Il Giorno Più Bello

di Sandra Voirol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio Al Celibato ***
Capitolo 2: *** Ora sei veramente mia ***
Capitolo 3: *** Il Ricevimento ***
Capitolo 4: *** Verso il paradiso ***
Capitolo 5: *** Calore ***



Capitolo 1
*** Addio Al Celibato ***


Allora....

Continuo l'aggiornamento delle mie shot!!!!

A questa raccolta ci tengo particolarmente!!!

Mi ha molto emozionato scriverla...spero di regalarvi almeno una parte di quello che ho provato!!!!

Questa raccolta è tutta
POV. EDWARD !!!!

BUONA LETTURA !!!!













ADDIO AL CELIBATO
 

 
“Non è possibile!”.
“Che c’è?”.
“Non avrai bisogno di chiamare Jasper ed Emmett. Sono venuti a prendermi, con le buone o con le cattive”.
Mi strinse forte a sé: “Goditi il tuo addio al celibato, vai!”.
Senza averne granché voglia, mi alzai e mi rimisi la camicia. La baciai sulla fronte: “Riposati. Domani sarà un giorno impegnativo”.
“Adesso mi hai proprio fatta stare più tranquilla”, mi disse sarcastica. Potevo solo immaginare, quanto fosse ansiosa e preoccupata per il giorno seguente. Mi piegai sulle ginocchia e saltai fuori della finestra, atterrando – di proposito – addosso ad Emmett. Non gradì. Ci azzuffammo scherzosamente, mentre Jasper calmava e rassicurava Bella. Sentivo un’elettricità positiva nell’aria. Ero ansioso a lasciare Bella da sola - proprio in questa nottata - non ero tranquillo. Ma i pensieri goliardici di Emmett e Jazz mi facevano comunque sentire euforico.
“Forza, andiamo!”, disse perentorio Emmett. Non aveva nessun'intenzione di farmi crogiolare nel mio solito rimuginare. “Non sono tranquillo a lasciare Bella da sola”, stavo quasi supplicando la loro comprensione.
Jasper invase l’aria di calma e serenità, “Edward, Bella non starà da sola. Carlisle è già qui. La terrà d’occhio lui, finché domattina verrà a prenderla Alice. Quindi non hai motivo di agitarti. Goditi il tuo addio al celibato e non fare storie”. Ero in trappola, avevano organizzato tutto in modo che non potessi tirarmi indietro e rimanere con la mia dolce futura sposa. Solo il pensiero mi contrasse lo stomaco per l’emozione. Domani a quest’ora saremmo stati marito e moglie.
“Andiamo”, mi sollecitò Jasper.
Mi guardai intorno, in cerca di mio padre. Incontrai facilmente i suoi occhi dorati e sereni. Vai Edward, divertiti. A Bella ci penso io, non ti preoccupare. Non la lascerò un attimo da sola, finché non arriverà Alice. Goditi la tua ultima notte da scapolo. E un sorriso si formò sulle sue labbra. Sapeva quanto poco m’interessasse la vita da scapolo. Gli mimai un grazie con le labbra. Sapeva che mi riferivo al fatto che aveva pensato a vegliare su Bella.
 Controvoglia presi a correre al fianco dei miei fratelli. “Dove mi portate?”, gli chiesi. Fecero una smorfia praticamente in contemporanea. Mi venne da ridere. Sapevano perfettamente che bastava che gli rivolgessi la domanda e avrei avuto la risposta dai loro pensieri. Eravamo diretti sui monti olimpici. A caccia. Volevano dissetarmi a dovere, in previsione di quello che mi aspettava.
Solo il pensiero mi riempì la testa di terrore. Ecco, stavo di nuovo lasciando campo libero all’ansia. Forse avevano ragione tutti, un addio al celibato era quello che mi ci voleva. Volammo attraverso la foresta, senza degnare d’attenzione le scie dei branchi di cervi che incontravamo. Avevano intenzione di offrirmi un degno addio al celibato, in versione vampiresca. Stavamo salendo sempre più in alto, lungo le pareti rocciose che nascondevano puma e grizzly. L’idea della caccia pre-matrimoniale mi stava entusiasmando sempre di più. D’altronde avevano ragione da vendere. Se volevo fare l’amore con lei ed essere isolato dal mondo per parecchio tempo, saziarmi era la prima cosa da fare. Non che non lo fossi già. Ero andato a caccia due giorni prima con lo stesso intento, ma rincarare la dose non era un male dopotutto.
Dopo poco, avvertimmo una scia interessante, anzi più che interessante per i miei gusti. Un bel puma era nelle vicinanze. Ci fermammo.
Emmett mi guardò negli occhi e con fare serio e solenne mi disse: “La precedenza a te, fratello. Ma solo per stanotte, non ci prendere l’abitudine” e rise sguaiatamente, mettendo in allarme il puma, tra l’altro.
“Grazie tante!”, gli risposi sarcastico e mi lanciai all’inseguimento della scia. Trovai il puma su uno spuntone di roccia, accovacciato, con le narici dilatate. Aveva fiutato il pericolo. Era un esemplare grandissimo. Solo il pensiero del suo sangue mi riempì la bocca di veleno, nonostante non avessi granché sete. Ma per me era una leccornia. Adoravo il sapore del sangue del puma, era il mio preferito.
A noi due, ragazzo, pensai una frazione di secondo prima di lanciarmi su per i costoni di roccia, dritto nella direzione del mio pasto. Da uno spuntone di roccia vicino, mi lanciai sul puma - e con il mio solito modo pulito di cacciare, lo bloccai nella mia presa ferrea - e con i denti gli tagliai la vena principale, bevendo avidamente il suo sangue caldo e dissetante. Il piacere che provavo, mentre bevevo il suo sangue inondava la mia mente e il mio corpo. Era sempre una sensazione di puro godimento, quando cacciavo animali dei quali preferivo il sapore. Mentre lasciavo che tutta la soddisfazione invadesse ogni mia cellula, il puma abbandonò sempre di più il tentativo di opporsi alla mia forza, mentre la sua diminuiva di attimo in attimo. Alla fine, mentre finivo di dissanguarlo, lui lasciò per sempre la vita.
Lo depositai sul costone dove lo avevo trovato. Fra i due predatori più forti, uno aveva saziato la sua fame e l’altro aveva perso la propria vita. La legge del più forte. La legge della natura.
Decisamente soddisfatto scesi dalle rocce e andai incontro ai miei fratelli. Stavano cacciando anche loro. Emmett era alle prese con un orso. Quando mai. Non si capiva chi ringhiava più forte tra lui e l’animale che teneva stretto tra le sue braccia d’acciaio. Aveva la possibilità di affondare i suoi denti nella gola dell’orso in ogni momento, ma continuava a lottare con l’animale. Ringhiava e rideva, e rispondeva agli affondi che la bestia provava a lasciare senza risultato, sul suo corpo di marmo. Il solito giocherellone. Quando l’orso cominciò a dare i primi segni di stanchezza, si stufò e finalmente si decise a nutrirsi.
Jasper invece aveva trovato un altro puma. Già aveva fatto, la sua caccia era limpida e pulita come la mia. Non giocava con il cibo come un bambino di due anni, come Emmett per intenderci. Anche se dovevo ammetterlo, vederlo lottare con un orso era divertente, se avevo la testa libera per godermi lo spettacolo.
Decidemmo di proseguire. Ma dovevamo salire decisamente più in alto se volevamo trovare qualche altro puma. Mentre scalavamo le pareti di roccia sentivo i loro pensieri. Erano felici per me.
Emmett adorava Bella, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Si divertiva troppo a stuzzicarla.
Jasper l’apprezzava molto. Le emozioni che avvertiva, quando stavamo insieme, lo rendevano felice per me e ne traeva giovamento anche lui. L’intensità del nostro amore lo faceva stare bene.
La cosa che più mi rendeva felice, era che ormai la consideravano una sorella a tutti gli effetti. Nonostante fosse umana. Io speravo ancora in un angoletto della mia mente, che lo rimanesse almeno per un altro po’ di tempo.
Quando arrivammo molto più in alto, avvertimmo l’odore di puma e grizzly.
“Voi sapete già quale scia seguo”, disse allegro Emmett e sparì dalla nostra vista. Ma l’odore di grizzly non c’era solo in una direzione, erano più di uno.
“Vai Jazz. Io vedo di stanare il puma”.
“Okay, a dopo fratello” e corse via incontro al suo grizzly.
Non ci misi molto a trovarlo. Era a caccia anche lui. Allora, visto che non cacciavo accecato dalla sete, lo lasciai godersi la sua ultima preda. Una galanteria, da predatore a predatore. Era affascinante vederlo cacciare. Il puma è elegante quando caccia, agile, signorile e implacabile. Difficilmente la sua preda ha la possibilità di sfuggirgli.
In un certo senso, era come vedere me stesso cacciare.
Quando ebbe finito il suo pasto e come un gattone si stava leccando il muso per pulirsi dal sangue della sua preda, lo attaccai. Fu facile sopraffarlo e bloccarlo nella mia morsa. Non era vigile, si stava godendo la soddisfazione della caccia appena conclusa. Mi saziai del suo sangue. Dolce, umido, caldo, che m'infondeva un piacere grandissimo. Visto che le sue reazioni erano rallentate dalla sorpresa e dalla digestione, mi godetti a pieno la sensazione di godimento che mi provocava il suo sangue che scendeva giù per la mia gola. Soddisfacendo il corpo e la mente. Una volta dissanguato completamente, lo adagiai con delicatezza fra le rocce, portandogli il rispetto che meritava.
Mi sentivo ubriaco.
Tra la caccia di due giorni prima e i due puma appena dissanguati mi sentivo strapieno. Ero così pieno di sangue da essere anche più caldo del solito, le mie vene erano ben in evidenza, di un piacevole color bluastro segno di sazietà.
Ma essere così sazio non mi avrebbe aiutato più di tanto. Non era questa la mia paura. Non avrei fatto del male a Bella neanche se non avessi cacciato per un mese. La mia paura risiedeva nella mia forza sovraumana, nella possibilità che perdessi la lucidità e la padronanza di me stesso. La mia paura risiedeva nel fatto, che non sapevo come sarebbe stato, per me, fare l’amore.
Per di più con un’umana.
Immaginavo me stesso sfiorarla ovunque sulla pelle libera dai vestiti. Una voglia incontenibile di tornare indietro e farla mia subito, mi attraversò da capo a piedi. Ero eccitato e sconvolto. Ma avevo aspettato tanto e mi ero trattenuto tanto, le ore che mi separavano da amare finalmente tutto il suo corpo non erano poi così tante, anche se a me sembravano infinite.
