Red Lies*

di Doralice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note:

Come avete letto nell'introduzione, questa fanfic è una crossover con la serie Lie to me*. L'idea è nata durante una conversazione con Idril Earfalas, un'amica che, come me, è appassionata di entrambi i telefilm. È grazie a lei e ai suoi preziosi consigli se sono riuscita a sviluppare una trama coerente, quindi a lei vanno i miei più sentiti ringraziamenti.

Questa fanfic, assieme ad altre due, andranno a comporre la serie Through the Looking-Glass.

Per esigenze di narrazione, dovrò raccontare la storia da vari punti di vista. Segnalerò sempre il cambio di voce così: ~ nome cognome ~







RED LIES*


LIES /laɪz/, sostantivo:

affermazione non corrispondente al vero, falsa,

detta solitamente con l'intento di ingannare.



PROLOGO


~ Teresa Lisbon ~

A differenza di tante mattine, questa ero sostanzialmente di buonumore. Forse perché non c'erano casi complessi da risolvere e tutti in ufficio erano abbastanza tranquilli. Quindi niente, ma proprio niente, poteva farmi immaginare che qualcosa bollisse in pentola. Almeno fino a che non ho visto Patrick Jane bere un caffè. Un caffè, capite? Tutti noi ci siamo girati a guardarlo increduli: sfogliava come al solito un libro e sorbiva dalla tazza come se niente fosse. Allora ho cominciato a sospettare qualcosa.

Adesso siamo nell'ufficio della Hightower. Quando vuole sa essere molto discreta e fino ad ora è riuscita a tenere nascosta la faccenda a tutti, me compresa. Ma non a Jane, ovviamente, che pare abbia fiutato fin dall'inizio cosa avesse in serbo per noi.

Red John. – dice fissandola attento.

Lei ricambia il suo sguardo seria: – Non vi abbiamo detto niente perché fin'ora non ne eravamo sicuri. –

La guardo perplessa.

A Jane basta dare un'occhiata alla scena del crimine. – le faccio notare – Perché non ci avete chiamati? –

Perché la scena del crimine non si trova qui. – sento dire a Jane.

Li guardo stupita, prima l'uno poi l'altra. La Hightower annuisce.

È a Washington. – conferma.

Mastico un'imprecazione. Questa non ci voleva: federali, casini burocratici, duemila chilometri in linea d'aria. Insomma, la situazione non potrebbe mettersi peggio di così.

Quando partiamo? – chiede lui impaziente.

La Hightower tentenna.

Jane, questo caso è tuo e nessuno ha intenzione di togliertelo. – inizia con cautela.

Ma...? – fa lui teso.

Ma c'è di mezzo l'FBI. – gli dice con un sospiro – E, non c'è bisogno che lo dica, io non ho alcuna influenza nella costa est. –

Messaggio ricevuto. Il punto è: Jane l'avrà recepito altrettanto bene?

Capiamo perfettamente, signora. – intervengo – Ci metta in condizioni di agire e noi porteremo a termine il caso nel migliore dei modi. –

Lei stringe le labbra e mi lancia un'occhiata penetrante.

Riunite la squadra tra dieci minuti nella sala proiezioni. – dice infine – Partirete questa sera con il volo delle ventidue. –

Ci congeda. Fuori dall'ufficio prendo Jane per un braccio e lo trascino in una saletta per gli interrogatori vuota.

Va tutto bene. – mi dice prima che possa chiedergli qualcosa – Davvero, sto bene. –

Mi servi lucido. – lo avverto.

Non sono mai stato così lucido. – tenta di rassicurarmi.

Può sfoggiare tutti i sorrisi ammaliatori che vuole, io comunque non gli credo. Dopo la scomparsa di Kristina, sembra aver fatto solo passi indietro. È tornato ad essere ossessionato da Red John come all'inizio – se non peggio – e niente, nessun caso, sembra riuscire a distogliere la sua attenzione dall'imperativo di fermarlo.

