un sogno... ***


 Il vestito gli andava alla perfezione, era perfetto sotto ogni punto di vista e John sapeva, anche senza guardarsi allo specchio, che il colore dell’abito, blu scuro, gli metteva in risalto la carnagione chiara e il colore degli occhi.
si sistemò ancora un attimo il nodo alla cravatta, poi si girò verso William e allargate le braccia, fece un giro su se stesso.
 
“Allora come sto Price?”, erano amici da anni ormai, ma John non lo aveva mai chiamato per nome. William non aveva mai chiesto il perché.
 
“Sembri una sardina in giacca e cravatta”, gli rispose sarcastico. John lo guardò male e gli fece una linguaccia molto infantile.
 
Si stava per sposare…finalmente dopo anni, tre a voler essere precisi, lui si sarebbe sposato. Provava un leggere senso di panico e ancora più nel profondo un vischioso senso di colpa. Cercando di non pensarci prese un respiro profondo, la nausea che pian piano svaniva. Il trucco stava nello smettere di tremare e nello smettere di porsi quella cazzo di domanda che ormai gli si era tatuata in testa…e se?
E se un par di balle, lui si sarebbe sposato e nulla, nulla, glielo avrebbe impedito.
 
Price intanto aveva preso la giacca appena e stava aiutando il futuro sposo ad indossarla. In quel momento qualcuno bussò alla porta e il volto brufoloso di un ragazzo comparve all’uscio, dicendo che la cerimonia stava per iniziare.
 
John boccheggiò spaventato.
 
“Non sono pronto. Non sono pronto. Non sono pronto”, una litania estenuante.
 
Price lo scosse forte per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
 
“Si che lo sei! È da una vita che aspetti questo momento, cazzo John non puoi rovinare tutto ora, ormai ci sei dentro fino al collo!”
 
“Non è che sia molto rassicurante detto così”, pigolò John. Price fece una faccia esasperata e sbuffò. Poi sorrise come se gli fosse venuta l’idea del secolo.
 
“Se proprio non pensi di farcela puoi far finta che sia tutto un sogno e puoi sognare quello che vuoi! Poi domani mattina ti sveglierai e sarai già sposato…ok?”.
 
John annuì e cercò di farsi coraggio. La sua paura era insensata ma sua madre lo aveva rassicurato dicendogli che la stessa cosa era accaduta anche a suo padre e che quindi non doveva preoccuparsi.
John non credeva che suo padre avesse avuto le sue stesse preoccupazioni, però andava bene lo stesso, doveva andare bene.
 
Si incamminò con Price al suo fianco fino ad arrivare nella chiesa- pochi parenti e pochi amici.
Andò all’altare e si mise ad aspettare. Tutti a dir la verità stavano aspettando, l’aria si era fatta improvvisamente di gomma, irrespirabile.
Poi lei entrò.
Bella come una dea nel suo vestito, bianco senza fronzoli. Sorrideva radiosa e suo padre, accanto a lei, la guardava con l’orgoglio che solo un padre può provare.
Fu nel momento in cui la mano di lei venne poggiata sulla sua che John chiuse gli occhi e iniziò a sognare.
Quasi urlò quando ad aspettarlo trovò due occhi verdi.
 
La cerimonia fu breve, il si deciso e le fedi perfette. Il banchetto si protrasse fino alla nausea, tutti che si complimentavano, baci, abbracci, lacrime. Tante lacrime.
Adesso era suo, nessuno avrebbe potuto allontanarli. Insieme fino alla morte.
 
Lo portò a casa scappando da tutta quella gente. Lo baciò -il naso, gli occhi, le labbra.
Lo gettò sul letto con foga e fretta. Una voce nella sua testa, fredda, gli ricordava continuamente che di tempo non ne aveva.
Fecero
l’amore
come
se
fosse
guerra,
come
se
fosse
pace.
 
 
John si addormentò quasi all’istante e il suo mondo fatto di sogni lo seguì nell’oblio.
 
Marika ancora sveglia spostò i capelli dalla fronte sudaticcia del marito.
Era stata una lunga giornata, estenuante sotto certi aspetti e per tutta la cerimonia lei aveva avuto la sensazione che John non fosse del tutto presente, a dir la verità la donna aveva questa sensazione ormai da anni, però ora erano sposati, l’anello che le brillava al dito ne era il testimone. Ormai lui le apparteneva, era suo fino alla morte.
 
E cos’è la morte, se non un profondo oblio…?
 

 
Fine.
 
 
Note:
 
è finita…oddio è finita davvero ç__ç Questa storia è stato un parto, ogni singolo capitolo è stato una spinta…che belle similitudini…
Mi manca di già…insomma io mi ero affezionata a John e a Will e anche a Price DDD: come farò ora?!?! Per la cronaca, NO non ci sarà un seguito…lo dico a titolo informativo ;)
Ora però devo ringraziare voi lettori o lettrici che mi avete assecondato in questa follia, senza di voi questa storia non avrebbe senso di esistere.
Un grazie immenso va a (in ordine sparso): SilverAlchemist, damnedmoon, KillianDestroy,  LightningStrike, Desir de Lilas , kia_screamo91, Evey_f, Colin_from_Mars ,                    D e c e m b e r , OurThirteen , AmaimonGirlChan  che hanno lasciato almeno una recensione (se ho dimenticato qualcuno ditemelo!!!) Mi avete migliorato le giornate…dico davvero <3
Un grazie altrettanto grande a
1 - D e c e m b e r
2 - Ely_91
3 - Evey_f
4 - fantasmina97
5 - jessy1122
6 - kunjamama
7 - ladyElric92
8 - LightningStrike
9 - NanaScattinson
10 - ReggyBastyOp
11 - Rialle
12 - RoseNoire
 Che hanno seguito <3
 
A Eli pazzoide che ha seguito :3
 
E infine a:
1 - AmaimonGirlChan
2 - damnedmoon
3 - GGG
4 - Kay Burns
5 - kia_screamo91
6 - OurThirteen
7 - __FmA265__
Che hanno preferito! <3
 
Amo ogni singola persona, davvero vi amo tanto!
Grazie ancora a tutte/i (no io dico ci sarà un maschio che legge le mie storie! No? va beh…)
Un bacio, alla prossima :D
Fra

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=721830