Here without you

di ElizabethLovelace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grimmauld Place, 1. ***
Capitolo 2: *** Grimmauld Place, 2. ***
Capitolo 3: *** Grimmauld Place, 3. ***
Capitolo 4: *** Grimmauld Place, 4. ***
Capitolo 5: *** Grimmauld Place, 5. ***
Capitolo 6: *** Grimmauld Place, 6. ***
Capitolo 7: *** Grimmauld Place, 7. ***
Capitolo 8: *** Grimmauld Place, 8. ***
Capitolo 9: *** Extra - Sirius, 9. ***
Capitolo 10: *** Hogwarts, 10. ***
Capitolo 11: *** Hogwarts, 11. ***
Capitolo 12: *** Hogwarts, 12. ***
Capitolo 13: *** Extra - Prudenza, 13. ***
Capitolo 14: *** Natale, 14. ***
Capitolo 15: *** Natale, 15. ***
Capitolo 16: *** Natale, 16. ***
Capitolo 17: *** Natale, 17. ***
Capitolo 18: *** Fotografie, 18. ***
Capitolo 19: *** Fotografie, 19. ***
Capitolo 20: *** Hogwarts, 20. ***
Capitolo 21: *** La Stanza dei Misteri, 21. ***
Capitolo 22: *** Grimmauld Place, 22 ***
Capitolo 23: *** Estate, 23. ***
Capitolo 24: *** Estate, 24. ***
Capitolo 25: *** Estate, 25. ***
Capitolo 26: *** Extra - La storia di Lupin in Grimmauld Place, 26. ***
Capitolo 27: *** Hogwarts, 27. ***
Capitolo 28: *** Hogwarts, 28. ***
Capitolo 29: *** Hogwarts, 29. ***
Capitolo 30: *** Hogwarts, 30. ***
Capitolo 31: *** Hogwarts, 31. ***
Capitolo 32: *** Hogwarts, 32. ***
Capitolo 33: *** Hogwarts, 33. ***
Capitolo 34: *** Hogwarts, 34. ***
Capitolo 35: *** Hogwarts, 35. ***
Capitolo 36: *** Hogwarts, 36. ***
Capitolo 37: *** Extra - Alcune note, 37. ***
Capitolo 38: *** Natale, 38. ***
Capitolo 39: *** Natale, 39. ***
Capitolo 40: *** Natale, 40. ***
Capitolo 41: *** Natale, 41. ***
Capitolo 42: *** Natale, 42. ***
Capitolo 43: *** Hogwarts, 43. ***
Capitolo 44: *** Hogwarts, 44. ***
Capitolo 45: *** Hogwarts, 45. ***
Capitolo 46: *** Hogwarts, 46. ***
Capitolo 47: *** Hogwarts, 47. ***
Capitolo 48: *** Hogwarts, 48. ***
Capitolo 49: *** Extra - Ritorni, 49. ***
Capitolo 50: *** Hogwarts, 50. ***
Capitolo 51: *** Crisi, 51. ***
Capitolo 52: *** Bellatrix, 52. ***
Capitolo 53: *** San Mungo, 53. ***
Capitolo 54: *** San Mungo, 54 ***
Capitolo 55: *** Extra - Note, 55 ***
Capitolo 56: *** San Mungo, 56. ***
Capitolo 57: *** Hogwarts, 57 ***
Capitolo 58: *** Hogwarts, 58 ***
Capitolo 59: *** Extra - Un sogno, un bacio, un lupo, 59. ***
Capitolo 60: *** Rivelazioni, 60. ***
Capitolo 61: *** Extra – San Mungo di molti anni prima, 61. ***
Capitolo 62: *** Grimmauld Place, 62. ***
Capitolo 63: *** Grimmauld Place, 63. ***
Capitolo 64: *** Grimmauld Place, 64. ***
Capitolo 65: *** Profezie, 65. ***



Capitolo 1
*** Grimmauld Place, 1. ***


***RIVEDUTO E CORRETTO***



Grimmauld Place, 1


1.
Urlare. Questo voleva.
In realtà l’aveva già fatto, l’aveva fatto fino praticamente a quel momento, ma era diverso. Harry aveva afferrato la bacchetta pensando che in fondo Ron e Hermione non si meritavano quella sua sfuriata, ma che lui avrebbe dato chissà cosa per poter gridare davvero.
Insomma, che senso aveva tutto quanto? Combattere senza averlo scelto, rischiare la vita, sfuggire per l’ennesima volta a Voldemort se poi lo tenevano all’oscuro di tutto come un bambino? Davvero, avrebbe voluto rotolarsi a terra e battere i pugni contro il pavimento e sfondare un paio di mobili e non aver paura, per una volta, di sembrare pazzo. Ma cominciare proprio quel giorno, lì a Grimmauld Place poco prima di un processo contro la sua condotta, forse non sarebbe stata la scelta più intelligente del mondo. Quantomeno non la più elegante, aveva provato a convincersi. A proposito di eleganza gli sembrava già di sentire i commenti di Malfoy: “L’ho sempre detto che Potter non aveva le rotelle in ordine, e adesso ha perso la brocca del tutto!”
Ci sono dei giorni peggiori di altri, aveva pensato rigirando tra le mani la bacchetta; l’aveva accostata ad un bastoncino fingendo di tenere una fionda. Per cosa, rompere un vetro? Signori e signore, Harry Potter il vandalo.
Ripensandoci, gli sembrava fossero passati non più di dieci secondi da quando Leotordo, il gufo strampalato di Ron, era piombato in camera sua a Privet Drive, talmente eccitato all’idea di essere arrivato fin lì senza perdersi che Harry aveva dovuto ficcarlo in tutta fretta tra le coperte, dal momento che zio Vernon stava correndo di sopra a controllare cosa fosse il chiasso che l’aveva svegliato; aveva seguito l’omone verso il suo castigo con un sospiro rassegnato, pregando che il gufetto non creasse troppi disastri nel frattempo, ed in verità si era innervosito non poco quando, tornando, l’aveva sorpreso a dormirsela beato ancora sotto le coperte, caldo e frullante come un pulcino.
Poi era successo qualcosa di strano. Mentre ricordava i recenti avvenimenti la foto dei suoi genitori si era mossa da sola. Tlac.
Harry l’aveva presa delicatamente tra le mani: non sapeva perché portasse sempre con sé quella foto e non altre, a dire il vero. Al momento in cui era stata scattata non erano ancora sposati, erano giovani e molto sorridenti. Perché non ne aveva scelta una in cui lui era con loro, già nato?
Forse la spiegazione stava semplicemente nel fatto che gli mancavano. Non solo i genitori, ma anche le persone: il mondo magico era pieno di gente che li aveva conosciuti ed amati, e lui aveva sofferto così tanto per non poter conoscere davvero come fossero! Più ne sentiva parlare, più avrebbe voluto saperlo davvero. Si era guardato allo specchio: va bene, si era appena sfogato, ma in genere non poteva dire di essere particolarmente bello o affascinante. La cicatrice occhieggiava da sotto i capelli e per prima aveva attirato la sua attenzione, come sempre. Harry si era tolto gli occhiali, studiandosi più da vicino, seguendo la linea decisa del naso, i lineamenti così simili a quelli di suo padre. Eppure lui, da quel che ne sapeva, sembrava avere un certo successo con le ragazze. Magari sarebe piaciuto anche a Cho. Forse il segreto non stava nei lineamenti, ma in come venivano usati: come rideva, suo padre? Faceva delle smorfie speciali? Gli sarebbe piaciuto saperlo. Gli occhi, invece, avevano un taglio diverso: tutti, anche i maghi che l’avevano scortato fin lì da Privet Drive poco prima, gli assicuravano che erano identici a quelli di Lily... sua madre. A lui gli occhi di sua madre erano sempre sembrati molto trasparenti.
Davvero, ci sono dei giorni peggiori di altri, aveva pensato. Giorni che vorresti ricominciare da capo o non aver cominciato affatto. Perché non se n’era rimasto a dormire e non era passato direttamente al mattino successivo? E va bene, si era convinto, ormai è andata. In fondo, cosa può succedere ancora?
Per esempio, che il tuo baule prenda fuoco.


* * *


Completamente nel panico aveva provato un incantesimo di disarmo, urlando un alquanto roco Expelliarmus che non aveva sortito nessun effetto utile. Aveva saltellato per la stanza tra il pandemonio, cogliendo in un istante anche il lato comico di quella stentata danza di guerra. Alla fine, non sapendo che fare, era riuscito in qualche modo a spingere il baule fuori dalla stanza, sicuro che ci sarebbe stato qualcuno più esperto pronto ad aiutarlo. Anche solo Hermione.
Sempre che non ce l’abbia a morte con me, ora.
Il baule era piombato dalle scale con un rimbombo terribile e Harry l’aveva seguito a ruota. Ron, Hermione e gli adulti presenti erano accorsi spaventati, accompagnati dalle urla stridule del ritratto della signora Black, che come quand'era arrivato aveva pensato bene di farsi sentire fino in Australia. Fortunatamente la situazione era stata risolta in breve tempo, proprio come Harry aveva sperato, e dopo che tutti quanti avevano tirato un sospiro di sollievo Sirius aveva iniziato a spiegargli che potevano capitare dispetti di quel tipo, a volte. Era colpa della casa.
Dispetti?”
“Beh, sì. Vedi Harry...”

Un chiasso improvviso aveva bloccato il resoconto di Sirius, costringendolo ad un sospiro rassegnato: al rumore prodotto e rimbombato nella tromba delle scale Harry si sarebbe aspettato quantomeno un altro baule indiavolato piombare lì, se non proprio uno Spinato della Romania, ed era stato oltremodo sorpreso di trovarsi davanti una ragazzina minuta, non bassa ma di un’esilità che lo stupiva maggiormente, se possibile; si era precipitata giù con aria scarmigliata e gocciolante, avvolta in un asciugamano di cui poteva intravedere improbabili immagini della giungla (chissà come mai, aveva immediatamente sospettato di un acquisto del signor Weasley), chiaramente appena uscita dalla doccia. Sirius si era lasciato sfuggire un “Alla faccia della prontezza!” tra le labbra ma lei, senza sentirlo, concitata si era rivolta ai presenti.
“Allora che succede? Chi è stato? Molly, stai bene?”
Sirius aveva sospirato nuovamente alzando gli occhi al cielo ma Lupin, con un’espressione assolutamente divertita, aveva replicato: “Era solo la signora Black, non è successo nulla!”
“Oh davvero? Eppure avrei giurato… mi pareva la voce di Molly e ho pensato che stesse chiedendo aiut--”
Si era resa conto della gaffe una frazione di secondo troppo tardi, mentre la signora Weasley assumeva un istantaneo broncio, il sorriso di Lupin si allargava ancora di più sul volto come Harry tentava vanamente di ricordare di avergli visto fare ancora, e Tonks prendeva a sghignazzare alle sue spalle.
“Ma naturalmente non è che le tue urla somiglino alle sue, Molly! Voglio dire… oh insomma, lo sai che ho ancora le percezioni alterate! Per tutte le pluffe, ma tu sei Harry Potter!!!” aveva esclamato senza un minimo di preavviso nei gesti o nella voce che lasciasse intuire il cambio di direzione. In realtà a Harry era sembrata fin troppo sollevata da quella distrazione che le aveva permesso di stornare l’attenzione su un argomento meno aleatorio.
Avvicinatasi a lui, era rimasta ad osservarlo con aria cordiale a pochi centimetri dal volto. Harry, imbarazzato, continuava a non capire: vista così da vicino, con quella grande massa di capelli scuri che Sirius aveva provveduto a scostarle dal viso, doveva per forza essere una sua sconosciuta coetanea; eppure aveva la netta sensazione di aver già incontrato da qualche parte quei lineamenti minuti e quell’aria pallida. E poi che ci faceva lì? Le stava studiando gli occhi di un blu oceano incredibile quando la sua attenzione era stata attirata dal ciondolo che portava al collo, una pietra di identico colore.
“Questa è Elizabeth Lovelace, Harry.”
La voce profonda e impaziente di Sirius l’aveva distolto dall’indagine, mentre lei proseguiva la presentazione.
“Ma puoi chiamarmi semplicemente Bessie: lo fanno tutti, qui.”
Sorrideva incoraggiante ed anche parecchio carina, ed Harry non aveva potuto fare a meno di sorriderle di rimando senza riuscire a spiccicare parola; la signora Weasley con gesti rapidi e condiscendenti aveva mosso la bacchetta una prima volta, asciugandola; una seconda volta, ed era arrivata una vestaglia da una porta laterale.
“Oh, grazie mille Molly. Wow, anche la frangetta!” aveva esultato, toccandosi i capelli “Ancora non so come tu faccia con questi incantesimi casalinghi…!”
“In effetti se ci foste solo tu e Tonks staremmo freschi!” aveva borbottato di rimando la signora Weasley, dirigendosi verso la cucina mentre gli altri prendevano ad imitarla.


* * *


Harry aveva fatto in modo di rimanere indietro per chiedere spiegazioni a Ron ed Hermione, ma quest’ultima non gli aveva concesso nemmeno il tempo di aprire bocca: “In realtà è un po’ più vecchia di noi, credo.”
“Ma come--” aveva boccheggiato, sorpreso dall’intuizione dell’amica.
“Oh” aveva replicato Hermione con noncuranza, anticipandolo di nuovo “non ti stupire, non sei l’unico a sentirti interessato: per Ron ed i gemelli è stato lo stesso! Nemmeno l'avevano vista bene e già boccheggiavano.”
“Ehi, Hermione! Abbiamo un nome, sai?” era stato il coro offeso di Fred e George.
“Sì ma” Harry pareva impaziente “non dimostra molto più della nostra età!”
“Penso abbia l’età di… Fred e George, in realtà.”
“Allora come mai non è a scuola?” aveva protestato lui.
“Abbiamo provato a chiederglielo un paio di volte, ma ci liquidava con risposte tipo ‘Sono stata via’ o ‘Mi sono presa una pausa’, però mi sembra strano: io non l’ ho proprio mai vista a Hogwarts, e se ci fosse stata almeno un anno, beh…” Ron si era fermato, assumendo un’espressione sognante mentre Hermione lo fissava con profonda aria di disapprovazione “L’avremmo notata, non ti pare?”
“Hai… hai ragione.” Harry sentiva lo sguardo dell’amica su di sé, tuttavia non poteva non concordare con lui sul fatto che fosse decisamente carina “E che cos’è il ciondolo che porta al collo, poi? Mi dà una sensazione strana.”
“Be’, quello… non saprei. Non se ne separa mai, però.”
Mai? Dunque è qui da molto tempo?”
“Dall’inizio” aveva precisato Hermione, sentendosi vagamente in colpa “Infatti conosce tutti, qui. Sembra molto amica di Tonks, abbiamo pensato che siano all’incirca coetanee…”
“Sì beh, hanno pure lo stesso grado di abilità culinarie!” aveva ghignato Ron, rifacendosi evidentemente a qualche episodio che doveva trovare molto spassoso.
“Ron!” lo aveva ammonto severamente Hermione “Comunque è in rapporti con tutti, sembra conoscere bene anche Lupin e Silente, e Sirius… beh, in realtà per lui sembra avere una cotta” aveva spiegato in fretta.
“Ah davvero?” La simpatia istintiva di Harry sembrava essersi convertita in una punta di fastidio.
“Insomma, lo segue sempre con lo sguardo in un modo…”
“Pensa, Harry” era intervenuto Ron concitato “che sembra andare d’accordo persino con Piton! Non solo lei, ma anche lui, capisci!!!”
Harry stava per ribattere qualcosa di acido quando le sagome di Fred e George si erano frapposte tra lui e l’amico: “Ma la cosa più stramba della signorina Lovelace…”
“…oltre al fatto di aprire finestre ovunque...”
“F-finestre?” Harry iniziava a sentirsi frastornato.
“Beh, sì... dice di essere rimasta al buio per così tanto tempo che ora ha bisogno di tutta la luce possibile” Fred aveva alzato le spalle “Le manca l’aria.”
“E così ogni tanto ci ritroviamo con una finestra nuova per la casa.”
“Ce ne fossero poche!” aveva borbottato Ron “Poi a chi tocca pulirle?”
“Dai Ron!” l’aveva sgridato Hermione “Ci ha sempre dato una mano, quando poteva!”
Ma Harry non li stava più a sentire, meditabondo; poi era intervenuto: “Sentite… dice di essere stata via, giusto? Il buio, la pausa… non potrebbe essere stata anche lei rinchiusa ad Azkaban?”
“Impossibile!” aveva negato decisa Hermione.
“E perché, scusa? Per me Harry può aver visto giusto, invece!” era sbottato Ron, sbuffando.
“No.” aveva ribadito più piano lei, accennando a Sirius con il mento “Perché… Azkaban ti lascia il segno.”
Per un po’ erano rimasti in silenzio tutti quanti, senza sapere cosa dire a quell’osservazione terribile di Hermione; poi i gemelli Weasley avevano ripreso la parola con la solita aria scanzonata.
“Comunque…”
“...dicevamo…”
“...che non solo la signorina fa parte dell’Ordine…”
“...ma pare che ne abbia già fatto parte. L’altra volta, cioè!”
“Ma… ma… ma com’è possibile?” era toccato ad Hermione boccheggiare.
“Non lo sappiamo: Ma Mundungus se l’è lasciato sfuggire una volta, poi ha detto che non avrebbe dovuto e se n’è andato di corsa.”
“Sicuri?” Hermione era vagamente sospettosa, ma George aveva sostenuto il suo sguardo.
“Te l’ ho detto, Hermione. L’abbiamo sentito con le nostre orecchie.”
“Queste orecchie?” era intervenuta Ginny, tenendo fra le dita un paio di orecchie oblunghe.



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Capitolo 2
*** Grimmauld Place, 2. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Grimmauld Place, 2.


2. Sirius, aveva notato Harry, non doveva radersi da due o tre giorni. Anche suo padre nella foto aveva quel tipo di barba, ma la sua espressione era totalmente differente: era come, s’intuiva, fosse semplicemente troppo felice per potersi occupare di altro che non fosse Lily. Sirius invece... sicuramente stava meglio di quando lo aveva conosciuto, quei due anni lontano da Azkaban lo avevano ristabilito in parte; ma era come se ancora troppo, davvero troppo, lo tormentasse.
“Probabilmente è il fatto di doversene restare chiuso qui dentro... lo sai, non è proprio da lui!” era intervenuta Hermione seguendo la direzione del suo sguardo.
Quella sera aveva un po’ esagerato con il bere; sembrava comunque più felice del solito, per averli tutti lì... magari la signora Weasley meno, per via dei brindisi. Bessie continuava a guardarlo.
Non avrebbe saputo dire di preciso perché gli dava così tanto fastidio... che cos’era tutta quella gelosia? Era come se lo sbattesse fuori, gli togliesse spazio. Lei lo guardava sempre. Sirius invece proponeva brindisi ogni volta più bizzarri, nonostante Lupin avesse tentato un paio di volte di frenarlo. Era tornata alla carica la signora Weasley.
“Sirius, non ti sembra abbastanza? Ci sono anche i ragazzi!” aveva pronunciato con aria di rimprovero, e fulminando cogli occhi il bicchiere che il marito teneva timidamente in mano e che aveva posato all’istante, contrito.
“Su Molly, lascia divertire questi poveri uomini!” aveva biascicato dandole una pacca noncurante. “Non è mica la Tana, questa! Ancora uno, miei prodi! Moony, bestiaccia, ce la fai a tenere in mano quel bicchiere?”
Lupin, però, non aveva potuto rispondere. Le stoviglie che la signora Weasley stava trasportando per il nervosismo avevano subito una forte deviazione andando a sfiorargli la guancia nel percorso. Se l’era cavata bene, in proporzione: se Sirius non si fosse spostato, invece, avrebbe ricevuto una letale forchettata in piena fronte!
“Per la miseria, Molly!!!” aveva protestato scansandosi. “Se stai cercando di ammazzarmi mettiti in fila” aveva aggiunto poi con tono più basso, come uno scherzo non del tutto divertente.
Bessie continuava a guardarlo, sembrava a disagio. Si era alzato dal tavolo improvvisamente scuro in volto - aveva questa capacità di passare dall’esuberanza più folle alla cupezza più impenetrabile: Harry si era chiesto se facesse parte del suo carattere o fosse anche questo un retaggio di Azkaban. Hermione, però, aveva interrotto le sue congetture con una gomitata; in silenzio gli aveva indicato lo scambio di sguardi tra Lupin e Bessie.
C’era qualcosa di strano nell’aria.
Si guardavano come io guardo Ron o Hermione quando qualcosa bolle in pentola, aveva pensato Harry. Che significa? Tutte queste parole non dette, queste situazioni segrete... cosa significano? Bessie... sei davvero ciò che sembri?
Harry si era avvicinato al suo padrino perso nella contemplazione dell’arazzo di famiglia. Teneva un bicchiere in mano, e Harry l’aveva scrutato con un velo d’ansia prima di scoprire che conteneva soltanto acqua. Aveva lasciato che gli spiegasse le storie di quei nomi, di quella gente tanto diversa eppure tanto dolorosamente simile a lui. Ogni tanto si distraeva cercando di capire cosa stesse succedendo in quella casa, poi però recuperava le informazioni; Sirius sembrava non accorgersene in ogni caso.

“Comunque dovrei liberarmi di quest’arazzo anche solo per nascondere il suo nome!” aveva concluso Sirius, la rabbia mal repressa che sfociava in uno sguardo da spavento mentre con il dito puntato indicava il nome, terribilmente affascinante, di Bellatrix Lestrange.
“Lei… ha torturato i Paciock, vero?” aveva suggerito Harry in base alle informazioni di cui era in possesso. Frank e Alice Paciock erano i genitori di Neville, un suo compagno di Grifondoro: li aveva visti solo una volta, al San Mungo. Da quel che ne sapeva quella spedizione era stata una delle azioni più efferate nella storia dei Mangiamorte.
“Lei…” Sirius aveva fatto una pausa, staccando gli occhi dal suo nome. “Ha colpito Elizabeth.”
“Che COSA?!?! Ma com’è possibile?!” era esploso Harry, spiazzato.
“SSST! Non farti sentire dagli altri, Harry. Non avrei nemmeno dovuto dirtelo… meglio che tu non sappia ancora” aveva bloccato le proteste incipienti con un braccio “Sì, è stata lei. Capisci cosa significa che non sono fiero di far parte di questa famiglia?”
Harry aveva continuato ad osservarlo mentre gli spiegava il suo rapporto con quella casa, e non aveva potuto fare a meno di notare la grande agitazione che gli animava gli occhi ed i movimenti, nonostante quasi sussurrasse.Gli osservava la barba, ed era così diversa da quella di suo padre, lo vedeva sempre più chiaramente! Non sapeva che dire. Aveva ripensato allo sguardo di Bessie fisso su di lui, e chissà perché gli era sembrato molto simile a quello che doveva avere lui adesso; aveva provato la curiosa sensazione che in realtà Sirius avesse saputo di quello sguardo posato su di lui, che l’avesse sentito tutto il tempo. C’è qualcosa di strano nell’aria.
“Speriamo che almeno non sia velenoso”, aveva commentato Ron con una smorfia, e solo allora Harry si era reso conto di averlo pronunciato a voce alta; Sirius era tornato di là, e lui era rimasto da solo di fronte all’albero genealogico della dinastia Black. “Che succede?” aveva domandato il ragazzo.
Avrebbe voluto parlarne con lui. Ma in fondo che cosa poteva dire? Cosa c’era da dire? Bessie sembrava tenere terribilmente a Sirius. E lui... lui sapeva? Migliaia di idee gli frullavano per la testa, ma per una sorta di lealtà verso il suo padrino che pareva vivere così male la sua appartenenza a quel luogo aveva deciso di non parlare apertamente agli altri di ciò che aveva sentito, non ancora.



3.
Il mattino seguente Ron sghignazzava con aria trionfante. “Non posso credere che tu non abbia ancora preparato quel compito, Hermione!”
“C’è poco da ridere”, aveva protestato lei con veemenza. Da chi pensi di copiare, se io non l’ho fatto?”
L’ultima osservazione aveva strozzato in gola la soddisfazione del povero ragazzo, che era diventato tutto bianco e tutto rosso nel giro di pochi istanti. Hermione, spazientita, l’aveva piantato lì andando a cercare con urgenza una soluzione; era stato Harry a soccorrerlo pietosamente, assicurandogli che Hermione ce l’avrebbe fatta in tempo.
“Sì, ma serve un oggetto tipico dei babbani da descrivere minuziosamente" aveva obiettato lei. "Ron, davvero non puoi farti prestare qualcosa da tuo padre? Io qui non ho nulla di adatto.”
Ron aveva scosso la testa “Mi dispiace Hermione, mia madre gli ha confiscato tutto. Lo sapete com’è…” aveva aggiunto a mo’ di giustificazione, stringendosi nelle spalle.
“Sentite, e Bessie?”
“Bessie cosa, Harry?”
“Ma sì! Avrà pur qualcosa! Lei ogni tanto porta quei vestitini tipicamente babbani, tutti a fiorellini…”
“Oh già, mio padre se la mangerebbe cogli occhi!”
“Dimenticate che lei adesso è al lavoro.”
“Ho visto dove li tiene, ha aperto l’armadio con me lì… potrei forse… riportarglielo appena abbiamo finito.”
“Mmm… sei sicuro Harry?” aveva osservato Hermione. Sembrava voler capire se il suo desiderio si limitasse a questo, ed Harry aveva risposto in fretta per evitare istintivamente quell’indagine.
“Ma sì, nessun problema! Faremo veloci, e comunque sono sicuro che capirebbe!”
Hermione non pareva convinta, ma l’ansia di finire i compiti alla fine aveva avuto la meglio. “Allora muoviamoci!”, li aveva incitati.
Harry si era intrufolato nella stanza di Bessie da solo, e nel buio creato dalle dieci persiane abbassate (sintomo sicuro della sua assenza) alle dieci finestre (indizio sicuro della sua appartenenza) aveva subito distinto un chiarore anomalo, azzurrino… si era voltato per cercare di capire di cosa si trattasse e la pietra di Bessie era lì, sul comodino.
“Non l’aveva mai lasciata, la porta sempre con sé, che strano…”
Si era avvicinato per vederla meglio, e così facendo aveva scorto delle sagome agitarsi sulla sua superficie; istintivamente aveva provato a toccarle e queste improvvisamente si erano definite con maggior precisione. Erano uscite dalla superficie del ciondolo come se fino a qulel momento fossero state compresse lì dentro, e si erano materializzate al suo fianco senza perdere quella sfumatura turchese.
Una era Bessie: portava l’uniforme di Hogwarts e passeggiava, così almeno pareva, nel cortile della scuola. L’altra era… Sirius, anche lui in divisa e molto più simile a come l’aveva visto nella foto del matrimonio dei suoi genitori… giovane!
Ridevano, sembravano divertirsi; lui la teneva per mano, poi l’aveva attirata a sé e baciata.
Harry era ancora lì sbalordito che cercava di capire cosa avesse appena visto quando l’immagine si era dissolta e al suo posto era ricomparsa Bessie, questa volta nella cucina di una casa: non sentiva le voci, ma era come se le percepisse direttamente nella sua testa. Stava litigando con una donna.
“Mamma, te l’ ho già detto! Non m’interessa imparare i tuoi incantesimi casalinghi, quante volte dovrò ripetertelo?!”
“Ma sbagli! È questo che devi saper fare, non quelle porcherie combattive e inutili!”
“Come puoi dire questo, mamma!” Era infervorata, continuava a sporgersi verso la donna in grembiule e tornare indietro “Ci sarà una guerra prima o poi, Voldemort vuole il mondo e tu mi parli di cucina?”
“Baggianate di Silente” aveva replicato lei, placida. “Sempre detto, brav’uomo… ma ormai è un vecchio barbogio” aveva asserito con tranquillità. Bessie aveva provato a protestare, a impedirle di parlare in quel modo del suo preside, ma la madre aveva proseguito senza lasciarsi distrarre. “Vi riempie la testa di sciocchezze. E poi tu sei una donna: non è combattere il tuo destino.”
“Ah no?” Bessie aveva le lacrime agli occhi, spavalda ma con un sorriso amaro ed arreso, come profondamente ferito “E allora qual è, mamma? Qual è il mio compito?”
“Naturalmente…” la madre aveva buttato un occhio verso lo straccio che spolverava la credenza con tocchi impeccabili “…imparare a rendere felice il tuo uomo.”

“…Harry? Tutto bene?” la voce di Hermione era filtrata da sotto la porta raggiungendolo e scotendolo. Harry aveva afferrato il ciondolo con decisione, e uscendo dalla stanza di corsa aveva fatto cenno agli altri due di seguirlo mentre si dirigeva verso la cucina.
“Cosa? Ma Harry, lì stanno discutendo per l’Ordine… non puoi…”
Harry però aveva già abbassato la maniglia con aria sicura, trovandosi faccia a faccia con la signora Weasley.
“Harry, tesoro, lo sai che quando ci riuniamo non… oh, per la barba di Merlino, che cos’ hai lì? Remus! Remus!”
Lupin si era già voltato, con quell’istinto animale che riuscivano ad avere soltanto lui e Sirius: fissava attonito la pietra che Harry stringeva nella mano sinistra. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma gli sembrava un po’ più pallido mentre s’inginocchiava di fronte a lui per sfilargliela di mano, delicatamente ma con una certa urgenza. “Dove l’hai trovata, Harry?”
Harry riusciva a percepire lo sforzo di Lupin per mantenere il tono di voce inalterato.
“Credo l’abbia… dimenticata” il braccio sinistro era sollevato ad indicare la direzione in cui si trovava la stanza di Bessie.
Lupin si era alzato in piedi. “Non è il caso di perdere tempo.”
“Ma Remus! Non puoi andare tu, è rischioso! Se vi collegassero...”
“E allora chi... Sirius?” aveva obiettato con un sorrisetto “Non intendo rimanere qui a sperare che Eliza non abbia una crisi, Molly.” Il tono era calmo ma fermo, ed aveva indotto la signora Weasley ad abbassane lo sguardo senza controbattere. Ron aveva spalancato gli occhi alla vista di tanta arrendevolezza da parte di sua madre.
La signora Weasley, senza curarsi di lui, aveva seguito Lupin nell’atrio, mormorandogli “Fammi sapere qualcosa appena sei lì, Remus, ti prego…”
“D’accordo, Molly. Tienilo nascosto a Sirius finché non ricevi mie notizie.”
“A... Sirius?” aveva ripetuto incerta, come se quella fosse la parte più difficile; come se non se la sentisse.
“Lo sai che è importante. Non te lo chiederei.”
“E va bene, farò il possibile… Remus, il cappotto!” gli aveva ricordato mentre usciva sprovvisto del logoro soprabito. Cercava di mantenersi tranquillo come al solito ma Hermione, alle spalle di Harry, aveva sussurrato incredula: “Sembra quasi che sia stato Confuso…”
“Ma cosa succede?” aveva chiesto. Lupin l’aveva fermato con un cenno.
“Dopo, Harry” aveva rincarato la signora Weasley, accompagnando l'ex professore fin sulla porta. Subito dopo era andata a sedersi al tavolo della cucina lasciando andare un lungo sospiro.
“Ragazzi, Sirius era di sopra con Fierobecco, vero?”
“Mi pare di sì.”
“Bene, Ron. Sarà meglio che avverta tuo padre per sicurezza. Portami Errol.”
Estraendo una piccola pergamena da un cassetto aveva scribacchiato poche righe in tutta fretta e le aveva affidate al vecchio gufo, prima di rilassarsi un po’.
“Mamma…” Ron le si era avvicinato “Che succede? Cos’è quel ciondolo?”
La signora Weasley l’aveva osservato per alcuni istanti prima di rispondere, come a voler cercare le parole più adatte. Aveva spostato la penna con cui aveva scritto la missiva, se l’era infilata in testa come una specie di piuma ornamentale; poi si era resa conto del gesto insensato, l’aveva sfilata ridacchiando nervosamente prima di tornare seria.
“Quella… è la memoria di Bessie.”
“La memoria?”
“Sì. Lei è… stata colpita, tempo fa.” Harry aveva ripensato a Bellatrix Lestrange “Silente allora ha creato per lei quella pietra, con l’aiuto di Sirius che era la persona più -- beh, vi ha trasferito tutti i suoi ricordi" si era corretta precipitosamente. "Ha dei… vuoti di memoria, sapete, ed in quei momenti la pietra le è necessaria per evitare delle… crisi. Se oggi stesse male potrebbero riconoscerla, lì al--" si era morsa la lingua. "Ancora non riesce a superare molto bene…” si era fermata di nuovo, attenta, ma Harry aveva insistito.
“Silente l’ha creata apposta per lei? Perché?”
“Beh, è utile anche come catalizzatore…” sembrava cercasse disperatamente di girare attorno alla questione “Lei… recupera l’energia vitale che disperde usando la sua magia.”
Disperde energia?” era intervenuta Hermione “Come gli Em--”
“Oh, poi c’è da dire che Silente le è sempre stato affezionato.” l’aveva interrotta precipitosamente “A tutto quel gruppetto, veramente…” aveva aggiunto poi come sovrappensiero, soffermando intensamente il suo sguardo su Harry. “Solo che Bessie lo adorava come un padre.”
“Perché? Lei non l’aveva?"
“Oh, no Harry. Temo sia riuscita a malapena a conoscerlo... e credo le sia pesato parecchio, perché quando.. quando ha visto la pietra ha mormorato che sarebbe stato bello poter costruire da zero qualche ‘ricordo’ di lei e suo padre insieme; solo per capire com’era davvero.”
Harry aveva sentito una morsa allo stomaco; gli sembrava di percepire quanto in realtà avesse in comune con lei: i sentimenti che provavano, i modi di ricercare le cose, e poi gli ostacoli che incontravano e le persone che perdevano, e quelle che per loro erano importanti. Voleva davvero capirla di più.
“Ma signora, lei… Bessie… non aveva una sorella? E s-sua madre… le somigliava?”
La signora Weasley aveva mutato sguardo, fissandolo molto seria: “Perché mi fai queste domande, Harry?”
“Io… volevo solo capire se fosse così sola…” Un’occhiata a Ron ed Hermione gli aveva permesso di comprendere che avevano intuito perfettamente il suo tentativo. La signora Weasley si era tirata su scrollando le spalle.
“Io sto parlando davvero troppo… è che sono in ansia, da quando siamo qui mi sembra di avere una miriade di figli! E poi Remus non dà sue notizie, e… Ron, Sirius era proprio di sopra con Fierobecco, vero?”
“Ti ho già detto di sì, mamma!” aveva protestato mentre gli orecchi gli diventavano scarlatti contro l’insistenza materna.
“Meno mal…” aveva quasi detto, perché in quell’istante era piombato dentro un gufo. Febbrilmente aveva liberato e srotolato la pergamena che portava: Harry era riuscito a riconoscere la scrittura di Lupin, se possibile ancora più angolata del solito.


*Tutto bene. La riporto a casa. Nessuna crisi, non scrivere.

RL *




Sirius era sceso fischiettando nell’attimo in cui Bessie, accompagnata da Lupin, stava rientrando: in pochi attimi aveva registrato il suo stare lì con quell'aria incerta e vulnerabile, lo sguardo di Lupin, il fatto che lui la tenesse per mano. Si era voltato lentamente verso la cucina, osservando la curiosità concitata dei ragazzi, la pergamena fra le dita della signora Weasley.
Era tornato su Lupin.
“Bene. Che diavolo sta succedendo, qui?”

* * *


Harry, Ron ed Hermione li avevano sentiti discutere a lungo in cucina; spesso confabulavano, poi Sirius finiva con l’alzare la voce e la signora Weasley gli rispondeva a tono. Ad un tratto avevano udito una sedia rovesciarsi e Bessie che cercava di trattenere qualcuno; si erano fiondati dietro un grosso mobile appena prima che Sirius uscisse tremendamente rabbuiato, riprendendo le scale per tornare da Fierobecco senza degnare il loro nascondiglio di uno sguardo. Harry si era sporto per seguirlo, ma poco dopo si era affacciata la signora Weasley che con l’aria più materna possibile l’aveva chiamato: “Harry, caro, Remus e Betsy vorrebbero parlarti.”
“Va.. va bene signora Weasley, grazie.” Era entrato in cucina, con Ron che lo seguiva a ruota.
“Dove credi di andare tu? Ho detto ‘Harry’!”
“Ma io… credevo…”
“Credevi male. Niente da fare… forza, aiutatemi con la disinfestazione voi due. Marsh!
Aveva trascinato con sé il figlio che protestava ed inveiva, tenendolo per un braccio e facendo segno a Hermione di accompagnarla se non desiderava subire lo stesso trattamento. Harry frattanto era entrato in cucina titubante e vi aveva trovato Bessie e Lupin ad attenderlo. Lei stava seduta sull’orlo della sedia, come un bambino che preferirebbe correre anziché starsene lì; forse era ancora un po’ agitata. Nel complesso, comunque, gli sorridevano rassicuranti ed Harry non sapeva cosa aspettarsi. Ma era il professor Lupin, no?
“Vieni qui, Harry. Siediti con noi.” Lupin gli aveva indicato una sedia, e lui aveva obbedito docilmente all’invito. Era stato allora che, all’improvviso, aveva provato una sensazione di famiglia.
Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma il trovarsi lì con loro, in quella situazione, il tipo di vicinanza che sembrava unire Lupin e Bessie, la preoccupazione di lui per lei, la rilassatezza di lei che aveva un’aria completamente diversa da quella che Harry le notava addosso quando guardava Sirius! E poi la loro gentilezza verso di lui, lo stare tutti e tre vicini in quel modo nella cucina calda, accomunati da qualcosa… si era sentito in colpa, però. Poco prima Sirius si era allontanato scontento, lo sapeva bene. E poi… li aveva appena visti insieme, lui e Bessie…
“Allora, Harry” proprio lei aveva allungato una mano sul tavolo a sfiorare la sua. “Credo di doverti delle spiegazioni.”
Harry aveva ritenuto prudente non specificare di averne già ricevute alcune, così aveva lasciato che Bessie raccontasse a grandi linee la stessa storia, notando solo che come la signora Weasley aveva omesso accuratamente di specificare di quale ‘incidente’ fosse stata vittima, ed ulteriori delucidazioni troppo precise.
“…Vedi” proseguiva lei, “Se dovessi averne bisogno senza trovarla… ho una specie di crisi di panico quando capita, mi mancano il respiro e l’equilibrio, non riesco a recuperare le forze, il battito cardiaco poi accelera a dismisura e rischio di perdere il controllo della mia bacchetta, il che può rivelarsi pericoloso, capisci…”
“E’ pericoloso soprattutto per te, Eliza!” l’aveva corretta Lupin, ed Harry aveva notato per la prima volta che lui la chiamava così. Strano, non se n’era ancora accorto. Doppiamente strano, perché Lupin non sembrava il tipo da nomignoli. Va bene, c’erano i Marauders. Ma quelli erano i suoi amici.
“Il solito ansioso!” l’aveva liquidato lei. “Sto imparando a gestirmi, Remus.” Lo sgridava, in un certo senso, ma sembrava anche che tentasse maldestramente di ringraziarlo. “Su, lasciamo stare questo!” aveva esclamato poi scacciando il pensiero con una mano, prima di tornare su Harry: “Ora, Harry, vorrei che mi dicessi… che cos’ hai visto.”
“Visto?”
“Sì. Nella mia pietra.”
Harry aveva deglutito. Erano arrivati alla resa dei conti? Avrebbe scoperto qualcosa di più? Quello che aveva spiato lì dentro era importante, lo sentiva. Poi, senza riflettere, aveva preso a raccontare solo il secondo ricordo, sentendosi nel frattempo molto sporco e sleale nei confronti di Sirius… proprio di Sirius. Era prudenza, la sua? Oppure sentiva dunque talmente tanto il bisogno di una famiglia che per non interromperne una pallida e momentanea imitazione, una sensazione sbucata dal nulla, tradiva egoisticamente la persona che forse lo amava di più al mondo?
“Questo è tutto, Harry?” gli aveva chiesto Lupin alla fine.
Lui aveva annuito, preferendo non guardarlo e ponendo perciò una domanda a Bessie prima ancora di rendersi conto di averlo fatto: “Allora è per questo che quando ti sei ripresa non hai voluto vederla?”
“Co…?” Bessie era sbiancata. “Tu come sai questo?”
“Beh” si era reso conto dell’errore ma ormai era tardi ed aveva scelto di proseguire “l’ ho sentito, una volta la signora Weasley ne stava parlando a Tonks con tono costernato, e… io sono passato di lì mentre lo diceva. Mi dispiace.”
“Oh, se non è che questo... non fa nulla, non fa nulla.” Pareva sollevata. “Ad ogni modo sì, qualcosa del genere. Non avevamo un gran bel rapporto.”
Uscendo, Harry si era fermato per alcuni istanti con la porta chiusa alle proprie spalle e li aveva sentiti parlottare fra loro.
“Ti rendi conto del rischio che hai corso, Eliza? Avrebbero potuto riconoscerti, risalire all'Ordine. Avrebbero potuto farti del male. Ho dovuto tenerlo nascosto a Sirius finché non siamo tornati, conoscendolo sarebbe voluto venire lui stesso a portartelo immediatamente… e non so se sarei riuscito a fermarlo!”
“Non farmici pensare. L’idea mi terrorizza! Non dovrebbe fare così.”
Lupin le aveva dedicato una lunga occhiata eloquente.
“Oh, e va bene Remus, mi dispiace da morire! Non so proprio dove avevo la testa stamattina… cavoli, sono così sbadata! Quell’odiosa segretaria del quarto piano non ti ha creato problemi, vero?”
“Tu non ti preoccupare di questo, Eliza” aveva replicato lui, tranquillo come sempre. Aveva afferrato la piuma che la signora Weasley aveva lasciato sul tavolo senza farci davvero caso.
“Oh no, lo sapevo!!! Mi dispiace immensamente… finisce sempre che paghi tu per tirare fuori dai pasticci qualcuno di noi!”
“Non ci pensare più, ok?"
"Almeno non c'era la Umbridge", aveva sospirato sentendosi vagamente in colpa dal momento che sapeva a chi sarebbe toccata in cambio... ma Remus era Remus, aveva pensato guardandogli la mascella improvvisamente contratta.
"Pensa solo a stare bene”, aveva replicato lui con aria stanca.
“Ma io sto bene. Piuttosto spero che davvero Harry non abbia visto altro… e se avesse trovato un frammento dell’attacco? Cetre maledizioni non fanno per…”
“Tu eri poco più vecchia di lui quando l’ hai ricevuta sulla tua pelle, Eliza. Harry è in gamba, fidiamoci di lui!”
“Hai ragione, Remus. E' che Sirius teme che possa farlo ripensare troppo a Lily e James, forse perché è lui che ci ripensa… oh, era talmente arrabbiato con me, Sirius!” aveva sospirato.
“Temo che lo fosse di più con me, perché l’avevo tenuto tenuto fuori. Proverò a parlargli appena scende.”

* * *


I ragazzi erano rimasti fino a tardi a fare congetture su Bessie: cosa poteva esserle successo, era effettivamente innamorata di Sirius? -Hermione e Ginny sembravano convinte, Harry cercava di spingere nella direzione opposta… ancora non conosceva bene i propri sentimenti nei suoi confronti: da un lato gli piaceva parecchio, era simpatica e forse si somigliavano molto; dall’altro però… era come se volesse mettersi tra lui e Sirius.
Avevano continuavano per un pezzo a chiedersi che cosa stessero loro nascondendo. Perché era chiaro che gli adulti proteggevano Bessie ed il suo segreto.
“Chissà chi l’ha attaccata, poi!” aveva proposto Ginny, titubante. Harry aveva capito che quello era il momento di parlare.
“Sirius… dice che è stata Bellatrix Lestrange.”
“Bell -- ma no, è impossibile! Voglio dire… lei è ad Azkaban, no?”
“Forse avevi davvero ragione tu, Harry” Ron aveva fatto una smorfia verso Hermione “C’è stata anche lei: è l’unica spiegazione plausibile!”
“Non saprei, io sono d’accordo con Hermione, non credo…” aveva ribattuto Ginny pensosa, facendo infuriare il fratello, le orecchie impietosamente scarlatte.
“E allora, signorina sapientina, come lo spiegheresti, eh?!”
“E allora” li aveva interrotti Harry, “come spieghereste che io in quella pietra l’abbia vista, uguale ad ora, insieme a Sirius da giovane?”
“COME?!?!” avevano strillato gli altri in coro. Harry aveva descritto loro la scena cui aveva assistito. Ron lo fissava sbalordito: apriva e chiudeva la bocca meccanicamente, incapace di proferire sillaba. Fred gli aveva assestato una pacca sulla nuca. “Torna tra noi”, aveva mormorato.
“…Non so, Harry. Probabilmente era una cugina più vecchia o qualcosa del genere.” aveva riflettuto Hermione “Tutta questa storia mi pare un po’ inverosimile, penso che si tratti di una spiegazione semplice di questo genere… stai sviluppando una specie di fissazione o sbaglio?! Va bene, c’è qualcosa che ancora non sappiamo, ma perché per forza un grande mistero? Inoltre l’episodio del litigio che hai visto spiegherebbe anche la sua assenza da Hogwarts, no?”
“Resta il fatto che ci nascondono qualcosa!” aveva commentato Ron. Soltanto Ginny era rimasta quasi sempre silenziosa.

Quella notte Harry aveva riposato male, sognando improbabili nuove maledizioni e poi il suo processo con Sirius e Bessie che stavano dalla parte dell’accusa: in alternanza gli puntavano il dito contro rimproverandolo di non averli voluti capire. Si era svegliato molto presto, desideroso di un bicchiere d’acqua, ma proprio sulle scale si era accorto di alcune voci provenienti dal corridoio di sotto, quello antistante l'ingresso.
“…Lui l’ ha già vista una maledizione, Sirius. Ha visto Cedric Diggory morire.”
“Lo so, Albus; proprio per questo vorrei evitare di cedergli altri pesi, ti pare? Mi sbaglio o sei tu che fai di tutto per evitargli di sapere troppo, quanto a questo?” Il tono era di sfida.
“Naturalmente sì. Solo… non sono tutti dei bambini, Sirius: per lui e per… il resto, non sentirti in dovere di caricarti tutte queste responsabilità sulle spalle!”
Sirius all'improvviso aveva riso forte, amaramente: “Sai, per una volta ti sbagli. Posso assicurarti che è esattamente quello che non sto facendo!”
Harry era riuscito a cogliere il suo sguardo duro, sofferente anche; Sirius non aveva guardato in faccia Silente che comunque sembrava aver compreso perfettamente, perché non aveva aggiunto altro prima di andarsene, limitandosi a posargli una mano sulla spalla per alcuni secondi (Harry aveva avuto la netta sensazione di vedere un ragazzo che si ribella al proprio padre ma che non può fare a meno di confrontarsi con lui, nel bene e nel male; di ricevere il suo parere, il suo sostegno). Era strano, ma per una frazione di secondo l’aveva invidiato. Non gli sembrava proprio il caso di invidiare Sirius, con tutto quello che aveva passato e stava evidentemente ancora passando, ma avrebbe voluto essere al suo posto. O forse avrebbe voluto vivere la stessa scena con lui. Di sicuro, avrebbe disperatamente voluto sentirsi parte di ciò che stava succedendo.
E così se n’era andato. Silente. E ancora una volta non si era fatto vedere da lui.


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Capitolo 3
*** Grimmauld Place, 3. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Grimmauld Place, 3.


4.
Harry si era svegliato alle cinque in punto, chissà perché. Quello che sapeva era di essere perfettamente, fastidiosamente sveglio, mentre il pensiero di Silente che si recava a Grimmauld Place senza chiedere di vederlo riaffiorava lentamente nel suo cervello ancora un poco gelatinoso. In effetti, appena era tornato di materia quasi solida era stato un altro pensiero a colpirlo come una scheggia: udienza.
Era arrivata.
Si era liberato dalle coperte con uno strattone seccato, quasi fosse colpa loro tutta quella situazione -- era effettivamente comodo pensare di potersela prendere con qualcuno o qualcosa. Aveva lanciato un’occhiata distratta ai vestiti preparati già stirati dalla signora Weasley, inciampando più volte mentre cercava di infilarsi in fretta i pantaloni; era finito di nuovo a sedere sul letto per non cadere, e alla sua destra un quadro aveva ridacchiato della sua imbranataggine.
“Ma siete tutti così?” era sbottato infastidito in sua direzione, voltandosi subito dopo verso Ron, vagamente preoccupato di averlo svegliato. Non c’erano rischi a questo riguardo: l’amico dormiva ancora della grossa, ben avvolto nel lenzuolo -- Harry si era chiesto come riuscisse a respirare, in effetti.
Si era guardato allo specchio, facendo un paio di smorfie per risvegliare i muscoli del viso. Aveva provato a passarsi le dita fra i capelli per sistemarli un minimo, ma sembrava che quelli facessero apposta ad aggrovigliarsi ancora di più. Li aveva abbandonati al loro destino con aria sconsolata mentre il quadro sghignazzava ancora, pensando che di sicuro la signora Weasley avrebbe tentato a sua volta di domarli, tra una frittella e l’altra.
Bravo. Continua così. Fai di tutto pur di non pensarci.

* * *


Quando, al ministero, gli avevano sottratto la bacchetta, Harry si era sentito semplicemente nudo. Gli sembrava che tutti quegli sguardi potessero ferirlo e lasciarlo agonizzare dissanguato, che all’udienza ai maghi che l’avrebbero esaminato sarebbe bastato torcere un labbro in un certo innocuo modo per convincerlo della sua assoluta colpevolezza. Non credeva che una bacchetta potesse essere così importante. Non credeva che la sua bacchetta fosse così tanto la sua bacchetta.
Il dipendente del ministero che glie l’aveva confiscata aveva fissato con attenzione la cicatrice che sbucava da sotto il ciuffo insolvibilmente aggrovigliato. Tutti fissavano con attenzione quella cicatrice. Harry si sentiva una specie di cicatrice gigante, un segnaccio rosso che pulsava sotto la sua forma stramba come una freccia al neon per indicarlo, e la cosa peggiore era che vederla sembrava non predisporli particolarmente bene nei suoi confronti. Il signor Weasley l’aveva tirato via prendendolo per un braccio, e quando avevano finalmente raggiunto l’ascensore che l’avrebbe liberato da qualcuno di quegli sguardi importuni Harry aveva trovato bizzarro, dopo tutti quei telefoni magici e polli sputafuoco e accuse inespresse, che si trattasse proprio di un ascensore normale, come quelli babbani. L’aveva studiato con curiosità. Continua a pensarci. Tieniti occupato e non avrai paura.
Erano scesi al penultimo piano, ormai sotto terra da alcune fermate. Dalla finestra, però, il sole splendeva indisturbato.
“Signor Weasley” aveva domandato allora, “non dovremmo essere sottoterra?”
“Sì, certo” aveva spiegato lui, “ma le finestre sono incantate. Quelli della Manutenzione Magica si occupano ogni giorno di decidere quale tempo dobbiamo avere noi quaggiù. L’ultima volta che volevano scioperare ci hanno riempiti di uragani per giorni”, aveva terminato scuotendo il capo. Nel frattempo erano sbucati in un corridoio stretto e non molto curato, pieno di cubicoli che si affacciavano su di esso. Proprio mentre svoltavano un angolo nel percorso Harry era andato a sbattere contro un vecchio mago che procedeva nella direzione opposta. Era molto alto e magro, con il naso adunco e la smorfia delle labbra leggermente arcigna. Harry, riprendendosi maldestramente dalla botta, aveva notato che in realtà doveva essere meno vecchio di quanto sembrava: probabilmente era colpa degli angoli della bocca rivolti all'ingiù; aveva appena iniziato un flebile “Mi scu--”, quando l’altro lo aveva aggredito verbalmente.
“Che volevi fare?!” aveva strillato.
“Come, scusi?” aveva domandato lui senza capire. Il mago l’aveva fissato con disprezzo, squadrandolo da capo a piedi e soffermandosi con sfacciata insistenza sulla cicatrice, mentre incrociava le braccia.
“Ti ho chiesto...” aveva ripreso con tono accusatorio, ma non era servito che continuasse; Harry aveva ricevuto la conferma che cercava per il suo cervello.
“Che volevo fare?!” era esploso sistemandosi gli occhiali. Il signor Weasley l’aveva tirato discretamente per una manica. “Qual è il tuo problema, eh? Si può sapere?! Vuoi anche tu una di queste?!” l’aveva provocato tirandosi su i capelli per mostrargli chiaramente la cicatrice. Non gridarlo, Harry. Non gridarlo. Aveva stretto forte le palpebre per convincersi a non gridarlo.
Senza bacchetta. Tirargli un libro in testa. Spingerlo nella fontana per inzupparlo completamente.

Non risolverebbe.

La tensione che sentiva non era per quel mago, e lui comunque non era abbastanza forte per fargli male. Senza contare che ora, grazie a quello scontro, si sentiva una spalla di meno. Pizzicarlo in tutto il corpo. Tirarlo per il naso lungo tuti i piani di scale.
Non funzionerà
, si era convinto alla fine. Non funzionerà urlargli dietro prima di un’udienza o sederti per terra come protesta, o scappare nello scantinato -- ammesso che questo posto abbia uno scantinato. Non funzionerà chiedersi cosa farebbe Sirius al tuo posto, o perché questa tasca ha deciso di bucarsi proprio ora, rovesciando nelle scarpe e nei calzini i sassetti che come uno stupido ti sei lasciato convincere a portare perché -- oh, sono fortunati!!! Insomma Harry, sei qui per convincere della gente!
Va’ al diavolo.
Mentre il signor Weasley ancora lo tirava per la manica gli era balenata alla mente qualche altra soddisfacente tecnica di vendetta. Lasciarlo in mutande davanti a tutti. -- Harry, per la miseria come sei nervoso! -- Farlo diventare sordo a forza di strillettere feroci. -- Vuoi proprio che se ne accorgano tutti, che te la fai sotto? -- Darlo in pasto ai poster di Mangiamorte che vedo qui appesi in ogni ufficio come questo di Sirius... di Sirius?!?!
Si era pizzicato un braccio per esserne proprio sicuro, ottenendo come risultato l’esserne sicuro e con un dolorino in più. Dannazione, si era detto. Poi gli era sembrato che non fosse sufficiente. Cacchio, aveva aggiunto. Aveva lanciato un’occhiata nell’ufficio, sentendo le dita che gli tremavano. Dieci secondi prima sembrava fisicamente più facile, parlare.
Non importa. Qualcuno chiuda la porta. C’è corrente.

Si era finalmente deciso a guardare davvero il quartier generale degli Auror nel quale si trovava: Kingsley Shacklebolt aveva salutato distrattamente il signor Weasley, parlandogli con aria molto formale ed una malcelata supponenza. Il signor Weasley aveva risposto con lo stesso tono privo di familiarità. Harry, sbalordito, aveva spalancato la bocca per salutare il mago ma era stato fermato da un sonoro pestone di avvertimento del signor Weasley. Li aveva allora osservati con cautela, strabuzzando gli occhi e cercando di non lasciarsi agitare da tutti quei ritratti di Sirius che teoricamente lo minacciavano dalle pareti. Aveva appena compreso che i due uomini fingevano di non conoscersi o di conoscersi appena, evidentemente per motivi di segretezza, quando era sopraggiunta Bessie.
Gnickle”, si era lasciato sfuggire per la seconda volta senza riuscire a capire cosa significasse. Quando quella mattina non l’aveva vista a colazione aveva pensato che fosse rimasta semplicemente a dormire come gli altri ragazzi. Non che l’avesse preceduto. Lei, raggiante, aveva appoggiato l'enorme plico di fogli che portava sulla prima scrivania che le era capitata a tiro, puntando verso di lui con decisione. “Oh oh oh" aveva esclamato allegra, a voce troppo alta "Giggle, ma tu sei Harry Potter!!!”, e lui già si figurava il disastro di venire scoperti e cacciati e licenziati tutti - a lui non avrebbero nemmeno fatto un processo per espellerlo - perché l’aveva salutato apertamente, invece Bessie aveva proseguito imperturbabile almeno quanto i due uomini.
“Chi l’avrebbe mai detto che ti avrei incrociato qui!” Si era guardata intorno, con fare concitato, alla ricerca di testimoni del favoloso evento; poi i suoi occhi si erano posati sulle pareti ed improvvisamente era tornata su Harry, come ricordandosi di qualcosa.
“Tranquillo, non ti spaventare” gli aveva indicato le fotografie ed i manifesti appesi di Sirius. “Siamo sulle sue tracce, e moderatamente ottimisti. Non ti farà nulla!” saltellava da un punto all’altro come se non riuscisse a starsene ferma, poi di colpo si era afflosciata.
“Peccato però”, aveva sospirato sognante. “Sarebbe talmente un bell’uomo!!!”
Kingsley con aria paziente aveva interrotto l’interpretazione-prodigio di Bessie, chinandosi su Harry: “Harry, questa è mia nipote, Isabel Shacklebolt. Lavora con me.”
“Isa…?” Harry, stranito, li aveva guardati uno ad uno.
“Oh” era prontamente intervenuta lei, facendogli l’occhiolino “Ma puoi chiamarmi Belle. Lo fanno tutti, qui!”
“Isabel”, li aveva definitivamente interrotti Kingsley. “Sei andata a chiedere a quelli dell’amministrazione del tempo che ci mettano un sole un po’ più caldo? Le temperature si disperdono!”
“Vado, vado” aveva borbottato lei. “Ma sai come la penso: quelli lì faranno venire giù pioggia solo per il gusto del dispetto!”
Uscendo si era arrestata sulla soglia, tornando a rivolgersi ai presenti: “Allora arrivederci signor Weasley, anche a te Harry! Torna a trovarmi, mi raccomando! Se non ti ricordi la strada…” nel frattempo era scomparsa lungo il corridoio “…basta che chiedi di Belle!” Poi la voce si era smorzata per via della distanza.
Harry era incerto se mettersi a ridere o cosa; a dirla tutta non ci aveva capito un granché. Quella era Bessie? E se era lei, perché si faceva chiamare Isabel?
Soprattutto, perché lavorava lì?
Forse non era lei.
O forse tutta quella scena era servita a comunicargli qualcosa o a distrarlo... già, perché aveva davvero bisogno di distrarsi. Una nuova morsa di paura aveva immediatamente ripreso possesso del suo stomaco mentre gli altri due tornavano a parlare di Sirius Black, l’efferato criminale.

* * *



5.
Quella sera si erano ritrovati tutti a Grimmauld Place per i festeggiamenti, incredibilmente sollevati all’idea che Harry fosse stato scagionato. In effetti facevano a gara per chi risultava più convincente nell’assicurare di averlo sempre saputo, ma il loro giubilo era allora un tantino troppo chiassoso, aveva pensato Harry con un sorriso. Bessie era entrata trafelata in un cappottino blu dall’aria striminzita, e Harry non aveva potuto fare a meno di domandarsi dove fosse stata tutto il giorno.
Eri tu?
Non aveva però approfondito l’indagine perché lei, che non vedeva Lupin al massimo da quella mattina e senza quindi che nulla in particolare giustificasse l’esuberanza del suo saluto, gli si era letteralmente lanciata addosso, esclamando: “Mi sei mancato, Animale Moccoloso Remus!”
Ooof”, era stato il primo eloquente commento di Lupin, dovuto probabilmente al pugno che lei gli aveva assestato sullo stomaco prima di abbracciarlo. Poi, forse per mascherare l’imbarazzo che lo prendeva a quel tipo di entusiasmi molto ‘fisici’ di Bessie, aveva scherzato: “Merlino, per questo ho sempre detto che tu e Sirius insieme siete uno spettacolo… pappa e ciccia, proprio, quando si tratta di appoggiarsi delicatamente agli altri.”
“Ooh, Lunastorta, smettila di fare tanto il superiore, sai! Anche a me sei mancato” aveva aggiunto Sirius, sornione, nonostante fossero stati insieme per tutto il giorno, lanciandosi in un vero e proprio placcaggio che, purtroppo per Lupin, si era concluso con una sonora testata accolta dal suo già provato stomaco.
In quella era passata Tonks che cercava di rendersi utile per l’ennesima volta portando dei coltelli in cucina e ovviamente non era riuscita a controllare decentemente l’incantesimo di trasporto, provocando un taglietto all’indice di Bessie per la derapata di una lama. Lei le era saltata addosso, mimando di strozzarla per vendetta, poi l’aveva buttata sul divano senza troppi complimenti. “Maledetta Tonks, dicevi che era un rito per suggellare la nostra amicizia, che saremmo state legate molto più di prima, ma era solo uno sporco tentativo di impadronirti del mio sangue e della mia eterna giovinezza!!!”
Mentre Harry e gli altri ridevano a crepapelle, Tonks, in posizione di svantaggio, si era fatta istantaneamente calare i capelli per evitare di venire afferrata da lì. Poi era riuscita a liberarsi, forte della sua corporatura più muscolosa dell’altra, ma Bessie l’aveva distratta con una specie di balletto da struzzo e le era finita di nuovo sopra.
“Aha! Ora te li brucio, quei capelli…” Con aria trionfante aveva afferrato un accendino dal tavolino che stava accanto al divano. Aveva lasciato trascorrere un intero secondo colmo di suspence, la mano levata a brandire l’arma, prima di usarla… e far spegnere la luce della sala, catapultando tutti nel buio più pesto.
“Ehi, che succede?”
“State tutti bene? Cos--”
“Bessie, stupida!” la voce di Tonks suonava pericolosamente soffocata da un cuscino o qualcosa di molto simile. “Quello non è -- hai preso lo spegnino!!!”
Le risate di chi si era reso conto dell’errore si erano sovrapposte alle urla isteriche e incredule della signora Weasley “Ma insomma, Bessie! È mai possibile che tu riesca a fare più casino dei miei figli?”

L’illuminazione era stata restituita, e Lupin era andato a staccare Bessie dalla sua vittima; lei, però, gli si era aggrappata intorno in puro stile koala, seguitando a ripetere “Mi sei mancato, Remus!”
Sirius si era avvicinato a grandi passi. “Moony -- te ne stai approfittando” aveva minacciato cogli occhi seri. “Hai sempre rifiutato le mie attenzioni… e solo io posso toccarti!” L’aveva immediatamente spinto contro il divano, su cui Lupin si era afflosciato con l’aria di chi ne è martire da vent’anni. Chi aveva approfittato della confusione era stata Tonks che, avvicinatasi di soppiatto a Bessie, era riuscita a tagliarle una ciocca di capelli per vendetta.
L’aria si era congelata per un attimo.
“I miei -- capelli” Teneva la ciocca mutilata in mano, fissandola come se non fosse sua e poi tornando su Tonks con le lacrime agli occhi. “Come hai…” aveva preso ad avvicinarsi a lei. “Tu-- tu--” in quella aveva raggiunto Harry, e così l’aveva afferrato per i vestiti e lanciato nella mischia tra Lupin e Sirius, allontanandosi ridacchiando con aria estremamente soddisfatta.
“Bessie!!! Stare con questa gente ti ha reso una selvaggia!!!” Aveva strillato la signora Weasley, ma Bessie oramai era fuori dalla sua portata.

* * *


“Uhm, allora… Arthur…” Poco dopo, ripristinato l’ordine, Sirius cercava di darsi un contegno. “Spiegami bene il discorso cui hai accennato questa mattina, quando hai riaccompagnato Harry: Malfoy con Caramell?”
Bessie aveva annuito, introducendosi nel dialogo: “Sì, non è la prima volta che li vedo insieme e la cosa mi piace poco…”
“E tu come lo sai, Bessie?” il signor Weasley pareva sinceramente stupito, ma Kingsley era entrato in quell’istante e questo aveva illuminato le sue congetture: “Oh, già… t’infastidisce spesso, eh?”
Sirius si era fatto avanti senza nemmeno pensare con quello che ad Harry era sembrato un ringhio sordo. “T’infastidisce? Malfoy?”
Bessie l’aveva spiato fugacemente prima di dirigere gli occhi verso il pavimento, arrossendo mentre annuiva. “Mi -- accusa di nepotismo… vagamente, non in modo diretto. Dice che sono stata assunta solo per via di Kingsley, ma sempre con dei doppi significati così subdoli… ho sempre faticato a capire quanto potesse immaginare di -- me…”
In quella Kingsley aveva fatto il suo ingresso in cucina insieme alla signora Weasley che era andata ad accoglierlo: “Ma sei qui, Bessie! Dove diavolo ti eri cacciata questa ma -- ehi! Sei pallida!” le si era avvicinato, toccandole una guancia con la mano. “E’ successo qualcosa?”
“Scusami Kings, io… Malfoy” aveva replicato lei con un filo di voce.
“Malfoy.” Kingsley aveva registrato l’informazione sollevando un sopracciglio, che per i suoi standard espressivi significava che a quel punto era davvero, davvero seccato. “Di nuovo. Che ha fatto oggi?”
“Ma allora ti disturba così spesso, Eliza?” Lupin sembrava preoccupato; Sirius al suo fianco aveva un’aria decisamente aggressiva, e appariva disposto a rivolgerla contro chiunque nel mondo.
“Beh, sì. Solo che, non so... oggi era sgradevole come al solito, ma più… preciso.”
“Forse era innervosito per via di Harry” aveva azzardato Kingsley.
“Spiegati, Bessie.” Il signor Weasley si era sistemato gli occhiali sul naso, serio.
“Aspettate, vi faccio vedere.” Così dicendo Bessie si era concentrata sulla sua pietra, estraendo la bacchetta. “Remus, aiutami per favore. Sono stanca.”
Lupin aveva preso la sua mano, concentrandosi a sua volta, e al loro fianco si erano posti anche Sirius, Kingsley ed il signor Weasley. Dopo alcuni istanti di visibile sforzo durante i quali non era volata una mosca, nemmeno una finta di Fred e George, Bessie aveva sfiorato la pietra con la punta della sua bacchetta e da questa si erano sprigionate delle immagini tridimensionali, proiettatesi in centro alla stanza.

Lucius Malfoy spingeva Bessie indietro, costringendola con il muro alle spalle (Harry frattanto lanciava sguardi indagatori ai presenti: Bessie rimaneva a capo chino mentre Sirius le teneva una mano con la sua, stringendo quella libera a pugno così forte che gli si erano sbiancate le nocche).
Malfoy le alitava sul viso. “Hai bisogno d’aiuto? Non avendo una preparazione adeguata al tuo ruolo deve essere difficile affrontarlo! Anche se a dire la verità… come riesci ad essere nipote di Kingsley Shacklebolt senza una goccia di sangue nero nelle vene, puoi anche ricordare come si fa! Però sai, tutte quelle scartoffie… deve essere dura per te lavorare proprio su quello che c’è da fare lì… potrei aiutarti, se tu volessi…” si era avvicinato ancora, bloccandola contro il muro del corridoio deserto; i lunghi capelli biondissimi e quasi bianchi le andavano a sfiorare la pelle, e lei suo malgrado era arrossita (a Harry era parso di non aver mai visto Lupin tanto serio).
“…Farti pensare ad altro, magari, così non ti rabbui…” il tono era suadente. “Sarebbe un bell’aiuto, non trovi?”
Non trovo, Malfoy.” Bessie era decisamente arrabbiata, mentre cercava di liberarsi dalla sua stretta. “Non capisco cosa lei intenda dire, e soprattutto non gradisco affatto questa posizione!”
“No, pensavo solo al fatto…" aveva aggiunto flautato "che in fondo il primo amore non si scorda mai…”
A quell’ultima frase Bessie era sbiancata impercettibilmente, non più infastidita ora, ma solo molto seria. “…Prego?”
Lui aveva stretto la mano intorno alla sua spalla con un ghigno. “Allora siamo d’accordo… chiamami in qualunque momento, Shacklebolt!”
Poi le immagini erano terminate ed un brivido freddo aveva accompagnato la loro scomparsa.

* * *


“Lo sa. Devi andartene immediatamente da lì.”
“Non lo farò, Sirius.”
“Ma è pericoloso!”
“Proprio tu parli di questo?", aveva commentato con una smorfia. "Senti, mollare ora significherebbe fornirgli una prova!”
“Aspettate, aspettate voi due! Allora… ragioniamo…” il signor Weasley appariva agitato a sua volta “Lui sospetta… sa chi sei, Bessie. Potrebbe volerti attaccare.”
“Continuerò a fare il mio lavoro, Arthur. Non mi tirerò indietro.”
“Sono d’accordo, perché confermarglielo? In fondo non può essere sicuro che si tratti di lei! Se lo fosse non ne avrebbe parlato, avrebbe atteso per approfittarne in modo più deciso.”
“Non ne sarà sicuro, ma potrebbe volerlo scoprire… a modo suo, Kingsley. Hai colto l’allusione a Sirius? E se l’usasse per sapere dove si trova?”
“Non riuscirebbe comunque a trovare Grimmauld Place.”
“Kingsley, può usarla in qualunque modo!!!” era sbottato infine il signor Weasley, in ansia.
“Ehi, Bessie ne ha superate tante, è una delle streghe più in gamba che io conosca!”
“Sì” li aveva interrotti Lupin, la voce pacata. “Ma quando agisce si fa degli scrupoli.”
“Elizabeth, ti prego -- rinuncia! Avrai altri incarichi!”
“Non tradirei mai il tuo segreto, Sirius, lo sai. Nemmeno sotto tortura. Se percepissi un rischio del genere… mi ammazzerei prima.”
Sirius aveva allontanato quella frase con un gesto stizzito del braccio: “Maledizione Elizabeth, non è di ME che mi sto preoccupando!!!”
D’impeto, senza riuscire a frenarsi, l’aveva abbracciata con tutte le sue forze; doveva averle fatto male, ma Bessie non dava segno di sentire, o di volersene lamentare. Quella sofferenza che Harry poteva leggerle negli occhi era qualcosa di diverso.
Mentre la signora Weasley si ricordava improvvisamente della presenza dei ragazzi li aveva spinti fuori, mormorando: "Non fare pazzie Bessie, ti prego. Non… sparire di nuovo…”
“Io…” Bessie appariva ancora più esile così, stretta da Sirius, ma si era scostata alzando lo sguardo verso di lui per un attimo, prima di tornare a guardare in basso testarda. “Non rinuncerò al mio incarico.”









grazie mille alle prime recensioni che ho ricevuto... ringrazio solo ora perché ovviamente da brava sbadata me ne sono resa conto solo dopo aver pubblicato il secondo capitolo! =_= Ecco, ho fatto indigestione di HTML oggi per postarli tutti e tre... ora pausa... allora, che dite? c'è abbastanza commistione di commedia e dramma... o magari troppa? :p attendo attendo (grazie ancora, mie prime critiche *_* vi ricorderò quando sarò famosa e ricca, ghu *_*)

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Capitolo 4
*** Grimmauld Place, 4. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Grazie, grazie alle mie RECENSITRICI!!! *_* siete in due ma preziose... datemi consigli, mi raccomando! Questo è un capitolo un po' drammatico... ma necessario perché alla fine tutti i nodi vengano al pettine! Perciò continuate a seguirmi, non vi scoraggiateee! Grazie Mixky, Grazie Manny (e viva le Elizabeth delle ff, a quanto pare, no?)




Grimmauld Place, 4.


Secondo te siamo in pericolo?

Come faccio a saperlo, Harry!

Tu sai sempre queste cose, Hermione! Sei quella che ogni volta ci avverte inutilmente...

Oh, è bello sapere che puoi ammetterlo. Ma non ti darò una mano.

E PERCHÈ ?!!!

Perché vuoi discutere di Bessie. Lucius Malfoy ha fatto delle illazioni su di lei e Sirius, lo so che te ne sei accorto.

Non solo lui. Tutto l’Ordine sembrava dare per scontati i suoi sentimenti per lui.

Ragazzi, cosa bolle in pentola?

Ma allora chi ho visto io?

Quando, Harry?

Nella pietra.

Magari è una specie di amore trasmesso. Bessie è cresciuta vedendo l’amore per lui di qualcuno della sua famiglia e senza rendersene conto l’ha fatto suo, così quando l’ha incontrato ne era già innamorata anche lei.

Poi ero io quello contorto.

Ma di che parlate, ragazzi?

Di Sirius e Bessie. Taci, Ron. Non scarabocchiarci il foglio.

Acida.

Taci. Però devi ammettere che Sirius era così nervoso per lei...

Non ne è innamorato. La considera come una sorta di sorella minore, se ne sente responsabile.

Harry ha ragione, Hermione.

Oh, certo. Quell’abbraccio... tu e Ginny ve ne date continuamente!!!

Puah! Hai troppi grilli per la testa dopo Viktor.

Mi stai dando della zoccola, Ronald?

No, mi sto chiedendo come riesci a strillare anche scrivendo...

Harry, comunque Sirius difficilmente starebbe con una ragazzina che ha suppergiù la nostra età.

È vero, puoi stare tranquillo.




6.
"Merda Ron, mi stai stracciando!"
Sirius appariva tremendamente compreso in quella partita di scacchi, ed Harry aveva sgranato gli occhi nel vederlo allegro. Capitava sempre uno dei suoi sbalzi a farlo sentire idiota per tutto quello che aveva detto o pensato un momento prima.
"Sirius, non capirai mai che tu e gli scacchi non siete fatti per convivere?" si era intromesso Lupin, ironico. "So che tu ci provi, ma sono loro che proprio non ti vogliono! E poi sai quello che si dice su chi è sfortunato al gioco... no?" Ron, all'ultima affermazione, aveva grugnito poco soddisfatto mentre i gemelli gl'infilavano qualcosa di strano nell'orecchio sotto lo sguardo inorridito di Hermione.
"Oh... per questo non ti ho mai battuto una volta, vecchio mio?" aveva replicato Sirius con soddisfazione.
"L'hai fatto, l'hai fatto... da ubriaco."
Sirius era sembrato stranamente interessato: "Davvero?"
"Già."
"E quali altre strabilianti imprese ho compiuto senza saperlo? E soprattutto... perché diavolo tu le sai sempre, invece?"
"Sai, fa comodo non riuscire ad ubriacarsi, a volte..." aveva spiegato Lupin, serafico "per poter spiattellare che il grande Sirius Black si strusciava addosso a me e mi faceva le fusa pur di avere il mio cioccolato... senza contare la volta in cui, mentre James ti diceva che ero Pitocchio, ti sei abbassato i pantaloni."
"Nno."
"Sì."
"Uhrm." aveva mormorato in tutta risposta, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Uhrm”, aveva ribadito. "Senti Ron..." cercava di mostrarsi noncurante, il che rendeva la sua espressione ancora più comica agli occhi di Harry, completamente dimentico delle preoccupazioni di poco prima. "Credo di averne avuto abbastanza per ogg--" l'ultima vocale era stata coperta dal fracasso della scacchiera che, alzandosi, Sirius aveva inavvertitamente rovesciato.
"Non sono stata io!" L'urlo, partito all'altro capo della stanza, era chiaramente di Tonks che aveva pensato bene di mettere le mani avanti sulle responsabilità dell’ennesimo macello, ma in pochi le avevano badato dal momento che un pedone, per vendicarsi, si era lanciato con tutte le sue forze contro una tempia di Sirius, colpendolo in pieno.
"Dio, Sirius, stai bene?" aveva strillato Bessie accorrendo.
"Non ha niente Eliza, tranquilla." Lupin le si era parato davanti, accovacciandosi di fronte all’amico e passandogli due dita davanti agli occhi. "Allora Padfoot, mi vedi? Sei tra noi eh? Non vorrai mica spaventare le ragazze!"
Bessie nel frattempo continuava a volersi avvicinare a loro, così Mundungus l'aveva afferrata per la vita per trattenerla, e c'è da dire che probabilmente aveva accolto con un po' troppa abnegazione quel compito, perché Sirius era sembrato assai intenzionato a riprendersi immediatamente.
"Bascht... maniach.. ch... lashshciala..."
"Come dici, Sirius?" Lupin appariva leggermente perplesso.
"Mundgh... le manh.. nh.. awfgh!!!" Spazientito, Sirius aveva trovato la propria bacchetta e, non essendo in grado di usarla per un qualunque incanto, glie l'aveva lanciata addosso come una freccia.
Pareva che si fossero tutti lasciati alle spalle le preoccupazioni.



7.
La giornata era iniziata nel migliore dei modi: i ragazzi si erano svegliati con Tonks che sfrecciava su e giù per la casa, ululando a più non posso e cercando di sfuggire ad una serie di oggetti pesanti che le volavano dietro a tutta velocità. Naturalmente il baccano aveva svegliato il ritratto della signora Black, che ci aveva messo del suo per aumentare il frastuono a livelli esponenziali.
Harry era sceso in cucina domandandosi vagamente quale incantesimo di riordino Tonks avesse sbagliato stavolta, ed aveva trovato Fred e George che piangendo per il troppo ridere gli avevano raccontato l’accaduto, interrompendosi di quando in quando in sonore esplosioni d’ilarità. Tonks intendeva fare uno scherzo a Bessie, raccontandole di aver sentito la signora Weasley urlare e facendo invece partire il quadro per ripetere la stessa scena di quando lui era arrivato a Grimmauld Place, ma quando si era precipitata in bagno, convinta di sorprenderla da sola, vi aveva invece trovato proprio la signora Weasley che stava facendo la doccia e che le aveva lanciato contro tutto ciò che aveva sottomano.

Niente lasciava presagire la serata che li attendeva.

* * *



Arthur si era voltato verso Bessie con l’aria più innocente del mondo: “Allora, hai già deciso se andrai via?”
“Come?” Bessie l’aveva fissato spaesata mentre sua moglie gli assestava un calcio sullo stinco a monito.
Bessie, però, se n’era accorta. “Che succede, Arthur? Che significa la tua frase? Dove dovrei andare?”
Il signor Weasley si era guardato disperatamente intorno, cercando una scusa per togliersi d’impaccio “Ma… ma io veramente credevo tu sapessi, avessi detto… cioè… riguarda te…”
“Riguarda me COSA, Arthur?” Bessie, stringendo un tovagliolo nella mano, stava iniziando visibilmente ad alterarsi e gli altri avevano provato a semplificare il momento.
“Cara…” aveva iniziato la signora Weasley.
“No, niente cara” aveva replicato lei. Poi, resasi conto di essere stata sgarbata, aveva cercato di addolcire il tono. “Non lo interrompere Molly, ti prego. Io… vorrei sapere.”
“Ecco… si tratta del tuo compito qui, Bessie, di un eventuale cambio di mansioni… del fatto che forse sarebbe stato meglio per te… s-sì insomma...” aveva concluso, rendendosi conto di non poter tergiversare ancora “un trasferimento.”
“Che COSA?!?!” erano sbottati i ragazzi, prontamente rimbeccati da un “Zitti, voi!” della signora Weasley. Lei invece era rimasta immobile.
“Trasferimento, Arthur?” aveva domandato scandendo le sillabe una per una. Harry, non sapeva perché, si era sentito rizzare i peli della schiena.
“Beh, sì. Non pensare che volessimo decidere alle tue spalle o cose di questo genere, Bessie. Solo… siamo capitati nel discorso, così Sirius ha proposto…”
“SIRIUS?” si era alzata in piedi di scatto “E’ stato Sirius?!”
“Eliza, calmati. Aspetta un momento”, aveva provato Lupin. Ma era troppo tardi, le parole l’avevano raggiunta indistintamente mentre i capelli le si tingevano di due grosse strisce argentate. Si era diretta verso la porta di fronte, spalancatasi alla sua semplice presenza con un botto assordante senza che nessuno l'avesse toccata.
Forte!” si era lasciato sfuggire Fred, buscandosi uno scappellotto da sua madre.
“Buonasera” l’aveva salutata l’uomo, cortesia dettata dalla consapevolezza dell’imminente resa dei conti, o forse solo da antichi retaggi educativi.
“Che cosa stai cercando di fare, Sirius?”
“Ti prego Elizabeth, non farmi così.” Sembrava intento alla sistemazione di alcuni vecchi tomi della casa, apparentemente poco toccato dall’agitazione di lei.
“Non-farmi-così? Io?!?! Sirius… ma perché?”
“Guarda che non è che abbiamo deciso qualcosa. Ho pensato che sarebbe meglio.”
“Hai pensato…” Bessie aveva strabuzzato gli occhi, come per tentare di risvegliarsi da un brutto sogno. “Tu? Tu -- Sirius, tu…” aveva stretto i pugni mordendosi il labbro inferiore, conscia di ciò che stava per dire “…te ne stai tutto il tempo rinchiuso qui dentro, e pretendi di conoscere il meglio?! Fammi il favore! Piantala di trattarmi da poppante!”
Sirius si era bloccato. Aveva alzato lo sguardo serio, fermandolo su di lei. “Che io stia qui non significa che sia stupido. Stai parlando per ferirmi, Elizabeth”, il finale sospeso tra una constatazione ed una domanda.
“Allora siamo pari, no?”
“Assolutamente no.” Era tornato a piantarle gli occhi addosso con quell’espressione talmente seria da costringerla ad arretrare di un passo. “Elizabeth, cercavo di proteggere Harry. Per questo sono qui.”
Nell’altra stanza Harry, di cui i due erano evidentemente dimentichi, aveva fatto un balzo come per una scottatura. Ron e Hermione si erano voltati a guardarlo mentre Lupin gli aveva posato una mano sulla spalla per calmarlo e rassicurarlo insieme, e senza mai staccare gli occhi dalla discussione gli aveva bisbigliato: “Non intervenire per nessun motivo.”
Tutti erano attenti fino allo spasimo.
“Per… proteggere Harry, Sirius? E da chi… da me lo difendi? Non sarà piuttosto che sei tu, quello che vuoi proteggere da me?!” aveva le lacrime agli occhi, Bessie, e la voce rotta di frustrazione, rabbia, dolore e una quantità di altre emozioni che Tonks pareva cogliere una ad una, dati i mugolii continui con cui accompagnava l’alterco cercando di trattenersi.
“Se vuoi saperlo, Elizabeth, anche per proteggere te!!!” era sbottato lui infine, voltandosi in fretta come se non avesse desiderato lasciarselo sfuggire. "Dato che nessuno lo può fare." Lei l’aveva squadrato lentamente, inghiottendo saliva come se fossero sentimenti. Harry aveva studiato gli altri, cercando di capire perché ogni volta le emozioni di Bessie gli entrassero dentro come una specie di rullo compressore, contagiandolo senza speranza di salvezza. Succede anche a loro? Erano sembrati perplessi quando avevano saputo che lui era riuscito ad estrarre da solo un ricordo dalla pietra.
Poi Bessie era tornata a parlare, il tono di voce stranamente calmo.
“Lascia che a me stessa ci pensi io, Sirius. Non puoi decidere tu. Non è giusto.”
“Risparmiami le frasi ad effetto! Perché, tu sapresti ciò che è giusto?” Si era bloccato mezzo secondo prima di continuare. “Sei solo una bambina!”
Bessie aveva deglutito come se le fosse costato immensamente più fatica di prima, senz’altro movimento. Harry aveva sentito una specie di lama fredda allo stomaco. Vedeva gli adulti intorno a sé sempre più nervosi: la signora Weasley pareva pietrificata in una smorfia severa, Tonks al suo fianco soffiava come un gatto e Lupin stava conficcandogli le dita nella carne, ormai. Tuttavia nessuno mostrava l’intenzione di intervenire, anche solo per separarli.
“Ma tu, Sirius… vorrei capire che ne sai dei miei costanti incubi.” Respirava a fatica, Bessie; aveva stretto la mano sinistra intorno alla pietra che portava al collo ricavandone un qualche triste tipo di coraggio. “Le mie paure peggiori per tredici anni sono state reali, sono state la mia unica realtà insieme al dolore.” Parlava con la testa bassa, mormorando appena, ma le descrizioni risultavano dolorosamente chiare nel cuore di Harry. “Li ho vissuti tutti, uno per uno, a rotazione continua!”
“Fammi il piacere Elizabeth, non parlarmi di sofferenze, va bene? Sono stato dodici anni ad Azkaban mentre tutti pensavano che avessi tradito il mio migliore amico per Voldemort, ho scoperto lì cos’è giusto e cos’è sbagliato: ad Azkaban, ogni giorno, per dodici maledettissimi anni! Tu eri soltanto una ragazza che dormiva intanto, ok? Mentre stavo rinchiuso tu eri comoda nel tuo letto, e sai -- io non ho potuto scegliere!!!”
Era stato un attimo. Dal nulla era comparsa una mano, fumo rosso vivo a forma di mano che aveva colpito Sirius con uno schiaffo di una violenza impressionante, da farlo rimanere stordito. Fred aveva soffocato la seconda esclamazione ammirata per umano istinto di sopravvivenza. Bessie, senza aggiungere altro, era uscita di casa.
Tonks aveva letteralmente cercato di saltare addosso a Sirius al grido di “Come hai potuto? Come hai potuto dirle quelle cose, e quell’ultima frase, razza di-- di--” ed erano dovuti intervenire il signor Weasley e Lupin a prenderla per le braccia, tanto più che Sirius sembrava non avere nessuna intenzione di difendersi.
“Calmati Tonks, basta! Calmati, ora!”
“Non mi dire di calmarmi, Remus!”
“Piantala! Sai benissimo perché l’ ha fatto!!!”
A queste parole Tonks si era fermata di colpo, permettendo agli altri di lasciarla andare, e Harry aveva osservato Lupin sbalordito: che cosa intendeva dire?
“Ora vado a cercarla” aveva aggiunto poi, “non mi fido a lasciarla sola in quelle condizioni. Sirius…” l’aveva interpellato “Dovevi proprio farlo così, vero?” Sembrava profondamente triste.
Sirius aveva provato ad aprire bocca un paio di volte, mentre miliardi di parole gli attraversavano i lineamenti senza decidersi ad uscire. Si era poi arreso, limitandosi ad annuire. “Dovevo… farle capire…”
Lupin si era limitato ad annuire a sua volta, e Sirius li aveva osservati tutti, improvvisamente conscio della loro presenza lì come se fino a quel momento non l’avesse saputo; si era soffermato maggiormente sul volto di Harry.
“Ma che cosa…” aveva provato lui, gelato da una gomitata di Hermione.
“Lasciala sfogare, Remus. Lasciala andare. Non potresti fare nulla comunque.” Questa volta il tono di Tonks era molto calmo, ma sembrava triste quanto quello di Lupin poco prima. Sirius non aveva più parlato.

Verso l’ora di cena Bessie ancora non era tornata, e tutti avevano iniziato a chiedersi impensieriti dove potesse essere. Sirius, a capo chino coi capelli che gli coprivano il volto in ciocche disordinate, persisteva nel non aprire bocca, ma Hermione era molto arrabbiata con lui: le sembrava che avesse voluto ferirla intenzionalmente e gratuitamente, anche se non aveva ben chiaro il quadro generale. Tonks, proprio Tonks, le aveva ribadito più e più volte di stare zitta, ma Hermione gli aveva dato del rude, perché Bessie era solo una ragazza e lui avrebbe dovuto scusarsi. Perché era facile colpire di fronte a sentimenti fin troppo evidenti.
“Sei stato crudele, Sirius” l’aveva accusato con precisione, forchetta in mano. “Non venirmi a dire che non te n’eri accorto. I suoi sentimenti sono profondi.”
Era andata avanti com un treno, imperterrita... finché lui si era alzato e senza dire una parola era uscito dalla stanza.
“Sirius. Sirius!!! Arthur, ti prego controlla che non abbia intenzione di uscire a cercarla.”
“Va bene, Remus.”
Hermione aveva spalancato la bocca: “Ma…?”
“Hermione, fammi un favore” era intervenuta Tonks. “Stattene zitta!”
“Non essere così preoccupata, Tonks.”
“Non mi dire di essere preoccupata Remus, perché lo sono. Sono terribilmente preoccupata per Betsy, non ho idea di dove sia e di cosa stia facendo, e so quanto deve essere sconvolta, ed è sempre la stessa storia da--” si era morsa la lingua “Non sono preoccupata, sono terrorizzata! E lo sono anche per lui… l’ hai visto” aveva indicato il corridoio con il mento, “quanto potrà reggere? Perciò non dirmi di non preoccuparmi, Remus, e non provare a convincermi di non esserlo tu!”
Il signor Weasley era rientrato in cucina, sua moglie aveva alzato il viso per guardarlo “...Allora?”
“Resterà, ma gli ho promesso che saremmo usciti a cercarla. Remus…?”
“Certamente, andiamo. Tonks, se dovesse arrivare Kingsley digli di fermarsi, spiegategli. Io e Arthur…”
Un rantolo sommesso era giunto dal corridoio, e Lupin zittendosi si era voltato da quella parte: Sirius era comparso sulla soglia, lo sgomento negli occhi. Le domande erano morte a tutti in gola non appena aveva mostrato cosa stringeva in mano: la pietra di Elizabeth - il laccio tranciato.
Tonks aveva boccheggiato un paio di volte su e giù mentre il signor Weasley mormorava: “In quelle condizioni…”
La signora Weasley pareva non capire: “Ma non era infrangibile ad ogni tipo di urti e di magie, quel nastro?”
“E’ infrangibile ad ogni colpo, Molly” aveva commentato Tonks, “tranne che ai sentimenti di Bessie.”
Mentre loro discutevano Lupin non aveva perso un istante, e lesto era scattato verso la porta d’ingresso piazzandocisi contro.
“Lasciami passare, Remus” aveva ringhiato Sirius.
No.
“Lasciami passare, lo sai che devo andare.”
“No, Sirius. Non mi sposterò di qui.”
“Remus! Lasciami passare ti prego non mi costringere… fammi andare a cercarla, Remus, non mi costringere!!! Stavolta giuro che ti…”
Petrificus Totalus!!!
Le parole erano uscite in contemporanea dalle bocche dei coniugi Weasley, di Tonks e di Hermione. Sirius era piombato a terra, immobile.
“Arthur, rimani qui. Sirius è fuori di sé. Io vado a cercarla” aveva indicato con competenza Lupin prima di chinarsi verso Sirius. “Ti giuro che la riporterò qui, Sirius. Te lo giuro.
Ed era uscito, il mantello nero a confondersi nell’oscurità.

Harry si era seduto, appoggiando un gomito al tavolo. La testa gli vorticava… troppa tensione, troppe cose che non sapeva! E poi Sirius… perché si comportava così?
Tonks si era seduta al suo fianco arruffandogli i capelli. “Non è pazzo, Harry.”
Sembrava molto stanca, provata, ma gli sorrideva. E gli aveva quasi letto nel pensiero. “Senti… quando sei arrivato qui ti sembrava di scoppiare, vero? Eri talmente pieno di rabbia e di dolore e di terrore e di mille altre emozioni che non hai potuto fare a meno di urlare… ricordi?”
“Sì…”
“Poi però è andata meglio. Perché certe volte bisogna tirare fuori tutto.”
“Sì…”
“Ok” aveva sospirato “ora prendi quei tuoi sentimenti e moltiplicali per così tanto da perdere il conto! Non posso raccontarti quello che Sirius stesso non ha ancora deciso di dirti, ma... alcune persone vivono avvenimenti tali da non sapere nemmeno come affrontarli, capisci? Lo so che capisci, anche tu ne hai passate tante. Dei fatti li hanno feriti talmente tanto che ancora sanguinano. Terribilmente. Avevano bisogno di questo.” Gli aveva dato una strizzata finale ai capelli. “Sirius Black è un grand’uomo, Harry.”
Harry aveva apprezzato enormemente quelle parole, ma ancora non era sicuro di poter capire: forse si riferiva all’ex amore di Sirius, forse era morta? E lui aveva fatto capire a Bessie che non poteva cercare di sostituirsi a lei? In ogni caso, per la mancata comprensione o perché tutti lì intorno erano tesi, non si sentiva rassicurato in nessun modo. Si era sistemato gli occhiali sul naso così, tanto per fare qualcosa.
Tonks doveva averlo percepito; dopo alcuni istanti di silenzio aveva aggiunto, distrattamente: “E’ che Bessie è stata colpita per… salvare Sirius.”
Come?!?!” Harry doveva averlo esclamato molto forte, ma il suono della sua voce era stato sovrastato da un rumore come di un’esplosione, piombato nel silenzio della casa insieme ad un enorme lampo di luce verde che aveva rischiarato il cielo a giorno.
Ad Harry era parso che il caos che ne era immediatamente seguito fosse in realtà un rallentamento di tutti i movimenti -- infatti era stato come se fosse trascorsa non più di una manciata di secondi dal fragore, quando si era spalancata la porta e si era stagliata in controluce la figura di Lupin che, ansante e malconcio, sorreggeva una Bessie quasi priva di sensi. Lei respirava pesantemente, qualcosa di simile ad un grave attacco d’asma, aveva pensato Harry. In realtà gli richiamava alla mente un più lugubre rantolo, mentre il corpo penzolava inerte dal braccio con cui Lupin lo sosteneva.
Una confusione di braccia e di mani si era precipitata a sorreggerla e trasportarla in una camera mentre la signora Weasley e Tonks erano rimaste con Lupin, le cui ginocchia scricchiolavano in modo sinistro, come sul punto di cedere; la guancia era solcata da una lacerazione profonda, ed anche le spalle non sembravano messe molto bene.
Nel giro di una mezz’ora agitata fortunatamente Bessie aveva abbandonato le condizioni incerte, anche il suo respiro pareva tornato regolare e non produceva più quel suono spaventoso. Tonks era rimasta al suo capezzale permettendo agli altri, Sirius in testa, di tornare in cucina dove li attendeva un Lupin fasciato e molto provato. I due uomini si erano guardati, grondanti di sudore.

“Mangiamorte, Sirius” aveva sussurrato Lupin con un filo di voce.
“Stai scherzando, Remus!”
“Temo di no. Non ne sono sicuro… quando l’ ho trovata l’avevano accerchiata e schiantata… in cinque.”
“In… oh, porco Merlino!”
Arthur!”
“Scusate, ehm…”
“Santo cielo!”
“Ma… ma tu come hai fatto a… come l’ hai salvata?”
Lupin aveva guardato in basso, la mascella contratta, rifiutandosi di rispondere.
“Remus, cosa… non avrai…”
Lupin, testardamente, aveva seguitato a fare segno di no con la testa. Gli adulti intorno a lui si erano guardati spaventati.




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Capitolo 5
*** Grimmauld Place, 5. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



beh, visto che pare che tutto sia un po' incasinato... giungiamo alle prime spiegazioni, così poi saremo più liberi di conoscere bene i personaggi!
mi raccomando, continuate a seguirmi, così finché sono libera posso continuare ad essere così efficiente quanto a puntualità! :p
(contattatemi pure privatamente per suggerimenti... sono curiosa!!! più opinioni ricevo più sarò felice... Uh, sempre che abbia capito dove mi arrivano casomai... alla mail? >_>)




Grimmauld Place, 5.


8.
“Che ne pensate?”
“E’ stato spaventoso!” aveva esclamato Ginny.
“Credete… che sappiano dove siamo?” era intervenuto Ron, cauto.
“No, non penso. Questa casa è introvabile, no? Però, e se è così forse è più grave…”
“Che cosa, Hermione?” aveva insistito Ron, impaziente.
“…Sanno chi siamo, Ron. Potrebbero averli riconosciuti. O averlo già saputo, dal momento che l’hanno attaccata… magari si trattava di una prova. Il signor Weasley aveva ragione, Bessie deve smettere.”
“Beh, non è giusto” era sbottato Ron, cupo.
“Non pensi agli altri?” l’aveva sgridato lei.
“Hermione, da che pulpito!” l’aveva apostrofata George. “Dicci, quante volte esattamente tu ti sei fermata per lo stesso motivo?”
Hermione aveva scosso la testa, infastidita.
“Forse l’hanno attaccata perché è così vicina a Silente…”
“Non dimenticare che lo è anche a Sirius, Harry. La notizia a quanto pare è pubblica.”
Harry aveva borbottato qualcosa del tipo “Sempre la solita” mentre gli altri si perdevano in commenti vaghi. Hermione allora era sbottata, avendo esaurito la sua scorta di pazienza: “Ma l’hai visto?”
“Spiegati, Hermione” aveva sospirato Ron “non costringerci sempre ad indovinare le tue intuizioni!”
“Sirius era davvero sconvolto! Per via di Bessie, intendo.”
“Tutti lo erano! Anche Lupin, non ha nemmeno rivelato…”
“Andiamo, Harry! Quando Lupin gli ha parlato di Mangiamorte è sbiancato!”
“Ovvio, no?” aveva insistito Harry, ostinato “sono Mangiam--”
“No. Sirius non ha paura di loro.”
“E’ vero Harry, ha ragione lei. M-ma allora…” Ron si era mosso nervosamente sulla sedia “perché?”
“Bessie, no? È già stata attaccata da uno di loro, Bellatrix Lestrange. Lui… è preoccupato per lei.” Questa volta, mentre Hermione snocciolava la sua teoria, era stato il turno di Harry di muoversi nervosamente sulla sedia. “Secondo me lui è inn--”
“Secondo me dovreste piantarla.”
Tutti si erano voltati verso Ginny.
"Che vuoi tu, ora?" Ron era infastidito.
"Hanno già abbastanza problemi anche senza che ficchiate il naso voi, no?"
Ginny sgranocchiava tranquilla qualcosa di spaventosamente simile ad un esperimento di Fred e George "Chissà quanti sentimenti contrastanti stanno vivendo adesso, età, doveri, desideri, chissà quanta fatica gli costa scegliere una direzione anziché un'altra. Credo che le vostre semplificazioni siano improbabili."
"Beh, ma in fondo non facciamo del male a nessuno, no?" il fratello era imperterrito.
"Non ne sono tanto sicura, sai Ron." Lo sguardo di Ginny si era spostato, incerto, su Harry. Hermione sembrava averlo colto.
"Ginny ha ragione, faremmo meglio a non addentrarci troppo."
Harry era accigliato. Dunque Bessie era proprio innamorata di Sirius... e lui? Cosa provava, lui? Stava per aprire bocca e rispondere qualcosa, quando la loro attenzione era carambolata verso il corridoio sottostante.
"Ma di chi sono quelle voci? E' arrivato qualcuno?"
"Prima ho visto Kingsley Shacklebolt" li aveva informati Hermione, "accompagnato da qualcuno, ma aveva il cappuccio, non ho visto chi..." si era scusata.
"Shht, ascoltate!" aveva fatto cenno Harry, arrampicato sul principio della scala per riuscire a cogliere il dialogo sottostante.

"Io... non posso, Albus."
"Silente!!!" avrebbe urlato Ron, se Hermione e Ginny non l'avessero preceduto tappandogli la bocca.
"Sì che puoi, Sirius."
"Non è così semplice e lo sai. Non posso starle vicino, io... ho Harry, ora."
“Sappiamo che tieni ad Harry” era intervenuto Lupin, “hai mangiato topi per quel ragazzo! Ma..."
"...Ne parli come di una distrazione", aveva completato il vecchio mago. "Mi sembra ingeneroso nei suoi confronti.
"Lo so, lo so, ma non cambia, capisci?” Si era guardato intorno, tentennante. “Non dovremmo parlare qui” aveva mormorato, ma poi non era riuscito a trattenersi. “Io -- devo dedicarmi ad Harry! Sono dedicato a lui! Se succedesse qualcosa, qualunque cosa, altrimenti... come potrei scegliere... stavolta?"
"Non sei obbligato a scegliere, Sirius." La voce, obiettiva come sempre, era di Kingsley. "Siamo in tanti che..."
"No, no! Non capisci? Non capite?" Sembrava profondamente angosciato. "Lei mi ha... salvato, si è sacrificata per salvare me! Non posso... permettere che succeda di nuovo, che mi sia al fianco -- ed io pensi a lei per seconda! Per questo ho cercato di allontanarla da qui! Perché non si trovasse..."
"Stai commettendo un errore, Sirius. Eliza non ti chiederebbe mai di..."
"Ti prego, Remus, ti prego. E' già stata ferita abbastanza."
Sembrava non avere sufficienti energie per terminare le frasi che iniziava. "Non ho intenzione di permettere che si esponga ancora se non mi posso assumere la responsabilità di... C'è Harry nella mia vita, e la mia vita è per lui. Lei lo sa."
Harry, abbarbicato sulla scala per sentire i loro discorsi, aveva colto in quel momento lo sguardo di Bessie che spiava da una porta lì di fronte. Il sorriso malinconico che lei gli aveva rivolto sembrava confermare le parole di Sirius. Lei sapeva.
"La scelta è tua, Sirius" Prima che il panico riuscisse a fargli pensare a qualcosa da dirle la voce di Silente l'aveva costretto a riabbassare lo sguardo. "Però ricorda che lei non l'ha fatto per venire ricambiata. Conosco la tua lealtà, capisco che ti spinga verso quella direzione, specie dopo James e Lily, ma Elizabeth si è sacrificata per amore, ed ora è qui per lo stesso motivo. Non esistono pretese diverse.
“Non cerca guadagni o attenzioni. È solo che ti ama”, aveva specificato Lupin con voce incrinata verso il finale. Aveva ripreso la parola Silente.
“Vuole bene ad Harry... il giorno in cui l'ha conosciuto è andata in camera a sua a piangere, continuava a ripetere Grazie, lo sapevi?"
"No..."
"Non lo sapevo nemmeno io, Albus..."
"Me l'ha confidato Ninfadora qualche tempo fa. Vedi Sirius, lei sa. E non ti chiederebbe mai qualcosa di diverso comunque. Quel che ha fatto, l'ha fatto disinteressatamente... pensaci."
Detto questo aveva aperto con cautela la porta ed era scomparso dal n.12 di Grimmauld Place. Harry aveva visto Lupin battere una mano sulla spalla di Sirius e riportarlo dagli altri. Quando si era voltato per controllare, Bessie non era più alla porta.



9.
Forse, in qualche grottesco modo, sono io ad essere in mezzo. Forse accusavo Bessie di qualcosa di cui io per primo mi sono macchiato, più di tutti.
Che devo fare?
Mi piacerebbe saperlo. Mi piacerebbe chiedere aiuto a qualcuno. Mamma, papà, perché Bessie tiene così tanto a me -- è solo per via di Sirius? O perché io sono Harry Potter?
In fondo sono il ragazzo-cicatrice per così tanti nel mondo magico... perché per Bessie dovrebbe essere diverso?

Si era stiracchiato distendendo il più possibile gli arti nella lunghezza del letto. Se non avrò voglia di affrontarlo, tutto questo sparirà?

L’illuminazione lo aveva colto di sorpresa, come una nuvola che improvvisamente produce un fulmine temporalesco. Si era rizzato a sedere, andando a frugare nel baule con urgenza. Mentre sfogliava l’album che Hagrid gli aveva donato a suo tempo diventava sempre più avido di controllare, di trovare quella giusta.
Sapevo di averla già vista.
Finalmente l’aveva trovata: aveva sbattuto gli occhi e l’aveva spostata verso la luce per escludere uno scherzo della vista. Quella che gli sorrideva con dolcezza dall’immagine che teneva fra le mani era proprio Bessie. Com’è possibile? Com’è possibile che ci fosse?
La ragazza salutava con aria felice, di fianco a lei Lily Evans nel giorno del suo matrimonio. Era nella foto di nozze dei suoi genitori.
Mentre correva a chiamare Ron ed Hermione non riusciva a staccare lo sguardo dalla fotografia. Bessie, sei proprio tu questa ragazza? E se sì... chi sei veramente?


*



Moody aveva fatto irruzione nella camera in cui si trovavano prima che le loro sbalordite congetture potessero giungere a buon fine.
“Ho poco tempo”, aveva annunciato bruscamente. “Meglio che vostra madre non mi trovi qui”, aveva specificato poi scrutando Ron, Ginny ed i gemelli. Si era accomodato su un comò ancora da disinfestare, acquietandolo con un calcio ed appoggiando i palmi delle mani all’inseparabile bastone.
“Allora. Veramente non sareste tenuti a saperlo, ma ho pensato che con quel carattere impaziente e ficcanaso che vi ritrovate… non ridere Weasley, non è affatto un complimento… sarebbe stato meglio che lo sapeste così piuttosto che faceste ricerche pensando a chissà quale intrigo.”
“Intrigo? Ma di cosa parla, professore?”
“Mi riferisco a Elizabeth Lovelace, signorina Granger.”
Hermione era arrossita ed aveva fatto un mezzo passo indietro mentre Moody li squadrava uno per uno con l’occhio magico prima di riprendere.
“Un giorno capirete che giocare con i segreti altrui non è necessariamente un’idea brillante. O generosa. Nel frattempo, la punizione sarà trovarvi addosso il peso di conoscere la verità."
“La verità? È qualcosa di serio, professore?”
“Esatto. Quindi potete smettere di sentirvi eccitati. Tra l’altro sono convinto che dobbiate sapere la verità in genere, perciò non è poi così male per voi. Solo che non ve la tenevamo nascosta per proteggervi, ma per proteggere lei. Piccola differenza.”
“Per... proteggere lei? Pensa che possiamo farle del male, professore?”
“Ad essere sincero, sì. E non solo a lei. Ma penso che possiate farne anche adesso, quindi tanto vale che capiate.”
“Sapere cosa?”, si era intromesso Harry. Moody l’aveva fissato con una smorfia tra lo scocciato ed il soddisfatto. Il falso Moody all’epoca l’aveva preso in simpatia per portarlo lì dove voleva lui, però qualche volta gli sembrava di piacere anche a questo Moody. Ammesso che a Malocchio potesse piacere qualcuno, ovviamente. L’uomo aveva fatto schioccare la lingua contro il palato, sbruffone.
“Che Bessie non è una vostra coetanea. O meglio, in qualche modo distorto lo è, ma non realmente.”
“Che significa questo?”
“Significa, Potter, che sia Bessie sia Tonks erano delle compagne di classe di Lupin e Black. Per la precisione, Bessie è -- era… la più cara amica di tua madre, a quanto ne so.”
Harry aveva annaspato per la sorpresa, senza riuscire a trovare nessuna domanda o esclamazione mentre gli altri erompevano in un sonoro “CHE COOOSA?!”
“Ma com’è possibile, professore?” aveva domandato Hermione, sconvolta, la coda dell’occhio a verificare le condizioni di Harry. “Loro… insomma, non possono avere più di -- si vede!”
“Sciocca ragazza, se ti Disilludo non ti si vede, ma questo significa che non esisti?”, l’aveva bacchettata con modi severi. “Tonks è un Metamorfomagus, lo sapete, può modificare il suo aspetto a piacimento e il perché lo faccia sono motivi personali e in quanto tali privati e non indagabili. Poi c’è il suo carattere che fa il resto del lavoro, naturalmente. Il caso di Bessie è più complesso… lei in realtà è un Emagus…”
“Lo sapevo!” era sbottata Hermione, senza riuscire a celare l’aria vittoriosa.
“Che cosa sarebbe un Emagus?”
Hermione si era rivolta direttamente a Ron, che aveva posto la domanda: “E’ un mago in grado di percepire chiaramente e di sviluppare un’empatia coi sentimenti degli altri solo guardandoli in viso. C’è da dire poi che riesce a distinguere chiaramente le espressioni del volto anche a molti metri di distanza; solo quelle, però. Per questo all’Emagus risulta spontaneo ciò che è espressione dei sentimenti, come la musica o la danza.. ha un dono particolare. Ah, si riconoscono perché nei momenti di sintonia o magia alcune parti del loro corpo possono divenire argentate.”
“Molto bene, signorina Granger. Si tratta di questo. Sono stati i suoi capelli l’illuminazione? Dunque” aveva proseguito senza attendere risposta, l’aria perennemente corrucciata “vedete Bessie così com’è perché all’epoca della prima guerra con Voldemort, all’incirca nel periodo in cui vennero uccisi James e Lily Potter, fu colpita da un incantesimo che costrinse il suo corpo e la sua mente ad una sorta di sonno continuo e discontinuo.”
“Bellatrix Lestrange!” era rabbrividito Harry.
Ron, intanto, chiedeva delucidazioni. “Cioè un coma?”
“Non proprio. Il sonno magico è qualcosa di diverso. Ti ferma. La signorina Lovelace ha smesso di crescere, in pratica, fatta eccezione per brevi sbalzi di cui comunque non si accorgeva finché durava il sonno, e che hanno confuso l’intera situazione.”
“Ma… perché?”
“Sveglia, Weasley! Perché un Mangiamorte avrebbe dovuto attaccare un membro dell’Ordine della Fenice con una guerra in corso? Bessie era brava, andava tolta di mezzo e una cosa del genere aveva anche la possibilità di distruggere psicologicamente le persone a lei più care… doppio bottino!” aveva concluso amaro, storpiando un segno di vittoria.
“Sì, ma perché non ucciderla?” aveva obiettato Hermione. Malocchio aveva preso tempo lucidandosi l’occhio magico con un fazzoletto che teneva in tasca.
“Chi lo sa. Forse la Lestrange ha studiato un piano particolarmente perfido, per sfinire il coraggio dell’odiato cugino.” Hermione aveva annuito gravemente.
“Allora ecco gli effetti della maledizione di cui parlavano…” aveva mormorato Harry.
“Per la precisione è stata colpita dalla Crociatus, subito dopo Schiantata e legata dall’Imperius… dolore e sonno perenni… una combinazione non esattamente piacevole. Accettate uno scorbutico consiglio da chi ha provato qualcosa di simile per alcuni mesi: se vi offrono un biglietto gratis, non prendetelo! Non è un bel viaggetto.”
“Ed ora…”
“Si è risvegliata, Granger. Niente particolari” aveva tagliato corto, brusco. “Ora statemi bene a sentire: non era propriamente un segreto, per quanto vi riguarda, ma capirete anche voi che non è apprezzabile che raccontiate qualcosa agli amici di scuola o facciate molte domande, per la delicatezza della situazione. In particolare, io non lo apprezzerei ”, aveva specificato minacciosamente. Si era soffermato su Ginny che si torceva le mani costernata. “Parlerò della vostra conoscenza della cosa a Black, per ovvi motivi. Poi vedrà lui il da farsi. Qualcosa da chiedere prima che me ne vada?”
“Sì.” Harry aveva scandito bene la sillaba, fissandogli l’occhio normale.
“Dimmi, Potter.”
“Bessie era… è… innamorata di Sirius?”
Ecco, sentiva che quel fastidio che lo rodeva, quel timore di un’intromissione di Bessie fra lui ed il suo padrino, erano stati finalmente esternati. Moody era rimasto in silenzio per quelle che a lui erano parse ore, a riflettere su quale fosse la risposta migliore da dare; poi senza dire nulla aveva voltato loro le spalle, dirigendosi verso la porta. Solo un volta raggiunta la soglia l’avevano sentito rispondere.
“Questi non sono affari tuoi, Potter.”
Poi era sparito dietro il battente.


“Dio…” aveva mormorato Ginny.
“Allora? Che ne pensate?” li aveva invece incalzati Hermione.
“Che all’occhio magico di Moody non ci si abitua mai…” aveva borbottato Ron “Ci avrà sentiti l’altra volta, quando tu sei arrivato, Harry.”
“Ma no, ma no! Harry, tu hai sentito…? Harry!” l’aveva scosso per un braccio, sembrandole perso nei propri pensieri. Quando finalmente Harry le aveva restituito l’attenzione, Hermione aveva ripreso: “Tu che non mi vuoi mai stare a sentire… secondo te che significa che Sirius lo deve sapere per ovvi motivi?”


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Capitolo 6
*** Grimmauld Place, 6. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



E dopo tanti garbugli eccoci qui con un capitolo di puro relax! Mi sono divertita un sacco, scrivendolo! Per oggi sarà l'unico, Manny, perché poi esco e non tornerò fino a domani mattina :p
Mixky, ti ringrazio veramente per le bellissime parole (visto che sei riuscita a contattarmi privatamente?), l'idea di una collaborazione non mi dispiace!!!
Che dire, ragazze... se continuate a commentarmi solo voi finirete per viziarmi! Grazie mille davvero, e grazie anche a quelli che mi leggono soltanto! (finalmente ho capito come si fa a vederlo... un passettino alla volta...)



Grimmauld Place, 6.


10.

Extra: Scambio dissimulato di pareri fra Tonks e Bessie, scritti con un mozzicone di matita sul giornale del mattino durante la colazione:

-Non stai per fare quello, vero Betsy?
-Oh, santo cielo, come sei volgare Tonks... oh oh oh...
-Non scherzare. Molly ti ucciderà.
-A dire la verità ci hanno già provato...
-BES!!!
-Tutta invidia perché non puoi partecipare
-Calcolando l'ultima volta, non così tanta, sai... Allora lo farai? Con loro?
-Dici di no?
-Dico di sì, sicuramente!
-Stupida donna barbuta e purosangue!!!
-No, davvero, Harry da ieri è strano. Non guarda in faccia nessuno, specie Sirius. Molly ha provato a parlargli ma non ne ha cavato nulla di buono.
-Lo sa, vero?
-Sì. Mi spiace che tu non abbia potuto raccontarglielo di persona.
-Forse è meglio così. Malocchio è forte, no?
-Ero preoccupata per te ieri. Credo che anche Harry lo fosse.
-Pensi che sia silenzioso per questo? Non perché non gliene ho parlato?
-Esatto. Quando stavi in terrazzo da sola lui si rabbuiava... va tutto bene Betsy? Tutto sotto controllo?
-Tutto bene. Non dirmi sotto controllo, quando mai ho avuto tutto sotto controllo?
-Allora lo farai.
-Non c’erano dubbi, no?
-No =)
-Oggi pomeriggio torno prima dal lavoro. Lo chiamerò in disparte, in camera.
-Merda, Sirius sta guardando di qua!
-Anche Remus... è un po' che ridacchia... lo dicevo io, non fidiamoci, non prendiamoci un amico peloso! Sono instabili!!!
-Lo sanno, Bes.
-Sono davvero così prevedibile? Sigh!
-E' che non sei mai riuscita a mentire uno straccio di volta a nessuno di noi...
-La vita fa schifo. La sincerità fa schifo. Se Sirius me lo impedisce, giuro che lo mollo!
-NON STATE INSIEME, Bessie!
-Allora pianto Remus
-Bes...
-Chiudiamo questo giornale. E tu tappati quella ciabatta, Dora! Andrà tutto bene!



*




“Allora!” borbottava Bessie litigando con le mani affondate in un groviglio di capelli. “Vieni fuori!”
Harry aveva inclinato la testa di tre quarti per osservare quella scena bizzarra: certo, Bessie un po’ strana lo era sempre stata, ma bisticciare con i propri capelli gli sembrava un po’ troppo, specie perché aveva l’impressione che i capelli rispondessero!
“Avanti pigrone, avanti!” insisteva lei.

Pochi, insignificantemente piccoli minuti prima Harry si trovava in camera sua, a gambe incrociate sul letto mentre si passava pigramente una mano tra i capelli ed addestrava l’altra alla sottile arte dell’equilibrismo perché riuscisse contemporaneamente a tenere giù la pagina del libro che stava leggendo e a stringere la mela che mordicchiava. Nulla di sublime, solo un Ragazzo Che Legge il libro che tiene sulle sue ginocchia. Solo un modo come un altro per sentirsi un essere umano quasi perfettamente ragionevole.
Solo, evidentemente, la quiete prima della tempesta. Subdola, subdola tempesta.

Hermione gli avrebbe fatto notare che stava avanzando un pezzetto di mela.

Bessie continuava ad esortare i propri capelli mentre cercava di estrarne qualcosa. Persona seria, questa Elizabeth Lovelace. Si vede che la vita è stata tragica con lei.
“AAARGH!”, aveva protestato all’improvviso. “E se avessi bisogno di affetto?!”
Harry aveva tossicchiato imbarazzato. “Ehm”, aveva detto. “Cough”, aveva aggiunto poi. Aveva allungato una mano verso di lei, tentennante, poi si era ricordato di stare stringendo la mela con quella stessa mano e l’aveva ritirata in fretta sentendosi ancora più cretino.
“Oh no, no!” aveva riso lei. “Non parlavo mica con te -- porcamiseriapoiquestocerotto”, aveva borbottato quando la colla le si era impigliata in una ciocca di capelli.
Harry aveva quest’orrendo sospetto di emettere segnali luminosi nei momenti in cui si sentiva più idiota del solito. Probabilmente un sadico ricordino di Voldemort assieme a tutto il resto, in modo che quando era davvero, davvero stupido nessuno potesse perdersi la scena.

