Note:
Come
avete letto nell'introduzione, questa fanfic è una crossover con la
serie Lie to me*. L'idea è nata durante una conversazione con
Idril Earfalas, un'amica che, come me, è appassionata di entrambi i
telefilm. È grazie a lei e ai suoi preziosi consigli se sono
riuscita a sviluppare una trama coerente, quindi a lei vanno i miei
più sentiti ringraziamenti.
Questa fanfic, assieme ad altre due, andranno a comporre la serie Through
the Looking-Glass.
Per
esigenze di narrazione, dovrò raccontare la storia da vari punti di
vista. Segnalerò sempre il cambio di voce così: ~ nome cognome ~
RED
LIES*
LIES
/laɪz/, sostantivo:
affermazione
non corrispondente al vero, falsa,
detta
solitamente con l'intento di ingannare.
PROLOGO
~
Teresa Lisbon ~
A
differenza di tante mattine, questa ero sostanzialmente di buonumore.
Forse perché non c'erano casi complessi da risolvere e tutti in
ufficio erano abbastanza tranquilli. Quindi niente, ma proprio
niente, poteva farmi immaginare che qualcosa bollisse in pentola.
Almeno fino a che non ho visto Patrick Jane bere un caffè. Un caffè,
capite? Tutti noi ci siamo girati a guardarlo increduli: sfogliava
come al solito un libro e sorbiva dalla tazza come se niente fosse.
Allora ho cominciato a sospettare qualcosa.
Adesso
siamo nell'ufficio della Hightower. Quando vuole sa essere molto
discreta e fino ad ora è riuscita a tenere nascosta la faccenda a
tutti, me compresa. Ma non a Jane, ovviamente, che pare abbia fiutato
fin dall'inizio cosa avesse in serbo per noi.
– Red
John. – dice fissandola attento.
Lei
ricambia il suo sguardo seria: – Non vi abbiamo detto niente perché
fin'ora non ne eravamo sicuri. –
La
guardo perplessa.
– A
Jane basta dare un'occhiata alla scena del crimine. – le faccio
notare – Perché non ci avete chiamati? –
– Perché
la scena del crimine non si trova qui. – sento dire a Jane.
Li
guardo stupita, prima l'uno poi l'altra. La Hightower annuisce.
– È
a Washington. – conferma.
Mastico
un'imprecazione. Questa non ci voleva: federali, casini burocratici,
duemila chilometri in linea d'aria. Insomma, la situazione non
potrebbe mettersi peggio di così.
– Quando
partiamo? – chiede lui impaziente.
La
Hightower tentenna.
– Jane,
questo caso è tuo e nessuno ha intenzione di togliertelo. – inizia
con cautela.
– Ma...?
– fa lui teso.
– Ma
c'è di mezzo l'FBI. – gli dice con un sospiro – E, non c'è
bisogno che lo dica, io non ho alcuna influenza nella costa est. –
Messaggio
ricevuto. Il punto è: Jane l'avrà recepito altrettanto bene?
– Capiamo
perfettamente, signora. – intervengo – Ci metta in condizioni di
agire e noi porteremo a termine il caso nel migliore dei modi. –
Lei
stringe le labbra e mi lancia un'occhiata penetrante.
– Riunite
la squadra tra dieci minuti nella sala proiezioni. – dice infine –
Partirete questa sera con il volo delle ventidue. –
Ci
congeda. Fuori dall'ufficio prendo Jane per un braccio e lo trascino
in una saletta per gli interrogatori vuota.
– Va
tutto bene. – mi dice prima che possa chiedergli qualcosa –
Davvero, sto bene. –
– Mi
servi lucido. – lo avverto.
– Non
sono mai stato così lucido. – tenta di rassicurarmi.
Può
sfoggiare tutti i sorrisi ammaliatori che vuole, io comunque non gli credo. Dopo la scomparsa di Kristina, sembra aver fatto solo
passi indietro. È tornato ad essere ossessionato da Red John come
all'inizio – se non peggio – e niente, nessun caso, sembra
riuscire a distogliere la sua attenzione dall'imperativo di fermarlo.
Tento
un approccio più dolce: – Patrick, lo sai che se hai bisogno di
parlare... –
Lui
mi fa un sorriso e mi pizzica il naso. Io lo guardo costernata.