Ogni volta che facevamo “esercizio”, quando sentivo di perdere il controllo, mi irrigidivo e mi tiravo indietro. Stravolto dalla violenza che operavo su me stesso, ma anche soddisfatto di esserne capace.
Sentivo il pericolo girovagare nel mio stomaco.
La paura installarsi nelle viscere.
Il desiderio invadere il mio corpo.
L’amore per Bella talmente potente da far esplodere il cuore nel mio petto.
Ero un groviglio inestricabile di emozioni contrastanti e dirompenti. Ero lacerato dalla voglia di scappare da ciò che stava per succedere e il desiderio folle di corrergli incontro.
Emmett e Jasper mi trovarono appollaiato ad un costone di roccia che stava sul bordo di una minuscola radura, fra le rocce. Ero illuminato dalla luna brillante in un cielo stellato. Meraviglioso. Ma ero perso nei miei pensieri, in guerra tra loro. Non riuscivo a godermi il panorama come avrei dovuto. Mi trovarono così e mi vennero vicino. Jazz era colpito dalle mie emozioni così in contrasto tra loro.
“Hey…Edward, cosa c’è?”, mi chiese. Emmett era silenzioso, probabilmente Jasper gli aveva fatto segno di stare zitto e non fare le sue solite battute. Si sedettero di fianco a me. Tre vampiri illuminati dalla luna quasi piena, con il vuoto di chissà quante centinaia di metri sotto di loro.
Avevo bisogno dei miei fratelli. Solo loro potevano aiutarmi. Avevo chiesto a mio padre, ma non me l’ero sentita di approfondire troppo il discorso. Con loro sarebbe stato più semplice, forse.
“Non so come…come mi sentirò. Cosa succederà dentro di me. Se sarò in grado...”, la mia voce si spezzò, “di non farle del male”. Tenevo gli occhi bassi, guardavo le mie mani che nervosamente si attorcigliavano.
“Edward…”, il tono di Jasper era quello di un fratello maggiore. Aveva preso le mie richieste seriamente. Era quello che speravo, quello di cui avevo bisogno. “E’ una cosa molto, molto intensa. E’ un piacere talmente grande che si può solo paragonare al piacere del sangue umano”. Mi girai di scatto verso di lui. Il paragone mi aveva sorpreso. Ma conoscevo a cosa alludesse. Lo conoscevano tutti i presenti, anche se poi le scelte erano state altre.
Ripensai a quanto godimento avevo provato poco prima durante la caccia. Quello umano lo conoscevo bene anche se era passato moltissimo tempo da quando lo avevo provato e non avevo voglia di rievocarlo. Ma potevo rievocare il sangue di Bella. Quello sì, lo conoscevo bene ed era marchiato a fuoco nella mia memoria, anche se non lo desideravo più.
Fare l’amore con lei sarebbe stato così intenso e forte? Sarebbe stato così violento da farmi perdere la lucidità, proprio come se bevessi il suo sangue? Il pensiero mi terrorizzava e mi attraeva in ugual misura. “Ma come…” non sapevo come continuare, non sapevo cosa chiedere, avevo solo una paura assurda.
“Edward, io l’ho vissuto in modi diversi. Con Maria era senz’altro sesso selvaggio. Ero più un animale che altro, direi che seguivo gli impulsi e basta. Con Alice è tutto diverso. Quando facciamo l’amore, c’è quasi venerazione per il corpo dell’uno verso quello dell’altro. Ci adoriamo reciprocamente, dandoci tutto il piacere possibile con dolcezza, rispetto, devozione. Conosci i nostri pensieri, quindi hai un’idea abbastanza chiara del tipo d'amore che proviamo l’uno per l’altro. L’intensità non sfocia mai nella violenza. Il piacere è sempre più piacere. Tanto anche da sentirti morire, ma non fa male. Io so, quanto ami Bella. Tu non potrai mai farle del male. Non è possibile. Sarà solo di un’intensità che ti sconvolgerà, che la sconvolgerà. In più ci sarà il fattore che lei è umana, è calda, morbida e ha l’odore che tu ben conosci, per te sarà ancora più devastante, ma non ti farà male e non le farai male. Fidati”.
Non avrebbe potuto spiegarmelo meglio di così. Nonostante rimanesse un tuffo nell’ignoto, ora avevo molto più presente cosa aspettarmi. E questo non fece altro che aumentare la mia impazienza. Volevo tutto questo. Per me. Per Bella. La voglia di arrivare all’Isola Esme era diventata ancora più pressante e urgente.
Emmett mi riportò con i piedi per terra. “Jazz ed Alice sono tutto un adorarsi. Rose ed io invece siamo un’altra cosa. Ci vogliamo così tanto che non siamo lontani dalla violenza. Ma per noi non è un problema, non potremmo mai farci del male. Anzi l’irruenza ci scatena ancora di più la voglia di prenderci continuamente”.
Lo interruppi, sapevamo bene delle loro abitudini. In passato non era stato semplice convivere con loro, tanto che Esme li aveva costruito una casa per tenerli lontani, quando si scatenavano. Ne avevano distrutte parecchie di case. “Lo so Emm…sono parecchi decenni che vi sopporto”, dissi a metà tra lo scherzo e il sarcastico.
“Ahahahah…voglio proprio vedere che combini. Pensi di farcela?”. Continuava a sghignazzare. Ma io non ero dell’umore giusto per scherzare su una cosa del genere, era una cosa troppo importante e seria per me.
“Edward” riprese Jazz, “non ti preoccupare, andrà tutto bene, vedrai. Tu sei sicuramente un tipo più come me che come Emmett. Cerca solo di mantenere la lucidità necessaria a dosare la tua forza, per il resto lasciati andare. Sarà meraviglioso, te l’assicuro”. Ci guardammo negli occhi. La sua fiducia in me mi commuoveva e la sua certezza s'infondeva in me.
Speravo di essere come mi aveva descritto lui.
Volevo essere come mi aveva descritto lui, fortissimamente.
“Adesso basta con tutto sto adorarsi e venerarsi, mi verrà il diabete!”, Emmett rideva. “Forza, hai bisogno di scaricare tutta questa tensione. Ora ci pensiamo Jazz ed io a rilassarti per bene”. Si alzarono entrambi tirandomi dietro di loro. Li guardavo attonito, cosa avevano in mente? Non riuscivo a leggerlo nella loro testa, stavano facendo di tutto per pensare ad altro. Gli guardai scettico. Con un sopraciglio alzato, in una posa di evidente diffidenza.
“E dai! Vedrai che ti piacerà!”, disse Emmett.
“Mica mi porterete in uno strip-club?”. Chiesi inorridito e terrorizzato al solo pensiero. Jasper se la rideva sotto i baffi.
“Fidati”, mi chiese Jazz. Ed io mi fidai.
Iniziammo a correre giù per i pendii, verso la base dei monti Olimpici. Nella loro mente ero riuscito a scorgere solo lo spiazzo dove giocavamo e dove era accaduto di tutto e di più, ma non volevo pensarci in questi termini, almeno non adesso. Chissà cosa avevano in testa. Lo avrei scoperto presto, comunque.
Una volta scesi dai costoni scoscesi della montagna iniziammo a correre nella foresta, più per gioco e per sfida, che per arrivare alla meta. C’era tempo, prima di tornare a casa. Solo questo pensiero m'inondò lo stomaco di aspettativa.
A quest’ora Bella era già in piedi probabilmente. Forse era già sotto le grinfie di Alice. Non la invidiavo, anche se non vedevo l’ora di godermi il risultato. Mi si attorcigliò ancora di più lo stomaco per l’emozione. Lei già era bellissima, chissà come sarebbe stata meravigliosa con il vestito da sposa.
Quando l’avevo conosciuta, l’avevo immaginata in vestito da sposa - al braccio del padre - andare verso qualcuno che non sarei mai potuto essere io.
Oggi invece, l’avrei vista in vestito da sposa - al braccio del padre - venire verso di me.
Venire verso di me!
Ero ancora incredulo.
Sarei potuto svenire dalla felicità, all’altare. Non osavo immaginare l’intensità della gioia che avrei provato, quando avremmo detto e quando il padre di Angela ci avrebbe dichiarato marito e moglie.
Dovevo smetterla di pensarci.
Per distrarmi iniziai a correre più veloce, per battere i miei fratelli. Non avevano speranze con me. Arrivai allo spazzo quasi un minuto prima di loro. Quando arrivarono, Emmett andò a recuperare una palla in mezzo agli alberi.
“Rugby?”, chiesi sorpreso.
“Un modo elegante di fare la lotta” mi rispose Jazz. “Vedrai che scaricherai tutta la tensione e l’ansia”.
“Forza fratellino, fammi vedere che sai fare”. Emmett la buttava sempre sullo scherzo e la sfida.
Presi la palla ed iniziai a correre per arrivare nei pressi della meta, che avevamo stabilito essere fra due piante più alte delle altre. Loro cercavano di braccarmi in tutti i modi. Ma il tutto era condito da risate sfrenate.
Mi sentivo già meglio. Avevano avuto ragione.
Alcune volte riuscii a fare meta, altre, riuscirono a braccarmi a terra e a farmi letteralmente nero con il gioco di squadra. Si erano alleati, due contro uno. Emmett continuava a dire che così eravamo pari, visto che leggevo tutto quello che volevano fare nella loro mente.
La foresta riecheggiava delle nostre risate spensierate.
Quando io braccavo uno di loro aiutato dall’altro si arrabbiavano e protestavano. Secondo loro stavo giocando tre contro uno. Si divertivano solo quando ero io a mangiare la polvere.
Invece io mi stavo divertendo sempre, persino bloccato a terra. Un umano sarebbe stato coperto di lividi dalla testa ai piedi, ma non io naturalmente. A volte essere un vampiro era davvero divertente.
Le ore volarono.
Ad un certo punto però, avvertii l’urgenza di tornare a casa. Di essere vicino a Bella. Anche se Alice non mi avrebbe mai permesso di vederla. Piuttosto mi avrebbe fatto a pezzi. Ma sapevo che la mia promessa sposa si sarebbe sentita meglio, sapendomi nei paraggi ed anch’io mi sarei sentito meglio.
Mi alzai dall’ennesimo braccaggio. Mi ero distratto, ormai il pensiero era volato via da lì.
Jasper avvertì subito il mio cambiamento d'umore e mi disse: “E’ ora, vero?”.
“Sì, devo andare da lei. Almeno nei suoi paraggi. Ha bisogno di me ed io ho bisogno di lei” dissi, mentre cercavo di togliere più polvere possibile dai miei vestiti. Rimasti immacolati dopo la caccia, si erano ridotti a stracci informi giocando a rugby.
Compresero perfettamente la mia esigenza.
Con una pacca sulle spalle da entrambi, corremmo verso casa. Avevano portato a termine il loro compito. Mi avevano regalato un addio al celibato speciale.
Ora dovevo correre dalla mia vita, dal mio futuro, dalla mia Bella. 

