Until The End [Vecchia] di __Aivlis (/viewuser.php?uid=116211)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Nuovi Inizi ***
Capitolo 3: *** Proiettili ***
Capitolo 4: *** Marchio a fuoco ***
Capitolo 5: *** 4 - Continua a sorridere ***
Capitolo 6: *** 5 - A mezz'aria ***
Capitolo 7: *** 6 - Equilibri Instabili ***
Capitolo 8: *** 7 - Rimorsi ***
Capitolo 9: *** 8 - La forza del mondo ***
Capitolo 10: *** 9 - Tradimenti ***
Capitolo 11: *** 10 - Il silenzio non esiste ***
Capitolo 12: *** 11 - Wishing the clock would stand still, the world can wait. ***
Capitolo 13: *** 12 - We're all so weak, no matter how strong ***
Capitolo 14: *** 13 - With my back against the wall ***
Capitolo 15: *** 14 - Danger Line ***
Capitolo 16: *** 15 - He was a shooting star... ***
Capitolo 17: *** 16 - Prova a ricominciare ***
Capitolo 18: *** 17 - Still Alright ***
Capitolo 19: *** Epilogo - Memorie di spettri ***
Capitolo 1 *** Presentazione ***
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Capitolo 2 *** Nuovi Inizi ***
©
Amor vincit omnia.
Disclaimer.
Questa
fan-fiction è in gran parte frutto della mia fantasia. Lo
scheletro
di partenza si basa su fatti realmente accaduti o gossip di rete, e
ruota attorno a personaggi già esistenti, quali i membri
della band,
Joel Madden per questo capitolo ed eventuali affiliati. Non
è
scritta a scopo di lucro e non vuole dare un'idea, neanche vaga, sul
reale profilo dei personaggi succitati, realmente esistenti.
Pertanto, tutto ciò che è di mia invenzione,
personaggi quali Eloyn
e Chelsea, Annalyse, o comunque sia tutto ciò che non ruota
realmente attorno agli Avenged Sevenfold, proviene appunto
dal mio cervello e dalla mia fantasia.
Non vi venisse in mente di riprodurla interamente e/o in parte, o di
spacciarla per vostra perché non vi conviene.
14
settembre 2009, Huntington Beach
Eloyn
cammina da sola per le strade di Huntinghton Beach, la città
dove è
appena arrivata. E' una ragazza non troppo alta e dai lunghi capelli
corvini; la pelle color neve contrasta con l'ambiente soleggiato
tipico della California e gli occhi sono verde smeraldo -
bellissimi - di quelli che ti smascherano, di quelli che
sorprendono, - trasparenti - puoi leggerci dentro una
vita
intera; i lineamenti del viso sono leggeri, giusto accennati, ma ogni
linea si lega perfettamente alla successiva; la corporatura
è magra
ed esile, le gambe lunghe e slanciate, sembra che basti un soffio di
vento a farla cadere in pezzi, questo viene smentito dalla camminata
decisa di chi sa cosa vuole e come ottenerlo. Il suo abbigliamento
è
semplice: pantaloncini corti di jeans scuro, una felpa nera e scarpe
da ginnastica, adatto al il clima fresco delle serate californiane,
quando c'è ancora il sole ma tira una fresca brezza che fa
venire i
brividi.
E' arrivata in questa città da poco meno di due ore, ha
già prefissato il suo obbiettivo e lo sta raggiungendo.
La
sua vita è stata costellata da obbiettivi da raggiungere,
ogni volta
diversi. I suoi genitori le hanno sempre insegnato a porsi dei
paletti prima di fare qualsiasi cosa, a prefissarsi un percorso e ad
andare avanti seguendolo alla lettera. Questo vale anche per le
piccole cose, come, per esempio, trovare la via di casa della sua
amica Chelsea.
Chelsea è sempre stata la sua migliore amica
sin dai tempi dell'asilo e da quando se ne era andata da Washington,
la loro città, un mese prima, la sua vita era cambiata
troppo
radicalmente.
Trasferirsi ad Huntington Beach era sempre stato il
loro sogno di bambine; volevano incontrare la loro band preferita,
gli Avenged Sevenfold, e ci sarebbero riuscite a tutti i
costi.
Quando sei bambina ti innamori dei tuoi idoli, è
normale; sogni tutti i giorni di vivere storie assurde con uno di
loro, anche se sai che sono sogni che non potranno mai avverarsi. La
differenza è che il loro sogno era durato anche dopo il
diploma,
questo faceva pensare che, forse, non era un sogno così
irraggiungibile. Gli Avenged Sevenfold e le loro canzoni erano sempre
stati, per loro, altri dei loro pochi punti fissi nella vita, le
avevano salvate innumerevoli volte e la voglia di conoscerli era
aumentata di giorno in giorno.
D'improvviso Chelsea aveva deciso
di farlo; era partita, aveva lasciato tutto ed era andata a vivere ad
Huntinghton. Il fine primario era quello di cercare una vita diversa.
Chelsea non era mai stata una ragazza abitudinaria e, dopo 20 anni di
monotonia, costretta nella sua stessa città, aveva deciso di
reagire. Era arrivata a un punto di non ritorno e perfino uscire di
casa per fare la spesa gli costava una fatica immane. Così
era
partita senza dare troppe spiegazioni, decidendo che chi doveva
capire lo avrebbe fatto senza troppi giri di parole. Era ovvio che
avrebbe scelto Huntinghton come meta, avrebbe approfittato del
trasferimento per andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, e magari
avrebbe anche avuto l'occasione di incontrare i suoi idoli.
Eloyn
non l'aveva seguita, non ne aveva avuto il coraggio. Delle due era
sempre stata la più debole in qualsiasi cosa e anche in quel
caso
non si era smentita, non era partita. Solo che quando qualcuno a te
caro ti lascia senti il il bisogno di riaverlo con te ancora una
volta, allora ne aveva approfittato: si era posta un nuovo obbiettivo
e l'aveva raggiunto. Aveva preso il primo volo per la California e
ora era su quel marciapiede alla ricerca di una via a lei
sconosciuta. Dopo tre o quattro chilometri di camminata decise che
era il caso di chiamare Chelsie e farsi dire per l'ennesima volta la
strada per ritrovare la casa.
Prese il telefono dalla tasca e
compose il numero che ormai sapeva a memoria.
« Chelsie, non
riattaccare, sono ancora io »
Probabilmente
la sua amica doveva averne avuto abbastanza di tutte quelle chiamate
e così, ciò che disse, lo disse tutto d'un fiato,
prima che Chelsie
interrompesse la chiamata.
« Dio, Eloyn, sei un disastro! Dove
sei? » fu la risposta sarcastica.
« Ehm.. non lo so di preciso,
in una grande piazza con una palma enorme al centro »
« Potevi
dirlo prima!! Sono a due isolati da li, ok? Allora, dietro alla palma
dovrebbe esserci un negozio di dolciumi, no? »
« Si, lo vedo. »
« Bene, sulla destra c'è una stradina buia molto
stretta,
segui quella. Dovrebbe portarti in una via principale, proprio sul
lungomare, costeggiata da molte villette a schiera. La mia è
la
prima sulla tua sinistra. »
« Ok, ci provo. Se mi perdo ti
richiamo.. »
« No! Non ci provare! Se ti perdi rimani fuori
tutta la notte! »
« Ah ah, ok ok. »
Eloyn rimaneva sempre
sorpresa dalla spontaneità di quella ragazza, era sempre
pronta a
scherzare su tutto anche se, infondo, non era difficile pensare che
avrebbe potuto veramente lasciarla a dormire fuori tutta la
notte.
Trovandosi davanti al negozio di dolciumi, Eloyn, con la
sua passione per tutto ciò che contenga zucchero, ne
approfittò per
fare la scorta di caramelle gommose che piacevano tanto anche alla
sua amica; le avrebbe fatto una bella sorpresa. Uscì al
negozio
soddisfatta dei suoi 17 dollari di spesa totale e si diresse nello
stretto vicolo che le era stato indicato.
Era una stradina
buia e chiusa, tra una casa e l'altra, davvero un ottima location per
un film horror, che sfociava, però, in quella che avrebbe
potuto
catalogare sicuramente tra le strade più belle e luminose
che aveva
avuto l'opportunità di vedere in quella città.
Una strada
principale divideva il mare e la spiaggia dalla serie di villette a
schiera che le erano state descritte, in perfetto stie Orange County:
quello era sicuramente il suo sogno che diventava
realtà.
La
prima casa a sinistra era una delle più belle e lussuose, si
poteva
benissimo vedere la piscina nel giardino sul retro e un piccolo
giardinetto davanti. Quella sarebbe stata la sua abitazione per il
resto della sua vita? Lo sperava con tutta se stessa.
Era di
proprietà dei genitori di Chelsea ma era intestata alla
figlia;
Eloyn era al corrente della ricchezza della famiglia di Chelsea, non
che lei fosse da meno, ma non pensava che potesse arrivare a
tanto.
Improvvisamente la stanchezza della lunga camminata si fece
sentire, così Eloyn si catapultò al campanello
vogliosa di mettere
giù tutto e farsi un lungo, rilassante e infinito bagno
caldo.
La
ragazza dovette arrivare ad attaccarsi con il dito al piccolo
pulsante di bronzo perché qualcuno aprisse la porta. Non
appena vide
il viso di Chelsea con uno dei suoi sorrisi più grandi,
Eloyn non
poté non saltargli al collo in una abbraccio; le era mancata
da
morire e il pensiero che avrebbero vissuto insieme per il resto dei
loro giorni la faceva urlare di gioia.
« Eloyn! Ce l'hai fatta,
finalmente!! » un urlo invase l'atrio di casa.
« Si, pazza! Cosa
credevi? E ti ho portato anche una sorpresa.. » fece per
mettere una
mano in borsa per cercare il pacco gigante di caramelle per la sua
amica quando si accorse della musica che proveniva dai piani
superiori: Afterlife degli Avenged Sevenfold.
«
Allora ti tratti proprio bene! Ma con la musica così alta i
vicini
non protestano? »
Tirò
fuori il pacco e vide gli occhi di Chelsea illuminarsi come quelli di
una bambina. Dovette agitargli una mano davanti al viso per avere la
sua attenzione.
« Eh? Ah, si! No, sai com'è, con i muri
insonorizzati.. »
« No, aspetta! Questo significa musica a tutto
volume per il resto dei nostri giorni senza che qualche vecchia
megera bussi alla porta minacciandoci di chiamare i carabinieri?
»
Questo non sembrava reale. Nella sua vecchia città abitavano
in un quartiere di anziani e, ad ogni movimenti sbagliato o rumore
molesto, ne usciva fuori uno minacciando la denuncia o
chissà
cos'altro.
« Ehi, siamo nel regno della gioventù, non
esistono
vecchi rompipalle nella West Coast! Qui anche i vecchietti hanno
l'animo dei ventenni! »
Eloyn rise dell'umorismo della ragazza e
si addentrò ancora di più nell'atrio.
Alla sua sinistra,
un'enorme scala di marmo formava un semicerchio e portava ad un
soppalco che conduceva, probabilmente alle stanze superiori, mentre,
davanti a sé, l'atrio era ampio e si estendeva in lungo fino
ad
arrivare ad un più piccolo ma comunque immenso corridoio che
conduceva alle altre stanze. Rimase incantata ad osservare la
bellezza dell'arredamento e la cura dei particolari; era tutto
arredato in stile classicheggiante, il colore predominante era il
crema che veniva abbinato ad un legno scuro che rifiniva le scale, i
battiscopa e gli infissi. Sembrava davvero di essere in una serie
televisiva californiana: era molto meglio di ciò che si
aspettava.
Nonostante
Eloyn fosse rimasta incantata dalla bellezza di quel posto,
sentì il
bisogno impellente di farsi una doccia, così non
esitò a chiedere a
gran voce di poter esaudire i suoi desideri all'amica. Chelsea
mostrò
subito la camera ad Eloyn che fu felice di vedere che le due
avrebbero dormito nella stessa stanza. La casa era talmente grande
che disponeva anche di altre stanze dette "degli ospiti",
dotate di letto matrimoniale, che sarebbero servite, a detta di
Chelsea, "in caso di emergenza".
« Lo sai bene che se
non ci porto Zacky Vengeance non ci porto nessun altro in queste
stanze! » disse Eloyn all'amica che già la
guardava con aria
arresa: era al corrente della sua cotta per Zacky, ma a volte
diventava davvero logorroica, riusciva ad infilarlo dappertutto.
«
Tu e i tuoi obbiettivi! Con questa tenacia mi farai credere che li
incontreremo davvero! »
« Perché tu non ci credi? Siamo ad
Huntington Beach, è una città molto piccola e ci
sono anche loro,
quindi.. »
« Mah.. in un mese che sono qui non li ho mai visti,
sarà che sono uscita si e no due o tre volte... »
Chelsea, a
differenza dell'amica, non credeva poi così tanto che li
avrebbero
incontrati. Non che non ci sperasse, anzi, solo si rifiutava di
crederlo possibile, semplicemente per non rimanere delusa. Eloyn a
quella risposta la guardò con sguardo ovvio, con la promessa
che da
quel momento in poi sarebbero uscite quantomeno tutte le
sere.
Avrebbero dovuto trovarsi un lavoro entrambe, Chelsea doveva
assolutamente smetterla di vivere a sbaffo con i soldi dei suoi
perché prima o poi sarebbero finiti, o
meglio li avrebbe
finiti e questo Eloyn lo sapeva molto bene.
Il soggiorno di Eloyn,
la doccia, la dormita successiva e tutto il resto si svolsero
tranquillamente sotto le note del Self Titled Album degli Avenged
Sevenfold con sua somma gratitudine nei confronti di Chelsea. La sera
stessa Eloyn avrebbe scollato Chelsea da quella casa e l'avrebbe
portata fuori, nel locale più metal che conoscevano, nella
speranza
di incontrare i propri miti e soprattutto di passare una meravigliosa
serata.
Si prepararono entrambe al meglio che potevano. Chelsie
indossò un tubino molto sexy sui toni dell'azzurro, del
colore dei
suoi occhi, che si intonava molto bene anche con l'incarnato chiaro e
i capelli rossastri, che lasciò sciolti a formare delle
ampie onde a
circondarle il viso.
Eloyn optò per qualcosa che mettesse in
risalto il suo fisico, così decise di indossare una gonna in
jeans
veramente molto corta con un top dalla scollatura vertiginosa sulla
schiena, i capelli raccolti in un non-troppo-elegante chignon con
qualche ciocca di capelli che le incorniciava il viso.
Appena
furono pronte si avviarono verso la porta ed Eloyn fu felice di
sentire che non sarebbero andate a piedi. « Ho la macchina,
che
pensi! »
E
che
macchina! Eloyn non si intendeva molto bene di quattro ruote, ma
sapeva bene che quando si trattava di macchine basse, nere, lucide e
con un motore che era piacevole da ascoltare, doveva trattarsi
sicuramente una macchina molto costosa.
« Allora, dove si va? »
«
Pensavo di andare al Blurb, c'è più
probabilità di incontrarli, in
più il barista del sabato sera è una bomba sexy e
i suoi drink sono
divini. »
« Mi fido! Se poi c'è pure il barista sexy.. come
dire di no? »
Il
locale era un classico pub in stile country arredato con panche e
tavoli di legno rovinato; anche il bancone era dello stesso materiale
e le luci soffuse creavano un'atmosfera da film Western che cozzava
con la musica puramente Metalcore che passavano alla radio. La stanza
principale era di media grandezza, nella parete in fondo c'era un
grande bancone dove sostava il famoso barista sexy. Sullo sfondo
c'erano delle scaffalatura colme di bicchieri da birra e bottiglie di
superalcolici di ogni genere, sul lato destro della stanza dei tavoli
già gremiti di gente erano accostati alla parete, mentre
sulla
sinistra c'erano due archi che collegavano la stanza principale ad
altre due: una era la sala del biliardo, l'altra una semplice stanza
più appartata arredata con altrettanti tavoli. Non era
precisamente
il locale dei loro sogni ma a quanto pareva era il meglio che
avessero trovato.
Appena entrate, le due ragazze si appostarono al
bancone, pronte a fare indigestione di alcol. Era il classico locale
adatto per bere birra; in un posto del genere si era sicuri di
trovare qualsiasi genere o marca ma nonostante questo le due optarono
per i superalcolici,pensando che, dopotutto, l'ambiente già
cozzava
da sé, allora tanto valeva completare l'opera.
In Eloyn si era
già insediato uno strano sentore, un inizio di ansia
crescente, come
se ci fosse qualcuno o qualcosa dietro l'angolo pronto a spaventarla.
Riduceva i movimenti al minimo, per paura che qualsiasi gesto brusco
avrebbe interrotto quel meccanismo per il quale erano in quel locale,
in una Huntighton Beach tanto agognata e in cerca dei loro idoli di
sempre. Era un situazione assolutamente irreale, se ne rendeva conto.
Si sentiva come se fosse prigioniera in una bolla di sapone, sarebbe
bastato un soffio per farla scoppiare; la differenza, però,
è che
dentro a quella bolla lei ci stava da dio e la sua volontà
non
avrebbe mai permesso a nessuno di rompere quell'incantesimo che
l'aveva avvolta da quando aveva messo piede in quella città,
la
città dei suoi sogni da bambina.
Iniziarono con i primi
shot: vodka alla menta, rum e pera e ancora vodka. Le risate
cominciavano ad aumentare, così come anche il volume delle
loro voci
e il livello di alcol in circolo nei loro corpi. L'aria iniziava a
scaldarsi, ed erano passati solo quindici minuti, durante i quali le
due erano rimaste incollate al bancone con gli occhi puntati verso la
miriade di bottiglie di alcolici. Rimanere con lo sguardo rivolto al
muro era un comportamento poco giustificabile, dato che si trovavano
in un pub, ma il solo pensiero di potersi voltare e trovarsi davanti
i loro miti o chissà quale altra star suscitava in loro un
certo
sconforto. Al quarto shot Eloyn, che stava per afferrare il
bicchierino, iniziò a fissare con aria basita un punto
impreciso
dietro all'amica.
« Ehi Eloyn, che ti prende?
»
Chelsea fece per girarsi e
guardarsi alle spalle « Oh, cazzo! - Si era accorta anche
lei,
adesso: dietro di lei sostava Joel Madden, cantante dei Good
Charlotte, altra band a loro molto cara. Il ragazzo era davvero molto
vicino a Chelsea, o almeno quanto bastava per sentire chiaramente
l'esclamazione della rossa. Quando si girò per controllare
chi
avesse imprecato in maniera così palese si accorse anche
dello
sguardo incredulo dell'altra e così capì che le
due erano
potenziali fan.
«
Salve belle ragazze, posso offrirvi qualcosa?
»
Stava decisamente esagerando, se ne
rendeva conto da solo. Joel, dall'alto della sua modestia, si
divertiva spesso ad attaccare bottone con persone che, magari,
potevano essere sue fan, e la cosa che lo divertiva di più
erano le
espressioni sconcertate e assolutamente impagabili della gente, come
in quel caso quelle due ragazze.
« Tutto bene?
»
Sì, stava decisamente esagerando.
Lo poté decretare con certezza quando vide la mora annaspare
cercando di riprendersi.
Eloyn si ripeté più volte di mantenere
il controllo, ma la cosa iniziava a sfuggirle di mano, stava facendo
la figura della stupida e se ne rendeva conto da sola. Intanto,
Chelsea guardava il ragazzo con aria adorante, cosa che
divertì
molto il cantante.
«
Si-una-birra-grazie
» Gli
occhi di Chelsea erano quasi
lucidi per l'emozione e la frase che uscì dalla sua bocca
suonò
decisamente troppo vicina alla realtà, fece esprimere
involontariamente tutta la sua adorazione nei confronti del cantante
e del suo gruppo.
« Due birre, scure
»
Scure,
proprio come piacciono a me fu il primo pensiero della
ragazza.
Era rimasta decisamente affascinata da Joel, non riusciva a
staccargli gli occhi di dosso, era catturata da tutti i suoi
lineamenti. E tutto questo perché lui era Joel
Madden! Quel Joel
Madden, il suo secondo amore d'infanzia, subito dopo i capelli del
Syn.
« Sono di là, nella sala del biliardo con degli..
amici. Mi
piacerebbe presentarveli, che ne dite? Ah comunque piacere io sono
Joel » disse lui appoggiandosi con un gomito al bancone e
incrociando le gambe mentre beveva un lungo sorso dalla bottiglia di
birra che aveva in mano. Era un cazzone e
se ne rendeva conto. Si divertiva troppo a prendersi gioco della
gente così facilmente. Era più forte di lui. Il
suo animo
intraprendente rischiava di rasentare la strafottenza in quei casi,
basti pensare che aveva cercato di rimorchiarle ancor prima di aver
saputo i loro nomi.
Gli sguardi delle due si fecero sempre
più increduli, Eloyn era ormai nel mondo dei sogni, persa
tra mille
esclamazioni, nessuna delle quali, però, riuscì
ad arrivare fino
alle sue corde vocali.
« Ci sto!.. » Chelsea decise di
prendere la palla al balzo, sfoderando anche lei la sua
intraprendenza e ridestandosi da quella nuvola di adorazione che le
si era creata intorno nel giro di pochi minuti. Questa esclamazione
improvvisa fece sobbalzare gli altri due per motivi diversi. Da un
parte Eloyn era stata brutalmente riportata con i piedi per terra,
ora conscia del fatto che Joel Madden era davvero lì e stava
cercando di rimorchiarle nella maniera più palese; dal canto
suo
Joel fu sorpreso di vedere la rossa accendersi di fuoco. Tutto
avrebbe pensato, tranne che quella ragazza, apparentemente tra le
nuvole, potesse nascondere un animo così brioso. Si rimise
in piedi,
sempre con la birra in mano, e fece per avviarsi nella sala del
biliardo, dando per scontato che le due l'avrebbero seguito. Infatti
così fu: le due lo seguirono senza battere ciglio. Non si
sarebbero
mai e poi mai fatte scappare l'opportunità di passare una
serata in
compagnia di Joel Madden. Ormai erano entrate in quello stato mentale
per il quale sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa di assurdo, e non
gli avrebbe fatto effetto. Dopo essere state rimorchiate da Joel
Madden, niente avrebbe potuto farle più effetto di quello. O
almeno
così credevano.
Seguirono il ragazzo fino alla stanza del
biliardo quando i loro pensieri vennero smentiti da una visione
celestiale. Eloyn fu catturata immediatamente dalla figura intenta a
colpire una pallina con la stecca da biliardo, quasi sdraiata sul
tavolo da gioco. Non riuscita a vedergli bene il volto ma poteva
benissimo capire di chi si trattasse, avrebbe riconosciuto i
lineamenti della sua fronte corrugata ovunque: Zacky Vengeance eri li
davanti a lei che giocava a biliardo e scherzava con i suoi amici
come se niente fosse. Ovviamente lui non poteva sapere cose stesse
succedendo nello stomaco di Eloyn. Sembrava che la terza guerra
mondiale avesse deciso di svolgersi proprio nelle viscere della mora
a cui mancava apparentemente il respiro.
Chelsie dal canto suo non
si rese subito conto di chi ci fosse nella stanza, solo dolo un po',
notando lo sguardo sconcertato della mora se ne accorse: a pochi
metri di distanza da lei vedeva perfettamente i capelli
del suo Synister
Gates. Andò in panico. « ..oh cazzo! Sono loro,
sono loro! E adesso
che facciamo? Che facciamo Eloyn? » sussurrò la
ragazza
all'orecchio dell'amica cercando di farle riprendere coscienza della
situazione.
Era una di quelle occasioni che capitano una sola
volta nella vita ed Eloyn non se la sarebbe fatta scappare: prese il
coraggio a quattro mani e si avvio con passo deciso verso Joel che
intanto, si era affiancato agli altri, ovvero gli Avenged Sevenfold
al completo. Si fermò quando fu proprio davanti a loro,
seguita
dall'amica che si nascondeva dietro di lei.
Questa volta i ruoli
si erano invertiti, Eloyn sfoderò tutta la sua tenacia,
riuscendo a
nascondere il suo turbamento e il tremore alle mani. Si
avvicinò,
stando attenta che la sua voce non esplodesse in un urlo acuto, che
già cercava di farsi spazio tra le corde vocali. Chelsie
l'aveva
seguita in silenzio rischiando l'infarto quando si trovò a
pochi
centimetri dai capelli del suo Syn. Aveva una vera e propria fissa
per quei capelli. A dire il vero Eloyn era arrivata a pensare che,
forse, le interessavano più i capelli che l'individuo stesso.
«
Complimenti al nostro Joel per l'ottimo buon gusto »
esclamò una
voce che Eloyn conosceva fin troppo bene, a furia di ascoltarne le
interviste alla radio.
Zacky Vengeance aveva finalmente battuto un
colpo alla pallina e si era rialzato da quella scomoda posizione. Ora
era appoggiato alla stecca del biliardo e la stava squadrando da capo
a piedi con i suoi occhi glaciali. Eloyn poté finalmente
constatare
che dal vivo erano tutta un'altra cosa. La colpirono come un
proiettile, proprio al centro dello sterno, annullando tutto il
coraggio che aveva cercato di tirare fuori fino a quel
momento.
Arrossì non sapendo cosa dire. Anche lei, come l'amica,
era in panico. In un altra situazione avrebbe sicuramente capito il
complimento nascosto dietro a quella frase, ma in momenti come quello
si tende a lasciare le opzioni migliori per ultime, e fu proprio
quello che fece. Fece finta di niente, in realtà. Era sicura
che il
giorno successivo non avrebbe avuto ricordi ben nitidi di quel
momento, vuoi per l'adrenalina in circolo, vuoi per l'alcool che
aveva bevuto, ne era sicura. Ora non sapeva cosa fare, come attaccare
bottone. Non si sarebbe di certo accontentata di una foto e un
autografo. Non ora che era arrivata fin lì. Ma forse
chiedere un
autografo per attaccare bottone sarebbe stata la mossa migliore,
aggirare l'ostacolo e, in seguito, mirare all'approccio diverso.
Ovviamente tutti questi pensieri nella testa di Eloyn erano solo dei
sentori, sensazioni non ben decifrate, dettate dal suo
istinto.
«
Ragazzi, queste sono.. » improvvisamente Joel si
ricordò che non
avevano ancora fatto le presentazioni, intanto Eloyn lo stava
ringraziando interiormente per aver distolto l'attenzione dei tutti
dalla battuta di Zacky.
« Io sono Chelsea e questa è la mia
amica Eloyn veniamo da Washington » furono le parole uscire
dalla
bocca di Chelsea per puro errore. In realtà erano le parole
che
erano rimaste cullate nei meandri della sua mente per il tragitto tra
le due stanze e che, in quel momento, le erano uscite di bocca
involontariamente. Per questo, non appena le parole finirono di
fluirle via dalla bocca, si mise subito entrambe le mani a
coprirsela, quasi a volersi scusare della spontaneità. Quel
gesto
suscitò il divertimento di molti nella stanza e fu coronato
da varie
risatine di tutti gli spettatori.
Eloyn sposto lo sguardo su
Zacky, l'unico che non aveva accennato a risolini o robe varie alla
vista della scena. Invece, continuava a guardarla e a percorrere ogni
centimetro del suo corpo con gli occhi. Credeva che fosse la ragazza
più bella del pianeta, ora se ne rendeva conto. E
quegli
occhi.. Quegli occhi così verdi l'avevano
smascherato, erano
gli occhi più belli che Zacky avesse mai visto in vita sua.
Eloyn
ricambiò lo sguardo e si accorse che aveva i capelli tirati
su con
il gel come ai tempi di All excess e questo la mandava in
estasi.
«
E così siete nostre fan, eh? » La voce profonda
del Signor Ombra
irruppe prepotentemente nei pensieri di Eloyn che, nel frattempo, era
immersa negli occhi di Zacky. Era una scena quasi imbarazzante, erano
rimasti a fissarsi per tutto il tempo, dritti negli occhi, senza
mollare la presa, nessuno dei due. Questo suscitava un emozione
sempre crescente in Eloyn. Era qualcosa di diverso, non il panico per
avere davanti Zacky Vengeance, ma un emozione per Zacky, solo Zacky,
non il suo mito adolescenziale, quello ormai non esisteva
più, ora
c'era Zacky Baker davanti a lei, ed Eloyn era fermamente convinta che
fosse la creatura più bella del pianeta.
Intanto Zacky continuava
a fissarla, e più lo faceva più capiva, capiva
che c'era qualcosa
di diverso in quella ragazza, c'era qualcosa nel modo in cui lo
guardava e che gli confondeva i pensieri, non riusciva nemmeno a
mettere due parole in fila adesso che lei aveva piantato gli occhi
sui suoi.
Fecero mente locale sulle parole di Matt.
Cosa
diavolo stava dicendo? O meglio, Come faceva a a saperlo?
« Dai,
andiamo, non fate le difficili.. Si vede lontano un chilometro!!
»
Disse Matt, quasi le avesse letto nel pensiero, vedendo le facce
preoccupate delle amiche.
Questo era imbarazzante! Il viso delle
due avvampò di vergogna, non poteva essere così
palese la loro
assoluta adorazione per quei cinque, anche se, effettivamente, Eloyn
non riusciva a contenersi, nemmeno se li sentiva solo nominare da
qualcuno. E adesso che li aveva lì, di fronte a lei aveva
davvero
un'espressione da pesce lesso..
Improvvisamente dalla radio del
locale provenì una canzone che tutti nella stanza
conoscevano molto
bene: era Burn it down, la canzone preferita di Eloyn. Al sentirla,
le si illuminarono gli occhi. Era una scena perfetta: era lì
con i
suoi unici miti e come sottofondo la sua canzone preferita, guardando
in faccia il volto di quella voce e i proprietari delle mani che
suonavano gli altri strumenti. Appena iniziò il ritornello,
si girò
verso Johnny con sguardo quasi omicida, ricordava bene che nel
ritornello di quella canzone il pezzo di basso la faceva sognare ogni
volta.
« Ehi, ehi! Che ho fatto, adesso? »
Il
povero Christ era abituato ad essere sempre incolpato dagli altri
anche per cose che non aveva fatto, questo aveva aiutato a far
crescere in lui una coda di paglia di proporzioni epiche.
Così,
anche quella volta, sentì di aver commesso qualcosa di
sbagliato.
Eloyn ci mise un po' a capire che lo aveva guardato
forse con troppa insistenza, così il suo sguardo riprese
naturalezza.
«
Ehm.. ah no scusa è che questa è la mia canzone
preferita e in
particolare adoro la parte di basso nel ritornello.. allora, non so
mi è venuto di guardarti.. scusa.. » disse in un
sussurro e abbassò
lo sguardo.
Johnny guardò prima Zacky, che stava ancora scrutando
Eloyn, quasi sentisse anche lui il suo imbarazzo, poi di nuovo Eloyn
e il suo cervello cominciò a macchinare qualcosa. Il suo
sguardo si
scontrò con quello di Jimmy che nel frattempo era stato
attento a
tutta la scena, perciò si era accorto anche lui degli
sguardi che si
erano scambiati Zacky e la ragazza. Gli occhi dei due J si
illuminarono contemporaneamente e un idea meschina sfiorò le
menti
di entrambi, che annuirono inquietantemente.
« Bene, ne
sono onorato, l'ho scritto io quel pezzo! Allora.. »
tornò a
guardare Jimmy strofinandosi le mani chiedendo un segno di consenso,
che arrivò subito dopo « ...potrei fartelo sentire
live se
vuoi...facciamo domani mattina a casa mia? Facciamo per le dieci e
trenta? »
Ora gli sguardi di tutti, anche di Zacky, erano puntati
su di lui, interrogativi tranne quello di Jimmy che aveva
già capito
tutto.
« Ehi Christ! E in quanto tempo l'avresti organizzato
questo incontro? » chiese Brian che nel frattempo aveva
attaccato
bottone con la rossa e avevano iniziato a parlare del più e
del
meno.
« In ben 25 secondi, Haner! A differenza vostra, in questo
cervelletto c'è ancora traccia di materia grigia! »
Ovviamente
in pochi capirono la sottile ironia intrinseca nella frase, puro
riferimento agli sguardi eloquenti dei due innamorati, Eloyn e
Zacky.
In quel momento Eloyn non poté credere alle sue orecchie,
non poteva davvero. Era tutto così irreale che si sarebbe
potuta
benissimo svegliare da un momento all'altro e rendersi conto che era
tutto un sogno. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nella carne
per controllare che provasse dolore e anche per scaricare la
tensione. Era la realtà. E stava succedendo proprio a lei.
Eloyn
Mayer. 20 anni. Nazionalità Americana. Due gambe, due
braccia, una
testa.. ok c'era ancora tutta. Eppure non le sembrava, le sembrava
come se ci fosse solo la sua testa, adesso, a galleggiare nel vuoto,
tanto era eccitata.
Ancora non poteva sapere che avrebbe dovuto
ringraziare il piccolo Christ per il resto dei suoi giorni..
«Ok,
allora domani mattina vi passiamo a prendere noi, ok? Dove state?
»
«
Green Street, proprio sulla costa. Dalla piazza, la prima a destra
»
Questa
volta era stata Chelise a parlare, che per tutto quel tempo aveva
proferito parola solo con Brian, e ne avevano proferite di parole,
anche troppe..
« Tu vuoi dire che abitate in quella villa
gigantesca con tanto di piscina? » Gli occhi di Jimmy si
illuminarono al ricordo della villa che la rossa gli stava
descrivendo.
« Ehm.. si, proprio quella.. »
« Bene, domani
alle 10 e 30! » concluse Johnny.
Quella sera Eloyn e Chelsie
avevano realizzato il sogno della loro vita.
Eloyn non riuscì a
dormire molto, tanta era l'agitazione e la voglia di rincontrarsi con
quel ragazzo, più che mai sconosciuto, in quel momento, ma
che le
aveva rubato l'anima, che era rimasta incastrata tra le sfumature dei
suoi occhi e sarebbe rimasta li ancora per molto tempo...
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Capitolo 3 *** Proiettili ***
©
Amor vincit omnia.
15
settembre 2009, Huntington Beach
Un
raggio di luce si fece spazio tra le tende bianche.
Si
doveva ricordare di chiudere le persiane la prossima volta. Se c'era
qualcosa che Eloyn odiava davvero con tutta se stessa era essere
svegliata dal sole sugli occhi.
Si
stropicciò gli occhi e lentamente si svegliò.
Voleva
avere una prova che tutto quello che era successo la sera prima fosse
vero. Non voleva illudersi, non voleva crederci fino all'ultimo,
quando qualcuno avrebbe bussato alla sua porta, o avrebbe fatto
squillare il suo telefono. Le speranze sono solo incertezze. Ed era
proprio l'incertezza che in quel momento governava incontrastata sul
caos nella sua mente. Sono sensazioni che ti prendono: l'incertezza,
l'incredulità. Ti prendono e non sai come affrontarle. Ti
mandano in
confusione con te stessa e la cosa migliore che potresti fare sarebbe
rimanere ferma e aspettare che succeda qualcosa, qualsiasi cosa.
Non
era il caso di Eloyn, non era mai stata capace di rimanere ferma,
mai. Neanche quella mattina ci sarebbe riuscita. Svegliò
Chelsea
noncurante delle sue lamentele, noncurante del suo sognare.
Perché
qualsiasi sogno in confronto alla realtà, in quel momento
sarebbe
stato un nonnulla, una frase appena accennata.
Prima
che potesse dire niente, ci fu attimo, un frammento di secondo in cui
il suo cuore smise di battere per lo spavento: un rumore di rottura
nel suo sterno fu soffocato dal brusco suono del campanello di casa.
Sentì un velo gelido scenderle dalla testa in
giù,
gradualmente.
C'era comunque quella probabilità, l'ombra di una
certezza. Poteva davvero essere uno di loro dietro la porta, magari
persino lui.
Dopo essere rimasta un po' a contemplare immobile il
caos di neuroni che si affrettavano affannati nella sua testa
cercando di dare un senso logico alla situazione, si decise a
muoversi.
« Hanno suonato! »
« E vai ad aprire allora, no?
» disse l'alta, con la voce ancora impastata dal sonno.
Rimise la
testa sotto al cuscino. Poi ebbe un illuminazione, il suo cervello si
riaccese bruscamente, tirò di nuovo fuori la testa dal
cuscino con i
capelli in confusione e gli occhi sbarrati.
«..
No, no, no.. no è possibile! ».
Fece
un salto e si rizzò in piedi sul letto, apparentemente
cercando
qualcosa che non sapeva nemmeno lei stessa cosa fosse. Scese dal
letto, sempre in panico e cercò con gli occhi l'amica che
nel
frattempo si stava spazzolando i capelli alla meglio per non sembrare
uno zombie appena uscito dalla tomba.
«
Chi era El? Chi ha suonato? ».
Ancora
un altro suono dal campanello.
Le due si guardarono spaventate.
«
Non lo so, non lo voglio neanche immaginare! »
« Bisognerà
andare ad aprire »
Chelsea
sembrava stesse impazzendo: non si muoveva ma i suoi occhi scorrevano
velocemente l'intera stanza mentre con la mano teneva fermo il
braccio dell'amica. Una scena esilarante.
« Io vado! » si fece
coraggio Eloyn, liberandosi dalla presa dell'amica.
Allora Chelsea
prese la spazzola dalle mani di Eloyn e iniziò a spazzolarsi
furiosamente, più in fretta che poté, cercando di
dare un senso a
quella chioma di fuoco.
Eloyn era già nell'atrio, appostata
davanti alla porta con la mano appoggiata sulla maniglia indecisa se
aprire o meno. Senza pensarci aprì la porta giusto un po',
quello
che bastava per far spuntare fuori solo la testa e chiedere chi
fosse. Come se dall'altra parte ci fosse qualcuno con un fucile
pronto ad ucciderla.
Un
po' per essersi ricordata di essere in pigiama e un po' per lo
spavento nel vedere Jimmy in tutta la sua altezza, richiuse
immediatamente la porta maledicendosi immediatamente dopo.
Suonarono
di nuovo.
Ancora
una volta Eloyn aprì la porta, questa volta con un po' di
imbarazzo.
«
Scusate.. » disse « ..è che.. no niente,
sono in pigiama e.. in
realtà mi avete spaventato. » accennò
un timido sorriso che tornò
subito ad essere lo sguardo agitato di prima.
« Ok, allora vi
aspettiamo qua fuori ok? Siamo con la macchina di Zacky, vi portiamo
in spiaggia, quindi portate i costumi.. » ammiccò
Jimmy.
« Ma
non dovevamo.. » Eloyn cerò di ricordare agli
altri il vero motivo
per cui si sarebbero dovuti vedere, poi ci ripensò: era con
gli
Avenged Sevenfold, decise che certi dettagli non sarebbero stati
importanti da li in poi. « .. niente. Ci vediamo tra 5 minuti
qua
fuori.. » disse quasi in un sussurro prima di chiudersi la
porta
alle spalle.
Sostò
qualche secondo con la schiena appoggiata alla porta e gli occhi
chiusi, cercando di assaporare ogni sensazione, ogni profumo, tutto,
di quel momento.
E così ce la stavano facendo, erano arrivare fin
lì, ad un passo dal coronare il loro sogno.
Finalmente lasciò
la porta e si diresse in camera. Appena svoltato l'angolo per il
corridoio vide Chelsea intenta ad origliare, era evidente che, non
appena la scorse si ritrasse subito e tornò in camera,
imbarazzata.
Anche Eloyn entrò e si fermò davanti all'amica
che intanto si stava
già cambiando, in fretta e furia. Con le braccia lungo i
fianchi e
lo sguardo perso, sospirò. Non può essere vero,
pensò.
Uscirono
di casa con il costume già sotto i vestiti, come a non voler
perdere
tempo inutile. Per viverla, quella vita, una volta per tute.
Nel
breve tragitto fino all'uscita del cancello Eloyn sentì il
cuore
salirle in gola e pulsarle violentemente da dentro. La sensazione le
ricordò la sua prima recita scolastica, alle elementari. Si
sentiva
proprio come quel giorno in piedi di fronte a quei pochi genitori. Le
venne in mente se fosse anche quella una piccola recita. Se quel
nuovo posto non fosse solo una scenografia pre-montata, di quelle da
due soldi, dove puoi immaginare di essere chi non sei e di fare
ciò
che non potrai mai fare.
Superato il cancello, li vide. Fu la
scena più bella dell'intera vita. Decise di immortalare quel
momento
nella sua memoria cercando di assimilare ogni piccolo dettaglio.
L'aria fresca, il sole mattutino e la lieve nebbiolina tipica di
Huntington in autunno. Cinque ragazzoni tatuati dai vestiti scuri e
sciatti. Poco più in là, una grande macchina nera
e lucida. Matt
sostava appoggiato al cofano. Non era come la sera prima, quando
Eloyn aveva potuto leggergli in faccia i sentimenti tanto bene che ne
era rimasta colpita. Ora portava i suoi immancabili ray ban a
specchio e tutto era improvvisamente più chiaro.
Ecco
perché lo fa. Di tenere gli occhiali sempre addosso. Gli
bastava
davvero poco per mascherarsi a dovere. Imprigionato nel suo stesso
ruolo di signor ombra. Quegli occhi così verdi stonavano con
il suo
ruolo. Per questo quegli occhiali sempre addosso, per paura. Paura
del limpido in quei pozzi d'erba.
Johnny era seduto sul
marciapiede, sigaretta alla mano, e cresta da moicano.
Dall'alto
della sua statura, Jimmy sostava in piedi dietro alla macchina
chiacchierando con Brian del più e del meno. Si bloccarono
di colpo
non appena le ragazze varcarono la soglia del cancello.
Poi
lo vide, sotto l'ombra di un albero ingiallito dalla stagione. Con
una mano in tasta e l'altra portata alla bocca per dare un tiro alla
sua sigaretta, la fissò per un attimo interminabile. Poi
spostò lo
sguardo in un punto fuori da tutta quella scena.
« Voi donne non
avete bene in mente quanti siano cinque minuti. »
Il
tono improvvisamente espansivo di Brian sorprese Eloyn. Le faceva
strano.
« Cafone! » lo rimproverò Jimmy
accompagnandosi con
una grossa sberla. « Forza, partiamo altrimenti non facciamo
in
tempo. Zacky buttò fuori l'ultimo alito di fumo mentre
schiacciava
con il piede il mozzicone caduto atterra. Si avvicino agli altri.
Aveva una camicia a righe verticali e orizzontali sui toni del
celeste aperta sotto ad una T-shirt a maniche corte. I piercing al
labbro inferiore scintillavano al sole.
Johnny passò intorno alle
due ragazze e aprì la porta dello sportello anteriore.
«
Chi delle due sta davanti? »
Chelsea
andò da Brian che intanto la invitata ad entrare con un
gesto del
braccio.
« Sono abbastanza galante, adesso, Jimmy? »
« Sì,
direi che così va molto meglio. »
ridacchiò l'amico,
divertito.
Così Chelsea si ritrovò schiacciata tra due
armadi a
muro tatuati, cosa poteva desiderare di più dalla vita?
« E
Johnny dove lo mettiamo? » chiese Eloyn, posizionandosi sul
sedile,
notando che mancava un posto.
« Portabagagli.. » finalmente
l'oggetto della sua adorazione parlò. « .. lui va
sempre nel
portabagagli quando non c'è posto, è come un
cagnolino domestico..
» rise. Bello come non mai, tanto che Eloyn quasi non fece
caso alla
battuta crudele rivolta al piccolo Christ. Così mise in moto
e partì
tra i borbotti di lamento di Johnny sul perché non fosse
necessario
dergli del cagnolino domestico.
Partirono sullo sfondo del sole
cocente. Zacky odiava il sole, lei lo sapeva. Non appena un raggio di
luce lo colpì in volto inforco gli occhiali da sole,
leggermente
infastidito. Lei rise.
« Perché mi guardi e ridi? »
«
Niente, pensavo una cosa.. »
« Cosa? »
« No, niente di
importante »
A quello scambio di battute calò il silenzio su
tutta la macchina. Tutti gli altri sapevano cose c'era tra quei due,
era stato palese sin dalla sera prima quando non avevano smesso un
secondo di cercarsi con lo sguardo. Così anche quando furono
in
spiaggia e si furono sistemati, non smise mai di cercare i suoi
occhi.
La mattina passò indisturbata con la sabbia tra le dita.
Ad
un tratto Jimmy prese Chelsea e la buttò in acqua. Era nato
un certo
feeling tra i due e l'attenzione di Chelsea nei confronti dei
capelli di
Brian si era
spenta quando questi si erano bagnati e di conseguenza afflosciati.
Proprio in quel frangente di tempo successe ciò che Eloyn
non
avrebbe mai immaginato: stava parlando distrattamente con Johnny in
piedi in mezzo alla spiaggia del più e del meno quando
all'improvviso Zacky, seguendo l'esempio di Jimmy, la tirò
su di
peso, come il principe azzurro con la principessa, esclamando
« Te
la rubo un secondo! » Il cuore della mora iniziò a
battere, forte,
troppo forte, faceva quasi rumore.
Vide il viso di Zacky a pochi
centimetri dal suo, poteva sentire sulla pelle del viso il suo
respiro affannato, sapeva di buono, di fresco.
Avevano
iniziato a prendere confidenza quella mattina stessa. Erano seduti
sul bagnasciuga osservando i loro amici fare i matti in lontananza
quando lui gli aveva detto: « Perché sei qui?
» Lei a quella
domanda si era trovata in difficoltà. Perché era
lì? Quale era la
vera motivazione?
Lei
aveva subito cambiato argomento, facendo qualche stupido riferimento
al tempo. A lui non era sfuggito niente.
« Ma dove mi
porti? » chiese lei ancora in braccio a Zacky.
« Al faro.. » si
voltarono entrambi di scatto l'uno verso l'altro « ..
perché fai
quella faccia? » solo in quel momento Eloyn si accorse del
suo
sorriso ebete, arrossì.
Appena
furono arrivati Eloyn tocco terra con i piedi e si fermò ad
osservarlo. Si voltò verso il faro.
« E' bello. » disse.
«
Già.. »
Zacky
aveva paura, era messo in soggezione da quelle gambe lunghe e
slanciate, da quella pelle di velluto del colore della neve e
soprattutto, da quei fottutissimo occhi verdi.
« Perché
mi hai portata qua? »
«
Per farti vedere questa città con i miei occhi. »
dichiarò lui
deciso. « Di primo impatto fa effetto a tutti. Certi la
odiano,
altri la amano. Nessuno di loro vede questo posto come lo vedo io.
Credo che questo faro sia uno dei posti che rappresentano di
più
Huntington. E' il luogo più bello che conosco. »
Sapeva
cosa stava cercando di fare. Sentiva le emozioni di lui come se
fossero anche sue. Quel posto era davvero magico.
Quella ragazza
gli stava bruciando tutti i neuroni nel cervello, era ufficiale.
Lo
capì quando il suo respiro in bocca con il silenzio intorno
a loro.
Ormai ogni movimento veniva da sé, niente era più
sotto il loro
controllo e le loro bocche si facevano sempre più vicine ad
ogni
secondo che passava.
Tutto
quello che stava succedendo era dannatamente sbagliato nella mente di
Eloyn. Lei non era che l'ennesimo ripiego, e quando si sarebbe
stufato di lei, del suo corpo e del suo essere logorroica l'avrebbe
buttata come si fa con i vestivi vecchi. Non era che una delle tante
e tutto ciò che significava per lei non sarebbe stato lo
stesso per
lui, perché lui era Zacky Vangeance, infondo, e per quanto
cercasse
di convincersi che anche lui era una persona come tante, sapeva che
non lo era affatto. Era una rock star, con un passato di nove anni di
successo alle spalle e la sua vita era stata sicuramente costellata
di ragazze come lei.
Quel
momento non sarebbe dovuto esistere.
« Forse sarebbe meglio
tornare dagli altri, si chiederanno dove siamo finiti »
Ma
il suo corpo non accennò a volersi muovere. Aveva parlato
rimanendo
nella stessa posizione, a pochi millimetri dal suo naso. Non voleva
soffrire, non un altra volta. Le era bastato aver sofferto sei mesi
per il suo vecchio fidanzato; era anche uno dei motivi per cui era
partita da Washington, voleva ricominciare a vivere di nuovo anche
senza di lui. Voleva dimostrare al mondo che Eloyn Mayer non si tira
indietro di fronte a niente, voleva smetterla di fare l'immatura e
continuare a rimanere chiusa in casa a torturarsi con mille quesiti.
Era stata davvero molto male e ora che l'aveva superata, non voleva
cascarci di nuovo. Si era creata un corazza che le impediva di
avvicinarsi di nuovo all'amore. Era diventata un blocco di ghiaccio
impossibile da sciogliere. O almeno così pensava, fino alla
sera
prima, quando quegli occhi, invece, l'avevano fatta sciogliere, ma
non tanto da permettergli di fare ciò che stava per fare. Si
voltò
e si avviò verso gli altri.
La
mattinata continuò senza esitazione, senza mai prendere
respiro,
tutta d'un fiato. E le due ragazze cominciavano già ad
abituarsi
alla presenza del gruppo nella loro vita. Cominciavano a vederla come
una cosa normale, come se lo fosse davvero.
« Andiamo a casa
nostra? » ancora una volta il piccolo Christ si era rivelato
più
utile di quanto tutti pensassero. Infondo era merito suo, e in parte
anche di Jimmy, se adesso erano lì, tutti insieme; ed era
colpa sua,
invece, se adesso Eloyn doveva fare i conti con le sue crisi
esistenziali.
In pochi minuti, spinti più dalla fame che dalla
voglia di muoversi, tutti raccattarono le loro poche cose che avevano
portato e si avviarono verso la macchina.
« Quindi voi vivete
insieme? » Eloyn era vicina a Zacky ma la domanda era rivolta
in
generale. Tornati dal faro, infatti, i due non si erano scambiati
più
neanche una parola, neanche uno sguardo, nemmeno si erano
più
sfiorati.
« In un certo senso.. soprattutto in questo periodo,
con un CD da scrivere è molto importante che rimaniamo
insieme quasi
ogni istante.. »
Il
gruppo in quei giorni era alle prese con il suo ultimo album. Jimmy
continuava a ripetere che avrebbe cambiato il mondo e, a forza di
sentirglielo dire, anche gli altri si erano quasi convinti che
sarebbe stato così. Insomma, ciò che avevano
attualmente per le
mani non era niente male, ma erano ancora in alto mare.
Le ragazze
avano sentito vociferare già dai fan di un presunto nuovo
CD, ma
sentirlo dire dal grande Synyster Gates in persona faceva tutto un
altro effetto, dovevano ammetterlo.
Casa
Sevenfold era una villa enorme, con un grande giardino, una piscina,
un atrio immenso e un porticato. Ma la casa vera e proprio si ergeva
lungo i due piani di altezza tappezzati da milioni di camere
differenti dall'uso apparentemente vago. C'era una sala musica dove
c'erano tutti gli strumenti della band e dei macchinari per
facilitare il lavoro, Eloyn ne fu subito attratta.
Tutti si misero
subito alle prese con i fornelli, chi rovistando nella dispensa, come
Matt, Chelsea e Jimmy, chi, invece, come Eloyn e Brian, cercando un
punto di inizio nel frigo. Altri invece stavano semplicemente seduti
sul divano della cucina a guardare gli altri lavorare, come Zacky e
Johnny. In particolare Zacky si soffermava spesso su Eloyn, avendo
l'occasione di osservarla passando inosservato, dato che lei sembrava
quasi aver dimenticato la sua presenza, cosa che infastidiva molto il
ragazzo.
Quello che Zacky non poteva sapere era che, in realtà,
Eloyn sentiva la sua presenza forte ogni minuto, come un pericolo
alle sue spalle e, per paura, non osava rivolgergli lo sguardo.
Entrambi sapevano quale era il motivo, Eloyn più di Zacky
dato che
era stata lei ad andarsene. Zacky pensava solamente che il sentimento
non fosse ricambiato e si sentiva una merda per questo.
Finalmente
dopo varie peripezie riuscirono a mangiare qualcosa di commestibile e
digeribile e decisero di rimandare le faccende domestiche al
pomeriggio inoltrato.
Avevano mangiato tutti davvero come degli
animali e, dopo la mattinata stancante, sentivano tutti il bisogno di
una dormita o solo di riposare un po' spalmati sul divano del grande
salotto.
Ad
Eloyn e a Chelsea vennero concesse due camere matrimoniali dove, se
volevano, potevano riposare. Entrambe ci si fiondarono, per via del
sonno.
Chealsea si buttò immediatamente tra le lenzuola bianche
dell'enorme letto e, dopo pochi minuti, qualcuno bussò alla
porta.
«
Chi è? » la voce di Chelsea era già un
po' insonnolita, tanta era
la stanchezza.
« Jimmy » così la rossa si ricompose
subito e si
mise a gambe incrociate.
«
Avanti »
« Disturbo? »
« No, figurati.. mi stavo solo
riposando un po' » in realtà si stava per
addormentare, e
quell'intrusione non era propriamente gradita, ma questo, lei, al
grande The Rev non l'avrebbe mai detto.
Avevano
passato la mattinata a raccontarsi come due bambini curiose, a
scherzare ad ogni minima battuta, anche per niente a volte.
«
Allora, venite da Washington, giusto? »
«
Si, ma ad Huntington si sta molto meglio.. »
« Si è una bella
città.. »
« Favolosa.. » gli aveva dato la
possibilità di
realizzare i suoi sogni, cosa poteva chiedere di più?
« .. e mi ha
fatto incontrare voi, è abbastanza... » questo non
era stato
programmato, non voleva veramente dirlo, ma lo disse lo
stesso.
Certo, cosa poteva desiderare di più? Una giornata con i
suoi idoli di sempre, in camera con il suo batterista preferito,
niente sarebbe potuto andare meglio, se non..
Se non fosse stato
per le labbra di Jimmy improvvisamente premute sulle sue.
Fu un
bacio feroce, di quelli che tolgono il respiro. O perlomeno a lei il
respiro glie lo aveva tolto, decisamente. La casa era silenziosa e in
quel piccolo angolo di una villa immensa nessuno li avrebbe mai
sentiti. Presi dalla passione del momento cominciarono a togliersi i
vestiti mentre le loro lingue ballavano nelle loro bocche. Jimmy,
rimasto con solo i bermuda, si alzo, chiuse la porta a chiave e
chiuse anche le tende, per evitare inconvenienti. In quei pochi
secondi che lui fu lontano, Chelsea sentì il suo viso
avvampare di
vergogna per essere rimasta in costume. Nel giro di pochi secondi sia
i bermuda di Jimmy, che il costume di Chelsea andarono a fare
compagnia agli altri vestiti.
La camera era scura, adesso e i
corpi dei due erano nudi sotto le lenzuola. Chelsea schiacciata dal
peso del corpo di Jimmy sentì i battiti del suo cuore
accelerare
sempre più ad ogni bacio.
« Jimmy ..Jimmy.. aspetta.. » lui
percepì la paura nella voce della ragazza, così
si fermo e la
guardo, per quello che la poca luce gli permetteva di fare.
« C'è
qualcosa che non va? »
« Io.. sono vergine.. » riuscì a dire
in un sussurro, prima di diventare paonazza in volto.
Ringraziò
mentalmente Jimmy di aver chiuso tende e luce.
« Solo se lo vuoi
anche tu.. » aveva lasciato intendere Jimmy. Chelsea
ribaltò la
situazione.
La
fioca luce che penetrava da uno squarcio tra le tende li illuminava
leggermente, Chelsea si alzò un po' e poté vedere
la scritta
'Fiction' sul torso di Jimmy.
« Fiction » sussurrò tra sé
con
un piccolo sorriso compiaciuto.
E
così il loro amore si consumò, alla fioca luce
filtrata da una
tenda, tra i sospiri sempre più accelerati e i loro corpi
uniti in
uno solo.
Chelsea
non poteva crederci, non era nelle sue facoltà ma decise di
farlo,
più che altro decise di far finta di vivere un sogno, almeno
finché
tutto quello non fosse finito.
Nel
frattempo anche Eloyn si era recata nella sua stanza, si era
rinfrescata e si era stesa sul letto fissando il soffitto, a
riflettere. Pesava più che altro a Zacky e a quello che era
successo
la stessa mattina. Il sogno della sua vita era stato ad un passo
dall'avverarsi e lei era stata capace di mandare tutto in fumo per
cosa? Per delle stupide paure, per colpa di Justin, quel fottuto
amore mancato, del quale, a quanto pare, continuava a pagare le
conseguenze.
Qualcuno bussò.
« Avanti »
Rimase
immobile fissando il soffitto.
« Ciao, ehm senti, possiamo
parlare? » era lui. L'oggetto dei suoi pensieri ormai da una
giornata buona. Ed era titubante.
Eloyn si mise seduta. « Sì,
certo. Dimmi? »
« Be' volevo parlare di quello che è successo
sta mattina in spiaggia.. »
Ed
ecco la frase che Eloyn avrebbe evitato volentieri, avvampò
certa di
essere diventata rossa in volto, così abbassò lo
sguardo per farlo
vedere il meno possibile.
« Sì, a proposito. E' colpa mia.. »
« ..No, è colpa mia. Io.. non dovevo, è
stato un
errore..scusami » la interruppe lui.
A
quelle parole Eloyn sentì che stava per esplodere come un
fiume in
piena. Improvvisamente tutti i suoi castelli di carta erano crollati
miseramente, riducendola uno straccio nel giro di pochi secondi. Era
stato uno sbaglio lo
aveva detto lui stesso. Perciò niente importava
più, niente che lei
averbbe potuto dire sarebbe servito. Avrebbe potuto superare tutti i
suoi ostacoli e tutte le sue paure, non sarebbe comunque servito
più
a niente.
Stava per scoppiare, lo sentiva. I suoi
occhi si arrossarono e cominciarono a bruciarle, aveva un groppo in
gola e in pochi secondi sentì gli occhi inumidirsi
leggermente ma
abbastanza da sfocarle la vista. Con un urlo strozzato in gola,
sputava fuori tutto ciò che aveva da dire.
« Ah, allora è
diverso.. Questo.. cambia decisamente le cose. »
sospirò per
mantenere il controllo. « E quindi ci sono cascata un'altra
volta..
»
« Non ti seguo »
«
Sai, io sono fuggita
da
Washington, solo letteralemente fuggita. Sono fuggita perché
sei
mesi prima il mio ex fidanzato Justin mi ha lasciata, dopo 3 anni di
fidanzamento. »
Zacky rimase immobile, mentre il
soliloquio di Eloyn si trasformava in una confessione in sordina.
«
E adesso mi sembro una ragazzina adolescente a reagire così.
»
accennò una risata triste. « E' che mi ha lasciato
come un buco
sullo sterno. Ho toccato il fondo e credevo che non sarei mai
più
risalita. Ma quando ti ho visto al pub ho capito che avevo ancora
qualche possibilità.
«
Io ti avevo sempre visto come quel figo della televisione. Ma poi
quello che avevo davanti non era quello che mi ero aspettata. Era
meglio. Sei meglio.
«
Questa mattina ti avrei baciato, ma non ce l'ho fatta. Dopo sei mesi
di.. non so neanche come chiamarla. Depressione? .. forse, non
saprei. Comunque, dopo tutto quel tempo, non lo so.. ho avuto paura
di poter cambiare le cose. Potrebbero anche peggiorare, infondo, no?
Certo, potrei mettermi in testa di cambiare. Ma hai detto che
è uno
sbaglio e.. »
Decise
di fermarsi. Magari non glie ne importava niente.
«
No, El. Non
è per quello che credevo fosse un errore. Cavolo, come hai
fatto a
non capirlo? Tu mi hai fottuto il cervello dalla prima volta che ti
ho vista, anche se è passato poco tempo, me ne rendo conto.
Ma in
queste poche ore i miei pensieri non si sono mai spostati, nemmeno un
attimo, da te. »
Rimasero
così, a fissarsi ancora per qualche
attimo, prima che Eloyn si alzasse per raggiungere la porta finestra
del terrazzo.
«
Sarebbe comunque troppo difficile.. » sussurrò.
Ancora qualche lacrima, giusto accennata. Gli occhi gonfi e
arrossati.
Il
silenzio, a volte, è il modo migliore per dire,
tutte insieme, milioni di cose che a parole sarebbe impossibile
comunicare. Così, solo con quel silenzio si erano detti
mille cose.
Si erano confessati un amore, avevano fatto avanti le loro paure e i
loro sentimenti. Ma certi silenzi, come quello, lasciano l'amaro in
bocca. Lasciano incompleti, lasciano le situazioni a metà
tra il
bene e il male. E il beneficio del dubbio, a volte, è
impossibile da
sopportare.