Finalmente c’era riuscita. “Eccoti qui, maleducato!” aveva esclamato stizzita.
Alla fine, sotto lo sguardo basito di Harry, si era posata sulla spalla un gattino piccolissimo, completamente bianco, dall’aria soffice e tenera come una specie di batuffolo di neve.
“Questo è Spiffero, Harry. Su Spiffero, saluta, da bravo!” Con due dita gli aveva assestato dei buffetti delicati sul musino, poi aveva sospirato. “Niente da fare. Sai, io-- volevo parlarti, Harry. L’avrai immaginato. Prima però mi faresti il favore di chiamare anche Ron e Hermione? Sarà più divertente!”
Divertente? Bessie aveva l’aria di non stare più nella pelle, e Harry mentre si dirigeva verso la porta si era chiesto che cosa diamine potesse eccitarla a quel modo di un discorso che l’aveva sconvolto profondamente… insomma, c’era quello che era successo, e poi ora era tutta colpa sua se quei due non stavano insieme, non erano felici. Dove stava il divertimento?
Cosa c’entreranno poi Ron e Hermione?, si era detto.
“Ah, Harry!” la voce di Bessie l’aveva interrotto con la mano sulla maniglia. “ovviamente ti sarei grata se nessun altro sapesse che venite qui... sai, come nelle migliori tradizioni!” gli aveva strizzato l’occhio.
Harry si sentiva sempre più perplesso: perché tutto in segreto? Cosa stavano per fare, forse qualcosa di poco prudente? Non avrebbe dovuto quantomeno avvertirli in quel caso? E poi, come faceva Bessie ad essere così allegra ed amichevole con lui… proprio con lui?
"Oh, al diavolo!" Aveva accelerato il passo: voleva saperne di più.
Poco dopo era di ritorno con i due amici, ai quali una Bessie che davvero in quel momento non poteva dimostrare più della loro età aveva presentato Spiffero, spiegando da dove provenisse.
“Ah!” aveva esclamato Hermione balzando in piedi “Ecco perché qualche volta sembrava che sgridassi te stessa, o cose del genere! Allora non eri--”
“Pazza?” l’aveva interrotta Bessie con sguardo penetrante; Hermione era arrossita mentre lei proseguiva tranquilla. “No, non lo sono. Non per questo, almeno. Spiffero è addestrato per collaborare con il Ministero… non è una bestiola qualunque!” sembrava davvero molto orgogliosa di lui, mentre spiegava loro le sue origini. In effetti si trattava di una razza molto particolare, dalle abilità non comuni; dal momento però che questo tipo di creature venivano utilizzate frequentemente dalle forze speciali del ministero, il loro addestramento era tale che potevano rivelarle soltanto in base al loro custode.
"Custode?"
"Oh, certamente! Non penserete forse che creature del genere si comprino?" Bessie aveva assunto un'espressione divertita all'idea. “Ora state buoni per qualche minuto, devo concentrarmi per chiamarlo.”
Chiamarlo?” aveva mimato Ron con le labbra, picchiettandosi una tempia con l’indice con aria ironicamente perplessa. Bessie però, incurante, aveva estratto la bacchetta puntandogliela contro. Ron aveva fatto un balzo, ma lei si era persa inspiegabilmente a fissare Spiffero per quelle che ai tre erano sembrate ore, senza dare segni di voler usare la bacchetta, evidentemente nelle sue intenzioni diretta verso il vuoto. Alla fine l’aveva puntata verso Spiffero, sfiorandogli la punta del naso e mormorandogli all’orecchio qualcosa d’incomprensibile mentre i lunghissimi capelli corvini si tingevano delle consuete striature argentate.
Immediatamente intorno a loro si era formata una nebbiolina compatta e profumata, e i ragazzi avevano provato una strana sensazione di dolcezza. Non appena era scomparsa avevano potuto constatare che Spiffero non c’era più: al suo posto con aria solenne stava un enorme animale bianco, più grande di loro tre messi assieme. A guardarlo bene aveva ancora le fattezze di un gatto, ma molto più adulte e più… umane? Questa era l’impressione che se ne ricavava osservandogli gli occhi, forse per questo non si erano stupiti più di tanto (fatta eccezione per un sobbalzo di Ron) quando aveva aperto la bocca per salutarli.
“Buongiorno…”
“Ragazzi, questo è Balthazar. Ciao, Bal” aveva replicato Bessie con semplicità. Il grosso gatto aveva posto una zampa sopra la sua mano.
“Ma… e Spiffero?” aveva balbettato Hermione.
“Oh, è anche Spiffero” Bessie ridacchiava divertita e orgogliosa “ma ora è Balthazar. Capito? Non è Spiffero cresciuto.”
“Ma dove l’ hai preso?” aveva chiesto Ron, forse improvvisamente speranzoso per via di Leotordo.
“Te l'ho già detto, non si prendono. Possono soltanto essere regalati. Inoltre c'è da dire che si rivelano solo se sentono di poterti concedere il loro rispetto... vieni scelto, in pratica, come con gli Ippogrifi. Poi vieni messo alla prova in qualche modo - giravo piena di graffi, non fatemici pensare! Però ho vinto!” era tornata con sguardo furbo sull'animale.
“Oh…” Ron appariva decisamente deluso.
“Quindi per te è stato un regalo?”
“Beh, sì…” nella penombra sembrava arrossita “comunque vivono in Romania. Forse a forza di stare insieme ai draghi…” aveva ridacchiato nuovamente.
“Wow! Chiederò a Charlie, allora!” Ron sembrava tornato allegro, e Bessie gli aveva lanciato un’occhiata indulgente prima di riprendere.
“Bene. Ora… montategli in groppa!”
“A Balthazar?”
“Sì, Harry. Non fare quella faccia” aveva aggiunto, notandone l’espressione “glie l’ ho chiesto, prima.”
Per nulla rassicurati ma estremamente curiosi, Harry Ron e Hermione gli erano balzati in groppa cercando di imitare il movimento agile e rispettoso di Bessie.
“Wow! Ma che cosa significa?” improvvisamente la stanza era scomparsa ai loro occhi, dandogli l’impressione di trovarsi in cielo, fra le nuvole. Harry non era riuscito a trattenere un’esclamazione.
“Beh… siamo nel cielo, no?”

Schiamazzi, momenti di paura ed esaltazione avevano rubato il posto ai dubbi. Si erano spinti in mezzo a nuvole cariche d’acqua spruzzandosi tutti, avevano virato di colpo, si erano lanciati in picchiata. Bessie sembrava non possedere freni nel desiderio di folleggiare in groppa all’animale di cui si fidava ciecamente. Aveva spiegato loro, cercando di surclassare il boato del vento contro i timpani, che solo quel tipo di creature poteva portare dove stavano recandosi - senza voler però specificare dove fosse. Harry la ascoltava cercando di schivare i capelli di Hermione, lunghe e dolorose fruste sulla sua faccia.
Alla fine erano giunti in una specie di isolotto tutto bianco: Bessie, ancora entusiasta del viaggio in cui era stata tutto un gridolino insieme a Ron, non aveva nemmeno concesso agli altri due il tempo per riprendersi, raccontando che ognuno aveva un tempo imprecisato per rimanere lì, poteva essere riportato a casa da un momento all’altro, quando l’isola avrebbe deciso che era abbastanza.
“Ma c’è un tempo limite?”
“No, in realtà”
“Allora potremmo anche rimanere bloccati qui per sempre?” Hermione aveva assunto la sua tipica espressione di rimprovero.
“Beh, no… c’è un modo per tornare senza dover attendere… però ciascuno ha il suo, e deve saperlo trovare. Sarebbe inutile che io ora vi spiegassi come faccio, per dire.”
“Ma... a cosa serve questo posto?”
“Quello lo devi capire tu, Hermione. Magari non serve. Io posso dirti solo che cosa farci… su, scendete.”

L’isolotto era completamente ricoperto di qualcosa di bianco, sembrava neve ma era caldo, appiccicoso e modellabile.
“Ma che cos’è... questo posto?”
“Bessie si era stretta nelle spalle. “L’Isola”, aveva replicato come fosse ovvio.
“Non ha un nome?”
Lei aveva scosso la testa. “Tutti i nomi che vuoi. Lily aveva un gioco...” aveva continuato verso Harry.
“Mia madre?”
“Già... com’era? La chiamava l’Isola Grande, Piccola, Media e... e poi? Ce n’erano quattro, sono sicura che fossero quattro.”
“Forse... Piatta?” aveva sghignazzato Ron verso Hermione.
“Oh, no” aveva sorriso Bessie. “Non è piatta, non è proprio piatta. Lo vedrai da te.”
“Forse è la linea del tuo cervello che è piatta, Ronald” si era vendicata Hermione. “È una linea del cervello esanime.
“BEEEEP”, gli aveva poi strillato nell’orecchio mentre Ron le dava dell’acida.
“Sei acida come il tuo maglione.”
“È bellissimo il mio maglione!”
“Sì, un bellissimo acido!”
“Che tu sia maledetto, Ron Weasley!” aveva protestato lanciandogli contro una manciata di qualcosa di sospetto che aveva raccolto da terra.
“Ma insomma”, cercava di difendersi lui. “Non sai reggere le battute!”
“Io reggo le battute! Io reggo benissimo le battute! Io reggo solo le belle battute!”
“Oh”, aveva detto Ron. “Oh”, aveva replicato quando la consapevolezza del senso di quell’ultima frase si era fatta strada in lui. “Prima o poi mi chiederai aiuto, Hermione” aveva minacciato puntandole un dito contro, “e la mia risata ti seppellirà!”
“Certo, il giorno in cui i tuoi calzini ne avranno trovati altri di altrettanto puzzolenti con cui accoppiarsi!”
“Ehi! Che hanno i miei calzini che non va?”
“Non saprei... forse ne usciranno dei Frankalzini! Forse le puzze nel sentirsi sveniranno e così si annulleranno!”
“Hermione, tu deliri”, aveva ribadito preoccupato. “No. forse questa sei la vera tu, ecco perché riuscivi a seguire le lezioni di Storia della Magia.”
“Forse potrai metterli ed avere compagnia Ronald, pensa!!! Non sarebbe fantastico?”
“Sono preoccupato”, aveva scosso la testa lui. “Magari è l’isola. Ma se sei tu sei appena andata fuori di testa.”
Harry e Bessie si guardavano con infinita pazienza, attendendo il momento in cui li avrebbero fermati con la forza.
“Create i calzini da compagnia più tardi, d’accordo?” si era intromessa lei.
Frankalzini”, aveva corretto Hermione. Ron aveva sbuffato.
“Non fare così, Ron”, lo aveva stuzzicato Harry. “Magari poi imparano a cantare.” Bessie gli aveva dato uno scappellotto sulla nuca.

Erano tornati ad osservare quello strano luogo, bianco e malleabile: Bessie aveva spiegato che potevano crearci ciò che preferivano, scegliere colori e forme e materiali, qualunque tipo di oggetti: c’era tutto.
“Createvi i vostri rifugi, ragazzi. Scegliete di essere e di avere ciò che preferite.”
Non si erano fatti pregare. Ron si era immediatamente lanciato verso un cumulo di neve ed aveva richiamato dal nulla un gruppo di tecnologie babbane, forse incuriosito dal padre. Aveva dimostrato un po’ di sorpresa per essere riuscito ad ottenere quello che desiderava senza doversi sforzare in alcun modo particolare. Bessie lo guardava sorridendo; anche Hermione pareva interessata… almeno finché dal nulla non era sbucato un robot con grembiulino da cameriera decisamente troppo simile a lei perché il legame fosse casuale. Ron aveva tentato di richiamarlo, arrossendo fino alla punta delle orecchie, ma Hermione l’aveva guardato torvamente e poi si era tuffata in una sorta di spelonca tutta coperta di specchi, cosicché nessuno potesse spiare al suo interno, senza dimostrare timore o sorpresa alcuna per averla evocata.
Bessie sembrava trovare tutta quella situazione estremamente buffa e divertente: rideva allegra, di tanto in tanto lanciando qualche richiamo non troppo convinto.
Harry si era dato a qualche esperimento vago: una palma viola che, sbucata troppo vicino al suo corpo, gli solleticava la pelle; un tovagliolo parlante che si era imbizzarrito ed aveva preso a raccontare barzellette ad una velocità per cui risultava impossibile seguirlo, tanto che alla fine aveva dovuto eliminarlo perché gli specchi di Hermione iniziavano a correre seri rischi; poi si era immaginato una bella casetta con il calore di una famiglia unita e del caminetto acceso, ma forse si era concentrato troppo, perché tutto quello che era riuscito ad ottenere era un comignolo fumante in lontananza.
Poi aveva visto Bessie, così euforica fino a pochi minuti prima, immobile mentre fissava un punto imprecisato. Le si era avvicinato.
“Tutto bene, Bessie? Tu… non lo fai? Sembravi… entusiasta…”
“Io… non credo, Harry. A dirti la verità, ho un po’ di timore. Sai… l’isolotto” gli occhi le si erano stretti a fessura, come se si stesse sforzando “agisce anche in base al subconscio. Non voglio che…” la voce le si era incrinata su una nota appena triste, come di un cucciolo ancora troppo selvatico. Harry si era sentito incredibilmente goffo, di fronte a quella ragazza alle prese con qualcosa di tanto più grande di lei da renderle impossibile rimanere fedele al suo carattere gioioso. Non sapeva assolutamente che dirle. Avanti lucine, mie luci segnaletiche: dove siete? Potete venire fuori, adesso!
“Tu… in realtà non sembri una nostra coetanea.”
Bessie aveva sorriso, proseguendo la nota appena triste. “Non lo sono.”
Al di sotto della spelonca di Hermione, i cui abitanti risultavano invisibili, si sentivano rumori strani: fruscii, cigolii e forse voci. Ron era tutto preso dalle sue tecnologie babbane più o meno complesse.
“Ragazzi…” Bessie si era sporta verso di loro “quando avrete terminato i vostri rifugi, se vorrete” aveva alzato lievemente la voce “potrò riportarvi qui, un giorno e troverete tutto come l’avete lasciato, anche se le altre persone che dovessero capitarci non vedrebbero nulla di diverso dalla distesa bianca che ha accolto voi all’inizio, plasmabile e bianco esattamente come se voi non ci foste mai stati. Capito? Potrete tornare a stare lì, magari proseguire i giochi. Oppure, se preferite, lavorare a qualcosa di diverso al fianco dei vecchi tentativi. Oppure… beh, potrete ricominciare tutto da capo, come se non ci fosse mai stato nulla. Rifarlo, insomma. È… tutta una questione di ciò che voi scegliete di fare in base a ciò che voi siete e a quello che avete già, che vi ritrovate fra le mani. Capito? Magari ora vi sembra giusto questo, o vi diverte soltanto, e magari in futuro troverete meglio per voi un rifugio diverso. Non dipende da lui, lui sta lì oppure no. Dipende da voi, e dalle decisioni che prendete.” Aveva ripreso fiato. “Capito?”
Hermione si era sporta da una finestrella creata per l’occasione, fissava Bessie stranita dalla prolissità del suo discorso per una semplice isola di giochi. Ron invece non era comparso; pareva in difficoltà, avendo perduto la capacità di controllare le sue creazioni, robot compreso. Hermione gli aveva scoccato un’occhiata con aria di sufficienza.
Bessie intanto, che pareva ignara degli altri due, aveva avvicinato il volto a quello di Harry quasi facendo toccare i due nasi. “Capito?”, gli aveva mormorato.
Harry aveva tirato un calcio ad un’ampolla di vetro creata per quello scopo proprio di fronte al suo piede.
“Ahi!”
“Oddio scusami Bessie, ti ho colpita? Non volevo farti male!”
“Ti ho chiesto se era chiaro quello che intendevo, ma non serviva lavarmi! Ow…”
“Io…” Harry le si era avvicinato con aria contrita, ma ben presto osservandole il ciuffo di capelli e le guance sporchi di puzzalinfa collosa non era riuscito a trattenere un piccolo ghigno.
“Ah, grazie tante! Continua pure, non ti disturbare a smettere di divertirti a causa mia!”
“Scusami Bessie, ma è che sei… proprio…”
“...Idiota?”
“Beh,” aveva sghignazzato di nuovo “direi che hai centrato il punto.”
“Sì eh? Ti dirò. So usare quest’isola come le mie tasche, e a dire la verità al momento le mie tasche sono alquanto…umide.” Una pioggia di succo di fragole era piombata sul capo di Harry, impiastricciandolo tutto e facendogli perdere perfino il senso dell’orientamento.
“Aaargh!!! Datemi una nuvola carica di pioggia, presto!!!” e glie l’aveva spruzzata addosso con tutta la forza di cui erano capaci le sue braccia. Bessie era scomparsa sotto l’acquazzone, per poi ricomparirne più fradicia e ansante di un pulcino appena nato.
“Bene, Harry caro.” Il tono era inesplicabilmente calmo. Misurava ogni sillaba, Bessie, ed Harry sapeva che questo non poteva portargli nulla di buono. Si era scostata dagli occhi i capelli zuppi come era solito fare Sirius con lei. “Questa si chiama guerra.”
In un istante si erano ritrovati accartocciati in un unico gomitolo di gambe e braccia e capelli ed occhiali, sotto piogge di mentine bugiardine e in pozze di panna rancida. Non si erano neppure accorti del piccolo clack che aveva accompagnato il loro ritorno. Harry aveva riaperto gli occhi nella stanza di Bessie, con lei che lo guardava dal letto.
“Dove… dove siamo?”
“Dove vuoi che siamo? Usa gli occhi, Harry!”
“Ma siamo… tornati? Di già?” il tono era vagamente deluso. “Come mai?”
“Evidentemente l’isola ha deciso che tu fossi rimasto lì abbastanza.”
“Ma… e tu? Anche tu allora?” sembrava spaesato, anche se tutta la situazione, così gocciolante, appariva un tantino ridicola.
“Io ero lì soltanto per accompagnarti, Harry. Per mostrarti ciò che dovevi vedere, per dirti ciò che dovevi sentire. Ora tocca a te trarne le giuste conclusioni.”
“Siamo tornati senza Balthazar?”
“Lui è rimasto a fare la guardia a Ron e Hermione. Glie l’ ho chiesto, ha acconsentito, quindi rimarrà lì per tutto il tempo utile che nel suo caso consisterà nel periodo in cui loro vi rimarranno.”
“Capisco…”
“Davvero?” Lo sguardo di Bessie era penetrante, ed era chiaro che non si riferiva solamente a Balthazar. Harry l’aveva squadrata, ripensando al suo discorso di poco prima e non potendo impedirsi di sorridere ricordandone la conclusione. “Senti, Bessie…” una sfumatura ironica era comparsa nella sua voce, ricacciando in gola l’Io Non Lo So che stava per uscirne. “Non sei proprio nella posizione adatta per farmi una predica.”
“Posizione? Quale posizione? Forse quella del tuo maglione?”
Harry aveva squadrato se stesso, questa volta: effettivamente il maglione era ritorto attorno al suo corpo, e la cosa più incredibile era che era rovescio, la schiena davanti e viceversa. Quando si era vestito l’aveva messo dritto, quella mattina.
“Um, non è… come sembra.”
“No. Immagino sia una scelta di vita.”
“Sì, è... un simbolo. Io sono…”
“…Un sudicio ragazzino coi capelli impomatati di fragole garbuglie, se vuoi saperlo!” questa volta era stata la risata di Bessie a risuonare soddisfatta.
“Fragole garbuglie? Oh, ma che nome originale hai coniato!”
Bessie aveva fatto spallucce. “L’essenziale è che funzionino.”
“Certo, beh… con tutta quella puzzalinfa in faccia che altro avresti potuto rispondermi?”
“Guarda che quello che stai fissando è uno specchio, Potter!”
Harry si era pulito la faccia con i gomiti. È bello avere delle maniche. Quando ti capita un momento proprio di panico, perché hai il raffreddore e nessuno ti vede, quando devi riacquistare dignità, loro non ti tradiscono mai. Beh, quasi, si era corretto notando la scia di sporcizia rimasta a testimonianza sulla stoffa.
“Lo sapevo, sai? Voglio dire, non è che tu mi abbia sorpreso. Non è che volessi -- schivarlo.”
“No”, era convenuta lei. “È bello che tu sia nella mia camera. Tornerai per farle una doccia?”
“Se non m’imbatterò in qualcosa di Molto Grosso e Pericoloso nel frattempo”, si era pavoneggiato.
“Oh, già.” Bessie si era battuta una mano sulla fronte. “Il ragazzo deve salvare il mondo.”
Harry, di colpo, si era chiesto se Bessie fosse contenta. Di essere stata sull’Isola con lui, di essere in quella camera con lui. Se fosse contenta in generale. Si era guardato attorno ed aveva pensato che non conosceva proprio nulla di lei.
Bessie guardava Harry che studiava i dintorni, ed era così strano che lui somigliasse tanto crudelmente a James e non fosse James, non riconoscesse ogni dettaglio di quello che vedeva lì dentro o di quello che vedeva in lei; non era sembrato così tremendo nella sua testa, quando se l’era immaginato. La destabilizzava, pensare che perché lui capisse avrebbe dovuto spiegarglielo.
Non voleva che fosse lui. Non voleva che stesse lì e che non sapesse. Voleva che capisse.
Aveva bisogno di spiegarglielo, in fondo, ma non sapeva come. Non sapeva come spiegare le cose ad Harry Potter, sapeva solo come spiegare le cose a James Potter. O a Lily Evans. O a Sirius Black.
Si sentiva, Bessie, una specie di gatto che affoga. È particolarmente spiacevole l’immagine di un gatto che affoga, perché perde le sue naturali eleganza e felssibilità per annaspare con tutto quel pelo che gli si appiccica addosso, e i miagolii strozzati non suonano per niente minacciosi. Si sentiva legata da tutto quell’umido e arrabbiata perché Harry non era James e non sapeva nulla di James. Era arrabbiata, Bessie. E quando si arrabbiava faceva cose stupide.


*


Una volta James l’aveva buttata nel lago per sbaglio, e si era lanciato giù credendo di doverla salvare e poi aveva perso gli occhiali in acqua e si erano dovuti rituffare entrambi per cercarli. James aveva provato ad asciugarli contro l’erba.
“Mi sembri disturbato. Sei disturbato”, si era decisa a spiegargli alla fine. Lui l’aveva squadrata con sardonico affetto.
“Sei affascinante con quella maglietta appiccicata alla pelle, sai Lovelace?”, e a dirla tutta suonava come una specie di “Ehilà” maldestro verso il proprio assassino, per la dignità che era riuscito ad infondergli. Suonava come un “Ehilà” pessimo al padre della tua ragazza che vi ha appena sorpresi in momenti che non avrebbe mai dovuto sapere che sua figlia conosceva.
Bessie ne era estremamente, bizzarramente felice.
“È James Potter”, aveva pensato.” James Potter è bizzarro. James Potter è un sentimento inesplicabile.”
Bessie aveva cercato di infondere tutta la sua felicità nel tono della voce, tutta la sua tenerezza. Lo aveva squadrato ironicamente.
“Vaffanculo, Potter”, aveva detto con gaiezza.


*


Harry non sapeva nulla. Harry era incastrato all’angolo della camera con un’espressione spaesata in mezzo a tutti quei ricordi che non si vedevano ma che lui sapeva essere presenti. Harry era lì ed aveva qualcosa a che fare con l’arrabbiatura di Bessie, supponeva. Lei l’aveva visto così piccolo e inconsapevole, e nell’arrabbiatura l’aveva squadrato con tutto l’affetto che era riuscita a scovare.
“Vaffanculo, Potter”, aveva ghignato soave.

Aveva dovuto schivare di un soffio l’assaggio di alcune sue dita zuppe di sostanze pericolosamente indistinte.
“Ahf gnm ghack glump!” aveva commentato irosa, quando lui era riuscito comunque nell’intento.
“Buono, eh?” Harry pareva divertirsi un mondo. Certo, probabilmente lo stesso non si sarebbe potuto dire non più di un secondo dopo, quando le sue dita avrebbero, potendo, domandato pietà strillando per la presa del sottoginocchio crudele di Bessie. L’aveva afferrata per i capelli. Lei gli aveva strappato una tasca dei pantaloni.
“Ma insomma, che cos’è questo… oh miseria!!!”
Sirius, seguito da Tonks che si era prontamente tappata il naso con due dita, si era bloccato con aria sconvolta dinanzi al disastro iridescente che una volta era la camera di Bessie. “Cosa… state facendo voi due?!”
È strano come una voce che solitamente ti emoziona possa risuonare come il rombo del Giudizio, aveva pensato Bessie. Sirius aveva la barba lunga. Le piaceva, come stava con la barba lunga. In quel momento, però, gli dava quell’aria da Divinità-Del-Giudizio che non la confortava eccessivamente. Aveva provato a rialzarsi disinvolta, liberando gli occhi dai capelli ed un orecchio da qualche litro d’acqua.
“Uhm… il piccolo alchimista?” aveva suggerito fingendosi contrita. Ma non sarebbe mai stata brava come lui a raccontare frottole. Sirius aveva questa incredibile capacità di enunciare una menzogna palese in modo talmente educato da farti sentire in colpa nel momento in cui dubitavi della sua veridicità.
“Doccia”, aveva chiamato automaticamente Harry.
A-ha!, aveva esultato lei. La Barba di Dio ha costretto anche te ad una giustificazione, vero?
“Bezzie, bai a labardi ber garità, e anghe du Harry… ziete zpavendozi… ze vi vede Molly vi abbazza…” Tonks non aveva avuto il coraggio di liberare le narici nemmeno spingendoli via. Bessie, allontanata dalle pacche sulle spalle di Tonks, era riuscita comunque a mormorare ad Harry “Se poi vuoi aspettare qui Ron e Hermione fai pure, non c’è problema! Solo…non andare a vedere nulla laggiù.” E gli aveva indicato brevemente un mucchietto di oggetti dall’aria bizzarra, che però si era premurato docilmente di non osservare più a lungo del dovuto. Aveva già forzato abbastanza i segreti di Bessie, in fondo!
Sirius era rimasto nella stanza; teneva qualcosa in mano, pensieroso.
“Che succede, Sirius?” aveva domandato Tonks. Aveva cercato di spiare fra le dita del pugno chiuso, e lui le aveva permesso di farlo: teneva una specie di collare molto rock e molto strano, in pelle nera con degli spuntoni di metallo tutt’intorno. Una di quelle cose molto ridicole e molto da cane che quando sei diciottenne adori in un modo per cui probabilmente ti vergognerai per il resto della tua vita.
“Questa... era mia...”
“Meno male, perché stavo giusto chiedendomi -- aspetta un attimo: è vero! Me la ricordo!” aveva sghignazzato. “Cane-Sirius!”, aveva esclamato. “Molto Padfoot. Molto calato nella parte.”
“Non sapevo che l’avesse lei.”
Tonks aveva cercato di parlare con affetto. “Ci sono tante cose di lei che non sai.”
Sirius aveva cercato di ridere, ma gli era uscito più strozzato di quanto avesse voluto. Era come una risata di fronte al’uomo che sta per ucciderti, aveva pensato. Come una risata maldestra quando il padre della tua ragazza ti sorprende con lei.
“Credevo me l’avesse rubato James... L'avevo picchiato, per questo.”, aveva sussurrato. In fondo a rifletterci era stato comodo, che la sua ragazza non avesse avuto un padre.
“Tonks, non pensi...?”, aveva continuato. “Per la miseria, quei due sembravamo James ed io!”




11.
“Oh, andiamo Harry! Che significa che non hai ancora risolto i tuoi problemi con Bessie? È semplicemente adorabile con te!"
“Ma non è questo, io…”
“Non puoi essere geloso, odiarla solo perché sta spesso con Sirius!”
“Senza contare che sta sempre anche con Lupin!” Ron si era chiesto vagamente perché Hermione gli avesse rivolto quell’occhiata omicida alla sua precisazione.
“Hermione, vuoi lasciarmi parlare?! Io non odio Bessie, al contrario mi piace molto! Solo, non so… ora sono qui e prima ho passato l’estate da solo, e poi ho rivisto voi e Sirius, finalmente, e… ed ero felice, e insomma, lei… anche lei vuole Sirius, e io vorrei…”
“Lo vorresti solo per te.”
“Già.” Harry si era scoperto estremamente interessato alle punte delle sue scarpe.
“Ma Harry” Ginny si era introdotta nella conversazione dopo uno dei suoi silenzi meditabondi. “Hai mai provato veramente ad immaginare cosa abbia significato per lei un sonno imposto lungo tredici anni?”
“Io…”
Ginny non dava segno di averlo sentito. “Ti sei mai chiesto” aveva continuato, la voce soffice poco più di un sussurro “cosa si provi ad avere degli amici, una famiglia, e perdere di colpo tutto questo per un ideale cui ti dedichi, e smettere di vivere per tredici anni e poi risvegliarti, così, senza un motivo… e scoprire che fra le persone che ti erano più chiare molte sono morte e le altre sono ormai talmente tanto distanti da te che non hai nemmeno idea di come poter fare per raggiungerle?”
“Ginny, io…”
“Ti sei mai chiesto come si possa reagire a tutto questo senza impazzire, ti ha mai sfiorato l’idea che forse Bessie ha bisogno di Sirius e degli altri almeno quanto te? So che per te è un amico, un genitore, quella famiglia che non hai mai avuto Harry, ma forse proprio per questo dovresti più di altri… capire...”
“Credo che Ginny abbia centrato perfettamente il punto!” la voce soffocata di Tonks era giunta buffamente dalla porta. Ron si era alzato istintivamente, andandole ad aprire: ultimamente sembrava le facesse piacere stare fra loro, specie se Bessie non c’era, come se non si sentisse davvero a suo agio insieme agli ‘adulti’.
“Posso disturbarvi?” aveva aggiunto introducendosi nella stanza.
“P-prego” aveva risposto Ron, accogliendola con un gesto ed indicandole il pavimento su cui sedevano gli altri in cerchio.
“Oh, bene bene!” Tonks aveva battuto le mani una volta, eccitata, poi anche lei si era accomodata a gambe incrociate per terra. “Perdonatemi se vi interrompo, non intendevo origliare. Ma quello che volevo dirti, Harry” e si era voltata verso di lui a prendergli le mani con un movimento tanto repentino quanto quelli di Bessie (chissà chi aveva contagiato chi, nel corso degli anni, con quel modo di fare) “è che Ginny ha assolutamente ragione! Penso…” si era attorcigliata intorno al dito una ciocca di capelli, diventata istantaneamente verde “che tu abbia dovuto sopportare una gran brutta estate, che sia stata fin troppo dura per te e che avessi soltanto voglia di rilassarti finalmente con i tuoi amici! Dico bene?”
“Beh… all’incirca…” Harry aveva cambiato nervosamente posizione. Non gli faceva molto piacere che lei avesse fatto centro nel comprenderlo.
“Ti dirò, Harry, che mi sto affezionando sinceramente a te e te lo auguro anch’io con tutto il cuore! Ma voglio un bene immenso anche a Bessie, e sai, gliene voleva anche tua madre…”
“Che cos… lascia stare mia madre, adesso!”
“Va bene. Pensavo solo fosse un modo perché ti avvicinassi… fa niente. Scusami. Forse avrei dovuto parlarti della sua dipendenza dagli zuccheri o cose così” aveva annunciato, e ad Harry era sembrato che fosse vagamente delusa. “Però, Harry, io certe volte guardo Bessie mentre sorride e mi chiedo che cosa stia passando per davvero nella sua testa, ed è dura per me non saperlo, e forse proprio tu che hai sofferto tanto potresti provare a fare uno sforzo… a capirla… per lei, sai, ma anche per Sirius, visto che ci tieni…”
“Che cosa c’entra Sirius?” aveva chiesto lui allarmato. Hermione aveva scosso il capo, riflettendo sul suo nascondere la testa sotto la sabbia di fronte alla realtà.
“Oh, beh…” Tonks aveva ponderato qualcosa fra sé, alzando poi le spalle “Nulla, suppongo.”
“Ma scusami” era intervenuta Hermione, “di preciso da quanto si è risvegliata Bessie? Come l’avete saputo?”
“Betsy? Lei… l’abbiamo saputo immediatamente, l’Ordine si era appena ricomposto. La notte in cui si è ripresa anche Sirius stava dormendo, e si è svegliato di colpo con la precisa percezione di lei, che l’avesse fatto anche lei in quello stesso istante.”
“Cosa? Sirius ha…” Harry aveva spalancato la bocca.
“Già.”
“Aspetta un momento, ci sono! Il quadro!”
“Che cosa? Quale quadro, Fred?” Tonks sembrava incuriosita.
“Ma sì, hai ragione Fred!”
“Te lo ricordi anche tu, George? Beh…” si era rivolto a Tonks “quando siamo arrivati qui abbiamo passato un po’ di tempo ad interrogare i quadri.. per saperne di più su ciò che succedeva, sai... voi non ci raccontavate nulla!” si era giustificato, ma la smorfia divertita di Tonks aveva gli occhi che scintillavano. “Comunque sia, una volta un quadro ci raccontò di Sirius, solo che noi non potevamo sapere… collegare…”
“Ci disse” si era intromesso George “che Sirius una notte si era svegliato urlando un nome di donna come se gli stessero strappando le viscere. Disse che si alzò, madido di sudore, e barcollava, doveva aggrapparsi alle pareti per sostenersi… si trascinò in quel modo per la casa, spostandosi da un quadro all’altro mentre mormorava di continuo quel nome e gridava di chiamare Silente… non l’avevano mai visto così. Inoltre pare che avesse dei crampi fortissimi allo stomaco; alla fine si è accasciato su se stesso, piegandosi in due per il dolore, e appena si è reso conto che qualche quadro era effettivamente andato ad avvertire Silente è crollato a terra in preda a conati di vomito, ed è svenuto.”
Il silenzio era calato per alcuni istanti; Harry e Tonks sembravano i più impressionati dalla descrizione, ognuno per motivi propri.
“Cristo…” aveva mormorato lei.
“Tonks” Harry aveva deglutito “questo significa… anche Sirius è molto legato a lei, vero? Quello che cercavi di dirmi prima…”
“E’ che quei due sono stati insieme, Harry. Si sono amati. E probabilmente si amano ancora, con tutto il cuore.”


*


Quella sera Harry sembrava ancora più combattuto. Era come se avesse separato sua padre e sua madre.
Vorrei concentrarmi sulle parole di Bessie. È stato un bel pomeriggio.
In testa, però, continuavano a riproporglisi le rivelazioni dei gemelli Weasley e di Tonks. Mi sento come se avessi separato i miei genitori, si era ripetuto con rabbia. La sua bacchetta aveva emesso un paio di scintille. Non si era accorto di Bessie che si avvicinava finché lei gli aveva parlato.
“Non ci hai pensato, eh, a quello che ti ho detto?”
“Io non… è che mi dispiace, Bessie! Non capisco cosa--” era ammutolito. C’era quello che avrebbe voluto da una parte, dall’altra però... non si sentiva più sicuro di niente. Bessie aveva riflettuto per alcuni istanti, poi si era andata a sedere sul divano.
“Vieni qui, Harry” aveva battuto la mano su un cuscino “Siediti. Voglio dirti una cosa prima di cena.”
Harry aveva obbedito, docile.
“Lo sai, prima non sono stata completa. In realtà non solo le creature come Balthazar sono in grado di condurre all’isolotto.”
“Davvero?”
“Anche alcuni animali bianchi ce la possono fare… ma non c’è modo di insegnarglielo: capita e basta!”
“Animali bianchi…?"
"Sì, totalmente bianchi", aveva aggiunto lei con un sorrisetto.
"EDVIGE!!!” Harry era quasi balzato in piedi sul divano, mentre Bessie lo teneva giù afferrandolo per una manica.
“Esatto. La vedi?” Edvige svolazzava fuori dalla finestra, cercando di entrare in un atteggiamento curioso “Sta annusando.”
“Annusando? Ma le civette non annusano!”
“Proprio per questo l’ ho notato… è come se riconoscesse.”
“Ma allora… io come farò a capire se succederà e quando? Cosa dovrò fare? Posso aiutarla?”
“Lo capirai e basta, Harry. Ti verrà voglia di andarci e penserai di andarci, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non c’è un modo in realtà, non c’è nemmeno un perché. A volte…” gli aveva posato una mano esile sulla spalla. “A volte le cose succedono e basta, e tu non puoi farci niente. Non puoi cambiarle, non puoi evitarle. Però puoi reagire. Puoi scegliere, Harry, quello sta solo a te e non dipende dagli altri, da chi c’è e da chi non c’è e da chi ti è vicino. Quando tu sei nato ti sei ritrovato con una lotta scritta, ma sei tu che decidi come combatterla. Qualcosa lo puoi sempre costruire con le tue mani se vuoi, sempre. Con qualunque tipo di condizioni.”
Harry aveva sollevato gli occhi a guardarla, mentre lei tornava a sorridergli.
“Non è colpa tua, Harry.”



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Capitolo 7
*** Grimmauld Place, 7. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Eccomi qui! Ragazze, sono stanchissima... ho davvero sonno... però proverò ad aggiornare anche stasera.
Vi ringrazio come sempre, e ringrazio anche Silverphoenix... con te adesso il mio podio delle prime tre critiche è completo, wow!!!
Oggi si va di ricordi... anche un po' romantici, a dire la verità. Sono particolarmente felice perché il prossimo sarà un capitolo cui sono affezionata, approfondirò anche un personaggio che, insieme a Sirius e Lupin, è il mio preferito. Vediamo chi indovina la sua identità? :p



Grimmauld Place, 2.


12.
Bessie, di buonumore, si era cambiata per presentarsi a cena con uno dei suoi adorabili abitini babbani. Harry le aveva alzato i pollici decisamente rilassato. A sorpresa si era presentato anche Kingsley, accompagnato da Malocchio, e lei gli era volata in braccio incurante della sua seriosità naturale.
“Oh, monella!” la tranquillità dello sguardo dell’uomo sembrava contrastare decisamente con le parole divertite che proferiva, mentre sosteneva Bessie che gli era saltata al collo come per un’abitudine cui si sottoponeva. “Mi hai piantato di nuovo!”
Moody aveva fatto schioccare la lingua.
“Scusamiscusamiscusami King, non ho potuto farne a meno davvero! Era importante!”
“Immagino di sì, quale cucciolo di peluche di unicorno da salvare stavolta?”
“Te lo giurooooooo!!!”
“Diamine Bessie, smettila di fare tutta questa confusione!” Era sopraggiunta la signora Weasley con le braccia cariche.
“Molly, vuoi che…?”
“No grazie Tonks, per carità! Dalla padell -- ehm, volevo dire,” si era corretta al suo sguardo offeso “ce la faccio. Bes… oh Kingsley, ci sei anche tu? Giusto in tempo! È pronto, tutti a tavola.”
La cena era stata una delle più piacevoli di cui avessero goduto negli ultimi tempi, sembrava quasi che tutti fossero riusciti a ritagliarsi un’ora in cui accantonare i loro problemi. Una volta terminata si erano riuniti a gruppetti nella sala grande: Tonks e Bessie erano sgattaiolate via da quello degli adulti, raggiungendo Harry, Ron e Hermione che discutevano animatamente delle loro esperienze pomeridiane; capitavano fra loro sempre più spesso. Fred e George si erano rannicchiati in qualche angolo più in ombra per discutere dei loro affari, così erano soli. All’arrivo di Tonks i tre si erano zittiti, ma lei aveva fatto una smorfia: “Oh ragazzi, l’ ho capito appena ho guardato Bessie negli occhi. Lei per me è un libro aperto. Parlatene pure!”
“Oh beh, in questo caso…” Harry sembrava titubante, ma il giungere di una sorridente Ginny sembrava averlo incoraggiato. “Davvero l’isolotto te l’ha indicato mia madre, Bessie?”
“Certo! Mi ci ha portata lei, anche se all’inizio non volevo mai seguirla…”
“Come mai?”
“Beh, ci andava con tuo padre, e -- a me James non piaceva.”
“Non -- ti piaceva?”
“Nemmeno Sirius, se è per questo!” aveva rovesciato il capo all’indietro in una risata allegra.
“Davvero?”
“Lo giuro”, aveva proclamato portandosi solennemente una mano al cuore. Dal momento che sembrava che l’idea la divertisse parecchio anche Harry aveva preso la cosa più alla leggera. “D’altra parte gli stessi James e Lily all’inizio si beccavano spesso.”
“Oh, se si beccavano!” aveva riso Tonks. “Ma tu, Bessie…non mi hai mai spiegato davvero perché ti sei innamorata di Sirius nonostante tutto!”
Harry aveva sghignazzato, ponendosi in attesa. Improvvisamente sembrava tutto così logico, così semplice… il peso nel suo cuore fluttuava via poco a poco, mentre la storia tra Bessie e Sirius diventava qualcosa di esterno a lui, solo un racconto più o meno bello da sentire una sera riuniti su un vecchio, comodo divano.
“Uh, no? Io…” si era distratta per alcuni istanti, seguendo con lo sguardo Grattastinchi che balzava in braccio proprio a Sirius e prendeva a fargli sonore fusa in risposta ad una grattatina di capo. “Sono stati i gatti.”
“Eh?” aveva risposto qualcuno incredulo.
“Sì… Sirius ha un po’ un caratteraccio, no? Però i gatti” aveva indicato la scena cui stava assistendo, e Harry aveva ripensato al suo primo incontro con lui, quando Grattastinchi gli si era dimostrato così ostinatamente fedele “non sbagliano.”
Bessie aveva un’aria quasi ieratica, e forse per questo Tonks non aveva resistito dallo stuzzicarla: “Oh, lei è una bibliofila di tutte quelle frasi tipo I cani mangiano, i gatti cenano o Diffida di chi non ama i gatti!”
“Sì, però i gatti alla fine avevano ragione, no?”
“Per questo Lily ti usava come metro di paragone.”
“Come?” le voci di Harry e Bessie si erano sovrapposte alla tranquilla osservazione di Tonks.
“Sì beh” Tonks aveva proseguito rivolgendosi ad Harry “si è messa a controllare le reazioni degli altri nei suoi confronti. Guardava quanto capissero di lei… per capire loro. Non che fosse una calcolatrice, proprio no! Lei era talmente disarmante che se qualcuno insisteva a non farsela piacere doveva essere proprio un vigliacco o un pavido o un malvagio. Questo, diceva sempre tua madre.”
“Io… non l’ ho mai saputo…”
Tonks sorrideva “Lily me lo diceva sempre, Bessie. Ti voleva bene come se fossi la sua sorellina minore, al posto di... Uhm. Mi domando però allora se… proprio per questo… perché non abbia capito che Wormt--”
“Su, su!” l’aveva bloccata Bessie tempestivamente. “Ora basta, o annoieremo i ragazzi!”
“No, vi prego!” La voce di Harry era risuonata più forte di quanto volesse, tanto che un paio di teste dall’altro divano si erano voltate. “Mi piacerebbe sapere come hai conosciuto Sirius, Bessie, e… il resto.” Il tono era suonato talmente colmo di ansia di sapere, di sentirsi partecipe di qualcosa che aveva riguardato i suoi genitori ed il suo padrino che Bessie e Tonks si erano scambiate un’occhiata eloquente. Lupin e Sirius non dovevano mai essere stati troppo loquaci, al riguardo.
“Anch’io vorrei sapere…” Hermione sembrava titubante d’inserirsi, ma era stata il segno che le aveva fatte proseguire.
“Harry, guarda che Bessie ha provato ripetutamente a boicottare la storia fra i tuoi genitori!” l'aveva stuzzicato Tonks.
“Oh, non è andata proprio così!" aveva protestato lei. "Si frequentavano soltanto un po’, ma Lily non era convinta e io spingevo per il no. Te l’ ho detto” aveva aggiunto alla sua occhiata di rimprovero “non mi andava a genio per nulla!”
“Si sì, era gelosia bell’e buona! Tu avevi il terrore che lei non ti guardasse più per quel bulletto di Potter!”
“Quanto sei cretina, Tonks!”
“Quante cose sono cambiate da allora! Sai Harry, Sirius era molto molto bello, le ragazze stravedevano per lui e lui lo sapeva perfettamente! Un perfetto idiota, a farla breve. “ Aveva scosso la testa. “Credo che all’epoca Bessie sia stata più o meno l’unica cui aveva chiesto di uscire che avesse rifiutato! Penso che all’inizio la guardasse anche per questo, in fondo si erano parlati solo una volta… forse non se ne capacitava…”
“Comunque” Bessie appariva imbarazzata, cercava di non guardare né Harry né Ron, che le sedeva di fronte “una volta l’ho beccato che infastidiva Piton. C’era James in infermeria per non so quale trucchetto andato storto, e credo che fondamentalmente lui si annoiasse. Remus” aveva aggiunto come ulteriore giustificazione “stava studiando poco distante. In ogni caso a James già Lily… tua madre, una volta aveva fatto una bella sfuriata al riguardo. Non che avesse funzionat--”
“Beh certo, Piton se la prese anche con lei, no? La chiamò Mezzosangue…” Alle parole di Tonks Ron aveva visto Harry e Hermione irrigidirsi. Bessie aveva sospirato.
“Severus è molto orgoglioso. Lily ebbe un modo troppo diretto per i suoi gusti, credo. Poi sai, penso che in fondo non volesse difendere lui… Tua madre aveva un senso della giustizia, Harry, che definire idealista sarebbe poco. Non sopportava nessun tipo di ingiustizia, mai. Certo, forse soffriva un po’ della sindrome da crocerossina” aveva ridacchiato al ricordo. “Altrimenti perché James Potter?”, aveva singhiozzato.
Harry aveva sorriso. Immaginava sua madre, splendida e forte, e suo padre, terribile ma pronto a tramutarsi in una specie di tentativo di cavaliere senza macchia quando lei era nei paraggi. Si sentiva felice, ben lungi dal fastidio di sentir profanare qualcosa di caro dell’ultima volta, quando li credeva estranei: non aveva mai sentito qualcuno parlare così dei suoi genitori… con partecipazione, non da eroi o con odio, senza prendere le distanze perché erano “Quei Lily e James Potter”. Fra loro non erano personaggi ma amici, persone! Non avrebbe mai voluto che smettessero di parlare. “E… e poi? La volta con Sirius, cosa successe?”
“Oh, già… beh, mentre Sirius lo stava maltrattando…o forse si stava già allontanando?”
Per un attimo era sembrata smarrita, si era voltata verso Tonks come per chiederle aiuto e sfiorando la pietra con la mano a cercare sicurezza. Hermione aveva tirato una gomitata ad Harry indicandogli di soppiatto Lupin e Sirius che si erano girati di scatto con il loro istinto particolare, ferino. Poi Bessie aveva sorriso, stringendosi nelle spalle; sembrava aver riacquistato immediatamente il controllo. “Oh beh, non era importante, vero? Io comunque” Harry aveva osservato Tonks riappoggiarsi allo schienale della poltrona, rilassata, come gli altri due senza che il resto dei presenti si fosse reso conto di nulla “sono andata difilato verso Piton, quella volta. Gli ho chiesto perché si fosse dimenticato di me, del libro che doveva portarmi… ero parecchio dispiaciuta mentre ripetevo che gli avevo soltanto chiesto un favore, anche se forse lui aveva troppe cose più importanti. Sapevo che Sirius intanto ci fissava… non ci avevo riflettuto prima di farlo, ma in ogni caso immaginavo che non doveva fargli troppo piacere che una ragazza che non aveva voluto saperne di lui sembrasse tenere proprio a…” aveva abbassato la voce “Mocciosus. Piton forse per liberarsi di me ha balbettato qualcosa sul volermi mandare un gufo, ma io ricordo che mi arrabbiai e rincarai la dose, gli dissi che poteva anche disturbarsi a guardarmi in faccia, nel portarmi quel libro, anche se non ero interessante quanto un foglio di appunti! Qualcosa del genere", aveva ridacchiato. "Io stessa non capivo fin dove arrivavano finzione e verità…l’essere dispiaciuta per il suo comportamento ed il voler dare una lezione a Sirius. Sta di fatto che girando i tacchi per tornare sotto il mio albero in riva al lago incrociai lo sguardo di Remus, e lui doveva aver intuito la cosa perché sorrideva in un modo… come se mi avesse sorpresa con le mani nella marmellata!”
Harry aveva ripensato al sorriso di Lupin la prima volta che aveva incontrato Bessie. Non faticava a figurarsi come poteva essere stato.
“Io mi chiedevo se e quanto avesse intuito, sono arrossita come una scema! Non ho mai saputo, in realtà, perché guardandomi avesse sorriso in quel modo…”
“E mai lo saprai, Eliza!” Un ghigno divertito aveva accompagnato l’intromissione di Lupin nel discorso.
“Oh Remus", si era lamentata "sei una bestia!”
“Solo con la luna piena”, aveva sghignazzato lui.

“Allora vi siete conosciuti così, Bessie?”
“Oh, raccontagliela tutta, ti prego Betsy!” a Tonks brillavano gli occhi “E’ fantastica, spet-ta-co-la-re!!! Sai Harry, subito Sirius è andato da lei per dirle qualcosa, una qualche battuta scema solo per attirare l’attenzione su di sé com'era suo uso, e lei… beh, lei era esasperata, e gli ha gridato contro così forte che se ti metti in ascolto puoi ancora sentirne l’eco! È stata una scena memorabile, quanto pagherei per vederlo ancora così in disarmo, ora che sembra l’uomo di pietra!” Ormai se la rideva apertamente.
“Tonks!” l’aveva redarguita Bessie.
“Suvvia Betsy, ne hanno parlato tutti! Sapete ragazzi, lei gli rispose tranquilla qualcosa che aveva a che fare col banchettare con il suo fegato, e lui continuò a fare lo spavaldo del tipo Strano, sei la prima che da me vuole il fegato, di solito le ragazze mi chiedono altro!. Lei però continuò sul filo di lana, gli disse che era strano, perché bisognava che esistesse un cervello, per poterlo apprezzare! E che in quei casi tendeva a considerarlo utile: per farci un discorso, cose così… non so se hai presente, gli disse! Dio, che spasso! Poi però è intervenuto Peter… e la discussione è un po’ degenerata. Ricordo qualche frase sui ragazzini che si facevano crescere i capelli lunghi sulla testa per non accorgersi di averla vuota…”
“Esagerammo entrambi... lui e i suoi bottoni di spegnimento!” aveva protestato lei. “Io però esplosi…”
“Oh sì, ricordo come fosse ieri! Ti diverte così tanto, Black? È così estremamente spassoso prendersela con lui?! Devi avere una grave carenza di risorse! Ma tu che cavolo ne sai del dover essere per forza qualcuno perché un altro ti costringe ad esserlo e non poterlo semplicemente essere perché l’ hai scelto, perché è quello che vuoi? Non puoi capire cosa significa realmente quello che fai, quello che gli fai! Tu puoi scegliere, Black, e per questo mi fa imbufalire vedere… che non sei altro che un foruncolo!!! Argh, che spassoso! Penso che lui avesse capito che lei parlava anche in prima persona, non so, ha sempre avuto questa sensibilità nel captare le sfumature… comunque rimase lì impalato, la bocca aperta e gli occhi sgranati. Gli avevano dato del foruncolo, capite? Al grande Sirius Black! Non trovò nulla da dire o anche solo una qualunque reazione. Lei allora iniziò ad innervosirsi” li aveva guardati con aria complice, “cercava me con gli occhi ed io tentavo in tutti i modi di restare seria perché la vedevo nel panico: il punto è che anche Piton era più o meno nelle medesime condizioni di Sirius… insomma, una scena così te la saresti aspettata da Lily. Non da Bessie! Bessie stava lì, guardava l’uno e l’altro e poi me come per chiedermi che fare… poi Sirius si deve essere reso conto di quello strano parallelismo, perché è scoppiato a ridere e se n’è andato verso Remus scotendo la testa e sghignazzando. Dicono…” CRASH. “Ops. Ci teneva Sirius, a questo posacenere? Fa nulla fa nulla, Bessie cara, lo spingeresti col piede sotto la poltrona? Ecco, così… meglio che io e te non ci addentriamo nel labirinto degli incanti di riordino e pulizia. Dov’ero…? Ah sì: dicono che anche Silente quando l’ ha saputo si sia fatto grosse risate!”
“E com’è finita?” Harry pareva insaziabile, e Tonks aveva approfittato dell’impegno di Bessie con i cocci (o contro di loro) del posacenere per proseguire.
“E’ finita che Sirius ha iniziato a starle sempre fra i piedi. Le portava una mela al giorno prendendola in giro perché era troppo magra; la stuzzicava costantemente!”
“Vi siete messi insieme così? Bisticciando?” Ron era stranamente interessato, tanto che a Bessie era dispiaciuto negare.
“Quello è stato più tardi…”
“Più tardi?”
“Sì. Volevo bene a Sirius, ho imparato a volergliene vedendolo ogni giorno e conoscendo lati di lui decisamente meno evidenti, però lui si comportava sempre allo stesso modo con me, giocava. Non si scopriva mai, abbiamo anche avuto qualche, ehm… problema. E alla fine gli ho detto che non mi stava più bene.”
“Oh Merlino Bessie, questa non la sapevo: racconta, racconta!”
“Beh, un giorno forse è stato lui ad esagerare per qualcosa, dopo la… festa, ricordi?” era arrossita fino ai capelli, rivolgendosi a Tonks. “Io gli ho detto che non mi faceva ridere, e lui è rimasto zitto un momento e poi mi ha chiesto perché."
Tonks aveva rovesciato gli occhi. “Santa pazienza!”, avevano formulato le sue labbra.
"L’ ho guardato dritto negli occhi" aveva continuato lei, "e… beh, gli ho risposto Perché sono innamorata di te, Black!.”
“Bessie, maledetta ciofeca! Non mi avevi mai descritto la scena!”
Lei si era stretta nelle spalle. “Non ci eravamo più visti.”
“Io e te?” aveva esclamato sbalordita Tonks.
“Io e lui.” Era arrossita ancora, sembrava voler terminare il prima possibile. “Perché non sono stata, ehm… a posto…”
“Oh, già. Per la precisione qualcuno le aveva stregato Spiffero.”
“Balthazar, Tonks.”
“Balthazar. Ha tentato di ammazzarla, il dolce cucciolo. Sirius ha visto che la portavano in infermeria… chi era, la McGrannitt?”
“Penso di sì… non ero granché cosciente, sai com’è!”
“Certo, perché sei una testa calda come la borsa dell’acqua! Fatto sta che era coperta di lacerazioni e sangue perché aveva provato a guarirlo. Sirius si è precipitato lì per vederla ma non l’hanno lasciato entrare perché lei si rifiutava categoricamente. Io stavo dietro una colonna per cercare di carpire informazioni… e credo che si sia reso conto lì, in quel momento, di tenere a lei. Solo che poi Bessie è guarita ed è tornata in classe, lui è volato a chiederle cosa fosse successo ma l’unica risposta che ha ottenuto è stata un brusco Non sono affari tuoi.”
“Non potevo farlo sapere a nessuno, per il bene di Balthazar” si era giustificata debolmente Bessie. Ron la fissava ammirato.
“Comunque Sirius mise il broncio. Non le parlava più, non la cercava…”
“Uomini; razza di egoisti! Proprio quando hai bisogno di appoggio!” aveva commentato disgustata Hermione.
“In realtà lui nel frattempo la teneva d’occhio. Forse aveva notato che non era in forma o forse Lily aveva accennato qualcosa a James, non so.”
“Ma Sirius è così. Anche quando sembra… che non gliene importi.”
Tonks aveva accarezzato l’amica con lo sguardo. “Hai ragione. Infatti lui era sempre lì a controllare che tu stessi bene; poi una notte stava preparando uno scherzo dei suoi e… beh, l’ ha vista uscire da sola e l’ ha seguita come Felpato fin dentro la foresta, mentre lei cercava Balthazar.”
“Di nuovo?” aveva strombazzato Ron.
“Temevo gli facessero del male gli altri animali…”
“Avresti dovuto fidarti di Silente, Bessie.”
“Lo so, ma non sono proprio riuscita a starmene con le mani in mano!”
“Maledetta Grifondoro testarda!” aveva brontolato Tonks fra i denti con infinito affetto.
“Ma l’hai trovato, poi?”
“E’ più esatto dire che lui ha trovato me, Ginny. Se non ci fosse stato lì Sirius credo che me la sarei vista brutta! Solo che come ringraziamento si è sorbito le mie urla, i miei Se gli fai del male ti ammazzo, fino a che ci siamo trovati a dover saltare giù da un’altezza improponibile, per portare a casa la pelle. Qualcosa tipo trenta metri.”
“Vi siete buttati?”
“Bessie l’aveva squadrato. “Fred. Quando serve, riesco a non essere completamente idiota”, aveva annunciato. “Anche se ho avuto dei cattivi maestri”, aveva specificato scuotendo il capo divertita. “Gli ho urlato che ci saremmo spaccati tutte le ossa del corpo, che magari poteva non sembrare ma avevo ancora voglia di vivere, di tanto in tanto. Lui però il giorno prima aveva imparato una particolare magia per gestire i vegetali, o chiedere loro di essere gestiti, qualcosa di molto complesso; voleva provare ad attutire la nostra caduta con l’ausilio delle fronde degli alberi… cose da pazzi, sapete: l’aveva tentata non più di una volta in aula, io non ne volevo sapere.”
“E allora?”
“Beh… siamo vivi, no?” Bessie sorrideva con tutta la faccia. Tonks le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso.
“Ti ha convinta? E… e ha funzionato?”
“Sirius è sempre stato più che brillante, Hermione. E mi ha… preso il volto tra le mani, mi ha guardata serio come non aveva mai fatto in vita sua, e a due centimetri da me mi ha sussurrato Fidati, ti prego… non ci proverei nemmeno se ti potesse fare del male! Lui... insomma, non era mai stato serio con me. Non mi aveva mai guardata davvero.”
Alle sue spalle era giunto una specie di coretto da stadio da parte di Fred e George, mentre Bessie arrossiva per l’ennesima volta. “Oh, ma basta, che cosa mi fate raccontare!” aveva protestato.
“Allora è stato così…” aveva mormorato Harry. Ginny lo aveva scavalcato per chiedere di Balthazar.
“Silente”, aveva descritto brevemente Bessie superando gli ululati di Fred e George che non accennavano a quietarsi, la signora Weasley che urlava di fare meno baccano e Tonks che spiegava malignamente a Ron come da quel momento Bessie non si fosse più lamentata perché Lily usciva con quel James Potter.
“Anzi” aveva raccontato “da quel giorno siamo stati spesso tutti insieme.”
“Però fra te e Lupin non c’è mai stato nulla?” era intervenuta Hermione.
La ragazza era arrossita istantaneamente. “No, no. per nulla. A dire la verità io una cotta me l’ero presa per lui ad un certo punto,” aveva ammesso sottovoce quando era stato chiaro che la sua confusione l’aveva smascherata. “Ma era solo la situazione che si era venuta a creare, per l’automatismo delle tre coppie che ci sarebbe stato, nulla di che. Poi all’epoca lui stava con una ragazza più grande”, aveva aggiunto in fretta.
“Lloyd.”
“Che fine ha fatto?” aveva domandato Hermione. Bessie e Tonks si erano guardate brevemente.
“Chi lo sa” aveva sospirato Tonks “non siamo rimasti in contatto con tutti, purtroppo! Anche tu stavi col tuo ex all’epoca, no Betsy?”
“Appena lasciato. Anche per questo non avevo nessuna intenzione di ricominciare a vedere qualcuno. Non che in un caso diverso mi sarei sognata di uscire con Sirius Black!”, aveva ridacchiato.
“Chissà che fine ha fatto pure lui!”
Bessie si era voltata verso Tonks così lentamente che sembrava che le fosse costato una fatica incredibile. Harry aveva chiuso forte gli occhi un attimo prima che i peli della schiena gli si rizzassero di nuovo. Ma che cavolo--
“Non lo sai, Dora?”
“Cosa dovrei sapere?”
“Ha -- stregato lui…” aveva scosso la testa. “Balthazar. È stato lui.”
“Che COSA?! Ma perché diamine--” si era bloccata in un lampo. “Uh, ok. Suppongo che fosse passato nelle fila dei Mangiamorte già allora.”
Bessie aveva sospirato stancamente e Tonks, sebbene scossa dalla rivelazione, prontamente aveva cercato di alleggerire la situazione: “Dio, quanto tempo! Sembra sia passato un secolo, mi domando come riesco a ricordare tutti quei particolari!”
“Oh, per me non è difficile.” Bessie si era decisamente rabbuiata, e Tonks aveva virato con maggiore decisione dall’argomento, scusandosi con Harry con lo sguardo.

* * *


Quella sera Bessie, chiusa la porta della stanza alle proprie spalle, si era lanciata sul letto come un’adolescente fremente di leggere un qualche bigliettino d’amore. In realtà aveva preso tra le mani la pietra con una delicatezza che rasentava la venerazione, carezzandola, sorridendole anche.
Stava ripensando ad una grande quantità di episodi, ricordi che i racconti di quella sera le avevano restituito vividi, aveva rimirato per qualche tempo le figure indistinte schiamazzare in superficie come sassi scagliati nell’acqua, poi aveva sfiorato il ciondolo con un movimento del tutto diverso, lasciando che si definissero a piacimento.
Ora davanti ai suoi occhi stava una ragazzina in divisa di Hogwarts, i colori rossi e oro ben noti, l’aria decisa ed i piedi piantati a terra. Dal boccheggiare di Sirius lì di fronte era chiaro che stavano litigando per qualche motivo a lui incomprensibile. Uomini, aveva sorriso Bessie.

"...Perché sono innamorata di te, Black!"
Sì, Sirius decisamente annaspava cercando di non dimostrarsi tanto impreparato quanto gli sembrava di essere. “Tu... ma--”
“Oh, non me ne parlare”, aveva interrotto il pietoso tentativo. Bessie sembrava scontrosamente,bizzarramente complice della sua sorpresa. “Anch’io sto ancora cercando di capirne il motivo!”
Subito dopo, lanciandogli uno sguardo d’intenso disprezzo, aveva girato i tacchi e se n’era andata.



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Capitolo 8
*** Grimmauld Place, 8. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



E così eccoci qui, al capitolo cui nelle note del 7 vi avevo annunciato di essere molto affezionata! Qualcuna ha indovinato il personaggio? Beh, lo scoprirete subito... anche se la parte che lo riguarda e che mi piace particolarmente è la seconda! Fra l'altro, parte che mi è stata in qualche modo ispirata da un one-shot che avevo letto tempo fa... su di lui... ma non sono più riuscita a trovarla, sigh!
Aspetto i vostri sinceri commenti! Scrivete quello che volete, i personaggi che vi piacciono e quelli che non vi piacciono per come li ho tratteggiati, consigli, critiche... Mi incoraggiano più di quanto possiate immaginare!




Grimmauld Place, 8



13.
“…Capisci, Remus, questo suo atteggiamento verso il passato…”
“Penso sia normale, Tonks, dato quello che ha dovuto sopportare. Si aggrappa anche lei a quello che può per rimanere a galla."
"Sì, però non è sano. Conosco quella ragazza come le mie tasche, lei ha sempre avuto questo tipo di atteggiamento nostalgico, però ho paura che stavolta..."
"...Ci rimanga incastrata."
"Esatto, Remus." L'aveva guardato seria. "Specie considerando che ora i suoi sentimenti sembrano andare a senso unico." Lupin aveva sollevato un sopracciglio, e lei si era precipitata a correggersi "Quantomeno le azioni che ne derivano. Che poi non riesco a capire nemmeno questo... Bessie e Sirius, sono entrambi bloccati nel passato, a modo loro... com'è che non tornano insieme? Betsy... finirà col morirne!" aveva scosso la testa, desolata.
"Vedi, hai detto bene prima: a modo loro. Sirius si trova in una condizione completamente diversa da lei, lui in realtà fugge nel passato perché è qui che si sente bloccato, capisci? Non può uscire, non può agire, e non è tipo da rimanere fermo. Ha bisogno di quel passato perchè non regge l'immobilità della situazione presente; stare con Bessie ora invece implicherebbe accettarla, legittimare il fatto che James non c'è più, che non lo vedrà mai più, che... Harry non è lui..” Si guardava i piedi, Lupin. Perché toccava sempre a lui la parte di quello ragionevole del gruppo? Era così spaventosamente oneroso, a volte! “E poi... la responsabilità!"
"Responsabilità?" aveva obiettato lei.
"Sai che Sirius si sobbarca di tutto, quando tiene a qualcuno. Harry per lui è il compito principale e l'affetto più grande, è un amico e un figlio e un fratello... è il suo passato con James; è ciò che l'ha mantenuto vivo e cosciente ad Azkaban per dodici anni, Tonks... non potrà mai lasciarlo."
“E chi dice che dovrebbe?” aveva gracchiato lei.
"In queste condizioni crede di non poter stare accanto ad Eliza come pretenderebbe da se stesso, perché non permetterebbe mai che lei stesse al secondo posto”, aveva enunciato con semplicità.
"Oh, ma non sarebbe così!" era sbottata lei.
"Prova a farlo capire tu a quella zucca dura!"
"E intanto Bessie rimarrà ferma, perchè finché non risolverà con lui non si lascerà mai il passato alle spalle... perché per ora è tutto ciò che ha. Non è giusto... così tanto dolore per potersi ritrovare, e alla fine quei due non torneranno mai insieme?” Tirava su con il naso, Tonks, incerta fra un'espressione accigliata e lacrime di rabbia.
"Sirius tende a sobbarcarsi di troppe responsabilità.” La risposta l’aveva colto di sorpresa.
"Un po' come te, Remus. Finirà che non avrai le mani libere per prenderti finanche una tazza di latte."
Gli si era avvicinata, e lui non se n’era nemmeno accorto. Prima che potesse ribattere, però, era entrato Piton, fermandosi di botto sulla soglia. Qualcosa nei suoi occhi aveva portato Lupin a chiedersi se davvero fosse appena giunto.
"Se disturbo me ne vado..." aveva borbottato.
"Ma no, ma no" gli aveva replicato Tonks asciugandosi il naso con il dorso della mano "Parlavamo di Bessie, sono in ansia perché ho l'impressione che si attacchi troppo al passato."
"Lei non ha perso i suoi sentimenti per Black, ma lui sì. E' questo che intendi?" aveva replicato lui in fredda analisi. Tonks si era grattata una tempia.
"Non è così semplice, non credo... crediamo" aveva aggiunto guardando Lupin, che pareva essersi cortesemente ma volontariamente escluso dal dialogo "che nemmeno lui abbia smesso di... sì, ecco insomma! C'è anche Ginny però!"
"Ginny? La Weasley?" Piton aveva fatto una strana smorfia, arricciando le labbra "Cioè Black e la Weasley..."
"No, no, non lui! Lei! Certe volte la guarda con un misto di desiderio e di paura allo stesso tempo..."
"La Lovelace... e la Weasley..." Piton sillabava i due nomi fra l'inorridito ed il confuso.
"Piton" era intervenuto Lupin per sistemare le cose, correggendosi poco dopo. “Severus, lascia stare il blaterare di Tonks... non mi dirai di non aver notato che Ginny ha un tipo di fascino molto simile, anche se più acerbo, a quello di Lily Potter?"
"Lily Po... la Evans?"
"Esatto."
"Oh suvvia, le vostre sono supposizioni di chi ha molto tempo da perdere!" aveva reagito brusco. "Bando alle fandonie, dov'è Weasley?"
"Se intendi Arthur, è nella stanza accanto" gli aveva indicato Lupin mentre lui già vi si dirigeva senza aggiungere sillaba e Tonks mormorava qualcosa di poco carino sul suo naso, frase a cui nemmeno Lupin aveva saputo resistere dal reagire con un sorriso.



14.
“Menefreghista!”, aveva borbottato Tonks qualche giorno dopo, ripensando alla reazione di Piton. “Maledetto Pitocchio!”
“Parli da sola, Tonks?”
Bessie l’aveva raggiunta in cucina con aria allegra. “È proprio una bella domenica, non trovi?” aveva annunciato indicando il sole che le riscaldava dalla finestra. Si era lasciata cadere su una sedia un po’ affranta. “Come vorrei che Sirius potesse uscire!”
“Be’, c’è sempre il guinzaglio”, aveva ghignato lei. Bessie le aveva dedicato un’occhiataccia.
“Finirà per combinare qualche guaio se rimane chiuso qui dentro ancora a lungo, lo sai” aveva commentato con aria grave.
“Già fatto”, aveva mormorato Tonks.
“Come?”
“Niente, niente.”
“A proposito di guai!” era saltata in piedi. “Non ti sembra che Severus sia strano, ultimamente?”
“Sev -- Piton?”
“Già. Non hai notato nulla?”
“Strano? Piton è sempre strano, Bes!”
“Ma neanche insolito? Recentemente l’ho scoperto più volte a fissarmi come se volesse controllarmi, quasi preoccupato... non è da lui, no? ogni tanto capita da me come se fosse per caso, ma io vedo che non è vero! Anche ieri è piombato lì come un falco, e stavo solo chiacchierando con Ginny...”
Tonks non aveva potuto fare a meno di ridersela sotto i baffi.



15.
“Quest’idea è assurda, perché non può essere Silente a farlo? Perché tu?”
“Sto cercando di spiegare una cosa ai membri dell’Ordine, Black. Solo perché non sei attivamente utile non significa che puoi recuperare a parole.”
Sirius era scattato in piedi rovesciando le sedia sulla quale si trovava. “TU!!!”
“Adesso basta, voi due. Sirius, siediti. Severus... illuminaci, per favore.”
Lui aveva fatto un sorrisetto mellifluo. “Certo, l’importante è che non si metta a guaire... lo sai che ho il cuore tenero per le bestie. Oh, scusa Lupin.”
Lupin aveva steso un braccio per bloccare Sirius mentre era stata Tonks, questa volta, ad alzarsi in piedi di scatto. Tutti e tre guardavano Piton pieni di rabbia ma era stata Bessie, dalla sedia su cui si trovava, a parlare.
“Credo tu stia esagerando, Severus.”
Non guardava nessuno di loro. Il viso era rivolto alla finestra della cucina. Piton, scuro in volto, si era accomodato meglio mentre Lupin e Tonks tornavano a sedersi. “Continuiamo”, aveva esortato lei mentre una ciocca le diventava blu.
“Mi piacerebbe che non ci fosse qualcuno che si alza minaccioso ogni volta che apro bocca”, aveva mormorato. “Vi spavento così tanto?”
“Mi piacerebbe che non avanzassi pretese in casa mia, Pitocchio.” Sirius serrava i pugni contro i braccioli della sedia; le braccia gli tremavano visibilmente, per lo sforzo di trattenersi.
“Ragazzi, volete piantarla?” era sbottato Lupin.
“Dicevo” aveva continuato Piton, liberandosi la manica da un pelucco, “prima di tutta questa deliziosa scenetta da Fingo-Di-Essere-Ancora-Pericoloso..”
“Chiudi quella bocca, Piton” aveva esclamato Tonks.
“Tonks ha ragione”, era intervenuto Lupin. “Adesso basta.”
“Hai bisogno di tutti loro, Black?”
Sirius aveva allontanato la sedia con un calcio. “Vuoi che ti mostri cosa riesco a fare da solo?”
“Qui dentro? Non vorrai rovinare i preziosi cimeli di famiglia, è l’unica cosa di cui ti puoi vantare nell’Ordine... meglio se usciamo -- oh, no, già! Dimenticavo che tu non puoi.”
Sirius gli si era scagliato contro, scaraventando lontano la sedia, e Tonks e Lupin l’avevano afferrato ognuno per un braccio. “Hai così tanto bisogno di questo, Piton? Hai così tanto bisogno di approfittare della situazione per vendicarti? Accomodati, allora!” sbraitava.
“Piantala anche tu, Sirius! Non fare il ragazzino”, gli aveva urlato contro Tonks.
Sirius, che non aveva mai sopportato osservazioni se non da Lupin o James, le si era rivolto stizzito. “Guarda che qui quella coi capelli viola sei tu!”, aveva ruggito. Poi era tornato su Piton, ansante. “Allora, ti senti bene adesso? Ti senti forte? Avevi così tanto bisogno di venire a casa mia ad insultarmi per pisciarti di nuovo nelle mutande, Pitocchio? Credevo ti bastasse farti le seghe su Lucius Malfoy!”
Piton aveva spalancato la bocca con l’aggressività di una vipera velenosa. “Del resto a te--”, aveva iniziato; si era bloccato come se avesse ricevuto un’incantesimo in pieno stomaco, guardando Bessie. L’aveva squadrata da capo a piedi senza che apparentemente lei se ne accorgesse, tornando su Sirius con un tono di voce più contenuto ed un’accusa diversa. “Più o meno come tu avevi il bisogno di farmi circondare da tutti i tuoi amici come a Hogwarts, no?”
A Sirius la voce era uscita bassa, amara.
“Non tutti, Mocciosus. Non tutti. Proprio tu, dovresti essertene accorto.”
Era stato nel momento di silenzio che era seguito che Bessie era intervenuta furiosa. Gli altri l’avevano guardata spiazzati: era raro vederla esplodere a quel modo, era strano soprattutto dopo che si era tenuta in disparte per quasi tutta la discussione.
“Si può sapere che vi prende, lavorate insieme sì o no, ora? Capisco i vostri trascorsi, ma sembra che abbiate di nuovo sedici anni… e la sapete una cosa? Non è più così! E sono proprio io quella che ve lo deve ricordare… Sono stanca, ragazzi. Sono terribilmente stanca di dovermi dividere tra le persone che -- diamine, almeno riuscire a stare nella stessa stanza!”
“Certo, così potresti riavere la tua piccola corte… no, Lovelace?” la voce di Piton era suonata roca. Era strano sentire la voce di Piton roca. Remus era quello roco, e Sirius era quello che ringhiava. Bessie si era voltata a guardarlo, come se non fosse stata certa di aver sentito bene.
Sirius aveva sibilato: “Cosa dici, Piton?”
Lupin aveva scosso la testa, lavandosene le mani. Piton invece aveva continuato, livido di rancore. “Sì, però chissà chi avresti scelto, stavolta… se Potter fosse sopravvissuto, dico bene? Vi sareste consolati a vicenda, no? Già v’immagino…”
“Attento, Piton!” la voce di Sirius suonava di nuovo come un ringhio, mentre Lupin lo tratteneva discretamente ma fermamente per un braccio, imponendosi di non intervenire. Bessie era sbiancata, non diceva nulla.
“Andavate d’accordo, voi due… non ti dava fastidio, Black?”
Non ti azzardare, Piton!”
Lui aveva ribattuto con una risatina nervosa: “Secondo me saresti rimasto solo, Black, e ora non faresti tanto lo sbruffone! Magari lei farebbe la dolce mammina del piccolo, delicato Potter…”
Bessie era riuscita ad essere rapida sufficientemente da pararsi davanti ai due uomini per evitare il peggio, dal momento che anche Remus questa volta aveva uno sguardo che l’aveva spaventata. Lupin era il più posato del gruppo da sempre, così finivi per dimenticarti quel nocciolo di furia assoluta che portava sempre dentro di sé. Non che ne avesse mai avuto paura, Bessie – però le dava sgomento l’idea che lui potesse rimanere completamente scoperto alle sue feroci debolezze. Sirius era Sirius. Si era sempre, costantemente preoccupata per Sirius. Era il fatto di non dover generalmente stare in ansia per Remus a terrorizzarla quando quel momento arrivava.
Li aveva fermati ma Tonks, rimasta libera, era stata altrettanto rapida nel correre da Piton ed assestargli uno schiaffo, furiosa, le lacrime che le rigavano le guance.
“…Ringrazia il destino, Piton. Se Harry ti avesse sentito credo che nessuno di noi avrebbe scelto di fermarsi.”


Piton se n’era andato senza aggiungere una parola, ed i ragazzi erano sopraggiunti, mascherine per le pulizie alla mano, dietro alla signora Weasley che cercava di capire l’origine di quello sbattimento di porte. Li avevano trovati tesissimi. Bessie ancora non parlava, pallidissima.
“Per l’amor del cielo, cosa c’è stavolta? Cosa sta succedendo qui? Non mi dite che ancora--” aveva scoccato un’occhiata ad Harry, Ron e Hermione ed aveva scelto di non completare la frase, con sommo disappunto del figlio. “Ragazzi, non andreste a controllare se Ginny--?”
Harry non dava segno di averla udita, spostando lo sguardo tra i presenti.
Alla fine Bessie aveva deglutito, e con un filo di voce aveva ricordato a Lupin di prendere la pozione che Piton gli aveva portato.
“Grazie, Eliza” aveva mormorato lui. AAncora nessuno di loro osava guardarsi negli occhi, come se temessero l’incendio da un momento all’altro.
“Tutto bene… Bessie?”
“Sì Molly, grazie.”
“Ma allora anche tu sai di… del professor Lupin, Bessie?”
“Tutto l’Ordine lo sa, Harry” l’aveva preceduta lui, pacato.
“L’ hai detto in un modo…” Ron si era lasciato sfuggire un sorrisetto nervoso, “come un’abitudine. Sembravi mia madre quando mi ricorda di coprirmi!” aveva precisato in fretta sotto lo sguardo austero della citata, le orecchie scarlatte.
Bessie aveva sorriso debolmente, sempre pallida; anche gli altri non sembravano messi meglio, e Sirius e Tonks si ostinavano a non aprire bocca, ognuno in un angolo differente della stanza.
“A dire la verità, Ron, credo sia stata la prima cosa che gli ho chiesto appena l’ho rivisto, come stava e come andava la luna!” si sforzava di essere allegra, coadiuvata da Lupin che tentava di alleggerire l’atmosfera nervosa.
“E' sempre talmente in ansia per questo che dopo tutti questi anni non mi ha nemmeno lasciato il tempo di chiederle come si sentisse lei!”
“Oh beh Remus, se avessi aspettato ogni volta di sapere queste cose da te--” si era bloccata di colpo, quasi spaventata, portando le mani a coprire la bocca; troppo tardi: Lupin si era già voltato a guardarla, serio.
“Non l’hai saputo da me, Eliza?” Harry aveva notato che una mano gli tremava appena. Lei aveva scosso il capo.
“Allora chi è stato? Lily?” la voce di Lupin era calma come al solito, ma tutti erano rimasti in ascolto, fremendo.
“Non… non è stata lei… in realtà all’epoca nemmeno lei sapeva…”
Lupin aveva guardato Sirius con aria interrogativa, ma lui aveva negato con un secco cenno del capo; era tornato a rivolgersi a Bessie. “Ma allora chi…?”
“James.”
Harry aveva sentito una morsa strana allo stomaco. Aveva visto Sirius sbiancare per un attimo, afferrare la spalliera di una sedia per non barcollare. Si era chiesto esattamente cosa significasse. Lupin intanto voleva evidentemente mantenere il controllo della situazione e delle sue emozioni, e Bessie l’aveva percepito così chiaramente che era quasi scoppiata a piangere per la frustrazione mentre lui inciampava su dei “Beh… che dire, questa sì è una -- oh!”
“Lui… Remus, aveva paura di dirlo a Lily, perché--”
Il colpo che Sirius aveva assestato al tavolo l’aveva costretta ad arrestarsi mentre lui considerava: “A volte… a volte dimentico quanto riusciste ad essere vicini tu e James escludendo gli altri!”
“Sirius, dai…”
“Non fare l’idiota, Sirius” era intervenuto anche Lupin, piano, ma Sirius aveva proseguito amaramente.
“La cosa buffa è che ci voleva proprio Pitocchio per ricordarmelo!”
“Sirius, io--” aveva provato Bessie, ma lui era uscito dalla stanza prima che potesse provare a giustificarsi. Aveva sospirato chiudendo gli occhi per non reagire. Quasi scordava lo straordinario potere di Sirius di innervosirla fino ai suoi limiti. Ma era un Emagus. Doveva ricordarselo. Per quanto loro fossero... loro, non poteva permettersi di superarli.
“Cosa… che cosa significa questo?” Harry si era spostato verso di loro, allargando le braccia a voler comprendere la scena.
“Non è nulla Harry, non ti preoccupare” Tonks cercava di spingerlo indietro, “sono saltati i nervi un po’ a tutti, è difficile se…”
“Sì, ma stanno parlando dei miei genitori! Io devo…”
Tonks si era accucciata di fronte a lui. “Dei tuoi genitori: non di te, Harry.” Gli aveva poi scompigliato la chioma con le dita “Ti assicuro che si sistemerà tutto; tu pensa a vivere la tua, di vita.”
“Remus…” Bessie aveva toccato un braccio a Lupin “Mi dispiace, non te ne avevo mai parlato e alla fine è principalmente il tuo, il segreto che mi è stato rivelato -- ma davvero, le intenzioni di James erano buone!”
“Non ti preoccupare, Eliza…” Lupin sembrava trovare estremamente interessante l’orologio della signora Weasley appeso alla parete.
“Davvero, Remus! Lui… aveva paura di cosa ne avrebbe pensato Lily… che lo respingesse di nuovo… mi ha chiesto un -- un consiglio...”
“Gli uomini per amore hanno sempre fatto cose sciocche”
Finalmente era tornato a guardarla, ma con un sorriso così da Lupin da farle stringere il cuore. Non era riuscita a celare il suo turbamento.
“Oh no Remus, per l’amor del cielo, no! Non fare così, non essere così…”
“Che cosa, Eliza… cosa sono?”, aveva sospirato lui.
Gentile, Remus. Tu ti ritrai, ti sei sempre ritirato dietro la tua graziosa spilla da prefetto!”
“Non me ne sono mai vantato e tu lo sai!”
“Non.. non intendevo questo! Intendevo… stavo riferendomi alla tua aria da bravo ragazzo che ti mette a letto come si farebbe con un bambino brillante ma capriccioso! Hai sempre avuto questa scusa mannaresca per innescare la tua proverbiale discrezione e mantenerti ad una distanza di sicurezza dalle persone--”
“Hai parlato con Sirius, per caso?” aveva domandato lui sospettoso, ma il tono perplesso con cui lei aveva esclamato “Eh?” gli aveva risposto chiaramente che non era così, i loro discorsi praticamente identici erano stati creati su binari personali.
“No, senti Remus: per me puoi fare quello che vuoi, continuare a prenderti cura di me e di tutti quanti ed essere gentile perché lo sai, mi piaci un sacco! Però ti ho perso per tredici anni” gli occhi le luccicavano infervorati come ad una bambina abbandonata da un genitore “e poi ti ho ritrovato, e non ho nessuna intenzione di permetterlo di nuovo! Fai quello che vuoi con gli altri, ma a me non frega nulla che tu sia un mannaro, quindi vedi di fartela passare!!!”
“Ascolta…”
“Non essere così -- comprensivo. Mi fa paura. Non voglio che tu non ti arrabbi perché sei buono, voglio che tu -- Remus!” gli aveva stritolato così intensamente il braccio che doveva avergli fatto male per forza; lui, però, non dava segno di essersene accorto. “Se James ha pensato di potermene parlare, era perché sapeva di per certo che con me non doveva temere pregiudizi o fobie o…”
“Lo so, Eliza. Lo so.”
“No, tu non… lasciami finire, ti prego! Questo non significa che Lily -- sai meglio di me com’era scemo James a volte per ciò che la riguardava.” Bessie aveva assunto un’aria estremamente seria “Io mi fido di te, Remus Lupin. Mi sono sempre fidata, lo farei anche se mi sbranassi! In ogni caso James sapeva che la mia adorazione per te… per voi… sarebbe andata oltre ogni fobia e pregiudizio, persino--”
“Persino oltre Voldemort?” Sirius, ricomparso all’improvviso, l’aveva interrotta con aria di sfida.
La signora Weasley era rabbrividita, ma Bessie non sembrava aver subito scosse. Aveva scandito tenacemente ogni sillaba, come Harry le aveva sentito fare altre volte. E come le altre volte era riuscito a percepire, uno per uno, i peli che ornavano ogni centimetro del suo corpo come se stessero cercando di tirargli via la pelle.
“Sì Sirius, persino oltre Voldemort.”
“Questo non è saggio da parte tua… e se finissimo per pensare che con un buon motivo potresti tradire l’Ordine?”
“E’ impossibile e tu lo sai”, aveva replicato lei scostandogli la mano con cui le teneva sollevato il mento. “Di tutto quello…e quelli… cui tengo, la lealtà sola per me sta al di sopra di ogni altra cosa. Solo, Sirius, se io fossi stata -- sveglia, in questi anni, anche nel caso in cui avessi creduto al tuo tradimento di Lily e James…” aveva distolto lo sguardo, cercando Tonks e poi Harry prima di continuare, riprendendo fiato. “Avrei sofferto come un cane per dodici anni, tormentandomi per te, per loro, per così tante cose che forse sarei impazzita!”
Era tornata a posare lo sguardo su di lui, il viso in fiamme. “Ma non avrei saputo smettere di amarti.”

* * *


Severus Piton era nel suo letto, deciso ad allontanarsi il più possibile dalla sgradevolezza che l’incidente del pomeriggio gli aveva lasciato addosso come un ricordo untuoso. O almeno così credeva.
Ricordi, colpe sfilavano davanti ai suoi occhi, negli occhi dei suoi incubi, s’infilavano sotto le sue palpebre fino a farlo lacrimare per il dolore. Quello che aveva fatto si mescolava a quello che avrebbe dovuto fare. Il presente tornava passato, tornava buio e rancore e voglia di urlare per uscirne.
Persone, momenti, persone.
Si era svegliato ansante, terrorizzato dagli angoli di se stesso da cui non riusciva a sfuggire. Si era svegliato come non avrebbe mai voluto mostrarsi a nessuno, come se il suo corpo si fosse staccato in tanti minuscoli pezzi rotolati via senza che potesse fare nulla per trattenerli, nel loro scivolare sotto il letto lungo i suoi rivoli di sudore.

Bessie era lì.

Seduta su una vecchia cassapanca, circondava le ginocchia con le braccia e guardava fuori l’aria umida che sfiorava la finestra chiusa contro il calore estivo. Eppure non una foglia si muoveva, appesantita dallo spettacolo di troppi orrori, o forse solo dall’acqua.
Non si era voltata verso di lui, ma lui si era sentito patetico lo stesso; troppo teso e sudato, e smilzo nella camicia da notte ridicola da persona sola. Si era sentito vecchio e inadatto coi suoi calzini grossi, di fronte a lei sottile e chiara. Probabilmente lei lo sapeva già e per questo non l’avrebbe guardato -- sensibilità, semplicemente. Ma chi poteva dire che il suo non fosse disprezzo -- o pietà?

“Li vedi ogni notte, Severus?”

Piton era rimasto in silenzio. Cosa poteva dire? Poteva forse descriverle il cumulo orrendo di voci, di gracchiare che gli si aggrappava ai capelli la notte e tirava, tirava fino a fargli sanguinare la testa?
“…Continuerai a punirti, vero?”
La voce di Bessie era calma e triste, di una tristezza che può provare solo chi ha sofferto tanto da restarne schiacciata. E lui, in fondo, era solo uno dei sassi che l’avevano spinta più giù. Che avevano spinto tutte quelle voci, e quei volti, e quelle mani e storie e momenti piccoli.
“Non ti sembra… non ti sembrerà mai di aver fatto abbastanza? Sei uno di noi, Severus. E nessuno di noi può tornare indietro, può smettere di sentirli gridare; nessuno. Possiamo solo andare avanti e avanti e avanti, così disperatamente da abbattere tutti i muri che ci siamo creati solo per continuare a vivere… Ma tu ci stai aiutando.”
Piton, incapace di alzarsi da quel letto disfatto, aveva cercato di rassettarsi malamente, di togliere i capelli dagli occhi, il sudore dalla fronte. Aveva cercato, per una volta, di non sentirsi sbagliato e patetico di fronte a lei. Lei che sentiva.
Perché aveva sentito -lo sapeva- ed era arrivata lì.
E chissà quante altre volte l’aveva sentito a quel modo, quante altre volte aveva rivissuto insieme a lui l’orrore senza che lui se ne accorgesse; il suo sporco. Sempre più sporco.
“Io e Lily” aveva preso a raccontare d’un tratto, “per quanto fossimo indissolubilmente unite come forse non sarò mai con nessun altro, abbiamo sempre avuto comunque questa specie di vetro per certe cose.” Bessie si era raccolta i capelli fra le mani. “Una sorta di tacito patto c’impediva di andare oltre un determinato punto, forse per questo con tutti gli altri tendo a non mantenere le distanze mai, nemmeno quel minimo di fisicità che dovrei evitare d’imporre. Credo di averne sofferto. E penso di avere ferito anche lei. Io… non so, non lo so cosa volevo da Lily. Lei mi ha dato tutto quello che aveva.” Aveva sospirato stancamente, ed era suonato così poco adatto alla giovane età che dimostrava e, in parte, aveva!
“Non avrei dovuto dire certe cose a Remus, oggi. Se io m’incasino ancora per via di Lily non è colpa sua… sono io quella che non parla, in realtà, che attacca per non esporsi, che abbraccia tutti per non farlo davvero con nessuno. Sono io, più di quanto si tenga lontano Remus, che è comunque sempre presente e pronto ad aiutare. Non avrei dovuto spiattellargli egoisticamente in faccia ciò che volevo. Sono stata ingiusta con lui.”
Nei tre quarti di viso che erano a disposizione della sua vista, a Piton era sembrato di vedere i suoi lineamenti contorcersi per ricacciare indietro un’espressione cui non voleva abbandonarsi. “Ma anche quando si vuole così fortemente una cosa, anche il bene di qualcuno… insomma, per quanto si ami riuscire ad amare è sempre talmente difficile, e contorto! È così facile sentirsi orrendi! Tu… capisci quello che ti sto dicendo?”

Sempre, sempre più sporco.

“Non riuscirò a convincerti, vero? Tutto questo non ti basterà.”
Piton era rimasto a fissarla chiedendosi quanti abissi si celassero in quella ragazza, quanto invece dei suoi angoli di rimorso e cattiveria lei potesse indovinare. Riusciva talvolta come altri non avevano potuto ad intravedere i suoi tormenti, tormenti terribili, tormenti che avevano colpito anche lei fino a schiantarla, eppure non si era mai allontanata. Non si era mossa da lì. Non poteva farsi convincere da lei, lei lo sapeva, e nonostante questo era .
Non sarebbe mai riuscito a risponderle. Non sarebbe mai riuscito a spiegarle.

“Severus, non ti basterà mai niente?”

Ed era chiaro che quelle domande non cercavano da lui nessuna risposta. Fugace com’era arrivata, era scomparsa davanti ai suoi occhi nell’aria ovattata di quella notte ancora estiva, lasciandolo incapace di scoprire se fosse sveglio o se quello fosse solo un altro sogno.

* * *


"Non devi chiedermi scusa, Severus. Non è nel tuo stile."
Ora, alla luce del giorno, sembrava tutto così maledettamente difficile, e rallentato... Piton era di nuovo schiacciato contro una parete, e la completa sincerità di Bessie non faceva che spiazzarlo. Aveva digrignato i denti.
"Se è per questo... nemmeno tu sei nel mio stile, Elizabeth."
Lei si era voltato a guardarlo. Aveva sorriso, sardonica. "Senti... non sono arrabbiata con te, d'accordo?"
"Conosco la differenza con ferita. Me la sono presa con la persona sbagliata." Piton tossicchiava, sempre più a disagio in una parte cui non sentiva di appartenere. Maledetto Sirius Black, maledetti Lupin e Potter... e maledetta anche lei, perché qualcosa in quella ragazza lo costringeva a tornare nonostante tutto. A scusarsi.
Bessie ci aveva riflettuto per un momento. "Questo è vero... ed io avrei potuto evitare di intromettermi. Senti, noi ci conosciamo. Sappiamo entrambi a cosa ci dobbiamo adattare vicendevolmente. Adesso però fila, se ti trova ancora qui Sirius questa volta cercherà di cavarti gli occhi!"
"Oh, che ci provi!" aveva ringhiato lui, pronto.
"Per favore" aveva replicato stancamente Bessie "non usatemi come pretesto... Per favore Severus... " aveva aggiunto poi addolcendo il tono ed alzandosi in piedi mentre tornava ad indicargli la porta "dimostrami in questo modo lo stesso rispetto che hai avuto per me venendomi a porgere le tue scuse." L'aveva guardato così limpida e disarmante che Piton aveva dovuto girarsi in fretta verso l'uscita. Aveva prodotto di nuovo un suono spiacevole con i denti.
"Lo farò. Ma sai come la penso... non sarà colpevole, ma è un mezzo farabutto, Black. Potresti avere di meglio."
"Severus... io non ho proprio nessuno!" aveva concluso Bessie amaramente, chiudendo la porta.



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Capitolo 9
*** Extra - Sirius, 9. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Extra - Sirius, 9.


Fuori piove, Sirius. Perché te ne stai così vicino a quella finestra? E' solo un altro modo per punirti?
E' passato un bel po' da quando potevi camminare a testa alta, eh Sirius Black? Da quando potevi anche permetterti di sorridere senza sentirti sbagliato, senza sentire qualcosa dentro che si lacera; da quando sapevi stare perfettamente in piedi da solo.
Quando, da quando è cominciato a marcire tutto quanto? Quand'è stato? Non si può riavvolgere il nastro, riprovare?
Quant'è, Sirius, che la tua vita somiglia più ad una strada deserta, piena di confini e di motori spenti?
Sei sempre tu a farla piangere?
Eppure, se solo le dicessi che è dentro di te come la notte che porti scolpita sopra l'orgoglio, come il vento che va e viene lasciandoti dei graffi a cui non sai opporti in alcun modo... perché non le dici che nonostante tutto tu non ci sei senza il suo amore, Sirius? Che lei è il tuo rimpianto ed il tuo dolore, che il tuo cuore sanguina ogni volta che pronunci il suo nome, cadendo in ginocchio fino a spezzarti?
Puoi viaggiare, puoi scappare, puoi fare ancora più disordine dentro di te, ma prova a chiederti dov'è finito il tuo amore. Puoi superare anche questo, anche questa sofferenza; puoi rimanere in silenzio, ma se parli è il suo, il nome che vuoi chiamare.
Sta piovendo, Sirius Black, allontanati da lì, non continuare a tormentarti. Non pensare... non dire che non è possibile, se mentre lo dici ti viene voglia di piangere.
Forse è vero che certi amori non finiscono... nemmeno contro la vita. Nemmeno contro la morte.
Quanto, quante volte hai temuto che lei si stancasse perché non eri altro che una mela marcia, quante volte hai tremato vedendola insieme a Remus Lupin, più giusto, più cortese, più bravo di te? Eppure ti fidavi di Remus come di un fratello... quando smetterai di tormentarti, Sirius Black? Riuscirai mai a sentirti tranquillo?
Ricordi, Sirius? Ti guardava, e sentivi che ti avrebbe lasciato afferrare il suo cuore senza opporsi, se solo avessi voluto. Ma non ne avresti mai avuto il coraggio, tu con quelle mani tanto sporche di orgoglio, di testardaggine, d'impulsività. Ti sei mai chiesto se l'hai ferita, salvandola da te stesso?
Come puoi, Sirius, guardarla negli occhi senza amarla? E lei, lei come può amarti senza odiarti per tutto ciò che le hai fatto?
Ti diceva che eri buono, ma ha sempre saputo dei tuoi angoli complessi e bui, così difficili da scandagliare senza ferirsi! Lo sapeva, Sirius, eppure ti è entrata dentro ugualmente. Non si è mai tirata indietro... tu ora cosa stai facendo? Stai continuando a perdere tempo con Piton, con James, e con quella maledetta finestra. Anche se ora ti butti sul letto, anche se ora ti metti le mani fra i capelli, l'angoscia dipinta sul tuo volto segnato, non la stai amando, Sirius.
Lei è tornata... allora le tue grida sono state abbastanza forti perché le sentisse? E' tornata qui per essere di nuovo il tuo posto sicuro, è qui per te?
E' una nemica, adesso?
Dovrai ripeterle quante volte di non amarla, per credere a te stesso?
Ed ora non riuscite più ad incontrarvi, Tonks e Molly non la lasciano sola un momento dopo quello che è successo... e adesso che ognuno possiede l'anima dell'altro, Sirius, non vi conoscete più. Cosa sono tutti questi giri, questa tortura che ti fai? Questi tredici anni ti hanno reso meno vecchio di quanto l'abbia fatto il non poter vedere il suo viso, lo sai.
Chiedile di non andarsene con lui, Sirius Black, chiedile di non andarsene con nessun altro. Non chiudere gli occhi, non ti addormentare. Avete aspettato abbastanza. Stasera chiediglielo.
Non urlare, basta urlare... per una volta, sii tranquillo, Sirius Black.
Hai visto tutto, e non ti è bastato per smettere di avere bisogno di lei.




Don't look don't look, the shadows breathe
Whispering me away from you.
Don't wake at night to watch her sleep
You know that you will always lose...
This trembling, Adored, Tousled bird mad girl...

But every night I burn
But every night I call your name
Every night I burn
Every night I fall again

Oh don't talk of love, the shadows purr
Murmuring me away from you
Don't talk of worlds that never were
The end is all that's ever true
There's nothing you can ever say, Nothing you can ever do...

Still every night I burn
Every night I scream your name
Every night I burn
Every night the dream's the same
Every night I burn
Waiting for my only friend
Every night I burn
Waiting for the world to end

Just paint your face, the shadows smile
Slipping me away from you
Oh it doesn't matter how you hide - Find you if we're wanting to
So slide back down and close your eyes
Sleep a while, You must be tired... "

But every night I burn
Every night I call your name
Every night I burn
Every night I fall again
Every night I burn
Scream the animal scream
Every night I burn
Dream the crow black dream
Dream the crow black dream...



(Non guardare! Non guardare!, mormorano le ombre
sussurrandomi lontano da te.
Non svegliarti la notte per guardarla dormire
sai che perderai sempre!
Questo tremante, adorato, folle cucciolo di ragazza…

Ma ogni notte brucio
Ma ogni notte invoco il tuo nome
Ogni notte brucio
ogni notte cado di nuovo

Oh, non parlare d'amore!, le ombre fanno le fusa
bisbigliandomi lontano da te.
Non parlare di mondi mai esistiti:
Solo la fine e' sempre certa!
Non c'e' nulla che tu possa dire, nulla che tu possa fare…

Ancora ogni notte brucio
Ogni notte grido il tuo nome
ogni notte brucio
ogni notte il sogno e' lo stesso
Ogni notte brucio
aspettando il mio unico amico
Ogni notte brucio
aspettando che il mondo finisca

E adesso dipingiti il viso!, sorridono le ombre
facendomi scivolare lontano da te.
Oh, non importa in che modo ti nascondi - Ti troveremmo comunque se lo volessimo
Perciò stenditi e chiudi gli occhi:
Dormi un po', devi essere stanco…

Ma ogni notte brucio
ogni notte invoco il tuo nome
ogni notte brucio
ogni notte cado di nuovo
ogni notte brucio
gridando come un animale
ogni notte brucio
sognando il sogno nero del corvo
sognando il sogno nero del corvo...)


The Cure - Burn







Grazie grazie grazie ragazze! Grazie Mixky per aver raccolto l'appello :p Povero Siriuccio, sigh...


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Capitolo 10
*** Hogwarts, 10. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Anche oggi vediamo di conoscere un po' meglio alcune persone... lasciamole confrontare, tra di loro, con se stesse. Abbiate pazienza, amo queste digressioni introspettive; presto tornerà a presentarsi anche la trama, ma era necessario approfondirli un po' prima...
Voi però ditemi cosa ne pensate, perché io le amo ma magari non siete dello stesso parere, e ci tengoooo!!! scriveteeee!!!



Hogwarts, 10.


16.
Dal diario di Tonks:


Oggi i ragazzi sono partiti per tornare a Hogwarts. Un po’ mi dispiace. Mi piacciono, anche se immagino ci rivedremo presto.
Tutta quella confusione, quelle speranze... era un po’ come rivederci ai tempi di Hogwarts, e allora come fai a non capire chi si è preso indietro? Voglio dire, è dura per me. È dura per Remus, lo vedo da come si responsabilizza. Come possono non cascarci Sirius e Bessie dopo tutti questi anni di non-vita?
Sono preoccupata per loro.

Siamo andati scaglionati, Harry ovviamente era guardato a vista anche se non sembrava apprezzare enormemente la cosa. Ehe. Tutto suo padre! Forse ha solo un po’ più di buon senso... tendo a specificare: un po’. Magari è solo un po’ più di Hermione Granger.
Ci siamo mossi con la massima prudenza. Beh, sulla carta. Sirius ha voluto accompagnarci e così si è trasformato in Felpato e Molly ha dato in escandescenze, anche perché nel frattempo Fred e George con dei loro incanti sui bauli avevano quasi accoppato Ginny e la signora Black si era messa a latrare a più non posso, però sembrava così felice che non abbiamo avuto cuore di fermarlo. Voglio dire, era allegro. Sirius Black allegro.
Buffo: quindici anni fa la mia perplessità sarebbe sembrata da fuori di testa, ma ora...
Oggi pomeriggio mi è sembrato di riconoscerlo.
Bessie faceva la mia accompagnatrice, dal momento che mi ero trasformata in vecchierella, e si era avvolta il viso in un fazzoletto a sfondo blu con strane immagini della giungla... l’ho già vista con un asciugamano del genere. Spero di cuore che Arthur non le faccia più regali!
Pads saltellava e Harry rideva e alla fine Bessie non è riuscita a resistere e si è messa a giocare con lui nonostante le nostre occhiatacce. Molly si è messa a borbottare chiedendole quanti anni avesse, uscita infelice. Bessie ridacchiava, però quando ho cercato di scrutarle gli occhi per capire la sua vera reazione lei si è voltata. Non so neanche se Molly fosse più preoccupata che venissimo scoperti o che Bes parlasse con Sirius, poi. Non li abbiamo mai lasciati soli dall’altra volta. Beh, dalle altre volte.
È strano non sapere cosa le passa per la testa. Vorrei poter fare qualcosa. La sera del problema col Molliccio trovato da Molly l’ho vista tenersi la testa tra le mani quando credeva di essere sola. Lo so che stava ripensando alle parole di Lupin: l’altra volta ci hanno colti impreparati, ci schiacciavano venti a uno, venivano a prenderci da soli a casa. Lo so che ci stava pensando. Poi ho fatto un rumore e lei mi ha sorriso... mi è sembrato che con quel sorriso avesse buttato via dieci anni di amicizia, o forse venti. Poi mi ha detto una cosa: ha detto che una cosa che ama è pensare che se uno di noi si trovasse un Molliccio davanti lei non avrebbe bisogno di guardarlo per sapere cosa comparirebbe. Lo so che lo pensava. Ha detto che era bello pensare di conoscersi così spontaneamente, di sapere perfettamente le nostre debolezze maggiori e soprattutto di non avere paura che l’altro lo sappia.
Forse andrà bene. Parlavano come due vecchi amici, come se non fosse successo nulla; non sembravano cauti. Forse andrà tutto bene.



17.
Non va tutto bene. Bessie mi ha raccontato di Sirius. Ha parlato con Harry per il camino di Hogwarts, e quando lui gli ha chiesto di fare attenzione Sirius si è ritratto; è rimasto deluso perché James non l’avrebbe mai detto.
Be’, James non aveva ancora perso i genitori. Non era ancora morto.
Porca miseria, quella testa dura deve farci preoccupare così tanto ancora adesso? Non importa se Harry non è coraggioso come ti aspetti, Sirius. Non importa se non apprezzi il suo comportamento. Non importa se non è James.

“Sirius, non puoi trattarlo così, non è giusto!”
“Ancora una volta Bessie, sei tu a decidere cos’è giusto?” aveva obiettato lui sollevando un sopracciglio.
“Ti prego, tu non… non capisci! Harry è coraggioso, lui è molto coraggioso! Solo, è abituato a rischiare per se stesso o per chi considera alla pari con lui, ma per quanto ti voglia bene, o forse proprio per questo Sirius… voi avete molta sintonia, certo, ma non è lo stesso! Perché lui…” aveva abbassato il tono di voce, dispiaciuta “Lui non è James, Sirius.”
L’aveva fissata, in silenzio, come suo solito. Era rimasto lì per alcuni lunghissimi, dolorosi istanti. Alla fine aveva mormorato soltanto “Elizabeth, sei come Molly anche tu.” ed era uscito dalla stanza.


18.

Be’, pare che la cosa si sia risolta, nonostante tutto. Non ho capito bene perché. A cena ho sentito parlare di bravate e gruppi segreti, e Molly voleva mandare una strillettera.
Non riesco a passare molto per Grimmauld Place, ultimamente. È un bel casino giù al Ministero, così dobbiamo essere proprio prudenti. Non mi piace. Non mi piace che Bessie se ne stia lì a preoccuparsi per Sirius e a guardarlo tutto il tempo. Anche lei si sente così.


*


Hanno litigato di nuovo, a quanto pare. Remus cerca di andare sempre lì. Quando Sirius ha fatto pace con Harry è stato quasi preso dalla Umbridge, quella viscida piccola megera!!! Stavano parlando dell’ES e lui le è sfuggito per un soffio – Bessie era preoccupatissima, voleva che stesse attento ma lui le ha urlato di non immischiarsi. Lei non ha neanche reagito. Vorrei essere stata lì. Vorrei avergli strillato furiosa tutto quello che penso di lui in questo momento e vorrei esserci per Bessie quando ha bisogno di me, maledizione! Sempre che ne abbia.
Ne abbiamo parlato, le ho chiesto perché non reagisca, perché non reagisca mai... ma lei mi ha spiegato che è l’unica persona che conosca così in profondità Sirius da poterlo prendere completamente, nel bene e nel male. Poi mi ha guardata con l’aria più mesta del mondo e ho capito che quello che voleva dirmi è che Sirius si sta disperatamente difendendo da lei, o dall’idea di lei.
Non oso immaginare quanto questo la ferisca. Vorrei tirargli tutti i capelli!
Non voglio che lei continui a sopportare, non voglio che stia sola! Non è giusto!!!

* * *

...E adesso? Sei lì che lo guardi, Bessie. Probabilmente non serviva ricordartelo. Tu sei sempre lì che lo guardi. Lo sei sempre stata, anche mentre lui non c'era.
Cosa farai adesso, Elizabeth? Starai lì a guardarlo, lo perdonerai? Perdonerai te stessa?
Ha le spalle contratte, ed una smorfia ostinata mentre fissa il fuoco che arde nel caminetto come se fosse molto più importante e piacevole che cercare di ricucire qualcosa con te. Ti verrebbe voglia di colpirlo alle spalle, vero Elizabeth? Per quando te le ha voltate. Per tutti i momenti, i giorni e gli anni in cui l'ha fatto. Elizabeth.
E' rabbia, è dolore quello che stai provando, e non viene da una parola, da uno sguardo o da un dubbio lasciato a scavare... viene dagli anni, viene dalla tua vita che non saprà mai sentirsi libera dalla sua. Da Sirius Black.



***



Remus Lupin è in salotto, e mentre fissa i suoi due amici che si ostinano su posizioni che potranno soltanto continuare a ferirli almeno quanto li legheranno l'uno all'altra, vorrebbe essere lupo. Disperatamente. Vuole la luna piena, e diventare lupo. Vuole il branco e tutti i problemi che gli comportava, probabilmente accetterebbe anche di rivivere la notte in cui ha quasi sbranato Severus Piton, per questo -- beh, per un attimo. E' pur sempre Remus Lupin, in fondo, e quando si rende conto di essersi spinto troppo in là si pente mentalmente, si rimprovera. E' un maestro nel rimproverare, lui.
Però ora sente di volere qualcosa, non gli basta la buona parola, vuole dell'altro. Già, ma che cosa?
Che cosa vuoi, Remus, cosa ti manca adesso?
Vuole stare in quel posto come prima, vuole Hogwarts, vuole litigare con Sirius e sopportarlo e fermare James dal compiere qualche atto troppo incredibile per essere in grado di rinfacciarglielo, e vuole fermare James e Sirius e sorridere complice ed esasperato a Lily Evans, e sorridere di Eliza e Tonks che bisticciano. Ecco quello che vuole. Vuole, egoisticamente, che tornino tutti ad essere giovani. Rivuole la loro vita di ragazzi, mentre fissa la solitudine contro cui lotta, contro cui ha sempre lottato, l'amico; mentre gli si stringe il cuore di fronte ad Eliza, l'aria fragile e in cerca di un ruolo nel dolore di Sirius. Vuole solo che sorridano e litighino fino allo sfinimento, e Lily li costringa a rappacificarsi almeno finché non lancerà qualcosa in direzione di James, irritata, e Sirius allora sarà soddisfatto e lui finirà per alzare gli occhi al cielo, come sempre. E vuole che Tonks prenda invariabilmente le parti delle ragazze e forse sotto sotto anche lui prenderebbe invariabilmente la parti delle ragazze, ma si guarderà bene dal farlo scoprire a Sirius e James. Nulla di personale, ma già gli danno della femminuccia in quantità sufficienti. Direbbe.



***



Sirius Black cerca di mantenere impegnate le mani come la mente, non sa bene che farne di quel suo corpo rigato dagli affanni e dalla rabbia, gettato su di una poltrona come uno straccio. Afferra un portapiume, lo rovescia per sbaglio, si punge un dito. Quella era senz'altro una stupida piuma. Forse dovrebbe spezzarla a metà per vendetta, non è la sua occupazione preferita? Maledizione. Se fosse un cane non si ferirebbe mai in quei modi stupidi. Si farebbe sbranare, piuttosto, e puzzerebbe di acquazzone che t'impregna la pelliccia facendoti sentire completamente, indissolubilmente, indiscutibilmente vivo. Se fosse un cane. Se rimanesse per sempre in forma canina. Forse, dovrebbe farlo.



***



Bessie, senza riuscire a staccare gli occhi da Sirius, per alcuni istanti vede un cane al posto dell'uomo. Vede la bestia, e sta guaendo o forse ringhiando, non è molto chiaro. Strizza gli occhi, scuote il capo, le fa male stare lì a fissarlo per troppo tempo. Gioca brutti scherzi stare troppo dietro a Sirius Black. In fondo, lo sapeva già.
E allora continua a guardarlo, così selvatico nonostante tutto, nonostante la prigionia o forse proprio a causa di essa; così disperatamente in lotta contro la sua stessa vita senza poter far nulla per liberarsene, perché fa parte di lui quanto l'aria che respira, e lui non l'ha chiesto. Dev’essere terribile essere Sirius Black. Non può liberarsi della sua impulsività costante, della sua ricerca di ciò che non potrà avere. Ma se è così, se è davvero così... cosa può farci lei? Quale può essere la sua utilità, nello stargli vicino?



***



Sirius continua a maneggiare la piuma, e pensa che avrebbe anche potuto essere una mano. Avrebbe anche potuto essere una persona o un cuore e chissà quante volte lo è stata, quante volte senza poterlo impedire ha calpestato o graffiato qualcuno, per una zampata troppo forte. Perché è così, Sirius Black, tu sei irrimediabilmente un cane. Sei la bestia. Tu, molto più di tutti gli altri.
Tutti i tuoi sbagli ti hanno sempre riportato qui, come un cieco che aspetta la mano che lo condurrà dall’altra parte della strada. Come se sul tuo viso impassibile stesse sempre in bilico quella smorfia che rivelerebbe la tua pena.
Vorresti andartene. Vorresti voltarti e prendere Elizabeth a pugni come se fosse James, per risolvere tutto quanto in una zuffa animalesca e bislacca e immatura, e così bella da non doversi chiedere scusa dopo; da lasciarvi entrambi addormentati l'uno sull'altro alla fine, sfiancati dalla lotta. Vorresti che... vorresti che Elizabeth fosse James. Sarebbe tutto più semplice.



***



Quello che Remus vorrebbe è scuotere Sirius e farlo agire, reagire, smettere di pensare così tanto! Ha trascorso anni a convincerlo a riflettere e invece ora sa che lui non deve, non può. Perché Sirius Black si distrugge quando ci prova. Soprattutto ora, tutto ciò di cui ha bisogno è alzarsi da quella maledetta poltrona, tirarle un morso e scrocchiarsi le spalle perché fanno impressione così. E poi darsi una mossa con quella benedetta ragazza che lo fissa da vicino ma sempre con un ostacolo invisibile di mezzo, come se si trovassero in due rive diverse dello stesso lago. E' sempre stato così. Quante volte l'ha scovata a guardarlo e soffrire a causa sua e tuttavia capirlo, quante volte ha sentito la rabbia montargli dentro per questo ma sapendo che anche lui non avrebbe potuto fare a meno di comportarsi allo stesso modo?



***



"Tonks mi ucciderebbe. Mi pesterebbe e mi urlerebbe di piantarla, di non dargli corda perchè non è giusto quello che mi faccio.
Lily invece mi guarderebbe soltanto, pronta ad esserci ma anche a lasciarmi andare. E' sempre stato così. Io invece avrei voluto che urlasse, che mi obbligasse a seguire i suoi consigli, e probabilmente le avrei risposto malissimo e avrei deciso di testa mia, ma avrei voluto che Lily facesse qualcosa della mia vita, che si occupasse di me, perché avrei potuto essere certa che si sarebbe trattato della cosa giusta.
Cosa volevo da lei... una madre, l'amore?
E' sempre stato così e lo è ancora, le persone che vorrei mi tenessero per mano per guidarmi sono quelle che mi rispettano talmente tanto da uccidermi, pur di non prendersi queste responsabilità al posto mio. Pur di non prendersi la responsabilità della mia vita. Se lo chiedessi a Remus, lo farebbe?
Dio, Silente si arrabbierebbe. Direbbe che non posso farmi condizionare ancora così tanto dai sentimenti, che devo liberarmi della trappola che sto creando a me stessa solo perché fanno parte del mio essere così profondamente. Che prima di essere un emagus sono Elizabeth Lovelace. Prima di essere una ragazzina spaventata sono una Grifondoro.
Oh, Sirius Black, vorrei ucciderti. Sei arrivato nella mia vita quando non ti volevo, sei entrato senza curarti di chiedere permesso, e poi ci sei stato e non ci sei stato più davvero, proprio quando ho iniziato ad avere bisogno di te. Non mi sono mai potuta sentire sicura di te. Avrei voluto essere James, per entrare nella tua testa e guardarti negli occhi alla pari, senza questo timore costante di dire qualcosa di sbagliato, che potesse deluderti. Che ti facesse scappare.
Vorrei ucciderti. Vorrei che tu stessi davvero con Voldemort, per non sentirmi ad ogni passo così in colpa per una condizione verso cui ti ho spinto io. Lo vorrei davvero, potrei provare ad odiarti ed invece so che non ci riuscirò mai. Sei così impulsivo e sgarbato e testardo e così tenacemente duro, Sirius!
Vorrei andarmene."

E non se n'era andata. Aveva sentito odore di cane e di paura e di angoscia, e non se n'era andata.



***



Che fai lì, Remus? Che ci faccio qui? Sempre a guardare la vita degli altri da fuori, e giudicare e fare quello paziente solo perché sei bene al riparo dai sentimenti e da altre caratteristiche troppo umane. Che ci fai lì? Che fai, intruso nell'esistenza di due persone che si mostrano e soffrono senza chiudere il loro cuore, senza nasconderlo dietro un sorriso gentile e rispettabile, cosa centri tu con tutto questo?
Come diavolo puoi chiamarli amici, ora mentre sei di fronte a loro tutti interi, cosa fai tu se non mantenere il tuo punto di vista un po' più alto, un po' più distaccato? E' sempre stato facile decidere di non picchiare Sirius, di evitare il confronto con lui, e convincerti che è perché tu hai più senno. Vero? Nasconderti che forse la realtà è che hai paura di lui, e paura di sfiorare veramente Eliza e di dirle qualcosa che non si aspetta o di spiegare qualcosa a lui anche a costo di farti prendere a pugni? Perché non l'hai mai chiesto a Sirius, quando volevi di più da lui? Perché non a Eliza?
Finirai solo, Remus Lupin. Sei solo una bestia selvatica nata vecchia, un giorno ti sveglierai e sarai di nuovo in quella stamberga, e sarai solo, tra la polvere ed il tuo stesso dolore. Cercherai di buttare giù a colpi di spalla quella porta che ti separa dagli altri come ha sempre fatto prima ancora di esistere di per sé; colpirai e colpirai, rabbiosamente perché saprai di non potercela fare. E' sempre stato così, Remus: hai sempre avuto di fronte la porta della costruzione cadente che ti sei creato intorno e chiami casa, chiami te stesso; starà sempre lì, come un monito, come una presa in giro, a dividerti dagli altri. Che ci fai a recitare la parte del consigliere? Tu non sai vivere. Dio solo sa se sei in grado di amare.
E allora cosa ci fai lì, a pretendere di riflettere per il loro bene? Sei inutile, Remus Lupin. Vattene. Vattene al diavolo.

"Agck!" è lo strano verso di Sirius che interrompe il flusso dei suoi pensieri - e vi s'incunea perfettamente, si dice. Di sicuro stava per soffocarsi con quella piuma o qualcosa del genere, ma a lui non è sembrato altro che una conferma alle tue parole inespresse. È sicuro che quello di Sirius fosse un .

E allora Remus se ne va.



***



"Agck!", borbotta Sirius. E si dice che è contro quella piuma, non contro se stesso. Non per le spalle che non sono nemmeno più in grado di sopportare il suo stesso peso.
E ora che farai, Sirus Black? Che farai della tua testa vuota, che farai del tuo cuore vuoto? Contro quante altre persone lo lancerai con tutte le tue forze per vedere se sono disposte a prenderlo anche a costo di rompersi un braccio?
Dovrebbe esserci James, spiegarti con una parola o una smorfia o un calcio come sempre. Perché allora no? Perché non ci sei, maledetto James?
Hai scelto la via comoda, in cui non devi più completarmi, non devi più aiutarmi?

Ecco, Sirius. Bravo, Sirius. Continua a dare la colpa agli altri, anche ai morti.
Se mi hai sentito, James, rompi pure qualcosa di mio da qualche parte, fallo cadere - non ti suggerisco il naso perché forse ti è difficile. Io in quanto Sirius Black continuerò a muovermi fingendo che il mondo giri perché l'ho scelto io, pretendendo che il mondo respiri del mio fiato e il sole si alzi quando sono soddisfatto. Così è meglio, no? Niente preoccupazioni, niente più sogni e rimorsi e terrore, solo uno stupido ragazzino che era già stupido per essere un ragazzino. Complimenti. E' la strada giusta per perdere tutto, tutto quanto... ed io ovviamente la imbocco.



***



Lo stai guardando, Elizabeth. Lo stai ancora guardando. E mentre provi con tutte le tue forze ad odiarlo, proprio mentre pensi che vorresti picchiarlo e fargli pagare tutto, tutto quanto, non puoi fare a meno di guardargli di nuovo le mani, e poi le spalle, e quell'aria fragile che cerca di nascondere. Lo guardi come l'hai sempre guardato, e forse è questo il tuo errore. Lui è lì, completamente indifeso da se stesso più di quanto lo sia mai stata tu nei suoi confronti.
Allora come puoi non amarlo?
Pur volendolo uccidere, come puoi non sentire la tensione che si scioglie lungo le braccia in tenerezza, come puoi non sentirti dispiaciuta per quell'uomo che non riesce ad imparare ad amare senza colpirti, senza colpirsi, che non riesce a stare al mondo da quando per lui doveva essere molto facile?
Come puoi, quando lo vedi così disperatamente ansioso di ottenere l'attenzione altrui da non soffermarsi nemmeno a capire quale tipo di attenzione stia attirando su di sé? Così solo da non capire che chiamarti per amore o chiamarti per dolore sono due cose totalmente differenti?
Lo è sempre stato, è sempre stato fuori posto, Sirius. E' ancora così? E tu sei ancora disposta a viverlo?

Bessie gli si era avvicinata.