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Capitolo 2
*** Ora sei veramente mia ***


Eccovi il prossimo capitolo di questa Raccolta!!!!

Sono emozionata quasi quanto Edward e Bella !!!!

Buona lettura!!!!!













ORA SEI VERAMENTE MIA
 

 
POV. EDWARD

Arrivati a casa, Esme ci squadrò - me in particolar modo - da capo a piedi.
In effetti, dovevo ammetterlo, ero in uno stato pietoso. La partita di Rugby aveva lasciato il segno. Guardò di traverso Emmett e Jasper: “Ma dove vi siete andati a ficcare? Guardate come lo avete ridotto! Andate a farvi una doccia, poi finite di sistemare sul retro, c’è già Carlisle. Edward, tu la doccia te la fai nel bagno che sta nella camera degli ospiti. Non devi stare neanche a cinquanta metri da Bella, se non vuoi che Alice ti stacchi la testa”.
Sbuffai rumorosamente. Speravo di poter andare in camera mia. Non tanto per la doccia, quanto per il fatto che mi avrebbe permesso di passare nelle vicinanze della mia futura sposa. Magari una sbirciatina, un bacetto. Ma dovevo ammetterlo, Alice non avrebbe mai rischiato che vedessi Bella, ora.
Esme lesse il mio stato d’animo sulla mia faccia. “Edward, pazienza, ancora poche ore e non la lascerai mai più”. Un sorriso si allargò sul mio volto, mai più erano le parole magiche. Sarebbe stata veramente mia per sempre.
Ancora poche ore.
Emmett e Jazz andarono a farsi la doccia ed io feci altrettanto. Una veloce, tanto per togliere la terra, la polvere e l’erba che avevo addosso e tra i capelli. Mi sarei fatto bello una volta sistemato sul retro. Faticavo a concentrarmi su quello che dovevo fare. Sentire che Bella era a pochi metri da me, mi faceva perdere in lucidità. Avevo una voglia matta di andare da lei e al diavolo le tradizioni.
Mentre ero sotto il getto della doccia - con le mani appoggiate al muro, la testa inclinata verso il basso e l’acqua che mi scivolava dalla nuca giù per la schiena - mi concentrai su tutti i rumori della casa, in cerca del suono della sua voce. Ma niente. Rinunciai.
Mi misi un paio di jeans e una maglietta, e con i capelli ancora bagnati andai sul retro. Almeno – forse - mi sarei distratto. Carlisle, Emmett e Jasper si stavano dando da fare. Ormai era quasi tutto pronto, il colpo d’occhio era notevole, dovevo ammetterlo. Alice era stata fantastica. Sembrava di stare in una favola, anche se niente era eccessivo.
Esme ci dava le indicazioni, sembrava un vigile nel centro di New York. Questo mettilo di qua. Quest’altro sistemalo di là. Ci fece lavorare per un’oretta buona, anche se sospettavo che fosse un modo per tenermi occupato. Chiedeva sempre a me, ma - in effetti - dovevo ammettere che aveva funzionato.
Ad un certo punto, mi chiamò. “Edward, tra poco cominceranno ad arrivare gli ospiti. Vai a prepararti, devi essere pronto. Sicuramente tutti ti cercheranno, devono aspettare la sposa, mica lo sposo”. La sposa. Solo questa semplice parola mi fece attorcigliare lo stomaco. Feci un respiro profondo, baciai mia madre sulla guancia e mi riavviai nella stanza degli ospiti.
Entrato in camera, chiusi la porta e mi appoggiai ad essa. Dovevo assolutamente cercare di riacquistare la calma e respirare regolarmente. Ero troppo agitato. Guardai la camera, sul letto c’era il mio vestito - Alice me l’aveva fatto provare almeno tre volte prima di dirsi soddisfatta - un completo nero, di Armani. La camicia bianca e la cravatta stretta, nera anch’essa. La classe di Alice non si smentiva, sui vestiti era insuperabile.
Ricordavo quanto Bella avesse apprezzato il vestito che avevo messo al ballo di fine anno. Quanto tempo era passato? Sembrava una vita. E tra poco sarebbe diventata mia moglie. Sarebbe stata mia veramente. Presi a respirare con calma e regolarità. Dovevo stabilizzare le emozioni. Volevo vivermi tutto questo al cento per cento. Non volevo perdere la lucidità per troppa emozione. Non volevo perdermi un attimo. La determinazione riprese possesso di me, quindi mi avviai a passo sicuro verso la doccia.
Quando uscii dal bagno con un asciugamano avvolto sui fianchi e i capelli bagnati, mi fermai davanti allo specchio enorme che ricopriva le ante dell’altrettanto enorme armadio. Mi osservai. Avevo le sopraciglia aggrottate, forse per la troppa concentrazione. Gli occhi di un dorato tanto intenso da sembrare liquido. Le punte dei capelli castano ramati piene di gocce d’acqua. La pelle bianchissima, ma con le vene di un blu tenue, segno della caccia di poche ore prima. Il pomo d’adamo faceva fastidiosamente su e giù. E tendevo a passare troppo spesso le mani tra i capelli. Dovevo darmi una calmata. Non era agitazione o preoccupazione. Era fretta. Avevo fretta di sposarmi. Avevo fretta di guardare Bella negli occhi, e chiamarla signora Cullen. L’attesa mi stava logorando. Avevo aspettato fin troppo per i miei gusti. Lasciai la mia immagine allo specchio e dopo essermi asciugato con il telo che avevo intorno ai fianchi, m'infilai i boxer neri che erano sul letto insieme al vestito. Tornai in bagno a sistemarmi i capelli. Dovevo essere perfetto per lei. Passai e ripassai il pettine tra i capelli perfettamente lisci e spicciati. Poi, guardandomi allo specchio, negli occhi e non tra i capelli, iniziai a scuotere la testa a destra e sinistra. Non mi riconoscevo più. Non c’era bisogno di tutto questo. Lei mi amava per com’ero, non era necessario mettermi in tiro. Presi un asciugamano pronto al fianco dello specchio e lo passai vigorosamente tra i capelli. Diedi una passata rapida con l’asciugacapelli. Sistemai i capelli con le mani, con un leggerissimo strato di gel tra le dita. Come facevo ogni giorno. Diedi un’ultima occhiata al risultato e mi avviai in camera per vestirmi. Dopo essermi seduto sul letto, mi misi i calzini neri. Presi la camicia bianchissima e me la infilai, concentrandomi sui bottoni. Poi fu la volta dei pantaloni. Mentre li abbottonavo, andai davanti allo specchio e mi guardai critico. Ma mi scendevano in modo così perfetto, che nonostante stessi cercando a tutti i costi un difetto, non ne trovai. Una bussata convinta alla porta, mi convinse a lasciare lo studio approfondito della mia figura nello specchio. “Avanti” dissi, ma non riconoscevo neanche la mia voce. Era mio padre.
”Penso che avrai bisogno d'aiuto per la cravatta” mi disse semplicemente. I suoi pensieri erano impregnati da una gioia profonda. Aveva sposato tante volte i suoi altri figli, ma per me era la prima volta. Non ti preoccupare Edward. Andrà tutto bene. La cerimonia. La festa. Il viaggio di nozze. Sarai felice. Sarete felici. Ne sono certo.
 “Grazie papà”. E nonostante non fossi mai stato molto espansivo, lo abbracciai. “Grazie, grazie di tutto. Grazie per tutto quello che hai fatto per me in questi cento anni. Grazie per aver accolto Bella nella nostra famiglia. Grazie per avermi appoggiato in una cosa tanto impossibile. Grazie per aver pensato solo alla mia felicità”.
“Non hai niente di cui ringraziarmi. Sei mio figlio, per te farei qualsiasi cosa. Ricordatelo sempre. E ora basta, infilati le scarpe, così ti sistemo la cravatta”. Obbedii.
Mentre mi faceva il nodo alla cravatta e tenevo la testa leggermente alzata - per consentirgli di fare un buon lavoro – ascoltavo i suoi pensieri. Erano saldi, certi che la strada giusta per me era questa. Che sarei stato felice con Bella. Era tranquillo e sereno. La calma e la pace fatta persona. Questo mi aiutò a ritrovare il mio equilibrio, le mie certezze. Ero talmente agitato che non riuscivo più a trovare la giusta tranquillità. Lui, con la sua sola presenza mi aveva stabilizzato ed aiutato. Una volta sistemata la cravatta in modo perfetto, mi misi la giacca e la abbottonai. Mi calzava perfettamente, come un guanto. Poi mio padre mi sistemò una rosa bianca nell’occhiello della giacca. Ero ufficialmente perfetto. Feci un respiro profondo, pronto ad affrontare gli invitati in arrivo. Li sentivo già entrare e salutare.
Carlisle mi mise una mano sulla spalla. “Sei pronto?”. Era una domanda molto più profonda di quanto potesse sembrare. Mi stava chiedendo se fossi pronto per tutto, non solo per la cerimonia. Se ero pronto per sposarmi. Se ero pronto per la prima notte di nozze. E se ero pronto per passare tutta l’eternità insieme a Bella. Lo guardai dritto negli occhi e con la sicurezza di chi non ha il minimo dubbio, dissi: “Sì, sono pronto!”.
Uscimmo dalla camera e mi avviai insieme a mio padre verso la porta d’ingresso. Sentivo Renée e Phil, scendere dalla macchina, Jasper era andato a prenderli.
Prima di arrivare alla porta mi venne incontro Charlie. Era vestito di tutto punto, elegantissimo. Ma il suo disagio era palese, teneva le mani in tasca e la sua espressione era leggermente aggrottata. Mi guardò negli occhi, quasi volesse leggermi dentro. “Prenditi cura di mia figlia, intesi? Se non la farai felice, ne risponderai a me!”.
La minaccia non era del tutto implicita. “Certo Charlie. La amo più della mia stessa vita. Farò anche l’impossibile per renderla felice”.
“Mmm…”. Fu la sua enigmatica risposta. Si allontanò. Andò verso Billy che era già sistemato vicino alle sedie degli invitati. Erano già quasi tutte occupate, la maggior parte degli invitati erano pronti ad assistere al matrimonio.
L’arrivo di Renée mi distrasse, “Wowww, Edward sei stupendo!”.
“Grazie Renée, anche tu sei bellissima”.
“Non adularmi, non hai bisogno di lusingarmi, tra pochi minuti sarò tua suocera, una suocera che - tra l’altro - ti adora”. Era elettrizzata.
“Non sai quanto sia importante per me”, le dissi sincero e le posai un bacio sulla guancia. Sembrò apprezzare. Con un sorriso a sessantaquattro denti si avviò su per la scalinata, per andare da Bella.
Mio padre mi posò una mano sulla spalla. “Edward, è quasi ora. Sarà il caso che prendi posto vicino all’altare”. Lo guardai negli occhi dorati e senza il minimo accenno d'ansia, dissi sicuro: “Sì”.
Attraversammo insieme le due file di sedie fra le quali, Alice aveva steso un lungo tappeto blu e giungemmo all’arco di fiori dove ci aspettava il padre di Angela. Era pronto per ufficiare la cerimonia. Mi sistemai dove si era deciso durante le prove, mio padre al mio fianco, appena dietro di me.
Vidi Renée scendere le ultime scale e andare verso Rosalie, che era pronta al pianoforte. Era brava quasi quanto me, quindi sarebbe stata lei a suonare la marcia nuziale. Dopo aver sussurrato poche parole a Rose, Renée si avviò al suo posto in prima fila, dove l’aspettava Phil. Mi fece un sorriso. Per un attimo, catalogai che tutti i presenti guardavano me.
Ma le prime note del Canone di Pachelbel, spinsero il mio sguardo verso le scale dalle quali sarebbe scesa la mia futura sposa. Anche se sapevo, che la prima a scendere, sarebbe stata la damigella d’onore - quindi, nella fattispecie – Alice, non potei fare a meno di fissare il mio sguardo verso le scale. Sentii che tutti gli invitati si giravano sulla sedia per poter vedere la sposa.
Vidi Alice scendere le ultime scale con grazia e passo felpato, al ritmo delle note che uscivano dal pianoforte, ma non riuscivo a cogliere la sua - pur evidente - bellezza.
Dopo pochi attimi, le note cambiarono e la marcia nuziale di Wagner invase la stanza e la mia mente. Fra pochi secondi avrei visto Bella. Un’emozione fortissima invase il mio petto. Sembrava che il mio cuore battesse, per quanto la sensazione era viva e concreta. A mano a mano, che gli invitati la vedevano scendere le scale, esprimevano con lievi sussurri il loro apprezzamento. Io, dalla mia posizione arretrata, l’avrei vista per ultimo. L’impazienza era al limite. Ero tanto teso che ero bloccato, neanche respiravo. I miei occhi erano fissi sul punto in cui sapevo l’avrei vista, senza neanche battere le palpebre, per paura di vederla con un attimo di ritardo per colpa di un battito di ciglia.
Infine la vidi.
Era…era…non era possibile che questa ragazza così meravigliosa, fosse destinata a me. Era di una bellezza sconvolgente, di una grazia e una delicatezza infinite. Per un attimo mi sentii totalmente Edward Antony Masen. Che dopo essersi follemente innamorato di una giovane e dolce ragazza di nome Isabella, nel 1920, la stava sposando, vestita in un abito da sposa all’ultima moda. Mi ripresi dal flashback, che era durato un sessantesimo di secondo e ricominciai a guardare la realtà.
La mia realtà.
Bella stava scendendo gli ultimi scalini al braccio di Charlie, concentrata sui passi, con gli occhi rivolti verso il basso – sicuramente - per paura d’inciampare. Il vestito le fasciava dolcemente tutte le curve. E si allargava verso il basso, con uno strascico che mi riportava indietro nel tempo. Era di una bellezza accecante.
Appena discese l’ultimo gradino, alzò gli occhi. Mentre incontrava gli sguardi ammirati di tutti i presenti, diventava sempre più rossa in viso. Sembrava a caccia, alla ricerca, alla ricerca di me.
Poi i nostri occhi s’incontrarono, cioccolato nell’oro fuso.
E mentre vedevo il timore nei suoi occhi diventare felicità allo stato puro, un sorriso di pura gioia si aprì sul mio viso.
Al braccio di suo padre, riprese a venire verso di me, al ritmo della marcia nuziale. Ma sembrava ansiosa, con il corpo leggermente proteso verso di me, come se non vedesse l’ora di arrivare da me. Sentivo il petto talmente saturo di felicità ed emozione da sembrare quasi dolore.
Infine arrivò, le porsi la mano e Charlie - come da tradizione - mise la mano di Bella sulla mia. Il calore della sua mano si diramò per tutto il mio corpo, dandomi una scossa elettrica.
Ci girammo verso il signor Weber, ma staccare gli occhi da lei fu un dolore fisico.
La cerimonia fu breve.
Un dono di Alice a Bella. Mia sorella sapeva quanto Bella soffriva queste situazioni, quindi - per renderle questo giorno indimenticabile - aveva ridotto all’essenziale la cerimonia. Essenziale, ma profondamente commovente.
Dissi con voce ferma e limpida, guardandola negli occhi e stringendo le sue mani tra le mie, “Io Edward Antony Masen Cullen prendo te Isabella Marie Swan come mia legittima sposa e prometto di amarti sempre, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, tutti i giorni della mia vita, fino a quando entrambi vivremo”.
Lei fece altrettanto, con la voce tremante per l’emozione e le lacrime agli occhi, lacrime di gioia.
Ci scambiammo gli anelli ed ascoltammo le parole del pastore senza staccare gli occhi l’uno dall’altro.
Quando infine, ci dichiarò marito e moglie, presi delicatamente il suo viso tra le mani. Questa persona meravigliosa il cui viso tenevo tra le mani, era mia moglie.
Ora era veramente e per sempre mia.
Sentivo il petto sul punto di esplodere, una felicità mai provata mi spezzava il respiro, sentivo gli occhi strani, quasi fossero gonfi di lacrime. Avvicinai lentamente il mio viso al suo, volevo prolungare l’attimo all’infinito. Ma Bella si lanciò tra le mie braccia con tutto il bouquet e le nostre labbra s’incontrarono in un bacio lento, dolce, pieno dell’amore infinito che provavamo l’uno per l’altro. Si stringeva a me per non lasciarmi andare e finire il bacio.
Mentre ero totalmente perso in quell’emozione senza fine, una minuscola parte del mio cervello registrò le risatine degl’invitati. Quindi, anche se a malincuore, lasciai le labbra e il viso di mia moglie e feci un passo indietro.
Ci sorridemmo, una gioia infinita aleggiava su di noi. Ma lo scoppio di un applauso, proveniente dagli invitati, ci costrinse a riprendere contatto con la realtà e a girarci verso la folla di parenti ed amici che ci festeggiavano.  

 

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Capitolo 3
*** Il Ricevimento ***


Eccovi anche quest'altro capitolo del giorno più bello....rivestito a puntino ...ahahahh

Volevo ringraziare tutti quelli che finora lo hanno letto .... grazieeeeeeeeeeeeeee

Anche questo è
POV. EDWARD !!!!

buona lettura!!!!













IL  RICEVIMENTO
 

 