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Capitolo 4 *** Marchio a fuoco ***
©
Amor vincit omnia.
30
settembre 2009, Huntington Beach
Quella
giornata era stata una giornata di transizione per entrambe le
ragazze; simboleggiava una svolta necessaria nella loro vita, la
svolta che stavano cercando da quando erano arrivate in quella nuova
città.
Chelsea
era innamorata, era evidente; dopo il primo incontro con Jimmy ne
erano seguiti tanti altri e lei sembrava quasi essere rinata. Quando
Eloyn la osservava poteva vedere nei suoi occhi la scintilla che
prima non c'era illuminarle il viso; sapeva bene come ci si sentiva
ad essere innamorati, lo aveva provato sulla sua pelle, ma rivedeva
se stessa sette mesi prima. Si rivedeva insieme a Justin e alla vita
che avev vissuto. A distanza di tempo si vedeva come una povera
illusa.
Stava
vivendo nell'angolo più buio dell'abbandono. Si sentiva come
un cane
randagio abbandonato ai margini di un autostrada. Buttato fuori da
un'auto in corsa, cercando di rimanere in piedi nonostante il
violento impatto con l'asfalto, strisciano i piedi per non cadere.
La
scelta di Eloyn di vivere all'ombra della sua stessa vita non era
stata voluta da lei; era una conseguenza di ciò che era
successo
prima di venire ad Huntinghton. Avrebbe potuto sciogliersi da quella
scomoda situazione e ricominciare a vivere in qualsiasi momento, ma
era stanca di dover sempre trovare una giustificazione ai suoi
comportamenti, era stanca di doversi sforzare e far finta che andasse
sempre tutto bene; non era disposta a fingere una felicità
inesistente. Perciò aveva deciso di rimanere in quella
situazione di
grigia staticità finché qualcun altro non fosse
stato disposto ad
abbattere il muro che si era creata intorno e salvarla da
quell'inferno. Per una volta desiderava ci fosse qualcun altro ad
agire per lei.
Essere
innamorati per Eloyn era stata la cosa più
bella del mondo, ma tutte le cose belle sono destinate a finire,
prima o poi, e quelli che prima chiamavi sogni presto si
trasformeranno in veri e propri incubi. Dopo la storia con Justin,
per Eloyn essere innamorati aveva assunto un significato amaro.
Ricordava cosa si provava ad amare qualcuno ma, dopo quella storia,
aveva catalogato l'amore sotto la voce 'precario'; l'aveva provato
con mano, l'amore per lei era stato un gioco fasullo destinato a
crollare; era stata lei stessa a basarlo su un soffio di vento,
l'aveva presa troppo alla leggera, e così tutte le certezze
che si
era costruita erano crollate insieme a lei.
Eloyn era
stata per
molto tempo fermamente convinta che Justin fosse quello giusto; aveva
cominciato a crederci davvero e a fidarsi completamente di lui, cosa
che poi si era dimostrata essere una delle cose più
sbagliate che
avesse potuto fare in vita sua.
Forse
è questo il pericolo dell'amore: ti chiude gli occhi. Quando
sei
innamorato non vedi più ciò che ti succede
intorno, non ci pensi
più, e questo ti rende vulnerabile; chiunque può
avvicinarsi e
rovinarti i piani di una vita in un batter d'occhio, senza che tu te
ne accorga. E così dopo tre anni di fidanzamento, di rose,
cioccolatini e frasi sussurrate, Justin era venuto fuori dal nulla
con una frase: "Io non credo di voler continuare, sono stato a
letto con Margaret l'altro giorno e ho capito che non è
questa la
vita che voglio".
Questa
frase era tutt'ora stampata nella
testa di Eloyn come un marchio a fuoco; impossibile da cancellare.
Ogni parola, ogni lettera era come una lama ben affilata e messe
tutte insieme in quel modo avevano agito come una macchina da guerra.
Justin era stato molto bravo ad usarla, evidentemente,
perché aveva
lasciato in Eloyn delle cicatrici ben visibili. Quello che la aveva
delusa maggiormente non era stato tanto il contenuto di quelle parole
quanto il modo in cui erano state pronunciate: senza scrupoli; dal
tono di voce di Justin traspariva il suo menefreghismo nei confronti
di quella che era stata la sua ragazza per tutti quegli anni. Eloyn
si era sentita messa da parte nella sua stessa vita e così
erano
passati sei mesi di totale tristezza in cui Eloyn aveva vagato
indisturbata come un fantasma, coperta da un velo di malinconia.
Era
arrivata ad Huntinghton con tutti i buoni propositi; prima di partire
si era promessa che quella sarebbe stata la sua svolta, di certo non
pensava che potesse esserlo in una maniera così altrettanto
buia;
infatti, mentre Chelsea continuava a sentirsi e a vedersi con Jimmy
quotidianamente, Zacky era come sparito.
Erano
passati quindici
giorni da quel pomeriggio ed Eloyn era spaventata; sentiva di provare
qualcosa per quel ragazzo ma stranamente la sua paura di amare
aumentava sempre di più ogni giorno; non era pronta ad
affrontare
tutto quello che la vita le avrebbe riservato, anche se questo
avrebbe significato mandare in fumo tutti i suoi buoni propositi; non
sarebbe riuscita a parlare di nuovo con Zacky, come avrebbe potuto
prenderlo da una parte e scaricargli addosso tutti i suoi pesi? No,
non avrebbe potuto. Aveva paura delle conseguenze che le sue azioni
avrebbero portato, aveva paura di poter dare il via ad una reazione a
catena che lei non sarebbe stata in grado di gestire. Divisa tra la
voglia di amare e la paura di farlo, si sentiva come costretta tra
l'incudine e il martello.
Per
fortuna in quei quindici giorni
casa sua era stata costantemente in preda della presenza di Jimmy.
Eloyn
poteva dire che in quei giorni Jimmy era stato la sua salvezza e con
il tempo aveva imparato a conoscerlo, nei momenti in cui Chelsea
faceva la doccia o si assentava per altri motivi; avevano instaurato
un rapporto di amicizia che andava oltre ogni aspettativa di
entrambi. Eloyn in quel momento più di tutti aveva bisogno
di
qualcuno diverso da Chelsea con cui confidarsi, qualcuno che sarebbe
stato in grado di capirla, ascoltarla e aiutarla, per forza di cose
uno più forte di lei, uno come Jimmy.
In
quei quindici giorni avevano parlato molto di loro stessi, si erano
conosciuti e si erano raccontati ognuno le proprie storie e, oltre a
questo, di tanto in tanto, veniva fuori l'argomento Zacky. Al
contrario di come si possa pensare non era un argomento
Tabù, anzi,
tutt'altro; Eloyn era sempre felice di sfogarsi sotto questo punto di
vista. Dal canto suo Jimmy le diceva che dal giorno che si erano
visti Zacky era cambiato, per quanto impercettibilmente, ma era
cambiato; Jimmy non poteva non attribuire questo cambiamento al
comportamento che aveva assunto Eloyn quindici giorni prima. Quello
che però Zacky non aveva ben capito era che quello di Eloyn
non era
stato un rifiuto ma semplicemente una implicita richiesta di aiuto;
forse fin troppo implicita.
«
Te l'ho detto Jimmy, io ho paura. Ho questa fottutissima paura di
buttarmi. Voglio innamorarmi ma non ce la faccio, e a dare peso al
tutto c'è il fatto che lui non è uno qualunque,
lui è il ragazzo
che ho venerato per una vita intera.. »
«
Eloyn, sai meglio di
me che quello di cui eri innamorata non era Zacky che hai conosciuto
l'altra volta, me l'avevi detto tu stessa.. Non puoi paragonare
l'adorazione di una ragazzina a un sentimento vero e proprio! E poi
lascia che ti dica una cosa, quello di cui hai paura è di
perdere il
controllo. Ormai ti conosco abbastanza da poter dire che sei una
perfezionista, vuoi che tutto sia sotto il tuo assoluto controllo, ma
per tua sfortuna nella vita non funziona così.. un rapporto
va
vissuto in due e se ti buttassi, adesso come adesso, sono sicuro che
Zacky sarebbe ben felice di reggere parte del tuo peso
finché non
avrai superato i tuoi problemi.. »
«
Come lo sai? »
«
Senti, lo so e basta; lo conosco e vedo che è davvero
interessato a
te, forse sei la ragazza che lo ha interessato di più negli
ultimi
dieci anni, glie lo si legge in faccia.. »
Quello
che le piaceva di più di Jimmy era la sua
capacità di leggere
dentro agli occhi delle persone; la sua era una dote innata e, almeno
per lei, ci aveva sempre azzeccato.
E
così Jimmy era diventato
il suo migliore amico e il fidanzato di Chelsea; era entrato nella
loro vita come un uragano, aveva messo un po' della confusione che
serviva ad entrambe le ragazze per lanciarsi completamente in quella
nuova vita.
Secondo
Eloyn, Chelsea non aveva ancora preso del
tutto coscienza della situazione; la prendeva con troppa leggerezza,
con troppa naturalezza. In realtà lo faceva semplicemente
perché
aveva imparato a vedere Jimmy sotto un altro aspetto; da un giorno
all'altro era passato dall'essere 'The Rev', il fantastico batterista
del suo gruppo preferito, all'essere semplicemente Jimmy; quel Jimmy
che per lei c'era sempre, quello con cui passava la maggior parte
delle notti, quello con cui aveva avuto la sua prima volta e anche lo
stesso Jimmy che le faceva battere il cuore all'impazzata solo con un
semplice sguardo. Chelsea aveva un animo romantico per natura e non
poteva non assaporare ogni istante in sua presenza: quando la
abbracciava o anche se la sfiorava solamente, le venivano i
brividi e il suo sguardo si faceva assente, quei due si erano trovati
quando ne avevano più bisogno entrambi.
Nonostante
questo, la
situazione era comunque precaria. I ragazzi erano presi dalla
scrittura del nuovo CD e si erano completamente dimenticati di cosa
significasse avere rapporti al di fuori del gruppo. Questo escludeva
ovviamente Jimmy e Zacky che, chi per un motivo, chi per un altro,
avevano ben impressa in testa la presenza delle due ragazze.
Quella
situazione a Zacky faceva quasi comodo; dal suo punto di vista Eloyn
lo aveva respinto e questo aveva aiutato a sotterrare la sua
autostima anche se, dopo quel fatidico giorno, Eloyn non se n'era mai
andata dai suoi pensieri.
Jimmy
aveva da un po' cominciato a
mostrare segni di fastidio nei confronti di quella situazione
precaria; in qualche angolo della sua mente l'idea che le ragazze
potessero entrare definitivamente nelle loro vite, come loro compagne
di avventure e di tour, lo faceva sentire come un bambino con le sue
caramelle. Allora decise di mettersi in moto e cambiare l'assetto
delle cose: organizzò un'uscita tutti insieme per far
incontrare
Eloyn e Zacky e ne avrebbe approfittato anche per far rincontrare la
band con le ragazze.
Eloyn
dapprima fu contraria ma lo sapeva
anche lei che alla fine avrebbe ceduto alle moine di Jimmy. In fondo
la sua volontà gli diceva di accettare senza esitazione,
avrebbe
dato qualunque cosa per poter vedere Zacky un'altra volta, ma pensava
che cedere subito avrebbe significato mettere da parte il suo
orgoglio e mostrarsi vulnerabile, l'ultima cosa che lei avrebbe
voluto; perciò ci girò intorno per qualche giorno
e alla fine
cedette e andò alla cena.
Fu
una cosa piccola: giusto i membri
della band e le ragazze; cena da asporto e film horror a coronare la
serata. Quello che preoccupava di più la mora era il film,
non tanto
la compagnia di Zacky; i film horror erano la principale causa delle
sue notti insonni, ne era davvero terrorizzata.
A
parte
l'imbarazzo iniziale tra Zacky ed Eloyn, la serata
incominciò bene;
i due cominciarono a rilassarsi solo dopo mezz'ora, e a scambiarsi
qualche battuta solo a cena finita.
In
quei giorni di confessioni
con Jimmy, Eloyn era arrivata alla conclusione che se voleva
concludere qualcosa avrebbe dovuto assolutamente parlare con Zacky
delle sue preoccupazioni. Jimmy l'aveva caricata di coraggio e di
fiducia, era pronta per buttarsi, anche se le sue paure le
attanagliavano lo stomaco al solo pensiero.
Avevano
organizzato
tutto Eloyn e Jimmy: a cena finita Eloyn avrebbe chiesto a Zacky di
parlare e sarebbero andati a fare un giro in giardino dove sarebbero
potuti stare in pace senza essere disturbati da nessuno. Ma
ovviamente non andò così: a Eloyn
mancò il coraggio e non si fece
avanti; Jimmy aspettò fino all'ultimo minuto prima di
prenderli
entrambi per le braccia e trascinarli verso la porta-finestra del
terrazzo della cucina:
«
Allora mettiamo in chiaro le cose;
Eloyn, tu sei una vigliacca ma questo lo sapevo già. E tu
Zacky sei
un coglione perché non hai capito nemmeno uno dei messaggi
impliciti
che ho cercato di mandarti in questi giorni. Ecco, l'ho detto..
» e
li teneva ancora ben stretti per le braccia prima di varcare la
soglia della finestra e portarli entrambi fuori. I volti di entrambi
stupiti e impauriti come due cuccioli di gatto in mezzo alla strada.
« ...ora voi starete qui finché non vi sarete
chiariti e voglio che
quando uscirete vi parlerete come persone civili, ok? Ecco il mio
cellulare, quando avete fatto chiamate il numero di casa »
Appena
finito di dettare ordini, Jimmy scomparve dietro il vetro della
finestra e, a seguire, un rumore sordo di una maniglia che veniva
girata con insistenza fece capire ai due che erano in trappola.
Quando
neanche rimanere ad ascoltare i passi di Jimmy che si
allontanavano dalla parte opposta del muro poteva distrarli dal
guardarsi in faccia , cominciò l'imbarazzo. Entrambi
sembravano
intenti a fissarsi le punte delle scarpe, soprattutto Zacky.
Eloyn,
dopo alcuni istanti di immobile silenzio, alzò lo sguardo e
cominciò
a squadrare da capo a piedi il terrazzo: la parete della casa e il
piccolo muretto che fungeva da ringhiera erano in mattoncini rosso
chiaro, non c'era nessun tetto sopra le loro teste perché si
trovavano all'ultimo piano di quella villa il cui giardino
assomigliava più ad una riserva naturale, sopra le loro
teste la
notte nera sovrastava l'ampio giardino gremito di pini. Sul terrazzo
c'erano due sedie in plastica bianche accostate al muro, mentre dalla
parte opposta coronava l'atmosfera perfetta un divano a
dondolo.
Eloyn
ricordò le parole di Jimmy: "..forse lui sarà
disposto a portare anche il tuo peso per un po'..", e prese
coraggio. Si spostò verso il divano a dondolo e ci si
sedette,
facendo cenno al ragazzo di sedersi accanto a lei. « Ti devo
parlare.. » le tra parole famose, quelle che possono
cambiarti la
vita, stravolgerla o distruggerla, segnano il confine netto tra
quello che c'era prima e quello che c'è stato dopo, erano
anche le
parole che Justin aveva usato quando aveva lasciato Eloyn e adesso
pronunciarle ad un altro le faceva un po' impressione « ...di
quello
che è successo l'altra volta » Zacky si fece rosso
in volto e suoi
battiti accelerarono ancora di più, annuì e si
sedette accanto alla
ragazza facendo oscillare leggermente il divano. Appoggiò la
schiena
e si concentrò sul cielo stellato cercando di mantenere il
suo
autocontrollo. Intanto, Eloyn aveva iniziato a fissare il pavimento
con una certa insistenza.
«
Ecco.. tu mi piaci » Zacky sorrise e
abbassò lo sguardo scontrandosi bruscamente con gli occhi di
lei,
verdi e bellissimi « ..ma.. Jimmy mi ha detto che l'altra
volta hai
pensato il contrario.. »
Ora
Zacky stava mentalmente maledicendo
Jimmy per non aver tenuto chiusa quella sua boccaccia quando si
ricordò che se non fosse stato per lui loro probabilmente
avrebbero
continuato ad osservarsi da lontano per tutta la serata: «
Non è
che la tua reazione dava spazio a tante altre interpretazioni..
»
Zacky
non voleva dirla così fredda, ma questo uscì
dalla sua bocca forse
a simboleggiare il suo orgoglio ferito.
«
Lo so, ma in realtà
non è così, è che Jimmy ha
fottutamente ragione, io ho paura di
prendermi le mie responsabilità, ho paura di dover
sorreggere un
peso troppo grande.. io ho solo paura di buttarmi » ancora il
suo
sguardo era attaccato al pavimento. Si fece coraggio e si
sforzò di
raccontare tutto il suo passato: di Justin e di come l'aveva
abbandonata a se stessa, dell'amore che c'era prima, e del vuoto che
aveva lasciato dopo; raccontò ogni dettaglio, ogni
particolare,
forse più per se stessa che per Zacky; in quel terrazzo,
ripercorse
gli ultimi tre anni della sua vita e, mentre parlava, si rese conto
di tante cose; stava raccontando una storia che sembrava la storia di
una perfetta imbecille. E quell'imbecille era proprio lei.
Parlò,
parlò tanto e senza stancarsi; le parole le fluivano via
dalla bocca
da sole, senza comandi. Intanto Zacky ascoltava imperterrito annuendo
ogni tanto «.. pensavo che forse, con una mano da parte tua,
io
potrei riuscire a superare certi blocchi..forse.. perché tu
mi
piaci, mi piaci sul serio » alla fine del suo racconto Eloyn
era
quasi in lacrime e disse le ultime parole quasi in un sussurro. Aveva
la gola leggermente secca per aver parlato tanto e anche per
l'agitazione nell'attesa di una risposta da parte di quel ragazzo
davanti a lei, dagli occhi incredibilmente belli. Si sentì
quasi una
stupida: un mese prima era una ragazza qualunque di una grigia
Washington, e adesso era seduta lì e stava raccontato la sua
vita al
ragazzo che le aveva rubato i sogni da ragazza. Era tutto
così
irreale.
Ci fu un
attimo di silenzio in cui si sentirono solo i
loro respiri.
«
Ne sarei onorato » e un sorriso a trentadue
denti comparì sul volto di Zacky che, da quel momento, fu la
persona
più felice della terra. Zacky cercò di
avvicinarsi lentamente alla
ragazza, quasi involontariamente; la sua storia l'aveva emozionato e,
ai suoi occhi, Eloyn adesso compariva come un cucciolo ferito di cui
sentiva il bisogno di prendersi cura, la sentiva sua.
Furono di
nuovo a pochi centimetri di distanza, come quindici giorni prima, e
allo stesso modo la ragazza avvertì il pericolo; si
alzò di scatto
e prese a gesticolare in modo nervoso: « Bè adesso
sarebbe il caso
di chiamare Jimmy, hai il cellulare? »
«
Si, lo chiamo subito »
Certo, che pretendeva? Lei gli aveva appena rivelato le sue paure e
lui pretendeva quel bacio tanto agognato? Sarebbe stato troppo
facile.
Chiamarono
il batterista che li fece rientrare,
accompagnandoli con uno dei suoi sorrisi migliori e lanciando
occhiatine ad entrambi che, di rimando, lo ignoravano. Comunque Jimmy
sapeva che avrebbe saputo tutto a tempo debito.
«
Avete fatto
giusto in tempo per l'inizio del film, stavamo per cominciare senza
di voi.. »
Così
tutti si accomodarono in salotto, chi sul
divano, chi per terra.
Zacky si
mise seduto sul divano più
piccolo accanto a Eloyn che si era tolta le scarpe e si era
rannicchiata nell'angolo opposto più lontano a Zacky,
abbracciata ad
un cuscino e con la faccia coperta per metà.
Zacky la
guardò un
attimo: era terrorizzata. Rise e scosse la testa, era quasi ridicola.
« Non puoi avere così tanta paura per uno stupido
film! » gli
disse mentre Johnny era intento a far partire il lettore DVD.
«
Sta' zitto Vengeance! » gli urlò contro la mora,
realmente
terrorizzata e ancora scossa per la chiacchierata di prima.
Più
il film andava avanti e più Eloyn sentiva di voler morire;
la paura
aumentava sempre di più e la rendeva tesa come non mai. Ad
un tratto
un mostro schifoso spuntò fuori da dietro l'angolo nel film
e la
fece sobbalzare; istintivamente andò a riparare la propria
testa tra
il divano e la schiena di Zacky che, con un gomito appoggiato al
bracciolo, venne scosso dai suoi mille pensieri. Improvvisamente si
ritrovò l'altro gomito sopra alla testa della ragazza che
tremava di
fianco a lui: gli fece davvero tenerezza; sembrava una scena di un
film comico ma gli venne comunque istintivo di cingerla con un
braccio.
«
Ma dai, è solo uno stupido film! »
A
questo gesto Eloyn si irrigidì, ma fece comunque come Zacky
la
guidava: strisciò lungo il suo petto e andò a
posare la sua testa
sull'incavo del collo di Zacky.
Sono
gesti che non hanno bisogno di parole, qualsiasi verbo potrebbe
distruggere quel clima precario che si crea intorno alle persone e
rovinare tutto. Perciò non dissero niente e improvvisamente
la loro
attenzione si spostò dal film a chi avevano vicino; Eloyn
guardava
lo
schermo ma non riusciva a vedere oltre una serie di immagini non
definite in movimento; il suo cuore aveva cominciato a battere a
mille e la paura cominciò a farsi sentire; cercò
di farsi forza e
questa volta di non tirarsi indietro.
Voleva
davvero uscire dal quella situazione statica che era la sua vita, lo
voleva con tutta se stessa.
Zacky
sentiva il suo respiro
solleticargli il collo e aumentare sempre di più insieme al
battito
del suo cuore.
La
verità è che gli sembrava fragile e in quel
momento niente poteva
permettersi di andare storto.
In
una vita costellata di ragazze da poco, reggiseni di pizzo e notti
insonni, Zacky se ne rese conto: lei poteva
essere la sua opportunità di tornare a vivere sul serio.
Zacky
la abbracciò e le accarezzò la testa con una
mano, la strinse forte
come a voler dire "io ci sono" e infatti Eloyn lo sentiva
forte e chiaro, era la sensazione più bella di una vita
intera.
Chiuse gli occhi e si abbandonò nel tepore del suo corpo
affondando
nel suo profumo.
Mezz'ora
prima della fine del film Zacky si
accorse che Eloyn stava dormendo.
Dio,
com'è bella,
pensò.
Chelsea
sarebbe rimasta ancora un po' con Jimmy, forse
ancora per molto, così Zacky decise di riportarla a casa e
di
rimanere con lei fino al ritorno dell'amica; in realtà la
scusa di
non volerla lasciare sola non reggeva molto bene: tutti si erano
accorti che era solo un pretesto per rimanere con lei più
tempo
possibile.
Eloyn
per Zacky stava diventando come un droga, se ne
era accorto dal primo giorno che l'aveva incontrata; improvvisamente
tutto intorno a lui si era fatto moto insignificante, sicuramente
più
insignificante di lei. E di quegli occhi verdi di quella bocca
rossa. E del suo attorcigliarsi nervosamente una ciocca di capelli
tra le dita.
«
.. tu Chelsea tanto stai qui per un po', no? » le
disse quasi supplicandola.
«
Sì Zacky, sto con Jimmy; credo che
tornerò per le cinque o forse le sei. Potrei anche non
tornare.. »
disse con tono malizioso guardando Jimmy che intanto annuiva
divertito. Quei due, da quando si erano conosciuti, non erano mai
stati lontani per più di dodici ore consecutive; forse si
amavano,
ma ancora non lo sapevano, o meglio, non se ne rendevano conto.
«
Allora porto a casa Eloyn. Ragazzi, sto con lei finché non
torna
Chelsea, ok? »
«
Basta che torni in tempo per domani, dobbiamo
fare l'arrangiamento della canzone nuova.. »
Zacky
prese in
braccio Eloyn stando attento a non svegliarla. Le prese la borsa e se
la mise in spalla.
«
Ei Vee. Quella borsa ti dona! » esclamò Matt
divertito.
Poco
meno di diaci minuti dopo erano arrivati.
«
Dove siamo..? »
«
Ti ho riportata a casa.»
La
ragazza si girò su un fianco e
riprese a dormire, mentre Zacky spegneva il motore. La prese in
braccio, dove lei si accoccolò dolcemente facendo stringere
lo
stomaco di Zacky. Le prese le chiavi dalla borsa e, con un po' di
difficoltà, aprì la grande porta di legno
intagliato che li
divideva dell'interno della casa.
Salì
le scale ed entrò in una
stanza a caso, non sapendo dove fosse quella della ragazza.
Era
una grande stanza tutta bianca e panna, accostato al muro c'era un
enorme letto a baldacchino dove fece sdraiare Eloyn senza neanche
metterla sotto le coperte. Si sdraiò stancamente accanto
alla
ragazza e incrociò le mani sotto la testa mentre fissava il
vuoto
sopra di lui.
Passarono
le ore senza che Zacky se ne accorgesse;
Eloyn intanto aveva cambiato posizione e ora stava usando il petto di
Zacky come cuscino.
Il suo
gesto aveva colto inizialmente Zacky
di sorpresa e aveva fatto aumentare il suo battito cardiaco, ma poi
ci si era abituato e aveva iniziato ad accarezzarle i lunghi capelli
quando qualcuno aprì leggermente la porta.
«
Zacky, sono tornata, se vuoi puoi andare »
bisbigliò Chelsea dalla
fessura della porta che aveva fatto entrare in piccolo fascio di luce
dal corridoio illuminando i profili dei due ragazzi distesi sul
letto. Ora Zacky poteva vedere bene il profilo di Eloyn: rimase
interdetto per qualche secondo prima di rispondere alla ragazza.
«
Ok, adesso vado » la ragazza richiuse la porta e se ne
andò.
Zacky
fece per alzarsi facendo attenzione a non far svegliare Eloyn: non ci
riuscì.
«
D-dove vai? .. » Eloyn alzò la testa e lo
trattenne
leggermente per un lembo della camicia a quadri. Sembrava turbata ma
probabilmente era ancora con un piede nel mondo dei sogni.
«
El,
devo andare, è tornata Chelsea »
«
No, rimani anocra un po'.. sto comoda! »
Zacky
non si fece
pregare; tornò al suo posto così che Eloyn
potesse di nuovo
rimettersi a posto.
«
El? »
«
mm? »
Silenzio.
«
...perché? »
Eloyn
alzò di nuovo la testa e si stropicciò gli
occhi con una mano: era ancora assonnata.
«
Perché cosa? »
«
Perché mi hai chiesto di restare? »
«
Non lo so.. magari è
perchè sto bene con te.. »
Di
notte si riesce a dire ciò che di giorno non si potrebbe.
Di
notte i nostri più intimi pensieri vengono alla luce e
trovano una
via d'uscita: le nostre parole.
Così,
anche quella notte, Eloyn aveva detto ciò che non avrebbe
mai
immaginato di poter dire; aveva una paura quasi ossessiva che Zacky
avrebbe potuto lasciarla da un momento all'altro, che anche lui
avrebbe potuto lasciarla sola in balia del mondo.
Era
una cosa al
cui solo pensiero Eloyn si sentiva morire dentro, forse
perché il
dolore di certe perdite lei lo aveva provato su se stessa, forse
perché sapeva come ci si sentiva ad essere abbandonati.
Non
era
un amore sano, questo lei lo sapeva bene, ma era un sentimento
impossibile da ignorare, perlomeno non in quel momento, non in quella
stanza buia, non quella notte.
Eloyn
continuò a concentrarsi sul
battito cadenzato del suo cuore, sul calore del suo corpo e sulla sua
presenza.
Zacky
era lì adesso, era lì con lei e per quel
momento non l'avrebbe lasciata.
In
poco tempo riuscì ad assopirsi cercando di convincersi che
nessuno
l'avrebbe più lasciata sola. Mai più.
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Capitolo 5 *** 4 - Continua a sorridere ***
©
Amor vincit omnia.
14
Ottobre 2009, Huntington Beach
Per
Eloyn il Martedì mattina era sempre stato il giorno
più pesante e
faticoso della settimana. Non aveva lo sprint del lunedì e
neanche
le voglia di tirare avanti dei giorni tra il mercoledì e la
domenica, è semplicemente un grigio e banale
martedì.
Era
ormai da qualche giorno che le due ragazze avevano iniziato a
lavorare in un piccolo bar sulla spiaggia proprio davanti a casa di
Matt – dove i ragazzi passavano la maggior parte del loro
tempo –
un po' per il caso e un po' per il volere di Eloyn che sosteneva
fieramente fosse colpa del destino, e non potevano non lamentarsi di
quanto fosse noioso lavorare in una città splendente di sole
come
Huntington Beach.
Lavoravano
alle dipendenze di una grassa, ricca e alquanto antipatica signora,
la quale non era neanche troppo severa con le giovani che si
trovavano evidentemente inesperte nel campo di quello che definivano
“servire ai tavoli portando in mano pericolosi aggeggi
pesanti e
barcollanti” – che poi non erano altro che piatti
da lavare o
bicchieri da servire - “stando attente a non far cadere
niente se
non si vole essere puniti severamente” – e la
punizione
consisteva nel ripulire il macello fatto e avere meno stipendio alla
fine del mese.
Era
ovvio che quel lavoro non faceva proprio per loro. Abituate ad una
vita di privilegi tra la borghesia di Washington DC, erano cresciute
come due bambine viziate e venerate. Solo meno antipatiche.
Quella
che di più si trovava in difficoltà senza era
senza dubbio Chelsea
che all'apparenza poteva benissimo rispondere al nome di 'Barbie
senza cervello'. O almeno così era come tutti l'avevano
sempre
additata a scuola e anche nella società stessa. Quello che
pochi
avevano capito era che la sua testa non serviva solo per portare i
capelli, ma che conteneva un cervello perfettamente in grado di
funzionare.
Comunque
sia Chelsea non si era mai fatta condizionare più di tanto
da ciò
che si vociferava nella sua città; certo, essere additata
come una
stupida viziata era comunque un dispiacere, ma grazie proprio alla
sua intelligenza aveva capito che non ne valeva la pena e che sarebbe
stato meglio andare avanti per la propria strada. In quella giungla
d'asfalto che era Washington aveva sicuramente imparato a vivere.
Nemmeno
i suoi genitori si erano mai accorti delle sue innate doti per i
calcoli rapidi, e forse nemmeno la stessa Chelsea se ne era mai
accorta, ma fu proprio grazie a questa dote che il suo primo incarico
fu quello di stare ferma alla cassa e fare i conti ai clienti. Per
Chelsea equivaleva al lavoro migliore che le sarebbe potuto capitare.
Già si immaginava seduta sul suo sgabello di legno a non far
nulla.
Magari a leggere un po' o a giocare con la playstation. Quello che
Chelsea non poteva nemmeno immaginare era con quanta
velocità un
cliente fosse capace di finire la sua consumazione e andare alla
cassa a pagare. Proprio per questo quel ''lavoretto'' che si era
prospettato come un gioco da ragazzi la fece finire sul lastrico
della pazienza e con qualche goccia di sudore a imperlarle la fronte.
Nel
frattempo Eloyn si dimenava violentemente tra i tavoli cercando
–
assolutamente – di non far cadere i piatti
e le bevande, il
tutto cercando di reggersi in piedi con due paia di pattini a due
file ai piedi; cose del genere a Washington non si erano mai viste in
nessun bar, e anche il caos che la gente era capace di procurare su
una delle coste più pacifiche del pianeta era una cosa il
cui senso
sfuggiva alle due ragazze.
Quel
giorno in particolare sembrava essere, secondo Eloyn, uno dei
più
afosi e torridi dell'inverno Californiano – il che era tutto
un
dire, non osava nemmeno immaginare come potesse essere d'estate
–, proprio per questo una folla di gente aveva inondato il
locale subito
dopo la consueta apertura mattutina.
Dopo
incalcolabili ore passate, come al solito, a fare avanti e indietro
tra i tavoli apparecchiati all'estero e la cucina, Eloyn sentiva la
testa in fiamme e un'imminente voglia di togliersi pattini e divisa e
correre giù per la spiaggia per tuffarsi in quel mare
così
cristallino che dall'inizio della spiaggia, proprio dove era situato
il piccolo bar, era così invitante.
Purtroppo
tutte le fantasie di una Eloyn mezza addormentata in piedi in mezzo
al passo, vennero brutalmente scosse dalla profonda voce del capo che
la richiamava a gran voce a tornare con la testa sulla spalle.
«
Sì, Annie! Scusami! Torno al lavoro! » rispose
Eloyn di malavoglia,
tornando dritta in piedi e voltandosi verso il bancone. Mise sopra al
ripiano i piatti con gli avanzi e i bicchieri sporchi e vi si
appoggiò con il gomito destro osservando, ancora un volta,
il mare
cristallino.
«
E non chiamarmi mai più “Annie”!
» sottolineò l'altra in tono
insopportabile, facendo scuotere nuovamente Eloyn che si alzo da
quella posizione così comoda per prendere in mano le nuove
ordinazioni e avviarsi frettolosamente verso i tavoli.
Effettivamente
si era dimenticata che quel soprannome, per qualche strano motivo,
infastidiva la grande donna che sostava nullafacente su uno sgabello
accanto alla cassa. La donna in questione preferiva di gran lunga il
più pomposo e a sua detta degno di rispetto 'Annalise' che
poi,
secondo Eloyn, non aveva niente di così grandioso come lei
credeva.
«
..mi chiedo come tu faccia a sopportarla. » due braccia
cinsero la
vita della ragazza che sobbalzò pericolosamente, rischiando
di
rovesciare tutte le portate che aveva in mano, mentre riconosceva
perfettamente la voce del ragazzo che le aveva appena sussurrato
all'orecchio. Ebbe un brivido impercettibile.
Non
si era ancora del tutto abituata a quella sensazione, quella di avere
qualcuno con cui condividere pezzi della sua vita, anche i
più
banali come quello. Era una cosa che le metteva paura e un'angoscia
insostenibile, a volte.
Cercò
di mandare via dalla testa quei pensieri e si concentrò di
nuovo sul
suo lavoro.
«
Ehi, Baker! 'giorno! ..ora ti dispiacerebbe lasciarmi continuare a
lavorare? » disse Eloyn in tono di sfida ma sempre con il
sorriso
sulle labbra.
In
qualche modo, le piaceva stuzzicarlo con battutine del genere, la
mettevano sulla difensiva evitando però di farla sembrare
scontrosa,
anche se un fondo di verità c'era sempre, le veniva naturale.
«
Vedi di non farmi arrabbiare, eh? » e Zacky
sfoderò quel suo
sorriso malizioso che sapeva avrebbe mandato nel caos la mora.
«
Quando stacchi vieni a casa mia? » riprese.
Eloyn
poteva dirsi abituata a domante del genere da parte sua, erano ormai
due settimane che continuavano a frequentarsi incessantemente e non
erano state poche le volte in cui erano rimasti da soli. E invece non
era così ed Eloyn rimaneva fermamente convinta che non si
sarebbe
mai abituata a quel tuffo al cuore che la coglieva ogni volta che
Zacky si sporgeva un po' di più. Era una cosa che lei non
era in
grado di controllare.
«
Suppongo di no. Chelsea mi ha già detto che la macchina la
prende
lei, oggi. Credo vada a casa di Jimmy » lo disse in modo un
po'
deluso perché non era proprio quella la giornata giusta per
stare
lontana da Zacky, proprio per niente.
Zacky
stava diventando indispensabile per Eloyn e questo la spaventava
perché si sentiva vulnerabile. Aveva la sensazione che
stessero
correndo troppo. Erano quattordici giorni che praticamente vivevano
insieme, anche se la relazione ancora non era andata oltre i semplici
baci o le semplici coccole.
«
ELOYYNN! » sta volta fu una voce più acuta a
replicare, sempre la
voce di Annie che rischiava di spazientirsi e che scatenò in
Eloyn
l'improvvisa e totalmente impulsiva voglia di scaraventargli in
faccia uno dei piatti che teneva in mano, e che interruppe Zacky
proprio nell'istante in cui il suo cervello aveva connesso con la sua
bocca.
«
Ok, ora devo andare » Eloyn fece per voltarsi ma non fece in
tempo
perché la mano di Zacky le afferrò un braccio e
la costrinse a
voltarsi avvicinandola un po' a lui così da permettergli di
salutarla con lieve bacio a fior di labbra.
Certi
gesti prendevano in contropiede la ragazza che rischiava sempre,
tutte le volte, di svenire al suolo.
In
questo caso la aiutarono solo a rimanere con la sua solita faccia da
allocco a fissare un punto imprecisato del viso di Zacky, cosa che
suscitò grande divertimento nel ragazzo.
Così
accennò un sorriso e se ne andò.
«
Allora ti passo a prendere io appena stacchi, ci vediamo qua davanti!
» pose fine Zacky ai conflitti interiori di Eloyn sul come
fare
per vedere Zacky dopo il lavoro.
E
la lasciò lì a contemplare il vuoto per qualche
secondo fino a che
la sua coscienza la obbligò a tornare al lavoro prima che
Annie
decidesse di licenziarla al volo.
«
Vacci piano.. » una voce irruppe all'improvviso tra i
pensieri di
Eloyn. Era quella dell'amica Chelsea che parlava da dietro di lei
mentre era intenta ad appoggiare i piatti sporchi nel lavello della
cucina del bar.
Eloyn,
che era appoggiata con tutto il suo peso sul ripiano in marmo accanto
al lavello, dava le spalle all'amica e fu costretta a voltarsi. Era
di nuovo persa in mille paranoie e in altrettante fantasie; lo
sguardo perso nel vuoto di chi sogna ad occhi aperti.
In
quel periodo pause del genere erano all'ordine del giorno e la
concentrazione scarseggiava sempre di più. Questi attimi di
perdizione non erano sfuggiti all'occhio attento di Chelsea che era
sempre molto attenta ai movimenti dell'amica. Era sempre stata
protettiva di natura, soprattutto nei confronti delle persone a cui
voleva bene, e per questo veniva sempre additata come supervisore
delle situazioni. Tali supposizioni erano sempre state per lei
impossibili da smentire; era una maestrina nata e le piaceva esserlo,
non c'era niente da nascondere.
«
A che ti riferisci? » Eloyn non poteva davvero indovinare da
dove
potesse essere stata scaturita l'improvvisa preoccupazione di
Chelsea.
«
..a te e Zacky! »
«
Che intendi dire? »
«
Intendo dire che se non allentate la presa basterà niente a
farvi
crollare.. »
«
Cosa te lo fa pensare? » Eloyn cominciava ad innervosirsi.
Certi
discorsi fatti da lei potevano solo simboleggiare tanta tanta
ipocrisia. Infondo, chi era lei per dirgli di mollare la presa? Anche
lei e Jimmy si vedevano di continuo eppure Eloyn non era spuntata dal
nulla mettendo becco negli affari loro.
«
Senti, ci sono passata tante volte da poter dire che non è
un
fattore che cambia a seconda dei soggetti, è così
e basta. Io faccio sempre lo stesso errore, ogni volta, anche adesso
con Jimmy,
ma è un mio difetto e non ne posso fare a meno. Ma tu no,
sei ancora
in tempo. Non far finire tutto; era da un po' che non ti vedevo
così
felice. » e un sorriso apprensivo coronò quella
frase da perfetta
“mamma preoccupata”.
«
Sì, mamma! » Tagliò corto Eloyn che ne
aveva davvero abbastanza di
avvertimenti e precauzioni, voleva viverla fino in fondo, non
chiedeva altro.
Intanto
Chelsea fu risvegliata dalle sue stesse parole. E se avesse
sbagliando tutto con Jimmy? Se fosse finita tutta in tragedia
un'altra volta?
Era
lei quella che stava correndo, non solo Eloyn. Entrambe erano
arrivate ad un punto di non ritorno, e quando lo avrebbero superato
sarebbe successo qualcosa che avrebbe sconvolto le loro vite. La loro
vita aveva preso una piega assurda, quasi sbagliata per certi versi.
Quello
che non le quadrava era il non essersi ancora pentita di aver corso
così tanto con Jimmy. Adesso si trovava con il fiato corto
per il
trambusto che la sua vita aveva generato, e ne era inspiegabilmente
felice. Chelsea sapeva che lui sarebbe stato l'ultimo.
Era sicuramente presto per trarre qualsiasi conclusione che, a mente
lucida, sarebbe venuta sicuramente meglio, ma una delle poche cose
che aveva imparato dalla vita era vivere ogni attimo come se fosse
l'ultimo ed era quello che stava facendo. Si stava immergendo
completamente in quella nuova vita che l'aveva travolta come un
ciclone, si stava lasciando trasportare, noncurante delle
conseguenze, e grazie a questo si sentiva bene davvero come non si
era mai sentita. Allora come poteva tutto questo essere in
qualche
modo sbagliato? Chelsea non sarebbe riuscita a darsi una
risposta
entro al fine della mattinata e neanche oltre, ne era sicura.
Dal
canto suo Eloyn cominciava a capire i lati di Chelsea che odiava.
Primo
su tutti era il suo modo subdolo di entrare nel cervello delle
persone; anche con una sola frase era capace di distruggere un intero
equilibrio nella mente di qualcuno come se niente fosse, e non
bastava ignorarla, o comunque sia non ci si riusciva; le sue parole
avrebbero continuato a fluttuare nelle teste delle persone fino alla
morte.
La
seconda cosa che odiava di lei è che aveva sempre, fottutamente,
ragione.
Qualche
ora e molti piatti sporchi dopo, il turno di lavoro di Eloyn, per
quel giorno, era finito.
Conscia
del fatto che il ritardo cronico di Zacky si sarebbe fatto sentire
anche questa volta, si era seduta sul muretto del marciapiede che
costeggiava la spiaggia, in attesa.
Ogni
volta che si fermava un attimo a pensare, come ogni volta che si
prendeva qualche secondo di pausa da quella nuova vita frenetica che
l'aveva sorpresa, si accorgeva di quanto stesse bene. In momenti come
quello, quando il caldo torrido di Huntington e il sole che le
picchiava sulla testa le invadevano i pensieri, si chiedeva cosa
avesse fatto per meritarsi tutto quello. A volte pensava che mesi e
mesi di sofferenza fossero stati il prezzo da pagare, ma in tutta
quella storia era convinta che ci sarebbe stato qualcosa di
più da
dover sopportare in cambio di quella felicità. Qualcosa che
rimaneva
nascosto, in agguato dietro l'angolo, in attesa del momento migliore
per colpire e risvegliarla da quel sogno.
Si
accese un sigaretta sperando di poter cacciare via quei pensieri.
Dopo
qualche minuto, notevolmente in ritardo, un grande suv nero le si
parò davanti. Dal finestrino aperto poteva vedere
chiaramente il
viso contrariato di Zacky che fissava accigliato la sigaretta che
Eloyn stava portando di nuovo alla bocca.
«
Quand'è che la smetterai? ». La voce di Zacky
arrivò alle orecchie
di Eloyn con una lentezza assoluta, colpevoli forse il caldo e il
sole cocente che le impediva di aprire bene gli occhi.
Zacky
odiava il sole, proprio per questo aveva assunto qualsiasi tipo di
precauzione fosse possibile adottare, primi tra tutti un paio di
giganti e scurissimi occhiali da sole per non avere problemi con gli
occhi e per evitare di assumere espressioni assurde come quella di
Eloyn in quel momento: un occhio quasi completamente chiuso, l'altro
socchiuso e il naso arricciato. In qualche modo questa espressione
divertiva immensamente l'altro, la trovava tenera.
Eloyn
aspirò profondamente l'ultimo tiro della sua amata sigaretta
mentre
passava davanti al muso di quella macchina gigantesca.
Sputò
fuori il fumo con tutta la violenza che poteva ostentare e
buttò di
lato il mozzicone consumato. Aprì lo sportello e
salì in macchina
cercando di non far trasparire tutto lo sforzo che quel gesto le
implicava, data l'altezza delle ruote della macchina.
Zacky
sorrise alla vista della ragazza che cercava di ''arrampicarsi'' sul
sedile dell'auto cercando, difficilmente, di nascondere lo sforzo
immane.
«
Ti ricordo che anche tu fumi, Baker! »
«
Quello è diverso.. »
«
Cosa è diverso? » replicò Eloyn con lo
sguardo fintamente
sconcertato.
«
Dai, è diverso e basta. Mettiamola così!
»
«
Ipocrita.. » borbottò lei cercando di non farsi
sentire.
«
Guarda che ti ho sentita! » E lo disse ridendo,
perché mai e poi
mai avrebbe osato ferirla.
Arrivati
a casa di Zacky, Eloyn optò subito per fare un assalto alla
super-fornitissima collezione
di DVD di Zacky, certa di trovare – non così tanto
nascosto dagli
altri –, quello che tutti dicevano fosse il DVD preferito del
ragazzo: Watchmen.
Eloyn,
da brava fan, poteva dire di conoscere perfettamente ogni dettaglio
di ciò che traspariva dai mezzi di comunicazione di massa,
tutto ciò
che di inerente a lui passassero alla TV, radio o internet. Certo,
quando era con lui cercava di nascondere questo suo lato da fangirl
che, ora come ora, non le apparteneva più.
Quasi
rideva ricordando il suo modo di vedere Zacky prima di conoscerlo di
persona. Quello di cui sicuramente si era fatta un'idea completamente
sbagliata; lo aveva idolatrato come una star senza paragoni, ma
quello che i media omettevano era il suo essere un essere umano
esattamente come tanti altri. Aveva imparato a conoscere e a toccare
con mano i compromessi dovuti allo showbiz e si era fatto plasmare.
In
un certo senso era stata quasi delusa da ciò che aveva
trovato in
lui.
Dopo
lo stupore assolutamente irreale del primo impatto, dopo aver quasi
rischiato lo svenimento, tutto era diventato talmente tanto ordinario
che Eloyn poteva ancora sentire quell'emozione tipica di qualsiasi
fan solo se si concentrava a vedere Zacky come
“Vengeance” e a
dirsi “sei in macchina con il chitarrista dei tuoi sogni,
svegliati!”. Per il resto tutto era diventato completamente e
assolutamente normale.
Certo,
il tipo di delusione che aveva provato era paragonabile solo alla
delusione di un bambino che riceve il regalo sbagliato per natale per
poi accorgersi che era meglio di quello che desiderava,
perché Zacky
era davvero molto di più di ciò che lei si
aspettasse.
Quando
Eloyn ebbe finito di scrutare tra i tanti DVD sotto l'occhio curioso
e confuso del ragazzo che sostava appoggiato alla stipite della
porta, prese il DVD che stava cercando e si diresse da lui con lo
sguardo più soddisfatto che avesse mai avuto e
proclamò: « Oggi
guardiamo questo! » che di per sé non è
una frase solenne, ma
detta con quell'espressione e quel tono di voce poteva benissimo
essere paragonata all'annuncio dell'avvento dell'apocalisse.
«
Watchmen? Posso sapere
perché proprio questo? » chiese lui, incuriosito
da qualcosa.
«
Perché me lo chiedi? E' un DVD come un altro.. »
non si divertiva a
mostrare quel suo lato.
«
E' il mio DVD preferito... ma.. questo tu o sapevi già, non
è vero?
» chiese lui con aria sospetta.
«
Ehm, diciamo di si, più o meno.. » rispose Eloyn
assolutamente
incerta e sicura che questo non avrebbe fatto piacere a Zacky.
Al
contrario di ciò che immaginava il ragazzo rispose con un
semplice e
secco “ok” che forse, se interpretato bene, poteva
risultare
peggiore di qualsiasi sfuriata.
Il
fatto che Eloyn fosse una sua ex-fan di quelle accanite non faceva
che peggiorare le cose. La paura di Eloyn era se lui avrebbe potuto
avere dei pregiudizi su di lei, cose che se fosse successa, Zacky
avrebbe sbagliato a pensarla, senza dubbio. Perché, se c'era
una
cosa che Eloyn in quei pochi giorni aveva imparato, era stata vedere
i cinque ragazzi come se fossero degli sconosciuti. Certo, le si
erano sfatati dei miti, ma era molto meglio così che farsi
prendere
dal panico ogni volta che uno qualsiasi di loro la sfiorava, la
baciava o semplicemente le parlava.
Il
film cominciò ed andò avanti per un po' mentre
Zacky, perso nei
suoi pensieri, rimuginava sui presentimenti che quello che era
successo poco prima gli avevano fatto venire. Pensava a come Eloyn lo
potesse vedere. Forse lo vedeva come una star e stava con lui solo
per quello, o forse no. Forse stava con lui solo per i suoi soldi, ma
era improbabile. Ma c'era che si era perso nei meandri del successo e
che se ne stava accorgendo solo adesso che aveva provato a mettersi
nei panni di Eloyn. Era diventato un prodotto, proprio come tanti.
«
Zack? Che hai? » Eloyn era
appallottolata a
mo' di gatto sulla spalla di Zacky che contemplava lo schermo con
aria fin troppo pensierosa, e che venne distratto improvvisamente
come fosse stato svegliato da un bel sogno.
«
Eh? Ah.. no, niente Eloyn, non ti preoccupare » e le
schioccò un
bacio a fior di labbra come rassicurazione.
Così
ognuno rimaneva nel suo territorio e osservava ad un distanza di
sicurezza il preludio di quello che sarebbe potuto
essere,
senza avere il vero coraggio di buttarsi in quel qualcosa
che
aspettava solo loro.
Era
già notte inoltrata quando Zacky si mise davanti allo
specchio del
suo bagno, contemplando i mille tatuaggi sulla sua pelle. Macchie di
inchiostro impossibili da rimuovere; i segni della sua vita, e, a
volte, anche di quella degli altri. Una bottiglia di Jack sul ripiano
a destra lo aspettava invogliandolo a perdere il controllo ancora una
volta. Respirava l'aria attorno a sé, si guardava intorno e
poi di
nuovo allo specchio, e si accorgeva di non essere invisibile, e di
esistere davvero.
Sei
qui, e stai vivendo. Questo bagno, questa casa, è tutto tuo.
Questo
corpo cambiato dalla vita stessa, sei solo tu.
Era
da molto tempo che non pensava davvero alla sua vita da
solo
o a ciò che era lui per se stesso. Viveva ormai da tanto
sotto i
riflettori del palco che era la sua vita e solo ora capiva che non
era mai stato vivo realmente. Tutto quel successo improvviso, il
denaro, musica da scrivere, poi da registrare, i tour, e ancora
successo e così via.. Un circolo vizioso di finte
soddisfazioni che
si fondono con quelle vere, a tal punto che non le distingui
più, e
tutto assume un retrogusto amaro di cui solo in quel momento Zacky si
era accorto.
Prese
la bottiglia e svitò il tappo con tutta la calma che gli era
stata
concessa, ne bevve un lungo sorso e sentì l'alcol bruciargli
ogni
parte sul quale scivolava all'interno della gola.
Ottimo
rimedio per smettere di pensare.
Ci
sono sempre momenti nella vita di una persona in cui le decisioni, i
fatti, le reazioni causa-effetto sono troppe da sopportare tutte
insieme, e senti che il tuo cervello non sopporterà niente
di tutto
questo, e l'unica cosa che sei in grado di fare è scappare
via da
qualsiasi cosa tu non sia all'altezza di risolvere. Sono quei giorni
in cui l'unico rifugio che trovi interessante è la tua amata
bottiglia di Jack Daniel's. Un po' di perdizione basta per
dimenticare tutto, solo per una notte. Sono quei giorni in cui la
voglia di vivere improvvisamente ti abbandona, e anche quella di
pensare, e l'unica cosa che fai è semplicemente non
fare nessuna
delle due.
Da
questa vita si possa solo scappare o di imparare qualcosa.
Lui
stava decidendo di scappare e qualsiasi cosa stesse succedendo, ci
avrebbe pensato domani.
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Capitolo 6 *** 5 - A mezz'aria ***
©
Amor vincit omnia.
15
Ottobre 2009, Huntington Beach
Il
giorno seguente Matt apriva la porta principale di casa di Zacky
sotto richiesta di Eloyn. Infatti, a detta della ragazza, era da
qualche ora buona che lei provava a rintracciarlo senza ottenere
nessun risultato; non rispondeva ai messaggi, né alle
chiamate, né
al campanello di casa. Sparito. La cosa aveva fatto incazzare, e non
poco, il grande e grosso Matt che non tollerava certi comportamenti,
soprattutto sotto scrittura di canzoni. La sua ira aumentò
sicuramente quando, aperta la porta di casa di Zacky con le chiavi di
riserva e arrivato nel soggiorno con Eloyn al seguito, lo
trovò
semi-morente e mezzo-addormentato sul divano, con i soli pantaloni
addosso e una bottiglia di Jack sul tavolino. « ZACKARY!
JAMES!
BAKER!! » era Matt che aveva urlato e se ne erano accorti
anche i
genitori di Eloyn a Washington, sicuramente. Non a caso era il
cantante di una band di successo, la sua voce era portentosa e ora ne
avevano avuto la conferma veramente tutti. Zacky,
spaventato da tanto rumore, si sveglio di soprassalto facendo uno
scatto che lo fece cadere rovinosamente atterra; per di più
la sua
fronte andò ad urtare contro lo spigolo del tavolino.
« Ma porc...
Matt ma che cazzo ti dice il cervello? » riuscì a
bofonchiare tra
un'imprecazione e l'altra, la voce attutita e impastata dalle poche
ore di sonno turbato. Eloyn ridacchiò cercando di non farsi
sentire
da Zacky, era decisamente incazzato e non era il caso di farlo
adirare ancora più del dovuto. Ovviamente i piani di Eloyn
saltarono
in un millesimo di secondo quando lo sguardo di Zacky, che intanto
cercava di rialzarsi mentre con una mano si strofinava la fronte, si
posò su di lei come a voler dire ''con
te faccio i conti
dopo''.
«
Allora, si può sapere che è successo qua dentro
ieri sera? ». In
effetti, solo ora Eloyn si era accorta del disastro che era diventato
quel posto, sembrava che fosse scoppiata una rivoluzione. C'erano
bicchieri vuoti o semi-pieni ovunque, alcuni anche rotti, e ognuno di
essi aveva fatto conoscenza con un tipo di alcolico diverso; il
divano era un enorme ammasso di stoffa e cuscini e c'erano mozziconi
di sigaretta spenti per terra o sui mobili. Ora era Eloyn ad essere
arrabbiata. « Si, infatti. Che è successo ieri
sera qua dentro
Zack? » andò subito dietro a Matt come a volerne
enfatizzare le
parole. Non lo chiamava mai Zack, solo ed esclusivamente quando era
molto, molto arrabbiata. Evidentemente quel giorno lo era.
«
Giuro su mia madre che se non mi dici immediatamente cosa è
successo
ti sbatto fuori dalla band! » Matt era decisamente
incavolato, anche
se non avrebbe mai e poi mai cacciato fuori dal gruppo uno dei
chitarristi migliori che aveva avuto l'opportunità di
conoscere. «
Ecco, se non ci dici subito che hai fatto ti sbattiamo fuori!
»
Eloyn ci stava prendendo troppo la mano con quel giochetto
“ripeti
tutti ciò che dice Shads così sembri
più cattiva”. « Eloyn, non
sembri più cattiva se ripeti ciò che dico
» disse Matt, neanche
gli avesse letto nel pensiero.
«
Si, Eloyn. Non sembri più cattiva se ripeti ciò
che dice »
evidentemente Zacky aveva ancora addosso la sbornia della sera prima.
«
BASTA! » la pazienza di Matt era giunta al termine
« ora io faccio
finta di niente e me ne vado prima che voi due mi facciate diventare
ESAURITO! » effettivamente un po' esaurito ci stava
diventando, si
era capito da quell'ultima parole leggermente troppo accentuata
rispetto alle altre. Così Matt uscì dalla casa
massaggiandosi le
tempie e ripetendo tra se e se, come un mantra, le parole “tu
non
hai visto niente, Matt, niente..”. Ora Eloyn era quasi certa
di
essere capitata nel regno dei pazzi.
«
Mmmh.. » erano le lamentele di Zacky che si teneva la testa
con le
mani. Abituato com'era alle sclerata di Matt aveva imparato ad
ignorarle e si era rimesso sdraiato sul divano cercando di ritrovare
la lucidità per capire almeno ciò che stava
succedendo.
«
Zacky, si può sapere cosa è successo ieri sera?
» Eloyn aveva
abbassato un po' il tono dato che aveva capito che prima di
arrabbiarsi sarebbe stato meglio provarci con le buone a capire
cos'era successo. Evidentemente quelle che per Eloyn erano le
“buone”, per Zacky erano comunque una tortura; ogni
parola nel
suo cervello veniva amplificata all'ennesima potenza e gli rimbalzava
ovunque.
«
Sssssh » cercò di zittirla.
«
Giuro che se non mi dici immediatamente che è successo
inizio ad
urlare.. » lo disse piano in modo che poi, se non avesse
fatto come
lei diceva, il contrasto sarebbe stato ancora più sofferente
per le
orecchie del povero Zacky che intanto era ancora agonizzante sul
divano.
«
Ok, ok..solo.. portami di sopra..ti prego.. » la
implorò Zacky.
«
Si si, solo perché mi fai pena! .. » si
avvicinò a lui e lo
abbracciò sul torace cercando con tutte le sue forze di
tirarlo su,
poi ci ripensò « ..tu credi che io ti
tirerò su a forza? muoviti
dammi una mano! » e tra i lamenti di Zacky riuscì
a tirarlo su dal
divano e a percorrere le scale con il suo peso addosso. Si
sentì
sollevata, e anche soddisfatta, quando riuscì a farlo
sdraiare sul
letto.
«
Sai, Eloyn. Sei molto più di quando mi fossi mai aspettato.
»
Eloyn
era sdraiata accanto a lui e aveva la testa sul suo petto mentre lui
l'aveva appoggiata al cuscino. Si girò di scatto e lo
fissò per un
secondo. « Zacky, sei ancora ubriaco? » In quel
momento le loro
parole erano quasi un bisbiglio nel buio di quella stanza. Poca luce
filtrava dalle tapparelle delle imposte e si rifrangeva sui loro
corpi vicinissimi. Silenzio e il rumore dei loro respiri affannati.
«
Probabilmente sì, non saprei dirlo con esattezza »
il tono vago di
Zacky fece ridere Eloyn che intanto disegnava il contorno dei
tatuaggi di Zacky per quello che la fioca luce le permetteva.
«
Forse è meglio così.. » disse Eloyn.
Per lei in quel momento, la
semi-ubriachezza di Zacky, non poteva che essere di aiuto. Sapeva
molto bene come ci si sentiva il giorno dopo una bevuta come si deve;
ci si sente imbattibili, distrutti fisicamente ma imbattibili dentro.
Sono quei momenti in cui uno si sente in potere di tutto, soprattutto
a parole.
«
Ancora non ti ho detto cos'è successo alla casa.. e a me..
»
«
Hai ragione, me lo stavo quasi per dimenticare! »
«
Allora, lo vuoi sapere ancora? »
«
Be direi di si.. »
«
E' iniziato tutto con la storia del DVD.. »
«
la storia del DVD? »
«
Tu sapevi che quello era il mio preferito.. »
affermò senza quasi
rendersi conto di ciò che diceva.
«
Lo dici come se fosse una cosa negativa » e lo era, una cosa
negativa, lo sapeva anche lei.
«
..forse si » biascicò tra la saliva che gli
impastava la bocca e il
sonno perso che gli rimbombava pericolosamente in testa. «
..bah,
non so bene nemmeno io cosa, so solo che la storia è finita
con la
bottiglia di Gin che hai visto rovesciata non-so-dove per terra..
»
«
ah, si. Quella l'ho notata » Anche Eloyn, essendo una persona
intelligente si rendeva conto che non era quello il momento adatto
per parlare di una cosa di rilevante importanza. Per quanto volesse
con tutta se stessa approfittarne, sapeva che era una cosa sbagliata.
Anche in passato, con altre persone, in una realtà molto
distante da
quella, con lo sfondo di città non proprio simili a quella;
anche in
quel passato che echeggiava tra i suoi ricordi, ora sostituito da
immagini più vivide, c'erano state sere in cui l'alcol aveva
perso
il posto delle parole, o anche solo lo stordimento da esso provocato,
come in quel momento. Se c'era qualcosa che aveva imparato dalla
vita, era che l'alcol è un pessimo consigliere,
perché la realtà
fa paura a tutti, e l'alcol è realtà allo stato
puro, se visto
dall'esterno. Persa tra questi pensieri, Eloyn aveva già
deciso che
per quel giorno avrebbe lasciato che il discorso si fermasse a
mezz'aria tra loro due. La scusa era che quella situazione non aveva
le credenzialità per fungere da scenario di una lite, la
verità era
che la paura era assordante.