– Sei
molto dolce Teresa, e lo apprezzo, davvero. – mi dice in tono basso
– Ma no, non ne ho bisogno. Ti ringrazio. –
Esce
dalla saletta e io non posso fare altro che seguirlo, con il brutto
presentimento che, sì, potrebbe anche mettersi peggio di così.
~
Wayne Rigsby ~
Quando
a Capodanno ho espresso il desiderio che il 2010 fosse pieno di
novità, non intendevo certo questo. Io pensavo – che ne so? – a
qualche scommessa fica da fare con Kim, alla remota possibilità che gli
Oakland Raiders vincano il campionato, ad una ragazza nuova che mi
faccia dimenticare Grace... ehr... be', insomma, il punto è che pensavo a tutto meno
che a questo.
È
la seconda volta in meno di due mesi che Red John colpisce, e
stavolta per di più ci tocca andare dall'altra parte del Paese. Sono
l'unico qui dentro a chiedersi perché i serial killer non si
prendono le ferie?
La
voce della Hightower riporta la mia attenzione al caso. Forse è meglio che segua la
videoconferenza: prima ci liberiamo di questa grana, meglio è.
– Vi
presento l'agente Reynolds dell'FBI. –
Dalla
lavagna delle proiezioni, un uomo di colore – sui trent'anni,
massiccio, aria da ex militare – fa un cenno con la testa.
– Sarò
io il vostro appoggio qui. – spiega – Seguirò con voi il caso,
con la consulenza del dottor Lightman e del suo gruppo. –
Un
altro uomo – bianco, più di quarant'anni, occhi guizzanti –
spaparanzato in una poltrona di fianco a lui, saluta con la mano.
– 'Giorno.
– dice con forte accento inglese.
Non
mi sono mai piaciuti i federali, ma mi fido del mio istinto e
Reynolds mi fa una buona impressione da subito. Lightman, invece...
non saprei, non riesco ad inquadrarlo, ma immagino che sia ancora
presto.
– Vi
abbiamo già inviato tutti i dati fin'ora raccolti. – prosegue –
Intanto questo è il riassunto della situazione. Locker puoi zoomare?
–
La
videocamera punta sullo schermo alle loro spalle, dove sono
proiettate varie fotografie, file e copie di documenti.
– Le
vittime sono Jeff e Stacy Banckroff. – dice la voce di Reynolds,
mentre la sua mano indica due foto, una della coppia in vita ed una
dei loro corpi sul luogo del delitto. – Quarantasei e quarantanove
anni. Sappiamo che hanno cambiato nome sei mesi fa: protezione
testimoni. E prima che facciate domande, no, non abbiamo accesso ad
altri dati... –
Jane
sbuffa: – Non è vero. –
Reynolds
s'interrompe e la videocamera dezooma, tornando ad inquadrare i due
uomini. Tutti ci giriamo verso Jane.
– Lo
sa perfettamente. Sa tutto di loro, non è così? –
La
Hightower lo guarda come se volesse mangiarsi la sua testa per colazione.
Lisbon
fa per calmarlo: – Jane, non mi sembra il caso... –
– Ha
ragione. –
Riportiamo
l'attenzione verso lo schermo. Lightman osserva a turno Jane e
Reynolds, con una strana espressione stampata in faccia: sembra
incuriosito.
– Già,
Ben ci nasconde qualcosa. – dice intrecciando le dita su un
ginocchio – Perché Ben? –
– Perché
era una prova. – sento dire a Jane.
Vediamo
Lightman, dall'altra parte dello schermo, sporgersi verso la
videocamera sogghignando. Personalmente, non vorrei trovarmi al posto
di Jane.
– Patrick
Jane? –
Lui
fa un cenno con la mano.
– Salve.
– dice con un sorriso amabile –
Sì, sono un portento. Adesso possiamo smetterla coi giochini?
–
Il
ghigno di Lightman si apre in un sorriso che si può definire solo
come satanico.
– Continua
Ben. – dice, senza staccare gli occhi da Jane.
La
videocamera torna a zoomare lo schermo con le informazioni.
– Tony
e Rebecca Mancini, questi erano i loro veri nomi. – riprende a spiegare Reynolds – Nati a San
Diego, sposati dal '90, un figlio attualmente al college. Tony ha
legami con la mafia dall'età di quattordici anni. Specializzato in
truffe, entra ed esce dal carcere fino al '99, quando viene
incastrato per spaccio e possesso illegale di armi. Condannato, la
mafia lo aiuta ad ottenere uno sconto della pena ed esce tre anni
dopo in libertà vigilata. Il suo supervisore era... –
Si
sente un rumore di fogli, ma a concludere la frase è Jane.