Tutti gli invitati vennero a congratularsi con noi, con un abbraccio, una stretta di mano. Ma la mia attenzione era tutta catalizzata sulla mia mano intrecciata a quella di Bella. Solo una parte del mio cervello si occupava dell’accoglienza dei parenti e degli amici.
Poi la condussi verso il giardino posteriore. Il sole stava calando e i raggi erano bloccati dagli alberi che circondavano la casa e brillavano sulle acque del fiume che scorreva a poca distanza. Il giardino era come lo avevo lasciato, quando avevo posato un bacio sulla guancia di mia madre. L’unica aggiunta era costituita dal buffet.
Facevo appena caso a tutto questo, mentre accompagnavo la visione che mi camminava accanto. Ero tutto preso dal fruscio del suo vestito, dalle onde provocate dalla seta che si muoveva sinuosa sul suo corpo. Dall'incedere provocante causato dai tacchi vertiginosi, con i quali l’avevo vista camminare solo al ballo di fine anno. Anche se in quella occasione, più che camminare, aveva zampettato. Dal movimento delicato dei capelli elaborati, finemente intrecciati, che elargivano il profumo della sua pelle tanto da sentirmi inebriato. Dal calore della sua mano nella mia, del suo corpo stretto al mio fianco, tanto che assorbivo calore e m’intiepidivo. Ed i suoi occhi, che correvano continuamente nei miei, pieni di felicità, dolcezza, timidezza.
Ero al settimo cielo.
Ma era giunto il momento di goderci i parenti e gli amici. Ci venne incontro Seth, affiancato dalla madre Sue e da Billy sulla sedia a rotelle. Sue non era molto tranquilla, si sentiva come cappuccetto rosso nella tana del lupo.
Seth invece era felicissimo per me. Gli ero sinceramente affezionato, era un caro ragazzo. Mi abbracciò senza il minimo accenno di disgusto o ritrosia. Il suo affetto era più che sincero ed anche il mio. Era strano pensare che fossimo un vampiro ed un licantropo. Non sentivamo rivalità o avversione, eravamo semplicemente amici, tutto qui. La sua mente era limpida come le sue parole e i suoi gesti.
Billy invece era felice. Ma non per noi, ovviamente. Avevo appena letto nella sua mente che Jake stava tornando. Billy aveva sofferto molto la fuga di Jacob, anche se l’aveva compresa e sentire che suo figlio stava tornando a casa lo aveva riempito di gioia. Tanta, da digerire il matrimonio della figlia del suo migliore amico, con il suo nemico di sempre.
Chissà se Jake avrebbe fatto una sorpresa a Bella. Io ci speravo. Ormai non lo temevo più. Lei aveva scelto me. Lei era mia moglie e volevo vederla totalmente felice. Sapevo che il tarlo di Jake non le dava pace, anche se cercava di nascondermelo. Ormai la conoscevo troppo bene, anche se non le leggevo nella mente, il suo viso era un libro aperto per me. Ringraziai sinceramente Sue e Billy per aver permesso a Seth di essere presente e di averlo accompagnato.
Dietro di loro c’erano gli amici umani di Bella. Angela e Ben, Mike e Jessica. Ci fecero gli auguri. Angela e Ben erano molto felici per noi. Erano gli unici a sentirsi veramente a loro agio con noi e la loro amicizia era chiara ed aperta.
Mike e Jessica non erano altrettanto limpidi. Mike stava apprezzando troppo la sposa per i miei gusti, ma sorvolai, non mi sembrava il caso di fare una scenata di gelosia. Anche se gli avrei detto volentieri di occuparsi della sua ragazza, invece che fantasticare su mia moglie. Jessica invece aveva un fondo di gelosia. Osservava tutto. Il vestito di Bella, il ricevimento e non poteva fare a meno di provare invidia. Non era mai stata un’amica sincera, non potevo aspettarmi che lo fosse adesso. Ma m’infastidì lo stesso.
Ricevemmo anche gli auguri dai genitori di Angela. Il pastore ci aveva appena sposato, con una cerimonia veramente toccante. Poche semplici parole, giuste, dritte al cuore. Lo ringraziammo, aveva contribuito anche lui a rendere tutto perfetto.
Sentii Bella irrigidirsi al mio fianco. La spiegazione era semplice, stavano avanzando verso di noi le sorelle di Denali insieme a Carmen ed Eleazar. Aveva sempre avuto una sorta di senso d’inferiorità verso di loro, in particolar modo verso Tanya. Da quando aveva saputo delle sue mire su di me - grazie a Rose che non aveva tenuto la bocca chiusa – quando sentiva parlare di Tanya s’imbronciava sempre. Sapevo che temeva quest’incontro. Le strinsi la mano, per farle sentire che ero vicino a lei. Che ero suo. Totalmente, completamente e per sempre suo. Mentre Tanya non rinunciava all’occasione di abbracciarmi, Bella aveva smesso di respirare. Mi sciolsi con disinvoltura dall’abbraccio con un sorriso, posando una mano sulla spalla della vampira, per creare lo spazio di sicurezza tra me e lei. Bella riprese a respirare ed io mi rilassai.
“Da quanto tempo Tanya” le dissi, “vedo che stai bene”.
“Non stai male neanche tu, Edward” rispose lei.
“Voglio presentarti mia moglie”, mentre lo dicevo per la prima volta ad alta voce, mi sentivo esplodere d’orgoglio e felicità. “Lei è Bella, la donna della mia vita”.
Tanya valutò chi avevo scelto e le diede il benvenuto nella nostra famiglia allargata. Chiedendole anche scusa per non averci aiutato quando ne avevamo avuto bisogno. Si sentivano ancora in forte imbarazzo per averci abbandonato, quando avevamo avuto bisogno di loro. L’unica ad avere ancora rancore nei nostri confronti era Irina, che non si era presentata al matrimonio. Dopo che ebbero tutti accolto Bella con una parola gentile, si allontanarono. Bella aveva risposto alla loro accoglienza, con un po’ di timore, ma anche con il sincero intento di ricucire lo strappo tra le nostre due famiglie.
Finito di parlare con tutti gli invitati - ricevendo le congratulazioni di rito - presi la mano di Bella e poggiandola sul mio braccio, la condussi fra la miriade di fiori che adornavano tutto il giardino. Eravamo talmente persi - con gli occhi perennemente fusi gli uni dentro gli altri, nella nostra bolla di felicità - che ci accorgemmo solo vagamente delle decine e decine di foto che ci scattava Alice. Quando la condussi al buffet per il taglio della torta, strabuzzò gli occhi. Ma stette al gioco, anche se quando ci imboccammo a vicenda era incredula. Vedermi divorare una fetta di torta con disinvoltura la meravigliava, anche se sapeva che ero in grado di mangiare, se era necessario.
Quando lanciò il bouquet verso Angela, rimase stupita lei stessa di essere riuscita a centrare la sua amica più cara, almeno tra gli umani. E comunque – ormai - la sua amica più cara era sua sorella, nonché coniata.
Poi fu la volta della giarrettiera. Quella era una bella prova per me, solo il pensiero mi eccitava. Emmett e Jasper ridacchiavano palesemente, mettendola a disagio. Lei, sempre più rossa in viso, alzò la gonna del vestito fino alla giarrettiera. Per mia fortuna o sfortuna - non saprei - era già scesa più giù del ginocchio. La presi delicatamente con i denti - con la mente e il corpo travolto dalla consapevolezza, che ero vicino ad una parte del suo corpo che non avevo mai sfiorato così da vicino - mi costrinsi a respirare regolarmente ed a mantenere la calma. Avevo una voglia matta di prenderla in braccio e portarmela in un luogo appartato, dove approfondire quella caccia al tesoro. Mi sforzai di rimanere con i piedi per terra, tanto non mancava molto ormai. E volevo che quel giorno fosse in ogni istante, indimenticabile.
I pensieri di Mike Newton attirarono la mia attenzione, mentre la giarrettiera passava per il piede di Bella. S’immaginava di stare al mio posto. Te lo sogni ragazzo, pensai acido. E mi tolsi la soddisfazione di sparargliela dritta in faccia, mentre facevo l’occhiolino a mia moglie.
Sentii le prime note della nostra canzone. Presi Bella per mano e con un’emozione indescrivibile, la portai sotto il baldacchino ricoperto da una marea di fiori. La strinsi tra le braccia e la condussi senza sforzo tra passi e piroette. Mi seguiva in ogni movimento senza alcuna difficoltà. Ci muovevamo in sincrono, come se fossimo una persona sola e soprattutto, lei stava ballando. Ballando con me, senza protestare. Ma con un sorriso carico di gioia, mentre si stringeva a me senza remore. Ero talmente felice che il mio petto rischiava di implodere da un momento all’altro.
“Allora signora Cullen, la festa è di tuo gradimento?”, le sussurrai vicino ad un orecchio.
“Avrò bisogno di tempo per abituarmi”, mi rispose.
“Il tempo non ci manca”, le dissi. Questa consapevolezza mi tolse il fiato e travolto da una felicità senza precedenti, mi chinai a baciarla. Un bacio lento, possessivo, pieno di dolci promesse. Sentivo solo vagamente le decine di scatti delle macchine fotografiche, che immortalavano questo momento.
Quando la musica cambiò, sentii Charlie avvicinarsi, probabilmente voleva due minuti con la figlia. Mi picchiettò sulla spalla e io gli cedetti la sposa, anche se a malincuore. Non avrei mai smesso di ballare e baciare mia moglie. Mentre si disponevano a ballare il ballo del mattone, io andai in cerca di mia madre. Era ora che lo sposo ballasse con la sua mamma. Sapevo che adorava ballare. Soprattutto se la facevo danzare come piaceva a lei, come quando era umana. Le andai vicino, “Mamma, mi concederesti questo ballo?” le chiesi con un inchino. Lei fece altrettanto, sollevando appena l’orlo del vestito. E continuando a giocare al nostro gioco, la condussi sotto il baldacchino adibito a pista da ballo, nei pressi di Bella e Charlie e la feci volteggiare come piaceva a lei. I suoi pensieri erano tutti per me. Era così felice di vedermi così pieno di gioia, che se avrebbe potuto, avrebbe pianto. Mentre la canzone finiva pensò semplicemente ciò che voleva dirmi. Ti voglio bene, tesoro mio. Sii felice. La baciai sulla guancia e con un sorriso trionfante le dissi: “Lo sarò mamma, lo sarò”. 
Purtroppo non potei reclamare la mia sposa, tutti volevano un giro di pista con la più bella del ricevimento. Ne approfittai per ballare con Alice, dovevo ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per noi. La trovai con la macchina fotografica professionale in mano. Stava immortalando la sposa, ovviamente. “Alice, lascia respirare un attimo Bella e balla con me”.
“Ma Edward, non vorrai che mi perda qualche cosa?” protestò.
“Sopravvivrò se non avrò una foto di Bella che danza con Ben. Vieni”. Mi seguì. Quando cominciammo a muovere i primi passi, iniziai a parlare. “Alice, non so come ringraziarti, per tutto quello che hai fatto”.
“Non hai niente di cui ringraziarmi Edward. Io l’ho fatto perché vi voglio bene. E sapevo che alla fine, Bella sarebbe stata felice di sposarsi come si deve. Come sapevo quanto ci tenessi tu, nonostante non gliel’avresti mai chiesto”.
“Questo lo so Alice. Ma voglio ringraziarti perché hai reso questo giorno indimenticabile. Non hai esagerato. Hai fatto in modo che fosse gradito anche a Bella. Hai evitato di metterla sotto pressione più del necessario. Sei stata fantastica”.
“Grazie fratellino, sono felice di aver fatto tutto come desideravate. Anche se Bella non sapeva cosa desiderava”, e sorrise.
A quel punto i pensieri di Mike Newton s’insinuarono nella mia mente. Aveva preso il posto di Ben e dopo poche note, stava stringendo mia moglie molto più di quanto fossi disposto ad accettare. Senza contare che i suoi pensieri erano viscidi e troppo palesi per i miei gusti. Se la situazione lo avesse permesso, lo avrei scaraventato molto volentieri contro la vetrata di casa, sperando nel rumore di qualche osso frantumato.
“A dopo sorellina”, dissi ad Alice e mi avviai a grandi passi da Bella e la sfilai abilmente dalle braccia di Mike, riservandogli uno sguardo pieno di palese significato. Si allontanò senza fiatare e leggermente pallido. Facevo ancora paura se era necessario.
“Mike non ti piace proprio, eh?” disse Bella con un accenno di divertimento nella voce.
“Visto quello che stava pensando, poteva anche andargli peggio”, dissi secco. Era scettica. “Ma ti sei vista stasera? Sei così bella da togliere il fiato”.
“Tu esageri sempre. Per te sono sempre bellissima, anche con un pigiama sbrindellato”.
Senza perdere tempo con le parole - intanto non mi avrebbe mai creduto – la voltai verso la vetrata di casa che faceva da specchio alla festa. “Tu dici che esagero?”.
Sgranò gli occhi alla vista della coppia riflessa nello specchio.
Un attimo dopo sentii i pensieri di qualcuno che non avrei mai creduto di vedere al mio matrimonio, anche se non avevo smesso di sperarlo. Mentre un sorriso si apriva sul mio viso e Bella mi guardava con un espressione interrogativa, la presi di nuovo tra le braccia ed a passo di danza, la condussi nella parte più buia del giardino. Quando mi fermai a pochi passi dal testimone assente di Bella, mi rivolsi a lui. “Ti ringrazio per essere venuto”.
“Posso disturbare?” Appena Bella si rese conto di chi era, sembrò che le sue gambe fossero sul punto di cedere. La sorressi e la accompagnai fino alle mani sicure di Jacob, mentre lo chiamava per nome, come incredula di vederlo davvero. Si abbracciarono, ma stranamente il moto di gelosia che mi stringeva lo stomaco era più sopportabile del previsto. Ero felice che Bella avesse tutti quelli a cui teneva vicino. Con la scusa di concedere un ballo a Rosalie mi allontanai, per lasciarli salutarsi in privato. Il mio regalo personale, alla donna che amavo più della mia stessa vita. Mi avviai verso la pista da ballo, ma tutti i miei sensi erano rimasti da Bella. Un fondo di paura mi serpeggiava dentro, una sensazione di tensione, come di pericolo. Cercando di trattenere l’esigenza di tornare indietro e allontanare Bella da Jacob, andai incontro a mia sorella Rose. “Rosalie, balliamo?”.
“Edward, sei teso come una corda di violino”. Sentiva anche lei la tensione che emanavo.
“Mmm…” fu la mia brillante risposta. E senza aspettare la sua conferma, la trascinai ballando verso il punto più vicino a Bella, restando sulla pista. Li ascoltavo e vagliavo tutti i pensieri di Jake. “Scusami Rose”, dissi mesto a mia sorella.
“Non ti preoccupare Edward, capisco perfettamente”.
Non ero l’unico in allerta. Emmett e Jasper si erano portati vicino al bosco, erano appoggiati con disinvoltura ad un albero secolare. E Seth si era spostato, portandosi nei pressi della casa, poco lontano dal buio che circondava mia moglie.
Fra gli alberi del bosco, sentivo in avvicinamento Sam e Quil in forma di lupo. Temevano qualche reazione inconsulta di Jake ed erano venuti per essere pronti in caso si fosse reso necessario intervenire. Senza contare che non erano così tranquilli a saperlo in mezzo ai succhiasangue. Fino ad allora erano rimasti abbastanza distanti da non essere percepiti dai miei pensieri, ma erano comunque stati in zona, preoccupati per Seth, Sue e Billy. Oltre che per gli umani presenti.
Jake teneva ammirevolmente i pensieri e le emozioni sotto controllo, cercando di regalare a Bella la presenza del suo amico più caro. Ma ad un certo punto si allarmò e la facciata di calma s’incrinò. Dalle parole di Bella, aveva capito che avremmo fatto l’amore mentre lei era ancora umana. Perse il controllo - talmente era spaventato e geloso - e strinse le mani di mia moglie tanto da poterle far male, tanto che lei chiedeva di essere lasciata. Ci misi un centesimo di secondo ad intervenire e non fui il solo.
“Lasciala andare!”, gli intimai gelido. Se avesse fatto del male a Bella lo avrei ucciso all’istante. S’intromise Seth, mentre alle spalle di Jacob erano diventati visibili sia Sam che Quil. Emmett e Jasper erano a poca distanza, pronti ad intervenire, ma ancora invisibili. Seth cercò di calmare Jake, e riuscì a fargli lasciare le mani di Bella. Jake era sconvolto. Da ciò che Bella gli aveva fatto intendere, dalla sua reazione e soprattutto dalla constatazione che avrebbe potuto farle del male. Ma più di tutto era impazzito di gelosia e terrore, al pensiero di me e Bella che facevamo l’amore. La immaginava sotto di me, mentre la stritolavo incapace di controllarmi. Era sconvolto tanto dal pensiero di me dentro di lei, che dalla possibilità concreta che io la uccidessi.  
Mentre già avevo preso Bella e l’avevo allontanata da Jake in una frazione di secondo - mettendomi poi davanti a lei per proteggerla – Sam si era posizionato tra me e Jake, e seth lo teneva fermo.
Jacob era furioso, “Io ti uccido!”.
Avevo paura per Seth, così vicino - se Jake si fosse trasformato - si sarebbe fatto molto male. Jacob era talmente furioso e terrorizzato che non riusciva a trasformarsi come avrebbe voluto, per poi attaccarmi ed uccidermi. Era furioso con me, non poteva accettare ciò che sarebbe successo tra me e Bella. Ed era terrorizzato all’idea che potesse lui stesso farle del male, trasformandosi. Tremava in modo incontrollato, lacerato dalle sue emozioni. Ma Seth riuscì a trascinarlo via, mentre Sam lo spingeva con la testa.
Mi girai verso mia moglie, “E’ tutto a posto Amore!”. Speravo di rasserenarla e tranquillizzarla. “Riprendiamo da dove abbiamo lasciato”. Bella era preoccupata per Jake, ma io cercai di tranquillizzarla dicendole che era in ottime mani. Sicuramente Sam e Quil si sarebbero presi cura di lui. E ovviamente si colpevolizzava per l’accaduto. Provai a farle capire che non era affatto colpa sua. “Bella non preoccuparti, ritorniamo alla festa prima che si noti la nostra assenza!”.
Sembrava frastornata, ma si rese conto, che in effetti nessuno si era accorto dell’accaduto. “Un attimo Edward. Il vestito?”, disse molto pratica, meravigliandomi.
“Non ha una piega, sei perfetta”. Respirò a fondo, per riprendere il controllo e la calma.
“Va bene, ritorniamo dagli invitati”. 