Intano
Zacky si era già perso nel mondo dei sogni e stava smaltendo
l'ubriachezza che si era trascinato fino a quel mattino.
Così Eloyn
si alzò e cercò di sistemarlo come meglio poteva;
lo mise sotto le
coperte e si fermò con la schiena appoggiata al muro al lato
del
letto a contemplare quell'essere perfetto che riposava a pochi
centimetri da lei.
La
verità, su tutta questa storia, era che lei non era ancora
pronta a
tutto quello; ci era già dentro ma non era pronta. Prese la
palla al
balzo e si permise di staccarsi, almeno per un po', dalla
realtà dei
fatti; per una volta si limitò a contemplare dal fuori la
sua vita,
sorprendendosi quando si accorse dei garbugli di pensieri che si
concentravano in determinati punti del suo cervello. Si mise a
pensare, anzi, a liberare la mente da tutto e da tutti, e
collocò
ogni pensiero al posto giusto. Così facendo non fece che
peggiorare
le cose, perché c'erano fatti, persone, relazioni, in quella
vita,
che non avevano spazio preciso in lei. Non erano collocabili da
nessuna parte, e per questo si limitava ad ammucchiarli un po' qua e
un po' la, alla meno peggio, creando un equilibrio instabile, come
era sempre stato da quando era arrivata, scoprendo finalmente il
mistero che si nascondeva dietro a quei nuovi sentimenti. E non c'era
via d'uscita.
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Capitolo 7 *** 6 - Equilibri Instabili ***
©
Amor vincit omnia.
29
Ottobre 2009, Huntington Beach
Passavano
i giorni e tra Eloyn e Zack persisteva quello che era ormai diventato
l'argomento tabù, e che nessuno aveva
capito bene di cosa si
trattasse. Il dilemma era stato scaturito apparentemente da un DVD un
po' troppo famoso o, per meglio dire, da un animo da fangirl nascosto
fin troppo bene. Passavano i giorni e con loro anche i silenzi
stroncati da battute ironiche per non imbattersi nell'imbarazzo,
nemico di ogni innamorato. In quel periodo nessuno dei due sapeva
davvero cosa stesse succedendo. Andavano avanti a presentimenti,
sospetti e deduzioni, ma nessuno dei due aveva realmente il coraggio
di tornare sull'argomento. Avevano entrambi paura di interrompere
quel meccanismo che si era innescato nel loro rapporto, quello fatto
di silenzi a fin di bene, quelli che Eloyn aveva sempre odiato. La
sua vita era sempre stata fatta da compromessi, “tutti
ovviamente a
fin di bene”, le ripeteva sempre sua madre, in risposta a
certe
litigare evitate con il marito pur di non creare tensione nell'aria.
Il padre di Eloyn era una persona complessa, estremamente
problematica, per via del suo passato non proprio tranquillo. E
così
tutta la sua rabbia la riversava dove poteva e non era colpa sua.
Eloyn aveva ormai imparato a vederlo come un vaso troppo pieno che
come si muove butta acqua ovunque, e non era colpa sua se qualcuno
continua a riempirlo costantemente, e tutto quello che avrebbe dovuto
fare è star fermo, ma a stare fermi troppo tempo va a finire
che si
muore e nemmeno ci si rende conto. Così, pur non volendo, ad
ogni
azione faceva scattare una molla dentro di se, per colpa della quale
ne risentivano tutti in famiglia. Eloyn con il tempo aveva imparato
ad ignorarlo, ma quando esagerava e sua madre, in risposta, stava
zitta, “per il bene della famiglia”, questa cosa la
faceva
irritare perché non riusciva minimamente a capire cosa
passasse per
la testa di quella donna consumata dal tempo. A fare da sfondo a
questa intricata situazione familiare si aggiungeva l'ultimo legame
che teneva ancora appigliata Eloyn alla sua vecchia città,
ovvero
sua sorella Silvie Mayer, spesso elemento scatenante le litigate a
ora di pranzo. Silvie aveva quattro anni più di sua sorella
e ai
tempi delle superiori, quando Eloyn aveva poco più di sedici
anni,
le era capitato spesso di dover sopportare litigare con suo padre sul
suo futuro, o meglio, sul futuro che suo padre voleva per lei. Si era
già costruito un percorso ben preciso e, quando la ragazza
si era
rifiutata, lì erano cominciate le litigate. In tutto questo
Eloyn
rimaneva impassibile, seduta al tavolo da pranzo, sempre negli orari
dei pasti e ascoltava, decidendo, giorno dopo giorno che non avrebbe
fatto la stessa fine. Era anche nata un po' da lì l'idea di
andarsene da quella città che, lei ne era certa, avrebbe
finito col
risucchiarla in quel suo vortice di eventi concatenati; l'aveva
voluto evitare. La parte più difficile era stata abbandonare
sua
sorella che, invece, non era mai riuscita a scappare da quell'oblio
infernale e aveva finito per rimanere inchiodata alla vita che gli
era stata assegnata, un po' per pietà nei confronti di un
padre che
cadeva a pezzi, un po' per la poca forza che le era rimasta. E adesso
Eloyn si trovava leggermente stordita, con solo Chelsea accanto a
lei, cercando di prendere confidenza con una nuova realtà e
con
nuove persone con cui faceva un po' fatica a lasciarsi andare del
tutto.
A
volte, c'erano momenti, nel cuore della notte o nel pieno del giorno,
in cui sua sorella le mancava con non mai, e in cui quelle telefonate
rubate al tempo che non gli era stato dato non bastavano più
a
colmare il vuoto che la sua assenza aveva provocato, e in quei
momenti l'unica cosa che rimaneva da fare era aggrapparsi ai ricordi,
perché non c'era niente, nessuno, che, in momenti come
quello,
potesse sostituire quella mancanza.
Avvolta
da questi pensieri, Eloyn stava sdraiata sul letto della sua camera
circondata dal bianco che dominava l'atmosfera candida, a tratti
sembrava di stare quasi in un paradiso poco realistico. Sdraiata
supina guardava il soffitto con le mani giunte sul ventre e il
cuscino sotto alla testa.
Quello
era uno di quei momenti in cui, anche dopo un mese, le sorgeva alla
mente il pensiero che forse, e solo forse, sarebbe stato meglio non
sconvolgere quel perfetto equilibrio di pesi, quello nel quale una
star quale Zacky era, stava da un lato e dall'altro, sempre bene al
suo posto, c'era lei, con la sua realtà incasinata e altri
equilibri
da far rimanere stabili. Perché in nessun caso si era mai
sentito
dire che una fan si fosse avvicinata alla propria celebrità
in quel
senso, proprio mai. E guarda caso doveva essere lei la prima,
considerato la serie di eventi che quel fatto aveva comportato? - Non
dire cavolate, cosa avresti fatto senza di lui, adesso? - pensava. E
poi ancora – saresti stata meglio di ora, ecco cosa!
Perché è una situazione irrisolvibile, ecco
perché! - continuava a
scervellarsi cercando un perché a ciò che un
senso davvero non ce
l'aveva.
«
El, vado a fare spesa, vieni? » la voce di Chelsea interruppe
i sui
pensieri. Proveniva a tratti dal corridoio e a tratti dalla sua
camera, segno che stava facendo avanti e indietro per prepararsi ad
uscire.
«
..viene Jimmy a prenderci. » continuò.
-
quasi quasi. Magari così penso ad altro. - si
rizzò a sedere sul
letto facendo sobbalzare improvvisamente la lunga coda di cavallo che
ondeggiava dietro la sua nuca mentre la lunga frangia veniva
mantenuta saldamente alla testa da un cerchietto color magenta, il
suo colore preferito. « fra quanto arriva? » ma non
fece in tempo a
finire che già qualcuno stava bussando alla porta di casa.
«
Ora! »
Improvvisamente
Eloyn aveva ripreso tutta la sua vitalità, e la testa le si
era
svuotata da tutti i pensieri, era l'effetto Sullivan, questo lo
sapeva per certo. E d'improvviso il suo corpo smilzo stava
già
facendo mille corse per mettersi a posto alla meglio. Infilò
al
volo le scarpe da ginnastica e si guardò allo specchio. Era
arrivato
il momento di reagire alla vita invece di subirla, anche se sapeva
che il tutto non sarebbe successo quel giorno, aveva bisogno di
ancora un po' di tempo. Ma comunque distrarsi le avrebbe fatto
senz'altro bene. Così prese al volo la borsa e, insieme con
Chelsea,
uscirono di casa. Jimmy le aspettava ai piedi della gradinata che
conduceva al pianerottolo con la sua BMW blu scuro scintillante sotto
il sole delle 10 di mattina. Una musica frastornante proveniva dal
finestrino destro completamente abbassato. Scesero entrambe i gradini
con il sorriso in volto, più Chelsea che Eloyn.
«
Buongiorno ragazze! » le accolse Jimmy con quel suo stupendo
sorriso
e con la felicità che inebriava tutto intorno a lui. Era la
sua
capacità di trasmettere emozioni che faceva sì
che tutto fosse
assolutamente in armonia con lui, come quel giorno in cui lui era
evidentemente felice, anche loro non potevano che essere felici
semplicemente standogli accanto.
«
'giorno Jim » replicò Eloyn mentre Chelsea gli
dava un bacio. Eloyn
non poté non notare il cambio di espressione di Jimmy dopo
il bacio:
da semplicemente felice a “al settimo cielo”, cosa
che la fece stupire.
Quello
che piaceva ad Eloyn del passare del tempo con Jimmy e Chelsea era il
non sentirsi come il terzo incomodo ma come parte di un trio. Era
un'altra delle infinite cose che amava di Jimmy anche se non sapeva
bene se quel sentirsi parte di qualcosa fosse scaturito dalla
meravigliosa amicizia che era nata tra loro o semplicemente dal
carattere di Jimmy. In qualsiasi caso era la cosa più bella
del
mondo.
Il
supermarket dove erano solite fare la spesa si trovava non troppo
lontano da casa delle due e decisamente molto vicino a casa di Matt e
Val, quella che in quel periodo veniva chiamata “casa
Sevenfold”
data la costante presenza di tutti i componenti. Era un ampio
edificio totalmente grigio e squadrato; sulla parete principale era
ben evidente un insegna luminosa color rosso scuro che rappresentava
la parola “Billy's”, era evidente dalle condizioni
dell'insegna
che quel posto aveva vissuto tempi sicuramente migliori di quello.
I tre
entrarono nell'edificio tramite una porta di quelle ad apertura
automatica che però ci mise i suoi buoni 3 secondi per
aprirsi, dato
che testimoniava la trascuratezza di quel posto.
«
Non fate queste facce ogni volta che veniamo qua! Ormai l'avrete
capito che è solo apparenza! »
A
dirla tutta Jimmy aveva assolutamente ragione. Era ormai un mese che
si rifornivano in quel posto e potevano constatare entrambe che
quello squallore che emanava era solamente apparenza. Infatti, a
detta dei ragazzi e sotto approvazione delle due, quel posto era il
migliore in assoluto per quanto riguardava i prodotto freschi. Eloyn
scrollo impercettibilmente la testa cercando di non far trasparire la
sua disapprovazione. Dopo tutti quei giorni ancora non si capacitava
di come certe cose in quelle città potevano essere
assolutamente
l'opposto di quello che apparivano. Una cosa era certa, chiunque
fosse convinto di sapere che l'abito non fa il monaco non poteva
esserne certo finché non andava ad Huntington Beach.
«
Allora. Ho qui la lista delle cosa che ci servono, dividiamoci e
facciamo in fretta, ho fame e voglio tornare a casa! »
improvvisamente la dittatrice che era in Chelsea si fece sentire.
Così
si divisero e iniziarono a cercare ognuno ciò che c'era
scritto sul
foglietto che gli era stato consegnato da Chelsea. Eloyn stava
cercando il tipo di cereali giusto tra i miliardi di marche
differenti quando il suo cellulare squillò.
«
Pronto? »
«
Buongiorno! » era Zacky stranamente di buon umore, intanto
qualcuno
la stava chiamando da fine corsia.
«
EL! »
Eloyn
si girò e vide in lontananza la sagoma in controluce di
Brian con a
seguito la sua fidanzata Michelle.
«
'giorno anche a te, Vee » disse alla cornetta mentre alzava
la mano
libera per salutare Brian che si stava avvicinando.
«
Allora ci siete anche voi per pranzo? » disse Zacky dal
cellulare
lasciando Eloyn leggermente perplessa.
«
Oggi a pranzo dove? » e intanto Brian, che aveva ascoltato le
sue
ultime parole, si era avvicinato alla ragazza e disse in fretta:
«
si, siete invitate da me per pranzo! »
«
siamo da Gates, non lo sapevi? » rispondeva simultaneamente
Zacky. «
Ok ok, uno per volta! » disse Eloyn più confusa
che mai.
«
Ovviamente Jimmy non vi ha detto niente, dovevo immaginarmelo!
»
Eloyn
sorrise, felice che Brian avesse pensato anche a loro.
«
Allora te lo dico io, faccio un barbecue a casa mia e tu ed Eloyn
siete invitate, non si accettano “no” come
risposta! » disse
Brian sfoderando quella dolcezza e quella simpatia che lo
caratterizzavano.
«
beh, a dire la verità dovrei sentire Chelsea.. voleva
tornare a casa
e.. »
«
no, voi ci venite punto e stop » aveva obbiettato Zacky che,
intanto
aveva sentito tutta la loro conversazione.
«
..hai sentito che ho detto: niente “no”.
» la stoppò
immediatamente Brian.
«
a
quanto pare non mi permetterete di dissentire, quindi penso che ci
saremo » si affrettò a rispondere Eloyn al
telefono.
«
Ok, allora a dopo! » e così facendo Zacky
interruppe la chiamata.
In
tutto questo Michelle era rimasta totalmente impassibile, come se
anche lei avesse paura di rompere un qualche meccanismo. Forse
reagiva così per non sembrare di parte. Da un lato voleva
ardentemente tenersi stretta il suo Haner ma dall'altro non poteva
intromettersi nella vita di suo marito, perché dopotutto era
libero
di fare le sue scelte e lei era tenuta a fidarsi. Michelle era un
ragazza come tante, niente di speciale. Come tante amava i tacchi
alti e il trucco appariscente, come tante amava tingersi i capelli,
come tante amava i vestiti fascianti e, sempre come tante, era una
persona che passava ad Eloyn completamente inosservata. Era una di
quelle persone che non entusiasmano, piatte, senza niente da
raccontare. O perlomeno era questo l'effetto che aveva avuto su di
lei quelle poche volte che si erano incontrate. Così, anche
quel
giorno come tutti gli altri, era vestita secondo i canoni che
ciò
che traspariva del suo carattere consigliavano: tacchi alti, molto
alti e jeans fascianti, top molto stretto e capelli ondulati a tratti
biondi su fondo castano scuro e occhiali da sole in testa. Aveva quel
tipico aspetto di immacolato che poteva piacere solo ad uno
scalmanato quale era Brian che, invece, era il perfetto opposto.
La
verità era che Eloyn non era per niente sicura di quel
pranzo, si
sentiva come se stese violando una proprietà privata
inaccessibile,
popolata da persona che, come Michelle, era abituata a vedere solo
dall'esterno, non le sembrava giusto. Ma in quel momento sembravano
altre le persone che dovevano decidere per lei, ovvero Brian che
sicuramente non le avrebbe lasciato libertà di parola a
riguardo.
«
Eccola! » Eloyn si girò e vide Jimmy e Chelsea con
il fiatone che
si sorreggevano con le mani appoggiate alle ginocchia cercando di
riprendere fiato.
«
..Jimmy.. » lo rimproverò Brian mentre Jimmy
cominciava a
ricordarsi del compito non svolto.
«
oh
cazzo! Mi ero dimenticato! » disse schiaffandosi una mano
sulla
fronte facendo ridere di gusto tutti tranne Chelsea che continuava a
non capire.
«
Qualcuno mi spiega che sta succedendo? » disse Chelsea con
aria
finto scocciata.
«
Solo se mi spiegate come mai avete il fiatone e state quasi sudando!
» replicò Eloyn, curiosa.
Jimmy
e Chelsea si guardarono e poi scoppiarono in una fragorosa risata.
«
stavamo facendo a gara a chi ti ritrovava per prima! Comunque
Chelsea, siete invitate ad un barbecue a casa di Haner per pranzo.
»
chiarì i fatti Jimmy.
«
Oh, che bello! Adoro i barbecue! E tu quando pensavi di dirmelo?
»
disse Chelsea mentre tirava un leggero schiaffo sulla nuca di Jimmy
che intanto aveva cominciato a riprendere il suo colorito normale.
Il
signor Brian Haner Senior era quasi l'esatto opposto del figlio Brian
Haner Junior. Eloyn se ne accorse quando, arrivati in quella reggia
degna di un californiano, li vide vicini, uno accanto all'altro nel
giardino addobbato a festa per il barbecue. Uno, il più
piccolo, era
alto, moro e dagli occhi scuri, il classico metallaro truccato dai
vestiti a volte improponibili che a quanto pareva era stato concepito
in parte anche da quell'uomo bassetto e leggermente tozzo che gli
stava accanto. Il signor Haner a differenza del figlio era biondo e
di un colorito decisamente più abbronzato. Eppure c'era
qualcosa che
Eloyn non riusciva bene ad inquadrare che faceva chiaramente
trasparire il loro legame di parentela. Forse i movimenti, o alcune
smorfie del viso; Eloyn provò addirittura ad immaginarsi
Haner Jr
completamente struccato per provare a riconoscere qualche carattere
in comune. A parte le lievi “borse” al disotto
degli occhi che a
loro detta “contraddistinguevano qualsiasi Haner degno di
quel
nome”, non trovò niente di visibile nei loro
aspetti. C'era
qualcosa che però li legava nonostante tutto. C'era come
quella
chimica tra di loro, scaturita forse dal passato un po' movimentato,
o dalla semplice intesa, che li rendeva belli a vederli insieme.
Qualcosa che comunque Eloyn non si sapeva spiegare.
Era
la prima volta che le ragazza avevano il piacere di scambiare
qualcosa in più di due semplici battute con Val, storica
ragazza di
Matt. Eloyn l'aveva sempre ammirata da lontano perché
dopotutto era
grazie a lei che gli Avenged Sevenfold potevano vantare tutto quel
successo, era lei la fautrice del sogno, lei l'artefice di una
realtà
decisamente molto improbabile. Val, al contrario della sorella, non
si era mostrata affatto indifferente alle ragazze, ma le aveva
accolte da subito facendole sentire davvero parte della famiglia,
come se si conoscessero da una vita.
«
E
insomma la nostra cara Chelsea è riuscita a conquistare il
cuore del
mio migliore amico! » aveva esclamato Val dopo un po' che
stavano
parlando.
Sì,
Val e Jimmy erano migliori amici, e lo si sarebbe capito anche senza
quella conferma.
Sembravano
come fratelli separati alla nascita, fatta eccezione per i caratteri
somatici; lui era protettivo nei suoi confronti e lei, di rimando,
era ben felice di farsi proteggere. Era bello vedere come questo non
facesse ingelosire Matt.
Chelsea
arrossì alla battuta della bionda, abbassando lo sguardo.
Val
era una ragazza assolutamente bellissima, con grandi occhi verde
nocciola da cerbiatta e lunghi capelli platinati, che a vederla da
lontano sembrava quasi una bambola di porcellana. Era identica a
Michelle, sua sorella gemella, ma le si poteva distinguere grazie ai
tratti decisamente più marcati della castana, testimonianza
del suo
carattere opposto a quello di Val. Erano come due energie che insieme
si completano.
Dopo
circa un quarto d'ora dal loro arrivo, Eloyn sostava appena fuori
dalla porta finestra con in mano una bottiglia di birra, pensando a
che casa favolosa fosse quelle del signor Haner. Dalla sua posizione
poteva benissimo vedere, appena dietro l'angolo di casa una grande
piscina dal fondale azzurro che però, in quel periodo
dell'anno era
pressoché inutilizzabile per via delle temperature non
proprio così
calde.
Proprio
in quel momento, avvolta tra i sui pensieri, Eloyn senti due braccia
cingerle la vita e attirarla a se, facendola entrate in casa,
delicatamente. Capì subito di chi si trattasse. Zacky era
appena
arrivato e aveva in piano, secondo Eloyn, di farla morire d'infarto.
«
Stupido! Mi hai fatto paura » si lamentò lei con
il sorriso sulle
labbra. Intanto Zacky la fece voltare e la spinse leggermente conto
il muro del salotto, proprio accanto alla porta-finestra, fronte
contro fronte.
La
stanza era immersa nella penombra, ancora più buia per Eloyn
che
avvertiva il contrasto tra il chiaro del sole e il buio di una stanza
non illuminata. Per di più l'azione era stata commessa in
così poco
tempo che la ragazza non aveva avuto il tempo necessario per
abituarsi; si stropicciò gli occhi.
«
Oh, mi dispiace tanto.. sì sì, davvero tanto..
» rispose lui,
chiaramente ironico, sorridendo malizioso. La guardò negli
occhi per
una frazione di secondo che sembrò durare una vita e poi la
baciò,
lentamente ma con quella foga nel sentirla sua ancora.
Per
la precisione erano tre giorni che i due non si rivedevano e adesso,
finalmente, dopo tutto quel tempo, Zacky poteva tornare a respirare
il suo ossigeno personale, come se lei fosse diventata la droga che
lo faceva rimanere in piedi. Poteva affermare che quei giorni erano
stati d'inferno, e ancora più brutti perché tutti
gli impedimenti
che avevano scaturito quella lontananza forzata erano stati causa del
suo lavoro e del CD in via di scrittura.
Le
loro bocce si muovevano a sincrono e i loro respiri si incatenavano
in quella stretta fatale che li obbligava a stare vicini, sempre
più
vicini, corpo su corpo, anima su anima. Si distaccarono leggermente,
distanti di qualche millimetro, o forse meno e Zacky le morse
leggermene una guancia, vicino all'angolo della bocca, cingendola
ancora più stretta a se e facendola scostare dal muro. Di
rimando
lei gli diede un piccolo e veloce bacio sulla guancia, quasi fosse
una bambina timorosa che fa tutto veloce per paura di non avere
più
il coraggio. Zacky sorrise di una felicità che non aveva mai
pensato
di meritarsi e adesso osservava Eloyn, incredulo, convinto che tutto
quello che stava tenendo nelle mani fosse troppo, troppo per i suoi
canoni. Non sembrava neanche reale. La fissava in quegli occhi verdi
come l'erba sottolineati da una linea sottile di matita nera che ne
accentuava il colore già vivido di per sé. E
sembravano
raccontargli in un soffio la vita intera che si era perso, la vita
della Eloyn che non aveva conosciuto. Ripensò al primo
giorno che si
erano conosciuti, all'imbarazzo e alla paura nei suoi occhi quando si
era avvicinata a loro.
Ancora
qualche attimo e il sussurro della sua voce, quella di Eloyn, risuono
nella testa del ragazzo come la più bella melodia di sempre:
«
..forse.. forse sarebbe meglio uscire.. » e per qualche
strana
ragione Eloyn aveva avvertito un soffio, un alito di vento sul cuore
al contatto dei loro sguardi e aveva capito che, per la sua salute
psicologica, sarebbe stato meglio interrompe lì. Un po' alla
volta
sarebbe andato meglio.
Johnny.
Johnny era sempre stato l'incognita, anche quando Eloyn lo vedeva
solo tramite la televisione. Sempre in disparte, non parlava mai;
sembrava prendere vita solo quando metteva piede sul palco, solo
quando prendeva in mano il suo basso. Era sempre stato l'individuo
più misterioso che Eloyn avesse mai incontrato, e ad ogni
parola,
ogni gesto che lui faceva, Eloyn era sempre più vogliosa di
capirne
la psicologia. Voleva conoscerlo, capire cosa gli frullava in testa,
il perché era come era, che detta così sembra una
cosa stupida, ma
per capire bene cosa si fosse scatenato in Eloyn quella frazione di
secondo, bisognerebbe provarla, la curiosità per una
persona. Il
volerla spogliare delle maschere che si porta appresso e vederla per
come è realmente, per sete di sapere e di capire cose che
sembrano
impossibili esistere. Come Johnny, impossibile da esistere, secondo
Eloyn.
La
giornata andò avanti tra i deliri generali di tutti; tra le
risate e
le battute stupide. Mangiarono fino a scoppiare e risero fino a farsi
venire le lacrime agli occhi. E fu proprio in uno di quei momenti che
Eloyn si rese conto di star vivendo più
del solito.
Dopo
quello che le sembrò un tempo decisamente troppo breve, il
sole era
già calato e l'aria si era raffreddata in tutti i sensi. Era
arrivato quel momento della giornata dedicato alle riflessioni,
quello in cui stare in disparte con una birra in mano e una sigaretta
nell'altra è l'unica cosa chi ti possa confortare dalla
malinconia.
E lei era proprio lì, seduta sugli scalini che conducevano
al
cancello principale, dietro di se una festa si stava consumando a
ritmo lento. Sentì dei passi e voltandosi vide Johnny con in
mano
altre due birre che accennava a volersi sedere vicino alla mora per
farle compagnia, cosa che non dispiacque poi tanto alla ragazza, che
si fece da parte e lo fece sedere.
«
buonasera, piaciuta la festa? »
«
direi molto.. »
«
sì, si sente dal tuo tono di voce »
«
ah, no, non ci fare caso.. solo un po' di malinconia, niente che non
si possa risolvere con questi » e tirò su entrambe
le mani per
mostrargli la sigaretta e la birra che teneva in mano.
Johnny
accennò una lieve risata sommessa e poi « ti
capisco, capita anche
a me a volte.. »
Ci
furono brevi attimi di silenzio e poi Eloyn si sbottonò un
po' di
più.
«
..
è che non capisco come certi eventi magnifici possano avere
conseguenza così.. tristi »
«
per “eventi magnifici” ti riferisci a Zacky?
» replicò lui
improvvisamente interessato ai problemi della mora.
«
..
intendo tutto, tutti voi.. questa vita.. » ci
pensò un attimo « ..
a tutto quello che ho sempre desiderato.. »
«
..ma? »
«
ma
non pensavo che tutto questo avrei dovuto pagarlo così
tanto. E'
neanche un mese che sto via di casa e già vorrei non essere
partita.. »
«
allora quegli “eventi” di cui parlavi prima non
sopo poi così
eccezionali.. »
«
al
contrario, lo sono eccome, è che.. io non mi aspettavo che
anche la
vostra vita potesse avere così tanti intoppi.. »
«
siamo persone normali, a quanto pare.. »
«
..
e io me ne sto accorgendo solo adesso.. è che è
difficile, e poi è
tutto così assurdo.. » Johnny annuì,
poteva anche solo vagamente
capire il concetto, tutto quel trambusto in così poco tempo.
« .. e
ora ci siete voi, e non siete come mi immaginavo.. »
«
e
come siamo, invece? »
«
migliori » poi si voltò verso il ragazzo
« e tu dalla televisione
sembri più basso di quel che realmente sei! »
«
Oh, dovrebbe essere una specie di complimento » rispose
Johnny
diverto.
Eloyn
rise, poi tornò seria. « è tutto
così difficile. Avere un
rapporto serio con uno di voi, intendo. »
«
ti
riferisci a Zacky, ovviamente »
«
..ovviamente.. »
«
sì, mi ha accennato qualcosa.. »
Eloyn
lo guardò con aria interrogativa.
«
..riguardo al fatto che tu gli sbavavi dietro prima che vi
conosceste.. »
«
quello che lui non capisce è che io sbavavo dietro a quello
che
hanno fatto di lui.. non a ciò che è lui
realmente. Fatico a
farglielo capire e ogni volta mi sembra di non poter dire niente per
non farlo arrabbiare, per non toccare quell'argomento che potrebbe
rovinare tutto.. »
«
credimi, lui è confuso più di te, ma di una cosa
è certo e quella
cosa sei tu. Quindi, se anche tu ne sei certa, parlaci.. ha bisogno
di più sicurezze » e in un certo senso capiva
ciò che Johnny le
voleva dire. Avere bisogno di sicurezze era una cosa che lei aveva
provato sulla sua pelle e, in effetti, era arrivato davvero il
momento di parlarne con Zacky.
«
hai ragione... » mormorò lei sussurrando.
E
rimasero ancora un po' a contemplare la luna che, nel frattempo, si
era accesa sulle loro testa con una prepotenza quasi fastidiosa ma
affascinante.
«
torniamo dagli altri? » le fece lui con un cenno del capo.
Li
non rispose, lui intanto si alzò e la aiutò a
fare lo stesso
porgendole la mano che lei accettò di buon grado.
Così si avviarono
insieme verso gli altri, entrambi sicuri di aver trovato qualcuno su
cui aggrapparsi in caso di necessità.
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Capitolo 8 *** 7 - Rimorsi ***
©
Amor vincit omnia.
Avvertimenti.
Mi sento in dovere di avvertire tutti lettori che mi sono presa
alcune libertà sulle date di certi avvenimenti realmente
accaduti,
come per esempio il matrimonio tra Matte Val che, come tutti
sappiamo, è avvenuto il 17 ottobre 2009; per forza di cose
ho dovuto
anticipare la data a prima dell'inizio della narrazione dell'intera
storia.
10
Novembre 2009, Huntington Beach
Più
la guardava e più si convinceva che non c'era essere
più bello al
mondo di quella ragazza dagli occhi da cerbiatta che in quel momento
stava mettendo in ordine la casa in vista della giornata che le si
prospettava davanti. Matt la osservava incredulo chiedendosi cosa
avesse fatto di tanto buono per meritarsi una persona così
sorprendentemente magnifica accanto nel bene e nel male; era
sicuramente molto più di ciò che Matt si fosse
mai aspettato dalla
vita. Già dalla mattina presto Val vagava senza sosta tra
una stanza
e l'altra come ogni giorno in cui i ragazzi si riunivano per
scrivere; era sempre stata una perfezionista e anche in quel
frangente la sua natura veniva allo scoperto facendola impazzire
nelle faccende domestiche.
Matt
sedeva sul grande divano in pelle nera dell'ampio salotto di casa e
aspettava pazientemente che la ragazza smettesse di dannarsi per
mettere in ordine la casa. Aspettò ancora un po' e poi si
decise che
non si sarebbe mai fermata senza l'aiuto di qualcuno. Si
alzò
lentamente, quasi a non voler farsi sentire per coglierla impreparata
e si avviò verso la televisione, sul lato opposto della
stanza, dove lei stava mettendo in ordine tutti i DVD di famiglia.
«
Oh, diavolo! Ma cosa ci fa questo CD dei Pantera in mezzo ai DVD?
»
imprecò la ragazza mantenendo lo sguardo fisso sul CD che
aveva
appena preso in mano e al contempo muovendosi in direzione del
corridoio. Se non fosse stato per quella perfezione costante che
inspiegabilmente non l'abbandonava mai, ora avrebbe di certo la
fronte imperlata di sudore. Matt le stava alle spalle e
riuscì a
fermarla giusto in tempo per impedirle di ricominciare a correre su e
giù per il corridoio, cingendole il busto.
« Eh
no! Adesso basta, dai. » la attirò a sé
ignorando i suoi lamenti.
«
Matt! Lasciami andare, devo mettere apposto questo CD e.. »
In
certi momenti Val le sembrava un robot di quelli che fanno tutto in
automatico, si disse che avrebbe avuto bisogno di una rinfrescata di
idee che le chiarisse il suo stato di umanità.
Così la fece voltare
e approfittando del suo stato di momentanea confusione le prese il
viso tra le mani.
«
Val, stai impazzendo e spero che te ne renda conto da sola. »
tagliò
corto lui in un sussurro che conferì alla scena un tocco in
più di
ilarità.
«
Non è vero! » protestò lei come una
bambina.
« Sì
che è vero, ed è per questo che adesso tu
metterai via questo CD e
ti rilasserai.. » disse lui cingendole la vita con una mano
mentre
con l'altra le toglieva il CD dalle mani e lo appoggiava sul tavolo
della sala.
«
Ok, forse hai ragione »
«
Forse? » chiese conferma il più alto.
«
Senza forse » sorrise lei evidentemente rilassata. Matt la
guardò
negli occhi e riprese i pensieri che aveva abbandonato poco prima.
Val
aveva i capelli raccolti con un mollettone e un fascetta nera
divideva la frangia che le ricadeva sulla fronte dal resto dei
capelli.
Si
fissarono intensamente negli occhi per qualche attimo,
dopodiché lei
sorrise. “Il sorriso più bello del
mondo” pensò Matt. In
quel momento suonò il campanello distruggendo tutta la
catarsi
attribuibile ad una scena come quella.
Matt
andò ad aprire e trovo dietro alla porta Jimmy con in mano
due casse
di birra e uno dei suoi più felici sorrisi a coronare la
scena.
«
Alcol! » aveva esclamato in tono festoso non appena aveva
varcato la
soglia di casa.
«
..dovevo immaginarmelo! » lo rimproverò fintamente
la biondina
avvicinandosi e dandogli due baci sulle guance.
« A
proposito, dove le metto? »
«
Sopra al tavolo, tanto nel giro di un'ora saranno tutte finite
»
replicò alla svelta lei lasciandosi andare sul divano.
«
Ragazzi, vi lascio soli un momento. Devo andare da Larry per dirgli
delle cose.. » disse Matt interrompendo i due.
« Sì
sì, te la tengo d'occhio io.. » disse malizioso
Jimmy.
«
Allora sto sicuro.. povero me.. » esclamò in tono
arreso Matt
uscendo di casa con le chiavi in mano. « ma non me la
consumare, ti
prego.. » continuò divertito dall'espressione
scandalizzata della
moglie.
«
MATT! » urlò Val lanciando il primo cuscino che le
fu sotto mano
verso la porta che intanto si chiudeva tra le risate divertite dei
due ragazzi.
«
Dai, forza piccoletta. Vieni di là che ti faccio sentire una
cosa. »
la sollecitò Jimmy.
I due
erano migliori amici dal tempo del liceo e Val sapeva già
bene cosa
fosse qual qualcosa di cui lui parlava. Era ormai tradizione, prima
della pubblicazione di ogni album, che Jimmy facesse sentire a Val
ciò che componeva prima di proporlo agli altri. Lui riteneva
che
portasse bene al gruppo. Così andarono nella piccola sala
registrazioni che Matt aveva fatto costruire subito di fianco alla
porta del garage ad un piano di differenza dal soggiorno e Jimmy si
mise subito al pianoforte.
« E'
una nuova canzone.. non so come sia, volevo un parere, come sempre...
»
Così
Val si posizionò su una sedia accanto a lui e stette ad
ascoltare i
pochi accordi.
«
There comes a day when we all find out for ourselves
That
once we
have the words to say,
There's
no one left to tell.
I
know why
you're running away... »
«
… e poi pensavo, tipo ad un attacco di batteria e a qualcosa
tipo “you
got one more chance to die”, o cazzate simili »
concluse Jimmy in
tono umile.
«
Cazzate Jimmy? E' una delle canzoni più belle che tu abbia
mai
scritto! » disse Val con le lacrime agli occhi facendo
sorridere
Jimmy di soddisfazione. Erano pochi accordi accompagnati da poche
parole giusto accennate ma, come ogni volta, la voce e il sentimento
che Jimmy metteva quando suonava erano riusciti a farla commuovere,
forse perché in tanti anni di amicizia aveva capito il modo
di
pensare dell'altro e aveva imparato anche a mettersi nei suoi panni.
Sapeva come lui vedeva il mondo e tutto ciò che c'era dentro
tanto
che, alle volte, credeva quasi di essere dentro di lui
perché si
commuoveva senza saperne il vero motivo.
«
Beh, è un buon risultato considerato che l'ho scritta alle
quattro
della mattina! »
«
Non riuscivi a dormire? » gli chiese lei, preoccupata da
qualcosa di
più che da una semplice insonnia. Lui sospirò
impercettibilmente «
… lo sai, sempre le solite.. » disse lui
rassegnato.
«
Ancora gli attacchi d'ansia? »
«
Sempre. » puntualizzò lui. Val abbassò
lo sguardo. Sapeva bene da
che cosa fossero scaturiti quegli attacchi d'ansia. Jimmy era nato
con dei problemi al cuore, questo lo sapevano tutti, e lei sapeva
anche che non c'era gran che da poter fare per risolverli. Certo, la
sua dipendenza dell'alcol non faceva che peggiorare le cose ma quello
era un argomento del quale avevano parlato e riparlato, tutte le
volte rischiando di sfociare in una lite o peggio; quello che tutti
avevano imparato a fare era assecondarlo e fargli capire che doveva
fare qualcosa a riguardo solo con l'uso degli sguardi e di gesti
impliciti.
Proprio
in quel momento si affacciò alla porta della stanza Matt con
Brian e
Mich al seguito.
«
Ciao sorellina! » esclamò Michelle alla sorella.
«
Ciao Mich, 'giorno Gates » si avvicinò e li
salutò con un
abbraccio.
Suonò
di nuovo il campanello ma questa volta andò Val ad aprire.
Era
Johnny con Eloyn e Chelsea e le faceva strano. Certo, era successo
altre volte che le due fossero capitate a casa sua per vari motivi e
mai le aveva dato fastidio, ma quel giorno era diverso, quel giorno
erano tutti insieme, veramente tutti dopo quasi un mese; era un
giorno importante per Val e la presenza di quelle due
“sconosciute”,
per quanto avesse cercato di negarlo, le dava un po' fastidio.
Val
non sapeva come catalogarle; era bello parlare con loro, era bello
pensare che la famiglia Sevenfold si fosse allargata ancora di
più,
pensare alle giornate di shopping che avrebbero potuto fare, i
consigli da amica che avrebbe potuto ricevere, ma c'era sempre quella
strana sensazione che non se ne voleva andare. Come se in tutta
quella situazione ci fosse qualcosa di sbagliato, perché
infondo
quelle due ragazze dai tratti così marcati che sembravano
uscite da
un film, erano state loro fan in precedenza e in qualche modo questo
avrebbe avuto delle conseguenze per tutti. In primis
per loro
stesse, poi anche per gli altri, e quindi indirettamente anche per
Val. Nonostante questo, le fece entrare e le saluto con un caloroso
abbraccio dato forse proprio per contraddire quei pensieri che le
balenavano in testa una volta ogni tanto, le fece accomodare nello
studio dove nel frattempo chi era già presente si era messo
comodo,
poi si mise di fianco a Matt che sostava in piedi di fianco alla
porta.
«
Quindi chi manca? »
«
Baker, come al solito.. »
«
il ritardo non se lo risparmia mai a quel ragazzo.. »
«
no, è lui che non si risparmia il ritardo nemmeno una
volta.. »
finì il discorso Jimmy interrotto di nuovo dal campanello
che
annunciava l'arrivo dell'ultimo Sevenfold. Matt andò ad
aprire
accompagnato da Val che nel tragitto, precisamente nel corridoio,
sentì l'impulso di confidarsi al volo, senza volerlo.
«
Non lo so, ho una sensazione strana »
«
riguardo cosa » Matt si fermò e si
voltò verso di lei.
«
quelle ragazze.. ah non so nemmeno spiegarmi. Ho una sensazione
strana, ecco tutto! » cercò di spiegarsi
gesticolando vistosamente
e guardando diversi punti indefiniti dello spazio.
Il
campanello suonò di nuovo.
«
Ne parliamo stasera, ok? »
Val
annuì e insieme si diressero alla porta.
Zacky
entrò in casa scusandosi e continuò anche
arrivato in sala di
registrazione.
«
Baker calma, sei in ritardo di appena quattro minuti. » gli
disse
Johnny, evidentemente divertito dall'affanno con il quale l'altro si
era presentato. Zacky guardò l'orologio che portava al
polso, poi si
voltò verso Johnny e poi di nuovo sull'orologio. Le 10 e 34.
«
Non dovevamo vederci alle 10? »
«
No, Vee. Era per le 10 e 30 »
Zacky,
sorpreso, sbuffò e appoggiò la chitarra che aveva
in spalla sul
muro, poi si avvicinò ad Eloyn che era seduta su piccolo
divanetto,
e ci si sedette sopra facendola imprecare.
«
Oh Zacky mi pesi! » esclamò divertita mentre il
ragazzo se la
rideva di gusto. La sua faccia esasperata causò le risate di
quasi
tutti nella stanza.
«
E dai, non sono così pesante, no? » e le mise le
mani attorno al
collo come se improvvisamente i ruoli si fossero invertiti.
«
Togliti! Adesso! » disse lei cercando di farlo cadere.
«
E va bene ma solo perché sei tu! » e prima di
alzarsi le diede un
bacio a fior di labbra che lei non ricambiò, tanta era la
sofferenza
provocata dal suo peso. Doveva ricordarsi di fargli fare un po' di
palestra uno di quei giorni.
«
Forza ragazzi, mettiamoci al lavoro. » era il momento in cui
Matt
diventava la mamma-leader che li aveva portati dov'erano. In fondo
gran parte del lavoro lo faceva lui.
«
Ragazze, che ne dite di farci un tè? » chiese Val.
Tutte annuirono
e si avviarono verso la cucina.
«
Ragazzi, ho qualcosa di nuovo da farvi sentire.. » e le
parole di
Jimmy sfumarono nelle orecchie di Eloyn che si allontanava sempre di
più.
Le
cose si facevano man man sempre più difficili e ogni giorno
si
trovava di fronte più e più situazioni da dover
decifrare, le
stesse che sognava di vivere da bambina come per esempio assistere
alla creazione di una delle loro canzoni. Era tutto sempre
più
confuso e non trovava le parole per esprimere il suo stato d'animo.
L'idea
del tè si dimostrò fantastica, le ragazze
parlarono molto e si
scoprirono a vicenda. Capirono che infondo erano molto simili e
Michelle per la prima volta non fu la solita impassibile e
indifferente ma, anzi, si scoprì essere una persona molto
divertente, proprio come la sua gemella.
«
Io vado a fumarmi una sigaretta, il tè era buonissimo
» annunciò
Michelle alle altre.
«
Ti accompagno, va anche a me. » replicò Eloyn.
«
Mi chiedo quando la smetterai con queste sigarette. » la
rimproverò
Chelsea.
«
Sì, me lo chiedo anche io, Mich! » le
andò dietro la bionda. Era
proprio in questo senso che erano molto simili perché, anche
se
Eloyn e Chelsea non erano gemelle, rappresentavano comunque i
corrispettivi delle altre due. Infatti Michelle era molto simile ad
Eloyn, per abitudini, vizi e modi di vedere il mondo, mentre Chelsea
era molto simile a Val per gli stessi motivi. Era proprio per quello
che si trovavano molto bene insieme nonostante i primi contrasti.
«
Sai, ti immaginavo diversa. » disse Eloyn a Mich una volta
fuori.
«
Me lo dicono sempre tutti dopo avermi conosciuta, anche Brian!
»
sorrise e anche Eloyn fece lo stesso. « .. é che
faccio uno strano
effetto alla gente. Non so perché ma mi vedono sempre tutti
come una
sottospecie di Barbie venuta male. »
«
anche io l'ho pensato, solo non venuta male. »
«
se non altro è un passo avanti » e prese un tiro
dalla sigaretta.
Eloyn gettò il mozzicone e lo spense con il piede.
« vado dentro a
prendere il cellulare.
«
sì sì, tanto appena finisco vengo anche io
»
Eloyn
rientrò e si diresse verso la stanza di registrazione per
recuperare
la sua borsa che aveva lasciato là distrattamente. Stava per
aprire
la porta già socchiusa della stanza quando si accorse della
melodia
che da fuori non poteva udire per via dei muri insonorizzati, si
bloccò. Era Dear God e quella canzone faceva riemergere fin
troppi
ricordi. Era la canzone sua e di sua sorella Silvie, la stessa causa
della voragine che ora si portava nel petto per via della sua
mancanza, e le parlava di troppe cose. Erano Zacky e Matt che la
stavano suonando per divagarsi mentre gli altri lavoravano attorno ad
un tavolo, probabilmente ad un testo, e nessuno di loro poteva mai
immaginare cosa avrebbe provocato quella canzone a Eloyn.
«
We all need that person who can be true to you,
but
I left her when I found her
and
now I wish I'd stayed
'Cause
I'm lonely and I'm tired,
I'm
missing you again oh no
Once
again.. »
Cantava
Matt ignaro della sua presenza dietro a quella porta.
Tutti
abbiamo bisogno di qualcuno che ci sia sincero, come lo era Silvie
per Eloyn, era l'unica certezza, l'unica persona di cui sentiva di
potersi fidare ciecamente, più di Chelsea, perché
le era stata
vicina tante di quelle volte, e tante altre ancora averebbe potuto
aiutarla se solo non fosse partita, ed ora Eloyn era stanca di quello
stress, di quell'equilibrio sbagliato che la costringeva sul filo di
una ragnatela. Era esasperante.
«
..I found you, something told me to stay.
I
gave in, to selfish ways,
And
how I miss someone to hold when hope begins to fade... »
Però
c'era lui, quell'angelo che ora stava suonando la chitarra in modo
divino suscitando il lei emozioni mai provate, per quanto negative
esse fossero.
E
lacrime amare solcavano le guance di Eloyn che continuava ad
ascoltare ad occhi chiusi cercando di controllarsi, perché
sapeva
che se fosse sbottata non averebbe avuto l'opportunità di
rimediare.
Però c'era qualcosa, qualcosa che la costringeva a non
tornare
indietro, perché anche se non se lo meritava, aveva Zacky e
lui
valeva molto ma non troppo. Lui c'era ma non era un appiglio sicuro,
però non sopportava l'idea di doversene separare, non ora
che era
riuscita a coronare il suo sogno.
Aveva
bisogno della sua Silvie in quel momento più dell'aria,
voleva
stringerla e costringerla a non lasciarla mai più,
perché quella
era la loro canzone anche a chilometri di distanza, e l'amore per una
sorella è più forte di qualsiasi altra cosa. Ma
allora perché
faceva così fatica a decidersi ad andarsene,
perché? Non riuscì a
trattenersi e per evitare figure banali che avrebbero solo sminuito i
suoi sentimenti difronte a a tutta quella gente, si rifugiò
nella
stanza più vicina, per potersi sfogare, perché
era tutto troppo
pesante da sostenere. Iniziò a camminare a passo fin troppo
spedito,
tanto che fece cadere il pacchetto di sigarette proprio davanti allo
studio, facendolo sbattere contro la porta. Sentì quella
melodia
spezzarsi all'improvviso e tacere. Un brusio e qualcuno che usciva
dallo studio.
«
EL! » gridava Zacky andandole incontro a passo veloce. Il
tempo di
due passi, in un frastuono di immagini sfocate e tremanti, lei si era
già rifugiata nel bagno chiudendosi bruscamente la porta
alle spalle
e sfogando tutto quello che altrimenti sarebbe rimasto in se stessa
e che avrebbe causato, con il tempo, reazioni ben peggiori a quella.
Dall'altra parte della porta Zacky batteva contro il legno per farsi
aprire.
«
EL, CAZZO! APRI QUESTA FOTTUTA PORTA! » Eloyn si
appoggiò con la
schiena contro la porta e si fece scivolare giù fino a
ritrovarsi
seduta sul pavimento di un bagno sconosciuto, con le gambe raccolte e
la testa tra le braccia a chiedersi il perché di quella
tortura, a
chiedersi se fosse tutto un brutto scherzo o un bellissimo sogno. Non
rispose e si abbandonò ad un pianto sommesso e soffocato.
L'aria nel
bagno era umida e ristagnante ed Eloyn poté scorgere i
profili di
quel luogo, impigliati al suo cervello come i ricordi di una vita che
mai avrebbe voluto vivere. Tra le lacrime, immagini di mattonelle
tremolanti e umide, di color verde. La porta cessò di
tremare sotto
le scosse del ragazzo che intanto si era arreso e si era anche lui
accasciato al suolo con la testa tra le mani, confuso più
che mai.
Non capiva cosa c'era che non andava e non gli stava bene che lei
soffrisse senza che lui potesse muovere un muscolo per farla stare
meglio. Sapeva bene, lo aveva saputo dal giorno in cui avevano
parlato a casa di Jim, che lei era come una bomba a orologeria pronta
ad esplodere da un momento all'altro, eppure aveva continuato, non si
era arreso, perché lei era una delle tante ma anche la sola
che gli
aveva davvero preso cuore ed anima con uno sguardo, e non se la
poteva far scappare.
Zacky
sentì finalmente lo scrosciare del rubinetto e si
alzò in piedi
aspettando che la ragazza uscisse, sicuro che nella stanza accanto si
fossero riuniti tutti aspettando in silenzio un qualche verdetto che
attestasse la stabilità della situazione che però
tardava ad
arrivare.
Eloyn
uscì di fretta senza neanche guardarlo negli occhi, e in
qualche
modo il ragazzo non riuscì a muovere un muscolo davanti al
volto
straziato della ragazza che si diresse immediatamente verso l'uscita
sotto gli occhi incuriositi e impietriti di tutti gli altri. Dopo
qualche istante di silenzio Matt decise che non potevano lasciarla
andare via così, senza neanche una spiegazione. La
seguì in fretta
fuori casa e cercò di raggiungerla accelerando il passo
mentre lei
viaggiava spedita sul marciapiede.
«
El, aspetta » ma la ragazza non accennò a volersi
fermare.
Matt
la arrivò e la prese per il braccio facendola girare di
scatto.
Aveva il viso contratto dal pianto e umido di lacrime.
«
Che è successo? » Ma Eloyn non ce la fece e
scoppiò di nuovo a
piangere. Matt la abbracciò cercando di farla calmare,
ancora
decisamente molto confuso.
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Capitolo 9 *** 8 - La forza del mondo ***
©
Amor vincit omnia.
11
Novembre 2009, Huntington Beach
La
sera precedente era stato lasciato tutto un po' in sospeso; Eloyn non
aveva avuto la giusta forza per dare spiegazioni concrete al
suo
comportamento, non aveva potuto o forse non aveva voluto, nemmeno con
se stessa. Perché in certi casi la cosa migliore da fare
è rimanere
in silenzio e lasciarlo parlare al posto nostro, che lui da solo fa
più rumore di qualsiasi inutile grumo scomposto di parole
prive di
significato.
Quando
Matt l'aveva rincorsa per capire, capire davvero cosa stesse passando
per la testa di quella ragazza, lei non aveva dato
spiegazioni;
aveva continuato con quel pianto lento e straziante, e nella
sua
ingenuità, tra una parola e l'altra, aveva pensato
che quelle
lacrime e quei pochi monosillabi avrebbero fatto capire a tutti
perché quella melodia avesse scatenato un susseguirsi di
eventi
concatenati l'uno con l'altro, ma in realtà nessuno avrebbe
mai
potuto capire al meglio cosa stesse succedendo dentro di lei, forse
perché infondo non c'era arrivata neppure lei stessa.
Intanto Zacky
se ne andava sbattendo la porta dell'auto.
Si
sentiva soffocare; come se ci fosse stato un mattone sul suo petto
che le bloccava il respiro e lo lasciava a metà, e lei con
quella
sensazione di mancanza d'aria che la uccideva a poco a poco, e tutto
questo cercare di sopravvivere all'inevitabile le aveva bruciato
tutte le forze, perché quello non era il suo posto,
perché l'unica
persona che sarebbe stata in grado di capirla, forse, era sua sorella
Silvie, a chilometri di distanza da Huntington, perché tutto
quello
a cui aveva sempre aspirato, la vita che aveva sempre voluto, ora era
lì in attesa di essere vissuta, e non era più
tanto sicura di
volerla avere.
Eloyn
era sempre
stata una persona estremamente solitaria e sapeva bene che certe cose
poteva risolverle solo da sé, o sapeva che chiudersi in se
stessi a
volte è l'unica soluzione per non dire qualcosa di
sbagliato, e tra
le lacrime di quel freddo pomeriggio, nella stretta di Matt che le
teneva le braccia, si era divincolata scuotendo il capo e aveva
continuato dritto per la sua strada, lanciando, prima di voltarsi,
uno sguardo supplichevole a Matt che stava quasi a sussurrare uno
“Scusa” a fior di labbra, le parole che non
riusciva a
pronunciare. Era scappata, proprio come una vigliacca, come una che
non sa tenere testa alla vita, era scappata, e Chelsea si era dannata
per capire dove fosse andata, l'aveva cercata ovunque e l'aveva
rivista solo a notte inoltrata, quando era rientrata in casa
evidentemente distrutta. Chelsea la aspettava in salotto accanto ad
una bottiglia di Tequila liscia per ammortizzare le preoccupazioni
quando sentì la porta scricchiolare e aprirsi lentamente
scoprendo
il volto arrossato e gli occhi iniettati di sangue di una Eloyn fuori
di sé. La scena che le si prospettò davanti le
fece venire un colpo
al cuore: Eloyn teneva lo sguardo basso e aveva la tuta celeste
sgualcita; i capelli raccolti in una coda posticcia e fin troppo
disordinata; lo sguardo vacuo. Era cresciuta insieme a quella ragazza
ma mai in tutto quel tempo l'aveva mai vista così moralmente
implicata in qualcosa di importante.
Per
come la vedeva lei, Eloyn era sempre stata una persona indifferente
alla vita e per quanto questo potesse sembrare triste, lei stava bene
così, solo che ora era tutto diverso, ora le circostanze
l'avevano
piegata al volere degli altri e non aveva via di fuga, nemmeno
l'indifferenza. C'era dentro con tutta se stessa e questo vivere
così
intenso, questa mancanza che non aveva mai provato, la stava
atterrendo lentamente. Eloyn si chiuse la porta alle spalle e vide
Chelsea in piedi al centro del soggiorno, passò oltre e
salì le
scale, e i loro occhi si sfiorarono solo per un interminabile
secondo. Entrò in camera e si chiuse il mondo alle spalle;
si sdraiò
sul letto, scarica di troppe lacrime e sfinita da quelle emozioni
nuove e terribili allo stesso momento e così si
abbandonò ad un
sonno ristoratore.
Il
giorno
seguente i caratteri rossi su sfondo nero della sveglia di Eloyn le
diedero un beffardo buongiorno. La ragazza stropicciò gli
occhi e si
accorse di essere ancora vestita e sporca del dolore di poco tempo
prima, ricordò la nottata precedente e tutte le paure che il
sonno
sembrava aver assopito ma che tornarono più chiare di prima,
giusto
in tempo per farle riprendere conoscenza. Cercava di focalizzare ogni
istante trascorso, eppure tutto sembrava essere stato quasi un brutto
sogno.
Bussarono
alla porta con un tempismo degno di nota.
«
Avanti » mormorò la mora.
Chelsea
spuntò fuori dalla porta con un vassoio in mano. Colazione a
letto.
Ora Eloyn ne aveva la certezza, quella ragazza la conosceva meglio di
se stessa, anche se una colazione a letto non avrebbe sistemato di
certo tutti i problemi che lei stessa aveva portato ad Huntington.
«
Come stai? » disse Chelsea con un tono ovattato.
Eloyn
si limitò a scrollare le spalle e tirarsi su seduta. Non
aveva più
forze per parlare e niente da dire. Chelsea le appoggiò
accanto il
vassoio e stette un po' là, seduta, aprì la bocca
e sembrò quasi
che volesse dire qualcosa, poi evidentemente ci ripensò e la
richiuse ma l'altra non ci fece nemmeno troppo caso. Squillò
il
telefono sul comodino ed Eloyn lo guardò un po' prima di
prenderlo
in mano e vedere il nome del mittente impresso sullo schermo.
«
Zacky » sussurrò tra sé. Chelsea colse
la palla al balzo e ne
approfittò per alzarsi e andarsene da quella situazione.
«
Allora io vado.. » si guardò intorno e prese la
via della porta.
Era strano, ma non riusciva a sostenere quell'aria pesante che
accompagnava la sua amica in quei giorni, non riusciva a parlarci,
così, semplicemente, senza imbattersi in qualche silenzio
imbarazzante, preferiva sempre aspettare la scusa giusta per
andarsene, che in quel caso era Zacky.
«
Continuo a non capire! La conosco da non mi ricordo quanti cazzo di
anni eppure non capisco cosa le stia succedendo! Stamattina
è
entrata in casa che sembrava uscita da una gabbia di leoni affamati,
e per di più non mi ha detto niente e io non ho avuto le
palle di
chiederglielo!! »
Mezz'ora
dopo Chelsea era già uscita da quella casa che, in quelle
circostanze, rappresentava una tortura ed era andata a casa di Jimmy
intenta a sfogare tutte le sue preoccupazioni sull'unica persona che
lei sapeva per certo non si sarebbe mai lasciata atterrire.
Chelsea
agitava le mani in aria gesticolando pericolosamente davanti al volto
di Jimmy, era arrabbiata con la sua migliore amica e anche con se
stessa, perché stavano succedendo cose strane e lei ne era
stata
completamente tagliata fuori. Era stata esclusa da quella che una
volta era anche la sua vita, quella che condivideva da sempre con
Eloyn ma che adesso stava prendendo una direzione diversa dalla sua,
senza un motivo.
Jimmy
la osservò nel suo sfogo, a braccia conserte, sistemandosi
gli
occhiali da vista ogni tanto con l'indice facendo pressione tra le
due lenti, per poi avvicinarsi e bloccarle le braccia in una stretta
dalla quale difficilmente sarebbe riuscita a liberarsi. Erano dieci
minuti che la ragazza stava parlando a vanvera, solo per il gusto di
farlo, senza neanche ragionare su cosa stesse dicendo.
«
Cazzo Chelsea, adesso basta! » aveva usato parole forti e
decise ma
con un tono delicato e premuroso, contrastanti tra loro.
«
Non puoi dannarti così! Senti, la risolveremo, se vuoi
andrò a
parlare con lei, ma adesso smettila di urlare! » le diede un
bacio
tra i capelli rossi e ondulati e la guardò negli occhi.
Quegli occhi
così verdi e così vividi da togliergli il fiato
ogni volta che ci
si soffermava per più di mezzo secondo, sembravano volergli
esprimere tutto quello che lui stesso, di rimando, provava per lei.
Aveva
passato una vita tormentato dal dubbio che questo mondo non facesse
per lui, e solo ora che la guardava negli occhi capiva che quella era
la sua dimensione, proprio lì, proprio con lei.
Chelsea
affondò il visto, teso dalla rabbia, sul petto del ragazzo e
ne
respirò il profumo dolciastro misto all'odore di nicotina
che lo
seguiva sempre come un'ombra, ma al quale Chelsea aveva fatto
abitudine molto presto, quell'unico profumo che aveva il potere di
calmarla in qualsiasi situazione. Gli mise le braccia attorno corpo e
lo strinse più forte che poté, cercando in lui
quella forza di cui
aveva bisogno e che adesso le mancava, quella che solo lui le sapeva
dare. Tra loro c'era un legame che andava al di là di
qualsiasi
ragionamento logico, proprio perché lui stesso e tutto
intorno a lui
non era ordinario, mai al suo posto.
«
E adesso andiamo a fare il pranzo altrimenti non mangiamo! »
e così
Jimmy si congedò e sciolse controvoglia quell'abbraccio.
«
Devo avvertire Eloyn. »
«
Non penserai di squagliartela e far apparecchiare me, vero? »
«
Ok, le manderò un messaggio. » replicò
lei ridendo
all'insinuazione del suo fidanzato.
Jimmy
si avviò attraverso il lungo corridoio verso la cucina
mentre
Chelsea raccattava dalla borsa il suo cellulare per avvertire l'amica
che non sarebbe tornata a pranzo. Era la cosa migliore, lasciarla
sola.
Eloyn
rispose alla chiamata poco sicura delle sue azioni.
«
Pronto? »
«
Grazie al cielo Eloyn!
E' tutta la notte che ti chiamo! » Zacky aveva un tono tra
l'arrabbiato e il rassicurato, evidentemente doveva avergli fatto
prendere un colpo.
«
..Sì, scusa..
» riuscì a dire Eloyn, ma capiva che tutte quelle
lacrime non erano
servite poi a così tanto dato che sentiva la gola chiudersi
e il
mento tremante, sull'orlo delle lacrime, di nuovo. Ci fu un attimo di
silenzio.
«
Sei a casa? »
«
Si »
«
Arrivo! » Eloyn non fece in tempo a dire “no,
Zacky..” che la
comunicazione era già stata bruscamente interrotta.
Guardò la
colazione vicino a lei e ci pensò su, poi si
voltò e si sdraiò di
nuovo, aspettando l'inizio della fine: Zacky.
Non
sapeva che reazione avesse scatenato il suo atteggiamento e aveva
paura di scoprirlo. Il problema era che lei era una persona
impulsiva, e sentire quella canzone che conosceva tanto bene, suonata
proprio da loro, in un contesto completamente opposto a quello di
sempre, le aveva fatto un po' impressione, se poi ripensava anche a
ciò che era legato a quella canzone che descriveva
perfettamente la
sua situazione, le cose non facevano che farsi più serie.