***



La stai combattendo come un animale, Sirius, come il cane che deve fermare il lupo mannaro. Senti le pareti della casa che si scuotono al suo avvicinarsi? Senti il tuo ringhiare ed i morsi profondi lungo le spalle, la battaglia feroce del cielo contro la terra? Cos'è giusto, adesso? Remus, maledetto, dove sei? Cos'è giusto, adesso?
Vatti a leccare le ferite in un angolo, Sirius Black. E' troppo complicato. Diventa Padfoot, dimentica, scappa. Ti riesce bene quando non puoi usare le mani ed i pugni, di solito.
Eppure non è così, Sirius, perché Elizabeth è troppo forte. Lo senti, lo senti nel suo sguardo di dolcezza arresa e tenace, lo senti nel suo amore tanto grande e nudo di fronte a te, come unghie conficcate nelle spalle per il predominio.
Remus, amico mio - vieni fuori, avanti! Vieni qui e tirami un pugno se la faccio stare ancora male per il mio stupido modo di essere, per il mio confuso, sbagliato modo di essere. Fin dall'inizio mi sono sempre chiesto perché non lo facessi, perché non ti presentassi qui con la tua fulgida armatura di uomo migliore per rivendicare qualcosa che avrebbe potuto essere molto più tuo che mio. Per cos'è stato, Remus? Per te? L'hai fatto per lei, l'hai fatto per me? E' stato per amor di pace? Cos'è che non sono mai riuscito a leggere nei tuoi occhi più di quando eri lupo e la mia anima e la tua s'intrecciavano così profondamente da non poterci lasciare illesi da lacerazioni profonde anche solo per uno sguardo?
E' solo un'altra notte. Sono solo cane un'altra volta, istinto e ferite da leccare e giochi stupidi ed il branco. Una volta ancora mi sveglierò e sarò nudo nel mio letto, sarò solo e pesto e ti maledirò costantemente per avermi sopportato in tutti questi anni, per avermi amato così tanto e non avermi tenuto con te.


***



Bessie si era tirata su. Era a terra dolorante, colma di graffi - tutti quelli di una vita, tutti insieme in quel momento. Si era tirata su ed aveva sentito lo sforzo pesarle sui gomiti, come una sopravvissuta.
Era andata avanti e lo sguardo di Sirius erano mille spilli a trafiggerla, perché se Sirius ti guarda in quel modo significa che intorno non c'è più nulla, non mattoni e non persone e non cemento; si sono distrutti i mobili ed anche il tetto non è che un cumulo di macerie. Significa che entrambi avete molte meno fasciature di quelle di cui avreste bisogno, e molte più cicatrici di quelle che uno s'immagina vedendovi vestiti; probabilmente qualcuna si apre ancora. Talvolta. Magari la notte, quando i sogni sono film difettosi di vecchi ricordi. Magari quando vi avvicinate troppo. Quando i vostri sguardi coincidono troppo. Ugh. Fa male, ed il brutto è che non sa nemmeno da dove prenderlo, Elizabeth.
Farà come sempre, lo prenderà di testa.
E allora si era alzata sui gomiti, Bessie. Faceva male, ma si era tirata su.
"Ouch!"

Quando si era lasciata sfuggire quel lamento Sirius si era spaventato, e quando lei l'aveva guardato d'improvviso l'aveva visto pallido ed aveva letto in lui il terrore, quel solito, costante terrore. Di ferirla. Di ferirsi. Di fare del male senza accorgersene.
Aveva combattuto, Bessie. Aveva cercato di alleggerire la situazione, di scherzare: "Oh, non è peggio di altre volte.", ma aveva intuito subito lo sbaglio.
"Questo... è l'unico modo?" aveva domandato lui. E lei l'aveva cercato con lo sguardo ma Sirius era già via, era già lontano. Quella stessa paura che li accomunava, li stava dividendo di nuovo.
"E' così." aveva ribadito lui "Io picchio le persone per chiamarle. Le ferisco, se provo ad accarezzarle. E' come se avessi sempre alle dita quei dannati artigli!"
Sirius cane. Sirius bestia. Sirius che si rapporta col branco tramite le battaglie per il predominio.
Io sono tutto qui.

Bessie aveva sollevato una manica della veste, mostrando un vecchio, piccolo segno che lui le aveva procurato quand'erano ad Hogwarts. Aveva sorriso. "Ce ne siamo fatti una ragione, Sirius."
Lo sai che è così.


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Capitolo 11
*** Hogwarts, 11. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Una precisazione, prima di dimenticarmene: ve ne sarete accorte, i capitoli non indicano il luogo in cui si svolge l'azione, bensì l'ambientazione del libro originale della Rowlings nel frattempo... quindi se ora i capitoli indicano Hogwarts, non significa che Bessie&Co. si trovino lì, significa solo che nel libro in questo periodo Harry e gli altri sono ad Hogwarts. Tanto per capirci :p
Capitolo breve, ogni tanto vi lascio respirare anch'io e poi è d'introduzione al prossimo!



Hogwarts, 11.


19.
Dal diario di Tonks:

Ennesimo, difficile riavvicinamento tra Sirius e Bessie.


“E’ che lo capisco, e vorrei essergli vicino. Lui è l’unico così… simile a me!”
Erano di nuovo al punto di partenza, vero?
“Non è James, Sirius! Lui…” aveva contratto la bocca in una smorfia, per trattenere quello che sentiva “manca anche a me. Però non è giusto, checché tu ne dica! Non lo è verso Harry, non puoi chiedergli di essere quello che tu vorresti che fosse!”
“Io... ehi, ma che discorso è questo?” si era riscosso lui “Proprio tu vieni a parlarmene? Da... da quando sono qui, siamo qui... i tuoi occhi non hanno fatto altro che domandarmi... di essere quello di cui tu avevi bisogno, quello che tu conoscevi! Cosa significa, questo?” si era aggrappato a quelle parole, fissandola in modo quasi febbrile e mettendo a tacere l’incertezza che gli cresceva dentro man mano che coglieva il suo sguardo.
“Io... questo è diverso, Sirius” aveva mormorato debolmente Bessie.
“Cosa, che cosa è diverso? Non lo è affatto! Tu... mi stai dicendo di non fare ciò che tu per prima fai”
“Io sono innamorata di te, Sirius, maledizione!!!” era esplosa lei prima ancora di rendersi conto di ciò che stava dicendo, piegando gli angoli della bocca come se le costasse fatica. Aveva boccheggiato alcuni istanti, senza riuscire a staccare gli occhi da lui e senza che nemmeno lui riuscisse a trovare qualcosa da dire. Poi era tornata ad abbassare il tono, rendendolo quasi indistinguibile. “Harry... non c'entra con le nostre vite, con quello che abbiamo d’irrisolto. Ti prego, non chiedergli di entrarci. È solo un ragazzo, ha così tanto peso addosso! Non pretendere che lui sia suo padre. Se tieni a lui come credo, sono sicura che lo capirai!”
“Ma è… come me…” Sirius sembrava voler continuare a convincere se stesso, quasi, per la disperazione da naufrago che affiorava dalle sue parole sotto forma di un’improvvisa incertezza. “…prigioniero di una condizione che non ha scelto, di un pregiudizio anche…”
E non le era mai sembrato tanto vulnerabile.



20.
Non so se sia meglio continuare ad amarti in questo modo oppure perderti del tutto, non so nemmeno se riuscirei a lasciarti alle mie spalle. Penso di no.
Andrò avanti, e in un pomeriggio qualunque mi renderò conto che non ho le tue braccia, le tue promesse. C’è mai stato, Sirius, qualcosa di tuo che non hai avuto paura di darmi?



Quel pomeriggio era stato alla sua pietra che Bessie si era rivolta. Sembrava discutere con un volto riflesso indistintamente in superficie come già altre volte era capitato. Dialogava così, con i suoi ricordi, di tanto in tanto. Oppure, come stava facendo stavolta, guardando un presente di cui non faceva più parte. Una caratteristica della sua pietra, infatti, era anche poterle mostrare a volte il presente di persone imprigionate nei suoi ricordi.
“Come faccio… come faccio pregarlo di non cercare in Harry il suo passato?”
Bessie si era sempre presa a cuore i sentimenti altrui, ma questa volta sembrava che la sofferenza fosse genuinamente provocata da qualcosa di più, di personale. Se qualcuno che la conosceva bene l’avesse spiata, di sicuro se ne sarebbe accorta. Qualcuno come Tonks.
“Forse in realtà sono solo un’egoista…” continuava a rivolgersi al viso misterioso che si affaccendava in un’abitazione estranea “Ma… sono qui, come tredici anni fa. Mi sono fermata per lui, sono tornata per lui, sono uguale ad allora!!!” Il tono si era alzato in una protesta dolorosa. “Allora perché” aveva insistito alzandosi in piedi, interrompendosi in un rapido singulto, poi rovesciando alcuni oggetti dal comodino per sfogare la frustrazione “non può voler rivivere il suo passato tramite ME?!”
Bessie si muoveva per la stanza alla cieca, le mani si agitavano rovesciando e rompendo qualunque cosa al loro passaggio, senza nemmeno sfiorare ciò che distruggevano. La camera sembrava preda di un vortice esattamente speculare a quello che regnava sui suoi sentimenti.

“Perché, mamma, perché?! Tu lo sai, sapresti dirmelo? Sapresti spiegarmi in cosa ho sbagliato?!”
Poi era crollata a terra. Era caduta a sedere come se avesse improvvisamente esaurito le forze. Si era avvicinata la pietra al viso, osservando con attenzione stanca la madre che riordinava la casa. Senza badarci o sforzarsi troppo, con un sospiro aveva agitato brevemente la mano per creare un perfetto incantesimo di riordino che in pochi, silenziosi istanti, aveva riportato la stanza alle sue condizioni originali.
Tonks, spiandola dalla fessura della porta, a quella vista aveva emesso un leggero rantolo.



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Capitolo 12
*** Hogwarts, 12. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



mi sta passando il raffreddore... speriamo bene! intanto stasera me ne sono rimasta rintanata al calduccio!
grazie per i vostri commenti costanti. oggi un po' di confronti, prima che la storia cominci a prendere una direzione precisa... e manny, ora vedi un po' cosa intendevo sull'eserci andata più vicino di quello che credevi! :p


Hogwarts, 12.


21.

Quando -un’ora più tardi- era scesa in cucina, la signora Weasley aveva immediatamente notato le profonde occhiaie che le solcavano e parevano scavarle il viso stanco. “Ti senti bene, Bessie cara?”
“Sì Molly, grazie. Nulla di cui preoccuparsi” aveva sorriso lei.
“È per via di Tonks?” aveva insistito la signora Weasley, studiandola di tre quarti.
“Tonks?” aveva replicato Bessie, spaesata. “Perché, che ha combinato?”
“Vuoi dirmi che non te ne sei accorta? Ma dove diamine sei stata?”
“Io… ero in camera mia. Stavo, um -- guardando una cosa.”
La signora Weasley aveva scosso il capo perplessa. “Forse allora dovresti salire da lei. Sembra che voglia far fuori la sua stanza.”
“Cosa? Ma che--”
“Chiedilo a lei. Non lascia che nessuno entri,” l’aveva anticipata. “Penso che tu sia la persona più adatta.”

Pochi istanti dopo Bessie stava bussando timidamente alla porta di Tonks; resasi poi conto del fragore aveva ripetuto i colpi con forza decisamente maggiore. Dopo l’ennesimo richiamo, era chiaro ormai che Tonks la stava ignorando. Ma perché?
Numerosi tentativi dopo si era decisa e con un breve tocco della bacchetta aveva mimato “Alohomora” con le labbra, facendo spalancare la porta.
Tonks era in piedi, in centro alla stanza ridotta in modo abbastanza simile alla sua poco prima.
“Oh… bell’incanto, Betsy cara. Non ti smentisci mai.” Il tono era freddo e tagliente, e Bessie si era sentita investire da un mare di rancore.
“Ma che stai combinando, Tonks? Perché mi parli così, che è successo? Cos’è tutto questo…” ed aveva allargato le braccia, incapace di trovare un vocabolo adatto a descrivere il caos.
“Oh, non ti preoccupare. Tanto anche se rovino tutto quanto tu saprai risistemare tutto con estrema efficacia, no?”
Bessie aveva spostato nervosamente il proprio peso corporeo da un piede all’altro. Quando aveva parlato, la sua non era più una domanda. “Mi hai vista.”
“Se ti ho vista! Oho, bella questa! E dimmi… cos’avrei dovuto vedere, di preciso?”
“Tonks dai, perché sei così… ostile?”
“Tu, Bessie… hai la minima idea di cosa significhi… tu--” Tonks aveva agitato un pugno verso di lei, riportandolo poi accanto a sé come se intendesse mangiarselo. Di per sé la mossa era buffa. In un altro momento, probabilmente, avrebbe riso. Quel momento, però, aveva così poco di buffo che Bessie poche altre volte aveva sentito meno voglia di ridere.
“Hai sempre finto? In tutti questi anni? Che cos’era, un altro modo per ribadire la tua superiorità?”
“Che dici!” Bessie sembrava sinceramente stupita ed addolorata.
“Mi hai sempre mentito.”
“Tonks, ascoltami…”
“Non m’interessa, Bes!”
“Stammi a sentire, per favore! Vuoi… vuoi sapere una cosa?” aveva cercato di calmarla Bessie.
“No. Cambierà la tua intenzione di dirmelo?” aveva replicato l’altra, dura ma con l’aria di chi si è rassegnato in anticipo. Bessie in effetti aveva scosso il capo.
“Anche se non vuoi te la dirò lo stesso, e forse dopo capirai un po’ quanto mi sia costato, e... anche quanto mi costi dirtelo.”
Tonks sembrava essersi resa momentaneamente disponibile ad una tregua per starla a sentire; fremeva però tutta, furiosa - i capelli castani a ciocche di fuoco, come obbedendo al suo intimo bruciare.
“Quando… quando mi sono svegliata, beh, ho sempre detto che nei primi momenti avevo la testa pressoché vuota. Non era completamente vero. Segnati pure anche questo sulla tua lista nera, se credi” aveva aggiunto con una smorfia, notando il suo sguardo. “Ma almeno lasciami spiegare che cosa ricordavo. Di tutta la mia vita” aveva descritto nervosamente, cercando di spiare oltre l’amica, verso la finestra “ricordavo soltanto tre cose: una era Sirius. La seconda il lampo della maledizione che mi ha colpita, verde e accecante e da brividi; io... ancora lo sogno continuamente. E poi mia madre. Beh, una frase di mia madre. Non so come fosse entrata nella mia testa, penso probabilmente un giorno in cui era venuta a trovarmi, mentre… mentre dormivo. Lo sai perché non ho mai voluto rivederla, Tonks?” le aveva chiesto fra due lacrime silenziose che si facevano strada sul suo viso. “Me l’ hai mai chiesto, questo? Lei… lei… tu lo sai com’era, no? Cosa pensasse... di me, delle donne... però... quando mi hanno… Lei, Tonks, ha detto che finalmente mi ero sacrificata per un uomo! Hai idea… di cosa abbia significato per me, questo? Sua figlia era come morta, e tutto quello che era riuscita a pensare...”
Per svariati minuti nessun suono aveva interrotto il suono dei rari singulti ed il ronzio di un macchinario per la cucina che giungeva attutito dal piano di sotto. Poi Bessie aveva mormorato “Non volevo diventare come mia madre, Tonks, non ho mai voluto essere come lei.”
Tonks si era staccata dalla parete cui aveva appoggiato le spalle e, sebbene colpita da quella rivelazione, pareva comunque risoluta a non cedere terreno, spinta da motivi più profondi di una semplice bugia. “Tu i problemi li hai sempre avuti con te stessa, Bessie! Non hai mai accettato… di essere una donna, forse non ami neppure Sirius, lui è soltanto un modo per continuare a combattere, ti mantiene nella condizione che ti è necessaria per sentirti come vuoi, per non sentire di arrenderti… a chissà cosa, poi! Chissà a quale colpa! Non ti sei mai riuscita a rilassare davvero nell’essere una donna, ne hai una fottutissima paura!”
“Tonks, ma tu…” Bessie era avanzata verso di lei “come ti permetti? Essere mia amica tredici anni fa ti ha fatto capire tutto della vita? Venire a trovarmi mentre dormivo ti ha fatto capire tutto di ME?! Che ne sai di quello che ho passato, dei motivi delle mie scelte, come puoi questionarle, impormi di rendertele note? Cosa ne sai” aveva sottolineato, “di cosa sto passando adesso?”
Era stato il turno di Tonks di cedere ad una lacrima furtiva, così strana sul volto sempre allegro e l’aria sportiva e svelta che si portava addosso. “Tu e Lily…” aveva cominciato, in apparente discordanza con il resto del discorso “siete sempre state così… perfette! Fin da quando vi ho conosciute, più mi affezionavo a voi e più mi rendevo conto di non poter entrare davvero nel vostro piccolo mondo incredibile! Più voi eravate gentili con me o più ci avvicinavamo, Bessie… io ero sempre la casinista che riusciva a stare con voi, capisci? Lo capisci? Poche cose mi consolavano dall’idea di non riuscire mai a mantenere il passo… certo, voi decidevate di aspettarmi, ma non era lo stesso! E così, che anche voi non foste affatto brave negli incantesimi casalinghi… per me era… qualcosa di grande! Mi esercitavo tutti i giorni nelle magie di riordino, mi esercitavo di nascosto per riuscirci! …E invece era tutto finto, tu ti potevi permettere anche di fingere… come pensi che mi sia sentita nel vederlo? Nel capirlo?”
“Io... non ho mai saputo che la vivessi così.” La voce di Bessie era risuonata ora molto più pacata e grave. “In tutti questi anni. Avrei voluto che me l’avessi detto, Dora.”
L’aveva chiamata per nome, carezzevole, e stranamente Tonks non aveva avuto nessuna reazione particolare; come se fosse stato normale, o soltanto a lei venisse concesso nonostante la sua avversione per quel nome. Come se soltanto Bessie potesse avvicinarsi così tanto a lei. Era suonato caldo, Dora. Tonks aveva abbassato gli occhi confusa, forse la reazione di Bessie l’aveva in qualche sottile modo confortata più di qualunque rassicurazione e non sapeva come evitare di darlo a vedere, o anche solo come capirsi.
“Io… mi spiace per quello che ho detto su te e Sirius, Bessie. Davvero, non lo pensavo.”
Bessie le si era avvicinata, le aveva posato una mano sulla spalla ristabilendo quella stramba gerarchia giovanile per cui Lily si prendeva cura dei suoi infantilismi e lei di quelli di Tonks, una sorta di scala di sorelle maggiori putative. “Tranquilla,” Le aveva celato con esperienza il suo profondo turbamento.

* * *

“Le Signorie Vs sono invitate a presentarsi Gentilmente in sala comune alle ore 23.59 di Sabato 5 Dicembre, munite di Mappa del Malandrino e Bolle di Sapone.
Parola d’ordine: questo biglietto si autodistruggerà automaticamente fra 10, 9, 8, 7 - -”



“LASCIALO ANDARE, Harry!” aveva strillato Hermione. Harry l’aveva lanciato verso la finestra appena in tempo: un trionfo di scintille viola, verdi e azzurre aveva accompagnato festosamente l’arancio dell’esplosione.
“Che razza di parola d’ordine”, aveva borbottato Ron. “Potevi rimetterci due dita!”
Hermione aveva spalancato del tutto la finestra per areare meglio la stanza che odorava leggermente di piume abbrustolite. Harry, frattanto, continuava a fissarsi la mano come se stringesse ancora il biglietto.
“Ma chi diavolo-- ”
“Mi chiedo chi altro l’abbia ricevuto.”
“Oltre a noi, intendi, Hermione?” Fred e George erano sbucati dal ritratto della signora grassa nel muro, la faccia nera e bruciacchiata.
“Dovremo imparare questo trucco” aveva annunciato Fred, raggiante.
“Scommetterei su Ginny,” aveva replicato George.
Quando l’avevano scovata in biblioteca, in effetti, anche lei aveva ricevuto lo stesso invito; non era servito domandarglielo dopo aver notato il pollice e l’indice della mano destra completamente affumicati. Ron aveva sghignazzato, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della sorella.
“È per stanotte”, aveva ricordato Hermione con gravità.
“Allora che si fa?” Ron appariva sospeso tra la Preoccupazione-Da-Umbridge e l’imprescindibile eccitazione; guardava Harry, unico rimasto silenzioso nel gruppo.
“Si rimane svegli, no?” era stata l’inevitabile risposta.

Alle 23.59 Harry aveva l’esatta faccia da pesce bollito che Bessie aveva riconosciuto per quella di quando non sapeva che fare. Non che fosse stato difficile riconoscerla: era identica a quella che compariva addosso a James in quei casi, cogli occhiali che gli scivolavano lentamente lungo il naso.
“Ehi,” l’aveva incoraggiato in un sussurro, “sono già passati trenta secondi senza che ti muovessi!”
“Ragazzi, avete portato le bolle di sapone?” aveva suggerito Tonks in tono pratico.
“Ma -- ma -- ma... che ci fate voi qui?” aveva boccheggiato Hermione, spiando con aria spaventata la porta da cui, lo sentiva, da un momento all’altro sarebbe entrato qualche professore o la Umbridge o tutti i dipendenti del Ministero messi insieme per arrestarli. E lei come cavolo lo avrebbe spiegato un arresto ai suoi genitori?
“Prima le bolle” aveva precisato Lupin, e lei non sapeve bene se sentirsi rassicurata dalla sua presenza o completamente terrorizzata per il fatto che lui, ultima àncora di salvezza, assecondasse le pazzie degli altri.
Era bastato un rapido movimento della bacchetta e l’incanto aveva ingrandito la superficie traslucida soffiata fuori da Tonks fino a comprendere tutta la stanza. “Ecco fatto”, aveva commentato con aria soddisfatta. “Ora non potranno vederci né sentirci. Possiamo iniziare.”
Il grosso cane di fianco a lui aveva abbaiato entusiasta.

“Molly cercherà di uccidermi,” aveva annunciato Sirius appena tornato in forma umana. “So che lo farà. Quindi sappiate che vi sono grato per tutto questo, prima che sia troppo tardi per dirvelo.”
“Coraggio, Pads! Ti meritavi una festa di compleanno!”
“Questo whisky incendiario poi è particolarmente buono,” avevano ringraziato Fred e George, ingollandone generosamente e provando a corrompere all’uso anche Ginny, con Hermione che li fissava con intensa disapprovazione.
“Insomma, ti decidi a fare qualcosa?!” aveva sgridato il povero Ron indicandoli.
“Certo che avreste anche potuto organizzare qualcosa. In memoria dei bei tempi.”
“Come no. Il Mangiamorte Sirius Black ritrovato nudo nella scuola di stregoneria di Hogwarts, sotto il naso di Albus Silente e in compagnia di una spogliarellista... Non so se qualcosa possa aggravare la tua posizione, vecchio mio, ma ci tieni così tanto a scoprirlo?”
Sirius aveva sgranocchiato una cioccorana con aria truce. “Uhrmpf!”, aveva commentato.
“Oh!” Bessie aveva battuto le mani spalancando gli occhi. “Questo significa che per il mio compleanno uscirai da una torta al Ministero?”
“Non è diverrrtente” aveva provato Lupin, leggermente impensierito. Sirius aveva assunto una smorfia sostenuta.
Auror, puah. Non è uno spettacolo per gente qualsiasi.”
“La gente qualsiasi ringrazia sollevata.”
Lupin si era guadagnato la seconda occhiataccia di Sirius.
“Siete disturbati”, aveva concluso Tonks.

“Come sarebbe a dire Sono finite?!”
“Sirius, non puoi essere ragionevolmente un fan delle gelatine Tuttigusti+1!” era sbottata Ginny sbalordita. “Tu sei -- voglio dire, sei Sirius Black!!!” Harry sghignazzava.
“Non era presto per mostrare loro la tua reale personalità demente, Sirius?” l’aveva stuzzicato Tonks.
“Questa Ninfadora,” si era vendicato lui. “Che stronza!”
“ATTENTI!” aveva strillato Hermione, mettendosi le mani nei capelli mentre Ron ed i gemelli correvano in giro per la sala tentando di recuperare un paio di cioccorane ed evitando per un soffio i mobili. “Altro che ES. Silente ci ucciderà”, aveva singhiozzato.
“Non se Molly ci acciuffa prima”, aveva commentato Bessie saggiamente.
Lupin era rientrato in quel momento, le braccia colme di scorte di gelatine e di whisky incendiario. E pensare che una volta ero un prefetto, aveva sospirato guardandosi intorno. Sirius gli si era scagliato addosso con incommensurabile gioia.
Moo -- ooh -- oohny, uomo coraggioso!”, aveva bofonchiato placcandolo e finendo sopra di lui.
“Pads, non è il momento... no?” aveva supplicato lui.
“Mossa sbagliata, lupacchiotto. Mossa terribilmente sbagliata” era stato l’impietoso commento di Tonks, dal momento che il fatto di supplicare lo rendeva ancora più appetitoso agli occhi di Sirius. “Imparerà mai?”, aveva sospirato con mestizia.
“Fanno sempre così?”
Sempre non è un vocabolo esatto, Harry. Senza Sosta, Maniacalmente e Incessantemente sono migliori. Avresti dovuto vedere le feste di compleanno dei tempi di Hogwarts! Follia pura! Follia. Hai presente che cos’è la follia? Beh, non è nulla in confronto alla loro follia.”
“Oh, Santo Cielo Dora! Questo... tutto questo non ti ricorda la volta in cui Sirius fece a gara con i Prewett per chi beveva più whisky incendiario? Povero ragazzo, non ci fu storia!”
“Prewett? I miei zii?”
“Esatto, Ronald.”
“Fu uno spasso!”
“Erano simpatici, vero?” aveva commentato malinconicamente Ginny. Fred e George si erano avvicinati, sentendosi chiamati pericolosamente in causa.
“Se erano simpatici? Erano il mito imperituro dei Malandrini! Ne avete ancora di strada da fare, voi due!”, aveva sghignazzato verso i gemelli.
“Quindi la volta del whisky incendiario?” era intervenuto Harry.
“Beh” si era stretta nelle spalle Bessie, “Sirius era più giovane di loro... finì in condizioni pietose.”
“Iniziò a blaterare di voler trovare una ragazza a Remus prima che diventasse un occhialuto bibliotecario. James si offese a morte, e lui allora gli spiegò che non era l’Occhialuto in sé il problema, ma l’Occhialuto Bibliotecario.”
Ti ho mai considerato un Occhialuto?, gli disse mettendosi una mano sul cuore.”
Guarda Moony, continuò. È lui il vero Occhialuto. Lo è nell’anima.
Sirius, intanto, maneggiava pericolosamente i gomiti di Lupin per costringerlo a girarsi e raggiungergli più agevolmente il sedere con i denti. Il licantropo tentava disperatamente di mantenere un certo contegno. “Non sono James!”, protestava. Era chiaro che non ce l’avrebbe fatta.
Avevano finito per rotolare sopra una bottiglia di whisky, frantumandola ed inzuppandosi tra una scheggia e l’altra, tra un singhiozzo e l’altro di Ron, costernato alla vista di tutto quel bendidio perduto. In effetti erano una scena abbastanza comica, seduti sul tappeto a chiazze puzzolenti di alcool mentre cercavano di ricomporsi e liberarsi le mani e la pelle dai minuscoli frammenti di vetro. Bessie e Tonks, in particolare, li osservavano compiaciute a braccia conserte senza la minima intenzione di aiutarli.
“Sei pazzo,” aveva tranquillamente annunciato Lupin. “Un pazzo vicino a te non sembra pazzo.”
“Siete ubriachi,” aveva corretto Tonks.
Sirius aveva fatto un suono come uno Sgnickle. “Moony non è mai ubriaco.”
“Allora è il troppo tempo in tua compagnia a fargli del male.”
“Vorrei fosse stato di più”, aveva sospirato Sirius.

Era finita che Sirius era crollato sul pavimento, piombando con la grazia di un bolide a pancia in su.
“Oh oh oh, il soffitto. Mi piace il soffitto. Quello di questa stanza è così fermo, niente stelle o temporali o Cose-Che-Girano. In questo preciso momento sento di amare questo soffitto.”
“Perché”, l’aveva interpellato Lupin senza più speranza, “se si muovesse vomiteresti?”



22.
Sono tornati anche i ragazzi, dopo l’incidente di Arthur. Ora che sappiamo starà bene c’è una bella atmosfera. Ci piazziamo sul divano vicino al fuoco a chiacchierare e mangiamo tutti assieme, e io riesco a trascorrere molto più tempo con Bessie, specie dopo il litigio che abbiamo avuto. Sa molto di Natale in famiglia, questo posto. Chi l’avrebbe mai detto! Grimmauld Place!!!

Quella sera un nuovo racconto sugli anni di Hogwarts era sorto spontaneo fra Tonks ed i ragazzi mentre Bessie non vista le lanciava strane occhiate per verificare la disposizione con cui ne parlava. Forse era un modo per mostrarle la sua gratitudine, quel descriverne gli anni.
“Sì beh, io a dire la verità venivo tenuta un pochino a distanza… oh, nulla di brutto o particolare” si era affrettata a precisare “solo mi consideravano un pochino stramba. Capite in che senso?”
I ragazzi si erano guardati, pensando a Luna Lunatica Lovegood e lanciandosi in divertiti risolini. Hermione e Ginny avevano annuito con allegria.
“Era soprattutto per via dei suoi capelli, dei colori…” aveva spiegato pazientemente Bessie -quella sera molto meno ragazzina del solito, aveva notato Harry. “Li portava rosa, verdi, fucsia, gialli…”
Gialli?” aveva domandato Ron, sbalordito.
“Sì, sì” aveva confermato lei ridendo “Non biondi, proprio gialli.”
“Bando alle ciance”, aveva brontolato Tonks sciogliendosi subito dopo in un sorriso smagliante. “Ho sempre sognato di poter dire, un giorno, Bando alle ciance.” Gli altri si erano guardati costernati. “Solo Bessie e Lily si avvicinavano a volte, soprattutto Bessie era molto spontanea con me; Lily invece ha sempre avuto, pur nei momenti di maggiore simpatia, una certa riservatezza che la rendeva più adulta di entrambe noi messe insieme."
"Sai che difficile!" aveva commentato Sirius con una smorfia. Tonks aveva scrollato le spalle, proseguendo.
"Bessie poi aveva questo modo semplice di fare amicizia con le persone, senza alcun tipo di filtri, come una bambina fiduciosa!” aveva riso affettuosamente. “Un pomeriggio, dopo che ero passata dal rosa shocking al blu elettrico…”
“Un blu terribile” aveva bisbigliato come precisazione l’altra. . Tonks aveva finto di non sentire e di non accorgersi delle smorfie divertite dei ragazzi.
“…ai capelli, Bessie mi si è avvicinata e completamente seria mi ha detto: Sai, stavi meglio ieri.”
“Cosa?”
“SSì, era uno spettacolo, così tranquilla e beata come se mi avesse chiesto un temperino! Io non sapevo bene cosa rispondere: non la conoscevo… lei e Lily si frequentavano fin dall’inizio del primo anno, ma io ancora non avevo idea di che razza di tipo fosse!” aveva ghignato. “Sono rimasta lì, stupidamente seduta sull’erba a guardare verso il libro che tenevo in grembo ma senza vederlo.”
“Lily mi ha mollato un’occhiataccia così severa, quella volta!” si era reinserita Bessie. “Voleva dirmi che avrei dovuto lasciarla in pace, che probabilmente ne avevo combinato un’altra delle mie.” Era arrossita mentre lo raccontava, ma sembrava che il ricordo le piacesse.
“Quello che ha sempre salvato Bessie in questi casi è che, come nel mio, non aveva intenzione di prendermi in giro, anzi proprio non aveva intenzioni! Sentiva di voler dire qualcosa e la diceva, con semplicità. È una persona totalmente priva di doppi fini.”
“Comunque” Bessie era arrossita di nuovo, più imbarazzata stavolta. “Non ero scema… non come Sirius almeno!” aveva ridacchiato, lanciandogli un’occhiata. “Avevo intuito di averla messa in imbarazzo, così ho cercato di aiutarla ad uscirne come potevo…”
“Il problema è che mancando lei della benché minima diplomazia e buon senso per tutto ciò che riguarda l’interagire cogli altri in modo normale, per come potevo intende che ha ben pensato di relazionarsi con me sedendosi sopra la mia faccia!”
“Sopra… la tua faccia?” Hermione aveva spalancato la bocca.
“Be’” si era giustificata Bessie come se fosse la cosa più normale del mondo, “per via dei capelli, no?”
“Poi con l’aria più pacifica del mondo mi ha chiesto se non era un ottimo copricapo… la mia risposta è stata un poco chiaro mffgnamgh, credo, così mi ha domandato offesa se non fossi d’accordo. Una pazza completa!”
“Che però un momento dopo si è ritrovata in bocca i tuoi capelli ed anche un gomito, e probabilmente eri tu che mi stavi addentando una tasca dei pantaloni, per non parlare della posa contorta sull’erba e del dito schiacciato da qualche tuo osso a caso, Tonks! Oh, non cercavamo di farci male davvero” aveva rassicurato gli ascoltatori perplessi.
“Ci azzuffavamo come due cuccioletti, la situazione in realtà era abbastanza ridicola.” Aveva precisato Tonks.
“Infatti sono sicura di aver visto Lily… tua madre, Harry, alzare gli occhi al cielo. Comunque un momento dopo ad occupare tutta la mia visuale c’era la McGrannitt in piedi di fronte a noi, severa, le mani puntate contro i fianchi. Non so se sia un modo per fare amicizia o inimicizia, Lovelace, e francamente mi spaventa più l’idea di saperlo che il rimanerne all’oscuro. Ad ogni modo, in entrambi i casi lo trovo quantomeno… bizzarro.”
Bessie aveva imitato talmente bene la voce della professoressa che nessuno era riuscito a non ridere di gusto e con entusiasmo Ron le aveva chiesto di ripetere la performance. Tonks aveva mirato al suo fianco con una gomitata ben assestata.
“Ora fa la spavalda, sapete, ma quel giorno si alzò con l’aria da cagnolino bastonato, fissandola di sotto in su e chiedendole Non… non ha apprezzato, vero?
Harry si era dovuto tenere la pancia.
“Ad ogni modo da quel giorno abbiamo iniziato a fare amicizia…”
“Sì, Bessie passava spesso da me anche solo per salutarmi; tua madre era più silenziosa, Harry, restava sempre un po’ indietro, ma mi dedicava dei sorrisi così cortesi che la facevano apparire ancora più graziosa di quello che era già.”
“Era così bella davvero?”
“Era così bella davvero” aveva annuito Bessie, cogli occhi che le scintillavano. Intanto, poco alla volta, anche gli altri si stavano avvicinando al loro angolino per ascoltare. Harry si era stretto un po’ contro Hermione, per lasciare un posto libero accanto a sé.
“Ricordo” aveva ripreso Tonks “che cercavo un modo per ricambiare quelle attenzioni; una volta ho lasciato un bigliettino, niente di che, in un libro di Bessie. Non ho ricevuto risposta però, e tuttavia Bessie continuava a salutarmi con tanta cordialità che mi sono fatta coraggio e gliene ho messo un altro. Anche quella volta non ho saputo nulla, ma ho pensato che poteva essersene dimenticata, o forse siccome era sbadata li perdeva in giro. Ci pensavo e ci ripensavo, magari non li aveva visti o gli elfi domestici li avevano tolti, oppure era entrato del vento dalla finestra che li aveva portati lontani, o ancora poteva aver prestato il libro a qualcuno… pensandoci bene mi convinsi che era così probabile che succedesse qualcosa ad un biglietto piegato ed infilato sotto la copertina di un libro, che… beh, perché avrebbero dovuto salvarsi proprio quei due? Allora ne ho scritto un altro. E niente.”
“Santa pazienza! Forse era precipitato in un crepaccio in seguito ad un terremoto?”, l’aveva burlata Lupin. Tonks gli aveva dedicato un’occhiata torva.
“Loro però erano sempre gentili con me. Ho pensato che volessero mantenere comunque una certa distanza, probabilmente stavano bene tra di loro e temevano che io potessi diventare appiccicosa… allora ho lasciato passare un’intera settimana prima di scrivere a Bessie un altro biglietto, rassicurante al riguardo.”
“Oh cielo, povere foreste, Tonks!” continuava Lupin poco distante.
“Zitto, Lunastorta! …Dal momento che per l’ennesima volta non avevo ricevuto alcuna risposta, ho pensato che in realtà fossero ben poco gentili, che si prendessero gioco di me o chissà cos’altro. Ci sono rimasta male, ho iniziato ad evitarle… se mi salutavano – e la cosa bizzarra è che continuavano a farlo fingendo di nulla, rispondevo di malavoglia, con una specie di grugnito del buongiorno.”
“Oddio, me lo ricordo!!! L’aveva chiamato così tua madre, vero?” Bessie rideva cogli occhi.
“Sì, con la sua abituale Grande Delicatezza.”
“Dai Tonks, dicci cos’è successo poi! Al millesimo biglietto ti hanno regalato una matita nuova?”
“Remus, dì un’altra parola e ti faccio crescere un grugno di maiale su una spalla! Dunque,” aveva ricominciato dandogli provocatoriamente le spalle “alla fine Bessie e Lily se ne sono rese conto, lei mi ha aspettata dopo una lezione e mi ha affrontata direttamente per chiedermi spiegazioni. Io non me l’aspettavo, credevo che avendo la coda di paglia preferisse schivarmi, così per non dimostrare che ero stata colta di sorpresa… be’, ho attaccato.”
“Mi ha dato della gallina!” aveva puntualizzato Bessie con aria scandalizzata, cercando comprensione nella signora Weasley che però le osservava entrambe con l’aria di avere a che fare con dei casi disperati “Ha detto che non facevo che starnazzare appresso alla gente finché mi era comodo!”
“E’ perché non ti conoscevo, Betsy!” aveva riso di cuore Tonks. “Oggi sicuramente ti parlerei diversamente… dandoti del Brufolo Inutile, probabilmente!” aveva sghignazzato, mentre Fred le faceva eco.
“Sì, ridi ridi, intanto lì urlavi come una pazza forsennata! Io ero sbalordita.”
“Beh, pensavo al diario in cui avevo scritto tutta entusiasta che forse avevo trovato delle amiche, e mi sentivo una scema. Tu poi hai detto di non aver mai trovato i miei biglietti…”
“…E tu hai alzato i decibel” aveva concluso Bessie, mimando un’espressione di intenso dolore e tappandosi le orecchie.
“Eri così indifesa” aveva continuato Tonks teneramente “sembravi sul punto di piangere, ed io continuavo ad urlare e a volerti far male ed ero felice di vederti così, perché potevo sentirmi meno penosa e mortificata io, per l’illusione cui avevo ceduto come un’idiota credulona. A ripensare a quei momenti, mi sembri così piccola, schiacciata contro la parete… eppure non hai mai vacillato, non hai mai pensato di aggredirmi anche tu o di scappare!”
A quella descrizione Sirius si era avvicinato a Bessie, scompigliandole i capelli in una carezza colma di dolcezza. Bessie si era voltata a guardarlo, sgranando gli occhi per lo stupore e allora lui, quasi temendo di essersi avvicinato troppo, era tornato bruscamente accanto alla mensola del camino.
“Ma come siete riuscite a chiarirvi?” aveva domandato Bill, alle spalle di George.
“Quando Bessie mi ha spiegato di non aver mai trovato un biglietto da parte mia le ho replicato che era impossibile, li avevo sempre messi nel libro che teneva nel dormitorio, quello con la copertina bianca… e improvvisamente mentre glielo descrivevo gli occhi di Bessie si sono spalancati e lei ha fatto una smorfia rallentata, in un certo senso. Aveva smesso di arretrare, prendendo a mulinare le braccia intorno a sé come se stesse per affogare, ed era così interessante guardare tutto questo che anch’io ho fermato il fiume di parole che le stavo riversando addosso per concentrarmi, e allora lei è scoppiata a ridere -- senza preavviso, senza un motivo; era una reazione talmente fuori luogo che mi sono proprio bloccata per guardarla, cercando di capirci qualcosa. Bessie si teneva lo stomaco per il troppo ridere, sembrava davvero divertita, capite.”
“Ad essere sinceri… non proprio” aveva balbettato Ron.
“Ora capirai, perché Bessie mi ha detto... Quello non era un libro, era un diario mangiabiglietti, anima asina! Lo sai che cos’è un diario mangiabiglietti?!, e rideva e rideva ed io sì che sapevo cosa fosse, serviva per distruggere eventuali prove compromettenti subito dopo che erano state lette: tu piazzavi lì il biglietto e sapevi che, anche consegnandolo a qualcuno, dopo un tot di minuti in base alla pagina in cui l'avevi inserito precedentemente, sarebbe scomparso. Insomma, finalmente mi sono resa conto che la risata di Bessie, oltre che divertita era proprio sollevata, e allora mi sono sentita più leggera anch’io, e se non sono riuscita esattamente a ridere ho comunque sorriso.”
“Sorriso? È stata una smorfia terribile Tonks, pensavo volessi mangiarmi!”
Tonks aveva sorriso nuovamente, in direzione di Bessie “Va bene allora questo?” ricevendo altrettanta risposta. “E’ stato così.”
“Veramente” era intervenuto Lupin “a quanto mi risulta, ne manca un pezzetto. Non è così, Pads?” l’aveva interpellato cercandolo con lo sguardo verso il caminetto.
“Oh, sì Moony caro. Lo ricordo perfettamente anch’io, mi è stato raccontato in ogni dettaglio ulteriore a ciò che già avevo visto, anche se ora la signorina Tonks finge di non ricordare e la signorina Lovelace molto graziosamente la spalleggia.”
“Siete degli animali!” aveva brontolato Tonks, mettendo il broncio.
“Ssst, Tonks, il Ministero ancora non lo sa!” le aveva risposto beffardo Sirius.

“…E va bene, e va bene!” aveva ripreso lei dopo pochi secondi di nonchalance, rispondendo agli sguardi di attesa dei presenti. “Il giorno seguente c’era della gelatina alla fine del pasto, solo che la mia… mi è esplosa in faccia, ecco! E poi ha formato delle parole sul tavolo, che dicevano pressappoco Non è un incantesimo sul cibo, l’ ho fatto per SCELTA, anima asina!, così ho capito che doveva essere stata lei, che nel frattempo è corsa da me e mi ha abbracciata dicendomi di chiedergliele direttamente le cose, la prossima volta!”
“Certo eh, che anche tu quanto ad essere contorta nello spiegarti…” Fred aveva inarcato un sopracciglio in direzione di Bessie, che gli aveva risposto con una smorfia angelica.
“Poi però mi ha presa per mano e mi ha portata fuori a vedere le nuvole, così, in semplicità.”
“A… vedere le nuvole?” la signora Weasley, mestolo in mano, sembrava decisamente perplessa.
“Già. Ci siamo sdraiate sull’erba e siamo rimaste lì a fissarle in silenzio, e la cosa bella era che non sentivo proprio nessun bisogno di parlare o di fare una stramberia delle mie, ma sentivo che comunque anche se me ne fosse venuta voglia non avrei dovuto preoccuparmi di sembrarle matta. E ho capito che era quello che Bessie voleva dirmi, portandomi lì, e l’ ho sentita straordinariamente vicina…” aveva guardato l’amica dritta negli occhi “ma allo stesso tempo questo suo comunicare senza dire le cose mi aveva allontanata anche, ho sentito che era su un piano in cui non ci saremmo incontrate mai.”
“Dora…” Bessie, chiamandola per nome soprappensiero, aveva una faccia come se fosse stata punta da uno spillo. Si era voltata a cercare Sirius con lo sguardo.
“Poi è arrivata Lily” Tonks non dava segno di aver colto la sua reazione dispiaciuta “e si è unita a noi, e Bessie ha deciso che il suo grembo era più comodo dell’erba” aveva ridacchiato “e anzi era proprio molto comodo, così si è sistemata su di lei facendo le fusa come un gatto! Io mi sentivo proprio bene, sapevo di non dover fare nessuno sforzo di apparenza per stare con loro, anche se allo stesso tempo capivo che non sarei mai riuscita ad essere indissolubile con una o entrambe come lo erano loro due insieme.”
“Ma no! Dora! Avevamo semplicemente dei -- ruoli differenti!” si era infervorata, Bessie, cercando nuovamente Sirius che questa volta era tornato ad avvicinarsi a lei, posandole una mano su una spalla. Harry era riuscito a percepire distintamente l’istantaneo sollievo che l’aveva rassicurata dal dispiacere provocato da quella frase.
“Lo so Betsy,” la voce di Tonks era calda. “Non sto assolutamente dicendo che voi ragazze avreste dovuto volermi più bene o sciocchezze del genere. Però tu e Lily eravate una cosa sola… non appiccicate, indissolubili” aveva ribadito con semplicità. “Era come se foste madre e figlia, come se aveste un legame di sangue.”
Bessie non aveva replicato, e allora Lupin si era inserito, cercando come suo solito di ripristinare il clima allegro. “Ma con tutti i casini che avete passato per conoscervi, com’è che a parte la volta dei biglietti non vi siete mai arrabbiate? Per la gelatina e tutto il resto!”
“A me è sempre piaciuta Betsy, non avrei potuto… Lei d’altro canto non è assolutamente in grado di arrabbiarsi, almeno finché non le toccano le persone cui tiene e così via! In realtà ci prova fin troppo spesso, solo che finisce sempre per commettere involontariamente qualcosa di comico tipo inciampare, e perde tutta la sua dignità di offesa in mezzo istante!” aveva sghignazzato divertita, portandosi dietro i sorrisi di chi ascoltava.
Bessie, che sapeva di non poter discutere di ciò che aveva appena ascoltato lì davanti a tutti, aveva preso a farle il verso, imitandola con perfezione assoluta. Mezzo istante, mezzo istante, mezzo istante…

"Ma come fai, sai imitare tutti?” Le aveva chiesto Ron tra le lacrime causate dal troppo ridere. Fred e George si erano scambiati un’occhiata decisamente interessata, da uomini d’affari.
“Beh, sono un Emagus. Saper usare la voce nei modi più disparati fa parte del mio essere.”
“Ragazzi, fatevi dire… Bessie, fagli l’imitazione del cappello, ti prego!”
“Sai… sai imitare anche il cappello parlante?”
“E’ uno dei suoi numeri più riusciti! Lui avrà finito con l’odiarla!” aveva sghignazzato Tonks.
“E va bene, dai.” Bessie aveva canticchiato alcune delle ariette più famose del cappello, provocando un’ilarità generale istantanea.
“Magari se l’avesse saputo non ti avrebbe accettata” aveva bofonchiato Harry tra un biscotto al mirtillo ed uno al cioccolato con scorze d’arancia.
“Santo cielo no, sai la gioia di mia madre poi! Già aveva tentato di smistarmi altrove…”
“Davvero? Non ti voleva a Grifondoro?” Harry aveva sputacchiato il suo biscotto contro Ron, che si era pulito con il dorso della mano ed un’espressione schifata sul volto.
“Beh, diciamo che quando mi sono seduta ha lottato un po’ con se stesso… pensava di mandarmi a Corvonero.”
“Oh, come me.” Aveva osservato tranquillamente Hermione.
“Diceva che ero intelligente ed intuitiva, anche se poi mi perdevo in troppi giri contorti…”
“Allora non è così raro che il cappello sia indeciso!”
“Non saprei, forse no.” Bessie aveva addentato distrattamente un biscotto allo zenzero. “Forse noi siamo un gruppetto particolare” aveva ipotizzato.
“Sempre detto io, che ero finito con degli strambi!” aveva urlato Sirius dall’altra parte della stanza, dov’era tornato a rifugiarsi dopo che Bessie gli aveva sfiorato con le dita la mano che aveva posato sulla sua spalla. Soltanto allora Harry si era reso conto che, per quanto scherzasse, stava seguendo con molta attenzione quel discorso assieme a Lupin.
“Ognuno ha ciò che si merita, Padfoot” aveva replicato lei divertita.
“Però poi sei stata mandata anche tu a Grifondoro, giusto? Che ti ha detto, sei stata tu a convincerlo?” Harry continuava ad essere interessato a questo caso abbastanza simile al suo.
“In realtà no. Non m’importava molto dove sarei finita, non conoscevo ancora abbastanza bene le case per dirlo. È stato lui… mentre rifletteva è diventato triste, ma proprio triste. Ha anche sospirato. E poi ha detto… Tanto farai di testa tua comunque!, e mi ha assegnata a Grifondoro.”
I gemelli erano scoppiati a ridere all’ennesima imitazione ben riuscita, ma Harry aveva lanciato un’occhiata veloce ai due uomini che parevano rabbuiati. Bessie invece manteneva lo sguardo limpido e sereno.
“Si riferiva a…?”
“All’incidente, sì.”
Con un cenno definitivo aveva indicato che considerava chiusa la questione, e Ginny aveva strattonato piano la manica di Harry che stava per chiederle dell’altro.

* * *


Anche quella sera Bessie aveva dato la buonanotte alla sua pietra, prima di andare a dormire. E anche quella sera lei gli aveva risposto educatamente, lasciando scivolare verso la propria superficie un altro ricordo.

Bessie era sdraiata per terra, nella sala comune; Tonks sedeva a gambe incrociate di fianco a lei, mentre Lily se ne stava appollaiata su una poltrona vicino al caminetto crepitante. Parevano le uniche tre presenti, in tutta la stanza regnava un silenzio quasi sovrannaturale, ma caldo.
Bessie, completamente spalmata su un tappeto rosso e giallo, teneva una barretta mezza sciolta di cioccolato al latte in mano e delle fotografie sparse davanti, su cui ridacchiava stando bene attenta a non sporcarle con il cibo. Tonks gliele spiava dalla spalla, mentre Lily senza vederle commentava i fatti ritratti, inframezzandoli di tanto in tanto con una sorsata da una bottiglia di burrobirra.
“Non è che non stiamo bene quando siamo insieme” aveva protestato Bessie, “ma non va avanti in nessun modo. Lily, passami un po’ quella bottiglia...?”
Lily, pazientemente, si era sporta per dargliela. “Dovresti prendere una decisione, Betsy. Non sono difficoltà da poco…”
“Lo so, lo so!” aveva sospirato lei. “Ma non riesco a -- staccarmene! Nemmeno dopo l’episodio della festa!”
“La festa?” aveva domandato Tonks, riavendosi solo in quel momento da una momentanea distrazione. “Ah, intendi quando vi siete--” non aveva completato la frase, fulminata da un’occhiata furibonda di Lily. “Scusami, Bessie” aveva piagnucolato.
“Oh, non fa niente Dora, dai!” le aveva sorriso Bessie “In fondo è qualcosa che ho combinato io da sola, no?” Allo stesso tempo, però, aveva stretto forte la mano a Lily.
“È proprio questo il punto.” Si era fermata per bere una lunga sorsata dalla bottiglia, ripassandola poi a Lily. “Lui è troppo… impegnato ad occuparsi di se stesso. Non penserà mai a… me.”
La discussione era proseguita su questo tono ancora per un po’, fino a che Bessie era sbottata: “Oh, al diavolo Sirius Black!!! Sapete, penso che mi sarei dovuta innamorare di una di voi due…”
Avevano riso tutte e tre a quell’uscita sconsolata, ma quello di Lily era più che altro un sorriso affettuoso mentre si alzava dalla poltrona e, ponendolesi di fronte, le aveva preso il viso tra le mani dandole un lieve bacio sulle labbra.
Non sembrava nulla di particolare in realtà, nessuna dichiarazione più di un rapporto strettissimo com’era sempre stato, ma Tonks aveva assunto un’espressione, come se avesse appena interferito in qualcosa di sacro.




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Capitolo 13
*** Extra - Prudenza, 13. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Extra - Prudenza, 13.


23.
Estratto da un resoconto per l’Ordine della Fenice, nell’archivio datato 1980/81

“[...] In seguito, mentre lasciavo a terra il Mangiamorte citato, ho potuto scorgere la seguente scena: Bellatrix Lestrange stava per attaccare alle spalle, così mi è parso, Sirius Black. Il suddetto aveva l’aspetto affaticato di chi probabilmente non sarebbe riuscito a difendersi, ma prima che io potessi intervenire in qualunque modo Elizabeth Lovelace si è inserita nella traiettoria del maleficio scagliato, spingendo Sirius Black a terra e ricevendo ella stessa il colpo in pieno mentre Black si accasciava. Sono stato attaccato a mia volta l’istante successivo, per questo non posso dire di più su quanto sia accaduto in seguito per ridurla allo stato attuale.
Note: so che ora si trova al San Mungo. Ritengo prudente celare agli estranei la sua presnza lì, inserendola altresì nella lista dei dispersi per favorire la sua incolumità.
[...]
Espongo questa mia ancora una volta all’attenzione di Albus Silente.

Alastor Moody.”




“Lo sapevo!” aveva esclamato Hermione, facendo spegnere la bacchetta mentre richiudeva il pesante raccoglitore. Nell’aria fluttuava un odore perenne di vecchio e di stantio, e Ron si era grattato il naso mentre ricollocava al suo posto un articolo di giornale che doveva riferirsi alla battaglia e che effettivamente includeva Bessie nella lista dei dispersi.
“Ron, sei un genio! Non mi era venuto in mente di poter cercare proprio nella biblioteca di Grimmauld Place!”
Il ragazzo aveva cercato di non mostrarsi troppo compiaciuto a quell’uscita. “Dai, andiamo a parlarne con Harry!”


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Capitolo 14
*** Natale, 14. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Prima di tutto vi ringrazio ancora per commenti (Manny ma sei veneta pure tu? o.o la cosa delle uova di Pasqua mi ha fatta scompisciare!!!) e suggerimenti (Mixky risponderò al più presto alla tua mail, così parliamo di quell'ideuzza :p). Poi, delle precisazioni per me importanti.
Fin dall'inizio, Elizabeth per me non è mai stata una Mary Sue: non lo è per come la conosco, l'immagino io, e sto cercando al meglio delle mie possibilità (e del mio tempo, sinceramente) di non farla apparire come tale. Ho un'idea precisa di lei, e per quanto possa essere carina o brava o simpatica -anche se spesso senza volerlo, nel senso di buffa- non è una miss perfettina. Per nulla. Bessie vive su due livelli, da un lato ha quest'indole spontanea e solare, ed è affettuosa... dall'altro però non riesce ad essee liberamente nulla di tutto questo per via del peso che porta sulle spalle, per tutto quello che le è capitato e che ancora non sa bene come affrontare. Le difficoltà con Sirius prima e poi, le difficoltà con Lily prima, il perderla poi, le difficoltà con la madre, e via dicendo. Ha le sue debolezze, per esempio una discreta incapacità di starsene sola - anzi, non di starsene sola, ma di sentirsi sola. Sto cercando di mostrare tutto questo, non voglio un personaggio perfetto, non ne voglio nemmeno uno strappalacrime però. Anche la scena del salvataggio, quello in cui lei si sacrifica per salvare Sirius, è stata una scelta precisa perché non volevo calcare la mano sull'aspetto drammatico: ok, è triste e dai vostri commenti spero di aver reso la tristezza, però ho fatto apposta a descriverla tramite un resoconto, e un resoconto di Moody poi, per il contrasto che avrebbe fatto una descrizione così asciutta. Anche i commenti di Hermione, più soddisfatta per la scoperta che preoccupata per Bessie, o di Ron, che gongola per i complimenti... nessuno dei due sembra pensare realmente a lei, a quello che è successo. Forse Harry lo farà, e non voglio certo dire che a loro non importi di lei: il punto è che semplicemente quello che vivevo io era la malinconia perché solo lei, e chi era con lei, può capire cos'abbiano significato episodi del genere, mentre altri no; Hermione e Ron simboleggiano la vita che va avanti. E' solo la vita. E forse è Bessie, e con lei Sirius, che è rimasta indiero. Insomma volevo esprimere un sacco di cose, e però mi premeva non farle pesare: dovevo descrivere l'atto eroico di Bessie, ma non volevo farla passare per un'eroina. E' coraggiosa e ama, ma è anche incosciente come una bambina, è anche egoista quando vuole che Sirius cerhi in lei quello di cui ha bisogno, è ingenua... non so se riesco a spiegarmi, è un papiro e vi domando scusa, ma vorrei che da oggi in poi mi aiutaste anche voi a non rischiare mai di rendee Bessie una Mary Sue. Perché non lo è. Ci saranno dei momenti drammatici, ovviamente, vista la base, ma...
Uhm, buona lettura. Grazie per la pazienza =_=




Natale, 14.


24.
Nonostante la Umbridge, nonostante le difficoltà, nonostante l'incidente del signor Weasley Natale era giunto anche quell’anno. Le decorazioni pendevano da tutte le pareti, dando alla casa una bizzarra aria ibrida tra il nero ed il rosso, ed un grosso albero in un angolo del salotto faceva mostra della più grande varietà di decorazioni natalizie mai esistite sulla faccia della terra; un paio di biscotti tra quelli legati con del nastro erano però sospettosamente monchi.
“Sei sicura, vero?”
“Io non -- zitta!”
“Guarda che sei tu a farfugliare!”
“Credo -- anche tu, diamine! Gli addobbi ci sentiranno,” aveva protestato cauta. “Ti sei lavata le mani?”
“Cos’è, un modo per scoraggiarmi?”
“TONKS!!!”
“Le mie mani vanno bene”, aveva assicurato.
“Non sognare.”
“Proprio oggi?” aveva obiettato Tonks. Si era soffiata rumorosamente il naso. “Lo sai che ore sono, Bes? Come puoi pretendere che mi sia passata il filo interdentale e pettinata con la riga a quest’ora?” aveva brontolato.
Bessie aveva fatto uno sbuffo come per trattenere una risata.
“Pettinata con la riga”, aveva ripetuto scuotendo la testa. “Pettinata con la riga.”
“Nks!”
“Pettinata con la riga... non ho proprio niente da dire a questo punto.”
“Oh, insomma! I miei capelli non sono proprio così -- no? Voglio dire, spaventosamente e indistintamente...”
“...E inquietantemente...” le aveva fatto eco Bessie. Tonks l’aveva spinta giù.
“Donna ingrata. Donna irrecuperabilmente ingrata. Per chi si è alzato questo spaventapasseri spettinato e inquietante, mmh? Mmmhh??”
“Per i regali?”, aveva tentato Bessie sbattendo le ciglia come un animaletto irresistibile.
“È rivoltante,” l’aveva informata Tonks. “Sai.” Lei si era corrucciata.
“Questo non è di buon auspicio. Sai.”
Tonks e Bessie, girando a orari improponibili per le stanze di Grimmauld Place numero 12, avevano pensato bene di alzarsi prestissimo per preparare la colazione per tutti... tralasciando però di calcolare la proverbiale insonnia lupesca di Lupin, il quale le aveva raggiunte mentre schiamazzavano a voce più bassa possibile... cioè medio-alta, in pratica.
"E voi che ci fate qui?" aveva domandato vagamente sospettoso.
"Non fare quella faccia, Remus. Volevamo solo preparare da mangiare per tutti, e tu ci hai rovinato la sorpresa!"
"Oh..." si era lasciato scappare un mezzo sorrisetto verso Tonks "Oh. Se si tratta di questo, meglio che vi abbia raggiunte in tempo. Molly avrà protetto persino la cucina con chissà quali incanti, per via di Fred e George... evitate di rischiare il caos proprio nel suo regno, mh?" e se n'era andato fischiettando.
Bessie aveva pestato i piedi per terra: "Ma è ingiusto! Io voglio rendermi utile!"
"E chi ti dice che non lo farai, Betsy?" le aveva sorriso maliziosa Tonks. In effetti sapevano bene che stavano per agire ugualmente.
"Maledetta Grifondoro testarda!" le aveva replicato lei ridendo, imitandola con precisione.
Cinque minuti più tardi Bessie era immersa in una complessa spiegazione di una qualche pietanza da preparare con un uovo. O due uova. O qualche uovo in più.
"Bene, proviamoci”, si era convinta Tonks. “Dimostreremo loro che non ci serve la magia!"
"Ti faccio vedere" aveva proposto Bessie speranzosa, arrotolandosi fino ai gomiti le maniche della veste; l'uovo, tuttavia, appena uscito dal guscio le era scivolato per l'entusiasmo tutto intero sopra lo zucchero.
“Ach!”, aveva imprecato.
Ach?”, aveva ripetuto Tonks guardandola. Lei aveva alzato le spalle.
"Questo significava Oh Pluffa ho sbagliato, vero?" aveva commentato l'amica portandosi una mano alla fronte.
"Mrhm..." era stata la cavernicola risposta di Bessie. “Sta zitta. Sta zitta sta zitta sta zitta, oh, tutto questo è orribile. Credevo di potercela fare: pensavo che ci sarei riuscita. Dovrei tornare a letto e fingere di non essere mai passata di qui.”
“Ci sono testimoni,” aveva schioccato la lingua Tonks. “Sai -- Moony. Ci sono dei Moony. Mi dispiace. Ne vuoi parlare Bes?”
“Di questo?”, aveva protestato lei indicando la ciotola.
“No. Di quello.
“Oh, no” aveva replicato lentamente. “Oh no no no no. Non ci sto pensando, sai. Sarebbe patetico. Sarebbe più che patetico.”
“Mi è stato affidato il compito di prendermi cura di te,” l’aveva ammonita Tonks puntando l’indice verso il tetto. “Ordini maledettamente superiori. Non dovresti rifiutare.”
Bessie aveva rovesciato la testa all’indietro per guardare verso l’alto, come se i suoi occhi potessero oltrepassare il soffitto ed il tetto e poi ogni nuvola. “Non è divertente, sai, Caradoc. Non avevate proprio niente di meglio?”, aveva gracchiato. Tonks aveva cercato di sgridarla con un buffetto, provocandole l’ennesimo taglietto alla guancia.
“Ahi! Ma allora è un vizio”, aveva protestato.
“Punizione divina,” aveva asserito l’altra imperturbabile mentre cercava di pulirle il filo di sangue, strisciandoglielo di conseguenza per tutta la faccia. Bessie aveva fatto una smorfia.
“Tonks... fortuna che non eri tu.”
“Bes, Bes, ti ho fatto più male di quanto credevo? Ti ho colpito in qualche punto basilare, magari sei un androide e non me l’hai mai detto? Voglio dire -- userò parole semplici. Niente ironie gingillose o troppe virgole o -- lo capisci che la tua frase non aveva alcun senso, vero?”
“Mi riferivo all’essere una guaritrice,” aveva ghignato lei. “Questa cosa mi delizia.”
“Quale cosa, questa?” aveva domandato sbaolrdita indicando l’uovo rovesciato.
“Oh, no. Tu.”
“Attenta, potrei montarmi la testa. Diventerei un grosso involucro di panna agitata con la frusta e mi troveresti ad attenderti in camera tua con addosso solo un pon pon tra i capelli.”
“Prima o dopo la riga?” Bessie aveva scosso la testa. “Che ne faccio?”, era tornata a riferirsi all’uovo.
“Ho ragione. Lo sai che ho ragione.”
“Sui pon pon?” aveva tentato lei. E poi Tonks l’aveva controllata ed aveva visto qualcosa incrinarsi nei suoi occhi, e i suoi occhi erano enormi, erano straordinariamente enormi anche per essere occhi enormi; aveva sentito una specie di fitta al centro del petto, tra le spalle, ed era stata breve, lancinante e pruriginosa. Si era sentita come un bambino che ha appena rotto il vaso più bello della casa.
“Cazzo. Cazzo. Cazzo,” aveva ansimato stringendo forte Bessie che aveva ancora parti di uovo in mano che le erano finite sulla faccia. “Ne verremo fuori. In qualche straordinario modo ne verremo fuori.” Non sapeva se restare in piedi o mettersi a sedere, si era chiesta se questo avrebbe potuto cambiare qualcosa. Era una specie di momento terrorizzante, molto peggio di una qualsiasi ricognizione di Mangiamorte perché Bessie stava tentando di sorridere, e Tonks non avrebbe augurato a nessuno di vedere Bessie tentare di sorridere. “È tutto a posto,” aveva asserito per convincere se stessa. “Non volevo fartici pensare. Lo so che avevi un tuo rifugio, e--” e io ci sono entrata buttando giù la porta con le scarpe piene di fango, aveva pensato. “Ma almeno adesso dovrai guardare fuori, no?” Non era sicura che fosse la cosa giusta da dire. Non era neanche sicura che ci potesse essere una cosa giusta, a quel punto.
“Uhm,” aveva commentato Bessie pacatamente. Aveva annuito, e Tonks aveva soffocato un’imprecazione. “Sì. Dovrei considerarlo.”
“Mi spiace,” aveva mormorato Tonks. “Per il fango. È stata una cosa stupida.”
Aveva nominato il fango: forse Bessie avrebbe pensato che era fuori di testa. O forse avrebbe capito lo stesso.
“Sai di uovo,” aveva annunciato Bessie. “È una situazione un po’ idiota per tutto quello che stai cercando di fare, sapere di uovo.”
Poi, improvvisamente, era caduta a sedere sul pavimento della cucina. Era un freddo pavimento della cucina il 25 dicembre, però lei ci era andata a finire comunque. “Sa di casa, questo tuo puzzare di uovo. È bello” aveva mormorato, e Tonks non capiva perché allora le sembrasse così sull’orlo di piangere. Si era inginocchiata di fronte a lei per cercarle gli occhi mentre qualcosa di morbido aveva fatto splat sotto la sua gamba. Non che le importasse davvero.
“Bes...” aveva provato.
“Oh, è così stupido. Così -- stupido! Ho pensato -- è Natale. Non ho mai passato un Natale -- quanti ce ne saranno ancora? Saremo tutti insieme al prossimo o sarà semplicemente così,” aveva schioccato le dita, “non dovrò chiedere a James se ha preso un regalo decente per Lily e non dovrò bloccare i ragazzi prima che buttino giù le pareti coi loro latrati natalizi o -- credo che Remus si sia ferito ad un braccio, sai. E mi è sembrato di impazzire. Voglio dire, magari ha soltanto sbattuto contro il comodino. Magari Sirius non finirà col fare qualcosa di molto, molto stupido a forza di starsene rinchiuso qui dentro a litigare con se stesso, e -- sono i migliori che abbiamo, probabilmente. Devono andare. Devono fare quelle cose. Anche James e Lily erano i migliori, e improvvisamente questo significa qualcosa di così schifosamente diverso dalle definizioni del vocabolario!”
“Cristo,” aveva detto Tonks inginocchiata lì davanti. Aveva sentito una macchia calda allargarsi tra quella gamba ed il pavimento, ed avrebbe voluto essere premurosa e tenera ed accorta, ora che ne aveva la possibilità. Lily lo sarebbe stata – sapeva che lo sarebbe stata. “Sta zitta,” aveva ingiunto invece. “Mica posso farti smettere di blaterare baciandoti in bocca come avrebbe fatto Sirius. Cioè -- sta zitta.”
“Era -- potresti forse -- mordermi?” aveva suggerito Bessie, e il suo sguardo era tornato ad assumere un’intensa sfumatura biricchina.
“Accidenti,” si era lamentata Tonks. “Non cambierai mai. Mi sfotteresti vedendomi in punto di morte! Mi sento come se fossi in punto di morte.”
Smettila di dirlo, aveva pensato Bessie. Smetti di parlarne. Non voglio pensarci, non voglio che sia -- reale.
“Hai ucciso il mio cervello,” l’aveva informata con noncuranza. “ Questo -- dovrei buttarlo. Ti avevo specificato che non ci andava l’albume.”
“Perché guardi me? Sei stata tu a metterlo!”
“Si è messo da solo. Tuorlo,” aveva sospirato. “Tuorlo. Voglio solo il tuorlo. Che faccio, lo butto?”
“Ma no dai, aspetta!” si era alzata ed il suo ginocchio aveva fatto splitch staccandosi dalla mattonella. Se non fosse stato per quel ginocchio, forse prima ce l’avrebbe fatta. “È un peccato... proviamo ad aggiungerci della farina, come in una di quelle paste per torte!”
“Ma noi non sappiamo come si preparino gli impasti per le torte, e poi non stiamo facendo una torta!” aveva protestato Bessie, angosciata all'idea dell'amica che si dava agli esperimenti – e di chi avrebbe usato come cavia. “E poi quella farina Molly la vuole usare per la sua ricetta speciale!”
“Hm-hm,” aveva fatto Tonks aprendo il pacco della farina.
“Lo sai che la vuole usare per la sua ricetta speciale, vero?”
“Hm-hm,” aveva annuito l’altra senza dare segno di volersi fermare. Bessie aveva lanciato le braccia in aria.
“Questo, a meno che tu non gliela finisca per qualche stupido-- stupido--”
“Hm-hmmm,” aveva ripetuto lei, radiosa. Bessie aveva lasciato andare un gemito.
"Dai, non fare la difficile! Ci arrangeremo ad occhio... non sarà impossibile di sicuro! Ecco, lascia fare a me..." aveva aggiunto una manciata di farina, mescolandola energicamente e successivamente raccogliendone una parte in un cucchiaio che aveva porto a Bessie: “Assaggialo!” aveva concluso trionfante.
"Tonks..." Bessie, incerta, aveva deglutito.
"Coraggio, Betsy, prima che si sveglino!"
"Senti, Tonks..." l'aveva supplicata lei "hai avuto tredici anni di tempo per farmi fuori, perché proprio adess--?" Non era riuscita a completare la frase. “Gohfh mughl anghth ah!” era stato, a rigor di cronaca, l’unico modo.
"Buono?" Le aveva domandato l'altra, speranzosa.
"Anchorhah farh...ih.. nah."
"Oh, diamine. Va bene!"
Tonks aveva aggiunto.
Bessie aveva assaggiato.
Tonks aveva riaggiunto.
Bessie aveva riassaggiato.
Tonks aveva pensato di aggiungere il suo ingrediente segreto.
Bessie aveva sudato freddo. Ormai non c'erano dubbi: la sua migliore amica stava tentando di ammazzarla. Chissà quando sei passata con Voldemort, cara Tonks. Forse per via dello scherzo del budino? O è stato quando ti ho nascosto gli slip nella cartella di John Riley?
"Senti Tonks, è immangiabile, davvero..."
"No, no, possiamo ancora ricavarne qualcosa di buono... se solo ricordassi cosa aggiungeva mia madre in questi casi..."
"In questi casi? Oh, ora capisco da dove viene tutta la tua abilità culinaria! E' una dote di famiglia!" aveva riso Bessie. "Ascolta Dora, quella cosa è terribile: se la lasci seccare probabilmente abbiamo creato il cartone!"
"Oh..." Tonks si era afflosciata. "E va bene allora! Che ne facciamo?"
"Mah, non so... cerchiamo dei sacchettini..."
"Dei sacchettini? Per venderli al mercatino, Betsy cara?"
Tonks aveva inarcato un sopracciglio perplessa, ma Bessie senza badarle aveva aperto uno sportello per cercare febbrilmente qualcosa che facesse al caso loro prima che gli altri si accorgessero della loro disfatta.
"E' tardi, è tardi," mormorava. La fretta di risistemare, tuttavia, l'aveva portata a sbattere l'anta contro la pendola magica che la signora Weasley si era portata da casa e che aveva preso a suonare a più non posso. DONNN DONNN DONNN, faceva. DONNN. Bessie, tra gli scampanii che la scuotevano tutta aveva osservato con terrore il vetro incrinato dell'orologio, mentre Tonks scoppiava a ridere senza più controllare ciò che stava facendo, spargendo abbondantemente intorno a sé la farina che ancora rimaneva nella ciotola che teneva in mano.
"Dio Tonks, guarda!" l'aveva richiamata all'ordine disperata. "Che macello!"
"Oh oh oh" rideva lei, senza riuscire a fermarsi "Hai ragione Betsy, qui bisogna pulire..." aveva sollevato la bacchetta.
Bessie aveva vanamente tentato di lanciarsi verso di lei, urlando un "No!!!" che tuttavia era giunto troppo tardi.
Le pareti erano rimbombate come per un esplosione, e non appena le due ragazze si erano riprese avevano potuto constatare di essere completamente colme di quel loro terribile intruglio.
Bessie aveva le lacrime agli occhi, e come se non bastasse aveva sentito i passi di Lupin avvicinarsi.
"Che succede, ragazze?”, aveva chiesto prima ancora di raggiungerle.
Pareva allarmato. Si aspettava che andasse loro incontro arrabbiato, di sicuro urlando che le aveva avvertite -- beh, in realtà no. Non alzava mai la voce, Remus. Probabilmente non l'avrebbe fatto nemmeno se ne fosse andato della sua stessa vita: ecco, magari di quella di qualcun altro...

Cinque minuti più tardi Bessie era assolutamente, meravigliosamente convinta del fatto che la magia esisteva.
"Guarda che lo eri anche prima," le aveva fatto notare Tonks.
"Oh, sta zitta Tonks!" aveva replicato lei, le lacrime agli occhi per la gioia. "Non mi guastare questo irripetibile momento in cui ringrazio il cielo per aver creato Remus Lupin! Dio santo, guarda questa cucina! E'... è... è..."
"Pulita," aveva concluso l'altra.


24.
Durante la colazione la maggior parte delle persone aveva già aperto i propri pacchetti. Bessie, tuttavia, seguitava a fissarli tutti di sottecchi, gongolando. Sirius aveva scambiato degli sguardi timorosi con Lupin e Tonks.
"Vi aspettate lo stesso che temo io, vero?”, aveva biscicato. Gli altri due avevano annuito gravemente.
"Che cosa? Di che parli, Sirius?" aveva domandato Harry, sbucando dal suo maglione nuovo, regalo della signora Weasley.
"Di quel -- oh Elizabeth, l'hai fatto anche quest'anno, vero?"
"Naturalmente!” gli occhi di Bessie scintillavano mentre correva a prendere un enorme sacco e lo trascinava a fatica per raggiungere il tavolo. Con un sospiro Lupin l'aveva aiutata con un lieve Locomotor, mentre Sirius rivolgeva a lui lo stesso sguardo supplichevole. I ragazzi, invece, erano eccitati.
"Beh, ecco a voi Elizabeth Lovelace, la fanatica dei regali!" pareva rassegnato.
"Regali?" aveva esclamato Ron, alzandosi in piedi ed indicando il sacco "Vuoi dire che lì dentro ci sono degli altri regali?"
"Naturalmente!" aveva ripetuto lei, sfavillante.


Dal diario di Elizabeth: regali per quest'anno.

Arthur Weasley: juke-box babbano con tipiche canzoni babbane (è anche un portaoggetti per nascondere alcune babbanate dalle grinfie di Molly).
Molly Weasley: Il libro dei Trucchi in cucina... riordina, smacchia, è praticamente introvabile!
- In effetti era di sua madre, e la signora Weasley si era anche commossa nel riceverlo.
Hermione: Tappeto blu-notte alto e fitto, se gli gridi contro "Lumos" mostra tutte le costellazioni... così non si perde la parte bella di divinazione! (creato da me)
Ron: Crema cambia-lineamenti, la metti e puoi giocare con la tua faccia meglio di Tonks! Così la pianta di tormentarla ogni due minuti...
Ginny: Bolle che si solidificano intorno agli oggetti creando attorno una pellicola che riflette tutti i colori come un prisma, se esposta al sole (vecchia formula di Lily)
Fred e George: (idea fantastica) Scatola vuota, dirò loro che il contenuto è stregato e devono capire come fare ad ottenerlo... li lascerò tutto il giorno a provare quando in realtà il contenuto sarà al sicuro sotto il loro cuscino, e non lo troveranno fino a sera (ingredienti per il loro scherzi, con il seguente bigliettino "Questa volta lo scherzo l'ho fatto a voi!") --> attendersi vendette? Dire a Molly che il regalo è un fumetto in 3D
Tonks: Sfera spargi-neve (che non bagna e non sporca) per muoversi in silenzio durante i lavori per l'ordine, attutisce i rumori. Magari ce la fa!
- Tonks glie l'aveva lanciata contro la testa, gridando di restituirle la sua favolosa collana, mentre la rincorreva.
Moody: Bottoni lucida-occhio. Basta appoggiarcelo sopra e viene pulito, ci ho lavorato tre mesi perché non spruzzasse in faccia!
Charlie: scacchi a forma di draghi che, quando mangiati, si abbrustoliscono. Favolosi! Spettacolari! Quasi quasi me li tengo.
Bill: braccialetto di pelle che può diventare una bacchetta temporanea (si carica stando vicino alla vera, poi all'occorrenza s'irrigidisce). Molto rock!
Silente: babbucce di lana termiche (regolano a piacere la temperatura interna ed il colore) + trespolo termico intagliato per Fanny. (fatti da me)
Severus: catenina d'argento con ciondolo neroverde porta veleni.
- Harry aveva deglutito, nel sentire di cosa si trattasse.
Dobby: fazzoletto ricamato, da taschino (ricamato da me!) - "Oh, Bessie!" aveva esclamato Hermione, sognante.
Kingsley: piatto d’argento raccogli-promemoria, li attira con una calamita così non svolazzano tutte le volte che mi scordo di raccoglierli......
Hagrid: toeletta completa, shampoo, gel, spazzola, profumo. Anche un guinzaglio da drago per Thor... grazie Charlie!


"Questo... questo invece è per te, Harry." Con una certa emozione Bessie gli aveva consegnato un lucchetto in ferro battuto, dall'aspetto in verità vecchio e consunto. “Non ho avuto cuore d'impacchettartelo.” In effetti l'unico abbellimento apportato era un grosso fiocco rosso. Era molto grosso e molto vecchio, e la ruggine lo rendeva ancora più ingombrante. Harry l'aveva rigirato tra le mani, cercando educatamente di nascondere la sua delusione.
"Oh... wow! Voglio dire... grazie, Bessie! Mi... mi serviva!"
Bessie aveva sorriso con indulgenza. "Quello è il primo regalo che mi ha fatto tuo padre."
L'espressione di Harry era mutata radicalmente. “Davvero?”, era sussultato.
“Davvero?”, gli aveva fatto eco il signor Weasley con aria interessata.
“DAVVERO?!” aveva urlato Sirius alle loro spalle.
"Sì. C’è stato un periodo a Hogwarts in cui una ragazza m'infastidiva spesso e mi rubava le mie cose. Così lui mi regalò un lucchetto... quel lucchetto, che risponde soltanto alla voce del proprietario."
Harry se l’era rigirato tra le mani con emozione, attento a non staccarne la minima fogliolina di ruggine. “Bessie...” aveva commentato un minuto dopo, quando aveva riacquistato la voce. “E' un regalo bellissimo...”

"...Ora tu, Remus. Ecco--"
Remus Lupin non era un tipo molto incline allo spirito natalizio, non lo era mai stato. Era, tuttavia, da sempre incline a tutto ciò che riguardava i suoi amici. Il che significava, suo malgrado, che Sirius e Bessie erano compresi nella definizione anche se questo il più delle volte gli provocava incontri ravvicinati e dolorosi con i guai.
“Un’altra vittima?”, aveva mormorato. L’entusiasmo di Bessie era però instancabile, saltellava verso di lui con quel sacco che ora era mezzo vuoto e poteva trascinare da sola, ed era così teneramente improbabile in quel vestitino troppo leggero a fiori e quegli stivali troppo militari ai piedi -- ora che li guardava bene, Lupin si era accorto che erano di Sirius. Ecco perché gli erano sembrati grandi: erano i suoi vecchi scarponi, quand’erano a Hogwarts li avrebbe portati anche sotto la doccia. Forse, un giorno, ci aveva provato. Doveva essere difficile correre con quelli addosso. Con la coda dell’occhio aveva cercato Sirius, e anche lui doveva averli riconosciuti perché il suo sguardo era fisso verso il basso. Non aveva sentito dire che fosse stato arrestato scalzo.
Aveva riannodato il filo dei pensieri, tornando alla combinazione modaiola così improbabile che si aspettava un regalo altrettanto improbabile, e si era sistemato a sedere ben dritto per prudenza.
Non senza fatica Bessie aveva invece estratto dal sacco ormai floscio un nerissimo, enorme peluche di lupetto. “Ce l'ho da un mese, e l'ho tenuto stretto a me la notte per tutto questo tempo perché diventasse qualcosa di mio!” Gli si era avvicinata, porgendoglielo mentre lui la guardava con aria interrogativa e bisbigliandogli: "So che per te è dura, Remus... le leggi sugli ibridi, e tutto il resto, e so che quando hai saputo... che sapevo... beh, ecco, io... volevo dirti che ti adoro proprio così come sei!"
Lupin aveva sorriso; Harry aveva ripensato alla discussione dei mesi precedenti... e prima che l'uomo potesse reagire lei gli aveva indicato la cerniera sulla pancia del lupacchiotto.
"Non... non c'è l'imbottitura qui?"
Bessie gli aveva strizzato l'occhio. "Aprilo."
All'interno, accuratamente ripiegata, stava una letterina che Bessie aveva scritto a Babbo Natale.
"La data... risale al nostro ultimo anno a Hogwarts!" aveva commentato lui, incuriosito.
"Chi diavolo è Babbo Natale?"
Mentre Hermione spiegava pazientemente a Ron l'origine di quella leggenda babbana, Lupin aveva aperto il foglio per leggere.

*Caro Babbo Natale,
ho sentito parlare di te da Lily ma non conosco bene la tua storia per sapere se ci sei anche per noi, o se hai tempo di provvedere anche a regali difficili come quello che ti sto chiedendo... ma se puoi, per favore -- mi piacerebbe che Remus per una volta facesse quello che vuole, che davvero desidera, e non soltanto ciò che è giusto fare!
Grazie per il tuo tempo, o per il tentativo. Sarà dura, ma se non puoi tu... chi vuoi che ce la faccia?
Elizabeth.*

Lupin, sollevando lo sguardo dalla pergamena visibilmente commosso, aveva prima di tutto cercato Sirius, che manteneva le palpebre abbassate per metà con aria cortesemente indifferente. Aveva preso la mano a Bessie; non l’aveva abbracciata, le stringeva quella mano mantenendo le distanze come per sentirsi sicuro. Lo sguardo che aveva, però, le annullava in un colpo. Era rimasto fermo per talmente tanto tempo da guadagnarsi un ululato dei gemelli, e Sirius aveva fatto una risata soffocata come un latrato riuscito male. Harry aveva riflettuto impensierito che avrebbe finito per soffocarsi con la sua stessa lingua.
Pareva quasi che non avesse più intenzione di lasciarla andare.
“Tu... sei -- sei tu, Eliza. Grazie,” le aveva mormorato poi, incapace di aggiungere altro. A Bessie era bastato guardarlo negli occhi.

Appena si erano lasciati Lupin si era guardato intorno sospettoso: Sirius aveva sempre avuto un’insana predilezione per il vischio con tendenze assassine, e quello secondo lui avrebbe anche potuto essere un ragionevole momento per liberarne un esemplare ed aizzarlo contro di lui. Quello strano silenzio poteva essere una decisa conferma.
Magari non lo farà. Magari ripenserà a tutte quelle ore che per sette anni ho trascorso sui libri per riuscire ad ottenere quegli stessi voti alti che lui e James avrebbero ricevuto praticamente senza sforzo, e si sentirà un po’ in colpa. O magari sarebbe stato impegnato come lui a controllare lo strano comportamento di Bessie.
In effetti, aveva pensato Lupin, controllare gli strani comportamenti di Eliza è una specie di lavoro a tempo pieno. Dopo tutto quello che era successo si preoccupava per lei più per come si occupava di Sirius che per lei di per sé. Siamo così stupidi, aveva pensato. Sirius e James hanno sempre finto di trovarlo divertente. Be’, non è che non lo trovassero divertente davvero, rischiare di spezzarsi l’osso del collo e combattere e correre e strisciare, ma è -- era il loro modo di prendersi cura di noi. Ridere forte per non lasciarci lo spazio per pensare che anche loro, a volte, potevano aver paura. Siamo così stupidi. Per questo ho sempre dovuto occuparmi di tutti loro: c’è sempre del lavoro a cui non pensa nessuno su quelli che si occupano di quelli di cui bisogna occuparsi..
Bessie, intanto, sembrava cercasse di evitare gli sguardi di chiunque. Si era pulita le mani sulle gambe come se fossero state ancora sporche di farina, rovesciando palmi e dorsi.
Sorridendo con aria impegnata aveva borbottato ad Hermione: “Oh, già... posso chiederti il favore di portare questi regali a scuola? Dunque, c'è quello per Silente, per Severus, per Hagrid... ah, ecco qui quello per Dobby. Questi no, sono i pensierini per gli altri dell'Ordine... Bill, li affido a te, eh?” aveva disposto di fronte al ragazzo un'ordinata fila di piccole confezioni regalo. "Oh, che sciocca! Quasi scordavo!" Si era battuta una mano contro la tempia, andando a rovistare nel fondo del sacco ed estraendone l'ultimo pacchetto, avvolto in una carta arancione. "Questo... è per il vostro amico Paciock."
Ron aveva strabuzzato gli occhi. "Paciock? Tu conosci Neville?"
“Conosco sua nonna. E conoscevo... conosco i suoi genitori,” aveva spiegato con semplicità. “Non ho più avuto occasione di incontrare nessuno della sua famiglia, ma...” aveva sorriso “abbiamo avuto molto in comune, io e loro; così mi sono tenuta informata sul ragazzo. In ogni caso non è niente di che... soltanto una nuova ricordella!” aveva concluso brevemente. Ron aveva afferrato il pacchetto dalle sue mani.
“Bene... è tutto, no?” la voce le tremava appena, ma seguitava a darsi da fare come un ciclone, cosicché probabilmente nessuno tranne Lupin e Sirius si era accorto che l'unica persona a cui non aveva consegnato un regalo era Sirius stesso. Entrambi erano tuttavia troppo beneducati per farglielo notare, così il mancato ricevente si era limitato ad osservarla con curiosità. Bessie sembrava tarantolata. Spostava oggetti, borbottava qualcosa, faceva una battuta forzata, tornava a spostare gli stessi oggetti di prima; raccoglieva le carte nel sacco, poi tornava a tirarle fuori per ripiegarle. Alla fine Sirius le si era avvicinato, posandole una mano su una spalla: “Elizabeth... va tutto bene?”
Lei si era immobilizzata come se avesse appena ricevuto un pugno. Senza preavviso era scoppiata in singhiozzi, lasciandolo costernato. “Io... oh Sirius, Dio Santo, mi dispiace! Mi dispiace! Ci ho provato, ho cercato tante di quelle cose che... più di tutti, ma non sono riuscita a... a...” non aveva nemmeno completato la frase, prima di correre a chiudersi in camera sua lasciandoli tutti a bocca aperta.
“Ma che diamine...?” era stata la reazione di Tonks, rimasta con la brioche che stava per inghiottire a mezz'aria. Poi aveva scosso il capo. “Già”, aveva mormorato.
Lupin aveva fatto un cenno d'intesa a Sirius, alzandosi dalla sua sedia per raggiungerla. Cinque minuti più tardi era però di ritorno, un’espressione stranita dipinta sul volto.
"Senti Sirius, io credo che dovresti andare di là... a vedere."
Sirius gli si era avvicinato con aria interrogativa, ma Lupin si era limitato a scuotere il capo.




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Capitolo 15
*** Natale, 15. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



dopo una piccola pausa eccomi di ritorno, perdonatemi il ritardo... non ho ricevuto recensioni ultimamente, e spero non fosse perché il capitolo non vi è piaciuto... sapete che dovete farmi sapere anche questo! Uhm, stiamo tornando a muoverci, adesso...




Natale, 15.


25.

Quando aveva aperto con delicatezza la porta della stanza di Bessie la scena che gli si era presentata davanti agli occhi era la ragazza che singhiozzava con la faccia schiacciata contro il cuscino, e tutt'intorno a lei una quantità incredibile di regali non impacchettati o addirittura non completati. C'era una pellicola trasparente per finestre, una di quelle che fanno vedere a chi si affaccia il panorama che preferisce; un prendiappunti che proseguiva da solo inventando storie; una specie di lettore cd che riproduceva soltanto i rumori ed i suoni della natura, in base alle emozioni di chi ascoltava; un fermalibri intagliato a forma di testa di Felpato; una collanina maschile di perline che in realtà erano antidoti; un carillon che mostrava delle immagini...
Sirius stava lì, senza riuscire a staccare gli occhi da tutti quegli oggetti che Bessie aveva preparato probabilmente per mesi, quando l'ennesimo singulto della ragazza l'aveva fatto tornare sulla terra. Le si era avvicinato, posandole dolcemente una mano sulla schiena.
"Elizabeth... ehi... non fare così..."
"Mi... shh fhhh..."
"Come?" aveva sollevato entrambe le sopracciglia, non riuscendo a capire cosa borbottasse dalle profondità del suo cuscino.
“Mi spiace, Sirius... io... ci ho provato, davvero! Ho cercato un regalo per te, ma più mi davo da fare... e più... percepivo la distanza!” si era sollevata a sedere mentre lui le scostava i capelli dal volto con affettuosa partecipazione. "Mi accorgevo che... erano cose che pensavo io, e quindi... non andavano bene per te! Perché... io ero rimasta indietro... e non riuscivo a liberarmi dall'idea del... passato, che tu non... vuoi..." cercava con tutte le sue forze di moderare i singhiozzi, mentre Sirius le carezzava la spalla per calmarla. "Capisci? Era tutto troppo... stupido, da ragazzi, o troppo pieno di... me, per poterti interessare!"
Sirius le si era fatto più vicino, sollevandole il volto per guardarla, mentre le posava una mano calda sulla guancia. Le aveva bisbigliato piano, pianissimo, ma con convinzione: "Ma tu mi interessi, Elizabeth!"
Lei aveva alzato lo sguardo sorpresa, e forse lui lo era altrettanto, come se l'avesse appena rivelato anche a se stesso. Aveva tossicchiato un incerto “Beh, almeno adesso respiri” indicando il cuscino dal quale si era staccata, ma non aveva accennato a cambiare direzione al suo sguardo, nero e intenso da far paura. Erano così vicini che i loro respiri si confondevano, regalando un tepore carezzevole. Entrambi sembravano emozionati fino alla sofferenza, senza riuscire a staccarsi o ad avvicinarsi più di così. Sospesi sull'orlo del loro presente e del loro passato, e di miliardi di scelte e di sentimenti che li tenevano agganciati per il cuore senza mai rendersi definitivi. Bessie aveva letto negli occhi di Sirius una feroce lotta di propositi che lo sfiniva fin da quando si erano ritrovati, e si era morsa un labbro all'idea dei suoi tormenti. Lui, però, aveva finito per avvicinarsi fino a sfiorarla, accarezzandole i capelli come qualcosa di prezioso.
Toc. Toc. Toc.
"Bessie, cara, sei lì? Ti va bene se preparo il tacchino, per pranzo?"
Sirius aveva alzato gli occhi al cielo.

Dopo l'intervento della signora Weasley erano scoppiati a ridere nervosamente entrambi, senza più ritrovare il coraggio di chiedersi cosa stessero facendo fino ad un secondo prima.
"Beh, sarà meglio andare..." la voce di Sirius era lievemente roca, ma cercava di suonare il più naturale possibile. Bessie, scrutandolo, l'aveva immediatamente interpretato come un segno che indicava che lui non aveva nessuna intenzione di portare a termine lo sbaglio di pochi minuti prima. Aveva sospirato, mentre l'uomo già le voltava le spalle frettolosamente.
Una volta sulla porta, però, si era arrestato. "E questo cos'è?"
Tra le mani teneva una sorta di figurina di legno, appena più rigida e spessa di una normale. All'interno, una loro foto di quindici o sedici anni prima. "Siamo... noi..."
"Sì..." Bessie si era affrettata a raggiungerlo per spiegargliene il funzionamento "E'... empatica. Tu la guardi e pensi alla foto che vorresti rivedere... o anche ad una che vorresti aver fatto, e... sì insomma, un ricordo oppure qualcosa di nuovo... quello che hai in testa!" aveva scosso il capo, sembrava decisamente imbarazzata e in difficoltà nello spiegarsi. "Scusami, io.. pensavo che se te l'avessi regalata te l'avrei presentata con un'immagine di te, James e Remus... oppure sarebbe stato carino anche qualcosa di te ed Harry..." aveva mormorato sconsolata. Sirius, però, l'aveva guardata intensamente prima di ficcarsela in tasca con la malagrazia di qualcuno altrettanto imbarazzato.
"Questa andrà benissimo" aveva borbottato, dirigendosi verso la cucina.



26.
“Bessie, che diamine ci fai con un libro di latino in mano? Il giorno di Natale?”
“Come? Oh, questo... non so, mi era venuta voglia di darci un’occhiata...”
Tonks le aveva posto un palmo sulla fronte, tastandogliela per percepire la temperatura. “Non puoi esserti ammalata in cinque minuti” aveva constatato, seria.
“Per l’amore del cielo Tonks, smettila! Stavo solo riguardando un mio vecchio libro!” Bessie le aveva lanciato contro un cuscino. “Dora...” aveva ridacchiato poi, facendolesi più vicino “Smettila con questa pagliacciata, lo vedo che mi stai continuamente intorno... puoi chiedermi quello che vuoi. Però ti avverto, non c’è proprio nulla da sapere.”
“Oh...” aveva commentato l’altra, delusa.
“Allora” era intervenuto il signor Weasley fregandosi le mani “Molly è in cucina... mi sembra il momento più adatto per provare il mio nuovo regalo” aveva strizzato un occhio a Bessie mentre Ron si avvicinava incuriosito al juke-box.
“Come funziona papà? Qui ci sono dei puls...”
ARTHUR!!! Vuoi abbassare quel coso?!?!”
“Sì, Molly cara...” aveva sospirato lui, lanciando un’occhiataccia al figlio che aveva alzato il volume a livelli spropositati. Hermione li osservava divertita al fianco di Harry, e a quella scena si era scostata di poco indicando al ragazzo di sedersi accanto a lei a mo’ di consolazione. Ron le si era avvicinato con aria mogia mentre il padre faceva partire correttamente la macchina ed alcune canzoni babbane si diffondevano per la stanza. Bessie canticchiava.
“Senti un po’, Bessie” aveva ripreso coraggio Ron, “tu conosci queste canzoni?”
Lei è un emagus, no?” era intervenuta Hermione, guadagnandosi un’occhiataccia anche lei.
“Hermione ha ragione, Ron. Non è che le conosca a priori... ma le conosco nel momento in cui le sento, capisci? Le seguo.”
“Allora... perché non ci canti qualcosa anche tu?” le aveva domandato Harry.
“Io? Oh... veramente, non so se...” si era guardata intorno incerta, prima verso il signor Weasley, poi verso Lupin.
“Perché no, Bessie?” le aveva replicato il primo tranquillamente.
“Arthur ha ragione,” era intervenuto Lupin “non c’è problema.”
“Quale sarebbe stato il problema?” si era inserito Harry.
“Vedi Harry, dal momento che sto tenendo nascosta la mia reale identità non mi è permesso cantare, gli emagus sono pochi ed accuratamente censiti... però in fondo, qui dentro...”
“Ma sì!” Tonks si era piazzata al centro della stanza, buffamente ornata con delle piume blu e viola sul capo e infilate nella cintura “Vieni qui Betsy cara, prenditi la tua parte di vergogna e duetta con me!” l’aveva invitata lanciandole delle piume arancioni.
Bessie le aveva sorriso, trovando irresistibile l’invito, e le si era accostata esibendosi in un siparietto sinceramente comico, di strani mugolii e balletti cavernicoli. Dopo alcuni minuti, però, Tonks era tornata a sedersi lasciandola libera di cantare davvero.

Era la prima volta che Harry veniva a contatto con un emagus, quindi il colpo l’aveva investito in pieno, ficcandoglisi nello stomaco. Quella melodia, presente nel suo cuore come un calore soffuso più che negli orecchi, era di una dolcezza straordinaria e allo stesso tempo di una forza devastante; c’erano gioia e malinconia insieme, mostrate o estratte direttamente da lui. In effetti l’aveva preso un certo sgomento all’idea di esporsi troppo, di quella specie di nastro di sentimenti che li stava collegando tutti quanti... ma Bessie era quella che dava più di tutti, che donava e si esponeva con tutta la vulnerabilità di cui era capace, e questa, aveva sentito Harry, era la sua forza. Gli era sembrata bellissima. La canzone era bellissima. Complimenti Harry, bel vocabolario, si era detto.
Dopo i primi istanti era stato in grado di guardarsi intorno ed aveva potuto constatare che, chi più chi meno, erano tutti nelle medesime condizioni. Adulti, ragazzi, erano tutti quanti imbambolati. La signora Weasley li aveva raggiunti dalla cucina... dunque questo era il potere di un emagus? Celestiale come la voce di un angelo, terribile come una lama affilata! Sirius la fissava senza battere ciglio, non muoveva un solo muscolo, non aveva aperto bocca. Lupin, al suo fianco, era nella stessa posizione, le linee del volto appena più morbide.
Solo dopo qualche altro momento era stato in grado di notare gli strani segni rossi che le erano comparsi sui palmi, rotondi e piccoli, in fila: forse altri simboli, come le strisce argentate fra i capelli?
Quando la canzone era finita Harry aveva liberato un lungo sospiro, ma ci era voluto tempo prima che qualcuno tornasse in grado di parlare. Il primo a scuotersi era stato Lupin, che si era avvicinato a Bessie per sostenerla premurosamente.
“Tutto a posto, Eliza?”
“Sì Remus, grazie. Sto bene, non preoccuparti...” gli aveva sorriso lei come ringraziamento, la voce fioca. Era ancora molto, molto bella.
“Siediti Bessie, meglio che ti rilassi un momento.” aveva insistito il signor Weasley mentre Lupin l’accompagnava nel movimento, tenendola delicatamente per un braccio.
“Perchè? Ti senti male, Bessie?” le aveva chiesto Ron preoccupato. Bessie gli aveva sorriso per rassicurarlo, perché sembrava che le risultasse difficile parlare. Era stato Bill a rispondergli.
“Sta’ tranquillo Ron, Bessie è a postissimo! Solo, il potere degli emagus è tale per cui ogni volta che lo utilizzano disperdono la loro energia vitale... si tratta dei loro stessi sentimenti, del loro animo, capisci. Per questo dopo sono sempre un po’ deboli, ma fra qualche momento vedrai che si sarà ripresa completamente! E’ normale.”
Harry si era rilassato a sua volta, a quella spiegazione; aveva cercato Sirius con lo sguardo, ma nella stanza non c’era più. Allora era andato a sedersi accanto al fuoco con Hermione e Ron, che strabuzzava gli occhi come se avesse appena visto una Veela. Ginny si era unita a loro, silenziosa ma sorridente mentre si tormentava una ciocca di capelli.
Poco dopo la signora Weasley era tornata nella sala dal corridoio mentre Harry si domandava vagamente quando se ne fosse andata. Si sentiva ancora la testa un po’ confusa e morbida, come ovattata.
“Si può sapere chi di voi ha avuto la brillante idea di prendere a pugni l’armadio grande che c’è fuori?”, li aveva rimbrottati con le mani sui fianchi. “È stato sfondato!”

* * *


“Continuo ad essere dell’idea che non si tratti di un grande potere,” aveva asserito Bessie di fronte all’entusiasmo di Harry.
“Perché dici questo, Eliza?” Lupin sembrava rattristato.
“Vedi Remus, Tonks... come metamorfomagus può risultare molto più utile all’Ordine! Io invece...” aveva scrollato la testa.
“Non dire così,” era intervenuto Harry posandole una mano sul braccio con aria dispiaciuta “L’amore è l’unico potere che mi ha permesso di superare Voldemort!”
Ancora una volta, prima che Lupin parlasse, era riuscito a notare come Bessie non accennasse minimamente a rabbrividire al sentir pronunciare quel nome, come Sirius o Silente; come lui stesso.
“Sono d’accordo con Harry. Ricordi, Eliza, Silente disse che tu eri uno dei tre anelli della catena.”
“Anelli... della catena?” aveva chiesto Hermione, avvicinandosi per ascoltare a sua volta; nello spostarsi per farle posto Harry si era accorto del ritorno di Sirius, che pareva sempre più fosco.
“Sì, quelli che mantengono unito l’Ordine. Non si tratta della bravura dei singoli elementi qui, non è così semplice... è importante che anche all’interno funzioni.”
“Quindi quali sarebbero?” aveva chiesto lui.
“Il primo è ovviamente Silente, per la fiducia che tutti ripongono in lui e la lealtà nei suoi confronti, che è indissolubile. Lui non è il più grande mago vivente solo per una mera questione di tecnica...”
“E’ proprio vero! Silente è... magnifico!” aveva asserito Hermione, convinta.
“Poi c’è Eliza.” Si era fermato per guardarla con affetto, e lei gli aveva rivolto un sorriso radioso. “Per via dei rapporti che riesce a creare e mantenere naturalmente. Il suo essere un Emagus le permette di porsi in sintonia con il sentire altrui, ma con il suo modo di essere poi riesce a rinsaldare l’affetto in modo altrettanto spontaneo e... consistente.”
“Capisco,” aveva riflettuto Harry. “Beh, è vero d’altronde,” aveva commentato facendola arrossire. “Riesce a creare un clima che in sua assenza non esiste. Dunque il terzo...?” si era guardato intorno: forse il signor Weasley per via del suo incarico al Ministero? Oppure Lupin, per la pazienza?
“Il terzo sei tu, Harry.”
“Come?”
“Sì, sei tu, perché tutto l’Ordine darebbe la vita per salvarti.”


* * *



“Bessie!” era esplosa Tonks “Tutta questa storia degli anelli mi ha ricordato i tuoi tre cerchi dell’amore!”
“I cerchi... dell’amore?” aveva balbettato Ron. Bessie aveva lanciato un’occhiataccia all’amica dalla lingua lunga, ma subito dopo si era rivolta a Ron con gentilezza.
“Beh, sì... io dicevo sempre di avere tre cerchi in cui racchiudere le persone cui tenevo... era una specie di gioco...”
“Davvero? E come sono?” era tornato a domandare lui, interessato. Lupin si era scostato di poco per poterla vedere in viso.
“Il primo cerchio è quello più ampio... ci sono genericamente le persone con cui ho qualcosa in comune... vecchi compagni di scuola, membri dell’Ordine... le persone cui sono affezionata insomma.”
“E poi?”
“E poi c’è il secondo, e qui ci sono le persone cui voglio bene... gli amici... ci siete voi, ragazzi, c’è Molly e c’è Arthur e c’è Alastor e... oh, insomma, un po’ di persone che forse potete intuire anche da soli!”
“Infine il terzo.”
“Infine il terzo,” aveva ribadito lei con una pausa a seguire. “Quello... non è mai cambiato, in realtà, perché ne fanno parte le persone per cui darei la vita senza nemmeno chiedermelo.”
“Oh...” aveva mormorato Harry.
“Voi... beh, ragazzi, vi conosco poco. Per Harry di sicuro darei la vita, è la missione che ho scelto, e anche se uno di voi si trovasse in pericolo non esiterei...” si era affrettata ad aggiungere “Però... è qualcosa di diverso, con loro: è una consapevolezza continua che mi ha sempre accompagnata. In questo cerchio stanno Silente, i tuoi genitori Harry, e poi Remus e Dora e Sirius. Ho sempre saputo che sarei morta piuttosto di veder morire loro,” aveva concluso con un sorriso sincero.
“Ma davvero...” Ron pareva profondamente colpito “ti sacrificheresti senza pensarci un attimo, per uno di lor--”
Era stato intercettato da una gomitata di Hermione che l’aveva fatto diventare scarlatto. “Ah già... scusami...”
Bessie gli aveva sorriso con indulgenza. Harry si era voltato a cercare Sirius.




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Capitolo 16
*** Natale, 16. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Natale, 16.


27.
Bessie era nella sua stanza, ed era uscita sul balconcino per respirare l’aria notturna, fredda e pungente come aveva letto tante volte nei libri. Forse l’avrebbe risvegliata. Una seconda volta. Forse in realtà non l’aveva mai fatto davvero.
Si era avvolta uno scialle attorno alle spalle per non tremare, poi si era scoperta ancora una volta la piccola cicatrice che le era rimasta sul braccio e che aveva ricordato a Sirius poco tempo prima.

È soltanto un graffio, è di tanti anni fa ma lo sento anche adesso. Tutto quello che c’è stato fra di noi, Sirius, io lo sento al di là del tempo.
So che non è sopravvissuto, e forse mi sto solo girando intorno, guardando addosso. Ma fai parte di me, anche se cercassi di non amarti più. Continuo a stare in piedi, anche vedendoti correre, vedendoti gridare, e cadere dentro di me. Sarai qui, quando avrò perso tutto quanto? Mi mancherai anche quando avrò scordato tutto il resto?


Bessie viene trascinata da James lungo i corridoi di Hogwarts, una mano del ragazzo è ben posata sopra il viso di lei. “Non stai sbirciando, vero Bessie?”
“No James, no” replica lei spazientita. “Manca ancora molto?”
“Ci siamo quasi,” sorride lui senza che Bessie se ne possa accorgere. La guida attraverso passaggi e schivando persone, e lei si lascia guidare. La porta nella sala comune e controlla che lei non ci veda e le fa salire le scale, e lei inciampa in un gradino e allora lui l’afferra e la tiene più saldamente perchè non si faccia del male.
“Sirius mi ucciderebbe!” ride, come se fosse solo per questo che fa attenzione. “Non stai guardando, vero?” le domanda di nuovo, impaziente come un cucciolotto.
“James, per l’amor del cielo!!!”
La conduce nel dormitorio dei ragazzi, le lascia liberi gli occhi. Bessie li strizza un poco, per riabituarsi alla luce. Davanti a lei c’è Sirius, con una macchina... con la macchina: quella che lei stava cercando disperatamente di portare a termine per diffondere le bolle della formula perfezionata da Lily. La macchina è in funzione, la stanza si riempie di riflessi del sole, i mobili, gli specchi, tutto riluce. Bessie si porta le mani alla bocca. È talmente sopraffatta che la cosa più sensata che riesce a pensare è che James avrebbe anche potuto evitare di farle chiudere gli occhi due ore prima di arrivare al dormitorio.
Sirius ride. James ride. A Bessie viene da piangere.

Questo è un non-tempo, e ci siamo dentro solo noi. Esausti e invincibili, forse già in frantumi senza rendercene conto. Stiamo qui dentro, a dondolare su e giù come se non ci fosse un domani, non ci fosse la morte, come se non riconoscessimo quello che c’è.
Questa notte ho bisogno di ringraziarti per le volte in cui mi hai tenuto, anche se ora non ho più armi o carezze che possano esserti utili. Mi manca la tua schiena, ma ho scelto di non piangere.


Sirius fa la scale due a due, piomba nel dormitorio delle ragazze senza bussare, è entusiasta dopo le vacanze di Natale perché non vede Bessie da troppo tempo. O perché l’allenamento di Quidditch è andato particolarmente bene. O perché Piton è nei guai. Non si preoccupa nemmeno di appoggiare la giacca da qualche parte, la toglie e la lascia lì, per terra. Si piazza davanti a Bessie che sta leggendo seduta sul letto, ripassava con Lily che storce il naso. Guarda solo lei, vede solo lei; le sorride, e a Bessie sembra che il mondo si apra.
Un altro giorno, un altro momento. Sirius alza la voce, Bessie gli risponde; Sirius diventa aggressivo, le grida contro qualcosa di sgarbato indicando un ragazzo del settimo anno, le afferra un polso con forza. Poi arretra di un passo, spaventato da se stesso più di quanto lo sia lei. Lupin li raggiunge, cerca di calmare le acque, allora Sirius si allontana. Molla un pugno all’anta dell’armadio, sfondandola.

Porto con me talmente poche certezze che non è una consolazione rivederti. Sapere che potrei toccarti di nuovo, ora che non lo faccio, mi sembra che consumi più in fretta il tempo che ho a disposizione. Non smette di avanzare, non smette di consumarsi, anche in un giorno qualunque. E c’è sempre qualcosa che mi manca.
Sei solo di passaggio, Sirius?


Sirius e Bessie sono soli, e non sono mai stati così soli. Si guardano negli occhi, sono vicini, si cercano. La mano di Sirius s’intrufola impaziente tra i vestiti di lei, con ansia e voluttà, e Bessie scoppia a ridere. È nervosa, è la prima volta che sono soli, è la prima volta che tiene così disperatamente a qualcuno, e ride.
“Mi fai il solletico”, dice. Sirius la guarda sbalordito.

Tutte quelle barricate, sono diventate ruggine? Tutta quella gioia.

Sirius appoggia bene la testa a terra e si solleva sulle braccia, le gambe in aria a mantenersi in equilibrio. Bessie riesce a vedere i confini di ogni muscolo del suo torace sotto sforzo, gli addominali che resistono come durante i suoi estenuanti allenamenti di pugilato. Tutte le ragazze che ammiravano il suo corpo sarebbero sorprese di scoprire quanta rabbia gli è costato. Quanta forza nel senso più umano della parola.
Si siede a terra, le ginocchia incrociate come una specie di bambolina rotta. Inclina il capo cercando di guardarlo negli occhi, l’osserva incuriosita.
“Qual è la strada più breve per arrivare alla Testa di Porco, Sirius?”
Lui strabuzza gli occhi per mezzo secondo; poi una risata, una specie di latrato caldo ha la meglio e allora i muscoli rigidi si afflosciano di colpo e lui evita una testata fenomenale solo grazie alle braccia. “Vivi qui da quando sei nata,” protesta. “Come Cristo fai a sembrare tutto il tempo così irreparabilmente straniera?”
Lei rimane ad osservarlo mentre lui si dedica alle flessioni. Vorrebbe toccarlo, tanto per controllare che ci sia. A volte ha questo dubbio. Anche quando si abbracciano, pensa Bessie, si cercano ogni volta con quel costante timore di non trovarsi.
Forse dovrebbe morderlo.
“Non hai niente di meglio da fare?” domanda lui con il sudore che gli gocciola lungo il naso. Lei gli lancia una lunga occhiata soddisfatta che lo percorre da capo a piedi, soffermandosi più a lungo sulle spalle e sui capelli che spiovono appiccicandosi alla fronte.
“Meglio di questo?” obietta come se parlasse a qualcuno che scherza, e appoggia il mento alle ginocchia sollevate. Lui scuote la testa.
Pochi minuti più tardi Sirius è seduto a terra, divarica le gambe e alza le braccia dietro la testa. Inspira ed espira profondamente una, due, tre volte, poi si allunga a toccare prima un piede e poi l’altro. Bessie, senza preavviso, gli afferra entrambi i polsi costringendolo a terra.
“Devo lavorare più tardi, lo sai,” sospira lui precedendola.
“Conosco svariati modi per trattenerti.”
Sirius non riesce a reprimere un sorriso. Vorrebbe passarsi una mano sulla fronte, ed è incredibile come lei riesca ad intuire ed anticipare il suo movimento tergendogliela con due dita. “Per questo ti sto chiedendo clemenza,” prova. Lei non molla la presa, concentrata come un ninja alle prime armi.
“O me o l’orologio, Sirius,” è il suo ultimatum.

Dove siamo, Sirius?
Cosa diavolo sta succedendo?
È perché è già successo, è qualcosa che sta per succedere?
Il nostro inizio, nonostante le sofferenze, è stato meraviglioso. Adesso sono qui a desiderarti con tutta la forza che porto nel cuore, con tutta la notte che porto nel cuore. Sono qui a volerti con ogni confessione profonda, con tutte le unghie, così tanto che mi spaventa.
Scapperai di nuovo, Sirius, o è qualcosa che semplicemente deve succedere?
Ai miei piedi ha iniziato a raggrupparsi la polvere, come vecchi momenti felici. Sulle mie braccia hanno iniziato a formarsi delle macchie come vecchi momenti di pianto.
Quegli anni... erano qui un momento fa.
Le parole escono sconclusionate dalla tua bocca, come emozioni scomposte... diventano lividi sulla mia pelle, ma non me ne andrò per difendermi da te. Scusa se ho insistito così tanto, devo essere stata difficile da sopportare. Scusa se qualche volta ho riso per nascondere l’imbarazzo, ma non è stato facile per me. Continuerò a fingere. Non so se valgo ancora qualcosa, sento solo il mio cuore contorcersi.
Cos’è tutto questo, hai deciso tu ancora una volta di cosa abbiamo bisogno? Sirius, dovrei crederti?
T’importa?
Eppure, anche questa
è ancora
la mia vita.


La notte pungeva ancora come un ago quando Bessie si era riscossa dai suoi pensieri. Sirius era uscito nel balcone di fianco al suo, quello della sua stanza. L’aveva guardata a lungo, costante sofferenza nei suoi occhi di buio.
“Ti ho disturbata?”
“No,” aveva sorriso lei.
“Oggi... è stato bello sentirti.”
Bessie aveva sorriso di nuovo.
“Stavi, fa -- male?” aveva concluso lui, zoppicante, ed aveva indicato il graffio che poco prima lei si era scoperta. Bessie si era affrettata a lasciar scivolare giù la manica per celarlo di nuovo, ed era rabbrividita appena, rendendosi conto solo in quel momento che la sua mano era gelida.
“Non fa male. Mi serve.
“Io... davvero, mi sembra di averti disturbata. Sarà -- sarà meglio che torni dentro...”
“Sirius.” Bessie non aveva smesso un attimo di sorridere, come se fosse stata lontana, a diecimila miglia da lì “Non ti mettere scrupoli di questo tipo, quelli sono esclusiva mia, lo sai.” Era spuntata una nota serafica nel suo tono, e Sirius si era voltato a guardarle gli occhi.
“Beh,” aveva sorriso inizialmente, pronto a risponderle sullo stesso tono; di colpo però si era fatto cupo. “Aspetta... che significa, Elizabeth? Tu hai -- in tutto questo tempo... hai sempre avuto paura di disturbarmi?”
Bessie aveva continuato a sorridere come se nulla la potesse toccare davvero. Lui si era sentito profondamente angosciato, sull’orlo di un dirupo di cui non poteva vedere la fine; la sua voce aveva preso un’autentica sfumatura d’urgenza.
“No, non è così!!! Sbagli! Non... Elizabeth, tu... anche oggi--”
“Oh, lascia stare oggi. Mi dispiace. Non so a cosa stavo pensando.”
“Elizabeth, no, Cristo santo! Tu non devi... non devi--” si era impigliato fra le parole, ed il sorriso fatalista di Bessie aveva aumentato la sua agitazione. Non la smetteva di stare lontana, e forse lo spazio fra di loro non gli sarebbe bastato per esprimersi. D’improvviso, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo, Sirius aveva scavalcato la ringhiera ed era saltato verso l’altro balcone, quasi scivolando mentre Bessie lo fissava inorridita, urlandogli di fare attenzione.
“Tu sei pazzo!”, l’aveva sgridato non appena aveva posato i piedi in salvo; ma Sirius non la sentiva, del tutto compreso nel discorso che aveva iniziato. Le aveva preso il volto fra le mani come in quella notte di tanti anni e tante lacrime prima. L’aveva guardata, lo sguardo acceso di paura e tenerezza. Le mani gli si erano impigliate con dolcezza fra i suoi capelli, il respiro con quello di lei.
“Tu non devi...” aveva proseguito “...fraintendere i miei sentimenti!”
L’istante dopo avevano valicato il tempo. Avevano valicato i confini del dolore e dei dubbi e del passato che pesava sulle loro spalle come un macigno. Sirius l’aveva baciata, stringendola fra le braccia come se non avesse voluto lasciarla andare mai più.
Forse, quella notte aveva smesso di ferire.






“Baby I've been here before
I've seen this room and I've walked this floor
I used to live alone before I knew you.
I've seen your flag on the marble arch
But love is not a victory march
It's a cold and it's a broken hallelujah…”


Jeff Buckley – Hallelujah



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Capitolo 17
*** Natale, 17. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



eccomi di ritorno, mentre fuori minaccia un temporale coi fiocchi! non ho scritto nulla per lo scorso capitolo, perché non mi sembrava fosse il caso di rischiare di distruggere l'atmosfera... soprattutto spero di non aver deluso le aspettative, per come l'ho descritto: era un momento importante e in fondo so che tutti tendiamo a vivere queste cose come nostre e a 'pretenderle' come le vorremmo noi...
In ogni caso vi ringrazio di nuovo per la costanza, che mi permette di esserlo a mia volta!





Natale, 17.


28.
Harry, ancora assonnato, aveva raggiunto la cucina dove gran parte della famiglia Weasley ed ospiti stavano già facendo colazione: inizialmente non aveva notato l'aria frizzante, o se l'aveva fatto l'aveva probabilmente attribuita ad ulteriori strascichi natalizi. Dopo alcuni minuti ed abbondanti cucchiaiate di caffelatte però, non aveva potuto fare a meno di cogliere alcuni sguardi complici che le ragazze parevano scambiarsi tra di loro. La signora Weasley aveva preso a commentare un fatto che evidentemente doveva aver già ripetutamente e minuziosamente spiegato, visti gli sbuffi di Fred e George.
"Ma sì, dev'essersi alzata prestissimo stamane, la cara Bessie" il cambiamento di tono era avvenuto mentre fissava insistentemente Sirius "Sono ore che se ne sta di là al pianoforte, canta senza sosta... mi sono svegliata sentendola, e quando poi sono scesa ho anche provato ad entrare per chiederle se le servisse qualcosa... ma non se n’è nemmeno accorta! Stava lì e cantava con le lacrime che le rigavano le guance ed un’aria beata che credo di non averle visto da quando -- beh,” aveva concluso improvvisamente, lanciando un’occhiata eloquente in direzione di Sirius. Ginny aveva ridacchiato" aveva concluso improvvisamente, lanciando un'occhiata eloquente in direzione di Sirius. Ginny aveva ridacchiato.
Anche il signor Weasley pareva imburrare la sua fetta di pane con l'aria più soddisfatta del solito: per la prima volta non era immerso in complicate discussioni lavorative con Bill ma seguiva pazientemente le spiegazioni della moglie. "Così hai lasciato che proseguisse, cara?"
"Oh sì," aveva risposto energicamente lei, controllando con insistenza le reazioni di Sirius che pareva trovare ostinatamente interessante la sua tazza di caffelatte e non aveva alzato gli occhi nemmeno per un secondo. "Però, insomma... ormai è un bel pezzo, sono preoccupata... avrà bisogno di nutrirsi, povera cara -- dovrebbe mangiare. Non trovi che dovrebbe mangiare, Tonks?"
"Sicuro, Molly! Bisognerebbe fare qualcosa..." aveva ribattuto lei, cercando di non soffocarsi tra una risata e la sua fetta di pane; Lupin aveva prodotto uno strano suono con la lingua; le aveva pestato un piede sotto il tavolo per farla tacere, ma non aveva ottenuto altro risultato che farle aumentare i decibel: “Ahi, Remus, mi hai fatto male! Dio santo, che ti prende?! Non mi posso nemmeno più preoccupare per la mia amica, ora? Dovresti esserlo anche tu, non capisco perché qui non ci si preoccupi,” aveva proseguito battendo ripetutamente la forchetta sul tavolo, coadiuvata da energici cenni d’assenso della signora Weasley mentre Hermione e Ginny nascondevano la faccia sotto il tavolo e Bill scuoteva la testa indulgentemente. “Non trovi anche tu che dovrebbe smettere, ora? Lo sai che disperde energie, avrà proprio bisogno di mang--”
"ARGH, e va bene!" Sirius, cercando disperatamente di celare la sua esasperazione e di apparire il più noncurante possibile, aveva ceduto e si era alzato appoggiando pesantemente i palmi sul tavolo. Subito nella stanza era piombato il silenzio: un numero considerevole di occhi si era puntato proprio su di lui, cosa che non aveva fatto che aumentare la sua confusione. Harry iniziava vagamente a capire, mentre lui si avviava con pretesa nonchalance verso la stanza in cui si trovava Bessie, borbottando “Penso -- qualcuno dovrebbe chiamarla, no?"
Non era riuscito a portare avanti la recita, perché improvvisamente tutti coloro che si trovavano nella stanza erano esplosi in un coro di grida festose ed esultanza, condite da una grossa quantità di fischi dei gemelli. Sirius si era bloccato, voltandosi verso di loro con un'espressione misto tra l'esasperato ed il perplesso; il rimprovero che avrebbe voluto esprimere tuttavia non aveva saputo celare un certo sottofondo di gioia, e Tonks era balzata giù dalla sedia e gli aveva buttato le braccia al collo, aggrappandosi a lui anche con le gambe. "Dio santo, sono così felice, così felice, Sirius!!!"
Sirius, con quell'ingombrante fagotto tra le braccia, aveva cercato soccorso da Lupin che però, in un sorriso che gli percorreva il volto meglio che le sue cicatrici, pareva non avere nessuna intenzione di rivelarsi di una qualche utilità al riguardo.