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Capitolo 4
*** Verso il paradiso ***


Buon Sabato Pomeriggio!!!

Allora...ho da comunicarvi un paio di cosette...

Per quanto riguarda le One Shot che scrivo...ne posterò da adesso in poi...

Una... un sabato sì e uno no !!!

Perchè mi sto dedicando alla stesura della altra mia storia ...
2012 - I Cullen...che posto tutti i lunedì e i giovedì...

Quindi sono un attimo incasinata !!!!!!!!!!

Spero che continuerete comunque a seguirmi!!!!!!!!!!!!!!

Grazie a tutti quelli che mi sono vicini e commentano ...siete grandi !!!!!!!!!!!!!

Grazie a chi mi tiene nei preferiti...seguiti e da ricordare !!!!!!!!!!!!!!!!

E un grazie speciale a chi mi ha messo tra i suoi autori preferiti...sono commossa !!!!!!!!!!!!


Eccovi il seguito DEL GIORNO PIU' BELLO !!!!!!!!!!!!!!!!













VERSO  IL  PARADISO

 
 
La condussi fino alla pista da ballo e con una giravolta riprendemmo a ballare come se non avessimo mai smesso. Sentivo la tensione nei pensieri dei miei simili, ma sembrava che si stessero tranquillizzando. Il peggio era passato e comunque, non era successo niente che potesse disturbare la festa, i pensieri degli umani erano del tutto ignari di quanto era avvenuto. Io invece ero terribilmente preoccupato per Bella, “Come stai?”.
“Bene. Sono solo arrabbiata con me stessa. Cosa diavolo mi è passato per la testa?”.
“Non devi. Non hai fatto niente”. Cercavo di calmarla, la sua voce emanava rabbia ed incredulità per ciò che aveva detto. Ma il problema vero, era che Jake aveva ragione. Il terrore che i miei fratelli avevano tentato di placare durante la notte, si riaffacciò prepotente nella mia mente e nelle mie viscere. Stavo sbagliando. Non dovevo mettere in pericolo la vita di Bella solo per mantenere la mia promessa. L’immagine nella mente di Jacob - di me sopra di lei, mentre la stritolavo incapace di controllarmi - mi ossessionava e terrorizzava. Non osavo pensare alla portata del dolore che avrei provato, se avessi fatto del male alla donna che amavo più della mia stessa vita.
“Ormai è passata. Non ci pensiamo più”, disse mia moglie guardandomi negli occhi. Non le risposi, ero troppo perso nell’immagine che dominava senza pietà la mia mente. “Edward?” mi richiamò alla realtà. Sembrava allarmata dal mio silenzio. Appoggiai la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi.
“Invece ha ragione. Cosa sto facendo?”. Dovevo essere pazzo per aver solo preso in considerazione di fare l’amore con lei, mentre era ancora umana.
“Edward, no. Lui non sa niente di noi” la voce ferma, convinta.
Ma io non lo ero neanche un po’. “Mi dovrebbero uccidere per il solo fatto di averlo preso in considerazione”, dissi in un sussurro. Ne ero più che convinto.
Mi prese il viso tra le mani calde. “Finiscila”. Quando mi decisi a guardarla negli occhi proseguì. “Noi. E la sola cosa a cui puoi pensare. Che ha importanza. Hai capito?”. Mi stava rimproverando.
La stavo rattristando, non volevo. “Va bene” le risposi in un soffio.
“Non pensare a Jake”.
“Non lo farò”, le risposi rassegnato a cedere a qualsiasi sua richiesta.
“Io non ho nessun timore, Edward”. Quanta fiducia aveva in me, ma non ero affatto certo di meritarmela. E se non ne fossi stato degno, avrebbe messo nelle mie mani la sua vita, rischiando di perderla.
“Invece io ne ho, eccome”.
“Ti prego, no. Ti amo tanto”.
Mi strappò un mezzo sorriso, quanto l’amavo. “E’ proprio per questo che siamo qui”. Sentii Emmett che stava per venire a rubarmi mia moglie. Lui e Jasper si erano alleati per ridarmi la serenità che Jake mi aveva rubato. Emmett praticamente mi sfilò dalle braccia Bella, sparando una delle sue solite battute. Mentre il mio fratellone monopolizzava l’attenzione di mia moglie, Jazz mi trascinò lontano dalla festa, in garage.
Rimasti soli, mi prese per le spalle. “Edward, non dirmi che ti stai facendo influenzare dal cane?” mi guardava dritto negli occhi. Il suo sguardo non era del tutto innocuo, mi stava rimproverando.
“Jasper, ha ragione” dissi, cedendo allo sconforto che non avevo potuto provare in presenza di Bella. “Dovresti farmi a pezzi per il solo fatto di averlo pensato. Che cavolo ho in testa! Con la mia forza le farò male. E questo se tutto va bene. Perché potrei anche ucciderla” sputai fuori quella parola, come un pugnale conficcato nel petto.
Mi strinse ancora di più le spalle e mi scosse, come per farmi riavere da uno stato catatonico. “Non dire assurdità, capito! Tu non le farai mai del male. Ma ti rendi conto del punto a cui già siete arrivati? Credi che qualsiasi altro vampiro ne sarebbe capace? Credi che il modo in cui la sfiori, la baci, l’abbracci, è una cosa normale? Tu sei speciale! E come non le hai mai fatto del male finora, non gliene farai neanche ora che farai l’amore con lei. Ormai controlli la tua forza come fosse un riflesso condizionato. Come se dovessi respirare. Fidati di ciò che dico. Non le farai del male. Anzi, per voi sarà la cosa più meravigliosa che possiate mai immaginare”.
I suoi occhi perforavano i miei, nel chiaro intento di ficcarmi bene in testa le parole che mi aveva appena detto. “Jazz, sono terrorizzato” ammisi sconsolato.
“Smettila capito!” mi urlò. “Stai avendo paura per nulla. Ti stai facendo condizionare da cose che non esistono. Vuoi finalmente renderti conto delle tue capacità e di averne fiducia?”.
“Ti sembra facile” gli dissi quasi ironico.
“Ma pensi davvero che se Bella dubitasse minimamente di rischiare la vita, farebbe l’amore con te? Pensi che rischierebbe di perdere tutto quello per cui ha lottato? La reputi una stupida?”.
Il modo in cui mi pose la cosa, mi spiazzò. “Certo che no”.
“E allora? Se proprio non riesci ad avere fiducia in te stesso, abbine in tua moglie”, mi stava sgridando senza ritegno. Ma vista in questi termini, aveva ragione. Ed aveva ragione anche sul fatto che non dovevo farmi condizionare da chi non sapeva niente di me e Bella. Del nostro mondo, del nostro modo di amarci. Dovevo smetterla di essere pessimista ed aprirmi alla fiducia e alla gioia di amarla, in tutti i sensi.
“Va bene Jasper, mi sono ripreso. Hai ragione. Hai ragione su tutto. Grazie per avermi rimesso in riga. Come farei senza di te”. Mi scrutò per qualche secondo. Stava vagliando le mie emozioni, per accertarsi che avevo capito davvero. E che fossi nuovamente felice ed ottimista. Non avrei potuto nascondergli niente neanche volendo. Sembrò soddisfatto del risultato ottenuto con la ramanzina.
“Okay Edward. E non farti riprendere ancora, intesi?” disse a metà tra scherzo e minaccia. Con una pacca sulla spalla tornammo alla festa. Andai dritto dalla mia bellissima consorte. La sfilai dalle braccia di non so chi, ero troppo preso da lei per notare il suo cavaliere di turno. Mi accolse con un sorriso, posando il viso sul mio petto. Sentii un’emozione forte, un senso d'appartenenza indelebile. In testa mi riecheggiavano le parole chiave Per sempre, la strinsi un po’ più forte.
“Non è così male in fin dei conti”, mi disse meravigliata.
“Finalmente ti sei convinta!”, le dissi felice. Ero riuscito a farle superare i suoi timori sul ballo. Era una grande vittoria per me.
“Diciamo che ballare con te ha i suoi vantaggi” e mi strinse più forte. “Ma pensavo soprattutto al fatto che da adesso in poi non ci lasceremo più, staremo sempre insieme”.
“Per sempre. Per tutta l’eternità”. Un'emozione quasi violenta esplose nel mio petto e di slancio la baciai con tutto l’amore e la passione di cui ero capace, senza farle male. Considerando che stavamo in pubblico, naturalmente.
La mia sorellina arrivò inevitabilmente a separarci. Cercai di ignorarla perdendomi ancora di più nel bacio, ma alla fine dovetti cedere per forza. Aveva minacciato di dire a Bella dove l’avrei portata e questo non potevo permetterlo. A volte era veramente insopportabile, la perdonavo solo perché il matrimonio e la festa erano stati magici.
Mentre mia moglie veniva trascinata via, mi si avvicinarono mio padre e mia madre. I loro pensieri sprizzavano gioia e felicità da tutti i pori. Le parole erano superflue. Mi abbracciarono forte forte. Sentii un nodo in gola, tanto intenso era l’amore che provavo per i miei genitori. Mio padre prima di lasciarmi pensò: andrà tutto bene Edward. Vivi il tuo amore per Bella senza remore. Te lo meriti tutto.
“Grazie. Vi voglio bene”. E' tutto quello che riuscii a dire, stretto nella morsa dell’emozione. Dopo alcuni secondi in cui mi godetti l’amore dei miei genitori, li lasciai per andare ad aspettare Bella ai piedi dello scalone. Tutti gli invitati mi seguirono in una processione verso i saluti finali. Ma riuscivo a tenere l’attenzione solo sulle voci al piano di sopra. Stava salutando sua madre, doveva essere un momento molto difficile per lei. Sapeva che non l’avrebbe più rivista.
Quando scese le scale verso di me, la visione di lei in un completo blu scuro e i capelli pieni di boccoli sciolti sulle spalle, mi spezzò il respiro. Era di una bellezza eterea, la sua carnagione risaltava in contrasto con il colore del vestito. Il colore che le preferivo vedere addosso. Le offrii la mano, per confortarla e dirle tacitamente che da adesso in poi ci sarei stato sempre, ogni secondo, per l’eternità.
“Mio padre?” mi chiese sottovoce. Era il momento di badare ai sentimenti più veri e profondi. E quali, se non quelli per sua madre e suo padre. Nessuno era più importante per lei, a parte me ovviamente. Visto che li stava lasciando per sempre, per stare con me per l’eternità.
Permisi per un attimo a tutte le voci mentali di invadere la mia mente, per poter trovare quella di Charlie. “Seguimi” e la condussi fino a suo padre, attraversando la folla di ospiti pronti a salutarci. Arrivati da Charlie li lasciai salutarsi senza interferire e cercando di essere il più trasparente possibile. Volevo lasciargli un minimo di privacy, anche se eravamo circondati. Il loro saluto mi emozionò profondamente. In poche parole significative - dette anche con imbarazzo - c’era tutto il loro reciproco amore. Una valanga di forti sentimenti racchiusa in pochi monosillabi - probabilmente mai detti - ma sempre provati.
Dopo che Charlie l’ebbe spinta ad andare via, riattraversammo gli invitati, mentre la tenevo stretta al mio fianco. “Andiamo?” le chiesi. In quella sola parola c’erano una marea d'altre domande, ma lei capì. I suoi occhi risposero ad ogni richiesta inespressa.
“Certo!” mi disse senza l’ombra di un tentennamento. Mentre la baciavo appassionatamente sull’uscio di casa, tutti gli ospiti applaudirono. E correndo verso l’auto una pioggia di riso ci investì. Provai per quanto possibile a proteggerla da quell’assalto ed infine salimmo in macchina. Mentre avviavo il motore e prendevo la via del sentiero, Bella salutava i suoi affetti più importanti urlando il suo amore per loro.
Le strinsi la mano, “Sei la mia vita” le dissi.
Si accoccolò a me “E tu la mia”.
Mentre procedevo fra le curve che portavano all’imboccatura dell’autostrada, sentii i pensieri di Jacob. Era nelle vicinanze e sapeva che l’avrei sentito con la mente. Edward, ti supplico, non farlo. Ti scongiuro non farle del male. E mentre il suo ululato straziante, pieno di dolore si perdeva nell’aria della sera, io rimasi impassibile. Sia per Bella che per me stesso. Non gli avrei permesso di influenzarmi ancora. Lui non sapeva niente, niente di noi. E come mi aveva detto Jasper, se proprio non riuscivo ad avere fiducia in me stesso, ne avrei avuta in mia moglie.
Il viaggio fino a Rio de Janeiro fu molto ma molto piacevole. Niente a che vedere con la prima volta che avevamo viaggiato in aereo. Anche se ritrovarci era stato un miracolo ed ogni carezza, una scossa verso la vita che sentivamo entrambi di aver perso.
Confrontare i due viaggi fu inevitabile.
Quando stavamo tornando dall’Italia lei si era rifiutata di dormire, per paura che io fuggissi via alla prima occasione ed il silenzio era carico di tutte le cose non dette e non chiarite. Densa di timori miei e suoi.
Adesso era tutto diverso. Nonostante la dovessi trascinare da un terminal all’altro semi-addormentata, cullarla tra le braccia in aereo, mentre si abbandonava al sonno, era meraviglioso. E seppure il silenzio era presente, lo era perché lei si abbandonava completamente a me, lasciandosi scivolare docilmente in un sonno ristoratore. Non c’erano cose non dette e non chiarite. Non c’erano timori. Tutto era chiaro e limpido, ogni azione ed ogni emozione. Ero felice.
Furono ore serene, lei tra le mie braccia verso il paradiso, la mia mente invasa dai ricordi del giorno appena trascorso. Non c’era altro che desideravo dalla vita, mi sentivo l’essere più fortunato del pianeta. E mentre accarezzavo lieve il suo viso, i suoi capelli, non c’era traccia di angoscia e timore in me. Il solo fatto che lei aveva lasciato nelle mie mani la sua vita, doveva farmi credere ciecamente nella mia capacità di proteggerla da qualsiasi cosa, anche dalla mia forza.
Mentre attraversavamo Rio diretti verso il porto, il suo cuore batteva all’impazzata. Credo che sentisse l’emozione crescerle dentro, esattamente come stava succedendo a me. La meta era vicina. Il paradiso era a poche miglia. Ed il momento in cui avremmo fatto l’amore, si avvicinava inesorabilmente. Sentivo il desiderio crescermi dentro come un'onda d’alta marea. Sentivo la voglia di lei sempre più forte e palpabile, pronta a scatenarsi in tutta la sua potenza. Sentivo l’esplosione dell’amore che provavo per lei sul punto di espandersi all’infinito nel mio petto.
C’era solo una corsa in barca a separarci dal paradiso. Il paradiso terrestre ed il paradiso dei sensi e dello spirito. Adoravo andare in barca. La velocità m’inebriava. E perdermi in questo piacere mi stava rilassando, concedendomi di rimanere lucido di fronte a ciò che sarebbe accaduto a breve.
Finalmente l’isola diventò visibile e la indicai a Bella, che era rimasta aggrappata al sedile per tutto il tempo. Ci mise un po’, ma alla fine mi chiese dov’eravamo. E mentre accostavo con la barca vicino al porticciolo di legno, le spiegai che era l’isola Esme, un regalo di mio padre a mia madre. Il loro paradiso privato, che si apprestava a diventare anche il nostro. Eravamo arrivati. Eravamo alle porte del paradiso. In tutti i sensi. Un'onda calda mi attraversava e non solo perché l’aria era calda e ricca di mille profumi. Sentivo la voglia di lei invadermi ogni terminazione nervosa.
Presi le valige e le posai sul molo, poi tornai da lei e la presi tra le braccia.
“Ma la sposa non si porta in braccio oltre la soglia di casa?” mi chiese emozionata.
“Sono meticoloso, mi conosci”. E mentre la tenevo stretta a me con un braccio, con l’altra mano presi le valigie. Mi avviai per il sentiero che portava al nostro nido. Il suo cuore batteva all’impazzata ad ogni passo più forte e veloce.
Cercai d’incatenare il mio sguardo al suo, ma non mi guardava in viso. La sua agitazione era palpabile e la mia saliva a passo con il ritmo del suo cuore. A minuti l’avrei baciata, accarezzata, avrei sforato il suo corpo ovunque, l’avrei posseduta. Il solo pensiero mi faceva salire alle stelle l’eccitazione. Ed anche il timore, nonostante stessi cercando in tutti i modi di tenerlo a bada e non farmi influenzare. Posai le valigie sotto il portico e aprii la porta. Aspettai che mi guardasse negli occhi prima di passare la soglia e l’accompagnai per tutta la casa, in silenzio, fino ad arrivare alla camera da letto. La nostra camera.
Si guardò intorno, la feci scendere dalle mie braccia e mi allontanai per andare a prendere il bagaglio. Il pomo d’adamo mi andava su e giù senza che riuscissi a controllarlo. L’ansia si stava impossessando di me e non volevo. Dovevo trovare il modo di rendere tutto perfetto. Ci avevo lavorato tantissimo durante l’organizzazione del viaggio di nozze. Ma ora che dipendeva dai miei gesti e dalle mie parole, avevo paura di sbagliare. Tornai da lei alla velocità della luce. Quando entrai in camera, stava sfiorando lieve il letto a baldacchino che dominava la stanza. Il sudore le aveva imperlato il collo, non resistetti alla tentazione di portarglielo via con un dito. “Forse è troppo caldo, ma pensavo che sarebbe stato meglio…”. Mi sentivo in difficoltà con le parole.
“Sei sempre il solito esagerato”, mi rispose.
Mi scappò una risatina inquieta. “Mi sono impegnato per far sì che fosse tutto il più semplice possibile…”. Ora arrivava la parte più difficile e più meravigliosa. E dovevo assolutamente trovare le parole giuste per portare a termine la missione. Avevo pensato e ripensato al modo migliore per lei di starmi così vicino senza sentire freddo. E l’oceano mi era sembrata la soluzione migliore, oltre che ad essere romantica e sicuramente molto molto piacevole. Lasciai scorrere le parole che sentivo dentro. “Ti andrebbe un bagno notturno insieme a me? L’acqua qui è caldissima, penso che ti piacerebbe molto”.
“Certo che mi piacerebbe” rispose all’istante, anche se la sua voce era densa di tensione.
Ero sicuro che avesse bisogno di un attimo per riprendersi. Sia dal viaggio che dall’ansia. Dovevo concederle tutto il tempo di cui aveva bisogno e la possibilità di tirarsi indietro, se non se la sentiva di andare oltre. Io ero pronto ad esaudire ogni suo desiderio, anche e soprattutto quello di tirarsi indietro. Doveva potermi fermare in qualsiasi momento.
“Ti concedo un po’ di tempo da umana, probabilmente ne senti la necessità” le baciai il collo, non doveva dimenticare quanto la desiderassi e quel semplice gesto le diede un brivido.
Sorrisi, non si sarebbe tirata indietro e nemmeno io.
“Non farmi aspettare troppo…Isabella Cullen” e seguii il profilo della sua spalla con le labbra. Le volevo lasciare un promemoria per i minuti che saremmo stati separati, mentre le concedevo un po’ di tempo da sola. “Quando vuoi…raggiungimi in acqua” le dissi.
La scelta doveva sempre essere sua.