Tutto era
più pressante in quella città e tutto sembrava
farle paura.
Dopo
poco Eloyn sentì qualcuno salire le scale e la porta si
aprì.
Strinse ancora di più il cuscino che aveva sotto la testa e
aspettò
in silenzio la parole che non arrivarono mai in tempo. Zacky
entrò
con quell'incertezza fragile di chi non sa bene cosa fare, stette un
po' in piedi e poi si sedette sul letto dando le spalle alla ragazza
che aveva il volto rivolto dalla parte opposta. Si prese la testa tra
le mani e fece due respiri profondi; era davvero intenzionato a fare
luce sulla faccenda perché non aveva senso il comportamento
della
ragazza, o meglio, non lo aveva per lui. Ma il coraggio di farsi
avanti veniva meno ad ogni secondo che passava. Chiamò a
sé tutta
la forza che gli rimaneva in corpo e sputò fuori i suoi
dubbi senza
neanche pensare bene a cosa stava dicendo.
«
Si può sapere che diavolo è successo ieri sera?
» di nuovo, come
al telefono, il suo tono di voce era sul limite tra l'arrabbiato e il
preoccupato, anche un po' confuso.
La
ragazza si volto e si mise supina con lo sguardo fisso sul soffitto
cercando le parole giuste per descrivere ciò che era
successo dentro
di lei. « Io non ce la faccio »
«
Che vuol dire che non ce la fai? »
«
Mi manca tutto, mi manca mia sorella, mi manca la mia
casa, mi manca la mia città.. »
«
Questo vuol dire che tornerai a Washington? » la interruppe
violentemente lui, quasi sull'orlo delle lacrime, come se non ci
fosse più niente da dire e tutto fosse già stato
deciso. Come se
quell'elenco insulso delle cose che la facevano star male non fosse
importante, perché tutto quello, qualsiasi cosa fosse,
avrebbe
portato ad un solo ed unico risultato, l'unico che Zacky non avrebbe
sopportato.
Eloyn
non rispose, Zacky si girò dall'altra parte come ad aver
afferrato
la sua risposta muta.
«
Bene. »
Sospirò lui quasi arrabbiato.
«
Tutto questo non ha senso, Zacky! » replicò lei
alzando la schiena
dal letto e fissando la sua nuca sperando che si voltasse.
«
E allora cosa ha senso, eh? Dimmelo tu perché non ci sto
capendo
niente! » nel mentre, si alzò e si giro
guardandola negli occhi con
una foga che faceva quasi paura. Eloyn scosse la testa e
abbassò lo
sguardo incapace di guardare quegli occhi di ghiaccio, ora
più
freddi che mai. Non sapeva nemmeno lei che risposta dare a quella
domanda, perché in quei giorni niente aveva senso.
Zacky
riprese a gesticolare viaggiando per la stanza come un'anima in pena.
« Ci siamo conosciuti che già c'erano problemi e
ci siamo
ripromessi di affrontarli insieme,
ma se tu non mi dici niente, se non hai nemmeno la voglia di farlo o
non puoi, non lo so, io come faccio ad aiutarti? Fin ora siamo sempre
stati sinceri, perché adesso no? »
«
Va bene, allora ti dirò che mi succede.. »
cominciò lei con tutta
la calma del mondo. Stava facendo uno sforzo per far andare tutto
liscio, uno sforzo immane, ma doveva pur provarci. « Quella
canzone,
Dear God, era la canzone che cantavamo sempre io e mia sorella a
Washington, e ora mi rendo conto che sembra che l'abbiate scritta
giusta per questo momento. Lei mi manca come l'aria che respiro,
Zacky, mi manca lei e tutto quello che le appartiene.. e.. in parte
vorrei tornare ma.. » si fermò un attimo come a
soppesare le parole
che stava per dire.
«
Ma.. Cosa? »
« Ma
ci sei tu, ci siete voi e tutta questa vita che non mi sarei mai
aspettata! » e quello che era un tono calmo e lineare stava
sfociando in un pianto, l'ennesimo pianto affogato dal veleno delle
sue stessa parole. « Voi eravate i miei idoli, lo siete stati
per
tanto tempo, eravate la mia vita e ora siete qui e ne fate parte.
Sono cresciuta ascoltando la vostra musica convincendomi di
conoscervi almeno un po', ma mi sbagliavo.. eccome se mi sbagliavo..
Capisci, tutte le mie certezze sono crollate e ora mi ritrovo a dover
ricostruire i rapporti che sono andati in fumo, quelli che in
realtà
non sono mai esistiti.. »
Zacky
la osservava stupefatto. Ma la capiva. « … ed
è tutto più
difficile quando si è lontani da casa, e poi c'è
Justin, l'ombra di
quello che è stato per me, che ogni volta che mi avvicino a
qualcuno
mi ricorda quanto ho sofferto e mi ricorda anche che voi siete
chi siete
e che sarebbe quasi impossibile avere un rapporto serio con uno di
voi, perché non so nemmeno se siete reali o no, non so
nemmeno chi
siete realmente.. » quel soliloquio stava veramente
degenerando,
Eloyn parlava senza capire cose stesse dicendo, semplicemente parlava
senza sosta, sfogando tutto e dicendo tutto quello che c'era da dire.
Senza guardarlo negli occhi.
«
Eloyn, basta! » la interruppe bruscamente lui facendo il giro
del
letto per mettersi seduto accanto a lei, le prese il viso tra le mani
e la fissò. « Eloyn, io sono qui, sono reale
quanto l'aria che
respiri e voglio solo te! Di cosa dovresti aver paura? » ma
mentre
lo diceva non lo sapeva nemmeno lui quanto potesse essere vero,
quanto lui fosse vero. Infondo era diventato ciò che gli
altri
volevano, non sicuro che quello fosse ciò che voleva anche
lui.
Si
guardarono ancora negli occhi con un intensità che
sembravano aver
perduto, e poi si baciarono con una delicatezza che
risvegliò nei
loro animi la calma di cui entrambi avevano bisogno. E
improvvisamente tutto intorno si fece ovattato e non importava
più
della tuta sgualcita di Eloyn e delle sue paranoie, non importava
più
nemmeno di quelle di Zacky.
La
stanza era immersa in un buio velato dalla poca luce che filtravano
le tende. Due cuori in uno solo, due corpi in uno che alla fine
scoprono che il tempo passato assieme è il migliore per
entrambi e
in quei momenti ogni problema scompare, perché lui aveva il
potere
di farla stare bene come nessun altro era mai riuscito a fare. E
ripensandoci in quel momento, che forse non si poteva nemmeno
definire reale, andarsene e lasciare tutto sarebbe stato l'errore
più
grande della sua vita. Forse era meglio risolverla senza scomodare i
sogni, che stavano già bene dov'erano, ovvero proprio
davanti a lei.
E allora quale forza estranea sarebbe stata in grado di negarle quei
momenti, se proprio in essi riusciva ad essere felice?
Che
poi alla fine è tutta una questione di attimi, e in quel
preciso
momento lei stava bene, davvero bene.
Non
si era nemmeno accorta che i baci si stavano facendo intensi ad ogni
secondo che passava e che la voglia di appartenersi aumentava ad ogni
battito mancato, e all'improvviso quella selvaggia voglia l'uno
dell'altro li stava divorando dentro, facendoli sembrare animali
affamati della pelle dell'altro, del suo profumo, della sua anima. E
allora per la prima volta decisero in silenzio di zittire quella
voglia di amarsi come non avevano mai fatto prima, come lei non aveva
mai avuto il coraggio di fare. E così iniziò una
nuova giornata,
una danza di corpi che si fondono in uno solo tra respiri confusi,
tra dolore e piacere, tra battiti accelerati e stanchezza, e la gioia
di sentirsi uniti una volta per tutte.
Quella
era stata la prima volta che Eloyn aveva fatto l'amore con Zacky
Baker, e se le cose potevano sembrare surreali prima, adesso erano
diventate una finzione bella e buona in cui Eloyn stava pian piano
trovando la sua dimensione.
In
tutta la sua vita si era concessa fino a quel punto solo con il suo
ex e quando poi l'aveva trovato a letto con un'altra, aveva ripudiato
il sesso dalla sua vita; una parte del suo cervello si era creta una
barriera da quell'evento che le aveva impedito di avere qualsiasi
tipo di rapporto con altri uomini, tanto la scena l'aveva inorridita.
Ma con lui era stato tutto completamente diverso, tanto che si
meravigliava di come fosse accaduto con naturalezza, era stato
magnifico.
Zacky
era sdraiato
accanto a lei con le mani sulla pancia e fissava il soffitto con aria
vaga; Eloyn non poteva davvero indovinare a cosa stesse pensando.
Forse pensava che era stato tutto un errore dettato dai suoi ormoni
di maschio in caccia, o forse che era stato sbagliato contando tutte
le preoccupazioni che avevano assalito Eloyn in tutti quei giorni.
Nel dubbio, l'unica certezza di Eloyn era la convinzione che non
c'era niente di positivo in quello sguardo perso nel bianco del
soffitto.
«
Vuoi ancora partire? »
interruppe ad un tratto il silenzio, Zacky. Immobile.
«
Non credo.. » Eloyn si voltò e si
appoggiò con un gomito al
cuscino, osservandolo. Lui girò gli occhi nella sua
direzione.
«
Che c'è? » disse lui notando il suo sguardo
indagatore.
«
Io? Tu piuttosto.. sei pensieroso »
«
Pensavo a te su un aereo per Washington.. » Eloyn si
limitò ad
annuire con un cenno del capo e a distogliere lo sguardo da lui alle
lenzuola. « … non devi partire. »
«
Non ho mai detto che lo farò. »
«
Ma l'hai pensato.. »
«
Comunque
adesso non lo penso più. »
«
Meglio » ma il tono di voce di Zacky rimaneva un po'
distaccato.
«
Io vado a farmi una doccia! » prese
iniziativa lei alzandosi dal letto e portandosi via anche tutte le
coperte per coprirsi, lasciando Zacky completamente nudo sul letto.
Con noncuranza prese l'altro cuscino e sì coprì,
sempre osservando
il soffitto. Eloyn rise per la scena decisamente comica.
Mezz'ora
dopo Eloyn era in bagno a
lavarsi i denti vestita e pronta per uscire o per fare qualsiasi cosa
fosse in serbo per la giornata. Zacky entrò, anche lui
pronto e con
una domanda tra le labbra.
«
Pensavo.. ci sarà mai una soluzione a tutto questo?
»
Eloyn
fu presa in contropiede con il dentifricio ancora un bocca.
«
Cosha inhendi per “huho quesho” ? » Zacky
si avvicinò ridendo e
le cinse i fianchi non appena lei si fu sciacquata la bocca.
«
Intendo.. questa situazione, tutti questi problemi.. Ci sarà
pure un
modo per risolverli, no? »
«
Sì,
le opzioni sono due: o mi abituo a stare lontana da casa, o torno..
ma escludo a priori la seconda. »
«
Quindi ti abitui.. »
«
si.. »
Zacky
ci pensò un po' su.
«
Che ti va di fare oggi? »
Lei
si girò e lo abbracciò, poi ci pensò
su e una lampadina si accese
nel suo cervello: « Ichabod!! » esclamò.
«
Che c'entra Ichabod adesso? » rispose lui quasi geloso del
suo cane
che, stranamente, aveva preso in simpatia Eloyn molto più di
quanto
non avesse mai fatto con lo stesso Zacky.
«
Portiamo Ichabod a fare una passeggiata sulla spiaggia! Hai presente
la Pet Teraphy? Mi potrebbe aiutare, no? »
«
Mh, forse.. si può provare.. ma prima andiamo a casa mia a
mangiare
qualcosa» si soffermò un secondo sui suoi pensieri
e continuò: «
… .. e con il fangirling come la mettiamo? »
«
Pensi che dopo questa mattina io ti veda come il mio mito di quando
avevo 15 anni? »
«
E con gli
altri? »
«
… abitudine anche in
quel caso? »
«
vediamo come va',
no? »
La
spiaggia di Huntington
Beach era coperta da uno spesso strato di nubi vaporose e grigiastre
che si rifletteva su tutta la costa conferendo al paesaggio uno
sfondo malinconico. Il venticello freddo che spirava dal mare
obbligava i passanti a coprirsi ancora di più nelle loro
felpe e
tutto era attorniato da un'aura triste; solo che era una tristezza
fine, simile alla fine di qualcosa di più violento, e quella
malinconia era come se andasse man mano sfumando.
Aveva
piovuto per tutta la notte ed ora il cielo andava rischiarando, e
quella sembrava proprio la quiete dopo la tempesta, la tregua dopo la
guerra; solo Eloyn, Zacky e Ichy sulla riva deserta del mare, in un
fresco pomeriggio di Novembre, accompagnati dal rumore delle onde che
si infrangevano sulla sabbia, lente e assolute allo stesso tempo. Ed
Eloyn si specchiava in quell'acqua scrosciante, ci si riconosceva e
sentiva che quel rumore a tratti assordante era la cornice perfetta
per quella scena deliziosa che stava lentamente sciacquando via le
preoccupazioni dalla sua vita.
Mano
nella mano i due ragazzi camminavano sulla sabbia a piedi nudi con le
scarpe nelle mani e un guinzaglio in quella libera di Eloyn.
«
Non ti sembra strano che mi abbia preso così in simpatia?
Infondo
l'hai detto tu che convive a stento con Brian e gli altri. »
chiese
lei riferita al cane, sicura di aver fatto centro nel punto debole
del ragazzo.
«
Cosa vorresti
insinuare? » chiese lui, colpito in pieno, girandosi verso la
ragazza che fece altrettanto.
«
Mah.. forse è destino. »
«
Non
credo troppo nel destino, credo solo che siamo fatti per stare
insieme. E che Ichy ti adori per istinto di imitazione, fino a prova
contraria sono io il suo padrone. Poi, è una sensazione che
ho dalla
prima volta che ti ho visto. »
«
…
..Cosa hai pensato? »
«
Quando? »
«
Quando mi hai vista per la prima volta.
»
«
Ho pensato “lei è quella giusta”, e
anche “cazzo, sarà
difficile se non smette di tremare”! » disse
ridendo sull'ultima
parte.
«
Stavo tremando? » replicò lei con gli occhi
sbarrati. Da quella
sera non si era più soffermata a pensare a cosa avesse
combinato,
perché tutti i ricordi che aveva erano sfumati dall'alcol e
dell'emozione, ma di certo non la sfiorava nemmeno l'idea che avrebbe
potuto tramare nel vedere i suoi miti.
«
Come una foglia! » lui era evidentemente divertito.
«
E pensare a dove siamo arrivati.. »
«
Non mi meraviglio, io lo sapevo già.. »
«
Chi ti dava la certezza che mi saresti piaciuto? »
«
Non lo so. » Continuò lui. « Forse lo
speravo talmente tanto da
darlo per scontato »
18
Novembre 2009
Era
il venticinquesimo compleanno del piccolo Christ che aveva deciso di
offrire una bella cena a base di tutto ai suoi amici, comprese le due
nuove arrivate. Lo aveva aggiornato sugli avvenimenti dei giorni
precedenti e si era fatta ascoltare, aveva riversato su di lui tutto
ciò che aveva in corpo e lui, di rimando, l'aveva ascoltata
con una
luce negli occhi, molto simile a quella degli innamorati ma molto
meno intensa.
No,
Johnny Christ non era innamorato di Eloyn Mayer, aveva solo un debole
per lei, ma come persona in sé. Era l'unica ragazza verso la
quale
non provava alcun tipo di istinto ormonale, cosa rara per Johnny che
non riusciva a stare fermo appena vedeva un scollatura un po'
più
provocante del normale.
In
lei aveva trovato la giusta consigliera e la giusta persona da
aiutare.
«
Te lo giuro, Jay.. è stato fantastico! »
«
Ci posso credere ma, ti prego, evita i particolari! Non credo di
voler avere una descrizione dettagliata delle doti sessuali di
Baker»
Eloyn
rise.
«
E tu invece, come va con quella ragazza ?? ... non mi ricordo come si
chiama! » disse lei con tono di dubbio.
«
Lacey. Si, diciamo che ci sto lavorando.. e sto per chiederle di
uscire! »
«
Wo, facciamo passi avanti, eh Christ? »
«
Be', ci proviamo più che altro.. anche se so già
che non mi dirà
mai di sì! »
«
Andiamo Johnny, cos'è che ti manca? »
«
Aah, non lo so, El. E' che lei è così..
così.. bah, è perfetta! »
«
No, sei tu che sei innamorato! » e così gli
spettinò i capelli
brizzolati biondi e mori, convincendosi che quel ragazzo un po'
bassetto e simpatico le sarebbe rimasto nel cuore ancora per molto.
23
Novembre 2009
Erano
così arrivati agli sgoccioli di un Novembre più
freddo del solito.
Johnny era finalmente riuscito a chiedere a Lacey di uscire e lei
aveva accettato di buon grado, Eloyn era già convinta che
quei due
si sarebbero sposati. Lui era innamorato e le rivolgeva tutte le
attenzioni che una donna avrebbe potuto desiderare, senza
però
rischiare di diventare oppressivo, ed Eloyn era convinta che, se
Lacey l'avesse scaricato sarebbe stata la ragazza meno intelligente
di Huntington. Per il resto, il piccolo bassista era felice e il
fatto che andasse in giro cantando la vecchia Trashed and Scattered
come inno di battaglia per farsi forza con la ragazza, quelli erano
solo dettagli tralasciabili.
Anche
il rapporto con Zacky andava rafforzandosi sempre di più,
tanto che
i due passavano sempre meno tempo divisi e le notti le passano, anche
quelle, quasi sempre insieme latitando tra la casa dell'uno e quella
dell'altro.
Jimmy
e Chelsea erano sempre più uniti e sempre più
convinti di voler
passare la vita insieme.
«
Sì, forse Huntington potrebbe essere un bel posto, ma
trasferirci a
LA non sarebbe poi così male, sarebbe comodo per le soste
tra un
tour e l'altro fermarci lì invece che ad Huntington...
» aveva
esordito un giorno lui mentre parlavano del futuro insieme.
Erano
sdraiati sullo spazioso divano del soggiorno di casa di Jimmy; lui
stava girato su un fianco e la guardava mentre si torturava
nervosamente una ciocca di capelli color fuoco mentre lui faceva lo
stesso con la mano appoggiata svogliatamente sul bracciolo del divano
che ricadeva leggera sulla spalla della ragazza.
«
LA? Mmmh, bello sfondo ma non mi convince.. » aveva risposto
lei.
Molte volte avevano affrontato discorsi come quello e tutte le volte
avevano concluso sempre la stesa cosa: Huntington Beach era il
paradiso terrestre.
«
Sì, hai ragione, è meglio Huntington! »
l'aveva guardata di nuovo
e l'aveva trovata splendida, come sempre. Si era abbassato un po' e
le aveva alzato il mento con la mano libera baciandogli leggermente
le labbra.
Proprio
in quel momento spuntò fuori dalla porta del corridoio una
strana
creatura verde e orrida che Chelsea aveva imparato a riconoscere come
Mr. Bungle. In qualsiasi modo la ragazza aveva imposto a Jimmy di
tenere “quella bestia” sotto chiave quando lei era
nei paraggi,
ma quel giorno qualcosa andò storto e per qualche strano
motivo
Jimmy si era dimenticato di chiuderla nel suo recinto.
«
CHE SCHIFO! JIMMYTOGLIIMMEDATAMENTEQUELL'ANIMALE! » aveva
urlato
Chelsea in preda al panico aggrappandosi con più foga alla
maglia
del ragazzo.
«
Chelsea, non urlare che lo spaventi e poi se non mi lasci non posso
andarlo a prendere »
Si
alzò e si avvio verso la creatura che si era acquattata su
un angolo
del corridoio, spaventata dalle urla della ragazza.
«
Vieni qui Mr. Bungle. Ti ha spaventato la ragazza cattiva? »
la
prese in braccio neanche si fosse trattato della razza più
bella di
cane o gatto. A parere della ragazza, un iguana non poteva essere
un'animale domestico. « e comunque “quella
bestia” ha un nome »
urlò lui per farsi sentire dalla stanza accanto.
«
Che non userò mai ovviamente! » replicò
lei a tono, rabbrividendo
alla scena.
1
Dicembre 2009
Quel
giorno Brian aveva svegliato Zacky facendogli una sorpresa che
però
si rivelò decisamente poco azzeccata. Aveva in mente di
entrare in
casa sua con la sua copia delle chiavi, sicuro di trovarlo ancora nel
letto a ronfare come un koala semi-morto, e di gettargli un secchio
d'acqua in faccia, ma il suo piano non andò come previsto.
Infatti,
non appena fu in camera di Zacky si accorse della creatura celestiale
che gli dormiva affianco. Per sua sfortuna, le bellezze di Eloyn
erano coperte da un leggero lenzuolo bianco che poteva comunque dare
adito alle sue fantasie più estreme ma che non gli concedeva
una
completa visuale di “quel corpo da favola” come lo
aveva
denominato nella sua mente. La sua rinomata sfortuna arrivò
al
culmine quando Zacky, svegliatosi per colpa dei passi pesanti di
Brian, si accorse delle occhiate ambigue che il chitarrista lanciava
alla sua ragazza.
«
BRIAN ELWIN HANER JUNIOR! COSA CAZZO STAI FACENDO??? »
Le
urla di Zacky fecero sobbalzare sia Brian che si era un po'
imbambolato, sia la ragazza che dormiva beata. I mugolii sommessi di
Eloyn fecero ridere Brian che continuava a sperare che, nel muoversi,
la ragazza avrebbe fatto cadere il lenzuolo.
«
Ehm, l'hai svegliata! » commentò ironico Brian
che, chiaramente,
non desiderava di continuare a vivere. Lo sguardo di Zacky fu
eloquente e spinse Brian direttamente fuori dalla porta.
«
Ok, ok, me ne vado.. » disse così l'altro,
allontanandosi a mani in
alto.
«
Poi me lo spiegherai cosa volevi! » aggiunse all'ultimo Zacky
sentendo delle urla lontane come risposta.
«
Ma che è successo? » chiese Eloyn ancora
evidentemente assonnata.
«
Sei nuda, e c'era Brian » L'evidente poco tatto di Zacky
sorprese
ancora una volta la ragazza che ebbe l'istinto di coprirsi ancora di
più nonostante Brian se ne fosse già andato.
Eloyn assunse
un'espressione tra l'esasperato e lo sconcertato che fece divertire
Zacky.
La
risata di Zacky. La risata di Zacky era un'altra di quelle cose che
Eloyn amava alla follia di lui. Perché anche in un momento
come
quello, di prima mattina, con i postumi del sonno ancora addosso e lo
spavento per essersi quasi fatta vedere nuda davanti al migliore
amico del proprio ragazzo, riusciva comunque a farla sciogliere come
un ghiacciolo al sole. Era una di quelle cose che portavano luce
nella sua vita, una di quelle per la quale valeva la pena di
resistere ancora a lungo, perché per nulla al mondo avrebbe
mai
rinunciato a quel sorriso.
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Capitolo 10 *** 9 - Tradimenti ***
©
Amor vincit omnia.
10
Dicembre 2009
Si
trovavano tutti al Blurb proprio come la prima sera che si erano
incontrati, erano davvero tutti e quella serata si era prospettata
già dal pomeriggio come un epilogo della prima parte di quel
sogno
inaspettato che con il tempo stavano imparando a vivere.
Serate
come quella erano tutto ciò che Eloyn poteva desiderare.
Vedersi
unita a qualcosa di più grande di lei, in una
realtà totalmente
diversa da quella che si era immaginata, ma infinitamente migliore.
Quella
sera c'era anche la “nuova arrivata”. Lacey era la
nuova ragazza
di Johnny. Ed era bello non sentirsi più l'intrusa del
gruppo ma
parte di quella stessa famiglia che mesi prima l'aveva adottata,
pronta ad accogliere altre persone.
Il
fatto che Johnny non ebbe aspettato a presentarla al resto del gruppo
era, secondo gli altri ragazzi, un buon segno. Un tipo come Johnny,
così timido e impacciato, ci avrebbe messo secoli prima di
essere
sicuro di una donna, e invece lui no, lo era stato dal primo giorno
che si erano visti, ed era tornato a casa con un sorriso che faceva
invidia a quello di Zacky. Ovviamente, quest'ultima affermazione era
uscita dalla bocca di Eloyn.
E
quindi ora erano tutti intorno ad un tavolo di legno, quello in stile
country nella sala da biliardo del locale, che quel giovedì
sera era
quasi deserto. Nonostante questo, i dieci ragazzi si stavano
divertendo come matti.
Lacey
era una ragazza ordinaria, non troppo eccessiva, né troppo
noiosa.
Era simpatica e bella e sapeva divertirsi. Non aveva fatto
difficoltà
ad integrarsi con gli altri e, forse proprio per questo, arrivati
alla terza birra aveva già cominciato a raccontarsi.
« Mi
sono trasferita ad Huntington qualche anno fa, mi sembra cinque, per
la precisione. E' stato per motivi di lavoro, mio padre fa il
chirurgo e lo avevano trasferito a Los Angeles. I miei non amavano la
vita caotica di quel posto, e quindi decisero di trasferirsi qui, in
modo che mio padre potesse fare avanti e indietro dall'ospedale a
casa e che noi, io mio fratello e mia madre, non dovessimo stare
scomodi per questo. Questa è la breve storia della mia vita,
una
cosa noiosa, insomma! » aveva concluso alzando la bottiglia
di birra
in alto, a mo' di brindisi, per poi scolarsene una buona sorsata.
Stava seduta composta con i gomiti sul tavolo e la birra tra le mani,
e con il fare sciolto di un'amica di vecchia data, e questo era lo
stesso effetto che aveva avuto su tutti quelli che la stavano
guardando rapiti nonostante quella storia fosse davvero una storia
noiosa. Ma quello di cui tutti erano rimasti un po' male era che la
ragazza aveva venti anni, cinque in meno di Johnny. Loro non erano
tipi che facevano molto caso alle età, ma Johnny
sì, e li sgridava
ogni volta che si portavano a letto una ragazza che avesse meno di
due anni di differenza da loro; questo ovviamente accadeva molto
tempo prima. Quindi i ragazzi erano rimasti sconvolti e non avevano
aspettato a canzonarlo per bene e a ricordargli ironicamente che la
ragazza poteva essere sua figlia.
Zacky
era appoggiato allo schienale della panca di legno su cui stavano
seduti, accanto ad Eloyn che ne aveva copiato la postura, teneva una
braccio intorno alle sue spalle come per definire che quella ragazza
era di sua proprietà, era una cosa che faceva spesso ma che
ad Eloyn
non dispiaceva affatto.
«
Poi dopo andiamo a casa mia, giusto? » le aveva sussurrato
all'orecchio, stringendola di più a se per avvicinarle il
volto al
suo. Eloyn aveva annuito con decisione ed era tornata ad ascoltare le
chiacchiere e gli aneddoti dei suoi amici.
« ..
sì quella volta era stato fantastico, e avevo solo quindici
anni! »
«
Jim, sinceramente non credo che essere espulso da una scuola a
quindici anni sia proprio una cosa da elogiare! » aveva
ribattuto
Zacky, che conosceva Jimmy proprio dai tempi di quella espulsione.
«
Beh, perlomeno posso vantarmi di essere stato espulso per
“una
valanga di infrazioni comportamentali”! Quando mio padre
aveva
sentito queste precise parole dal preside della scuola gli era quasi
preso un infarto, era diventato bianco come questo tovagliolo!
»
disse entusiasta alzando con noncuranza il tovagliolo di carta bianco
che aveva di fronte. Anche lui aveva accanto la sua Chelsea e teneva
l'altra mano sotto il tavolo, forse per tenerle la mano.
« Ti
ricordo che mi hanno arrestato per aver rubato dei microfoni , chi
può competere con questo? » continuò
Zacky, con tono di sfida,
quella sfilza ironica di infrazioni adolescenziali.
« Io
sono stato espulso da altre due scuole! » Jimmy si sporse
leggermente verso Zacky, alla sua sinistra. E lì
sono
incominciati i problemi. Avrebbe voluto aggiungere. Ma ci
ripensò
e si appoggiò allo schienale della panca, stringendo un po'
di più
la mano di Chelsea e abbassando impercettibilmente gli occhi. Chelsea
se ne accorse e gli lanciò una sguardo inquisitore al quale
Jimmy
rispose con un'occhiata che poteva benissimo significare “ne
parliamo dopo”. Per quanto Chelsea ne sapeva, la vita di
Jimmy non
era chiara quasi a nessuno al di fuori di quel gruppo. In effetti non
era sicura che i suoi migliori amici sapessero davvero tanto tutto
sulla sua vita. Jimmy era sempre stato una di quelle persone
introverse e socialmente impacciate ma con un cuore ed un cervello
che compensavano i vuoti. Chelsea aveva subito capito che se lui
avesse voluto parlarle della sua vita, lo avrebbe fatto di sua
spontanea volontà.
Ancora
non riusciva a capirlo fino infondo. Confidarsi gli avrebbe fatto
bene, eppure si rifiutava di farlo.
C'era
un mistero sepolto nei meandri della sua anima, qualcosa di
inconfessabile e nascosto che Chelsea riusciva quasi a percepire
quando gli stava vicino. Aveva il cuore pesante, come quello di un
anziano malinconico e timoroso. Chelsea sapeva che quel segreto che
lui si ostinava a nasconderle, qualsiasi cosa fosse, lo aveva
invecchiato prima del tempo e rinchiuso dentro ad un palazzo di
angoscia e scherno che solo in pochi erano riusciti a penetrare.
Si
concentrò di più sulla situazione e come sempre,
le appariva
surreale. Guardava Matt e Val e vedeva la coppia perfetta, quella
alla quale aveva sempre aspirato, li guardava e capiva che il vero
amore esisteva davvero. Erano sposati e felici; ogni gesto dell'uno
sembrava essere perfettamente concatenato con quello dell'altro.
Forse era solo un'impressione data dalle troppe birre che aveva
bevuto, però in quel momento tutto le sembrava
così estremamente
perfetto.
Poi
c'erano Brian e Mich. Brian era stato davvero una sorpresa ai suoi
occhi. A parte i capelli alla porcospino che erano rimasti tali, sia
da fuori che da dentro i riflettori, tutto le era sembrato l'opposto
di ciò che immaginava. Aveva capito cosa significava essere
manipolati dal palcoscenico e lui ne era la prova. Quel Brian che
tutti vedevano, playboy da strapazzo, latin lover come non se ne
erano mai visti, era invece la persona più buona e meno
eccessiva
del mondo. Esattamente il contrario di quello che voleva apparire.
Con quegli occhi nocciola che l'avevano rapita sin dal primo giorno,
e quel sorriso – che poi Chelsea aveva capito appartenere al
ramo
Haner –, proprio identico a quello del padre, l'aveva
ammaliata. Ma
non come aveva fatto Jimmy, non con quella passione travolgente e con
quell'amore che entrambi sapevano di provare dal primo giorno. Era
qualcosa di diverso, tanto che Chelsea non sapeva nemmeno dirsi se
fosse più forte o no, ma era sicuramente qualcosa di
diverso. Era un
fidanzato esemplare, fedele e fiducioso allo stesso tempo, geloso ma
non troppo, servizievole ma non schiavo. L'uomo che ogni donna
avrebbe voluto ma che ne desiderava solo una, Michelle, l'unica donna
che era stata capace di farlo andare in tilt. O almeno così
diceva
Jimmy. Le aveva detto che da quando Brian stava con Michelle tutto
era cambiato radicalmente, dal suo modo di suonare, al modo di
comportarsi. Era cresciuto, e non aveva avuto paura di farlo. Aveva
osato e aveva capito che ogni tanto rischiare fa bene, anche se poi
si fallisce.
Chelsea
si alzo, dopo tutti quei pensieri, e andò a fumarsi una
sigaretta.
«
Vado fuori a fumare »
Brian
si alzo, e fece lo stesso.
«
Aspetta, ti accompagno »
Chelsea
intanto si era già avviata all'uscita del locale e non
appena fu
sulla soglia che si apriva alle cupe strade di Huntington, accese la
sua sigaretta. Si allontanò un po' dal locale per godere del
gioco
di luci che una luna piena come quella garantiva nelle buie e cupe
strade di Huntington Beach. Quando Haner la raggiunse, si
appoggiò
al muro e rivolse lo sguardo all'oceano, proprio davanti a lei e
proprio ad un passo dal locale. Bastava attraversare la strada
deserta per sentire la sabbia sotto i piedi. Aspirò una
boccata
dalla sua sigaretta e sentì gli occhi di Brian su di lei
scrutarla
impercettibilmente.
Brian
la stava osservando e ciò che vedeva lo catturò a
tal punto da
farlo sentire male, lo colse di sorpresa. Chelsea aveva i capelli
color fuoco che le scendevano lunghi e mossi sulle spalle, il profilo
delineato dal chiarore della luna che si imbatteva nella sua pelle
color latte e risaltava il colore violaceo del suo vestito, un tubino
che accompagnava le sue forme nei pensieri di Brian. Rimase un po'
interdetto da quella visione e si accorse di essersi soffermato sul
suo corpo un po' troppo, quando la ragazza si voltò per
guardarlo.
Accese anche lui la sua Marlboro e guardò nella stessa
direzione di
Chelsea, cercando di dare un ordine agli ultimi tre o quattro
pensieri.
«
Sai, ti immaginavo diverso. » disse lei dopo interminabili
attimi di
silenzio.
« E
come mi immaginavi? » rispose lui, tossicchiando, rimasto
attonito
dal suo tono di voce, così provocante e sexy.
«
Più tosto, e più stronzo! »
« Mh
» si limitò lui, stupito. Aspirò un
secondo tiro dalla sua
sigaretta e riprese a fissare l'oceano, cercando di ostentare un'aria
indifferente.
« Ti
va di fare un giro sulla spiaggia? » azzardò lui.
«
Sì. »
Quel
“sì”, per Chelsea, fu un segnale
eloquente. Era come se avesse
risposto si ad una domanda simile a “ti va di tradire insieme
il
mio migliore amico ed il tuo fidanzato?”, ma non ne aveva la
certezza assoluta. Sapeva che stava sbagliando, ma fino all'ultimo
secondo tutto avrebbe potuto essere diverso da come appariva e quel
“sì” avrebbe anche potuto significare
un'innocua passeggiata
sulla spiaggia. Perché per convivere bisogna conoscersi, e
loro due
non si conoscevano affatto. Ma quel sentore, quel peso sullo stomaco,
un misto di colpa e tentazione che le attanagliava le viscere e che
in un certo senso la allettava, in realtà la stava
divorando. Si
stava spingendo troppo oltre, lo aveva capito dopo pochi passi sulla
spiaggia, mentre si stava togliendo i tacchi per camminare meglio.
Aveva sentito che quello sarebbe stato il primo degli altri indumenti
che sarebbero scivolati via dal suo corpo, uno ad uno. Ma comunque
non ne era sicura, e i sensi di colpa non l'avrebbero colpita in
pieno fino a che non avesse avuto la prove concrete, per se stessa,
che fosse realmente successo qualcosa di più.
Ma
solo quando furono sulla riva, con i piedi nella fredda acqua di
Dicembre, capirono entrambi di essere entrati in un gioco dal quale
non sarebbero più usciti.
E poi
alla fine è tutta colpa della notte, perché di
notte lo sguardo di
Brian sul suo corpo non fa così paura, perché di
notte quel calore
al petto, quell'impeto primo di ciò che potrebbe
essere, non
fa male. E anche se Brian stava avvicinando pericolosamente il viso
al suo non importava, perché a coprirli c'era la luna,
l'unica in
gradi di vederli, e Chelsea si fidava della luna, non li avrebbe
traditi. E al primo bacio, labbra calde che si incontrano, leggere,
che quasi si sfiorano, per poi volersi con una fame di passione senza
eguali, in quella notte, scattò qualcosa di impercettibile,
qualcosa
di dannatamente terribile, ma dolce e delicato, come un soffio freddo
al cuore, che rinfresca ma fa star male.
Le
loro mani che si insinuavano nel corpo dell'altro a volerlo conoscere
con la curiosità che solo i bambini ancora conservano ma che
per
quella sera li aveva ritrovati entrambi. Le fecero ricordare i
pensieri che aveva avuto su di lui poco prima, al pub, quelli
inerenti al fidanzato fedele che non si fa ammaliare da nessuna.
Cazzate, ora ne aveva la certezza.
« Ma
che cazzo stiamo facendo? » bisbigliò lui
ansimando, senza però
avere il coraggio di fermare quella danza di corpi.
«
Non lo so » fu la risposta, altrettanto secca. «
Non possiamo, non
qui. »
Così,
senza esitare, Brian interruppe in un secondo ciò che prima
non
aveva avuto il coraggio di manipolare, lasciandosi con il suo sapore
in bocca e la voglia di lei che aumentava ad ogni respiro. La prese
per mano e la condusse ad una piccola costruzione di legno, quella
per i bagnini. Una sola stanza sollevata da terra da quattro gambe di
legno, con una scala che conduceva all'entrata, preceduta da un
piccolo portico. Forzò la serratura e riuscì ad
entrare. L'aria era
salmastra e il buio dominava incontrastato. In pochi secondo avevano
già ripreso quello che avevano lascito in sospeso, dando
voce a
quell'attrazione che li aveva coinvolti irrevocabilmente. E un po'
anche le troppe birre stavano conducendo quel gioco pericoloso, o
forse erano soltanto quelle, perché Chelsea sentiva la testa
girargli e non sapeva a quale delle tante cause attribuirlo. E invece
Brian ne era sicuro, erano le birre che gli impedivano di smettere di
tradire il suo migliore amico, in condizioni diverse non l'avrebbe
mai fatto, pensava, solo per darsi una ragione.
« E'
la birra.. » disse lui.
«
Non ci sono scuse.. » rispose lei.
Erano
ad un passo dalla fine e alcuni vestiti avevano già toccato
terra,
come la maglia di Brian, per esempio, o il vestito di Chelsea. Lei
era costretta con la schiena al muro di legno mentre Brian, nel suo
cervello, cercava una scusa, una qualsiasi, che andasse bene a
fermarlo. Che la casetta crollasse, una chiamata inaspettata,
qualsiasi cosa per bloccare la sete che aveva di lei, a dispetto di
ciò che invece stava realmente facendo. Erano due corpi
avvinghiati
l'uno all'altro, lui la teneva per le cosce sollevata da terra quanto
bastava e lei gli cingeva i fianchi con le gambe mentre si baciavano
in ogni parte del corpo con una furia inarrestabile. Poi ad un
tratto, tra un bacio e l'altro, Chelsea si soffermò su un
particolare: Brian aveva uno strano tatuaggio su una spalla che la
fece riflettere.
«
Aspetta » disse, fermandosi « è questo.
»
«
Cosa, “è questo?” » rispose
lui con sguardo inquisitore.
« Il
tatuaggio, quello che hai fatto con gli altri » e gli
toccò la
parte di pelle che era solcata dall'inchiostro nero che l'aveva
attirata. Rappresentava tre lettere intrecciate l'una con l'altra, la
lettera “Z” , la “M” e un
ultima che era composta da due “J”
legate a specchio. Rispettivamente Zacky, Matt, Jimmy e Johnny.
«
Quello, ah sì. » Lui abbassò lo sguardo
e la rimise con i piedi
per terra. Come se, improvvisamente, la stanchezza del mondo intero
gli si fosse riversata sulle spalle, come se ci fosse un peso tropo
grande da dover sostenere.
«
Non possiamo, Bri. »
Brian
sembrò soppesare le sue parole ad una ad una, giudicandone
l'importanza e la consistenza, e poi concluse: « No, infatti
»
Ci fu
un attimo di silenzio.
« Ma
che cazzo stavamo facendo? » Continuò lui, quasi
ridendo, un po'
per l'adrenalina in circolo e un po' per la disperazione.
I due
si guardarono e accennarono brevi spasmi di risate sconnesse, per
tentare di coprire l'imbarazzo o forse il senso di colpa. Infondo,
erano semi nudi in una baracca in riva al mare mentre il loro
migliore amico e fidanzato se ne stava tranquillo nel pub che avevano
appena lasciato, ignaro del fatto che entrambi lo stessero tradendo.
Non era una situazione ordinaria.
«
Forse è meglio che ci rivestiamo, si chiederanno dove siamo
finiti.
» disse lei, poiché lui non accennava a muoversi e
rimaneva
attaccato a lei, facendo pressione sul suo corpo appoggiato al muro,
con gli sguardi ancora troppo vicini.
Brian
osservò il suo volto e ne squadrò la fisionomia;
la linea della
bocca; il taglio degli occhi; la forma del naso. Ne rimase incantato,
come qualche attimo prima. Distolse lo sguardo promettendosi che non
avrebbe più fatto quel gesto.
«
Brian, muoviti! » fu lei a interrompere i suoi pensiero poco
casti,
dandogli una pacca sul petto, spostandolo leggermente. Si
accucciò
per raccogliere frettolosamente i suoi vestiti, offrendo
così al
povero Brian una visione decisamente meno casta dei
pensieri
che aveva avuto poco prima. Rimase sconvolto dalla visione del suo
fondo schiena, e forse fu proprio quello che lo convinse a non
cedere, non proprio in quel momento che lei aveva avuto le forze di
fermarsi lì e non andare avanti. Distolse lo sguardo e
cercò di
concentrarsi sul buio che inondava la stanza. Doveva rivestirsi,
aveva ragione Chelsea.
Uscirono
in fretta da quella baracca e si avviarono a ritroso sui loro passi,
cercando di mostrare l'un l'altro la migliore espressione rilassata e
per niente turbata che potevano ostentare. Ogni tentativo risultava
vano. Arrivati all'entrata del locale, si convinsero che in quel
lasso di tempo non era successo assolutamente niente.
«
Haner, dimentica questa serata! » disse lei rientrando nel
pub.
Lui
annuì, intimorito.
« Se
ne fai parola con qualsiasi persona, giuro che farò in modo
che non
potrai mai più mettere mano su una chitarra! » lo
incenerì lei.
Brian ci rimase un po' male, perché non capiva del tutto
l'atteggiamento che aveva assunto lei, tutto d'un tratto. Non capiva
come poteva essere possibile cambiare opinione in meno di due minuti.
Ma evidentemente era un altro dei tanti aspetti che non conosceva
ancora di lei. La vide entrare frettolosamente nel locale e,
d'istinto, la blocco prendendola per una braccio.
«
Chelsea, non possiamo far finta di niente così! »
«
Oh, sì che possiamo. Ed è proprio quello che
farai anche tu! »
« Lo
sai che non vuoi nemmeno tu. »
«
Brian, lascia che ti spieghi. Io amo Jimmy e anche tu gli vuoi bene.
Non possiamo e comunque sia non vorrei; io voglio lui, non te!
»
Furono
come tante piccole pugnalate al petto, per Brian. Necessarie, forse,
ma fecero male lo stesso. E la cosa peggiore era che lui non ne
capiva il motivo. Con che faccia sarebbe tornato da Michelle, adesso?
Ancora
non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma era sicuro che
dopo una bella dormita le cose gli sarebbero apparse più
chiare.
Rientrarono
entrambi nel pub e fecero finta di niente per il resto della serata,
ci fu solo qualche occhiata che Chelsea sperò fosse passata
inosservata.
Tornati
a casa, Zacky ed Eloyn si ritrovarono più stanchi di
ciò che
pensavano, così, senza troppi indugi, decisero di comunque
accordo
di buttarsi sotto le coperte e dormire fino a che non gli si fossero
fossilizzati gli occhi. Testuali parole di Zacky.
«
Però, è stata una giornata un po' movimentata,
no? »
«
Sì, Danger Line sta venendo una
meraviglia. »
Infatti,
proprio quel pomeriggio Jimmy aveva sfornato un'altra delle sue
melodie fantastiche e Danger Line era
già quasi finita.
Eloyn, in quel breve ma intenso pomeriggio, aveva imparato ad amare
quella canzone. Per quanto fosse l'ennesima canzone di guerra, lei ne
era rimasta completamente affascinata. E le parole erano
meravigliose.
Ora i
due ragazzi stavano in piedi accanto al letto, lei tra le braccia di
lui, pronti per adempire al loro desiderio di dormire a lungo.
Se
c'era qualcosa che Eloyn adorava più degli occhi di Zacky,
era
dormire con lui, solo dormire. Senza sesso, senza troppe parole, solo
stare tra le sue braccia e sentirsi protetta. Aveva capito che anche
nelle notti più buie, quelle che tolgono il fiato, c'era
sempre una
soluzione; perché tra le sue braccia non c'era da avere
paura.
«
Sì, sta venendo decisamente bene. » disse lui
stringendola un po'
per i fianchi e accarezzandole il collo scoperto con la bocca. Lei
chiuse gli occhi e sospirò.
«
Jimmy è un genio. »
«
sì, ma oggi l'ho visto un po' turbato »
«
Quando, di preciso? »
« Al
pub, quando Chelsea è tornata con Haner, si è
comportato in modo
strano, come se sospettasse qualcosa »
lui si allontanò
leggermente per enfatizzare con gli occhi l'ultima parola.
«
Vuoi dire?.. ». Lui annuì « No, non
credo.. Non può essere! »
«
Non saprei, secondo me la nostra cara Chelsea non la racconta giusta.
»
« Ci
parlerò, appena ne avrò il tempo. » e
appoggiò di nuovo la testa
sulla sua spalla, lasciandosi cullare ancora un po', improvvisamente
immersa nei ricordi.
Ricordava
i comportamenti di Chelsea a Washington; ricordava come voleva avere
sempre tutto e subito, come non sapesse scegliere tra due cose, o,
come in questo caso, tra due persone, e allora se le prendeva
entrambe. Non era un bel comportamento ma Eloyn aveva creduto, o
forse sperato, che in quei mesi fosse cambiata, perché Jimmy
sembrava davvero averla cambiata. Questo flusso di pensieri la
riportò con i piedi per terra, tutto d'un tratto le venne in
mentre
sua sorella Silvie e Washington, e i suoi genitori, che non le
mancavano poi così tanto.
I
suoi genitori erano quel che si direbbe di due persone
“classiche”.
Non c'era termine migliore per descriverli e proprio per questo
motivo lei li aveva sempre disprezzati.
Loro
stessi, inconsciamente, avevano fatto in modo che la vita delle due
figlie diventasse un incubo. La perfezione delle cose immutate, che
puzzano di stantio e naftalina, aveva caratterizzato gran parte della
loro vita. Una casa a schiera immacolata, identica a tutte quelle di
quella via, le aspettava dopo la scuola, e le dava il benvenuto quel
cortile che ogni giorno diventava sempre più verde.
Crescendo, Eloyn
aveva capito che dietro a tutto quell'apparire si nascondeva la
malattia.
Una
volta, non molto tempo prima, Silvie le aveva raccontato il
perché
di tutto quello. Le aveva fatto vedere le cose con i suoi occhi e
Eloyn aveva scoperto che sua madre, per esempio, non era la santa che
tutti pensavano. Non che fosse una donna cattiva, tutt'altro. Ma
nell'ingenuità della sua ignoranza aveva sudato sette
camicie per
riuscire ad entrare in quella élite di gente popolare del
suo paese
alla quale aveva sempre aspirato far parte, in modo da poter essere
accettata in quella nuova città che sembrava odiarla. E suo
padre
aveva fatto i salti mortali per assecondarla. Per questo erano
arrivati fin lì, e per questo Eloyn era scappata, a
differenza di
sua sorella che era rimasta incastrata in quel labirinto infernale.
Tra
loro c'era un legame speciale, qualcosa che Eloyn non aveva mai
provato con nessun altro, nemmeno con Zacky, nemmeno con Justin o con
Chelsea, con nessuno che si fosse avvicinato a lei abbastanza da
conoscerla c'era stato quello che c'era stato e c'era tutt'ora con
Silvie. Era sua sorella, dopotutto, e le voleva bene, la amava. A
questi pensieri così malinconici, Eloyn strinse ancora di
più il
braccio di Zacky che le cingeva i fianchi e sprofondò un
altro po'
il suo viso nel petto di lui. Tempestata da una valanga di ricordi,
sospirò.
«
Che hai? » Zacky la conosceva, e non ci voleva molto per
capire cosa
stesse succedendo.
Lei
di rimando scosse la testa, come a dire che comunque non importava.
Allora
lui le prese il viso tra le mani e vide i suoi occhi luccicare
più
del solito. Si guardarono per attimi interminabili quando
“Beast
and the Harlot” riecheggiò per tutta la stanza, la
suoneria del
cellulare di Eloyn, facendo sobbalzare Zacky, nonostante quella
canzone l'avesse scritta lui stesso. Allora imprecò.
« Ma
quando ti deciderai a cambiare questa cavolo di suoneria, eh, El?
»
le disse lui con tono di rimprovero mentre lei scioglieva l'abbraccio
e andava a prendere il cellulare nella sua borsa.
Zacky
stette un po' ad osservarla mentre guardava il nome sul display.
Indossava un fine pigiama di cotone, quasi trasparente ma coperto nei
punti giusti che quasi si confondeva con la sua pelle color neve;
pantaloncini corti e canottiera. Vide il suo viso esplodere di gioia
un attimo prima di rispondere alla chiamata tardiva.
«
Silvie!!! » esclamò lei al telefono. Zacky
capì che la serata era
finita lì. Le si avvicinò e le fece segno che lui
sarebbe andato a
dormire, le mise una mano ad un lato della testa e le diede un bacio
sulla fronte. Lei rispose accennando un
“sì” con la testa e
facendogli segno che sarebbe andata sulla terrazza a parlare. Prese
una felpa, disse a Silvie di aspettarla in linea e la infilò.
«
'notte Zacky! » ne approfittò per dare la
buonanotte all'altro che
si stava già avviando dalla sua parte di letto.
«
Buonanotte amore. »
Si
richiuse la porta della terrazza alle spalle. Non riusciva a
ricordare quando era stata l'ultima volta che aveva sentito sua
sorella; non capiva perché, ma non erano molte le volte in
cui era
riuscita a dedicarsi alla sua vecchia vita.
«
Silvie! Come stai? »
«
Oh, qua tutto bene, diciamo ordinario. Non ti rubo molto tempo, ho
solo una notizia da darti. »
Per
un attimo Eloyn temette il peggio; il suo carattere a volte
così
pessimista la obbligava a pensare a ciò che poteva essere
successo
“di così brutto”
invece che “di così bello”. E
il tono di voce della sorella era così freddo e distaccato;
certo, a
volte usava quello stesso tono per comunicare qualcosa di tragico.
«
Cosa? » azzardò lei, appoggiata con il bacino alla
ringhiera del
terrazza. L'aria notturna le pungeva sulla pelle liscia e scoperta e
davanti a lei si stagliava il giardino di quella reggia da favola,
una delle tante che aveva imparato ad abitare in quei mesi. Era
davvero meravigliosa, il verde dominava incontrastato e c'erano
migliaia di fiori e piante tropicali.
«
Vengo ad Huntington!! »
In
quel preciso istante quelle parole risuonarono nella testa di Eloyn
come bagliori di speranza, sostituendosi, nella mente di Chelsea,
alla vegetazione circostante.
«
Ma.. ma come? Cioè? Il lavoro? E papà? Mamma?
» Come quando ci
sono troppe cose da dire tutte insieme, i pensieri nella sua testa si
fecero densi di uno stupore palpabile che contaminava anche l'aria
attorno a lei.
« Ho
mollato tutto, mi sono stufata. Proprio come hai fatto tu!! »
« E
quindi vieni per restare? »
«
Questo non lo so, adesso ti direi di no, ma nella vita tutto
può
essere! Adesso ti lascio che sono stanchissima, è stato il
mio
ultimo giorno di lavoro! »
Nella
vita, tutto può essere.
«
Quindi parti domani? »
«
Per la precisione parto fra circa quattro ore. »
Come
nei film americani di adolescenti svampiti, entrambe scoppiarono in
quegli urli striduli e fastidiosi da chearleader che stapperebbero
gli orecchi anche ad un sordo, ed Eloyn iniziò a saltellare
di gioia
per tutto il terrazzo con gli occhi chiusi e i denti stretti.
«
Allora ci vediamo tra qualche giorno! »
«
Sì, a presto piccoletta »
A
quelle parole Eloyn si senti, finalmente, dopo tutti quei mesi, a
casa. Respirò profondamente l'aria fredda della sera e poi
rientrò
in camera per raggiungere Zacky sotto le coperte.
Non
appena fu dentro, si diresse accanto al letto cercando di non andare
a sbattere da qualche parte nel buio pesto che regnava in quella
camera. Si infilò anche lei nel letto e mise una fredda mano
sulla
spalla scoperta di Zacky.
«
Zacky.. ehi, Zacky.. » bisbigliò piano, intenta a
svegliarlo.
Lui
mugolò qualcosa di incomprensibile.
«
Come hai fatto ad addormentarti in così poco tempo?
» osservò lei.
Zacky
si voltò verso di lei e si mise supino per osservarla meglio.
«
Che ne so, sarò una specie di koala. »
biascicò lui.
«
Silvie viene ad Huntington » dichiarò lei cercando
di trattenere
quell'entusiasmo che aveva sfogato poco prima sulla terrazza.
«
Ecco cos'erano quegli schiamazzi, pensavo che ti stessero uccidendo.
»
« E
tu non saresti venuto a salvarmi? » ironizzò lei.
«
Ovviamente no! » bluffò lui.
Eloyn
gli diede una spinta rischiando di farlo cadere dal letto e poi gli
prese il viso tra le mani e lo baciò con quella
felicità che le era
stata regalata. Lui la cinse per i fianchi e la portò sopra
di lui,
baciandola con più passione.
«
Parte domani mattina » accennò lei, tra un bacio e
l'altro.
« Mh
mh » rispose lui come a dire che aveva capito ma che in quel
momento
non era poi così importante.
«
Eloyn.. » la chiamò lui, ad un tratto. Ora erano
girati su un
fianco, abbracciati, con i nasi a pochi millimetri di distanza.
«
Si... ? »
«
Io.. ti amo. »
Un
tuffo al cuore colse Eloyn di sorpresa che si chiese se esistesse
giorno migliore di quello mentre cominciata lentamente ad impazzire.
Non
ricordava quando era stata l'ultima volta che qualcuno le aveva
rivolto parole simili. Non ricordava nemmeno cosa si provasse e
rimase spiazzata quando sentì un bruciore al petto
attanagliarle la
gole bloccandole in respiro.
« Ti
amo anch'io. » rispose in un sussurro.
«
Anche io. »
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Capitolo 11 *** 10 - Il silenzio non esiste ***
11 Dicembre 2009
Brian
e Mich erano davvero una bella coppia e in quel momento, pensare di
averli quasi divisi le faceva attorcigliare lo stomaco.
In quei giorni le temperature stavano cominciando ad alzarsi,
così al senso di colpa si aggiungeva anche il caldo
californiano, il meno sopportabile della storia.
Davanti a Chelsea il termometro dell'ombrellone azzurro segnava
ventiquattro gradi e sette e il sole picchiava violento sulla sabbia
che ne rifletteva i raggi a piccole scaglie di luce. Quella poca ombra
che la copriva sembrava essere l'unica, magra, soddisfazione.
Era seduta sotto l'ombrellone con le cuffie agli orecchi e un libro tra
le mani, ma tutto intorno a lei le dava dannatamente fastidio. Sapeva
lei stessa che era dovuto ad un unico fattore scatenante. Esso sostava
a pochi metri da lei.
Era passato solo il tempo di una notte dopo che si erano detti le loro
ultime parole, all'entrata del pub. Ora lui se ne stava tranquillamente
sdraiato sulla sabbia accanto a Michelle, sotto al sole cocente del
Dicembre californiano, come se tutto il rimorso e i sensi di colpa
fossero intrinseci solo del subconscio di Chelsea. Per tutta la mattina
si era atteggiato a finto ignorante, come se tutto quello che era
successo non lo riguardasse. Anzi, no. Per la precisione si era
comportato con estrema indifferenza. Le aveva rivolto la parola solo
quando non facendolo avrebbe destato troppi sospetti. Aveva interagito
con lei quel minimo sindacale che le circostanze gli avevano imposto
– Chelsea era sicura che se avesse potuto avrebbe fatto finta
che lei non fosse stata visibile. E a tratti la uccideva
dentro, con quegli sguardi che le ricordavano piccoli tratti di momenti
passati assieme, e la corrodevano dentro.
Non capiva che bisogno ci fosse di ostentare segretamente tutto quello
sprezzo. Avevano fatto una cazzata, ok, ma era finita lì. Si
erano detti che non sarebbe più successo e di dimenticare
tutto ma evidentemente la parola “dimenticare” per
Brian non aveva lo stesso significato che aveva per il resto del mondo.
La cosa la infastidiva molto, soprattutto perché i suoi
tentativi di fare finta di niente venivano vanificati dalla sua
ostilità, accompagnata da svariate frecciatine che non
facevano altro che metterla a disagio. Era certo, però: in
un modo o nell'altro la volontà di Brina di ignorarla
completamente non era abbastanza forte da competere con il suo istinto.
L'unica cosa alla quale Chelsie non riusciva a darsi una spiegazione
era il come fosse successo. Cosa aveva fatto scaturire certe azioni?
Sapeva che se si fosse soffermata a pensarci si sarebbe sicuramente
ritrovata gli occhi sugli addominali scolpiti di Brian. Era solo
attrazione fisica e poteva sopportarlo.
Distolse lo sguardo dall'orizzonte e si voltò. Lo sguardo di
Brian la incenerì di nuovo non appena Michelle si fu
distratta un secondo. Era troppo, gli avrebbe rotto il naso.
Chiuse il libro violentemente e si tolse le cuffiette.
Appoggiò tutto sullo sdraio dove era seduta e si
avviò verso l'oceano, decisa a rinfrescarsi le idee e a
sbollentare la rabbia.
« Dove vai? » le chiese Eloyn che stava risalendo
la spiaggia dal verso opposto, assieme a Johnny.
« A suicidarmi! » procedendo spedita verso la riva.
C'era qualcosa che in quei mesi l'aveva fatta stare bene, oltre a
Jimmy: era l'oceano. Una cosa che le era mancata nella sua vita, lo
aveva capito poco dopo essere arrivata.
Il suo primo mese ad Huntington Beach era stato tragico. Era una
ragazza sola in una città dalla parte opposta del paese. Ed
era senza Eloyn. Una sera si era seduta sulla riva della spiaggia
insieme ad una Corona e aveva osservato le sfumature dell'acqua
all'orizzonte. Aveva capito di non essere sola. Che finché
ci fosse stato il mare non avrebbe avuto paura. Perché
quella sera l'oceano le aveva fatto compagnia e per la prima volta da
quando era arrivata si era sentita a casa.
Dopo quella sera, il mare era diventato il suo consigliere. Ogni volta
che c'era un problema, ogni volta che litigava con Jimmy o con Eloyn, o
semplicemente se aveva voglia di distrarsi, andava sulla riva a
riflettere, e funzionava sempre.
Johnny ed Eloyn si scambiarono un'occhiata eloquente mentre superavano
la rossa.
« Che le succede? » chiese Johnny.
« Non ho idea » rispose l'altra raccogliendosi i
capelli per strizzar via l'acqua in eccesso.
« Secondo me c'entra il nostro chitarrista da strapazzo.
» disse lui.
« Ma chi? Zacky? » ribatté Eloyn
perplessa.
« No, scema. » puntualizzò Johnny
lanciando un'occhiata ad un Brian semi addormentato sulla sabbia con le
cuffie alle orecchie.
Eloyn roteò gli occhi esasperata.
« Ma che avete tutti con questa storia? Vi dico di no! Me lo
avrebbe detto.. » cercò di autoconvincersi.
Me lo avrebbe detto.
16 Dicembre 2009
Chelsea
stava sorseggiando il suo tè delle cinque quando
sentì di nuovo il cuore pesarle. Non era la prima volta che
le succedeva.
Accanto alla finestra, con una mano a scostare la tendina bianca e con
gli occhi che mitragliavano l'esterno come uno scanner, aspettando
Jimmy: in quei momenti sì, sentiva il cuore pesarle. E
succedeva ogni volta da quando le cose con Brian si erano complicate in
quel senso. Perché si sentiva dannatamente in colpa.
La sua più grande paura era che Jimmy arrivasse da lei
dicendogli: “Haner mi ha detto tutto! Tra noi è
finita.”; e invece non succedeva mai. E allora aspettava
impazientemente ogni volta che Jimmy la veniva a prendere, e durante
quell'attesa il cuore le pesava. Proprio come quel pomeriggio davanti a
quella tazza di tè.