– Paul
Hardy. –
Nella
sala c'è un generale scambio di occhiate.
Scrolla
le spalle: – O Dumar, come volete chiamarlo. –
– Da
quel momento non riescono più a beccarlo. – fa Reynolds con un
tono vagamente seccato – Due anni fa si consegna spontaneamente
all'antimafia e scatta il programma di protezione: cambio di
identità, trasferimento in un altro stato... il pacchetto completo.
–
– A
che famiglia era legato? – interviene Lisbon perplessa – Da
quasi dieci anni in California non c'è un giro così influente. –
In
effetti, mandarli dall'altra parte del Paese è troppo anche la
protezione testimoni.
– I
Costello? Da quello che ci ha detto la vostra antimafia, è un
piccolo clan in formazione, ancora preso da lotte interne. – dice
Reynolds, mentre la videocamera dezooma nuovamente e lo mostra
intento a leggere un dossier – Ma sembra che avessero contatti
ovunque, perché ad ogni spostamento i Mancini venivano individuati. –
– Piccoli
ma insistenti, come i tarli. – commenta Jane in tono vago – E
quante volte la famiglia Mancini ha dovuto fare le valigie? –
– Trasferiti
a settembre dal Nevada allo Utah. E poi ancora due volte, fino a
finire a Washington. –
C'è
silenzio in sala adesso e credo che tutti stiano pensando la stessa
cosa.
– Bene,
i casi sono due. – fa Jane d'un tratto – O la protezione
testimoni fa acqua da tutte le parti, il che non mi stupirebbe...
oppure... –
– Oppure
il vostro amichetto ha fatto una gita qui. – conclude Lightman.
~
Grace Van Pelt ~
Check-in
passato, bagagli imbarcati, ultima pipì fatta. Adesso non resta che
sedersi con gli altri in sala d'attesa e aspettare pazientemente il
nostro turno.
Sfilo
il distintivo dalla cintura e me lo rigiro tra le mani con un sospiro nervoso, ripetendomi che sono qui per questo, perché
sono un poliziotto, e un poliziotto non può cagarsi sotto per una
cosa del genere.
Una
mano sulla spalla: – Piccola Grace? –
Sussulto
e il distintivo mi cade dalle mani. Jane lo raccoglie e me lo ridà
con un sorriso rassicurante.
– Paura
di volare? –
– No,
– faccio con voce acuta – finché sta su non è un problema. –
Mi porge una tazza fumante: – Non c'è niente di meglio di un the per rilassarsi. –
Rifletto
brevemente sul fatto che Jane beve una quantità industriale di the,
quindi teoricamente è sempre teso. Sarà mica tutta quella teina?
– Dubito che qualunque cosa possa rilassarmi in questo momento. –
ribatto osservando imbronciata il liquido ambrato – E comunque ho
lo stomaco chiuso. –
Lui
insiste: – Dagli solo un sorso, vedrai che starai meglio. –
Lo
guardo dubbiosa e lui mi rimanda un sorriso.
– Fidati.
– dice tornando a sedersi.
Mezzora
dopo, quando ci stiamo imbarcando, l'unica cosa che sento è il
sapore amaro del the sulla lingua. Stringo gli occhi in direzione di
Jane, che si sta sistemando tranquillamente sul suo posto.
– Non
mi hai fatto niente, vero? – gli chiedo con aria inquisitoria.
Lui
risponde solo con un gran sorriso. Maledetto... ma verrà
il giorno che non cadrò più nei suoi trucchetti!
Questa
è l'ultima cosa che penso, perché mi basta allacciare la cintura e
posare il capo sulla poltroncina, che subito parto per il mondo dei
sogni. Mi risveglio nove ore dopo, con la testa leggera leggera e la
voce della hotess nelle orecchie che ci prega di restare seduti fino
a che l'aereo non si sarà fermato del tutto.
Sbadiglio
con soddisfazione: non ho mai dormito meglio in vita mia. Quando mi
accorgo dello sguardo compiaciuto di Jane, mi scatta un dubbio.
– Cosa
mi hai fatto? – gli chiedo con una punta d'ansia.
Ormai
sono certa che prima di salire deve avermi ipnotizzata, o qualcosa
del genere, perché mai e poi mai sono riuscita a dormire su una di
queste trappole, nemmeno imbottita di sonnifero.