VERSO  IL  PARADISO
 
 
La condussi fino alla pista da ballo e con una giravolta riprendemmo a ballare come se non avessimo mai smesso. Sentivo la tensione nei pensieri dei miei simili, ma sembrava che si stessero tranquillizzando. Il peggio era passato e comunque, non era successo niente che potesse disturbare la festa, i pensieri degli umani erano del tutto ignari di quanto era avvenuto. Io invece ero terribilmente preoccupato per Bella, “Come stai?”.
“Bene. Sono solo arrabbiata con me stessa. Cosa diavolo mi è passato per la testa?”.
“Non devi. Non hai fatto niente”. Cercavo di calmarla, la sua voce emanava rabbia ed incredulità per ciò che aveva detto. Ma il problema vero, era che Jake aveva ragione. Il terrore che i miei fratelli avevano tentato di placare durante la notte, si riaffacciò prepotente nella mia mente e nelle mie viscere. Stavo sbagliando. Non dovevo mettere in pericolo la vita di Bella solo per mantenere la mia promessa. L’immagine nella mente di Jacob - di me sopra di lei, mentre la stritolavo incapace di controllarmi - mi ossessionava e terrorizzava. Non osavo pensare alla portata del dolore che avrei provato, se avessi fatto del male alla donna che amavo più della mia stessa vita.
“Ormai è passata. Non ci pensiamo più”, disse mia moglie guardandomi negli occhi. Non le risposi, ero troppo perso nell’immagine che dominava senza pietà la mia mente. “Edward?” mi richiamò alla realtà. Sembrava allarmata dal mio silenzio. Appoggiai la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi.
“Invece ha ragione. Cosa sto facendo?”. Dovevo essere pazzo per aver solo preso in considerazione di fare l’amore con lei, mentre era ancora umana.
“Edward, no. Lui non sa niente di noi” la voce ferma, convinta.
Ma io non lo ero neanche un po’. “Mi dovrebbero uccidere per il solo fatto di averlo preso in considerazione”, dissi in un sussurro. Ne ero più che convinto.
Mi prese il viso tra le mani calde. “Finiscila”. Quando mi decisi a guardarla negli occhi proseguì. “Noi. E la sola cosa a cui puoi pensare. Che ha importanza. Hai capito?”. Mi stava rimproverando.
La stavo rattristando, non volevo. “Va bene” le risposi in un soffio.
“Non pensare a Jake”.
“Non lo farò”, le risposi rassegnato a cedere a qualsiasi sua richiesta.
“Io non ho nessun timore, Edward”. Quanta fiducia aveva in me, ma non ero affatto certo di meritarmela. E se non ne fossi stato degno, avrebbe messo nelle mie mani la sua vita, rischiando di perderla.
“Invece io ne ho, eccome”.
“Ti prego, no. Ti amo tanto”.
Mi strappò un mezzo sorriso, quanto l’amavo. “E’ proprio per questo che siamo qui”. Sentii Emmett che stava per venire a rubarmi mia moglie. Lui e Jasper si erano alleati per ridarmi la serenità che Jake mi aveva rubato. Emmett praticamente mi sfilò dalle braccia Bella, sparando una delle sue solite battute. Mentre il mio fratellone monopolizzava l’attenzione di mia moglie, Jazz mi trascinò lontano dalla festa, in garage.
Rimasti soli, mi prese per le spalle. “Edward, non dirmi che ti stai facendo influenzare dal cane?” mi guardava dritto negli occhi. Il suo sguardo non era del tutto innocuo, mi stava rimproverando.
“Jasper, ha ragione” dissi, cedendo allo sconforto che non avevo potuto provare in presenza di Bella. “Dovresti farmi a pezzi per il solo fatto di averlo pensato. Che cavolo ho in testa! Con la mia forza le farò male. E questo se tutto va bene. Perché potrei anche ucciderla” sputai fuori quella parola, come un pugnale conficcato nel petto.
Mi strinse ancora di più le spalle e mi scosse, come per farmi riavere da uno stato catatonico. “Non dire assurdità, capito! Tu non le farai mai del male. Ma ti rendi conto del punto a cui già siete arrivati? Credi che qualsiasi altro vampiro ne sarebbe capace? Credi che il modo in cui la sfiori, la baci, l’abbracci, è una cosa normale? Tu sei speciale! E come non le hai mai fatto del male finora, non gliene farai neanche ora che farai l’amore con lei. Ormai controlli la tua forza come fosse un riflesso condizionato. Come se dovessi respirare. Fidati di ciò che dico. Non le farai del male. Anzi, per voi sarà la cosa più meravigliosa che possiate mai immaginare”.
I suoi occhi perforavano i miei, nel chiaro intento di ficcarmi bene in testa le parole che mi aveva appena detto. “Jazz, sono terrorizzato” ammisi sconsolato.
“Smettila capito!” mi urlò. “Stai avendo paura per nulla. Ti stai facendo condizionare da cose che non esistono. Vuoi finalmente renderti conto delle tue capacità e di averne fiducia?”.
“Ti sembra facile” gli dissi quasi ironico.
“Ma pensi davvero che se Bella dubitasse minimamente di rischiare la vita, farebbe l’amore con te? Pensi che rischierebbe di perdere tutto quello per cui ha lottato? La reputi una stupida?”.
Il modo in cui mi pose la cosa, mi spiazzò. “Certo che no”.
“E allora? Se proprio non riesci ad avere fiducia in te stesso, abbine in tua moglie”, mi stava sgridando senza ritegno. Ma vista in questi termini, aveva ragione. Ed aveva ragione anche sul fatto che non dovevo farmi condizionare da chi non sapeva niente di me e Bella. Del nostro mondo, del nostro modo di amarci. Dovevo smetterla di essere pessimista ed aprirmi alla fiducia e alla gioia di amarla, in tutti i sensi.
“Va bene Jasper, mi sono ripreso. Hai ragione. Hai ragione su tutto. Grazie per avermi rimesso in riga. Come farei senza di te”. Mi scrutò per qualche secondo. Stava vagliando le mie emozioni, per accertarsi che avevo capito davvero. E che fossi nuovamente felice ed ottimista. Non avrei potuto nascondergli niente neanche volendo. Sembrò soddisfatto del risultato ottenuto con la ramanzina.
“Okay Edward. E non farti riprendere ancora, intesi?” disse a metà tra scherzo e minaccia. Con una pacca sulla spalla tornammo alla festa. Andai dritto dalla mia bellissima consorte. La sfilai dalle braccia di non so chi, ero troppo preso da lei per notare il suo cavaliere di turno. Mi accolse con un sorriso, posando il viso sul mio petto. Sentii un’emozione forte, un senso d'appartenenza indelebile. In testa mi riecheggiavano le parole chiave Per sempre, la strinsi un po’ più forte.
“Non è così male in fin dei conti”, mi disse meravigliata.
“Finalmente ti sei convinta!”, le dissi felice. Ero riuscito a farle superare i suoi timori sul ballo. Era una grande vittoria per me.
“Diciamo che ballare con te ha i suoi vantaggi” e mi strinse più forte. “Ma pensavo soprattutto al fatto che da adesso in poi non ci lasceremo più, staremo sempre insieme”.
“Per sempre. Per tutta l’eternità”. Un'emozione quasi violenta esplose nel mio petto e di slancio la baciai con tutto l’amore e la passione di cui ero capace, senza farle male. Considerando che stavamo in pubblico, naturalmente.
La mia sorellina arrivò inevitabilmente a separarci. Cercai di ignorarla perdendomi ancora di più nel bacio, ma alla fine dovetti cedere per forza. Aveva minacciato di dire a Bella dove l’avrei portata e questo non potevo permetterlo. A volte era veramente insopportabile, la perdonavo solo perché il matrimonio e la festa erano stati magici.
Mentre mia moglie veniva trascinata via, mi si avvicinarono mio padre e mia madre. I loro pensieri sprizzavano gioia e felicità da tutti i pori. Le parole erano superflue. Mi abbracciarono forte forte. Sentii un nodo in gola, tanto intenso era l’amore che provavo per i miei genitori. Mio padre prima di lasciarmi pensò: andrà tutto bene Edward. Vivi il tuo amore per Bella senza remore. Te lo meriti tutto.
“Grazie. Vi voglio bene”. E' tutto quello che riuscii a dire, stretto nella morsa dell’emozione. Dopo alcuni secondi in cui mi godetti l’amore dei miei genitori, li lasciai per andare ad aspettare Bella ai piedi dello scalone. Tutti gli invitati mi seguirono in una processione verso i saluti finali. Ma riuscivo a tenere l’attenzione solo sulle voci al piano di sopra. Stava salutando sua madre, doveva essere un momento molto difficile per lei. Sapeva che non l’avrebbe più rivista.
Quando scese le scale verso di me, la visione di lei in un completo blu scuro e i capelli pieni di boccoli sciolti sulle spalle, mi spezzò il respiro. Era di una bellezza eterea, la sua carnagione risaltava in contrasto con il colore del vestito. Il colore che le preferivo vedere addosso. Le offrii la mano, per confortarla e dirle tacitamente che da adesso in poi ci sarei stato sempre, ogni secondo, per l’eternità.
“Mio padre?” mi chiese sottovoce. Era il momento di badare ai sentimenti più veri e profondi. E quali, se non quelli per sua madre e suo padre. Nessuno era più importante per lei, a parte me ovviamente. Visto che li stava lasciando per sempre, per stare con me per l’eternità.
Permisi per un attimo a tutte le voci mentali di invadere la mia mente, per poter trovare quella di Charlie. “Seguimi” e la condussi fino a suo padre, attraversando la folla di ospiti pronti a salutarci. Arrivati da Charlie li lasciai salutarsi senza interferire e cercando di essere il più trasparente possibile. Volevo lasciargli un minimo di privacy, anche se eravamo circondati. Il loro saluto mi emozionò profondamente. In poche parole significative - dette anche con imbarazzo - c’era tutto il loro reciproco amore. Una valanga di forti sentimenti racchiusa in pochi monosillabi - probabilmente mai detti - ma sempre provati.
Dopo che Charlie l’ebbe spinta ad andare via, riattraversammo gli invitati, mentre la tenevo stretta al mio fianco. “Andiamo?” le chiesi. In quella sola parola c’erano una marea d'altre domande, ma lei capì. I suoi occhi risposero ad ogni richiesta inespressa.
“Certo!” mi disse senza l’ombra di un tentennamento. Mentre la baciavo appassionatamente sull’uscio di casa, tutti gli ospiti applaudirono. E correndo verso l’auto una pioggia di riso ci investì. Provai per quanto possibile a proteggerla da quell’assalto ed infine salimmo in macchina. Mentre avviavo il motore e prendevo la via del sentiero, Bella salutava i suoi affetti più importanti urlando il suo amore per loro.
Le strinsi la mano, “Sei la mia vita” le dissi.
Si accoccolò a me “E tu la mia”.
Mentre procedevo fra le curve che portavano all’imboccatura dell’autostrada, sentii i pensieri di Jacob. Era nelle vicinanze e sapeva che l’avrei sentito con la mente. Edward, ti supplico, non farlo. Ti scongiuro non farle del male. E mentre il suo ululato straziante, pieno di dolore si perdeva nell’aria della sera, io rimasi impassibile. Sia per Bella che per me stesso. Non gli avrei permesso di influenzarmi ancora. Lui non sapeva niente, niente di noi. E come mi aveva detto Jasper, se proprio non riuscivo ad avere fiducia in me stesso, ne avrei avuta in mia moglie.
Il viaggio fino a Rio de Janeiro fu molto ma molto piacevole. Niente a che vedere con la prima volta che avevamo viaggiato in aereo. Anche se ritrovarci era stato un miracolo ed ogni carezza, una scossa verso la vita che sentivamo entrambi di aver perso.
Confrontare i due viaggi fu inevitabile.
Quando stavamo tornando dall’Italia lei si era rifiutata di dormire, per paura che io fuggissi via alla prima occasione ed il silenzio era carico di tutte le cose non dette e non chiarite. Densa di timori miei e suoi.
Adesso era tutto diverso. Nonostante la dovessi trascinare da un terminal all’altro semi-addormentata, cullarla tra le braccia in aereo, mentre si abbandonava al sonno, era meraviglioso. E seppure il silenzio era presente, lo era perché lei si abbandonava completamente a me, lasciandosi scivolare docilmente in un sonno ristoratore. Non c’erano cose non dette e non chiarite. Non c’erano timori. Tutto era chiaro e limpido, ogni azione ed ogni emozione. Ero felice.
Furono ore serene, lei tra le mie braccia verso il paradiso, la mia mente invasa dai ricordi del giorno appena trascorso. Non c’era altro che desideravo dalla vita, mi sentivo l’essere più fortunato del pianeta. E mentre accarezzavo lieve il suo viso, i suoi capelli, non c’era traccia di angoscia e timore in me. Il solo fatto che lei aveva lasciato nelle mie mani la sua vita, doveva farmi credere ciecamente nella mia capacità di proteggerla da qualsiasi cosa, anche dalla mia forza.
Mentre attraversavamo Rio diretti verso il porto, il suo cuore batteva all’impazzata. Credo che sentisse l’emozione crescerle dentro, esattamente come stava succedendo a me. La meta era vicina. Il paradiso era a poche miglia. Ed il momento in cui avremmo fatto l’amore, si avvicinava inesorabilmente. Sentivo il desiderio crescermi dentro come un'onda d’alta marea. Sentivo la voglia di lei sempre più forte e palpabile, pronta a scatenarsi in tutta la sua potenza. Sentivo l’esplosione dell’amore che provavo per lei sul punto di espandersi all’infinito nel mio petto.
C’era solo una corsa in barca a separarci dal paradiso. Il paradiso terrestre ed il paradiso dei sensi e dello spirito. Adoravo andare in barca. La velocità m’inebriava. E perdermi in questo piacere mi stava rilassando, concedendomi di rimanere lucido di fronte a ciò che sarebbe accaduto a breve.
Finalmente l’isola diventò visibile e la indicai a Bella, che era rimasta aggrappata al sedile per tutto il tempo. Ci mise un po’, ma alla fine mi chiese dov’eravamo. E mentre accostavo con la barca vicino al porticciolo di legno, le spiegai che era l’isola Esme, un regalo di mio padre a mia madre. Il loro paradiso privato, che si apprestava a diventare anche il nostro. Eravamo arrivati. Eravamo alle porte del paradiso. In tutti i sensi. Un'onda calda mi attraversava e non solo perché l’aria era calda e ricca di mille profumi. Sentivo la voglia di lei invadermi ogni terminazione nervosa.
Presi le valige e le posai sul molo, poi tornai da lei e la presi tra le braccia.
“Ma la sposa non si porta in braccio oltre la soglia di casa?” mi chiese emozionata.
“Sono meticoloso, mi conosci”. E mentre la tenevo stretta a me con un braccio, con l’altra mano presi le valigie. Mi avviai per il sentiero che portava al nostro nido. Il suo cuore batteva all’impazzata ad ogni passo più forte e veloce.
Cercai d’incatenare il mio sguardo al suo, ma non mi guardava in viso. La sua agitazione era palpabile e la mia saliva a passo con il ritmo del suo cuore. A minuti l’avrei baciata, accarezzata, avrei sforato il suo corpo ovunque, l’avrei posseduta. Il solo pensiero mi faceva salire alle stelle l’eccitazione. Ed anche il timore, nonostante stessi cercando in tutti i modi di tenerlo a bada e non farmi influenzare. Posai le valigie sotto il portico e aprii la porta. Aspettai che mi guardasse negli occhi prima di passare la soglia e l’accompagnai per tutta la casa, in silenzio, fino ad arrivare alla camera da letto. La nostra camera.
Si guardò intorno, la feci scendere dalle mie braccia e mi allontanai per andare a prendere il bagaglio. Il pomo d’adamo mi andava su e giù senza che riuscissi a controllarlo. L’ansia si stava impossessando di me e non volevo. Dovevo trovare il modo di rendere tutto perfetto. Ci avevo lavorato tantissimo durante l’organizzazione del viaggio di nozze. Ma ora che dipendeva dai miei gesti e dalle mie parole, avevo paura di sbagliare. Tornai da lei alla velocità della luce. Quando entrai in camera, stava sfiorando lieve il letto a baldacchino che dominava la stanza. Il sudore le aveva imperlato il collo, non resistetti alla tentazione di portarglielo via con un dito. “Forse è troppo caldo, ma pensavo che sarebbe stato meglio…”. Mi sentivo in difficoltà con le parole.
“Sei sempre il solito esagerato”, mi rispose.
Mi scappò una risatina inquieta. “Mi sono impegnato per far sì che fosse tutto il più semplice possibile…”. Ora arrivava la parte più difficile e più meravigliosa. E dovevo assolutamente trovare le parole giuste per portare a termine la missione. Avevo pensato e ripensato al modo migliore per lei di starmi così vicino senza sentire freddo. E l’oceano mi era sembrata la soluzione migliore, oltre che ad essere romantica e sicuramente molto molto piacevole. Lasciai scorrere le parole che sentivo dentro. “Ti andrebbe un bagno notturno insieme a me? L’acqua qui è caldissima, penso che ti piacerebbe molto”.
“Certo che mi piacerebbe” rispose all’istante, anche se la sua voce era densa di tensione.
Ero sicuro che avesse bisogno di un attimo per riprendersi. Sia dal viaggio che dall’ansia. Dovevo concederle tutto il tempo di cui aveva bisogno e la possibilità di tirarsi indietro, se non se la sentiva di andare oltre. Io ero pronto ad esaudire ogni suo desiderio, anche e soprattutto quello di tirarsi indietro. Doveva potermi fermare in qualsiasi momento.
“Ti concedo un po’ di tempo da umana, probabilmente ne senti la necessità” le baciai il collo, non doveva dimenticare quanto la desiderassi e quel semplice gesto le diede un brivido.
Sorrisi, non si sarebbe tirata indietro e nemmeno io.
“Non farmi aspettare troppo…Isabella Cullen” e seguii il profilo della sua spalla con le labbra. Le volevo lasciare un promemoria per i minuti che saremmo stati separati, mentre le concedevo un po’ di tempo da sola. “Quando vuoi…raggiungimi in acqua” le dissi.
La scelta doveva sempre essere sua. 
 VERSO  IL  PARADISO
 