L'aveva raggiunta mentre lei ancora suonava senza percepire il trascorrere del tempo, e chiamandola con dolcezza l'aveva baciata sulle labbra.
"Ti stanno aspettando tutti per la colazione, Elizabeth..." la sua voce aveva una sfumatura che Bessie non gli sentiva da anni. "E a dirla tutta mi hanno quasi fatto impazzire, riempendomi di sottintesi... direi che il tuo concertino li ha messi sulla buona strada!" aveva concluso con ironia.
"Oh, miseria Sirius! Scusami..." Bessie aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata. "Per causa mia l'hanno scoperto tutti..."
Lui aveva tossicchiato. “Non è che volessi tenerlo nascosto. Sono nostri amici. È solo che -- beh, sai. Siamo noi. Ma è -- tu volevi nasconderglielo?”
Lei aveva sgranato gli occhi per lo stupore. “Io pensavo fossi tu!”
Sirius aveva sorriso debolmente. “Merda,” aveva sussurrato. Sembrava nervoso, cercava di arrotolarsi le maniche della camicia e le dita gli erano rimaste impigliate nell’asola di un bottone. “Miseriaccia.”
Si era legato i capelli in una specie di nodo e Bessie si era sentita una perfetta idiota che ammirava ogni suo movimento trovandolo bello da impazzire, da scioglierti lo stomaco e farlo colare come un uovo sbattuto lungo le ginocchia e fino ad arrivare ai piedi.
“Credevo avessi delle riserve su di noi,” aveva specificato. “Non ti creerà problemi, Sirius?”
Gli aveva scrutato gli occhi ansiosa. Sirius aveva assunto di botto un’espressione grave, esattamente ciò che lei intendeva.
“Elizabeth... sai che non sarà semplice, vero?”
Bessie aveva sorriso. Lo sapeva.
“Mi sento come--”, aveva provato. Sirius aveva i capelli che gli scappavano da tutte le parti e la sua camicia era spiegazzata e Bessie non riusciva a capire come questo potesse renderlo così maledettamente attraente. Aveva le spalle larghe, e lei aveva pensato che avrebbe potuto anche caderci addosso senza timore che qualcosa si sfondasse.
Aveva ripensato alla notte in cui avevano discusso per ore delle stelle che non possono soffrire di vertigini perché non hanno il senso delle proporzioni, e questo era anche un po’ triste perché ti perdevi certe cose preziose quando sono piccole o grandi e poi non ti ci puoi affezionare, e avrebbe potuto parlargliene ora e lui si sarebbe passato nervosamente una mano tra i capelli rimanendoci incastrato con le dita perché erano legati, e li avrebbe scompigliati ancora di più ed entrambi avrebbero saputo che non stavano davero parlando del senso delle proporzioni delle stelle.
“Mi sento come--”, aveva riprovato. Sirius però si era chinato su di lei con urgenza, in un bacio forte anche se non violento. C’era qualcosa di enormemente diverso tra forte e violento, aveva pensato Bessie, e la differenza era perfettamente intuibile in Sirius Black.
I capelli di lui erano andati ad incastrarsi sul gancio del ciondolo che lei portava al collo, e Sirius aveva imprecato staccandosi di colpo. “Cristo,” aveva ansimato; gli occhi, però, erano rimasti fissi su di lei. Bessie gli aveva osservato le braccia, coi muscoli gonfi ed una vena che pulsava percorrendoli appena sotto la pelle. “Ah,” aveva aggiunto Sirius massaggiandosi la testa nel punto dello strattone. Bessie aveva pensato che lui stava combattendo: in quel momento, lì con lei. Sapeva che le stava parlando, che anche il modo che aveva di stare in piedi le diceva delle cose: aveva posato la sigaretta sul posacenere del tavolino per andare a baciarla e quello era un lato della questione, però le sue braccia erano forti e in tensione e quello era un altro lato. Sta facendo quello che può, aveva pensato Bessie. O quello che sente. Sirius aveva sempre fatto ciò che sentiva, per questo stare con lui era una specie di lotta continua, oltre all’amore; era denti contro denti oltre a labbra su labbra, era una specie di “a chi batte più forte i pugni sul petto dell’altro e poi lo abbraccia”. Bessie aveva pensato che se si fossero abbracciati in quell’istante sarebbe stata una specie di morsa, avrebbe fatto male. Farà male.
L’aveva osservato, e nonostante i capelli lunghi e quel nervo teso sugli avambracci e la barba e la sigaretta che si stava consumando in solitudine alle sue spalle Sirius aveva l’aspetto così giovane, molto più giovane di come ricordava di averlo mai visto a Hogwarts. Le aveva sorriso sinceramente.

Erano tornati in cucina senza annunci di sorta, Bessie si era scusata per il ritardo e, nonostante l'aria di pura gioia, completamente priva di ombre che Harry non le aveva mai visto, aveva preso posto accanto a Remus con tranquillità. Entrambi avevano cercato di dissimulare per un po', ma ad un certo punto, passandosi lo zucchero, si erano guardati con tale dolcezza ed intensità che Tonks non aveva retto ed era comicamente scoppiata in lacrime, con squittii di gioia che avevano scatenato l'ilarità di Ron e di Fred e George.
Bessie era corsa ad abbracciarla mentre lei ripeteva in falsetto, tra le lacrime: "Grazie al cielo! Grazie al cielo!"




29.
Regalo di Natale di Sirius per Bessie: due lettere.


1- From Sirius to James


Ehilà Rametto
Mia Indiscreta Ciabatta,
come te la passi? Forse sarebbe più corretto domandarti come te la spassi, dato che evidentemente trascorri il tuo tempo libero a giocare a maritino & mogliettina! Che cosa disgustosa! Mancano solo le pentoline e poi potete sposarvi davvero! Sai, mi sono fatto la pipì nelle mutande per l’emozione, al pensiero che Lily Evans vada d’amore e d’accordo con tua madre. Davvero, che notizia mi hai dato! Per sfogarmi (oltre a bagnarmi come sopra descritto) non ho potuto fare a meno di mandare una foto di me nudo e sexy al celebre Mocciosus. Dici che anche lui si sarà fatto qualcosa nei pantaloni?
L’altro sacco di pulci, che mi ha scritto proprio ieri, ti manda a dire che io gli manco molto. Sta diventando mordace il ragazzetto, che abbia frequentato cattive compagnie negli ultimi sette anni? Forse dovremmo mettere davvero il guinzaglio al nostro dolce e sensibile Lunatico, come suggeriva Peter… anche se comunque pure a lui un calzino in bocca non sta mai male! Ma insomma sono i nostri amici, giusto? Quindi ci tocca tenerceli fino alla morte, anche se noi due siamo chiaramente gli unici ragionevoli del gruppo!
Non vedo l’ora di passare da te, vecchia mutanda! Ho bisogno di qualcuno da mordere selvaggiamente (ecco, forse in questo caso il vecchia mutanda non era così appropriato), so che Evans non è tipo da farsi problemi per uno sfregio o due sul tuo viso… in fondo guardandoti è addirittura ovvio che non possa averti scelto per l’aspetto fisico, anche se in questo caso non vedo esattamente per cosa diavolo possa averti scelto.
Oh, no. Non farlo. Non lo dire. Odio i ragazzi volgari, lo sai.
Elizabeth… lei è un piccolo genio della lotta, ma quando sto con lei ho sempre paura di farle del male, è talmente innocente ed io maldestro, è sempre così dannatamente fragile in fondo! Lo sai, non sto parlando solo di botte o sbucciature.
Chissà se sono in grado di prendermi cura di lei, chissà se sarò in grado di proteggerla da me stesso… è una specie di bambola di porcellana quando sta con me, e tutti gli incantesimi e le abilità e le battute non servono a nulla quando guardi negli occhi una ragazza così limpida e fiduciosa e sai che potresti calpestarla senza accorgertene… oh, sono mostruoso, James! In casa della mia famiglia camminavo sugli spilli più che se fossimo stati nel bel mezzo di una battaglia cruenta in cui io perdevo un occhio e Lunastorta declamava il mio eroismo immolandosi nel leale tentativo di consegnarmi ai posteri. Mi ha accompagnato anche lei, l’ ha voluto a tutti i costi ed io non sono più riuscito ad insistere, anche se avrei preferito di no. Tu lo saprai già da Lily, ovviamente. Ma come puoi dire alla tua ragazza… come posso spiegarle quello che è la mia famiglia, quello che loro pensano e quello che io penso di loro?
In ogni caso Elizabeth non è un’esaltata come me, ma sai anche tu quanto caos possa produrre involontariamente, perché è pasticciona o perché è semplicemente spontanea.
Il fatto è che lei ci teneva a fare una bella impressione su di loro (a me ovviamente immaginerai che importava quanto a un mulino a vento di un pollo, anzi più ci sta lontana e più mi sento tranquillo!), così abbiamo trascorso il viaggio d’andata a ripassare i fondamentali divieti: parlare a voce alta, correre per i corridoi, mostrarsi stupita per tutto quello che vedeva…
Poi siamo arrivati ed ovviamente la prima cosa che ha fatto è stata offrire il suo aiuto ad una cameriera che aveva un braccio fasciato: come puoi prevedere certe cose? E anche a poterlo fare, James, so benissimo che tu non la fermeresti mai. Lasciamelo dire, quella ragazza è stupenda quanto il tuo terrificante rutto… anche se forse non apprezzerebbe il paragone. Stupide donne!
Comunque la Mater ovviamente era scandalizzata, io conoscendola ho tentato di fermarla ed infatti avrei dovuto: mezzo secondo dopo ha rovesciato il vassoio del tè addosso a lei. Questo credo non l’abbia scritto, nella sua lettera a Lily Evans.
Mi sono trattenuto dallo scoppiare soltanto perché mia madre era livida e lei assolutamente mortificata. Oh, è stato FAVOLOSO!
La parte curiosa è che non è stata così un disastro, Regulus dice che è carina e mia madre, anche se non lo ammetterà mai, è rimasta colpita da come ha reagito senza scappare in lacrime come si sarebbe aspettata da una ragazzina.
Bah, com’è che ti scrivo così tanto, Rametto? Starò quasi diventando una persona seria?
E non ficcarti quel dito sudicio nel naso per la perplessità, James! Era una battuta, uno schifo di bat-tu-ta!!!
Se la carta puzza, è perché è della mia famiglia.
Se tu puzzi, invece, quello non è proprio colpa mia (per una volta).
Manca poco. Vedi di non metterti nei guai finché sei da solo, non ti perdonerei mai di essermelo perso.
Con amore ARDENTE,

il tuo Felpato Porridge.




2 - Da James a Sirius


Mi spiace dirtelo, Sudicio Porco Pulcioso,
ma la carta puzzava proprio inequivocabilmente di cane con la diarrea vocale! Ne hai mai sentito parlare? Si tratta di una razza più unica che rara – fortunatamente.
(Caro Felpato, come sta? Sono Ramoso, il suo educato compagno. Che gioia sentirLa!)
La tua lettera mi è arrivata durante la colazione, e sarai felice di sapere che mi sono ustionato parti inimmaginabili con il latte nel tentativo di frenare le risate bevendone un sorso. Povera Bes! (Avrei dato tutte le mie sostanze per stare lì a vedere e NON fermarla) Lily invece ha cercato di affettarsi un dito insieme alla mela, così saremmo potuti essere una bella coppietta di automutilati, e magari con tua somma gioia non avremmo nemmeno potuto cucinare. Non che io lo faccia. Non so nemmeno distinguere un manico dal fuoco… beh, forse proprio un manico sì…
Ah, ti sto aspettando, moscerino purosangue. Datti una mossa. È uno schifo non mettersi nei guai per tutto questo tempo, e sapere che se anche lo farai troverai una Guaritrice dietro l’angolo, pronta ad alleviarti ogni minimo dolore. Mi fa sentire una, brrr… brav… ecco, mi si è rotta la piuma nel tentativo, porca miseria! È stata una piuma eroica. Ed io non sono una brava persona.
Remus scrive che gli manco. Sporco doppiogiochista, la prossima volta che gli presto il giubbotto lo imbottisco d’argento, ecco la fine del lupo mannaro. Ha detto che farà un salto qui la settimana prossima, ti va di goderti il miracolo? Tu e Bessie pensate di farcela ad esserci? Non so dove vi metterò, ma pavimenti ce ne sono in abbondanza!
Ringraziami, ti fornirò l’occasione per sentirti un piccolo eroe nel farle da materasso morbido e toglierti dalla testa e dal muso quella paranoia da sfigato!
Fatti forza. Un giorno avrò delle pentole.
Baci, Focosi baci,


R JP (tuo) – tutto tuo
(interamente, fisicamente, maniacalmente TUO)






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Capitolo 18
*** Fotografie, 18. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Fotografie , 18.


30.
Bessie si era svegliata urlando. Un urlo, perché un urlo? Non era stata lei, chi aveva gridato? Intorno tutto era buio: doveva concentrarsi, capire... cos'aveva appena visto? Un flash, una luce verde abbagliante e poi quel grido di dolore. Era il suo. Era il suo, per cosa, per chi? Non avevano attaccato lei, per una volta non aveva rivissuto il suo attacco, aveva visto qualcosa.
Poi, improvvisa come il risveglio, una fitta atroce. Lì, localizzata in quel solito, dannato posto... al centro della testa come un tentativo di renderla pazza, la sua cicatrice.
Un momento, io non ho una cicatrice sulla fronte.

Harry.

E allora era da lui, lui stava a chilometri di distanza e tuttavia prima di rendersene conto lei era lì, nella sua stanza e lo fissava svegliarsi dolorante a causa di quello che lei gli aveva appena proiettato nella testa.
Mi dispiace Harry, scusami. È stata colpa mia.
Cos'ho visto, cos'è che ho appena visto? Perché l'ho fatto vedere anche a lui senza rendermene conto?
"Bessie... era...?"
"Io... posso percepire -- insomma, c'è la mia pietra con tutti i ricordi, e -- beh, così è come se ci fosse la sua essenza dentro di me, no? E rimane un collegamento... così vivo quei momenti al suo interno."
"Ma allora può essere ancora... vivo?"
Chi, Harry? Cosa dici? Di chi stiamo parlando, di tuo padre? Forse di tuo padre.
Aveva scosso la testa, desolata. "Mi dispiace"

E poi Bessie si era svegliata davvero.

* * *


Fotografia 31: Sirius e Bessie si stanno fissando.

"Vattene di qui, Elizabeth." Sirius si tiene la testa fra le mani, i capelli gli vanno davanti agli occhi.
"Perché, Sirius? Di cosa stai parlando?” Cosa vuoi fare da solo?
Intorno è buio, è stretto come se fossero appostati da qualche parte. Sirius spia poco distante la figura sfacciata di Bellatrix, stanno per dare il via ad un attacco. E lei non capisce che lui deve stare solo, che lui è solo.
"Non è sicuro."
"Non lo è mai stato.” Non lo è mai stato, Sirius. “Qual è ora la differenza?" Ho scelto io di restare al tuo fianco.
“No.” Tu non capisci. Come potresti? "Io non sono sicuro. Quando ci sono io succedono sempre cose terribili, e non le posso controllare. Guarda... quello che ti ho sempre fatto. C’è Bellatrix, lo sai -- Sai cosa significa! Non voglio che tu mi stia vicino per quello che sta per succedere."
"Non -- aspetta! Non farmi questo, Sirius." E' una scelta mia. "Guarda... guarda gli altri! Siamo una squadra, siamo uniti! È questo che fa di noi l’Ordine della Fenice.” Non essere stupido.
Vattene Elizabeth, ti prego. Vattene. Non rendere tutto più difficile. "Non voglio una squadra."
"Beh, forse la voglio io” dice, e il tono così pacato è esattamente quello che Sirius intendeva per rendere tutto più difficile. “Forse io ho bisogno di te! Maledizione Sirius, per gli altri è tutto così semplice... perché tu -- riesci a gettarmi in un angolo di tanto in tanto come se t’impicciasse la mia sola presenza? Mi stai lasciando, è questo che fai?” Cazzo. “Mi lasci semplicemente in disparte?” Non voglio. “Perché lo fai Sirius, perché mi allontani?"
Sirius esita, le labbra ad annaspare alla ricerca delle parole. Cristo, Elizabeth. Non la guarda in faccia.
"Forse perché ti amo."

* * *


Fotografia 32: Un San Valentino a Hogwarts.

Sirius cerca vanamente di attraversare un corridoio. Finisce per appoggiarsi a qualunque forma più o meno regolare sporga dalle pareti -quadri o corrimani o teste- non sempre restandone illeso.
“Oh, Dio” mormora sconfortato. “È terribile.”
“Non dire così,” lo rimprovera Lupin, prendendolo per il gomito e cercando di tirarlo avanti.
"Come puoi... come puoi non capire, stupido Lunatico? Come puoi essere tanto insensibile al dolore, tanto... aargck!" Un rantolo, e finisce per poggiare la fronte contro il freddo metallo di un elmo. "Credo di avere la febbre. Forse sto morendo. E' così? Morirò e James non sarà con me per tenermi la mano?"
"Mi spezzerai il cuore così, Sirius,” borbotta pazientemente Lupin riprendendo a trascinarlo.
"Questo è impossibile. Tu non hai un cuore."
Lupin sospira di nuovo.
“GNAUGH,” tenta l’altro.
“Non fare il cane. Senti, perché non hai un appuntamento? Proprio tu non dovresti aver avuto problemi di questo tipo. Avresti dovuto uscire con una ragazza carina, distrarti..."
"Remus! Come puoi -- dirmi questo?" spalanca la bocca, scandalizzato "Va bene Peter, lui è un innocente bambolotto e si sta godendo il suo appuntamento e alla fine verrà incriminato per aver ucciso una ragazza di noia, ma -- tu! James Potter è morto per noi, capito? Morto. Era il nostro migliore amico e non tornerà mai più da noi, non sarà mai più lo stesso, traviato da Lily Evans... non si farà mai più... mordere le chiappe," conclude tragicamente.
Lupin sta per spazientirsi e rispondere qualcosa di poco garbato, poi però guarda Sirius appollaiato al suo braccio come un infermo e nota che il suo labbro inferiore sta tremando. Lascia perdere l'offesa, e spalanca la porta della sala comune ficcandolo dentro come un pacco.
Sirius si butta melodrammaticamente a terra, gambe e braccia spalancate contro il pavimento. Sospira come un condannato prima di lanciarsi in un’imitazione di Shakespeare che avrebbe fatto rabbrividire anche qualcuno meno shakespeariano del suo amico. Poi però, proprio sul "Lasciatemi perire qui, amici miei" sente Remus tossicchiare imbarazzato, allora alza di poco la testa e torcendo il collo si guarda intorno.
"Uhm, salve." A due metri da lui stanno -orrore- Elizabeth Lovelace e Ninfadora Tonks. Il resto della triade malefica.

"Uhm, salve" ripete, forse per guadagnare tempo. Loro lo fissano ostili, senza dimostrare l'intenzione di rispondere. Maledette. Il passo successivo sarà riguadagnare il perduto orgoglio, e quale metodo migliore con delle ragazze di... rispondere alla domanda che gli hanno posto? Oddio, domanda? Non l'ha sentita. Si è accorto troppo tardi che qualcuno stava muovendo le labbra, e adesso rimane lì impalato a fissarla come qualcuno troppo stupido per capire.
"Sirius..." mormora Remus per risvegliarlo da quello stato catatonico. Lei fa una smorfia.
"Scusa..." la voce gli esce rauca contro la sua volontà "Non è che potresti... ripetere?"
Tonks ridacchia. Bessie lo fissa muta per alcuni istanti, chiedendosi se ne valga davvero la pena. Ricordati che appartengono al fronte opposto, stupido. Non abbassare la guardia.
"Ho detto che è strano vederti qui il giorno di San Valentino... con un uomo, voglio dire," e mentre indica Remus a Sirius sembra quasi che le dispiaccia per l’amico perché deve stare lì a sopportare lui. La vita è rovescia, si sente come se l'avessero appeso per i piedi a qualche strano spuntone di roccia. D'altra parte, sono loro che non vanno bene. No. Deve ricordarsi di spiegarlo meglio a James.
"E tu allora?" Riprendi in mano la situazione, Sirius. Non farti mettere sotto da una ragazza. Non da un'amica della rossa. "Mi pare di non essere l'unico, qui, a crogiolarsi nel proprio dolore."
"Oh, non me ne parlare!" borbotta lei, torva "Io odio San Valentino!"
Questo riconduce immediatamente Sirius al pensiero di James perduto per sempre. "A chi lo dici!" si lamenta, e gli dà solo fastidio che la sua voce somigli un po' troppo ad un guaito.
"Non essere scemo Black, tu hai sempre festeggiato San Valentino!"
Sirius alza gli occhi a guardarla. E' strana, quella ragazza. Perché anche mentre ti dimostra il suo più profono disprezzo riesce a donarti insieme tutta la sua attenzione. Ad ogni modo, decisamente ora più che mai, non può perdere contro di lei. Probabilmente Remus sta leggendo tutto questo sulle sue mascelle e sul suo sguardo, perché lo sente sbuffare piano. "A San Valentino bisogna essere romantici," spiega "bisogna portare le ragazze in quei posti orribili tutti rosa e pieni di cuori e di trine, e bisogna essere... innamorati!" conclude con orripilata fierezza "Io non sono così!"
E adesso perché lei lo sta fissando con aria d'intensa disapprovazione? Perché diavolo... sbaglia se vuole San Valentino, sbaglia se non lo vuole... allora cosa diamine vuole, lei?
Tonks e Lupin incrociano gli sguardi, alzando gli occhi al cielo. Poi Lupin guarda Sirius con improvviso sospetto, e seguendo la linea delle sue mascelle e del suo sguardo capisce che è in arrivo uno di quei momenti catartici di Sirius che, per il suo bene, ha sempre desiderato che non vedessero troppe persone oltre a lui; gli viene in mente il giorno in cui ha sentito una canzone il cui ritornello diceva “I’m a big girl” ed era arrivato sconvolto a raccontare di come avesse sentito questa canzone in cui la cantante si diceva “I’m a pig girl”. Vorrebbe, forse, che lo ripetesse adesso. Un oscuro presagio gli comunica che sarebbe preferibile.
“Dooh deeh daaah, in fondo è tutto rosso come a Nataaal...”
Lupin lo guarda: c’è qualcosa di disturbato in Sirius, pensa. Ed è un peccato, perché con James fuori gioco lui poteva essere l’ultima speranza di avere intorno un sano di mente. Sirius-Sano-Di-Mente, ripete, e si rende conto in quell’istante dell’immensa miseria della sua situazione sociale, se Sirius Black diviene il suo unico appiglio di sanità mentale.
Dov’è Peter? Vorrebbe che ci fosse Peter. Almeno, lui qualche volta se non ha niente di brillante da dire sta zitto.
“Tutto questo rancore è disdicevole, Lovelace,” insiste Sirius. “Ti verrà qualcosa sulla faccia. Narcissa Black lo noterà e andrà a raccontarlo a tutti,” sorride radioso. Lei lo fissa cupa senza aprire bocca, allora lui ci riprova, caparbio.
“Rallegrati, qualcuno sta peggio di te.”
“Ah sì? E chi?”
Lui fa un mezzo inchino. “Io, per esempio,” e l’espressività di Bessie nell’alzare gli occhi al cielo è tale che Lupin vorrebbe alzarsi in piedi ed applaudirla per darle ragione. Lo farebbe, ma è sicuro che in qualche modo lo urterebbe per sbaglio e Sirius ruzzolerebbe a terra, e Sirius odia ruzzolare a terra se non è per scelta o perché è James a mandarcelo.
“Hai del cioccolato sulla faccia,” l’informa Bessie.
“Ah sì?” fa lui; si sfrega energicamente la faccia due o tre volte, poi bloccandosi di colpo assume un’espressione furba come una specie di cucciolo di cane con un grosso, grosso naso da stupido. “Scherzavi!” annuncia trionfante.
“Sì, scherzavo. Non è cioccolata, è lucidalabbra con dei brillantini.”
Sirius arrossisce, e Lupin è talmente sbalordito e impegnato a punirsi per non avere con sé la macchina fotografica per documentare Sirius che arrossisce che quasi non fa caso al fatto che neanche questo è vero.
Magari se ripeto lo scherzo per un numero sufficiente di volte ti si consumerà la faccia. “Mi fai venire voglia di perdere gli occhi.”
“Sarebbe un peccato Lovelace, poi come convinceresti il tuo fidanzato Ernie-Qualcosa-Tassorosso a tornare con te senza quelle ciglia?”
Stavolta è il colorito di Bessie che si accende, ma per la rabbia, e Sirius dentro di sé festeggia con burrobirra a fiumi per quel punto segnato. Un colpo dannatamente diretto al centro, pensa vittorioso.
Lupin gli dà una gomitata. “Non servirà a nulla,” biascica senza farsi sentire dalle ragazze. Poi si schiarisce la voce e Remus che si schiarisce la voce ha sempre un che di patetico, è come quando prova a mettersi in ghingheri per rendersi accettabile alla gente, e la parte malinconica è che avrebbe più di tutti loro messi insieme le caratteristiche per rendersi piacevole alla gente, ma non potrà mai -- mai esserlo davvero. È un lupo mannaro, Remus. I lupi mannari sono tendenzialmente poco condicevoli alla gente.
È un mondo ingiusto, pensa Sirius. È solo un particolare! Mondo del cazzo.
“Perdonatelo,” dice l’amico, e già Sirius sente scemare l’istintiva simpatia per la sua condizione. “O dimenticatelo. È un uomo tradito.”
Bessie alza le spalle -- la situazione sembra priva di vie d’uscita e invece Bessie alza meravigliosamente le spalle, scegliendo evidentemente la seconda opzione. Non che a Sirius faccia piacere, e in effetti dovrà fare a Remus giusto un paio di appuntini sulle cose da non dire alle ragazze su Sirius Black. Punto primo: Sirius non ha, non ha mai avuto e non avrà mai alcunché da farsi perdonare da un’esponente del sesso femminile, perché questo significherebbe appartenenza. Punto secondo: qualunque cosa succeda, qualunque cosa combini, qualunque quantità di pericoloso odio si riversi sulla sua persona, mai nessuna ragazza, per nessun motivo, dovrà essere incoraggiata a scordare Sirius Black. Non ci si può dimenticare di Sirius Black. Anche a costo di finire sui giornali come feroce assassino di passanti indifesi, Sirius Black sarà ricordato.

"Uaurgh!" commenta Sirius, e non vuole più prestarle attenzione. Si avvicina a Lupin che legge ed al fuoco che scoppietta, e guaisce di nuovo perché si è scottato il naso. Sente che Bessie ha fatto schioccare la lingua, chiaro segno di disprezzo, ma ancora il suo proposito è di non calcolarla. E' della fazione nemica. Sta con Lily Evans, la causa di tutti i suoi guai.
Poi però il suo orecchio allenato capta un sospiro della ragazza, e Tonks le mormora qualcosa per consolarla, e rapido come una saetta l'attraversa il pensiero che forse anche lei è tanto disperata per quell'appuntamento quanto lo è lui... e insomma torna a guardarla.
Tonks le accarezza i capelli, le fa scivolare una ciocca indisciplinata sul viso e a Sirius verrebbe voglia di scostargliela. Ha un'espressione talmente mogia e disarmante, ora! Sta mormorando qualcosa, vede le sue labbra formulare un "Lily" e poi un "Potter", e poi ancora un "terribile!" Senza rendersene conto la sta fissando di nuovo, mentre un importuno gomito si punta proprio sopra la pagina che Lupin sta leggendo.
"ACCIDENTI!" esclama quando lo spintone di Lupin lo fa piombare con lo stomaco sul bracciolo della poltrona. Bessie alza gli occhi a guardarlo.
"Non è una bella situazione, vero?" aggiunge allora in sua direzione.
“Se lo dici tu,” mormora la loquace ragazza. “Mai provata.”
"No, no!" Con foga si tira su, tornando ad impedire la lettura all'amico. "Intendevo questa cosa... di San Valentino sai, e -- e tutto il resto..." si sta incartando, lo sa. Lo sa benissimo, quindi non c'è bisogno che lei lo fissi come si farebbe con un enigma della natura! "L'appuntamento di quei due!" si decide a spiegare tutto d'un fiato. Remus cerca di mollargli una gomitata senza essere visto, ma in effetti ora Sirius è seduto sopra il suo braccio, quindi il tentativo non è credibile. Uno a zero per me, pensa Sirius.
"Non--" sembra che lei voglia svicolare, spalanca gli occhi; poi si arrende, abbassa lo sguardo verso le proprie ginocchia. "..Non me ne parlare..."
E' fatta. Ha trovato un'alleata. Romperanno quell'assurda, ridicola unione, lo sa, lo sente. Forse la Lovelace non è poi così insopportabile... insomma, almeno una cosa in comune l'hanno, no? I loro due amici sono pazzi, sono impazziti. Sarà una tregua, o qualcosa del genere. E anche se ai suoi successivi tentativi di conversazione sull'argomento lei si mostra fredda come prima, e anche se ad un certo punto in cui lui fa un commento sulla Evans lei lo guarda come se volesse cavargli gli occhi e ci mette ben tre minuti prima di rispondergli, possono diventare una squadra, no? E' strano, pensa Sirius. C'è una sintonia con quella ragazza.
Smette di leggere alle spalle di Remus, o quantomeno di fingere di farlo, e prima che lui possa fermarlo rotola giù dal bracciolo e poi lungo il tappeto fino a raggiungerla. Alzarsi, si sa, sarebbe costato troppa fatica a qualcuno schiantato dal dolore come lo è lui. Prima ancora di capire cosa stia facendo è lì che le parla di nuovo.
"Senti, Lovelace, ti va di uscire con me?"
Lei arretra di svariati centimentri con il capo, sull'onda della sorpresa. E' un buon segno, di solito quando colpisci così una ragazza significa che hai fatto centro, pensa Sirius. Sorride. Poi lei schiude le labbra. Belle labbra, pensa Sirius; morbide, ti fanno venire voglia di mordicchiarle. Bessie è arrossita lievemente.
"Nemmeno se fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra, Black!"

* * *


Fotografia 33: Emagus.

Il Ministro della Magia è a Hogwarts, e a Sirius sembra solo un'occasione più ghiotta per creare scompiglio. Anche James è dello stesso avviso, sebbene terrorizzato dalla possibile reazione di Lily Evans. Gazza sembra averlo intuito, li sta fissando da una decina di minuti senza mai sbattere le palpebre. Lupin invece è preoccupato, che ci fa il ministro lì? Sarà successo qualcosa?
La festa scorre via come un qualsiasi palliativo, Sirius e James si limitano a sollevare le gonne di alcune studentesse più giovani mentre Lupin finge di non vedere, poi si allontanano borbottando qualcosa di molto sospettoso su Piton. Remus è solo, si guarda intorno. Silente non sembra contento. Sotto le folte sopracciglia il suo sguardo è turbato, e continua a posarsi verso un gruppetto di Grifondoro... Lily Evans, Elizabeth Lovelace e Ninfadora Tonks. Poco dopo a quel gruppetto finisce per appartenere anche James Potter, incollato a Evans come un budino spappolato, e Remus si chiede vagamente dove possa essere finito Sirius.
"Ehm ehm" tossicchia il Ministro, e Silente si acciglia.
"Ehm," tossicchia nuovamente. Silente si scosta per lasciarlo parlare, garbatamente impone il silenzio ai suoi studenti.
"Oggi è un gran giorno." Ma perché gli uomini di governo non si risparmiano tutti questi giri di parole?, pensa Sirius, dall'altro lato della sala.
"Vorrei presentarvi... una persona, cari ragazzi." Fa un cenno... oddio, verso James? L'avrà sorpreso a combinare qualcosa? In effetti l'amico spalanca la bocca come se fosse stato colto sul più bello di -- ma no, è Elizabeth che si stacca dal muro, torva prende posto tra Silente ed il Ministro. Che significa tutto questo?
"Ho la gioia di comunicarvi... da molto spingevo per la sua presentazione ufficiale, ma il vostro stimato Preside, si sa, a volte protegge i suoi alunni come fossero pulcini, e invece -- è importante per tutta la comunità, capite!" Bessie sbuffa. Il Ministro sembra imbarazzato sotto lo sguardo di disapprovazione di Silente, ma mantiene un sorriso allegro e complice. Non ci cascheremo mai, pensa Sirius.
"Ecco a voi la signorina Elizabeth Lovelace... Emagus di nascita."
Che cooosa? L'urlo si strozza in gola a Sirius. Ghaack!, dice. Hrumpf!, dice Remus dall'altra parte. Non sa bene cosa significasse, ma di sicuro era qualcosa di molto simile.

Quando Elizabeth viene caldamente invitata ad esibirsi da un Ministro altamente compiaciuto della sorpresa prodotta dal suo annuncio, nella sala il silenzio torna a proporsi spontaneamente. E' una voce melodiosa quella che sentono, come uno strumento musicale, come una magia. Bessie sembrava arrabbiata, ma ora tutto ciò che riescono a percepire è amore, è gioia, è bellezza. Un Emagus non può permettersi di esprimere sentimenti negativi, Remus ha sentito che alcuni sono stati anche incriminati per questo. Un Emagus non può nemmeno permettersi di schierarsi politicamente, l'eventuale candidato appoggiato ne risulterebbe ingiustamente premiato. Non sono solo io a nascondermi.
La canzone è bellissima. La voce di Elizabeth è bellissima. Elizabeth è bellissima. Complimenti, Sirius Black, un ottimo vocabolario! Poi però vede che intorno nessuno può dirsi più savio di lui, è l'effetto dell'emagus. Loro sono così. Muovono i sentimenti, li diffondono e te li tirano fuori e li espongono come se fossero ritratti troppo precisi. Sirius è a disagio.
Dopo che la canzone termina anche Bessie sembra a disagio: scende dal palco di corsa, senza rispondere agli applausi. Il Ministro solleva un sopracciglio ma non si lascia rabbuiare ed improvvisa un discorsetto mieloso sulla sua profonda soddisfazione e su quanto siano indispensabili gli Emagus per la felicità della gente.
Quando la rivede sta parlando con il Ministro, anche se sarebbe più corretto dire che sta attaccando il Ministro. La sua espressione è simile a quella di un piccolo Rottweiler, solo più carina, e a Sirius viene voglia di abbaiare per incoraggiarla. Non sa esattamente perché ce l’abbia con lui, ma chi ce l’ha con il potere riceverà sempre il suo sostegno incondizionato. E poi Silente è lì con loro e le tiene una mano sulla spalla. Sirius si avvicina.

"Non m'importa delle sue esigenze, Ministro! Non ho nessuna intenzione di rilasciare interviste per farle fare bella figura, proprio nessuna!"
"Ma... mia cara signorina..."
"Non insista, la prego, Ministro." Silente, la cui gentilezza vela una chiara fermezza d’intenti, interviene a difesa della sua studentessa. "L'ho pregata di non farlo, le ho spiegato che per il bene della ragazza sarebbe stato preferibile non rendere ancora pubblica la cosa, e lei non mi ha voluto stare a sentire. Ora però non le permetterò di abusare della sua condizione per lucidarsi meglio il cappello."
"Silente, io... grumpf! Voi non capite!"
"Ah, noi non capiamo?!" Bessie arrossisce di rabbia senza più riuscire a mantenere il tono di voce inalterato "Sirius si segna mentalmente di non dire mai a Bessie Tu non capisci. “Le dirò una cosa: lei mi ha appena resa una specie di idolo per tutte le persone che vede qui dentro... ho passato la vita a cercare di non sentirmi uno strumento di qualcuno, e adesso per tutti loro non sono altro che un maledetto oggetto!!! Volevo... essere Elizabeth Lovelace, ma lei mi ha trasformata in un soprammobile!” conclude amaramente. Sirius ripensa al giorno in cui l’ha chiamato foruncolo. Ecco perché. La voce le si incrina, infatti quando riprende il discorso è bassa, quasi un sussurro. “Non m'interessa un'accidente della sua politica!”"

Alcuni minuti più tardi, dopo averla cercata ovunque in seguito alla sua scenata e fuga dal Ministro, schiudendo piano la porta della sala di Grifondoro la trova: appallottolata come una bambina su di una poltrona rossa, Bessie è scossa dai singhiozzi.
Cosa può fare? Cosa puoi fare Sirius, vecchio mio? Vai lì, dille che non è solo un emagus, dille che è una ragazza e che è dannatamente carina, anche se spesso si rivela insopportabile, anche se è amica di Lily-Evans-che-si-è-portata-via-per-sempre-il-cervello-di-James, dille che canta bene ma questo non toglie che sappia inciampare ovunque quando prova ad essere severa.
...Sii serio, Sirius Black. Pensi davvero che lei starà lì ad ascoltarti? Pensi davvero che le importi di quello che hai da dirle, se ogni volta che ti vede arriccia le labbra in segno di disgusto neanche fossi Severus Piton? Come puoi anche solo immaginare qualcosa di diverso da uno schiaffo come reazione -- si alzerà e se ne andrà e tu non l'avrai aiutata per nulla e ti sentirai solo più stupido, con un segno rosso sulla faccia. Ci vuole un altro. Ci vuole qualcuno gentile, qualcuno che sappia parlarle con delicatezza e che lei non odi dal profondo del suo cuore. Qualcuno che ti viene voglia di avere accanto se stai male.
"Remus," esclama un minuto più tardi battendo la mano sulla spalla dell'amico. Gli indica la porta della sala comune mormorandogli qualcosa. Poi se ne va. Chissà, forse maltrattare Mocciosus non sarà così noioso come gli sembra in quel momento. In fondo è adatto ad uno come Sirius Black.

* * *


Fotografia 34: Tutta colpa di una spia.

"Non so dove sia!" ripete James, sconsolato. Tutto il dormitorio è all'erta per l'apparente scomparsa di Bessie, dopo che Lily le ha urlato di non volerla più vedere. "E' scappata dalla finestra, vi dico! Ho provato ad inseguirla--"
"...Ma hai scoperto che è dura correre coi pantaloni alle caviglie?", interviene Lily. Argh, colpito e affondato. Porca miseria Lily, quando capirai che è stato Piton a inventarsi tutto per invidia e io e Bessie non abbiamo fatto un bel niente?
Lui abbassa gli occhi desolatamente, senza forze di fronte alla ragazza; non riesce davvero a reagire al suo odio. "E così anche stavolta è colpa mia..." mormora. E ti pareva, pensa.
"Sì, Potter. E' colpa tua. E già che ci sei, tanto per rendere le cose meno ripetitive e complicate da capire, da adesso in poi inizia a considerare tutto quello che ci succede come colpa tua, d'accordo?"
Altera, sdegnosa, lo pianta lì a sentirsi nudo come un verme coi pantaloni abbassati.

* * *


Fotografia 35: Arruffarsi.

Bessie è in difficoltà, Lily lo vede. Si capisce subito quando Bessie trova difficile un compito, perché si tormenta i capelli continuamente, arruffandoli in modo incredibile; il livello di confusione della capigliatura si basa ovviamente sul grado di difficoltà della verifica, e quello doveva essere alto. Lily pensa che semplicemente il giorno prima avrebbe dovuto ripassare anziché inventare quel nuovo spargibolle con Ninfadora. Alla fine le lancia una gomma sulla testa, facendola esclamare. Bessie si volta di botto, imbufalita, e Lily le sorride.
“Dai, dimmi cosa ti serve sapere,” bisbiglia.
Al termine del compito Lily continua a ridacchiare. Bessie si rifiuta di chiederle a cosa si riferisca, ancora offesa per il colpo alla testa, ma Tonks non resiste: "Che hai, Lily? Perché sghignazzi da dieci minuti?"
"Oh beh, Tonks, pensavo... al nostro caro cespuglio..." le arruffa i capelli con tenerezza. Bessie le ringhia contro. "Sai Bes, se continui un altro po’ finirai per somigliare a James, così Sirius per una volta ti noterà e magari ti preferirà addirittura a lui!" Gli occhi le brillano per il divertimento e Tonks cerca vanamente di reprimere un moto di risa una prima volta.
"Sei un tesoro, Lily cara... ma in questo modo tu andresti in confusione e non sapresti più chi scegliere, e non farei mai una cosa del genere alla mia migliore amica!"
La replica, sullo stesso stile pungente d'ironia, è pronunciata tranquillamente. Ancora una volta Tonks ridacchia, prima di rendersi conto di aver compiuto l'irreparabile. Bessie e Lily possono dirsi qualunque offesa, combinarsi qualunque scherzo; basta, però, che si rendano conto di esporre le loro debolezze ad una terza persona, anche una inserita come lei, perché esploda la scintilla. In effetti Bessie borbotta a Lily qualcosa che Tonks non riesce a cogliere, ma le fiamme che si accendono negli occhi della ragazza bastano e avanzano a farle desiderare di non essere lì intorno nelle prossime ore.
Lily finge di nulla ma la domenica successiva Bessie si sveglia sentendo uno strano pizzicore al viso, e quando apre gli occhi si rende conto con orrore di una lunghissima barba bianca completa di baffi che le sono cresciuti addosso durante la notte. Appeso alla barba sta un bigliettino verde, con la scrittura asciutta di Lily.

"Per arruffarti con più efficacia. Ho pensato che se prendi spunto da Silente potresti riuscire a far innamorare anche la McGrannitt!!!"





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Capitolo 19
*** Fotografie, 19. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Fotografie, 19.


Fotografia 36: Biglietti.

(Biglietti scambiati tra Lily e Tonks durante una lezione di Aritmanzia)

-Non si può andare avanti così.

-Concordo.

-Ma che possiamo farci, noi?

-Non lo so, qualunque cosa... questa mattina James si è svegliato con le mutande sopra i pantaloni mentre inforcava una scopa, e Sirius abbracciato al lavandino con un asciugamano in bocca!!!

-Finiranno per metterci nei guai

-Potremmo organizzare uno scherzo. Fargli prendere una bella strizza

-Sono d'accordo... ma come la mettiamo con Bessie? Lo sai, non è in grado di mentire!

-Beh, lei adesso non c'è, no? E' in infermeria con la febbre...

-Tu sei un genio del male, Lily!!!



E' così che Lily e Tonks vanno dai ragazzi con due facce da funerale, spiegando loro che Bessie è in infermeria perché si è sfregiata la faccia tentando non-so-cosa per coprire una loro malefatta. James e Remus sbiancano, Sirius si porta le mani alla bocca. Lily, che è davanti, deve fare appello a tutta la sua forza di volontà per rimanere seria. Fortuna che Lily Evans è famosa per la sua forza di volontà.
"Possiamo... possiamo vederla?"
"Nemmeno per idea! Bessie ha chiesto che non si sappia, non vuole nessuno tranne me e Dora!"
"Oh, Cristo..." James si torce nervosamente il ciuffo, trascinandolo lungo i suoi pensieri. È una forza di volontà prodigiosa.
"Non c'è... qualcosa che possiamo fare?" prova Remus, e la sua voce sembra rischiosamente vicina alle lacrime. Sirius non riesce ad aprire bocca, e continua a deglutire tormentandosi i capelli così tanto che la ragazza teme che prima della fine della giornata diventerà calvo.
"Magari starvene tranquilli," osserva Lily severa. Tonks annuisce.
"Certo, certo..." balbetta James. "Ma non è -- in pericolo, vero?"
"Che discorso idiota, James Potter! Secondo te anche se non è in pericolo si sistema tutto? E' una ragazza, ed ha il viso sfregiato! Come credi che si senta?"
"Ma io... non volevo--" mugola lui, riempiendo di soddisfazione il loro lato più sadico e meno paziente. Speriamo che Tonks non mi guardi quando io guardo lei. "Ero soltanto preoccupato..."

Poco più tardi, in infermeria, Bessie si alza a sedere appoggiandosi al cuscino che Lily le ha teneramente sistemato. “Ma come mai nessuno dei ragazzi mi è mai venuto a trovare?” piagnucola. “Sono così impegnati?”
"Oh, beh..." borbotta Tonks "Loro sono -- sono in castigo!"
"In castigo?" Bessie solleva un sopracciglio con sospetto, facendo una piccola pausa per dare più risalto alle parole. “Anche Remus?"
"Lui -- stava cercando di fermarli. Solo che li hanno sorpresi. Figuraccia. Sfortunaccia. Oh, nulla di grave,” si affretta ad aggiungere notando l'espressione preoccupata della malata. “Caccabombe o giù di lì. Gazza sarà soddisfatto di tenergli compagnia per qualche giorno in tutti i loro momenti liberi! Quanto a Peter, era rimasto senza mutande pulite e Lily gli ha categoricamente proibito di muoversi prima di avere qualcosa di umanamente accettabile addosso.”
Lily si strozza in uno strano colpo di tosse. Anche i prodigi hanno un limite.

Il giorno dopo Bessie sta per uscire dall'infermeria. Lily e Tonks sono andate a prenderla. Ciò che nessuno di loro si aspetta è vedere anche gli altri quattro, in fila come un esercito di sopravvissuti, che attendono preoccupati l'uscita della ragazza. Non sanno se devono guardare verso Bessie oppure no, e quando la porta si apre stanno lì appollaiati con degli sguardi tesi e così spaventati da essere terribili a vedersi, cogli occhi di fuori. Bessie sobbalza per lo spavento. Loro sobbalzano perché sobbalza lei.
Seguono alcuni minuti di confusione, nessuno capisce nulla e Madama Chips ordina di fare meno baccano, poi Lily e Tonks prendono a ridere a crepapelle e Bessie è basita, non riesce a raccapezzarsi. Gli altri poco a poco prendono possesso della verità, si decidono ad osservare bene il viso stupito di Bessie e quando lo trovano immacolato Lupin e James devono essere davvero lesti, a fermare Sirius prima che possa saltare addosso a Lily.

* * *


Fotografia 37: Ritorni.

Sirius è al buio, annusa l'aria come se fosse Padfoot.
Davanti ha un uomo di stazza più o meno simile alla sua, che sorride beffardo.
"Sirius, vecchio mio – come stai?"
La risposta di Sirius è un ringhio sordo, basso, che si protrae a lungo come una minaccia inimmaginabile.
"Non sei contento di vedermi? Insomma, è questa la tua gratitudine... dopo che ti ho anche lasciato la mia ragazza?” fa una pausa soddisfatta. “A proposito, ho saputo che non se la passa bene. Dove l’hai nascosta, Sirius? Hai paura che te la portiamo via?"
“Ernie,” pronuncia infine lui con percepibile sforzo. "Com'è che non hai ancora ammazzato nessuno, oggi?"
“Oh” replica l’altro, la voce tagliente come un rasoio. “La giornata non è ancora finita.”
Si pone in posizione d’attacco, e il sorriso gli si allarga sottile lungo il viso.

* * *


Fotografia 38: Erbologia.

Sirius è a terra. Sempre se quello è Sirius, e non una creatura mostruosa con la testa di Sirius e le gambe di James che si accavallano sulla sua faccia, scalciando e provocandogli fastidiose smorfie di dolore.
"Prongs, maledetto bastardo, mi stai calciando la faccia! E le tue scarpe sono piene di terra!"
James cerca di spostare una gamba appoggiando il ginocchio sullo stomaco di Sirius, che protesta con veemenza.
"OOFFF!" esclama poi quando Sirius si rialza lanciandolo lontano. "Sono tutto pesto!"
"Lo dici a me?", protesta Sirius.
"Ok, um... senti. Dobbiamo trovare un modo per uscire di qui."
"Brillante intuizione, vecchio mio. Che dici ora di ricordarmi anche come ci siamo finiti?"
"Non fare il guastafeste Sirius, lasciami pensare."
"Certo, se non fosse per il piccolo particolare che mentre tu ti spremi le meningi c'è qualcosa di delicato che mi sale per la gamba... ed immagino non si tratti di una tua strana offerta, mhm?"
James rabbrividisce.
"Per la miseria, Prongs... che schifo," la voce di Sirius è tremolante "Dammi una schifo di mano! Voglio uscire da questo schifo di posto, e farmi una schifo di doccia e possibilmente avere ancora la mia schifo di gamba!!!"
"Senti... facciamo luce, va bene?" James estrae la bacchetta giusto in tempo perché un germoglio si vada ad infilare nei pantaloni di Sirius.
"Che diavolo... no, oh no no no! Non ho nessuna intenzione di avere un rapporto sessuale con te, scordatelo!!!" sbraita Sirius alla pianta. Poi guarda l'amico, implorante. "Come me ne libero, James? Caro Rametto... come?" lo supplica, spalancando gli occhi a Cucciolo-Di-Padfoot.
"Non mi guardare così, Sirius. Hai frequentato insieme a me tre anni di lezioni di Erbologia, costantemente fianco a fianco. Perché dovrei sapere come possiamo liberarcene e tu no?"

* * *


Fotografia 39: Un torsolo di mela.

Lupin sta mordicchiando distrattamente una mela, inoltre cerca di studiare. Non che sia un problema, per lui... di solito lo è solo quando si trova in compagnia di tre scalmanati... e guardacaso si trova in loro compagnia proprio adesso.
Dà un altro morso alla mela. Ormai fa caldino, si sta bene nel parco, sotto le fronde accoglienti di un albero. Peter squittisce perché Sirius gli ha mollato un pizzicotto. Remus solleva un sopracciglio. James sta spiegando i dettagli di un piano, Remus riesce a sentire soltanto “Caccabombe” e “Mocciosus” e “Risate”. Si gratta la punta del naso.
Sirius si lascia sfuggire dei versi entuasiastici, dà una pacca sulla nuca a Peter. Peter si lamenta. Remus volta pagina, facendo frusciare rumorosamente la carta.
James ride più forte, Sirius fa un ululato. James dice “Mutande”, Peter ride perché James ride. Remus si ritrova a leggere per la terza volta la stessa riga. Peter si sforza di ridere, o forse ride davvero ma è un verso sgradevole, forzato come un falsetto. Remus rilegge la riga per la quarta volta. Sirius gli ficca un fazzoletto in bocca, Peter lo sputa fuori, senza volerlo lo lancia contro James che gli molla un pugno. Peter si lancia in una litania infinita di scuse, raggomitolandosi tutto. Sirius ne approfitta e ridendo sotto i baffi lo minaccia di fargli fare un tuffo nel lago. Ride. James ride. Peter ride perché ridono loro.
Remus solleva l’altro sopracciglio.
Sirius sta per lanciare il suo libro contro Remus, James gli mormora qualcosa. Sirius si blocca. Peter rimane in attesa. Anche Remus rimane in attesa, lui dice che si chiama istinto di sopravvivenza.
Sirius si rimette composto, James bisbiglia “Allora, questa volta lo facciamo?”
Remus perde la pazienza, si gratta un gomito e lancia contro i tre amici la mela che stava mangiando. Sirius si ripara il viso con un braccio, dove il torsolo va a spappolarsi. Sbuca con la faccia da lì, guardando Remus allibito; tra l’ironico ed il perplesso gli chiede: “Moony caro, hai le tue cose oggi?”
“Se continuate così vi farò passare a Serpeverde!”, gli sbraita contro Lupin, forte della sua spilla. Per alcuni istanti lo guardando agghiacciati, James balbetta ripetuamente senza emettere alcun suono. Suda freddo.
Lo smarrimento si rompe nel momento in cui la vocina di Peter, beata innocenza, si fra strada fra i loro personali terrori, rivelando la baggianata: “Ma questo è impossibile!”
Sirius scoppia a ridere, fa notare a Remus –che ha una faccia assolutamente poco da prefetto- che si tratta di una soluzione impraticabile. Lui se ne rende conto, rimane interdetto per alcuni istanti. Poi, solo per non dargliela vinta anche questa volta, borbotta di voler corrompere il cappello per fargli cambiare idea.

* * *


40.
Sirius si sveglia urlando. Un urlo, cos’ha urlato? Intorno è buio, deve concentrarsi, capire... cos’ha appena visto? Cos’ha appena sentito?
Poi, improvviso come il risveglio, una fitta atroce. Lì, localizzata in quel solito, dannato posto... al centro dello stomaco, al centro del cuore. Sa cos’ha visto. Sa cos’ha urlato, come se gli avessero appena strappato le viscere.

Elizabeth.

Si alza, premendo con le mani contro la bocca dello stomaco. Deve appoggiarsi alle pareti per riuscire a camminare, la testa gli finisce contro i quadri, che prendono a lamentarsi. Non vede dove va, non sa cosa sta facendo. Alla cieca urla il suo nome, ancora e ancora. È come un ruggito.
Il suo respiro è un rantolo, il suo stomaco sta per smettere di reggere. Chiede aiuto, manda un quadro ad avvertire Silente mentre si contorce all’interno del suo stesso dolore.

Elizabeth.

Finisce a terra scosso dai crampi, sconvolto dai singulti. Non sa più se sta gridando, non sa più se sta respirando. Ha smesso di vedere. Il quadro di sua madre strilla impietosamente. Qualcuno arriverà.
Lei c’è, lo sa, lo sente.

Elizabeth.



* * *



Well I woke up in mid afternoon cause that's when it all hurts the most
I dream I never know anyone at the party and I'm always the host
If dreams are like movies then memories are films about ghosts
You can never escape, you can only move south down the coast
Well I am an idiot walking a tightrope of fortune and fame
I am an acrobat swinging trapezes through circles of flame
If you've never stared off into the distance then your life is a shame
And though I'll never forget your face sometimes I can't remember my name

Hey, Mrs. Potter, don't cry
Hey, Mrs. Potter, I know why
But, hey, Mrs. Potter, won't you talk to me


(Mi sono svegliato a metà pomeriggio perché è allora che tutto fa più male
Sogno di non conoscere mai nessuno alla festa, e sono sempre il padrone di casa
Se i sogni sono come film, allora i ricordi sono film sui fantasmi
Non puoi scappare, solo dirigerti a sud verso la costa
Sono un idiota che cammina su una corda tesa tra fama e fortuna
Un acrobata che oscilla sui trapezi tra cerchi di fuoco
Se non hai mai fissato in lontananza la tua vita è una vergogna
E anche se non dimenticherò mai il tuo viso, a volte non riesco a ricordare il mio nome.

Hey, signora Potter, non piangere
Hey, signora Potter, non so perché ma
Hey, signora Potter, non vuoi parlarmi?)


Counting Crows – Mrs Potter’s lullaby



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Capitolo 20
*** Hogwarts, 20. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***



Ed eccomi di nuovo qui! Stavolta devo davvero scusarmi con voi per il ritardo, ma sono state delle giornate terribili, non ero mai a casa nemmeno per accendere il pc, mi sentivo una trottola! In compenso oggi ho passato la giornata in biblioteca, quasi sempre da sola, e mi sono messa a guardare le persone che passavano... mìimmaginavo le loro vite, chi fossero, cosa provassero... e così ad un certo punto ho trovato Elizabeth. Ho trovto lei e gli altri, e mi sono accorta di qualcosa, ho scritto e scritto ed è qualcosa che posterò solo più avanti, ma già l'amo molto. sperém :p naturalmente devo ringraziarvi ancora, sapete quanto m'incoraggiate commentando... un grazie enorme a chi è nuovo perché è sempre entusiasmante vedere una voce in più, ed uno altrettanto speciale a chi mi segue dall'inizio senza mai abbandonarmi! siete dei tesori!!!

Hogwarts, 20.


41.
Bessie aveva accompagnato Piton alla porta, ringraziandolo con calore per le lezioni di Occlumanzia che avrebbe dato ad Harry sebbene non ne sembrasse granché entusiasta. Quando era tornata indietro Sirius fissava cupo il corridoio.
“Ma bene, vai con lui, seguilo. Stai pure dalla sua parte, adesso!”
“Dalla sua…? Non fare il bambino, Sirius,” aveva reagito con insofferenza. “Io non sto dalla parte di nessuno!”
“A parte trotterellare dietro un Mangiamorte che mi insulta in ogni modo e cercherà di rendere a Harry la vita impossibile, intendi?” aveva commentato lui, tagliente.
“E’ il figlio di James, per l’amor del cielo! Che cosa pretendi? Gli avete fatto passare i momenti peggiori della sua vita -- non guardarmi così, Sirius: non sto affatto cercando di giustificarlo. Ma nessuno qui dentro è un agnello sacrificale, e sai bene che tu ti saresti comportato nello stesso modo!”
Sirius aveva calciato via la sedia. “E’ un Mangiamorte!”
“E’ un ex Mangiamorte! Ti ricordo che se n’è andato a suo rischio e pericolo!”
“Come lo sappiamo? Come fai a sapere che se n’è andato davvero?” Sirius muoveva freneticamente le mani su e giù accanto al volto sciupato, evidenziando le sue opinioni con foga inequivocabile.
“Io mi fido di Severus, e credo nella sua lealtà,” aveva replicato lei tranquillamente.
“Bella mossa, Lovelace!” era sbottato lui.
Bessie aveva sollevato un sopracciglio. “Un po’ come fidarsi del più grosso evaso di Azkaban, no?”
Sirius l’aveva fissata in silenzio per un istante, prima di esplodere in un: “Oh, al diavolo!”
Se n’era andato sbattendo qualcosa contro il tavolo a mo’ di sfogo. Harry stava per aprire bocca quando aveva sentito le risa soffocate di Tonks.
“E tu da quando stai lì?” le aveva domandato Bessie, incredula.
“Da abbastanza per non perdermi la gustosa scenetta, mon trésor!”
“Ma che dici, stramba?”
“Ma scusa, è da memoriali! Finalmente! È tutta la vita che attendo questo momento--”
“Dora!!!” aveva protestato Bessie, poco ascoltata a dire la verità.
“Eddai Bes, non ci vuole la bacchetta per capirlo, erano anni-- Sirius Black, il mito di Hogwarts, uno dei migliori, il più bello, il più affascinante, colui che fa ciò che vuole nonché il temibile Mangiamorte braccio destro di Tu-sai-chi… è geloso marcio di Piton, lo sfigato Pitocchio!”
“TONKS!!!” l’aveva redarguita severamente Bessie, ma Harry aveva notato che sotto sotto gli occhi le brillavano. “Che poi lo è sempre stato,” aveva aggiunto l’altra grattandosi la testa. “Solo che non lo ammetterebbe neanche a morire.”

E poi Bessie si era risvegliata anche da quel sogno, ricordo di un episodio avvenuto durante il periodo di Natale. Un sogno divertente, certo, ma che sul finale le aveva lasciato addosso uno spiacevole presentimento, come qualcosa di unto che non voleva saperne di levarsi dalla pelle.
Si era alzata -- tanto sapeva che non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi. Dalla finestra s’insinuava ancora il buio, s’infilava nelle ossa come una minaccia acuta, e Bessie si era sfregata le braccia per scaldarsi. Aveva sfogliato alcune missive, soffermandosi su una ricevuta il giorno prima dalla McGrannitt che la informava degli ultimi avvenimenti ad Hogwarts: doveva proprio scrivere a Harry, incoraggiarlo dopo gli ostacoli della Umbridge - quella donna orribile! Gli avrebbe promesso che anche lei sarebbe tornata ad essere un Auror, insieme a lui!
Sirius si era rigirato nel letto, socchiudendo a fatica gli occhi.
“Che ci fai alzata?” le aveva mormorato, la voce confusa dal sonno. Bessie avrebbe voluto rimanere per sempre a guardarlo, a commuoversi così.
“Stavo pensando di scrivere ad Harry.”
Sirius aveva aperto del tutto gli occhi, ormai sveglio. “Adesso, Elizabeth?”
“Sarà -- sarà meglio chiudere la finestra, prima che entri la luce, non trovi?”
“Hai paura che il mondo sappia di noi?” aveva sogghignato lui estraendo un braccio nudo dalle coperte. Bessie si era morsa un labbro.
“Forse sì.”
Lui aveva puntato un gomito sul cuscino, poggiandovi il capo per guardarla.
“Sappiamo ancora come si fa ad essere felici?” aveva domandato lei solo per sentire la sua voce.
“Elizabeth.” Sirius si era fatto serio, e le aveva fatto cenno di avvicinarsi. Quando lei si era seduta sul bordo del letto le aveva scostato delicatamente i capelli dal volto, in quel gesto diventato dolce abitudine nel corso degli anni. Ci aveva messo tutta la tenerezza di cui era capace, tutti i sentimenti che aveva bisogno di farle capire. Tutta l’assenza di difese che era riuscito a permettersi pur essendo Sirius Black. “So di avere -- i capelli più lunghi, e la barba, se capisci quello che intendo... ma sono arrivato fin qui con gli stessi vestiti di allora. Io... ho sempre le stesse foto in tasca, Elizabeth.”
Lei aveva scrollato le spalle, decisa. “Non è più solo questo. Io -- voglio entrare nel tuo dolore, Sirius. Voglio esserci. Mi dirai anche stavolta che non è il momento?”
Sirius, incapace di parlare, aveva scosso il capo. L’aveva attirata a sé, e per una volta a Bessie non era sembrato di raspare con le unghie contro un muro, mentre si aggrappava a lui; per una volta non era stata la provvisorietà a stringerla. Aveva sentito il suono di risate che durano tutta una notte, e pezzi di conversazioni e odori diversi che si confondevano insieme, e le impronte che avevano addosso erano uscite piano per ritrovarsi. Mentre il buio piombava di nuovo nella stanza come a custodire un segreto, aveva sentito tutta la stanchezza andarsene per lasciare il posto all’amore.






Hurray for a child
That makes it through
If there's any way
Because the answer lies in you
They're laid to rest
Before they know just what to do
Their souls are lost
Because they could never find
What's this life for
I see your soul, it's kind of gray
I see your heart, you look away
You see my wrist, I know your pain
I know your purpose on your plane
Don't say a last prayer
Because you could never find
What's this life for
But they ain't here anymore
Don't have to settle the score
Cause we all live
Under the reign of one king


Creed - What's This Life For?


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Capitolo 21
*** La Stanza dei Misteri, 21. ***





***RIVEDUTO E CORRETTO***


ci ho messo tanto. non riuscivo a rendere giustizia a questo capitolo... spero ora di essere riuscita almeno in parte nel mio intento. c'è poco da dire al momento... ho fatto le bamboline di alcuni personaggi, controllerò se metterle su internet ed inserire qui il link infrangerebbe ottomila regole di questo sito oppure no.



La Stanza dei Misteri, 21.



Extra.
In qualunque luogo mi trovi, l’aria oggi ha un sottofondo di tristezza. È come un rumore di pioggia che m’inzuppa le ossa, e fra il suo tamburellare la gioia giace ormai sul fondo. Questa notte ho sognato Lily... sorrideva.
Sogno ogni notte. Credo non significhi nulla. Allora perché mi sconvolge tanto?
È una domanda così fragile, perché. Ci sono delle domande che fin dalla loro formulazione sono destinate al fallimento. Perché è una di queste.
Quando mi sono svegliata Sirius era al mio fianco. Allora ho pensato che dovrei smetterla, con questo voler ritornare a casa. È lui la mia casa. Non riavrò ciò che è stato.




42.
Bessie era entrata al Ministero con Silente, e mentre correvano verso l’Ufficio Misteri aveva pensato che di sicuro Sirius sarebbe stato arrabbiato con lei perché non era arrivata subito per dare una mano a Harry. Forse mi guarderà con freddezza. Sarebbe stato deluso di lei? L’avrebbe rimproverata? Ad ogni modo, l’essenziale ora è pensare ai ragazzi. Speriamo stiano tutti bene -- oh, Dio! Devono! Era corsa avanti senza più pensare a nulla, i suoi passi esili eco di quelli più fermi del mago. Non le era mai piaciuto stare così al chiuso, così in fondo. Lei amava il vento sulla pelle e l’odore pungente di certe foglie o di certe scogliere, e poi se avesse potuto scegliere il posto in cui morire avrebbe definitivamente optato per una riva di qualcosa e non per lo sgabuzzino del Ministero. “Non mi piace,” aveva mormorato sentendo per un attimo lo sguardo indulgente di Silente su di sé mentre correvano. Non le piaceva davvero.
In più si sentiva strana... ma forse era solo il tornare in servizio attivo dopo tanto tempo.
Harry.
Da una porta in fondo veniva un miasma nauseabondo di carne bruciata. Bessie era rabbrividita, aveva fatto in tempo ad immaginare lo sguardo accigliato di Silente; era un odore così acre e penetrante che aveva sentito quel supplizio su di sé, gridando per lo spavento e cercando di raggiungersi con le mani un punto tra le scapole per togliersi di dosso il dolore, come un incubo che ricominciava.
Basta.
Silente le era finito addosso in mezzo a tutta quella tortura, aveva sentito la sua barba solleticarle le guance e le era venuta voglia di toglierla da lì a costo di strappargliela; prendendola prima per un ginocchio e poi per le braccia l’aveva rimessa in piedi, e per fortuna era Silente e non qualcun’altro: non avrebbe voluto che nessun’altro l’avesse vista così.
“Cazzo,” aveva ansimato sconvolta, senza badare al linguaggio. “Scusa,” aveva aggiunto poi cogli occhi spalancati per quel momento di debolezza. Come in una specie di linguaggio in codice quello era stato il segnale con cui lei gli aveva indicato che potevano ripartire. Mentre riprendevano la corsa un boato li aveva raggiunti con prepotenza da una porta sulla destra. Bessie, nella foga, aveva sbattuto con la spalla contro una colonna.
“Sei pronta,” le aveva annunciato Silente. Bessie non aveva sentito nessun punto di domanda.
“Okay,” aveva detto. Non aveva mai pensato davvero che potesse capitare di nuovo qualcosa. Non così presto. “Dio ti prego, fa’ che siano -- interi.”
Quando avevano raggiunto la stanza tutto intorno si era tramutato in un momento gelatinoso: tra strilli di spavento e di sincera gioia per l’apparizione di Silente non si era più capito nulla, come se i battiti del mondo fossero rallentati insieme alla battaglia.
Il suo sguardo aveva subito cercato Sirius, e quando l’aveva scorto la sua espressione le era sembrata strana -- non era arrabbiato, l’aveva fissata e poi in una frazione di secondo aveva guardato la persona con cui stava duellando: spostando lo sguardo dall’una all’altra si era reso conto immediatamente del fatto che anche Bellatrix Lestrange aveva notato Bessie.
La cosa più terribile di Bellatrix, aveva pensato Bessie, è che anche un istante prima di ucciderti il suo volto ha un’espressione dolcissima.
Era stato un attimo: nell’immobilità della situazione Sirius aveva avuto un guizzo, era stato come sempre il primo a muoversi. Si era rivolto alla cugina con aria beffarda, con una risata distorta dalla tensione l’aveva costretta ad occuparsi di lui, apostrofandola.
“Avanti, puoi fare di meglio!”
La sua voce echeggiava ancora nel salone mentre un fiotto di luce verde lo raggiungeva e lo colpiva in pieno petto. Bessie non aveva più visto altro che gli occhi di Sirius che si sgranavano increduli mentre il suo corpo si sollevava da terra, come preda di una forza incredibile, e finiva dietro il velo. L’immagine era talmente terrificante che le era sembrato fosse durata anni, prima di scomparire. Quantomeno, aveva pensato udendo l’esclamazione di trionfo della donna, lei si era sentita invecchiare di anni.
Non aveva sentito il suo stesso urlo uscire lacerandole la gola, contorcersi ed intrecciarsi con il medesimo “SIRIUS!” lanciato disperatamente da Harry. Aveva spalancato gli occhi, Bessie, e le forze le erano mancate di dosso con la stessa rapidità. Era finita in ginocchio, ciondolando per il contraccolpo, le braccia abbandonate lungo il tronco come se non sapesse più di averle.
È impossibile, impossibile.
Dì che è solo un sogno.
Mantienimi viva.

Non aveva visto la battaglia riprendere. Poco distante aveva sentito Harry urlare ancora ed una voce conosciuta rispondergli tentando di calmarlo, ma i suoni non raggiungevano più la sua testa. Non si accorgeva più di niente.

Harry, voltandosi per divincolarsi, aveva notato Bessie in quelle condizioni e l’aveva indicata a Lupin. Lui dopo un attimo di esitazione aveva lasciato il ragazzo per soccorrerla; aveva cercato di scuoterla, si era portato il suo braccio attorno alle spalle per sostenerla e Harry ne aveva approfittato per inseguire Bellatrix Lestrange, cieco di rabbia e di dolore. Lupin aveva soltanto potuto gridargli di fermarsi, prima di scorgere Silente che si muoveva dietro di lui.
Si era guardato intorno: Tonks era a terra, Malocchio sembrava ridotto male e Sirius era morto. Era sicuro che fosse morto. Come poteva essere morto? Cosa poteva fare, ancora una volta? Perché toccava sempre a lui rivivere le stesse situazioni, gli stessi dolori, le stesse perdite? Cercava di far riprendere Bessie che sembrava in stato catatonico e si lasciava muovere guardando chissà dove. Lupin aveva avuto paura di controllarle il battito, dopo quanto era successo, perché se l’avesse fatto probabilmente avrebbe scoperto che il suo cuore si era fermato.
C’è qualcosa qui dentro, come un sole che brucia. Ma un sole non può morire tra le fiamme, e che tu ora non sia qui è semplicemente irreale. Dì il mio nome Sirius, aggrappati pure alla mia carne. Non riesco a far smettere le mie mani di tremare, è come se tutto intorno non avesse un senso.
Che sta succedendo là fuori, Sirius? Dimmi, che sta succedendo?
Dentro di me sento un rumore di bicchieri che si frantumano. Di un colpo di fucile. Questa mia piaga inizia con qualcosa che ha a che fare con uno strano, terribile silenzio.

Un ultimo sforzo, che per le fatiche, le ferite che aveva addosso e i pensieri che gli rimbombavano nel cervello gli era sembrato sovrumano, e Lupin era riuscito a farla alzare in piedi.

Quando era tornato indietro insieme a Silente, un Harry furibondo, straziato dal dolore, non era riuscito a rendersi conto bene della situazione. Nella stessa stanza c’era Caramell che blaterava e balbettava senza sosta; c’era Moody che sanguinava e soccorreva Tonks, in apparenza svenuta; c’era Lupin che sorreggeva Bessie perché non sembrava in grado di restare in piedi da sola. Aveva gli occhi vacui, Bessie, che guardavano oltre, Dio solo sapeva cosa.
Mi sento come se ti avessi appena conosciuto, sperduta e nuda da qualche parte. Per favore dì qualcosa, non essere più spaventato da me. Non svanire un’altra volta. Stringimi, mi sento fragile: sono ancora dannatamente la tua principessa di vetro...
Non c’è sangue intorno. Non c’è il tuo sangue.
Il fatto che non ci sia m’impedirà per sempre di crederci.
Per quanto una persona può resistere in piedi senza schiantarsi? Dovrò cadere di nuovo? Dovrò morire, devo morire di nuovo Sirius?
Sto ancora aspettando che tu torni fuori di lì. Vieni a prendermi ti prego, prima che i miei fantasmi abbiano la meglio.

Solo una volta, per pochi istanti, si era ripresa mentre il corpo di Tonks le passava accanto, diretto al San Mungo, e Moody riusciva a sussurrare qualcosa a Lupin prima di venire accompagnato a sua volta.
“Non il San Mungo!!!” aveva supplicato. “Non di nuovo lì, ti prego, Remus!!!”. Sembrava terrorizzata.
Kingsley, che tutto sommato se l’era cavata senza troppi danni, si era avvicinato a Silente interrompendo il suo dialogo con il Ministro e bisbigliandogli qualcosa nell’orecchio.
“Ha bisogno di cure, lo sai,” aveva scosso il capo il vecchio. Harry aveva sentito soltanto un “Madama Chips” nella risposta di Kingsley, poi Silente aveva guardato la ragazza con intensità prima di chinare lentamente il capo in segno d’assenso. L’attimo dopo, vorticosamente, il preside aveva smesso di parlare con Caramell e si era voltato verso di lui, mandandolo ad attendere nel suo ufficio. Ferito, pesto, sanguinante nell’animo, Harry non aveva visto più nulla.



43.
Dove sono i miei pensieri? Dove sono le tue parole, Sirius Black? Perché questa nostalgia, già pesante come una lettera lontana?
Non posso permettere che tu te ne vada. Come posso lasciarti andare Sirius, lasciare che ti fermi da solo senza nessuno a volerti bene o a difenderti?
Le ombre rapiranno anche te. Chi sarò ora, perdendoti per sempre?




44.
Ognuno muore in modo diverso, pensava Lupin da una stanza buia mentre vegliava Bessie. Ne ho visti tanti, e non è mai stato lo stesso. Quand’è che uno decide di averne visti troppi? Come capisci che non ne potrai sopportare altri? In fondo, piangere non serve. Muore qualcuno ad ogni minuto. Ad ogni angolo. Bisognerebbe guardare queste cose con gli occhi del mondo, e sarebbero solo dei pezzi di strada. Qualcuno dice che i licantropi hanno gli occhi del mondo. Vorrei quegli occhi.
Quando Eliza è entrata a far parte delle nostre vite, ho sperato che si innamorasse di lui. L’ho pensato per Sirius, perché era qualcosa che gli mancava; forse è normale, all’epoca soltanto lui era mio amico. A dire la verità Sirius e James sono gli unici per cui mi sono spinto oltre i limiti della ragionevolezza. E così non mi sono preoccupato, non ho pensato che se una pietra preziosa va in frantumi poi non la si può riaggiustare. Me ne rendo conto ora, mentre prego che non sia tardi.
Il giorno in cui si sono messi insieme ricordo che Sirius era tornato dall’infermeria barcollando come un ubriaco, pieno di graffi e fasciature -ho sempre pensato che Sirius avesse meno fasciature di quante gliene sarebbero servite-. L’ho guardato, gli ho chiesto se fosse andato a scuola di fascino. Lui ha sorriso, poi mi ha stampato un bacio sulle labbra.
Adesso è morto.
Muoiono persone ad ogni pezzo di questo svolgersi. Non ha senso. Ma per me ora, ha più senso della morte stessa.


Lupin aveva guardato Bessie che dormiva sotto sedativi. La sua espressione non aveva mai perso l’aria corrucciata e sofferente, sembrava che riuscisse ad esprimere il suo dolore soltanto nell’inconscio. Le aveva rimboccato le coperte, sistemandole un polso che si era incastrato sotto il cuscino. Di tanto in tanto le tastava la fronte per controllare che fosse tutto a posto. Le accarezzava il volto per vedere se sarebbe riuscita a rilassarsi.

C’è così tanto silenzio qui, mi travolge e non posso nemmeno piangere. Posso solo portarmelo addosso come se fosse un altro dei miei logori mantelli. Anche se ora chiamassi Eliza, lei non risponderebbe. Impara, Remus Lupin. Diventa licantropo.
Ogni volta, è come se fossi già stato qui. Adesso anche quel mondo vivrà soltanto nel mio ricordo.
Ci sarà dolore. Non potrò capire. Non potrò accettarlo.


Bessie si era svegliata con un singulto strozzato, come un urlo che non era stato in grado di uscire. Si era alzata a sedere di scatto, portando le mani alla gola. Respirava pesantemente, con ansia, e Lupin le si era subito avvicinato.
“Io... Remus--” era riuscita a bisbigliare fiocamente “...è tutto vero?”
Lupin le aveva stretto forte una mano, senza riuscire a risponderle. Doveva averle fatto male. Lei si era voltata a guardarlo con due occhi imploranti che l’avevano ferito nel profondo. “L’ho appena... rivisto, quel momento--” aveva agitato una mano nell’aria, come se stesse annaspando. “Credevo di averlo solo sognato...”

La Morte, aveva pensato Lupin quando i sedativi erano tornati a fare effetto su Bessie, è qui ora. Cosa ne farò? Non dovrei interferire.
Mi manca.
Il buio risuona contro le mie orecchie, le ferisce e tuona e rantola, e mi ricorda che tutto è cambiato. Se mi addormentassi, cosa sognerei io? Sognerei da uomo o da lupo mannaro? I sentimenti sono sempre esagerati, vorrei essere un po’ meno uomo. Ma se lo fossi, pagherei per il mio oblio il mancare a chi ha bisogno di me. Non sarò mai per qualcuno del tutto. Non potrò mai esserlo. Non potrò mai chiedere a qualcuno di restare. È come un vortice, è un mare di fango che mi sta sommergendo e non mi lascia respirare. Mi porta dove vuole, guardo Eliza e non è più la stessa. Io non sono più lo stesso. Forse non lo saremo mai più.


“Remus,” la mano di Madama Chips si era posata sulla sua spalla. “Sono ore che stai qui ormai, dovresti dormire anche tu. Ne hai bisogno.”
Lupin aveva scosso la testa.
“Davvero,” aveva insistito lei. “Sei stato ferito, hai combattuto, non puoi reggere! Non è... saggio, da parte tua.”
“Guardi a cosa mi ha portato l’essere saggio, fino ad oggi...” aveva mormorato lui, indicando il letto su cui stava stesa Bessie. Succederà che un giorno avrai bisogno di me ed io non ci sarò, non sarò in me.
“Non dire così! Sono cose che non si possono prevedere. So che Sirius Black era un tuo amico, ma... non servirà. Non servirà a nulla.”
Lupin era tornato a guardare Bessie, così fragile, così indifesa. Le aveva scostato inconsciamente i capelli dal volto, ne aveva ascoltato il respiro regolare, aveva cercato di distenderle la ruga che le solcava la fronte tra gli occhi.
“Sì che serve.”

Ricordo un giorno, eravamo ragazzi. Sirius ed io studiavamo in biblioteca... ma sarebbe più corretto dire che io studiavo, lui si sforzava in tutti i modi di compiacermi. Stava lì, ed era chiaro che avrebbe voluto essere ovunque, piuttosto; non riusciva a stare fermo con le gambe, impaziente di correre, di sporcarsi, di combinare qualcosa. Sembrava un bambino. Da questo punto di vista, Sirius lo è sempre stato. Non è mai riuscito ad aspettare, non è mai riuscito a fermarsi in tempo. È sempre andato un po’ più in là.
Però mi voleva bene e voleva farmi piacere, così cercava di mantenersi impegnato ed in silenzio, nonostante la sofferenza che questo gli provocava, nonostante il pensiero di tutto quello che avrebbe potuto fare in alternativa.
Poi è arrivato James, è entrato con entusiasmo nella biblioteca senza curarsi del divieto di parlare a voce alta. Ci ha salutati, se n’è uscito con una delle sue idee bizzarre. Gli occhi di Sirius si sono illuminati. Ricordo di essermi sentito ferito. Sirius non se n’è accorto, non ha rinunciato a divertirsi per non farmi sentire un idiota come sarebbe successo in uno dei miei libri.
Non era un essere perfetto, Sirius Black. L’amavo per questo.


La luna era entrata dalla finestra come il canto del cigno, si era posata sui capelli di Bessie. Lei aveva le labbra così rosse! È talmente bella, in questo momento! Così piccola, anche.

È ingiusto.
Fuori forse circolano delle auto, e c’è qualcuno che già si sveglia, e tra poche ore sarà tutto un brulicare di vita senza che nessuno sappia. Non è solo Sirius, è Voldemort, è tutto il mondo.
--Avanti, a chi vuoi darla a bere, Remus? A te importa solo di Sirius. Lui aveva bisogno di te... ma non c’è più, al mondo. C’è un rumore, ed è come un cuore che si spezza, come se tentasse di salvarsi legandosi al tuo stomaco, mentre ripensi alla sua espressione quel giorno di tanti anni fa, dopo che per colpa sua Piton aveva scoperto il tuo segreto.


Aveva pensato a Bessie. Come potrò aiutarla? C’è tanta tristezza al mondo, ed io sono talmente stanco!
L’aveva controllata, poi si era grattato via dalla faccia una bava di sangue rappreso.

Una volta conoscevo un ragazzo... lui aveva sempre paura di voltarsi, quando qualcuno gli andava a parlare. Come se avesse paura di venire sorpreso, di sentirsi vulnerabile ed un perfetto idiota, se prima non avesse assunto il suo aspetto di bravo ragazzo e bravo studente con la spilla. Sirius è stato il primo a farmelo notare, a mandarmi a quel paese per questo.
Mi è morto davanti agli occhi, ed io non ho potuto fare altro che raccogliere il suo ultimo respiro.


“Madama Chips mi ha detto che non vuoi muoverti da qui, Remus.”
“Silente!” Lupin era sobbalzato. Il vecchio mago aveva un’aria terribilmente stanca, gli occhi cerchiati da troppe sofferenze. Si era chiesto come dovevano essere i suoi.
“Dovresti riposare.”
“Non sono l’unico.”
Silente aveva scosso il capo. “Ho parlato con Harry.”
“Come... come l’ha...?” aveva provato a chiedere, senza riuscire a portare a termine la domanda. Silente aveva scosso il capo di nuovo.
“E se sbagliassimo?” Lupin aveva posto la seconda domanda senza guardarlo, pettinando con le dita i capelli di Bessie. La sfiorava con delicatezza, temendo di svegliarla. “Forse un giorno avremo vinto questa malvagità, allora davvero potremo riposarci? Davvero avremo finito?”
Silente si era avvicinato di un passo.
“Cerchiamo tutti delle certezze, Remus, ma è proprio il contrario a renderci così meravigliosamente vivi ed autentici. Se non sguazzassimo in mezzo a tante insicurezze per tutto il tempo non varrebbe la pena di essere certi di qualcosa così tanto da essere pronti a rischiare la nostra vita per esso. Allora anche l’amore, gli ideali, la morte, avrebbero meno valore.”

Vorrei sapere perché.
È una domanda stupida, perché. Ma ne ho bisogno lo stesso. Non può essere morto per nulla.




45.
Il giorno seguente, mentre tutti erano riuniti nella sala grande tra banchetti e rivelazioni era sopraggiunto Lupin spalancando di colpo una porta interna e precipitandosi verso il tavolo degli insegnanti. Alcuni studenti, riconoscendolo, l’avevano salutato sorpresi, altri si erano ritirati con ribrezzo: Draco Malfoy era fra questi. Lui aveva risposto con dei cenni gentili a tutti ma aveva proseguito di fretta, raggiungendo il tavolo e bisbigliando qualcosa con aria preoccupata.
“Che COSA?” aveva tuonato la McGrannitt “Come sarebbe a dire che è scomparsa?
Nell’inevitabile agitazione che era scaturita tutt’intorno molti professori avevano preso a parlare contemporaneamente, allarmati, e pure gli studenti borbottavano tra di loro, ancora scossi dalle parole di Silente su Voldemort. Curiosi e timorosi per quel nuovo problema a loro ignoto, si sporgevano per carpire informazioni o creavano teorie su teorie. In tutto quel caos avevano faticato non poco ad accorgersi della vocina che giungeva da un cornicione altissimo (appena sotto il soffitto del salone), mitigata dalla grande distanza dal suolo. Bessie si era resa di nuovo visibile, abbarbicata lì sopra, ed alcuni studenti avevano preso ad indicarla con la mano.
“Sono… sono qui--”
“Sei lì? Scendi IMMEDIATAMENTE, per tutti i goblin!” le aveva ingiunto la McGrannitt appena prima di aiutarla con un Locomotor che però, avevano notato i ragazzi, sembrava realizzato con estrema delicatezza. Nessuno fra gli studenti, a parte un piccolo gruppetto ben noto ed altrettanto sorpreso, era riuscito a riconoscere quella ragazza e soprattutto a sapere cosa ci facesse ad Hogwarts -- in un punto tanto pericoloso poi. Erano rimasti in religioso silenzio ad ascoltare lo sfogo della professoressa contro di lei, sperando di capirci qualcosa.
“Benedetta ragazza,” gracchiava la McGrannitt con voce stranamente stridula e strozzata, “cosa credevi di fare --romperti l’osso del collo?! Dovresti essere in infermeria!!!” strillava, finché lei in lacrime aveva mormorato qualcosa.
“Mi scusi professoressa, avevo solo voglia… di rivedere--” aveva indicato gli studenti nella sala, che nel frattempo allungavano il collo.
Silente le aveva posato una grossa mano sulla testa, concludendo la questione. “Va bene così, Minerva.”
“Mi dispiace” aveva mormorato Bessie al suo indirizzo. “Mi dispiace.”
“Non va bene affatto,” aveva protestato la donna tornando a sedersi e permettendosi solo in quel momento di dimostrare la sua preoccupazione.
Silente le aveva sorriso. “E’ tutto a posto. Ora però torna di là. Remus…?” l’aveva cercato con lo sguardo.
“Certo, Albus. L’accompagno io.” Così dicendo Lupin l’aveva raggiunta e stretta a sé cingendole le spalle con un braccio; poi l’aveva guidata lungo la sala, proteggendola più fisicamente che poteva da tutte quelle presenze ben poco discrete.

Mentre avanzavano si erano spalancate le porte della sala: Gazza aveva fatto automaticamente per accorrere e poi si era bloccato a fissarle atterrito, senza comprendere cosa fosse successo. Piton istintivamente aveva estratto la bacchetta, stringendola nel pugno; era stato seguito a ruota dalla McGrannitt, ma prima che qualcuno potesse agire era entrato un grosso gufo scuro con un pacco legato alle zampe. Aveva proseguito fino al centro della sala, lasciandolo cadere davanti a Bessie con un tonfo che si era propagato fino a far vibrare le pareti. Alcuni ragazzi si erano tappati le orecchie con le mani.
Lupin si era fatto avanti: liberandolo dalla carta che lo ricopriva aveva visto che era una specie di armadietto abbastanza piccolo. Con una strana sensazione aveva cercato di coprirlo con il proprio corpo mentre si accingeva ad aprirlo; Bessie, tuttavia, si era avvicinata per vedere di cosa si trattasse, circondata dai respiri trattenuti dai presenti.
Una volta aperto, Lupin aveva appena fatto in tempo a capire che si trattava di un molliccio che si era parato davanti con più decisione, nascondendolo dietro le spalle. Aveva urlato a Bessie di non guardare, spingendola di lato e cercando di eliminarlo il prima possibile senza che i ragazzi potessero capire. Lo spostamento d’aria, però, aveva fatto volare un biglietto che evidentemente accompagnava lo sgradito pensiero, e Bessie lo aveva afferrato con due dita.

*Dividilo pure col piccolo Potter, Lovelace. I ricordi si godono meglio in compagnia. B.L.*



Si era lasciata sfuggire un urlo angosciato che non era proprio un urlo, era come un rumore di sabbia che gratta dentro la gola, come se qualcuno le si fosse arrampicato su per il collo. Piton, che si stava avvicinando per coadiuvare Lupin, l’aveva afferrata al volo come temendo che potesse crollare o sbriciolarsi da un momento all’altro davanti ai suoi occhi. “Che diavolo--” aveva imprecato.
Lupin gli aveva indicato con la bacchetta il globo argenteo che era appena comparso davanti ai suoi occhi, poi aveva esclamato chiaramente: “Riddikulus!”
“Ieri,” aveva ringhiato tra i denti Piton mentre Lupin annuiva. “Capisco.”
Silente li aveva raggiunti imponendo a tutti di restare seduti e tranquillizzandoli perché non andassero nel panico, dal momento che non capivano cosa stesse succedendo. Avevano letto il biglietto facendosi seri. Silente l’aveva intascato raccomandando a Lupin di riportare Bessie in infermeria il prima possibile e lui, senza ascoltare le proteste della ragazza, l’aveva presa tra le braccia trasportandola con cautela infinita.
Poco prima di riprendere posto al tavolo Silente aveva incrociato gli sguardi di Ron ed Hermione. Aveva fatto loro un cenno brevissimo per tranquillizzarli.



46.
Il giorno seguente Harry era in stazione in compagnia dei fratelli Weasley e di Hermione. Gli sembrava tutto così strano, la sua vita era radicalmente mutata in poche ore! Credeva di poter andare a vivere con Sirius e invece Sirius non c’era più, e lui era venuto a conoscenza di un segreto che non gli avrebbe mai più permesso di sentirsi solo un ragazzo, mai più. Si era dedicato al controllo dei bagagli con cura minuziosa, contando e ricontando le sue due valigie. Si era assicurato che la gabbia di Edvige fosse ben chiusa e che il gufo fosse provvisto di acqua e cibo a sufficienza. Cercava di non pensare al fatto che niente sarebbe stato più lo stesso, e che in ogni caso sarebbe dovuto tornare dai Dursley. Improvvisamente, però, davanti a lui c’erano Lupin e Moody ed i signori Weasley e Bessie.
C’era qualcosa di buffo nel modo di Malocchio di posargli una mano sulla spalla con aria concentrata, come controllando di non lasciarla lì per troppo tempo. Almeno, aveva pensato Harry, nessuno di loro gli aveva chiesto come stava. E poi il modo che aveva Moody di mettere una mano sulla spalla non era male, non era come Mettere La Mano Sulla Spalla Perché--. Quel loro modo di salutarlo gli aveva provocato un moto di gratitudine. L’avevano abbracciato, incoraggiato. Avevano parlato con i suoi zii.
Erano lì per lui. Soltanto per lui.
Proprio mentre stavano ormai per andarsene Bessie, che non aveva parlato e si era a malapena guardata intorno fino a quel momento, si era staccata dal gruppo avvicinandosi; aveva studiato per un attimo il livido viola che colorava il viso di Harry come una melanzana, e lui era arrossito riflettendo su come doveva apparire anche a chi fingeva ostinatamente che non fosse successo nulla. Gli aveva rigirato il colletto della maglietta nascondendo una piccola macchia giallina, poco eroica e poco tragica e poco adatta. “Ecco,” aveva mormorato emettendo un tenue suono soddisfatto. A Harry era sembrato che la sua mano tremasse. “Ci sono degli incantesimi, per quando -- sporcizie. Basta un momento. Molti incantesimi, io, ah -- non sono poi così brava come crede Tonks,” aveva concluso con un’ultima spolveratina.
Lui si era sciolto i muscoli della schiena con una scrollata. Hermione e Ron lo aspettavano in treno. “Magari non sarà così brutto,” aveva mormorato per dire qualcosa. Si era reso conto che quella frase non aveva nessun senso, non aveva proprio nessun senso. Avrebbe potuto dire “Mettiamoci a mangiare una giraffa,” o “Ecco qua la sedia,” e non sarebbe cambiato molto.
“Se stringi così tanto schizzerà fuori,” lo aveva messo in guardia Bessie, e per un incredibile istante Harry aveva creduto che parlasse del suo cuore o del suo cervello prima di notare che indicava la cioccolata che teneva in mano -- e in realtà anche questo non aveva proprio nessun senso e allora era incredibilmente bizzarro che lui riuscisse a sentirsi confortato da quelle parole; da quelle inutili, patetiche parole su del cioccolato mezzo sciolto. E improvvisamente il cioccolato era al centro dei suoi pensieri, a dispetto di Sirius, a dispetto di Voldemort, a dispetto di una notevole dose di buon senso.
“Di sicuro ti finirebbe, avresti--” aveva mimato un’esplosione di cacao addosso alla ragazza, “faccia. Sai, l’isola. C’era -- ti ricordi.”
“Mi ricordo.”
L’aveva fatto sentire meglio. Gli sarebbe piaciuto che anche lei si fosse sentita meglio, che non parlasse così piano tutto il tempo. Non l’aveva mai sentita parlare così piano. Ora dovrei smetterla di fissare qualcosa oltre le tue spalle e salutarti, aveva pensato. Si era schiarito la gola cercando le parole giuste. Lei aveva spostato il peso del corpo da un piede all’altro e Harry improvvisamente si era reso conto che questo di salutarla era la cosa più difficile che avesse cercato di fare in tutta la sua vita. Sapeva che erano entrambi zitti da troppo tempo e che Ron e Hermione lo aspettavano e l’espresso stava per partire, ed era impressionante come un punto oltre le spalle di una persona potesse focalizzare così tenacemente la tua attenzione da impedirti di agire come un essere umano qualunque.
“Possiamo -- possiamo continuare a tacere ogni volta che ci vediamo,” aveva interrotto lei il corso dei suoi pensieri. “La trovo un’opzione piacevole, se giuriamo di non darci mai pacche sulle spalle, sai -- quel tipo di cose. Quelle che si fanno quando qualcuno, uh, quando perdi -- lo sai. Anche perché non credo che l’opzione ‘cancella ciò che è successo’ sia compresa nel nostro ventaglio di possibilità,” aveva concluso, e a Harry era sembrato che si accasciasse subitaneamente sotto il peso di qualcosa. Voleva talmente tanto parlarle per smuoverla che pur di non restare zitto stava per arrendersi a un Non sarà sempre così terrificante o Facciamoci una partita a Quidditch, che poi avevano lo stesso grado di probabilità -- ma poi un tocco insperato di buon senso l’aveva fatto risolvere in ficcarsi le mani in tasca. Anche la lingua, aveva pensato. Bessie si era schiacciata contro il pilone del binario come se sperasse di entrare a farne parte. Aveva emesso un sospiro piccolo piccolo e strano, era un respiro debole e irriconoscibile e Harry, chissà perché, ne era stato terrorizzato più che da tutto il resto.
“Bessie,” aveva detto. E stupefatto si era reso conto che era l’unica cosa giusta da dire.
Lei l’aveva stretto così forte che Harry aveva temuto di soffocare. Poi, nello staccarsi, un attimo prima di voltargli le spalle gli aveva sussurrato all’orecchio “Scrivimi…”







Goodbye my lover
Goodbye my friend
You have been the one,
You have been the one for me.


James Blunt – Goodbye My lover





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Capitolo 22
*** Grimmauld Place, 22 ***


oddio ragazze, siete fantastiche... voi mi dite che riesco farvi ridere, che riesco a commuovervi, questa cosa è... è... non so come farei senza di voi! *_* non so cosa dire, grazie!



Grimmauld Place, 22



47.
“Oh Dio, oh Santo Dio, Santo cielo Santo Dio!!!”
“Mamma, per favore!!!
“Sì Bill, sì, scusami, è che dovremmo... sono sicura che dovremmo... cosa diamine dobbiamo fare?”
“Vado a chiamare Remus.”
“Certo, è l’unica soluzione... oh, Santo cielo, ma dove può essere scappata?”
“Non lo so... è talmente sconvolta...”
“Oh, Dio!!!”



48.
Bessie era entrata al numero 12 di Grimmauld Place, il passo cauto come se temesse l’esplosione di una bomba da un momento all’altro. Intorno era buio. Si era diretta con decisione verso la porta che era sempre rimasta chiusa durante la sua permanenza lì, aveva mormorato “Alohomora” facendola spalancare con grazia.
Non so se ho davvero voglia di trovarti, ma questo posto è come una coperta. Non riesco a guardare mentre precipiti in un pozzo troppo profondo perché io possa raggiungerti. Non posso stare qui a sentire che ora non respiri.
Avresti dovuto essere felice, Sirius.
Avrei voluto vederti sorridere, e riposarti. Solo per una volta, avrei voluto che lasciassi il mondo ad arrangiarsi, che non pensassi a tutto quel dolore, e ti rilassassi. Ma non basterà più nessun sole a riscaldarti. Non riuscirò a prenderti per mano. Perché ancora la mia voce trema, impedendomi di cantare?
Quei respiri, come possono finire?
Vorrei solo che potessi dirmi che tornerai, presto o tardi tornerai, prima che le mie braccia siano troppo stanche di vivere. Sto ancora aspettando che tu sbuchi all’improvviso, dicendomi che era tutto uno sbaglio. Sto aspettando quel tuo maledetto sorriso beffardo, perché mi restituisca il mio equilibrio.
C’è odore di te, in questa stanza.
Debilita tutte le mie difese.

L’interno sembrava un cimitero di oggetti abbandonati, distrutti dalla furia di qualcuno. Si era avvicinata ad una valigia vuota che aveva perduto il lucchetto; aveva posato la mano a sentirne la pelle, distrattamente. In quello stesso istante alla sua mente si era affacciata la visione di Sirius che l’afferrava con entrambe le mani e la scagliava lontano, contro il tavolo. Sirius sconvolto, Sirius distrutto, Sirius con l’aria di animale in gabbia, di bestia ferita, aveva ridotto in quelle condizioni la stanza.
“Oh, Dio.” aveva bisbigliato lei, staccandosi subito da quel contatto. Si era portata una mano alla gola, ed una goccia di sudore era scesa lungo la fronte.
La nausea mi assale un’altra volta. Vorrei strapparmi via la pelle. Tutto questo è solo un assurdo proseguire, che senso ha? Ogni volta illudersi e poi perdersi, che senso ha? Ogni volta lascia segni più profondi.
Allora perché sono ancora qui?


“E’ stato lui. Ma è stato molti anni fa.”
Da dov’era giunta quella voce?
“Chi...?”
“Io.”
Aveva abbassato lo sguardo. La voce proveniva dalla valigia.
“Tu... parli?”
“Tutti noi possiamo. Prova a toccare qualcos’altro.”
Bessie esitava, era arretrata di un passo. Poi, con timore, si era guardata intorno e si era diretta verso un vecchio teatrino, in condizioni ancora peggiori di quelle in cui versava la valigia. L’aveva sfiorato.
Ancora più potente dentro di lei, di nuovo Sirius. Sirius che con una spranga di legno colpiva ripetutamente quel teatrino, e disperatamente urlava e ringhiava. Sirius colpiva, colpiva come se pensasse di colpire se stesso. Bessie si era ritratta terrorizzata.
“Sei sconvolta?” le aveva domandato la valigia.
“Cosa significa... tutto questo?”
“Non siamo finiti qui per caso. È stato lui ad animarci.”
“Ma... vi colpiva...”
“E’ stato molti anni fa.” La voce, tremolante, proveniva dal teatrino. Bessie si era voltata a guardarlo.
“Io ero un teatrino molto bello”, aveva proseguito lui. “Aprivo soltanto a Mezzanotte. È a Mezzanotte che tutto diventa magico, no?”
“Io” era intervenuta la valigia “ero una valigia che per quanto venisse riempita, rimaneva sempre vuota; così riuscivo ad evitare certe dolorose separazioni...”
Bessie li fissava, attonita per ciò che sentiva ed ancora profondamente turbata per quello che aveva visto.
“Quelle scale laggiù, loro portavano in un brutto posto. Così alla fine riuscivano a sostenere il peso di un uomo di duecento chili, ma non quello di un bambino. Se uno di loro provava a salirle, si sfasciavano. Delicatamente però.” Bessie aveva guardato le scale. “Invece in quell’angolo troverai della nebbia... lei avvisava sempre le persone che l’attraversavano dei pericoli che si nascondevano dentro di lei. Un giorno però perse la voce, e non ci riuscì.”
“Io... io non capisco. Perché siete qui?”
“Destino. Non servivamo più al motivo per cui ci avevano creati. Qui invece potevamo renderci utili.”
“Qui?”
“L’hai visto anche tu.”
“Ma... quello era...”
“Ciò che hai visto” aveva spiegato pazientemente la valigia rossa “è accaduto tredici anni fa.”



49.
Ho solcato gli oceani per stare con te, e ancora mi manchi.
Mi piaceva attenderti, sapere che ci saresti stato. Ora non posso respirare. Non voglio più parlare. Tutto questo dolore, è semplicemente troppo. Dentro di me solo un terribile bisogno di urlare, e so che non riuscirò a farlo. Conserverò una ad una le mie lacrime, poi un giorno sarà come un temporale di gocce salate.
Non ci riesco. Non riuscirò a dirti addio.




50.
“Sei qui.”
La casa era immersa nel buio e nel silenzio più profondo. Non veniva occupata da pochi giorni, ma già suscitava la precisa impressione di disabitato, come di qualcosa decaduto da molti, molti anni.
“Ciao, Remus.”
“Ci hai fatti preoccupare.”
Bessie si era stropicciata gli occhi. Voleva scusarsi, voleva terribilmente scusarsi. Tuttavia non c’era riuscita. Se ne stava lì, seduta per terra in un angolo della stanza, piccola come non gli era forse mai sembrata. Teneva le ginocchia raccolte fra le braccia, Bessie, e Lupin era rimasto in silenzio di fronte a lei.
“Questa stanza...” aveva mormorato Bessie indicando il luogo in cui si trovavano, senza riuscire ad esprimere ciò che provava. Aveva le guance arrossate dalla tristezza, e gli occhi per contrasto sembravano ancora più blu, come un cielo incredibile. Lupin si era guardato intorno, e in effetti qualcosa lì dentro dava la sensazione che nulla potesse cambiare. Che il tempo rimanesse immobile al momento in cui avrebbero preferito trovarsi, come se fuori non li avesse aspettati più nulla. Si era scostato dagli occhi dei capelli che non c’erano, solo per compiere un movimento. Bessie si era appoggiata con la schiena alla gamba di un tavolo malandato, aveva posato il mento sulle ginocchia. I capelli le erano finiti sugli occhi, e Lupin aveva cercato di nuovo di liberarsi la vista da qualcosa che non c’era.
Sembrava impossibile che, mentre loro due rimanevano lì, nel mondo potesse succedere qualcosa. Che qualcosa fosse già successo.
“Sì”, aveva risposto lui.
Era andato alla finestra, lasciando che la fronte godesse del contatto fresco con il vetro. Era ancora agitato Lupin, ancora preoccupato. Bessie si era grattata un gomito. Pareva che riducesse i movimenti al minimo indispensabile, spezzettandoli per non rischiare di turbare l’atmosfera che si respirava lì dentro.
“Ora dovresti uscire”, aveva aggiunto lui.
“Sai, mi piacerebbe avere una sigaretta.”
“Ma tu non fumi!”
“Lo so. Mi piacerebbe lo stesso.”
Lupin le aveva seguito con lo sguardo i contorni morbidi del collo, le spalle strette, la schiena di nuovo curva contro il suo stesso corpo. La maglietta viola che indossava era strappata in un paio di punti. Per terra, accanto a lei, stava un maglione troppo grande.
Stavano lì, i dialoghi congelati in un non-sapere. I loro rapporti si erano sciolti di colpo: che cos’erano adesso? Come due fratelli senza più i genitori, perché avevano perduto il loro passato, stavano lì dentro; qualcosa rimaneva e qualcosa di nuovo si rivelava. Tutto questo dove li avrebbe portati? Fuori avrebbero dovuto affrontare ciò che era successo, persone, finzioni imposte, ma non in quel momento. Non lì.
“Mi passeresti quel maglione, Remus?”
“Tieni.”
Lei se l’era messo intorno alle spalle.
Erano armati contro il mondo che spingeva per entrare. Bessie aveva pensato ad una notte trascorsa con Sirius poco tempo prima, quando lei aveva chiuso le imposte perché la luce non si accorgesse di loro.
Poi, era entrato Kreacher. Con il passo lento dell’indifferenza si era portato al centro della stanza, li aveva fissati comodamente, inclinando lateralmente il capo. Non aveva detto una parola.
“Fuori di qui” aveva sussurrato Bessie, agghiacciata.
“Eliza...”
“FUORI DI QUI!!!”
Qualcosa si era spezzato. Mentre Kreacher decideva prudentemente di fare dietro-front, Bessie si era alzata con foga. “Fuori di qui, maledizione!!!”, continuava ad urlare con la voce incrinata dal pianto anche mentre gli chiudeva la porta alle spalle. L’aveva sbattuta, l’aveva chiusa a chiave, l’aveva ricontrollata, e tuttavia non era più riuscita a tenere fuori il mondo. Si era mangiata un unghia.
“Maledizione...” aveva mormorato di nuovo, lo sguardo sofferente.
C’era stato un urlo a distruggere il silenzio di quel luogo, e per quanto spranghi le porte quando poi sei al buio diventi solo un bambino, i tuoi sogni preda di quel verso agghiacciante. Un sentimento orribile che pian piano si fa strada tra le tue ossa. Bessie era rabbrividita.
“Dimmi qualcosa, Remus. Dimmi... qualunque cosa...”
Lupin si era schiarito la voce.

Quando aveva terminato di raccontarle quella storia, una storia rassicurante da bambini, era tornato il silenzio. Lupin, seduto al suo fianco, aveva chiuso gli occhi.
Senza interrompere quella sacralità Bessie aveva iniziato a cantare. Piano, pianissimo, come una nenia dolce per addormentare un bambino ancora piccolo. Lupin l’aveva ascoltata senza riaprire gli occhi, sapeva che quella canzone non era per lui. Lui non centrava nulla.
Una volta terminata la melodia, Bessie si era alzata, aveva chiuso le finestre.
“Stacca il telefono”, aveva detto. “Questa casa ha bisogno di dormire.”

*****************************************************************************************************

“Sai Remus, adesso c’è la luna piena.”
“Ma è giorno!” aveva obiettato lui.
“Sì” aveva fatto un gesto noncurante con la mano “ma è come se ci fosse. Questo è un momento da luna piena.”
Lupin era rabbrividito inconsciamente.
“Oh, scusami!” si era affrettata lei. “Non intendevo in quel senso!”
Aveva guardato fuori, verso le imposte chiuse. “Mio padre l’amava, o forse era qualcosa di più, di diverso. Non so, ma non poteva farne a meno. Stava sveglio a guardarla tutta la notte, ed era qualcuno che in altri momenti non era. Ogni volta, lo ricordo benissimo nel portico anche se faceva freddo. Io mi alzavo la notte per spiarlo, e qualche volta me ne stavo raggomitolata accanto a lui. Ripensandoci adesso, credo che in effetti non fosse nemmeno una scelta, la sua. Chissà cosa stava aspettando.”
“Gli rimanevi accanto tutta la notte?”
“A volte mi addormentavo. Lui non si accorgeva nemmeno di me, però poi quando mi risvegliavo sulle mie spalle c’era una coperta calda. Non ha mai dato segno di vedermi, stava lì a fissarla e fumava sigarette e non riusciva a parlare. Mia madre non lo capiva.”
“Tu sì.”
Bessie aveva annuito. “Anche tu”, aveva detto.
Lupin non aveva risposto.
“Una volta ho visto Sirius. Era nelle stesse condizioni, nello stesso modo di mio padre. Non muoveva nemmeno le labbra, ma io vedevo che stava parlando con la luna piena, che stava cercando disperatamente qualcosa senza riuscire a raggiungerla. E tuttavia non poteva smettere, non poteva arrendersi. Non poteva riposarsi.” Aveva sospirato; un lungo, profondo respiro. “Tempo dopo gli ho gridato contro che ero innamorata di lui ma non sapevo nemmeno il perché: non era vero. Non lo è mai stato.”
Erano rimasti entrambi in silenzio, poi Bessie, che fino a quel momento aveva giocherellato con lo strappo della sua maglietta, aveva sollevato gli occhi lucidi verso Remus, sorridendo. “Volevamo bene ad un tipo strano, uh?”

*****************************************************************************************************

Lupin stava aiutando Bessie ad alzarsi, e nell’attimo prima che le loro mani si sfiorassero, i loro occhi si erano incrociati. D’improvviso l’aiuto che lui le stava offrendo era diventato molto più importante di ciò che poteva sembrare. Era simbolico.
Avevano esitato un istante, poi Bessie era rimasta sul pavimento.
Si guardavano, senza sapere che dirsi. Non sapevano quali fossero i loro rapporti, ormai. Erano amici, fratelli, compagni di lotta? Si amavano, si sarebbero respinti, avevano bisogno l’uno dell’altra? Che cos’erano? Cosa c’era da dire, ormai?
“Sei bravo a raccontare storie”, aveva mormorato lei.
Lupin si era accarezzato la nuca. Raccontare era un modo per liberare qualcosa. “A volte è come se una parte di me fosse in prigione.”
Bessie si era morsa il labbro inferiore.
“Come... come credi si sentisse?”
Non parlava di lui. Lui aveva nominato la prigione, e lei aveva pensato ad Azkaban. In Bessie c’era spazio solo per Sirius.
Aveva allargato le braccia, desolato. “Non lo so.”
Lei aveva sgranato gli occhi, stupita, come se non si fosse aspettata quella falla da parte sua. Lui l’aveva visto, aveva stretto lo sguardo. Non sono tuo padre, aveva pensato.
“Scusa.”, aveva replicato Bessie.
“Di che? Io non ho parlato...”
“Sono un Emagus, Remus.”

****************************************************************************************************

Bessie si era stiracchiata, le spalle piccole ed appuntite si erano contorte sotto la stoffa leggera della maglietta. “Sarebbe bello se potessimo fermarci qui.”
Prima che Lupin potesse rispondere, dal corridoio antistante la porta Kreacher aveva sbattuto nervosamente qualcosa per terra, forse un oggetto metallico. “Non c’è più nulla, qui!” aveva gracchiato, ed il suo tono non era fermo.
Bessie, sbalordita, aveva aperto la porta. L’aveva fissato, si erano fissati come in una sfida che concernesse la vita o la morte. Kreacher era stato il primo a distogliere lo sguardo; aveva abbandonato il corridoio come se non avesse avuto importanza.
“Eliza, tu lo sai, dovresti riuscire a spiegarmelo: gli elfi domestici... hanno sentimenti? Kreacher, lui... cosa sente?
Bessie si era voltata verso Lupin. “Non posso dirtelo, Remus.”
Fuori, da qualche parte, un bambino piccolo aveva iniziato a piangere.

Bessie pensava che avrebbe voluto un fratellino minore.
L’avrebbe portato a passeggiare, consolato quando si sarebbe sbucciato un ginocchio, gli avrebbe pulito gli occhi quando si sarebbe svegliato la mattina. Si sarebbe presa cura di lui.
“Come faremo... c’è tutta quella gente là fuori, loro non sanno, non possono capire... ci sono dei bambini che piangono perché è finito il gelato, come potremo proteggerli?”



51.
Erano usciti dalla casa di Grimmauld Place, e improvvisamente Bessie aveva sentito la mancanza della solidità dei muri attorno, della loro protezione. Era rabbrividita.
“Hai freddo?”
“No”, aveva detto.
Aveva ripensato alla storia dei tre fratelli, ai due maggiori che per la situazione disastrata della loro famiglia erano cresciuti aggrappandosi l’uno all’altra non come parenti, ma come persone. Poi erano rimasti soli, e non avevano avuto più la possibilità di essere altro che persone. Si amavano? Lei comunque non avrebbe mai permesso che accadesse, per amore del fratellino.
Avrebbe voluto un fratello più piccolo.
Aveva infilato il suo braccio in quello di Lupin. Poi aveva pensato a quando si era dovuta occupare di un bambino, aveva chiacchierato con lui, avevano giocato. Lui era un magonò, e allora ad un certo punto lei gli aveva costruito delle ali di cartone.
Il bambino aveva piagnucolato. “Ma sono azzurre... le ali di solito sono bianche!”
“Mi dispiace”, aveva risposto lei senza sapere cos’altro aggiungere. Aveva lo sguardo veramente triste, così triste che lui doveva essersene accorto.
“Il cielo è azzurro”, aveva detto allora. “Io sarò il re del cielo!”
Bessie aveva sorriso. Il bimbo aveva sorriso.
“Anche i tuoi occhi sono come il cielo”, le aveva detto.




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Capitolo 23
*** Estate, 23. ***


Come sempre siete fantastiche, insostituibili! *_* e se vado un po' a rilento non è per negligenza, ma per impegnarmi al massimo a sistemare quello che magari ho già scritto con quello che devo ancora scrivere... e continuo ad incrociare le dita!





Estate, 23.



52.(bessie è momentaneamente ospite alla tana, che in un certo senso si è trasformata nell’attuale quartier generale dell’ordine della fenice)

“Bessie cara, ti va una fetta di dolce? Tonks, le passeresti...”
Bessie aveva respinto l’offerta con un sorriso. “Grazie, Molly. Non ne ho voglia ora.”
La signora Weasley aveva guardato eloquentemente prima Tonks, poi suo figlio Bill.
“Dovresti venire a stare qui. Non ti fa bene, ora che Remus ti lascia sola così spesso.”
“Non m’importa” aveva replicato lei, gli occhi fissi sul giornale che stava leggendo.
“Ma lui è sempre via per missioni adesso, e tu rimani sola... casa sua è così buia!”
“Io sto bene, Molly.” Il tono di Bessie si era fatto improvvisamente duro, come se non volesse in nessun modo proseguire quella discussione. Poi l’aveva ribadito più dolcemente, sollevando gli occhi per guardarla: “Sto bene.”
La signora Weasley aveva sospirato, le aveva posato davanti un piatto colmo di minestra fumante. Bessie aveva scrollato il capo ridendo, senza nessuna intenzione di afferrare il cucchiaio; allora Bill l’aveva fatto al posto suo, prendendo a giocare come si fa per imboccare i bambini: aveva imitato il rumore di un aereo, di un camion, il fruscìo nel vento di una scopa, intimandole di aprire il portone per farglieli parcheggiare. Bessie ridacchiava, aveva ingollato controvoglia un boccone di cibo. Al secondo tentativo però, aveva mormorato “No” con occhi molto seri, facendolo senz’altro desistere. Aveva guardato fuori: l’atmosfera era di un caldo polveroso, le era sembrato di trovarsi in uno di quei film western per babbani in cui a Mezzogiorno tutto quello che si vede è canicola e desolazione. Non rotolava una foglia. Non spirava un alito di vento. Bill aveva spostato la sedia, si era seduto accanto a lei, rimanendo in silenzio a guardare.
“Molly, l’orologio” aveva infine commentato Tonks, rompendo un silenzio durato alcuni minuti ed indicando la gossa pendola alla signora Weasley. La lancetta del marito indicava in viaggio.
“Oh, meno male, Arthur sta tornando! Speriamo bene, da una settimana rincasa tardissimo... dopo quella brutta faccenda degli amuleti falsi, sapete, quelli d’argento uguali al medaglione che stava in entrata a Grimmauld Place... quello che aveva tolto Siriu...” si era bloccata subito, inghiottendo rumorosamente la saliva per rimangiarsi la conclusione di quell’uscita infelice. Aveva diretto lo sguardo verso Bessie, che precipitosamente aveva protestato per una sete improvvisa, lanciandosi sul bicchiere con il risultato di rovesciare per metà il suo contenuto.
“Oh, scusatemi...” aveva cercato maldestramente di asciugare il danno, provocandone così uno ancora più esteso. La signora Weasley aveva mormorato “Lascia stare...”, sistemando tutto quanto con un breve tocco.
“Santo cielo, quando c’è da essere concreti non me ne va bene una, eh? Come la volta in cui avevamo deciso di preparare un dolce, ricordi Dora?” aveva commentato allegra, cambiando discorso. Qualcosa però nel suo tono e nei suoi lineamenti tirati aveva rivelato con chiarezza la forzatura di quell’allegria, provocando un certo imbarazzo nella sala. Tonks si era alzata dalla sua sedia ed era uscita senza proferire verbo.
Bill, dopo averla seguita con lo sguardo, si era rivolto a Bessie: “Non sei ancora riuscita a parlargliene?”
“No...”
“Di che cosa, ragazzi?”, era intervenuta la signora Weasley, ancora contrita ma anche incuriosita. Era stato il figlio ad incaricarsi della risposta.
“Be’, mamma... Tonks, dal momento che stava lottando con Bellatrix prima di Sirius e non è riuscita a fermarla, è convinta di essere responsabile della sua morte.”
“Oh, ma questa è un’enorme sciocchezza!!!” era sbottata lei.


*********************************************************************************************************


Il campanello era suonato alla Tana, e tutti istintivamente si erano voltati verso la pendola.
“Non può essere papà” aveva commentato Bill “lo segna ancora per strada.”
“Questo è Remus!” aveva esclamato allora Bessie, correndo verso la porta che aveva poi spalancato entusiasta, infischiandosi di ogni misura di sicurezza.
“Remus, bentornato!!!”
“Eliza!” aveva replicato lui, prendendola al volo mentre lei gli si avvinghiava addosso e sostenendo il suo peso con un braccio soltanto “Come stai, piccola?”
Bessie gli aveva sorriso, poi l’aveva osservato con più attenzione in volto. “Hai l’aria stanca” aveva commentato con improvvisa gravità, sciogliendolo dall’abbraccio. Lupin, sfinito, le aveva sorriso cercando di negare.
“Ma no, ma no”, l’aveva rassicurata, passandosi una mano sul volto come a voler cancellare ogni segno che portava addosso.
“Oh, sei tu Remus?” l’aveva salutato Bill mentre Lupin si accomodava su una sedia. “Allora io posso andare al lavoro, a questo punto.”
“Sì Bill, scusami per il ritardo.”
Il ragazzo aveva allontanato le sue scuse con un cenno, baciando una guancia alla madre. Bessie intanto era andata ad inumidire un asciugamano, ed aveva preso a passarlo sul viso ed intorno al collo del nuovo arrivato, per rinfrescarlo un poco e togliergli la polvere di dosso. Si muoveva con estrema delicatezza, a piccoli tocchi. “Ecco...”, aveva mormorato scostandogli i capelli incollati alla fronte da minuscole gocce di sudore. Lui l’aveva ringraziata con lo sguardo.
“Remus, ti va un po’ di minestra?” si era intromessa la signora Weasley. “L’ho preparata prima, è ancora calda.”
Alla risposta affermativa dell’uomo Bessie aveva spinto il suo piatto verso di lui. Lupin ne aveva osservato il corpicino esile, incerto se accettarlo.
“Sei così sottile, Eliza” aveva osservato con un lampo di preoccupazione negli occhi.
“Oh, io sto bene!” aveva risposto lei con noncuranza, e a vederla in quel momento, dopo il ritorno di Lupin, si sarebbe quasi potuto pensare che fosse vero.
Bessie aveva puntato i gomiti sulle gambe incrociate, sostenendo il viso con le braccia; aveva guardato Lupin mangiare, serenamente, mentre la luce li raggiungeva dalla finestra, incorniciando la scenetta.