Tento un approccio più dolce: – Patrick, lo sai che se hai bisogno di parlare... –

Lui mi fa un sorriso e mi pizzica il naso. Io lo guardo costernata.

Sei molto dolce Teresa, e lo apprezzo, davvero. – mi dice in tono basso – Ma no, non ne ho bisogno. Ti ringrazio. –

Esce dalla saletta e io non posso fare altro che seguirlo, con il brutto presentimento che, sì, potrebbe anche mettersi peggio di così.


~ Wayne Rigsby ~

Quando a Capodanno ho espresso il desiderio che il 2010 fosse pieno di novità, non intendevo certo questo. Io pensavo – che ne so? – a qualche scommessa fica da fare con Kim, alla remota possibilità che gli Oakland Raiders vincano il campionato, ad una ragazza nuova che mi faccia dimenticare Grace... ehr... be', insomma, il punto è che pensavo a tutto meno che a questo.

È la seconda volta in meno di due mesi che Red John colpisce, e stavolta per di più ci tocca andare dall'altra parte del Paese. Sono l'unico qui dentro a chiedersi perché i serial killer non si prendono le ferie?

La voce della Hightower riporta la mia attenzione al caso. Forse è meglio che segua la videoconferenza: prima ci liberiamo di questa grana, meglio è.

Vi presento l'agente Reynolds dell'FBI. –

Dalla lavagna delle proiezioni, un uomo di colore – sui trent'anni, massiccio, aria da ex militare – fa un cenno con la testa.

Sarò io il vostro appoggio qui. – spiega – Seguirò con voi il caso, con la consulenza del dottor Lightman e del suo gruppo. –

Un altro uomo – bianco, più di quarant'anni, occhi guizzanti – spaparanzato in una poltrona di fianco a lui, saluta con la mano.

'Giorno. – dice con forte accento inglese.

Non mi sono mai piaciuti i federali, ma mi fido del mio istinto e Reynolds mi fa una buona impressione da subito. Lightman, invece... non saprei, non riesco ad inquadrarlo, ma immagino che sia ancora presto.

Vi abbiamo già inviato tutti i dati fin'ora raccolti. – prosegue – Intanto questo è il riassunto della situazione. Locker puoi zoomare? –

La videocamera punta sullo schermo alle loro spalle, dove sono proiettate varie fotografie, file e copie di documenti.

Le vittime sono Jeff e Stacy Banckroff. – dice la voce di Reynolds, mentre la sua mano indica due foto, una della coppia in vita ed una dei loro corpi sul luogo del delitto. – Quarantasei e quarantanove anni. Sappiamo che hanno cambiato nome sei mesi fa: protezione testimoni. E prima che facciate domande, no, non abbiamo accesso ad altri dati... –

Jane sbuffa: – Non è vero. –

Reynolds s'interrompe e la videocamera dezooma, tornando ad inquadrare i due uomini. Tutti ci giriamo verso Jane.

Lo sa perfettamente. Sa tutto di loro, non è così? –

La Hightower lo guarda come se volesse mangiarsi la sua testa per colazione.

Lisbon fa per calmarlo: – Jane, non mi sembra il caso... –

Ha ragione. –

Riportiamo l'attenzione verso lo schermo. Lightman osserva a turno Jane e Reynolds, con una strana espressione stampata in faccia: sembra incuriosito.

Già, Ben ci nasconde qualcosa. – dice intrecciando le dita su un ginocchio – Perché Ben? –

Perché era una prova. – sento dire a Jane.

Vediamo Lightman, dall'altra parte dello schermo, sporgersi verso la videocamera sogghignando. Personalmente, non vorrei trovarmi al posto di Jane.

Patrick Jane? –

Lui fa un cenno con la mano.

Salve. – dice con un sorriso amabile – Sì, sono un portento. Adesso possiamo smetterla coi giochini? –

Il ghigno di Lightman si apre in un sorriso che si può definire solo come satanico.

Continua Ben. – dice, senza staccare gli occhi da Jane.

La videocamera torna a zoomare lo schermo con le informazioni.