 
La condussi fino alla pista da ballo e con una giravolta riprendemmo a ballare come se non avessimo mai smesso. Sentivo la tensione nei pensieri dei miei simili, ma sembrava che si stessero tranquillizzando. Il peggio era passato e comunque, non era successo niente che potesse disturbare la festa, i pensieri degli umani erano del tutto ignari di quanto era avvenuto. Io invece ero terribilmente preoccupato per Bella, “Come stai?”.
“Bene. Sono solo arrabbiata con me stessa. Cosa diavolo mi è passato per la testa?”.
“Non devi. Non hai fatto niente”. Cercavo di calmarla, la sua voce emanava rabbia ed incredulità per ciò che aveva detto. Ma il problema vero, era che Jake aveva ragione. Il terrore che i miei fratelli avevano tentato di placare durante la notte, si riaffacciò prepotente nella mia mente e nelle mie viscere. Stavo sbagliando. Non dovevo mettere in pericolo la vita di Bella solo per mantenere la mia promessa. L’immagine nella mente di Jacob - di me sopra di lei, mentre la stritolavo incapace di controllarmi - mi ossessionava e terrorizzava. Non osavo pensare alla portata del dolore che avrei provato, se avessi fatto del male alla donna che amavo più della mia stessa vita.
“Ormai è passata. Non ci pensiamo più”, disse mia moglie guardandomi negli occhi. Non le risposi, ero troppo perso nell’immagine che dominava senza pietà la mia mente. “Edward?” mi richiamò alla realtà. Sembrava allarmata dal mio silenzio. Appoggiai la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi.
“Invece ha ragione. Cosa sto facendo?”. Dovevo essere pazzo per aver solo preso in considerazione di fare l’amore con lei, mentre era ancora umana.
“Edward, no. Lui non sa niente di noi” la voce ferma, convinta.
Ma io non lo ero neanche un po’. “Mi dovrebbero uccidere per il solo fatto di averlo preso in considerazione”, dissi in un sussurro. Ne ero più che convinto.
Mi prese il viso tra le mani calde. “Finiscila”. Quando mi decisi a guardarla negli occhi proseguì. “Noi. E la sola cosa a cui puoi pensare. Che ha importanza. Hai capito?”. Mi stava rimproverando.
La stavo rattristando, non volevo. “Va bene” le risposi in un soffio.
“Non pensare a Jake”.
“Non lo farò”, le risposi rassegnato a cedere a qualsiasi sua richiesta.
“Io non ho nessun timore, Edward”. Quanta fiducia aveva in me, ma non ero affatto certo di meritarmela. E se non ne fossi stato degno, avrebbe messo nelle mie mani la sua vita, rischiando di perderla.
“Invece io ne ho, eccome”.
“Ti prego, no. Ti amo tanto”.
Mi strappò un mezzo sorriso, quanto l’amavo. “E’ proprio per questo che siamo qui”. Sentii Emmett che stava per venire a rubarmi mia moglie. Lui e Jasper si erano alleati per ridarmi la serenità che Jake mi aveva rubato. Emmett praticamente mi sfilò dalle braccia Bella, sparando una delle sue solite battute. Mentre il mio fratellone monopolizzava l’attenzione di mia moglie, Jazz mi trascinò lontano dalla festa, in garage.
Rimasti soli, mi prese per le spalle. “Edward, non dirmi che ti stai facendo influenzare dal cane?” mi guardava dritto negli occhi. Il suo sguardo non era del tutto innocuo, mi stava rimproverando.
“Jasper, ha ragione” dissi, cedendo allo sconforto che non avevo potuto provare in presenza di Bella. “Dovresti farmi a pezzi per il solo fatto di averlo pensato. Che cavolo ho in testa! Con la mia forza le farò male. E questo se tutto va bene. Perché potrei anche ucciderla” sputai fuori quella parola, come un pugnale conficcato nel petto.
Mi strinse ancora di più le spalle e mi scosse, come per farmi riavere da uno stato catatonico. “Non dire assurdità, capito! Tu non le farai mai del male. Ma ti rendi conto del punto a cui già siete arrivati? Credi che qualsiasi altro vampiro ne sarebbe capace? Credi che il modo in cui la sfiori, la baci, l’abbracci, è una cosa normale? Tu sei speciale! E come non le hai mai fatto del male finora, non gliene farai neanche ora che farai l’amore con lei. Ormai controlli la tua forza come fosse un riflesso condizionato. Come se dovessi respirare. Fidati di ciò che dico. Non le farai del male. Anzi, per voi sarà la cosa più meravigliosa che possiate mai immaginare”.
I suoi occhi perforavano i miei, nel chiaro intento di ficcarmi bene in testa le parole che mi aveva appena detto. “Jazz, sono terrorizzato” ammisi sconsolato.
“Smettila capito!” mi urlò. “Stai avendo paura per nulla. Ti stai facendo condizionare da cose che non esistono. Vuoi finalmente renderti conto delle tue capacità e di averne fiducia?”.
“Ti sembra facile” gli dissi quasi ironico.
“Ma pensi davvero che se Bella dubitasse minimamente di rischiare la vita, farebbe l’amore con te? Pensi che rischierebbe di perdere tutto quello per cui ha lottato? La reputi una stupida?”.
Il modo in cui mi pose la cosa, mi spiazzò. “Certo che no”.
“E allora? Se proprio non riesci ad avere fiducia in te stesso, abbine in tua moglie”, mi stava sgridando senza ritegno. Ma vista in questi termini, aveva ragione. Ed aveva ragione anche sul fatto che non dovevo farmi condizionare da chi non sapeva niente di me e Bella. Del nostro mondo, del nostro modo di amarci. Dovevo smetterla di essere pessimista ed aprirmi alla fiducia e alla gioia di amarla, in tutti i sensi.
“Va bene Jasper, mi sono ripreso. Hai ragione. Hai ragione su tutto. Grazie per avermi rimesso in riga. Come farei senza di te”. Mi scrutò per qualche secondo. Stava vagliando le mie emozioni, per accertarsi che avevo capito davvero. E che fossi nuovamente felice ed ottimista. Non avrei potuto nascondergli niente neanche volendo. Sembrò soddisfatto del risultato ottenuto con la ramanzina.
“Okay Edward. E non farti riprendere ancora, intesi?” disse a metà tra scherzo e minaccia. Con una pacca sulla spalla tornammo alla festa. Andai dritto dalla mia bellissima consorte. La sfilai dalle braccia di non so chi, ero troppo preso da lei per notare il suo cavaliere di turno. Mi accolse con un sorriso, posando il viso sul mio petto. Sentii un’emozione forte, un senso d'appartenenza indelebile. In testa mi riecheggiavano le parole chiave Per sempre, la strinsi un po’ più forte.
“Non è così male in fin dei conti”, mi disse meravigliata.
“Finalmente ti sei convinta!”, le dissi felice. Ero riuscito a farle superare i suoi timori sul ballo. Era una grande vittoria per me.
“Diciamo che ballare con te ha i suoi vantaggi” e mi strinse più forte. “Ma pensavo soprattutto al fatto che da adesso in poi non ci lasceremo più, staremo sempre insieme”.
“Per sempre. Per tutta l’eternità”. Un'emozione quasi violenta esplose nel mio petto e di slancio la baciai con tutto l’amore e la passione di cui ero capace, senza farle male. Considerando che stavamo in pubblico, naturalmente.
La mia sorellina arrivò inevitabilmente a separarci. Cercai di ignorarla perdendomi ancora di più nel bacio, ma alla fine dovetti cedere per forza. Aveva minacciato di dire a Bella dove l’avrei portata e questo non potevo permetterlo. A volte era veramente insopportabile, la perdonavo solo perché il matrimonio e la festa erano stati magici.
Mentre mia moglie veniva trascinata via, mi si avvicinarono mio padre e mia madre. I loro pensieri sprizzavano gioia e felicità da tutti i pori. Le parole erano superflue. Mi abbracciarono forte forte. Sentii un nodo in gola, tanto intenso era l’amore che provavo per i miei genitori. Mio padre prima di lasciarmi pensò: andrà tutto bene Edward. Vivi il tuo amore per Bella senza remore. Te lo meriti tutto.
“Grazie. Vi voglio bene”. E' tutto quello che riuscii a dire, stretto nella morsa dell’emozione. Dopo alcuni secondi in cui mi godetti l’amore dei miei genitori, li lasciai per andare ad aspettare Bella ai piedi dello scalone. Tutti gli invitati mi seguirono in una processione verso i saluti finali. Ma riuscivo a tenere l’attenzione solo sulle voci al piano di sopra. Stava salutando sua madre, doveva essere un momento molto difficile per lei. Sapeva che non l’avrebbe più rivista.
Quando scese le scale verso di me, la visione di lei in un completo blu scuro e i capelli pieni di boccoli sciolti sulle spalle, mi spezzò il respiro. Era di una bellezza eterea, la sua carnagione risaltava in contrasto con il colore del vestito. Il colore che le preferivo vedere addosso. Le offrii la mano, per confortarla e dirle tacitamente che da adesso in poi ci sarei stato sempre, ogni secondo, per l’eternità.
“Mio padre?” mi chiese sottovoce. Era il momento di badare ai sentimenti più veri e profondi. E quali, se non quelli per sua madre e suo padre. Nessuno era più importante per lei, a parte me ovviamente. Visto che li stava lasciando per sempre, per stare con me per l’eternità.
Permisi per un attimo a tutte le voci mentali di invadere la mia mente, per poter trovare quella di Charlie. “Seguimi” e la condussi fino a suo padre, attraversando la folla di ospiti pronti a salutarci. Arrivati da Charlie li lasciai salutarsi senza interferire e cercando di essere il più trasparente possibile. Volevo lasciargli un minimo di privacy, anche se eravamo circondati. Il loro saluto mi emozionò profondamente. In poche parole significative - dette anche con imbarazzo - c’era tutto il loro reciproco amore. Una valanga di forti sentimenti racchiusa in pochi monosillabi - probabilmente mai detti - ma sempre provati.