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Tonks era ritornata nella stanza, aveva salutato Lupin. “Hai lavorato molto, oggi?”
La signora Weasley frattanto aveva borbottato qualcosa sull’intenzione di andargli a prendere degli altri vestiti perché si potesse cambiare, ma Bessie l’aveva preceduta prontamente. “Me ne occupo io!” aveva gridato, già raggiungendo le scale. Tonks era tornata su Lupin, gli aveva raccontato che Bessie aveva insistito per rammendargli ogni cosa a mano, senza l’ausilio della magia. Lui aveva sorriso intenerito.
“Tonks, sta mangiando?”
La signora Weasley aveva sospirato, mentre Tonks faceva segno di no con il capo. “Finge di nulla. Evita ogni discussione che possa avere a che fare anche solo lontanemente con Sirius. Non lo sta affrontando, Remus!”
Lupin era rimasto alcuni secondi a riflettere sulle informazioni ricevute; poi, massaggiandosi la nuca con una mano, aveva deciso che non era il momento di renderne partecipe qualcun’altro. “Tu... come stai?”
Lei aveva alzato le spalle. “Si fa il possibile, no?”
Lupin le aveva accarezzato la zazzera, affettuosamente. Poi il campanello era suonato di nuovo, e ancora una volta era stato chiaro che non si trattava del signor Weasley.
Vado iooo!” aveva annunciato Bessie scendendo a precipizio le scale, appena prima d’inciampare sui pantaloni di Lupin e franare assieme a tutti i vestiti. La signora Weasley l’aveva sostituita nell’incombenza, ed aveva aperto cautamente la porta a Severus Piton.
“Severus!” l’aveva chiamato Bessie, raccogliendo alla rinfusa ciò che aveva sparpagliato. L’uomo era entrato, apparentemente senza la forza di dire alcunché. Era bianco in viso, enormemente provato. Lupin nel vederlo si era lasciato sfuggire una smorfia, con discrezione aveva cambiato stanza per non salutarlo con una frase sgarbata. Inutile, si era detto allontanandosi. Dopo la morte di Sirius faticava a mantenere un atteggiamento collaborativo con lui.
Bessie invece si era precipitata verso Piton, l’aveva fatto accomodare su una poltrona, spaventata da quel suo pallore; gli aveva disteso con cura le braccia lungo i braccioli. Tonks gli aveva voltato le spalle, era evidentemente rimasta soltanto per via dell’amica. La signora Weasley aveva proposto l’ennesimo piatto di minestra, ma questa volta era rimasta inascoltata.
“Hai dovuto fare qualcosa di faticoso, Severus? Sei stravolto!”
Piton non le aveva risposto, si era voltato dall’altra parte per non dover rispondere alla sua sollecitudine, a quegli occhi spalancati di bambina. Aveva ripensato al Voto Infrangibile, a ciò che aveva appena giurato a Narcissa, stringendo le mani a pugno fino a farsi sbiancare le nocche senza rendersene conto. Bessie l’aveva notato, si era scostata un poco da lui con premura, come per lasciargli spazio senza invadere i suoi pensieri.
“Proprio tu...” aveva mormorato infine lui, la voce roca per la stanchezza. “Perché?”
“Non dire sciocchezze di cui poi ti potresti pentire, Severus” l’aveva ammonito lei mestamente, scuotendo il capo.
“Con tutto quello che è successo Elizabeth, di tutti loro... proprio tu ti preoccupi ancora per me?”
Bessie, nel sentirsi chiamare ancora Elizabeth... come faceva Sirius, proprio Sirius, aveva sentito un tuffo al cuore che aveva minacciato di sradicarglielo. Come se avesse voluto balzarle fuori dal petto, su su in gola per poi lasciarla lì, completamente vulnerabile.
Come lampi a squarciare i miei oceani feriti dalla pioggia. Mi manca il tuo respiro, così tanto che ogni volta che le mie mani stringono qualcosa le sento pungere da mille aghi, come se non avessi altro destino che naufragare. Tremo, ed è per l’amore che non ho, tutto questo dolore.
Aveva cercato di dissimulare il suo turbamento, raccogliendosi i lunghi capelli in una coda scomposta.
“Ognuno di noi sta facendo a gara per attribuirsene la colpa, Severus.”
“Tu... non pensi che sia colpa mia?”
Gli aveva posato una mano sul braccio; l’aveva guardato negli occhi, limpida. “Non lo penso.”
“Non m’interessa la tua pietà, Elizabeth!” era scattato lui, ritirando il braccio. “Non essere magnanima con me!!!”
Tonks si era irrigidita. Gli voltava ancora le spalle, ma era chiaro che era infastidita dalla sua reazione. Bessie invece si era alzata. “Pensala come vuoi, Severus. Trattami come vuoi. Non mi farà cambiare idea su di te.”
Piton, fuori di sé, aveva preso ad urlare. “TU CREDI” l’aveva accusata “CHE UN POTERE TI RENDA IN GRADO DI CAPIRE LE PERSONE?! Cosa ne sai di me, come sai che non vi tradirò, che non lo stia già facendo?!”
“Non è... il potere.” Aveva scosso la testa, stupita e addolorata, spiegandogli con semplicità: “Sono... io, sei tu, Severus.”
Piton era rimasto in silenzio. Quando, dopo lunghi minuti, era tornato a parlare si era calmato, ma la sua voce era suonata tagliente come un rasoio, come se si stesse difendendo da un nemico terribile.
“Goditi la tua innocenza finché puoi, Elizabeth.”
Bessie non gli aveva risposto; si era limitata ad avvicinarsi alla finestra. Mentre guardava il giardino di fuori aveva stretto la pietra con una mano, respirando a fondo e cercando di non farlo notare. Si sentiva strana.
Questo dolore è per il tuo amore lontanissimo. Come posso – difendermi dal vento?
Tutto questo amore, tu ormai non lo conosci.

Tonks però se n’era accorta lo stesso.
“Vai a letto, Bessie.”
Lei aveva cercato di scherzare, di stornare il discorso mostrandosi a posto. “Molly, oddio... credo che gli gnomi siano tornati per le vacanze! Dovremo togliergli le amache per convincerli!”
“Bessie, vai a letto.” aveva ripetuto Tonks con voce ferma. Lei si era voltata a guardarla, poi aveva seguito il suo consiglio, salutando i presenti con un cenno che li comprendeva tutti per non doversi rivolgere a nessuno in particolare.
Appena aveva raggiunto il piano superiore Tonks si era piazzata di fronte a Piton, le mani puntate contro i fianchi con aria minacciosa.
“Non sta mangiando nulla” gli aveva detto. “E per la cronaca, riguardo Sirius io vorrei che tu non fossi mai nato!



53.
La sera, Bessie si trovava nella camera in cui avrebbe dormito quella notte alla Tana. Si era guardata intorno: pur non essendoci mai stata, anche in quel posto ogni cosa le parlava di lui. La disposizione degli specchi, alcuni insulsi particolari che nessun’altro avrebbe saputo notare. Alcuni colori, i blu delle tende, i viola dei fiori. La luna fuori, così grande e pallida.
Sono in una stanza che non vedrai mai, Sirius. Vorrei descrivertela. Vorrei poterti parlare.
Non m’importa del mio cuore, continuerò ad amarti. Mi rinchiuderò in angoli in cui il mondo non possa raggiungermi, e ti cercherò per sempre, fino a diventare niente.

Tonks, a gambe incrociate sul suo letto, aveva atteso pazientemente che fosse in grado di ridarle la sua attenzione.
“Allora, sei sempre decisa?” le aveva domandato alla fine.
“Sì.”
“Lo farai?”
“Sì.”
Tonks si era grattata la punta del naso, senza rendersene conto l’aveva allungato dandogli una forma acuminata. Era concentrata profondamente su qualcosa. Mi mancherai, avrebbe voluto dirle.
“Mi aiuterai, Dora?”
Tonks l’aveva guardata.
“Sempre.”



54.
Era ormai Mezzanotte alla Tana, mentre Tonks fissava intensamente Lupin ed il signor Weasley, in piedi accanto al tavolo della cucina. Si era risistemata il naso, specchiandosi distrattamente nella vetrina della credenza.
“Dice che lo farà.”
“Silente è d’accordo?” aveva domandato il secondo dei due uomini. A voce bassa, morbida, era stato Lupin a rispondere.
“La lascerà fare come vuole.”
“Dio, io non so...” aveva sospirato Tonks.
“Non possiamo impedirglielo! Lasciamoglielo fare.”
“Ma sono preoccupata per lei, Arthur!”
Lupin si era intromesso una seconda volta, serio come qualcuno che sta prendendo un impegno. “Ci penserò io.”
“Tu, Remus?” Tonks appariva sospesa fra il titubante ed il sorpreso, forse incredula. E come?, avrebbe voluto chiedergli.
“Ci penserò io.” aveva ribadito lui, deciso.






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Capitolo 24
*** Estate, 24. ***


Estate, 24.



55.
*Caro Harry,
è bello vedere che mi scrivi con continuità. Mi fa molto piacere ricevere le tue lettere. Questa volta, però, devo mettere al bando da subito i convenevoli, perché ho una cosa importante da dirti. Il problema è... come cominciare?
Senti Harry, Remus è... splendido! Ha sempre agito in silenzio, e magari chi non lo conosce può anche non accorgersene e considerarlo insulso, capisci, e invece lui pur senza mostrarlo ha sempre fatto la cosa che c'era da fare, sempre! A volte è talmente impegnato a "fare la cosa giusta" che non la fa nemmeno, se non è sicuro che lo sia, anche se è ciò che più desidera al mondo. Ma credo che tutto questo tu l'abbia visto in lui. Di Sirius cosa c’è da speigare, che tu non amassi già a fondo? Così veniamo al punto.
Tuo padre... beh, a dire la verità a volte era un po' bulletto, sì, ma in un modo talmente arrendevole! Era simpatico, irresistibile; oddio, all'inizio sai che gli sono resistita più che volentieri, e insieme a me anche tua madre, poi però anche noi ci siamo arrese nel riconoscere la sua reale sensibilità... che poi lui la dimostrasse era un altro paio di maniche. Quei tre, fosse per spavalderia o riservatezza, non hanno mai dimostrato un accidente! Non sai quanto difficile fosse stare loro accanto, sotto questo punto di vista. Però erano persone meravigliose... con i loro difetti certo... Harry, tuo padre era gentile e protettivo e coraggioso, e tua madre era semplicemente splendida; probabilmente io non sono la persona più obiettiva che tu possa interrogare al riguardo, ma era bellissima, e tuttavia sembrava quasi che non se ne accorgesse. Sia io che James rimanevamo incantati a guardarla, quella sua bellezza fiera ed incosciente, e ricordo che lei scoppiava a ridere e c'informava che avrebbe rischiato di confondersi sull'identità del fidanzato. Lily mi ha legato molto a tuo padre, sai Harry? L'amore per lei, il rendermi conto che anche lui... capiva.
Vedi Harry, è importante quello che sto per dirti: importante per ciò che hai visto e per come hai vissuto finora: non devi mai, mai pensare che sia colpa tua se loro sono morti, che avresti voluto che vivessero, e che se tu non ci fossi stato magari loro sarebbero ancora qui. Certo, ti mancano, ti mancheranno sempre, so cosa significa la mancanza di un genitore, anche se non sono mai stata "Harry-Potter-orfano-perché-bla-bla-bla", e questo è un fatto; ma per quanto sia difficile da accettare, e te lo dice qualcuno che per quanto riguarda se stessa ancora non l'ha fatto... beh, se non mi credi chiedi conferma pure a Silente Harry, l'ha ricordato anche a me più e più volte: non è colpa tua Harry, non è successo perché c'eri tu, ma perché erano loro. Capaci di amare, Harry, capaci di scegliere, e di proteggere. Anche rivivendo quegli istanti cento volte, sono sicura che per altre cento, mille volte, loro avrebbero scelto TE. Mi mancano, sai, però so chi erano e ti posso assicurare che il loro destino era amarti, sopra ogni altra cosa. Loro non avrebbero mai potuto vivee diversamente, non avrebbero mai potuto scegliere altro dal proteggere te: perché semplicemente erano loro, erano fatti così.
Davvero Harry, soffri per la loro mancanza se vuoi, ma non tormentarti più per questo, perchè li tradiresti. Io li amo ancora di più per ciò che hanno fatto, perché in questo modo non ci hanno mai abbandonati. Pensaci Harry, pensa al dono enorme che ti hanno fatto, all'esempio migliore che potessero lasciarti per insegnarti a vivere pur nella loro assenza!
Ti mando un bacio.

Elizabeth.*


Harry aveva ripiegato la pergamena, se l’era ficcata in tasca avendo cura di non spiegazzarla. Si era poi rilassato sulla sedia, la testa colma di pensieri confusi sui suoi genitori, su chi potevano essere, come un puzzle troppo complesso e di cui riusciva a gestire soltanto brevi tratti. Tutte quelle parole di Bessie... aveva ripensato a quando Silente aveva affrontato Voldemort, dicendogli che quello che lui non capiva era che esistono cose ben peggiori della morte. Si era però sentito anche compreso: Bessie era l'unica persona che riusciva a capire le sue sofferenze fino in fondo, che riusciva a consolarlo per la mancanza di Sirius, perché anche a lei mancava nello stesso modo. Come una speranza che si era perduta.
Non gli aveva parlato di lui e questo gli dispiaceva, sembrava che proprio non ci riuscisse. Però in genere fra di loro riuscivano ad essere molto spontanei, gli bastava guardarla negli occhi per capire: riuscivano ad esprimere il loro dolore ed i loro sentimenti in un modo non riconducibile a nessun altro. Quantomeno, lui ci riusciva.
Avrebbe riposto anche quella missiva nel suo cassetto, assieme alle altre che teneva in un pacco ordinato e racchiuso in un nastro rosso. Ora che si trovava alla Tana si sentiva meglio rispetto a Privet Drive, certo, però lei gli mancava. Aveva socchiuso gli occhi, immaginandosi la figuretta di Bessie lì di fronte, sorridente e grave, spontanea e tormentata, così ricca, così vicina a lui. Avrebbe voluto vederla, parlarle, sentirsi compreso, scorgere i suoi occhi blu che quando le parli ti guardano come se nient'altro avesse importanza al mondo. Si era chinato su un altro foglio, per risponderle subito.

Poco distante, Hermione e Ron stavano sbirciando i suoi movimenti.
"Senti Ron... non ti pare che Harry sia troppo preso da Bessie? C'è anche il fatto che lei dimostra quasi la nostra età, e insomma... non l'ho più sentito nominare Cho. Da un lato questo è un bene, certo, però... Bessie... voglio dire, credo si stia attaccando troppo a lei..."
"Se così fosse, Hermione, noi non potremmo farci un bel niente. Lo sai questo, vero?"
"Ma...!"
"Senti, lo so che sei preoccupata per lui... ma non puoi comandare i tuoi sentimenti, anche se capisci che sono un rischio, anche se... ti fanno paura." Ron aveva pronunciato l'ultima frase con un tono alquato strano ma Hermione, che non lo stava guardando, non aveva notato i suoi occhi e quindi non ne aveva afferrato il senso, tralasciando il vero motivo per cui Ron si era espresso a quel modo e limitandosi a sospirare in direzione di Harry.



56.
Bessie si era svegliata urlando. Un urlo, perché un urlo? Non era stata lei, chi aveva gridato? Intorno tutto era buio, doveva concentrarsi, capire... cos'aveva appena visto? Un flash, una luce verde abbagliante, e poi quel grido di dolore. Era il suo. Era il suo, per cosa, per chi? Non avevano attaccato lei, per una volta non aveva rivissuto il suo attacco, aveva visto qualcosa.
L’istante successivo, come dopo ogni volta, si era resa conto di aver appena visto Sirius morire.
Poi, improvvisa come il risveglio, una fitta atroce. Lì, localizzata in quel solito, dannato posto... al centro della testa come un tentativo di renderla pazza, la sua cicatrice.
Un momento, io non ho una cicatrice sulla fronte.

Harry.

E allora era da lui, lui stava a chilometri di distanza e tuttavia lei prima di rendersene conto era lì, nella sua stanza e lo fissava. Harry si era svegliato, ancora una volta madido di sudore e di terrore nel rivivere la scena della morte di Sirius così come ogni notte la vedeva Bessie. Solo che questa volta, quando aveva aperto gli occhi, c’era lei appollaiata ai piedi del letto.
“Immaginavo di averti svegliato…”
Mi dispiace Harry, scusami. E' stata colpa mia.
“Come?” Harry era ancora confuso, incapace di distinguere la realtà dal sogno.
“Ti ho sentito svegliarti... non me n’ero accorta. Scusa.”
Harry aveva balbettato qualcosa sul fatto di essersi svegliato da solo per via di un sogno, ma lei aveva proseguito rendendogli chiaro che si trovava davvero lì, e per che cosa intendeva porgergli le sue scuse.
“Non me ne sono mai accorta. Scusami Harry, mi dispiace… non avevo capito di essere collegata a te con i miei sogni…” l’aveva guardato di sfuggita per un momento, incerta come sempre. “Lo sentivi ogni volta?”
Harry aveva annuito.
"Bessie... era...?"
"Io... posso percepire... insomma, c'è la mia pietra con tutti i ricordi, e lui ne fa parte, così è come se ci fosse la sua essenza dentro di me, no? E rimane un collegamento... così vivo quei momenti al suo interno. Li rivedo continuamente. È come se lui stesso me li mandasse."
"Ma allora può essere ancora... vivo?"
Lei aveva scosso la testa, desolata. "Mi dispiace"



57.
*Cara Bessie,
è passato qualche tempo da quando sei venuta a trovarmi. Ancora non riesco a ricordarlo bene come un momento reale, mi sei apparsa davanti come se fossi solo un altro sogno, e allo stesso modo sei sparita quando meno me l’aspettavo. Mi avrebbe fatto piacere che restassi.
Sai, non devi scusarti. Forse quel sogno è solo un’altra dimostrazione dell’amore per Sirius che ci lega, del dolore che ci lega. Non riuscirei a parlare di lui con nessun’altro. Forse in fondo, se questa storia continua, non dipende soltanto da te. Forse sono anch’io che voglio rivederlo, voglio che continui a fare parte della mia vita, in qualche modo.
Io... voglio che lui viva.
Perdonami, sono uno sciocco e sono anche poco gentile a dire tutto questo a te, visto quello che lui rappresentava e significava, ma se lo faccio è perché penso che i nostri dolori siano affini. Quando sono con te sento che non è insuperabile quello che provo, perché anche tu lo provi. Sento che esiste qualcuno con dei sentimenti simili ai miei, mi sento consolato.
Ho voglia di vederti, Bessie. Non verresti a trovarmi?

Harry.*


********************************************************************************************************


Bessie stava facendo colazione ad un tavolino della sala comune dei Grifondoro, parlava animatamente e Lily sembrava sopportarla con molta fatica. In effetti gli occhi della ragazza erano cerchiati di sonno, ed il suo viso più di una volta aveva minacciato di scomparire nella tazza del caffelatte. Alle vigorose sentenze di Bessie rispondeva con attenzione più che altro simulata, e frasi biascicate come: “Per fortuna la McGrannitt ci ha dato il permesso di rimanere qui, anziché dover mangiare cogli altri…”
“Ma sì!” insisteva Bessie, e Tonks sembrava riuscire a seguirla mentre sbucciava un’arancia con le forze che le rimanevano. “Voglio dire, io sono indipendente, no? Non mi servono gli uomini. Non mi serve un uomo. Non fanno che lamentarsi e pretendere, e farti a fettine il cuore ed il cervello, e mi sono stancata di sentirmi così! Davvero, non ho intenzione di lasciare che la mia vita corra su binarsi su cui non posso seguirla senza riempirmi di lividi! Ah, mi sento così in pace, così in pace Lily!”
“Sono felice per te” aveva bisbigliato Lily con poca convinzione, lasciando uscire qualcosa di più simile ad un groan.
“Se fossi un cartone animato, Lily, in questo momento ti volerebbero degli uccellini sulla testa. In cerchio.” aveva osservato divertita Tonks.
“Tonks” aveva sospirato lei stancamente “Cosa diamine è un cartone animato, vorresti ricordarmelo?”
“E’ una specie di storia animata dei babbani, Lily!” era intervenuta Bessie, ancora infervorata.
“Betsy, ti prego di avere pietà di me… non mettere così tanti punti escalamativi ad ogni tua frase…”
“Scusami… stai tanto male?”
“Circa…” aveva mormorato lei, arrendendosi all’idea che non sarebbe servito farle notare l’evidenza.
“Bessie, continua pure a spiegarlo a me!” era intervenuta Tonks, notando che l’amica anche se cercava di nasconderlo era un po’ delusa.
“Beh, in sostanza era questo… non mi servono gli uomini! Non ho più intenzione di lasciare che la mia vita venga gestita da uno di loro, sto benissimo con me stessa!”
“Hai un baffo di latte sulla guancia, Diana.”
“Chi…? Oh, James, ciao!” l’aveva salutato lei, mentre il ragazzo si faceva vedere insieme a Lupin.
“Come state ragazzi?” aveva domandato Tonks mentre con un dito toglieva il cibo dal viso di Bessie. Lily non era riuscita ad esprimersi più chiaramente di un cenno con la mano.
“Bessie, per curiosità… tutte queste belle frasi le hai dette anche ieri alla festa?” le si era rivolto James avvicinandosi con noncuranza mentre sottraeva un biscotto alla colazione di Lily.
“Oh, se le ha dette!” si era lamentata quest’ultima.
“Uhm… ecco perché.” aveva commentato James, scambiando un’occhiata con Lupin.
“Che succede, ragazzi?” si era intromessa lei.
“Beh… piccolina, forse eri un tantino troppo ubriaca, e hai… ehm, esagerato… è possibile, no?”
Bessie l’aveva fissato perplessa, inclinando il capo.
“Quello che James intende dire” era intervenuto Lupin “è che Sirius è sparito da ieri sera, e non riusciamo a trovarlo da nessuna parte.”
Bessie pareva essersi resa conto soltanto in quel momento delle implicazioni del suo monologo. Si era portata le mani alla bocca. “Oddio!” aveva strillato.
“Non urlate, maledizione!” aveva gridato Lily.


Bessie aveva sfiorato la pietra con il palmo aperto, e il ricordo aveva cessato di mostrarsi. Era andata alla finestra, stringendo fra le dita la lettera di Harry.




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Capitolo 25
*** Estate, 25. ***




Estate, 25.



58. (Lupin e Bessie avevano raggiunto il San Mungo e la camera che aveva occupato Tonks per delle analisi in seguito ai danni riportati nella lotta al Ministero: stava comunque per essere dimessa.)

“Allora, ci hai pensato?”
“Ancora con questa storia?”
“Bes, ci hai pensato?
Bessie si era morsa un labbro, incerta. “Io… sì Dora, credo che sia vero.”
“Di che cosa parlate?” aveva domandato Lupin.
C’era stato un momento di silenzio; dalla finestra aperta era entrato un refolo di vento ad agitare le foglie della piantina che era stata consegnata a Tonks il giorno precedente. Bessie aveva respirato a fondo.
“Vedi, Remus” gli aveva spiegato poi, evitando di guardarlo negli occhi “lo sai anche tu che… Sirius aveva un carattere… difficile, no? Insomma, a volte era… stargli accanto era… beh, hai capito.” Aveva scrollato il capo senza attendere risposta. “E siccome Harry era il più importante per lui, io pensavo di amarlo più di quanto non facesse lui… ero contenta in fondo che dovesse rimanere a Grimmauld Place, di non avere missioni con lui, perché pensavo che per il suo essere estremamente leale in caso mi avrebbe sicuramente salvata, per ricambiare il… beh, il debito.” Si era dimostrata estremamente interessata alla piantina, voltandosi a studiarla mentre il sole rivelava uno strano luccichio nei suoi occhi: era bella, con i fiori grandi di un colore a metà fra il viola ed il blu oceano che non avrebbe saputo definire. “E non volevo essere questo. Io all’inizio pensavo che non volesse stare con me… beh, per non rischiare di trascurare tante altre cose, per non trascurare Harry, e insomma in qualche modo è anche vero perché teneva tantissimo a lui. Però, Remus” l’aveva guardato, poi subito aveva abbassato lo sguardo, concentrandosi sugli arzigogoli del pavimento; una piccola e profonda ruga le aveva solcato la fronte, rendendosi separazione evidente delle sopracciglia. “L’attimo prima che venisse colpito, nei suoi occhi non ho visto determinazione o spavalderia o un piano, solo… preoccupazione: questa era l’unica cosa che pensava salvandomi, che io stessi bene.” aveva concluso con semplicità “Non che io stessi bene perché avevo fatto star bene lui… capisci… Credo… credo di essere stata ingiusta con Sirius, proprio io, mentre lui…” la voce le si era incrinata, e Tonks le aveva stretto un braccio intorno alle spalle.
“Aveva tanto amore in sé da amare così entrambi, Betsy. Era solo… diverso. Harry era il suo pensiero principale, era un ragazzino, era figlio di James, era tanto ed aveva bisogno di lui. Non per questo non ti amava.”
“Tanti pensavano che io lo amassi, e che lui invece non… non... fin da Hogwarts, quando aveva tutte quelle ragazze… Ma lui mi ha sempre chiamata con il mio nome per intero, sempre Elizabeth. Mai, in nessun momento, ha diminuito anche solo di poco il rispetto che aveva per me… e questo è un altro motivo per cui entrambe le volte non si è avvicinato davvero finché…”
“…Finché non è stato sicuro di poterti amare abbastanza.” aveva concluso l’amica per lei, sostituendosi al suo singulto.


*******************************************************************************************************


Quando erano rimasti soli, Lupin aveva scrutato con aria preoccupata l’umore di Bessie: con risoluzione improvvisa le aveva fatto un sorrisetto d’incitamento. “Eliza, la vuoi sapere una cosa su Tonks, una che lei non ti dirà mai?”
“Cosa, Remus? Su Do… su Tonks? Ma se lei non vuole non credo che sia…”
“Oh, sta a sentire!” l’aveva interrotta lui, impaziente. “Lei, be’… mentre tu dormivi, ha sempre, sempre mantenuto con ostinazione l’aspetto che aveva l’ultima volta che vi siete incontrate. Sempre. Per questo la vedi ancora giovane… solo quando ti sei ripresa ha urlato ed ha sospirato e forse si è rilassata, insomma non sembrava proprio una scelta consapevole ma comunque pur mantenendo all’incirca quell’età e quelle caratteristiche, è cambiata per quello che vedi ora…”
Si era fermato, accorgendosi che finalmente Bessie, pur commossa, sorrideva.
“Ma come fai, Remus?”
“I-io?” Lupin era stato colto alla sprovvista. “E’ stata lei che…”
“Come fai” aveva proseguito Bessie “ad attenerti sempre così scrupolosamente alla cosa giusta da fare? Insomma, a me certe volte, quando mi metto a pensare, sembra d’impazzire…” Lupin aveva dischiuso le labbra per parlare, ma lei l’aveva fermato con un cenno. “Lo sai, non sono mai stata molto brava ad accettare la vita. Io… credo di essere stata molto egoista, in realtà. Con tutti. Con Dora, che ha fatto questo per me, e per cui… non ho nemmeno parole… E con te, Remus. Io… volevo scusarmi.”
“Scusarti? Ma che dici, Eliza?” il tono di Lupin si era addolcito, abbassandosi in un sussurro.
“In tutto questo tempo ho vissuto rinchiusa nel mio dolore, lasciando che tu mi stessi vicino, mi sostenessi… senza mai pensare al tuo.” L’aveva fermato di nuovo. “Tu lo conoscevi fin dall’inizio, hai perduto i tuoi amici più cari, ti sei sempre dovuto nascondere per via della tua... condizione, eppure non hai mai battuto ciglio. Quella notte Sirius l’hai visto morire anche tu, era sotto i tuoi occhi, eppure ti sei fatto carico di me e di Harry, ed anche in seguito, ogni volta che ne avevamo bisogno. Ogni volta che io avevo bisogno di te.”
“Eliza…”
“Io... ti voglio bene, Remus. Credo di non avertelo mai detto in tutti questi anni, ma mi sei così caro... ti voglio bene da morire!
Lupin era arrossito; aveva aperto la bocca per dire qualcosa, senza riuscire a trovare un filo di voce disposta ad uscire di lì. Guardava Bessie, così piccola e tenera nel suo maglione troppo grande, e non aveva la più pallida idea di che fare. Aveva sollevato una mano, incerto, poi l’aveva lasciata ricadere lungo i fianchi. Era stata lei a salvarlo dall’imbarazzo, mutando l’espressione in una più grave.
“Dovremo combattere ancora, Remus. E io sono pronta, sono pronta come ogni volta e come tutti noi. Se ripenso a Sirius, e a tutto il resto, mi sembra ancora d’impazzire, però ci sono. Io… vorrei che questa volta… ci sorreggessimo a vicenda, ok?” E l’aveva guardato di sotto in su, talmente limpida e completamente fiduciosa, quasi in un affidarsi più che un fidarsi; e di sicuro non si rendeva conto di caricare un peso ancora maggiore sulle spalle del suo più caro amico, di come lui si sarebbe disperatamente fatto carico di vegliare anche sul suo nuovo impegno. Tuttavia Lupin non si era sentito in grado di deluderla in alcun modo, mentre la guardava. Le aveva sorriso.
“Ok.” aveva risposto semplicemente, ed una volta in più Bessie aveva sentito di apprezzare immensamente questa sua semplicità. Aveva sorriso, ed era stato allora che Lupin le aveva scostato con delicatezza i capelli dal volto, come Sirius, proprio come Sirius. Quel gesto, i ricordi che comportava, i sentimenti e la dolcezza che comportava, avevano spinto Bessie a compiere un balzo all’indietro. Si era spaventata. Quasi avrebbe voluto ritirare tutto, anche se sapeva che non era possibile.
Non guardarmi... con i suoi occhi, aveva pensato. Aveva avuto voglia di gridare.
Lupin però senza scomporsi le aveva mormorato solamente “Mi dispiace, Eliza. Vedi… anch’io a volte non riesco proprio a fare… la cosa giusta” aveva concluso in un soffio. Bessie l’aveva guardato.
Aveva messo la mano nella sua, allontanandosi. Era sempre Remus.



59.
Lupin aveva gettato una manciata di polvere nel camino acceso, lasciando che le fiamme si alzassero fino ad illuminargli completamente il volto. Aveva atteso che si formasse l’immagine di un viso, a collegamento.
“Dimmi, Remus.” La voce di Tonks l’aveva raggiunto d’improvviso, troppo presto mentre non guardava -stava ancora riflettendo.
“Scusa se ti ho disturbata... dormivi?”
“No, no... ho dormito talmente tanto in questi giorni, non c’era nulla da fare!” Tonks si era grattata distrattamente la testa, voltandosi un momento per controllare la sorgente di un rumore.
“Oh, bene.”
“Che volevi chiedermi?”
“Senti Tonks... lei, oggi... Eliza... era la prima volta che riusciva a parlare di Sirius, vero?”
“Già.”



60.
Sirius stava di fronte a lei come se anche semplicemente il mantenersi eretto gli costasse una concentrazione non indifferente. Le porgeva un fiore bellissimo, grande e di un colore a metà fra il blu oceano ed il viola che Bessie non avrebbe saputo definire. Con l’altra mano, invece, cerava di darle un sacchetto di biscotti dall’aspetto particolarmente fragrante.
“Non… non avresti dovuto!” aveva mormorato lei, con le guance che le arrossivano di sorpresa e di piacere. Sirius aveva spostato il peso del corpo su un piede, poi sull’altro, continuando a tenere le braccia rigide in avanti come un automa.
“Oh, lo so… cioè no, non era questo che volevo dire… nel senso… per il nostro primo appuntamento doveva essere tutto speciale, no? Cioè, non nel senso di obbligo, proprio, ma… io lo volevo! No?” aveva concluso, trionfante per essere riuscito a salvarsi. Bessie sorridendo aveva accettato entrambi i doni.
“In ogni caso non servivano tante formalità Sirius, sei… gentile.” Aveva tuffato il naso fra i petali.
“Beh, sì… grazie.”
Lei aveva atteso qualche secondo, prima di prendere l’iniziativa. “Vogliamo… vogliamo andare?” aveva chiesto, offrendogli il braccio. Sirius tuttavia non si era mosso. “Va… tutto bene?” gli aveva chiesto allora.
“Oh, al diavolo!” era sbottato lui. “Non posso, cioè… io non sono così, non posso sostenere un intero pomeriggio come se…” aveva fatto una pausa, mentre Bessie lo fissava incuriosita e sorpresa. “L’idea è stata di Remus!” aveva confessato tutto d’un fiato, mentre poco distante da dietro una colonna qualcuno si batteva la fronte con il palmo della mano.
“Di… Remus?”
“Sì.”
“Ma quale idea, Sirius?”
“Del fiore, dei biscotti. Avrei dovuto dirti che per non rischiare di portarti qualcosa di non gradito perchè magari eri allergica ho voluto esagerare, qualcosa del genere… ma è stato lui a pensare che avrei dovuto essere sicuro di farti piacere! Insomma, è lui quello sensibile del gruppo, lo sai no? Io sono solo… Sirius.” aveva concluso desolato, allargando le braccia ed abbassando gli occhi. Bessie aveva sorriso intenerita, forse aveva trattenuto una risatina. Aveva infilato il braccio nel suo, mentre lui si voltava stupito a guardarla.
“Allora, signor Solo-Sirius… vogliamo dare inizio a questo appuntamento, oppure no?”


Bessie aveva sorriso al ricordo. Caro Sirius! Caro Remus!


******************************************************************************************************


Una volta, una volta soltanto, Remus era stato punito senza che James o Sirius avessero a che fare con la causa del castigo.
Ricordava la discussione tra lui e Bessie come se fosse avvenuta il giorno prima: lei gli aveva rinfacciato di non volersi fidare, perchè lui non voleva fare qualcosa insieme. Gli aveva detto che non si era mai fidato davvero di lei, e che siccome non le era affezionato come poteva esserlo a James o Sirius, lui non avrebbe mai osato intraprendere un qualche progetto con lei che non gli sembrava totalmente ragionevole. Che fra loro due ci sarebbe sempre stato un muro, e che questo la feriva.
Ricordava come fosse stata il giorno prima la passeggiata di Bessie per schiarirsi le idee che era durata delle ore, finché Lily aveva intuito dove potesse trovarsi e l’aveva riportata indietro.
Soprattutto, ricordava come se si fosse trattato del giorno precedente quando Remus aveva riempito la sala comune di carta igienica appesa come striscioni su cui era scritto soltanto “scusa”, e l’espressione terrificante della McGrannitt quando l’aveva vista. La parte comica era che Bessie era uscita con Lily, quindi aveva notato l’opera soltanto mentre già la stavano smontando e Remus era a colloquio con la professoressa, inerme.


Tonks aveva scacciato dalla mente l’aria commossa di Bessie, il modo in cui gli era corsa incontro quando lui si era rifatto vivo. Aveva incrociato le braccia sul tavolo, affondandovi il viso ed un’espressione corrucciata.





come promesso, il link per le bamboline: sono solo le prime, ne ho qualche altra da proporre... vi aggiornerò man mano che aggiungo!

http://lebambole.splinder.com/

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Capitolo 26
*** Extra - La storia di Lupin in Grimmauld Place, 26. ***


ho aggiunto qualche altra bambolina... *_*


Extra - La storia di Lupin in Grimmauld Place, 26.



61. (La storia di Lupin in Grimmauld Place.)

C’era una volta un angelo... lo sai cosa sono gli angeli, Bessie? Sono una specie di fantasmi, solo che loro non sono mai stati umani. E sono i custodi dei babbani... mi piacciono, gli angeli. Non hanno sesso e non hanno consistenza, ma sono molto belli e si occupano di chi vive per conto di Dio, che li ha creati.
Così c’era una volta quest’angelo, solo che era un angelo molto distratto. Doveva badare ad un bambino di otto anni, ma proprio in questo una volta era stato disattento ed il bambino per inseguire un animaletto era finito dentro un fiumiciattolo, scivolando dal ponte su cui stava. L’angelo così era dovuto scendere sulla terra per poterlo salvare e rimediare ai propri errori, ma non poteva fare nulla in forma angelica, così si era sacrificato. Era diventato un essere umano.

Un essere umano?

Sì. Una ragazza.

Uhm.

Era rimasto lì, l’aveva riportato a casa ed era iniziata una covivenza strana con la sua famiglia... che poi la sua famiglia era la sorella maggiore del bambino, perché i loro genitori stavano all’estero per lavoro e non potevano tornare indietro! L’angelo era totalmente sprovveduto verso il nostro mondo, anche se era sempre un po’ altezzoso. Pian piano però aveva imparato a conoscerlo, così aveva imparato ad amare l’inverno, per esempio, perché è metodico, le persone hanno dei ruoli più precisi che in estate, lavorano otto ore al giorno eccetera... Angela, così si era chiamata, non amava molto il caos che c’è qui da noi. In fondo se ci pensi, era pur sempre abituata al paradiso!
Un po’ alla volta però aveva iniziato a fare amicizia con la sorella, e ad affezionarsi al bambino. Loro la portavano in giro, le facevano vedere dei film e lei si era appassionata in particolar modo a quelli sui gangster.

Sui gangster?

Sì, perché per lei rappresentavano un simbolo... erano liberi, non erano prigionieri se non di loro stessi, e più umani delle altre persone perché dimostravano più apertamente le loro debolezze.

...Debolezze, Remus?

Beh, sì. Angela pensava che il loro potere non fosse altro che un modo distorto per essere amati. E poi vivevano in prima persona tutto quanto, vittorie e sconfitte, senza mai tirarsi indietro. Portavano la loro storia segnata sulla faccia.

Scarface.

Esatto. Non era tutto così semplice, però. Angela era fondamentalmente diversa da loro. Non aveva i parametri per vivere come gli esseri umani, finiva per fotografarsi in qualunque istante per cercare di “fissarsi”, teneva tutti gli scarabocchi di quando aveva iniziato a scrivere, registrava e conservava ogni cosa per cercare la sua identità... più stava in mezzo agli uomini, e meno le sembrava di capire chi fossero, o chi lei fosse. Poi c’era il problema che nessuno doveva capire che lei non era una persona.

Come nei film.

Come nei film,
era convenuto Lupin. Tutto sommato però stava bene lì, la sorella le raccontava alcune storie che conosceva sugli angeli e a lei veniva da ridere, perché non c’entravano nulla con la realtà. Poi però la sorprendevano a comportarsi un po’ come in quelle storie di fronte al bambino, per farlo sentire rassicurato se era quello di cui aveva bisogno.

Come si chiamavano, i due fratelli?

Non lo so.

Non lo sai? Ma che razza di storia è?

È una storia di tutti. Tu quali nomi vorresti avessero?

Uhm, vediamo... il bambino si chiama Joey.

D’accordo.

E la ragazza... come si chiama secondo te la ragazza?

Non dovevi sceglierlo tu?

Mi piacerebbe che avesse un nome che tu ami, Remus.

Un nome che io amo. Chiamiamola Eliza.


Bessie era arrossita. Era il nome di tua madre.

È il tuo nome,
aveva replicato lui.

Era rimasta in silenzio, senza trovare una reazione adatta. Bene... allora che combinano questi tre?

Loro... giocano, e Angela senza rendersene conto pian piano si umanizza. Inizia a provare interesse per ciò che la circonda, per i libri, per i paesaggi. Inizia a provare dei sentimenti per quei due, capisce di tenere a loro. Solo che le mancano anche gli angeli, si sente sospesa a metà. Un giorno se ne va senza dire nulla a nessuno, stremata dalla nostalgia.

Li abbandona?

Forse non lo sa nemmeno lei, mentre esce. Dà un bacio sulla fronte a Joey, e guarda Eliza dormire. Le piace, guardarli mentre dormono. Le sembra di poterli proteggere meglio da quel mondo che non conosce. Però esce, e se ne va nel luogo in cui era solita incontrarsi con gli altri angeli, in riva al mare. Mentre ricorda quando si trovava lì con loro pensa che le mancano perché erano degli amici, e per la prima volta prende coscienza della parola amico. Ci avevano provato tante volte, Joey ed Eliza, a spiegarglielo, ma non era mai riuscita a capire. Per lei erano altri angeli, e basta. Non esistevano significati diversi. Proprio quando raggiunge il posto con quella nuova consapevolezza, però, non vede nessuno. Lei ora è un essere umano, non può vederli. Non può sentire la loro presenza. Si chiede se loro si accorgano di lei, se la riconoscano. Poi pensa che quand’era arrivata lì non riusciva a sopportare il rumore, ogni minimo suono le sembrava un frastuono che feriva profondamente le orecchie. In fondo, era abituata ad un perenne silenzio ovattato, molto diverso. Aveva spesso cercato quel silenzio, da quando era scesa. Ecco, lì l’aveva trovato, era quello, ne era sicura. Solo che di colpo non le sembrava più tanto vagheggiabile, non era più come prima, quel silenzio che aveva trovato lì si chiamava SOLITUDINE.

È umana...

Sì, è umana. Come gli umani vive la gioia, il dolore, l’allegria, li vive tutti sulla pelle, anche se ha dovuto impararlo. E per quanto possano essere difficili da sopportare, ora sente che ripararsi da essi, anche dal dolore, significherebbe smettere di vivere.

Remus...

Così torna a casa. E scopre che degli strani scienziati sono capitati lì, l’hanno cercata. Eliza l’ha difesa con tutte le sue forze, ed è stata minacciata purché rivelasse loro dov’era. Dov’eri?, le chiede disperata. Si era resa conto che Angela aveva cercato di lasciarli. Le dice che non può fare così, entrare nella vita di qualcuno e poi sparire perché ha paura, che quando entrano in gioco i sentimenti implicano delle responsabilità di cui non ci si può semplicemente disfare lasciandoseli alle spalle. Non va così! Angela è profondamente colpita. Quella sera per la prima volta mangia delle salsicce, le ha cucinate Eliza e Joey, che non si è reso conto di tutti gli avvenimenti, ne è entusiasta. Angela scopre che le piacciono davvero. Per la prima volta mangia del cibo per piacere, come prima era tornata indietro per amore.
Dopo cena, quando Joey si è addormentato, parla ad Eliza con sincerità. Le chiede scusa. Ad un certo punto si ritrovano talmente vicine che entrambe possono sentire battere il cuore dell’altra, ed Angela pensa che vorrebbe baciarla.

Baciarla?

Lo sai, lei non ha i parametri. Per questo riesce a provare sentimenti puri, indipendentemente dalla condizione o dal sesso. Non è cresciuta imparando a crearsi a priori delle distinzioni, così il suo amore va semplicemente nella direzione che desidera.

Quindi ama Eliza.

Sì.

E lei, l’ama?

Forse. Chi lo sa. Quella sera non succede nulla, anche se entrambe capiscono che è successo qualcosa. C’è una scena che risulterebbe molto bella in un film, Angela esce sotto la pioggia, vuole camminare per riflettere, ed anche questo è molto umano, se ci pensi. Ad un certo punto decide di chiudere l’ombrello. Rimane lì, a sentire per la prima volta la pioggia scorrerle sulla pelle, e ride e si sente felice.

Che bello...

Poi torna a casa. E si addormenta.

Si addormenta? Ma... non può!

Già. Quando si sveglia, il mattino dopo, non si rende bene conto di quello che è successo... si guarda intorno e si sente strana. Intorno a lei ci sono sempre le stesse cose, ma lei le vede come se fossero differenti. Non riesce a capire. Ancora non si è accorta di avere dormito. Ad un certo punto però, passa davanti allo specchio e lì scopre il fatto... le è cresciuto il seno. È diventata una donna, a tutti gli effetti.
Solo che quando va dagli altri, dirlo diventa il suo ultimo pensiero: trova Eliza in lacrime perché Joey è in coma.

Oh mio Dio! È perché lei ha dormito?

Già. L’ha abbandonato in quel lasso di tempo, è diventata in tutto e per tutto una ragazza ormai, e lui non ha più un custode.

Quindi?

Beh, è disperata. Chiamano un dottore, arriva l’ambulanza che porta via Joey con sua sorella, e mentre chiudono le porte del mezzo ad Angela sembra di leggere negli occhi della ragazza una qualche recriminazione, ha l’impressione che lei la stia incolpando per quanto è successo al bambino. In ogni caso sente che tutta la vicinanza del giorno prima è scomparsa, e si chiede se potrà mai tornare. È distrutta, non fa che vagare da una stanza all’altra chiedendosi cosa può fare. Ad un certo punto ha un momento di disperata lucidità... torna nel luogo dove era scesa la prima volta, quello in cui aveva salvato Joey che stava annegando.

Il laghetto.

Già. Pensa che forse sacrificando la sua parte umana potrà tornare angelo, che quello sia l’unico modo per salvargli la vita. E scoppia a piangere, e soffre terribilmente, e non sa nemmeno se servirà a qualche cosa o se morirà soltanto, ha paura della morte come tutti noi. Continua a piangere mentre si sfila le scarpe, si toglie alcuni vestiti, cammina verso il centro del lago, dove l’acqua è più profonda. Poi scompare sotto.

Dio...,
aveva mormorato Bessie. Lupin l’aveva stretta a sé, circondandole le spalle con un braccio.
Non può essere così brutto, aveva pensato lei. Devo solo continuare a respirare.

Non era esattamente una storia per bambini, Remus.

Invece sì. I bambini non hanno tutti i paletti che ci mettiamo noi, loro capiscono meglio il significato di un amore puro, indipendente dalle condizioni esterne: amano allo stesso modo bambini ed adulti, uomini e donne e malati. Non li amano in quanto donne o in quanto giovani o vecchi. Sanno intuire meglio di molti adulti il significato di una storia come questa... e la prova sei tu.

Io non sono una bambina, Remus.,
aveva replicato Bessie.

Meno male, aveva sospirato lui.



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Capitolo 27
*** Hogwarts, 27. ***


Hogwarts, 27.



62.
Mentre spiava dentro una vetrina di Diagon Alley il modellino favoloso di un planetario, Harry era sicuro di aver visto un volto noto riflesso nel vetro: si era voltato appena in tempo per vederlo sparire tra la folla.
“Ehi, ma quella non era Bessie?”
“Harry, sei ancora ossessionato da lei?” aveva ribattuto Hermione senza nemmeno voltarsi.
“Ma no, te l’ho detto! Quest’estate li ho sentiti e… mi sono reso conto che mi stavo imprigionando nell’idea di lei come prolungamento di Sirius e... tutto il resto. Ma quella era davvero lei, l’ho vista!” aveva insistito.
Hermione l’aveva spiato di sbieco. Si era piccata in una punta femminile che Harry non le aveva diagnosticato, ma Ron sì. Era stato solo un breve istante, non aveva significato nulla, ma quel moto di gelosia di lei era bastato al ragazzo per lasciarsi scappare una smorfia. Hermione intanto aveva ripreso il suo tono abituale.
“A Diagon Alley? Ma figurati! E cosa dovrebbe venirci a fare?”
“A proposito di stranezze” era intervenuto Ron “avete ricevuto anche voi la lettera di Moody?”
“Non so, a me ha scritto Tonks.”
“E a me Lupin” aveva aggiunto Harry “annunciandomi che al rientro a scuola avremmo potuto trovare delle sorprese, e di stare attenti a come avremmo reagito.”
“Lo stesso a me. Cos’avranno voluto dire, Harry?” Hermione sembrava in ansia.
“Ho provato a chiederlo a mio padre” aveva spiegato Ron, deglutendo contemporaneamente una cioccorana intera “ma non ha voluto spiegarmi nulla, anche se penso sappia di cosa si tratti. Dice che non è sicuro rivelarcelo prima, e di tenere la bocca chiusa.”

In treno, il giorno dopo, era accaduto lo stesso che a Hogsmeade, e Hermione gli aveva chiesto preoccupata se la vedesse ovunque, parlandogli come a qualcuno che soffre di allucinazioni; Harry, imbronciato, non aveva più accennato al discorso anche se gli era sembrata proprio lei. In effetti però, pensandoci, Hermione non aveva tutti i torti… Bessie sull’espresso per Hogwarts? Che follia!



63.
(Harry s’intrufola nello scompartimento dei Serpeverde, viene sorpreso da Draco Malfoy. È Tonks a salvarlo e riportarlo alla scuola, lasciandolo alle poco amorevoli cure di Piton. Lì, superati i primi momenti di umiliazione e di rabbia, i ragazzi devono affrontare un ulteriore colpo: Piton sarà il loro nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure... ce l’ha fatta!)

Soltanto dopo che avevano esaurito la sorpresa e la rabbia per la novità si erano calmati abbastanza perché Hermione potesse notare un brusio che serpeggiava solo tra gli appartenenti alla loro casa. Non aveva dovuto investigare molto per capire che si riferiva a qualcuno di nuovo, che sedeva ad alcuni posti di distanza dai loro.
“Ouch!” Harry si era ritrovato un suo gomito conficcato nelle costole. “Hermione, che diavolo…?” ma lei gli stava già indicando con discrezione Bessie, in uniforme di Hogwarts, seduta al tavolo dei Grifondoro. Aveva già intuito che probabilmente le lettere si riferivano a lei, quando raccomandavano attenzione, così aveva trattenuto Harry per una manica. Ron però era stato più svelto, correndo a salutarla, così avevano dovuto inseguirlo.

“Come sarebbe a dire che non mi conosci? Sono… sono Ron!
“Mi devi aver presa per qualcun altro, mi dispiace.” Bessie sorrideva educatamente. “Sono appena arrivata, anche se frequenterò l’ultimo anno. Prima, beh… stavo in un’altra scuola. Roba che piaceva a mia madre” aveva liquidato in fretta l’argomento. “Invece Hogwarts…” si era guardata intorno con sincero benessere, inspirando a fondo e socchiudendo le palpebre “…avevo sempre sperato di venirci!”
Ron aveva balbettato dei ma discontinui, non capendo ed indicando meccanicamente la pietra che lei portava al collo. Allora Bessie aveva ripreso a parlare, socievole, mascherando con allegria la fretta con cui aveva bloccato il ragazzo dal nominare il suo ciondolo. “Oh già, che sciocca! Il mio nome è Isabel Shacklebolt… ma puoi chiamarmi Belle. Lo fanno tutti!” e, detto questo, aveva dedicato una grande strizzata d’occhio ad Harry. Lui le aveva sorriso, comprendendo.
“Ciao, Harry.”
“Vi conoscete?” le aveva chiesto una ragazza del suo anno, seduta accanto a lei.
“Sì, è venuto al Ministero un anno fa… è passato dall’ufficio di mio zio,” aveva aggiunto in fretta “ci siamo incrociati lì. Non mi sei più venuto a trovare, eh?” l’aveva rimproverato allegramente. “Loro sono tuoi amici?”
Sembrava un fiume inarrestabile di parole, anche mentre Hermione, disinvolta, le tendeva la mano per presentarsi. Alla fine era stato il turno di uno sconsolato Ron.
“Beh… Ron Weasley.”
“Weasley? Ma certo, che sciocca!” si era battuta la fronte. “Conosco tuo padre, persona meravigliosa… non potevi che essere un Weasley!” gli aveva sorriso radiosa, rincuorandolo un poco.



64.
*...Così se potessi darci un’occhiata ti sarei molto grata, davvero: so che a te Harry presterebbe ascolto!*
Bessie aveva appallottolato la missiva ricevuta da Hermione, controllando che intorno nessuno l’avesse notata. Poi si era avviata lungo i corridoi.

Harry, Ron ed Hermione erano usciti dall’aula in cui avevano appena dovuto sopportare una lezione con Piton: Harry in particolare sembrava piuttosto abbacchiato, così non si era accorto subito di Bessie, che era in piedi ad aspettarli. Si fregava le braccia come per scaldarsi e si guardava intorno un po’ spaesata, come se non fosse del tutto certa di ciò che stava facendo. Harry, vedendola, aveva sorriso. Le si era avvicinato, e Bessie allora aveva notato quanto fosse cresciuto negli ultimi tempi, perché ormai la sovrastava in altezza di tutta la testa. Aveva sorriso anche lei, più serena in sua compagnia.
“Hai freddo?”
“No” aveva risposto lei, ringraziandolo con gli occhi per la premura.
In quella li aveva raggiunti anche Ron, curioso. “Che ci fai qui Be... ehm, Belle?”
“Io... vorrei parlare con Harry, se è possibile.”
Ron aveva fatto una smorfia buffa, aveva sillabato “Ovvio” con le labbra, prima di essere trascinato più in là da Hermione. Bessie non aveva perso tempo in convenevoli.
“Senti Harry” sembrava preoccupata “ho saputo del tuo libro... sei proprio certo che non abbia niente di strano, vero?”
Harry aveva lanciato un’occhiataccia ad Hermione, che si era stretta nelle spalle. “Ho pensato che con lei sarebbe stato più sicuro... non mi piace questo Principe Mezzosangue, lo sai bene!”
“Parla piano, Hermione, porca miseria!” l’aveva sgridata Harry. Poi aveva rassicurato Bessie sul fatto che non fosse altro che un libro con qualche appunto molto utile; le aveva descritto sommariamente di cosa si trattasse.
“Me lo... mostreresti?”
“Certamente, quando vuoi.”
“Oh, bene!” Bessie si era illuminata, improvvisamente rilassata e quindi libera di sentirsi entusiasta. Hermione l’aveva fissata incredula. “Allora, che c’è sopra? Dimmi, dimmi di preciso!”
Harry aveva spiegato più a fondo ciò che gli era capitato grazie a quel libro.
“Ma è fantastico!” era esplosa lei.
“Non proprio” era sbottata allora Hermione, sbuffando. “E’ scorretto.”
Bessie aveva fatto un gesto spazientito. “Non è questo il punto, Hermione! Non sono sempre i voti! Voi... grazie a questo libro potete imparare meglio incantesimi utili, è importante! Di questi tempi, poi...” Si era voltata verso Harry, orgogliosa. “Diventerai bravo come tua madre, Harry.”
In quella Piton era uscito dall’aula, dove si era attardato per sistemare alcune scartoffie. Era andato a sbattere contro Bessie, ferma proprio davanti alla porta.
“Oh, mi scusi...” aveva bisbigliato lei, confusa. L’aveva guardato. “Mi scusi, signore.”
Piton era rimasto immobile a fissarla, glaciale come al solito, e già Harry si attendeva qualche risposta al vetriolo o qualche sottrazione ingiusta di punti; invece si era limitato a squadrarli uno ad uno, una smorfia acida ad arricciargli le labbra, senza proferire verbo. Aveva stretto più saldamente i libri sotto al braccio, se n’era andato ancora in silenzio.
Ron aveva spalancato la bocca. “Wow, questa sì che è magia!” aveva esclamato.

Una ragazza si era sporta dall’angolo del corridoio; Harry ricordava di averla vista seduta vicino a Bessie durante il primo giorno a Hogwarts.
“Isabel, ci sei? Sta per iniziare la lezione!”
“Arrivo subito Kim, scusami!”, aveva risposto lei prontamente. Si era chinata verso i tre, sussurrando divertita “La mia compagna di banco. È sempre talmente precisa!”, poi l’aveva seguita.



65. (hermione sta sgridando Harry per via di Bessie)

“Ho visto come la guardi, Harry!”
Lui aveva negato. “Te l’ho detto, non stanno così le cose! Quest’estate mi sono reso conto di ciò che stavo creandomi io... e poi li ho anche sentiti parlare.”
“Parlare? Chi?”
“Bessie e Lupin, e poi Lupin e Tonks... insomma, mi sono reso conto che per lei non ci sarebbe mai spazio per me come per... insomma, hai capito.” Aveva scosso la testa. “Davvero, Hermione. Forse invece...”
Era sembrato incerto, come sul punto di dire dell’altro, poi però altre due voci si erano sovrapposte alle loro, facendo eco al piccolo confronto in un vero e proprio alterco.
“Sei insostenibile, Ron! Non resterò qui a farmi offendere da te!”
“Guarda che sono solo preoccupato per mia sor...”
“Tu sei soltanto geloso! Ecco cosa sei!”
“Geloso?”
“Sì! Perché non capita anche a te!”
Ginny pareva veramente alterata, così Harry ed Hermione erano intervenuti per sedare il litigio. Alla fine erano andati tutti insieme a fare colazione nella sala grande, mentre Ron continuava a borbottare.
“E’ davvero una bruttissima giornata oggi, non trovate?”
“Sì, non sembra nemmeno autunno... fa freddo! C’è tantissimo vento fuori, prima sono salita in guferia e temevo di sollevarmi in volo!”
“Poi il cielo... avete visto il cielo quant’è scuro? Io odio il cielo quand’è brutto!”
“Cos’è che non odi tu, Ron” aveva sospirato stancamente Hermione. Harry invece era rimasto a guardare il viso imbronciato di Ginny, senza riuscire a staccarsi; qualcosa, e non avrebbe saputo dire cosa, glielo impediva.
Proprio mentre lui si trovava in quella posizione e Ron stava per ribattere ad Hermione dando il via ad uno dei loro celebri battibecchi, Lupin li aveva incrociati nel corridoio.
“Buon giorno, ragazzi” aveva sorriso gentile.



66.
“Oh, molto bene signorina Shacklebolt, vedo che capisce al volo! Mi rallegro con lei per la sua decisa... memoria!”
La lezione con Lumacorno era partita fin dall’inizio su questi binari, proseguendo senza smentirsi, tanto che Bessie si era sentita imbarazzata almeno un paio di volte. Il professore sembrava non volerla aiutare in alcun modo, complimentandosi costantemente con i suoi meriti. Si era fregato le mani, soddisfatto, e Kim di fianco a lei aveva ridacchiato. Al termine dell’ora previsa però, insieme ad altre due compagne del settimo anno, era andata a domandarle esplicitamente com’era riuscita ad accattivarsi in pochi giorni le simpatie di praticamente tutti i professori.
“Oh, forse è solo perché sono nuova e vogliono farmi sentire a mio agio!” aveva balbettato lei.
“Può anche essere così, e in fondo c’è da dire che tu sei veramente brava, Belle. Però” aveva obiettato l’altra “non puoi negare che ci sia qualcosa di strano.”
“Ma dai Kim, mi sembra che tu esageri!”
“Ho sentito dire che nemmeno Piton fa lo stronzo con te, Belle! Forse tu non ti rendi conto di cosa questo significhi per noi di Grinfondoro, ma...”
“...E’ più o meno come se oggi a pranzo Silente salisse sul tavolo degli insegnanti e sollevandosi la veste si mettesse a covare un uovo d’oro!” aveva completato un’altra ragazza. Tutte erano scoppiate a ridere a questa bizzarra scenetta.
“Davvero, Belle” aveva proseguito Kim quando era riuscita a calmare l’attacco di risa. “Credo che tu sia l’unica Grifondoro che riesce a salvarsi da lui, se così si può dire...”
Bessie aveva esitato un istante, e proprio allora Piton le era comparso alle spalle, afferrandole un braccio.
“Ci attardiamo per giocare, signorine?” aveva chiesto, glaciale. Le ragazze l’avevano fissato atterrite, Kim aveva sbuffato. A Bessie, nascosta dagli occhi di Piton poiché gli dava le spalle, era scappato da ridere.
“Uscite. Devo parlare con il professor Lumacorno.” aveva concluso, laconico.
Loro non se l’erano fatto ripetere due volte, anche se Bessie allontanandosi non aveva potuto fare a meno di volgere il capo per guardare cosa stesse effettivamente facendo Piton lì: doveva davvero discutere con Lumacorno, oppure era intervenuto per aiutarla in una situazione che avebbe potuto rivelarsi difficile?

Più tardi, Harry, Ron e Hermione avevano sentito quelle stesse ragazze parlare di Bessie.
“Io la trovo simpatica!”
“Sì, però è strana, no? Voglio dire... è qui da meno di un mese e sembra la cocca di tutti quanti i professori o quantomeno di molti di loro... sembra conoscerli, addirittura; per esempio il professor Lupin.”
“Beh, lui non è esattamente un professore, ora. È qui per garantire la nostra sicurezza, no? Perlustrazioni e cose così, anche se è incaricato di eventuali supplenze...”
“E dai Kim, non è questo il punto! Non mi dire che non la trovi strana anche tu! Ha degli sbalzi d’umore particolari... sta così spesso per conto suo, anche se poi quando torna sembra socievole con chiunque!”
“Io non mi fido di lei.”
“Non vi pare di stare esagerando?”
“Beh, e che mi dici dei sogni?”
“Sogni?”
“Ma sì, il fatto che ogni notte si svegli mormorando qualcosa come se le stessero facendo del male... chissà che diamine vede! Certo che ogni santa notte sveglia anche chi le sta accanto... non ti secca, Kim?”
“Beh... un po’..”

Hermione si era voltata verso Harry. “Questo significa... che continuate a sognare Sirius, Harry?”
Lui aveva annuito.



67.
Si erano chiesti cosa fosse meglio fare, se parlarne con lei oppure no, poi avevano convenuto che forse per il momento sarebbe stato meglio non affibbiarle ulteriori pesi. Non doveva essere una situazione facile per lei, probabilmente aveva solo bisogno di tempo per ambientarsi. Così avevano finto di nulla, badando bene però di tenere gli occhi aperti.
La sera si erano riuniti di nuovo tutti in sala comune per bere qualcosa di caldo, data la giornata particolarmente severa. Bessie teneva fra le mani una tazza di latte fumante, e Kim le aveva domandato divertita se non bevesse mai altro. Lei aveva fatto una smorfia da monella, aveva scosso il capo. Ridevano, ed Harry le aveva osservate sollevato.
“Sei preoccupato per lei?”
Era sobbalzato, come se in qualche modo fosse stato appena colto in castagna. Si era voltato verso Ginny, rosso in volto, ed aveva negato imbarazzato. Maledetta Hermione, doveva smettere di tormentarlo ficcandogli tutte queste pulci nell’orecchio! Ginny aveva sorriso, si era alzata per raggiungere Dean. Harry si era tormentato nervosamente il ciuffo, non era questo che voleva! Non era questo!

“Hai un baffo di latte, Belle.”
Kim si era sporta verso di lei per pulirle la guancia con un dito, e Bessie aveva sgranato gli occhi.
“Co...?”
“Dicevo che hai un baffo di latte” aveva ribadito l’altra divertita, portando a termine l’opera.
Bessie era stata improvvisamente catapultata in un ricordo senza poter fare nulla per evitarlo. “James...”, aveva mormorato. Non piangere, si era detta. Non fare la ragazzina sciocca. Per nessun motivo al mondo.
“Come, scusa?”
“No... nulla.” Si era fregata vigorosamente il naso, concentrandosi sulla tazza di latte e bevendola a sorsi fin troppo abbondanti. Aveva finito per scottarsi la lingua, e gli occhi lucidi aveano trovato una giustificazione sicura.

Quella notte il sogno si era ripresentato molto più forte del solito. L’aveva straziata, lacerandole l’anima. Sirius sembrava più vivo e vicino che mai, ed ancora una volta non aveva pututo fare nulla per impedire che quel fascio di luce verde lo raggiungesse strappandolo a lei. Soltanto urlare.
Quando si era svegliata, ansante, terrorizzata, respirava a fatica. Kim era sopra di lei, la guardava preoccupata, e Bessie si era resa conto di aver urlato davvero. Sudava freddo: ansando, aveva stretto a sé la pietra fino a farsi male ai palmi.
“Belle, va tutto bene? Stai... bene?” le aveva chiesto l’altra.
Le era sembrato uno sforzo disumano, dover richiamare alle labbra il fiato per poter parlare. L’aveva rassicurata, le aveva spiegato che si trattava solo di un incubo. Qualunque cosa, purché mi lascino sola.
Quando Kim, seppur poco convinta, era tornata a dormire, Bessie aveva cercato di rimanere immobile il più possibile. Cercava di respirare più regolarmente, di non tremare. Di non rimettersi a gridare.
Il sogno, stavolta, era stato così vivido ed intenso che la sensazione di dolore non voleva saperne di abbandonare la sua pelle. A fatica, quando le era sembrato che tutti si fossero addormentati, si era alzata, raggiungendo il bagno. Aveva appoggiato la fronte contro il freddo delle piastrelle, provando a fermare il mondo che le ruotava vorticosamente intorno; infine si era arresa, accartocciandosi su se stessa con le mani che premevano contro lo stomaco, ed aveva vomitato fino allo sfinimento.
Quando si era ripresa c’era Kim al suo fianco, nel silenzio da ospedale di quell’unico luogo illuminato nel cuore della notte, e tirandola per un braccio stava tentando di tirarla su.
“Dai, alzati. Alzati, Belle! Non puoi rimanere lì sul pavimento, ti prenderai un malanno!”
“No, non... non...” Bessie aveva protestato debolmente, cercando di rimanere a terra. Le sembrava di non avere le forze necessarie per sostenersi da sola.
“Stai malissimo, sei bianca da far paura Belle!” aveva commentato l’altra, facendola sedere con la schiena appoggiata alla parete. Poi si era accomodata accanto a lei, con un accenno di fiatone per lo sforzo. Le aveva asciugato la fronte con un panno, riempito un bicchiere d’acqua.
“Va meglio?” aveva chiesto poi. Belle aveva annuito.
“Ti va di alzarti?”
“No, per favore... preferisco stare ancora un po’ qui. È fresco.”
“Non c’è nulla che posso fare per te, Belle?”
Bessie, ancora stordita, aveva alzato gli occhi a guardarla. Nel suo sguardo serio aveva letto chiaramente che non si trattava di un’offerta d’aiuto limitata all’indisposizione momentanea, o meramente fisica. Lei però non si sentiva ancora pronta. Per nulla. Aveva scosso il capo.
“Va bene.” aveva risposto Kim.
Un minuto più tardi, però, un pensiero improvviso aveva colpito Bessie. C’era qualcosa che andava fatto, e andava fatto immediatamente!
“Senti Kim, in realtà c’è... qualcosa che potresti fare per me.”
“Dimmi, Belle.”
“Andresti... andresti a vedere come sta Harry?”
“Harry? Harry Potter?”
“Sì.”
“Ma...”
“Ti prego.” Bessie aveva deglutito. Le sembrava che ogni vocabolo emesso le costasse una fatica maggiore di ciò che poteva sopportare. Si sentiva le labbra secche, prive di saliva, la testa pesante. Aveva socchiuso le palpebre, per dare sollievo agli occhi.
“Be’... certo, d’accordo.”
“Ti ringrazio Kim, davvero.”
La ragazza aveva annuito, poi si era alzata per andarsene. Bessie l’aveva fermata afferrandone un lembo della camicia da notte.
“Per favore Kim... non parlarne con nessuno!”


********************************************************************************************************


Il mattino seguente Bessie era andata a sedersi accanto ad Harry.
“Perdonami, Harry.”
Lui aveva scosso il capo. “Non è colpa tua, Belle.”
“Sì invece.” Aveva ripensato alla scena con Kim, quando lei le aveva fatto notare il baffo di latte. Aveva raccolto le energie residue per ribadirlo con maggior forza, cercando di mascherare l’aria stanca portandosi i capelli davanti al viso. “Sì, invece!”
Harry era rimasto in silenzio per qualche minuto; nessuno dei due aveva voglia di mangiare, così avevano cincischiato con i cucchiai nelle tazze senza mai portarli alla bocca. Quando aveva parlato, non era stato per risponderle.
“Hai mandato tu Kim a cercarmi, ieri. Perché?”
“Ero preoccupata, volevo sapere come... stavi...”
Harry aveva ripensato a ciò che aveva sentito il pomeriggio prima. “Ti fidi di lei?”
Bessie si era soffermata a pensare, poi aveva sorriso, serenamente. “Sì”, aveva detto.
“Allora va bene.” E si era riappoggiato allo schienale della sedia.






ora vado ad aggiungere qualche bambolina, se posso... guardare guardare! *_* ah, bentornata manny! ti avevo data per dispersa negli ultimi capitoli :p

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Capitolo 28
*** Hogwarts, 28. ***


qualche capitolo di assestamento... ho dovuto scrivere un po' di fretta! ringrazio sempre mixky e manny, sia per i commenti qui che per quelli privati :p e poi anche ale, che non vuole scrivermi qui ma mi ha incoraggiata tantissimo lo stesso!!!



Hogwarts, 28.



68.
Bessie era entrata nella sala grande, dove l’aveva accolta un gran vociare da tutte le direzioni. Si era guardata intorno: Silente aveva proposto che i familiari degli studenti andassero a fare loro visita alla scuola, per via di tutti i timori che crescevano a causa del ritorno di Voldemort; la maggior parte di loro non se l’era fatto ripetere. In un angolo aveva scorto Hermione con i suoi genitori, poi altri compagni di Grifondoro in una situazione simile; aveva poi visto Ron, Ginny ed Harry alle prese con la signora Weasley e Bill. Si era avvicinata.
“Molly!” aveva mormorato, attenta a non farsi udire. “Che sorpresa, anche tu qui? Ciao Bill!”
“Ho pensato che i miei bambini si sarebbero sentiti soli se soltanto loro non avessero avuto nessuno a trovarli!” aveva risposto lei, mentre una smorfia del figlio la smentiva impietosamente. Bill si era alzato per abbracciare la ragazza.
Bessie era rimasta un po’ fra loro a chiacchierare, per riassaporare quell’aria di famiglia che –doveva ammetterlo- le era mancata. Dopo poco però aveva iniziato a sentire il peso delle innumerevoli attenzioni e preoccupazioni della signora Weasley: guardava sia lei sia Harry come se fossero due malati gravi, così tanto che le faceva male al cuore. Le ricordava Sirius costantemente. Stai riportandomi addosso tutto quel dolore cui cerco di non pensare, Molly. Ti prego, non mi spingere ancora più in basso. Non mi guardare così. Non mi guardare pensando a quand’ero felice, ora che non lo sono più. Neppure il sorriso caldo di Bill, che riusciva sempre a darle serenità, era riuscito a bilanciare l’effetto non voluto della madre. Si era alzata per andarsene, adducendo come pretesto qualche cosa da fare.
“E allora che mi sono presa un giorno di ferie a fare, io?!”
Non appena Bessie aveva individuato l’origine della protesta le era saltata in braccio con uno strillo.
“Tonks, whoa!!! Che ci fai tu qui?”
L’altra aveva sollevato un sopracciglio. “E me lo domandi?”

Erano rimaste loro due a chiacchierare animatamente per mezz’ora; Tonks si guardava intorno emozionata nel rivedere tutto, ed ogni sguardo era interrotto da osservazioni sul genere: “Ma ti ricordi, ci mettevamo sempre lì!” “Sì, e tu Dora dovevi studiare scalza perché se no ti addormentavi...” “Non dire sciocchezze, guarda che mi ricordo benissimo dei tuoi orsacchiotti portafortuna!” “Dio, come si sta bene a tornare qui!” “E’ lo stesso che ho pensato io la prima volta...”
Silente era passato alle loro spalle, con un sorriso bonario aveva sussurrato soltanto “Cautela.” Bessie però aveva notato che aveva gli occhi attenti. Allora si erano messe ad osservare la sala in silenzio, aveva indicato Kim a Tonks, salutando con un cenno la sua famiglia; loro avevano risposto sorridendo al saluto.
“Guarda guarda” aveva mormorato poi Tonks. “Bessie, copriti un po’, c’è la famiglia cuore momentaneamente mutilata, di là...”
“Chi...?” Bessie si era voltata e seguendo lo sguardo dell’amica aveva visto Draco Malfoy parlottare fitto con la madre. “E’ sempre bella, Narcissa...” aveva sussurrato ammirata, mentre la donna scuoteva la chioma biondissima, quasi bianca, i capelli fini come seta.
“Bes, non mi pare il momento di mettersi ad adorare un componente della famiglia Malfoy!”
“Chi adorate?” era intervenuto Lupin, inaspettatamente. Tonks aveva risposto colma d’ironia.
“Te, naturalmente.”
Bessie le aveva assestato una gomitata precisa ad uno dei fianchi, correggendola prontamente: “Ma lei, prof!”
Lupin era rimasto fra loro con discrezione, per salutarle e chiacchierare del più e del meno.

Intanto Harry e Ron stavano osservandoli non visti, e discutevano della loro situazione.
“Non mi sembra che Tonks sia molto più in forma dell’ultima volta che l’abbiamo vista.”
“Harry, pensi davvero che potesse essere innamorata di Sirius?”
“Mah, e chi lo sa...”
“Sì, però c’è una cosa che ancora non capisco” la vocetta squillante di Hermione li aveva colti alla sprovvista mentre i suoi genitori si soffermavano a salutare la signora Weasley e Bill “Perché Lupin è qui?”
“Lo sai, Hermione” aveva ribattuto Ron “con la scusa delle supplenze pattuglia la scuola per...”
“Sì lo so, lo so!” aveva risposto lei con sufficienza “Ma lui ha già una missione, ha già il suo compito. Allora perché lo fa?”
Si erano voltati tutti e tre verso di lui, l’avevano fissato intensamente mentre chiacchierava con Bessie, le dava un buffetto colmo di dolcezza su una guancia. Lei si era sottratta al contatto ridendo, non realmente intenzionata ad allontanarsi. Lui aveva ripetuto il gesto senza che lei si spostasse, questa volta.
Harry aveva deglutito, si era voltato verso Ron.
“Non l’abbiamo notato solo noi” aveva bisbigliato Hermione. In effetti gli occhi di Kim erano fissi sulla scenetta.
“Dobbiamo fare qualcosa, non possono capire che sono così vicini, è rischioso!”
“Bessie dice che si fida di lei.”
“Sì, ma fino a che punto Harry? Fino a poterle rivelare...”
“Sssht, sei pazza Hermione!” l’aveva bloccata Ron, per una volta soddisfatto di trovarsi dall’altra parte del rimprovero.
“Che fate ragazzi, che succede?” la voce di Bill, allegra, li aveva interrotti sul più bello; Harry tuttavia sembrava non essersene neppure accorto, agitava le mani confusamente, cercando l’ispirazione adatta. “Che ha?” aveva domandato di nuovo Bill, indicandolo con il mento.
“Cerchiamo... un diversivo. Dobbiamo distrarli, perché non diano nell’occhio.”
“Devo trovare qualcosa, devo trovare qualcosa... sì ma cosa?”
“Spremiti le meningi, Harry!”
“Non mi viene assolutamente nulla!”
“Oh, ma insomma!”
“Ehi, si può sapere perché devo impegnarmi solo io?”
“Ragazzi, calmatevi...”
“Bill, ma dobbiamo fare qualcosa!”
“Che cosa...” borbottava Harry, passandosi una mano sulla fronte per l’urgenza. Alla fine l’illuminazione era arrivata, senza che lui riuscisse a contenerla. Si era alzato in piedi rovesciando la sedia per la rapidità del movimento, aveva praticamente urlato mentre puntava un dito contro Ron: “IL QUIDDITCH!!!”
Un attimo dopo mezza sala lo fissava, ammutolita. Si era voltato verso Ron ed Hermione che avevano istantaneamente assunto un’espressione inorridita, forse anche esageratamente terrificata, aveva pensato Harry mentre loro non gli toglievano gli occhi di dosso.
“Ok, dov’è il Dissennatore?”, aveva domandato.
Le labbra di Ron erano riuscite a bisbigliare un debole “Peggio...” mentre la mano di Piton si posava sulla sua spalla.
“Lieto di vedere che ricordi ancora come si chiama, Potter. Imparare i vocaboli della propria lingua è il primo segreto per essere promossi agli esami!”
Harry aveva notato poco distante Malfoy ed altri Serpeverde sghignazzare, aveva stretto le labbra.
Subito dopo però, Piton se n’era andato senza più prestargli attenzione. Mentre ancora la maggior parte degli occhi intorno erano puntati su di lui, perplessi o divertiti, era riuscito a vedere che si dirigeva deciso verso Lupin, Bessie e Tonks. Aveva pregato l’uomo di seguirlo per un qualche affare scolastico, nello sguardo un duro ammonimento contro le sue azioni.



69.
“Harry!” Bessie l’aveva rincorso lungo i corridoi, le guance arrossate dalla fretta.
“Ciao, Belle” aveva risposto lui, dopo aver scorto altri studenti intorno.
“Senti, posso chiederti... come mai ultimamente quando incroci dei Serpeverde ti chiamano Quidditch? Ci sono dei problemi con la squadra?”
“Eh? Oh, er... no, no. È che... uhm, volevo, vorresti... perché non vieni anche tu alle selezioni?”
“Io? No no, meglio di no.”
“Perché?”
“Beh, sono troppo distratta. Temo sempre che precipiterei dalla scopa per seguire un bolide!” aveva riso lei.



70.
Bessie era nel dormitorio insieme alle altre ragazze. Ognuna teneva in mano una bottiglia, alcune dai letti, altre direttamente dal pavimento. Chiacchieravano con eccitazione, con la complicità propria delle festicciole private tra ragazze.
“Sì” raccontava Bessie, allungando una gamba sulla pancia di Kim “Tonks, l’hai vista al ricevimento... non se ne andava mai dal mio divano! Diceva che era troppo comodo, così quando ci si piazzava ero sicura che sarebbe rimasta tutto il tempo da me, e mia madre preparava automaticamente un piatto in più!” aveva sghignazzato al ricordo.
“Quella Tonks, lei... è la tua migliore amica?” aveva domandato Kim.
“Beh... in un certo senso.”
“Cioè?”
“C’era un’altra ragazza. Eravamo a scuola insieme.”
“E ora?”
“Beh, lei è... rimasta indietro” aveva mormorato Bessie, senza guardarla negli occhi.
“Oh, è un peccato che vi siate divise!”
Bessie aveva ingollato un altro sorso, strizzando gli occhi per non farli lacrimare a causa della gradazione alcolica. Non aveva risposto all’osservazione, limitandosi a fissarsi i piedi.
“Questa moquette color acido è terribile” aveva detto alla fine, la voce alterata e ridacchiante.
“Scema” aveva riso l’altra “Non è color acido!”
“Sì che lo è!” aveva insistito lei. “Vuoi che te ne strappi un pezzetto per mettertelo davanti agli occhi?”
“Dio, Belle, sei una riserva incredibile di cazzate!”

Proseguendo nella nottata erano giunte al momento-confidenze.
“Su su, ora tocca a te Belle: chi salveresti tra Rufus e Piton?”
Bessie ci aveva riflettuto per un momento. “Piton” aveva risposto poi, senza esitazione nel tono. Le altre l’avevano fissata sconcertate.
“Perché?”
“Beh, perché almeno Piton la insegna, la sua materia!” Così almeno aveva creduto di rispondere. In effetti si sarebbe trattato di una risposta ragionevole. Solo che dalle sue labbra erano uscite le parole “Mi fido di lui.”
“Eh?”
Forse se n’era resa conto. “Volevo dire...” oh, come girava il mondo. Eh sì, girava proprio. Girava, girava, girava un sacco, come una giostra. “Volevo dire che Piton è un bell’uomo!”
Le altre avevano riso, basite. “Che diamine dici, Belle? Straparli!”
Una era intervenuta “Dicono che Silente fosse un bell’uomo, da giovane...”
“Effettivamente, con quegli occhi di ghiaccio...”
“Naaaaahh” le aveva corrette Bessie, pericolosamente chinata su se stessa perché trovava interessantissima la moquette color acido. “Silente porta i calzini di lana grossa colorati, per camminare in camera! Coi buchi.”
“E tu come lo sai?”
Bessie era arrossita, rendendosi conto della gaffe e sperando ardentemente che le altre non avessero notato il mutamento di colore. “Che caldo” aveva commentato, sventolandosi con la mano. “Io... l’ho visto quando mi ha ricevuta per firmare le carte d’iscrizione. Non era... molto formale. Mia madre era pochissimo convinta!” aveva aggiunto poi ridacchiando. “Lei è così fissata con quello che deve essere e quello che invece non va bene! Ha talmente tanti paletti!”
“Ah, un uomo coi calzini grossi e bucati è proprio il mio ideale, non c’è che dire!” la battuta aveva riempito il silenzio che era seguito, gonfiandolo di grosse risate rotolanti. Kim aveva tirato un cuscino addosso alla malcapitata, e a Bessie era sembrato di vedere Lily. Aveva chiuso gli occhi, massaggiandosi le palpebre con le dita. Lily...? Vai via dalla mia testa!
“Sentiamo allora, come sarebbe il vostro ideale?” aveva proseguito quella, imperterrita, mentre Bessie si alzava per raggiungere il bagno. Kim l’aveva seguita con lo sguardo, ma Bessie l’aveva tranquillizzata.
“Vado alla toilette”, aveva mimato con le labbra.
Cavoli, come girava il mondo! Era anche un tantino sottosopra. Più che altro, sembrava che si restringesse e si allungasse a suo piacimento... Bessie credeva di trovare una parete e poi scopriva che era molto più distante, oppure s’infilava la maniglia di una porta nel costato per non averla prevista.
È una stupida maniglia.
Con le percezioni alterate, una volta raggiunto il bagno Bessie aveva rivisto Lily; era lei, senza alcun dubbio. Le si era avvicinata... ed anche lei aveva fatto altrettanto! Sembrava quasi che stesse cercando di dirle qualcosa! Per la miseria Lily, che ci fai qui? Cosa stai cercando di dirmi?
“...gnffzzh?”
Come?
“Va tutto bene, Belle?”
Ginny.
Era la voce di Ginny.
L’aveva guardata in viso senza sapere cosa rispondere, solo con una gran voglia di mettersi a piangere. Alla fine era scoppiata a ridere, spropositatamente.
“Ehi!” aveva protestato l’altra, preoccupata.
“Ho solo bevuto un po’, Ginny. Non è niente” l’aveva rassicurata, il sorriso stiracchiato che ancora le aleggiava sulle labbra. “Stiamo festeggiando, di là” aveva aggiunto poi, a ulteriore conferma.

Quando Bessie era tornata in camera, appoggiandosi alle pareti per non sbagliare strada una quarta volta, le ragazze erano ancora immerse nella definizione di uomo ideale. Si era seduta al solito posto, ascoltando il turno di Kim. Lei aveva descritto qualcuno che a Bessie –non era sicura di aver capito bene- era sembrato molto interessante, solo che le altre l’avevano presa in giro fino alla morte, perché a quanto pareva nella pratica si era sempre scelta esemplari molto distanti da quella bella descrizione.
“Vi ricordate il tipo che voleva farle arrivare una rosa dalla finestra, e una volta a lezione d’improvviso abbiamo visto una quantità enorme di rose arrampicarsi tanto che Vitious ha dovuto disinfestare l’aula?”
“Sì, e invece quando lei cercava di incantare la piuma di un altro perché gli scrivesse un messaggio non appena l’avrebbe presa in mano, e le era esplosa la boccetta d’inchiostro in faccia?”
Si sbellicavano dalle risate, anche Kim aveva fatto buon viso a cattivo gioco. Bessie era stata allo scherzo, divertendosi quanto loro.
“E tu Belle, che ci dici? Quale è il tuo uomo ideale?”
Bessie si era sentita spiazzata; non era pronta a trovare una risposta per questo. Aveva cercato di ridere, mentre sentiva che le labbra le si distendevano come sotto un ferro da stiro. Devo aver bevuto troppo.
“Ve l’ho detto, no? Mi piace Piton!”
“Non prenderci in giro, sciocca! Dai, chi c’è nella tua vita? Siamo qui per questo!”
Io credevo fossimo qui per bere. “Non c’è proprio nessuno” aveva scosso il capo.
“Avanti... porti sempre quel ciondolo bellissimo, te l’avrà regalato qualcuno! E poi c’è la fedina che tieni infilata nella stessa catenina... non te ne separi mai!”
Bessie aveva abbassato gli occhi a guardarli, istintivamente li aveva protetti con le mani. Kim l’aveva vista, forse aveva letto la sua ansia.
“Dicci la verità” aveva continuato un’altra “Piton è solo uno specchietto per le allodole, c’è qualcun’altro che non ti molla un secondo, vi cercate sempre con lo sguardo...”
Bessie l’aveva fissata sbalordita. Harry?
“Un ragazzo di Hogwarts?”
“Non un ragazzo, un uomo!”
“Tu sei tutta scema!” aveva cercato di ridere, Bessie, e anche dalle sue percezioni falsate si era resa conto di essersi lasciata scappare una specie di ringhio distorto, orribile a sentirsi. Kim aveva riconosciuto il suo panico come uno stato molto vicino a quello di quella notte nel bagno. Aveva ripensato al suo urlo nello svegliarsi, come un ringhio trattenuto per troppo tempo. Aveva provato a fermarle.
“Ma dai!” aveva risposto qualcuno dal buio “Non parla mai di lei! Secondo me ha un amore segreto... ed è proprio quello che una compagna di classe dovrebbe scoprire!”
Pensavo studiassimo insieme.
Alla fine Kim era riuscita a stornare il discorso su un suo presunto ex fidanzato che non si allontanava molto dai suoi desideri, o quantomeno non si rendeva ridicolo. Un paio di ragazze l’avevano fissata stupite. “Non avevi mai parlato di lui da quando vi siete lasciati, Kim...”
Bessie era troppo ubriaca, troppo spaventata per rendersene conto.




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Capitolo 29
*** Hogwarts, 29. ***


arieccomi... stavolta, dopo ale, devo aggiungere un altro voto nuovo alla folla numerosissimissima dei commentatori :p checco, che si è gentilmente e SPONTANEAMENTE prestato alla cosa. (tling! -rumore delle chiavi delle manette che mi sono cadute dalla tasca) grazie perch commenta ogni santo capitolo che legge, anche se a volte al di là dei 'brava' riesco a capire quello che pensa, mi basta una sua citazione di una frase per capire quello che non dice. e anche se penso che se qualcuno s'immerge davvero in qualcosa che legge, se quel mondo t'invade come dici tu, non puoi semplicemente prendertene una pausa; io almeno non ci sono mai riuscita, mi accadeva l'esatto contrario... tanti bacini alle mie fedelissime manny (visto? non ho aggiornato ieri, così ti ho lasciato pausa) e mixky (riuscirò a rispondere anche alle tue mail ç_ç perdono ç_ç), e a tutti quelli che leggono senza mai lasciare una righina ç______ç° anche se siete cattivelli ç_____ç° PS come vi sono sembrate le ultime bamboline? devo aggiornare anche lì... madù!



Hogwarts, 29.



71.
Bessie era sola nella guferia, cantava mentre la fedina ciondolava liberamente dal suo collo. Si era guardata i palmi che portavano dei segni strani, arrotondati: li aveva avuti ancora. Ogni tanto le comparivano. Sapeva esattamente perché.
So che le cose sono cambiate, anche la pioggia sembra nera. Vorrei che fossi qui... e vorrei anche che te ne andassi.
Il vento le aveva solleticato la pelle, portandole uno strano profumo di mare. È strano, aveva pensato. Il mare cerca sempre di venirmi in aiuto. Aveva raccolto le gambe fra le braccia, sentendosi come se la malinconia non fosse più soltanto uno stato d’animo; come se ormai facesse parte del suo essere viva.
Qualcosa si è rotto: potrei piangere solo un po’ - finché non torni. Mi piacerebbe riuscirci.
...Vorrei che ci fossi, Sirius.

Un’ora dopo si era allontanata dalla finestrella, dirigendosi a cercare Harry.



72.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Senti Harry, non ti ho mai parlato... di questa.” Gli aveva indicato la fedina. Harry l’aveva guardata.
“Mi spiace se l’ho tenuta io. Spetterebbe a te tutto ciò che era di Sirius.”
Harry aveva portato le mani avanti. “Non dirlo nemmeno per scherzo, Belle. Quella è tua. Non è mai stata mia nemmeno per un attimo.”
Questa volta era stato il turno della ragazza di guardarlo senza dire nulla. Un sorriso le aveva però disteso i lineamenti, mentre lui tornava a parlare.
“Lui... la portava sempre. Non glie l'ho mai vista togliere. Come mai quel giorno non l’aveva con sé?”
“Non lo so. Credo di non volerlo sapere”, aveva sospirato lei.


*********************************************************************************************************


“Ho pensato che magari vorresti vedere... la cerimonia.”
“Cerimonia?”
“Sì, il saluto che gli abbiamo organizzato. Tu... eri già tornato a casa. È stato a Grimmauld Place, solo un momento piccolo.”
“Mi... piacerebbe”, era convenuto lui. Bessie si era sfilata la pietra dal collo.
“L’affido a te. Tienila quanto vuoi, Harry.”
“Ma tu come farai senza?”
“Non ti preoccupare per me”, aveva replicato lei. Harry aveva visto il suo volto, ed era il volto di una persona in qualche modo rafforzata dal dolore. Aveva sperato che fosse così.


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Bessie indossava un vestito bianco, semplice come una tunica e lungo fino ai piedi. Sembrava scalza. Il luogo... doveva essere il giardino sul retro della casa. Erano tutti lì: Lupin, Silente, Tonks, i signori Weasley, Moody, Kingsley... Harry aveva sentito una morsa allo stomaco. Avrebbe voluto esserci.
Bessie era incredibilmente bianca. Portava i capelli sciolti, lunghi sulla schiena. Una volta aveva sentito che quello era il modo in cui dovevano presentarsi gli Emagus novizi, prima di essere nominati ufficialmente. E che il loro colore per il lutto era il bianco.
Bessie avanzava verso una specie di piccolo altare, o di piccola scatola, forse. Non riusciva a vedere bene. Sembrava una sacerdotessa.
Poi aveva iniziato a cantare.




73.
“Shacklebolt” la voce fredda di Piton aveva raggiunto Bessie mentre superava il suo ufficio “Puoi entrare un momento? Vorrei mostrarti la tua ultima prova.”
Bessie l’aveva raggiunto.
“Chiuditi la porta alle spalle, Shacklebolt.”
Lei aveva obbedito, fissandolo curiosamente una volta isolati dal mondo esterno. Lo sguardo di lui era stato molto più intenso.
“Dov’è la tua pietra, Elizabeth?”
“L’ho prestata ad Harry, per... mostrargli un ricordo.”
“Sei sicura che puoi rimanere senza?” aveva domandato, penerante. Bessie si era grattata la punta del naso.
“Oh, è questione di pochi minuti!”
Piton continuava a guardarla. “Non possiamo permetterci scenate a scuola” aveva detto, ed il tono voleva essere seccato; si era passato però velocemente la mano tra i capelli, unico segnale dell’ansia che Bessie pensava dovesse averlo spinto a chiederglielo. Gli aveva sorriso.
“Grazie, Severus.”



74.
L’amore è rimasto ai ricordi, non c’è più spazio per incontrarsi... anche se ora ti scrivessi, le lettere si fermerebbero in qualche altro posto. Dormi. Non vedrai la fine di questa guerra che è come una prigione: l’inverno ti ha spento gli occhi, coprendoli di freddo; il sonno ha lasciato indietro i tuoi pensieri – come scrollarsi di dosso un poco di fango.
E chissà se in un respiro affannato, in una sofferenza, ritroverò il tuo sguardo. Se tutto il combattere porterà un mondo migliore di questo.
Sono così stanca di stare ancora qui, sull’orlo di un’altra separazione, con tutti i miei ricordi che spingono e le mie paure di bambina nel non starti accanto. Sembra che tutto ciò di cui avevi bisogno fosse andartene, allora resterò qui per aiutarti... e se lo devi fare, vorrei proprio che ora lo facessi.
Ma la tua presenza ancora qui non mi lascerà in pace – troppo amore, troppo dolore in me perché tu non sia reale. Troppi artigli ancora contro la mia pelle che il tempo non potrebbe consumare.
Avrei cancellato tutte le tue lacrime prendendole sul corpo, avrei combattuto ogni notte le tue urla fino ad esserne schiantata, avrei tenuto stretta la tua mano negli anni da aspettare, e per questo tu hai ancora tutto quanto di me fra le dita.
Vorrei andarmene, disarmata dal dolore, sotto questa pioggia fino a consumarmi, perché non credo di poter vivere senza di te - con la tua vita adulta e così poco ragionevole, che mi teneva come una cattura.

Ed i miei sogni non sono più sereni
Da quando la tua voce se n’è andata
Portandosi la gioia.

Bessie si era inginocchiata nel cantare le ultime parole; aveva stretto i pugni raccogliendovi della terra umida, e finendo per sporcarsi il vestito. “Non è giusto...” aveva sillabato con le labbra mentre la voce scemava. Nessuno l’aveva interrotta. Non s’interrompe un Emagus.
Nemmeno quando soffre.

Non piangeva,
continuava a ripetersi Harry mentre il pensiero gli rimbombava nella testa. Non piangeva.
Non l’aveva mai vista piangere per Sirius.



75.
Harry aveva cercato Bessie, finendo per sentire la sua voce nello studio di Piton. Allora si era fatto coraggio, aveva bussato spalancando quasi contemporaneamente la porta.
“Ma bene!” aveva esclamato l’uomo “Siamo tutti qui ora, riuniamoci pure! Volete anche un the? O preferite degli striscioni, per spiegare cosa stiamo nascondendo?”
Lui aveva riconsegnato velocemente la pietra alla ragazza, preferendo defilarsi il prima possibile. Bessie l’aveva rigirata tra le mani, guardandola come una persona cara.
Qualcosa si è rotto, aveva ripetuto dentro di sé. Si era controllata i palmi.
Piton era rimasto in silenzio. Seduto sulla sua sedia, non aveva disturbato il corso dei suoi pensieri, o forse non aveva trovato nulla da dire, limitandosi a guardarla. Teneva una penna in mano, lisciando a ripetizione la parte piumata; lei aveva le mani raccolte mollemente in grembo. Erano rimasti così a lungo, probabilmente non avrebbero saputo dire per quanto. Nessuno dei due aveva avuto voglia d’interrompere quel momento, fino alla fine.
Sei come sangue sacro nelle mie vene Sirius, sei micidiale... ma anche se fossi veleno, se fossi la somma di tutti i miei sbagli, vorrei lo stesso che scorressi completamente in me. Resterei in piedi.



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Capitolo 30
*** Hogwarts, 30. ***


Grazie a checco per il commento importantissimo! e una domanda a manny: cos'è che scrivo non chiaro? dica dica, così mi correggo :p



Hogwarts, 30.



78.
“Non riusciremo a prenderne nemmeno uno, Kim.”
“Già” aveva borbottato l’altra “Tu e i tuoi maledetti entusiasmi!”
“Che cooosa? Sei tu che ti sei vantata di aver sempre vissuto vicino a grandi laghi! Eccola qui, l’esperta!” aveva commentato, divertita dalla posizione scomoda dell’amica mentre tentava inutilmente di catturare un pesce dal laghetto della scuola.
“E’ che questo lago non è pescoso, ecco cos’è!” aveva brontolato lei, asciugandosi la fronte da alcuni spruzzi con una manica.
“Harry dice di sì, li ha visti alla prova del Torneo Tremaghi...”
“Allora sono stati stregati, oppure sono intelligenti! Certo è che non verranno da noi!”
Bessie aveva sorriso.
“Ma senti un po’” aveva proseguito Kim “è giovane Harry, lo sai vero?”
“Beh, ha soltanto un anno meno di... aspetta, a cosa stai pensando? Sbagli, Kim!” aveva protestato Bessie.
“Non penso a nulla, è che vi vedo sempre insieme, e quando stai con lui cambi sguardo. Lo sai, si vede subito se la qualità dello sguardo è diversa, se qualcuno tiene davvero ad una persona, se si sente bene insieme. Anche il modo in cui lo sfiori... sono movimenti casuali, ma è come se temessi di romperlo!”
“Mi hai osservata bene, eh?”
“Beh.” aveva borbottato lei, arrossendo un poco.
“Dai Kim, non c’è nessun problema, ma ogni volta mi affibbiate un nome diverso!”
“Io non voglio affibbiarti nessuno Belle, solo penso che sia una persona complicata cui stare vicino, e mi preoccupo. Oh, non fare quella faccia ora! Prendi un sorso, su!”
“Che cos’è?” aveva domandato Bessie, osservando con sospetto la bottiglia che le veniva porta.
“Burrobirra.”
“Non ci credo.”
Kim aveva fatto un sorrisetto furbo senza ritirare la mano né spostarla di un millimetro, alla fine Bessie l’aveva afferrata, mandandone giù un sorso. Immediatamente aveva assunto un’espressione schifata, per via della gradazione alcolica molto forte. “Argh, tu vuoi avvelenarmi!” si era lamentata; ne aveva però bevuto un secondo sorso, senza che Kim le rispondesse.
“E’ che non voglio che ti tormenti troppo, Belle” aveva aggiunto poi, con voce grave. “Mi sembra che tu abbia già parecchio casino per conto tuo...”
Bessie era rimasta ferma a fissare l’acqua davanti a sé, appena increspata dalla brezza. “Non sai quanto” aveva risposto, ingollando il terzo sorso.

“Senti Belle, non ti sembra che stiamo bevendo un po’ troppo?”
“Naaah, poi è domenica... non ci sono lezioni, oggi!”
“Lo so, ma siamo sull’acqua, e poi tu sei stata male da poco, bevendo!”
“Oh, ma quello non era...” aveva replicato lei, prontamente. Si era bloccata prima di completare la frase, ma Kim si era già voltata a guardarla. “Non era niente.” aveva concluso, infine.
“Davvero però, fai attenzione.”
“Kim, guarda che sono venuta qui per lasciarmela alle spalle, mia madre!”
“Va bene, scusa!” aveva risposto lei, imbronciata.
“Fa niente fa niente, sei una brava ragazza.” aveva ribattuto Bessie dandole amichevoli pacche sulla schiena ed approfittandone per attaccarle dietro un foglietto su cui aveva scritto a chiare lettere DO NOT DISTURB (HO LE MIE COSE).
“Mi va la sabbia nelle scarpe.”
“Toglile.”
“E l’acqua entra dappertutto.”
“Certo, è acqua! È fatta per questo, sai.”
“Dio, mi sono tagliata con il filo! Che male! Ma perché siamo in questo posto dimenticato dalle riviste di attualità?”
A Bessie era scappato da ridere. “Fa vedere”, le aveva detto.
“Ma tu hai presente quanto può rovinarti la vita un maledetto taglio? Ti fa scordare tutto quanto, la bellezza del paesaggio, la poesia dello starsene qui a riflettere sulla natura... tutto per un maledetto, microscopico taglio da lenza. Perché diamine mi hai portata qui, Belle, non riuscirò più ad amare questo posto!”
Bessie aveva scosso il capo. Kim si stava lamentando di ogni cosa. “E’ una malattia” aveva commentato, ironica.
“Il sole m’intontisce” aveva replicato Kim.
“Ehi, perché non ficchiamo le canne in modo che stiano su da sole e facciamo dell’altro, per passare il tempo?”
“Che cosa, delle foto vicino a degli squali giganti di gomma come tutti i pescatori?”
“Il tuo cervello è di gomma!”
Kim l’aveva spruzzata, raccogliendo dell’acqua nelle mani a coppa. Bessie aveva risposto entusiasticamente, aveva iniziato una lotta marina senza esclusione di colpi.
“Non sai mai fermarti in tempo, Belle” aveva sbuffato l’amica.
“Ok, ok, mi fermo.” Si era seduta sulle sue gambe, immobilizzandole; le aveva scostato i capelli con le mani bagnate.
“Che brutta cosa”, aveva detto Kim. “Che brutta cosa.”
“Provo solo a distrarti da questa ipocondria maledettamente insofferente, dovresti ringraziarmi!”
“O forse spiaccicarti contro una di queste rocce, con la canna da pesca infilata su per il naso. Credo che nemmeno la McGrannitt avrebbe qualcosa da ridire.”
“La McGrannitt avrà sempre qualcosa da ridire. È troppo precisa e perfetta ed efficiente per il nostro misero standard da comuni mortali.”
Kim aveva riso.
“Mi sto bagnando, Belle.”
“Bene.”
“Senti, se ci vedranno così equivocheranno, e perdonami, ma la tua totale assenza di muscoli non rientra nei miei gusti principali!”
“Ma sono ridicola quanto basta per piacerti, no?” aveva replicato lei furbescamente, alludendo alle storie passate venute a galla durante la festicciola.
“E’ troppo” aveva commentato lei. “Chiamerò uno squalo perché ti sbrani!”
“Non avevi detto che questo lago non è affatto pescoso?”
“Hai ragione. Allora mangerò i panini che hai portato e poi te li vomiterò addosso.”
Gli occhi di Bessie si erano accesi di una luce particolare, una chiaro entusiasmo da sfida. “Fallo”, l’aveva pregata. Voleva davvero che lei lo facesse.
Per questo Kim non l’aveva fatto. La conosceva abbastanza per riconoscere i segni del pericolo.
“Sei una bambina, Belle.”
“E tu sei prudente.” Il tono sprezzante con cui aveva pronunciato l’ultima frase voleva indicarla come un’offesa terribile; Kim aveva riso di nuovo.

Le canne continuavano a non avere effetto, per cui dopo altri interminabili minuti Bessie aveva proposto di utilizzare le fiocine.
“Oddio, che esagerazione! E poi usandole riuscirai a salvare i pesci comunque, o moriranno davvero?”
“Kim, ti pare che io possa lasciare che muoia un...” si era fermata di nuovo. Kim non sapeva nulla della sua condizione di Emagus.
L’altra però, sembrava non aver dato peso alla seconda interruzione. “Uhm, probabilmente no” aveva commentato. “Però è pericoloso!”
“E su, sei una Grifondoro, bambina mia!!!”
“Sì, ma questo non significa spezzarmi l’osso del collo ogni volta che ne ho l’occasione, se...” era stato il suo turno di fermarsi. Arrossendo, aveva lanciato un’occhiata a due ragazzi poco distanti che le stavano discretamente osservando, poi aveva bevuto un sorso dalla bottiglia misteriosa. Bessie aveva spostato un paio di volte lo sguardo dai due ragazzi all’amica, che era partita di corsa verso il centro del laghetto con la fiocina in mano.
“Ehi Kim!” Bessie le era corsa dietro cercando di smorzare l’improvviso entusiasmo. “Cosa cavolo c’era in quell’ultimo sorso?” aveva ironizzato, cercando di capire cosa le fosse preso. Non era riuscita a fermarla, però era riuscita a raggiungerla. L’aveva afferrata per un braccio, ansante, inzuppata fino alle ginocchia.
“Chi sono quei due?”
“Chi?”
“Non fare la finta tonta, Kim! Quelli che ci stanno guardando.”
“Oh, ci guardano?” aveva replicato lei sciogliendosi. “Aurghf!”, aveva aggiunto subito dopo. Bessie aveva rinunciato a chiederle cosa significasse, tanto era abbastanza evidente.
“Prontooo?” aveva esclamato bussandole sul capo “Toc toc toc! C’è ancora qualche neurone qui dentro?”
Di fronte all’espressione dell’amica, Kim si era decisa a spiegarle. “Quello con i capelli più chiari è Thomas Green, di Tassorosso. L’altro è David Bengton. Lui è di Corvonero”
“Capisco.”
“Sono del nostro anno, molto brillanti. Non trovi che Thomas somigli un po’ a Cedric Diggory? Oh, ma tu non l’hai mai conosciuto, Diggory.”
“Temo di no.”
“Lui è... beh, era...” cercando di spiegarsi si era però sbilanciata, e per evitare di cadere si era aggrappata al maglione di Bessie, finendo così per trascinarla in acqua sopra di lei.
“Ouch!” si era lamentata Kim. Bessie la guardava con l’aria di chi ha a che fare con un caso disperato.
“Dai, tirati su!” le aveva detto, scoppiando a ridere nel sollevarle il volto dall’acqua. Kim aveva tossito, doveva aver bevuto. Bessie aveva sperato che quantomeno quell’acqua non fosse velenosa, continuando a ridere nel constatare le sue condizioni pietose.
“Sono ridotta così male?”, aveva domandato l’altra preoccupata, strizzando gli occhi.
“Mettiamola così” le aveva risposto lei, osservando le alghe e le stelle marine di cui era ricoperta fin sulla testa. “in questo momento sei la cosa più vicina ad una ragazza che io possa vedere nei dintorni!”
I due ragazzi si erano fatti sentire dalla riva per offrire il loro aiuto: Kim avrebbe accettato più che volentieri, ma Bessie aveva rifiutato con decisione. Aveva preso saldamente la mano della compagna, costringendola ad alzarsi. Lei però aveva finito per scivolare e cadere di nuovo in acqua.
Bessie aveva grugnito. Alla fine uno dei due ragazzi, Thomas Green, le aveva raggiunte in acqua. Aveva sollevato Kim con gentilezza, mentre lei lo ringraziava in una profusione di sorrisi. Ma perchè io in un modo o nell’altro devo sempre finire impiastricciata di qualcosa come un’idiota?
Sulla riva c’era l’altro ragazzo ad attenderle, David Bengton, che nel frattempo era andato a recuperare dei teli da bagno perché si asciugassero.
“Grazie, siete gentili.” aveva commentato Bessie, suo malgrado felicemente impressionata.
Si erano seduti al sole senza spostarsi da lì per non farsi scorgere dai professori.

“Non c’è che dire” aveva commentato Thomas divertito dopo un po’ “siete due pescatrici provette!”
“E’ stata lei a convincermi!” Kim immediatamente aveva puntato con decisione l’indice verso Bessie; lei aveva scosso la testa pazientemente, senza risponderle. L’aveva guardata storto, in realtà, ma Kim non se n’era minimamente accorta, occupata com’era a dedicare i suoi sguardi soltanto al ragazzo.
Avevano scherzato sull’avventura, i due avevano fatto un paio di battute simpatiche, si erano presi in giro vicendevolmente in un modo che dimostrava la forza della loro amicizia. Ad un certo punto David aveva raccontato di una lozione che Thomas aveva inventato per suo padre per rallentare la caduta dei capelli, solo che aveva commesso qualche errore seguendo le istruzioni in modo troppo letterale. “...Così se fossi precipitato dal Big Beng ti saresti spiaccicato al suolo calvo, come beffa ulteriore, perché i capelli ti avrebbero raggiunto solo un’ora più tardi!”, aveva riso. Thomas aveva grugnito.
“Sentite” aveva aggiunto poi “questo bagno fuori programma mi ha messo fame, a voi no?”
Bessie non aveva nemmeno fatto in tempo a voltarsi verso di lui che già Kim gli aveva prontamente offerto il cestino con i panini che si erano portate per merenda. Era raggiante e desiderosa di fargli una buona impressione, e purtroppo Bessie non era riuscita a fermarla in tempo: dopo il primo morso, il povero ragazzo si era portato le mani alla bocca, con gli occhi che gli lacrimavano per la quantità spropositata di piccante.
“E’ come se stessi andando a fuoco, Tom!” l’aveva preso in giro l’amico, non appena si era reso conto della situazione. Kim aveva fulminato Bessie con lo sguardo, dato che i panini erano stati preparati da lei.
“Era uno scherzo, Kim!” le aveva risposto lei, imbarazzata.
In breve, i due avevano deciso di entrare a scuola per fare rifornimento, mentre le ragazze li avrebbero aspettati lì, possibilmente senza muoversi visti i danni che erano riuscite a provocare fino a quel momento. Kim e Bessie erano rimaste sole.
“Da quanto ti piace?” aveva chiesto Bessie con noncuranza. Kim era arrossita violentemente.
“Si vede?”, aveva replicato con ansia. L’altra aveva ridacchiato.
“Beh, io lo vedo.”
Kim aveva abbassato lo sguardo, giocherellando con un rametto nel terriccio umido.
“Sono belli, no?” aveva chiesto poi, fingendo noncuranza.
“Abbastanza” era stata l’educata risposta di Bessie.
“Senti Belle, cos’è che ti piace nei ragazzi?”
In un attimo, aveva visto ritornare nei suoi occhi la luce di poco prima. Non era più una ragazza che si divertiva, o che soffriva, o che si annoiava. Assumeva delle sfumature, dei chiaroscuri incredibilmente mossi ed intensi, incomprensibili per lei che la guardava. “I gatti”, aveva risposto.
“A volte sei una pazza totale. Mi sta bene. Potrei trasfigurarti in un ragazzo e poi sotto la Maledizione Imperius tenerti con me.”
Al nominare la Maledizione Bessie aveva sentito un brivido percorrerle tutta la schiena e diramarsi all’altezza delle braccia. Aveva cercato di non farlo notare. “Ma c’è Thomas”, aveva commentato.
“Vero. Ma con te riesco ancora a pensare, ad ordinare le parole in modo corretto e comprensibile.”
“Uhm, allora temo di non avere speranze contro di lui...”
“Ma stai zitta!” Kim aveva ingollato un altro sorso. Poi un altro ancora, forse per darsi coraggio. “Pensi mai di poter fare... sì insomma, di poterlo fare. Hai capito.”
“Eh?” Bessie aveva sollevato un sopracciglio, perplessa.
“Con qualcuno. Vicini. Quello.”
“Stai pensando a Thomas, vero? Perchè non riesci più a parlare decentemente. Stai pensando a lui, oppure ti sei appena innamorata di me.”
Kim era arrossita violentemente, si era tormentata una ciocca di capelli; si comportava in quel momento in modo così simile a Tonks quando l’aveva conosciuta, che Bessie si aspettava di vedere che quella ciocca da un momento all’altro diventasse viola o verde, oppure riccia.
“Ti piace davvero.”
“Io... l’ho già fatto una volta, Belle.”
Il silenzio l’aveva accolta. Una voragine tra di loro si era aperta e richiusa, senza lasciare testimonianze visibili agli estranei.
“Non mi amava, però; credo di non sapere davvero com’è.”
“Com’è... stato?”
Kim aveva chiuso gli occhi. “Come se fossi stata l’oceano e lui mi avesse scagliato contro dei sassi cercando di farli rimbalzare per gioco sul pelo dell’acqua.”
Bessie aveva emesso un mugolio di reazione. Aveva mormorato a sua volta: “Come la sabbia che gratta in un graffio.”
Kim aveva riaperto gli occhi. “Anche tu, Belle?”
“E’ stata una mia amica a definire così la sua prima volta. Però si amavano... si amavano molto; forse, dopotutto, non è detto che con te sia mancato.”
“Ed ora? Non si amano più, dopo quanto è successo?”
Bessie ci aveva pensato, poi aveva strappato con violenza un ciuffo d’erba accanto ai suoi piedi. “No. Si amano ancora”, aveva concluso.
“Sembri arrabbiata, Belle.”
“Lo sono. Il mondo è ingiusto.”
“Tu... a volte sembri un’altra persona.”
“Forse lo sono.”
Kim era rimasta a guardarla di tre quarti per un po’, senza sapere bene come interpretare le sue parole ed i silenzi che stavano loro attorno. Poi le si era avvicinata quatta quatta, prendendo a farle il solletico ai fianchi.
“Che diamine fai, Kim?!” aveva strillato Bessie.
“Sarò la tua sabbia negli anfratti inaspettati, ti riempirò di solletico fino a distrarti da qualunque cosa t’ingombri i pensieri.”
“Kim, smettila... maledetta... KIM!!! Ti ucciderò, Kim, spalmerò il tuo corpo di esche e poi ti abbandonerò qui, al pubblico ludibrio!!!”

Forse Kim si sentiva rilassata, forse era felice per via della nuova conoscenza, ad ogni modo aveva cominciato a parlare scioltamente di sé. “Credo mi piaccia davvero, sai... Era da tanto che non mi interessava qualcuno... vedi, io stavo con un ragazzo, sono stata insieme a lui per molto tempo; ero innamoratissima, ma poi lui mi ha lasciata. Non mi ha trattata molto bene, se devo dire la verità... sono... sono stata un po’ a pezzi.” Bessie rimaneva zitta. Le guardava il labbro inferiore tremolare, mentre parlava sforzandosi di mantenere un tono allegro. “Solo che dopo poco tempo, quando iniziavo a sentirmi meglio, lui si è... si è messo con la mia migliore amica... così in un colpo solo li ho persi tutti e due.” Aveva sollevato il mento, cercando di dimostrarsi spavalda, distaccata. Bessie aveva continuato a non rispondere, aveva intuito che quello di cui aveva bisogno l’amica era parlare; in effetti lei si era lasciata andare alla descrizione più sincera dei suoi stati d’animo, di come si erano svolte le cose.
“E’ stata dura, per questo capisco che tu non abbia molta voglia di... parlare di quello che ti è successo.”
“Eh?”
“Sì. Beh, Belle, spero tu non ti arrabbi... ma credo di aver capito che tu hai perso qualcuno cui tenevi molto. Si vede da come ti difendi quando parliamo di questi argomenti... raccontandoti la mia storia volevo solo dirti che ti capisco, che se vuoi parlarne io sono qui davvero. Anche a te è capitato un episodio come il mio?”
La guardava, amichevole e disponibile. Bessie non se l’era sentita di limitarsi ad una devianza del discorso. Aveva tossicchiato, incerta. “Qualcosa del genere...”
Thomas e David erano tornati, e tutti insieme avevano fatto quattro chiacchiere mentre addentavano del cibo decisamente più commestibile. I ragazzi le avevano gentilmente chiesto come si trovasse ad Hogwarts, come fosse la scuola in cui andava precedentemente.
“Era... buia. La cosa che ricordo di più è che era un posto molto buio. Non potevo mai fare quello che avrei voluto... insomma, niente di che.” Aveva scosso la testa, ed era risultato chiaro che non avesse voglia di parlarne, così gli altri avevano cambiato discorso. In particolare Thomas si era immerso in una conversazione fitta fitta con Kim, nessuno dei due distoglieva gli occhi dall’altro. Lei e David si erano sorrisi un paio di volte, non sapevano bene cosa dirsi.
“Cosa ti piace fare?” era intervenuto lui di colpo.
“...Fare?”
“Sì, come hobby intendo.”
Cantare, aveva pensato Bessie. “Mi... mi piace camminare.”
“E la musica? Ti piace la musica?”
“Sì, l’amo molto.”
“Io suono in un gruppo, sai? Cioè, non è proprio un gruppo, siamo dei ragazzi della scuola. Anche David suona con me: perché una volta non vieni a sentirci?”
“Certo, volentieri!” era convenuta lei. Tutto sommato sembravano davvero simpatici.
Nel frattempo Thomas e Kim sembravano sempre più presi l’uno dall’altra, e Bessie si ea sentita lievemente imbarazzata. Lui pareva averlo notato, così si era lanciato in qualche battuta per stemperare il clima.
“Fantastici quei panini, eh?”
Bessie era arrossita. “Erano uno scherzo per Kim...” aveva balbettato.
“Sembra che sarebbe riuscito! Siete molto amiche, voi due?”
“Beh, ci conosciamo da poco... però mi trovo bene con lei.”
“Hai perso molti degli amici che avevi prima?”
Si era rabbuiata. “Quasi tutti” aveva risposto, laconica.

Alcuni minuti più tardi stavano di nuovo discorrendo tutti e quattro senza che gli isolamenti o i brutti ricordi sembrassero aver lasciato strascichi. In particolare, David e Thomas stavano raccontando un episodio assolutamente esilarante che li vedeva protagonisti insieme alla McGrannitt, quando Bessie aveva visto un viso noto sparire dietro un cespuglio.
Sirius?
Si era alzata di scatto, puntando in quella direzione. Le avevano domandato cosa stesse facendo.
“Come, non l’avete visto, voi?”
“Ma chi, Belle?”
“Non l’avete visto?” aveva quasi urlato, incredula. Si era diretta a grandi falcate verso la direzione in cui era scomparso, senza prestare più attenzione agli altri. L’urgenza la spingeva ad accelerare ad ogni passo.
Sirius!
Aveva accelerato ancora, cercando di non perdere di vista la sagoma ben nota e tanto amata. Era incespicata in un paio di radici, poiché non guardava dove metteva i piedi; ad un tratto era scivolata a terra, sbucciandosi un ginocchio. Si era rialzata prendendo a correre con foga maggiore, come per recuperare il tempo che aveva perduto.
Dove vai Sirius, perché non mi aspetti?
Lui continuava a darle la schiena, ad infilarsi dove sembrava che lei non avrebbe potuto seguirlo. Bessie aveva stretto forte la pietra che portava al collo, fino a sentire dolore al palmo. Non l’aveva mollato, e non aveva mollato la corsa.
Perché non mi aspetti, Sirius? Perchè tutto quello che riesco ad avere di te sono le tue spalle? È crudele.
Kim l’aveva seguita, si era addentrata in mezzo alle fronde dietro di lei, un po’ a fatica. Ad un certo punto l’aveva persa di vista perché Bessie stava praticamente correndo, catturata da un’ansia indescrivibile. L’aveva raggiunta in una radura: stava seduta su una roccia, la testa fra le mani.
Le si era avvicinata, cauta.
“Chi insegui, Belle?” le aveva domandato, sentendosi profondamente triste di fronte al dolore dell’amica che, qualunque causa avesse, sembrava non trovare scampo.
Bessie non aveva nemmeno alzato la testa. “Qualcuno che non c’è”, aveva mormorato dopo un po’, con l'aria sfinita.
Kim era andata a sederlesi di fianco, aveva lasciato passare alcuni secondi per non forzarla. “Magari ti serve; magari è quello che cerchi” aveva aggiunto poi, pacata. “Magari qui lo raggiungi.”
Quand’erano tornati dagli altri, Kim teneva Bessie sottobraccio. La ragazza non aveva guardato in faccia nessuno dei due mentre l’amica spiegava loro con aria dispiaciuta che l’avrebbe riportata in dormitorio perché probabilmente aveva bevuto un po’ troppo. I ragazzi erano sembrati altrettanto delusi dalla conclusione, avrebbero sperato di rimanere ancora insieme.
“Ci rivedremo, però?”
“Certamente!”
Mentre ripercorrevano a ritroso la strada che le aveva condotto verso quella stramba avventura, Bessie aveva mormorato soltanto “Grazie, Kim.”. Lei le aveva stretto il braccio.