Tony e Rebecca Mancini, questi erano i loro veri nomi. – riprende a spiegare Reynolds – Nati a San Diego, sposati dal '90, un figlio attualmente al college. Tony ha legami con la mafia dall'età di quattordici anni. Specializzato in truffe, entra ed esce dal carcere fino al '99, quando viene incastrato per spaccio e possesso illegale di armi. Condannato, la mafia lo aiuta ad ottenere uno sconto della pena ed esce tre anni dopo in libertà vigilata. Il suo supervisore era... –

Si sente un rumore di fogli, ma a concludere la frase è Jane.

Paul Hardy. –

Nella sala c'è un generale scambio di occhiate.

Scrolla le spalle: – O Dumar, come volete chiamarlo. –

Da quel momento non riescono più a beccarlo. – fa Reynolds con un tono vagamente seccato – Due anni fa si consegna spontaneamente all'antimafia e scatta il programma di protezione: cambio di identità, trasferimento in un altro stato... il pacchetto completo. –

A che famiglia era legato? – interviene Lisbon perplessa – Da quasi dieci anni in California non c'è un giro così influente. –

In effetti, mandarli dall'altra parte del Paese è troppo anche la protezione testimoni.

I Costello? Da quello che ci ha detto la vostra antimafia, è un piccolo clan in formazione, ancora preso da lotte interne. – dice Reynolds, mentre la videocamera dezooma nuovamente e lo mostra intento a leggere un dossier – Ma sembra che avessero contatti ovunque, perché ad ogni spostamento i Mancini venivano individuati. –

Piccoli ma insistenti, come i tarli. – commenta Jane in tono vago – E quante volte la famiglia Mancini ha dovuto fare le valigie? –

Trasferiti a settembre dal Nevada allo Utah. E poi ancora due volte, fino a finire a Washington. –

C'è silenzio in sala adesso e credo che tutti stiano pensando la stessa cosa.

Bene, i casi sono due. – fa Jane d'un tratto – O la protezione testimoni fa acqua da tutte le parti, il che non mi stupirebbe... oppure... –

Oppure il vostro amichetto ha fatto una gita qui. – conclude Lightman.


~ Grace Van Pelt ~

Check-in passato, bagagli imbarcati, ultima pipì fatta. Adesso non resta che sedersi con gli altri in sala d'attesa e aspettare pazientemente il nostro turno.

Sfilo il distintivo dalla cintura e me lo rigiro tra le mani con un sospiro nervoso, ripetendomi che sono qui per questo, perché sono un poliziotto, e un poliziotto non può cagarsi sotto per una cosa del genere.

Una mano sulla spalla: – Piccola Grace? –

Sussulto e il distintivo mi cade dalle mani. Jane lo raccoglie e me lo ridà con un sorriso rassicurante.

Paura di volare? –

No, – faccio con voce acuta – finché sta su non è un problema. –

Mi porge una tazza fumante: – Non c'è niente di meglio di un the per rilassarsi. –

Rifletto brevemente sul fatto che Jane beve una quantità industriale di the, quindi teoricamente è sempre teso. Sarà mica tutta quella teina?

Dubito che qualunque cosa possa rilassarmi in questo momento. – ribatto osservando imbronciata il liquido ambrato – E comunque ho lo stomaco chiuso. –

Lui insiste: – Dagli solo un sorso, vedrai che starai meglio. –

Lo guardo dubbiosa e lui mi rimanda un sorriso.

Fidati. – dice tornando a sedersi.

Mezzora dopo, quando ci stiamo imbarcando, l'unica cosa che sento è il sapore amaro del the sulla lingua. Stringo gli occhi in direzione di Jane, che si sta sistemando tranquillamente sul suo posto.

Non mi hai fatto niente, vero? – gli chiedo con aria inquisitoria.

Lui risponde solo con un gran sorriso. Maledetto... ma verrà il giorno che non cadrò più nei suoi trucchetti!

Questa è l'ultima cosa che penso, perché mi basta allacciare la cintura e posare il capo sulla poltroncina, che subito parto per il mondo dei sogni. Mi risveglio nove ore dopo, con la testa leggera leggera e la voce della hotess nelle orecchie che ci prega di restare seduti fino a che l'aereo non si sarà fermato del tutto.