Stava crescendo, purtroppo e finalmente. E se ne stava rendendo conto.
Stava capendo quali erano le sue priorità, e molto
probabilmente Jimmy era una di queste.
Avvicinò cautamente la bocca all'orlo della tazzina
assaporando il contatto con quel liquido bollente e il calore che le
avvampava il viso. Cercò di rilassarsi.
Nel mentre, la porta si aprì leggermente facendola
risvegliare da quell'estasi di pace che si era creata.
« Disturbo? » chiese Eloyn spuntando fuori dalla
porta.
C'era silenzio in quella stanza; la voce di Eloyn era un sussurro.
« No, figurati » rispose Chelsea appoggiando la
tazza sul tavolo. « Vuoi del tè? »
« Ma sì, dai. »
Chelsea allungò un'altra tazza verso Eloyn che si stava
sedendo dalla parte opposta del tavolo e le versò il
tè fin quasi ad arrivare al bordo.
Eloyn avvicinò a sé la ciotola dello zucchero e
si versò tre cucchiaini.
Doveva parlare con Chelsea.
Doveva dirle dei sospetti che tutti nutrivano nei suoi confronti. Dei
sospetti che cominciava ad avere anche lei.
Aprì la bocca e fece per parlare ma il campanello fu
più veloce; qualcuno aveva suonato.
Eloyn rimase stranamente confusa dall'espressione nel volto di Chelsea.
Era.. preoccupata. Era stata quasi spaventata dal campanello, non era
da lei e non era una cosa normale.
Non sapeva più che succedesse alla sua amica, non le parlava
davvero da troppo tempo. Era che tutti quei casini, quei fatti
così rapidi le avevano distolte l'una dall'altra. Si erano
perse di vista pur abitando nella stessa casa.
« Vado io. » disse Chelsea alzandosi dal tavolo.
Appena fu davanti alla porta fece un bel respiro. Era sicuramente
Jimmy. E come sempre aveva paura di cosa avrebbe potuto dirle.
Finalmente si decise e quando aprì la porta rimase
interdetta da quel volto che non era affatto quello di Jimmy.
Silvie sostava appoggiata allo stipite con quell'aria vispa e
impaziente che la contraddistingueva dalla sorella.
« Silvie!! » esclamò la rossa stupita.
« Ehi Chel! Cos'è? Mia sorella è troppo
pigra per venirmi ad accogliere? » ironizzò
l'altra abbracciandola.
« Ma cosa ci fai qui? »
« Come? Eloyn non ti ha detto niente? »
« Be'.. veramente no.. »
Non le aveva detto niente. Non avevano parlato di niente in particolare
in quei giorni, in effetti. Non parlavano seriamente da qualche
settimana, ormai.
« Sono scappata da Washington, come avete fatto voi.
» disse entrando in casa.
Chelsea non capiva bene perché tutti tendessero a fuggire da
quella città. Certo, capiva perché lei stessa lo
avesse fatto. Ma tutti gli altri? Eloyn? E adesso Silvie? C'era
qualcosa in quella città che faceva paura a più
persone di quello che pensava.
« Oh, hai fatto bene. »
« Dov'è la mia sorellina? »
« E' di qua, stavamo prendendo del tè, vuoi?
»
« Oh sì, lo voglio anche io. Ho fatto non so
davvero quante ore di viaggio. Sono distrutta. »
« Vieni, di qua. »
Entrarono in cucina dove Eloyn aspettava di vedersi entrare Jimmy. Il
suo cuore saltò un colpo quando vide Silvie varcare la
soglia della porta, seguita da Chelsea.
« SILVIE! » le corse incontro e le saltò
addosso.
I effetti si assomigliano parecchio, pensava Chelsea. Non fisicamente;
Silvie era molto più magra e più alta. Ma avevano
gli stessi caratteri somatici. Stessa bocca; stessi occhi; stesso naso.
Solo posti in due contesti differenti. Quasi opposti. Infatti, mentre
Eloyn aveva dei lunghi capelli neri, Silvie li aveva cortissimi e
rossicci, color rame.
« Sorellina! Come stai? »
« Oh, adesso benissimo! Tu, piuttosto? Mamma e
papà? Devi raccontarmi un sacco di cose! »
Chelsea adesso la riconosceva, quella Eloyn che le mancava da morire.
Quella sorridente, quella con cui era cresciuta. La riconosceva, solo
ora che si era riaccesa.
17 Dicembre 2009
Silvie
era una ragazza quasi sui venticinque, ma ne dimostrava molti di
meno. Uguale ad Eloyn; due gocce d'acqua se ci si faceva caso.
In realtà a primo impatto non gli erano sembrate nemmeno
parenti. Una capelli lunghi, l'altra corti. Una lenta e pacata, l'altra
un uragano di elettricità.
Ma la somiglianza stava nei lineamenti, identici.
C'era da dire che da quando Silvie era arrivata ad Huntington, Eloyn
sembrava essere rinata, quasi fosse stata un'altra persona. E di
questo, Zacky poteva esserne solo felice.
« Piacere, io sono Silvie e vi amo da quando avete iniziato a
suonare! » aveva esordito subito.
Ed era in questo che erano diverse. In questi piccoli dettagli. Eloyn
non avrebbe mai detto una cosa del genere. E anche la schiettezza con
la quale aveva iniziato subito a legare con tutti, la
solarità con la quale chiedeva gli interessi di Matt, era
diversa.
Però gli piaceva, perché li trattava come persone
normali e niente più. E Zacky non avrebbe potuto desiderare
niente di meglio, qualcuno che li trattasse da umani. Perché
aveva questo bisogno ormai da un po' di tempo. Voleva una vita normale.
Con amici normali, senza fotografi e interviste. Ne aveva anche
declinate due o tre in più, in quel periodo. Larry diceva
che era colpa di Eloyn, che gli faceva uno strano effetto. E in parte
aveva anche ragione. Lo aveva salvato, se così si poteva
dire.
Silvie gli aveva raccontato la sua vita in meno di mezz'ora. Di suo
padre e di come la opprimeva con le sue paranoie sul suo futuro. E di
come ora fosse scappata da Washington, come aveva fatto sua sorella,
per forza di necessità. Aveva raccontato la sua vita senza
dargli peso, come se non fosse importante. Però, nel modo in
cui raccontava, si capiva che non lo faceva con
superficialità. Perché ci metteva se stessa in
quelle parole. Era solo voglia di lasciarsi indietro un pezzo di vita
senza dimenticarlo del tutto.
«...e così sono arrivata qui. E cazzo! Non mi
sembra vero di potervi conoscere! » disse stringendo una
spalla a Matt.
Gli altri risero. Anche in quello non si smentiva. Era la prima fan che
non rischiava di svenire, era più reale.
Zacky cinse la vita di Eloyn, vedendola felice davanti a sua sorella.
Lei gli sorrise di rimando e tornò ad ascoltare gli aneddoti
di Silvie.
« El.. » le sussurrò all'orecchio.
Lei si voltò.
« Ho davvero bisogno di stare un po' con te. Da soli.
»
Eloyn lo prese per un braccio e lo incitò a seguirla.
« Scusateci.. andiamo a fare una passeggiata! »
« A ma non sembra giusto che tu ti sia accaparrata proprio il
più bello. » le gridò dietro Silvie.
Eloyn sapeva che stava scherzando.
Andarono in spiaggia, a pochi passi da lì.
« Di a tua sorella che potrei cambiare idea e prendermi la
più matura delle due, eh? » ironizzò
Zacky.
Lei lo incenerì con lo sguardo, ed era seria. Si volto e
fece un passo nella direzione opposta.
Zacky le prese un braccio e la attirò a sé.
« E andiamo, non te la sarai mica presa! »
« Se vuoi passare un o' di tempo con me, va bene. Altrimenti
vai da lei che nessuno te lo impedisce. »
« Eloyn, stavo scherzando! Non posso credere che te la sia
presa sul serio. »
Lei ci pensò su e incrociò le braccia al petto,
con lo sguardo basso.
« Non lo so.. »
« Cosa? »
« Niente.. volevi dirmi qualcosa? »
« C'è bisogno di dover dire qualcosa per stare un
po' da solo con la mia ragazza? » le cinse i fianchi e la
baciò, ancora confuso dal suo comportamento di poco prima.
« Suppongo di no. »
« Quant'è che non passiamo un po' di tempo da
soli? »
« Tre giorni. »
« Tre giorni possono essere un'infinità di tempo.
»
« Mh » acconsentì lei guardando altrove,
qualsiasi cosa che non fossero stati i suoi occhi.
« Che c'è? » la richiamò lui.
Faccia a faccia.
« Niente » E che Eloyn ci provava sempre ad essere
convincente, ma gli veniva male.
E poi nella sua vita c'era dell'altro con cui aveva imparato a
convivere, erano i momenti come quello. Riempiti solo dallo spazio di
due occhi celesti. Un buco nell'anima.
« Pensi che Chelsea e Brian ci stiano davvero nascondendo
qualcosa? »
« Non ci credo che è questa la tua vera
preoccupazione »
« Tu rispondimi »
« No, non lo penso. Anzi, non so che pensare. Non parlo a
quattrocchi con Haner da troppo tempo. Sembra essere assente.
»
« Secondo me c'entra qualcosa. Stanno succedendo cose strane.
Loro si comportano in modo strano »
« Facciamo così: io parlerò con Brian e
tu parlerai con Chelsea. Non credo che ci sia niente sotto, ma se la
cosa ti fa stare meglio.. lo farò. »
Eloyn abbassò lo sguardo.
« .. ma non è questo che ti preoccupa..
» concluse Zacky mettendosi le mani nelle tasche posteriori
dei Jeans.
« No, Zacky. E' che sono paranoica. »
18
Dicembre 2009
Casa
di Brian era una casa semplice, senza troppe pretese. Una piccola e
innocua villetta, una tra le tante, tenuta splendidamente grazie al
tocco fatato di Michelle.
« Siediti pure Zack, ti porto qualcosa da bere? »
La gentilezza e l'ospitalità di Michelle gli erano
familiari. Erano quelle piccole cose, quegli accenti, quei toni di voce
che lo facevano sentire a casa ogni volta. Aveva la sicurezza
delle sue azioni e anche di quelle degli altri. Con Michelle potevi
benissimo sapere cosa avrebbe fatto e in che momento. Era una di quelle
abitudini che non vanno mai a stufo. Quelle certezze assolute che non
ti stancano mai. Una monotonia che non cade mai nel banale.
« Sai com'è fatto Brian, ci metterà un
secolo per scendere.. »
« Non ti preoccupare Mich, lo vado a stanare io. »
Fece i gradini a due a due, tanto per scaricare lo stress. Aveva paura
di cosa Brian avrebbe potuto dirgli. Magari quel segreto
inconfessabile che aleggiava nell'aria già da un po'. O
magari niente.
Lo stava facendo per Eloyn e non c'era nulla da temere. Però
in qualche modo gli ci aveva fatto pensare, a quegli “e
se..” a cui non aveva mai dato peso.
Aprì di colpo la porta della stanza da letto dell'amico ed
esclamò: « Brian! Dobbiamo parlare. »
« Buongiorno anche a te Zacky »
Brian osservava confuso il suo armadio.
« Che stai cercando? »
« No. La domanda giusta sarebbe: perché le mie
magliette bianche sono diventate tutte rosa? »
« Ok. Perché le tue magliette bianche sono
diventate tutte rosa? »
« Non lo so. E' quello che mi sto chiedendo anche io.
» disse voltandosi con una calma contenuta.
Zacky scoppiò a ridere vedendo la sua faccia completamente
inespressiva difronte ad un fiume di indumenti rosa.
« Dai, infila qualcosa al volo e andiamo al molo. E'
importante. »
« Ok, arrivo. » Sbuffò.
Ora ce lo aveva davanti ed era ad un passo dal chiederglielo. Sarebbe
stato per Eloyn e per le sue paure, niente più.
« E' tanto che non parliamo »
E la spiaggia tutt'intorno si fece un po' più nebulosa.
« Ora non iniziare con le tue moine da checca e dimmi cosa mi
devi dire »
« Girano delle voci. »
Secco e diretto.
« Che voci? » ma lo sapeva benissimo.
« Riguardo te e Chelsea. »
Lo vide impallidire e farsi rosso dubito dopo.
Tacque.
« Ora, voglio solo che tu mi dica che non ti stai vedendo con
Chelsea »
« Non mi sto vedendo con Chelsea. Non più, per lo
meno. »
Gli occhi di Zacky sugli occhi di Brian.
« Jimmy non sa niente »
« Lo so »
Ovvio.
« Che ci hai fatto, Bri? »
“Bri”. Come se un nomignolo avesse potuto cambiare
le cose. Ricordare quell'amicizia andata sfumando. Quella che un volta
c'era e adesso no. Ma i ricordi di essa, le macerie di un terremoto,
quelle sì. Ed Eloyn era stato il terremoto.
« Niente, ma ci sono andato vicino »
abbassò lo sguardo sulla sabbia.
« Quanto vicino? » alzò poco la voce.
Quello era un interrogatorio e le domante delle pallottole.
« Eravamo mezzi nudi del capannone del pontile, cazzo!
» disse quasi urlandolo.
« Mi spieghi che cazzo ti è preso? » per
sovrastare la voce dell'altro. Come due leoni che lottano per la
supremazia.
« Ma che diavolo ne so! » sbraitò Brian
avvicinandosi al mare.
« Senti Zacky, non so come siano andate le cose, è
successo e basta. Ma giuro con tutto me stesso di essermi pentito...
perché io non lo farei mai, non lo tradirei mai.
Perché Jimmy.. » si voltò verso l'amico
che lo osservava qualche passo indietro.
Nel suo delirio, pianse.
« lui non se lo merita.. e vorrei poter tornare indietro, ma
non si può.. Io non lo avrei mai fatto, Zacky. Credimi.. non
lo so.. »
Zacky lo osservò ancora un po', stupefatto. Si
avvicinò e semplicemente lo abbracciò.
Quell'abbraccio era la loro personale ricongiunzione, lo
“scusa” silenzioso di cui avevano bisogno.
Per non esserci stati l'uno per l'altro.
Per essersi trascurati e per essersi fatti distrarre.
Per essersi odiati non volendo.
Una stretta ferrea di due presenze state assenti per troppo tempo.
Dopo un po': « Mi mancavi, Vee. »
« Anche tu mi mancavi, Haner »
Chelsea avvicinò il volto alla tazza fumante e
assaporò il calore che emanava.
Era il solito tè delle cinque, intanto che le cose stavano
cominciando a mettersi a posto da sole.
Si chiuse nel vapore bollente che le faceva arrossire leggermente le
guance, tanto che per un po' smise di pensare ai casini con Brian. Il
tempo se li stava portando via, come un fiume che scorre e lava via
ogni cosa. Perché il tempo alla fine guarisce ogni ferita.
Quella era una giornata piovosa, ma le era sempre piaciuta la pioggia.
Certamente non era così quando la coglieva impreparata, come
quella mattina. Aveva iniziato improvvisamente a piovere e al bar
avevano dovuto fare i salti mortali per portare dentro tutti i tavoli e
le sedie, senza contare i clienti che se ne erano andati. E si erano
ritrovate bagnate e infreddolite ad aspettare la fine del turno. Per
questo adesso si sentiva comoda, di nuovo asciutta nella sua tuta di
felpa, avvolta nel tepore di un tè caldo ristoratore.
Quello che le piaceva, però, della pioggia, era la
capacità terapeutica che aveva su di lei. Era un po' come un
fiume, lavava via tutto.
Piccole e sferzanti gocce d'acqua picchiettavano sui vetri delle
finestre. E questo rumore continuo e frastornante la faceva sentire a
casa, protetta da quel dettaglio familiare. Le fece capire che anche a
chilometri di distanza, la pioggia che si infrangeva sui vetri faceva
lo stesso identico rumore. Le fece capire che era mondo anche quello.
Cullata da quel rumore dolce e da quel tepore sul suo viso, nei meandri
delle sue paure più nascoste, non ci fece nemmeno caso
quando Eloyn entrò in cucina. Quando, invece, si sedette
davanti a lei e il suo sguardo la studiò attentamente da
ogni angolazione, allora si sentì chiamata in causa.
« Be'? Che c'è? »
« Devo parlarti »
Chelsea annuì prestando la massima attenzione a
ciò che aveva da dirle.
« Gli altri credono che tu stia uscendo con Brian »
Per poco non le andò di traverso il tè. Stava
cominciando a sudare freddo. Sgranò gli occhi cercando di
mostrarsi convincente; sapeva che sarebbe stato inutile.
« Non è assolutamente vero! »
« Ok. »
« ...ma? »
« Niente ma »
Eloyn si alzò e se ne andò, senza far trasparire
la minima emozione.
Non voleva approfondire la questione, ne aveva paura.
Entrando in cucina aveva sperato con tutta se stessa di ricevere quel
“no” che le avrebbe risparmiato una delusione e lo
aveva ottenuto. Che bisogno c'era di scovare lo sporco dietro a quelle
parole?
Entrando in cucina aveva sperato anche di ottenere parole sincere.
Ovviamente non poteva pretendere che tutto ciò che sperava
si avverasse.
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Capitolo 12 *** 11 - Wishing the clock would stand still, the world can wait. ***
Avvertimenti. Ok,
Silvie è solo un personaggio random che non ha un vero scopo
nella storia. E' che una sera mi è venuto in mente e allora
ho dovuto inserirlo in qualche modo. XD
Seconda cosa: non metto più le date perché mi
danno noia. Per far vedere il cambio di giorno metterò
questo --> ***
Doveva ammettere che averli tutti a meno di un chilometro di distanza
era una cosa surreale. Poter uscire di casa, prendere il cellulare e
chiamarli anche solo per sapere come stavano le faceva strano, ma era
ciò che aveva sempre sognato di poter fare. Era bello
sentire che stava diventando una cosa normale, proprio come in quel
momento era normale essere in un bar sulla costa insieme al grande The
Rev. Non che lui fosse speciale rispetto agli altri, era solo che le
infondeva sicurezza, la faceva sentire protetta. O semplicemente, aveva
prestato su di lui maggiore attenzione rispetto agli altri.
« Come mai ti sei trasferita qui, di punto in bianco?
Cioè, qual'è il vero motivo?
»
Senz'altro le era mancata sua sorella, ma provava nei suoi confronti lo
stesso sentimento che provava quando da bambine Eloyn aveva una bambola
più bella della sua. Erano cose che tra sorelle non
sarebbero mai cambiate.
« Ok. Mettiamola così: in un certo senso ero
gelosa di lei » disse ridendo di se stessa.
Secondo Jimmy, Silvie sarebbe potuto essere un individuo adorabile se
solo avesse voluto. E invece si ostinava ad erigere quella maschera da
finta dura che sembrava esserle stata modellata addosso.
Lo aveva capito subito quando era rimasto catturato dalle lunghe e
abbronzate gambe e dalla striscia di pelle lasciata scoperta sotto il
top grigio-blu. E anche quel taglio ribelle e quegli occhi verde acqua
contornati da uno spesso strato di matita nera, non facevano che
delineare i dettagli di un carattere deciso. Non sarebbe stato di certo
il trucco pesante e le grandi labbra carnose dipinte di un rosso scuro
color sangue a farlo spaventare.
Non sapeva bene il perché, ma era abituato ad andare oltre
alle apparenze, e per quanto quell'apparire una ragazza forte le si
addicesse, si vedeva chiaramente che non era nata per fare la dura.
La vide portarsi la sigaretta alla bocca in maniera innocente.
Sì, sarebbe stata sicuramente una mossa innocente se non
fosse stato per il contesto.
« Non dovresti essere gelosa di Eloyn. Cos'ha lei che tu non
hai? »
Lei gli offrì una sigaretta che lui accettò.
« Lei ha voi.. »
« Mh, credo possa essere un buon motivo » rise
pavoneggiandosi a finto snob. Lui non era così, nonera come
Zacky o come Brian. Loro ci credevano davvero, di essere sul tetto del
mondo.
« Non fraintendermi. Le voglio bene, ma è un
sentimento che non riesco a controllare »
« Ti capisco, succedeva così anche con mia sorella
quando eravamo ragazzi »
Silvie diede un tiro alla sigaretta e butto fuori il fumo dai polmoni.
« Pensavo, no? » iniziò a dire lei dopo
qualche attimo di silenzio. « Tu sei il batterista che adoro
di più, sin da piccola. Potresti darmi delle lezioni di
batteria »
« Ti piace la batteria? »
« Mi è sempre piaciuta ma sono sempre stata
negata. Magari il grande The Rev potrà cambiare le cose.
»
« Ci sarà da ridere, allora! »
***
Forse doveva smetterla
di avere paura per gli altri – pensava mentre
attraversava a passo serrato il vialetto di casa di Zacky.
Lui aprì la porta mentre lei si affrettava a raggiungerlo e
lo sentì parlare ancor prima che lei si accorgesse della sua
presenza.
« Allora, che ti ha detto? »
« Prima tu, sei quello più grande. »
replicò lei entrando di fretta e voltandosi subito verso di
lui.
Che Eloyn fosse preoccupata, lo capiva perfettamente anche Zacky. Non
capiva, invece, perché fosse così assiduamente
attaccata a tutto ciò che la sua amica facesse o non facesse.
Zacky si chiuse la porta alle spalle e le si avvicinò.
Sospirò e intrecciò le dita con le sue dandole un
dolce e delicato bacio.
« Innanzi tutto: ciao! » sorrise prima di
ricominciare a baciarla lentamente.
Stava solo cercando di alleggerire un po' l'aria che si era impregnata
di preoccupazione con il suo arrivo, tanto che Eloyn si fece quasi
incantare da quel suo comportamento evidentemente studiato per farla
distrarre.
Si allontanò bruscamente dalla sua bocca lasciandolo chino
sul nulla.
« Seconda cosa: non capisco cosa c'entri l'età in
tutto ciò. » affermò lui rimasto
confuso.
Poi la fissò incerto e vide che si era fatta seria.
« Che ti ha detto? » chiese lei.
Sì. Era decisamente seria, forse anche troppo.
« Ha detto che.. è vero. » disse lui. E
vide la delusione colmare in un attimo gli occhi di lei, che abbasso lo
sguardo.
« Quello che mi fa strano è che mi ha guardata
negli occhi mentre giurava che tra loro non c'era stato niente.
» disse lei guardando altrove.
Sapeva che il rapporto tra loro due si era allentato con quel viaggio;
ritrovarsi a vivere insieme in una nuova vita era stato strano sin
dall'inizio, era stata una delle prime cose che Eloyn gli aveva
confessato. Ma quella era stata solo la conferma di tutte le sue
preoccupazioni: le due indivisibili Chelsea ed Eloyn non erano
più così inseparabili, e questo faceva male anche
allo stesso Zacky che non sopportava di vedere Eloyn in quel modo.
La osservava timoroso di una qualsiasi reazione, quasi trattenendo il
respiro. La abbracciò soltanto quando vide il suo volto
cambiare espressione e farsi triste, ancora più triste di
prima.
La strinse forte a sé perché capiva il suo
disagio.
« Brian mi ha detto che non si sono spinti oltre... e che
è stato solo per una sera, comunque. Magari non voleva farti
allarmare per niente. »
Eloyn affondò il volto nel suo petto e annusò a
pieni polmoni il suo profumo dolce.
Si sentì protetta e non disse niente.
Lui le accarezzò i capelli e, vedendo i suoi occhi lucidi,
le diede un bacio sulla fronte.
« Si sistemerà tutto, vedrai. » disse
prima di iniziare a baciarla dolcemente sulle labbra e poi sul collo.
Eloyn socchiuse gli occhi a quel contatto cercando di non pensare a
niente e non obiettò quando Zacky la prese in collo
baciandola con più trasporto, anzi, strinse le gambe attorno
al suo busto e intrecciò le dita tra i suoi capelli.
Ancora una volta lo sentì suo e si fece guidare fino in
camera. Lo baciava e ancora non le sembrava vero. Lui era lì
ed era lì per lei. La voleva e Eloyn lo sentiva forte e
chiaro. Si sentiva amata.
Pensò che
infondo la vita non era così brutta.
***
Stavano registrando i demo da mandare a Larry per farsi dare il via con
le registrazioni ed erano tutti insieme, pronti per fare il possibile
per quel nuovo album.
Jimmy era sempre stato fragile, ma mai come in quel momento. Era
entrato in studio con il volto distrutto dalla tristezza, e fin
lì poteva anche non essere una novità. Tutti
avevano iniziato a preoccuparsi dopo, quando aveva preso in mano le
bacchette e aveva iniziato a suonare. Faceva fatica a concentrarsi,
aveva il fiatone e, nonostante questo, batteva su quei piatti con
quanta più forza aveva in corpo.
Ad un tratto capì di non poter continuare per molto.
Batté ancora un volta la sua bacchetta sul rullante e poi
finì, con lo sguardo abbattuto e il fiato corto.
Tutti in quella stanza erano consapevoli dei suoi problemi –
davvero tutti, a parte Silvie – ma mai a nessuno era venuto
in mente che forse la sua malattia avrebbe potuto compromettere la sua
passione: la musica.
Alzo lo sguardo verso gli altri.
« Jimmy, che hai? » gli chiese Matt, preoccupato.
« Niente Matt, io.. io credo di aver bisogno di un po'
d'aria. » si alzò e andò fuori. Si
sedette atterra con la schiena appoggiata al muro respirando
profondamente.
Dopo pochi minuti, Matt uscì dalla porta e si sedette
accanto a lui.
« Cos'è successo? »
Jimmy lo fissò in silenzio.
« Il cuore.. »
Matt sbiancò in volto.
« Credi davvero che possa essere quello il problema? Magari
è qualcos'altro, che ne sai.. potrebbe anche essere solo
stanchezza.. »
« Matt, non è la prima volta che succede..e.. sono
andato a fare una visita l'altro giorno. E' quello il problema, hanno
detto che non devo affaticarmi..» replicò Jimmy
mantenendo lo sguardo atterra.
« E allora perché continui? Potresti allentare il
tiro, almeno per un po'..»
« Matt, mi conosci. Siamo ad un passo dal registrare un altro
album, poi ci sarà il tour e tutto il resto.. »
gli sorrise « non smetterò.. » ma era un
sorriso amaro.
« Sono con te, qualsiasi cosa deciderai di fare.. »
Matt era uno di quelli che non lo avevano mai abbandonato. Sin
dall'inizio, quando erano ancora tre poveri sfigati con qualche
strumento in mano, lui era sempre stato lì per dargli la
carica e andare avanti. Nonostante tutto. Nonostante quella malattia
che si trascinava dietro. Nonostante tutti i problemi. E forse era
proprio per questo che erano lì, ora. Non lontani dal loro
quinto album. Ancora insieme e ancora uniti. E proprio per questo, Matt
sapeva benissimo che, qualsiasi cosa fosse successa, non si sarebbe
arreso e avrebbe continuato a suonare imperterrito.
Jimmy ne era certo, lo sapeva dal primo giorno che aveva preso in mano
le bacchette; niente e nessuno gli avrebbe impedito di suonare. E
allora no, non lo avrebbe fatto nemmeno il suo stupido cuore stanco.
Erano in macchina da più di cinque minuti e sempre da cinque
minuti nessuno aveva osato proferire parola. Chelsea era seduta accanto
al posto di guida e dopo quello che era successo in sala prove non
aveva avuto il coraggio di chiedere spiegazioni. Dal canto suo, Jimmy
continuava a guidare con lo sguardo fisso sull'asfalto con aria triste.
Era abbattuto.
« Tanto prima o poi dovrai parlarmene, no? »
sussurrò lei, intimidita.
Certi argomenti erano troppo
per lei, si sentiva piccola a confronto. E a chiedere certe cose a
volte ci si sente di essere invadenti. Ma in una coppia la
sincerità è fondamentale, no?
Avevano già parlato in passato della sua malattia, ma mai si
era rivelata così insistente nella vita di Jimmy da renderli
incapaci di comunicare tra loro.
« Sono.. sono andato a fare una visita l'altro giorno..
» incominciò lui angosciato. « dicono
che ho il cuore affaticato e che dovrei stare più calmo
almeno per questi giorni »
Chelsea fece per aprir bocca ma venne subito interrotta.
« Ora, prima che tu possa dire niente. Sappi che stare fermo
e non suonare non mi guarirà, non credo esista niente che mi
possa guarire. Perciò, no. Non smetterò di
suonare. » Non
smetterò di suonare. –
pensò tra sé con tutta la rabbia che aveva in
corpo.
Chelsea si ammutolì, diciamo ancor più di prima,
e stette in silenzio fino alla fine del viaggio rimuginando su quella
miriade di pensieri che le volavano in testa.
Jimmy stava male. E questo era un dato di fatto. Quello che non capiva
era perché volesse a tutti i costi farsi ancor
più male, per cosa? Per una batteria? Chelsea era convinta
che quello fosse l'unico lato della musica che non capiva. Come si
potesse scegliere la musica alla propria vita. Era sicura di averlo
quasi capito quando aveva visto Jimmy suonare per la prima volta. Ma il
concetto le era sfuggito quasi subito, come se avesse tentato di
trattenere nel suo palmo una manciata d'aria.
Quando entrarono in casa l'atmosfera si fece più tesa.
Chelsea si mise a sedere sul divano, incerta sul da farsi, quando lui
le sedette accanto. Entrambi guardavano davanti a loro.
« Scusa per prima » dichiarò lui. E
Chelsea pensò che era veramente un idiota, la
verità era che ci era rimasta davvero male. Non tanto per la
risposta in sé, ma perché era un comportamento
che non riusciva ad afferrare.
In quei momenti sentiva di non conoscerlo abbastanza.
« Mi sento sempre ripetere che non devo affaticarmi o cazzate
del genere.. » disse lui, e poi accennò una risata
per alleggerire l'aria non ottenendo però nessuna reazione
particolare. Lei continuava ad osservare il tavolino in mogano del
soggiorno con i gomiti appoggiati alle lunghe e ormai abbronzate gambe.
La bocca socchiusa e i muscoli evidentemente tesi. Gli occhi spenti ma
vivi all'interno.
« Scusa.. » ripeté lui in un sussurro
abbassando la testa.
Lei si voltò ad osservarlo e vide la sua tristezza. La
sentiva quasi sua.
Jimmy guardava il pavimento mentre con una mano si grattava il collo e
aveva le sopracciglia corrucciate in un espressione di scuse. No, non
era per lui che era arabbiata, ma per tutto il resto.
I loro sguardi si incontrarono e Chelsea desiderò che una
spaccatura nel terreno sotto di lei la risucchiasse
completamente. Non era possibile che ad un tratto tutto quello che
aveva sempre desiderato potesse sfuggirle di mano così
velocemente.
Non aveva mai pensato seriamente ala sua malattia, non gli aveva mai
dato il giusto peso forse perché non se ne rendeva
perfettamente conto. Ma averlo visto in quelle condizioni quel giorno
in sala prove l'aveva fatta sbattere contro la realtà dei
fatti.
« Non devi chiedermi scusa.. » disse lei alzandogli
il mento e abbracciandolo in tutta la sua grandezza.
Jimmy la prese e se la mise in collo appoggiandosi allo schienale del
divano, così lei poté appoggiarsi all'incavo del
suo collo. « E' che.. oggi in sala prove mi sono un po'...
spaventata »
Le si creò un groppo in gola alle sue stesse parole. Sentiva
gli occhi cominciare a bruciarle. Lui la strinse più forte a
sé.
« Questa malattia.. insomma.. c'è pericolo..
ecco.. » lasciò intuire lei, un po' in imbarazzo.
« Non lo so, Chel. Nessuno lo sa.. per quanto mi hanno detto
potrebbe succedere in qualsiasi momento.. diciamo che ci sono le stesse
probabilità che io esca fuori ora e vanga investito da un
auto.. ma non mi spaventa.. non ancora, perlomeno »
Ed era quella la botta che cercava e che tardava ad arrivare, lo
schianto contro quel muro di mattoni che vedeva in lontananza.
« Non ci voglio pensare.. »
« Non sei costretta a farlo. »
Lei alzò la testa e lo guardò negli occhi, poi lo
baciò con trasporto e senti quel calore accanto a lei ancora
un volta.
Jimmy ribaltò le cose e la fece sdraiare sotto di lui.
Rimase un po' così, a fissarla, e si accorse di quanto fosse
fortunato. Perché anche fosse morto domani, almeno ora aveva
quello che aveva sempre desiderato e non sarebbe stato solo. Quegli
occhi così blu, più blu del mare lo facevano
sentire a casa.
« Che c'è? » sorrise lei con gli occhi
anocra un po' lucidi, osservando il suo sguardo sbigottito.
« Niente.. » Jimmy scosse la testa. « Sei
bellissima » e la vide arrossire un po'.
E quindi era questa la felicità, quella che non provava da
troppo tempo. Quella stretta all'altezza del petto che lo faceva
sorridere involontariamente. Avere qualcuno accanto da amare, e
sentirsi amato di rimando.
« Io.. io credo di amarti Chelsea. »
Lei andò quasi subito in panico. Si sentiva piena, piena di
Jimmy e piena di se stessa. Piena di orogoglio e di
felicità, tanto che sarebbe potuta esplodere come un bomba
ad orologeria.
« Ti amo, Jimmy »
Era questa la
felicità.
***
« No, devi battere più forte sul rullante.. no,
non così »
Quello che Jimmy aveva capito di Silvie era che i suoi tentativi di
imparare a suonare la batteria erano completamente vani.
Se non altro, in momenti come quello il divertimento era assicurato; la
completa rigidità di arti di Silvie aveva qualcosa di
comico, infondo.
« Ma Jimmy! » si lamentava lei « no, se
fai così no! »
Per un motivo sconosciuto a Jimmy lei non accettava alcun tipo di aiuto
pratico.
« Silvie, come faccio ad insegnarti a suonare se non posso
neanche toccarti? »
Ovviamente lei non rispondeva a questo tipo di domande. Era testarda, e
quando si impuntava su qualcosa non c'era verso di farle cambiare idea.
L'opposto di Eloyn, insomma.
« Ok, Jimmy. Non riuscirò mai a suonare la
batteria! » concluse lei con il sorriso sulla bocca.
Era la terza lezione che Jimmy le aveva dato e non erano arrivati a
niente di buono. Si erano ritrovati tutte e tre le volte a spanciasi
dalle risate, sudati e con ancora le bacchette in mano.
Silvie aveva la fronte imperlata di sudore ed era stremata. Si alzo
dalla sua postazione e si diresse nella stanza accanto con Jimmy al
seguito. Avevano ufficialmente mollato la spugna.
« Birra? » chiese lui una volta arrivati in cucina.
« Mh, sì. » rispose lei accasciandosi
bruscamente su una sedia.
Jimmy prese due bottiglie di birra fresche di frigo e le
stappò con un gesto tanto fluido che sembrava non facesse
altro nella vita. Proprio quando si voltò per dare la birra
a Silvie sentì una leggera fitta al petto. Si mise
immediatamente seduto cercando di respirare il più
profondamente possibile. Aveva il fiatone per essersi affaticato e come
sempre, quei dolori improvvisi non lo avrebbero risparmiato. Se non
altro aveva imparato a conviverci, lentamente.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo al suo corpo e
più il tempo passava più le fitte aumentavano e
cominciava a rendersi conto che forse doveva davvero allentare un po'
il tiro.
« Jimmy?.. Che hai? »
« Niente.. » rise lui malinconico. « non
è niente, solo un po' di stanchezza.. »
« So che non è solo stanchezza »
Jimmy respirò e prese un lungo sorso della sua birra.
« Te l'ha detto Eloyn? »
« No, Chelsea. L'altro giorno alle prove, mi sono un po'
spaventata e quindi lei mi ha “rassicurato” e mi ha
raccontato a grandi linee di questa tua.. malattia.. »
« Bah, ci convivo da quando sono nato e non mi ha mai dato
problemi, solo adesso il mio cuore inizia a fare i capricci..
»
« Bene, credo che questa sia stata ufficialmente la nostra
ultima lezione! » rise lei.
« Silvie, non dobbiamo smettere di esercitarci solo
perché sono stanco.. non ho intenzione di fermarmi.
»
« No, Jimmy, non è per quello. Non solo,
perlomeno. E' che credo che la batteria non faccia per me, ecco.
»
In effetti tutti i torti non li aveva.
Quando Silvie lo guardava vedeva un amico. Era l'unica cosa di cui era
realmente certa. C'era qualcosa di rassicurante nei suoi occhi che le
faceva dimenticare tutto il passato, tutti i suoi momenti brutti.
E in un viaggio alla ricerca dela propria stabilità, tra
alti e bassi, l'aveva trovata proprio nel celeste di quegli occhi
glaciali. Così familiari e confortanti ma anche inquietanti
allo stesso tempo.
« Ancora non ho ben capito.. » iniziò
Jimmy dopo qualche minto di silenzio, guardandola negli occhi.
« ..perché sei venuta qui così
all'improvviso, perché non prima? » le chiese
curioso.
Silvie le aveva già spiegato a grandi linee il vero motivo,
ma quello che gli interessava in quel momento erano i dettagli di
quella storia travagliata. I retroscena di una vita tormentata che lo
avevano affascinato.
Voleva bene ad Eloyn cose fosse sua sorella, ormai, e in qualche modo
sentiva di avere un certo feeling anche con Silvie. Forse per
associazione.
E così Silvie le raccontò la sua vita. I problemi
con i suoi genitori e il volere di suo padre di farla radicare a tutti
i costi a Washington, nonostante lei sognasse la West Coast da quando
era piccola. Le raccontò di Eloyn e alcuni aneddoti
divertenti di quando erano ancora bambine.
Andarono avanti così per molto, fino a notte inoltrata,
quando entrambi caddero in un sonno profondo davanti ad una rassegna
televisiva di "Dr. House".
***
Saaaalve.
Allora, che dire? Mi
sento stupida perché mi sembra di parlare da sola sato che
nessuno recensisce più. ç_ç
Ma vabbè,
passiamo ad altro.
Sono stata a Roma al
concerto dei nostri cari e amati Avenged e vi giuro che
è stato il giorno più bello della mia vita. A
parte il concerto in sé (alla prima canzone avevo
già la tachicardia), mi sono divertita proprio in generale
grazie a Lucrezia (BBBlondie) e a tanta altra bella gente.
Quindi che dire?
Niente. Potete lasciare una recensione anche per inslutarmi
pesantemente, a me non importa, mi farebbe felice ugualemnte! :D
Baci, Silvia.
|
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Capitolo 13 *** 12 - We're all so weak, no matter how strong ***
12 - We're all so weak, no matter how strong, da finire.
Avvertimenti: Ovviamente, come sempre, mi
sono presa varie piccole libertà riguardo al reale
svolgimento dei fatti privati della band, come è giusto che
sia.
Il testo introduttivo
è una parte di "Brompton Cocktail" del Cd Avenged Sevenfold
anche se penso e spero che molti di voi lo sapranno già. Se
non la conoscete andatevela a sentire perché, oltre ad
essere una canzone davvero eccezionale, è anche la canzone
che ha ispirato questo capitolo.
I'm not running away, been
fighting this so long
Such a price that we pay, we
gotta be so strong
And I take my life tonight
'cause I have the right to die how I wanna
and leave how I arrived, so alive
Il bello di conoscere gente
pazza come loro era che una semplice giornata tra amici poteva
trasformarsi in un pericoloso festino – con alcolici e fumo
annessi – nel giro di mezz'ora scarsa. Johnny aveva capito
che invitare Brian a casa sua sarebbe stata un condanna quando insieme
a lui si presentò anche il resto del gruppo con relative
mogli, fidanzate e affiliati; cominciò a preoccuparsi
davvero quando sentì Matt al telefono con qualcuno dire di
portare quanti più alcolici e cibo fosse in grado di
caricare in macchina.
« Matt, chi era al
telefono? »
« Matt Barry, viene
qui con Jason e un altro po' di gente. Non ti dispiace, no? »
gli disse dandogli una pacca sulla spalla, superandolo con quel
classico sorriso meschino stampato in faccia, quello che indossava
quando era consapevole di star commettendo qualcosa di pericoloso.
Quindi no, certo,
perché Johnny avrebbe dovuto preoccuparsi? Forse
perché la sua casa stava per essere distrutta da uno sciame
di gente ubriaca e fuori di sé? No, assolutamente no.
Poi penso che lui stesso non
sarebbe stato da meno; non riusciva a concentrarsi quando davanti a lui
c'erano belle donne o alcool, quella sera sarebbero abbondate entrambe
e vista la sua recente rottura con Lacey decise di lasciarsi andare
almeno per una sera. Smise completamente di pensarci appena prese la
sua prima birra in mano.
Avevano deciso di organizzare
una festa in casa sua senza dirgli nulla? Per quanto lui fosse sicuro
che tutto quello era stato premeditato dal vecchio Brian, decise di
lasciarli fare. Infondo, stavano per realizzare l'ennesimo CD, ci
voleva qualcosa per festeggiare.
Arrivarono veloci le dieci di
sera e l'atmosfera cominciava già a scaldarsi. Qualcuno a
sua insaputa aveva appena montato un impianto stereo da far paura a
bordo piscina, anche se, a parere suo, la musica lasciava un po' a
desiderare.
Tutti iniziarono a ballare e
le ragazze erano già quasi tutte ubriache. A loro maschi non
bastavano due birre per ubriacarsi, fatta eccezione per i gemelli Barry
che stavano dimostrando l'esatto contrario dando il loro meglio nella
pista da ballo che si era creata accanto all'impianto stereo.
Proprio al centro di questa
pista improvvisata ballavano le ragazze sopra ad un tavolo mentre gli
sguardi dei ragazzi sotto di esse lasciavano intuire la poca
castità di quei movimenti così incredibilmente
fluidi.
« Ehi Zacky! Sali,
su dai! » urlò Silvie al ragazzo che la guardava
sbigottito sotto di lei.
Era in questi momenti che una
ragazza come Silvie poteva essere potenzialmente pericolosa.
Già il suo aspetto era provocante di per sé,
aggiungendoci una musica ballabile e qualche mossa decisamente molto
sensuale e il mix si faceva pericoloso.
L'aria si fece tesa quando una
decisamente-poco-sana Eloyn lanciò un'occhiata fulminea
prima a Silvie e subito dopo a Zacky, il quale se ne accorse non
dandogli troppo peso. Non era ubriaco, ma aveva bevuto abbastanza da
non prestare più troppa attenzione attenzione ai
particolari. Silvie, invece, era ad uno stadio più avanzato
dell'ubriacatura, e neanche si rese conto di starci provando con il
fidanzato di sua sorella.
« Vecchia puttana!
» esclamò Eloyn in un'affermazione che fu udita da
pochi. Così abbassò lo sguardo e tirò
su con sé uno dei gemelli Barry. Non sapeva riconoscere
quale fosse ma poco importava.
Così, sotto gli
sguardi sbigottiti di mezza folla, Eloyn ci stava sfacciatamente
provando con qualcun altro, noncurante del fatto che Zacky la stesse
osservando infuriato.
« Eloyn, scendi
immediatamente da lì! » le urlò
cercando di farsi sentire con tutta quella musica assordante che aveva
improvvisamente iniziato a pulsargli nelle orecchie.
« Vai a farti mia
sorella, stronzo! » lo scansò via lei, a parole.
« Chelsea, per
favore. Tu che sei l'unica sana, falla scendere da la sopra!
» implorò Zacky all'amica che le stava accanto.
Chelsea si avvicinò
ad Eloyn e la prese per una spalla.
« Eloyn, dai.
Smettila, c'è Zacky. »
« Chissene frega!
» rispose l'altra scontrosa, non si era neanche accorta che
la persona che stava cercando di persuaderla era proprio Chelsea.
« Ok, ora basta.
» disse Chelsea decisa. La prese per un braccio e la
strattonò leggermente facendola voltare verso di
lei, lasciando così il gemello Barry a ballare da solo.
Eloyn si voltò e la
guardò meglio negli occhi, si accorse che era stata Chelsea
ad averle gridato di smetterla e un turbine di pensieri misti a rabbia
le si fece spazio in testa.
« Tu! Proprio tu,
eh?! » iniziò la mora carica di rabbia contro alla
rossa che la guardava senza capire davvero cosa stesse succedendo.
« Tu mi fai la
morale? Ti sei quasi scopata Brian, per Dio! E oltretutto non mi hai
detto niente, hai negato tutto! »
Ora quasi tutti stavano
prestando reale attenzione a ciò che Eloyn aveva da dire.
Brian era a pochi metri da
quella scena e si sentì avvampare e sbiancare subito dopo.
E
così, ciò che avevano cercato di nascondere per
tutto quel tempo era venuto fuori così, in meno di tre
secondi? Si sentiva incredibilmente
stupido, come sempre.
Non sapeva davvero se sentirsi
sollevato o impaurito vedendo il volto di Michelle cambiare toni di
colore con una rapidità impressionante. In un contesto
diverso sarebbe stata sicuramente un scena comica.
« Sei una stronza!
» finì una Eloyn infuriata e delusa, ma ancora
abbastanza ubriaca da tornare a pavoneggiarsi con il gemello Barry.
Chelsea, rimasta gelata dalle
parole dell'amica, scese dal tavolo e corse nel bagno
più vicino a scaricare la vergogna e la delusione che la
verità di quelle stesse parole le avevano inflitto. Aveva
sbagliato e non riusciva a perdonarselo.
Zacky aveva assistito alla
scena senza dire niente, con lo sguardo sconcertato e la bocca semi-
aperta, ma quando vide che dopotutto Eloyn aveva ripreso a ballare con
Jason, allora si infuriò davvero. Prese Jason per un braccio
e lo fece scendere dal tavolino, tenendolo ancora per il braccio gli
diede un cazzotto bene assestato sulla guancia facendolo cadere
atterra. Sentiva la rabbia ribollirgli nel corpo e la mano dolorante.
Era stata evidentemente una
mossa dettata dalla rabbia, a mente lucida non si sarebbe mai azzardato
a dare un cazzotto ad uno dei suoi migliori amici. Solo dopo si rese
realmente conto di ciò che aveva fatto, quando le nocchie
cominciarono a fargli davvero male.
E fu come se Eloyn, a vedere
quella scena, si fosse ripresa per un attimo dall'ubriacatura che fino
ad un attimo prima l'aveva accalappiata, tornando a confondere i suoni
e le immagini qualche secondo dopo.
Si sentì tirare
giù dal tavolo da qualcuno che molto probabilmente era
Zacky. Se ne rese del tutto conto solo qualche passo più
avanti, lontana dal casino di quella festa e da tutto quel
rumore.
Silvie aveva anch'essa
assistito a quella scena.
Sarà che quando
succedono certe cose non importa quanto tu possa aver bevuto, a meno
che tu non sia in stato semi-comatoso riesci sempre a riprenderti e a
cercare di dare un senso a quello che sta succedendo. Poi, per una come
Silvie, abituata ad avere tutto sotto controllo, in certi casi andare a
perlustrare in giro la situazione è una conseguenza vitale.
Si avvicinò alla
porta del bagno doveva pochi attimi prima aveva visto Chelsea
rinchiudersi e sentì dei singhiozzi provenire dall'interno.
Bussò e senti una
voce rotta dal pianto risponderle: « Chi è?
»
« Sono Silvie, apri.
»
Un rumore di passi e lo scatto
della serratura. Qualche attimo dopo aveva davanti il volto di Chelsea
con gli occhi lucidi.
Entrò senza nemmeno
chiedere il permesso e si richiuse la porta alle spalle. Si sedette
atterra accanto a lei.
« Allora,
cos'è successo? »
« Silvie si
è arrabbiata perché non le ho detto la
verità. »
« La
verità su cosa? » chiese Silvie passandole il
rotolo di carta igienica che stava già per terra prima che
arrivasse.
« Pensavo te lo
avesse detto. »
Lo sguardo eloquente
dell'altra le fece capire che evidentemente non era così.
« Io.. ho tradito
Jimmy.. con Brian. » riuscì a dire prima di
mettersi di nuovo a piangere rannicchiata su se stessa.
« Tu hai fatto cosa?
» chiese Silvie sbalordita. Non riusciva a credere a
ciò che Chelsea le stava dicendo.
« Ma non ci sono
andata a letto. No.. quello no.. E comunque è durato solo
una sera e mi sono pentita. Ci eravamo giurati che non lo avrebbe
saputo nessuno e invece quel coglione è andato a spifferare
tutto non so a chi che lo ha ridetto poi ad Eloyn. Credo sia stato
Zacky e spero solo che non l'abbia detto a Jimmy. »
« Non credo l'abbia
fatto, sembrava molto tranquillo stasera »
Chelsea fissava un punto
indeterminato davanti a sé e Silvie si chiedeva cose stesse
pensando.
« Ma c'è
dell'altro, giusto? »
Chelsea si voltò a
guardarla come a volerle dire che aveva ragione.
« Con Eloyn.. non
è più la stessa cosa.. Con il trasferimento e
tutto, non siamo più quelle di una volta. »
« Questo
è normale, ci sono passata anche io. E non lo dico per fare
la donna vissuta; chi vuole imparare da me avrà poco da
lavorarci su, sono un completo disastro. Solo che quando arrivi a
questa età, la scuola finisce, le nuove avventure e tutto il
resto, è normale che ci si perda un po'. Non per questo la
vostra amicizia è destinata a finire. Vi ho viste crescere
insieme e confidarvi qualsiasi cosa. E ora vi sto vedendo crollare
sotto forze più grandi di voi. Non si può sempre
reggere qualsiasi peso, a volte si deve imparare a mollare la presa e
farsi un po' distrarre da ciò che si sta vivendo. Lasciati
andare, ma non dimenticare chi per te c'è sempre stato.
»
« Che cazzo ti
è passato per la testa, Zacky! »
La gelosia, ecco cos'era. Non
ci aveva visto più e gli era partito un cazzotto.
Perché, poi? Era colpa di Eloyn, ne era sicuro. Fosse stato
per lui non l'avrebbe mai fatto, non era lui quello ubriaco. E dire che
in tutti quei mesi non era mai stato un tipo particolarmente geloso
della sua donna. Anche in generale, nella sua vita, non era un tipo da
scenate da innamorato in stile serie Tv adolescenziale, meno che mai
ora che cominciava ad avere i suoi ventotto anni ancora non compiuti.
Eppure quando l'aveva vista
strusciarsi sensualmente contro il suo amico – neanche fosse
stato un palo per la lap dance – si era sentito davvero male.
Un qualcosa di molto simile ad un dolore all'altezza del petto gli
aveva infiammato l'umore, e improvvisamente gli erano cominciate a
prudere le mani per il nervoso, e poi il cazzotto era volato neanche a
farlo apposta. Però, poi si era sentito molto più
leggero di prima.
Gli veniva quasi da piangere a
pensarci, e ancora, se si concentrava, vedeva bene dei pochi fotogrammi
nitidi di quella scena.
Adesso guardava Eloyn in
quegli occhi offuscati dall'alcool e solo Dio sapeva da cos'altro e si
chiedeva semplicemente una cosa.
« Perché?
»
« Perché
cosa? »
« No, aspetta. Sei
stata per cinque minuti di seguito a ballare sensualmente con
Jason Barry sotto ai miei occhi, e mi chiedi
“perché cosa”? »
Lei lo guardava con quegli
occhi lucidi di tutto e sporchi di peccato, lo guardava e sembrava
quasi supplicarlo di qualcosa. Qualcosa che però Zacky non
riusciva a capire, era una richiesta muta che non era in grado di
decifrare.
« Tu, piuttosto.
Carina mia sorella, eh? »
« Cosa c'entra
Silvie adesso? »
« Ti ho visto come
la guardavi poco prima! Se ti piace tanto perché sei qui
adesso? Eh? Hia avuto modo di portartela a letto tante di quelle volte,
perché non l'hai fatto? »
Aveva iniziato a parlare con
tono relativamente calmo in quello sproloquio i cui toni aumentavano
sempre di più in relazione alla rabbia che Eloyn covava
dentro nei confronti di Silvie, e ora anche nei confronti di Zacky che
l'aveva delusa.
Zacky sembrò
pensarci un po'.
« Ecco cos'era che
avevi l'altro giorno. Non era per Chelsea. Non solo, se non altro. Ma
Eloyn, non penserai davvero che mi piaccia tua sorella? »
Avanzò le mani per
sfiorarle le braccia ma lei si ritirò bruscamente indietro
di qualche passo.
« Magari tu stesso
non te ne sei accorto, ma io non sono così ubriaca da non
capirlo.. Io ho visto, ho visto come la guardavi.. come facevi anche
con me. Non fare il cretino, cazzo! Vai da lei! »
Si stava sviscerando per
sfogare ciò che aveva dentro, in una maniera che non aveva
mai sperimentato prima. E capiva che l'alcool a volte serve a questo, a
liberarsi da ciò che si ha dentro senza pensare alle
conseguenze delle proprie azioni.
Quello che stava facendo, in
realtà, era chiedergli aiuto. Sentirsi dire qualcosa che
l'avrebbe rassicurata, perché in realtà l'arrivo
di Silvie le aveva sconvolto i piani, ma non lo avrebbe mai ammesso,
non avrebbe mai ammesso che ancora una volta Silvie aveva avuto la
meglio.
Sin da bambine erano state
unite contro il mondo, e in quell'unione era normale quella
rivalità classica che c'è tra ogni sorella. Ora,
però, le stava uccidendo lentamente.
E allora lei stava prendendo
al volo l'occasione e stava sputando tutto il veleno che aveva in corpo
con quelle parole, forse perché quegli occhi così
azzurri che conosceva tanto bene puntati sulle labbra rosse e
carnose – provocati – della sorella erano stati la
goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E a guardarli adesso le
sembravano sporchi. Poi aveva reagito d'istinto e aveva sperato con
tutta se stessa in quella reazione da parte di Zacky. Voleva capire se
lui teneva davvero a lei. Voleva sentirsi protetta.
« No! Eloyn, porca
miseria! Ma che cazzo ti salta in testa? »
Aveva davvero guardato Silvie
in quel modo? Come era stato possibile? No, non poteva essere e anche
se fosse stato vero non sarebbe più successo. Amava Eloyn e
non poteva permettersi di perderla, sarebbe stata la sua fine.
Si avvicinò a lei
quando vide che stava piangendo e tra le lacrime continuava il suo
sfogo e tirava fuori la rabbia che aveva dentro a che lo stava facendo
star male. Si sentiva in colpa.
Decise di non curarsi se lei
opponeva resistenza.
« ..Vattene!
Stronzo!.. » continuava lei cercando di allontanarlo.
Cedette quando
sentì il suo calore. Smise di respingerlo e lo
lasciò fare, abbandonandosi ad un pianto liberatorio.
« Eloyn! Guardami
cazzo! » la prese per le spalle e se la mise davanti.
Lei lo guardava con quegli
occhi rossi d'odio e di passione bruciata.
« Io ti amo! Ti amo,
lo capisci questo? Non ho mai amato niente e nessuna come amo te! Ti
voglio e ti vorrò sempre! Non pensare nemmeno che io possa
desiderare qualcun'altra o non volerti più! Neanche per
sogno! » le urlava contro lui, in risposta alla sua sfuriata.
Perché voleva lo capisse, che non l'avrebbe mai lasciata
sola.
Lei si aggrappò
più forte alle sue spalle e affondò completamente
il viso sul suo petto, piangendo di disperazione tanto che sentiva i
muscoli farle male. Lui la strinse più forte che poteva,
rischiando quasi di farle male. La strinse a sé con la forza
con la quale si tengono strette le cose importanti della vita.
Sentiva la sua stretta di
rimando come se non lo volesse lasciare andare mai e capì
che era un essere troppo fragile per combattere questa battaglia da
sola.
« Giuramelo. Dimmi
che ci sarai sempre..» disse lei con fatica tra un singhiozzo
e l'altro.
« Sempre Eloyn, sempre. » le disse
più piano tra i capelli prima di darle un bacio e continuare
ad accarezzarla, per calmarla.
« Non mi lasciare
mai, Zacky. Non farlo mai.. non anche tu. »
La cullò ancora un
po' tra le braccia e poi si incamminò verso uno scalino di
mattoni dove si sedette e dove fece sedere Eloyn, proprio tra lui e il
muro. Era ancora ubriaca, doveva aver bevuto molto e non era in
condizioni di reggersi da sola.
« Adesso calma, dai.
» le sussurrava accarezzandola e stringendola a sé.
Comunque i singhiozzi del
pianto si stavano diradando e lei cominciava ad appoggiarsi un po' di
più a lui, segno che stava cominciando a cedere piano piano.
« Mi spieghi
cos'è successo? Perché fai così?
»
« Non-non lo so.. ho
paura.. »
Certo, approfittarsi di
persone ubriaca sicuri che diranno la verità non era la cosa
più onesta da fare, ma sapeva che farla parlare l'avrebbe
anche sfogata maggiormente.
« Ma di cosa
dovresti aver paura? »
Lei si voltò verso
di lui con occhi supplichevoli e gli disse: « Che tu te ne
vada e che lei possa in qualche modo far tornare le cose come erano
prima.. Quando è arrivata. .. mi sono accorta che lei fa
parte di quel passato che mi sono lasciata alle spalle.. e indietro
deve rimanere.. lei non c'entra niente qui.. »
Le baciò la fronte
e poi scese sulle labbra accarezzandole il viso con la bocca,
leggermente, e nonostante l'odore di alcool e fumo fu un bacio
bellissimo. Le sue labbra contro quelle morbide di Eloyn avevano un
potere miracoloso su di lui, lo rilassavano terribilmente.
Poi ad un tratto si accorse
della sua foga e di come piano piano si stesse facendo avara dei suoi
baci. La capiva subito quando faceva così e si disse che
farlo lì non sarebbe stata la cosa migliore, a pochi metri
da una festa da mille invitati.
Si alzò e la prese
in collo dirigendosi verso la macchina dopo aver salutato con gli occhi
un Johnny alle prese con molte persone che cercavano in tutti i modi di
distruggergli casa. Vide Chelsea avvicinarsi all afesta con Silvie al
seguito. Aveva gli occhi leggermente arrossati ma un espressione fiera
in volto mentre appoggiava una mano sul braccio di Haner intento a
discutere con Michelle. Molto probabilmente si sarebbe scatenata la
terza guerra mondiale a quella festa ma osservò Eloyn
apooggiarsi alla sua spalla e decise di non pensarci.
« Haner,
dobbiamo chiarire la situazione. » gli disse Chelsea
interrompendo il suo discorso con Michelle che di rimando la
incenerì con lo sguardo.
« Innanzitutto,
Michelle ti chiedo scusa. Non avevo nessun diritto di mettermi in mezzo
a voi, ho sbagliato e spero che tu possa perdonarmi, in futuro.
» finì di dire riferita alla donna che aveva
davanti. Ad osservarla bene incuteva più timore di quello
che ricordava.
« Chelsea, tu non mi
devi niente. Eravamo amiche, ok. Ma da quanto tempo? Poco, troppo poco
per sentirsi in colpa. Sì, ce l'ho con te ma ce l'ho di
più con Brian. Perché da te non mi sento poi
così tanto tradita. Limitiamoci all'indifferenza.
» le rispose secca e schematica l'altra, lasciando Chelsea
con un po' di amaro in bocca.
« Ok. »
abbassò leggermente lo sguardo per rialzarlo subito dopo in
direzione di Brian che la osservava aspettando che dicesse qualcosa.
« Tu Haner, lo sai.
Non c'è niente tra di noi e mai potrà esserci
niente. Finisce qui, amici come prima? »
Michelle li osservava attonita
e pensava che era una scena patetica, non si era mai visto risolvere un
tradimento in una maniera così banale e pacifica, non era da
lei.
Vide Brian osservarla prima di
rispondere.
« Come prima
» e sorrise. Michelle sentì il viso avvamparle di
rabbia dopo quel sorriso. Era troppo.
« Ok, adesso se non
ti dispiace sarei io quella che è stata tradita e quindi
ciao. » disse Michelle acida prendendo Brian per un braccio e
portandoselo via.
Chelsea non disse niente, le
stava bene così, aveva ragione. Li vide allontanarsi e
andarsi a riparare dietro la casetta in piscina.
« Ok, adesso
spiegami perché lo hai fatto? »
« Mich, non lo so.
Stiamo insieme da così tanto tempo, ho ceduto, ok?
»
Brian era supplichevole, le
faceva venire il voltastomaco.
« Quindi tu stai con
me per resistere alle tentazioni? Brian se stai con me deve essere
perché vuoi, non per metterti alla prova, non è
giusto nei miei e nei tuoi confronti. »
Brian sospirò e
guardo in basso grattandosi svogliatamente la nuca.