79.
Bessie stava percorrendo un corridoio insieme ad alcune compagne di Grifondoro quando Lupin le aveva incrociate per la via, salutandole cordialmente.
“Buongiorno, prof” aveva risposto al pari delle altre. Alla prima occasione buona Kim l’aveva tirata da una parte, bisbigliandole incerta: “Ma perché siete così formali, non è un amico di famiglia?”
“Sì, ma qui dentro è un mio professore.”, aveva commentato lei con un sorriso consapevole. Pochi minuti dopo però si era staccata dal gruppetto con una scusa, percorrendo il corridoio a ritroso e raggiungendolo di soppiatto nel suo studio.
“Speravo di trovarti qui”, gli aveva detto.
Lui aveva sorriso, gentile. L’aveva pregata di accomodarsi, ma sembrava davvero stanco. Aveva uno strappo ad una manica, ed i pantaloni impolverati all’altezza delle ginocchia. Bessie era rimasta a fissarlo, sentendo una fitta al cuore nel trovarlo ridotto così.
“Come va con le tue missioni alle caverne, Remus?”
“Bene”, si era limitato a risponderle lui.
“Ci sei stato anche stanotte?”
“Non voglio parlare con te di questo, Eliza.”
Bessie aveva fatto una mossa spazientita. “Senti Remus, non nascondermi come stanno le cose... lo so che devi andare tra i licantropi, e poi basta guardarti in faccia per capire che è dura!”
Lupin aveva spostato un vaso dal tavolo, tornando a posarlo forse con troppa foga. “Non sai quanto!”, aveva commentato con ardore.
Bessie gli si era avvicinata, scoprendogli le braccia con dolcezza. “Guarda qui che graffi...” aveva mormorato, tristemente. “Vorrei poterti aiutare in qualche modo.”
“Non dire sciocchezze, Eliza!” aveva risposto lui, brusco.
“Ma perché? Remus, non puoi evitarmi per sempre la prima linea!”
“E’ un compito mio, non ha niente a che fare con te.”
“Ma voglio darti una mano, è troppo per te, guarda come ti riduci! Non riesco a vederti così e starmene buona, perché devi fare sia quello che stare qui? Non... non è giusto!”
Lupin aveva sollevato lo sguardo verso di lei: era uno sguardo strano, completamente indecifrabile. Per la prima volta, Bessie non era riuscita a comprendere un suo sguardo. Si era sentita nel panico.
“Se vuoi aiutarmi, l’unica cosa che puoi fare per me è startene tranquilla, così almeno so che sei al sicuro.”
“Perché Remus, perché mi parli in questo modo? Ho combattuto tante volte, che cos’è cambiato ora, cosa c’è di nuovo?”
“C’è che non posso proteggerti, Eliza!!!” era sbottato infine lui con voce roca, come se le parole gli fossero scivolate via dopo una lotta immane contro la sua volontà. E mentre la guardava, negli occhi cerchiati di nero e di stanchezza quello che galleggiava in superficie era una supplica disperata.
“Come no!!!”
Le era scappato. Avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno del suo aiuto, che si sarebbe difesa da sola, e invece si era sentita stupita, addolorata, e le parole erano uscite da sole. Allora si aspettava questo da lui?
“Non sono insuperabile, Belle. Non posso vincerli tutti.” Parlava in un soffio, con espressione sofferente. Bessie lo guardava senza sapere che dire. “Non puoi aspettarti da me che io non fallisca mai, non puoi rimproverarmi cogli occhi ogni volta che scopri una mia fragilità... non sono in grado di incarnare il tuo eroe come Sirius, lui era la persona che ti stava accanto, io sono soltanto Remus... non chiedermi di farlo!”
“Non è così, Remus... tu... mi sei sempre rimasto accanto comunque, e adesso invece ti tiri indietro...”
“E allora mi tiro indietro, va bene?!!! Ma guarda, guarda che cosa c’è qui, Eliza!” aveva proseguito amaramente, allargando le braccia “Sirius è morto, tu lo sei quasi stata per tredici anni, James e Lily sono morti... come puoi anche solo pensare che dopo che non sono riuscito a fermare tutto questo io possa portarti con me assicurandoti che non ti accadrà mai nulla? Non posso prendermi cura di te, Eliza!” aveva concluso sempre più alterato, gli occhi colmi di disperazione.
“Quello che dici è ingiusto...”
“Che cosa Eliza, cos’è che vuoi? Sei sempre lì a dare e dare e pretendere tantissimo dalle persone, e se non succede giudichi, ma non tutti sono come te, io non ce la faccio!”
“E’ solo un mucchio di bugie, Remus” l’aveva rimproverato lei, guardandolo di sotto in su “Dov’è finito il tuo coraggio?”
“Ha! Proprio tu mi dici questo? Vogliamo discutere del tuo rinchiuderti qui dentro per non affrontare la realtà, solo per non dover dire a te stessa che Sirius è morto e che la tua vita deve andare avanti senza che lui le dia un significato?”
Bessie aveva stretto gli occhi, ingoiando amaramente il colpo che lui le aveva inferto. “Tu... stai solo scappando, adesso.”
Lupin si era passato una mano sugli occhi, sfinito. “Che cosa vuoi, Eliza?!”
“Per esempio potresti cominciare dalla verità!!!” aveva praticamentre gridato lei, nell’escalation di volume che aveva accompagnato la discussione. Lui era rimasto in silenzio. L’aveva guardata serio come non aveva mai fatto, e ancora una volta Bessie non era riuscita a distinguere un significato nel contorcersi di emozioni che gli si agitavano dentro. Si era sentita terribilmente sola, davvero sperduta per la prima volta.
“Non la vuoi sapere, Eliza.” aveva mormorato lui.

La McGrannitt era entrata nell’ufficio senza bussare, allarmata dalle grida che si sentivano fin nel corridoio. “Si può sapere che sta succedendo qui, vi ha dato di volta il cervello?”
Lupin era rimasto alla finestra, talmente provato che non era riuscito a rispondere nulla. “Scusa, Minerva” aveva tentato, ma la voce gli era morta in gola alla prima sillaba. Bessie era rossa in viso per lo sfogo e l’agitazione che non l’abbandonavano, e la donna aveva risolto di portarla via con sé. Erano andate nel suo ufficio, aveva proposto di prepararle un the. Bessie aveva annuito.
Una volta, lei e Sirius avevano litigato. Una delle tante volte, in realtà. Dopo la famosa festa in cui si erano baciati... ed erano stati solo baci, nessun impegno; forse entrambi brilli, si erano avvicinati e poi respinti. Il giorno dopo Sirius era distante come non mai, e lei glie l’aveva rimproverato.
“Sei stata tu a decidere tutto, Elizabeth... ora non prendertela con me!”
“Che cosa? Ma senti che faccia tosta! Mi sono messa le mani addosso da sola, allora?”
“Non è così semplice, Cristo!!!” era sbottato lui, appena prima che i suoi occhi assumessero una luce incerta. “Tu... tu vieni qui, e mi butti fra le braccia tutti i tuoi ideali costringendomi ad affrontarli e a prendermene cura perchè sono tuoi! Beh, forse io non sono così, d’accordo? Forse sono solo uno stupido ragazzo, e non ne sono all’altezza! Forse non sono la gran persona che ti aspetti, e tu non puoi venire qui a rinfacciarmi che il mio comportamento non è abbastanza simile a quello che sognavi!”
“Tutte scuse, Sirius” l’aveva aggrdito lei per nascondere il suo turbamento. “Sono solo un mucchio di frottole e belle parole che non nascondono il problema reale. Ieri siamo stati vicini, e poi tu sei scappato, ed è perfettamente inutile che tu lo travesta da questione personale!”
Sirius si era passato una mano fra i capelli, con violenza, come se avesse voluto strapparli. “Ma tu cosa vuoi, Elizabeth, cos’è che vuoi da me?!” aveva esclamato, visibilmente alterato.
“Per esempio, la verità!” aveva gridato lei. “Potresti cominciare a raccontarmi una cosa qualsiasi, anche una sola ma che sia vera!”
Sirius era rimasto in silenzio, lo sguardo fisso sul pavimento. Poi l’aveva guardata da lontano, aveva mormorato: “Non la vuoi sapere, Elizabeth.”


La McGrannitt aveva fatto ritorno nella stanza, portando un bricco fumante e due tazze arancioni con disegnato un sole giallo sopra. “Non riesco a ricordare dove ho ficcato i loro piattini, mi dispiace... però trovo che vicino a questi verdi diano una bella sensazione, vero?”
“Già.”
“Zucchero?”
“Due cucchiaini, grazie.”
Le aveva versato il the nella tazza, e amabilmente le aveva domandato come si trovasse lì.
“E’ bello essere a casa”, aveva risposto lei. La McGrannitt aveva sorriso; entrambe avevano sorseggiato il loro the, concedendosi un minuto di silenzio.
“Quando stavi qui” aveva ripreso la donna, riferendosi al passato “a volte Lily Evans veniva a prendersi un the da me.”
Bessie aveva annuito, ricordava quel particolare. “Ed ora ci sono io”, aveva replicato.
“Già. Le cose cambiano.”
Bessie l’aveva fissata di tre quarti, mentre imperturbabile sembrava non avere altri pensieri che quello di dedicarsi al suo the e godersi la compagnia. Ma la conosceva troppo bene. “Cosa sta cercando di dirmi, prof?”
Per un po’ soltanto il tintinnio dei cucchiaini contro la ceramica aveva riempito il silenzio, creando gioiose musicalità tra gli sbuffi di fumo. Poi la McGrannitt aveva ripreso la parola.
“Stiamo tutti cercando di capire quale posizione occupiamo ora, dopo quanto è successo... di capire quanto siamo disposti ad esporci, a soffrire, a chiedere a noi ed agli altri. Non pretendere che la situazione si definisca facilmente, o che torni tutto com’era prima.”
Bessie aveva scosso la testa, imperterrita. “Sono solo alibi” aveva risposto, tuffandosi nella tazza.
Un istante dopo Silente era nella stanza, stava educatamente chiedendo se per caso avesse interrotto qualcosa. Bessie si era alzata in piedi. “No, no, stavo per andarmene...”
“Oh, quanta fretta! Aspetta... perché non prendiamo un the tutti insieme? Sono sicuro che Minerva non vorrà privarmi del piacere di gustare le sue squisite preparazioni!” aveva aggiunto, dedicandole un sorriso galante.

Silente aveva chiacchierato amabilmente per alcuni minuti, informandosi ed informandole del più e del meno. Bessie tuttavia conosceva anche lui, meglio di quanto non conoscesse la McGrannitt, e vedeva che era accigliato. Ricordava bene quello sguardo da padre preoccupato per una figlia un po’ problematica, glie l’aveva visto tante volte quando frequentava la scuola lì e poi anche dopo, ed ogni volta si era ritrovata a temere che la preoccupazione per un suo trascinarsi in situazioni che lui non approvava o che lo tenevano in ansia potesse trasformarsi in delusione. Non era mai successo.
“Non stia a rigirare le parole come il cucchiaino, so che è qui per dirmi qualcosa.”
Silente aveva tossito come se il the gli fosse andato di traverso a quel brusco richiamo; si era voltato a guardarla, con una strana luce a brillargli negli occhi. “E va bene”, aveva accettato. “Allora ti dirò cosa penso, Belle.” Si era aggiustato gli occhiali sul naso, come un atto preparatorio; aveva incrociato le punte delle dita davanti al volto. “Penso che continuare a nascondersi ora possa soltanto peggiorare le cose. Penso che tu pretenda da Remus una protezione che non è giusto che lui ti accordi, indipendentemente dai motivi per cui lo fa. Perché lui lo farebbe, oh sì, è la persona più vicina a te ora, e si sente così responsabile verso di te da mettere se stesso completamente in secondo piano. Ma devi imparare a non appoggiarti completamente a lui, devi tornare a stare in piedi da sola. Sei una Grifondoro, Belle, lo sei sempre stata: tira fuori quel coraggio!”



80.
Bessie era seduta sul prato esterno, i capelli scompigliati dalla brezza fresca della sera. Mi fa bene sentirla. Cercava di non pensare alle parole di Silente, della McGrannitt, cercava di concentrarsi soltanto sulla natura che poco a poco si stava addormentando. Come se avesse voluto rendere omaggio ai suoi sentimenti.
Vorrei che guardassi verso di me, se avessi voglia di piangere, o di ridere. Mi sembra ancora di sentirti.
Dicono che le ore si confondano nella notte, ed in effetti io non riesco più a distinguere il trascorrere del tempo, in questa notte perenne in cui sono piombata. Non ci sarà nessuno a tirarmi fuori. Che qualcuno viva, che muoia, che importa? Ormai, che importa?
Sono solo colori.
Ed io sarò il ladro sempre pronto a fuggire al minimo sbaglio. Dicevi che non avrei dovuto avere paura che tu ti allontanassi. Bugie. Schifose bugie.
Hai voglia di vivere, Sirius? Mi stai guardando?
Perdonami, ma io non so perdonarti, se è vero che ci sei ancora. Se puoi vedermi.

Un fruscio alle sue spalle l’aveva avvertita che si stava avvicinando qualcuno. Poco dopo David era sbucato dai cespugli e si era seduto al suo fianco con naturalezza, guardando verso l’infinito senza parlare subito - come se avesse intuito che la sua voce avrebbe potuto rompere qualcosa.
“A volte sembra tutto più grande, visto da qui; vero? Tutto troppo grande, anche.”
Bessie si era voltato a guardarlo. Era strano, quel ragazzo. Riusciva a percepire il modo giusto di comportarsi con lei per non urtarla, per non turbarla. Riusciva a non rendersi inopportuno anche in un momento come quello. Gli aveva seguito il profilo, il distendersi dei lineamenti nel volto. Aveva qualcosa di vagamente familiare, come qualcuno che dal momento in cui entra a far parte della tua vita sai che c’è, e basta. Era anche bello.
“Va tutto bene?”, le aveva chiesto. E non aveva aspettato una risposta. L’importante non era costringerla a parlare, ma farle sapere che qualcuno se lo stava chiedendo.
Bessie, nonostante il peso che si portava nel cuore, aveva sorriso.
Forse mi farebbe bene sentirmi giovane.
Un attimo dopo però l’atmosfera era stata spezzata lo stesso, perchè David si era alzato in piedi di scatto.
“Che succede?” aveva domandato Bessie, meravigliata.
“Guarda, c’è qualcun’altro qui!”
Le aveva indicato, poco distante, la sagoma di un uomo che similmente a loro pareva rivolgersi alle stelle, dimentico di tutto ciò che gli stava intorno. Non si era accorto che ci fosse qualcun’altro: stava lì, curvo, schiantato sotto il peso di chissà quale situazione. Da solo. Bessie aveva cercato di metterne a fuoco la silouhette.
“Ehi, ma quello non è il professor Lupin?” aveva domandato David.






< Oh Elise it doesn't matter what you say
I just can't stay here every yesterday
like keep on acting out the same
the way we act out

every way to smile, forget
and make-believe we never needed
any more than this. Any more than this.


Oh Elise it doesn't matter what you do
I know I'll never really get inside of you
to make your eyes catch fire the way they should
the way the blue could pull me in
if they only would. If they only would.
At least I'd lose this sense of sensing something else that hides away


[…]And every time I try to pick it up
like falling sand, as fast as I pick it up
it suns away through my clutching hands
but there's nothing else I can really do
there's nothing else I can really do
at all... >


(Oh Elise non importa cosa dici
proprio non posso stare qui ad ogni ieri
e continuare a comportarmi nello stesso modo
nel modo in cui noi ci comportavamo

ogni modo di sorridere, dimenticare
e fingere di non aver mai avuto bisogno
di niente più di questo. Niente più di questo.


Oh Elise non importa cosa fai
so che non sarò mai veramente dentro di te
a far infiammare i tuoi occhi nel modo in cui dovrebbero
nel modo in cui il loro blu potrebbe tirarmi dentro
se solo lo volessero. Se solo lo volessero.
Almeno potrei perdere questa sensazione di avvertire qualcos’altro
che si nasconde.


[...]E ogni volta che provo a raccoglierlo
come sabbia che cade, scivola via tra le mie mani chiuse
ma non c’è nient’altro che io possa fare,
non c’è nient’altro che io possa fare,
assolutamente...)

The Cure – A letter to Elise



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Capitolo 31
*** Hogwarts, 31. ***


sono tornata... un po' di corsa, purtroppo. non riesco più ad aggiornare le bamboline, sigh... però ci sono dai! manny, in due righe ti dico che penso tu abbia perfettamente ragione, riguardo le osservazioni che mi hai fatto... ahimé, devo dire che non sempre si trattava di una scelta consapevole di 'isolare' una situazione dal contesto per renderla più onirica, anche se talvolta lo è stato; altre volte però si tratta di mera fretta, non riesco a stare dietro alla storia come vorrei e se voglio aggiornare regolarmente devo purtroppo sacrificare qualcosa... spero che la qualità non ne risenta troppo! questo sta a voi dirmelo, in fondo manny, la tua è la prima critica 'negativa' che ricevo... mi viziate troppo, voi due, e gli altri che leggono non commentano mai :p quindi grazie mille per lo sforzo. baciniiii




Hogwarts, 31.



81.
“Finalmente troviamo un po’ di tempo per chiacchierare ragazzi, mi sembrano secoli che non ce ne stiamo per conto nostro!”
“Puoi dirlo forte Belle, da quando siamo tornati a Hogwarts siamo sempre di corsa, e tu più di tutti!”
“Hai ragione Ron... vedrò di farmi perdonare!” gli aveva sorriso Bessie irresistibilmente, passandogli una fetta di pane imburrata con generosità.
“Anche oggi due ore di lezione con Piton... mi sembra d’impazzire!” si era lamentato Harry, portandosi le mani alla testa. Hermione, pietosa, aveva aggiunto un po’ di zucchero alla sua tazza di the.
“Grumpf”, aveva mormorato Ron, appena rabbonito dalle attenzioni di Bessie.
“Coraggio Harry, non dimenticare quanto sei forte nella sua materia!”
Kim, che quella mattina si era svegliata tardi, li aveva raggiunti al tavolo. Con un breve cenno generico si era seduta al fianco di Bessie, che le aveva tenuto il posto.
“Alla buon’ora, eh?”
“Scusate” una voce aveva interrotto ogni eventuale altro grugnito da parte di Kim, che era apparsa improvvisamente sveglissima. “Possiamo unirci a voi?”
“Certo”, aveva risposto la ragazza a David e Thomas, con un sorriso radioso.
“Lo so” aveva proseguito Harry, non appena tutti si erano assestati. “Però proprio per questo... voglio dire, sta rovinandomi le lezioni che preferisco!”
“Di che parlate?” si era intromesso Thomas.
“Difesa contro le Arti Oscure.”
“Oh, io adoro quella materia! Di questi tempi poi, temo sia sempre più utile... magari a insegnarcela ci fosse ancora Lupin!”
Bessie aveva rovesciato sul tavolo la sua tazza di latte. “Scusate”, aveva mormorato mentre cercava di riparare al danno; Hermione l’aveva fissata con attenzione.
“Non so” aveva replicato David “a me affascinano enormemente certe cose teoriche... mi sembra che diano soddisfazione quando riesci ad entrare nei loro meccanismi!”
“Sì” aveva ribattuto l’amico, spalleggiato da Kim “Ma quando ti troverai di fronte a Bellatrix Lestrange, non credo che ti basterà per salvarti la vita!”
“Scusate, scusate!” aveva ripetuto Bessie, dopo aver sparso tutto lo zucchero sul pavimento lasciando andare la ciotola come se si fosse scottata.
“Belle, che ti prende stamattina? Sei una frana!” l’aveva rimproverata Kim, sbalordita.
“Scusate” aveva bisbigliato debolmente lei; Harry si era chinato verso il suo volto, mentre Hermione l’aiutava a pulire il danno le aveva sussurrato qualcosa. Bessie si era lasciata andare ad un brevissimo sorriso.
“Beh, io di certo non andrò a cercare Bellatrix Lestrange!” aveva borbottato David, mentre osservava con uno strano cipiglio Harry e Bessie, che aveva pensato bene di tenere le mani sospese in aria per qualche secondo.
“Dipende da quello che uno vuole fare, no?” aveva commentato Ron, sforzandosi per rendere comprensibili le sue parole anche se inframmezzate da un boccone gigante di budino.
“Ron, come fai a mangiarlo a quest’ora, è disgustoso!” Hermione lo guardava senza riuscire a deglutire.
“Però ha ragione; in fondo si riduce tutto ad una questione di scelte, no? Voglio dire... un Mangiamorte può anche ammazzarmi per strada, però è meno probabile se io non scelgo di combattere.”
“Voi cosa vorreste fare?” aveva domandato Thomas con noncuranza, avvicinandosi il caffé. Quasi non aveva avuto il tempo di terminare di formulare la domanda, prima che Harry e Bessie rispondessero all’unisono: “L’Auror!”
Si erano guardati, sorridendo. David aveva chiesto bruscamente dell’altro pane a Kim. Lei glie l’aveva passato fissando a sua volta la stessa scena.
“Non so” aveva commentato infine “Penso che mi piacerebbe la strada di guaritrice.”
“Ma non è tutto deciso?” era intervenuta Hermione. “Voi siete al settimo anno, giusto?”
“Sì, ma in realtà la scelta finale è più libera di quanto si pensi... entro un determinato ambito, ovvio.”
Avevano parlato a turno dei loro sogni; soltanto David era rimasto sempre silenzioso. Quando Bessie l’aveva interpellato direttamente, aveva assunto un’espressione confusa, come di chi non sa che dire.
“Io... beh, c’è ancora tempo, no?”
“Non hai... un’idea?”
“Io... insomma, qualcosa c’è... mi piacerebbero molte cose” aveva concluso, rigirando con energia il cucchiaino nella tazza. Bessie l’aveva fissato perplessa. Poi si era accorta che Harry era pressoché incantato a guardare verso di lei; gli aveva passato una mano davanti agli occhi, divertita.
“Ehi, che c’è?”
“Oh, scusami Belle... solo che è fantastico come il colore della pietra riesca sempre ad essere identico a quello dei tuoi occhi! Non potrò mai abituarmici!”
Lei aveva sorriso. “Grazie, Harry.”

“Bene, noi dobbiamo andare” Thomas si era alzato di scatto. “Allora ragazze, ci sarete nel pomeriggio al seminario sulla magia moderna come dilatazione della medicina alternativa babbana?”
“Credo di sì, mi sembra una cosa interessante, no?”
“Puoi dirlo forte, Belle: io ci sarò di sicuro!” aveva aggiunto Kim, senza guardare lei ma sorridendo ampiamente verso Thomas, che l’aveva ricambiata.
“Io... non ho deciso ancora” la voce di David era giunta confusa. “Mi hanno chiesto di partecipare ad una partita di Quidditch...”
Quidditch?” aveva domandato Bessie, e forse la voce gli era uscita un po’ più perplessa di quanto avrebbe voluto.
“Sì”, aveva infatti risposto lui, aggressivo. “Quidditch.”
“Oh scusami David, non volevo... non intendevo... è che questo seminario mi sembrava una cosa importante.”

“Oggi David era un po’ strano, l’hai notato?”
“Dici?” aveva commentato Kim, l’aria immersa nella sua beatitudine personale.
“Tu non hai occhi che per Thomas, eh?” l’aveva rimproverata scherzosamente l’amica, scompigliandole i capelli.
“Forse si sarà sentito fuori posto. Conosceva solo noi, e mentre io e Thomas stavamo fra noi tu hai pensato bene di fargli la predica.”
“Io non gli ho fatto la predica!”
“Tu la fai costantemente, Belle” aveva sorriso lei con indulgenza. “Hai questo modo di porti così poco semplice, a volte... bisogna proprio scegliere di starti dietro!”
“Ma che significa?”
Kim si era fermata, dandole un pizzicotto sul naso. “Non so spiegartelo Belle, fa parte del tuo fascino, ma a volte è anche faticoso... tu metti costantemente alla prova le persone, e forse non sempre gli altri hanno voglia d’impegnarsi o di sentirsi sminuiti perché non lo fanno. Magari non è una tua scelta consapevole, magari è semplicemente che qui ci conosciamo tutti, passiamo le nostre giornate qui dentro da anni e la nostra vita è questa... invece tu sei arrivata da poco, ed avevi una tua vita completamente estranea di cui possiamo sapere solo quello che ci racconti, che è diverso. A volte mi fa sentire impotente. Penso che per quanti sforzi faccia, non riuscirò mai a capire cosa ti passa per la testa, e mi viene voglia di prendere a calci qualcosa!”


************************************************************************************************************


Quando Bessie aveva raggiunto l’aula in cui si sarebbe svolto il seminario, con sua grande sorpresa vi aveva trovato David.
“Ti ho tenuto un posto”, le aveva sorriso gentilmente lui. Bessie aveva ripensato alle parole di Kim di quella mattina, si era sentita in colpa.
“David, senti... non devi sforzarti per compiacere le mie manie.”
“Come? Sono soltanto venuto al seminario!”
“E il Quidditch?”
Lui aveva alzato le spalle. “E’ solo Quidditch.”
Bessie aveva sospirato. “Ascolta... forse sono stata un po’ pesante oggi, ma...”
“Aspetta, stai dicendo che a me non può interessare venire ad un seminario?”
“Non dico questo, però credo che dovresti fare le cose che senti tu... devi trovarlo tu un modo...”
“Io non... non puoi pretendere di sapere tu cos’è che voglio!”
Due ragazzi erano sopraggiunti chiedendo di passare, l’avevano interrotto; David si era alzato per lasciare libero il corridoio, era inciampato nel suo proprio zaino. Bessie era scoppiata a ridere.
Qualsiasi cosa faccia, non t’importerà mai?
“Ok, io vado.” le aveva detto.
“Come?” Bessie l’aveva guardato, sorpresa dal tono brusco con cui si era espresso.
“Hai detto che non devo restare se non per me, giusto? Io non ero qui per me.”
Se n’era andato davero, lasciandola lì a fissargli le spalle senza riuscire a chiudere la bocca.
“Belle, tutto bene? Dov’è andato David?” le aveva chiesto Thomas in quel momento, raggiungendola.


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Bessie si era svegliata con un calzino sulla faccia ed una strana sensazione di ubriacatura che l’aveva distolta completamente dal primo pensiero di ogni mattino, e cioè il sogno su Sirius. Si era tolta la stoffa celeste dal naso, fissandola per alcuni istanti con perplessità, poi si era sentita costretta a chiudere gli occhi per una forte ondata di nausea. Non appena il disagio era passato si era resa conto che intorno a lei le ragazze si agitavano e correvano da una parte all’altra, anche se in qualche modo rallentate.
“Oh, Belle, finalmente ti sei svegliata! Sono due ore che cerco di chiamarti!” Kim le era passata di fianco svelta come una freccia, ed era stato allora che Bessie si era resa conto che stava galleggiando.
Aveva provato a strizzare gli occhi per vedere se quando li avrebbe riaperti lo spettacolo sarebbe stato diverso, ma ancora il dormitorio appariva allagato. Si era rizzata a sedere con foga.
“Che... che succede? Un attacco?” aveva strillato.
Kim le aveva indicato una grossa macchia di umidità gocciolante sopra le loro teste. “Tubo rotto”, aveva commentato.
In breve, Bessie era riuscita a svegliarsi del tutto, e con lena aveva cercato di raccogliere alcune fra le sue cose senza essere troppo ostacolata dagli altri; ogni tanto faceva capolino un professore, urlava loro di sbrigarsi, di raggiungere la sala comune perché si sarebbero momentaneamente sistemati lì. Una volta era entrato anche Lupin: Bessie si era nascosta dietro ad un baldacchino.
Poi nel suo campo visivo era entrata una forma strana... qualcosa di galleggiante, che si muoveva: era David, che domava una zattera da lui appena costruita, e veniva verso di lei!
“Ha bisogno di un passaggio, signorina?”
Lei l’aveva guardato incerta, un sorriso le aleggiava sulle labbra.
“Potresti caricare le tue cose. Non credo sia una brutta idea, sai” e contemporaneamente le aveva indicato il soffitto, verso il quale decine e decine di borse e pacchetti e bauli si scontravano nel tentativo dei loro proprietari di guidarli verso lidi sicuri senza che venissero a contatto con l’acqua. “Attenzione alle schegge”, aveva mormorato. Bessie aveva fatto una smorfia alla vista degli ingorghi, era salita sulla zattera con un agile balzo.
“Pensa che potrò usufruire, capitano?”
“Il mio invito l’ha già avuto.”
David aveva remato con un grosso ramo nodoso fino all’uscita della stanza, con non poca fatica era riuscito a farsi largo ed a raggiungere i corridoi dove la situazione non sembrava tuttavia migliore. Poi aveva afferrato una sua camicia multicolore, legandola ad un paletto verticale e facendone la sua bandiera. Bessie era scoppiata a ridere. “Tu sei pazzo”, gli aveva detto.
“Ehi Belle, t’intendi di pirateria?” le aveva domandato lui mentre scendevano le scale come una cascata. La zattera aveva subìto un forte scossone, mangiandosi la sua risposta. David aveva ululato per l’entusiasmo, come un vecchio lupo di mare; Bessie si era aggrappata meglio al legno, tenendo saldo il suo baule mentre la camicia sventolava senza alcuna pietà.
“No, perché pensavo” aveva proseguito non appena erano tornati in posizione orizzontale “se non trovo uno scopo nella vita posso sempre dedicarmi agli abbordaggi, ti pare?”

Come mi sento distante dal tuo mondo in questo momento, Remus.





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Capitolo 32
*** Hogwarts, 32. ***


Un grazie sempre molto sincero a manny (finalmente aggiorniii!!!), mixky (adoro leggere le tue mail, anche se sono indisciplinata nelle risposte), e checco (paco come firma :p). Questo cap mi è simpatico! ^__^



Hogwarts, 32.



82.
Il giorno seguente alla grande alluvione, quando gli studenti avevano smesso di dormire nelle cucine ed erano potuti ritornare nei rispettivi alloggi, Bessie si era messa a strizzare alcune magliette investite in pieno dalla calamità.
“Guarda qui!” si era lamentata Kim, poco distante “Le mie fotografie! Le avevo portate da casa... sarà dura rimetterle a posto!”
“Se vuoi posso darti una mano.”
“Davvero?”
“Sì. Me la cavo in queste cose.”
Bessie aveva sorriso tra sé. Quanti anni le ci erano voluti per ammetterlo? E tuttavia questo ancora non risolveva un bel niente... non il suo rapporto con la madre, di cui non riusciva a liberarsi ma a cui non riusciva nemmeno ad avvicinarsi. Stava fissando i movimenti di Kim senza rendersene conto, mentre rifletteva, quando l’idea delle sue fotografie l’aveva punta come uno spillo.
Oddio!”
“Cosa, che succede ora?”
“Uhm, no... non è nulla. Scusami, devo controllare una cosa.”
Si era chinata sotto il letto, da cui aveva estratto un grosso e pesante baule dalla serratura arrugginita. Non recava tracce di polvere, e questo non era proprio un buon segno perchè significava che l’acqua l’aveva sommerso completamente. Bessie aveva armeggiato rapidamente con le chiavi, poi, spazientita, aveva mormorato “Alohomora” con troppa energia: l’apertura istantanea del coperchio l’aveva fatta sobbalzare, ed aveva sbattuto la testa.
“Ehi, va tutto bene Belle?” Kim si era affacciata con un pacco di biscotti in mano, sgranocchiandone uno distrattamente. Lei l’aveva rassicurata, riparandosi con la mano il volto da lanci inopportuni di briciole dalla bocca. Poi, appena era tornata sola nella penombra, aveva frugato dentro con urgenza, estraendone un grosso volume in pelle.
“Sembra che sia tutto a posto”, aveva mormorato tra sé dopo aver accarezzato con affetto il pesante tomo che teneva fra le mani. L’aveva aperto lentamente, attenta a che nessuno lo notasse: davanti ai suoi occhi volti conosciuti le sorridevano, la salutavano, le facevano una linguaccia. Sirius, Lily, suo padre... erano tutti lì, al loro posto. Da un angolo era sbucata anche Alice Paciock. Più in là si erano fatti spazio Harry, Ron ed Hermione, tra i nuovi arrivati. Sentendosi ormai rilassata, Bessie aveva voltato velocemente alcune pagine, riguardandosi gli anni di Hogwarts, e poi altre foto più recenti. Aveva riposto l’album nel baule prima che a qualcuno venisse la brillante idea di scoprire perché si stesse nascondendo sotto il letto.
“Sei riemersa, eh?” l’aveva canzonata Kim. Bessie le aveva rubato un biscotto, portandoselo alla bocca.
“Prima è passato Thomas” aveva aggiunto la ragazza “Ha chiesto se abbiamo visto David... tu sai niente su dove possa essersi ficcato?”
“Veramente no... da ieri non l’ho più visto.”
“Amalia Creed dice di averlo visto uscire dalla scuola questa mattina, ed in effetti tutta la sua roba è ancora in disordine... è un po’ strambo, quel ragazzo! Non sarà mica affogato?” aveva ipotizzato con una smorfia. Bessie aveva ripensato alla traversata del giorno prima, alle sue parole sulla pirateria.
“Nah”, aveva commentato. “Se la cava con lo stare a galla.”

Nel pomeriggio Kim e Bessie erano rintanate su due poltrone nella sala comune per rimettersi in pari con i compiti che non avevano potuto svolgere il giorno precedente, ed in particolare Kim si stava lamentando della scarsa comprensione dei professori che non avevano scontato loro nulla, quando David le aveva raggiunte a precipizio. Si era fermato davanti a Bessie, gli occhi che gli brillavano per la corsa, un accenno di fiatone.
“Guarda un po’ chi si rivede!”, l’aveva salutato lei.
“Il naufrago”, aveva aggiunto Kim. David l’aveva guardata con fare interrogativo, senza cogliere il riferimento. Lei l’aveva fermato con un gesto noncurante. “Lascia stare, lascia stare”, e si era alzata dalla poltrona dirigendosi verso il dormitorio e lasciandoli soli.
“Allora.” Bessie era tornata a guardare lui.
“Allora” aveva ripetuto David; teneva le mani dietro la schiena, probabilmente nascondendo qualcosa, e sembrava cercare di decidersi a mostrarla. Alla fine le aveva posato sulle ginocchia un foulard giallo, molto bello, con dei piccoli disegni blu e rossi a decorarlo. Aveva fatto un passo indietro, come temendo che potesse esplodere da un momento all’altro.
“Oh” Bessie aveva fissato stupita il pezzo di stoffa “Ma è... è davvero carino, David! È... per me?”
Lui aveva annuito. “Te l’ho preso questa mattina.”
“Sei... gentile, grazie.” Aveva abbassato lo sguardo, confusa, però stringeva il foulard tra le dita. Poi lo aveva svolto, legandoselo elegantemente attorno al collo.
“Ma che fai, sciocchina” l’aveva corretta lui con dolcezza, avvicinandosi per toglierglielo. “Questa è una bandana, non si porta così.”
L’aveva piegata un paio di volte per la lunghezza, poi glie l’aveva legata sulla testa, fra i capelli. “E’ la fascia da pirata. Capito?” e le aveva strizzato l’occhio. “Ti sto nominando mio Secondo!”
Bessie era balzata in piedi. “Oh, wow! Voglio dire... è un grande onore per me, capitano.” Si era fermata perplessa: “Senti, esistono i capitani fra i pirati?”
“Uhm, non saprei... forse esistono i capopirati!”
Bessie era scoppiata a ridere, e lui ne aveva approfittato per continuare il gioco, sistemandole alcune piegoline che le si erano formate sulla fronte dopo che si era sistemata lei la bandana.
“Sai, ti servirà un anello per sembrare un vero pirata, loro li portano sempre... ma ho pensato che fosse ancora troppo presto perché io te lo regalassi!”
Bessie gli aveva tirato una cuscinata.
Di colpo, mentre chiacchieravano così amabilmente, avevano sentito un ticchettio diffuso alle finestre. Bessie era corsa a guardare.
“La pioggia!” aveva esclamato, entusiasta. “Guarda, David! Non ti sembra un temporale estivo? Non ti sembra?!” aveva ribadito con più convinzione, avendolo sorpreso a guardare lei anziché il vetro che gli stava indicando. Senza riflettere, l’aveva afferrato per un polso e trascinato fuori, all’aria aperta.
“Wow, quanta acqua!” aveva urlato, allargando le braccia e chiudendo gli occhi verso il cielo.
“Oh che bello, mi ero appena asciugato dopo due giorni” aveva commentato lui, ironico.
E’ bello”, aveva replicato lei, totalmente seria.
Una volta certi temporali mi facevano paura. Mi spaventavano perché pensavo che sarebbe entrato un fulmine in casa, si sarebbe attorcigliato attorno a qualcuno della mia famiglia e l’avrebbe portato via. Ero piccola, certo, però ho conservato un’inquietudine esagerata anche più avanti, crescendo. I temporali mi hanno sempre fatto temere l’abbandono.
Eppure, oggi ho una gran voglia di lasciarmi sferzare il viso dal vento, dall’acqua. Dopo così tanto tempo che non riesco a tenerne il conto come se fossero sempre anni, ho voglia di sentirmi zuppa, di vedere le gocce che si sciolgono in rivoli lungo le braccia e non fanno in tempo a creare un percorso che subito si spaccano di nuovo, investite da altre decine di gocce diverse.
Tu l’avresti fatto, Sirius. So che l’avresti pensata così. Probabilmente ti avrebbe reso felice se io fossi stata con te in questo modo, se ti avessi accompagnato nei tuoi viaggi terribili sulla moto ogni volta che il tempo prometteva tempesta.
Chissà se a Remus piacerebbe.
Sirius, è stata colpa mia? È per me che sei morto?
Non riesco a liberarmene, e forse è semplicemente umano cercare un senso a tutto questo.

“Ecco” la voce di David l’aveva distolta dai pensieri cui la conduceva la pioggia, costringendola di nuovo alla presente allegria. “Adesso sì che sembri un vero pirata, con tutto quel trucco che ti cola dagli occhi!”
“Cosa... oh, santo cielo!” aveva riso lei, rendendosi conto del disastro che la pioggia doveva aver combinato sul suo viso.
“A meno che non si tratti di una nuova moda, ci siamo quasi!”

Erano andati a sedersi sotto il portico, senza preoccuparsi del freddo e continuando ad ammirare la pioggia scrosciante. Bessie aveva indicato un passerotto che cercava disperatamente riparo costruendosi un rifugio tra le foglie. “Poverino”, si era impetosita. Lui estraendo la bacchetta li aveva asciugati entrambi, e lei si era voltata a ringraziarlo con un sorriso.
Aveva parlato d’un tratto, David, senza preavviso. “So che un giorno dovrò decidere che cosa fare della mia vita, e so che non è così lontano come potrebbe far sembrare il mio atteggiamento” aveva preso a dire, riferendosi alla discussione di alcuni giorni prima in cui era sembrato decisamente incerto ed inconcludente; continuava a guardare il passerotto che si scrollava sotto le foglie. “Solo, mi fa sentire bene pensare che in fondo ho ancora del tempo per legarmi le mani.”
Bessie era rimasta in silenzio alcuni istanti, dopo averlo ascoltato. “Lo sai?” aveva aggiunto poi “Hai ragione!”
Nella capanna di Hagrid una luce si era spenta di colpo, per poi riaccendersi con fare tremolante. Thor aveva abbiaiato un paio di volte, come a volerle dare coraggio perché tornasse a funzionare. Avevano sentito un tonfo, forse Hagrid era inciampato in uno sgabello, nel semibuio.
“Ho pensato un sacco di volte al mio matrimonio, quand’ero più piccola” aveva preso a descrivere Bessie, con voce ispirata. “Mi chiedevo come sarebbe stato, quale vestito avrei avuto, se sarebbe stato sulla spiaggia, con un ragazzo molto bello e molto innamorato...”, aveva ridacchiato. “Poi ho capito che sarebbe stato meglio non pensarci più, perché a forza di farlo probabilmente avrei rovinato quello vero che avrei vissuto un giorno; voglio dire, di sicuro non avrei avuto la spiaggia incantata ed il principe azzurro e tanti cuoricini che svolazzano nel cielo, no? Così non volevo rimanere delusa quando sarebbe arrivato il momento, per il semplice motivo che era impossibile che fosse come la cartolina che mi ero costruita pian piano nella testa!”
“Come sei pessimista!”
“E’ che è difficile...” aveva replicato lei, tormentando i lembi della fascia gialla con le dita. “Tu... conosci qualcuno, e fai del tuo meglio nello stargli vicino, no? Dai tutto te stesso! Solo che poi di colpo succede qualcosa che sconvolge i tuoi piani come un terremoto, e non te lo aspettavi e questo lo rende ancora più terribile, perché ti ritrovi da solo a dover raccogliere i pezzetti... e la cosa peggiore è che se ci pensi bene non hai nessuno cui dare la colpa, sono soltanto scuse per riempire quel vuoto!”
David si era passato una mano fra i capelli, nervosamente; aveva accarezzato un accenno di pizzetto che aveva sul mento. Bessie l’aveva guardato con indulgenza.
Scusami. Non sono cose che posso dire ad un ragazzo di diciassette anni, vero?
“Quando sono andato a comprare la bandana” aveva cominciato lui, molto serio, più di quanto Bessie si sarebbe aspettata “ad un certo punto camminavo per la strada ed ho pensato: Ma che sto facendo? Ho preso un permesso da scuola, me ne vado a zonzo quand’è pericoloso, e tutto per qualcuno che conosco appena, che frequenta alcuni corsi con me e con cui ho navigato una volta?”
Bessie aveva ridacchiato.
“Poi ho capito una cosa, Belle, e cioè che non m’importa se ci vedremo ancora per cinque minuti o dieci anni; lo so che è strano, però tu sei una persona che mi piace, e mi piacerebbe chiacchierare con te sugli scalini la notte o fare un figlio insieme o essere il testimone alle tue nozze con il ragazzo bello ed innamorato, perchè non so se incontrerò un’altra persona bella come te e allora dovevo dirtelo. Te l’ho detto tutto d’un fiato perché altrimenti non sarei mai arrivato alla fine, sai...” aveva sorriso lui, completamente indifeso. “Insomma, non è come andrà a finire che m’importa, è l’essere ben conscio di quello che c’è. Sai, quando parlano dei nomi? Io-io credo che il tuo nome ti rappresenti davverò, è... è... sei tu “aveva concluso con semplicità. “Io sono contento di aver capito questo, e... e... e insomma, in realtà non sto capendo più nulla!” si era asciugato con il dorso della mano un sudore inesistente dalla fronte.

Quand’erano tornati indietro, sia Kim che nel frattempo era stata raggiunta da Thomas, sia Harry e Ron da un altro angolo nella stanza, li guardavano con circospezione. Si muovevano cauti intorno a lei, senza avvicinarsi troppo e senza saper decidere con quale sguardo rivolgerlesi.
“Oh, insomma!” era sbottata Bessie alla fine, rubando la mela dalle mani dell’amica “Piantala di trattarmi come se potessi rompermi o potessero rompermisi le acque con un rumore brusco!”
“Magari è così”, l’aveva informata l’altra, indicandole il torsolo fra le mani. “Da quando sei tornata non fai che mangiare.”
“Ho fame!”, aveva protestato Bessie.
“Lo vedi? Sei incinta”, l’aveva canzonata l’altra.
“Sì, dello Spirito Santo!”
“Oh, ora fa la verginella, la ragazza...” Kim aveva gesticolato assurdamente muovendosi per la stanza in modo provocatorio, mentre la prendeva in giro.
“Non ho mai fatto la verginella, Kim!”, aveva sbuffato Bessie. Poi però Harry l’aveva presa per un braccio, l’aveva portata da una parte, guardandola con serietà.
“Che combini, Bessie?” le aveva sussurrato, ben attento a non farsi sentire.
“Cosa intendi dire, Harry?”
“Lo sai. Tutto questo ridere. È forzato... non è da te!”
Bessie aveva lasciato andare un lungo respiro, come se avesse voluto svuotarsi. “Sai Harry, ti dirò... per la prima volta stavo ridendo senza avere niente in testa... non la battaglia, non Sirius; niente di niente. Stavo solo ridendo, capisci?” sembrava triste, come se la consapevolezza che quella leggerezza non poteva durare l’avesse colpita quando meno se l’aspettava.
Harry l’aveva fissata con aria di rimprovero. “Per questo non hai più calcolato Lupin nemmeno per un attimo, in questi giorni, perché ti diverti? È egoistico!”
Bessie aveva stretto gli occhi riducendoli a due fessure; quando aveva parlato, il suo tono era asciutto, secco, come lui non ricordava di averle sentito prima. “Non parlare delle cose che non conosci, Harry.”
“Piantala di trattarmi come un bambino!” era sbottato lui, stringendo con più forza le dita attorno al suo polso. Lei si era liberata con uno strattone.
“Ah sì? Allora vuoi sapere come stanno le cose? Bene! Ti dirò, Harry” si era innervosita, quasi fumava dalla rabbia o dal dispiacere “che è stato lui!”
Non ci credo!”
“E invece sì, mi ha mollata. Mi ha piantata in asso. Ok?!”
Harry l’aveva guardata negli occhi per alcuni istanti, completamente concentrato sui suoi sentimenti. Poi era uscito dalla stanza senza dire una parola, ed ignorando del tutto sia gli sguardi di rimprovero che Hermione gli rivolgeva, sia quelli curiosi od ostili di Kim e David.



83.
Lupin aveva sospirato stancamente. “Non sono cose che ti riguardano, Harry” gli aveva risposto senza perdere la sua abituale cortesia.
“Allora è vero?”, l’aveva tallonato ferocemente il ragazzo, seguendolo lungo i corridoi e continuando ad allungare il passo per comparirgli davanti al viso e non dargli tregua anche se lui cercava di sfuggirgli. Aveva quasi rovesciato un’armatura nella foga, ed investito una ragazzina del primo anno che era corsa via metà spaventata e metà emozionata di essersi scontrata con Harry Potter. Lupin però aveva infilato la porta del suo studio, salutandolo con un cenno desolato e chiudendosela definitivamente alle spalle, senza possibilità di appello.
“Allora è vero”, aveva commentato Harry fra sé.

Bessie, intanto, si era chiusa in bagno, mentre un paio di compagne tempestavano la porta di colpi.
“Allooora Belle, hai finitooo?”
“Sìììì” aveva replicato lei, spazientita. “Lasciatemi solo un momento, per piacere!”
Non appena la baraonda fuori era cessata, concedendole una tregua, si era guardata allo specchio sistemandosi con le forbici una ciocca ancora irregolare. Aveva posato l’attrezzo, rimirandosi soddisfatta: ora i capelli arrivavano a sfiorarle le spalle, leggeri.
Quand’era uscita Kim aveva spalancato la bocca, senza trovare un commento preciso nei primi dieci secondi. Ron ed Harry avevano reagito con sbalordimento ancora maggiore perché, se la ragazza poi si era profusa in complimenti (pur dispiaciuta per la bellissima chioma perduta) non avevano fatto altro che boccheggiare per due minuti buoni.
“Be... Be... Be...”, faceva Ron.
“Ma… ricresceranno, vero?” aveva chiesto poi. “Voglio dire... Tonks saprà insegnarti di sicuro a farteli tornare come prima quando vuoi, giusto?”
“Oh, come sei tremedamente carino Ron, così entusiasta!” aveva replicato lei, passando ad Harry un bicchiere d’acqua.



84.
I capelli di Bessie come argomento di discussione non avevano tenuto banco quanto aveva temuto, perché provvidenzialmente un’altra scoperta si era andata ad infilare nei pensieri di tutti: quanto di questo si fosse sentita davvero felice, Bessie non lo sapeva.
“Belle! Belle, guarda!” Kim le era corsa incontro sventolando qualcosa con la mano. “L’abbiamo trovata da noi... chissà com’è finita qui!” e così dicendo le aveva posto sotto il naso una vecchia fotografia. “La riconosci?” aveva gongolato.
Oh, Dio.
“E’... la McGrannitt.”
Ed era nel mio album, prima che io lo aprissi.
“Esatto, è proprio lei! Ma era più giovane qui, quanti anni avrà avuto? Forse è di dieci, vent’anni fa! Non è strano?!”
Come diavolo ho fatto a non accorgermi che era scivolata fuori?
“Devo mostrarla a Camille, somiglia a sua madre in questa foto!” aveva ridacchiato Kim.
“Non trovate che fosse... carina?” aveva azzardato un’altra.
Mi ucciderà.

In realtà il peggio non era ancora arrivato, e Bessie ne aveva avuto la certezza all’ora di pranzo, quando aveva potuto constatare con orrore che la fotografia era finita nelle mani di Draco Malfoy, che fingeva di usarla come fazzolettino per il naso od altri utilizzi corporei non meglio specificabili. Bessie era rabbrividita, si era innervosita. Aveva cercato di raggiungerlo per dirgliene quattro e farsela restituire, ma la strada le era stata tagliata da un gruppo di ragazzine che pareva non avessero nessuna intenzione di lasciarsi le mani per farla passare attraverso.
Ma quante diamine sono, centinaia? Sembra che tutto il secondo anno femminile si stia tenendo per mano... non finiscono più!
Invece erano finite. Purtroppo per Bessie, quando già Malfoy era scomparso all’orizzonte.
Le avevano riferito in seguito di alcune sue prodezze durante la lezione di Trasfigurazioni, quando l’aveva esibita ripetutamente senza farsi scorgere dall’insegnante, e scatenando grasse risate in tutto il sesto anno di Serpeverde.
Bessie aveva pensato alla figura così nota dell’insegnante, dura, tenace, ma giusta fino alla morte, e disponibile come pochi altri. Si sarebbe fatta bruciare per ognuno degli studenti che si trovavano in quella scuola Minerva McGrannitt, lo sapeva. Era stata colei che meglio di chiunque altro aveva affiancato Silente negli anni, non facendogli mai mancare il suo sostegno silenzioso e forte e senza mai chiedere una maggiore esposizione al sole; non badava a queste sciocchezze, lei.
Era stata lei quella che più di tutti si era avvicinata regolarmente alla casa di Privet Drive in cui viveva Harry per controllare che stesse bene... lei che l’aveva sempre sostenuta, sopportata, aiutata. Consolata.
Minerva McGrannitt era una maga esemplare, ed una persona onesta e coraggiosa; ultimamente le sembrava invecchiata con rapidità, come se il ritorno di Voldemort le avesse schiacciato un peso in più sulle spalle, ricordandole le responsabilità che le gravavano addosso per i suoi studenti, per quelli che nella precedente guerra non aveva saputo salvare. Lily e James, per esempio.
Non meritava quella mancanza di rispetto. Assolutamente.

Non avrebbe chiesto in prestito il mantello dell’Invisibilità a Harry, si sentiva decisamente troppo nervosa per andare per il sottile.

In seguito, sarebbe rimasta discretamente storica la zuffa di cui si era resa protagonista nei corridoi con Pansy Parkinson che era stata usata da Malfoy come campione, perché combattesse al suo posto. L’aveva afferrata per i capelli, lasciando che le sue strilla salissero fino al cielo, e ancora non si curava davvero di lei, cercando di eliminare quella scocciatura il prima possibile per tornare a puntare Malfoy, serissima. Perfino Gazza, quand’era intervenuto insieme a Lupin per sedare la questione, non aveva potuto fare a meno di lasciarsi scappare un borbottio ammirato, un ricordo nostalgico che mai si sarebbe sognato che un giorno sarebbe uscito dalle sue labbra. “Però... si vede che è della vecchia guardia...”
Lupin aveva domandato spiegazioni, e mentre Malfoy si lamentava come acqua che sgorga da un rubinetto rotto per la maleducazione della studentessa che l’aveva aggredito d’improvviso e senza un motivo, Bessie si era sempre rifiutata di parlare. Guardava ostinatamente il pavimento, la mascella contratta. Alla fine era stata convocata nell’ufficio del preside, con somma soddisfazione di Malfoy e della Parkinson, che esibiva la vistosa mancanza di una ciocca.
Quand’era entrata nello studio di Silente, insieme al mago aveva trovato anche la professoressa McGrannit e Lupin: si era seduta davanti a loro, nella sedia che Silente, con la consueta gentilezza, le aveva indicato.
“Allora” aveva attaccato lui “Vorresti avere la compiacenza di spiegarci cosa sia capitato quest’oggi, quando a quanto pare sei impazzita in uno dei corridoi?”
Bessie era rimasta in silenzio per alcuni istanti, guardando ora lui, ora la professoressa; a Lupin non aveva dedicato che una rapida occhiata, fuggendo con lo sguardo subito dopo, ma in quel caso perfino guardare la donna le era risultato in qualche modo doloroso.
Non sono riuscita a recuperarla, aveva pensato.
“Il professor Lupin ci ha informati della situazione che ha trovato” aveva proseguito il vecchio mago “e devo dire la verità, data la tua abulia dell’ultimo periodo mi piacerebbe davvero... capire.”
Bessie aveva alzato di nuovo lo sguardo verso di lui, ed aveva notato uno strano luccichio divertito sotto le folte sopracciglia. La professoressa McGrannitt invece, era rimasta seria e composta.
“Io... mi dispiace...” aveva iniziato Bessie. Aveva provato un gesto strano con la mano, come a volersi esprimere meglio, ma non era riuscita a spiccicare un’altra parola, terribilmente dispiaciuta.
“Forse possiamo aiutarti in qualche modo?” aveva insistito Silente. Era stato allora che la McGrannitt si era mossa, infilando la mano in una tasca interna del suo mantello ed estraendone qualcosa che teneva fra due dita con decisione.
“Forse” aveva aggiunto lei, sventolandogliela davanti “si tratta di questa?”
Non ci posso credere, aveva pensato Bessie.
“Arghck!”, era stata invece l’organica espressione di quel pensiero.
La fotografia. Come fa ad averla lei?
“Oh, è molto semplice” aveva risposto la professoressa alla domanda non espressa “non sono ancora così rintronata nonostante l’età, Malfoy ha solo creduto che non mi fossi accorta del suo nuovo giocattolo. È stato un gioco da ragazzi sottrargliela mentre si allontanava dall’aula... Immagino fosse a questo che si riferiva il tuo tentativo” aveva ripreso dopo un po’ “e ti ringrazio, anche se devo ammettere che il metodo non è dei miei preferiti.”
Bessie aveva deglutito.
Meno male.
L’avrebbero punita?
In ogni caso la fotografia non è più nelle mani sbagliate... che sollievo!
“Riceverò... una punizione?”
“Lei che dice, professor Silente?” la McGrannitt non aveva sciolto di un millimetro la sua espressione dura, e Lupin non si era proprio mosso.
“Ah, mia cara Minerva, lei è la protagonista involontaria di tale sfacelo... mi rimetto al suo saggio giudizio quanto alla consegna per la nostra studentessa indisciplinata!”
“Bene, allora.” Si era alzata in piedi, facendo avanti ed indietro dalla cattedra alla finestra per due o tre volte, in chiara lotta con se stessa. Quando si era avvicinata a Bessie aveva le sopracciglia abbondantemente corrucciate.
“Credo... che questa sia tua” le aveva detto infine, porgendole la foto. Forse era stato solo un gioco strano del controluce, ma a Bessie era sembrato che si fosse lasciata scappare un sorriso sincero mentre le parlava. Era balzata in piedi, stringendo la foto contro il petto.
“Oh, grazie professoressa, grazie!!! Mi scusi, le prometto che non sarò mai più tanto sbadata!”
“Lo credo bene, Shacklebolt. Ritengo superfluo ricordarti i rischi che stai correndo, che stiamo correndo tutti.”
Bessie aveva annuito. “Si fidi di me!”, aveva esclamato con decisione.
“Oh, ma non ci sono mai stati dubbi” aveva assicurato la voce flautata di Silente, che sorrideva sotto la barba.
Bessie si era congedata dai professori, aveva stretto calorosamente le mani alla professoressa McGrannitt, che forse –e non l’avrebbe saputo dire con certezza perché si trovava ancora in controluce- si era perfino imbarazzata un tantino di fronte a tanto affettuoso entusiasmo; non era resistita, ed aveva lanciato un’occhiata fugace alla figura di Lupin mentre si allontanava, sentendosi preda di un’irrimediabile fitta di nostalgia.




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Capitolo 33
*** Hogwarts, 33. ***


x manny: tu che ne dici? ehe, dai, ovviamente nno stanno insieme... quando sarebbe successo? o_O va bene non mettere lo sfondo, ma così è esagerato! :p e poi la testa ed il cuore di Elizabeth non si sono ancora minimamente allontanati da Sirius, per quanto ci provi... credo... bisognerà capire il ruolo di David. Oppure capire che tipo di situazione esista fra lei e Remus, mi piace che sia così, un po' sospesa tra le varie possibilità in cui potrebbe rivelarsi! Poi se spiego qui quello che succederà, che leggete a fare? gh! bacini a tuttiiiii



Hogwarts, 33.



85

“Allora siamo d’accordo, Belle? Oggi pomeriggio io passo da Thomas e arrivo insieme a lui nella stanza... tu vai pure direttamente lì, ci sarà David!”
“Va bene... non mi fare aspettare però, eh?”
“Tranquilla.”

Come volevasi dimostrare, quando Bessie aveva raggiunto la stanza aveva trovato soltanto David, intento ad accordare la sua chitarra con una devozione quasi amorosa. Bessie ci aveva pensato su per una frazione di secondo, poi aveva deciso che si trattava piuttosto di una sorta di affetto da fratello maggiore, forse con qualche spruzzata di ammirazione.
“Ritardo”, aveva risposto laconicamente lui, un sorrisino condito da un’alzata disinformata di spalle.
“Strano, no?” era stata la replica ironica di lei che aveva rotto il ghiaccio. Allora erano rimasti ad aspettarli per un po’, chiacchierando del più e del meno, e poi era risultato chiaro che nessuno dei due sarebbe arrivato.
“Avranno trovato di meglio da fare” aveva commentato David furbescamente. Bessie si era sentita imbarazzata, si era guardata intorno, cercando qualcosa in quella camera che gli parlasse più approfonditamente di chi la gestiva.
“Sono sicura che avreste suonato benissimo” aveva buttato lì, mentre gli occhi si posavano su magliette di gruppi, poster, e poi decine di fotografie in bianco e nero di Londra ad ogni parete, un po’ vecchie e fumose. “Sembra un po’ di leggere Dickens, a stare qui dentro.”
“Oppure Salinger.”
“Oppure Salinger”, era convenuta. Poi aveva cambiato espressione, rapidamente si era fatta curiosa ed aperta, tornando a rivolgersi al ragazzo.
“Hai mai fatto un falò sulla spiaggia?”
Lui era stato preso alla sprovvista. “Cos... no, mi pare di no.”
“Se l’avessi fatto, te ne ricorderesti”, aveva decretato con aria saggia.
“E’ così importante?”
“Lo è”, aveva sorriso Bessie. “Se ti trovi con le persone giuste, con le persone della tua vita... beh, un falò sulla spiaggia diventa come un riconoscersi. Diventa il momento in cui te ne rendi conto, in cui capisci che non vorresti trovarti in nessun altro istante, in nessun’altro posto, con nessun’altro.”
“Allora tu le hai trovate.”
“Sì.”
“Ma non vi eravate persi di vista?”
Gli angoli della bocca di Bessie si erano piegati all’ingiù per qualche istante, appena prima che una serenità ostinata scacciasse quell’accenno di malumore, come una decisa consapevolezza nonostante tutto. “Questo non significa nulla. Loro sono ancora le persone della mia vita... lo saranno sempre.”
David l’aveva fissata, cercando di scoprire cosa si celasse dietro alla sua socievolezza, alle sue molteplici espressioni. Si era sistemato le spiegazzature della maglia, sovrappensiero. Quanta vita c’è di te che non conosco? Belle, potrò mai farne parte?
“Quindi per quante persone incontrerai e conoscerai da allora in poi non importerà, perché tu le hai già trovate e nulla potrà sovvertire questo stato di cose?”
“Io... non lo so; non so quante persone della vita uno possa avere. So soltanto...” era tornata a sorridere, un sorriso caldo e triste “che loro lo saranno per sempre.”
Non m’importa se colpisci, Sirius.
Lily, James, papà... non m’importa se il vostro pensiero continua inimmaginabilmente a ferirmi.
Mi fa sentire viva.

Stava ancora spaziando intorno con lo sguardo, quando David aveva iniziato a pizzicare le corde della chitarra. Era un suono caldo, morbido, se pur graffiante. Dopo poco aveva aggiunto la voce, in una canzone dalla qualità semplice ma intensa; Bessie si era sentita in qualche modo trascinata, sollevata, poi spinta in tutte le direzioni senza poterlo controllare. Le erano venuti i brividi.
“E’ così... bella”, aveva mormorato non appena le note avevano cessato di propagarsi. Aveva tirato su con il naso: davvero non riusciva a trovarsi indifferente alla musica.
“Ti piace?”
“Molto.”
“Davvero?” gli occhi di David si erano illuminati; Bessie aveva sorriso.
“Sì.”
“Sai... l’ho scritta io.”
“Oh, ma è fantastico!” si era entusiasmata lei. “Dovresti fare qualcosa David, far ascoltare le tue canzoni, non so... proporle a qualcuno!”
“Ehi, ehi” aveva riso lui. “Calma... in fondo ne hai sentita soltanto una, e devo dire che quando l’ho scritta mi sentivo decisamente ispirato.”
“Ma era bella”, aveva rimarcato lei.
David l’aveva fissata dritta negli occhi. “L’ho scritta il giorno in cui ti ho conosciuta” aveva specificato a mo’ di sfida.
Bessie si era alzata dal letto senza riflettere, aveva cercato scompostamente la porta balbettando parole senza senso e pensando di andarsene adducendo degli impegni improvvisi. Un po’ di diplomazia Bes, maledizione, si era rimproverata. Non puoi avere di queste reazioni automatiche, scappare così ogni volta che qualcuno ti si avvicina troppo, solo perché...
Solo perché.

David aveva lanciato sul materasso la chitarra, l’aveva afferrata per un braccio. “Scusami”, le aveva detto. “Credo di essere stato precipitoso.”
“Credo anch’io”
Lui non le lasciava la mano. Anzi, gliela stava stringendo, e la guardava negli occhi... con due occhi intensi e molto belli.
Ma non sono gli occhi di Sirius. Non lo saranno mai.
“Senti Belle, domani...” pareva imbarazzato “Domani verresti a prendere, che so... un gelato, qualunque cosa, mi va bene anche uno scarafaggio se a te va” le aveva sorriso un po’ tristemente “insieme a me?”
Bessie si era bloccata; appariva incerta, improvvisamente spaesata in un modo molto più articolato di prima. Più profondo, anche.
“...Domani?”, aveva chiesto come se non avesse sentito bene. David aveva annuito.
“Domani... è il sei dicembre, vero?”
“Sì.”
Aveva scosso la testa, rabbuiata. David le aveva cercato invano gli occhi. “Mi dispiace. Non posso.”

Quand’era uscita da sola dalla stanza, aveva pensato a Sirius. Sirius suonava la chitarra. Le piaceva stare ad ascoltarlo, guardarlo mentre si lamentava perché i capelli gli andavano tra le corde se piegava un po’ la testa, osservare le sue mani che se li lisciavano dietro un orecchio, i suoi polsi forti ed eleganti. Non gli stavano mai a posto comunque, quei capelli; erano come lui, facevano parte di lui.
Suonava la chitarra, Sirius, ma anche se non l’avesse fatto sarebbe stato un po’ rock. Non era mai davvero nel posto giusto, era sempre un po’ troppo; gli altri non se ne accorgevano, lo vedevano bello e strampalato e terribilmente affascinante, e non capivano che aveva bisogno molto più di loro di essere tenuto per mano per non perdersi.
Ho dovuto imparare a farlo nel modo giusto, per non farlo scappare. Per non farmi troppo male.

Era così bello Sirius, con quella chitarra in mano! Sembrava che nulla avrebbe potuto ferirlo. Bessie si sentiva sollevata, quando lo sapeva a suonare.
Una volta ha composto una canzone per me. Diceva che ero sempre io a cantare e comporre per gli altri, ed una volta tanto forse mi avrebbe fatto piacere l’inverso. Non ne era sicuro, ricordo il suo sguardo incerto mentre stava seduto sul letto, guardandomi di sottecchi ed usando i capelli come filtro per non esporre troppo la sua attesa.
Quando ha suonato, ho sentito le lacrime rigarmi la faccia.

Persa com’era nei suoi pensieri, era quasi andata a sbattere contro Lupin. Aveva alzato lo sguardo istintivamente per scusarsi, poi l’aveva riconosciuto. L’aveva riabbassato immediatamente, sentendosi le guance in fiamme. La realtà le era ripiombata addosso con la furia di un ciclone, la vita presente e David, e Remus con cui non parlava più. Remus... era l’unica persona con cui sarebbe riuscita a parlare, a stare anche in silenzio, senza dire di lui che non era Sirius. Remus era Remus. Lo era sempre stato. Eppure, aveva scelto di non esserlo più.
Aveva forse balbettato qualcosa, o forse no, non avrebbe saputo dirlo. Lupin si era limitato a fissarla in silenzio, uno sguardo addolorato era stato l’unico discorso che le aveva lasciato prima di distoglierlo con urgenza. Non si era voltato indietro, riprendendo il suo cammino.
Da quanto avevano smesso di parlarsi?
Bessie lo guardava avanzare nei suoi vestiti consumati dalla fatica, un po’ più curvo e molto triste.
Non ti raggiungerò più?



86.
Bessie, una volta rientrata nei dormitori, era andata difilato sotto la doccia. Mentre l’acqua calda scrosciava sulla sua testa, portando via con sé un po’ del malessere che provava e che la costringeva a stringere con forza la pietra, si era specchiata per caso nel manubrio: l’acqua aveva sciolto il trucco che aveva dimenticato di togliere, cerchiandole gli occhi di nero e colando in modo sinistro anche lungo le guance.
Come un pirata, aveva pensato.
Si era accucciata a terra, incurante del liquido che seguitava a scorrere, ed era scoppiata in singhiozzi convulsi.
Non era quella la sua vita, non poteva essere davvero amica di David, non poteva essere davvero nulla di David, perché non ne sarebbe mai stata in grado. Lei non era una ragazza di diciassette anni che si affacciava alla vita e cercava di capire che tragedia significasse Voldemort per il mondo. Non lo era.
Troppi fantasmi nei suoi ricordi, troppa sofferenza; troppe responsabilità nella lotta.
Non era quella la sua vita.
Già, ma allora qual era? Non quella che aveva vissuto, per il semplice fatto che non esisteva più: Lily, Sirius, e come loro tanti, troppi altri, non esistevano più, non l’avrebbero raggiunta ridendo, non l’avrebbero affiancata in battaglia, non avrebbero pianto insieme a lei. Non sarebbero stati ragazzini insieme a lei, e nemmeno adulti.
Niente, non aveva niente.
Remus... perché te ne sei andato anche tu, Remus? Cos’è che ho sbagliato?
Non aveva nessuno, non aveva più una vita. Non aveva niente.
I singhiozzi avevano continuato a scuoterla tutta senza che le lacrime si decidessero a sgorgare, solo si sentiva squassata da quei pensieri, da quella situazione che non prevedeva una via d’uscita. Quantomeno, lei non sapeva trovarla.

Kim aveva aperto improvvisamente la porta della doccia in cui Bessie si era rifugiata, esclamando qualcosa di sconnesso.
“Per la miseria Belle, sei impazzita?”, era riuscita ad articolare poi. L’aveva afferrata per un braccio, aiutandola ad alzarsi, l’aveva avvolta in un asciugamano con dolcezza. “Ti prenderai un malanno”, le aveva sussurrato gentilmente. L’aveva accompagnata in camera, le era stata accanto per alcuni minuti prendendosi cura di lei e tamponandole i capelli finché Bessie non era riuscita a calmarsi, poi le aveva portato del the caldo da bere. Sempre in silenzio.
“Credo tu abbia un po’ di febbre”, aveva diagnosticato tastandole la fronte. Non aveva nemmeno accennato a proporre di chiamare qualcuno. “Dovresti metterti a letto. Dormi fino a domani mattina!” Non le aveva mai chiesto nulla, Kim.
Bessie le aveva sorriso timidamente, gli occhi gonfi per quel pianto che non sapeva uscire.
In questo momento, sei ciò che ho di più reale.



87.
Bessie e Sirius stavano studiando nel parco di Hogwarts, sotto il loro albero preferito. Lui era seduto, i capelli gli andavano davanti al viso, sfioravano il libro; la catenina d’argento che portava girata più volte intorno al polso come fosse stata un braccialetto sbatteva ritmicamente contro la pagina aperta. Era concentrato, e Bessie lo guardava sorridendo.
“Quand’é il tuo compleanno, Sirius?”, gli aveva chiesto allegra. Lui ci aveva messo qualche istante per distogliersi dagli argomenti di cui trattava il volume.
“Ehi, cosa sono tutte queste informazioni che mi chiedi?”, aveva ribattuto poi. “Stai cercando d’incastrarmi per qualcosa che ho combinato nel lontano 1615, quando giravo con gli speroni ai piedi e diciotto rivoltelle e mi facevo chiamare Long Jim?”
Bessie aveva riso, gli aveva tirato un pugno sulla spalla. “E’ che non dici mai nulla di te...”
Lui le aveva risposto senza guardarla, apparentemente imperturbabile. “Ci sarà un motivo, no?”
Si era sentita ferita da quella frase inaspettata, ed allo stesso tempo si era sgridata mentalmente per un’uscita evidentemente inopportuna; gli aveva chiesto scusa in un bisbiglio senza che lui parlasse di nuovo, mogia mogia. Poi si era rimessa a studiare, non trovando una reazione adatta; alla terza volta in cui si ritrovava a rileggere la stessa riga però, si era arresa, perdendosi a fissare il Platano Picchiatore.
“Mi piace quell’albero.”
“Sì?” Sirius aveva alzato la testa sbalordito.
“Beh, mi piacciono gli alberi... amo i loro tempi.”
Lui la guardava: non parlava, però sembrava attento.
“Sai come ho scoperto di essere un Emagus, Sirius?”
“Come?”
Tipico di Sirius. Se il tasso di vulnerabilità è alto, rispondere ad una domanda con un’altra domanda, anche se non ti riguarda direttamente.
“Non per il canto... un giorno ero piccola, e mia madre ha strappato un fiorellino per me, forse una margherita. Era lì, davanti ai miei occhi mentre lo faceva, ed io sono scoppiata a piangere; non riuscivo più a fermarmi, sono andata avanti a singhiozzare tutta la notte... Credo di aver preso coscienza lì della mia sintonia. Quel fiore, è come se l’avessi sentito urlare nella mia testa mentre moriva. Era strano.”
Sirius aveva sorriso. “Sei buffa.”
Buffa?”, aveva protestato lei con una smorfia.
“Sì, perché hai un modo tutto tuo di fare ogni cosa” scuoteva la testa e ridacchiava, sembrava contento.
“Stai bene quando sorridi”, gli aveva confessato lei d’impeto; lui l’aveva guardata.
“E’ un modo per farmi sentire un asino perché io invece ti ho detto che sei buffa, o per ingraziarti futuri complimenti?”
“Nessuno dei due”, aveva replicato lei con tranquillità. “Mi piace vedere che sorridi. Non lo fai molto... non davvero, voglio dire.”
“Oh oh oh” il verso di lui l’aveva presa completamente alla sprovvista “Lei ci sta provando con me, signorina?”
“Non fare l’idiota, Sirius!” l’aveva rimproverato Bessie tirandogli un altro pugno sulla spalla. Lui aveva finto di guaire per il dolore, portandosi una mano sulla ferita. “Ouch!”, aveva esclamato.
“Piantala!”, aveva riso lei.
“Oh sì signorina, va bene, le dirò che è bella, però non mi faccia più del male, la prego!” si era lamentato rumorosamente. Bessie si era guardata intorno imbarazzata.
“Sirius, smettila... parla piano accidenti, ci stanno ascoltando tutti!”
“Davvero, dico sul serio!” aveva esclamato lui allora più forte.
“Al tre la smetti di prendermi in giro, ok? Uno, due e...”
“Non ti stavo prendendo in giro.” In uno dei suoi mutamenti troppo repentini per essere seguito, Sirius si era fatto serio. “Sei bella.”
Bessie era rimasta lì come...
come un’idiota, aveva pensato, momentaneamente sprovvista di un vocabolario più ampio. Sirius le piaceva; le piaceva tanto. Un giorno sarebbe riuscita a confessarglielo? L’avrebbe perso, scegliendo di farlo?
“Grazie”, aveva detto semplicemente, ed aveva abbassato gli occhi.
“Ci vieni alla festa, sabato?” aveva chiesto lui.
“Sì, penso di sì.”
“Dobbiamo divertirci!” le aveva strizzato l’occhio sorridendo, Bessie aveva risposto e poi era tornata a studiare.
Per un po’ erano rimasti in completo silenzio, solo il cinguettio degli uccellini sugli alberi accompagnava il frusciare delle pagine, l’acqua che nel lago si muoveva piano.
“Il sei dicembre”, aveva annunciato Sirius improvvisamente.
“Come?” Bessie l’aveva guardato, ma lui sembrava particolarmente interessato a qualcosa che galleggiava sul pelo dell’acqua.
“Il mio compleanno. È il sei dicembre.”


Bessie si era svegliata spalancando gli occhi: davanti a lei, come un monito terrificante, stava il calendario che segnava allegramente la data del sei dicembre.
È oggi. È davvero oggi.
Si era alzata compiendo i riti mattutini come un automa, senza rendersene conto e senza scambiare parola con anima viva. Le ragazze l’avevano fissata un paio di volte, poi avevano scosso la testa rinunciando a capirci qualcosa. Si era avviata con loro nei corridoi per recarsi a lezione, e lì avevano incrociato Lupin che, con l’abituale cortesia, le aveva salutate con un buongiorno. Tutte loro avevano risposto, tranne Bessie che aveva abbassato gli occhi a guardarsi la punta delle scarpe con un’espressione, come se quel gesto le fosse costato la fatica di spostare una montagna. Kim l’aveva notato, le aveva sistemato una ciocca di capelli senza dirglielo.
“Ti vanno spesso davanti agli occhi, ora che sono più corti”, l’aveva informata.
Non c’è più nessuno a sistemarmeli.
Non era riuscita a stare tranquilla per tutto il giorno, trovava continuamente cose da fare e argomenti di cui parlare con chiunque, si muoveva da una persona all’altra, da un punto all’altro, con la velocità di un ciclone, senza mai ascoltare davvero nessuno o guardarlo negli occhi; sia Kim che Ron le avevano domandato cosa diamine avesse, se l’avesse morsa una qualche bestia velenosa.
“Magari una tarantola”, aveva specificato Ron con un brivido evidente.
Anche durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure aveva sbagliato ripetutamente, confondendosi nelle situazioni più elementari. Piton l’aveva guardata molte volte più che seccato, ma miracolosamente aveva sempre distolto lo sguardo limitandosi a serrare le labbra, senza rimproverarla. Quando poi aveva confuso l’ennesimo argomento primario con un altro che non c’entrava nulla, era stata lei stessa ad alzarsi per avvicinarsi alla cattedra e chiedere spiegazioni al professore, mentre i compagni si chiedevano vagamente quale problema ci fosse.
Al termine della lezione Piton l’aveva chiamata alla cattedra con una scusa, mentre gli altri uscivano. Bessie aveva fatto cenno a Kim di non aspettarla.
“Davvero non sapevi ciò che mi sei venuta a chiedere prima?”
Bessie era arrossita sotto il suo sguardo intenso e difficile da sopportare, quando hai qualcosa da nascondere. Sapeva che Piton conosceva la verità. Lo sapeva. Lui l’aveva fissata quasi con arroganza, anche se la sua diffidente curiosità non era riuscita a trattenere del tutto sotto il mantello la punta di preoccupazione.
“Io... ho pensato che fosse meglio fingere, qualche volta. Per non destare sospetti, sai...”
Piton era rimasto a fissarla come se avesse voluto inserirsi nella sua mente fino a raggiungere i primi ricordi dell’infanzia. “Se è questo, allora sta bene” aveva replicato.
“O-ok.”
“Hai bisogno di qualcosa, Shacklebolt?” aveva aggiunto poi, prudente.
“No... no grazie, Severus. Professore” era stata la risposta bisbigliata di lei. Lui l’aveva fissata di nuovo.
“Ne sei sicura?”
“Io... sì, grazie. Devo andare a lezione, ora.”
Si era mossa in direzione della porta senza salutarlo o aspettare un saluto da lui, conscia del suo sguardo fisso sulle sue spalle: si era sentita nuda, e a disagio. Poi, a metà strada, si era fermata. Si era voltata verso di lui dal centro dell’aula
“Severus... lo sai che c’è una barca, vicino al laghetto?”
“Cosa... sì, certo!”
Bessie aveva sorriso in modo un po’ strano, come se fosse stata lontana da lì, a migliaia di chilometri. “E’ carina, molto piccola e con la vernice un po’ scrostata. Non so cosa ci fosse scritto, il nome è andato via... pensa, aveva un nome ed era solo una barchetta! Un giorno mi piacerebbe farci un giro.”
Piton era rimasto a guardarla senza sapere cosa rispondere, e lei aveva girato i tacchi riprendendo l’uscita.
Quella barca odorava di nafta, di maglioni sporchi, d’irrequietezza; era andata a vederla il giorno della pesca. Sul fondo c’erano un paio di magliette bianche macchiate di petrolio, ed un ramo spezzato a metà. Chissà quanti viaggi aveva fatto, quanti giri sfrenati. Odorava di pino, e di correre.
Quella barca, aveva pensato Bessie, odorava di Sirius.

Durante Trasfigurazioni la situazione era degenerata: Bessie creava un costante caos, non era riuscita a seguire neppure una sillaba pronunciata dalla professoressa; si perdeva ogni tanto a guardare il vuoto oltre la finestra, e Kim le aveva ripetutamente tirato una manica perché la McGrannitt se n’era accorta ed aveva schioccato la lingua con aria di disapprovazione. Invece lei si metteva a parlare con chi stava seduto dietro di lei, aveva fatto uno sberleffo ad un ragazzo poco distante che il giorno prima si era approfittato dell’ingenuità di una ragazzina del primo anno. Si comportava in modo strambo, Kim l’aveva dovuta scongiurare di starsene buona, senza riuscire a capire cos’avesse.
*Ti sei ammattita, Belle? Oppure è un modo molto poco subliminale per far capire alla McGrannitt che vuoi disperatamente una punizione coi fiocchi? Stai attenta! Se c’è qualcosa, se hai voglia possiamo parlarne più tardi...*
Bessie aveva riletto più volte il bigliettino che David le aveva lanciato, colpendo in pieno la nuca del ragazzo che le sedeva alla sinistra: quel ragazzo era così gentile con lei, era decisamente troppo gentile. Aveva provato un paio di volte a rispondergli in qualche modo, ma l’inchiostro sulla carta le era sempre sembrato troppo freddo, troppo tecnico. Quello che avrebbe voluto fare era correre ad abbracciarlo, e subito dopo, probabilmente, scappare via.
Si era voltata verso di lui, che la fissava con una sfumatura d’ansia negli occhi.
Ti ho trattato così male, perché ancora pensi a me?
Gli aveva fatto segno di non preoccuparsi. La McGrannitt aveva però intercettato anche quel dialogo gestuale, e si era definitivamente spazientita.
“Shacklebolt.” aveva pronunciato freddamente, senza alzare di un millimetro il tono. Bessie si era voltata lentamente verso di lei, improvvisamente seria come se ne fosse andato della sua vita.
“Shacklebolt.” aveva ripreso la donna, ripetendo con insistenza il suo cognome come a dirle che si rivolgeva a lei, proprio a lei “Non so quale sia il modo che hai scelto per affrontare i tuoi problemi, Shacklebolt, ma se è questo ti dirò che lo trovo molto poco da Grifondoro. La scelta è tua, io tuttavia in quanto tua insegnante e capo della tua casa non posso davvero approvare un simile comportamento.”
La classe era ammutolita, immersa in un silenzio glaciale: quelle parole avevano significato una sferzata molto più di qualunque sfuriata, o battuta velenosa di Piton. Soltanto lei riusciva a provocare un misto tale di spavento e dispiacere e consapevolezza negli studenti, e non erano molti quelli che avevano dovuto sentirsi dire dal suo tono e dai suoi modi che l’avevano delusa così tanto. Fuori, un granello di polvere aveva colpito i vetri. Bessie fissava la professoressa senza riuscire a trovare una reazione, ed entrambe si trovavano in una posizione di stallo in cui nessuna delle due mostrava un qualunque sentimento. In quella aveva bussato la porta Lupin, che si era affacciato per informarli di qualcosa ma si era bloccato con la frase sospesa a mezz’aria nel rendersi conto dell’aria che tirava: aveva fermato il braccio con cui si aiutava, era rimasto con la bocca spalancata. Era stata proprio la McGrannitt a rompere quell’immobilità, rivolgendosi direttamente a lui.
“Capita a proposito, professor Lupin: credo che la signorina Shacklebolt abbia bisogno di schiarirsi un po’ le idee... l’accompagnerebbe a fare una passeggiata, per cortesia?”
Lupin aveva deglutito clamorosamente, aveva fissato le espressioni indecifrabili di Bessie e della donna, poi aveva annuito senza capire e senza emettere un suono. Bessie in altrettanto silenzio si era alzata dal banco, lasciando lì tutte le sue cose e dirigendosi verso la porta che Lupin le teneva aperta ed aveva chiuso alle sue spalle una volta usciti; appena erano rimasti soli però, lei si era ribellata nervosamente alla partecipazione che lui sembrava volerle accordare.
“Non ho bisogno del tuo aiuto, Remus, me la cavo da sola!” aveva esclamato bruscamente, prendendo la via per il portone principale e lasciandolo lì, confuso ed incerto.



88.
Bessie correva, correva, aveva corso fino a sfinirsi. Era da tanto che non si sfiancava così, non sapeva nemmeno dove fosse finita: tutto quello che ricordava era che si era diretta verso la foresta ed aveva iniziato a correre, disperatamente, come se non ci fosse stato un domani. Rallentando, si era resa conto che i contorni delle piante e dei massi diventavano indistinti, la sua vista si chiudeva rapidamente in nero; le girava la testa... avrebbe voluto così tanto urlare, Bessie, ma sapeva che non avrebbe avuto abbastanza fiato per riuscirci.
Da quando Sirius era andato ad abitare da solo, si erano trovati spesso tutti lì per le vacanze; stavano in casa oppure uscivano, si sopportavano, si vivevano, si amavano. Per organizzarsi nelle questioni materiali si erano spesso divisi i compiti, e Bessie ricordava in particolare Remus con una pettorina coi bordi di pizzo che lavava i piatti: povero Remus, era stato preso in giro fino alla nausea! Una volta James aveva creato una serie infinita di suoi ritratti stilizzati in pose femminili con solo la pettorina addosso, e li aveva appesi per tutti gli angoli della casa. Lily aveva strillato dalla doccia, quando se n’era trovata uno anche lì. Non che Remus facesse molto per ovviare alle prese in giro, in effetti stava davvero con quella pettorina su in modo costante, e soltanto con i boxer sotto. Tonks lo trovava sexy, santo cielo!
I divani di quella casa erano un pezzo d’arredo incredibile... sfilacciati come se una tribù di cani giganti li avesse presi a morsi per dieci anni, perdevano pezzi di stoffa, d’imbottitura e bottoni per ogni dove, erano davvero impresentabili; per non parlare degli unici brandelli di rivestimento visibili, decorati da enormi fiori e rosoni da chiesa babbana! Però erano comodi in un modo indescrivibile... Sirius aveva minacciato spesso di portarsene uno ad Hogwarts ed usarlo al posto del letto, oppure per dei festini privati alla Stamberga Strillante, e aveva desistito soltanto quando Remus gli aveva fatto notare che l’avrebbe purtroppo reso inservibile alla prima trasformazione; Remus riusciva sempre a riportare Sirius alla ragione la metà delle volte, mentre nell’altra otteneva solo di incattivirlo maggiormente verso limiti d’insopportabilità non umani. Ad ogni modo, anche lei avrebbe dormito volentieri su quei cosi per tutta la vita, ad essere sinceri. Specie perché ricordava quando l’aveva fatto con Sirius.
Una volta avevano trasportato uno dei divani fuori, in terrazza: era una serata bellissima, e per una volta erano riusciti a trovarsi da soli in quella casa. Non avrebbe mai scordato il modo in cui avevano guardato le stelle mangiando le schifezze che lui aveva insistito per cucinare e che avrebbero rigettato poi per una settimana intera... tuttavia quella sera non erano stati male, quella sera nulla aveva disturbato la perfezione. Forse per questo la ricordava così nitidamente: c’era sempre stato qualcosa a disturbare la perfezione, James in un’improvvisata o Tonks sospettosa o semplicemente tutti quanti insieme che passavano per caso.

Bessie aveva ridacchiato al ricordo.
Quella sera avevano guardato le stelle, e lui le aveva indicato la costellazione da cui prendeva il nome, e le stelle che l’accompagnavano intorno e che avevano definito il resto della sua famiglia. Bessie l’aveva preso in giro, perché anche se aveva preso le distanze da tutti loro in realtà restava pur sempre uno snob di buona famiglia che si compiace di certe tradizioni secolari, e di portare il nome di una stella. Lei era l’unica che poteva scherzare con lui sulla sua famiglia, che aveva captato il modo giusto; questo però non la sollevava affatto dalle eventuali vendette, infatti quella volta Sirius si era lanciato in un romanticismo assoluto che l’aveva fatta confondere.
“E’ perfettamente ovvio” aveva dichiarato masticando. “Guarda che mi sono innamorato di te solo perché hai gli occhi come due stelle.”
Era stato così noncurante nel dirlo, come se non avesse voluto far notare che era la prima volta che le confessava di essere innamorato di lei. Beh, non era proprio esatto: glie l’aveva detto ogni giorno, ogni minuto che avevano trascorso insieme, con lo sguardo, con i modi, con la cavalleria o la gentilezza o il modo che aveva di portarle le borse più pesanti a mano senza usare la magia, o di cingerla a sé con un braccio quando dovevano attraversare una piazza strabordante di persone. Però sentirselo dire davvero, beh... quella era tutta un’altra storia. Bessie si era sentita spappolata come una pizza, forse le era anche andato di traverso il cono di frittata.
Non c’è da meravigliarsi se poi avevano fatto l’amore in modo fiabesco, lì su quel divano, sotto le stelle, se poi si erano addormentati insieme raccontandosi episodi della loro vita senza filtri, con una sincerità assoluta che forse non erano mai più riusciti a raggiungere. Il mattino dopo si erano svegliati con le prime luci, mugolando per il fastidio.
C’era così poca luce, in quella casa: finestre piccole da scantinato, Tonks si lamentava sempre, adorava la luce; dopo tredici anni di buio, ora Bessie pensava di sapere come si sentisse l’amica. E poi mancavano i tavoli e le sedie: mangiavano per terra, in quella casa, ed era come stare in paradiso.
D’estate lei, Lily e Tonks aiutavano Peter nello studio, quando i suoi lo lasciavano andare; non che fossero contenti del suo frequentare certe compagnie. Nemmeno la madre di Bessie lo era, a dirla tutta: non era una bella cosa che una ragazza stesse così liberamente a casa di un ragazzo, anche negli anni Settanta e anche se lei era maggiorenne. Questo almeno secondo sua madre. La prima volta ci era andata di nascosto, non si era portata nulla e aveva dovuto farsi prestare i vestiti di Sirius per tre giorni.
“Che fattaccio poco femminile, poco condicevole, Bessie”, aveva commentato sua madre. Non le importava che fosse felice. Il punto era che doveva comportarsi da signorina per bene.
Insomma, aiutavano solo Peter, loro ed i ragazzi (Remus a parte, ovviamente) finivano per svolgere i compiti delle vacanze sempre all’ultimo momento, anche se Lily si arrabbiava di brutto; le seccava, era talmente precisa... però le volte in cui riuscivano a contagiare anche Remus non poteva farci proprio nulla! Tanto poi sapeva che non avrebbero avuto problemi comunque, nel finirli.

Da qualche parte doveva avere ancora una foto di Remus che lavava i piatti in boxer e calzini sotto la pettorina malefica.
Una volta lei e Sirius avevano litigato; lui si era rivisto con una ex, e probabilmente non era successo davvero nulla tra loro però le aveva dato fastidio il suo atteggiamento poco chiaro. James le aveva assicurato che non c’era stato niente tra quei due, che l’unica con cui Sirius voleva stare era lei, e per quanto fosse leale nei confronti del suo migliore amico sapeva che non le avrebbe mai mentito su un fatto del genere... però era disturbata da quella mancanza di rispetto. Doveva ancora imparare l’assoluta incapacità di Sirius di fare le cose nel modo in cui non avrebbe ferito gli altri, lui davvero non ci riusciva, ci provava ed otteneva il risultato opposto: probabilmente aveva pensato che la cosa giusta fosse non parlargliene per non renderla sospettosa e non farla sentire infelice.
Aveva preso il Nottetempo, si era fatta un giro per schiarirsi le idee.

Schiarirsi le idee. Glie l’aveva suggerito anche la McGrannitt. Con la differenza che quella volta quand’era tornata aveva scoperto che erano tutti usciti a cercarla, e Sirius e James avevano finito per perdersi nella foga ed avevano dovuto chiamare un taxi per tornare indietro. Ora non l’avrebbe rincorsa più nessuno. Non Lily, non James, non Sirius... per non parlare di Peter – non che le importasse.
E nemmeno Remus.

Ci pensava, pensava a quei giorni felici ed incoscienti, a Lily sempre presente nella sua vita come un mare, come l’ossigeno; a Sirius, Sirius, Sirius. Pensava a Remus, che ora pur vivendo sotto il suo stesso tetto era lontano in un modo incommensurabile. Si era sentita il cuore pesante da straziarle la pelle.
Come posso accettarlo?
Si era fermata, la gola le faceva male per la corsa, faticava a respirare ed aveva riconosciuto le prime avvisaglie della crisi premerle contro il petto. Il fiato aveva preso la forma di lunghe Uuuuh emesse come un gorgoglio, come un rantolo. Uuuuh, faceva. Uuuuh.
Respira, Bessie. Respira. Devi calmarti.

Si era seduta su di un masso, e nel buio che cominciava a calare i ricordi si erano fatti più duri da sopportare, rendendosi presenti con dei fruscii di animali selvatici, con dei sussurri che la circondavano.
Vedo attraverso te.
Ti parlo.
Se provi a sfiorarmi, Sirius, non sento nulla.

Percepiva l’intorno come il grosso scafo di una barca, che cigolava sotto il suo peso aumentato da tutti quei pensieri, e dondolava, dondolava... forse stava pencolando verso il vuoto e non lo sapeva; forse se ne sarebbe accorta troppo tardi.
Potrebbe esserci un buco, qui, sulle assi del pavimento della barca, un buco piccolo piccolo creato da un topolino per spostarsi, ed io riuscirei a finirci dentro; a cadere.
Credo che riuscirei a precipitare da qualunque altezza, in qualunque spazio.

Alla fine aveva notato un chiarore provenire da una zona della foresta poco distante, e dopo aver cercato vanamente di distinguere di cosa si trattasse socchiudendo gli occhi aveva seguito quella luce.
Mi porterà da qualche parte, aveva pensato. Non m’importa dove. Ormai ho semplicemente bisogno di approdare in un punto preciso.




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Capitolo 34
*** Hogwarts, 34. ***


oggi riaggiorno subito... visto che brava! tutto grazie a mixky, perché oggi abbiamo chiacchierato e come sempre mi ha incoraggiata davvero tantissimo... (a proposito di aggiornare, manny, non avevi detto che...? :p) bene bene, vi lascio al capitolo, con un ringraziamento anche a chi non commenta mai anche se questa cosa mi rende un po' triste. vi lascio un nuovo link per le bamboline, ero stanca di aggiornare sul blog, scusate.
http://spaces.msn.com/diframmenti/PersonalSpace.aspx?owner=1 l'album è sulla destra.




Hogwarts, 34.



89.
Quando si era avvicinata al punto luminoso si era resa conto di trovarsi di fronte alla capanna di Hagrid. Dalla finestrella semiaperta giungevano zaffate di un odore strano, probabilmente qualche suo intruglio pericolosamente poco commestibile, però proprio perché tipico di lui in qualche modo anche tremendamente rassicurante. Si era avvicinata di qualche passo, aveva spiato dalla finestrella per scoprire cosa stesse facendo: il gigante sembrava tutto impegnato in una complicata preparazione, mentre Thor gli saltellava intorno. Lui allora aveva afferrato una bistecca cruda con la mano, glie l’aveva lanciata lasciandosela leccare per ringraziamento. Poi aveva mescolato il composto con quella stessa mano; Bessie si era lasciata scappare un verso schifato, ed era stato allora che lui si era accorto di lei.
Betsye, che diamine ci fai lì?”
“Ciao, Hagrid” aveva risposto lei quando le aveva aperto la porta. Era entrata nella capanna inspirando quello strano odore a pieni polmoni. “Sa di casa, qui” aveva commentato guardandosi intorno, dalle tazze sbeccate alle pentole in disordine, alla confusione degli oggetti più strani sopra il letto. Lui l’aveva guardata con attenzione, aveva controllato il suo passo barcollante, i suoi vestiti come se fosse appena uscita da un incidente d’auto; le aveva posto una manona sulla fronte, avvicinandosi anche con il viso e soffiandole senza volerlo contro la frangia, che l’aveva solleticata.
“Hai la febbre, Betsye?”
“Io, uhm... credo di sì” aveva alzato le spalle. “Scusami, metterò una mascherina.” Si stava accingendo a legarsi attorno alla bocca la fascia gialla a disegni che le aveva regalato David, ed aveva emesso un lievissimo sospiro nel vederla, quando lui glie l’aveva tolta di mano. Bessie aveva seguito con desolazione il volo della bandana, che era precipitata in mezzo a miliardi di cianfrusaglie fino a rendersi quasi irriconoscibile.
“Non dire stupidate! Tu dici un sacco di stupidate, ecco! No, dicevo che era meglio per te non andare in giro, se stai male!”
“Non sto così male, Hagrid” aveva sorriso lei.
Stupidate!
Bessie era rimasta sorpresa dal suo tono, poi senza aspettare che lui la invitasse si era seduta su una sedia traballante, raccogliendosi le ginocchia fra le braccia. Ci stava anche lì! Aveva giocherellato con il bordo sbrindellato della tovaglia, infilando le dita in un paio di buchi; Hagrid la guardava, si grattava la nuca con vigore. Lei aveva provato a chiamare Thor, senza troppa convinzione. Fuori aveva iniziato a soffiare il vento.
“Tu... hai presente certe volte cosa capita con i genitori, che inizi a capirli? Che allora li vedi come persone ed è come se ti abbandonassero... però in fondo non è colpa loro?”
“Non hai problemi con la tua mamma, eh Betsye?” aveva domandato il mezzogigante, allarmato. Lei aveva fatto segno di no con il capo. “Remus”, aveva mormorato.
Lui si era seduto lì di fianco, facendo tremare un poco le pareti.
“Mi bastava sapere che c’era” aveva aggiunto come parlando con se stessa.
Hagrid aveva annuito gravemente, le aveva porto una tazza colma di quella brodaglia fumante che aveva scorto poco prima.
“E’... tè?”, aveva tentato lei. Lui aveva gongolato senza rispondere, le aveva fatto cenno di provarla. Bessie aveva afferrato la tazza con due mani, era calda: ci aveva spiato dentro, ed aveva notato che qualcosa –non doveva trattarsi di un ingrediente- galleggiava nel liquido. Aveva deglutito sonoramente, ma poi non se l’era sentita di deluderlo, così aveva bevuto, stringendo le palpebre. Thor nel frattempo sembrava aver deciso che lei era una vecchia conosenza sufficientemente affidabile, era uscito di sotto il letto e le aveva leccato le mani, guadagnandosi qualche carezza affettuosa.
“Sono venuta ad Hogwarts perché mi sentivo persa” aveva continuato lei, e la sua voce per la seconda volta aveva interrotto una pausa lunga ma non spiacevole. Hagrid si era sistemato nervosamente sulla sedia, facendola cigolare mentre cercava le parole adatte.
“Lo sai, io non so dire le cose per bene e so che ti ho chiesto tante volte di Sirius quando tu non volevi mica parlarne, però io ho girato tanto e mi sono anche nascosto un mucchio di volte, e ho capito che quando ti perdi sei tu che ti perdi.”
Bessie l’aveva guardato. Lui aveva respirato a fondo, come cercando la concentrazione. Aveva appoggiato il gomito al tavolo facendolo scricchiolare, per sporgersi verso di lei.
“Se ti senti persa in un posto, non serve a niente cambiarlo. Ti senti persa dappertutto.”
Un rumore strano proveniente dall’esterno aveva interrotto quel dialogo, ed ai sonori latrati di Thor Hagrid si era precipitato a controllare, costantemente all’erta. Aveva spalancato la porta aggressivamente, poi, non trovando nessuno lì davanti, si era guardato intorno con più calma. Ad un certo punto sembrava aver notato qualcosa, ma aveva fatto una faccia strana ed era tornato dentro, richiudendosi la porta alle spalle.
“Non c’è niente, qui fuori. Sarà stato il vento” aveva borbottato. Bessie l’aveva studiato sospettosa, poi senza preavviso si era alzata e si era precipitata ad aprire la porta prima che lui potesse fermarla. Aveva puntato gli occhi verso la direzione che aveva notato in lui, ma non c’era nulla; aveva scandagliato l’intorno, ma anche lì non aveva ottenuto nessun successo. Alla fine si era rassegnata a tornare dentro, a riprendere il suo posto a sedere accanto alla tazza ormai tiepida.
“Un sacco di volte quando stavate insieme tu e Sirius Black io pensavo che se avrei potuto gli avrei dato un bel pugno, a quello lì. Però gli volevo bene, era un buon ragazzo, era solo per fargli mettere la testa a posto perché non doveva perdere una come te.”
Bessie gli aveva sorriso calorosamente, nonostante il nome di Sirius le provocasse dolorose fitte al centro del petto ogni volta che veniva pronunciato.
“Però ci ha pensato da solo”, aveva proseguito lui dopo una pausa. Lei aveva sorriso di nuovo, intenerita ed in qualche modo confortata dalla semplicità dell’omone che le stava di fronte. Poi si era fatta di nuovo seria, guardava verso un punto indefinito - forse ben oltre quella parete, oltre quel posto.
“Sirius... non poteva amarmi.”
“Eh?”
“Lui non poteva. C’era Harry, c’era il nascondersi, c’erano tutti i fantasmi che l’avevano inseguito negli anni, i sensi di colpa ed il dolore.”
“Che dici, Betsye?”
“Non poteva amarmi” aveva insistito lei, ostinata. “Ed ha pagato per questo.”
Hagrid aveva scosso la testa così forte da agitare il lampadario come sotto un tornado. Si era alzato in piedi, tuonando con il suo vocione come se si rivolgesse ad un nemico: “Non voglio mai più sentire queste stupidate qui dentro, e neanche fuori, capito?!”
Bessie era rimasta in silenzio, aveva posato il mento sulle ginocchia continuando a guardare verso quello stesso punto indefinito; questa volta però, si trovava dentro alla stanza.
“Secondo te, Hagrid...” era intevenuta “Io ho sfruttato Remus come un’abitudine?”
Ancora una volta lo stesso, strano rumore li aveva interrotti rivelandosi dalla finestrella aperta. Bessie si era voltata ascoltando con attenzione, però ci aveva badato meno rispetto alla prima volta. Hagrid aveva tossicchiato.
“Sono discorsi tanto difficili per me, io non so mica spiegarmi... però li vedo gli occhi, e tu gli vuoi un gran bene, a lui! Anche lui te ne vuole, cosa credi. Solo che adesso è tutto difficile, ci sono tante cose in mezzo; dovreste solo parlarvi, voi che siete capaci di farlo per bene!”
Bessie aveva riso, aveva esclamato: “Hagrid, sei insostituibile!”, facendolo gongolare tutto. Poi si era fatta seria, stringendo la tazza fra le mani.
“Io ho bisogno di Remus.”
“Eh sì.”
“Non ne ho bisogno solo per me. Ne ho bisogno perché gli voglio bene.”
E subito dopo la stanza intorno era tornata a girare come la foresta prima, aveva provato a chiedere al gigante qualcosa su Harry senza riuscirci: la visuale si stringeva, si allungava, si faceva sempre più nera... sentendosi terribilmente stanca Bessie si era accasciata, percependo vagamente la lingua calda di Thor che le leccava la guancia, le manone di Hagrid sostenerle il viso con una delicatezza insospettabile. L’aveva sentito parlare sommessamente con qualcuno, e poi davanti a lei aveva scorto Lupin che la squadrava preoccupato.
“Ma tu...” aveva balbettato “Come... allora eri tu qui fuori?”
“Sssht”, aveva bisbigliato lui con tenerezza, portandosi l’indice davanti alle labbra come avrebbe fatto con una bambina. “Non ti sforzare.”
“Come...”
Remus, come fai...
Aveva ripensato a quante volte era già scappata, e a quante lui l’aveva sempre riportata indietro; anche quando dopo la morte di Sirius se n’era andata in Grimmauld Place, lui l’aveva ritrovata.
“Come hai fatto a trovarmi?” era riuscita a bisbigliare, masticando le parole. Lui si era portato il suo braccio attorno alle spalle, per sostenerla nel ritorno alla scuola.
“Io ti ritroverò sempre, Eliza!”



90.
Quando avevano raggiunto la scuola, Lupin aveva condotto Bessie nella stanza degli insegnanti. L’aveva spedita a lavarsi il viso con l’acqua fresca, perché tornasse in forze.
“Ecco, tieni... cambiati”, le aveva consigliato poi porgendole degli abiti nuovi. Lei li aveva afferrati senza dire nulla, ed era andata di nuovo in bagno per cambiarsi.
“Si può... rimanere in aula insegnanti?” aveva domandato debolmente una volta tornata.
“Eliza, è notte... stanno dormendo tutti!”
“Wow, Remus Lupin che fa qualcosa di rischioso per la sua buona fama di uomo-regola!” aveva commentato, ed avrebbe voluto condire la frase con un sorrisetto ironico ma si era sentita troppo fiacca, inoltre il suo sguardo serio le aveva tolto ogni forza residua: si era lasciata cadere su una poltrona, sfinita.
So cosa vuoi dirmi. È per me. Ma non mi rispondere nulla di gentile, Remus... ti prego.
Lui era andato a sua volta in bagno, era tornato portando una bacinella d’acqua ed una pezzuola che aveva provveduto a ripiegare con cura. Si era seduto nella poltrona di fianco a quella in cui stava lei, aveva preso a bagnarle la fronte con la pezza umida. Si muoveva con tenerezza, con sollecitudine; i suoi tocchi erano così delicati che Bessie aveva pensato che se non l’avesse saputo, forse non se ne sarebbe accorta. La guardava da vicino... era vicino, da quanto non le stava così vicino? In ogni caso da così tanto tempo che lei aveva sentito le lacrime pungerle le palpebre, cercando dispettosamente di farsi strada.

“Ho passato tutto questo tempo a cercare di capire come potevo dimostrarti che puoi fidarti di me” aveva sussurrato Lupin, la voce resa roca dall’emozione e della stanchezza; dalla tensione che se ne andava pian piano. “Non ho intenzione di abbandonarti, Eliza. Ma non posso tornare indietro per riprovarci in modo diverso.”
Lei aveva scostato di poco la pezza che le stava gocciolando sul viso; aveva sentito il calore della sua mano nello sfiorarla, e per la seconda volta quel giorno si era sentita a casa.
Remus e Hagrid, questo posto... sia il mio passato che il mio presente, fanno tutti parte di me. Devo solo imparare ad accettarlo.
“Non devi dimostrarmi nulla, Remus, non voglio che tu ti senta obbligato ad un ruolo con me. Sei tu... e questo mi basta. Tutto quello che ti chiedo è di esserci.”

Bessie aveva infilato il braccio in quello di Remus, appoggiato sull’altro bracciolo. Si era accoccolata nella poltrona, protesa verso di lui mentre ascoltava alcuni aneddoti sui compleanni di Sirius che non aveva conosciuto.
La Mezzanotte è già trascorsa, Sirius; l’abbiamo superata. Ed è solo un’altra cosa che hai perduto.
Dovrò amarti in questo modo per tutta la vita, come una rincorsa?

Pian piano, mentre ascoltava la voce soffice di Lupin come una carezza, la stanchezza l’aveva vinta, aveva vinto anche la febbre ed i pensieri tristi, convincendola ad abbassare le palpebre. Remus era tornato, e forse nulla avrebbe più potuto farle del male, o forse lei si sentiva più forte.
Quando si era addormentata lui era rimasto immobile a vegliarla, attento a non spostare il braccio per non rischiare di svegliarla.



91.
“Oh, Santo cielo!” aveva esclamato la McGrannitt entrando nella sala professori avvolta nella sua vestaglia scozzese, ancora in parte addormentata. Era molto presto.
Ma allora, Lupin e Bessie che diavolo ci facevano lì? Erano impazziti? Non si rendevano conto del rischio che correvano a mostrarsi insieme, così uniti? Qualcuno avrebbe anche potuto riconoscerla!
Aveva passeggiato nervosamente avanti ed indietro per la stanza, misurando a lunghi passi la distanza tra la porta e la finestra; quando si era voltata a guardarli, accigliata, severa, la scena che le si era presentata davanti agli occhi era talmente serena da non permetterle di spiccicare parola. Bessie dormiva profondamente, un braccio agganciato a quello di Lupin, altrettanto addormentato nell’altra poltrona.
Doveva stare scomoda. Se ne sarebbe accorta, una volta sveglia. Lui probabilmente non si muoveva da ore.
Avrebbe dovuto chiamarli, lo sapeva. Tra poco Hogwarts sarebbe tornata a vivere.
Eppure, per la prima volta le sembrava che Bessie sorridesse. Era solo una sensazione, come qualcosa che aleggiava vago intorno alle sue labbra, però c’era; aveva bisogno di Remus Lupin, lo sapeva. Probabilmente anche lui aveva bisogno di lei. Come poteva dividerli, unici due scampati alla furia? Chissà quanto tempo avevano tutti loro davanti, chissà cosa sarebbe successo nei mesi seguenti, nei minuti seguenti. Forse, dopotutto, quella tregua se l’erano guadagnata.
La McGrannitt era uscita in punta di piedi dalla stanza, attenta a non fare rumore.





If I could stay...
Then the night would give you up.
Stay… then the day would keep its trust
Stay… with the demons you drowned
Stay… with the spirits I found
Stay… and the night would be enough.

(Se io potessi rimanere…
Allora la notte ti lascerebbe in pace.
Restare, ed il giorno manterrebbe il suo impegno
Restare, con i demoni che hai affogato
Restare, con lo spirito che ho trovato
Resta... e la notte sarebbe abbastanza.)


U2 – Stay (Faraway, so close)




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Capitolo 35
*** Hogwarts, 35. ***


Hogwarts, 35.



92.
Poco prima che venisse loro concesso il permesso di sfilare verso l’uscita di Hogwarts, con Gazza che li avrebbe perlustrati da cima a fondo perché si recassero ad Hogsmeade privi di qualunque oggetto potenzialmente pericoloso, Bessie era entrata nell’ufficio di Lupin. L’aveva salutato con un sorriso smagliante, trattenendosi a fatica entro le normali regole di educazione formale.
“Buongiorno, professor Lupin.”
“Chi...? Oh, buongiorno Isabel” aveva replicato lui, seduto al suo tavolo. “In forma smagliante oggi, eh?”
“Può dirlo forte!”
“Hai bisogno di qualcosa?”
Bessie si era scossa a quella domanda, smettendo di guardarsi attorno come aveva fatto in quel momento, inspirando in rilassatezza. “Sì, uhm... la professoressa McGrannitt mi ha chiesto di portarle queste pratiche, dice che dovrebbe controllarle per poi rilasciarmene alcune da portare di nuovo a lei.”
“Vediamo un po’, allora...” l’aveva incitata cortesemente lui, inforcando un paio di occhiali che Bessie non ricordava di avergli mai visto e che lo rendevano alquanto buffo; aveva soffocato una risatina.
Lui però, se n’era accorto lo stesso. “Che succede?”, aveva bisbigliato in un sospetto divertito. Bessie gli si era avvicinata fingendo di fornirgli indicazioni riguardanti i fogli, ed appoggiandosi con i gomiti al suo tavolo aveva risposto ridacchiando qualcosa su una sua nuova somiglianza con il signor Weasley. Lupin le aveva tirato una ciocca di capelli, facendola ridere.
“Non è colpa mia se ultimamente ci vedo poco, ho una certa età ormai!”
“Remus, se continui a mantenere questo buio nella stanza peggiorerai a vista d’occhio... manca perfino l’aria, qui dentro!” aveva commentato con una certa ansia, mimando il suo disagio con due mani intorno al collo come se stesse soffocando, ed incrociando gli occhi. “Dovresti veramente lasciare che la natura ti raggiunga, sai... le finestre esistono per questo!”
Lui le aveva fatto il verso, imprecando contro la natura che lo raggiungeva anche troppo, per i suoi gusti.
“Ah già, il tuo piccolo problema peloso” aveva citato lei. Lui l’aveva osservata come se la stesse studiando.
“Sei davvero qui per ordine della McGrannitt?” le aveva domandato.
“Uhm...”, era arrossita Bessie. Lupin aveva sorriso, tornando a scarabocchiare alcuni segni sui fogli senza dire nulla. Lei allora aveva sorriso a sua volta, senza allontanarsi né cambiare posizione, e lisciandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Era stato in quella posizione che li aveva sorpresi David, bussando alla porta aperta dell’ufficio; Bessie si era rialzata prontamente, con un po’ troppa fretta a dire il vero, e Lupin si era tolto gli occhiali da lettura.
“Professore, mi scusi... Madama Chips chiede di lei.”
“Oh, certamente. Bene Isabel, dì pure alla McGrannitt che mi premurerò di portargliele personalmente!” aveva aggiunto in seguito, evitando di guardarla per non aumentare la confusione della ragazza. David era corso al fianco di Bessie, incuriosito da quella specie di intimità che doveva aver interrotto.
“Ciao!”
“Ciao, David” aveva risposto lei leggermente imbarazzata.
“Ho... disturbato? Voglio dire, sembrava che...”
Lei aveva fatto un cenno con la mano. “Amico di famiglia”, aveva borbottato in modo poco chiaro. Lui allora aveva ripreso coraggio, accompagnandola in corridoio verso l’uscita.
“Senti, io... lo so che è un po’ tardi, e insomma... voi ragazze vi organizzate sempre per tempo e magari hai già altri programmi, ma...” si era tormentato una ciocca di capelli, nervosamente, guardando da un’altra parte “se così non fosse, Belle... ti... ti andrebbe di venire a Hogsm...” si era mangiato il finale della parola, deglutendo sonoramente. “Con me?”, aveva concluso in fretta, come se non avesse potuto respirare fino a quel momento. Bessie l’aveva guardato inclinando il viso di lato, un reale dispiacere a contagiarle i lineamenti, e così prima ancora che potesse rispondergli lui aveva messo le mani avanti, indietreggiando già di un passo, come per scappare prima di udire la temuta sillaba dalle sue labbra.
“Uhm, ok, ok... hai già altri programmi. È chiaro” aveva rigirato il piede sulla punta. “Scusami.”
“David...” aveva tentato Bessie, ma lui se n’era già andato. Le si era avvicinata Kim, in cambio.
“Hai rifiutato per non illuderlo...” aveva scrutato il volto dell’amica mentre le parlava “Proprio non lo vuoi, eh? Povero David!”
Bessie intanto armeggiava con la sua borsa, la testa completamente nascosta dai capelli mentre cercava qualcosa frugando con abbondanti movimenti delle mani.
“Peccato però” aveva proseguito Kim, sospirando “sarebbe stato carino se ce ne fossimo andate in giro insieme a loro, tutti e quattro...”
Bessie l’aveva interrotta prima che potesse completare la frase. “Kim, senti... Mi dispiace, io...” aveva esitato un momento “Devo andare” aveva borbottato poi, allontanandosi in tutta fretta senza guardarla negli occhi, e lasciandola sola.

Aveva raggiunto Harry, Ron ed Hermione quando loro già avevano incontrato Tonks da un po’ e stavano sorseggiando un té tutti insieme. Ostentavano allegria; qualcosa nei loro sguardi le aveva però rivelato chiaramente un filo di nervosismo che cercavano di celare... doveva essere successo qualcosa appena prima che lei arrivasse.
“Non avete intenzione di spiegare al vostro Emagus preferito da cosa state tentando di depistarla senza riuscirci perché io queste cose le capisco?”, aveva esclamato ironica, entrando nella sala. Loro si erano guardati incerti; Hermione aveva deglutito come per parlare, ma era stata bloccata da Tonks che le aveva posato una mano sul braccio. Bessie era rimasta a fissarli incuriosita, poi una strana luce negli occhi di Tonks le aveva permesso di comprendere l’argomento oscuro. In un attimo aveva smesso il sorriso dal volto: non provava nessun desiderio di parlare di Sirius, proprio nessuno. Aveva scrollato il capo, pensando che forse sarebbe stato meglio non insistere oltre.
“Allora, usciamo di qui? Questo locale ha dei lampadari strani”, aveva commentato lanciando un’occhiata in su con fare incerto.

“Casa tua ha dei lampadari strani, Sirius” aveva osservato Bessie con aria incerta mentre il suo sguardo si posava sulle enormi cascate di cristalli sospese magicamente sulle loro teste senza nessun tipo di collegamento o sostegno al soffitto, nemmeno i fili dell’energia elettrica. Molto belli, certo, ma un tantino... inquietanti.
“Questa non è casa mia” aveva commentato lui seccamente. “E’ casa dei miei genitori.”
“Già, hai ragione” aveva risposto lei con un filo di voce. Sirius sapeva cosa intendeva dire con questo: per quanto potesse ritrovare in quel posto degli aspetti di lui, ora che finalmente lo vedeva, il numero dodici di Grimmauld Place non era lui. Affatto. Invece era totalmente, completamente, una casa da famiglia Black.
“Mia madre dev’essere lì in fondo”, l’aveva informata con tono asciutto, indicando la luce che filtrava da un uscio semichiuso.
Bessie si era aggrappata con due dita alla sua manica. “Sarà... somiglia ai lampadari, tua madre?”
“Non sai quanto” era stata l’amara replica.
Bessie si era ancorata un po’ più strettamente alla manica.


“...Bes? sei ancora tra noi?” Tonks le stava sventolando una mano davanti agli occhi.
“Eh? Oh sì, scusami, scusatemi... devo essermi distratta un attim... ehi, ma dove sono i ragazzi?”
“Andati” aveva commentato l’altra, laconica. “Non che fossi molto di compagnia. Chiedi di uscire e poi ti eclissi.”
“Mi dispiace” Bessie si era stretta nelle spalle, l’aria contrita. Tonks l’aveva fissata per qualche secondo prima di lasciarsi scappare un sorriso divertito.
“E così l’Emagus si è convertita ai capelli quasi corti... che ne direbbe il Ministero?”, aveva sghignazzato scompigliandoglieli. Bessie aveva protestato, scacciandole la mano.
“Dai Tonks! Sai che non puoi parlare apertamente di certi argomenti, no?”
“Cosa, dei tuoi capelli?” aveva scherzato lei, proseguendo il tono sarcastico. “Ma ti stanno benissimo!”
“Urmpf! Anche a te donano i capelli corti, Dora!”
“A me?” aveva chiesto lei perplessa, studiandola a fondo. “E quando mai mi avresti vista con i capelli lunghi, di grazia?”
“Beh...” Bessie si era picchiettata la punta del naso con l’indice “Per esempio per Larry detto Ginger, dico bene?”
Tonks era arrossita dalla radice dei capelli fino alla punta delle scarpe. “Larry Gi... ma che stai farneticando? Che c’entra lui, ora?”
“Oh oh oh, come se non lo ricordassi, quanto ti piaceva! Avevi perfino cercato di renderti femminile, purché ti notasse! Ce li ho stampati nella mente, quei tuoi capelli color prugna e stiratissimi... povera Tonks, pensare che tutti quegli sforzi non sono serviti a nulla!”
“Bes...”
“Perché lui si è messo con Madeline Prior!”
Bes!!!”
“Sì?” aveva risposto lei, angelicamente.
“Come se tu non avessi mai combinato nulla, quando ti perdevi per qualcuno!”, aveva grugnito. “Per esempio al primo anno, quando andavi ogni santo giorno in biblioteca solo per vedere di lontano uno che neanche sapeva che esistessi, come si... ehi!!!” aveva esclamato d’improvviso, facendo voltare un paio di passanti. Bessie le aveva fatto cenno di stare calma, ma lei sembrava sovraeccitata. “Il tipo che andavi sempre a spiare al primo anno... me ne rendo conto adesso, era...”
“Oh, di sicuro starai per sparare una delle tue baggianate!” aveva commentato Bessie, avendo cura di non guardarla mai negli occhi.
“Bes, santo cielo, potrei prenderti in giro finché campi!” aveva proseguito Tonks afferrandola per le spalle. “Andavi a guardare Remus Lupin, non è vero?”
“Smettila, Tonks.”
“Era lui, ne sono certa!”
“Tonks...”
“Oh, la sua faccia quando glielo racconterò!”
“Ma tu non lo farai!”, l’aveva minacciata Bessie, alzando l’indice contro di lei.
“Scommettiamo?” aveva replicato Tonks, inebriata dalla sfida.

“Remus... come sta?” aveva domandato poco dopo, sbollita l’ilarità.
“Lui... bene.”
“Allora avete risolto tutto quanto?”
Bessie l’aveva fissata, una chiara interrogazione nei suoi occhi.
“Me l’ha detto lui. Mi ha scritto un messaggio giorni fa, domandandomi di incontrarti a Hogsmeade per essere sicuro che stessi bene...” Bessie aveva abbassato lo sguardo. “Io gli ho risposto incattivita però, perché ne avrei approfittato in ogni caso! Che razza di proposta, è ovvio che alla prima occasione utile cercherò d’incontrare la mia migliore amica, no? Ecco guarda, dovrei avercelo in tasca, il suo biglietto.” Glie l’aveva porto perché lo leggesse. “Ha anche avuto il coraggio di farmi notare che gli avevo risposto in ritardo, lo stronzo!” aveva sbuffato.