Sbadiglio con soddisfazione: non ho mai dormito meglio in vita mia. Quando mi accorgo dello sguardo compiaciuto di Jane, mi scatta un dubbio.

Cosa mi hai fatto? – gli chiedo con una punta d'ansia.

Ormai sono certa che prima di salire deve avermi ipnotizzata, o qualcosa del genere, perché mai e poi mai sono riuscita a dormire su una di queste trappole, nemmeno imbottita di sonnifero.

Jane, – insisto minacciosa – cosa mi hai fatto? –

Niente che tu non volessi. – si difende lui alzando le mani.

Apro la bocca per ribattere, ma lui è già sgattaiolato via e io resto incastrata lì, in mezzo agli altri viaggiatori che si attardano a prendere le loro cose.

Quando finalmente riesco a scendere dall'aereo e raggiungo gli altri, non c'è più tempo di indagare su cosa abbia o non abbia fatto Jane alle mie sinapsi: dobbiamo recuperare i bagagli e andare all'ingresso dell'aeroporto, dove ci aspettano.

Mentre stringo la mano a Reynolds non posso fare a meno di notare come sia ancora più alto e imponente di come appariva nella videoconferenza. Per il resto, trovo confermate le mie prime impressioni: è il classico federale dal cuore puro e dal pugno di ferro.

Foster ci sorride: – Benvenuti. –

Lei è una vera sorpresa: a vedere Lightman chi si poteva immaginare che una donna del genere lavorasse con lui? Eppure a quanto pare, non solo sono colleghi, ma addirittura soci. Non è bellissima e, per quanto se li porti bene, si vede che va per i quaranta, ma è comunque la donna più femminile che abbia mai incontrato. Ha un'aria così dolce e materna che, pur sapendo quanto sia qualificata come psichiatra, stento a credere che collabori con l'FBI e interroghi soggetti pericolosi.

Non c'è stato tempo di trovarvi delle stanze: dovrete accontentarvi di essere nostri ospiti, se la cosa vi sta bene. – spiega guidandoci verso dei taxi fermi ad aspettarci.

A quanto pare, io e Lisbon staremo da lei, Cho e Rigsby da Reynolds, Jane da Lightman. Mi chiedo come mai Lightman non sia qui, dato che uno di noi alloggerà da lui, ma visto il suo modo di fare durante la videoconferenza, non mi stupisco più di tanto. Deve essere un personaggio davvero bizzarro.

Ci dividiamo dai ragazzi, che vanno via assieme a Reynolds, e ci infiliamo in uno dei taxi. Spero che sia solo una mia impressione, ma lo sguardo che incrocio con Wayne mentre ci salutiamo, mi ricorda molto quelli che ci scambiavamo una volta. Ignorando bellamente il fatto che, grazie – o per colpa? – di Jane, in viaggio ho dormito come un sasso e mi sono risvegliata più riposata di prima, mi dico che deve essere solo la stanchezza del volo.

Così, tu hai le chiavi di casa di Lightman. – esordisce Jane dopo un momento di silenzio.

Lisbon ed io lo guardiamo allibite. Lancio un'occhiata verso il sedile anteriore, dove è seduta Foster.

Scusa, ti posso dare de tu? – aggiunge lui come se niente fosse.

Certo, chiamami Gillian. – fa lei in tono cordiale.

Davvero non so come faccia ad essere così gentile con lui, io l'avrei già preso a male parole.

È strano per te che lui mi affidi le sue cose? – la sento dire pacifica, e stavolta lo sguardo allibito se lo becca lei.

Prego di non trovarmi mai a dover essere analizzata da lei, perché sto cominciando a capire per quale motivo lei e Lightman sia così richiesti.

Jane sorride: – Assolutamente no. Dopotutto siete soci. –

Siamo soci. – conferma lei laconica.