« Non è
questo e lo sai bene. E' che.. ah non lo so, so solo che qualsiasi cosa
fosse stato non ero io. Non lo rifarei mai più. »
« Non riesco
più a fidarmi di te, lo capisci? » disse lei con
le lacrime agli occhi nella penombra di quella notte senza luna.
Lui la guardava negli occhi e
si malediceva per essere stato così stupido. La amava, aveva
fatto uno sbaglio, se ne era pentito. Perché doveva essere
tutto così difficile?
Era sempre stato cosciente del
fatto che gli errori si pagano, ma non pensava che la pena da scontare
sarebbe stata così difficile da sopportare
« Io ti amo, di cosa
hai bisogno per fidarti di nuovo di me? »
« Non lo so..
» sussurrò « forse è troppo
tardi »
Brian sentì quelle
parole senza attribuirgli un significato preciso. Tutt'attorno si fece
ovattato e lui andò subito in panico. Erano stati inseme per
così tanti anni, e ora tutto andava in fumo per colpa del
suo essere maledettamente stronzo?
« Mich, non puoi.
Non dopo tutto questo tempo. »
« Ma cazzo, Bri.
Anche prima hai dimostrato di essere un gradissimo stronzo. Lei
è venuta qua a chiarire, e fin lì mi stava anche
bene. Poi le hai sorriso in una maniera così.. sincera. Non
so, sono contenta per te ma non hai pensato che forse io ero
lì e vi stavo osservando? Immagina come posso essermi
sentita. »
Non l'aveva mai vista
così decisa in tutto quel tempo che la conosceva, e essere
cosciente delle circostanze era una cosa che lo spaventata
dannatamente.
« Scusami..
» disse in un sussurrò spezzato « non so
vivere senza di te.. » continuò prendendole le
mani nelle sue mentre le si avvicinava un po'.
Lei scuoteva la testa con un
espressione di dolore in volto ma lo lasciò fare.
Guardò quegli occhi marroni così intensi e fu
difficile per lei rimanere nella sua posizione. Non voleva farsi
mettere i piedi in testa ed era stata delusa, era ferita e ci sarebbe
voluto tempo. E poi, quando la ferita si sarebbe rimarginata cosa
sarebbe rimasto del suo amore per lui? Era questo che non sapeva ed era
per questo che non se la sentiva di fargli promesse che non poteva
mantenere.
« Michelle, sposami.
»
La colse di sorpresa tanto che
scatenò qualcosa nel suo basso ventre, una sensazione simile
alla paura del rimorso e delle scelte che stava per compiere. Era
sicura che si sarebbe pentita di quello che stava facendo, ma non le
importava. Chiuse gli occhi e sentì una lacrima scenderle
veloce lungo il volto e cadere.
Lui la osservava in preda al
panico, non sapeva come mai glie lo aveva detto, sentiva solo che era
la cosa giusta. Una lacrima gli cadde sulla mano, una lacrima di
Michelle, gli si chiuse lo stomaco.
« Lo dici solo
perché non sai come riparare al danno.. » concluse
lei sciogliendo la presa con cui lui la teneva a sé e
andandosene lasciandolo solo.
There dreams will never leave
you, never leave you asking why.
Note. Beeene, capitolo un po'
cortino e a dire la verità avrei potuto fare di meglio, ci
sono stata su un po' poco dato che voglio velocizzare un po' il tutto.
Fra poco parto per l'Inghilterra e volevo lasciarvi con
qualcosa da leggere (Sì, so che leggete anche se non
recensisce praticamente nessuno XD ).
Secondo me sono stata
frettolosa ma davvero non saprei come agire per migliorarlo. Fatemi
sapere cosa ne pensate.
Un grazie particolare va a
Lucrezia (BBBlondie) perché si sorbisce i miei problemi
esistenziali anche se non ha voglia di recensire
ç_ç (ti amo lo stesso *^* ), e ringrazio anche
quelle due buone anime che hanno recensito il capitolo precedente
(prendete esempio, su .-. e siate brutali per piacere).
E quindi niente, spero vi sia
piaciuto e alla prossima.
|
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Capitolo 14 *** 13 - With my back against the wall ***
© Amor Vincit Omnia
Avvertimenti. Il
pezzo di brano all'inizio è parte della canzone Almost Easy
degli Avenged Sevenfold, anche se so che tutti voi l'avevano
già riconosciuta, spero. XD
Il tempo in questa storia è diventato del tutto
relativo, lol. Dimenticate le date che ci sono state fino a qualche
capitolo fa, adesso è tutto diverso. Mi serviva tempo e ho
dovuto aumentare i giorni che avevo a disposizione. Chi non ha ancora
capito, capirà in seguito. Buona lettura e ci vediamo a
fondo pagina. ^^
***
Now that
I've lost you it kills me to say,
I tried to
hold on as you've slowly slipped away,
I'm losing
the fight, I've treated you so wrong now let me make it right.
«
Sta male, Chelsea. E' distrutta. Fai qualcosa per lei.. »
La
voce robotica di Zacky al telefono la stava implorando di recuperare
un'amicizia che rischiava di scomparire nel nulla. Lui,
proprio lui che adesso faceva parte di quel noi che
prima rappresentava solo lei ed Eloyn, lui che era nella loro vita da
così poco la stava pregando di fare qualcosa per salvarsi da
quell'inferno senza Eloyn, da quella prospettiva di vita senza la sua
metà.
Era
tutto irreale ormai da qualche mese. Era stata dura imparare a vivere
tra le nuvole, in una realtà che sembrava ad entrambe fin
troppo irreale, ma c'erano riuscite. Avevano dovuto farlo, pena le
conseguenze che poi si erano verificate lo stesso, ma alle quali c'era
rimedio nonostante Chelsea volesse ignorarlo con tutta se stessa pur di
non ammettere il proprio errore.
«
Senti, Zacky. Farò qualcosa, solo non ora. Non è
il momento adatto »
«
Fai come ti pare, ricordati solo che la cazzata l'hai fatta tu e che a
te spetta di rimediare »
Aveva
maledettamente ragione.
Quella
crescita che avevano subito comportava anche questo, prendersi le
proprie responsabilità e risolvere i problemi nel migliore
dei modi.
Essere la causa di quei problemi le avrebbe dovuto dare una spinta in
più, invece Chelsea si sentiva inesorabilmente spinta al
suolo dai sensi di colpa. Doveva smetterla di fare la vittima e
concentrarsi sul da farsi.
«
Sì, hai ragione »
«
Fra un'ora siamo tutti alla spiaggia. Tutti... diciamo tutti quelli che
sono rimasti da ieri sera »
«
Che intendi dire? »
«
Brian e Michelle si sono lasciati quindi adesso lui è
distrutto - sembra che gli sia passato sopra un trattore, per
intenderci - e si è chiuso in casa, stessa cosa
vale anche per lei »
Aveva
combinato una catastrofe.
«
Sono una stupida »
«
No, Chelsea. Siete degli
stupidi; tu e Brian. Il danno lo avete fatto in due »
«
Ma le conseguenze adesso le paga solo lui »
«
Tu hai litigto con Eloyn. Hai sicuramente più
possibilità per rimediare, ma diciamo che lui aveva
più responsabilità.. Dalla tua parte hai la
fortuna di essere fidanzata con uno come Jimmy; lui capirà,
mentre Michelle no »
I
tentativi di far sembrare la cosa un po' più leggera della
realtà erano del tutto vani.
I
sensi di colpa rimanevano, con o senza le parole di Zacky. E ora c'era
il passo più importante da fare.
«
Devi dirlo a Jimmy » le disse lui in tono di velato
rimprovero.
La
sera prima Jimmy non si era accorto di niente. Per sua fortuna non si
era neanche vagamente avvicinato alla pista da ballo - la scena del
delitto - e quindi ne era uscito illeso, e ignaro. Avrebbe cominciato a
farsi delle domande quando le sarebbe arrivata voce dello scioglimento
di Brian e Michelle e del litigio tra Chelsea ed Eloyn. Avrebbe chiesto
il perché, e a quel punto non ci sarebbe stato nient'altro
da fare. Le possibilità erano due: o i ragazzi erano
così diligenti da non dire niente e aspettare che fosse
Chelsea a farlo, o qualcuno di loro glie lo avrebbe detto e quel punto
il trucco sarebbe stato batterli sul tempo e agire d'astuzia.
«
A che ora oggi pomeriggio? »
«
Alle quattro su al molo, se vuoi ti passo a prendere. Tanto Eloyn non
credo verrà. »
«
La lasci sola? »
«
No, torno a casa presto, sto un'oretta e scappo. »
«
Ok, accetto il passaggio se per te non è un problema. Ma non
dire niente a Eloyn, non vorrei peggiorare la situazione. »
«
Ma le parlerai? »
«
Sì, promesso. Dammi tempo fino a stasera o domattina
»
«
Ok, ci vediamo dopo. »
«
A dopo Vee »
Lui
riattaccò lasciandola da sola con il fastidioso
“beep” del telefono nell'orecchio.
Aveva
combinato un vero e proprio casino e doveva rimediare.
«
Arrivo! Arrivo! »
Chelsea
stava sbracciando dalla finestra aperta per far zittire il clacson
della macchina di Zacky che la stava assordando da circa due minuti.
Prese
la borsa e scese le scale ad un velocità lampo per far
cessare quel rumore orribile e fastidioso. Si stupì del
caldo che, nonostante fosse Dicembre inoltrato, continuava a farsi
sentire. Gli inverni in California non erano mai stati particolarmente
freddi, ma non era mai successo, a detta degli altri, che le
temperature si mantenessero alte anche durante quel mese.
Chelsea,
salita in macchina, salutò Zacky con uno sguardo del tutto
eloquente.
«
Ehi, ci stavi mettendo tanto! », rispose lui per scusarsi del
baccano che stava facendo con il clacson. « Stamattina mi
sono visto una maratona di quella serie televisiva che adoro..
» aveva poi cominciato a blaterare.
Le
frivole parole da checca di Zacky arrivavano alle orecchie di Chelsea
come ovatta e non raggiungevano il suo cervello. Intanto la rossa
faceva il resoconto mentale di cosa aveva preso e cose le sarebbe
servito. Costume, crema solare, bibite,
cibo.. c'era tutto, tranne..
«
Gli occhiali da sole, cazzo! » esclamò
improvvisamente interrompendo il flusso di parole di Zacky.
«
No, veramente Gary in quella puntata voleva comprarsi un paio di
scarpe, non un paio di occhiali! »
«
Eh? Ah, no, ma che dici! Mi sono dimenticata gli occhiali.. »
E
osservò il volto semi-deluso e ingenuo dell'altro con uno
sguardo assai eloquente.
«
Cos..? Ah, no.. No, Chelsea, non fare quella faccia, non ti
presterò i miei occhiali, neanche per sogno! »
Cinque
minuti dopo Chelsea aveva addosso i suoi occhiali, fiera di se stessa e
del suo sguardo convincente.
«
Me la pagherai, prima o poi.. » si lamentava lui socchiudendo
gli occhi per il fastidio provocato dal sole in viso. « Sai
quanto odio il sole.. »
Chelsea
rise a quella scena esilarante.
«
E andiamo, fai il maschio per una volta, so che ti viene male ma almeno
sforzati.. »
«
Stronza.. »
«
Infante! »
Già
venti metri prima della spiaggia si sentivano gli schiamazzi dei loro
amici che erano intenti in un'improbabile partita di beach volley.
Parcheggiarono
di fianco al marciapiede e si avvicinarono ai compagni. Le squadre
erano formate da: Jimmy, Val, Silvie e Matt Barry in una e nell'altra
Jason, Matt e Johnny. Decisamente poco bilanciate e per di
più mancava anche un giocatore.
«
Ti piace vincere facile, eh Jimmy? » disse Zacky all'amico
che si divertiva a sfottere Johnny per le sue inesistenti doti da
pallavolista; una tra le tante, l'altezza.
«
Dici a me? Non mi sembra che siano state fatte male, le squadre!
» finse l'altro battendo il primo colpo.
«
No, infatti! » lo assecondò ironica Chelsea.
«
Sì, ti amo anche io amore mio! » rispose Jimmy
alla sua fidanzata.
A
Chelsea le si strinse lo stomaco. Doveva dirglielo, doveva proprio, ma
se lui faceva così come poteva? Stava rendendo tutto
maledettamente difficile.
Fece
un respiro profondo per controllare i crampi che le avevano
attanagliato lo stomaco, poi stese il suo telo e si mise seduta.
«
Zacky, invece di guardare, perché non ci vieni a dare una
mano? » lo rimproverò Johnny.
«
Johnny! Ma Zacky è fottutamente grasso, sarebbe una lotta
ancora più impari » rise Matt.
«
Matt, non è che perché sei un fottuto palestrato
allora devi offendere noi diversamente magri! » gli rispose
Zacky sicuro di sé. Si tolse la maglietta e li raggiunse sul
campo. Jason lo guardò un attimo e ci pensò su,
preoccupato.
«
Andrà a finire che tu rotolerai al suolo e noi dovremo
aiutarti a rialzarti.. ne sono sicuro! » disse poi, acido,
autocompiacendosi per la bella battuta.
Zacky
semplicemente lo fulminò con lo sguardo e si posizioni al
posto di battuta con il pallone in mano.
Durante
la partita Zacky ebbe modo di far pentire gli altri per quei commenti
poco gradevoli sfoggiando le sue ben nascoste doti di pallavolista
facendo terminare la partita con un dignitoso quando altrimenti
impossibile pareggio.
Chelsea
decise di arbitrare la partita verso il secondo tempo, quando vide
Jimmy e Johnny litigare per un punto a bordocampo e, a partita
finita, poteva dire di essersi stancata almeno quanto loro
che giocavano.
«
Sono sfinita, vado a farmi una doccia.. » disse stremata
mentre tornavano verso i loro asciugamani.
«
Ma non hai fatto niente! Di che ti lamenti? »
sentì dirsi da uno dei gemelli. Non ci fece caso e
deviò verso l'entrata della spiaggia non appena furono
usciti dal campo e sentì qualcuno che la strattonava per un
braccio.
«
Chelsea, vengo con te! »
Jimmy
la raggiunse allungando il passo e Chelsea desiderò di non
essere mai nata, o perlomeno di non essere mai arrivata ad Huntington
Beach. Adesso non aveva scampo, doveva dirglielo per forza. Per se
stessa, per Eloyn, per Brian e Michelle e per lui, che la stava
guardando con quegli occhi di ghiaccio che potevano pietrificarla o
scioglierla a seconda delle occasioni.
«
Ehi.. » lo salutò, e quasi tentennò
quando lui cercò di baciarla.
«
Che c'è? »
Ma
perché doveva essere così chiaroveggente ogni
volta? Perché non si faceva mai sfuggire nessun particolare?
Perché
era Jimmy, ovviamente.
«
N-Niente.. » mentì.
Si
diressero verso le docce a gettone ed entrarono insieme in una cabina.
Jimmy cercò nella tasca ed estrasse una moneta che
inserì nella fessura accanto a Chelsea sfiorandole il
braccio.
Non
sapeva davvero il perché, ma in momenti come quello ogni
azione ed ogni avvenimento le venivano amplificati in maniera
assordante. E quello che in un altro contesto poteva sembrare un
semplice contatto, una banalità, qualcosa che avveniva
quotidianamente, invece ora le era sembrato l'inferno e il paradiso
contemporaneamente. Sentì che le gambe le stavano per cedere.
Il
getto d'acqua calda partì all'improvviso spaventandola
mentre era impegnata in tutt'altri pensieri facendola sussultare.
«
Sicura di stare bene? » le chiese Jimmy, con aria preoccupata.
L'altra
inizialmente annuì per poi contraddirsi subito dopo.
«
In realtà no, non proprio.. devo dirti una cosa »
Frasi
di convenzione come “dobbiamo parlare”,
“c'è qualcosa che non sai” o, come in
quel caso “devo dirti una cosa”, sono tutte frasi
che si dicono per gettare l'esca e vedere come va. E così
non puoi più tirarti indietro, sei incastrata e hai fatto
tutto da sola, non hai possibilità di tornare indietro.
«
Mh, ok. » disse lui calmo avvicinandosi pericolosamente alla
sua bocca. La baciò con trasporto e la trovò
rigida, ma non ci fece troppo caso.
Gli
avevano accennato della lite con Eloyn ma per qualche strano motivo
nessuno era mai entrato nei dettagli.
Chelsea
aveva anche solo pensato di poter opporre resistenza ma ci ripenso
quando le labbra di Jimmy cominciarono a scendere sulle sue guance e
lungo il collo; sentì la sua stretta sui fianchi attirarla a
sé.
«
Si tratta di Eloyn, giusto? »
«
Sì. » rispose in fretta lei.
Si
disse che certe frasi di circostanza sono infallibile finché
non si incontrano persone come Jimmy, che in un certo senso ci
azzeccano sempre. E anche in quel momento ci aveva azzeccato,
perché anche Eloyn era un problema in quei giorni. Ma quello
che in realtà gli avrebbe voluto dire era tutt'altra cosa.
Voleva parlare di loro e di quanto stessero bene insieme, di cosa aveva
sbagliato e di quanto si era pentita. Voleva pregarlo di non lasciarla
sola perché non lo avrebbe tollerato. E invece
ciò che uscì dalla sua bocca fu solo e soltanto
un breve, netto e deciso “Sì” per
riprendersi al volo da quelle famose frasi di circostanza.
«
Ne vuoi parlare? »
Forse
il vero problema era che lui non aveva smesso di baciarla e Chelsea
aveva avuto paura. Paura che se avesse interrotto quei baci gli avrebbe
dovuto dire addio per sempre, a quei baci e quindi a lui. E non ne
aveva avuto il coraggio.
Sapeva
benissimo che arrivata a quel punto non sarebbe potuta tornare indietro.
«
Abbiamo litigato. Vivere insieme ci ha allontanato, bella
contraddizione, eh? »
C'era
da ringraziare Dio, o forse solo il fato, che non tutte le voci
riguardo alla loro litigata della sera prima erano arrivate alle
orecchie di Jimmy, altrimenti il lavoro duro non sarebbe spettato a
lei. E la responsabilità di quella confessione era l'unica
che desiderava avere.
Dopo
mezzora Zacky tornò a casa per controllare Eloyn. Era andato
alla spiaggia solo perché lei lo aveva praticamente sbattuto
fuori da casa sua dicendogli che stava bene, ma era una menzogna a cui
non credeva nemmeno lei.
Aprì
la porta di casa e si diresse in salotto, sicuro di trovarla poltrire
sul divano; e così fu.
La
vide rannicchiata in un angolo con addosso la felpa grigia che le stava
immensa, quella che gli aveva sapientemente sottratto dall'armadio
ormai da qualche settimana, e i leggins. I capelli raccolti in una coda
di cavallo scompigliata che le faceva spuntare ciuffi ovunque. Dormiva
a braccia conserte e Zacky capì che doveva essersi
addormentata mentre guardava la televisione.
Si
guardò intorno e vide sul tavolino una vaschetta di gelato
alla vaniglia di cui erano rimasti solo degli scarti in fondo, e un
cucchiaio grande gettato dentro alla meglio. Vicino ad essa un
barattolo di Nutella aperto che fortunatamente riportava i segni di
poche cucchiaiate.
I rimedi delle donne sono
micidiali, pensò.
Tornò
a guardarla e vide i suoi occhi cerchiati da delle profonde occhiaie
nere, un po' per lo stress e un po' per il mascara nero che doveva
esserle scivolato via con il pianto. Forse aveva sbagliato a lasciarla
sola.
Prese
una coperta e glie la mise addosso; nonostante fuori fosse un caldo
tropicale, dentro a quella casa il condizionatore funzionava anche
troppo bene: in effetti si ibernava.
Le
diede un bacio in fronte e si allontanò solo per abbassare
un po' l'aria fredda.
Tornò
da lei e spense la televisione allungandosi sull'altra ala del divano.
Un divano ad angolo, comodo per due.
Capì
di averla svegliata quando la sentì mugugnare qualcosa di
molto simile a: « Zacky, sei tu? »
«
El, sei sveglia? »
«
Più o meno.. »
«
Ti porto di sopra? »
La
osservò annuire a chiudersi di più in se stessa e
si alzò per portarla nel letto al piano di sopra, quello che
ormai era il loro letto.
La
prese in bracciò con facilità e noto che
ultimamente aveva perso peso, come biasimarla. Certamente con tutte le
schifezze che aveva ingurgitato quel giorno sarebbe tornata a pesare
come sempre senza difficoltà.
Salì
le scale e arrivato in cima fece qualche passo per arrivare alla porta.
Cercò di aprirla e ci riuscì solo dopo vari
tentativi. La fece sdraiare e le si mise accanto rigirandosela tra le
braccia con una facilità che gli faceva capire quanto fosse
stanca per non ribellarsi. La strinse a sé come fosse il suo
piccolo gioiello da proteggere, e in un certo senso era davvero
così.
La
vide aprire gli occhi.
«
Che ore sono? » gli chiese prima di dargli un leggero bacio a
fior di labbra.
«
Le cinque, da quanto è che dormi? »
«
Stavo guardando Beautiful quindi dalle due più o meno..
»
«
Stavi guardando Beautiful?!? ». Lei odiava quella serie
televisiva, Zacky non poteva credere alle sue orecchie.
«
Sono messa male, eh? » sorrise amaramente.
A
Zacky si strinse il cuore a vederla in quel modo.
«
Piccola la mia Eloyn.. » disse con una vocina alquanto strana
portandola sopra di lui.
«
Quando fai questi versi ho quasi paura di te, ma ti amo per questo
» rispose baciandolo con poca forza, era ancora molto
assonnata.
«
Anche io ti amo, Eloyn. Ti amo tanto! »
Lei
non capiva perché lui fosse così felice. Certo
non poteva immaginare che tutta quella gioia potesse essere scaturita
solo da dei pensieri a caso, come avere la certezza che sarebbero
potuti stare insieme per tutta la vita.
Infatti,
la sola cosa che Zacky aspettava per chiederle di sposarlo era il
tempo. Che passasse ancora un po', per vedere se uno dei due si sarebbe
stancato. Anche se dei suoi sentimenti era ancora completamente sicuro.
Nessuno
sapeva che l'anello di fidanzamento era già pronto nel
cassetto più nascosto della camera e accuratamente chiuso a
chiave. Però c'era ed era già qualcosa.
Si
riaddormentarono abbracciati l'uno all'altra e vennero svegliati dal
campanello che suonava.
Zacky
si alzò improvvisamente e diede un'occhiata fugace alla
radiosveglia vicino al letto: erano le sette di sera, probabilmente era
Chelsea alla porta che voleva parlare con Eloyn.
«
El, dobbiamo alzarci. Hanno bussato »
«
Ma vacci tu ad aprire, è casa tua.. »
«
Certo, è casa mia solo quando ti fa comodo è? No,
troppo facile. Stavolta vai tu. »
«
Zacky James Baker, ti odio. Sappilo. » disse lei strisciando
fuori dal letto con una lentezza impressionante.
Ovviamente,
solo Zacky sapeva chi ci fosse dietro alla porta ad aspettarla, ed era
per quello che sarebbe dovuta andare Eloyn ad aprire.
Chelsea
aspettava impaziente che qualcuno si degnasse ad aprire la porta e
quasi sperò con tutta se stessa che fosse Eloyn a farlo,
tanto per evitarle ulteriori complessi pre-discorso.
Non
sapeva bene cose le avrebbe detto. Forse solo
“scusa” o forse le sarebbe uscito un
fiume di parole inarrestabile. Sotto questo punto di vista, Chelsea era
sempre stata imprevedibile.
La
porta si aprì e le si presentò davanti lo stato
più trasandato e trascurato della sua Eloyn. Stava davvero così male?
Si maledì mentalmente.
La
osservò guardarla stupefatta dalla testa ai piedi. Era
arrabbiata.
«
Cosa diav-.. » iniziò Eloyn, ma fu interrotta da
Chelsea.
«
Scusa! » esclamò sopra le parole dell'altra
facendola rimanere di sasso. « Io.. non dovevo mentirti. Ho
fatto una cazzata. Tu ci sei sempre stata per me e mi hai sempre detto
tutto. Scusa.. »
Eloyn
non sapeva davvero cosa dire. Era felice che fosse stata lei a farsi
avanti, altrimenti lei stessa non ne avrebbe avuto le forze.
Aprì
la bocca per dire qualcosa ma si accorse che non c'era più
niente da dire. Allora la richiuse e semplicemente le si
avvicinò abbracciandola con tutte le forze che le erano
rimaste.
Chelsea
accolse quell'abbracciò con sincera felicità e si
sentì sollevata da una peso più grande di lei.
«
Vuoi.. vuoi entrare? »
«
Ma c'è Zacky.. »
«
La casa è abbastanza grande per tutti.. alla più
brutta lo chiudiamo in bagno » rise Eloyn, illuminata di una
nuova luce.
Mentre
Chelsea si faceva spazio in casa di Zacky, il diretto interessato
scendeva le scale con i vestiti sgualciti e lo sguardo spento dal sonno.
«
Ti ho svegliato, Zacky? » chiese Chelsea come se la risposta
fosse ovvia.
«
Veramente ci hai
svegliato »
«
Sì ma io sono felice di essere stata svegliata »
rispose Eloyn guardando l'amica.
C'erano
momenti in cui si soffermava sui suoi particolari e capiva di non
poterne fare a meno.
Erano
ormai passati i tempi in cui giocavano con le bambole, quando definirsi
“migliori amiche” aveva ancora un significato
speciale, andato poi sbiadendo col tempo.
Però
sapeva che infondo c'era qualcosa che le legava inesorabilmente. Come
quando da piccole Chelsea partiva e stava via ogni santa estate
lasciando Eloyn da sola ad aspettarla. E quando poi tornava si
soffermava sempre su quei capelli rossi e sui suoi occhi azzurri e si
sentiva stupida considerandoli dettagli fondamentali nella sua vita.
Quel
giorno le stava succedendo la stessa cosa di quando erano piccole, e si
stupì di come il colore dei suoi occhi non fosse cambiato di
una virgola.
«
Zacky, mi hai convinto tu a venire, non ricordi? Adesso non ti
lamentare » lo rimproverò Chelsea.
«
Tu hai fatto cosa? » chiese Eloyn perplessa.
«
Perché credi che sia venuta lei a parlarti, scusa? Sai
meglio di me quanto sia testarda e orgogliosa »
Eloyn
sentì il cuore riempirsi di felicità. Poteva
desiderare di più? No, affatto.
Si
avvicinò a Zacky e lo abbracciò con forza sui
fianchi – cosa che le veniva bene data la sua
statura – facendolo quasi morire soffocato.
«
Ok, ok. Ti amo anche io ma così mi uccidi!
» rise lui abbracciandola di riflesso.
Chelsea
ed Eloyn passarono il resto della serata a parlare di tutto
ciò che non si erano dette e di tutto ciò a cui
non avevano fatto caso l'una dell'altra. Riscoprirono quell'amicizia
andata trascurando e capirono che niente le avrebbe mai divise.
***
Brian
stava arpeggiando i nuovi accordi che aveva pensato per la
canzone “God Hates Us” aspettando che gli
altri arrivassero.
Doveva davvero farglieli
sentire, sarebbero stato un intro perfetto –
pensava.
Era a
casa di Matt e lui non c'era; gli aveva aperto la porta Val, che per
lui era come una seconda mamma, ormai. Era un po' la madre di tutto il
gruppo. E quella casa, in quei giorni, era diventata anche un po' la
sua.
«
Vuoi qualcosa da bere? », aveva fatto irruzione lei, nella
sala incisioni.
«
Una birra, volentieri »
«
Ma sono le dieci di mattina! »
Lo
sguardo eloquente che Brian le aveva lanciato le aveva fatto intuire
subito quale sarebbe stata la sua risposta.
«
Ok, te la porto. »
«
Grazie Val, sei un angelo », le aveva urlato dietro mentre
Val si allontanava dal corridoio.
Dopo
cinque minuti Matt si presentò con due birre in mano.
«
Una a te » e gli porse una bottiglia « e una a me,
anche se Val ha minacciato di lasciarmi »
ridacchiò.
«
Allora Haner, cos'hai per me? »
Brian
appoggiò la birra sul tavolo e ricominciò a
prestare attenzione alla sua chitarra.
«
Ho pensato ad un arpeggio per God Hates Us, lo potremmo mettere
all'inizio.. » disse mentre iniziava a suonare.
«
Sì, mi piace! Magari lo mettiamo anche alla fine a sfumare
»
«
Si potrebbe fare »
Nel
frattempo li avevano raggiunti anche Jimmy e Johnny.
«
E Zacky? »
«
Con Eloyn, ci raggiunge più tardi » rispose Jimmy.
«
Dobbiamo finire la base dell'ultima canzone, altrimenti Larry ci
uccide, o peggio.. » sentenziò Johnny.
«
Quando abbiamo l'ultimo incontro? » chiese Matt con in mano
la sua chitarra.
«
Fra tre giorni »
«
Quel che è certo è che non gli porteremo anche il
testo, non ci riuscirei neanche volendo » disse Matt.
«
Non credo che farà storie per il testo, le sue parole sono
state “voglio la musica finita!” » lo
imitò Jimmy « non ha parlato di testi »
«
Comunque mi ci impegnerò nei prossimi giorni »
concluse Matt.
Per
tutta la mattina Jimmy fu velato da una patina di tristezza, cosa che
era trasparita anche in ciò che aveva scritto; aveva deciso
che la nuova canzone si sarebbe chiamata “Tonight The World
Dies” e ne erano rimasti tutti un po' sorpresi.
Zacky
no, aveva osservato quella scena con estremo silenzio ed era rimasto
sorpreso da come tutti facessero finta di non vedere. Come era sempre
stato, d'altronde.
Jimmy
era entrato nel tunnel della depressione qualche anno prima, per
problemi che probabilmente conosceva solo il suo analista. Qualcosa che
aveva a che fare con la sua esistenza, avevano supposto gli altri. Per
questo non era la prima volta che entrava in studio con una faccia
simile a quella. Ma atterra come quel giorno Zacky non ce lo aveva
davvero mai visto.
Certo
era che dover lavorare anche il giorno di natale era una cosa un po'
fastidiosa. Fortunatamente si trattava solo di due orette al pomeriggio
e niente più.
Jimmy
aveva avuto la classica “illuminazione” pre-CD.
Tutte
le volte, infatti, aveva una di quelle idee-lampo assolutamente geniali.
«
L'ho finita » aveva dichiarato quel pomeriggio. Era da
qualche tempo che si vociferava di questa presunta canzone, ma Jimmy
non aveva voluto svelare niente a nessuno.
«
In quanto tempo? »
«
Una notte insonne, e ci sono poche e semplici parti di batteria
così non mi dovrò affaticare ancora »
aveva ridacchiato amaramente. Anche lui sapeva che non c'era niente di
felice in quella dichiarazione.
Iniziò
a suonare e, dopo i primi accordi, Matt lo fermò dicendogli
che andava bene e che l'avrebbero registrata subito per guadagnare
tempo; avrebbero passato un natale alternativo.
La
sala di registrazione a casa di Matt era stata tempestata di
decorazioni natalizie ed era pronta per essere usata. Probabilmente
c'era lo zampino delle gemelle DiBenedetto in tutto quello sfarzo, e il
solo pensiero faceva chiudere lo stomaco a Brian.
Le
mancava Michelle come l'aria che aveva sempre respirato, in tutto quel
tempo. Ancora non si rivolgevano la parola e Brian non sapeva davvero
più dove sbattere la testa. Infatti c'era amore nell'aria,
fatta eccezione per loro due, Michelle e Brian, ognuno ad un capo
opposto della stanza che si parlavano solo per chiedersi l'ora. Stavano
male entrambi, era evidente.
La
canzone di Jimmy era malinconica e triste e la registrarono subito dopo
aver preparato i demo delle parti di batteria, tanto per svalicare
quello che era diventato un ostacolo insormontabile per Jimmy.
Ora
Jimmy era pronto al pianoforte per iniziare a suonare e accanto a lui
c'era Matt seduto su uno sgabello che lo guardava sorridendo. Davanti a
loro degli spartiti e un microfono. A dividerli dagli altri il solito
vetro freddo.
Iniziò
a suonare al pianoforte i primi accordi gioendo quando la batteria che
aveva registrato gli inondò le orecchie, scaturita dalle
cuffie che aveva in testa.
«
Now I think I understand,
how this world can overcome a
man » iniziò
Jimmy accompagnandosi con il pianoforte.
Era
quell'amaro in fondo che faceva pensare a Jimmy, Chelsea l'aveva
capito, e forse era per quello che gli voleva così bene. Era
una sua caratteristica.
«
Like a friend we saw it through,
in the end I gave my life for
you. »
E
ancora quel pianoforte che lacerava i cuori di chi lo ascoltava.
«
Gave you all I had to give,
found a
place for me to rest my head.
While I
may be hard to find,
heard
there's peace just on the other side. »
Valary
guardò suo marito e anche lei capì
perché lo amava. Quando si dice “il potere della
musica”.
Aveva
una felpa nera con il cappuccio che faceva venire voglia di
abbracciarlo e in testa il cappellino nero di Brian, quello con i
teschi. Era così tenero e poco consono alle parole di quella
canzone, eppure così affascinante, come se quelle stesse
parole fossero state scritte apposta per lui.
Matt e
Jimmy avevano una sintonia magica che li legava. Si volevano bene, come
agli inizi, erano cresciuti insieme. E questa cosa degli Avenged
Sevenfold era solo un dettaglio nella loro vita insieme.
Perché loro erano ugualmente,
nonostante tutto quello.
«
I hope it's worth it, here on the higway, yeah.
I know you'll find your own way
when I'm not with you... » cantò
Jimmy guardando Matt negli occhi, come se volesse dirgli che quelle
parole erano per lui, in onore di quello che erano stati fino a quel
momento, in onore di quell'amicizia che li aveva tenuti uniti
nonostante il successo, nonostante i soldi o qualsiasi altro ostacolo.
«
So tell everybody, the ones who walked beside me, yeah.
I hope
you'll find your own way when I'm not with you, tonight. »
«
I hope it's worth it, what's left behind me, yeah.
I know
you'll find you own way when I'm not with you.
So tell
everybody, the ones who walked beside me, yeah.
I know
you'll find your own way when I'm not with you, tonight.. »
Tutti
li guardavano esterrefatti, come se quella canzone li avesse messi a
nudo davanti al mondo. Carne viva sul fuoco ed emozioni senza veli.
C'era dell'essenziale in tutto quello, che poteva essere colto al
meglio solo da chi l'aveva vissuto da vicino.
Ma era
triste, in una maniera che poteva essere capita solo da un occhio
attento come quello di Zacky, che si era accorto di tutto da un po' di
tempo, ormai.
Quella
canzone era triste nel modo che solo Jimmy era stato capace di
concepire, in tutti quegli anni che facevano canzone deprimenti.
Qualcosa
era cambiato in quei giorni, Zacky ne era certo, ma decise di vedere se
le cose sarebbero cambiate prima di agire. Sarebbe stato meglio per
tutti.
Note. And soooo, stiamo
arrivando agli sgoccioli... o quasi. Mancano all'incirca sei capitoli a
meno che io non decida di perdermi in quell'atmosfera tanto carina che
si crea alla fine di una storia e decida di dilungarmi nell'epilogo con
qualche Slice of Life (Cosa che accadrà, molto
probabilmente).
Aggiornamenti
recenti:
- Ho scoperto di amare alla
follia il CD Waking The Fallen. Non che prima non mi piacesse ma adesso
è proprio uno dei miei preferiti.
- Mi
sono innamorata di Brompton Cocktail. Strano, eh? Fatto sta che
è la mia fissa, attualmente.
Ora i
ringraziamenti:
Grazie
a Buried e KikiSuicide che non so con qualche forza di spirito hanno
deciso di seguirmi. Grazie davvero per i consigli, e i complimenti.
<3
Un
grazie va anche a BBBlondie semplicemente perché mi
sopporta. Anche se non recensisci, ti capisco.. sei un ghiro. XD
Grazie
anche e soprattutto a chi deciderà di recensire e far felice
questa povera donna in crisi. No, seriamente, ve lo dico sempre, anche
se mi insultaste sarei felice lo stesso. *^*
Baci, Silvia. :*
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Capitolo 15 *** 14 - Danger Line ***
© Amor Vincit Omnia.
Scusate per il ritardo ma l'Inghilterra ha avuto la meglio
sulla mia voglia di scrivere. Buona lettura e ci vediamo a fondo pagina.
So think of the times,
the days we spent laughing away..
«
Adesso o più tardi, dovrai dirgli tutto. Non puoi continuare
a far finta di niente e rischiare di farti venire un colpo ogni volta
che lui si presenta da te dicendoti che deve parlarti »
Stava
vivendo in agguato ad aspettare il colpo del nemico. Ogni santo giorno
pregava un qualsiasi Dio che lui non sapesse ancora niente, e quando
lui le si presentava con lo sguardo ancora felice e rilassato di chi
è ignaro di tutto, allora si riprometteva che prima o poi
glie lo avrebbe detto, perché alla fine era un peso troppo
grande da dover sopportare troppo a lungo.
Ora le
parole di Eloyn le rimbombavano in testa mentre pensava se fosse giusto
o no finirla così, quella favola che l'aveva presa e portata
in alto per la prima volta nella sua vita. Era giusto che dopo tutto
quel tempo finalmente avesse trovato un posto nel mondo e che proprio
per colpa sua fosse costretta a rinunciare?
L'aria
in quella anonima macchina ferma sul ciglio della strada cominciava a
farsi pesante e ad ogni respiro il suo corpo immetteva ed emetteva
umidità. Tolse le mani dal volante e abbassò il
finestrino per far circolare un po' d'aria, respirò a pieni
polmoni. Aveva come una sorta di dolore all'altezza dello stomaco,
qualcosa di forte che la faceva muovere in modo strano e nervoso.
L'orologio
elettronico della macchina segnava le sei e un quarto, era in quella
gabbia da circa un quarto d'ora, poteva anche bastare come tempo di
riflessione e la sua meta era ferma a qualche passo da li. Eppure le
sembrava tutto così strano. Sapeva bene cosa sarebbe
successo se solo avesse avuto il coraggio di confessargli tutto, sapeva
che la loro relazione sarebbe arrivata al capolinea, la sua
negatività cronica glie lo accertava. Ma sapeva anche che se
non fosse stata lei a farlo, glie lo avrebbe detto qualcun altro, e
allora avrebbe fatto meglio a cambiare paese pur di non sentire i suoi
silenzi. L'unica cosa certa in quel momento era la paura che Chelsea
aveva dei silenzi di Jimmy. Perché ogni cosa che lui compiva
era sempre amplificata solo per il fatto che era lui a farla. E se una
sua risata era capace di scioglierti il cuore, un suo silenzio sarebbe
bastato a sconfiggerti, annientarti completamente.
Poi in
certe situazioni arriva il momento di non-lucidità e allora
dai il via a quella catena di movimenti inarrestabili che porteranno ad
una inevitabile e disastrosa fine, ma che avvengono, l'uno concatenato
al successivo, con una naturalezza forse eccessiva. Come era naturale
in quel momento scendere dall'auto e dirigersi velocemente verso la
porta di casa di Jimmy e suonare al campanello. Poi ad un tratto si
ritrovò lì ad aspettare che qualcuno le aprisse.
E come ci era arrivata? Come in un trip mentale, come quando ti
ubriachi, il tragitto dall'auto al portone era per lei un buco nero.
Non ricordava bene con quale forza era arrivata fin lì, ma
l'importante era che alla fine, volente o nolente c'era arrivata.
Jimmy le
aprì la porta e Chelsea volle davvero morire lì.
Lo guardò negli occhi come se fosse la sua ultima volta. E
doveva essere davvero scossa perché Jimmy se ne era accorto,
dal suo sguardo.
«
Chelsea, che hai? », le chiese con il tono di voce
più preoccupato che Chelsea gli aveva mai visto addosso.
«
Ehm.. Jimmy », cominciò, quasi ridendo di quello
che aveva da dirgli, come per sdrammatizzare. « Io... devo
parlarti. E' importante. »
Stava
tremando come una foglia secca.
«
Ok, ok. Però.. santo cielo Chelsea calmati.. vieni, entra..
»
Le fece
spazio per entrare le strinse le spalle nelle sue forti e grandi mani.
Vedeva la preoccupazione del suo volto per qualcosa che pensava non lo
riguardasse direttamente. Invece si sbagliava. La condusse in cucina e
la fece sedere su una sedia.
«
Ti faccio un tè? Anzi, sarebbe meglio una camomilla..
» fece lui, tranquillo.
«
No, no! Niente, grazie.. », si alzo lei di scatto.
Improvvisamente,
ogni gesto che lui compiva nei suoi confronti le sembrava immeritato.
«
Ho bisogno di dirti una cosa, seriamente. »
«
Ok, sentiamo.. » rispose lui quasi per rassicurarla e
sedendosi accanto a lei.
Chelsea
si rimise seduta e lo guardò negli occhi, sentiva
già le lacrime pungerle dietro agli occhi e un groppo
salirle alla gola.
«
Io.. Jimmy, c'è qualcosa che non sai e che ti riguarda
abbastanza da vicino.. » iniziò. Lui la guardava,
impassibile. « Ho baciato Brian. »
In quel
preciso istante il tempo sembrò congelarsi. Anche Jimmy
davanti a lei non sembrava più vivo, e nemmeno lei stessa,
il suo cuore.
Jimmy la
guardò, neanche tanto sconcertato, come se in un certo senso
se lo aspettasse. Stette un po' così, a contemplare il suo
volto teso, le rughe che le si erano formate sulla fronte e poi
riuscì a parlare.
«
Oh, b-bhe.. », balbettò. « Questo cambia
le cose.. E tu... Tu lo ami? » chiese lui paralizzato.
Chelsea
si accorse di non aver dato nessun tipo di giustificazione: le
deduzioni di Jimmy potevano essere più che fondate.
«
No, no, no, assolutamente no! Jimmy, ho fatto un cazzata enorme e me ne
sono pentita.. Michelle e Brian si solo lasciati per questo e mi sento
una vera merda ma, credimi.. io.. »
«
Forse sarebbe meglio che smettessimo di vederci anche noi. »
la interruppe lui, secco.
Era
proprio quello che temeva e che sapeva sarebbe successo. Si era
preparata per quell'ultimo, straziante colpo. Doveva esserlo, se non
altro. E invece no: lo fissò negli occhi per interminabili
secondi e lui fece lo stesso, con gli occhi lucidi pieni d delusione.
Lo fissò chiedendosi il perché di quella storia
finché non sentì un a lacrima solcarle una
guancia e scivolarle lungo la bocca semi aperta. Sentì quel
sapore salato della sconfitta: il suo mondo era appena crollato.
Chelsea
si alzo lentamente in piedi e tirò su col naso mentre con la
mano si asciugava la lacrima. Ma non fece in tempo a scacciarla via che
un'altra, più grande, le stava già scivolando via
sull'altra guancia, stavolta più vicina al naso.
Si
allontanò a passi lenti dalla stanza e si diresse verso la
porta. Aveva la mano sulla maniglia quando la voce di Jimmy le
scaldò ancora un volta il cuore facendola quasi sussultare.
«
Chelsea, torna qui. Ho solo detto “forse”..
»
In
realtà, quando aveva visto il volto di Chelsea soffermarsi
su di lui come fosse stata l'ultima volta, ci aveva completamente
ripensato. Per quanto potesse esser stata stupida, lui la amava e non
poteva vivere senza. Con Brian avrebbe fatto i conti in separata sede.
Si
alzò dalla sedia e andò incontro a Chelsea che
dalla porta di era voltata e lo osserva con il volto rigato di lacrime.
Le si avvicinò e lei fece lo stesso, ma inaspettatamente
Chelsea allungò il passo e lo abbracciò, come a
volersi sostenere a quell'unico appiglio che le era stato concesso.
Anche ora, come se fosse l'ultima volta.
Lui non
poté far altro che abbracciarla di rimando e
tranquillizzarla. Ormai la sua decisione l'aveva presa e per adesso non
si sarebbe allontanato da lei. Non avrebbe potuto, neanche volendo.
«
Chelsea, io non voglio lasciarti.. ma prova a capirmi, sono deluso...
mi chiedo solo perché lo hai fatto. »
«
Non lo so! » esclamò prima di iniziare a
singhiozzare come una bambina.
Era
arrivata al punto di stare per perdere la sua unica ragione di vita in
quella città. Si era vista messa a nudo difronte al mondo e,
anche se per un attimo solo, l'idea di tornarsene a Washington le aveva
sfiorato la mente. Era normale reagire così.
«
OK, ok. La supereremo, va bene? Insieme, come sempre.. » la
rassicurò Jimmy, e le diede un delicato bacio tra i capelli.
Improvvisamente,
dopo quella confessione improvvisa, gli era tutto più
chiaro. Michelle e Brian chiusi nelle rispettive case da più
di qualche giorno, la litigata tra Chelsea ed Eloyn e anche gli strani
comportamenti di tutti. Tutto era chiaro, e più che mai lo
erano anche i suoi sentimenti.
Ora
però era arrivato il momento di scontare la pena, non tanto
per Chelsea – che aveva visto il proprio mondo sgretolarsi e
ricostruirsi in meno di venti secondi – e in quel lasso di
tempo Jimmy aveva potuto constatare che lo amava davvero –
quanto per Brian. Non usciva di casa di una settimana, era sicuro che
lo avrebbe trovato lì.
Quando
bussò alla porta sentì quasi la rabbia
scivolargli fino alle nocche e ricadere violenta sui battiti sul legno
freddo e aumentò – per un motivo non precisato
– quando vide Brian in condizioni davvero pietose che lo
osservava quasi impaurito da dietro la soglia di casa.
«
Che c'è? » chiese Brian all'amico.
«
Non pensi dovremmo parlare? »
«
Ti ha detto tutto, perfetto.. » rispose Brian sconsolato,
alzando le braccia per farle poi ricadere stancamente di nuovo sui
fianchi.
«
Sì, direi di sì e.. »
«
Senti, non mi sto lamentando. E' giusto così. Dai, entra..
». Volse lo sguardo verso l'interno della casa invitandolo ad
entrare. Jimmy lo fece, varco la soglia di casa di Brian e lo vide
stranamente calmo, come se non avesse più niente da perdere.
«
Non vengo in pace, Haner. » statuì Jimmy in tono
pacato.
Brian si
voltò e lo guardò profondamente negli occhi.
«
Lo so, Jimmy. »
Continuarono
a camminare fino a raggiungere la camera da letto di Brian. Quando
Jimmy entrò rimase scioccato dalla visione che gli si
prospettava. La camera era in subbuglio: c'erano bottiglie di alcolici
ovunque, piatti sporchi con gli avanzi di pranzi e cene posticci e
panni sporchi appoggiati qua e là sui mobili.
«
Questa è la mia vita da neo single, amico. »
annunciò Brian con tono decisamente molto amaro.
«
Ognuno a ciò che si merita » replicò
l'altro, fermo sulla soglia della porta.
Brian
sembrò pensarci su prima di incassare il colpo.
«
Te lo concedo, Sullivan. »
Ci fu
qualche attimo di silenzio, qualcuno di troppo.
«
Adesso, hai intenzione di spiegarmi cosa ti è passato in
testa oppure continuiamo a far finta di niente? »
«
Vi siete lasciati? »
«
Rispondi. »
Brian
stette in silenzio, poi disse: « Se l'hai lasciata sei un
idiota.. »
«
Non c'è bisogno che tu me lo dica. E comunque no, non l'ho
asciata. Stiamo ancora insieme, abbiamo chiarito. Ma in tutto questo
lei non c'entra un cazzo. Qui si parla di me e di te... Sei un
grandissimo stronzo, Haner. »
«
Io, Jimmy senti. Chelsea è bella, ha un corpo da favola..
» ma si accorse che la sua premessa stava facendo arrossare
Jimmy più del dovuto. « ..insomma, lo sai quanto
io sia attratto dalle belle donne.. »
«
Mi hai tradito, Brian. Siamo amici da quando eravamo ancora tutti
vergini, per Dio. E tu mi hai tradito come se tutti questi anni non
abbiano significato niente per te! » gli urlò
contro, Jimmy, sfogando tutto il rammarico che aveva dentro. Ancora
stentava a crederci, si sentiva quasi stanco, come se tutto quel tempo
passato assieme gli fosse stato risucchiato via.
«
Credi che avrei scelto lei invece che te? Me ne sono pentito nel
momento stesso in cui è successo e poi mi sembra che la stia
scontando anche io la mia pena, no? »
«
Mi hai deluso, Brian. »
«
Non ti chiedo di capirmi, solo di perdonarmi. »
Jimmy
scosse il capo e lo guardò mettersi seduto sul letto e
prendersi la testa tra le mani.
«
Mi vedi? Vedi come mi sono ridotto per quella cazzata? Credi che non mi
sia pentito? Ho perso la persona più importante della mia
vita. L'avrei sposata se non fosse successo niente, cazzo. L'avrei
anche sposata! »
Brian
aveva gli occhi lucidi e stava perdendo il controllo.
«
Non lo so, Brian. Non riesco più a fidarmi di te.
»
«
Riuscirai mai a farlo? »
«
Forse sì.. »
«
Sei mio fratello.. Jimmy » gli disse guardandolo intensamente
negli occhi ancora una volta. Una piccola lacrima gli scese lungo il
viso, accanto al naso e Jimmysi ritrovò a pensare a quante
volte l'aveva visto piangere per qualcosa: veramente poche.
«
Non puoi abbandonarmi.. non adesso » aveva poi continuato,
Brian, senza togliere le sguardo dagli occhi di Jimmy.
Jimmy
sospirò e si guardò intorno. Glie lo dicevano
sempre che era troppo buono. Ma davvero non ci riusciva a lasciarlo nei
casini.
«
Ok, facciamo finta che non sia successo niente. Mi basta sapere che te
ne sei pentito. »
«
Non immagini quanto » rispose Brian alzandosi e andando ad
abbracciare l'amico.
Forse in
certi casi l'amicizia era più forte di qualsiasi altra cosa.
***
Silvie
era riuscita ad integrarsi bene ed in fretta nel gruppo. Non le costava
molto: era sempre stata un persona estremamente socievole. Eloyn poteva
ancora ben ricordare le mattinate al parco con i suoi; di solito Silvie
si metteva lì e giocava con gli altri in modo naturale ed
Eloyn era sempre con lei, ma in disparte che la osservava ammaliata da
ogni suo gesto.
La
rapidità con cui Silvie faceva conoscenza era sempre stata
una cosa che Eloyn le aveva invidiato, pensava mentre camminava
lentamente tenendo il passo con gli altri. Si strinse ancora un po' nel
suo cardigan quando un lieve brezza le scompigliò i capelli.
La spiaggia di notte era uno dei posti che preferiva di Huntington
Beach. Le infondeva pace, si sentiva bene quando i suoi piedi nudi
sfioravano la sabbia ad ogni passo.
«
El, hai idea di quando verrà Zacky? » le chiese
Johnny facendola sentire come un pesce in una palla di vetro: isolata
dagli altri e immersa nei suoi mille pensieri.
Eloyn si
voltò e vide Johnny, Silvie e Matt guardarla, poi rispose:
« E' a casa, faceva la doccia e arrivava ».
«
Oh, sì. Me lo ha detto anche Val, la passava a prendere dopo
aver fatto la doccia » confermò Matt.
Continuarono
a camminare fino ad un ammasso di scogli situati proprio sulla riva del
mare. Eloyn si fermò un attimo di più davanti a
quell'enorme opera d'arte e sentì Silvie dichiarare:
« Li aspetteremo qui ».
«
Voi credete che questi scogli siano naturali? »
«
Credo proprio di sì, cara Eloyn. Pazzesco, no? »
le aveva risposto Johnny, fiero di vivere in quel posto magico.
Gli
scogli formavano delle piccole grotte e dei piccoli balconi dove era
possibile sedersi. Eloyn non aveva mai visto niente di simile. Il lieve
bagliore della luna piena evidenziava i profili marroni e spigolosi di
quella babele di anfratti bui.
Si
sedettero ognuno in un angolo diverso, abbastanza vicini da poter
parlare tranquillamente.
Eloyn
prese la sua borsa e se la appoggiò sulle gambe incrociate,
cercandovi dentro il pacchetto di Marlboro che aveva comprato prima.
Quando lo ebbe trovato, lo aprì e si mise una sigaretta tra
le labbra in cerca dell'accendino.
Il
cellulare le squillò un attimo dopo che lo ebbe preso in
mano per farsi spazio in borsa e ne approfittò per
rispondere.
«
Chelsea, ci raggiungi? » chiese direttamente dopo
aver premuto il pulsante verde.
«
Alla scogliera, no? »
«
Sì, siamo qui. »
«
Arrivo con Jimmy fra poco. »
Intano
altre due sagome indefinite si stavno avvicinando alla scogliera. Eloyn
chiuse il cellulare e sgranò gli occhi; quando furono
abbastanza vicine poté distinguere chiaramente i volti di
Zacky e Val.
Lo
fissò intensamente quando prese posto accanto a lei.
«
Che c'è? » le chiese lui.
«
Niente », e distolse lo sguardo. « Pensavo..
»
«
A che pensavi? », chiese Zacky appoggiando la schiena al muro
e invitandola a sedersi tra le sue gambe e trascinandola a
sé per i fianchi.
«
Pensavo a quanto ti amo ». Veramente Eloyn se ne accorse solo
dopo della naturalezza con la quale aveva pronunciato quella frase,
tanto che Zacky rimase dapprima interdetto, poi la strinse a
sé e le diede un bacio sul confine tra il collo e la
guancia. Rimasero stretti in quel modo ancora un po', comodi l'uno
sull'altro come due pezzi di un puzzle che si completano a vicenda.
L'orizzonte
era tempestato da mille colori diversi e il primo spicchio di sole
saliva dal confine con il mare e si rifletteva sull'acqua tremolante.
Con gli occhi infastiditi dai primi raggi di luce, Zacky diede
l'ennesimo tiro alla sua sigaretta e appoggiò accanto a
sé l'ultima bottiglia di birra vuota. Sentì i
suoi occhi rilassarsi per quella frazione di secondo in cui
guardò lo scoglio su cui era seduto mentre appoggiava la
birra e contrarsi subito dopo quando rialzò lo sguardo.
Passò gli occhi sopra al sole ancora una volta e si
voltò verso Jimmy.
«
Sai che c'è? Che l'alba è sempre stato il momento
più bello della giornata.. » disse Jimmy.
Lo aveva
quasi preso alla sprovvista quando aveva iniziato quel discorso. Un
momento erano lì che parlavano di marche di birra
artigianale e musica e l'attimo dopo lui se ne veniva fuori con
affermazioni come quella. Non che ci fosse niente di strano, era solo
un contrasto troppo accentuato, suonava quasi male.
«
A me l'alba non è mai piaciuta, invece.. » aveva
risposto Zacky meno convinto, cercando di dargli meno importanza di
quanta Jimmy fosse riuscito a fare.
«
Non so perché, c'è qualcosa in questa luce che mi
fa sentire a casa.. i primi raggi di sole. E' come quando sei in casa e
vieni abbagliato da un raggio trasverso, tanto che rimani cieco per
qualche secondo buono.. solo che l'alba è un fastidio tenue
e continuo, quasi straziante.. »
Zacky
sembrò pensarci su ancora un po' prima di rispondere.
«
Certo che tu sei strano. Eh, Jimmy? »
Jimmy lo
guardò torvo di rimando.
«
Però in un certo senso capisco cosa intendi dire..
» continuò Zacky, improvvisamente conscio delle
parole dell'amico.
Jimmy
spostò di nuovo lo sguardo verso l'orizzonte canticchiando
le prime parole di Nightmare e poi disse: « Questa roba
sconvolgerà il mondo »
«
Lo dici ogni giorno e spero davvero che sia così »
«
Io ne sono convinto » affermò fissandolo dritto
negli occhi.
Zacky
annuì cercando di convincersene anche lui.
«
Chelsea ha baciato Brian.. » iniziò a raccontare
Jimmy. Cambiò direzione quando si accorse dello sguardo di
scuse negli occhi dell'amico. « ..ma questo tu già
lo sapevi ».
«
Credimi, te lo avrei detto se non avesse deciso di farlo lei stessa..
»
«
Ti credo, dai. Mi chiedo solo cosa sia successo.. intendo dire, cosa mi
è sfuggito? Ho sbagliato qualcosa? »
«
A volte le persone hanno bisogno di rischiare di perdere ciò
che hanno per rendersi conto di quanto importanti queste cose siano..
il problema si pone quando ti spingi troppo oltre e certe cose le perdi
davvero.. »
«
Io non la lascerò mai, Zacky. Non so davvero cosa sarei
senza di lei. Già è tutto difficile, adesso, con
questa faccenda del cuore e il CD e tutto il resto.. Dovete ringraziare
lei se sto provando ad andare avanti nonostante tutto.. »
«
Provvederemo in separata sede.. » ridacchiò Zacky.
« Parlando di cose serie, non farti condizionare troppo dal
CD. La salute è più importante di tutto il resto
in certi casi.. Non fare cazzate.. »
«
Non farò cazzate, ma non potete negarmi la mia batteria.
Morirei senza poterla suonare.. »
«
Ti chiediamo solo di allentare il tiro.. »
«
“Allentare il tiro”. Quante volte l'ho sentita
questa frase in questi giorni.. »
«
Lo facciamo per te, Jimmy.. »
«
E io ti dico, come sempre, che non raggiungerò i trent'anni,
ma prima di raggiungere quella soglia voglio cambiare il mondo, Zacky,
con la mia batteria.. »
«
Fai come credi, ti staremo accanto in ogni caso, e questo lo sai
già »
Jimmy
gli rispose con due pacche sulla spalla, poi si voltò e
dietro di lui vide che gli altri cominciavano lentamente a svegliarsi.
Avevano passato la nottata lì senza neanche rendersene conto.
«
Ragazzi, bisogna fare un brindisi! » urlò Jimmy
alzandosi per aprire l'ennesimo cartone di birra. Così
facendo svegliò chi ancora dormiva. Diede una birra stappata
a testa e nel frattempo lo aveva raggiunto anche Zacky.
«
A Nightmare, che cambierà il mondo e anche la nostra vita!
» disse alzando la sua birra verso quelle degli altri.
Erano
ormai e sette di mattina quando decisero di tornare a casa. Avrebbero
passato la giornata ognuno chiuso in casa a dormire, probabilmente.
Erano tutti molto stanchi.
«
Ehi, hai bisogno di un passaggio? »
Silvie
sentì che Johnny le si era avvicinato solo perché
le aveva parlato; quasi le prese un colpo.
«
Ah, Johnny, sei tu. Sì, magari. », sorrise.
Nessuno
sembrava essersi accorto dell'intesa che era nata tra i due durante la
notte. La notizia della rottura del fidanzamento tra Johnny e Lacey era
arrivata alle orecchie di Silvie come una speranza molto viva. E solo
in quel momento aveva cominciato a vedere Johnny come qualcosa di
più che un semplice amico.
Dopo
aver salutato gli altri Johnny e Silvie si diressero in macchina. A
quanto pareva avrebbe passato la nottata da sola. Chelsea andava a
dormire da Michelle insieme a Val per cercare di tirarla su di morale
ed Eloyn se ne sarebbe andata a casa di Zacky.
Johnny
non poté non vedere in quella situazione l'occasione
perfetta per stare da solo con Silvie.
«
Sto morendo dal sonno.. » esclamò Johnny non
appena furono davanti alla porta di casa di Silvie.
«
Sono sola, le altre sono tutte sparse per la città, che ne
dici di farmi un po' compagnia? Così finiamo per discorso
sugli zombie di Call of Duty di cui parlavamo prima.. »
«
Con piacere.. »
Entrarono
in casa lasciandosi alle spalle una ancora dormiente Huntington Beach
immersa nei dolci colori dell'alba.
I never meant to leave this
world alone,
I never meant to hurt the ones
who care,
And all this time I thought we'd
just grow old,
You know, no one said it's fair..
***
Note: Be' Londra
era bellissima, lasciatevelo dire. A parte questo credo che questo
capitolo mi sia venuto bene - cosa strana dato che di solito mi fanno
tutti schifo -, ma sentitevi comunque in diritto di insultarmi se non
vi piace. Credo che ormai abbiate capito tutti a che punto della storia
siamo arrivati. Se non lo avete capito, avete qualche problema serio.
No, scherzo, semmai lo capirete nel prossimo capitolo. Alla prossima,
baci.
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Capitolo 16 *** 15 - He was a shooting star... ***
© Amor Vincit Omnia
Avvertimenti. Secondo
me, questo è il capitolo più importante di tutta
la storia. Buona lettura, ci vediamo a fondo pagina.