Dopo che Charlie l’ebbe spinta ad andare via, riattraversammo gli invitati, mentre la tenevo stretta al mio fianco. “Andiamo?” le chiesi. In quella sola parola c’erano una marea d'altre domande, ma lei capì. I suoi occhi risposero ad ogni richiesta inespressa.
“Certo!” mi disse senza l’ombra di un tentennamento. Mentre la baciavo appassionatamente sull’uscio di casa, tutti gli ospiti applaudirono. E correndo verso l’auto una pioggia di riso ci investì. Provai per quanto possibile a proteggerla da quell’assalto ed infine salimmo in macchina. Mentre avviavo il motore e prendevo la via del sentiero, Bella salutava i suoi affetti più importanti urlando il suo amore per loro.
Le strinsi la mano, “Sei la mia vita” le dissi.
Si accoccolò a me “E tu la mia”.
Mentre procedevo fra le curve che portavano all’imboccatura dell’autostrada, sentii i pensieri di Jacob. Era nelle vicinanze e sapeva che l’avrei sentito con la mente. Edward, ti supplico, non farlo. Ti scongiuro non farle del male. E mentre il suo ululato straziante, pieno di dolore si perdeva nell’aria della sera, io rimasi impassibile. Sia per Bella che per me stesso. Non gli avrei permesso di influenzarmi ancora. Lui non sapeva niente, niente di noi. E come mi aveva detto Jasper, se proprio non riuscivo ad avere fiducia in me stesso, ne avrei avuta in mia moglie.
Il viaggio fino a Rio de Janeiro fu molto ma molto piacevole. Niente a che vedere con la prima volta che avevamo viaggiato in aereo. Anche se ritrovarci era stato un miracolo ed ogni carezza, una scossa verso la vita che sentivamo entrambi di aver perso.
Confrontare i due viaggi fu inevitabile.
Quando stavamo tornando dall’Italia lei si era rifiutata di dormire, per paura che io fuggissi via alla prima occasione ed il silenzio era carico di tutte le cose non dette e non chiarite. Densa di timori miei e suoi.
Adesso era tutto diverso. Nonostante la dovessi trascinare da un terminal all’altro semi-addormentata, cullarla tra le braccia in aereo, mentre si abbandonava al sonno, era meraviglioso. E seppure il silenzio era presente, lo era perché lei si abbandonava completamente a me, lasciandosi scivolare docilmente in un sonno ristoratore. Non c’erano cose non dette e non chiarite. Non c’erano timori. Tutto era chiaro e limpido, ogni azione ed ogni emozione. Ero felice.
Furono ore serene, lei tra le mie braccia verso il paradiso, la mia mente invasa dai ricordi del giorno appena trascorso. Non c’era altro che desideravo dalla vita, mi sentivo l’essere più fortunato del pianeta. E mentre accarezzavo lieve il suo viso, i suoi capelli, non c’era traccia di angoscia e timore in me. Il solo fatto che lei aveva lasciato nelle mie mani la sua vita, doveva farmi credere ciecamente nella mia capacità di proteggerla da qualsiasi cosa, anche dalla mia forza.
Mentre attraversavamo Rio diretti verso il porto, il suo cuore batteva all’impazzata. Credo che sentisse l’emozione crescerle dentro, esattamente come stava succedendo a me. La meta era vicina. Il paradiso era a poche miglia. Ed il momento in cui avremmo fatto l’amore, si avvicinava inesorabilmente. Sentivo il desiderio crescermi dentro come un'onda d’alta marea. Sentivo la voglia di lei sempre più forte e palpabile, pronta a scatenarsi in tutta la sua potenza. Sentivo l’esplosione dell’amore che provavo per lei sul punto di espandersi all’infinito nel mio petto.
C’era solo una corsa in barca a separarci dal paradiso. Il paradiso terrestre ed il paradiso dei sensi e dello spirito. Adoravo andare in barca. La velocità m’inebriava. E perdermi in questo piacere mi stava rilassando, concedendomi di rimanere lucido di fronte a ciò che sarebbe accaduto a breve.
Finalmente l’isola diventò visibile e la indicai a Bella, che era rimasta aggrappata al sedile per tutto il tempo. Ci mise un po’, ma alla fine mi chiese dov’eravamo. E mentre accostavo con la barca vicino al porticciolo di legno, le spiegai che era l’isola Esme, un regalo di mio padre a mia madre. Il loro paradiso privato, che si apprestava a diventare anche il nostro. Eravamo arrivati. Eravamo alle porte del paradiso. In tutti i sensi. Un'onda calda mi attraversava e non solo perché l’aria era calda e ricca di mille profumi. Sentivo la voglia di lei invadermi ogni terminazione nervosa.
Presi le valige e le posai sul molo, poi tornai da lei e la presi tra le braccia.
“Ma la sposa non si porta in braccio oltre la soglia di casa?” mi chiese emozionata.
“Sono meticoloso, mi conosci”. E mentre la tenevo stretta a me con un braccio, con l’altra mano presi le valigie. Mi avviai per il sentiero che portava al nostro nido. Il suo cuore batteva all’impazzata ad ogni passo più forte e veloce.
Cercai d’incatenare il mio sguardo al suo, ma non mi guardava in viso. La sua agitazione era palpabile e la mia saliva a passo con il ritmo del suo cuore. A minuti l’avrei baciata, accarezzata, avrei sforato il suo corpo ovunque, l’avrei posseduta. Il solo pensiero mi faceva salire alle stelle l’eccitazione. Ed anche il timore, nonostante stessi cercando in tutti i modi di tenerlo a bada e non farmi influenzare. Posai le valigie sotto il portico e aprii la porta. Aspettai che mi guardasse negli occhi prima di passare la soglia e l’accompagnai per tutta la casa, in silenzio, fino ad arrivare alla camera da letto. La nostra camera.
Si guardò intorno, la feci scendere dalle mie braccia e mi allontanai per andare a prendere il bagaglio. Il pomo d’adamo mi andava su e giù senza che riuscissi a controllarlo. L’ansia si stava impossessando di me e non volevo. Dovevo trovare il modo di rendere tutto perfetto. Ci avevo lavorato tantissimo durante l’organizzazione del viaggio di nozze. Ma ora che dipendeva dai miei gesti e dalle mie parole, avevo paura di sbagliare. Tornai da lei alla velocità della luce. Quando entrai in camera, stava sfiorando lieve il letto a baldacchino che dominava la stanza. Il sudore le aveva imperlato il collo, non resistetti alla tentazione di portarglielo via con un dito. “Forse è troppo caldo, ma pensavo che sarebbe stato meglio…”. Mi sentivo in difficoltà con le parole.
“Sei sempre il solito esagerato”, mi rispose.
Mi scappò una risatina inquieta. “Mi sono impegnato per far sì che fosse tutto il più semplice possibile…”. Ora arrivava la parte più difficile e più meravigliosa. E dovevo assolutamente trovare le parole giuste per portare a termine la missione. Avevo pensato e ripensato al modo migliore per lei di starmi così vicino senza sentire freddo. E l’oceano mi era sembrata la soluzione migliore, oltre che ad essere romantica e sicuramente molto molto piacevole. Lasciai scorrere le parole che sentivo dentro. “Ti andrebbe un bagno notturno insieme a me? L’acqua qui è caldissima, penso che ti piacerebbe molto”.
“Certo che mi piacerebbe” rispose all’istante, anche se la sua voce era densa di tensione.
Ero sicuro che avesse bisogno di un attimo per riprendersi. Sia dal viaggio che dall’ansia. Dovevo concederle tutto il tempo di cui aveva bisogno e la possibilità di tirarsi indietro, se non se la sentiva di andare oltre. Io ero pronto ad esaudire ogni suo desiderio, anche e soprattutto quello di tirarsi indietro. Doveva potermi fermare in qualsiasi momento.
“Ti concedo un po’ di tempo da umana, probabilmente ne senti la necessità” le baciai il collo, non doveva dimenticare quanto la desiderassi e quel semplice gesto le diede un brivido.
Sorrisi, non si sarebbe tirata indietro e nemmeno io.
“Non farmi aspettare troppo…Isabella Cullen” e seguii il profilo della sua spalla con le labbra. Le volevo lasciare un promemoria per i minuti che saremmo stati separati, mentre le concedevo un po’ di tempo da sola. “Quando vuoi…raggiungimi in acqua” le dissi.
La scelta doveva sempre essere sua. 

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Capitolo 5
*** Calore ***




Volevo avvisarvi...

Che dopo il capitolo ...VERSO IL PARADISO...c'è il capitolo ...CALORE...

Che ho già scritto un pò di tempo fa ...com Shot a sé stante....

Rilegendola ora...legata AL GIORNO PIU' BELLO...ha qualche incongruenza...

e ripete concetti che non avrei messo se fosse stata scritta di seguito a VERSO IL PARADISO...

perchè ovviamente...scrivendola da sola...ho contestualizzato la situazione...

ma se siete tolleranti...penso che vada comunque bene !!!!!!!!!!!!!!!


vi metto il link...per andarci direttamente da qui...senza che andate a caccia fra le mie Shot....



http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=692589&i=1 


Spero che vi piaccia è fra le mie Shot preferite !!!!!!!!!!!!!!!

Con questo capitolo si conclude il GIORNO PIU' BELLO !!!!!!!!!!!!!!!

Grazie mille di avermi seguita in questa cavalcata attraverso il giorno del matrimonio di Edward e Bella !!!!!!!!!!!!!!

Siete stati carinissimi !!!!!!!!!!!!!!

Tra due sabati vi posterò una situazione diversa della saga !!!!!!!!!!!!!

Un abbraccioooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!

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