– Jane,
– insisto minacciosa – cosa mi hai fatto? –
– Niente
che tu non volessi. – si difende lui alzando le mani.
Apro
la bocca per ribattere, ma lui è già sgattaiolato via e io resto
incastrata lì, in mezzo agli altri viaggiatori che si attardano a
prendere le loro cose.
Quando
finalmente riesco a scendere dall'aereo e raggiungo gli altri, non
c'è più tempo di indagare su cosa abbia o non abbia fatto Jane alle
mie sinapsi: dobbiamo recuperare i bagagli e andare all'ingresso
dell'aeroporto, dove ci aspettano.
Mentre
stringo la mano a Reynolds non posso fare a meno di notare come sia
ancora più alto e imponente di come appariva nella videoconferenza.
Per il resto, trovo confermate le mie prime impressioni: è il
classico federale dal cuore puro e dal pugno di ferro.
Foster
ci sorride: – Benvenuti. –
Lei
è una vera sorpresa: a vedere Lightman chi si poteva immaginare che
una donna del genere lavorasse con lui? Eppure a quanto pare, non
solo sono colleghi, ma addirittura soci. Non è bellissima e,
per quanto se li porti bene, si vede che va per i quaranta, ma è
comunque la donna più femminile che abbia mai incontrato. Ha un'aria
così dolce e materna che, pur sapendo quanto sia qualificata come psichiatra, stento a credere che collabori con l'FBI e interroghi
soggetti pericolosi.
– Non
c'è stato tempo di trovarvi delle stanze: dovrete
accontentarvi di essere nostri ospiti, se la cosa vi sta bene. –
spiega guidandoci verso dei taxi fermi ad aspettarci.
A
quanto pare, io e Lisbon staremo da lei, Cho e Rigsby da Reynolds,
Jane da Lightman. Mi chiedo come mai Lightman non sia qui, dato che
uno di noi alloggerà da lui, ma visto il suo modo di fare
durante la videoconferenza, non mi stupisco più di tanto. Deve
essere un personaggio davvero bizzarro.
Ci
dividiamo dai ragazzi, che vanno via assieme a Reynolds, e ci
infiliamo in uno dei taxi. Spero che sia solo una mia impressione, ma
lo sguardo che incrocio con Wayne mentre ci salutiamo, mi ricorda molto quelli che ci
scambiavamo una volta. Ignorando bellamente il fatto che, grazie –
o per colpa? – di Jane, in viaggio ho dormito come un sasso e mi
sono risvegliata più riposata di prima, mi dico che deve essere solo
la stanchezza del volo.
– Così,
tu hai le chiavi di casa di Lightman. – esordisce Jane dopo un
momento di silenzio.
Lisbon
ed io lo guardiamo allibite. Lancio un'occhiata verso il sedile
anteriore, dove è seduta Foster.
– Scusa,
ti posso dare de tu? – aggiunge lui come se niente fosse.
– Certo,
chiamami Gillian. – fa lei in tono cordiale.
Davvero
non so come faccia ad essere così gentile con lui, io l'avrei già
preso a male parole.
– È
strano per te che lui mi affidi le sue cose? – la sento dire pacifica, e
stavolta lo sguardo allibito se lo becca lei.
Prego
di non trovarmi mai a dover essere analizzata da lei, perché sto
cominciando a capire per quale motivo lei e Lightman sia così
richiesti.
Jane
sorride: – Assolutamente no. Dopotutto siete soci. –
– Siamo
soci. – conferma lei laconica.
Lisbon
mi guarda perplessa, io mi stringo nelle spalle senza sapere cosa
dire. Per il resto del viaggio nessuno apre più bocca.
Arrivati
a casa di casa di Lightman, mentre Jane scende, lo sento gongolare: –
Sarà un soggiorno molto interessante. –
Lisbon
si affretta ad abbassare il finestrino: – Jane! ––
Lui
si ferma e la guarda incuriosito.
– Vedi
di non fare casini. – gli abbaia.
Ci
saluta allegro con la mano: – Sì, mamma. –
Lisbon
sbuffa e noto che le è spuntata sulla fronte quella rughetta, quella
che noi altri, a sua insaputa, abbiamo ribattezzato “Jane-ruga”.
Mentre aspettiamo Foster per andare a casa sua, mi dico che senza
dubbio anche questa volta il nostro consulente ha ragione: sarà un
soggiorno sicuramente interessante.
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