Il
telefono squillò fastidioso interrompendo il flusso di note
emanato dalla chitarra che aveva in mano e per una frazione di secondo
Zacky maledisse se stesso per non aver spento il cellulare.
In quei giorni ne erano successe davvero tutti i colori e si era fatto
trascinare forse un po' troppo dalle paure paranoiche di Eloyn, ma era
più forte di lui: quando lei chiamava, lui rispondeva, era
come un riflesso involontario, un organismo che va avanti da
sé senza bisogno di alcuno stimolo esterno; nonostante
questo, il loro rapporto non era mai stato uno di quegli stereotipi in
cui l'uomo assume una forma molto simile a quella di uno zerbino, era
qualcosa di più profondo e reciproco, come una simbiosi
particolare che però gli aveva procurato una buona dose di
stress sulle spalle. Suonare, in quei casi, era la parte
migliore. Perché per un musicista – Zacky ne era
sempre stato convinto – sopportare certe situazioni diventava
molto più facile. Non tutti avevano qualcosa di sicuro su
cui contare, non sicuro come un
rapporto umano, molto più fragile e complesso, ma sicuro come
una chitarra, un pezzo di legno e cinque corde tese su cui riversare
emozioni e paure, ansie e stress, un amico fedele su cui sai che portai
contare sempre, a prescindere da tutto.
Smise di suonare malgrado non avesse voglia di farlo e raccolse il
cellulare dal comodino. Rimase un po' stupito quando vide il nome di
Val sul display, non succedeva tutti i giorni che lei lo chiamasse, o
che chiamasse qualcuno della band in generale. Ormai faceva da tempo
parte di quella famiglia, ma per qualche motivo si era sempre tenuta
alla larga da qualsiasi tipo di rapporto interpersonale che non avesse
coinvolto anche Matt in prima persona, nei confronti di tutto i resto
del gruppo. Erano amici come non mai, lei li aveva sempre aiutati,
economicamente e non, era per tutti come una sorella, ma c'era sempre
quel qualcosa che non gli permetteva di andare oltre a ciò
che tutti potevano vedere. Quindi erano amici, ma era sempre stato un
volersi bene filtrato dai pensieri di Matt. Solo Jimmy era riuscito ad
abbattere quel muro e a stabilire un'amicizia vera con Val, forse per
il suo modo di fare schietto e sfacciato, o forse per la sua naturale
simpatia, fatto sta che i due avevano finito per diventare migliori
amici e lo erano ormai da qualche anno, mentre con gli altri la
situazione rimaneva immutata.
Quando premette il tasto verde e avvicinò svogliatamente il
cellulare all'orecchio gli ci volle qualche secondo per accorgersi che
la ragazza dall'altra parte della cornetta stava piangendo.
Sentirla piangere
è una cosa così strana. Aveva
pensato, invece di chiedersi quale fosse il motivo delle sue lacrime;
si sentì stupido prima di chiedere spiegazioni.
« Val? Che succede? »
Quel che sentì uscire in risposta da quella cornetta fu una
sola parola soffocata e sussurrata, un solo nome: « Jimmy..
»
« Jimmy cosa? Val, dimmi cosa è
successo. »
Zacky era confuso, aveva la stessa sensazione che provava quando nei
sogni urlava e urlava contro qualcuno ma questo qualcuno non riusciva a
sentirlo, come se lui stesso fosse in una campana di vetro. Non gli era
mai piaciuta quella sensazione, perché nella sua vita non
aveva mai sopportato sentirsi impotente nei confronti di qualcuno o di
qualcosa. Ora non riusciva a pensare a niente di razionale, niente che
potesse giustificare quel comportamento. In qualche modo, l'agitazione
che Val aveva nella voce aveva fatto angosciare anche Zacky che
sentì una fitta allo stomaco, molto simile a quella che si
prova quando baci qualcuno per la prima volta, ma molto più
forte e decisamente negativa.
Rimase con il telefono in mano per qualche secondo senza sapere cosa
fare, sapeva che se avesse insistito non avrebbe ottenuto nulla di
nuovo. Fece un respiro profondo e si disse che si stava preoccupando
per niente, o che perlomeno avrebbe dovuto aspettare di sapere cosa
fosse successo prima di farsi prendere dallo sconforto.
Poi ad un tratto Val sembrò aver smesso di piangere per una
frazione di secondo.
« Vieni qui, Zacky. Matt sta dando in escandescenze e.. io..
» disse, ma la frase venne troncata a metà e Val
ricominciò a piangere senza sosta.
« Arrivo », aveva risposto Zacky, decidendo di
mettere fine a quell'agonia. Avrebbe preso le chiavi dell'auto e
sarebbe rimasto calmo, e così fece: riagganciò il
telefono e si avviò verso le scale recuperando all'ultimo le
chiavi dell'auto sul tavolo accanto alla porta d'ingresso. Sulle scale
del vialetto incontrò Eloyn e si ricordò che
dovevano vedersi proprio a quell'ora, si sentì un po' meglio
ora che c'era qualcuno con lui, sentiva che da solo sarebbe impazzito.
« Dove stai andando? »
« Da Matt. »
Zacky aveva il viso corrucciato in un'espressione preoccupata, guardava
dritto e apparentemente aveva la testa vuota di troppi pensieri.
« A fare cosa? »
« Non lo so, mi ha chiamato Vale stava piangendo... vado a
vedere cosa è successo. »
« Vengo con te » disse istintivamente. Si era
convinta a seguirlo quando aveva visto le sue mani torturare con
agitazione le chiavi che aveva in mano, Eloyn lo conosceva abbastanza
da sapere che Zacky in quello stato da solo non sarebbe
andato lontano. Ma forse andò con lui più
semplicemente perché quando lo aveva visto così
serio e preoccupato si era preoccupata davvero.
Zacky salì in macchina e accese il motore cercando di non
dare peso ai suoi pensieri, alle sue viscere che cercavano di dare
un senso a quella telefonata.
Prese istintivamente il telefono e digitò il numero di
Johnny. Pochi squilli e rispose.
« Ciao Johnny. Sai qualcosa di quel-.. »
Si interruppe quando senti che anche lui stava piangendo, e ora le sue
viscere avevano fatto una capriola e si erano messe al contrario.
« Zacky.. è successo un gran casino. »
gli rispose l'altro, rassegnato.
« Ma mi volete dire che cazzo sta succedendo? »
urlò lui nella cornetta.
Il pianto si fece più forte, straziante.
« Zacky! Cazzo! Jimmy è morto! »
Una doccia fredda, quelle parole erano state una doccia fredda, solo
che faceva molto più male. Zacky sentì un brivido
forte corrergli in faccia, e se non fosse rimasto pietrificato da
quella telefonata, sicuramente avrebbe scommesso di essere sbiancato in
volto, perché tutto intorno a lui era diventato come
nebbioso, anche i suoi pensieri.
« Zack, che è successo? ». Eppure lei
non lo chiamava mai Zack, solo quando si trattava di qualcosa di serio,
e di qualcosa di serio doveva trattarsi se Zacky era rimasto di sasso
tutto d'un tratto.
« Jimmy è morto. », sussurrò
Zacky, non credendo davvero alle sue stesse parole.
Giusto il tempo di riprendere fiato e vide un'auto andargli addosso,
poi si accorse di essere nella corsia sbagliata. Sterzò
bruscamente all'ultimo minuto portandosi dietro la scia del clacson
dell'altra auto. Schiacciò il piede sull'acceleratore.
Eloyn non sapeva cosa voleva dire sentirsi abbandonati da qualcuno a
cui vuoi bene, non aveva mai sperimentato la tristezza e l'agonia della
perdita di qualcuno di importante. Ora aveva le braccia paralizzate e
come un pugno al centro dello stomaco, le veniva da vomitare ma non
sapeva perché, non sapeva dargli un senso.
« Che cazzo vuol dire? »
« Non lo so nemmeno io! »
In meno di due minuti erano arrivati a casa di Matt e gli
aprì la porta una Val sformata dal dolore. E mentre Zacky
osservava quella scena straziante, Eloyn era concentrata su
ciò che stava succedendo alle spalle di Val. C'era Matt
seduto sul divano con la testa tra le mani. Eloyn entrò a
piccoli e lenti passi scrutando l'aria attorno a sé, c'era
uno spesso strato di tensione che aleggiava a mezz'aria, un silenzio
insolito e turbante. Ansia e sfinimento.
« M-Matt.. » le tremava il labbro inferiore.
Lui alzò la testa, aveva gli occhi iniettati di sangue e le
sopracciglia contratte, il viso rosso di chi ha appena litigato con se
stesso. Le venne da piangere quando capì che non era uno
scherzo, ma cercò di trattenersi, perché cedere
adesso avrebbe significato ammettere che era vero, che quel coglione li
aveva piantati in asso con le loro merde di vite. E lei da sola non
avrebbe mai ammesso che quello schifo non era un incubo ma la
realtà. Anzi, un incubo in terra.
« Jimmy.. » sussurrava tra sé, Matt, con
la testa ancora tra le mani.
Eloyn si voltò e vide Zacky avanzare verso di lei, e non
fece molto caso a Val che le sfiorava una spalla con la sua, a testa
bassa mentre andava da Matt. Lo fissò negli occhi e vide che
cominciava a scuotere la testa a destra e a sinistra.
« No.. non può essere vero »
« Zacky, che sta succedendo? » chiese Eloyn con un
filo di voce e le lacrime agli occhi. Le sembrava che ogni ogni parola
che voleva pronunciare esitasse ad uscire, come se le rimanesse
impigliata alle corde vocali, e le faceva quasi male la gola per questo.
« Jimmy è morto.. »
« Val! » la chiamò, Eloyn, con voce un
po' più alta.
Val spostò lo sguardo da suo marito ad Eloyn, senza le forze
di proferire parola.
« Fammici capire qualcosa... ti prego.. »
sussurrò con tono supplichevole mentre la bionda si
avvicinava.
« Non lo so.. ci hanno chiamato.. sta mattina »
cominciò tra un singhiozzo e l'altro. « ci hanno
detto che hanno.. trovato il suo cadavere in casa sua. Non si sa ancora
quale sia stata la causa. ». Si asciugò le lacrime
e per un istante sembrò che avesse smesso di piangere.
Invece le bastò tornare ad avere la mente libera per un
attimo per ricominciare tutto da capo.
Poteva essere vero? No, non poteva.
Eloyn prese una sedia e si mise seduta con i gomiti sul
tavolo. Senza neanche accorgersene era già in lacrime.
E così aveva ceduto, e in quel momento Jimmy era morto
davvero in qualche angolo nel suo cuore.
Tiro fuori un pacchetto di sigarette dalla borsa e se ne accese una,
continuo così, a tiri infiniti e dolore al petto. Come a
voler soffocare un altro dolore, quello del cuore, quello che in
qualche modo c'era anche se non credeva ad una singola parola di quello
che gli altri le stavano dicendo.
Che senso avrebbe avuto la loro vita senza quella colla che li teneva
uniti? Non riusciva ad immaginare una vita senza Jimmy. Era come suo
fratello. Amico. Padre. Tutt'insieme.
« Credo che.. dovremmo avvertire gli altri » Val si
era avvicinata ad Eloyn e si stava mettendo seduta accanto a lei.
« Dov'è lui? »
« Ci stanno pensando i suoi genitori per adesso.. lo portano
a casa loro per fare i controlli e capire cosa sia stato... a farlo
morire così.. » appoggiò le braccia al
tavolo e cominciò a singhiozzare come una bambina, il pianto
soffocato sotto le maniche della maglia.
« Io.. devo vederlo » disse ad un tratto Zacky da
un angolo della stanza.
Eloyn si alzo e andò da lui. Stava rannicchiato con le gambe
al petto e il viso rosso e contratto, gli occhi color sangue. Non aveva
mai visto Zacky in quelle condizioni.
Si chinò e gli prese un braccio per alzarlo da
lì, per cercare di farlo reagire, dato che con se stessa
aveva perso le speranze, o forse sperava che fosse Zacky a farla
reagire in qualche, qualsiasi, modo. Era una scena anche un po'
patetica: due persone schiacciate dal dolore, compresse nei loro stessi
pensieri, l'uno che cerca di smuovere qualcosa nell'altro, che a
vederli da fuori lo capivi subito che era una guerra persa in partenza.
« Vengo con te.. » gli sussurrò una
volta che lui fu in piedi.
Lui annuì e raccolse le chiavi della macchina da terra.
« Noi rimaniamo qui, sta arrivando Johnny.. » disse
Matt asciugandosi le lacrime con il palmo delle mani.
Zacky e Eloyn uscirono da quella casa in completo silenzio. Entrarono
in macchina e ancora nessuno aveva il coraggio di dire niente, forse
perché non c'era davvero più niente da dire, come
se quella mattina, in quella casa, il mondo intero avesse cessato di
esistere.
Eloyn prese il suo cellulare dalla borsa e compose il numero di
Chelsea. Mentre teneva il cellulare in una mano, con l'altra prese un
altra sigaretta e l'accese.
Pochi squilli e Chelsea rispose.
« Ehi ciao, Eloyn! »
Quella felicità nella sua voce, era così..
ingiusta. Era ingiusto più che altro doverla avvertire che
non sarebbe mai più stato così, ma sentiva di
dover essere lei a dirglielo.
« Chelsea.. è successa una cosa.. »
Evidentemente dall'altro capo del telefono Chelsea aveva sentito il suo
tono di voce e i singhiozzi che ogni tanto interrompevano le sue parole.
« C-cosa? »
« Jimmy.. lo hanno trovato morto in casa sua, stamattina..
», sentì che le veniva da piangere di nuovo. ma
cercò di trattenere le lacrime, stringendo i denti.
« Come? » era sconcertata.
« Vai da Val e Matt, io sono con Zacky e stiamo andando a
casa sua.. »
« No.. non può essere vero.. l'ho chiamato ieri,
stava bene.. »
« ..mi dispiace » il suo tono di voce si fece acuto
sull'ultima sillaba per le lacrime che stavano per scoppiarle in
faccia, e in quel momento si sentì come uno di quei
poliziotti che annunciano la morte del figlio ai genitori. Bussano alla
pota di casa in un giorno qualsiasi, magari anche una bella giornata, e
vedono i volti dei genitori cambiare espressione in una frazione di
secondo. Un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo.
« Vengo là da Jimmy »
« Ok »
Chiuse la chiamata senza sentire cosa avrebbe risposto Chelsea
dall'altra parte. Raccolse le gambe al petto per nascondere il viso tra
di esse e si lasciò andare in silenzio. Ma mentre di solito
ad ogni singhiozzo si sentiva meglio, questa volta non era
così. Piangeva e si scaricava di tutte le sue forze, ma
niente migliorava, niente accennava a tornare come prima.
« E quindi tu avresti passato la giornata con il nostro caro
Seward, eh? » le domandò Brian, malizioso, mentre
prendeva delle schifezze dallo scaffale e le buttava malamente nel
carrello.
« Eh già.. sinceramente non me lo sarei mai
aspettato.. »
« Cosa? »
« Johnny, di vederlo come qualcosa di più..
»
« Nessuno se lo aspetta da lui.. » rispose in tono
ironico.
« Cosa intendi dire? » chiese chiarimenti, Silvie,
che non aveva ben colto il sottile sarcasmo.
«Vuol dire che lui è un nano e che nessuna se lo
fila, ma quando poi qualcuna gli si avvicina scopre quello che
c'è sotto.. non so se mi spiego.. »
cercò di chiarire dandole una lieve gomitata maliziosa.
Improvvisamente Silvie capì a cosa Brian si riferisse e
rimase sconcertata.
Intanto Brian continuò: « A proposito,
com'è a letto? », ridendo sotto i baffi.
Silvie non credeva alle sue orecchie, quell'uomo era l'emblema dei
doppi sensi e delle porcherie.
Prese un pacco di carta igienica da uno scaffale e glie lo
tirò dicendo: « Non verrò mai
più ad aiutarti a fare spesa, Haner! »
Brian rise insieme a lei, si accovacciò per raccogliere il
pacco di carta e lo mise nel carrello. Intanto il cellulare di Silvie
stava squillando e la vide rispondere con il sorriso in bocca.
Ma il suo volto, da gioioso che era, prese d'improvviso una piega cupa
e triste. Brian non capiva cosa fosse successo.
« Stai scherzando.. » la sentì dire al
telefono. « No.. non può essere.. o-ok..
», e rimise il telefono in borsa. Era sbiancata.
« Silvie, stai bene? Chi era al telefono? »
« M-Michelle.. »
Ad una risposta come quella Brian si sarebbe potuto aspettare davvero
di tutto, qualsiasi cosa ma non quella. « Jimmy è
morto.. »
« Dai, Silvie ma che dici! » le rispose lui facendo
finta di ironizzare, anche se in realtà faceva fatica a
ridere. Le mise le mani sulle spalle e la costrinse a guardarlo negli
occhi.
« Silvie, non scherzare.. »
« ...mi dispiace.. » sussurrò lei con le
lacrime già agli occhi. « ..ha detto che dobbiamo
andare da Matt e Val, che sono tutti lì. »
« Lui dov'è? »
« A casa sua.. » rispose ormai in un sussurro quasi
impercettibile. Poi più niente, rumori in sottofondo e una
mano che la trascinava fuori dal negozio. Forme indistinte e rumori
soffocati. Una corsa contro il tempo, come se ci fosse ancora qualcuno
da salvare.
Zacky ed Eloyn erano già arrivati a casa di Jimmy quando
Chelsea avvertì Eloyn che li stava raggiungendo. Zacky scese
dall'auto sbattendo violentemente la portiera, deciso con tutto se
stesso a voler entrare in quella casa che ora sembrava troppo triste.
Arrivò all'imbocco del cortile e si fermò di
colpo, Eloyn dietro di lui non capiva.
« Io non ce la faccio. » disse con lo sguardo
puntato a terra.
Eloyn gli si parò davanti e gli disse: « Devi..
»
Zacky aveva lo sguardo completamente vuoto, privo di emozioni o di
sentimenti. Eloyn gli si avvicinò, gli prese il viso tra le
mani e gli alzò il mento per invitarlo a guardarla.
« Zacky, ti prego.. ho bisogno di te, non fare
così.. » gli sussurrò con fare nervoso.
A vederlo in quelle condizioni era andata in panico. Come avrebbe fatto
se nemmeno l'unica persona di cui si fidava davvero era più
cosciente delle sue azioni? Lo abbracciò incrociando le
braccia dietro al suo busto e affondò il viso sul suo collo,
sentì che le sue braccia si mossero di un millimetro sopra
la sua schiena e accennarono ad un abbraccio debole e che
durò poco. Poi sentirono dei rumori provenire della porta di
entrata e si voltarono: una squadra medica trasportava una barella
fuori dall'edificio e dietro di essa i genitori di Jimmy stavano
abbracciati l'un l'altro, il viso della madre fuori di sé,
quello del padre impassibile mentre guardavano il proprio figlio
abbandonare quella che era stata casa sua per così poco
tempo, per l'ultima volta.
Zacky ed Eloyn si avvicinarono alla barella e videro il volto di Jimmy
bianco e freddo. Eloyn chiuse gli occhi mentre Zacky non fece un gesto,
ma sotto l'apparenza, una morsa gli si strinse attorno al cuore con una
violenza inaudita. Proseguirono verso le scale e si fermarono davanti
ai genitori di Jimmy.
« Come.. come è successo? » chiese
Zacky, come se prima di disperarsi fosse necessario chiarire i fatti ed
essere sicuri di non poter più tornare indietro.
Eloyn si era accasciata sulle scale e aveva appoggiato la testa al muro
mentre piangere le toglieva il respiro.
« Non si sa, si pensa ad un infarto ma bisognerà
aspettare i referti medici.. », aveva risposto il padre con
foce secca e ferma, il volto inespressivo che cambiava solo quando
posava gli occhi su sua moglie, accasciata su di lui.
Zacky annuì e fece per salire le scale, lanciando uno
sguardo di richiesta al padre di Jimmy che rispose con un assenzio.
Zacky salì i gradini a due a due noncurante di Eloyn infondo
ad essi, entrò in quella casa consapevole del fatto che
sarebbe stata l'ultima volta. Entrò e sembrava quasi che
Jimmy fosse ancora lì, tra quegli oggetti, e in un certo
senso era vero.
Andò diretto in camera sua e quando entrò
cominciò a girargli la testa. Cercò di ignorare
il macello e le bottiglie di alcol lasciate ovunque e il suo sguardo
venne catturato da un foglio di carta sulla scrivania. Riconobbe subito
la sua calligrafia sconnessa e iniziò a leggere.
Come sempre erano parole di una canzone e accanto ad esse un
pentagramma con una serie di note scritte sopra. Come avrebbe potuto
lasciarli se non con l'ennesima canzone?
Improvvisamente tutto si fece un po' più inutile.
Né Eloyn né nessun altro sarebbe riuscito a
contare qualcosa in quel momento.
Molte idee gli frullavano in testa, mnemmeno per un solo secondo gli
venne in mente che si fosse trattato di suicidio, perché se
c'era qualcosa che Jimmy condannava con tutto se stesso era proprio il
suicidio, e non lo avrebbe mai fatto.
Prese il foglio, lo ripiegò e se lo mise in tasca. Poi scese
le scale e vide Eloyn ancora lì, ma accanto a lei c'era
Chelsea.
« Hanno detto che lo portano a casa dei suoi, io vado
là. » gli disse Chelsea quando lo vide scendere le
scale. Anche lei aveva gli occhi rossi.
« Anche io.. »
« Vengo con te.. » gli rispose Eloyn, sorpresa del
fatto che non avesse parlato al plurale come faceva sempre quando erano
insieme. Stava cambiando qualcosa, ma lei non era assolutamente
preparata.
Durante il tragitto verso casa dei genitori di Jimmy regnò
il silenzio più totale anche se nessuno dei due ci fece
troppo caso. Solo quando furono fermi sul vialetto di casa Zacky si
decise a sputare il rospo, ma lo fece solo perché non sapeva
a chi dirlo. Se ci fosse stato qualcuno del gruppo accanto a lui
sarebbe stato sicuramente meglio. Non che Eloyn non fosse importante,
solo che in un caso come quello, lei era l'ultima persona che
desiderava vedere. Infondo, non era con lei che Zacky sentiva di voler
condividere il suo dolore; non solo, perlomeno.
« Ho trovato questo. » le disse ad un tratto
porgendole il foglio di carta ripiegato. Vide Eloyn prenderlo dalle sue
mani con aria incerta e rigirarselo tra le dita per qualche secondo.
« Dove lo hai trovato? » gli chiese Eloyn mentre lo
apriva.
« Sopra alla sua scrivania. »
Vide Eloyn scorrere velocemente gli occhi sul foglio e ne
approfittò per leggere di nuovo ciò che c'era
scritto.
« “These dreams will never leave you asking
why..” » ripeté Eloyn tra sé.
Era l'ultima riga di quel testo, ed era anche quella che l'aveva
colpita maggiormente, forse perché in realtà
rappresentava l'esatto opposto di quello che pensava della sua vita.
Anche in quel momento se lo stava chiedendo, il perché. Il
perché di quella morte ingiusta, il perché era
venuta a vivere in California, il perché avesse incontrato
Zacky, il perché stesse andando tutto a rotoli. La sua vita
si era improvvisamente riempita di perché e in quel momento,
quelle parole le sembrarono come di conforto. Poteva sentirlo, Jimmy,
proprio accanto a lei. Poteva vederlo dirle quelle stesse parole,
sentirlo mentre la rassicurava su tutto, come era sempre stato da
quando lo conosceva. Non c'era mai stata mossa che avesse fatto senza
il consulto di Jimmy, mai nessun pianto di cui lui non fosse stato a
conoscenza, e in quel momento le sembrava tutto davvero così
assurdo che anche piangere le veniva male. Alzò lo sguardo
negli occhi di Zacky, che la guardava sofferente. Non c'era bisogno di
aggiungere altro.
Zacky guardò Eloyn volgere lo sguardo in avanti e arricciare
gli occhi e la bocca in una strana espressione, e quando la vide
piangere per l'ennesima volta, capì che senza Jimmy il mondo
non avrebbe avuto davvero senso. Non riusciva più a guardare
le cose con quel velo di positività che lo
contraddistingueva, non riusciva più ad essere felice per
qualcosa, e anche se era presto per dirlo, era convinto che le cose non
sarebbero mai più cambiate.
Scesero dalla macchina con passo spedito e si avvicinarono al portone
aperto della casa. Mossero i primi passi in quell'antro infestato di
preoccupazione e videro che gli altri erano già tutti
lì, tutti sul divano. E più che una casa gli
sembrò un centro igiene mentale.
Zacky si avvicinò a Matt, che stava seduto sul divano
esattamente come stava quando era a casa sua, sembrava quasi che
l'avessero trasportato là di peso, e forse era stato
così. Gli si avvicinò e gli porse il solito
foglietto ripiegato, senza dire nulla.
Matt lesse ciò che c'era scritto e fece cadere il braccio di
lato mentre il suo volto si piegava rozzamente in un espressione di
dolore mista al pianto più terribile che Zacky avesse mai
visto.
« E adesso che facciamo, Zacky? Come si fa senza di lui ad
andare avanti? » gli aveva chiesto Matt, in lacrime.
« Non lo so, Matt.. »
Non lo sapeva davvero. Non sapeva niente. Sentiva come se l'indomani il
mondo avrebbe cessato di esistere, sparito in una nuvola di fumo. Non
c'era vita senza di lui, non c'era neanche morte senza di lui;
né gioia, né tristezza, non c'era proprio niente.
Val gli sfilo lentamente il foglietto tra le mani e lesse anche lei. La
reazione le venne quasi in automatico, perché conosceva
quelle parole, perché non c'era canzone che Jimmy scrivesse
della quale Val non fosse a conoscenza, e d'improvviso le venne in
mente quel pomeriggio in cui Jimmy le aveva fatto sentire quel brano
che anche gli altri conoscevano ma di cui solo lei sapeva le parole.
Jimmy era il suo migliore amico, e non avrebbe mai smesso di dirselo.
Era il suo migliore amico e forse era l'unica persona che la conosceva
per quello che era veramente.
« Zacky.. » lo chiamò con voce debole e
rotta dal pianto. « .. io conosco queste parole.. »
« Credo sia un testo, no? »
« E' una canzone che mi aveva fatto sentire un giorno in
sala, con il pianoforte... era bellissima.. »
Val tremò al sentire le sue stesse parole, una scossa di
brividi le inondò la schiena e si mise una mano a sorreggere
la fronte, con il gomito appoggiato alle gambe. Matt la guardava senza
dire niente, perché sapeva anche lui che in quella
situazione, la parte delle mamma protettiva spettava a lei. Spettava a
lei badare a Matt, come era sempre stato sotto a quella corazza che
ostentavano al mondo. Perché Val era sempre stata
più forte di Matt, emotivamente, e anche in quel momento,
soprattutto in quel momento, Val era più forte nonostante
tutto. Nonostante ci fosse quella melodia ad inondarle la testa in
maniera così ingiusta.
“I know why
you're running away..”
La voce di Jimmy le assordava le orecchie ancora una volta, e
chissà che non fosse stata l'ultima volta che sarebbe
riuscita a ricordarsi la sua voce, chissà che non fosse
arrivato un giorno in cui se la sarebbe dimenticata. E a quel punto
cosa avrebbe fatto? Avrebbe smesso di lottare? Sicuramente non ci
sarebbe stato più niente per cui lottare.
Zacky sfilò il foglietto dalle mani di Val e lo
appoggiò delicatamente sul tavolo, cercando di non fare
rumore, perché in quel frangente c'era spazio solo per pochi
e distinti suoni. Lo appoggiò lì, così
che chiunque potesse leggerlo, come a dire: queste sono le sue ultime
parole, la sua eredità per noi. Poi vide gli sguardi di
Johnny, Brian, Chelsea, Silvie e Michelle tutti sul foglietto, ma
nessuno che avesse il coraggio di prenderlo e leggere ciò
che c'era scritto. Poi, nello stesso istante due mani si avvicinarono
per prenderlo e così facendo si sfiorarono, Zacky
alzò lo sguardo e vide Michelle e Brian scambiarsi
un'occhiata tra il complice e il risentito, poco più in
là, Chelsea distoglieva lo sguardo altrove.
Davanti a certe cose, tutti i problemi del mondo diventano piccoli, e
mentre in una qualsiasi altra situazione Brian e Michelle si sarebbero
uccisi a suon di sguardi, in quel momento Brian ritirò la
mano e Michelle lo ringraziò con gli occhi. Era come la fine
di una battaglia ma non della guerra. Un tregua meritata e necessaria.
Gli occhi di Michelle scorsero il foglietto che passò poi
nelle mani di tutti. E per quanto dolore ci fosse nell'aria, la
giornata passo più veloce di quel che tutti immaginavano,
forse troppo veloce contro il volere di tutti. Perché oggi,
Jimmy era ancora tra loro, lo sentivano, ma con il passare della notte
il domani diventava un po' più buio e un po' più
scuro, e nessuno sapeva se Jimmy sarebbe stato ancora con loro o se i
loro cervelli si sarebbero abituati alla sua assenza, tanto da
rassegnarsi all'evidenza della sua pelle fredda come il marmo.
Rimasero tutti lì, chi andava e chi veniva dalla sua camera.
Chi aveva ancora lo sguardo incantato nel nulla e lo shock nel sangue.
Brian sentì il suo stomaco contorcersi quando il medico
entrò in casa, quella era la prova tangibile di cui aveva
bisogno per rendersi conto davvero di cose fosse successo. Lo
seguì in camera dell'amico seguito da Zacky, Matt e Johnny.
Lo vide fare i dovuti controlli e le dovute analisi per l'autopsia.
Stette lì, seduto su una sedia a guardare il mondo passargli
davanti, lo sguardo fisso sul volto di Jimmy. Vide Matt andarsene in
lacrime dopo poco e pensò che già lo sapeva che
avrebbe reagito così, perché non sarebbe stato da
Matt rimanere lì con loro. Johnny se ne andò
verso sera, quando ormai tutti stavano dormendo tranne Brian e Zacky,
decise di andarsene per non sentirsi inutile, sarebbe andato in qualche
bar ad ammazzarsi di alcol, probabilmente, non lo sapeva nemmeno lui. E
la notte passo quasi lenta e a tratti veloce, ma nessuno dei due
riuscì a chiudere occhio. Ogni tanto Zacky lanciava degli
sguardi e Brian, che puntualmente non lo guardava, e gli faceva domande
a cui lui non rispondeva, si limitava a guardare il vuoto e a farsi da
solo le stesse domande che neanche lui cominciava più a
capire.
Zacky aveva ancora quel foglietto in mano e lo rilesse un'ultima volta:
“There comes a day when we all find out for ourselves
That once we have the words to say there's no one left to tell
I know why you're running away.
There's a place where nothing seems to be as simple quite cohesively,
Something little shouldn't feel this way, we got a million thoughts we
can't convey
I'm gonna teach you about mortality
Let's find out who we are.
There dreams will never leave you anking why.” 1
Decise che lo avrebbe messo insieme a Jimmy l'indomani, al funerale.
Avrebbe messo le sue parole con lui per sempre, la sua arte custodita
con lui, così che non sarebbe mai andata persa. E poi gli
vennero in mente tutti quei fan che non sapevano ancora niente, o forse
i genitori di Jimmy avevano già avvertito Larry, che aveva
già avvertito i fan. Non lo sapeva e non gli importava
saperlo. Pensava solo a tutte le vite che quella morte avrebbe
sconvolto, a quella famiglia allargata a cui Jimmy avrebbe di nuovo
cambiato la vita, per l'ultima volta. Pensava a quante lacrime
sarebbero andate versate e agli Avenged Sevenfold,
ma capiva che non sarebbero mai più esistiti.
E' stato un piacere
suonare con te, lavorare con te e vivere con te, Jimmy.
Quella notte sarebbe stata inesorabilmente lunga, Matt lo aveva capito
quando era tornato a casa con Val che dormiva sui sedili posteriori
della sua auto. Se l'era caricata addosso e l'aveva posata sul suo
letto, contento che almeno lei avesse ceduto, alla fine. Poi le aveva
tolto le scarpe e l'aveva coperta, e si era chiuso la porta alle
spalle. La casa era terribilmente fredda e buia e allora aveva visto il
pianoforte e non aveva potuto fare a meno di mettersi a suonare.
Se c'era qualcosa di bello, o di meno triste, in un momento come quello
per un musicista, era avere la certezza di una valvola di sfogo dove
incanalare tutta la tua rabbia, Zacky glie lo aveva detto spesso, ma
solo in quel momento capiva davvero cosa intendesse dire. E allora si
era messo a comporre qualcosa, qualcosa a caso, senza pensare a nessun
CD, a nessuna pubblicazione. Aveva solo scritto un testo e arrangiato
qualche nota, e aveva quasi finito quando sentì Val urlare
dalla stanza accanto. Poso tutto sul ripiano e si precipitò
nella stanza accanto dove Val era ancora sdraiata sul letto, al buio,
con il volto affondato sul cuscino che urlava di dolore, come se
qualcuno le avesse squarciato la pelle o le avesse sparato.
Matt le si avvicinò preso dal panico e maledisse il mondo
per l'ennesima volta.
La prima cosa che pensò fu che se Val avrebbe ceduto non ci
sarebbe stata nessuna speranza per nessuno di loro. Val e Jimmy erano
sempre stati la loro colla, quel qualcosa che li teneva tutti insieme,
e senza almeno uno di loro non sarebbero andati avanti, Matt ne era
certo.
« Val, calmati.. »
Lei si era alzata continuando a piangere come una bambina di cinque
anni e gli si era aggrappata alla maglia.
« Matt, dimmi che mi sono sognata tutto.. », gli
disse lei. Ma non credeva davvero a quello che diceva, sapeva bene che
non se lo era immaginata, sapeva bene che quella musica che continuava
a girarle in testa aveva un suo perché.
« Vorrei poterlo fare.. non sai quanto », le disse
mentre l'abbracciava accarezzandole i capelli.
« Io non ce la faccio, non posso vivere senza di lui.
»
« Sì che puoi. Devi farlo per me,
perché sai che senza te io non sto in piedi. »
« Non ce la faccio.. » continuava a ripetere.
« C'è quella maledetta canone che continua a
girarmi in testa! »
« Quale canzone? »
« Quella che Zacky a trovato a casa di Jimmy.. »
« Ti va di farmela sentire? »
« Non so se ce la faccio... »
« Val, devi farcela. Per me, ma prima di tutto per lui.
»
Allora Val decise di prendere il toro per le corna, e se doveva far
male, allora avrebbe fatto male sul serio, ma non le importava.
Si alzò in piedi e prese Matt per mano. Insieme
attraversarono il lungo corridoio e arrivarono al pianoforte, si misero
seduti uno accanto all'altro e Val iniziò a suonare quella
melodia straziante, e a Matt venne da piangere ancora una volta, tanto
che sentiva di non avere più lacrime in corpo, gli facevano
male gli occhi. La voce di Val gli entrò nelle orecchie con
una facilità dolorosa, e quelle parole segnarono il netto
confine di un periodo che adesso sembrava concluso.
« I know why
you're running away.. », aveva cantato Val prima
di rimettersi a piangere. E aveva continuato con le lacrime che le
scivolavano tra le dita e bagnavano i tasti del pianoforte, poi si era
interrotta di colpo, portandosi le mani a coprire il viso, e Matt
l'abbracciò.
« Però lui ha detto che la voleva fare
più cattiva, senza pianoforte e che la batteria doveva
essere pesante.. e poi non è finita, c'è un altro
pezzo ma.. »
« Basta così, Val.. è abbastanza..
»
« C'è una frase che dice: “these dreams
will never leave you asking why”, e io ci credo Matt, io ci
credo che alla fine di tutto capiremo il perché di tutto
questo, ci credo perché me l'ha detto Jimmy.. »
« Ci credo anche io, amore mio.. »
Matt la guardò sfogarsi sul suo petto e si accorse di non
averla mai vista così distrutta. Si avvicinò a
lei e le diede un bacio tra i capelli.
Infondo era sempre stato il suo passatempo preferito, l'unico modo che
riusciva a consolarlo dai problemi che gli si ponevano davanti. Stare
al bancone del bar ad ubriacarsi fino allo svenimento erano una di
quelle cose che alla fine lo avevano sempre rigenerato. Solo che di
solito questo succedeva quando accanto a lui c'era ancora Jimmy.
Stavolta, al posto di Jimmy c'era Silvie, seduta su uno sgabello poco
più in là. Avevano già perso il conto
di quanto avevano bevuto da quando erano usciti da casa dei genitori di
Jimmy.
« Jimmy diceva sempre che la cosa migliore che puoi fare
è inseguire i tuoi sogni, e forse aveva ragione. »
blaterava Johnny con in mano l'ennesimo bicchiere di Jack Daniel's
della nottata.
« Forse il problema è che non gli ho mai dato
retta a quello stronzo. »
« A me invece ha dato lezioni di batteria, ma non
c'è riuscito. » aveva detto Silvie, ormai
più che ubriaca, ridendo.
« Lui non era un batterista, era un inseguitore di papere..
». E dopo due secondo erano entrambi piegati in due dalle
risate, che però non erano vere risate, era più
un pianto misto alla risata. C'era qualcosa di più
malinconico di quello? Confondere il bene con il male, il triste dal
felice.
Quando si furono ripresi, Johnny la guardò negli occhi e
disse: « Ho passato gli anni più belli della mia
vita insieme a lui... gli voglio bene, era il mio migliore amico..
»
Silvie aveva ricambiato lo sguardo e aveva alzato il bicchiere in alto:
« A Jimmy! », aveva esclamato.
« A Jimmy! », aveva risposto l'altro. E insieme si
scolarono tutto i bicchiere di Jack in un solo sorso. Stavano
risolvendo il problema alla maniera Seward, anche se lui stesso non era
convinto che quella volta avrebbe funzionato.
Zacky uscì dalla stanza in silenzio per paura di svegliare
qualcuno, rimase sorpreso quando si accorse che fuori dalla stanza
erano rimaste solo Chelsea ed Eloyn, la prima sveglia a differenza
dell'altra.
« Chelsea.. » le sussurrò.
« C'è Brian dentro? »
« Sì, ma non sembra esserci sul serio.. insomma,
non so, vai a vedere.. »
Posò lo sguardo su Eloyn addormentata mentre Chelsea se ne
andava dalla stanza. Le si avvicinò e si mise seduto accanto
a lei. Aveva lo sguardo stanco anche mentre dormiva, gli occhi
cerchiati da delle occhiaie scure e da piccoli puntini rossi per via
del pianto. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e
pensò che sarebbe stato tutto così ingiusto. Si
sentiva scombussolato, triste, accecato dal dolore, tanto che quasi non
riusciva a provare niente nei confronti di nessuno se non di quella
piccola cerchia di persone che erano state con Jimmy come lui. Anche
Johnny gli sembrava quasi indifferente, ma mai quanto Eloyn e Chelsea.
Non perché da un giorno all'altro non le volesse
più bene, era che non aveva più tempo per
pensarci, non aveva più spazio nel cervello per continuare
relazioni impegnative come quella. Si sentiva come un'adolescente che
non aveva il coraggio di dire alla sua fidanzata che non voleva
continuare a stare con lei per paura di pentirsi. Ed era
così, in un certo senso, solo che lui non aveva gli
argomenti adatti per giustificare il suo comportamento. Cosa le avrebbe
detto? Come si sarebbe comportato? Proprio nel momento in cui lei
avrebbe più avuto bisogno di una spalla su cui piangere,
Zacky decideva di andarsene, in senso figurato, dalla sua vita.
Non sapeva neanche lui cosa pensare o cosa no, ma il suo pensiero fisso
ora era un altro. Tornò in camera insieme a Brian e Chelsea
e si fece cullare da quel senso di terribile frustrazione che era
sicuro lo avrebbe accompagnato ancora per molto tempo.
“Jimmy
wasn't addicted to anything, he was addicted to life.
He
was a shooting star, and all those things fuckin' burn out
quickly...” - Brian Haner Jr.
Note. Ecco la
fine di un altro, intenso capitolo. Che dire, ormai parlare di Jimmy
è diventato quasi scontato, però mi ero
ripromessa che sarei stata fedele alla realtà, e quindi l'ho
fatto.
Che dire? Sono stata male mentre scrivevo questo capitolo, ma per
fortuna la maggior parte delle cose me le ero già appuntate
altrove, quindi è stato anche abbastanza facile, diciamo.
Come sempre, recensite anche solo se volete insultarmi
perché il capitolo vi ha fatto schifo. Mi servono pareri
sinceri per poter migliorare, quindi fatevi sotto.
Grazie mille a chi è arrivato fin qui, significa molto per
me. E un grazie ancora più grande va a chi ha recensito,
siete magnifici.
Per chi non lo sapesse, la frase finale è una frase che
Brian ha realmente detto in riferimento a Jimmy credo durante un
intervista ma non ne sono sicura, da cui ho poi preso qualche parola
per il titolo del capitolo. Fatto sta che mi sembrava un bel modo per
concludere questo capitolo infernale, che ne dite?
Ovviamente, per chi non l'avesse capito, la canzone sul foglietto
è 4:00 am, canzone che inevitabilmente mi ricorda Jimmy, e
credo anche che l'abbia scritta lui se non sbaglio, ma non ne sono
sicura. Comunque non è scritta come la troviamo scritta noi
adesso, quello che lui aveva scritto sul foglietto era solo un'abbozzo
di qullo che sarebbe poi stato il testo vero e proprio. Val la sapeva
perché Jimmy glie la aveva cantata, e lei se la ricordava.
Tutto qui. Giusto per chiarire.
Bene, quindi al prossimo aggiornamento che credo avverrà
molto presto dato che ho già abbozzato qualcosa di concreto,
quindi a presto. Baci e grazie di tutto. <3
|
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Capitolo 17 *** 16 - Prova a ricominciare ***
©
Amor Vincit Omnia
Avvertimenti.
La canzone che ha fatto da musa a questo capitolo è
“Little Lion Man” dei Mumfor and Sons, quindi se
volete calarvi meglio nell'atmosfera vi consiglio di ascoltarla.
Weep for yourself, my man,
You'll never be what is
in your heart
Weep Little Lion Man,
You're not as brave as
you were at the start
Rate yourself and rake
yourself,
Take all the courage you
have left
Così Jimmy aveva toccato il fondo, ma quando lo fai in una
maniera così irrevocabilmente sbagliata non ti vengono
concesse seconde possibilità per risalire.
« Jimmy », cominciò. La sua voce
rimbombava per tutta la chiesa, così che tutti potessero
sentire ciò che un cuore affranto come il suo aveva da dire.
Per Zacky, stare davanti ad un pubblico senza un chitarra in mano era
tutta un'altra cosa. Non gli era mai piaciuto stare al centro
dell'attenzione in quel
modo, figuriamoci farlo per un motivo come quello. Aveva la gola secca.
« ...era il mio migliore amico ». Le parole che
aveva tracciato sul foglietto che ora si stava rigirando in mano
cominciavano già a diventare sfocate; aveva gli occhi colmi
di lacrime. « ...e.. non saprei immaginarmi senza di lui
».
Era stata un'idea del pastore, quella del foglietto.
Allora il suo sguardo incontrò quello di Eloyn, fra le prime
file di panche, dall'alto della sua postazione, e la vide soffrire nel
rimbombo delle sue parole.
Zacky tornò a guardare il foglietto stropicciato e umido di
sudore, chiuse un attimo gli occhi. Cadde una lacrima e il rumore sordo
del suo impatto con la carta cadde insieme a lei. Un piccolo schianto
ignaro al mondo, una tragedia nella testa di Zacky. L'inchiostro si
disperse a macchia d'olio un po' attorno; impregnava tutto, come faceva
la perdita di qualcuno.
Quel momento era dannatamente sbagliato.
Sì, era stata un'idea del pastore, quella del foglietto.
Scrivere il discorso su uno stupido foglietto. Parole già
pensate. Pochi impulsi; niente istinto. Cosa doveva dire? Cosa voleva dire? Era
Jimmy, cazzo; niente al mondo avrebbe dovuto portarglielo via.
Ripiegò il foglietto; stava tremando.
« Addio Jimmy » e le sentiva, le lacrime tra le
ciglia. Umide. Scomode.
E in quel preciso istante, in quella chiesa, Jimmy morì. E
tutta quella consapevolezza gli si scaraventò addosso. Fece
parte del suo essere per la prima, vera volta.
Volse lo sguardo alla vetrata attraversata da un fascio di luce e molti
ricordi gli si affollarono in testa.
« Io non
arriverò ai trent'anni, Zacky, ve l'ho sempre detto
»
« Ma cosa stai
dicendo? »
« Mi ci vedi
da vecchio? A stare fermo su una poltrona senza fare niente, senza
poter più suonare? Vivrò per sempre, nel cuore di
chi mi vuole bene, ma non supererò i trenta. »
Le parole del suo amico gli risuonavano ancora in testa da quel lontano
pomeriggio estivo, forse appartenente ad una vita diversa.
Quel fascio di luce che attraversava la vetrata colorata di quella
piccola chiesa, quello era l'addio di Jimmy.
« Addio » sussurrò di nuovo, ora per se
stesso.
Poi si voltò di nuovo e scese i pochi gradini che lo
separavano dalle panche; attraversò la navata sotto lo
sguardo di quegli automi rovinati e sfiniti dal dolore. Quegli occhi
lucidi che lo seguivano in silenzio.
In quella chiesa si soffocava, c'era aria consumata. Dolore consumante.
Uscì dalla chiesa senza neanche voltarsi a guardare indietro.
*
« Scusate.. », venne interrotto da
un'altra lacrima. Tirò su col naso.
Gli sguardi di tutti, attoniti, su di lui. Gli sembrava che quelle
persone non avessero più aria da respirare. Ma il suo dolore
non apparteneva al loro, era distante anni luce da quella chiesa.
Spinto un po' oltre il confine del reale.
A dirla tutta il suo cuore aveva perso un battito quando Zacky aveva
interrotto il suo discorso.
Non capì perché lo aveva fatto, perché
se ne era andato in quel modo. Non lo capì finché
non si trovo al suo posto, di fronte a tutta quella gente che si
aspettava qualcosa
da lui. Difronte a Jimmy, che si aspettava qualcosa di più
da lui.
Brian non era mai stato un tipo riflessivo. A lui bastava la musica.
Senza troppi perché. Ma quel momento era diverso.
Erano solo un branco di energie confuse dal dolore di quella perdita,
davanti a lui. Accomunati da quella stessa perdita e da quello stesso
sconforto. Occhi arrossati e visioni sfocate e soffocate. Volti
congelati in quell'espressione di dolore. Niente più.
« Non credo ci sia molto da dire.. Jimmy manca a tutti;
è un dato di fatto. » fece un respiro profondo e
continuò. « .. ce lo aveva detto, non
avrebbe superato i trent'anni. E aveva ragione su questo come su tutto
il resto.. »
Ripensò a quel pomeriggio sulla spiaggia in cui Jimmy gli
aveva detto che tutti tradiscono e tutti vengono traditi almeno una
volta nella vita. E quell'errore piccolo e insignificante per gli altri
ma scomodo per lui gli pesava addosso nonostante fosse passato del
tempo e avessero chiarito tutto.
L'aveva tradito, ed era una cosa che non si sarebbe mai perdonato.
Jimmy aveva bisogno di un amico che gli stesse vicino, e invece lui
cosa aveva fatto? Si era quasi scopato Chelsea a sua insaputa. Gli si
strinse lo stomaco, perché sapeva che ora non poteva
più nascondersi da Jimmy.
« Perciò, Jimmy.. ti chiedo scusa per non essere
stato l'amico perfetto. Ti voglio bene. »
Scese gli scalini e si rimise seduto, in attesa che qualcun altro, come
lui, salisse su quel palchetto e lasciasse qualche parola a Jimmy. Per
Jimmy.
Proprio non ce l'aveva fatta a rimanere in quella maledetta chiesa.
Aveva iniziato a dire qualche parola e poi non era riuscito a
continuare. Si chiedeva cosa volesse la gente da lui, cos'altro fosse
rimasto da dire? E più di tutti, si chiedeva cosa avrebbero
significato quelle parole senza Jimmy. Cosa voleva dire il mondo, senza
Jimmy? E allora quel fottuto bigliettino con quelle inutili parole era
andato a far compagnia alla massa di rifiuti ospitata dal cestino del
parco della chiesa.
Aveva preso la sua macchina e il primo luogo che gli era venuto in
mente era stato l'albero in mezzo al parco cittadino. Non un albero
qualsiasi, ma l'unico albero degno di quel nome. Si era fermato in un
bar a prendere due birre e aveva guidato dritto fino alla sua meta. E
ora era lì, avvolto nei ricordi, con la cravatta allentata e
senza giacca, e si sentiva come dieci anni prima, fece finta di essere
lo Zacky bambino che aveva costruito una casa su quello stesso albero,
fece finta di stare lì ad aspettare Jimmy, come sempre, come
tutti i pomeriggi estivi in cui Jimmy faceva sempre, puntualmente tardi
agli appuntamenti.
Stappò la prima birra e sorrise ricordando quei momenti a
cui non aveva mai dato troppa importanza e che adesso gli sembravano
come oro.
Ora la casetta di legno che avevano montato non c'era più,
l'avevano tolta arrivati a venti anni, sotto l'obbligo dei loro
genitori che si sentivano d'impiccio alla società tenendo
quella casetta ancora lì, inutilizzata, nel parco pubblico.
Effettivamente, ora che ci pensava, era strano che non gli avessero
detto di toglierla prima, non era sicuro che fosse una cosa proprio
legale. L'avevano fatto perché costruire una casa
sull'albero in casa propria non faceva figo. Nessuno di loro era
intenzionato a rimanere nel recinto di casa quando c'era un mondo da
scoprire, tanto meno uno come Jimmy, che non riusciva a stare fermo un
attimo. Un artista. E Zacky lo sapeva da sempre che era destinato a
qualcosa di grande.
Sentì dei passi avvicinarsi all'albero, abbassò
lo sguardo e vide l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato di
vedere. Joel Madden stava salendo le scalette di legno sull'albero per
raggiungerlo.
« Me la offri una birra? » gli chiese, ridendo. E
Zacky si chiese come facesse a essere sempre felice, anche in un
momento come quello.
Zacky gli porse la birra senza dire niente non appena gli fu accanto.
« Perché non sei rimasto in chiesa? »
« Perché ho visto come te ne sei andato..
». Joel gli parlava come se fosse tutto ovvio e semplice, la
naturale conseguenza di tutto. Ma per Zacky non era così, e
mentre l'altro gli parlava cercando di guardarlo negli occhi, lui stava
fermo e lo ascoltava guardando dritto davanti a sé, la
stessa visuale di dieci anni prima.
« A te che importa, la fai sempre facile.. »
« Non la faccio facile, Zacky.. Non sono felice, e dopo tutti
questi anni di amicizia dovresti almeno averlo capito. »
Poi, all'improvviso, qualcosa si accese in Zacky, come una scintilla
che gli fece capire qualcosa in più, di tutta quella
faccenda.
« Io non ho mai capito, Joel. Non ho mai capito niente e
nessuno, è questa la verità. Jimmy aveva bisogno
di qualcuno che gli stesse vicino, di una spalla che lo sorreggesse,
perché quella cazzo di malattia lo stava distruggendo, e io
non avevo capito niente. »
« No, Zacky! Questo non te lo permetto! Non puoi cominciare a
fare tu la parte della vittima! Quelle lasciamole ai film di serie B,
per piacere.. non è colpa di nessuno se Jimmy ci ha
lasciati.. »
Zacky stette zitto, perché in realtà non era
sicuro di ciò che Joel gli stava dicendo.
« Cosa intendete fare? Con gli Avenged Sevenfold,
intendo. »
« Non si sa, nessuno lo sa. Non abbiamo parlato
più. Brian ieri sera non dava segni di vita, e neanche
stamattina. Matt se n'è andato subito, l'ho rivisto oggi ma
non ne abbiamo parlato e Johnny aveva una brutta cera perché
ieri sera si è ubriacato con Silvie. Quindi non lo so, ma io
non ho intenzione di andare avanti. »
« Non può finire tutto così. Cosa te ne
fai adesso di tutte quelle belle parole che hai sempre predicato? Una
montagna di CD con incise frasi che per te adesso non valgono
più niente? Ti sei dimenticato cosa vuol dire stare vicino a
qualcuno fino alla fine? Me lo avevi detto tu stesso quando hai scritto
il testo di Until The
End, che ci saresti sempre stato per i tuoi amici, fino
alla fine, ricordi? »
Forse aveva ragione, forse. Ma proprio non ce la faceva. Aveva solo
pochi ricordi sfumati delle sue emozioni prima di tutto.
Si alzò in piedi e scese le scale sull'albero.
« Adesso dove vai? », gli chiese Joel quando fu
abbastanza lontano da dover urlare per farsi sentire.
« A casa, salutami gli altri. Io mi ritiro. » e da
lontano aveva alzato un braccio in segno di saluto.
Ora era tutto diverso, e lui non era disposto a mettersi in gioco in
quelle condizioni. Sarebbe andato a casa e ci si sarebbe chiuso dentro
con se stesso aspettando che le cose cambiassero. Aspettando Jimmy, in
qualche modo.
*
“Ciao Johnny,
ti starai chiedendo cosa sia questo pezzetto di carta, e avrai subito
la tua risposta.
Me ne vado da
Huntington. Anzi, probabilmente quando leggerai questa lettera me ne
sarò già andata da un po'. Dormivi
così bene che non ha voluto svegliarti, tutti meritate un
po' di riposo in questo momento. No, in realtà avevo paura
che avresti cercato di farmi rimanere, ma non voglio.
Quando sono venuta qui
pensavo di trovare qualcosa di assolutamente fantastico, la vita che
avevo sempre immaginato. E così è stato. E' stato
un sogno, ma si sa che i sogni fanno presto a diventare incubi, e per
dimenticare gli incubi ci vuole qualcosa di drastico. Beh, questo
è il mio modo di reagire e spero che potrai perdonarmi. Non
lo considero un addio perché voi stessi mi avete insegnato
che il mondo riserva sempre molte sorprese, e chissà che un
giorno non ci rincontreremo e scopriremo che siamo fatti per stare
insieme, ma mi rendo conto che questo non è il nostro
momento. Probabilmente non sapremo mai se siamo fatti l'uno per
l'altra, ma sappi che sei stato importante, almeno per quel poco tempo
che ci è stato concesso.
Saluta tutti gli altri e
dì ad Eloyn che non sarei riuscita a dirle addio di nuovo,
né tanto meno a scriverle una lettera. Dille che mi
dispiace, che le voglio bene e di perdonarmi se può.
Scusami, dal profondo
del cuore.
Ti voglio bene.
Silvie”
Quando Johnny finì di leggere quella lettera non spese
neanche una lacrima in più. Sapeva già che Silvie
non sarebbe rimasta ad Huntington, perché non era fatta per
la California, ma aveva sempre cercato di negarlo a se stesso sperando
che per una volta si stesse sbagliando. E invece no, se ne era andata,
e con lei tutto ciò che di buono c'era per lottare ed andare
avanti. Capì che le disgrazie non arrivano mai da sole ma
sempre in compagnia, e non c'era affermazione più vera di
quella.
Se non ricordava male, qualche giorno prima Silvie le aveva confidato
il suo sogno nascosto, la vita che avrebbe voluto ma che non sarebbe
mai stata in grado di avere. Strano, come anche lei era sempre stata
strana, ma il suo sogno era andare a vivere in Norvegia, e questo
faceva già capire bene perché non si trovasse
bene lì ad Huntington. Per un solo secondo, l'idea che
Silvie stesse davvero andando in Norvegia gli sfiorò la
mente e gli fece pulsare il cuore in gola di un solo battito. E allora
decise di non pensarci, perché tanto qualsiasi supposizione
avessee fatto sarebbe stata vana: aveva deciso di lasciarla libera, e
così avrebbe fatto, pur andando contro se stesso e contro
tutti gli altri, anche facendosi del male, se sarebbe stato necessario,
ma se Silvie voleva tornare, lo avrebbe fatto da sola.
Piegò il foglio e se lo mise nel portafoglio. Poi prese il
suo cellulare e fece il numero di Eloyn. Dopo qualche squillo rispose.
« Johnny.. »
« Ehi, El.. »
« Dimmi.. »
Come glie lo avrebbe detto? Si sentiva in colpa per essere lui l'unico
a saperlo, non ne aveva il diritto
« Silvie se n'è andata.. »
« Come sarebbe se n'è andata? »
« E' andata via da Huntington, mi ha lasciato una lettera,
non ho potuto fare niente per fermarla. Ha scritto di dirti che non
sarebbe riuscita a dirti addio di nuovo, che ti vuole bene e di
perdonarla se puoi. »
« Ma, dove è andata? »
« Non lo so, ma va bene così. Lei qui non voleva
rimanerci, si vedeva. »
« Ma aveva trovato te.. »
« Evidentemente non ero un buon motivo per farla rimanere.
»
« ... »
« ... »
« Hai provato a chiamarla al cellulare? »
« No, non voglio fare niente per farla tornare, sarebbe
infelice e non voglio.. »
« Tornerà, ne sono sicura. »
« Lo spero.. »
Eloyn sapeva che Silvie sarebbe partita, tutti lo sapevano ma tutti
avevano fatto finta di niente. Era solo un altro tassello che tornava
al suo posto. In fin dei conti la morte di Jimmy stava sortendo lo
stesso effetto di una scossa di terremoto, susseguita da degli
assestamenti di terreno. E in quel momento Eloyn si sarebbe aspettata
di tutto.
Interruppe la chiamata con Johnny e mise il cellulare sul tavolino.
Sospirò guardandosi intorno. Era stanca, stanca di tutto e
di tutti, e avrebbe voluto spegnere le sue emozioni, spegnere i
sentimenti, tutto, e mettersi a letto per non uscire mai più.
Dopo che Zacky era uscito dalla chiesa in quel modo, non si era
più fatto sentire e nessuno l'aveva più sentito.
L'unica persona con cui pareva aver parlato era Joel che era poi
tornato al funerale dando l'ennesima brutta notizia a tutti.
« Ho parlato con Zacky ed è davvero distrutto. Se
n'è andato dicendo di dirvi che è stato un
piacere ma che lui si ritira. L'ho visto davvero affranto, non so,
magari ha bisogno di stare un po' da solo per riflettere »
Li il mondo era crollato ancora per tutti. Era la fine, la fine degli Avenged Sevefold e
delle loro vite insieme. Sembrava l'apocalisse e infondo non c'era poi
così tanta differenza. Se non altro tutti si erano messi un
po' l'anima in pace con Zacky, si fidavano e sapevano che era un uomo
responsabile. Secondo loro, entro una settimana avrebbe cambiato idea.
Sapevano che ci aveva messo l'anima, in quel gruppo. Quindi gli unici a
preoccuparsi realmente sembravano essere Eloyn e Brian. Dal canto suo,
Eloyn non lo aveva mai visto così distrutto da quando lo
conosceva, ed era forse per questo che si preoccupava così
tanto. Invece Brian si preoccupava per punto preso, perché
era sempre stato l'unico a sostenere fermamente che Zacky in quelle
condizioni non era padrone delle proprie azioni. Nonostante questo, a
entrambi era stato dato il divieto implicito da parte di Matt di fare
qualsiasi cosa che lo avrebbe coinvolto. Infondo Matt gli aveva chiesto
solo un po' di pazienza, tre o quattro giorni per farlo riprendere e a
quel punto avrebbero potuto fare qualcosa per aiutarlo. Erano passati
due giorni ed Eloyn era molto più preoccupata del previsto.
Si passò le mani in volto per stropicciarsi gli occhi. Aveva
addosso la maglia dei Misfits
di Zacky che aveva ancora il suo profumo, e così si sentiva
un po' protetta; era quasi come averlo lì e sentire che la
stava abbracciando, anche se non era proprio la stessa cosa.
Si stiracchiò la maglia e salì le scale per
andare in camera. Quella casa era diventata soffocante da quando era
morto Jimmy. Chelsea vagava come uno spettro e non sembrava dare segni
di vita, nonostante Eloyn avesse provato in tutti i modi a farla
reagire. Poi aveva deciso che non poteva sempre stare a curare gli
altri quando la prima ad avere problemi era lei stessa, e aveva
rinunciato.
Si era stesa sul suo letto da qualche minuto quando qualcuno
bussò alla sua porta, ed Eloyn si meravigliò di
vedere Chelsea entrare in camera con una luce diversa negli occhi. Er,
in un certo senso, più viva.