Lisbon mi guarda perplessa, io mi stringo nelle spalle senza sapere cosa dire. Per il resto del viaggio nessuno apre più bocca.

Arrivati a casa di casa di Lightman, mentre Jane scende, lo sento gongolare: – Sarà un soggiorno molto interessante. –

Lisbon si affretta ad abbassare il finestrino: – Jane! ––

Lui si ferma e la guarda incuriosito.

Vedi di non fare casini. – gli abbaia.

Ci saluta allegro con la mano: – Sì, mamma. –

Lisbon sbuffa e noto che le è spuntata sulla fronte quella rughetta, quella che noi altri, a sua insaputa, abbiamo ribattezzato “Jane-ruga”. Mentre aspettiamo Foster per andare a casa sua, mi dico che senza dubbio anche questa volta il nostro consulente ha ragione: sarà un soggiorno sicuramente interessante.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Note

LOL! Da quanto tempo non aggiornavo questa fanfic? Ammettiamo pure che me ne sono bellamente dimenticata, ecco, 'ché la sincerità vince sempre... sopratutto quando si ha a che fare con un mentalista ed un lettore delle microespressioni, contemporaneamente per giunta! :P

Scherzi a parte... devo reingranare o non finirò più tutte le long che stanno ad ammuffire nel pc, per cui ho pensato di darmi una smossa con questa, visto che avevo quasi tutto il capitolo pronto.

Prima di lasciarvi alla lettura, ho una richiesta da farvi: AAA: cercasi disperatamente proverbi, aforismi, detti popolari, adagi, piccole poesie, brevi citazioni et simili, contenenti “rosso” o suoi derivati, nello stile del proverbio scritto qua sotto.







CAPITOLO 1


Chi vuol vedere il diavolo vero,

metta insieme il rosso e il nero.



~ Emily Lightman ~

Uno scambio di “ciao”, poi Foster se ne va e io resto qui, da sola, con quest'uomo sconosciuto. Adesso in salotto c'è un silenzio imbarazzato. Cioè, imbarazzato per me, forse, ma non per lui. Lo osservo perplessa mentre si guarda intorno con aria curiosa, tocca i soprammobili, studia le foto.

Mi ficco le mani in tasca, a disagio: – Papà arriva tra poco. –

L'avrà già informato Gillian, ma sentivo lo stesso il bisogno di dirglielo, se non altro per rompere il ghiaccio.

Vuoi un the? – mi fa lui con un sorriso.

Batto le palpebre, confusa. Un the? Lui sta offrendo a me un the, in casa mia?

Scrollo le spalle: – Ok. –

Mi segue in cucina e poco dopo siamo seduti al tavolo, davanti a due tazze fumanti.

Lo prendi all'inglese. – noto.

Il vero the si prende così. – commenta lui inzuppando la bustina nella brodaglia che si è preparato.

Faccio una smorfia: – Io mi riempirei di bolle. –

Intolleranza al lattosio? –

Prendo una sorsata del mio limpido the e annuisco.

Non è bello scoprirlo alla festa per i tuoi sette anni. – spiego, rabbrividendo al ricordo.

Tutti gli amici che ti vedono gonfia come una rana... – racconta pacato, come se l'avesse vissuto lui – e poi passare la nottata al pronto soccorso con i tuoi che litigano, dandosi la colpa a vicenda... –

Sgrano gli occhi, stupita da quel perfetto riassunto.

No, non deve essere bello. – conclude con un sorrisetto.

Ha l'aria di chi si sta scusando. Solo per avermi riportato alla mente un compleanno andato male? Ne ho passati di peggiori.

Così... tu sei un mentalista. – butto lì.

Mi lancia uno sguardo a metà tra il divertito e lo stupito.

Di solito mi chiamano “sensitivo.” –

Alzo le sopracciglia e scuoto la testa: – I sensitivi non esistono. –

Lui sorride ancora – sembra che non sappia fare altro. È affascinante, eh, per carità, ma è bizzarro per me. Quando vivi con un tizio che sorride a stento e quando lo fa sembra che voglia sbranarti, è strano beccarsi tutti questi sorrisi pacifici.