“Sei in ritardo.” James teneva le mani sui fianchi, in una posa severa che generalmente non gli si addiceva, ma che dato il caso -e lo smoking che stava indossando- era più che comprensibile. Sirius aveva mormorato vaghe parole di scuse, guaendo come un cane.
“Sei in ritardo, Sirius” aveva ribadito lui. “Al mio matrimonio.” Aveva scosso la testa, tra il severo e l’arreso. “Che io sia maledetto, Padfoot, se t’inviterò mai al prossimo!”
“Ho sentito bene, uomini?” Lily era intervenuta fissando glacialmente il quasi-sposo. “Di quale prossimo stai parlando, tesoro?”
Bessie non era più riuscita a trattenersi; era scoppiata a ridere fragorosamente, tanto che il sacerdote aveva infilato dentro la testa per capire cosa stesse succedendo in sagrestia.


“Bes, ehi Bes: guarda!”
“Che cosa?”
“L’uomo che sta passando... quello con il pancione ed il giacchino rosso striminzito... non ti dà l’idea di un perfetto capoufficio? Secondo me ha passato tutta la vita a fare lo stronzo con i suoi sottoposti, talmente rigido che appena esce cerca di fare le cose più strampalate per non sentirsi solo un righello... e devo dire che un po’ gli riesce, se il tentativo era rendersi ridicolo!” aveva terminato, rimirando il giacchino.
“Il nostro gioco, Dora...” aveva mormorato Bessie.
“Allora te lo ricordi.”
“Certo che me lo ricordo! Abbiamo passato anni solo sedute sui maciapiedi, ad inventare la vita dei passanti!”
“Però era divertente, non trovi?”
“Riuscivamo ad inventare certe storie assurde...”
“Io ti battevo sempre!”
“Per forza, nell’assurdo sei di casa!”
Tonks le aveva mostrato la lingua, provocatoria. “Dunque... paura del confronto?”
“No, ovviamente no” aveva replicato Bessie con petulanza. “Dunque... direi che la moglie lo tradisce, perché con tutta la sua tracotanza non è altro che un insicuro, e poi c’è il fatto di rendersi ridicolo che non è utilissimo per mantenere qualcuno innamorato di te... e lui ormai l’ha capito, di sua moglie intendo, però ne soffre in silenzio, e se la tiene perché in fondo l’ama, o perché ha paura che se lei se ne andasse si ritroverebbe completamente solo. Forse in realtà si rende conto di non essere amato da nessuno.”
“Bes, maledizione, ma perché riesci sempre a farmi provare simpatia per tutti?”
“Ad ognuno le sue specialità, Dora” aveva commentato lei scompigliandosi i capelli distrattamente. Tonks si era soffermata a fissarla, ripensando a quel gesto ripetuto un’infinità di volte durante i compiti in classe; senza rendersene conto, proprio come in quel momento.
Poi aveva notato un altro soggetto.
“E quella donna con il cappellino? Cos’è quel ramo strano che le penzola dalla tesa? Dev’essere appena uscita da una qualche boutique all’ultima moda... ah, sono le peggiori! Non azzardarti a tentare la carta della povera donna piantata dal marito per una più giovane, sai!” l’aveva minacciata. Bessie aveva scosso il capo, sorridendo con consapevolezza.
“Io pensavo al complesso della sorella maggiore.”
“Il complesso della sorella maggiore?”
“Sì. Guardala bene: non è bella, nonostante tutto. Magari sua sorella lo è, magari è anche qualcuno che sa rendersi piacevole, e allora lei si è impegnata tutta la vita per essere la migliore della classe, la più elegante, quella con il marito più ricco, solo per sentirsi alla pari nella stima dei loro genitori; per poi rendersi conto che loro si sentivano molto più sereni ed allegri con la sorella, che non cercava di forzare ogni conquista nella vita.”
“No senti, tutto questo non è valido, non può essere valido!”
“Ma di cosa parli?”
“Li giustifichi. Tutti.”
Bessie aveva riso sinceramente. “Non li sto giustificando, Tonks. Semplicemente, credo esista una spiegazione dietro al comportamento di ognuno di noi. È molto diverso.”
“Uhm, e va bene” Tonks si era stretta nelle spalle “in fondo sei tu l’Emagus.”
“Che ne dici di quello?” si era riscossa poi indicando senza molta discrezione un uomo di mezza età, dalle gote cascanti come quelle di certi cani. “Sembra abbia infilato la faccia nello sbattiuova!”

“Maledetto sbattiuova!!!” aveva imprecato Sirius una volta, in difficoltà mentre preparava lo zabaione per Bessie che si sentiva un po’ debole; voleva accudirla con premura, essere carino, però nel frattempo si era distratto per seguire una partita di Quidditch alla televisione. La partita era effettivamente emozionante, ma ciò che aveva maggiormente divertito Bessie, sdraiata sul divano, era stato osservare l’incredibile sequenza di espressioni che avevano animato il volto del ragazzo: Sirius era passato dalla gioia all’incredulità alla concentrazione alla tensione pura alla rabbia ed alla gioia nuovamente, il tutto impugnando saldamente lo sbattiuova senza più ricordarsi di continuare ad usarlo.
Alla fine, e nessuno avrebbe saputo spiegare come, nell’agitazione del momento aveva provocato un piccolo incanto non voluto, incastrandolo e fondendolo insieme al colino che si trovava lì accanto. Quando se n’era reso conto era rimasto a fissarlo incredulo e smarrito, senza sapere bene come comportarsi. A Bessie veniva da ridere.
“Sembra una scultura moderna!” gli aveva gridato dall’altra parte della stanza, fra il divertito e l’intenerito.


“Ma senti Bes, c’è... qualcosa che vorrei mostrarti, prima di dimenticarmene... anche perché temo che se me ne scordassi la pagherei con gli interessi; quantomeno la mia pelle lo farebbe di sicuro, e la prossima volta mi rivedresti tutta a striature, come se mi fossi rosolata su di una griglia!”
“Di che blateri, Tonks?” aveva domandato Bessie perplessa.
“Ora vedrai!” aveva anticipato lei con espressione furba, aprendo con delicatezza il borsone che si era portata. In effetti – Bessie lo notava soltanto ora- era un borsone davvero spazioso, insolito per una semplice passeggiata: che diamine poteva averci infilato? Se l’era chiesto con una leggera preoccupazione, a dirla tutta. Era pur sempre Tonks.
“Però devi promettermi che avrai una reazione composta, eh? Ecco...” si era zittita poi, estraendo qualcosa di piccolo e bianco, ed estremamente batuffoloso.
Spiffero!!!” aveva esclamato Bessie gioiosamente, senza riuscire a trattenersi. Il micino le era saltato in braccio, leccandole le braccia ed il viso per l’entusiasmo mentre lei cercava di afferrarlo per guardarselo bene. Tonks aveva scosso il capo, constatando che la sua raccomandazione era stata perfettamente inutile: fortunatamente non c’era Molly a vederle, altrimenti se le sarebbero sentite!
“Ma guardala... gli fa più feste che a me!”
“Non essere sciocca, Dora!” aveva cercato di protestare Bessie staccandosi Spiffero dalla faccia. “Sei stata un tesoro a tenermelo per tutto questo tempo, spero non ti abbia creato problemi!”
“Oh, no. All’inizio piangeva un po’, la notte... gli manchi molto. Ora però quando soffre di nostalgia rimane in silenzio guardando la luna dalla finestra; a volte lascia anche che mi avvicini, allora soffriamo insieme. Qualche giorno fa quasi mi era venuta voglia di provare a bere dalla sua ciotola!” le aveva sorriso Tonks.
Come ho potuto pensare di essere sola?, si era chiesta Bessie. Anche nei momenti più cupi, anche nei dolori più intensi... lei è lontana, certo, però c’è.
È sempre Tonks.

“Tu... sei come una sorella per me, Dora.”

“Era bello avere una sorella”, aveva mormorato Lily cercando di mantenere un contegno, ed in effetti il suo dolore era dolce, come tutto in lei. Sia quando si arrabbiava, sia quando rideva, tutto in Lily era sempre soffuso, nulla che potesse forzarti. Sapeva essere molto dura, a volte, ma comunque l’aria che le stava intorno, il modo incredibile in cui le ricadevano i capelli, sarebbero stati sufficienti a mitigarne l’espressione.
Lily si era lisciata una ciocca rossa dietro gli orecchi, guardandosi le punte delle scarpe che penzolavano dal letto senza toccare terra; Bessie le stava accanto in silenzio, lasciando che si sfogasse. Perché Petunia non voleva più saperne di lei? Erano state legate, da piccole; si erano volute bene, di questo era certa. Ogni tanto era un po’ strana, lo era sempre stata... ma in fondo chi non lo è?- aveva pensato Lily. Poi era arrivata Hogwarts, e con lei la nuova freddezza della sorella. Il suo disprezzo, la sua indifferenza.
Tante volte Lily si era sentita ferita senza volerlo far notare, ed altrettante volte Bessie se n’era accorta lo stesso; perchè era un Emagus, certo. Ma se ne sarebbe accorta anche senza guardarla negli occhi: semplicemente perché erano Bessie e Lily, perché lei amava Lily più di quanto l’avesse amata sua sorella. Questo, pensava.
Ed ora Petunia si sposava, e non aveva invitato Lily al suo matrimonio.
Lily aveva alzato gli occhi, asciutti ma con un dolore acuto che affogava nella loro acquosa limpidezza. Aveva sorriso verso Bessie, un po’ titubante.
“Ora dovrai essere tu mia sorella”, le aveva annunciato. Bessie le aveva stretto forte la mano.
“Per sempre.”


Il sopraggiungere di qualcuno della sua classe aveva interrotto sia le effusioni sia il corso dei pensieri di Bessie, che aveva tuffato il gattino di nuovo nella sacca, ricevendo come risposta un sonoro miagolio di protesta da parte del cucciolo.
“Presto Dora, non devono vederlo!” aveva balbettato, allarmata.
“Tranquilla, tranquilla... dammi qui la sacca, ecco” aveva bisbigliato sistemandosela in grembo; improvvisamente, un istante prima che i ragazzi le raggiungessero, la sacca era diventata invisibile ai loro occhi.
Kim aveva risposto con un cenno frettoloso al saluto di Bessie, che subito dopo aveva sgranato gli occhi verso l’amica: “Come diavolo hai fatto, Tonks?!”
“Ehi piccina!” Tonks le aveva bussato contro la fronte facendole stringere le palpebre, mentre permetteva alla borsa di ricomparire. “So di essere bravissima” si era pavoneggiata “ma questo fa parte della normale competenza di Auror, te lo sei già scordata?”

“Che diamine fai, Sirius Black?” aveva esclamato Bessie trovandosi di fronte, comodamente sistemati su una sedia a dondolo, degli occhiali da sole ed una sigaretta che leggevano con interesse il giornale... per non parlare delle scarpe che si muovevano ai piedi della sedia! Sirius era ricomparso poco a poco, con dei piccoli “pop” che avevano annunciato il ritorno delle varie parti del corpo.
“Disillusione a pezzi”, aveva commentato pavoneggiandosi. “Surclasserò te e le tue fantomatiche abilità di Auror, vedrai!”
Bessie gli aveva lanciato contro lo straccio bagnato con cui stava asciugando le stoviglie.


“Kingsley dice che vorrebbe vederti.”
“Kings? Oh, mi farebbe tanto piacere!”
“Se ne sta lì con lo sguardo perso nel vuoto, a volte” aveva riso la ragazza “e poi salta fuori con proposte tipo farsi prestare il mantello dell’invisibilità per venirti a trovare di notte... e allora Molly lo minaccia con il mattarello ‘Kingsley Shacklebolt, guai a te, capito? Se metti nei pasticci quella ragazza dovrai risponderne a me!!!’”
“Ma... non basterebbe che venisse e basta? In fondo legalmente per la scuola è il mio tutore...”
“Vaglielo a spiegare, che è così semplice! Stare insieme a Moody senza filtri lo starà rendendo pazzo!”
Entrambe avevano riso.
“Lui... sta bene, comunque?”
“Sì, direi di sì. Nostalgia a parte, mi sembra in forma.”
“Mi fa piacere” aveva sorriso Bessie, tornando a guardare verso la strada, dove la gente si affrettava senza nemmeno guardare le vetrine, o chi sfilava loro accanto. “Mi manca. Anche quando lavoravamo insieme dovevo nascondermi, però... almeno lui sapeva chi ero. È tutto talmente difficile, Dora!” aveva sospirato. “Lo so che è dura per tutti e non ho il diritto di lamentarmi, tanto più che è stata una mia scelta... però a volte non riesco a capire nemmeno più chi sono!”
“Dai, Bes...” aveva mormorato l’amica, accarezzandole affettuosamente i capelli. “Tu cerca di stare tranquilla, e stai pur certa che se un giorno non dovessi farcela più, io arriverò di gran carica a prenderti senza farti aspettare nemmeno un minuto, e te ne accorgerai perché porterò con me un centinaio di trombe perché da Hogwarts si esce sempre in trionfo!”
“Dio Tonks, sei fantastica!” aveva riso lei, rincuorata. Lei si era grattata un orecchio.
“...Stai bene con i capelli corti, Bes. Davvero.”



93.
Avevano deciso di alzarsi da quel marciapiede (“Mi stanno venendo le chiappe quadrate”, si era lamentata Tonks) per una passeggiata, ma forse non si era trattato di un’idea granché brillante, perché mentre si avventuravano tra le vie rese ventose dal vuoto e dalla paura avevano finito per imbattersi in un vecchio manifesto di Sirius, evidentemente scordato lì dai tempi in cui era ricercato. Bessie si era arrestata, rabbrividendo. Per un istante aveva galleggiato nell’aria, immobile sul filo della sorpresa come se le fosse mancato il respiro; poi gli si era avventata contro grattando via la carta con le unghie finché Tonks non l’aveva afferrata per le spalle tirandola via. “Vieni, Bes” le aveva mormorato, seria. “Andiamocene da qui.”

“Io... ho sognato Sirius” aveva commentato Bessie, le mani affondate nelle tasche, alcuni minuti più tardi mentre continuavano a camminare in silenzio. “Non come al solito, voglio dire... è stato proprio un sogno.”
Tonks l’aveva guardata senza interromperla, aspettando di sentire.
“Lui... mi chiamava, eravamo in casa nostra. Non quella in cui abbiamo vissuto, nella visione era proprio la nostra casa, capisci? Era molto bella” aveva commentato, sognante. “Io mi dirigevo verso la stanza in cui pensavo di aver sentito la voce, ed era il bagno, e quando lo raggiungevo lui era lì che faceva una doccia, e teneva in braccio un bambino piccolo piccolo, appena nato... il nostro bambino” aveva aggiunto, la voce incrinatasi sulle ultime parole. Bessie si era passata vigorosamente il palmo della mano sul naso. “Mi avvicinavo a loro ridendo, eravamo una famiglia capisci, e potevo percepire chiaramente la nostra felicità. Poi provavo ad aprire la porta del box doccia, ma mi ritrovavo improvvisamente nella... camera da letto.” Lo sguardo di Bessie si era fatto lontano, fissando un punto impreciso. “Le tende e le lenzuola erano strappate come per una lotta furiosa, e c’erano macchie di sangue dappertutto, anche sui vetri... tanto che non entrava la luce. Non so come, ma le macchie riuscivano... non so, ad assorbire tutta la luce, tutta la felicità. Il bimbo strillava, lo sentivo, urlava tanto forte da ferirmi gli orecchi, eppure non c’era; non era lì, ma lo sentivo piangere come se fosse stato ad un centimetro da me, così forte e disperato da strapparmi il cuore. Ero... spaventata, agitata. Terrorizzata. Ad un certo punto ho visto...” aveva deglutito “ho visto qualcosa sul letto sbucare tra le lenzuola, mi sono avvicinata con il cuore in gola, sentivo il terrore crescermi dentro e rimbombare fino ad impedirmi di capire davvero cosa stessi facendo... e quando ho raggiunto il letto, sopra c’erano i miei peluches, quelli di quand’ero bambina; forse li avevo tirati fuori per il piccolo, non so... comunque erano decapitati, tutti quanti. Io li guardavo pensando a quanto sangue avevano perso, imbrattando tutta la stanza. Guardavo la mia infanzia violentata a quel modo, e nel sogno pensavo ‘E’ stato Sirius.’”
Bessie aveva scrollato il capo con un singulto strano, senza più nulla da dire; aveva stretto i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Tonks le si era avvicinata, posandole una mano sulla schiena incurvata nel tentativo di non essere schiacciata. “Anch’io ho sognato Sirius”, le aveva bisbigliato in un orecchio. Bessie si era voltata a guardarla, incuriosita.
“Beh” aveva alzato le spalle “mangiava un budino blu.”
Blu?”, aveva esclamato Bessie, e nonostante la tensione aveva fatto un mezzo sorriso per quella stramberia. Tonks si era stretta di nuovo nelle spalle.
“Blu, sì; anche nel sogno era strano... eravamo in una specie di casa cadente, non come quella di Grimmauld Place: era bruttina, vecchia in un modo triste, non so se mi spiego. Con l’intonaco scrostato e le pareti grigie, ed i fiori di plastica impolverati in qualche vaso. Lui mi rimproverava perché per colpa mia non poteva più starsene in Grimmauld Place ma era costretto a rimanere lì, e probabilmente a me spiaceva, però in quel momento riuscivo solo a pensare a quel budino, e mi domandavo perché mai stesse mangiando un budino blu... insomma, era strano!” Tonks aveva alzato le spalle per la terza volta, e Bessie era scoppiata a ridere per la sua involontaria comicità. Lei allora ne aveva approfittato per cambiare discorso.
“Ehi Bes, te lo ricordi Nathan?”
“Nathan? Nathan Palmer?”
“Già.”
“Era il tuo amico d’infanzia, no?”
“Lui.”
“Sì che me lo ricordo.”
“Beh, si sposa.”
“Che cooosa?”
“Con Madeline Prior.”
“Oh-Mio-Dio!!!”, aveva boccheggiato Bessie.
“Lo so, è strano vero?” aveva sorriso mestamente Tonks. “E’ tutto così privo di senso, se ci pensi... lui è stato come un fratello per me, per sette lunghi, lunghissimi anni; mangiavo insieme a lui, giocavo insieme a lui, respiravo insieme a lui. Poi se n’è saltato fuori con quella storia che era sempre stato innamorato di me... ma io stavo insieme ad Andrew all’epoca, e lo sai, ad una certa età ogni storiella ti sembra quella della tua vita, così gli ho detto di no, e forse ero anche spaventata, e lui è sparito... però insomma, almeno sapevo che c’era!”
“E invece adesso si sposa.”
“Sono terribile, dovrei essere felice per lui!”
“Non sei terribile Dora... è sempre difficile lasciar andare davvero le cose belle” aveva bisbigliato Bessie accarezzandole i capelli. Tonks aveva scosso il capo con ostinazione.
“No, sono solo un’egoista... vedi... io gli ho sempre voluto bene, e gliene vorrò sempre e insomma anche se non ci parliamo più mi fa piacere che sia felice, però... a volte la vita mi sembra troppo complicata, e tutti si movono intorno a me, e insomma tra tutti quelli che conosco, lui era... l’unico ad essere rimasto indietro! Più di me, voglio dire” aveva completato affondando la testa fra le mani. Bessie aveva trattenuto per qualche istante il respiro, seguitando però ad accarezzarla. Poi le aveva replicato, con la maggior dolcezza possibile:
“Io non credo di essere andata molto avanti, Dora.”
“Non so in che direzione stai andando, Bessie, ma di certo sei più lontana di prima”, aveva risposto lei.

A quelle parole Bessie non aveva saputo rispondere. Se n’era rimasta lì, incerta, terribilmente impacciata e forse vagamente ferita da quella verità. Era davvero la verità? Tonks la viveva in quel modo? Allora dove si trovava il loro rapporto, erano sorelle, non erano niente? Erano solo ombre di un passato che cercavano di trattenere con le unghie e con i denti, fingendo che nulla fosse cambiato?
“Sei come un messaggio in bottiglia, Bes” aveva ripreso a parlare Tonks. “Galleggi da sola nel mare, ed anche se tendo le mani la corrente ti porta lontano da me.”
Bessie, per l’ennesima volta, si era sentita terribilmente, irrimediabilmente sola. Ed era ancora più crudele, dopo quanto aveva pensato quel pomeriggio.

“Se dodici anni fa io fossi stata... sveglia” aveva mormorato d’improvviso, gli occhi blu persi nel vuoto desolato intorno a loro “Mi domando... forse avrei voluto catturare Sirius con le mie mani, condurlo ad Azkaban...”
Qualcosa si è rotto.
“Sono una persona ingiusta, Dora. Con tutti quelli che mi stanno accanto.”



94.
Quando Kim l’aveva incrociata per la seconda volta, trovandola sola non le aveva fatto domande; semplicemente l’aveva raggiunta prendendola per mano, ancora un po’ seria.
Bessie aveva accompagnato lei ed altre due ragazze al negozio di vestiti che si trovava in fondo alla via: camminavano compatte, unite come per la sola difesa contro la vita tanto più amara di un anno prima. Bessie sembrava essere l’unica a non preoccuparsene, come se sfidare la morte fosse stato l’unico sollievo che avrebbe potuto trovare.
Conosco questo posto.
Quando erano entrate, aspettando che le compagne scegliessero i capi da provare, si era distratta nell’osservare la grande quantità di vestiti di cui quella stanza piccola sembrava strabordare senza però mai riempirsi davvero.
Ci sono già stata.
Erano tutti ammucchiati senza un ordine preciso, come se fossero stati presi in mano e poi lanciati in cima al mucchio più vicino... però erano anche, aveva osservato Bessie, collegati per le maniche. Come un grande girotondo. O una grande pista per le biglie.

“Pista per le biglie? Pista – per – le – biglie??!!”
“Non occorre ripeterlo così tante volte, Evans, lo sappiamo che cos’è” aveva cercato di mostrarsi noncurante Sirius, guadagnandosi un’occhiataccia sia da parte di Lily che da James.
“Oh Dio, questo è... è... incredibile!” aveva boccheggiato lei, indicando ripetutamente il composto colorato che le si aggrovigliava di fianco. Aveva fermato i pallidi tentativi di James di trovare una giustificazione con un gesto netto della mano. “No, Potter, ti prego. Non dire nulla. Da te in effetti potevo aspettarmi anche questo, per non parlare di Black...” aveva proseguito, mentre Sirius la fissava un po’ risentito per il tono con cui si era riferita a lui. “Minus, beh, lo state traviando...” aveva aggiunto tristemente, posando poi i suoi occhi in fiamme su una quarta persona. “Ma tu! Tu, Lupin... davvero non me lo sarei mai aspettata... sì, lo so che molte volte non resisti dall’aiutarli nelle loro malefatte peggiori, ma di tutte le cose più sciocche che avete combinato...” si era fermata ancora, annaspando con le braccia come per riuscire a descrivere quello che le passava per la testa. James si era avvicinato per aiutarla, ritrovandosi con una fiammata in più ben piantata nel petto. “Proprio una pista per le biglie che attraversa ogni stanza di Hogwarts?!!!”


“Hai bisogno di qualcosa, signorina?”
“Come? Oh... no, grazie” aveva replicato educatamente Bessie, scotendosi. “Io... accompagno le mie amiche”, aveva aggiunto sbirciando l’arrivo di Kim con un corto maglioncino nero. La donna tuttavia era rimasta accanto a lei, fissandola assorta; infine il suo sguardo si era illuminato, mentre batteva il pugno contro il palmo della mano.
“Ehi, ma io ti conosco!”
“Uhm, non credo sa... sono nuova di qui...”
“Non è possibile, giurerei che il tuo viso mi è assolutamente familiare, come se ti avessi vista tante di quelle volte che...”
Kim si era avvicinata, incuriosita da quelle affermazioni che Bessie si era precipitata a correggere.
“Oh, no, no. Mi dispiace ma vede, è davvero impossibile. Probabilmente... probabilmente si riferisce a mia zia.”
“Sua zia?”
“Sì. Ci somigliamo come due gocce d’acqua. Lei... veniva spesso qui, una quindicina d’anni fa...” aveva abbassato la voce, nonostante nel negozio non fosse presente nessun’altro oltre a loro. “Emagus.”
“Oh, ma certo!” aveva esultato una seconda volta la donna. “La signorina era talmente carina, talmente educata... la ricordo perfettamente, ora! Veniva sempre da me a rifornirsi per le esibizioni... mi dava un gran daffare, poi non amava tutte quelle formalità cui era sottoposta, ma era talmente graziosa con me che era un piacere aiutarla!”
Bessie, involontariamente, era arrossita, e si era morsicata la lingua appena in tempo per non ringraziarla.
“Ha un buon ricordo di mia zia.”
“Certo! Me la saluti veramente tanto, quando la vede!”
“Non mancherò signora, grazie mille!”
“E’ stato un piacere, signorina!” le aveva gridato la donna, scomparendo dietro un’alta pila di abiti multicolore.
Questo posto è un arcobaleno. Mi ricorda certi momenti felici come una spada che taglia.

“E così tua zia è un Emagus... non lo sapevo” aveva commentato Kim mentre si dirigevano verso l’uscita posteriore, dove le aveva mandate premurosamente la donna perché le sembrava che ci fosse un po’ di movimento in strada.
“Hm”, aveva commentato Bessie, laconica.
“Sempre la stessa zia?”
“Già.”
“Ne aveva, di caratteristiche, eh?”
Appena avevano raggiunto il ballatoio esterno, però, si erano trovate di fronte uno strano vecchietto.
“Oh, mi scusi...” gli si era rivolta Bessie, prontamente. “Ce ne andiamo subito.”
Tuttavia erano dovute rimanere ancora qualche istante per attendere le altre, e Bessie l’aveva osservato. Aveva una barba molto bianca e lunghissima, ed un gilet pieno di tasche da cui sembrava poter estrarre qualunque cosa; in effetti, dopo una pipa, del tabacco, un bicchiere, un astuccio in pelle ed un’agenda, Bessie si era convinta che avrebbe potuto tirare fuori anche uno sgabello od un armadio e nessuno se ne sarebbe stupito. Il vecchio aveva acceso la pipa, diffondendo intorno un odore dolce e speziato allo stesso tempo, che le aveva abbracciate ed accolte. Soltanto allora Bessie si era accorta che anche lui la fissava con decisione.
“Io ti conosco”, l’aveva informata con tono asciutto mentre l’indicava con la pipa. Kim si era sporta da dietro le spalle di Bessie per capire, perché il ballatoio era veramente stretto. Lei aveva tossicchiato imbarazzata, trovando più difficile mentire di fronte a quello strano personaggio.
“Non credo, signore” aveva cominciato. “Forse mi confonde anche lei con...”
Il vecchio aveva indicato la sua pietra con la pipa, zittendola con quel gesto; aveva fissato la fedina, si era poi avvolto la lunga barba attorno al collo come una sciarpa, guardandola dritto negli occhi. “Io ti conosco”, aveva ripetuto deciso.

Quando si erano allontanate di lì era ormai ora di rientrare, così si erano accodate agli altri gruppetti che, un poco infreddoliti, si avviavano verso la scuola.
“Ehi, cos’è questo trambusto?” aveva domandato ad un tratto Bessie, allarmata.
“Che cosa? Io non sento niente.”
“E’ per il vento, ma viene da lì avanti, vedì? C’è una ragazza lì, sembra Alicia... e quella è la sua amica, no? Si stanno comportando in modo strano.”
Kim si era schermata gli occhi con una mano per vedere. “Oh, hai ragione, chissà cosa stanno facendo: forse litigano per via di un ragazzo, ho visto Alicia fare gli occhi dolci a Ted, la settimana scorsa.”
Bessie, però, rimaneva seria. “No, non è questo. C’è qualcosa che non va, cos’è che si contendono? Forse sarebbe meglio andare a controll... Oh Santo cielo!!!” aveva esclamato, orripilata.
“Che diamine...?” le aveva fatto ecco Kim, insieme agli strilli delle due ragazze che le accompagnavano. “Sembra... sta... volando!!!”





finalmente EFP è tornato, ed io con lui!!!! un bacione a chi ricomincerà a leggermi

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Capitolo 36
*** Hogwarts, 36. ***


sto malino oggi... giornata sotto le coperte! sigh. grazie a voi mie tesore che siete tornate di carica, e grazie anche ai lettori silenziosi!

Hogwarts, 36.


95.
Tonks quand’era ubriaca finiva sempre per mettersi a dialogare con i calzini
Bessie si era risvegliata con questo preciso ricordo in testa, quel mattino. Subito dopo si era colpita leggermente alla fronte, dandosi mentalmente della sciocca. Come si può svegliarsi pensando ad una cosa del genere?
Sempre meglio che avere costantemente davanti agli occhi il sogno, si era detta poi. Un giorno o l’altro... sarebbe stata dura per lei. Forse per tutti.
“Allora, hai scelto?” le aveva bofonchiato più tardi Kim sputacchiando dentifricio ovunque e masticando abbondantemente le setole dello spazzolino.
“Scelto?”
“Ma sì, la festa di Lumacorno... ricordi?”
“Oh, già” aveva ammesso Bessie con desolazione. La festa per Natale organizzata da Lumacorno: le metteva ansia il solo pensiero. Avrebbe dovuto portare qualcuno, e si sentiva doppiamente imbarazzata per questo.
“Io credo che dovresti chiamare David. Ma se non hai intenzione di farlo, be’... devi spiegarglielo subito.”
“Lo so, Kim, ma è tutto così...”
L’amica, però, non aveva voluto sentire ragioni. In effetti con lei era un po’ scostante da quel giorno a Hogsmeade, quando Bessie l’aveva piantata malamente in asso. “Lui vorrebbe venire con te. Solo che dopo tutti i tuoi rifiuti non te lo chiederà mai... in ogni caso sono sicura che anche ad altri ragazzi farebbe piacere accompagnarti, quindi non hai che da deciderti.”
Decidersi... sembrava facile. L’aveva fissata per alcuni istanti senza guardarla davvero, persa in una riflessione personale; Kim aveva sbuffato, ma subito dopo Bessie aveva spalancato gli occhi, illuminata da una possibilità concreta che risolveva le altre e che forse le avrebbe anche permesso di farsi perdonare. Aveva esclamato d’un fiato: “Senti Kim, perché non ci vieni tu?”
“Io?”
“Sì!”
“Insieme a te?”
“E dove sta il problema, scusa? Portare qualcuno non ti obbliga mica a fidanzartici, per andare ad una festa del cavolo!”
“Beh...” Kim aveva finto di soppesare la cosa, cercando di trattenere il sorriso più a lungo possibile.

Quando Bessie aveva cercato Lupin per riferirgli entusiasticamente gli ultimi sviluppi riguardo la serata di Lumacorno non era riuscita a trovarlo nel suo ufficio, ma entrando per lasciargli un biglietto quello che vi aveva trovato era una finestra in più, completamente spalancata, tanto che aveva dovuto schermarsi gli occhi con una mano contro la luce fredda di dicembre.



96.
Ieri avrei voluto parlare a quella signora di mia zia, anche se in fondo lei non la ricordava, perché quella cui si riferiva ero io. Non so perché non l’ho fatto. Credo davvero che sia viva?
Forse, se ne parlassi con Malocchio lui saprebbe dirmi qualcosa di più. Forse non glielo chiedo solo perché preferisco mantenermi questa speranza... almeno questa.
Mia madre, si sarà pentita qualche volta?
Avrà continuato a considerarsi impeccabile ed a dormire bene?
Mi ha chiesto come stava, la signora del negozio, ed io le ho risposto che stava bene. Non è vero. Non so come stia, non so nemmeno se sia viva da qualche parte, da quando è scomparsa tanti anni fa, negli anni di Voldemort.
Che tu sia maledetto, Voldemort: quanto altro vorrai ancora portarmi via?
Meg... eri tu la vera Emagus, tra le due!




97.
La festa sembrava essere un successo, tutto sommato. I ragazzi presenti si divertivano, soddisfatti dei momentanei rapimenti del professor Lumacorno. Soltanto Harry, Hermione e Bessie cercavano di svicolare ogni volta che ne avevano l’occasione; in effetti, Hermione ad un certo punto della serata si era resa conto di dover sfuggire anche al suo accompagnatore, quel McLaggen che aveva incautamente invitato per ripicca nei confronti di Ron.
“Povera Hermione!”, aveva riso Bessie indicandola a Kim un attimo prima di scorgere David tra la folla: sorrideva rilassato, sembrava divertirsi. In effetti ultimamente non l’aveva mai visto così quando stava insieme a lei... forse era merito della biondina a cui porgeva un bicchiere? Era piccola, esile, molto carina; nel complesso, le ricordava Narcissa Black. Poi, non avrebbe saputo dire come, i loro sguardi si erano incrociati: quello di David si era istantaneamente rabbuiato, e pur sorridendole non aveva potuto fare a meno di esprimere in modo diretto la sofferenza che doveva albergargli dentro ogni volta che la guardava. Aveva messo un braccio intorno alle spalle della ragazza, conducendola via da lì dopo un breve cenno di saluto. Bessie era rimasta lì a fissargli le spalle, sentendo una lieve nota di rimpianto arrampicarsi su per il suo stomaco... cosa significava? Le mancava? Le mancava la sua amicizia, oppure...?
Non aveva potuto però rifletterci a lungo, perché un momento più tardi una strana, momentanea corrente d’aria le aveva scompigliato i capelli come un passaggio veloce. Aveva fissato un punto preciso, seguendone poi la scia con decisione.
Mentre si avvicinava al punto che sentiva di dover raggiungere, Bessie aveva udito delle voci: sempre più distintamente, fino a farle comprendere che si trattava di una discussione animata, quasi un alterco, e di chi si potesse trattare. Nello stesso istante però, aveva intuito con esattezza anche l’essenza di quella corrente di vento di poco prima. Aveva acciuffato Harry con due mani spingendole verso il vuoto davanti a sé, l’aveva spostato poco più in là impedendogli di parlare finché non l’avesse rimesso a terra - appena prima che Piton e Draco Malfoty potessero accorgersi di lui.
“Bessie, ma che fai?!” aveva protestato lui. “Maledizione, stavo ascoltando... ehi, aspetta un istante: come mi hai visto?” si era controllato con preoccupazione il mantello, forse in cerca di qualche buco. Bessie aveva scrollato il capo con indulgenza.
“Non dimenticare che io mi accorgo di te.”
“Hai ragione” aveva osservato lui, incapace di soffermarsi più a lungo su quel discorso; aveva infatti riagguantato il filo dei suoi pensieri con concitazione, per informarla: “Del resto, ora che ci sei ti racconto cos’ho sentito: stavano parlando di...”
Lei però, l’aveva fermato con un gesto risoluto. “Non m’interessa, Harry.”
“Ma è importante!” aveva esclamato lui pestando un piede a terra nella foga.
“Non metto in dubbio ciò che dici” aveva replicato lei, tranquilla. “Cerca di capirmi... tu sai come la penso.”
Harry a quelle parole era scattato, furibondo. “Bessie, sei solo cieca! La pensi in un modo su Piton, e lo rispetti quando lui non merita minimamente...”
“Harry, ma tu che ne sai?” l’espressione di Bessie era seria, molto seria. Una specie di collera fredda che non ammetteva scuse, come il tono secco. “Sei solo un ragazzo... hai affrontato cose incredibili e sei cresciuto più di quanto sarebbe stato giusto, probabilmente, ma non puoi capire. Per nulla! Io ti voglio bene, Harry” aveva proseguito con un gesto affrettato “e non solo per via di James e Lily... ma non ho intenzione di permetterti una seconda volta di parlare a quel modo di Severus Piton di fronte a me.”
“Ma...”
“Non una seconda volta. Non conosci nemmeno la metà di quello che so io su di lui, nemmeno un decimo!” Gli occhi, furenti, mandavano fiamme. Harry avrebbe voluto risponderle che ciò che sapeva su di lui gli bastava eccome, ma di fronte a quello sguardo non aveva osato. Bessie aveva parlato ancora, livida, ed il fatto che non alzasse la voce era decisamente peggio. “Oggi, o un altro giorno, non ti permettere.”
Harry si sentiva arrabbiato. Con Piton, con Bessie che credeva a Piton anziché a lui, con se stesso perché ogni mossa lo portava un po’ più lontano da lei, ed invece aveva bisogno di lei, di sentirla vicina. Non aveva risposto, si squadravano come per studiarsi prima di una lotta, la tensione era palpabile.
“Che sta succedendo qui?” Lupin era sopraggiunto alle loro spalle, la voce appena incrinata da una sfumatura d’ansia; alle sue spalle c’erano però anche Lumacorno e Piton, per cui nessuno aveva risposto. Piton aveva fissato Bessie con sguardo penetrante, lei aveva finto di nulla, scorgendo Kim ed Hermione poco lontane si era scusata ed era ritornata verso il cuore della festa. Harry, rimasto solo fra di loro, aveva evitato accuratamente lo sguardo rancoroso di Piton e per una volta si era lasciato arpionare da Lumacorno che lo voleva condurre da Luna e da alcuni ospiti, pur di sfuggire alle spiegazioni. Era riuscito a vedere solo per un momento Piton che lo fissava ancora, Lupin che guardava verso Bessie che a sua volta si era voltata a cercare l’uomo, gli occhi che esprimevano un sentimento tra le scuse ed il rimpianto, prima di essere anche lei inghiottita dalla folla.

Verso la fine della festa Bessie, che non era più stata dello stesso umore, era accovacciata su di una sedia, in una zona nella quale si sentiva al sicuro sia da Lumacorno che dalle sue strane amicizie. Aveva giocherellato con dei tappi di burrobirra, lasciando che Kim scomparisse per cercare Thomas da qualche parte e si divertisse almeno lei.
Non posso più restare ancorata a tutto questo. Devo andarmene da qui.
Una volta ricordava di aver rinfacciato a David di essere praticamente scomparso, lei lo cercava ma non riusciva mai a trovarlo, impegnato com’era con i suoi amici o qualcosa di scolastico. Era sempre pronta a rimproverare le presunte mancanze altrui, se ne rendeva conto; con l’idea di amicizia con cui era cresciuta, per via di Lily e di Tonks e di tutti gli altri, appena qualcuno si comportava in modo minimamente inferiore agli standard che il suo idealismo richiedeva, lei si sentiva tradita. Senza pensare che in fondo non tutti possono avere voglia di mettersi in gioco quanto lei pretendeva.
Senza pensare che da quando era tornata lì, proprio lei era quella che fuggiva più di tutti.
Aveva strigliato David ben bene, povero ragazzo. E poi aveva scoperto che lui inventava scuse perché le stava preparando una sorpresa.
Sono solo pochi mesi che ci conosciamo.
Era un tesoro, David. Era gentile con lei. Leale. Onesto.
Devo stare attenta a non cercarlo come una medicina per le mie ansie.
Quando stava con lui si sentiva rilassata. Aveva meno bisogno di pensare costantemente al suo passato.
Non riuscirai a lasciarti alle spalle i tuoi problemi in questo modo, Lovelace. Non semplicemente evitando di pensarci.
Forse avrebbe dovuto smettere semplicemente di soppesare ogni cosa, ed iniziare a godersi le occasioni una per una, attimo per attimo, perché non sapeva cosa le avrebbe portato il giorno dopo.
Si era alzata di colpo dalla sedia in cui si trovava.
“Ed ora che combini?” le aveva domandato Kim, che la stava raggiungendo con due burrobirre.
“Vado da David” aveva borbottato lei, lasciandosela alle spalle con decisione, mentre l’amica rimaneva lì con le bottiglie in mano ed un sorrisetto complice che le aleggiava sulla faccia.

“Posso... parlarti?”
Bessie era nervosa, si vedeva. Non l’aveva salutato, quasi non l’aveva nemmeno guardato. David per la sorpresa aveva ritirato il braccio che teneva sulle spalle della ragazza come se si fosse scottato; lei l’aveva fissato con aria di rimprovero, ma lui non sembrava essersene accorto.
“Oh, certamente!”
“E’ successo qualcosa?” le aveva chiesto poi, appena erano rimasti soli in un angolo poco frequentato.
“No. Cioè sì, forse... insomma” si era corretta tormentandosi l’orlo del vestito “Io credo che... qualcosa dovrebbe succedere. Nel senso... non mi sono comportata molto bene con te, David.” Aveva abbassato lo sguardo. “E non voglio che il nostro rapporto... smetta di esistere.”
Era tornata a guardarlo: lui pareva sospeso tra lo stupore e la gioia, senza riuscire a capire bene dove lei volesse arrivare. Bessie si era spaventata, ma allo stesso tempo intestardita contro le sue stesse posizioni sostenute fino a quel momento. Voleva riprendere in mano la sua vita, in un modo qualsiasi.
“Perciò, pensi che... quel gelato, o anche lo scarafaggio... siano ancora validi?”
David le aveva sorriso, ed era un sorriso caldo, incoraggiante. Non è Sirius, una voce le aveva ruggito nella testa.
Non m’importa, si era risposta serrando gli occhi.
“Stai benissimo, stasera” aveva mormorato lui, guardandola con ammirazione. Non staccava gli occhi dal suo viso, nemmeno mentre le rivelava che quel vestito le stava d’incanto. Per la prima volta si era resa conto che ogni volta, parlandole, restandole vicino, anche solo scherzando, David non aveva mai distolto lo sguardo dal suo viso. Mai nemmeno una volta.
Bessie, senza preavviso come molte volte nella sua vita, si era alzata in punta di piedi di fronte a lui; aveva avvicinato le labbra alle sue, sfiorandogliele teneramente prima di scappare via.






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Capitolo 37
*** Extra - Alcune note, 37. ***


oh, dio... ho la febbre. sposterò il primo maggio dei miei amici, che avevo organizzato io =_= maldida febbre! manny capisco benissimo il tuo sfogo su sirius, anch'io continuo sempre a chiedermelo.. speriamo almeno che sia vero che nel 7 libro la sua morte acquista un senso ben preciso, anche se cmq non la perdonerò >_> mixky, ti ho detto come la penso sul tuo commento per david... è stata una sorpresa! :p bene, ora un extra di completo relax, però mi ha messo una nostalgia per quel gruppo di balordi... l'ispirazione mi è venuta con il sito 7in condotta.

Extra, 37.



Dal registro di classe: note dalle lezioni.


Sirius Black crea un falso terremoto riuscendo a gestire trenta Locomotor contemporaneamente per agitare molti dei banchi presenti in classe. James Potter nel frattempo con altri dieci piccoli Locomotor manovra dei secchi d’acqua sistemati preventivamente sul cornicione, li inclina per dare la sensazione di pioggia. Peter Minus si butta strillando sotto il banco – credo di non voler sapere se lo faccia seriamente.

Sirius Black incita il compagno Remus Lupin appena prima di un compito massaggiandogli e schiaffeggiandogli le spalle e cercando di arrotolargli i pantaloni con la scusa dello stretching prepartita (Quidditch) che si rivela sempre molto utile. Canta cori da stadio, chiedendo la partecipazione di tutti.

Elizabeth Lovelace alle ore 10.30 chiede di poter uscire, causa mal di stomaco con forti contrazioni; ho mandato due compagne a cercarla in due momenti diversi, senza che nessuno sia riuscita a trovarla. Alle 12.00 non è ancora tornata: temo che stia partorendo.

Peter Minus consuma regolarmente il pranzo in aula, arrossendo quando la cosa gli viene fatta notare e giustificandosi perché se non mangia sua madre si arrabbia.

Sirius Black augura la calvizie allo studente Severus Piton.

James Potter cerca di animare una pianta a mo’ di serpente indiano per strangolare Severus Piton, poi ci prova anche con la cordicella delle tende; Remus Lupin per fermarlo inciampa nella falsa biscia, finendo nell’armadietto degli ingredienti e creando così inconsciamente una geniale pozione per rendere fosforescente ogni bulbo pilifero del suo corpo. Ninfadora Tonks applaude entusiasta.

Invasione di vasetti da notte per tutte le stanze, sospetto recuperati nella Stanza delle Necessità. Peter Minus si autodenuncia.

Sirius Black, richiamato perché non si trova al suo posto vagando per l’aula anziché sedersi, asserisce di aver scoperto un nuovo pianeta in cui non bisogna rimanere seduti durante le lezioni; dal momento che ha invitato un amico a seguirlo (casualmente invisibile), vuole che si senta a suo agio.

Ninfadora Tonks cade troppo spesso dalla sedia. Poi si scusa con il pavimento.

Lucius Malfoy esprime volgari apprezzamenti anatomici nei confronti di Lily Evans.
Narcissa Black si lancia contro Lily Evans.
Bellatrix Black approfitta della confusione per attaccare Elizabeth Lovelace.
Ninfadora Tonks aiuta l’amica.

Sirius Black trasforma gli abiti di Severus Piton in biancheria da notte femminile sospettosamente simile a quella che porta la sottoscritta.

James Potter anima una carota cercando di farle dire una dichiarazione d’amore (sospetto fortemente per Lily Evans). Questa s’incanta, esprimendosi a ripetizione, e rende necessaria la sua immediata soppressione per amor di timpani. Lacrime da parte del ragazzo per una giovane vita brutalmente strappata.

James Potter trasforma la bacchetta di Severus Piton in sua madre zannuta.
Istigato, Sirius Black trasforma la bacchetta di Remus Lupin in Severus Piton.

James Potter, Sirius Black e Peter Minus provano a smaterializzarsi in corridoio, spatacchiandosi contro quadri ed armature nel tentativo e gridando al vento: “Ci deve essere un buco nella protezione, Jack!”

Elizabeth Lovelace racconta le sue pene amorose ad una matita.

Severus Piton fa fare delle capriole a Peter Minus.

Sirius Black trasforma Severus Piton in sua segretaria personale. Elizabeth Lovelace dà uno schiaffo a Sirius Black, facendolo precipitare contro Severus Piton.

James Potter entra a lezione con notevole ritardo, sostenendo che durante l’ultima partita di Quidditch degli uccelli l’hanno afferrato per le spalle e portato lontano, abbandonandolo in balia del vento a sfavore, in un luogo tra le montagne – rivelatosi per amor di cronaca infestato dai mostri. Aggiunge angelicamente: “Non mi ha più visto in giro da allora, no?”

Durante l’ora di pozioni, Sirius Black e James Potter creano la pizza.

Durante la lezione Ninfadora Tonks fa le prove per nuove tinte di capelli. Sospetto poi abbia provato a rendersi simile a me, ma con il becco.

Bellatrix Black urla in modo stridulo e ripetutamente contro il cugino.

Peter Minus continua a mangiare in classe! E le disfunzioni renali?

Sirius Black e James Potter creano un bingo alla lavagna che scompare appena la guardo e ricompare quando le dò le spalle. Richiedesi consulenza pediatrica.

Elizabeth Lovelace non è presente alle lezioni per tutto il giorno, se ne sta da sola sulle rive del laghetto a contare i fiori perché è Primavera.

James Potter raccoglie molti libri di Storia della Magia dai compagni e li impila sulla sua sedia, sedendosi sopra e cercando di seguire la lezione in questo modo. Remus Lupin prova a riavere il suo e lo fa crollare a terra.

Remus Lupin attacca quantità industriali di striscioni di carta igienica con scritte di scuse a pennarello (esteticamente terribili, fra l’altro) nella sala comune di Grifondoro.

Elizabeth Lovelace pensa alle giostre.

James Potter, durante il suo turno di pulizie per punizione, fa trovare ai suoi compagni dei fuochi fatui al posto dei letti.

Caccabombe: James Potter, Sirius Black, Peter Minus, Remus Lupin. Lista completa esplosioni pagine 1846-1871.

Sirius Black e James Potter mutano la loro divisa maschile in quella femminile, creando una gara di accavallamento gambe.

James Potter afferma d’inseguire un serpente rosa.

Elizabeth Lovelace riempie l’aula di bolle di sapone. Recidiva.

James Potter e Sirius Black creano spontaneamente coreografie per le sorelle Stravagarie.

James Potter a Divinazione predice gravi sventure se continuerà a studiare la materia, pertanto finge di svenire ed esce poi a precipizio dall’aula.

Sirius Black avvicina una pianta carnivora alla mano di Severus Piton, solleticandole il calice per innervosirla.

Lily Evans fa crescere la barba ad Elizabeth Lovelace.

Sirius Black prende a testate Remus Lupin. Non sono stata in grado di trovare un qualunque movente al gesto.

James Potter fa crollare il banco di Lucius Malfoy mentre lui vi è seduto. Crea una sega circolare mentre sotto il suo banco sta mischiando un mazzo di carte da gioco babbane.

Ninfadora Tonks sternutisce così forte da farmi volare il gesso in faccia. Non è umanamente possibile!

Gli alunni Sirius Black e James Potter, forse Confusi, credono di trovarsi evidentemente ad Hogsmeade perché smerciano sottobanco materiale di Zonko.

Si scopre che gli alunni erano stati effettivamente Confusi da Severus Piton.

Peter Minus riconsegna il permesso firmato per Hogsmeade due minuti dopo la distribuzione. Sospetto si tratti di firma non autentica.

Elizabeth Lovelace cerca di consolare Frank Paciock in evidente stato depressivo praticandogli il solletico su entrambi i fianchi: lo studente scatta e fa un salto non voluto, piombando a faccia in giù sul suo banco essendovi rimasto incastrato nello slancio. Spese di riacquisto del mobile addebitabili alla suddetta.

Sirius Black si assenta dall’aula lasciando un coniglio seduto al suo banco; torna trenta minuti dopo con i vestiti cambiati ed essendosi sbarbato di fresco, ed asserendo di essere stato presente, Trasfigurato per errore dal suo compagno di banco per tutto quel tempo.

James Potter e Sirius Black stanno bramando con evidenza la loro nota. Se mi pregassero a mani giunte non potrebbero dimostrarmelo più apertamente. La vogliono, la desiderano. L’otterranno.

Entrando in classe ho trovato la cattedra che si credeva uno zerbino e seguitava ad urlarmi “Welcome!” battendo le gambe per un applauso scrosciante.
Variazione sul tema: quest’oggi la cattedra si esibiva in canzoni natalizie.
Terzo episodio: dopo avermi fatto lo sgambetto, ha cercato di coinvolgermi in un valzer.

Ad Elizabeth Lovelace cadono troppi oggetti dal banco; senza contare che quando si abbassa per raccoglierli Ninfadora Tonks le tiene la testa schiacciata giù con un gomito, urlando: “Avrò il tuo scalpo, schifoso viso pallido!”

James Potter cerca di portare principescamente in braccio Lily Evans dopo che si è slogata una caviglia, ma scivolando la fa cadere insieme a lui sul banco che si trovano davanti, sfasciandolo completamente. Inoltre cerca di portarsene un pezzo in dormitorio, dopo averci inciso la data e: “Oggi ho toccato Lily Evans”

Ninfadora Tonks crea un banco scommesse sulle creature di Cura delle Creature Magiche.

Sirius Black chiede al foglio del compito di rivelargli le risposte.

Peter Minus simula allucinazioni e sonnambulismo, e si va a ficcare nell’armadio per timore di un’eventuale interrogazione.

Remus Lupin copre i trucchi e le malefatte di James Potter e Sirius Black anche quando questi gli rubano il panino, sostituendo la marmellata di mirtilli con inchiostro simpatico.

James Potter crea una giungla sotto il banco di Severus Piton con lo scopo di farlo mordere dagli animali più svariati.

Lily Evans si distrae per alcuni bigliettini ricevuti da James Potter, e non prestando attenzione all’incanto di cui lei stessa si sta occupando, finisce per mettersi a starnazzare.

Ninfadora Tonks si addormenta durante la lezione di Divinazione sulle ginocchia di Elizabeth Lovelace.

Elizabeth Lovelace si addormenta sulle ginocchia di Lily Evans: o stanno facendo dei turni di veglia per qualcosa, oppure sarà il caso di chiedere spiegazioni a Sirius Black sul perché l’alunna abbia passato la notte in bianco.

Lucius Malfoy insulta con epiteti razzisti Lily Evans, a seguito del quale atto Elizabeth Lovelace fa comparire una pizza gigante e gliela spappola in volto, mentre Ninfadora Tonks aggiunge origano.

Lucius Malfoy utilizza impropriamente un accendino babbano per tentare di bruciare i capelli di Elizabeth Lovelace. I capelli, incredibilmente, gli resistono.

James Potter e Sirius Black vengono colti nell’atto di disegnare degli abiti specifici che li facciano somigliare ai gemelli Prewett. Desiderio da scoraggiare assolutamente!

Sirius Black crea l’illusione di un fuoco alla porta del custode Gazza perché questi non possa uscirne mentre James Potter sistema alcuni strani ordigni per il corridoio.

Elizabeth Lovelace dà vita ad un lecca lecca e lo chiama Geronimo.

Elizabeth Lovelace crea per Geronimo un parrucchino simile ai miei capelli!

James Potter giunge in aula con abbondante ritardo, spiegando che stava riflettendo per la prima volta sul fatto che un giorno si sposerà. Guarda fissamente Lily Evans anziché me.

Sirius Black firma una giustificazione come Nicolas Flamel.

Sirius Black giustifica un’assenza causa verme gigante che lo ha attaccato mentre si trovava da solo nei bagni per lavarsi i denti, assumendo le sembianze del professore di Incantesimi.

Sirius Black giustifica un’assenza causa improvviso interessamento per la questione del traffico in Nuova Zelanda.

Sirius Black giustifica un’assenza causa situazione appesa ad un camino sbucato all’improvviso nella scuola - nel quale in realtà si trova ancora, colui che vedo di fronte a me non sarebbe che il suo spirito. Chiede di pregare per la sua anima.

Peter Minus giustifica un’assenza causa esistenza di Sirius Black.

James Potter giustifica un’assenza causa esistenza di Severus Piton.

Severus Piton non giustifica un’assenza. In realtà, non siamo ancora riusciti a trovarlo.

James Potter, Sirius Black e Peter Minus riempiono di spinaci moschettieri il mantello di Severus Piton durante il pranzo.

Elizabeth Lovelace scappa dalla finestra e non si fa trovare per ore, mettendo in allarme l’intera scuola.

James Potter fa cadere i capelli di Severus Piton. Due volte.

Sirius Black trasforma la testa di Severus Piton in quella di un pesce.

Sirius Black asserisce di voler diventare un direttore d’Orchestra, si esercita schiaffeggiando l’aria con una mano sola nel caso dovesse ridursi a monco prima di diventarlo. Colpisce lo zigomo di Remus Lupin nel tentativo.

Elizabeth Lovelace fa fare il girotondo per l’aula a tutti i manichini pronti per l’ora di Trasfigurazione, canticchiando per farli girare a tempo di musica.

James Potter, Sirius Black, Peter Minus e Remus Lupin (sic!) denudano Severus Piton.

James Potter, Sirius Black, Peter Minus e (sic!) Remus Lupin nascondono tutti i vestiti di Severus Piton, perché non possa rivestirsi.

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Capitolo 38
*** Natale, 38. ***


quest'influenza non vuole saperne di passare... mi fa male dappertuttoooo, son quattro giorni che me ne sto rintanata in casa bastaaahh ç__ç° aiutatemi... mi sa che posterò ancora, oggi, per distrarmi e poi perché mi piacciono tanto i prossimi tre capitoletti *_*

Natale, 38.



98.
Scesa dal treno che da Hogwarts l’aveva riportata a King’s Cross, Bessie aveva sentito un tuffo dentro di sé: per la prima volta dopo anni non si era guardata intorno, scrutando stupidamente per suo padre. Finché frequentava Hogwarts ogni volta, ogni benedetta volta, i suoi occhi l’avevano cercato con ansia; aveva sempre pensato che un giorno l’avrebbe rivisto, che sarebbe tornato a prenderla.
“Ho fiducia in lui”, ripeteva.
Silente la pregava sempre: “Stai attenta, Elizabeth. Il confine tra fede e bisogno di negazione è molto labile.”
Silente. Quante volte, vedendolo come quel padre che le mancava, aveva desiderato che lui andasse a prenderla in stazione come uno di famiglia? Quante volte aveva pensato di dirglielo?
Eppure, non l’aveva mai fatto.
Soprattutto poi, durante gli ultimi anni di scuola -era stata spesso impegnata a cercare con lo sguardo la famiglia di Sirius... lui non controllava mai, non guardava; non l’avrebbe mai ammesso comunque. Stava lì seduto con lei sul muretto del binario, un po’ impacciato perché non voleva dimostrare alcun tipo d’interesse per quell’attività, così finiva per andare a salutare educatamente la signora Lovelace: Bessie odiava il contegno di sua madre nei suoi confronti, era gentile con lui soltanto perché era un Black. Sirius doveva essersene accorto, eppure non aveva mai sentito una parola sgarbata uscirgli dalle labbra nei suoi confronti.
“Odio portarti qui!” gli aveva confidato una volta fra i singhiozzi, mentre lui l’accarezzava per calmarla, seduto accanto a lei sul suo letto.
“Perché?”, le aveva domandato con dolcezza.
“E’ freddo” aveva spiegato, interrotta da un singulto. “Tu da un posto così ci sei scappato!”
“Non era un posto così” l’aveva corretta lui, sussurrando senza smettere di accarezzarla con tenerezza.
“Perché, cosa c’è di diverso?”
Sirius si era avvicinato velocemente a lei, l’aveva baciata prendendole il viso fra le mani. “Questo”, aveva bisbigliato poi mentre lei lo guardava, l’emozione ancora chiaramente leggibile nei suoi occhi. Allora le aveva dato un pizzicotto al seno, giocosamente. “E questo”, aveva aggiunto con tono radicalmente diverso.
“Sirius!!!” aveva protestato lei, picchiandolo con un pelouche mentre lui cercava di bloccarla, assolutamente divertito. “Ferma Elizabeth, ferma!!!”


“...Elizabeth?” Bessie si era voltata di scatto, stranita al sentirsi chiamare a quel modo. Kingsley stava in piedi davanti a lei, impettito come al solito, e lei aveva spalancato la bocca per la sorpresa. Un attimo dopo gli era volata in braccio, senza riuscire a trattenere l’entusiasmo. “Zio!!!” aveva gridato, prudente.
Lui l’aveva informata che sarebbero andati a casa, con un occhiolino che stava ad indicare come in realtà “casa” significasse “Tana”. Una volta usciti dalla zona pericolosa, però, non aveva potuto fare a meno di domandarle se per caso non desiderasse passare a vedere sua madre.
“Le... avete detto che sono sveglia?”, aveva chiesto lei.
“Silente.”
“E’ stato Silente?”
“No, lei l’ha rivelato a lui.”
“Non era stato Sirius?”
“Oh, in realtà sì: lui ti aveva percepita per primo. Poi però insomma non abbiamo fatto in tempo a dirlo anche a lei, perché l’aveva capito da sola...”
Bessie aveva sospirato a lungo, guardando fuori dal finestrino il paesaggio che si srotolava velocemente alle sue spalle. Amava viaggiare in automobile. Le ricordava suo padre.
“Andiamo... alla tana” aveva ribadito. Kingsley non le aveva più chiesto nulla.

Quando avevano raggiunto la Tana, Ginny, Ron ed Harry erano già lì. Kingsley doveva aver optato per un giro più lungo, probabilmente per prudenza e per rimanere un po’ con lei. Bessie aveva sorriso all’idea, prima di essere soffocata dagli abbracci festosi dei signori Weasley, quelli più contenuti ma altrettanto calorosi di Bill e Charlie e dei gemelli. Lupin l’aveva salutata con la consueta pacatezza, e lei da quel momento si era sentita un po’ più a casa di prima. Era salita a sistemare la valigia nella stanza che avrebbe condiviso con Ginny e Fleur, storcendo un poco il naso alla quantità di profumo francese che sembrava inondarla, e dopo aver scorto la stessa espressione sul volto di Ginny entrambe erano scoppiate a ridere senza riuscire a frenarsi, complici. Quand’era scesa Harry stava descrivendo dettagliatamente a Ron la conversazione che aveva origliato alla festa di Lumacorno.
“Ti credo, Harry” gli aveva confermato l’amico; a quelle parole, Harry si era rabbuiato invece di rallegrarsi. Pensava al fatto che Bessie invece non gli avesse dimostrato fiducia.
“Harry, non tenere sempre in troppa considerazione quello che dice Bessie...” gli aveva bisbigliato Ron in un orecchio, inaspettatamente. “Lei ci è cresciuta, mi pare ovvio che voglia credergli, no? E’ un po’ come se qualcuno ti parlasse male di me!”
Harry però aveva scosso la testa. “Allora dovrebbe comportarsi così nei confronti di mia madre, non di Piton!!!”
“Non è possibile, Harry...” Ron lo fissava sospettoso “Tu pensi... lo vedi come un tradimento! È così?”
Lupin si era intromesso nel dialogo bisbigliato, venendo edotto sul suo contenuto – almeno per ciò che riguardava Piton e Malfoy. Con grande sconcerto di Harry, la risposta dell’uomo ai suoi sospetti era stata davvero simile, soltanto più pacata, a quella di Bessie.
“Non è possibile” aveva borbottato, in preda allo sconforto. “Credevo che almeno tu...”
“Perché, chi altro ti ha risposto in questo modo?”
Tutti, avrebbe voluto spiegargli Harry. Ma sapeva che Lupin si stava riferendo al suo tono amareggiato. “Bessie”, gli aveva replicato abbassando lo sguardo. Era ancora molto, molto arrabbiato. Non l’aveva salutata quando era entrata. Non l’aveva nemmeno guardata.
Era la migliore amica di sua madre, e stava difendendo il suo assassino.


* * *


Mentre la serata proseguiva Lupin in risposta a delucidazioni chieste dal signor Weasley aveva accennato qualcosa sul suo incarico tra i lupi mannari. Non aveva certo calcato la mano su eventuali difficoltà, anche se a dirla tutta non erano necessarie dettagliate descrizioni per immaginarle, dato il suo aspetto provato; Harry però pur senza volerlo aveva notato una smorfia strana di Bessie -come un sentimento di disagio che non era riuscita a frenare alle parole dell’uomo. Era un po’ scostata rispetto a loro, stava in piedi accanto ad una finestra e non sarebbe riuscito a vederla meglio di così senza voltarsi apertamente, per cui non ne era sicuro; poco dopo però, mentre Lupin aggiungeva con cautela particolari sulla sua situazione, aveva distinto chiaramente delle lacrime rigare in silenzio il viso della ragazza.
Lei non si era mossa da lì per non farsi notare, pregandolo con un cenno di non attirare l’attenzione degli altri quando si era resa conto di essere stata vista. Il suo sguardo era una sorta di supplica, ed Harry nonostante tutto aveva capito di voler rispettare quella sua muta richiesta. Bessie aveva sorriso tristemente come per ringraziarlo, alzando le spalle ed asciugandosi il naso con il palmo della mano; si era rifugiata in cucina, le spalle curve come quelle di una bambina e di una vecchia insieme. Un momento dopo era di ritorno, ridendo e scherzando come se niente fosse, come se nessun pensiero triste avesse interrotto il suo spirito natalizio: Harry la fissava incredulo.
Poi, d’improvviso, aveva capito come lei fosse ancora straordinariamente attaccata al passato, e per questo non riusciva a sopportare nemmeno una parola sgarbata contro Piton: lui ne faceva parte. Sarebbe mai riuscita a liberarsene?
Un po’ come te, gli aveva rivelato una vocina nella testa. Tieni così tanto a lei per questo?
Harry aveva scacciato il pensiero con un gesto scocciato della mano, mentre Ron lo guardava chiedendosi dove diavolo avesse visto la mosca. Io ho altri amici, si era detto.
Quando era tornato a seguire il filo del discorso, questo si era spostato sul patronus di Tonks, stranamente assente quel giorno. Proprio mentre ne discutevano, descrivendolo come un grosso animale a quattro zampe, Bessie con un lamento strano si era lasciata sfuggire di mano le posate con cui stava apparecchiando: aveva fissato Lupin senza dire una parola. In ogni caso, in quel momento l’urlo che annunciava la visita di Percy li aveva interrotti da qualunque considerazione potessero aver intenzione di esporre, catapultandoli in una situazione totalmente differente.



99.
Ti ho vista ancora così, Eliza.
Non dimenticherò mai quel giorno, non dimenticherò il modo in cui fissavi il Ministro che ti aveva costretta a rivelarti davanti a tutti noi per quello che eri, ad esibirti come un pupazzo da baraccone. Ti aveva fatta sentire sporca, usata, violentata nell’intimo. In qualche modo ti capisco, ti ho sempre capito. Anch’io convivo con una parte di me che tengo nascosta ai più, sebbene molto diversa. Però quel giorno, mentre tenevi testa al Ministro ed alla tua stessa sofferenza, morsicandoti la lingua per ricacciare indietro le lacrime, lo guardavi ed alzavi il mento con aria di sfida, a lui, a te stessa, al mondo; eri arrossita, anche, di rabbia e di dispiacere, di vulnerabilità per aver mostrato così tanto di te. Eppure tu non sei mai stata tanto forte, Eliza, come quando ti sei mostrata completamente nuda. Il tuo animo è la tua forza più grande. In qualche modo, sei la natura stessa.
In questo momento guardi non vista Scrimgeour nello stesso modo, lo fissi mentre parla con Harry con intenti poco chiari, temo, l’hai capito anche tu; l’hai capito come quel giorno, e nei tuoi occhi c’è la stessa candida, rabbiosa sfida di allora.
Sei davero un Emagus, Eliza. Non potrai mai liberartene.


Lupin aveva guardato attentamente Bessie mentre il Ministro si congedava e lei sembrava volergli ringhiare addosso. Somigliava a Sirius più di quanto avrebbe potuto notare chiunque, chiunque che non fosse lui, che non li avesse studiati incessantemente nel corso degli anni. Se lei si fosse voltata verso di lui in quel momento, avrebbe scorto un tale affetto da venirne spaventata.
Invece aveva annusato l’aria, Bessie; con attenzione. Era corsa verso una finestra, spalancandola. La signora Weasley le aveva domandato bruscamente cosa combinasse, trovandosi per una volta d’accordo con Fleur suo malgrado –e probabilmente dopo averlo scoperto avrebbe voluto ritrattare tutto; Bill aveva riso divertito, come ad ogni sua uscita strampalata. Bessie però non si era curata di nessuno di loro, continuando ad annusare: in quel momento, chissà perché, aveva pensato a David. Non l’aveva più visto, dopo quel bacio. Aveva fatto in modo di non incontrarlo, in realtà.
Era corsa verso Lupin, aggrovigliandosi alla schiena con le gambe. “Lupacchiotto di luna Moony, usalo quel tartufo Lunatico che hai! Non la senti l’aria?”
“L’aria non si annusa, Eliza” aveva replicato lui pazientemente, ormai abituato a quel genere di approcci.
“E invece sì!” aveva protestato lei. “Quando sta per arrivare la neve.”
Alcuni lati di Bessie, aveva spiegato Lupin, erano rimasti costanti negli anni. Il fatto che dimostrasse sempre un’età minore di quella che in effetti aveva, o la capacità di percepire la neve prima che arrivasse. Ginny si era voltata verso la finestra, incantata da quei primi fiocchi.




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Capitolo 39
*** Natale, 39. ***


Bastaaaa, non ne posso più! salvatemi ç_ç° non mi pigliavo un'influenza così da quando mi sono caduti i denti da latte! fra l'altro, oltre ad ossa otite raffreddore mal di testa mancanza di voce tosse e tutto il resto che ora non mi ricordo, il mio amico dente del giudizio è tornato a farmi male! mioddioh ç_ç° ah, la parte 103 (ebbene sì, oggi sforiamo quota 100!!!) è un mio regalino per Mixky... sperando che sia di tuo gradimento. l'avresti voluta così?

Natale, 39.



100.
La mattina di Natale, appena erano scesi tutti per fare colazione avevano sentito picchiare con decisione alla porta. Ad Harry in realtà erano sembrati dei colpi festosi, ma in quel periodo ogni movimento anomalo rendeva tutti sospettosi fino alla paranoia, così si erano disposti in posizione di sicurezza, con gli uomini davanti.
“Chi sarà?” si era domandata la signora Weasley, in ansia. “Non aspettiamo nessuno!”
Con un cenno d’intesa al signor Weasley e Bill, Lupin aveva spalancato in un sol colpo la porta: ciò che si erano trovati di fronte però, doveva essere il più bizzarro Mangiamorte nella storia del mondo magico: verde, fronduto, e con un paio di enormi piedi calzati in stivali grossolani.
Hagrid!!!” aveva esclamato gioioso Harry, facendosi strada fra gli adulti. In effetti dietro a quell’enorme albero di Natale era sbucato prima il vocione del mezzogigante, poi anche la sua faccia. L’aveva trascinato dentro, con grave orrore della signora Weasley per la tremenda fine del suo parquet.
“Ho pensato che ci faceva compagnia”, aveva spiegato lui presentandolo agli altri.
“E’ stato un pensiero... ehm, molto carino, Hagrid. Ma non abbiamo già un albero di Natale!” aveva protestato debolmente lei indicandogli l’alberello spaurito e luccicante che aveva sistemato in un angolo del salotto.
“Oh stupidate, quello non è che un cuccioletto: non va mica bene per una festa così!” aveve replicato lui con noncuranza, andando a sistemare con amore l’abete proprio di fronte all’altro. La signora Weasley aveva sospirato, mentre i ragazzi sghignazzavano.
“Che bella sorpresa ci hai fatto, Hagrid!” l’aveva accolto educatamente il signor Weasley. “Ti sei perfino disturbato a portarci un regalo... non avresti dovuto!”
“Oh beh... poh!” aveva borbottato lui, facendosi rosso di soddisfazione e sedendo con un tonfo sordo sul sofà, mentre la signora Weasley nascondeva gli occhi dietro alle mani con gran divertimento dei figli.

La colazione era stata particolarmente divertente, con Bessie che imitava la voce di Fleur senza che lei se ne accorgesse, e Bill che cercava di rimproverarla con lo sguardo. Harry le aveva fatto notare che i capelli le stavano già ricrescendo, e lei si era stretta nelle spalle. “Dev’essere una condanna degli Emagus... portarli lunghi, voglio dire.”
Hagrid li aveva intrattenuti per svariati minuti con le descrizioni accurate delle sue bestioline, come le considerava lui, e sia la signora Weasley che Fleur erano rabbrividite un paio di volte, anche se la prima non aveva esitato a fissarla con aria di disapprovazione quando la ragazza s’intrometteva con: “Por carità, noi a Beubatonx...”
Al termine del pasto però, era chiaro che un clima di attesa avesse contagiato più o meno tutti. Ron, in particolare, non faceva mistero di occhieggiare ogni angolo, fissando poi Bessie di sottecchi. Fleur se n’era resa conto. “Che suscede? Stiamo aspotando qualcuno?”
Ginny aveva esitato, incerta se spiegarle o no di cosa si trattasse, ma poi Bessie l’aveva preceduta, mettendosi a balbettare con un filo di voce dal suo sedile.
“Mi dispiace, io... mi dispiace Ron, non ho preparato nulla quest’anno.”
“Oh” aveva replicato lui, deluso. Subito la signora Weasley gli aveva assestato uno scappellotto, coadiuvata dal marito e dai figli maggiori nel rassicurarla.
“Non ti preoccupare cara, in fondo restando ad Hogwarts avevi molta meno libertà di muoverti, è stato saggio da parte tua...”
Lei, però, aveva scosso il capo. “Non... non è per questo.” Aveva cercato Sirius con lo sguardo, istintivamente, come l’anno prima quando si era trovata in difficoltà. Senza poterlo trovare, i suoi occhi blu si erano calmati solo nel momento in cui si erano andati a posare su Lupin, ritrovando la forza di parlare. “Io... non me la sono sentita di preparare i regali per tutti... senza sapere se poi oggi ci sarebbero ancora state... le persone per cui li avevo fatti...” aveva continuato a guardare Lupin, che ricambiava lo sguardo in modo serio, ma anche morbido, sostenendola senza dover parlare. “Mi dispiace.”
Harry aveva cercato di risollevare immediatamente l’atmosfera, parlando con tanta concitazione che l’ultimo sorso di latte gli era andato di traverso. Aveva tossicchiato mentre Ron gli dava delle manate sulla schiena. “Bessie, perché non ci canti qualcosa? Qualcosa di Natalizio!”
“Io, ehm... oddio, mi sento un disastro!” aveva scosso il capo lei. “Io non...”
“Su, sei un Emagus, no?”
“Harry, questo non significa nulla. Magari non ne ha voglia” era intervenuto Lupin, guadagnandosi uno sguardo riconoscente della ragazza. Solo tu, Remus. Sei rimasto soltanto tu a trattarmi come... me stessa.
“So cosa possiamo fare!” aveva esclamato improvvisamente, battendo un pugno contro il palmo aperto, ma era stata interrotta da un gufo atletico che era piombato nella stanza.
“Di chi sarà? Non l’ho mai visto prima” aveva borbottato la signora Weasley avvicinandosi all’animale, ma questi senza degnarla di uno sguardo era andato a posarsi in grembo a Bessie, lasciando che lei gli sfilasse delicatamente la pergamena di dosso e risollevandosi in volo subito dopo.
“Wow, che resistenza!” aveva fischiato Fred.
Bessie aveva srotolato la missiva ricevuta, e con sua grande sorpresa aveva scoperto che si trattava degli auguri di Natale di David. Purtroppo non era riuscito a prenderle un regalo, per il semplice fatto che non aveva trovato nulla di adatto a lei, ma questo era forse perché la pensava troppo. Per farsi perdonare le allegava una foto di lui che suonava con il gruppo. Prima o poi ci sentirai davvero, concludeva. Bessie era arrossita. La signora Weasley aveva guardato allarmata Lupin mentre questi, rabbuiato, scuoteva il capo con decisione, come ad indicare che lui ne era fuori.
Bessie, imbarazzata, si era alzata velocemente. “Oh già, dicevo che bisognerebbe... credo che... torno subito, eh?” era scomparsa, dirigendosi verso le camere da letto.
“Non mi chiedere nulla, Molly” l’aveva anticipata bruscamente Lupin. “Ne so quanto te.”
“Ragazzi, voi che ci dite?” aveva domandato allora Kingsley, rivolgendosi a Ron ed Harry; sembrava seccato, a giudicare da quell’unico sopracciglio sollevato di tutti i muscoli disponibili nel suo corpo.
“Lui, be’... credo che lei gli piaccia. Decisamente.”
“Ma c’è qualcosa fra loro?” aveva domandato la signora Weasley preoccupata.
“A quanto ne sappiamo noi, no” aveva specificato Ron. Harry era rimasto silenzioso, e Kingsley si era voltato a guardarlo.
“No” aveva esordito allora con sicurezza, un velo di stanchezza ad oscurargli gli occhi. “Bessie sogna la morte di Sirius ogni notte.”

Quand’era tornata, Bessie portava con sé una grande scatola da scarpe mezza consunta.
“Che mi venga un colpo Eliza, è sempre la stessa?” aveva domandato Lupin. Lei aveva annuito con gli occhi che le luccicavano per l’eccitazione.
“Guardate qui!” aveva invitato successivamente i ragazzi, sedendosi su uno dei divani e facendogli cenno di avvicinarsi. Loro non si erano fatti pregare, incuriositi, ed anche gli adulti li avevano seguiti.
“Fotografie!” aveva esclamato Ginny, entusiasta.
“Ci sono... anche i miei genitori?” aveva domandato Harry, titubante.
“Quasi ovunque” era stata la risposta che proveniva dalle sue spalle, dalla voce di Lupin. “Eliza, spero che tu abbia provveduto a far sparire certe prove compromettenti...”
“Se ti riferisci al tuo grembiulino, ancora non l’ho ritrovato, Remus: temo sia rimasto a casa mia. Ma vedrai, un giorno...” aveva ridacchiato. Anche Fleur si era avvicinata, incerta; Bessie con un sorriso cortese l’aveva incoraggiata.
“Guardate qui! Sono tutte foto di quando cantavi, Bessie? Eri molto bella!” aveva esclamato Ron, afferrando un piccolo mazzo di fotografie.
“Sì... mia madre documentava tutti i miei concerti! Figurarsi” aveva aggiunto con una smorfia “finalmente aveva una ragione per vantarsi di me!”
“Eri elegantissima!” aveva osservato Harry.
“Non solo io” aveva replicato lei con un sorrisetto “Vedi questi qui, Harry? Sono tua madre e tuo padre... tutti in ghingheri. Le esibizioni degli Emagus sono cerimonie formali, bisogna per forza essere vestiti in modo adeguato... anche il pubblico, se vuole entrare.”
“Esistono regole così severe?” aveva chiesto Ginny, perplessa.
“Queste ti sembrano severe?” aveva commentato Bessie con un risolino. “Noi Emagus siamo sottoposti ad una disciplina ferrea: non possiamo vestirci di nero, portare tacchi molto alti, indossare gonne sopra le ginocchia, mostrare troppa pelle scoperta... è molto apprezzato il bianco, se vogliamo portarlo. Diciamo che è semi-imposto.”
“Ma Bessie... qui sei vestita di nero!” aveva obiettato Bill, scorgendo una fotografia in cui lei sembrava pronta per montare in sella ad una moto.
“Oh, sì” era arrossita lei. “Qui stavo per uscire in moto con... Sirius...”
“Eliza non è mai stata granché entusiasta della sua condizione ufficiale... diciamo che ha procurato non pochi grattacapi al Ministero!” si era intromesso Lupin, palesemente divertito.
“Remus!” l’aveva sgridato lei.
“Sei solo fortunata che non ci sia qui Tonks, Eliza” aveva proseguito lui, imperterrito “per raccontare tutte quelle che hai combinato... si è ribellata in ogni modo possibile alle imposizioni che provenivano dall’alto, un paio di volte ha perfino disertato delle esibizioni ufficiali scappando pochi minuti prima dell’alzata del sipario, già pronta di tutto punto!”
“Davvero?” aveva domandato George, ammirato.
“Beh, sì...” aveva ammesso lei.
“E sei stata punita?”
“L’hanno cercata ovunque... ma la seconda volta era andata ad accucciarsi sotto il tavolo dell’ufficio di Silente. Lui sotto sotto la spalleggiava spesso, in queste situazioni, così non poterono punirla in alcun modo perché era sotto la sua tutela.”
“La cosa peggiore non fu il ministero, ma la strillettera di mia madre!” Bessie si era tappata gli orecchi al solo ricordo.
“Aveva combinato un gran casino, ma Sirius era orgogliosissimo di lei! Ovviamente.”
“Diceva che avevo imboccato la brutta e meravigliosa strada dei Malandrini.”
“Per fortuna c’eri tu, Remus!” aveva sospirato la signora Weasley. “Altrimenti chissà quante altre volte si sarebbero ficcati nei guai!”
“E questa cos’è?” aveva domandato Harry, indicando una fotografia sfocata in cui s’intravvedevano degli striscioni bianchi appesi nel salone dei Grifondoro.
“Questa... è la testimonianza adatta a smentire immediatamente Molly” aveva ridacchiato Bessie.

* * *


Fotografia 101: Qualcosa di altrettanto idiota.

James è arrampicato su di una scala dall’aspetto poco rassicurante per togliere degli striscioni orribili fatti con la carta igienica e sparpagliati a riempire quasi tutta la sala comune di Grifondoro; cerca di tenere contemporaneamente in equilibrio un grande piatto ovale di tartine al salmone ed erbe norvegesi.
“Stavo facendo merenda!” protesta allo sguardo commiserante di Sirius.
“Quella roba finirà per ucciderti” replica lui.
“E’ un bel modo per morire, il cibo!” insiste James con convinzione. Un brandello di carta gli si avvicina pericolosamente, sfiorandogli la nuca fino a provocargli brividi lungo tutta la schiena.
“Ehi, sta cercando di rubarsi le mie... maledetto Remus, ha usato l’inchiostro che avevamo preso da Zonko! Fermala Sirius, fermala!”
Sirius però ha altre priorità al momento, e cioè per esempio cercare di evitare una morte violenta all’amico, che per rincorrere il suo piatto di cibarie sembra che stia per carambolare al suolo. “Datti una calmata James, mi sembri Peter porca miseria! Non abbiamo tempo per giocare!”
In quella entra Remus, trovando James pericolosamente abbarbicato su una scala, appeso da una parte ad uno dei suoi striscioni, dall’altra ad uno strano piatto ovale strabordante di tartine multicolori. Sirius è evidentemente seccato da tutta quella situazione mentre cerca di afferrare sia James sia la scala sia il piatto prima che uno dei tre, o anche tutti e tre insieme, si sfracellino al suolo. In particolare, essendo tanto impegnato da non riuscire a scorgere chi sia appena entrato, si lancia contro la scala per cercare di nascondere ciò che sta succedeno, con il risultato di farli franare esattamente tutti e tre a terra.
“Ooof!”, esclama James salvando la sua preziosa merenda con lo stomaco.
“Che diamine state facendo, voi due?” interviene Remus con aria seccata, constatando la rovina del suo prezioso lavoro di scuse.
Aughfargh!”, esclama Sirius, che tradotto suonerebbe più o meno: Questo dovremmo chiederlo a te, stupido Lunatico, dopo averti offeso in tutti i modi possibili perché mi trovo un piede di James in bocca!
James gli spiega come stia arrivando la McGrannitt, che non sarebbe felice di trovare il soffitto imbandito di striscioni orrendi e come quindi loro stiano provando a salvargli la pelle.
“Non sono orrendi” protesta Remus debolmente. James lo guarda con commiserazione.
“Eliza non li ha visti ancora, vero?” sospira rassegnato accingendosi comunque ad aiutarli. È un destino triste, il suo.
La porta si spalanca per la seconda volta, e questa volta lo scatto felino di Sirius serve solamente a far spiaccicare la faccia di James contro le sue tartine. Il ragazzo risolleva il viso furente, gocciolando salsa da tutte le parti, ma prima che possa aprire bocca la McGrannitt è davanti a loro, fissandoli mentre allo stesso tempo studia con attenzione gli striscioni sparpagliati lungo il soffitto ed ogni appiglio sfruttabile. È come la Gioconda, pensa Sirius.
“Immagino esista una spiegazione a tutto ciò” pronuncia livida. Remus fa un passo avanti.
“Sì, professoressa...” deglutisce, contrito. “Sono... sono io.”
Lei lo studia senza muovere un muscolo per qualche secondo, glaciale, come a volersi convincere che non si tratta di un’allucinazione, che davvero Remus Lupin è la causa di quel caos infernale. “Molto bene, signor Lupin” esclama poi. “Credo che mi farà il piacere di raggiungermi nel mio ufficio tra cinque minuti... mentre i suoi amici sparecchiano” specifica poi con un gesto disgustato. Sirius vorrebbe protestare che per una volta non c’entra nulla, ma si becca una gomitata di James al sapore di rucola prima di poter aprire bocca.

Remus sta fissando i suoi striscioni abbacchiato: tutto quel lavoro per niente... James gli si avvicina titubante, guardando insieme a lui la McGrannitt che si allontana. Sirius li raggiunge poco dopo, ripulendosi schifato la maglia dalle salsine di James. “Questa roba è impestata!”, borbotta. Poi gli mette una mano sulla spalla, per sostenerlo. “Coraggio Moony, vecchio mio... consideralo un battesimo.”
Remus fa una smorfia. “Sirius, questo non è esattamente il modo più adatto per consolarmi...”
“E chi dice che ci sia qualcosa di cui consolar--” schiva agilmente una seconda gomitata da parte di James, zittendosi; rimane a riflettere per un paio di secondi, poi torna a parlargli, senza togliere la mano dalla sua spalla ma anzi stringendola un poco fra le dita.
“Ti ricordi Remus, una volta volevi tirarmi su di morale e c’era questa festa cui io avrei voluto assolutamente andare ma non ero stato invitato perché ero troppo piccolo... te lo ricordi? Così mi hai portato lì lo stesso, ed una volta arrivati hai cercato di corrompere il buttafuori perché ci facesse entrare, offrendogli due sterline... e quando lui ti ha fissato come se fossi pazzo, gli hai spiegato che era tutto quello che avevi.”
Remus ride debolmente, divertito dal ricordo nonostante tutto; Sirius stringe di nuovo la mano intorno alla spalla del ragazzo. “Non ti abbandonerò, amico!”
Anche James gli dà qualche pacca sulla schiena, a mo’ di incoraggiamento. “Quando torni faremo qualcosa di altrettanto idiota per festeggiarti!”


* * *


Fotografia 102: Una proposta.

Bessie è in una stanza piena di tavolini bassi ornati da centrini dai colori pastello... una stanza terribile, bisogna dirlo! Fortunatamente non tutta la casa di Lily è così. L’amica insiste perché lei si sieda, ma in effetti Bessie non si accomoderebbe per nulla al mondo su quella specie di poltroncine floreali dai colori angosciantemente carini... sarebbe come sprofondare in una giungla di vecchie signore che prendono il té alle cinque e cercano di ammazzarti soffocandoti con i loro pettegolezzi e litri di profumo. In effetti, non sa bene perché ma nel guardare Lily si sente proprio come se avesse tutte quelle vecchie signore sullo stomaco.
“Non vuoi sederti, allora?” Lily finge nonchalance, mentre James continua a girare in tondo misurando a passi un lato della stanza come se attendesse un responso vitale. Lily fa a mezza voce una battuta sull’inutilità degli uomini. “Credo che lo lascerò fuori dalla sala parto!”, borbotta. Bessie alza gli occhi a guardarla allarmata, Lily sorride cercando di rimagiasi la battuta, allora Bessie si sente acora più strana.
“Non è... nulla del genere” l’anticipa lei. “Dai, siediti Bes!”
“Stai per chiedermi di andare in vacanza insieme, vero Lily?” domanda Bessie. “Dobbiamo decidere quale spiaggia raggiungere ma tu improvvisamente sei diventata insicura del tuo corpo e cercherai disperatamente di propormi una gita culturale senza uomini intorno!”
“Non vuoi sederti? Mi dà fastidio parlare così, come due profughi!”
Bessie non si siede.
“Senti” sospira allora Lily “Tu come Emagus hai determinati doveri, giusto? Ma hai... anche delle possibilità diverse...” si gratta il naso, mangiandosi la punta di un ricciolo. Bessie la fissa cercando di capire dove voglia arrivare.
“Beh, sì” risponde, rimanendo sul vago.
“Volendo, fai anche le veci in alcune cerimonie, no...?”
“Sì, Lily” risponde lei soppesando ogni parola, sospettosa.
“Ecco... a proposito di questo, io e James vorremmo chiederti un favore... noi pensiamo... abbiamo pensato... deciso, forse...”
Interviene bruscamente James, che si frappone tra le due con impazienza prendendo le redini del discorso, sprovvisto di un minimo di tatto: “Ascolta Betsy, vorresti sposarci?”
Bessie cade sulla poltroncina malefica a peso morto, sgranando gli occhi. Lily piomba lì strillando, mentre sgrida il ragazzo con veemenza “Te l’avevo detto che sarebbe stato meglio che le avessi parlato solo io, James! Santo cielo, hai la grazia di un elefante!” La guarda allarmata. “Bes? Bes!!!
Bessie la guarda dalla poltroncina, ironica. “Ho sempre sognato che mi domandassi di sposarti, Lily.”
Scoppiano a ridere tutti e tre, James la minaccia scherzosamente. “Così lo fate...” mormora Bessie, senza che gli altri la sentano. Lily la guarda asciugandosi gli occhi resi lucidi dalle risate e dall’emozione.
“Bes, questo è un sì?”
“Sì”, risponde lei allargando il sorriso come un arcobaleno.


* * *


“Questi giovani, hanno sempre troppa fretta di sposarsi!” aveva borbottato la signora Weasley, riferendosi in modo evidente a Bill e Fleur, che guardava di sottecchi. “Mio padre era molto severo invece... molto più severo di vostro padre!” aveva guardato il marito con aria di rimprovero, come se quell’unione fosse interamente colpa sua. Lui si era stretto nelle spalle, contrito.
“Com’era tuo padre, Bessie?” aveva domandato Harry. “Severo?”
“Beh... credo di sì” aveva risposto lei. “Però era giusto. Mi ha insegnato tutto, lui: a camminare, a parlare, a pensare...”


* * *


Fotografia 103: Mirzam.

Sirius e Bessie sono sdraiati su un grande divano che sembra reduce da una guerra, trasportato all’aperto sotto le stelle. Lei è accoccolata con beatitudine fra le sue braccia, per non sentire il freddo.
“Forse dovremmo lasciarlo direttamente qui” mormora lui, riferendosi a tutte le volte in cui ha dovuto riportare dentro e fuori il divano. Bessie non sembra ascoltarlo, persa a contare gli astri sopra la sua testa. “Forse dovremmo scappare” aggiunge allora lui in un bisbiglio, rendendosi conto che l’idea lo stuzzica: scappare da lì, scappare lontano da lì, da tutto ciò che devono affrontare quotidianamente, che li aspetta. Quante altre volte potranno guardare quello stesso cielo stellato prima di perdersi? Quanto tempo hanno ancora per amarsi? Di fronte all’orrore che sta lentamente contagiando le loro vite, riusciranno a difendersi, a rimanere uniti fino in fondo?
“Sai cosa mi piacerebbe, Sirius?” Bessie irrompe all’improvviso nei suoi pensieri -come sempre. Qualunque cosa Sirius stia pensando, qualunque fosca previsione o rabbioso ricordo, Bessie finisce sempre per esserci. Per colorare a macchie i suoi pensieri bui. “Avere un fratello maggiore molto protettivo nei miei confronti e molto, molto ostile nei tuoi. Uno che volesse picchiarti perché hai osato mettere gli occhi sulla sua dolce sorellina...” ridacchia.
“Oh, molto gentile davvero!” commenta lui. “E come mi merito tutto ciò, di grazia?”
Lei si sistema a pancia in giù sopra di lui, guardandolo da vicinissimo e sfiorandogli la punta del naso con l’indice. “Sarebbe divertente!”
“Come no! Mi bastano già le ramanzine di Remus, grazie.”
“Oh, ti sgrida?” esclama lei eccitata.
“Insomma, vogliamo proseguire con questo discorso?” borbotta lui. “E allora a me piacerebbe poter fare un pic-nic in tranquillità, va bene?!”
Bessie ride, rimane a guardarlo per qualche secondo; poi si volta, tornando nella posizione originaria, il viso rivolto alle stelle. Quando torna a parlare, la sua voce è molto più bassa e calma, adulta.
“Così si sposeranno... non posso crederci!”
“Ti dispiace?”
“Non lo so... sono molto felice per loro, ovviamente! Ma è come se...”
“...Come se smettessero di essere tuoi amici per diventare qualcos’altro” conclude lui per lei. Bessie annuisce, Sirius le accarezza i capelli impigliando delicatamente le dita fra le sue ciocche.
“Come sono lunghi”, mormora. “C’è qualcosa che posso fare per farti sentire meglio?” aggiunge poi con dolcezza. Lei per tutta risposta gli si accoccola di più fra le braccia. Sirius rimane in silenzio, assecondando quello di lei; guarda le stelle sopra di loro, perso in mille pensieri.
“Forse...” comincia, e la voce è più roca del solito “Forse dovremmo farlo anche noi.”
Bessie si volta verso di lui di scatto, cerca di capire se stia scherzando. “Dici sul serio?!”
“Beh... sì.”
“Oh Santo Cielo! Non posso crederci! Sirius Black ha appena parlato di... di...”
“Non è che siamo costretti.” si affretta a specificare lui. “Io sto bene così con te. Dico solo che magari sarebbe bello, potremmo comunque... pensarci, no?”
Bessie si tira su sui gomiti, rimane a fissarlo affascinata, un sorrisetto enigmatico ad animarle i lineamenti. “Mmm, che c’è?” mormora lui. Ma non può portare a termine la frase, perché lei gli sigilla le labbra con un bacio lungo, lunghissimo.

“Senti Sirius” mormora Bessie poco dopo, frantumando quel magico silenzio ed indicandogli un punto nel cielo “Allora quello sei tu?”
“Sono io, sì. Quante altre volte dovrò raccontarti questa storia?”
Bessie scuote la testa. “No, lo so – ricordo tutto riguardo i nomi della tua famiglia, quello che volevo chiederti adesso è... come si chiama quella stella lì in cima, quella più piccolina accanto alla tua?”
“Quella è Mirzam.”
“Mirzam. È un nome dolce,” mormora Bessie. “Anche lei lo sembra.”
“E’ vero” concorda lui.
“Sirius... davvero vorresti sposarmi?”
“Elizabeth, io per te vorrei anche essere picchiato da un fratello maggiore estremamente geloso, se è per questo!”
Questa volta è lui che la costringe a voltarsi, a guardarlo negli occhi mentre glielo dice. “Forse non ci sposeremo mai, forse sì, non m’importa. Tutto quello che voglio... è questo” conclude, posandole una mano sul petto, all’altezza del cuore. Un attimo dopo l’attira a sé, in un bacio molto più lungo del precedente, un bacio lungo una notte senza vestiti sotto le stelle.


* * *


“Credo che saresti piaciuto a mio padre, Remus” aveva mormorato Bessie con un sorriso strano che le aveva disteso le labbra. “Ne sono quasi sicura.”
Lui l’aveva guardata chiedendosi cosa significasse quella frase, l’aveva stretta un poco a sé come per un’urgenza improvvisa. La signora Weasley si era intromessa nella scena, aveva spezzato il contatto andando a sedersi sul divano accanto a lei, sistemandosi momentaneamente sull’angolo.
“Come stai, Betsy?” aveva mormorato, guardandola in viso con aria dolcemente materna e preoccupata allo stesso tempo. Bessie aveva allargato il sorriso, anche se di colpo appariva un po’ più stanco.
“Per cosa, Molly” aveva sospirato “perché Sirius è morto o perché devo fingere di essere chi non sono? O anche perché non riesco a parlare con mia madre e tutti voi lo sapete e ne discutete quando io non ci sono?”
Aveva ridacchiato, e l’ironia per quella sera aveva messo a tacere il dolore.

“E questa foto?” La voce di Ginny era uno squillo argentino che nonostante tutto era riuscito ad infondere una strana serenità alla ragazza, come una sensazione già provata in passato. Si era voltata per capire di cosa stesse parlando, e si era ritrovata tra le mani la foto di un Remus Lupin molto, molto giovane.
“Oh, la torre.”
“Ma è la guferia?”
“Quasi. Si tratta della parte subito accanto... Remus andava spesso lì, e per scattare questa foto James e Sirius si sono arrampicati dall’esterno, rischiando di rompersi l’osso del collo!”


* * *


Fotografia 104: Al lupo al lupo.

Remus si trova da solo nella torre che conosce a menadito, si chiede se sarebbe più saggio da parte sua essere già nel dormitorio, per preparare la valigia. Ma come dire a Silente che se ne vuole andare? Dopo tutto quello che ha fatto per lui, non ne avrà mai il coraggio! E la McGrannitt, così severa? Lo guarderà delusa, lo considererà un debole... no, non può farcela.
Ma come può guardare ancora in faccia i Malandrini dopo quanto è successo? Come potrà parlare con Sirius come se niente fosse? Non ne avrà mai il coraggio.
È solo, Remus Lupin. Se ne rende conto in quel momento più di ogni altro, anche più di quando ha scoperto di essere un lupo mannaro. Lupo mannaro. È proprio quello il problema.
Pian piano, senza accorgersene, Lupin perde la lotta con il suo carattere; una lacrima furtiva s’impadronisce della sua guancia destra, così sottile che non riesce nemmeno ad arrivare al mento prima di sciogliersi.
Fuori sente un brusio improvviso, qualcuno sta arrivando e allora lui si asciuga gli occhi; oltre la porta ora sono presenti due voci ben note, James Potter sembra spazientirsi con un Peter Minus alquanto intimorito, lo spedisce via bruscamente. James entra da solo, mentre Remus è voltato verso la finestra, dandogli le spalle.
“Se volevi mettere alla prova i miei sensi di lupo, sappi che sarebbe bastato molto meno di tutto quel fracasso!” lo anticipa, ed il tono gli esce tagliente più di quanto potesse credere di avere; ha paura, Remus Lupin, ed attacca per primo per non essere sbranato. Incredibilmente tuttavia James tiene le mani in tasca, sembra impacciato. Forse ha paura, pensa Remus. Ha paura del lupo. Allora continua, prima di affondare.
“E anche se sei qui per scroccare una sigaretta da fumarti in pace hai sbagliato posto: io non fumo e non ho nessuna intenzione di lasciarti la torre.”
Mossa sbagliata, lupacchiotto. James non ci metterebbe mezzo istante a risponderti Non si sa mai, non so più cosa fai e cosa no. Cosa sei. Invece si avvicina, lo spinge più in là con una spallata non molto forte e si sporge dalla finestra, indicandogli qualcuno che passeggia nervosamente sotto di loro.
“Non sono io quello che fuma.”
Sirius cammina aspirando tenacemente dalla sua sigaretta estera, l’aria sconvolta ben espressa dal ricadere scomposto dei capelli sul viso.
“Non vuole parlarti”, aggiunge James.
“Lo immaginavo.”
“Non ne ha nessuna intenzione.”
“Non lo farà mai più?”
James si stringe nelle spalle.
“Perché sei qui, James?”
“Non lo so... forse in realtà in questo periodo sono maturato ed ora sono incredibilmente ragionevole e per questo non ti ucciderò, però in realtà non so cosa dire, se solo ci penso.”
“E tu non pensarci” butta là Remus, senza guardarlo. Sa che farà male: non importa. Sirius continua a camminare, si è acceso la seconda sigaretta.
“Sono... arrabbiato. Sono molto arrabbiato, e sono ferito ed ho pensato che per fortuna c’è Sirius, io ho solo Sirius perché con lui non capiterebbe mai tutto questo. Lui non mi mentirebbe.”
Remus incassa in silenzio, sa di meritarlo; le sue spalle sono curve.
“Non mi è mai importato di chi fossi, Remus...”
“Di cosa fossi”, lo corregge lui automaticamente.
Chi fossi”, ribadisce James. Si sistema il ciuffo con una mano. “Non fare l’idiota”, intima.
“L’ho già fatto abbastanza”, completa Remus.
James sbuffa, si allontana di un passo come per andarsene, poi ci ripensa e si ferma, voltandosi per lanciargli qualcosa; Lupin l’afferra, guarda: è una gomma.
“Una gomma da cancellare?”
“Sì. Provala.”
Lui ha un moto sospettoso: “E’ qualche orrendo trucco o simili? Mi cancellerà le unghie o i capelli quando la userò?”
James scuote la testa. “E’ normale”, dice.
“Quindi?”
“Prova a cancellarci quello che è successo.”
Remus è basito. “Ma non si può!”
Esatto, Remus. Non si può. Dunque piantala di fare il cretino che si colpevolizza e vedi di andare avanti in qualche modo, perché questa mano è interamente tua!”
Il suo tono di voce è brusco... del resto non poteva aspettarsi altro: ha ferito i suoi amici. Certo, se solo anche loro provassero a mettersi nei suoi panni... con un segreto che all’inizio credi di non poter rivelare a nessuno e poi quando invece capisci che non è così scopri che è sempre più difficile da dire proprio perché hai aspettato per tutto quel tempo... si volta verso James, ma lui se n’è andato.
Bell’uscita ad effetto, pensa. Tipica di James Potter. Lui e Sirius sono il teatro della sua vita... o forse dovrebbe dire erano, dal momento che Sirius non vuole più parlargli; guarda giù, e non lo vede: non c’è più.
In quel momento entra alle sue spalle.
Lupin è nervoso, molto più di prima, cerca maldestramente di mantenere un contegno. “Hai finito le sigarette?” domanda, sarcastico.
Sirius non parla, continua a guardarlo e lui sente tanti piccoli aghi conficcarglisi fin nelle ossa. “Ti rovinerai i polmoni”, riprova. Niente. Sirius resta ostinatamente in silenzio, e Remus vorrebbe prenderlo per le spalle, scuoterlo finché non si decide a muoversi. Forse sta solo cercando di fargli del male per non ferire se stesso? Forse è una giustificazione per avere un qualunque tipo di contatto fisico con lui, per non percepire tutta quella distanza.
“Solo con voi” inizia Sirius all’improvviso, e Remus non è preparato, coglie al volo all’ultimo istante il significato di quell’insieme di lettere. “Solo con voi sono sempre stato Sirius e non un Black.”
Fuori il platano deve aver attaccato una famiglia di passeri. Remus vorrebbe dire qualcosa, lui che legge così tanto vorrebbe avere una risposta molto saggia da dargli, ma non ne trova nessuna; ci vorrà molto perché impari, e in ogni caso non gli riuscirà mai granché bene con Sirius Black.
Sirius si spazientisce. “Vorrei darti un pugno, Remus.”
“Fallo”, si sorprende lui a rispondergli, e mentre lo fa scopre che era la cosa giusta da dire.
“Piantala.”
“Fallo, avanti, fallo!” lo incita Lupin, e mentre insiste vede un barlume accendersi negli occhi del ragazzo di fronte a lui: senza più rendersi conto davvero di ciò che sta facendo aumenta il volume; sta urlando, adesso. Urla per superare lo stallo, urla per ottenere disperatamente quel contatto, per cosa? Non ha mai amato la violenza, lo ricorda bene.
“Tu devi smetterla, Lupin” ansima Sirius, mantenendo la sua distanza a fatica. “Non sei fatto per queste cose, non lo sai neanche incassare, un pugno!”
“Se è per questo, credevi che non fossi neanche in grado di mentirvi.”
Sirius rimane immobile a guardarlo, sull’orlo di una mancanza di fiato, di tutta la sua rabbia e delle ferite che gli ha inferto scoprire la verità sull’amico senza che fosse lui a dirgliela. Remus sa cosa sta per succedere, lo sente. Era quello che voleva.
Sirius lo colpisce con tutte le sue forze, il pugno va a segno contro la sua mascella facendogli decisamente male. Poi va via senza nemmeno guardarlo; Lupin rimane a terra dolorante, tastandosi la botta e sputacchiando sangue dalle mucose.
Guarda Sirius andarsene, e sorride. Bentornato, pensa.


* * *


Fotografia 105: Lentiggini.

Un caposcuola entra nella stanza in cui si trovano Lily e James, intima loro di sbrigarsi perché tra poco dovranno uscire tutti quanti per prendere il treno che li riporterà a casa. James si lascia sfuggire una smorfia infastidita, pensa che quel ragazzo ha proprio un brutto grugno.
Lily lo guarda, ed è chiaro che vorrebbe essere in qualunque posto che non sia quello in cui si trova ora; forse anche James lo vorrebbe. Suda, James Potter, guarda le lentiggini che dipingono scherzosamente il volto della ragazza e vorrebbe essere una di loro, perdersi fra la sua pelle per non dover più parlare per stare a contatto con lei.
“Non so se hai riflettuto seriamente su queste vacanze, Evans...”
Lily guarda verso la porta da cui è uscito il caposcuola, in un misto di desiderio e nostalgia per quell’intrusione; prova ad essere sostenuta come sempre, come le è sempre riuscito alla perfezione di fronte a quel bulletto di James Potter, ma questa volta si sente incerta. Si gratta la punta del naso, senza sapere bene cosa fare. Vorrebbe andarsene.
“Aspetta” James l’afferra per un braccio, eppure il suo tono è tanto supplichevole e dolce che Lily ferma sul nascere il tentativo di fuga. Lo guarda, e lui ritira la mano come se si fosse scottato. Lei si domanda se sia maggiore il sollievo od il rimpianto, per questo. Ma non è possibile! Si gratta nuovamente la punta del naso, e James si scioglie trovandola tenerissima, senza un Sirius Black a dargli del rammollito. Non James Potter, pensa Lily.
Credimi Evans, non voglio che questo momento diventi un ricordo pietoso. Guardami... cosa manca ancora? Non riesco a comprenderti, adesso.
Sono qui di fronte a te a sudare per trovare qualcosa da dire, e sono minuti lunghissimi e sciocchi ma mi sembreranno più stupidi fra un po’: vorrei solo che non finissero. Non m’importerebbe dove vai, o di restare qui immobile per sempre, se potessi essere una fra le tue lentiggini.
Hai l’aria viva e un po’ stanca e
molto viva. In fondo ne hai ancora poca, di vita addosso, io e te insieme facciamo comunque pochi anni, ma quelli che ci mancano da raggiungere io li vorrei insieme a te. Perché mi piaci, piaci ai miei occhi ai miei nervi e pure ai miei affanni, ci piacciono i tuoi modi bruschi e delicati, i tuoi gesti di minaccia e di allegria che del mio cuore ogni volta lasciano solo qualche misero resto. Vorrei poterti dire tutto questo.
Che ci fai distante da me, Evans?
Che ci fai con quella maglia un po’ scucita di cui non ti accorgi, e l’emozione fa appannare i miei occhiali mentre penso che vorrei soltanto trovarmi fra le tue ciglia brune?
Vorrei un sorriso per me, di cui non mi restasse solamente una foto da riguardare ogni giorno. Vorrei una gita con te, e che in questo momento sudatissimo tu non cercassi soltanto una via d’uscita.
Ancora una volta, nella tua vita non sono altro che un clandestino.
“Hai... hai pensato a quante cose ci legano? A quanto mi mancherai...”
“Già” risponde lei laconica, la testa bassa.
“Non è così semplice, Evans; per me è così davvero! Io, tu...”
“Io... devo finire di preparare la valigia” prova a bofonchiare lei, in un tentativo dettato dalla confusione. Non riesce a guardarlo negli occhi, proprio non ci riesce: da quando è iniziato tutto quello sconvolgimento? Lui deve per forza averle fatto un qualche stupido incanto! Non è... possibile.
“Dimmi una cosa...” insiste James con la forza della disperazione, ma deciso come non l’ha mai visto davanti a lei “davvero non t’importa?”
“...Come?”
“Evans, tu... non provi assolutamente nulla per me?”



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Capitolo 40
*** Natale, 40. ***


Natale, 40.



Fotografia 106: Regali.

“Lasciate che vi faccia vedere...” esclama Sirius eccitato e già vanaglorioso prima ancora di porgere loro il pacchetto. Fruga rapidamente in una saccoccia che ha portato con sé, e ne estrae un involto dalla forma bizzarra, difficilmente riconoscibile. “Ecco!” annuncia trionfante, consegnandolo nelle mani dei due quasi-sposi. “Tante congratulazioni, ragazzi!”
Lily lo fissa con un orrendo sospetto nel fondo degli occhi, mentre James afferra con decisione il pacchetto. “E’ carta di giornale!”, ridacchia col tono di chi vuol intendere che non si smentisce mai. Sembra che la cosa lo diverta; certo non si può dire lo stesso della sua compagna.
Quando svolge il pacchetto, però, la sorpresa è tanto grande da impedirgli di usare le regole della buona educazione fino in fondo: nel momento in cui si trova di fronte un modellino da turista del Big Ben, infatti, tutto quello che riesce a fare è balbettare una serie di “Oh, beh... voglio dire... questo è un... un...”, prima di fingersi cortesemente quasi entusiasta di quel dono. “Non sarei mai riuscito ad indovinare, Sirius! Avevi... ragione” tossicchia imbarazzato. Chi non sembra preoccuparsi di nascondere i propri sentimenti al riguardo, invece, è la ragazza dalla fulva chioma al suo fianco che pare stia fumando dalla rabbia. Lily lascia andare un’esclamazione che poco lascia all’immaginazione.
“Il Big Ben?!” lo aggredisce, dando in escandescenze. Gli si avvicina di un passo, e Sirius non sembra avere intenzione di arretrare, un’espressione assolutamente beata sul volto. “E’ il mio matrimonio, e il tuo regalo è un modellino del Big Ben?!?!”
Sirius è palesemente divertito, lascia scorrere l’intera sfuriata di Lily ed i patetici tentativi di James di calmarla con un sorriso imperscrutabile a congelargli il volto. Non appena il tono di voce della ragazza torna su binari accettabili all’udito umano, è con un gesto elegante che, avvicinatosi ad un rettangolo enorme poco distante, sfila via il telo che lo copriva, mostrando così un enorme frigorifero interamente decorato con la bandiera dell’Inghilterra, Lily rimane con la bocca spalancata senza riuscire nemmeno a deglutire, quasi vorrebbe rimangiarsi in un sol colpo tutte le offese per il modellino, ma non può; James si avvicina al frigo, lo apre fingendo di guardarvi dentro solo per non mostrare agli altri la sua espressione.
Tonks sghignazza, ed è lei che si fa carico della loro reazione. “Era meglio il Big Ben” commenta, senza riuscire a smettere di ridere.

La sfilata dei doni per il matrimonio prosegue, ed è con grave sconvolgimento emotivo che i Potter devono far fronte ad una serie di quadri creati con dolciumi assortiti (dai bastoncini di zucchero a pezzi di cioccolata fusa a gelatine appiccicose dai colori psichedelici) da parte di Peter, un tavolo da pranzo trasparente al cui interno sono visibili proiezioni di cascate o di stormi di farfalle e simili meaviglie della natura da parte di Bessie, ed un divano da tasca viola da parte di Tonks, di dimensioni spettacolarmente minute finché non lo si tocca nel punto giusto, quando si gonfia istantaneamente fino a divenire utilizzabile per un gruppo di tre o quattro persone. Il fatto che sia viola, implica però che anche la tasca che lo conterrà dovrà esserlo, per evitare fastidiosi effetti indesiderati.
Quando Remus si fa avanti per il proprio turno, gli occhi dei due poveri ragazzi esprimono ormai apertamente tutto il terrore che li anima; lui sembra contrito come per un guaio, si fa coraggio porgendogli un pacchetto che contiene una classica, normalissima insalatiera d’argento.
“Non... sono mai stato un granché quanto a fantasia, lo sapete” borbotta dispiaciuto. Lily, però, lo abbraccia con una foga ed un affetto che superano forse quelli di ogni altro momento della loro vita.
“Stai scherzando, Remus?” quasi urla con un sospiro di sollievo. “Grazie al cielo!!!”


* * *



Fotografia 107: Delle scarpine rosse da bimbo.

Tonks avanza pensierosa lungo i corridoi della sua stessa casa, senza che se ne renda conto i suoi capelli passano dal bianco al viola al verde, seguendo con sfumature rossastre il corso dei suoi pensieri. È preoccupata per Bessie, che da quando si è lasciata con Sirius ha momentaneamente ospitato a casa sua: sembra depressa, finge di non avere nulla ma lei la conosce troppo bene per non capire cosa si agiti in fondo a quegli occhi di mare, che cosa muoia.
Vorrebbe poter fare qualcosa per lei. Vorrebbe spaccare la faccia di Sirius Black, per l’esattezza.
Non credo servirebbe a molto, però, se non a sfogarmi. Brutto bastardo!
Conosceva bene il carattere di Sirius, ma in fondo non aveva mai pensato davvero che qualcosa del genere potesse accadere fra di loro: sembravano talmente... destinati!
Uomini.
Cosa può fare per aiutare Betsy? Lily sarebbe sicuramente più capace, ma lei è talmente impegnata per via del suo matrimonio... inoltre nell’ultimo periodo soffre spesso di forti nausee essendo al terzo mese di gravidanza, non può assediarla con richieste d’aiuto. Doveva essere un momento bello, un periodo felice per tutti loro, per il loro gruppo, la loro amicizia...
Maschi.
Bessie ormai era nella vasca da un bel po’. Forse sarebbe dovuta andare a chiamarla, perché non si addormentasse, o si perdesse troppo in pensieri deprimenti.
Brutto bastardo.
La ragazza raggiunge il bagno, spalancando la porta pronta ad assumer un’espressione giocosa per scacciare dalla mente dell’amica qualunque ricordo luttuoso all’istante: quello che si trova di fronte, però, l’avrebbe colta impreparata anche se fosse entrata con la bacchetta puntata.
Bessie è sospesa esattamente sopra la vasca, la schiuma del bagno a svolazzarle intorno in una specie di vortice impetuoso; tiene gli occhi chiusi, in silenzio, ma un attimo dopo urla come se avessero cercato di cavarle il cuore. Porta le mani alla gola, con immensa difficoltà a respirare. Si agita come per liberarsi da lacci invisibili, piangendo e lamentandosi. Tonks urla con quanto fiato ha in gola.

Quando Lupin e Sirius accorrono insieme a Kingsley, chiamati da Tonks, Bessie si è leggermente ripresa. Trema ancora, coperta dall’accappatoio che l’amica le ha infilato con delicatezza, ma spiega in un sussurro di aver percepito qualcosa.
Qualcosa è successo.
I Mangiamorte hanno attaccato, non distante da lì; ha sentito nettamente lo sfregio, il dolore di un’azione violenta.
Qualcosa contro la Natura.
James e Lily entrano nella casetta da giovane single di Tonks, sembrano spaventati; lei pensa bene di rassicurarli sullo stato di Bessie, ma Lily scuote la testa, preda di un’agitazione evidente. James le stringe forte la mano, spiegando al suo posto le motivazioni di quell’ansia: “Sentito l’allarme, siamo passati per casa e... sulla porta qualcuno aveva appeso delle scarpine rosse da bimbo, come se fossero state impiccate.”
Lily rabbrividisce.
“Ragazzi” rientra nella stanza Kingsley “Un commando di Mangiamorte ha attaccato la riserva naturale a sud, facendo strage di animali e torturando ferocemente la famiglia del custode.”
Tonks e Bessie si guardano.

“Sirius” mormora poco dopo Lupin all’amico, con l’aria seria che assume fin dai tempi della scuola quando Sirius ne combinava una troppo grossa e doveva convincerlo a riparare al danno compiuto. “Non puoi più tirarti indietro con lei... devi smetterla.”


* * *


Fotografia 108: Penne snob dall’antica casata Black.

È una delle prime lezioni ad Hogwarts e James Potter, brillante studente del primo anno (così ama autodefinirsi a meno di due settimane dall’inizio dei corsi) rompe la sua piuma. Doveva essere una piuma difettosa: James Potter, si sa, non è in grado di commettere errori.
Decide comunque di perdonarla, e di chiederne una in prestito al ragazzino che gli siede accanto, seppure dall’aspetto non troppo amichevole. Sirius con aria svogliata, senza nemmeno rispondere alla sua domanda, gli porge una penna dall’aria raffinata e preziosa: quando l’osserva con più attenzione, James vi scorge un’incisione in oro della scritta “Black”.
Allora è lui Sirius Black, pensa con una punta di risentimento. Ecco spiegata la sua aria scontrosa... nella sua famiglia sono tutti talmente snob!
Sua madre non approverebbe questi pensieri, lo sa bene, ma sua madre a volte riesce ad essere talmente ingenua! Come può lei comprendere cosa significhi vivere lì, relazionarsi con certa gentaglia? Lei è sempre positiva e gentile con tutti, non riesce a concepire la malvagità insita in certe persone, la spocchia. Invece questo qui... diamine, la piuma che mi ha prestato deve costare un occhio della testa! Scommetto che l’ha fatto per ricontrollarla con aria di sufficienza quando gliela restituirò, e sospirare per una sua presunta gualcitura... oppure vuole dimostrare la sua noncuranza perché ne ha tante!
Sbircia il presunto rivale da sotto il gomito, e l’osserva per qualche istante mentre giocherella con i bottoni della sua divisa, evidentemente perso in ben altri pensieri dalla lezione. Si sentirà superiore anche alla professoressa?
Chissà che ci fa a Grifondoro poi, sarebbe stato perfetto per Serpeverde!
Un ragazzetto accanto a lui gli fa segno di stare attento, perché la professoressa gli ha appena lanciato un’occhiataccia.
“Io, uhm... ero distratto” mormora James senza troppa convinzione.
“Lo so... stavi guardando Sirius Black, vero?”
“Lo conosci?”
Il ragazzetto biondo scuote la testa. “Mia mamma dice che noi riusciremmo a campare anche solo con la paghetta settimanale che gli passano i suoi!”
James lo guarda: è piccoletto, con un’aria buffa. Sorride divertito a quella sua uscita.
“Le sue cugine sono molto belle” prosegue lui borbottando con un vocino tanto sottile da somigliare ad uno squittio. “Almeno un paio di loro, ma la maggiore, quella Bellatrix... a me fa paura!”
James sorride di nuovo, ed allora il piccoletto prende coraggio, gli porge una mano paffuta, da bambino ancora. “Io sono Peter Minus.”
Il nome adatto per lui, pensa James. Sembra un topolino.
“James Potter” replica, stringendogli con vigore la mano.
Peter sembra non avere nessuna intenzione di smettere la conversazione iniziata, e questa volta è James a fargli segno di prestare attenzione alla professoressa dall’aria vagamente omicida. Peter pigola e pigola e pigola. Forse un pulcino?, si corregge James.
Peter, tuttavia, non si fa intimorire dalla possibilità di un castigo imminente; James non riesce nemmeno più a seguire tutto ciò che gli sta raccontando con quel vocino stridulo, dai piatti preferiti di sua madre ai suoi giochi prima di Hogwarts. Inizia ad esserne lievemente infastidito. Un pulcino, si era chiesto.
No. Una zanzara.
La lezione termina, portando con sé la salvezza di James che può quindi tornare a dedicarsi al suo problema iniziale: Sirius Black raccoglie le sue cose e fa per andarsene, e allora James lo rincorre per riconsegnargli la piuma, che gli porge tenendola con attenzione su entrambe le mani. Sirius fissa l’oggetto, sembra non riconoscerlo ad una prima occhiata: quando poi si rende conto di cosa si tratti sgrana gli occhi e soprattutto, reazione completamente inaspettata, sorride contento.
“Oh, quella!” si gratta la nuca, indeciso. “Beh... puoi tenerla se vuoi, dato che la tua è rotta.”, e dice esattamente ciò che James si sarebbe aspettato da lui, ma è il come che lo frega, è qualcosa di completamente diverso: è... cortese. James, senza nemmeno accorgersene, gli sorride di rimando. “Non ti preoccupare”, rifiuta.
“No senti, davvero...” continua Sirius “Facciamo così: tu ti tieni la penna e mi passi gli appunti dei oggi, d’accordo?”
“Come... tu non li hai presi?” inizia James; poi ricorda che quando l’aveva osservato era sempre impettito o impegnato in qualche attività sua, non l’aveva mai visto scrivere. “Ma allora... la piuma che mi hai prestato era...”
Sirius si stringe nelle spalle. “Non è grave. Non avevo neanche voglia di ascoltare!”
Maledetto bastardo, mi hai fregato!, ride tra sé James Potter. In quel momento li supera un ragazzino allampanato, alto alto e dal fisico ossuto e sgradevole al vedersi: lancia ai due un’occhiata di sufficienza, prima di avanzare lasciandosi dietro una scia di odore di pomata per capelli che pare quasi avere una consistenza solida. James digrigna i denti, come reazione spontanea.
“Severus Piton” ringhia, non riflettendo sul fatto che potrebbe essere benissimo un amico di Sirius, data la sua appartenenza a Serpeverde. “Non lo sopporto, è disgustoso... tutti i Serpeverde lo sono, ma lui...”
“...E’ unto”, completa Sirius. Ed in quel momento è chiaro il perché lui non sia stato assegnato alla casa che vedeva la sua famiglia tra i protagonisti da centinaia di anni.
La tensione non è ancora scemata quando qualcuno va a sbattergli addosso mentre tiene della cioccolata nella mano, macchiandogli completamente la divisa. Il ragazzo mingherlino e dall’aria stanca si scusa prontamente, tirandosi indietro di scatto come se temesse un avvelenamento da contatto.
“Scusami, davvero” insiste.
“Ora dovresti leccarla” lo burla Sirius indicandogli la macchia, e la cosa fantastica è che James si esprime nello stesso identico modo: i due si guardano e scoppiano a ridere in una frazione di secondo, essendosi accorti dell’intesa. Remus Lupin accenna un sorriso timido e tirato. “Tu... sei Sirius Black, vero?”
“In carne e piume, e lui è James Potter”, borbotta lui con una smorfia. “Ma non emozionarti, non ce n’è motivo, davvero.”
Mentre James fissa Sirius sbalordito, domandandosi come faccia a conoscere il suo nome, Lupin lo guarda senza replicare; sembra incerto sul da farsi. Con un fazzolettino prova a togliersi un po’ di cioccolata spiaccicata sulla mano durante la collisione, senza più occuparsi di quella sui vestiti dell’altro.
“Tu?” gli domanda allora Sirius, fissandolo intensamente.
“Sono Remus Lupin.”
“Bene Remus Lupin... mi devi un favore.”
Stavolta è il suo turno di fare una smorfia, non sembra prendere troppo sul serio la sua spacconeria. “Saremmo in ritardo...” specifica. “Io mi avvio a lezione.”
Sirius lo guarda andarsene sbalordito, seguendogli i movimenti spigolosi delle spalle. “Ma uno così è a Grifondoro?” domanda alla fine, allibito. James pensa a Peter Minus e al suo squittio continuo.
“Non è l’unico”, borbotta di malumore. Sirius sembra non avvedersene, seguitando sul filo da lui proposto.
“Beh, non fa per me. Credo che nei prossimi anni non avrò molto da spartire con Remus Lupin!”