« Avanti »
Una chioma rossa si fece lentamente spazio tra la confusione che
regnava in quella camera.
« Eloyn, ti devo parlare. »
Subito lo sguardo di Eloyn ricadde sulle sue scarpe e sul suo
abbigliamento
« Vai da qualche parte? »
« Sì, era di questo che volevo parlarti.
»
Forse era perché in quei giorni i contatti con le persona
erano stati ridotti al minimo, o forse perché in quel
periodo un “ti devo parlare” poteva benissimo
trasformarsi in una bomba a mano, ma quelle parole fecero preoccupare
Eloyn e non poco. Sentì il suo stomaco contorcersi.
Non disse niente, si limitò a guardarla negli occhi in
attesa di spiegazioni.
« Sarò breve, me ne vado da qui. »
« Come? »
« Vado in Italia da degli zii. »
« Tu non puoi lasciarmi qui da sola. »
Eloyn stava andando in panico. Già una vita in quel posto
sarebbe stata dura, ma un vita in quel posto senza Chelsea sarebbe
stata un inferno. Lei era la persona con cui tutto era iniziato, non
esisteva Huntington Beach senza Chelsea, era una realtà che
non riusciva a concepire.
Sentì i suoi occhi inumidirsi di lacrime e il mento
tremarle. Sbatté le palpebre e due lacrime le caddero sulle
gambe incrociate.
« Non fare così, questo non è un addio
»
« Ma.. ma come faccio io senza di te? E poi, l'Italia?
Proprio così lontano dovevi andare? Io non ce a faccio senza
di te, Chelsea » le disse mentre la abbracciava. Intanto
l'altra si era seduta sul letto insieme a lei e si era lasciata
trascinare dal pianto singhiozzante di Eloyn. « Non puoi
abbandonarmi anche tu.. » aveva sussurrato Eloyn.
« Infatti non lo sto facendo, è solo che questo
non è più il mio posto, perché ovunque
vado c'è Jimmy, e se continuò così va
a finire che ci lascio la vita. »
« Ma non è giusto.. »
« Non sempre ciò che è giusto
è ciò che ci fa bene, Eloyn. »
« Tu mi avevi promesso che niente ci avrebbe mai divise.
»
« E sarà così, questo non è
un addio, Eloyn. Io tornerò, solo non so quando, non so
quanto tempo mi ci vorrà per assimilare tutto. »
« Giurami che tornerai. »
« Te lo giuro. Ma ora devo andare, ho l'aereo tra tre ore.
»
« Salutami l'Italia » le disse infine cercando di
ostentare quanta più naturalezza aveva in corpo, cercando di
farle vedere che aveva preso bene la notizia mentre invece stava
lentamente morendo dentro. Non voleva farla partire con rimorsi e
rimpianti. Quel periodo era come vivere in un universo parallelo in cui
tutto può davvero accadere. E un'altra parte di se se ne
stava andando.
« Tu salutami gli altri.. »
Che partisse senza dire niente agli altri era una cosa che a Eloyn non
importava, però l'aveva fatta pensare.
« Chiamami quando arrivi »
« Certo »
Lei non ce l'avrebbe mai fatta ad andarsene in quel modo, a rinunciare
a Zacky o a ciò che in quei giorni stava diventando.
La vide scomparire dietro la porta della camera, si rimise con la testa
sul cuscino e guardò il soffitto, le veniva ancora da
piangere. Si sdraiò su un fianco e dopo qualche minuto si
addormentò.
*
Magari il solito locale sulla costa lo avrebbe aiutato a tirarsi un po'
su. Alla fine dei conti, una partita a biliardo da solo con se stesso,
alle tre della mattina, con una buona birra in mano e chiuso nel suo
stesso dolore lo avrebbero fatto tornare come quello di prima. Ma anche
lui, in cuor suo, sapeva che il vecchio Brian non sarebbe mai tornato.
Sentiva quella malinconia stagnata nelle sue ossa, una voragine
all'altezza dello stomaco che non si sarebbe mai rimarginata.
A pezzi, ecco come si sentiva. Era un periodo brutto per tutti ma Brian
era convinto che nessuno di loro si sentisse sbriciolato come lui. Per
prima se n'era andata Michelle, con tutta la sua bellezza e il suo
essere semplicemente lei. E il suo profumo aveva lasciato la sua casa
per far spazio al meno sopportabile odore di tabacco. Così
aveva dovuto fare i conti con se stesso e assaporare tutta la
malinconia di una casa vuota di tutto se non di Brian. E per Brian
convivere con se stesso era sempre stata un'impresa ardua.
Poi se n'era andato Jimmy, lo aveva lasciato solo con i suoi casini.
Aveva il problema e l'unica persona che sarebbe stata in grado di
risolverlo era proprio Jimmy, ma l'aveva lasciato lì, a
guardare se stesso e il resto come i cocci di una vita in rovina.
Inutile dire che tutto questo non aveva mai fatto parte dei suoi piani,
ma che poteva farci? Assolutamente niente. Si stava arrendendo, tutto
qui.
Entrò nel locale senza neanche far caso a chi sedeva sui
tavoli all'ingresso, si diresse subito al bancone per ordinare la
solita birra. Prese il bicchiere in mano e si diresse nella sala da
biliardo ma arrivato sull'uscio della porta dovette arrestarsi per
focalizzare bene.
Una chioma di capelli castani e biondi gli sostava davanti, appoggiata
al biliardo con la stecca in mano, intenta a calcolare la prossima
mossa. Conosceva bene quei capelli e il profumo che impregnava la
stanza, ora così pungente sul suo naso.
« Michelle.. »
Lei si voltò di scatto, come presa da un brivido freddo e
sgranò gli occhi. Quegli occhi. Quanto gli erano mancati in
quelle notti. Solo ora capiva l'effetto che gli facevano, l'effetto che
lei gli provocava.
« Ciao Brian ».
« Che ci fai qui? »
La prima volta che Michelle aveva esso piede in quel locale era stato
dieci anni prima.
« Non è più solo la tua tana. Dovrai
condividerla anche con me. »
Era stato lui a portarcela.
Ma non c'era malizia nei suoi occhi, solo malinconia e tristezza. In
quel momento, Brian capì che erano tutti superstiti della
stessa nave che affondava.
« Sai che non ho mai avuto problemi a dividere qualcosa con
te »
Si diresse verso il muro a lato e prese anche lui una stecca. Con la
mano libera iniziò a grattare il gesso blu sulla punta.
« Io invece ho sempre avuto problemi a dividere te con
qualcuno »
Brian fu felice di vedere che none era cambiata di una virgola. Faceva
sempre lo stesso genere di battute e sempre con la stessa punta di
acidità mista a rabbia. Non che fosse successo spesso che
Brian la avesse tradita, ma la gelosia che Michelle gli riservava era
una di quelle cose che lo facevano sentire come fosse a casa in
qualsiasi posto si trovasse.
« E' acqua passata, dovresti averlo capito »
Brian stava cercando in tutti i modi di sembrare disinteressato
all'argomento, e lo era veramente, complice la sua stanchezza di
combattere contro un mondo che correva inesorabilmente più
veloce di lui; anche il tempo che passava aveva assunto un'importanza
del tutto relativa.
Una delle cose che aveva fatto da quanto quella valanga di eventi gli
si era scaraventata addosso era stato ripromettersi di allontanare da
sé le cose che lo facevano stare male e avvicinare, invece,
quelle che lo facevano stare bene. Nonostante Michelle non rientrasse
precisamente in nessuna delle due categorie, Brian capiva che infondo
quella posizione di stallo tra le due parti faceva scaturire
cose che in certi sensi potevano essere considerate positive. Michelle
era da sempre la cosa più bella che gli fosse mai capitata,
ma era stata anche la sola persona al mondo ad averlo ferito, e
nonostante questo, stava zitto e a volto basso; infondo era stato lui
ad iniziare quella battaglia e sarebbe stato lui a doverla finire.
Stava abbassando l'ascia di guerra e ammettendo le sue colpe ancora una
volta. Era stanco di piangere, di provare a risolvere situazioni
scomode, era stanco di tutto. Aveva fatto il suo meglio per farsi
perdonare e avrebbe sicuramente continuato di quella scia ma arrivati a
quel punto, si era detto, sarebbe stata Michelle a dover prendere una
decisione.
« Quello che ho capito è che finché lei
sarà tra i piedi non ci sarà occasione di
recuperare nessun rapporto »
Dopo quella frase, agli occhi di Brian Michelle si era come ridestata.
Aveva appoggiato l'estremità della stecca sul pavimento e
l'aveva impugnata nei pressi dell'altra estremità mentre il
braccio libero si posizionava sul suo fianco in tono di sfida. Secondo
il linguaggio del corpo di Michelle, quello che ormai Brian conosceva a
memoria, stava cercando di comunicare in modo serio. Era davvero
intenzionata a risolvere quella situazione, e prese Brian in
contropiede.
Lui stette li ad osservarla per qualche secondo in attesa che il suo
cervello connettesse con la bocca e pensò che le condizioni
che Michelle gli stava imponendo, in una realtà diversa,
sarebbero state infattibili. Fortunatamente, Chelsea se n'era andata,
ed era notizia ormai comune a tutti.
« Sei fortunata, Chelsea se n'è andata l'altro
giorno »
« Per festeggiare il nuovo anno? »
« Nessuno di noi ha festeggiato il nuovo anno e penso che
neanche lei abbia avuto voglia di farlo. Se n'è andata
perché l'unica persona che ha mai amato era Jimmy
»
Certi messaggi impliciti non erano troppo difficili neanche per una
come Michelle, abituata ad essere sempre chiara e precisa in quello che
faceva. Ma l'espressione contrariata di Michelle, con la bocca
socchiusa e le sopracciglia alzate, esprimevano il suo risentimento
verso qualcosa che la metteva in crisi.
« Ti amo, Michelle »
Era inutile, per quanto Michelle cercasse di farsi enigmatica, non
c'era niente che sfuggisse all'occhio attento di Brian. Sapeva sempre
quando e dove colpire per far breccia nel suo cuore, che lei lo volesse
o no.
La vide riprendere fiato e fare un respiro profondo.
« Anche io ti amo Brian, ma cerca di capirmi »
« Lo sto facendo. O meglio, l'ho fatto fino a qualche
settimana fa. Ma adesso basta, non sei più al centro della
scena. Jimmy è morto e nella mia vita non c'è
più spazio per giochetti da adolescenti. Io ti amo e ti
voglio indietro, adesso sta a te. Puoi decidere di perdonarmi o di
dirmi addio, ma se lo fai è per sempre »
Brian non era uscito di casa con l'intento di mettere un punto alla
situazione. Se era per questo, quando era uscito di casa non si
aspettava neanche di vedersi Michelle giocare a biliardo in quello che
era da sempre il suo locale di fiducia. Ma in quel momento l'aveva
vista e aveva deciso che non voleva più giocare, capiva di
essere arrivato ad un punto in cui abbandoni il tuo essere bambino,
finalmente. E grazie alla concatenazione di certi avvenimenti, il
dolore che un rifiuto di Michelle gli avrebbe potuto causare, non
sarebbe stato neanche lontanamente paragonabile al dolore che stava
attualmente sentendo dentro di se. In poche parole: non aveva
più niente da perdere, e di conseguenza, in qualsiasi modo
sarebbe andata a finire, ne sarebbe valsa la pena.
Lei lo guardava con un espressione addolorata in volto. Ad un tratto si
avvicinò a lui e lo guardò negli occhi. Brian si
sentì svenire quando lei avvicinò il suo volto a
lui. Non resistette, le prese il viso tra le mani e la bacio, prima
delicatamente, poi con più passione e fu solo felice di aver
avuto indietro ciò che era suo di diritto, la donna della
sua vita.
*
“Il numero da
lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile...”.
Era la quinta volta nel giro di dieci minuti che quella voce, ormai
fastidiosa, le rispondeva al posto di Zacky. Alle prime telefonate,
Eloyn era convinta che fosse solo un caso, quando invece
arrivò alla quinta chiamata le mani avevano già
cominciato a tremarle. Decise di cambiare meta. Prese di nuovo il
cellulare e scorse la rubrica fino al nome di Brian. Pochi squilli e la
voce dal tono basso del ragazzo le rispose: « Pronto?
»
« Sì, Brian.. Zacky ha il telefono staccato e i
tre giorni di divieto sono finiti esattamente due ore fa »
« Mh, ok. Io credo che andrò a casa sua, tu rimani
lì, poi ti faccio risapere »
« No, Brian. Vengo con te! »
Eloyn non sopportava i soliti comportamenti da Brian. Secondo lui le
cose importanti e che implicavano uno sforzo fisico o psicologico
maggiore dovevano essere fatte solo e solamente da maschi, o meglio, da
lui. Il suo volerla escludere anche da quella faccenda la stava
mandando in bestia. Non sentiva Zacky da quattro giorni e aveva anche
staccato il cellulare. Come faceva a non volergli dare un cazzotto?
« Eloyn, non è per volerti escludere, è
solo che ti senti agitata »
« E' perché sono
agitata, Brian! »
« Credo sia meglio che tu resti lì... »
« No »
« Eloyn... »
« Mi sto vestendo... »
« Ah, fa come ti pare! »
Eloyn richiuse il telefono e lo gettò sul letto mentre con
la mano libera si infilava una scarpa. Finì di vestirsi a
tempo record e prese la macchina. In meno di dieci minuti era davanti a
casa di Zacky, ma Brian sembrava averla preceduta.
Entrò in casa senza bisogno di bussare; la porta era
già aperta. Attraversò lo stretto corridoio e
sentì delle voci lontane provenire dal bagno, prima confuse
e mano mano che si avvicinava si facevano più chiare.
« Cazzo Zacky! »
Era Brian che aveva urlato dal bagno, e sembrava molto preoccupato.
« Bri? », gli aveva urlato dal corridoio,
camminando a passi lenti sperando di non arrivare mai alla porta del
bagno. Aveva una sensazione orribile in tutto il corpo, sentiva che le
mancava l'aria.
« Eloyn, sei tu? »
« S-sì.. »
« Chiama un'ambulanza! »
*
Note. Il
testo ad inizio pagina è tratto dalla canzone che vi ho
detto prima, mi sembrava ci stesse bene con il capitolo. Ovviamente
è dedicata a Zacky.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi scuso immensamente per
il ritardo.
Ringrazio tutti, come sempre, per aver letto tutta la fic fino a qui e
in particolare VansVengeance, alexxx_fire_inside ed HelixDeath.
Ringrazio anche SilentMoon ; dato che non ho fatto in tempo a
risponderti lo faccio qui, ti dico solo “mai dire
mai” e che tutto in questa fiction può accadere.
Quindi non vi resta che continuare a leggere. ^^
Alla prossima!
|
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Capitolo 18 *** 17 - Still Alright ***
©
Amor vincit omnia.
Avvertimenti.
La frase
scritta tra virgolette
prima del capitolo è presa dalla canzone "This in the house
that doubt built" degli A Day To Remember, prima colonna sonora
di questo ultimo capitolo. Sì, questo è l'ultimo.
Dopodiché ci
sarà l'epilogo e poi è finita. Inutile dire che
sono decisamente
molto triste per questo. Ed è così che vi saluto,
mettendo tutta me
stessa in quello che penso sia uno dei capitoli più intensi
dell'intera fanfiction. Quindi, per immergervi meglio nell'atmosfera,
vi consiglio di ascoltare la canzone che vi ho scritto prima e di
seguito "Valentine's Day" dei Linkin Park e "Still
Alright" di Adam Merrin. Queste sono le canzoni che hanno
ispirato il capitolo, in particolare le ultime due. Quindi adesso vi
lascio e ci vediamo a fondo pagina.
*
“let's
believe that if we all stand together we're a force that can shake
the whole world”
Che
il tentato suicidio di Zacky non fosse stato sbandierato ai quattro
venti o dato in pasto agli squali dei media non significava
assolutamente nulla. Quel fatto era stato un allarme che aveva fatto
riflettere necessariamente tutti – con o senza giornalisti
–, e
forse questo silenzio era stato un po' il riflesso loro e di tutta
quella serie di eventi. Era stato come una bomba scoppiata nel mezzo
della confusione più totale – e dopo di essa
più niente, il
silenzio più assoluto –, anche se nel loro caso
non si trattava di
vera e propria confusione, ma più di mormorio di sottofondo,
quello
di un branco che si risveglia piano piano dal proprio letargo, la
famosa quiete dopo la tempesta.
Per
Eloyn, in particolare, vedere Zacky sdraiato sul pavimento freddo del
bagno di casa sua, con il braccio nella vasca piena d'acqua
rossastra, era stata una cosa straziante. In quel momento, dopo aver
chiamato l'ambulanza, si era sentita sbiancare e aveva percepito
chiaramente le ginocchia cederle. In lontananza, la voce di Brian le
aveva consigliato di mettersi seduta da una parte e di non fare
assolutamente niente. Così aveva fatto, perché in
quel momento
ragionare con la testa di Brian invece che con la sua era l'unica
cosa che sarebbe riuscita a fare. Poco dopo era arrivata l'ambulanza
e l'aveva portato via.
La
seconda scena che l'aveva sconvolta era stata in ospedale, il giorno
dopo, e in qualche modo le era sembrata la trasposizione meno cruenta
della prima scena. Zacky era sdraiato sul letto d'ospedale quando lo
aveva guardato fisso negli occhi e aveva visto che qualcosa in essi
si era spezzato. Lo aveva capito non solo dalle profonde occhiaie e
dalla pelle pallida, ma soprattutto dal suo sguardo: prima che tutto
quello accadesse, in una realtà che ora le sembrava
così lontana e
impalpabile, c'era qualcosa nel modo in cui la guardava che la faceva
sentire speciale e, in qualche modo, amata. Inutile dire che quella
posizione privilegiata rispetto agli altri – se non altro
agli
occhi di Zacky – le stava molto comoda.
Qualsiasi
cosa fosse quel suo modo di guardarla, ora non c'era più.
«
Zacky... », gli aveva detto senza ricevere alcun tipo di
risposta.
Vederlo in quelle condizioni era la punizione peggiore che il mondo
aveva potuto infliggerle.
«
dì qualcosa.. » le veniva da piangere e sentiva la
sua stessa voce
strozzarglisi in gola.
«
vattene, ti prego.. »
Gli
occhi di Zacky erano rimasti fuori da quel piccolo scambio di
battute, il suo sguardo perso da qualche altra parte fuori dalla
finestra, probabilmente nel cielo, in ceca dell'unico volto che
sarebbe stato in grado di riportarlo alla normalità.
Quelle
parole erano state violente nella testa di Eloyn quanto nell'aria
attorno a loro e ancora le rimbombavano in testa mentre ripensava a
quel momento di qualche giorno prima. Ricordava di essersi voltata
silenziosamente e, piangendo, era tornata a casa. Senza dare
spiegazioni a nessuno, si era chiusa in camera e li era rimasta,
uscendo qualche volta, di tanto in tanto, per andare a prendere
qualcosa da mangiare o per chiudersi in un altra camera, quella di
Chelsea, e immaginare che non l'avesse lasciata sola a sopportare il
peso del mondo. Ma per quanto si sforzasse di immaginare una vita
migliore di quella, in quel momento, sotto le coperte del suo letto
in quella stanza buia, non vedeva altra soluzione se non seguire
l'esempio della maggior parte di loro e andarsene da quella
città.
Come a dire: adesso la vostra realtà di merda affrontatela
da soli.
Come a chiamarsi fuori da qualcosa a cui non era mai appartenuta,
quando in realtà anche lei sapeva di esserci dentro con
tutte le
scarpe.
Che
a pensarci a distanza di tempo le veniva voglia si andare da Joel e
dirgliene quattro per aver incasinato la sua vita presentandole i
ragazzi. Provava per lui quella rabbia che si prova per le persone a
cui si sa di dovere tutta la propria felicità –
anche se era
andata scemando via col tempo –, quella stessa rabbia che
riservava
anche per tutti i ragazzi, nessuno escluso, colpevoli di aver
assemblato i pezzi della sua vita con una maestria degna di nota. E
sotto a tutta questa rabbia, a tutto questo disprezzo, voleva solo il
bene per loro che le avevano colmato le giornate donandole tutto
ciò
che avevano. E da certi punti di vista era per questo che stava
decidendo di andarsene; voleva lasciarli soli con loro stessi, ad
assimilare quel botto da un grattacielo troppo alto, a leccarsi le
ferite e diagnosticare i traumi della caduta. Forse, fare il loro
bene significava lasciarli soli come tutto era iniziato e capire che
quello non era più il suo posto. Lei e Chelsea erano state
il primo
dei cambiamenti, e il seguito era noto a tutti. Tornare all'origine
era il solo modo per attenuare il dolore, ed era un discorso valido
per tutti loro.
Non
ci sarebbero state più serate di sballo totale –
quando il mondo
era ancora un posto magnifico –, niente più locali
e vita
notturna. Avevano giocato a fare i bambini fino all'ultima goccia di
vita, prima che il peso del tempo che scorre si facesse sentire sulle
loro spalle, senza chiedersi il come o il perché di un bel
niente. E
poi d'un tratto qualcosa era cambiato, e con esso anche loro. Erano
cresciuti in un colpo solo e andati direttamente in pasto ai leoni,
come in un circo o in una vita troppo crudele per essere vissuta da
cinque cazzoni come loro. E con tutte le angosce attribuibili al
caso, invece di fermarsi a raccogliere i pezzi delle loro vite,
avevano alzato lo sguardo e stavano andando avanti senza far niente
per rimediare all'irrimediabile.
Il
quella strada tortuosa, c'era stato anche chi era inciampato per
sbaglio o per volontà inconscia, ma stavano andando avanti,
a
piccoli passi, come prima; come se fossero ancora in cinque contro il
mondo.
Lentamente
Eloyn si alzo dal suo letto e prese la valigia, e quasi le sembrava
la scena finale di un film di serie B. Quando la protagonista se ne
va e lascia che le cose viaggino per conto loro. E allora viene
inquadrata la suddetta protagonista mentre arraffa le sue cose in
maniera confusa dentro una valigia, con una musica malinconica come
sottofondo. E pensò che doveva essere una scena davvero
molto triste
da vedere dal fuori.
Chiuse
la cerniera della valigia con un unico e fluido movimento, ponendo
fine alla sua lotta interiore. Uscì di casa senza pensare a
niente
di preciso.
Quando
fu in macchina prese il suo cellulare, e il suo pollice scorse la
rubrica in maniera automatica andandosi a posizionare proprio sopra
al nome di Jimmy. Sorrise ricordandosi di non averlo ancora
cancellato, sapendo anche che non lo avrebbe mai fatto. Si rese conto
di cosa le stava mancando in quel momento, e capì di essere
ancora
più nella merda, perché l'unica cosa di cui aveva
bisogno era
l'unica che non poteva avere.
Decise
di chiudere i conti con il passato, una volta per tutte, e si diresse
a casa di Zacky, sperando con tutta se stessa di trovare qualcosa,
qualsiasi cosa, che la spingesse a restare.
Non
era la prima volta che Eloyn lo vedeva ubriaco, ma quello,
più che
ubriachezza, era uno stato di incosciente disperazione. Lo
capì
quando, entrando in casa, aveva notato le svariate bottiglie di
alcolici in giro, segno che la cosa stava andando avanti da parecchio
tempo.
Alzò
lo sguardo e lo vide stare in piedi davanti a lei, forse chiedendosi
come aveva fatto ad entrare, dimenticandosi della copia di chiavi che
le aveva fatto fare. E non fu per niente sorpresa di vedere i suoi
occhi iniettati di sangue, tanto era diventata una cosa abituale.
«
Zacky, non mi importa.. », aveva detto Eloyn, iniziando a
togliere
di mezzo tutte le bottiglie di alcolici dal salotto. Era incazzata
con il mondo, era furibonda, ma non c'era niente che poteva impedirle
di volergli ancora bene.
«
Non ti importa di cosa? »
«
Non mi importa di quel che dici, non ti lascerò marcire in
questa
merda.. »
Prese
due bicchieri colmi di alcolici dal tavolo e fece per portarli via,
in cucina, quando sentì Zacky strattonarla e lo vide
prendergli i
bicchieri di mano.
«
Questi vengono con me.. » e glie li prese di mano con tanta
arroganza che Eloyn rimase a bocca aperta
«
NO! Zacky, dammi quei bicchieri! » li urlò contro.
«
No Eloyn, tu non hai poteri su di me, non hai mai avuto nessun tipo
di potere su di me, nessuno ne ha mai avuti, cazzo! Neanche Jimmy!
»
e a quelle parole Eloyn sentì una morsa allo stomaco
talmente tanto
forte che dovette quasi piegarsi in due per sopportare il dolore.
Forse, in quella frase c'erano scritte tutte le cose non dette che
Zacky si portava dentro. E anche lei era convinta di non avere alcun
potere su di lui, ma era qualcosa che andava un po' oltre le
apparenze e le frasi fatte. Si parlava di una malinconia che ormai
aveva impiantata nel segue, sottopelle, un po' come un tatuaggio, che
non potrai mai togliere senza che lasci il segno.
Nessuno
di loro era più forte come prima, e tutti, invece, stavano
facendo i
conti con loro stessi, lasciati soli come tanti piccoli nuclei solitari
ad assemblare una nuova vita colma di quell'indipendenza che
non aveva mai fatto parte delle loro esistenze.
«
Zacky ti prego, ridammi quei bicchieri »
«
No! E vattene, cazzo! »
Era
questo quello che stava cercando? La battuta finale, l'ultimo scambio
di parole, e poi più niente? Le luci si spengono e cala il
sipario.
Fine della rappresentazione.
«
Sì, hai detto bene. Me ne vado, ma questa volta non
torno..»
Vide
lo sguardo di Zacky farsi improvvisamente serio, segno che era ancora
abbastanza lucido da capire il significato di certe parole.
«
Che significa? »
Eloyn
stava crollando, aveva perso qualsiasi speranza. Pensava che facendo
reagire Zacky sarebbe stata meglio anche lei, e invece ogni parola
che lui le rivolgeva era come una pugnalata al petto. Si mise a
piangere quando gli disse tutta la verità.
«
Significa che ho un volo prenotato per Washington fra cinque ore, ed
è un biglietto di sola andata...»
Zacky
la guardò per qualche secondo dalla porta del corridoio, con
ancora
i suoi bicchieri in mano, sconcertato.
Sembrò
pensarci su e poi scosse la testa, guardandola fisso negli occhi. Si
voltò e sbatté la porta del corridoio dietro di
sé, facendo cadere
la chiave appesa allo spiraglio che emise un rumore sordo e
fastidioso.
A
quel punto Eloyn era già in lacrime e sull'orlo della
pazzia. Prese
la sua borsa del divano e si diresse verso la porta d'ingresso, ormai
decisa sui suoi passi. Credeva anzi, ne aveva la certezza, che per
avere certe cose ci voleva troppo impegno, troppa forza d'animo, e
alla fine il gioco non valeva più la candela.
Posò
le chiavi sul comò nell'atrio e si diresse in macchine.
Sentì una
fitta al petto quando mise in moto la macchina e si accorse che
quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quella casa, e
quel volto.
Huntington
Beach era stata il suo porto sicuro per la breve parentesi di un
sogno, ma era tutto finito.
*
Eloyn
sapeva che per annientare il dolore ci voleva altro dolore, ed era
forse per quel motivo che si trovava davanti ai cancelli del cimitero
comunale. Non era una cosa che amava particolarmente fare, ma quando
si era accorta di averne bisogno, le sue mani sul volante avevano
fatto tutto in modo automatico. Era passato del tempo dall'ultima
volta che lo era andato a trovate – qualche giorno dopo al
funerale, se ricordava bene -, e invece avrebbe voluto farlo
più
spesso.
Realizzò
che sarebbe stata probabilmente la sua ultima chance di essere
accanto a lui ed ebbe paura per la prima vera volta.
Quando
fu davanti alla sua lapide ebbe un tremito strano, e oltre a tutti i
pensieri macabri che una scena come quella poteva far scaturire,
sentiva come un moto di onde che la spingevano via di lì.
Non era un
sentirsi respinta, quanto un sentirsi incoraggiata.
Fissò
ripetutamente il volto impresso sulla lapide, e decise di volerlo
ricordare così, sorridente, e come l'unica persona in grado
di
curare gli altri. Una sensazione di benessere le si installò
nel
cuore, e ad un tratto si sentì sollevata, come se un grande
macigno
le si fosse tolto dal petto.
Prese
il cellulare e chiamò Johnny, l'unica persona con cui
desiderava
parlare in quel momento.
Il
cellulare emise due squilli.
«
Ehi, El.. »
Ed
era proprio quella finta enfasi da cui voleva allontanarsi.
«
Johnny, devo dirti una cosa »
«
Certo, dimmi tutto.. »
«
Me ne sto andando »
«
Cosa? Ma dove? »
«
Non lo so, via da qui. Per adesso vado a Washington dai miei, poi non
so.. ti ho chiamato solo per dirtelo, ecco, mi sembrava giusto
avvertirti »
«
Sembra stupido dirlo, ma sapevo che questa realtà era
destinata a
sgretolarsi.. »
«
Sì, mi dispiace.. »
«
Tornerai, ne sono certo.. »
«
Ne sono certa anche io »
«
Allora chiama quando deciderai di farlo, la porta è sempre
aperta »
«
Grazie »
E
interruppe la comunicazione.
Torno
in macchina e aspettò qualche secondo, poi accese e
partì senza
chiedersi niente di più; senza chiedersi perché
nessuno di loro
faceva niente per interrompere l'avvenire dei fatti; senza chiedersi
perché stava partendo; senza chiedersi ancora una volta se
alla fine
ne fosse valsa la pena. Aveva ogni singola risposta, ma stentava ad
ammetterle anche a se stessa.
*
Camminava
con le braccia strette al petto così forte che le premevano
sullo
stomaco, forse per paura di perdere se stessa mentre perdeva qualcosa
di più importante. Quando sentiva una parte di sé
lasciarla ad ogni
passo che compiva, sapeva che Zacky avrebbe sempre fatto parte di
lei.
Aveva
paura che andando via da li, decidendo di arrendersi di nuovo,
avrebbe sentito quel vuoto dentro di cui aveva sempre avuto una
fottuta paura; il gelo arido che avrebbe padroneggiato nel suo
sterno.
Passò
accanto ad una delle tante edicole dell'aeroporto cercando di
distrarsi mentre aspettava che annunciassero il suo volo, e il suo
sguardo cadde subito sulla copertina di un giornale di musica, e
maledisse il fato o qualsiasi Dio per averglielo fatto notare.
“Zacky
Vengeance degli Avenged Sevenfold rilascia un'intervista inedita poco
dopo la morte del batterista Jimmy 'The Rev' Sullivan”,
recitava il giornale. In copertina il mezzo busto di Zacky la
guardava con quella luce negli occhi che prima c'era e adesso no.
Poco
realistica, pensò. Quella foto era
stata scattata molto
tempo prima
che tutto avvenisse, e ricordava ancora quella giornata.
Ricordava che il fotografo ce l'aveva con Zacky perché non
riusciva
ad essere naturale, e allora Eloyn si era messa qualche metro
più
dietro così che Zacky potesse vederla. In definitiva, il
sorriso che
compariva su quella copertina era la riprova che Zacky non era mai
riuscito a fare il serio davanti alle facce buffe di Eloyn,
nonostante sostenesse fieramente il contrario. Avevo
ragione io, si disse.
Poi
c'era stato il giorno dell'intervista, e anche quello se lo ricordava
bene. Non che si parlassero molto in quel periodo, ma la rabbia e la
paura che aveva provato Zacky le aveva sentite anche lei, di rimando.
Nonostante tutto, era stato un giorno come un altro, come tutti
quelli che erano passati. Un intervista in più non gli
avrebbe
sconvolto l'esistenza in quel periodo, piatto e grigio come tutto il
resto.
Si
soffermò ancora un po' su quell'immagine. Squadrò
la sua postura:
braccia conserte e volto fin troppo gioioso. Cercò di
catturare
tutto
di quella
copertina, come se fosse la sua ultima opportunità di
vederlo.
Fece
scorrere lo sguardo su quei tatuaggi che conosceva tanto bene, e
improvvisamente le vennero in mente tutte le notti passate a
studiarli, a studiare quella pelle, le linee irregolari e
morbide, i
colori sgargianti sopra i quali tante volte si era distesa; la sua
pelle bianca contro quella di Zacky. Ricordava la strana sensazione
di quando sfiorava i tatuaggi di Zacky con la pancia e ne sentiva i
contorni, era una sensazione che le aveva sempre fatto venire i
brividi. A quel pensiero chiuse gli occhi e cercò si
scacciarlo
via, ma esso non azzardava a muoversi di li, riviveva quei momenti
ancora nitidi nel suo cervello, emozioni troppo forti da poter
ignorare.
In
pochi secondi aveva già il groppo in gola e lo stomaco
sottosopra.
Ancora non poteva credere di starsene andando via da quella vita che
aveva sempre amato. Ma anche lei sapeva che infondo sono queste cose
che compongono la nostra esistenza, e anche quando tutto sembra
andare per il verso sbagliato troveremo sempre qualcosa su cui
aggrapparci.
Eloyn
prese la rivista dallo scaffale e la pagò alla cassa. Sapeva
che
stava sbagliando, ma per lei quell'appiglio erano le poche immagini e
i pochi ricordi che aveva di lui.
Ricordava
di aver avuto un passato mai vissuto. C'era stato un tempo, quando
era molto piccola, di cui non aveva più ricordi, e chi
poteva sapere
se fra molti anni avrebbe dimenticato tutto di quegli attimi. E
avrebbe voluto dire tanta sofferenza per niente, tante lacrime
sprecate per poi dimenticare, e si disse che non poteva
permetterselo, anche se quella sua presa di posizione avrebbe
comportato rimanere agganciata ad una realtà i cui non
faceva più
parte, ormai.
Strinse
a sé la rivista come se non ci fosse niente di
più bello al mondo.
E non c'era niente di più bello al mondo di Zacky. Niente
che
sarebbe stato in grado di sorreggerla se mai fosse caduta. Niente
come il suo sguardo, niente come il suo carattere. Niente come il suo
modo di sussurrarle “ti amo” in ogni momento utile.
Niente come
era solo lui al mondo. E sapeva per certo che la sua vita sarebbe
valsa niente senza lui e senza Huntington Beach.
Persa
nei suoi pensieri ebbe un sussulto quando una fredda mano le si
posò
sul braccio.
«
Eloyn.. »
La
prima cosa che pensò quando sentì quella voce fu
che doveva stare
veramente male per immaginarsi certe cose, ma non poté
davvero
credere ai suoi occhi quando si voltò e vide Zacky guardarla
con
quei soliti occhi da cane bastonato che le faceva quando aveva fatto
qualcosa di sbagliato e voleva farsi perdonare, anche se quella era
un'immagine un po' più malandata e martoriata.
«
C-cosa ci fai qui...? »
Una
lacrima le stava scendendo velocemente su una guancia e se la
asciugò
subito con la manica della felpa.
Zacky
la guardò negli occhi come se avesse paura di non poterla
più avere
indietro. Ma era stato solo quando Johnny si era presentato a casa
sua aprendogli gli occhi e tirandolo su da quella merda che aveva
capito davvero che non ne valeva la pena, e che Jimmy non avrebbe
voluto niente di tutto quello. Che si meritava di meglio da quello
schifo di vita, e quel meglio di chiamava Eloyn Mayer, e stava
proprio lì davanti ai suoi occhi.
Studiò
il contorno del suo volto spento prima continuare. Aveva i capelli
raccolti in una coda posticcia e qualche ciuffo le scendeva
lentamente lungo il collo e lungo il viso, e Zacky non poteva
capacitarsi di come riusciva ad essere semplicemente perfetta
nonostante tutto.
«
Sono stato un deficiente, perdonami se puoi... »
Era
come aggrapparsi a qualcosa che non c'era realmente, come quella
rivista. Era come tornare a respirare l'aria buona. Era come tornare
a vivere dopo tanto tempo.
Si
gettò tra le braccia di Zacky stringendogli la stoffa della
camicia
così forte che per un attimo ebbe paura di strapparla.
Scoppiò a
piangere come se finalmente ne avesse diritto, e si senti quasi una
bambina quando cominciò a singhiozzare vistosamente.
Zacky
la strinse a sé con tutta la protettività che gli
era stata
concessa, pensando, tra sé, che una creatura fragile come
era Eloyn
non meritava tutto quello. E la amava ancora più di prima
solo per
essere riuscita a sorreggere tutto quel peso in una volta sola. Ed
è
inutile dire che anche lui pianse per quella gioia ritrovata.
«
Ti amo Eloyn »
Eloyn
non rispose ma si limitò a stringerlo ancora più
forte, sperando
solo che non fosse un sogno dal quale si sarebbe dovuta risvegliare.
Non
disse niente per paura di rovinare tutto, perché aveva
capito che
certi rapporti sono troppo fragili per rischiare di essere mandati in
fumo, e che a parlare troppo a volte ci si fa del male senza
rendersene conto.
Ma
alla fine di tutto, il resto non conta niente quando perdi tutto
ciò
che hai, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ma
troverai sempre un modo per tirarti su dalla merda in cui sei caduto.
Un appiglio che può essere una stupidissima rivista
– come quella
che Eloyn aveva lasciato cadere atterra poco prima – o
più
semplicemente la persona che ami. Perché l'amore
è una cosa più
facile di quel che ci si aspetta. E' un po' come fare 2+2, ma basta
davvero poco per mandare tutto a puttane e rischiare di perdere il
treno di una vita.
Ma
ci sono anche casi, come quello, in cui il treno, stranamente, passa
due volte, e allora tu non puoi fare altro che approfittarne
e continuare a vivere il tuo piccolo sogno come se niente fosse
successo, e riuscire anche a perdonare qualsiasi errore sia stato
fatto, perché per una dannata volta, ne va della tua stessa
felicità.
*
Note.
Un
grazie immenso a tutti quelli che hanno letto o recensito recensito
l'ultimo capitolo, in particolare HelixDeath
e Vans
Vengeance.
I
ringraziamenti sommativi li lasciamo per l'epilogo che verrà
pubblicato il prima possibile, ma comunque mi sento in dovere di
iniziare a dire Grazie in particolare ad Alessia (Keiko
su EFP),
per le bellissime “chiacchierate”, i mille consigli
di
grafica/scrittura e vita, a Silvia (Lady
Numb)
perché è una tragedia vivente, a Lucrezia (BBBlondie)
perchéssipuntoestop e aSimona (Arimi_chan)perché
è stata la prima in assoluto a recensirmi qui su EFP. Grazie
a tutte
per avermi sopportato sempre e comunque, chi all'interno e chi
all'esterno della fanfiction. Siete fantastiche, ragazze!
E
adesso mi sento che devo morire perché sembrava una lettera
di
addio! XD
Comunque
grazie a chi vorrà recensire anche questo ultimo capitolo.
|
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Capitolo 19 *** Epilogo - Memorie di spettri ***
Avvertimenti: Questo
è l'epilogo, non ho davvero niente da dire.
*
Aveva chiamato Johnny poco prima, per dirgli qualcosa – non
sapeva nemmeno lui cosa
–, stava cercando una scusa qualsiasi per sentire la voce di
un amico. Avevano parlato un po' del più e del meno, quando
entrambi sapevano che lo facevano solo per non affrontare la
realtà dei fatti e sbattersi in faccia le porcate che erano
successe. Come se esistesse una legge non scritta che impedisse loro di
parlare di qualcosa di davvero rilevante.
« Eloyn se ne torna a Washington e Zacky la sta andando a
recuperare..»
« Cosa ti aspettavi, che l'avrebbe lasciata andare
così? »
« A dire la verità mi aveva quasi convinto con la
sua sceneggiata da ubriaco folle »
« Sei ingenuo, Johnny. Quella ragazza gli ha fuso il
cervello... »
« ... »
« ... »
« Tu invece come stai? »
« Di merda »
C'era stato un bacio, un piccolo e insignificante bacio poi
più niente. Michelle non si era fatta più
senitre, e nemmeno Brian aveva accennato a volerla chiamare. Si era
convinto che non erano ancora pronti, che non ce l'avrebbero fatta ad
affrontare le raffiche di vento fino alla fine della tempesta. Si era
detto che quello non era ancora il loro momento, pur di non tuffarsi a
picco in una realtà che poteva prospettarsi un po'
più crudele di quel che si era sempre immaginato. E'
inevitabile: in certi casi l'unica cosa che ti viene nturale
è cercare di stare a galla più tempo possibile,
ma poi arriva il momento di fare i conti con ciò che sta
sotto e che cerca di portarti giù nell'abisso.
Nella sua testa, tra tutti i pensieri più contorti,
soggiornava quell'idea un po' insana che lo avrebbe visto affogare
rovinosamente se solo avesse lasciato avvicinarsi Michelle alla sua
vita. Per fortuna e nonostante tutto, sapeva bene che non era
così.
« Chiamala, Brian, vai da lei. So cosa stai facendo: ti stai
chiudendo in te stesso cercando di respingere indietro il mondo, ma
nella vita non funziona così, bisogna alzare la testa e
affrontare qualsiasi sfida ci si pari davanti, prendere il toro per le
corna e farlo andare dove vuoi tu.. Non hai più niente da
perdere. »
« E tu, Johnny? Cos'hai da perdere, tu? »
Già, cos'aveva da perdere? Passava il tempo a dispensare
ottimi consigli a destra e a manca, ma della sua vita non ne faceva
niente. Cos'era che voleva realmente? Silvie era ciò che
voleva. Una vita che potesse finalmente tornare ad essere quella di
prima, seppur con qualche ammaccatura. La tranquillità di
poter chiamare quel posto di nuovo casa.
Il suono sordo di un messaggio in arrivo gli rimbombò
nell'orecchio.
« Ti devo lasciare, mi è arrivato un messaggio
»
Chiuse la conversazione e aprì il messaggio.
From: Silvie. To: Johnny.
- H 4:32 p.m.
Sai, fuori piove. Non
è che verresti ad aprirmi?
Per poco non gli prese un infarto quando lesse quella frase. Lascio che
il cellulare gli cadesse di mano e corse verso la porta d'ingresso.
Quando la aprì vide Silvie con qualche valigia in mano
guardarlo con il volto più preoccupato del mondo. Era
completamente bagnata e continuava a pioverle in testa. Anche in quelle
condizioni, Johnny si disse che era sempre bellissima.
« Puoi perdonarmi? »
Johnny non rispose. Semplicemente la abbracciò con tutta la
carica che aveva in corpo e la sollevò da terra, e
sentì la pioggia battergli forte addosso.
Le diede il bacio più desiderato della sua vita, quello
più atteso e anche il più bello.
Rimasero lì per qulache secodo prima di accorgersi di essere
entrambi bagnati. Johnny si voltò tenendola per mano e la
condusse fino all'ingresso di casa. Sentiva la sua presenza alle
spalle, forte come non mai, e decise che da lì in poi non
sarebbe importato niente di cosa sarebbe successo. Erano lì,
in quel momento, e il resto del mondo poteva aspettare
*
Quando Brian chiuse la comunicazione con Johnny si sentì un
emerito cretino. E poi, il piccolo Johnny ci prendeva sempre. Cosa ci
stava facendo lì? Cosa stava aspettando, appesaoad un filo
nel vuoto?
Riprese il cellulare tra le mani e compose il numero di Michelle,
aspettò qualche secondo e dopodiché una
fastidiosa vocina lo avvertì che il cullelare era spento o
non ragiungibile. Gli tremavano le mani e sentiva come una forte
pressione al cuore. Tuttavia, essa poteva essere un nonnulla in
confronto alla centrifuga di emozioni dalla quale stava, lentamente,
uscendo.
C'era stato qualcosa, tra loro, qualche giorno prima, qualcosa che
assomigliava molto a quell'amore di sempre, quello che tutti sembravano
aver dimenticato ma che nessuno dei due aveva il coraggio di eliminare.
E se quel qualcosa c'era davvero stato, se non era solo una sua stupida
fantasia, che senso aveva aspettare un segno del destino? Prendere il toro per le corna e
cambiare la propria vita come vogliamo.
Prese le chiavi dell'auto e si diresse fuori, girò la chiave
nella toppa - una, due volte - e poi ci rinunciò. Era
petetico, sembrava di stare in un film in stile anni 2000, quando
l'originalità aveva iniziato a mancare.
Sbatté violentemente una mano sullo sterzo e si
maledisse del gesto fatto qaundo essa cominciò a pulsargli.
E a quel punto si era sentito così tanto un verme che non
gli importava più niente, magari avrebbe giocato anche la
carta della compassione.
Scese dall'auto e iniziò a correre più forte che
poteva, sotto quella pioggia che poteva significare un miliardo di
cose. Sotto quella pioggia che quasi gli sembrava Jimmy che lo toccava,
sferzante, sul volto. Corse ancora più veloce con tutta la
rabbia che aveva in corpo mentre le sue lacrime si confondevano con le
gocce di pioggia. Corse finché non arrivò a casa
di Michelle e si attaccò letteralmente al campanello,
ansiamndo per la fatica. Doveva avere davvero un brutto aspetto, vista
la faccia di Michelle quano lo vide.
« B-Brian? Ma che ci fai qui, completamente bagnato?
»
« Ascolami bene. Mi sono appena fatto sette isolati a piedi
perché il tuo maledettissimo telefono è staccato
e la mia fottuta macchina ha deciso di abbandonarmi proprio oggi. E
l'ho fatto solo per dirti che ti
amo.
Jimmy è morto, tu mi hai lasciato e la mia vita non ha
più senso. Non ho più niente da perdere ma
qualcosa da poter guadagnare... quella sì. E quel qualcosa
sei tu. E se avrò te allora la mia vita sarà
completa, perché per me tu vali tutto, Michelle, tutto. Ti amo come
non ho mai amato nessun'altra al mondo e farei di tutto per farti
tornare da me. E quella storia di Chel- » venne interrotto da
un leggero accenno di Michelle. Aveva aperto la bocca e sollevato una
mano come a voler parlare, poi si era portata nervosamente l'altra mano
alla bocca e ci aveva ripensato. Lo guardava con un espressione tra il
sorpreso e lo sconcertato. Con la bocca semi aperta e le lacrime agli
occhi e il respiro bloccato.
« Io.. io.. non so che dirti, Bri.. »
rispose accennando a dei vaghi sorrisi ad intermittenza.
« Dimmi che mi sposerai » replicò lui,
prendendole le mani.
Michelle ebbe un sussulto per il contrasto tra caldo e freddo.
« Io, io credo.. di sì. »
Tutta l'adrenalina che Brian aveva in corpo sembrò
sprigionarsi in quel momento. Fece un passo avanti e le prese il viso
tra le mani baciandola lentamente, come a non voler fare troppa
confusione e tornare al punto di partenza.
A qualche isolato di distanza l'ultima dei sopravvissuti camminava a
passo spedito. L'ultima dei caduti di quelle macerie. E l'ultima che,
malgrado le intenzioni, non era riuscita ad abbandonare Huntington
Beach. Chesea era tornata, e si trascinava velocemente verso quella che
poteva chimare casa sua, sperando con tutta se stessa che Eloyn non
avesse deciso di cambiare serratura per la rabbia. Si trascinava
appresso quella valigia troppo piccola per contenere una
città intera. E poteva giurare di aver provato davvero a
dimenticarti il mare della California, ma era stato tutto inutile.
Quello spazio che non c'era, in quella valigia, non lo avrebbe mai
potuto abbandonare.
*
Era quello che gli era sempre mancato: stare lì difornte ad
un mare di persone che cantavno le sue canzoni; e correre su e giu per
il palco come un bambino agitato; e fondersi con la stessa musica che
gli era uscita dal cuore la prima volta che aveva preso in mano uno
strumento, diventando, insieme ad essa, un'unica cosa. Un prodotto
magnifico il cui solo scopo era quello di farlo sentire bene.
Nonostante questo, tutto quello che era sucesso dopo – la
loro vita che riprendeva il lento scorrere di sempre, le azioni
quotidiane e di seguito quel tour europeo e tutto il resto –
era di una stranezza inaudita. Torni a fare cose che pensavi ormai
finite, con mille tasselli di colore diverso rispetto allo sfondo. Era
come se qualcuno si fosse sbagliato e avesse completato il puzzle della
tua vita con i pezzi di una vita diversa, poi ti svegli e ti ricordi
che tutto è esattamente come deve essere. E con il tempo
impari anche a capire che quei pezzi, anche se stonano, sono sempre
meglio del vuoto, e ti concentri su quello che invece è in
perfetta armonia.
Facendo un resoconto veloce della sua vita, Zacky aveva capito fin
troppe cose: che le persone sono dannatamente fragili e che il mondo
è un posto troppo violento da abitare, ma anche che ormai
erano lì, tutti sulla stessa barca, e tanto valva
dimostrarsi all'altezza; che le persone cambiano e tu nemmeno te ne
accorgi, e non ti resta che subirne le coseguenze; e che ci sarebbero
mille motivi per soffrire, ma se li sommi tutti insieme capisci che in
realtà non ne vale la pena.
Il problema, fin dall'inizio, era stato che Jimmy non poteva essere
maggiormente coinvolto nella musica. Per un musicista, questa era la
cosa peggiore che poteva capitarti. Perché se prima avevi la
tua valvola di sfogo, il tuo modo di incanalare le emozioni, dopo una
cosa del genere rimani semplicemente solo e perso, come se la tua vita
fosse d'un tratto un labirinto in cui non sei abituato a vivere. E
tutto assume un significato profondo molto diverso da quello che
ricordavi, molto più grigio del solito.
Il dolore che si prova a riprendere in mano una chitarra è
una cosa che può provare solo che c'è dentro, e
nessuna parola in eccesso può descrivere bene quella
sesazione. Perché per la prima volta nella sua vita, Zacky
si era sentito tradito dall'unica cosa che non doveva farlo, la musica
- che continuava imperterrita a far scorrere nella sua testa scene di
vita quotidiana che gli erano così familiari - ed era una
sensazione che non avrebbe mai augurato a nessuno.
Zacky
P.O.V
Il concerto è finito da qualche minuto e come sempre sono
convinto di aver dato il massimo.
Ogni concerto mi sorprende da quando abbiamo ricominciato a suonare, e
la carica dei fan è sempre impagabile. Per la prima volta,
da quando il tour è iniziato, ho sentito di aver ritrovato
nel palco quella familiarità che pensavo persa senza Jimmy;
il piacere di suonare e scatenarmi, questa volta, però, con
il sorriso sulle labbra.
Poco dopo l'uscita di Nightmare abbiamo rilasciato anche la canzone che
avevamo ritrovato sul foglietto a casa di Jimmy. Il contributo di Val
è stato essenziale per arrangiare le varie parti in maniera
più fedele che mai al volere di Jimmy.
Abbiamo ricominciato a fare concerti quasi subito – avevamo
capito che infondo l'unico modo per andare avanti era ricominciare a
fare ciò che ci riusciva meglio, - e alla fine non ci siamo
pentiti della scelta fatta. Abbiamo iniziato un tour europeo al fianco
di milioni di batteristi sempre diversi, e a nessuno di noi importava
davvero chi ci fosse seduto su quella batteria, se non era Jimmy.
C'è stato un momento, dopo che le cose si erano
stabilizzate, in cui abbiamo superato un confine immaginario dopo il
quale abbiamo capito che le cose potevano solo migliorare o rimanere le
stesse. Abbiamo toccato il fondo tutti insieme, aggrappandoci alle
spalle di chi ci era vicino e trascinadolo inevitabilmente
giù con noi.
Credo che Matt sia stato il primo a rendersene conto, quando
capì che ogni suo atteggiamento influenzava Val e in qualche
modo la faceva peggiorare. Ed è li che ha deciso di
rialzarai e combattere, e lo abbiamo seguito tutti. Sotto questo velo
di eroismo, tutti sappiamo che il merito è stato unicamente
di Val. Lei è sempre stata quella forte, tra i due. Se
davano retta a Matt si erano già lasciati da qualche anno
buono, e quando sembrava aver ceduto, si era rialzata e aveva fatto il
culo a tutti, come sempre. Sembra quasi che abbia imparato a vivere
anche senza Matt, ora che Jimmy non c'è più. E'
più indipendente. Riesce a venire fuori meglio ed
è più spontanea, e sono sicuro che questo faccia
parte dell'effetto Sullivan, perché uno come lui non poteva
andarsene senza lasciare qualcosa di buono dietro di sé. E
infatti qualcosa di buono ha lasciato ad ognuno di noi.
Vedete, le storie d'amore, quando l'amore è vero, per il 90%
dei casi vanno a finire bene. Ed è stato per questo che
mentre io andavo a salvarmi la vita, in quell'aereoporto, Brian si
è fatto ben sette isolati a piedi sotto la pioggia.
Così del disastro con Chelsea è rimasto solo il
ricordo di una vecchia vita, quella che ci siamo appena lasciati alle
spalle, e dalla quale siamo usciti più forti. Anche Silvie e
Johnny sembrano andare bene insieme. Non dico che si
sposeranno, ma Eloyn continua a dire che non ha mai visto sua sorella
così felice come quando è con lui, e non stento a
crederle. Alla fine anche lei si è lasciata ammaliare dal
fascino della California, le ci è voluto solo un po' per
assimilare la morte di Jimmy.
L'unica che credo non stia ancora troppo bene è Chelsea.
Avea accennato a volersi trasferire, ed era anche partita, sembrava
molto convinta. E invece poi è ritornata qausi subito,
sconfitta dal senso di colpa e dalla rabbia, con il volto celato dietro
a quel velo di rassegnazione che le segna tutt'ora gli occhi con una
leggera ombra scura attorno. Non fa molto, nel senso che non vive
molto. Passa la maggior parte del tempo a piangersi addosso accanto a
Jimmy. Eppure è solo in quei momenti che puoi senitre il suo
cuore battere ancora. Se la vedi aggirarsi nei pressi del cimitero con
un libro sottobraccio o con le cuffie alle orecchie, allora puoi avere
la possibilità di vederla sorridere, a volte. Ma quando ci
parli ti accorgi della sua insormontabile sofferenza in ogni singola
parola che esce dalla sua bocca. Sinceramente stento credere
che si riprenderà come ha fatto Eloyn. A lei viene tutto
facile se la paragoni ad una come Chelsea, che è fragile e
indifesa.
Chelsea ha amato Jimmy con tutta se stessa, corpo e anima, anche se per
poco tempo. E infatti riesce a capirci bene, lei, a noi che ci siamo
cresciuti.
E poi ci siamo noi, e non faccio in tempo a pensarci che sento il
cellulare squilarmi nella tasca dei jeans e faccio appena in tempo e
trovarlo e a leggere il nome sullo schermo. Rispondo e vado fuori dallo
stabile dove alloggiamo.
« Hey »
Tengo il cellulare tra l'orecchio e la spalla mentre cerco in tasca il
pacchetto di sigarette e me ne accendo una.
« Hey » risponde Eloyn.
« Come stai? » le chiedo, serio.
E' un mese che non la vedo e può sembrare poco tempo, in
realtà senza di lei un mese può durare
un'eternità.
Da quando la situazione si è stabilizzata siamo tutti un po'
più sereni, per quello che le condizioni ci permettono. Ma
stare lontani ormai è diventato troppo pesante.
Perché lei c'è stata quando piangevo sulla tomba
di Jimmy, a sorreggermi, a dirmi "ce la puoi fare, puoi andare avanti".
Non so, ma credo che senza di lei io sarei un uomo morto. Sarei
diventato matto, senza ombra di dubbio. Perché per quanto
posso essere stato cretino o posso aver sbagliato; per quanto la morte
di Jimmy mi abbia cambiato, lei c'è sempre stata. Sempre.
« Bene, ma mi manchi »
Parla piano, Eloyn, ed ha il tono di voce troppo debole per i miei
gusti.
« E' successo qualcosa? »
« No »
E mi piace anche perchè è così,
bisogna tirarle fuori le parole di bocca per farla parlare.
« Eloyn, ti conosco troppo bene ormai. Che c'è che
non va? » che tira su col naso e mi si stringe il cuore a
sentirla così.
« E' che mi manchi. Questa città è
vuota senza di te. » un sospiro di sollievo perché
so che questa è l'ultima data del tour europeo.
« Domani torno. Massimo dopodomani sono di nuovo in casa ad
assillarti. » ironizzo cercando di farla setire
meglio. Abbiamo iniziato a convivere da una settimana dopo la scena
all'aereoporto. Eravamo entrambi convinti, e lo siamo tutt'ora, che
stare insieme ci avrebbe aiutato ad andare avanti a piccoli passi, e
così è stato. Perché lei è
diversa dalle altre, perché mi ha visto crescere come
nessun'altra aveva mai fatto.
Lei accenna una risata, ma si sente chiaramente che ha pianto, almeno
un po'.
Mi siedo atterra con la schiena appoggiata al muro e inspiro un tiro
dalla mia sigaretta.
« Non sarai mai assillante, lo sai. »
« Giuramelo » Sorrido.
« Te lo giuro »
« Mi manchi anche tu »
E immagino i tratti del suo volto. Le sopracciglia corrugate mentre
cerca di imparare a suonare la chitarra che lo ho regalato per il suo
ultimo compleanno, due mesi fa.
Ci ripenso e mi torna in mente la tristezza che ha avvampato ogni
momento felice della nostra esistenza dalla morte di Jimmy. Penso anche
che non sarà così quando tornerò. Non
perchè la situazione sia cambiata –
perché sono sicuro che la voragine al petto
rimarrà ancora aperta a lungo, forse per sempre –
ma perché sono io ad essere cambiato. E' come quando piangi
e sfoghi tutta la tua rabbia e quando hai finito ti senti leggero e
privo di qualcosa di negativo che prima ti tormentava, ti senti
sollevato, non bene, ma sollevato. Così mi sento anche io,
come dopo un lungo pianto, durato quasi un anno. Ma so che da oggi,
dopo quest'ultimo concerto, Jimmy sarà solo la presenza
costante nella mia vita, che mi accompagnerà e mi
aiuterà ad andare avanti invece che tenermi bloccato nel
passato.
« Come va con la chitarra? »
« Senza di te, davvero un disastro »
« Ma il padre di Brian che fine ha fatto? »
« Ci siamo stufati! Lo sai come siamo fatti, come siamo
caratterialmente uguali e di conseguenza incompatibili. Siamo arrivati
ad un punto che non ci sopportavamo più. »
Rido immaginandomi la scena.
« Povero Brian! »
Lei fa la finta incavolata e se la prende con me.
Continuiamo a parlare per quasi tutta la notte. Perché non
riuscirei a dormire sapendo che domani torno da lei. E mi racconta un
po' tutto quello che ha fatto in quel mese. Tutto quello che le
telefonate rubate tra un concerto e l'altro non mi hanno concesso di
sapere. E capisco di aver trovato qualcuno su cui contare per il resto
della mia vita. Capisco di amarla più della mia stessa vita.
« Ti amo »
Le dico guardando l'alba sorgere. Da lei sarà appena sera.
« Sto guardando il tramonto dal balcone »
E' sempre stato il nostro momento, il tramonto sul balcone.
« Io l'alba »
E posso far finta che quest'alba sia un tramonto, anche se i due non si
assomigliano per niente. E allora, quest'alba diventa un tramonto
diverso, un tramonto freddo perché non c'è lei a
scaldarlo. Ma per la prima volta nella mia vita, quest'alba per me non
lo è affatto.
« Ti amo.. » sussurra lei.
So che sta sorridendo come fa sempre ogni volta che lo dice. Con quel
sorriso capace di bloccarlo, un tramonto. Che se solo volesse potrebbe
distruggere l'universo.
« .. più della mia stessa vita
» concludo la frase al posto suo.
E alla fine cosa ci resta?
Flebili memorie di spettri del passato.
Quel bagaglio che ci porteremo dietro per l'eternità.
*
Note. E
siamo quandi giunti alla fine. Posso solo dire che ora che ho
concluso la mia prima fanfic sono certa che mi rimarrà nel
cuore per sempre. Magari fra quache anno la rileggerò e mi
renderò conto di quanti errori gramaticali ci siano, tutti
quelli di cui non mi sono accorta.
Come sempre, sento di dover ringraziare chi ha recensito, anche una
volta sola, e chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui.
Il grazie più grande va a gli Avenged Sevenfold che mi hanno
"avviata" al mondo della scrittura. Se non fosse stato per loro non
avrei preso niente di tutto ciò davvero sul serio.
Perciò, se volete commentare qualcosa, questa è
la vostra ultma opportunità di farlo, e non so
perché questa frase suoni molto come una televendita. XD
Un bacio immenso a tutti e per chi fosse interessato, sto scrivendo una
nuova fic sulla sezione Paramore. La trovate qui.
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