Ma lui non è quel tipo a cui hanno ammazzato la famiglia? Non è per questo che è qui a Washington, perché lo stesso serial killer ha ucciso qualcuno anche qui?

Papà mi ha raccontato quello che ti è successo. – gli dico, saettando lo sguardo da lui alla tazza che tengo stretta in mano.

Non so perché gliel'ho detto: adesso sembrerà che voglia farmi gli affari suoi. La sua espressione serena non muta, abbassa solo lo sguardo e non risponde.

Mi dispiace. – mi sento dire stupidamente.

E non capisco se mi sto dispiacendo per la sua famiglia o per aver aperto il discorso – forse entrambe le cose. Qualcosa mi dice a lui non frega più di tanto.

Grazie Emily. –

Alzo gli occhi su di lui e mi stupisco di vedergli uno sguardo riconoscente. Non ci conosciamo nemmeno, e io gli ho solo detto “mi dispiace”: cos'ha da essere riconoscente?

Ehi! –

Mi volto verso papà con aria colpevole. Non l'ho nemmeno sentito aprire la porta.

Cosa sei, un ninja? – gli chiedo accigliata, mentre mi da un bacio sulla testa.

Si scosta appena e mi scruta: – Tutto bene? –

Mi stringo nelle spalle, senza sapere cosa rispondere.

Stavamo facendo una chiacchierata. – sento dire a Jane.

Ci voltiamo verso di lui e finalmente quel cavernicolo di mio padre si ricorda delle buone maniere.

Lightman. –

Jane. –

Li vedo stringersi la mano e studiarsi attentamente. L'uno con il ghigno che conosco fin troppo bene, l'altro con il sorriso che sto già imparato a conoscere.

Papà guarda la sua tazza: – Lo prendi all'inglese. –

Ne vuoi anche tu? – fa l'altro indicando il bollitore.

Ok, è venuto il momento di lasciarli a giocare da soli. Mi alzo e vado a posare la tazza nel lavello.

Grazie per il the. – dico rivolta a Jane.

Papà inclina la testa e mi osserva curioso.

Strozzo una risatina: – Non fate tardi. –


~ Gillian Foster ~

Mentre guardo le mie ospiti muoversi per le stanze, mi chiedo se in casa mia ci sia mai stata tutta questa gente. E stiamo parlando di solo tre persone, me compresa. Forse l'effetto è strano perché siamo tre donne: questa situazione ha un vago sapore da college.

Non ti invaderemo la casa per molto. – dice Van Pelt – Appena si libera una camera andiamo in hotel. –

Oh, neanche per idea. – rispondo tirando fuori le coperte dall'armadio – Sarà divertente... sarà come un lungo pigiama party. –

Le vedo sorridere timide.

Mi spiace solo costringervi a dividere la camera, ma l'appartamento è piccolo. – aggiungo mentre facciamo insieme il letto.

Ah, io per sette anni ho diviso la stanza con tre fratelli. – commenta Lisbon.

Sta sorridendo, ma non devo sforzarmi per sentire la sua tristezza.

Avete appetito? Non ho niente di pronto, ma possiamo ordinare qualcosa da asporto. –

Solo se possiamo offrire noi. – si affretta a dire Van Pelt.

Mezzora dopo siamo in soggiorno, circondate da scatolette di cibo cinese.

Da quanto tempo lavorate con Jane? –

Tre anni, ormai, no? – fa Van Pelt lanciando un'occhiata a Lisbon – Ma lui era nella squadra prima che arrivassi io. –

La piccola del gruppo. Non tanto innocente come sembra, ma abbastanza da mantenere il ruolo che le hanno affibbiato.

Non molto prima. – commenta Lisbon – Jane è stato assunto tre anni e mezzo fa. –

Sta parlando in terza persona, si tiene distaccata.

Non è sempre facile con lui. – commenta Van Pelt, beccandosi un'occhiataccia da Lisbon – Ma nessuno conosce meglio Red John. –

Questo lo sapevamo. È un aspetto che Cal non vede l'ora di approfondire, e a dire il vero anche io.

Da quanto lavorate insieme tu e Lightman? – mi chiede Lisbon, nel palese tentativo di cambiare discorso.

Nove anni. –

Nove anni. Quando lo dico stento a crederci.

Nemmeno con lui è facile. – commento sorridendo tra me – Non lo è mai. –

Van Pelt alza le sopracciglia: – Ci sarà da divertirsi allora. –

Schietta e gentile, a tratti ingenua – esattamente ciò che richiede il suo ruolo – ma continuo a pensare che non sia del tutto limpida: ha un lato che non riesco a decifrare. Lisbon, invece, nel suo volersi tenere a distanza a tutti i costi, è molto più chiara di lei.

Più tardi, mentre sono in bagno, le sento parlare nella loro stanza.

Spero che questa storia finisca presto. –

Non abbiamo nemmeno iniziato e già vuoi andare via? –

Voglio solo evitare casini. –

Lo sai che con Jane è impossibile. –

Non è solo Jane. –

Ti preoccupa Lightman? –

L'hai visto durante la videoconferenza. –

Esco dal bagno con un sospiro. Perché quel giorno non sono rimasta in ufficio? Ah, già, avevo quel caso da seguire...

Dovrò tenerli d'occhio quei due. Ho fiducia in Cal, ma quando ci si mette è in grado di trasformare le situazioni più semplici in un delirio. E questa non è certo una situazione semplice.

Mentre mi infilo a letto mi cade l'occhio sul cellulare. Sono solo le undici: potrei fargli un colpo di telefono. Niente di che, solo per assicurarmi che vada tutto bene.

Sbuffo tra me e mi rigiro nelle coperte: è adulto, che si arrangi!

Due minuti dopo sto facendo il numero di casa sua. Risponde Emily.

Ciao Gill. Stanno parlando. – mi fa tranquilla.

Tutto a posto quindi. – mi rilasso – Come ti sembra? –

Schizzato. – commenta – Andrà alla grande con papà. –

Rido: – Grazie Em. Buonanotte. –

Riaggancio e spengo la luce. Non sono sicura se andrà “alla grande” con Cal – è troppo presto per dirlo – ma di certo non ci sarà da annoiarsi.


~ Eli Loker ~

Ci sono parecchie cose alle quali non ho mai creduto.

Negli UFO, nelle bistecche di soia, nell'effetto riposante del weekend, nella pubblicità, nell'alcol come mezzo consolatorio, nell'amore, nell'omeopatia, nei venditori televisivi. Oh, e nelle persone, tutte, in generale.

Il problema si pone quando, dopo un pallosissimo weekend passato a guardare apaticamente le televendite in tv, ti ritrovi con il frigo vuoto eccettuata una tristissima fetta di soia lasciata lì dal tuo unico amico vegan e, dopo, quando esci nella speranza di trovare un po' di vita fuori dal tuo piccolo mondo, ti imbatti nell'“allettante” cartellone pubblicitario di un club per single.

Lo scovi, entri, ti siedi al bancone e ordini un Martini. E mentre l'alcol, distrutta la labile barriera della soia, viene metabolizzato dal tuo corpo, ti si avvicina una creatura che di certo non è di questo mondo.

E tu da dove sei caduta? Da una stella? –

Oh, Eli... questo non è da te. Sei decisamente messo male.

La vedo schernirsi, un po' imbarazzata e un po' divertita.

Sono un po' grande per te. – mi fa notare.

Eppure sorride ammiccante. E non si schioda da qui. E io sarò anche brillo e vagamente disperato, ma non mi sono laureato in scienze delle merendine.

Ho un debole per le MILF. – dichiaro fiero – Cosa vuoi da bere? –

Sinceramente mi aspettavo uno schiaffo, o almeno di essere mollato lì. Quando ride e ordina un Cosmpolitan, non riesco a trattenermi.

Credo di essermi innamorato! –

E vaffanculo! Cosa manca, l'omeopatia? Be', stanotte credo anche nell'omeopatia.

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