* * *


Fotografia 109: Bottoni ed anelli.

Sirius sta correndo a perdifiato lungo il viale principale. È il giorno del matrimonio del suo migliore amico, e lui sta correndo a perdifiato. È il giorno del matrimonio dei suoi migliori amici, e lui è in ritardo. Non ha sentito la sveglia, vorrebbe giustificarsi. Se non fosse che non ha mai usato una sveglia in vita sua. Elizabeth scoprirebbe subito l’inganno, sempre che si degnasse di guardarlo. Chissà come sta, Elizabeth; lei l’avrebbe svegliato in tempo.
Porca miseria Sirius, non è il momento di perdersi in questi pensieri, sei in ritardo, ritardo, ritardo!
Sei in ritardo
, lo ghiaccerà Lily.
Quando raggiunge il sagrato, la porta della chiesa è già stata richiusa. Maledizione, hanno iniziato senza di me! Isterico, di fretta, decide di non andare troppo per il sottile o forse non decide, perché non pensa affatto: in ogni caso non va troppo per il sottile e sperando ardentemente di raggiungerli ad un momento ancora accettabile della cerimonia spalanca il portone, tuffandosi all’interno della chiesa.
È troppo tardi quando una vocina all’interno del suo cervello, senza molta grazia lo apostrofa soltanto:
...stupido!
Mentre viene investito da un fortissimo, nauseante profumo di fiori pericolosamente simile alla vaniglia, i musicisti dietro all’altare si danno l’attacco e la marcia nuziale parte in tutta la sua pomposità. Sirius non si rende conto immediatamente di ciò che ha combinato, pensa ancora alla vaniglia (Speriamo che non lo sia, ripete tra sé. Io sono allergico alla vaniglia!) e si guarda intorno spaesato da tutti quegli invitati che lo fissano, centinaia di facce che si sono voltate a guardarlo, lo circondano. Intanto la musica cessa con un accordo improvviso e disarmonico, lasciando rimbalzare le ultime note sballate tra le colonne imponenti ed i cappellini delle invitate; alcuni lo guardano divertiti, altri scuotono il capo. Jackson Dean dall’altare lo saluta con l’archetto, festeggiandolo per quella spettacolare entrata; cinque o sei ragazze sedute lì di fianco lo indicano e ridacchiano arrossendo leggermente, sembrano emozionate per un motivo che Sirius non riesce a cogliere finché Bessie lo raggiunge in tutta fretta, senza nemmeno lasciargli il tempo di provare un tuffo al cuore nel vedersela venire incontro. Lei però sembra non voler pensare ai loro problemi personali quel giorno, lo prende sottobraccio tirandolo via con un’espressione a metà fra l’esasperato ed il divertito, guidandolo verso la sacrestia. “Avanti!”, sussurra con decisione. “Sono tutti di là ad aspettarti!”
Sirius si sente il braccio a cui lei è appesa pesante come piombo, sente il cervello che gli va in tilt a riaverla di nuovo così vicina dopo tutto quel tempo, dopo tutto quell’amore, e avanza meccanicamente di qualche passo prima che il secondo mistero venga svelato, dopo l’entrata in ritardo facendo partire la marcia nuziale perché tutti pensavano che fosse la sposa che invece lo attendeva di là. Bessie gli dà un piccolo strattone senza che lui sia ancora riuscito a spiccicare parola, cerca di attirare velocemente la sua attenzione: “Sirius, per l’amor del cielo!!! Hai infilato la camicia nei pantaloni completamente sbottonata!!!”

La cerimonia è finalmente iniziata ed i bottoni della camicia di Sirius sono tornati al loro posto nelle asole, grazie ad un tempestivo intervento di Bessie che per puro e disinteressato spirito di precisione si è anche premurata di rimettere al loro posto con lunghe occhiate minacciose le ragazze che poco prima si erano emozionate nello scorgere parte del suo petto abbronzato. Sirius, nonostante tutto, nonostante la fine della loro storia, nonostante non si parlino da mesi e solo ora lei gli abbia rivolto la parola probabilmente per amore degli sposi, vorrebbe ridacchiare: lei gli fa quest’effetto, l’ha sempre fatto. Non osa, però... teme troppo la reazione di Lily per arrischiarsi davvero, così rimane composto al fianco di un James sudatissimo e con una faccia, come se stesse subendo un’interrogazione da parte della McGrannitt da nove ore filate! Soprattutto, un attimo dopo è un altro il pensiero che lo coinvolge totalmente, senza lasciare più spazio ad altro. Sirius si fruga nelle tasche, apre la giacca per controllare meglio sempre mantenendo una certa discrezione; mentre la ricerca infruttuosa si fa più concitata però, sbianca leggermente. Arretra di due passi senza farsi notare, al terzo però l’occhiata interrogativa di Bessie lo inchioda sul posto, spingendolo a tornare avanti; ma passano cinque minuti e ci riprova, ignorando con grazie l’espressione stranita di James che gli riesce a dedicare una coda dell’occhio preoccupata.
Sono il testimone dello sposo, maledizione!, si rimprovera. Vorrebbe solo stare lì a guardare Bessie quant’è bella, a pentirsi ed emozionarsi e voler tornare insieme a lei; a pensare a come fare per mandare all’aria la cerimonia per consolarsi della cattura del suo migliore amico, ed invece ora forse ha davvero questa possibilità... e l’idea non è delle più confortanti. Non l’idea della faccia di Lily, quantomeno. Sirius deglutisce.
Si avvicina a Lupin con cautela, parlandogli sottovoce dall’angolo sinistro della bocca.
“Se stai per chiedermi di ballare con te alla festa” lo precede l’amico “sappi che hai scelto un momento decisamente poco adatto. Senza contare che di norma io non ballo con gli uomini.”
Stupido!” lo insulta Sirius in un bisbiglio, cercando di pestargli un piede senza essere visto, il che è un po’ difficile anche per un mago abile come lui, dal momento che si trovano in prima fila.
“Che problema stai per chiedermi di risolvere, Sirius?” mormora lui ignorando il tentativo, con la flemma di chi è perfettamente abituato a questo genere di situazioni.
Sirius lo guarda, incerto sul metodo di approccio, poi gli bisbiglia qualcosa nell’orecchio.
“Ma sei fuori di testa?!” esclama Lupin senza più badare al fatto di trovarsi in chiesa. Gran parte dei presenti si volta a guardarlo, e lui mormora delle scuse imbarazzatissimo mentre Sirius torna a deglutire: gli occhi di Lily sono due fulmini diretti precisamente al centro della sua gola. Si passa due dita tra il colletto della camicia e la pelle, a disagio. Appena la cerimonia riprende si riavvicina al volto di Sirius, per bisbigliargli: “Cosa vuol dire che hai dimenticato gli anelli, e ora come pensi di fare?!”


* * *

Fotografia 110: Chiedimi di venire via con te.

“Allora è così?” chiede Bessie, e guarda Sirius di sotto in su con due occhi grandi che potrebbero mangiarselo. “Finisce qui? Loro si sposano e noi non stiamo più insieme?”
Sirius guarda ostinatamente il pavimento, non vuole pensare a James e Lily che stanno per sposarsi, non vuole pensare alle parole di Bessie; tiene gli occhi bassi, la mascella contratta.
“Senza neanche...” mormora lei, e la voce le si spegne prima che possa terminare la frase.
Senza che tu riesca a dirmelo in faccia.
Bessie stringe a sé un borsone che sembra più grande di lei, lo tiene come se ne andasse della sua stessa vita, come un ultimo appiglio contro l’affondo. Sirius segue con gli occhi i movimenti delle sue mani, il modo contratto di spostarle leggermente; osserva la linea delle cuciture della borsa, la decorazione infantile a personaggi inventati tinti di verde. Non si è mai fatto troppi scrupoli a lasciarsi con qualcuno, Sirius Black: una parola e via. In fondo, si era sempre detto, un giorno avrebbe trovato anche lui l’amore, quello vero, e allora se lo sarebbe tenuto stretto. Stretto come una borsa.
Di tutti i modi che non sarebbe mai riuscito ad immaginare, di certo il più stupido era al centro di una stanza, con una borsa gialla e verde a fare da estrema barricata.
Vieni via con me, Sirius.
La voce della ragazza lo coglie di sopresa, lo raggiunge un’altra volta a tradimento; in realtà, Sirius non ha mai pensato un solo istante di andarsene con lei. Voleva solo smettere di pensare a Bessie, togliersela dalla testa per un attimo, perché sentiva il peso di quella presenza costante ed importante. Vigliaccamente, voleva solo andare via da lei... pochi minuti, poi sarebbe tornato suo per sempre, più di prima.
Ma Bessie non è così. Non accetta compromessi, non è disposta ai ripensamenti, agli alibi. E adesso lo guarda come un cucciolo ferito, lo guarda come se fosse un estraneo.
Vorrei che mi chiedessi di venire via con te.
“Dove andrai?”
“Tonks mi ospita da lei, per il momento.”
È finita, Elizabeth ha smesso di combattere: il suo tono è duro e piatto, come una conversazione senza scopo. Sirius guarda il pavimento, si scosta i capelli dalla faccia con il gesto abituale che ha sempre fatto impazzire le ragazze. Fuori sta iniziando a calare la sera, forse Elizabeth avrà freddo: non è molto prudente che se ne vada in giro da sola.
Vorrei che mi chiedessi di venire via con te. Ma non saresti tu.

Elizabeth si chiude la porta alle spalle, ed una ciocca scura di capelli che rimbalza nel suo voltarsi è l’ultimo frammento che ha di lei. La frustrazione gli ricade tutta addosso come un urlo, in pochi minuti si sente come se fosse tornato il Sirius Black di Grimmauld Place, buio e sconnesso, più Black che Sirius. Si sente come se avesse appena perso.
Il suo lamento rabbioso è un ringhio che lo riporta alla coscienza ferina di Padfoot, lo spinge ad afferrare il tavolo con due mani, a scaraventarlo contro la credenza; in un attimo la stanza diviene teatro della sua furia, frantumandosi sotto il dolore sordo che di colpo lo contagia come una metastasi. Ringhia, Sirius Black, e fracassa i mobili ed ogni oggetto lì dentro che gli capiti fra le mani, fino a ritrovarsele piene di schegge.




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Capitolo 41
*** Natale, 41. ***


come sto maleeeehhhhhhh ç_ç°


Natale, 41.



Fotografia 111: Morgana.

Lily è seduta sul divano, accanto alla finestra; allunga le gambe cercando una posizione più comoda, mentre un raggio di luce calda finisce per posarsi proprio sulla promimenza della pancia. James la fissa rapito, la sfiora con una mano e poi le sistema i capelli, che ricadono morbidamente ad incorniciarle l’ovale un po’ più pieno del volto. Le si avvicina di più, baciandola sulla fronte. Poi ne dà uno anche a Bessie, con tenerezza. “Su, piccola” l’incoraggia. “Ci sarà bisogno di una zia iperattiva, non credere che ti lasceremo respirare!”
Bessie sorride, beccandosi anche una carezza sulla testa e gongolando come una bambina. Si sente bene fra loro, nonostante la tristezza. Sa che James sta pensando esattamente a questo, e non vuole più che le persone si rapportino a lei come “la-ragazza-che-non-sta-più-con-Sirius-Black-anche-se-sembrava-a-tutti-un-grande-amore”; scrolla il capo, rilassando le spalle e tirandosi dritta sulla schiena. Anche Lily le assesta un buffetto su una guancia.
“Si sistemerà tutto!”, le dice.

Lily ride, mentre James finge di parlare con la sua pancia portandosi le mani a cono intorno all’orecchio destro per ascoltare le risposte; sembra una bambina, per pochi istanti lontana da ogni pensiero di lotta o di sofferenza.
“Se sarà una femmina la chiameremo Morgana”, annuncia con orgoglio. Per affetto, Bessie le sorride timidamente.
“E’ un nome beneaugurante.”
“E’ un nome importante” insiste felice. “Invece se sarà un maschio...” esita, guardando verso il marito. “Harry.”
“...Harry?”
“Sì”, e lancia una seconda occhiata arresa verso James, che s’inalbera leggermente. Bessie ride; Lily ride.
“Il mio bambino sarà un grande mago comunque!” spiega convinta.

* * *


Fotografia 112: Due inviti.

Sirius rientra a casa cercando di fare meno rumore possibile, infila la chiave nella toppa con lentezza esasperante per uno come lui, ma appena scatta la serratura Bessie si precipita verso la porta, buttandogli le braccia al collo: “Sei tornato!”, esclama col tono di chi è stato in ansia per tutto il tempo. Lui la squadra con attenzione.
“Chi te l’ha detto?”, domanda infine.
“I Paciock. Ho incontrato Alice, stamattina... cos’avete dovuto fare?”
Sirius continua a guardarla, e non può reprimere un moto d’orgoglio nel constatare che la sua ragazza, anche mentre si preoccupa terribilmente, anche mentre ha la febbre e ti fa venire voglia di coccolarla, anche in quei momenti –pensa Sirius- è una guerriera.
“Dai, non mi guardare storto, Elizabeth... stavi male, non ti saresti potuto aggiungere comunque, così ho preferito evitarti l’ansia dell’attesa... era una cosa da nulla, abbiamo soltanto accompagnato il trasferimento del giudice Grey.”
“Il giudice Grey? Ma... dove?”
“Verso il Nord. Nemmeno noi lo sappiamo di preciso... soltanto Silente ne è a conoscenza, ed ha ritenuto prudente non rivelarcelo per via di quei sospetti di Moody su una talpa interna, sai...”
“Santo cielo” sospira lei, colpita da quel pensiero “Chi potrà mai essere, è terribile se ci... oh Sirius, ma tu sanguini! Che hai fatto alla guancia?”
“E’ solo un graffio, Elizabeth” si schermisce lui “ho strisciato contro un ramoscello camminando!”
“Vieni qui, siediti” gl’ingiunge lei. “Ora ci penso io a te”, aggiunge togliendogli il giaccone ed accudendolo con tenerezza. Sirius ha l’occasione di guardarla da vicino: non era molto soddisfatto all’idea di lasciarla sola in quelle condizioni, anche se sapeva che se la sarebbe cavata egregiamente, per un po’ di malessere.
“Sei pallida, Elizabeth” l’informa osservandole il colorito debole e le occhiaie a cerchiarle gli occhi.
“Sto bene.”
“Su, non tenermi il muso perché non hai potuto rischiare insieme a me l’osso del collo!”, ride poi.
“Dì la verità” replica lei con un luccichio sardonico negli occhi “Eravate tu e James, desiderosi di solitudine come si conviene a due piccioncini!”
“Sì”, conferma lui stando al gioco. “Non volevamo intrusi.” Bessie gli tira una ciocca di capelli per dispetto, ed il pensiero della sua bellezza la colpisce dritta al centro del cuore. È come un tuffo in acque troppo profonde. Gli guarda come i capelli incorniciano sbadatamente la faccia ribelle, così elegante nei lineamenti suo malgrado. È come un tuffo in acque più profonde di quello che uno credeva, pensa. Poi sorride.
Non finire mai.

“Inoltre” prosegue lui sul filo dell’ironia, di quei giochi di complicità che tanto spesso li uniscono “è inutile che ti lamenti... proprio tu parli, sei sempre stata la cocca di Moody, avrebbe portato sempre e solo te se avesse potuto, con la scusa della tua capacità di Emagus d’intuire le cose! Devo dire la verità, questa preferenza mi rende anche un po’ geloso!”
Continuano a scherzare, lei gli si avvicina sussurrando: “Cosa posso fare per rassicurarti?”
“Per esempio potresti preparare un bel bagno caldo con tante bollicine e farti trovare lì per me, pronta a farti mangiare...” ribatte lui mimando un morso ferino all’aria. Bessie però ha un giramento di capo, rovescia indietro gli occhi per pochi secondi, scivolando in avanti con la testa; Sirius la sostiene prontamente.
“Ehi, che succede?” esclama preoccupato.
“Va... tutto bene, scusa, è stato solo un tuffo...”
“Come?”
“Voglio dire” si corregge “è stato solo un momento, ma sto bene. Sto bene. Ora preparo il tuo bagno... come mi preferisci, nuda o senza vestiti?” domanda con malizia.
“Preferisco te.” è la risposta di Sirius che merita senz’altro un bacio come ricompensa.

“Ah, c’è della posta per te sul tavolo!” lo informa Bessie dirigendosi verso il bagno. Pochi minuti dopo lui entra nella stanza mentre legge la corrispondenza ricevuta, la camicia semi-slacciata, la sigaretta accesa, concentrato.
“Qualcosa d’importante?” chiede Bessie.
“Inviti.”
“Inviti?”
“E’ perché sono un Black, ogni tanto mi arrivano ancora di queste cose... mi offrono due posti riservati a teatro per una nuova rappresentazione, è un modo anche questo di farsi pubblicità.”
Bessie sospira lieve, sognante. “Sarebbe bello andarci, passare una serata in tranquillità.”
“Sai che non possiamo.”
Lei sorride mestamente. “Lo so”, dice soltanto. Sirius l’accarezza su una guancia, mormora con dolcezza immensa il suo nome.
“Piccola Elizabeth... sarebbe un rischio troppo grande sia per noi che per gli altri...”
Bessie annuisce.
“Un giorno andremo a teatro io e te, te lo prometto!”
Lei sorride un po’ di più, confortata dalla sua vicinanza, dal calore del suo corpo così complementare al suo ora nell’acqua. Lui la spruzza, giocano alla guerra, si mordono sulle braccia.
“Sai a cosa stavo pensando, Sirius?” lo invoglia lei con sguardo furbo.
“A che cosa?”
“Alla volta, ai tempi di Hogwarts, in cui mi hai cammuffata per aiutarmi a scappare dal concerto!”. Ride.
Non finire mai.


* * *


Bessie si era trovata tra le mani la foto di una bella ragazza dai capelli neri e ricci: sopra a pennarello una scrittura iperfemminile aveva segnato: “Love, Lloyd.” Aveva cercato di riporla nel mucchio imbarazzata, ma Harry l’aveva già intravista. “Chi è?” aveva domandato, evidentemente incuriosito.
“Questa... questa è...” aveva preso tempo lei ripetendo il tentativo di oblio. Era intervenuto Lupin a salvarla dalla situazione.
“E’ una mia ex ragazza.”
“Quella è una tua ex?!” aveva domandato Ron ammirato; George si era lasciato scappare un fischio, subito punito da un’occhiataccia di sua madre.
“Beh, sì... siamo stati insieme per poco tempo, però. Lei era più grande di me e forse per questo non poteva funzionare... ma siamo rimasti in buoni rapporti.”
“Tanto buoni che ti sei messo con la sorellina!”, aveva specificato Bessie con un ghigno. Lupin aveva sospirato esasperato.
“Eh?” aveva domandato Harry con gli occhi che gli schizzavano dalle orbite. “Davvero?!”
“Già.”
George aveva dato il via ad un secondo fischio, incurante del parere della signora Weasley. “E noi che ti credevamo un bravo ragazzo...”
“Sepolcri imbiancati, ecco cosa sono!” aveva borbottato lei passando di lì con un dolce gigante tra le mani. Tutti avevano riso di gusto.
“E con lei come mai vi siete lasciati?” aveva chiesto ancora Harry, mettendo a dura prova la proverbiale discrezione dell’uomo.
“Solo perché lei è andata a vivere lontano da qui” aveva spiegato Bessie precedendolo, con tono finto-lamentoso. “Altrimenti sarebbero ancora rose e fiori... povero Remus, ti si è spezzato il cuoricino, eh?” scherzava accarezzandogli la testa come per consolarlo; anche se parlava con il tono di un’ottava più alto del solito, aveva pensato Harry. Stranezze da Emagus. L’anno prima in fondo si era profusa in imitazioni varie... l’anno prima. Quando c’era Sirius.


* * *


Fotografia 113: Questione d’importanza.

Lupin siede su un masso in bilico davanti alla riva del lago di Hogwarts, mentre parla con la sua ragazza. Lloyd scuote la grande massa luminosa di capelli neri, ed è davvero bella sotto quella luce riflessa.
“Cos’hai intenzione di fare?”, domanda lei.
“Lo sai.”
“Ci hai pensato, sei sicuro delle conseguenze?”
“Sì. È una cosa importante, Lloyd.”
“Lo racconterai a lei?”
“Mi fido di Eliza. Voglio che lo sappia.”
Lloyd sorride come una sirena tentatrice. “Potrei ingelosirmi, lo sai?”
Lupin però non ride, rimane serio a pensare a ciò che deve fare. Lloyd allora gli accarezza le spalle affascinata, gli si appende da dietro, baciandolo sul collo tra la nuca e l’orecchio.
Lui si stacca imbarazzato. “C’è gente!”, protesta.
Lei mette il broncio, tornandogli davanti. “Allora, glielo dirai?”
Lupin si alza per andarsene. “Sì” ribadisce semplicemente.
“Se tu ne sei sicuro, a me va bene.”
“Sono sicuro. Eliza è importante, Lloyd.”
“Ok.”
E appena lui le dà le spalle, lei lo colpisce con un duro schiantesimo, facendolo finire a terra con la faccia all’ingiù.


* * *


“...In buoni rapporti, sì” aveva borbottato Lupin. “Almeno fino a quando lei non si è rivelata essere una spia di Voldemort.”


* * *


Fotografia 114: Fughe.

Bessie è nel suo camerino, l’acconciatura ed il trucco sono pronti, ormai deve solamente infilarsi il vestito, che riposa lì accanto sulla spalliera di una sedia. Osserva le sue maniche a sbuffo celesti, le sfumature che tendono al blu lungo la gonna. Anche stavolta ha quasi fatto impazzire la signora del negozio di Hogsmeade, povera donna. Bisognerà che la ringrazi in qualche modo.
Ora è il momento di rilassarsi, esercitare la voce e trovare la sintonia necessaria. Bessie respira a fondo, guardandosi allo specchio. È sola: a nessuno è permesso entrare nei camerini degli Emagus in quel lasso di tempo, non possono interrompere l’empatia che devono creare. Bessie è completamente nuda, scioglie una ciocca di capelli che si srotola lungo la schiena solleticandole la pelle: pensa che la lascerà così, libera.
“Almeno tu”, mormora.
Sospira, Bessie: ama cantare, ma le formalità proprio non le si addicono. Ama essere un Emagus almeno quanto odia doverlo dimostrare. Non osa esprimere il suo rammarico a voce alta, ma in quel momento darebbe qualunque cosa per trovarsi da tutt’altra parte, anche un esame andrebbe bene.
Deve restare sola, ma le piacerebbe chiamare qualcuno, in realtà; non Sirius o James e neanche Tonks, loro fanno sempre troppo casino. Remus. Vorrebbe Remus. Lui saprebbe starle accanto con la sufficiente tranquillità e discrezione per calmarla... in effetti, in quel momento le servirebbe proprio, perché non si sente molto pronta per donare serenità e bellezza ai cuori della gente. Dì la verità, Elizabeth, s’impone. Non è questione di molto o poco... tu non sei pronta affatto.
Un ultima sbirciata allo specchio prima di vestirsi, e Bessie scopre di non essere più sola.
“Sirius!” esclama, e istintivamente cerca di coprirsi con un telo adagiato lì accanto.
“Ti ho vista molto più nuda di così, perbacco” ribatte lui perplesso, sollevando un sopracciglio.
“Sciocco!” ribatte lei, legandosi il lenzuolo attorno al corpo. Sei proprio un ragazzo, pensa ridendo. “Che ci fai qui? Se ti trovano saranno guai, lo sai Sirius.”
“Oh, ma non mi troveranno! E non troveranno nemmeno te!”
“Sirius, cosa stai... che cos’hai lì?”
Lui mostra il borsone che teneva in mano, da cui sbucano alcuni vestiti suoi: in particolare una felpa nera ed un paio di jeans. Subito dopo le mostra anche una parrucca, con sguardo invitante.
“A cosa stai pensando, Sirius?”
“Lo so che non vuoi cantare, Elizabeth.”
“Non c’è modo di evitarlo.”
“Sì che c’è!”
“Tu sei pazzo!”
“Oh, sì. E tu lo sei abbastanza per seguirmi.”
“Non posso indossare quel maglione Sirius, è nero!”
“Appunto! A chi verrà mai in mente che sotto questi abiti scuri possa nascondersi un Emagus?”
“Se mi prendono, mi uccideranno!”
“La mia moto è più veloce di loro.”
“Oh Sirius, è impossibile. Tutto questo è una follia!”

Quando Sirius si piazza davanti ai suoi amici, subito James non capisce chi sia la biondina al suo fianco. È Lily la prima a parlare, esterrefatta. “Dio, non è possibile... ditemi che non è vero...”
James sorride raggiante. “Sapevo che l’avresti fatto!”
James, Lily, Tonks, Remus, tutti si pongono intorno a loro per capire o parlare o guardare contemporaneamente, finché Tonks con aria svagata li interrompe.
“Uhm, sapete” fa notare “qualunque cosa decidiamo di fare, ho l’impressione che ci stiamo attardando un po’ troppo.”
Si guardano, e l’istante dopo Sirius ha preso Bessie per mano e insieme a lei corre a perdifiato, alle loro spalle è un’esplosione di gambe e di colori e di grida; come un branco impazzito travolgono ogni ostacolo, dirigendosi assolutamente verso l’uscita.



115.
Bessie aveva richiuso la scatola con una mossa delicata ma decisa, sospirando sollevata subito dopo come se fosse appena sfuggita ad un nemico temibile o ad un mostro. “Per oggi direi che è abbastanza.”
Harry a dire la verità avrebbe continuato per delle ore, ma non aveva osato chiederlo. La signora Weasley inoltre ne aveva approfittato per iniziare a spreparare in modo da spedirli tutti quanti a letto entro breve.
“Coraggio” incitava “che Natale è passato!”
Quando Bessie era entrata nella sua stanza per riporre il suo piccolo tesoro, aveva sentito un odore che conosceva; la pipa del vecchio, aveva pensato. Ma com’era possibile?
Lo aveva incontrato una sola volta, e lui sembrava conoscerla, d’accordo... ma come avrebbe potuto entrare lì dentro senza che nessuno di loro se ne accorgesse?
Soprattutto, come avrebbe potuto trovare Grimmauld Place se non informato da Silente stesso?
Bessie aveva scosso la testa. È impossibile. Eppure avrebbe giurato...

Quand’era tornata dagli altri appariva decisamente strana: rideva continuamente in modo scomposto, sembrava drogata da qualcosa. Lupin si era alzato subito in piedi, istintivamente volendo dominare la situazione pur senza agire. Bill aveva chiesto alla ragazza cosa le fosse preso, ma lei si esprimeva con un risolino costante; poi aveva scorto lo sguardo fisso di Lupin, e allora si era calmata. Aveva raccontato che quand’era nella sua stanza aveva pensato che era Natale un’altra volta, ricordando quando si vestiva da spiritello natalizio per la ricorrenza, e appena si era vista allo specchio aveva notato di essere addobbata esattamente nello stesso modo!
“E’ incredibile, insomma... non so come mi fossero piovuti addosso quei vestiti, forse uno scherzo-regalo di Dora, che si sente in colpa per essere lontana!”
A quanto pareva si era poi spostata per guardare fuori dalla finestra, ma quando era tornata a specchiarsi non era più riuscita a vedersi, come se fosse diventata di colpo invisibile. Aveva riso di nuovo.
“Mi era preso un colpo, non capivo se ero diventata matta!”
Poi però –diceva- aveva scoperto di trovarsi solo di fronte ad un’altra finestra. Aveva guardato Lupin.
“Grazie per il regalo, Remus.”
Lui le aveva sorriso, senza smettere però l’espressione preoccupata, e lei gli si era aggrappata al braccio, trascinandolo a sedere con sé sul divano; aveva sorriso soddisfatta.
“Con te mi sento a casa, Remus. è come se fossi la mia famiglia...”
Ron aveva sghignazzato: “Tra un po’ inizierà a chiamarti MAMMA”, aveva apostrofato l’uomo. Harry, invece, si era avvicinato con aria scherzosamente severa ai due.
“Non bisogna mai dire ad un uomo che per te è come un fratello, o un padre, Bessie...”
Lei gli aveva risposto con una linguaccia: “Ed un figlioccio?” l’aveva canzonato.
“Rischi di ferire i suoi sentimenti senza accorgertene.”
“Ma sono i sentimenti di Remus!”, aveva obiettato lei con convinzione. Lupin si era lasciato scappare un singhiozzo, come se non avesse digerito.
A quel punto la signora Weasley ne aveva approfittato con più decisione per mandare tutti a dormire, sfruttando come esempio l’evidente stanchezza di Bessie. Era tornata poco più tardi per spegnere tutte le luci nel momento in cui la casa si era fatta ormai silenziosa, ed aveva trovato Lupin seduto sul divano mentre rigirava fra le mani la cartolina di David per Bessie.

* * *


Bessie si trovava nel reparto segreto del San Mungo, dopo l’attacco di Bellatrix Lestrange di cui era stata vittima. Mentre alcune guaritrici si occupavano di farle il bagno, si era ripetuta la stessa scena che l’aveva vista protagonista a casa di Tonks, molto tempo prima: si era sollevata in aria come preda di una forza invisibile, trascinando con sé acqua e schiuma in un vortice che le aveva tolto l’aria, costringendola nonostante il coma a portarsi le mani alla gola, dimenarsi, urlare.
Erano accorsi Tonks e Kingsley, Moody, e Sirius poco dopo.
“Dove sono Lily e James?” aveva domandato la ragazza.
“Staranno arrivando” aveva replicato Sirius “lo sai che sono nascosti... nemmeno Peter c’è ancora!”
“Va bene, allora noi intanto organizziamoci sul da farsi.”
“Sicuri? Già... così?” aveva obiettato Kingsley, pacato nonostante l’evidente agitazione che imperversava per tutto il reparto.
Moody gli aveva scoccato un’occhiata torva. “Ricordi il primo episodio, Shacklebolt? Questa volta potrebbe essere più grave” aveva aggiunto voltandogli le spalle. “Dov’è Lupin?” si era informato successivamente.
“Non lo so”, aveva replicato Sirius, molto serio. I due uomini si erano guardati eloquentemente.
“Sirius, cosa stai...” era intervenuta Tonks, basita. “Non pensarlo nemmeno!!! Capito, Sirius?!”

Dopo un po’ gli assenti non si facevano vedere, e nonostante i tentativi di dissimulazione gli altri iniziavano a sentirsi tesi... Tonks accarezzava il viso di Bessie, sperando che servisse a calmarla, e Sirius camminava nervosamente senza riuscire a fermarsi nonostante i ripetuti richiami di Moody, che cercava di concentrarsi per decidere cosa sarebbe stato meglio fare in quel frangente.
Improvvisamente, Bessie aveva spalancato gli occhi e Tonks aveva urlato agli altri di guardarla: lei si era portata le mani alla gola una seconda volta, come se stesse soffocando. Aveva gli occhi sbarrati.
“E’ come... l’altra volta?” aveva chiesto Kingsley, incerto.
Tonks aveva gli occhi ridotti a due fessure: “Peggio”, aveva bisbigliato.
Bessie intanto si era alzata a sedere sul letto, non davvero cosciente, mossa da qualcosa di incomprensibile. Aveva schiuso le labbra che apparivano particolarmente aride, come cercando di dire qualcosa, ma una filo di voce era fuoriuscito soltanto dopo numerosi tentativi.
Harry”, aveva mormorato soltanto.

* * *


Bessie si era svegliata con il cuore in gola. Sapeva cos’aveva sognato. Lo sapeva.
Harry”, aveva bisbigliato anche nella realtà. Ecco perché. Ecco perché loro due erano in qualche modo legati, lui vedeva i suoi sogni. Subito dopo, lo sapeva, nella scena che aveva rivisto sarebbe sopraggiunto Remus annunciando la morte di Lily e James.
È stato l’amore di tua madre, Harry.
Un giorno mi piacerebbe spiegartelo.

Si era alzata, andando a raggiungere la finestra: l’aveva poi spalancata lasciando che l’aria fredda della notte invernale le agitasse la veste facendola somigliare ad un fantasma sottile.
Questa finestra me l’ha regalata Remus.
Lui mi sta vicino sai, Sirius. Non devi preoccuparti per me.

Aveva ripensato a Lily, al suo sorriso, al suo modo straordinario di starle vicina anche solo agitando la chioma rossa. E James, James che odiava con tutto il suo cuore prima di conoscerlo, e invece poi...
Sirius, come ti sei sentito quando ti hanno annunciato la loro morte? Non ero nemmeno al tuo fianco per aiutarti.
Aveva ripensato alla festa di matrimonio di James e Lily, Bessie. Ai due sposi raggianti come due fiori raggiunti dall’acqua. Perfino Remus si era vestito in modo elegante per l’occasione, e Tonks aveva i capelli ancora più squillanti del solito.
Ricordava che Sirius ad un certo momento l’aveva raggiunta per dirle qualcosa.
“E’ stato meglio così” l’aveva preceduto lei con un gesto ed un tono volutamente noncuranti “Se mi avessi combinato una scena del genere al nostro matrimonio, Sirius, ti avrei ucciso!”
Lui, però, sembrava non avere nessuna intenzione di desistere, e lei aveva sentito la forza di volontà cedere leggermente a livello delle ginocchia. Quante volte avevano litigato, loro due, specie da quando erano andati a vivere insieme! Avevano litigato per ogni piccolezza, ad ogni minuto, ed altrettanto intensamente si erano amati senza riuscire a farne a meno in alcun modo. Si amavano ancora, lo sapeva. Ma non voleva saperlo.
“Torna con me”, le aveva proposto lui a bruciapelo. Bessie l’aveva fissato.
“Scappiamo di qui. Insieme.”
“E’ il matrimonio di Lily e James, Sirius.”
“Resisterai fino alla fine con quel vestito?”
Lei aveva ridacchiato nervosamente.
Dei del cielo, aiutatemi! “Lo faccio per loro.”
Avevano litigato così tante volte che Bessie aveva perso il conto quasi subito. Ogni volta lei minacciava di lasciarlo, preparava le valigia per andarsene: ogni volta però, lui riusciva a trovare il modo giusto per ricordarle che non sarebbe mai potuta fuggire dai suoi sentimenti per lui. L’amore, quello non era mai stato messo in discussione. Forse in fondo Sirius non aveva mai creduto che lei avrebbe potuto farlo.
Il giorno in cui se n’era andata l’aveva guardata sgomento come un bambino che viene abbandonato dai genitori.
“Vieni via con me.”
“No.”
“Vieni via con me, Elizabeth.”
“No Sirius, no!”
“Ma noi siamo fatti per questo!”
“Lasciami in pace!”
“Non mi dire di no solo per liberarti di un pensiero scomodo o che ti fa paura.”
“Ti prego, Sirius, non voglio...”
“Vieni.”
Bessie aveva arrancato, sfinita, aveva sentito lacrime di disperazione salirle agli occhi. “BASTA!”
Un paio di invitati si erano voltati a guardare cosa stesse succedendo, ma Sirius non aveva fatto caso a nient’altro che non fosse lei. L’aveva guardata dritto negli occhi, intensamente, mentre riprendeva ad incalzarla tanto infervorato che gli si erano inumiditi gli occhi.
“Non mi dire di no solo per mandarmi via perché adesso l’idea di rimetterti in gioco ti fa paura... dimmelo solo se davvero lo pensi, Elizabeth.”
Lei aveva respirato a fondo per calmarsi, aveva cercato un appiglio qualsiasi finendo per afferrare la ringhiera delle scale alle sue spalle. Poi aveva ricacciato indietro le lacrime, riflettendo e rialzando lo sguardo verso di lui con una serietà dura.
“No.” aveva sussurrato.
Quella volta, Sirius aveva strappato la catenina di Andromeda che portava al polso come un braccialetto e che Bessie non gli aveva mai visto togliere. L’aveva gettata a terra, lasciandogliela lì, ai piedi, mentre se ne andava.
Sirius...
Era tornata a guardare dalla finestra, cercando di distinguere l’esterno tra il buio fitto che le impediva di vedere davvero. Sarebbe mai riuscita a non ricollegare a lui tutto quanto?
Sarebbe mai riuscita a smettere di amarlo?
Ora.
Sirius in moto, Sirius che la rincorre, Sirius che la bacia fino a toglierle il respiro.
Per sempre.
Sirius che litiga con lei, che non si lascia avvicinare. Sirius che alza la bacchetta. Sirius che la prende in braccio facendola volare in alto. Aveva voglia di piangere, Bessie.
Grazie.



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Capitolo 42
*** Natale, 42. ***


Non so quando guarirò... so solo che la settimana prossima voglio tornare attiva perché nno ce la faccio più >_< ho questa cavolo di malattia da neonati ed è... argh! in più tra poco è periodo di esami e questo semestre vorrei darne un bel po'... porca miseria... mixky, sei sempre troppo buona con me, davvero... *_* manny, è una coincidenza strabiliante!!! c'è qualcosa di magico nell'aria!!! nel senso: io non seguo una mamma x amica, nno l'ho mai seguito, una volta tempo fa però mi è capitato di seguire una puntata, quella puntata, e mi sono fatta spiegare da una ragazza l'ambientazione... insomma, mi sono innamorata di quella scena e ho deciso che sarebbe stata mia *_* (ehe, sono una ladra >_>) ma le cose che posto generalmente non sono state appena sritte, anche quella di ieri l'ho scritta settimane fa, e il fatto di averla postata proprio ieri O.O wow, sono una maga? o forse quel telefilm è il mio destino? ok ok, inizierò a seguirlo >_>" ora iniziamo col lavoro.

Natale, 42.



116.
La mattina del 26 dicembre era giunto un pacco di dimensioni consistenti per Bessie: mentre Ron aveva sbuffato perché non era lui il destinatario, Ginny si era dimostrata preoccupata. “Non si sa mai...”
Il signor Weasley era passato di lì in quel momento e, informato dalla figlia sulla causa di quelle smorfie, l’aveva spalleggiata spiegando a Bessie che desiderava che lei quantomeno stesse attenta.
“Non può essere un Mangiamorte, Arthur” aveva replicato lei allegramente. “Loro non sanno che sono qui, e Lucius Malfoy è ad Azkaban! Deve trattarsi del regalo di Tonks, magari mi spiegherà la faccenda del vestitino di ieri sera... a proposito, non mi ha proprio voluto spiegare perché non si è fatta vedere alla Tana... qualcuno conosce il motivo del suo cambiamento d’umore?”
Ron ed Harry si erano guardati, restando in silenzio; non ricevendo risposte convincenti Bessie si era appartata in un angolo del soggiorno per svelare il mistero del suo regalo ritardatario, e per un momento dopo il fruscio della carta la stanza era rimasta preda di uno strano silenzio. Poi aveva emesso un suono strano, come un singulto per aver mangiato troppo in fretta: un tremito l’aveva percorsa lungo la schiena, mentre sussurrava atterrita di chiamare Lupin.
“Come?” aveva domandato Ron. Lei si era voltata bruscamente verso di lui.
“REMUS!”, aveva quasi gridato. Ginny si era precipitata a raggiungerlo in giardino, dove stava provando alcuni incanti particolari con Fred e George, e lui accorrendo aveva trovato una Bessie molto pallida che tremava come una foglia e gli indicava la grossa scatola da cui stava uscendo un molliccio.
Lupin si era avvicinato prontamente per affrontarlo, ma era stato preceduto da Harry, il quale l’aveva sistemato senza davvero difficoltà; Lupin l’aveva guardato ammirato, complimentandosi con lui, ma era stato un attimo perché il suo pensiero principale era comunque rivolto a Bessie. Le si era avvicinato, stringendole un braccio intorno alle spalle per calmarla, quasi cullandola e mormorandole alcune parole con tono dolce.
“Sssht...”, diceva. “E’ stato uno scherzo, solo un brutto scherzo Eliza. Non ci sono riusciti. Quella scena, non dovrai vederla mai più.”
Lei però gli aveva porto il biglietto ricevuto insieme al pacco, e quando lui l’aveva velocemente scorso aveva letto l’ennesimo messaggio di un nome che entrambi avrebbero preferito dimenticare.


*Per ricordo.
B.L.*


Lestrange!”, aveva ringhiato Lupin fra i denti. Harry vedeva che era infuriato ma si tratteneva per non esasperare la situazione già tesa: aveva portato Bessie in camera, restando con lei finché non si era addormentata; soltanto due ore dopo era sceso a mangiare qualcosa. In casa c’era anche Moody, che aveva saputo ed era venuto a controllare.
“La piccola sta bene?” aveva domandato, e ad Harry era venuto da ridere: se non fosse stato per il sonno magico Bessie avrebbe avuto trentasei anni, ma per loro continuava ad essere la piccola.
Una volta rassicurato, Moody aveva domandato che gli mostrassero il molliccio, perché avrebbe potuto anche rivelarsi un indizio utile. Mentre si allontanavano dagli altri gli aveva chiesto fra i denti: “Lupin, tu questa notte devi tornare alle caverne, no?”
“Sì” aveva replicato lui di malumore.



117.
Bessie si era svegliata sentendosi le palpebre immensamente pesanti, non riusciva a sollevarle; nella stanza aveva riconosciuto la voce di Molly Weasley domandare preoccupata perché non si riprendesse. Era stato Lupin a rassicurarla spiegandole che la causa era lo shock, le era scesa di colpo l’adrenalina e per questo era normale che dormisse. Lei allora era uscita, ed erano rimasti soli lui e Bill.
“Dovresti dirglielo, Remus.”
“Di che parli?”
“Oh, andiamo! Non sono ancora cieco del tutto.”
Lupin aveva scosso il capo: “Non... non...”
Bill gli aveva sorriso, lui aveva provato a ridacchiare ma nervosamente. “Non è così.”
“Sì che lo è, stai solo ingoiando quello che senti per senso del dovere nei confronti di Bessie!”
“Io non...”
“A dire la verità agisci sempre in base al tuo senso del dovere, ma questa volta è diverso. Se provi qualcosa per lei, devi dirglielo.” Bill aveva scosso i capelli, sciogliendosi la coda e lasciando che gli ricadessero intorno al volto. “E’ ora che tu provi ad agguantare quella felicità che ti spetta di diritto. Smetti di farti carico degli altri tanto da non riuscire a muoverti, Remus!”
“Tonks... me lo diceva.”
“Vedi? Lei lo vuole.”
Bessie ascoltava senza osare aprire gli occhi, o muovere un muscolo. Avrebbe voluto guardare Lupin negli occhi e come sempre sentirsi rassicurata dal suo sguardo, l’avrebbe voluto disperatamente.
Dev’essere la costante della mia vita. Io... sono un peso per tutti?
Sirius ha rinunciato alla sua vita per starmi accanto, ed ora anche Remus... per me?
“Basta nasconderti, Remus.”
“Non è... così semplice, Bill!”
“Lo sarà sempre meno, se continui a farti da parte in questo modo!”
“Come posso... competere?”
Bill aveva scosso la testa, deciso. “Se l’ami, devi darle la possibilità di scegliere.”
Lupin, però, si era preso la testa fra le mani con aria affranta. “Non posso!” aveva esclamato, dimentico di Bessie che dormiva nella stessa stanza. “Se avesse voluto, avrebbe potuto capire anche solo guardandomi!”
“No.”
“Perché?” aveva quasi supplicato lui.
“Perché lo nascondevi anche a te stesso.”
Devo lasciarti andare, Remus.


* * *


Bessie aveva finto di svegliarsi pochi minuti dopo, liquidando in fretta le preoccupazioni di chi voleva sapere come si sentisse; aveva addotto il pretesto di un forte mal di testa per rimanere da sola e al buio, ma Lupin non l’aveva mollata un attimo. Pur senza parlarle o farle pesare la sua presenza, si era seduto lì accanto al buio, senza muoversi. Lei alla fine aveva sentito lacrime di rabbia salirle dal cuore, era sbottata quasi urlandogli di non starle così appiccicato.
Vattene, Remus!
Non è qui il tuo posto.
Lupin si era alzato in silenzio, lasciando andare un lungo sospiro. Aveva acceso la piccola luce che Bessie teneva sul comodino, sorridendole un po’ mestamente. Le aveva accarezzato i capelli, mormorandole soltanto “Ti stanno davvero già ricrescendo, Eliza” prima di abbandonare la stanza.
Non essere buono con me, Remus...




< Da un'ora sono seduta qui, pensando che ti voglio parlare
e questa via della città certo non è il modo ideale:
passa tanta gente e se in mezzo ci fossi tu
se mi passassi accanto, io ti sentirei.
Amore mio dove sei, non pensi che io sono qua...
Mi farò ancora più piccola se non sarai qui con me.
Amore lontanissimo
ma qui, con me. >

Antonella Ruggero – Amore lontanissimo.




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Capitolo 43
*** Hogwarts, 43. ***


Hogwarts, 43.



118.
Il viaggio in treno era stato una maschera d’angoscia per Bessie: da quando aveva salutato Lupin, giorni prima, non aveva mai smesso di chiedersi quale fosse l’atteggiamento migliore da tenere nei suoi confronti. Che cosa doveva fare? Dal giorno in cui aveva origliato la conversazione tra lui e Bill la sua testa non aveva smesso un attimo di gridare.
Dovresti essere felice, Remus.
Aveva dovuto salutarlo senza sapere quando l’avrebbe rivisto, e come. Aveva dovuto salutarlo come si fa con un conoscente, anziché con chi rappresenta la maggior parte della tua vita in quel momento.
Non voglio che la tua vita sia una stanza vuota.
Nemmeno se è ciò che aspetta me.
Era rimasta con il viso appoggiato al finestrino fino a farsi comparire un segno rosso sulla fronte, senza nessuna intenzione di scambiare due parole con Harry, che la fissava mezzo all’erta e mezzo impegnato a gestire Neville e Luna. Cosa doveva fare?
Cos’avrebbe dovuto fare?
Era lui quello esperto nelle scelte giuste, lei era sempre la solita disastrosa e anche questa volta non si sentiva da meno.
Ad interrompere le sue riflessioni, il carrello dei dolci aveva raggiunto il loro scompartimento annunciandosi con il caratteristico campanello; Harry si era alzato prontamente per rifornirsi in modo adeguato, come d’abitudine, ma lei stancamente aveva fatto cenno di non volere nulla. Il ragazzo l’aveva guardata con tanto d’occhi.
“Tu... che rifiuti i dolci?” aveva obiettato, sbalordito. “Belle, ti senti bene?”
“Non essere sciocco, Harry.”
“Ma io dico sul serio! L’ultima volta che ti ho vista rifiutarne è stato... l’estate scorsa...” si era fermato prima di parlare troppo, guardandola soltanto.
Quando Sirius è morto. Quando hai smesso di mangiare.
“Sono solo un po’ stanca, Harry.”
Poverina!”
Quella voce sgradevole aveva fatto irruzione nello scompartimento appena la signora dei dolci si era allontanata, portando in dono ai visitati un senso di nausea e di oppressione.
“Che vuoi, Malfoy?”
“Attento a come parli, Potter: devo ricordarti che il punteggio della tua casa è nelle mie mani essendo io un prefetto?”
“Scorciatoie da conigli” aveva borbottato Bessie. Malfoy le si era rivolto scostando i capelli biondissimi come quelli dei genitori, glaciale.
“Come hai detto scusa?”
Lei l’aveva fissato a sua volta, tranquillamente. “Ti ho dato del coniglio. Oddio, scusami!!!” si era corretta subito dopo con sincero dispiacere, battendosi una mano contro la fronte come per una dimenticanza. “Devo essermi confusa. Furetto, mi avevano detto che era un furetto.”
Harry, Neville e Luna avevano sghignazzato a quel ricordo e ai modi di Bessie mentre Malfoy, livido di rabbia si era rivolto di nuovo ad Harry con tono che voleva essere derisorio nei confronti di tutti e quattro: “Complimenti, siete proprio due belle coppie! Soprattutto quella composta da una scema che non sa distinguere il falso dal vero e da uno sfigato figlio di due incapaci--“
Bessie si era mossa prima ancora che Neville ed Harry potessero reagire, lanciandosi contro di lui: gli si era posta davanti, con gli occhi che fiammeggiavano. “Non te lo permetto!”
“Che cosa?” aveva replicato lui con un sorrisetto che non aveva fatto che aumentare la sua rabbia. Dietro di lei, Harry e Neville scalpitavano sbuffando; soltanto Luna sembrava non essersela presa, forse perché tendeva a non preoccuparsi troppo delle opinioni altrui e poi evidentemente non aveva potuto riconoscere il riferimento ai coniugi Paciock.
“Sai perché non ti dico di guardarti le spalle, Malfoy? Lo sai?! Perché io” aveva proseguito senza lasciargli il tempo di cercare una risposta “ed anche loro” aveva aggiunto indicando i due ragazzi “quando ti attaccheremo per distruggerti, lo faremo guardandoti in faccia!”
Malfoy aveva respirato pesantemente, avvicinandosi al suo viso fino a fissarla da pochi centimetri di distanza con disgusto. Le aveva ricordato l’atteggiamento di suo padre in modo insopportabile, ma Bessie non si era lasciata intimidire ed aveva proseguito. “Non ci servono le tue subdole manipolazioni Malfoy, noi abbiamo il coraggio! Qualcosa che tu non capirai mai.”
Malfoy aveva provato a ridacchiare, senza che il risultato fosse granché confortante. “Bella davvero la tua nuova ragazza, Potter” aveva replicato allora andandosene “Almeno questa qui non puzza e non è di sangue misto!”
Bessie aveva afferrato Harry per una braccio prima che lui potesse reagire, cercando di seguirlo per tutto il treno.
“Non ne vale la pena.”
“Ma è... lui ha...”
“Non è peggiore di suo padre, te l’assicuro” aveva commentato con una smorfia. “E poi ormai è andato, seguirlo significherebbe cadere in trappola.”
“Ma io devo--“
“Ficcati una gelatina in bocca, Harry!” aveva replicato allora lei spazientita, mentre Luna continuava a godersi la scenetta. Harry l’aveva fissata con attenzione: sembrava decisamente nervosa da quando erano ripartiti. Lei con noncuranza si era rivolta a Neville, che sembrava non riuscire a trovare un modo per nascondere i propri sentimenti.
“So che i tuoi genitori sono delle gran persone” l’aveva consolato con dolcezza. “Lo so” aveva aggiunto poi di fronte al suo scetticismo e agli occhi allarmati. “Sono dei Grinfondoro... come lo sei tu.”
Subito dopo era tornata a guardare fuori dal finestrino tagliando così i ponti con ogni tipo di comunicazione, ed alcuni minuti più tardi si era addormentata – o aveva finto di esserlo.

Aveva pensato a suo padre, Bessie: da piccola lo vedeva come un mago, ma non nel senso classico del termine (insomma, lui era un mago!) bensì con la meraviglia dei bambini che scoprono ‘poteri’ insospettati negli adulti. L’aveva sempre creduto capace di qualsiasi cosa; per questo era sicura che sarebbe tornato.
Crescendo, certo, aveva intuito che ‘fuori’ doveva essere diverso, ma non se n’era preoccupata più di tanto perché lui era lì; dopo, aveva sempre cercato una vita che gli somigliasse. Delle persone, dei luoghi che la facessero sentire allo stesso modo.
Probabilmente se fosse rimasto avrebbe iniziato a restare sveglia per guardare la luna con lui.
Cosa devo fare, papà?
Suo padre era sempre stato il suo eroe. Era ingiusto che fosse morto così, di una banale malattia: proprio lui, se doveva lasciarla avrebbe almeno dovuto avere l’occasione di dimostrare che era il migliore di tutti! Il mondo era pessimo.
Se Remus è innamorato, cosa devo fare?
Ho paura di perderlo.



119.
Una volta rimesso piede a terra Kim le era corsa incontro, soffocandola in un abbraccio entusiasta.
“Come stai? Mi sei mancata!” le aveva gridato tutto d’un fiato. Bessie aveva sorriso.
“Anche tu mi sei mancata, Kim” e mentre lo diceva aveva pensato che era vero.
Vociando si erano dirette verso la scuola insieme agli altri, raggiungendo i dormitori per sistemare i bauli e raccontarsi vicendevolmente le vacanze; Kim le aveva portato una collana di perline colorate: “L’ho fatta mentre ero a casa, per te!”
“Oh, ma non dovevi... io non ti ho portato nulla...”
“Non importa, non l’ho preparata pensando di avere qualcosa in cambio.”
“Tu... sei fantastica, Kim! Spero con tutto il cuore che con Thomas vada bene, anzi ne sono sicura!”
Lei era arrossita, domandandole di David per cambiare argomento.
“Dopo che l’hai raggiunto alla festa... non me ne hai più parlato, è andata bene? Dimmi tutto, dai!”
“Io...” aveva esitato lei “non saprei, cioè... forse c’è qualcosa di strano.”
“Strano? Strano come?”
“Strano strano.”
“Non ti seguo, Belle!”
“Facciamo così: tu in questi giorni vedi se c’è qualcosa di diverso e me lo riferisci, d’accordo? Perché io non so proprio come sia!”
“Uhm, ok” aveva mormorato lei perplessa, cambiandosi. Mentre infilavano il pigiama le aveva chiesto se avesse sentito dei genitori di Cynthia Palmer, che erano finiti al San Mungo a causa di un attacco di Mangiamorte. “Maledetto Tu-Sai-Chi!!!” aveva ringhiato.
“Voldemort.” aveva replicato pacatamente, ma seria, Bessie. Kim era rabbrividita nel sentir pronunciare il suo nome, e allora Bessie aveva parlato di nuovo.
“Siamo Grinfondoro, Kim: noi guardiamo in faccia il nemico prima di combatterlo!”
Lei l’aveva guardata. “Hai... ragione.”



120.
Il giorno dopo in sala comune aveva rivisto David dopo tutto quel tempo, ed era stato tale il sollievo nel guardarlo negli occhi e non leggervi nulla se non amicizia, né Remus né Sirius né Voldemort (almeno non direttamente), che istintivamente era corsa ad abbracciarlo. Lui aveva esitato un istante sull’onda della sorpresa, poi l’aveva stretta a sé con delicatezza ma decisione.
Si era staccata poco dopo, salutando anche Thomas con sincera gioia e correndo via subito per una lezione che l’attendeva. David l’aveva seguita con lo sguardo, l’aria incantata.
“Va... tutto bene?” gli aveva domandato l’amico. “Allora ci sono stati sviluppi tra di voi?”
David aveva fatto segno di no con la testa. “Lei è... una di quelle ragazze che quando passano o sorridono senti tutt’intorno profumo di fiori, hai presente?”
“A me certe volte non sembra neppure una ragazza.”
“Perché?”
“Beh, è come se fosse una bambina o una donna, o anche un ragazzo, a seconda dei casi.”
“E’ bella per questo.”
“Ma non ti spaventa? Non ti dà l’idea di non riuscire a starle dietro?”
David aveva corrucciato lo sguardo. “Io... non voglio perderla.”
“Spero per te che vada tutto bene, amico!” l’aveva allora incoraggiato Thomas assestandogli un’affettuosa pacca sulle spalle.


* * *


Nei giorni seguenti Bessie si era resa protagonista di una serie di episodi più o meno imbarazzanti: David le si era avvicinato per dirle qualcosa mentre lei passava con Kim davanti al tavolo degli insegnanti, e lei era inciampata brutalmente sui suoi stessi piedi. Sia David sia Lupin, davanti al quale era avvenuta la scena, si erano precipitati da lei, scavalcandosi per aiutarla.
“Va tutto bene?”
“Oh, oggi è già la quarta volta! Devono essere le scarpe.” aveva assicurato lei con un tono forzato, cercando di sembrare disinvolta. Kim aveva riso fino al giorno successivo.
Dopodiché mentre attraversava un corridoio insieme a Ginny quest’ultima aveva scorto David e Thomas avvicinarsi, e Bessie aveva fatto cadere tutti i libri che teneva in braccio mentre Piton con in mano una tazza di pozione fumante le superava rapidamente schivando il disastro ed infilandosi nella porta aperta di uno studio non suo, proprio di fianco a dove Bessie si trovava.
“Stai bene?” le aveva domandato la ragazza, vagamente preoccupata.
“La- lavori in corso.”
“Eh?”
“Per la risposta!”
Ginny aveva soffocato la risata in uno starnuto un po’ strano.
Infine in cortile stava chiacchierando insieme a David quando erano stati distratti da certi lavori di ristrutturazione sulla capanna di Hagrid, e si erano voltati incuriositi dai movimenti del mezzogigante ed il suo daffare, e dai latrati insistenti di Thor che desiderava rendersi utile in qualche modo; avevano ridacchiato, poi David le aveva sfiorato la mano senza volerlo proprio mentre lei riconosceva la sagoma del professore che stava aiutando Hagrid, e lei voltandosi bruscamente era andata a sbattere contro un albero che si trovava lì.
“Guarda che c’era anche prima!” aveva sghignazzato David; e subito dopo: “Tutto a posto?”
Bessie aveva sospirato. “A dirti la verità, è da qualche giorno che sto cercando di capirlo...”

La sera le si era avvicinata Kim. “Hai presente la domanda che mi hai fatto quando siamo tornate dalle vacanze? Bene, tu sei diversa. Continui a fare danni ogni volta che ti muovi, parli in modo incomprensibile -non che fossi normale prima, ma... Ti giuro Belle, se non avessi già rifiutato David penserei che sei innamorata... stai anche mangiando pochissimo!”
“Ma che dici!” aveva protestato lei.
In quella una loro compagna le aveva sorpassate salutandole, e con aria complice aveva informato Bessie del fatto che il suo ragazzo stesse dando spettacolo, nella sala di Corvonero. “E’ salito sui tavoli e sta cantando!”
Bessie era arrossita. Il mio ragazzo?, aveva pensato.
“Vedi...” era intervenuta Kim “c’è un bel po’ di gente che lo dà per scontato, ormai...”
“Che io e David...”
“Esatto. Cosa pensi di fare?”
“Io... oh...”
E’ così semplice?
Con Remus è diverso, per lui devo guadagnarmi con il sangue ogni minuto, adesso. Invece con David è bastato stare bene insieme per poco tempo perché automaticamente si creasse la condizione per cui noi dovremmo stare insieme... avevo dimenticato tutto questo! È così semplice...
...ma non è quello che voglio.

Nei giorni a venire, tuttavia, aveva preso l’abitudine di trovarsi con lui sotto il portico che li aveva visti insieme in quel famoso giorno di pioggia: chiacchieravano semplicemente, in piedi o seduti sugli scalini, sfidando con le guace arrossate il freddo pungente di quei mesi invernali.
La prima volta lui l’aveva raggiunta mentre teneva in mano un libro di letteratura, lo ricordava bene: si era avvicinato e sorridendo le aveva capovolto il libro che stava leggendo a rovescio.
“Non so tu, ma io faccio meno fatica in questo modo.”

Una volta avevano discusso di cosa si sarebbero portati in una fantomatica isola deserta.
“No, non esiste: solo tre cose abbiamo detto David, tre cose!”
“Pignola! E va bene, uhm... allora lo spazzolino da denti, il mio cuscino e la bacchetta.”
A lei era scivolato da ridere: “Ma che razza di scelte sono?”
“Come sarebbe a dire, scusa? Prova tu a trovarti con il bisogno urgente di lavarti i denti e non poterlo fare... c’è da impazzire!”
“E il cuscino?”
“Se vuoi dormire su uno spuntone di roccia, accomodati.”
“Beh ma scusa, allora trovo più necessaria una coperta, per il freddo... un cuscino puoi sempre creartelo con le foglie di banano!”
“E se non ci fosse, un banano?”
“Oddio David, con qualcos’altro!”
“Va bene signorina so-tutto-io, allora sentiamo come esplicherebbe la sua grande abilità di esploratrice!”
“Oh, io non bado alla materialità” aveva replicato lei con giocosa petulanza, muovendo le mani. “Credo che per un essere umano sia fondamentale non trasformarsi mai in un selvaggio... a qualunque costo!”
“Quindi?” l’aveva incalzata lui incociando le braccia.
“Porterei le mie foto” aveva spiegato sognante “di sicuro, e poi... il mio ciondolo!” se l’era stretto con una mano, mentre David la fissava. “Beh, e la bacchetta.”
“Dev’essere buona, la zuppa di fotografie!” aveva commentato lui, sarcastico.
“Sciocco, ho la bacchetta, no? Potrei trasfigurare i sassi in conigli!”
“Come no, per guardarli giocare!”
Dopo aver riso a quell’ultima uscita erano rimasti in silenzio per un po’, prima che Bessie tornasse a proporgli una nuova domanda.
“E... una persona?”
“Una persona?”
“Sì, se potessi portarne con te soltanto una...”
“Non saprei” aveva risposto con fare noncurante, buttando lì una risposta come se fosse casuale: “vuoi venire?”
“I-io?”
“Beh, un collega pirata fa sempre comodo per barcamenarsi in certe situazioni!”
Avevano riso di nuovo.
Coraggio, David; chiediglielo. Non ci vuole molto, è solo un gioco, no?
Chiedile chi vorrebbe.

Avevano iniziato a trovarsi spesso sotto quel portico, per parlare del più e del meno, di loro stessi, anche soltanto per leggere insieme in silenzio. Un giorno Bessie aveva portato con sé Storia di Hogwarts, perché amava scoprire tanti particolari ad ogni rilettura: la faceva sentire a casa, diceva. Come una nostalgia.
Quel pomeriggio, però, si era infervorata su una questione teoricamente di poco conto, se non fosse stato che urtava la sua sensibilità: esisteva infatti una specifica sulle ammissioni dei giovani maghi alla scuola, che –diceva- poteva essere frequentata sia da maghi di sangue puro che non. Aveva litigato per una buona mezz’ora con quella frase, finché David aveva provato ad alleggerire la tensione e lei aveva ricevuto l’illuminazione adatta.
“Una petizione, che significa che vuoi fare una petizione?”
“Esattamente ciò che ho detto.”
“Ma... non si può!”
“Non è contro le regole della scuola, e questa frase è discriminante!”
“Finirai per metterti nei guai...”
“Lasciami fare per favore David, è una delle poche volte nella mia vita in cui sento di stare facendo la cosa giusta...”
La cosa giusta. Remus, vorrei che mi vedessi.
“Ma tu... sei purosangue, esatto?”
“E con questo?” aveva replicato lei, il mento alzato a mo’ di sfida.
David aveva sorriso, scuotendo il capo divertito. “Sei idealista ed anche un po’ matta... non ti tiri indietro proprio mai, eh?”

Bessie e James stavano strisciando lungo un cunicolo strettissimo e buio, con le pareti ricoperte di qualche strana sostanza appiccicosa; Bessie si malediceva per avergli chiesto di aiutarla a portare il regalo che aveva intenzione di comprare per Lily, perché in cambio aveva dovuto seguirlo in quell’avventura.
“Smettila di borbottare, o qualche creatura finirà per sentirti e ti rapirà senza che io me ne accorga!”
“Già! Sentimi bene, ma perché io devo stare dietro? Non è giusto, James!”
Lui si era fermato di botto, voltandosi a risponderle con tono tranquillo. “Dietro di noi c’è la scuola; non so dove vada a finire questo tunnel, ma se preferisci precedermi accomodati.”
Bessie aveva borbottato, senza però cambiare posizione.
Proseguendo, il cunicolo si era pericolosamente inclinato, facendosi scivoloso: non erano più riusciti a mantenere l’aderenza, cadendo lungo il suo corso fino a raggiungere una pozza di quella specie di melma che aveva attutito la caduta con la sua consistenza appiccicosa che però non rimaneva loro attaccata. Bessie era finita esattamente sopra James lungo disteso, l’aveva fissato per qualche istante da pochissimi centimetri di distanza, mentre faceva l’appello delle sue ossa per controllare che ci fossero ancora tutte. Aveva sentito il suo fiato scompigliarle i capelli, ancora preda dello spavento; il suo cuore le batteva con prepotenza contro il braccio.
“Sarà meglio che mi tolga di qui, prima che la ghigliottina di Lily mi raggiunga” aveva commentato poi con una smorfia, lasciandosi scivolare di lato.
“Esagerata, guarda che si fida di noi!”
“Come quando mi ha urlato di non farmi più vedere?”
James aveva sghignazzato rialzandosi a quattro zampe e controllando con un’occhiata che Bessie non si fosse fatta male da qualche parte: “Era una situazione diversa.”
“Sì, comunque non vorrei tornare a riviverla perché qualcuno qui--”
“Adesso è colpa mia?” aveva protestato lui mentre riprendeva il tortuoso percorso. “Siete tutte uguali voi donne!”
Bessie aveva fatto una smorfia.
“Ti ho sentita.”
“Non ho detto nulla, James!”
“Ti ho sentita lo stesso! Poi cosa credi, non sei mica la sola... nemmeno io ci tengo a prenderle da Tonks!”
“Paura, eh?” aveva gongolato lei.
“Perché, tu no?” aveva protestato il ragazzo in riferimento ai timori da lei esposti poco prima.
“Lily è molto diversa da Tonks” si era vantata.
“Non quando si tratta di te” aveva replicato lui, deciso. Bessie aveva sorriso.
“Penso che mi caverebbe gli occhi”, aveva aggiunto. E poi: “Sicura che non sei stanca?”
“Non sono stanca, grazie.”
“Vuoi venire davanti? Starei più tranquillo se ti vedessi.”
“Cammina, James!”
Mentre avanzavano gli aveva afferrato una caviglia con la mano, e lui aveva fatto un balzo alto da farlo sbattere contro il tunnel, procurandogli un sonoro bernoccolo. Si era voltato verso di lei inferocito, domandandole se fosse impazzita.
“Così se mi rapiscono sarai il primo a saperlo”, aveva risposto lei angelicamente. Erano andati avanti di nuovo.
“Quando vuoi smettere dimmelo, mi raccomando Bessie: non voglio averti sulla coscienza!”
“Piantala di bofonchiare James, abbiamo iniziato ed ora andiamo avanti!”
Lui aveva ridacchiato.
“Che c’è adesso?”
“Nulla, nulla...”
“James, che c’è?”
“No, è che... tu non ti tiri indietro proprio mai, eh?”

“...E va bene, non tenermi il muso, su!”
“Non mi ostacolerai?” aveva domandato Bessie stupita, riavendosi dalla momentanea distrazione da David erroneamente scambiata per malumore.
“Ti aiuterò.”
“Davvero?” aveva gridato con entusiasmo, sgranando gli occhi.
“Ehi, non farmelo notare troppo, o finirò col pentirmene!”
Come vorrei una vita così semplice.



121.
Alcuni professori avevano storto il naso a quell’iniziativa, e i Serpeverde avevano provato a boicottarla con ogni dispetto loro accessibile, dalla sostituzione degli striscioni con altri inneggianti alla loro squadra di Quidditich, al furto dei fogli con le firme (fortunatamente Bessie aveva provveduto a farsele fare in doppia copia).
Tuttavia in pochi giorni avevano raccolto sufficienti adesioni per poter inoltrare la richiesta.
“Allora, come va con il lavoro?”
“Kim, Thomas! Siete venuti a falsificare qualche firma per amor nostro?” aveva giocato Bessie.
“No, stupida pasionaria: veniamo a salvarvi la vita portandovi a pranzo!”
Mentre David si alzava con prontezza, grato a quelle ore trascorse con lei ma anche stremato dalla fatica, Bessie era rimasta seduta al suo posto, asserendo di voler saltare la pausa pranzo. Aveva spiegato che alcuni studenti più timidi avrebbero sicuramente approfittato dell’orario in cui giravano meno persone per farsi avanti. Kim l’aveva fissata con severità.
“Belle, tu devi mangiare.”
“Questo è più importante.”
“E’ importante anche che tu ricominci a mangiare!”
“Perché, non stai mangiando?” David l’aveva guardata come se fosse la prima volta, colpito da quel problema di cui non si era reso conto -credendo che tutto stesse andando nel migliore dei modi.
“Ma sì, sarà l’arrivo della primavera!” aveva minimizzato lei.
“Non vuoi proprio venire con noi?” l’aveva quasi supplicata l’amica.
“Tranquilla, io starò bene qui.”
“Non mi va di lasciarti sola!” era intervenuto David.
“Ehi, ho scelto io di ficcarmi in questo guaio!” aveva commentato lei con un sorriso.

Che si trattasse di una scusa oppure no, in effetti un paio di ragazzini più giovani avevano scelto proprio quel momento per avvicinarsi, e Bessie li aveva incoraggiati con tutta la gentilezza di cui era capace; aveva però sentito ben presto uno sguardo furbo e cortese su di sé, distraendosi. Silente aveva fatto il suo ingresso nella saletta.
“Buongiorno... non un attimo di respiro, eh?” aveva esclamato guardandola, e lei aveva scorto gli occhi vispi che sorridevano.
“Quando qualcosa è importante...” aveva iniziato, ma poi si era interrotta notando che insieme a lui c’era anche Lupin. “Buongiorno, professore.”
“Isabel.”
Silente si era chinato verso il banchetto per dare il suo contributo, e Bessie non aveva potutto fare a meno di notare le non poche difficoltà che aveva per stringere bene la piuma fra le dita della mano annerita: sentendo una stretta al cuore, come se l’idea di un Silente non invincibile fosse troppo per lei, aveva bisbigliato un’offerta di aiuto.
Quando lui si era avvicinato per accettare aveva approfittato della situazione per mororarle: “Ora sì che riconosco questo posto!”
Bessie aveva ridacchiato e lui aveva insistito: “Mi era perfino un po’ mancata questa baraonda!”
“Harry non le dà da fare abbastanza, signore?”
Silente aveva replicato con una smorfia teatralmente orripilata. Poi si era risollevato, perdendo improvvisamente ogni accenno di debolezza prima dimostrato.
“Non ruberò altro tempo al tuo prezioso contributo, Isabel. È sempre bello vedere che qualcuno è vigile per rimediare ai tuoi errori, che qualcuno lotta per migliorare quello che c’è!”
Silente li aveva lasciati soli, e Bessie aveva sentito uno strano imbarazzo scenderle addosso. Aveva alzato lo sguardo verso Lupin per scoprire il suo fisso su di lei; imbarazzata, si era lasciata sfuggire di mano la boccetta dell’inchiostro, finendo per macchiare uno stemma che David aveva disegnato.
“Tutto bene?” aveva domandato lui preoccupato.
“Sì, credo... non sono in grado di dare risposte esaurienti in questi giorni!”
“Allora meno male che non è periodo di esami!”
Bessie aveva sorriso, nonostante tutto.
“Mi dai una penna?” aveva chiesto Lupin.
“Hai intenzione di... firmare?”
“Contro le discriminazioni? Io?” si era finto scandalizzato con un sorrisetto; Bessie gli aveva consegnato una piuma e lui si era accinto a scrivere. “Non ti ho vista molto, ultimamente.”
“Io sono stata... impegnata.”
“Immagino di sì.”
Non sapeva cosa dire, Bessie: se ne stava lì a fissarlo senza trovare una scusa, conscia di quanto questa mancanza di motivi potesse ferirlo. Fortunatamente erano sopraggiunti gli altri di ritorno dal pranzo, e lei aveva mostrato orgogliosa il foglio che teneva fra le mani: “Abbiamo due interventi illustri!”
Le si erano fatti intorno con aria festosa, e Lupin si era defilato per non disturbare, approfittando della confusione; Bessie ci era rimasta male.
Questo tipo di vita... non va bene per noi, vero?
Non va bene per te.
Come andrà a finire, Remus? Vorrei chiedertelo.
David aveva ripreso posto al suo fianco e lei gli aveva sorriso: “Siamo una bella squadra.”




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Capitolo 44
*** Hogwarts, 44. ***


sto un po' meglio non ne posso più... manny, vedrò di fare il possibile per accontentarti: appena ho qualche momento libero preparerò altre liste malefiche :p mixky, sulla trama che evidentemente rubo dalla tua testa... è il discorso che abbiamo fatto sugli animi affini, no? :p poveri remus e bessie... sono così tirati per i capelli dal passato, dal dovere, dai ricordi, che proprio non riescono a vivere semplicemente nel modo che vorrebbero (qualunque esso sia) ç_ç°

Hogwarts, 44.



122.
Bessie era entrata nella sala comune di Grinfondoro, e come ogni volta una ventata di passato e di esperienze l’aveva investita fino a toglierle il respiro per pochi secondi, costringendola ad affrontarla.
Quanti ricordi, qui. C’è così tanto della mia vita...
Eppure non c’è più!
Aveva respirato a fondo, avanzando con passo deciso per convincersi, e si era trovata di fronte David che leggeva con particolare attenzione un libro.
“E tu che ci fai qui?”
“Un uccellino mi ha permesso di passare” aveva gigioneggiato lui, sollevando gli occhi.
“Non scherzare David, come diamine--”
“Ti aspettavo.” Aveva sorriso senza aggiungere altre spiegazioni, era tornato sul suo libro. “Questo capitolo è molto avvincente, sai?”
Bessie aveva sorriso a sua volta, arresa, l’aveva guardato leggere per un po’ e poi si era arrampicata sulla poltrona che stava occupando; David non le aveva restituito lo sguardo, spostando un poco il libro per non essere disturbato nella lettura. Lei aveva alzato una gamba per fare leva sul suo stesso peso, gli aveva afferrato una spalla.

La casa di Lupin era molto piccola, ci era stata per un po’ dopo la morte di Sirius: un appartamento stretto in tutto e per tutto, in cui bisognava muoversi in fila indiana se si stava in cucina, e scavalcare il comodino per raggiungere il letto. C’era sempre poco cibo, anche (non che a qualcuno dei due fosse importato).
Adorava quell’appartamento.

“Allora, hai finito di combattere contro questo povero divano?” aveva sospirato David dandogliela vinta e posando finalmente il volume. In quella Bessie era stata assalita da un senso di nausea che l’aveva costretta a correre fuori, rifugiandosi nel portico. David l’aveva seguita senza capire, specie quando lei si era arrampicata tra i rami di un grosso albero lì vicino, facendogli cenno di seguirla. Aveva osservato poco distante una lezione di Erbologia in cui Neville sembrava eccellere, e le era venuta voglia di chiamare Harry per salutarlo, ma poi ci aveva rinunciato.
“Cosa... fai, qui?” aveva azzardato titubante.
“Credo che questo stia diventando il mio luogo magico.”
“Luogo magico?”
“Non hai un luogo magico? Uno di quelli che se stai male o sei triste o hai voglia di startene da solo, sai che lì troverai quello che cerchi, che ti sentirai meglio?”
“Un rifugio.”
“Un rifugio”, era convenuta lei.
Quando David aveva capito la causa di quella piccola gita improvvisa si era subito preoccupato di chiederle se si sentisse meglio, se potesse fare qualcosa. Bessie avea pensato che era davvero premuroso con lei. Sirius non lo era.
“Ridi?”
“Eh?”
“Stavi ridendo, Belle.”
“Non stavo ridendo!”
“Ok, non stavi ridendo. Però ridevi!”
Avevano sghignazzato, scherzando ancora per un po’ su questo piano. Poi erano rimasti in silenzio per qualche minuto, senza che la cosa pesasse.
“Ho fatto un sogno strano, questa notte” aveva iniziato lui.
“Cioè?”
“C’era questo ragazzo molto bello, e non so chi fose però avevo la netta sensazione di conoscerlo in qualche modo, come se esistesse davvero... pensi mai quando sogni degli sconosciuti che in realtà quella faccia o quel modo di essere possano davvero esserci, da qualche parte nel mondo? Magari più vicino di quanto credi?”
“Mi piace l’idea!” aveva replicato lei strappando una foglia dall’albero e passandosela sulle labbra, pensierosa. Poi era saltata giù dall’albero. “Anche se forse è solo un altro aspetto della debolezza umana, del nostro bisogno di dare un significato a tutto quello che succede!”
David aveva annuito, riflettendo sulle sue parole. “Ad ogni modo questo tipo usciva da una villa, doveva esserci stata una qualche cerimonia visti gli addobbi, sai tipo festa di matrimonio... lui però era nervoso in un modo quasi feroce, aveva i capelli lunghi e neri che gli schiaffeggiavano il viso per effetto del vento ma non sembrava curarsene! Camminava a grandi falcate verso una moto parcheggiata di fianco a me, e man mano che avanzava si liberava della giacca e della cravatta, e così in maniche di camicia ci montava sopra senza notarmi, impugnndo il manubrio così forte che temevo per lui che si facesse male; lui invece è sgommato via sconvolto, e in quel momento, non so in che modo, ho capito che aveva appena litigato con qualcuno cui doveva tenere molto.”
Bessie aveva fatto cadere il barattolo di polverina brillante che teneva in mano, con il risultato di sparpagliarla per tutte le assi del pavimento.



123.
Bessie attendeva Piton fuori dalla sua porta, chiedendosi nel frattempo cosa potesse significare quel sogno di David.
È colpa mia? Ho influito sui suoi sogni perché non riesco a liberarmene?, si era chiesta spaventata.
L’aveva guardato negli occhi, lì su quell’albero, e si era chiesta a cosa stesse pensando. Tutti si erano fatti un’opinione su di loro... anche David lo credeva? A cosa stavi pensando, David?
Ultimamente la sua capacità di comprendere i sentimenti sembrava essersi un po’ appannata; Tonks avrebbe detto che si trattava di una sua scelta inconscia per chissà quale motivazione contorta che animava il suo cervello.
Il suono di un grosso mazzo di chiavi l’aveva sorpresa alle spalle: Piton aveva aperto la porta facendo scattare la serratura. “Entra”, le aveva detto a mezza voce precedendola nell’ufficio.
Una volta dentro si era fatto strada nella penombra fino alle finestre, che aveva aperto per metà; con l’irrompere della luce verso di lui Bessie aveva notato un luccichio all’altezza del suo petto: Piton si era affrettato a nascondere il medaglione sotto ai vestiti, mentre lei sorrideva senza farsi notare.
“Allora” l’aveva interpellata lui una volta seduto, incrociando le dita davanti al volto. “Allora.”
“Severus, io...” era avanzata di un passo, chiedendosi incerta cosa avrebbe potutto dirgli, ma lui l’aveva interrotta col suo caratteristico sarcasmo.
“Ti sei fatta carina per venirmi a trovare?” le aveva domandato, tagliente, senza che lei potesse capire a cosa si riferiva finché, avvicinatasi di un altro passo, aveva scorto con la coda dell’occhio che il suo viso ed il suo corpo erano abbondantemente addobbati di polverina brillante.
“Oh” aveva bofonchiato. “Un... incidente.”
“Lo sospettavo. Per questo sei qui?”
“No, ovviamente! Io...”
“Dimmi, allora.”
“Ecco, Severus, io vorrei... vorrei... mi aiuteresti nella legilimanzia?” aveva concluso tutto d’un fiato.
Lui l’aveva squadrata, improvvisamente concentrato. “Che succede, Elizabeth?”
“Oh, nulla di grave” si era affrettata a rassicurarlo, mettendo avanti le mani. “Ricordi quei sogni che facevo con Harry?”
“Su Black? Li fai ancora?”
“Sì, ma non è questo. Io...” si era tormentata nervosamente le mani “Un amico ha sognato... qualcosa che appartiene alla mia vita.”
“Cioè un tuo sogno?”
“No. In un certo senso è un mio ricordo, solo che io non c’ero, quindi non posso averlo visto.”
“Questo è un po’ strano. Perché accada qualcosa del genere ci vuole qualcuno di decisamente abile o decisamente dentro di te... tu non gli hai mai accennato a quell’argomento, neppure per sbaglio?”
Lei era arrossita, scuotendo con decisione la testa. “Sono sicura di non avergliene mai parlato, anche perché” aveva esitato sull’orlo del’amissione “riguardava Sirius.”
“Ti senti bene, Elizabeth?”
La domanda, improvvisa e sottile come tutto in lui, l’aveva spiazzata. Piton era lì che la fissava come se avesse voluto leggerle dentro. Non si aspettava che le chiedesse di lei, e forse per questo aveva ceduto.
“Ho paura... di perdere il controllo.”
“Non dovresti isolarti.”
“Non lo faccio! Ho tanti amici tra i compagni di classe, siamo sempre insieme...”
“Sai cosa intendo.”
Bessie aveva esitato. “Non... non voglio pesare troppo su Remus, o su Harry... e nemmeno su di te, Severus. Scusami se sono venuta qui, ho pensato che avresti potuto aiutarmi per evitare di--”
Piton aveva chiuso gli occhi, massaggiandosi le palpebre; li aveva riaperti spostando un soprammobile come per fare spazio davanti a sè, togliendo ogni ostacolo fra lui e la ragazza. “Non potrai mai chiuderti agli altri, Elizabeth.”
Lei aveva giocherellato con un’asola della divisa. “Perché sono un Emagus?”, aveva domandato nervosa.
“Perché sei tu.”






How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.

Pink Floyd - Wish you were here



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Capitolo 45
*** Hogwarts, 45. ***


Hogwarts, 45.



124.
Alla fine di un’estenuante lezione di Trasfigurazioni, quasi la McGrannitt non aveva ancora lasciato l’aula che Bessie si era alzata dal suo banco.
“Dove vai?” le aveva domandato Kim, perplessa.
“A prendere un caffé”, aveva grugnito lei con aria assonnata.
“E’ già il quarto oggi, le coronarie ti esploderanno!”
“Ma sono stanca!”
“E allora mangia qualcosa, per la miseria: non ti si vede quasi più, non metti niente dentro quello stomaco!”
“Non ho fame, Kim...” aveva concluso senza darle il tempo di ribattere. L’amica in ogni caso si era limitata a fissarle un punto preciso al di sopra della vita, un po’ laterale.
“Cosa stai... oh.” aveva concluso rapidamente - non una vera e propria parola, più un espirazione veloce, alla grande macchia di marmellata che su un fianco cercava di espandersi. L’aveva studiata con costernazione, provando a passarci sopra un dito.
“Un elfo domestico sta cercando di uccidermi.”
“Quante stronzate, quante!” aveva borbottato Kim sollevando le dita per contare e sedendosi di nuovo sulla sua sedia, che però nel frattempo era stata spostata un po’ più a destra, così lei era finita per terra con un bel botto. Bessie non aveva potuto fare a meno di notare come lei fosse sempre talmente fisica, in ogni reazione; anche senza volerlo. Faceva parte del suo modo di essere.
“Che fai, donna-ragno?”
“Ugh”, aveva commentato lei massaggiandosi le parti dolenti. “Spiritosa, spiritosissima amica mia!”
“Sei pazza. È evidente.”
“Questo” aveva commentato Kim alzandosi a fatica “è soltanto colpa tua e delle tue fisime!”
“Io non ho fisime, sei tu che ne hai su di me.”
“Aye, beh. Ho i miei buoni motivi, ok? Non puoi negarlo.”
“Su” le aveva proposto Bessie, porgendole qualcosa “prenditi questa caramella della pace.”
“Era un calumet, Belle.”
“Razza di anima asina e pignola, conta il pensiero, no?”
“No, perché probabilmente ne hai talmente tante che stavi solo cercando di svuotarti le tasche.”
“Così mi offendi!” aveva protestato lei, portandosi teatralmente la mano al cuore. Kim aveva sbuffato.
“Vorrà dire che quando avrai una casa tutta tua e mi ci inviterai, mi farai sedere per terra anziché comperare una poltrona per ricevermi decentemente!”
“Cosa, e perché?” Bessie sembrava attenta.
“Non so” si era stretta nelle spalle Kim “Ho questa precisa impressione di te, un’immagine in cui stai seduta per terra su qualche largo tappeto mentre t’ingozzi di porcherie perché non hai ritenuto necessario nemmeno un tavolo da pranzo!”, aveva ridacchiato.
Ancora, aveva pensato Bessie. Quella descrizione corrispondeva alla vita da Sirius, quando si era trasferito da solo. Ancora.
“Basta, tutto questo è ridicolo!” aveva esclamato Kim, cogliendola di sorpresa.
“Hm?”
“Il tuo atteggiamento Belle, il tuo rifiuto! Quando ti muoverai, quando ti deciderai a smettere di compiangerti?”
“Cosa,” aveva replicato spiazzata “ma tu... che ne sai?”
“Oh, andiamo! Non fa per te un atteggiamento tanto passivo!” Bessie si era infuocata, mentre la ragazza continuava nella sua tirata. “Questa non sei tu, tutto questo... non ha niente a che fare con te!”
“Non ha niente a che fare con te!” era esplosa Bessie, guardandola dritta negli occhi. “Semmai” aveva aggiunto, appena prima di andarsene senza darle la possibilità di replicare.


* * *


Aveva raggiunto la moka viola del terzo corridoio e l’aveva notata intenta ancora una volta ad una conversazione animata con uno sprovveduto studente: si stava vantando dei suoi spettacolari metodi di preparazione delle bevande, ma amava anche discutere di politica, quella caffettiera, e il brutto era che se non stavi ad ascoltarla abbastanza ti avrebbe somministrato un caffé troppo amaro per continuare a vivere.
Lupin le si era affiancato nella coda che nel frattempo si era venuta a formare, mescolando la sua tazza con un cucchiaino. “Questo caffè è sempre più cattivo o sbaglio?”
“GNAUGH!” era stata la scomposta replica di Bessie, che per lo spavento si era quasi fiondata sul ragazzo che le stava di fronte, ridacchiando poi nervosamente per riprendersi.
“Uhm, allora un bridisi al sangue freddo” aveva proposto lui. Bessie aveva fissato il suo caffé.
“Credo che... lo butterò. Mi sono svegliata abbastanza.”
“Ovvio.”
“Come scusa?”
“Io ti dico che brindiamo con i nostri caffé e tu rispondi che butti il tuo, e allora perché diavolo dovrei stare qui a pensarci?” sbotta lui, sentendosi per una volta pericolosamente simile a Sirius con le sue recriminazioni nei suoi confronti quando non era abbastanza fisico o abbastanza vicino o abbastanza pazzo per lui.
“Io non--”
“Perché mi stai evitando, Isabel?”
“Non ti sto evitando.”
Lui aveva emesso un piccolo sospiro. “Comunque mi dispiace non vederti in pratica da quando siamo tornati da--”
“Non mi toccare!” aveva esclamato lei, scansandosi di colpo per liberarsi dalla mano che lui le aveva posato sulle spalle. Lupin l’aveva guardata senza dire nulla, era uscito senza più parlare mentre Bessie si rimetteva in fila per il suo caffé senza più rendersi bene conto di cosa stava facendo lì.
David, poco distante, stava osservando la scena mentre rigirava una penna tra le mani come se avesse voluto consumarla. Thomas guardava lui.
“Troppe persone intorno a lei” aveva mormorato fra sé “troppe distanze...”
L’amico aveva provato a consolarlo con una manciata di frasi di circostanza che però David aveva interrotto d’improvviso, con piglio deciso proprio nel mezzo di una digressione sulle frequenti ammirazioni delle adolescenti per i loro modelli di riferimento come –guardacaso- gli insegnanti.
“Penso... di essermi innamorato di lei.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Credi che anche lei...?”
“Se lo sapessi, la mia vita avrebbe un senso! Non lo so Tom... a volte la sento vicina come nessuno prima d’ora, altre volte mi pare tutto così improbabile che mi butterei giù dalla guferia!”
“Prova a darvi tempo. Nessuno vi corre dietro, no?”
“A volte” aveva iniziato David mentre Bessie si allontanava, ignara degli sguardi puntati su di lei “mi verrebbe da trasfigurare tutti gli oggetti che mi stanno intorno in vetri, solo per poterli prendere a pugni e spaccarli con le mie mani finché non ne restano solo tanti frammenti piccolissimi che s’infilano sotto la pelle! Mi piace davvero, Thomas.”

Bessie aveva continuato a cercare una risposta nel caffé per cinque minuti buoni, senza berlo. Le dava uno strano conforto sentirlo fra le mani, tiepido come una coperta.
Aveva pensato a Lupin.
Poi era uscita, si era avviata con calma verso il platano picchiatore, e una volta raggiunto l’aveva trovato lì che lo fissava.
Anch’io ti trovo, Remus.
Forse in fondo lo sapeva dall’inizio; forse sapeva che l’avrebbe trovato lì, ed era uscita per questo.
Non so come comportarmi con te.
Gli si era avvicinata senza che lui si voltasse, e una volta al suo fianco gli aveva preso una mano come se fosse stata qualcosa di fragile.
“Scusa.”
Il platano si era mosso con pigrizia come per annusarli, mentre Lupin lo fissava come se attraverso lui avesse potuto rivivere tutto il suo passato da capo.
“Scusami, Remus. non avrei dovuto respingerti. Non avrei dovuto. Io... non so come devo...” non aveva terminato la frase, facendo per lasciargli la mano, quando era stato lui a stringergliela.


* * *


Quando era rientrata, Kim ed Harry l’avevano fronteggiata con piglio convinto.
“Che c’è? Che ho combinato stavolta?” aveva giocato lei, di fronte alle loro espressioni serie.
“Belle, tu non stai mangiando.”
“Ancora con questa storia?”
“No, Kim ha ragione, Belle. Ti ho già vista così, e non voglio che tu... ti perda di nuovo” aveva concluso la frase con un filo di voce, abbassando gli occhi per non guardarla.
“Io non... io sto bene” aveva tentato lei.
“Non è vero. Stai evitando di mangiare, ed io non so per evitare che cosa e l’ultima cosa che voglio è forzarti a parlarmene se tu non vuoi, però... non ci riuscirai in questo modo, Belle.”
Bessie, in ansia, aveva cercato di sottrarsi a quel confronto ma loro l’avevano incalzata sempre più forte.
“Siamo tuoi amici. Siamo qui per questo.”

“Ti aiuterò io, Sirius! Sono qui per questo, no?”
“Davvero? Io credevo ci fossi per combinare casini...”

“Anche Silente è preoccupato, Belle.” Kim aveva fissato stranita Harry, dopo l’ultima sua frase.
“Silente?”
“Sì” aveva proseguito lui senza incertezze “Ti ha vista l’altro giorno.”
“Io non... voglio essere controllata! Non voglio che voi mi stiate vicini solo per farmi da balia!” era sbottata allora Bessie, allontanandoli con le braccia. “Sono stufa di questa storia!” aveva esclamato più forte, allontanandosi esasperata mentre Kim la seguiva per i corrodoi; Harry era rimasto solo, e ne aveva approfittato per raggiungere gli altri e chiamare Kreacher e Dobby per il loro resoconto settimanale, nonostante i sonori sbuffi di Hermione al suo fianco. Appena aveva sentito dei passi aveva ordinato loro di sparire, ed in quell’istante era entrato Remus Lupin.
“Dovete fare attenzione” li aveva ammoniti “qualcuno potrebbe vederli.”
“Hai ragione Lupin” aveva mormorato Harry studiando la sua aria stanca come se fosse invecchiato negli ultimi mesi “scusami.”
“Non devi scusarti con me, Harry” aveva sorriso lui. “La gente a volte si scusa anche quando non dovrebbe; però è bello, no? Significa che tiene a te.”
Harry l’aveva studiato chiedendosi a cosa stesse pensando.
“Sai Harry, poco fa, con Kreacher... mi hai ricordato Sirius.”
“Davvero?”
“Davvero. Avete lo stesso tipo di atteggiamento nei suoi confronti”
“Non che sia dei migliori”, aveva sbuffato Hermione. Lupin aveva sorriso, si era alzato per andarsene.
“Solo... se puoi, non farlo sapere a Bessie, d’accordo?” aveva indicato.
“Certo, ma... perché?”
Era intervenuta Hermione, con l’aria di chi la sa lunga: “L’avete visto in Grimmauld Place, vero?”
“E tu come fai a saperlo?” era sbottato Ron.
“Me l’ha detto lei. A me e Ginny.”
“Perché a noi no?” aveva protestato il ragazzo, offeso; anche Harry si era sistemato gli occhiali con una smorfia, pur senza dire nulla, mentre Lupin li salutava divertito.
“Certe cose è meglio che restino... tra ragazze”, aveva balbettato Ginny subito dopo.



125.


*Fai attenzione alle caverne, Lunatica Bestia. E torna presto!
E.L.*


Lupin aveva riletto ancora una volta quel biglietto, ficcandoselo in tasca ed indossando il vecchio mantello, prima di tornare a tuffarsi nel buio della notte intorno Hogwarts.




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Capitolo 46
*** Hogwarts, 46. ***


manny: wow, mio strenuo difensore! ti ringrazio per il calore che ci hai messo per difendere la ffic, e per seguirmi sempre (in effetti sono un tantino fissata con la grammatica U.U), sei stata molto ma molto carina! Stavo proprio tenendo d'occhio il centesimo commento, come premio ti dico che ho iniziato a scarabocchiare le prossime note! :p per il resto ti risponderò privatamente anch'io.
ora, la questione eloise: in effetti devo dire che per prima cosa leggendo ci sono rimasta male, perché se è vero che desideravo delle critiche negative per migliorare, messa così seccamente è stata un po' un colpo, ho sentito di aver clamorosamene fallito nei miei intenti perché una MS era l'unico spauracchio che volevo davvero evitare! non posso nascondere di averci poi riflettuto e di pensarla come manny, cioé vorrei sinceramente e senza polemica alcuna capire, perché se è vero che a volte avevo il timore di avvicinarmi pericolosamente ad una MS, è anche vero che per esempio nel capitolo scorso, quello del commento, mi sembrava tutto tranne che una di loro, bessie... me lo sono riguardata ben bene per poterlo dire. non farò altrettanto con i 44capitoli precedenti :p perciò chiedo a te: vorrei davvero sapere, per evitare l'errore quando mi sarà possibile. hai letto solo quel capitolo, hai letto tutto quanto? il modo in cui hai parlato del fenomeno MS mi fa pensare che tu abbia letto almeno anche il capitolo in cui spiegavo le mie intenzioni, quindi immagino e spero potrai concedermi degli esempi anche dettagliati! il fatto che tu l'abbia scritto solo al 45° capitolo significa che prima non lo era ed ora sì, azzardo, altrimenti perché aspettare così tanto prima di dirlo? quindi se è così forse posso rimediare... contattami anche privatamente se preferisci, terrò buon conto di tutte le tue critiche non appena me le avrai spiegate. magari potresti mostrarmi qualcosa di tuo per indicarmi più chiaramente come non cadere nell'errore: ho guardato nel sito, ma nno ho trovato nessuna ffic del nick eloise.
bene, papiro finito. chiedo venia :p grazie a chi nno mi ha abbandonato nonostante mary sue aleggi alle mie spalle ç___ç°

Hogwarts, 46.



126. (harry&Co incontrano tonks per i corridoi della scuola: la ragazza appare sconvolta, domanda loro se sanno di eventuali feriti dell’ordine mentre erano in missione, ed ha le lacrime agli occhi. loro non ne sanno nulla, ma quando le propongono di chiamare bessie per vederla, lei rifiuta e stranamente liquida in fretta l’argomento, allontanandosi come se non volesse incontrarla.)

Bessie si muoveva avanti ed indietro senza il completo controllo dei suoi movimenti. Guardava David con un sorrisetto, parlando di qualunque argomento le passasse per la mente.
Sei incredibile, Belle. Anche se sei ubriaca, il tuo respiro profuma di fragole.
“E’ stata una bella festa” raccontava lei “anche se Kim continuava a rimbrottarmi perché non avrei dovuto bere a stomaco vuoto.”
Lui l’aveva guardata, e gli era apparsa così esile, lì sulla torre dove si erano trovati perché lei voleva assolutamente raccontargli della festa prima di andare a dormire; un soffio di vento avrebbe potuto portarla via. “Ha ragione, sei dimagrita troppo, Belle.”
“Ti ci metti anche tu, adesso?” aveva protestato fiaccamente avvicinandosi a lui fino ad incrociare leggermente gli occhi; poi si era buttata indietro i capelli con un gesto ampio della mano, sembrava che nulla potesse scalfire la sua allegria. Si era mossa a gattoni fino al balcone per guardare giù.
Erano le tre, forse le quattro di notte.
“E’ tardi Belle, non sei stanca?”
“Non abbastanza” aveva replicato lei con occhio furbo. “Ho voglia di parlare ancora un po’ con te.”
“Dovrò iniziare a presentarti le mie tariffe.”
Bessie aveva riso, si era sistemata con la schiena contro il muro, di fianco a lui.
“Anne Brown aveva un ventilatore manuale, se l’è portato dietro per tutta la festa. È stata esasperante!”
“Un ventilatore manuale?”
“Sì.”
“Un ventaglio!”
“No, no” aveva insistito lei “ad un certo punto Laurie si è impigliata i capelli fra le pale, ed hanno dovuto smontarlo per liberarglieli.”
“Non esistono i ventilatori manuali, Belle!”
Lei aveva riso. “Mi hai scoperta!”
“Dio, ma che avete combinato?”
“Questo è nulla” aveva replicato lei con tranquillità, il viso sollevato a prendere addosso l’aria fresca della notte. “Sembravamo scocainate.”
Scocainate?” aveva ripetuto allora lui con un gemito. “Non esiste neanche questa parola!”
“E invece sì! Vuol dire che sembravamo in crisi d’astinenza, no? Così vengono fuori le cose più pazze; lasciare un uomo completamente in balìa di se stesso, perché quando smette di farsi è davvero da solo e se ne rende conto di colpo, è molto peggio che lasciarlo in balìa delle droghe.”
David l’aveva lasciata delirare sull’argomento e pavoneggiarsi come un’esperta. Si era scompigliato distrattamente i capelli. “Comunque ‘scocainate’ non esiste.”
“Sei noioso, David Bengton!”
“E tu sei ubriaca.”
“Ti ho sentito sai! Non provare a negarlo perché io ti sentirei anche se non parlassi!”
David aveva staccato la schiena dal muro, sporgendosi leggermente verso di lei con un sorrisetto di vittoria. “Ah davvero?”
“Oh, guarda...” aveva fatto lei indicando un punto a caso sotto di loro “Un’impennata di orgoglio maschile sta attraversando la strada!” Si era riaccomodata. “Io sento tutte quante le persone.”
“Sì?”
“Beh, non proprio tutte. Molte.”
“Interessante”, aveva replicato lui grattandosi il mento con due dita.
“Oooh, smettila di prendermi in giro, Remus!”
Il silenzio aveva istantaneamente ghiacciato la conversazione. “Remus?”
“Uhm, volevo dire... volevo dire Teoremus.”
“Teoremus?” si era spostato per guardarla meglio. “Vol-volevi chiamarmi Teoremus?”
“Sì, beh... non lo trovi divertente?”
“Se... lo dici tu...”
Maledizione, sono così ossessionata da lui?
Che egoista!
E' che oggi Remus torna dalla missione alle caverne, sono preoccupata... vorrei vederlo.
Vorrei vederlo.

“Scusami, David.”
“Non ti scusare.”
“Scusami, non volevo offenderti” aveva insistito lei mentre lui le dava le spalle, fissando il vuoto sotto di loro.
“Non ti scusare! La gente si scusa sempre per un nonnulla, così non capisci mai quando lo pensa davvero.”
Bessie era rimasta in silenzio, lasciandolo sfogare, e lui aveva ripreso: “E’ solo un modo per prendere le distanze.”
Lei era rimasta in silenzio ancora un po’, mentre solo la sottile bava di vento agitava alcune imposte dimenticate aperte, facendole sbattere contro le mura millenarie del castello. Poi aveva iniziato a parlare senza guardarlo negli occhi.
“Io ho... avevo una zia.”
“Avevi?”
“Ho.”
“Ce l’hai oppure no?”
“Beh, non so. È scomparsa tempo fa... non so dove sia adesso. Nessuno lo sa.”
“Mi dispiace.”
Bessie aveva annuito.
“Le volevi bene?”
“Come a una sorella; non era molto più vecchia di me, solo di tredici anni, così andavamo molo d’accordo: lei c’era per tutto quello in cui mi madre mancava.”
“Dev’essere stato bello riuscire ad avere un rapporto così.”
“Lo era. Io... sto ancora aspettando che torni.”
“Cioè speri che sia viva?”
“Deve. Ho bisogno di parlarle ancora una volta...”
“E’ scomparsa da molto?”
Bessie era rimasta in silenzio, chiedendosi quale fosse la risposta giusta da dare; aveva finalmente sollevato gli occhi a guardarlo, leggendovi tutta la sua partecipazione. Domani mi pentirò di avertene parlato?, si era chiesta.
“Voldemort” si era limitata a rispondere, laconica.
“Oh.”
Quel balcone lontano aveva sbattuto ancora una volta, più forte. Il vento sembrava essersi incattivito; la voce di David, in confronto, era risultata come un sussurro rispettoso del suo dolore.
“Cosa le diresti, se la vedessi ora?”
Scusa.”
“Scusa?”
Lei aveva sospirato. “Non le piaceva il ragazzo con cui stavo, me lo ripeteva spesso. L’ultima volta in cui l’ho vista abbiamo litigato perché non volevo ascoltarla... aveva ragione lei, sai? Ernie non era per nulla un buon elemento; lui non era... quello che credevo. Avrei fatto meglio a fidarmi di lei, credo di averla ferita.”
“Mi dispiace, Belle.”
“Io non chiedo mai scusa tanto per fare, David.”
Lui aveva spostato la posizione dei piedi, si era avvicinato di più a lei, seguendole con lo sguardo la linea rotonda delle guance, la forma degli occhi, delle labbra. “Allora non era un pretesto?”
“Per cosa?”
“Per allontanarti da me.”
“Perché dovrei allontanarmi a te, David?” aveva risposto lei con semplicità, sinceramente stupita. “Tu mi piaci.”
“Anche Kim ti piace.”
“Certo.”
David aveva trattenuto il respiro, l’aveva fissata con più insistenza. “Però con lei non... prima delle vacanze, noi... la sera della festa di Lumacorno...”
“Oh, già” era arrossita lei, piena d’imbarazzo; aveva cercato qualcosa da dire per liberarsi di quella tensione. “Ne ho parlato con Silente sai, per sicurezza.”
“Davvero?”
“Beh, ho pensato che avrebbe saputo consigliarmi, la McGrannitt non era stata molto esauriente dal punto di vista fisico--”
David aveva emesso un suono strozzato, guardandola sbalordito mentre le sue guancie diventavano rapidamente paonazze.
“Scherzavo, David” aveva commentato nervosamente, sistemandosi i capelli con una mano. Alcune ciocche le erano finite davanti al viso, impigliandosi tra le lunghe ciglia. Lui si era avvicinato, gliele aveva scostate con delicatezza; aveva finito con l’accarezzarle il volto, confuso appena un po’ meno di quanto era lei.
“Ci hai pensato?” aveva mormorato, la voce più bassa per l’emozione.
“Io...”
David si era fatto ancora più vicino in modo inequivocabile, e Bessie si era morsa un labbro imbarazzata. “Non posso credere che sto per fare questo.”
“Ora puoi crederci” l’aveva zittita lui, baciandola subito dopo con dolcezza, ma andando ben oltre il loro primo tentativo pre-natalizio. Bessie non capiva: da un lato quel bacio la scioglieva, la faceva sentire bene come se non esistessero più le preoccupazioni che solitamente la tormentavano; dall’altro, però, una sensazione improvvisa si era impadronita di lei senza darle tregua, come qualcosa che l’afferrasse per scagliarla via di prepotenza.
Non è Sirius.
Non lo sarà mai.
Si era staccata di colpo, senza riuscire a frenarsi per non ferire i sentimenti di lui. David l’aveva guardata dispiaciuto.
“Non è... stato bello?”
Lei aveva scosso la testa con convinzione, per negare che si trattasse di un problema del genere. Sembrava triste.
Non posso.
Non è più solo per Sirius... è per me stessa.
Lui era altrettanto triste, mentre non le staccava gli occhi di dosso. I suoi occhi avevano una nuova sfumatura grave, ora.
“Non sono io quello che ti può aiutare, vero Belle?”
Bessie aveva scosso il capo. Poco più in là un gatto aveva miagolato come se qualcuno gli avesse calpestato la coda, ed un barattolo di latta era carambolato lungo le scale. Si era voltata verso la porta.



127.
Il giorno dopo la prima lezione sarebbe dovuta essere Incantesimi, ma sembrava che Vitious fosse stato colto in fallo da un virus stagionale, così Bessie si era trovata di fronte Lupin per la supplenza di due ore che ne sarebbe seguita.
A dire la verità non riusciva davvero a tenere gli occhi aperti, e così non aveva notato che anche lui sembrava più assonnato del solito. Kim le aveva assestato un paio di gomitate ben calibrate per mantenere la sua concentrazione a livelli accettabili, ma non era riuscita particolarmente efficace nel suo intento.
“Stanca, Shacklebolt? Forse dovresti evitare di andare in giro per i corrodi di notte.”
Il tono tagliente di Lupin l’aveva sorpresa come una bomba a mano sotto il suo banco; per un attimo, dall’intonazione della voce avrebbe potuto scambiarlo per un Malfoy appena meno subdolo.
“Io...” stupita, aveva annaspato per alcuni secondi prima di riuscire a trovare una risposta. “Mi scusi, prof.”
Ha voluto umiliarmi.
Durante le ore che erano seguite quella frecciatina non era rimasta l’unica: altre due o tre si erano aggiunte, spiazzandola sempre più. Lupin non la guardava negli occhi, non aveva nulla del caro amico che aveva imparato a conoscere.
Perché ti comporti in questo modo, Remus? Non ti ho mai visto così.
Al termine aveva deciso di affrontarlo per chiedergli spiegazioni: si era attardata nell’aula finché non si erano allontanati tutti, pregando Kim di precederla da Rufus, e l’aveva raggiunto alla cattedra dove sistemava alcuni fogli, apparentemente inconsapevole della sua presenza.
“Non seguivi la lezione Belle, è normale che mi dia fastidio” aveva spiegato lui con un tono freddo che Bessie non gli aveva riconosciuto. Si era sentita tradita da lui, si era arrabbiata.
“Non prendermi in giro, Remus!” aveva esclamato rabbiosa dopo i primi pretestuosi minuti.
“Cosa vuoi che ti dica, Eliza?” aveva replicato allora lui senza più trattenersi. “Se la tua scelta è andartene a zonzo per la scuola con il primo che capita sono affari tuoi! Non ti credevo una persona del genere, ma puoi anche sposartelo, per quanto mi riguarda!” aveva sbattuto con violenza i libri sul tavolo prima di tornare a ficcarli nella borsa. Bessie l’aveva fissato incredula.
“Ma tu che vuoi da me, Remus, qual è il tuo problema? Hai paura che molli i vecchi amici, se nella mia vita entra anche qualcun’altro? Ti dà fastidio che io ti stia sempre tra i piedi e ti sfoghi in questo modo?” aveva aggiunto ripensando alla conversazione che aveva origliato alla Tana; aveva respirato a fondo, sentendo che la voce si incrinava al sopraggiungere di nuovi pensieri. Si era morsa un labbro, ferita dal suo atteggiamento e dalle sue stesse supposizioni. “O valgo solo in quanto fidanzata di Sirius e non potrò mai più avvicinarmi a nessun altro?”
Lui non l’aveva nemmeno guardata negli occhi. “Non dire sciocchezze, Eliza!” aveva esclamato bruscamente, facendola sobbalzare.






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Capitolo 47
*** Hogwarts, 47. ***


Uhm, domando scusa, non mi sarei lanciata in tutto quel papiro se mi fossi accorta prima che il commento era stato lasciato sul PRIMO capitolo. non è che non voglia tenere conto delle opinioni altrui, mi sono messa prontamente in discussione (anche se forse le mie parole sono state travisate -.-'), però insomma mi sembra un tantino pretenzioso voler dare un giudizio così definitivo al primo (o ai primi) capitolo di una storia che attualmente ne conta QUARANTASETTE. o sbaglio? senza nemmeno sapere le possibili motivazioni di determinati comportamenti o fatti. se vuoi, eloise, ti posso dire che per come la vedo io i primi capitoli sono inferiori al resto, erano necessari per la storia anche se nno sono esattamente i miei preferiti, che andando avanti cambia abbastanza; ma non è che importi alla fine. puoi chiuderla qui, oppure accettare una specie di sfida e continuare a leggere per vedere se ti sembrerà ancora ms oppure no, sta a te.
manny, il tuo è un consiglio prezioso, il punto è che non ho tempo ç_ç° mi piacerebbe approfondire un sacco di altri aspetti, le idee non mancavano, però sinceramente devo chiudere questa storia appena posso, sia perché se no diventa un romanzo =_= sia perché giugno incombe, ed ho una sessione d'esami parecchio tosta! il massimo che posso fare al riguardo sono i vari flash-back (le parti che mi diverto di più a scrivere *_*), anche perché già doveva essere una storia molto più breve ed invece mi ha preso la mano e senza volerlo mi ci sono affezionata :p e poi non c'è niente da fare, prima di rendermente conto mi accorgo che ai personaggi è capitato qualcosa e allora devo per forza inserirlo, e così il volume aumenta aumenta... a proposito, ora io lo vedo il mio commento sulla tua ffic.tu?


Hogwarts, 47.



128.
Bessie si trovava nella sala comune con Hermione e Ginny, per ripassare alcune lezioni, però non riusciva in alcun modo a concentrarsi. Poco distante dalla sua poltrona, David sembrava completamente immerso nello studio, lo sguardo corrucciato; non l’aveva salutata al suo arrivo. Inoltre non aveva più visto Remus da quando avevano discusso.
“Belle, magari ti va un tè?” le aveva domandato Hermione, premurosa.
“Grazie, sei gentile.”
Aveva sfogliato meccanicamente un vecchio libro che si era portata senza sapere bene il perché, aveva voltato le prime pagine come scusa per non doversi mettere a studiare gli appunti, ed era stato allora che aveva riconosciuto una calligrafia ben nota.
Questo libro è di Remus.
L’aveva chiuso per studiarne attentamente la copertina: non c’erano dubbi, si trattava proprio di un volume che lui le aveva prestato tantissimi anni addietro, nel periodo in cui entrambi frequentavano Hogwarts come semplici studenti, e che evidentemente lei non gli aveva più restituito. Ora che era tornata lì anche il libro era tornato insieme a lei, riproponendosi alla sua vista.
Credo di aver cercato solo un posto dove le cose potessero essere diverse. Dove io potessi essere diversa.
Per questo sono qui.
Aveva rialzato lo sguardo, studiato con dispiacere il profilo triste di David che continuava ad ignorarla.
È come ha detto Hagrid... tutto questo non ha niente a che fare con te.
Non è che non ci tenga, non è che non mi mancheresti. Ma cercavo solo di scappare.


* * *



Quel libro Remus glie l’aveva prestato un giorno del settimo anno, perché era preoccupato –diceva che da quando stava con Sirius gli sembrava che leggesse meno.
“Non è che non le piaccia leggere, Moony” aveva commentato James con ironia “è che lei, a differenza di qualcuno che conosco, sa che esistono anche le giornate di sole!”
“Fa parte della sua natura, no?” aveva aggiunto Lily, le gambe comodamente distese sulle ginocchia del ragazzo. “Però” non era resistita “se posso dare la colpa a Black per qualcosa non mi vedrete trattenermi di certo! Quindi Remus” aveva ridacchiato “hai proprio ragione, bisognerebbe fare qualcosa per lei.”
“La volete piantare di parlare di me come se non ci fossi?!” era sbottata Bessie, da sotto il tavolo dove si era rifugiata per leggere in pace.


* * *


Si era alzata con decisione dalla poltrona, facendo per andarsene.
“Cosa c’è?” le aveva domandato Ginny, allarmata.
“Non lo so.”
“Dove vai?” aveva aggiunto Hermione. Bessie aveva fatto un cenno sbrigativo con la mano.
“Fuori!”
Si era allontanata senza spiegare nulla alle due.
Questo libro brucia tra le mie mani come una brace ancora accesa.


* * *


Sirius l’aveva raggiunta in cortile, trovandola con il libro in mano.
“Remus”, aveva commentato con un sorrisetto furbo. Lei aveva annuito.
“Il caro Moony” aveva ripreso “crede che le parole possano spiegare tutto. Perché non ha mai provato questo!” Si era avvicinato a lei di colpo, e Bessie aveva pensato che lui stesse per baciarla ma invece Sirius era soltanto rimasto a guardarla da vicino, perdendosi nei suoi occhi.
“Vieni” aveva aggiunto poco dopo, prendendola per mano e trascinandola con sé “ho scoperto un posto fantastico... neppure Remus, con tutti i suoi problemi ad ammettere l’esistenza dei sentimenti, saprà dirci di no!”
Quando l’aveva presa per mano tutto era andato a posto.


* * *


Dovrei restituirtelo.
Una parte di me spera con tutto il cuore che tu possa trovare quello che cerchi; l’altra, non lo so.
Come potrebbe andare diversamente?
Ho ancora così tanto da dirti da non sapere come farlo, e forse in fondo non è giusto che io te lo dica, perché ti fermerebbe.
È strano pensare ad una fine con te, dopo tutto quanto è successo in questi anni dovrei esserci abituata e invece non lo sono, ma immagino sia l’unica azione sensata che posso fare. L’unica cosa che posso fare per te.
L’unica che resta da fare.



129.
Oggi sono stata un’ora sulla riva del laghetto con la voglia di piangere, ed ho pensato a quante volte era capitato in passato e tu eri rimasto al mio fianco in silenzio, senz’altro aiuto che l’esserci.
Bessie era in camera, ed approfittando dell’assenza delle altre ragazze aveva aperto una piccola scatola che teneva sempre con sé: era gualcita agli angoli ed un po’ scollata, con dei disegni infantili che indicavano come l’avesse accompagnata fin dall’età più tenera.
Dentro era una profusione di ricordi: vecchie matite masticate, fotografie, biglietti, fiocchetti da pacchi regalo. Bessie aveva preso in mano sorridendo una molletta per i capelli a forma di mucca, l’aveva rimessa a posto per osservare al suo posto un lucidalabbra rosa, delle perline sciolte. C’era una fotografia di James e Sirius tra l’erba di Hogwarts, di notte, e lei non aveva la minima idea di come fosse finita lì: stavano sdraiati con il viso rivolto alle stelle, apparentemente dimentichi di tutto quanto li circondava.


* * *


“Cosa sarà di noi, Sirius?” La voce di James era uscita roca, dopo tutto quel silenzio.
“Che ti piglia ora?”
“Ce ne stiamo qui a sognare--”
“Oh, non essere così poco canino, Prongs!” aveva protestato lui con aria melodrammatica.
“Io non sono un cane, Sirius!”
“Uhm, vero. Però ci somigli sempre più di Peter” l’aveva informato con indifferenza.
“Davvero, Sirius: stiamo qui a sognare e cazzeggiare e a prepararci a modo nostro per il futuro... ma come sarà questo futuro?”
“Certo l’aver smesso divinazione appena è stato possibile non ci aiuta!”, aveva commentato il ragazzo con un sorrisetto, masticando un filo d’erba. James era rimasto in silenzio, forse un po’ scocciato dal tono dell’amico, che allora aveva ripreso senza guardarlo.
“Non mi fa paura.”
“No, in effetti tu hai già iniziato a scegliere, a prendere le redini, te ne sei andato via di casa mentre io sto qui a perdermi dietro Lily Evans ogni volta che un suo ricciolo mi sfiora... ma chi può dire qualcosa, in fondo? Proprio tu, vieni da una famiglia illustre ma ecco che sei finito in tutt’altro modo dal predestinato!”
“Significa che possiamo scegliere, no?”
“O che è tutto ancora più confuso di quanto uno si aspetti. Voglio dire, questo Voldemort e tutto il resto... come facciamo a sapere che un giorno non sarà tanto potente da governarci? O che un’onda anomala non ci sommergerà tutti quanti?”
“Non lo sappiamo, James. Viviamo e basta.”
“Ma tutto questo uscire la notte e giocare e... gli animali, ci aiutano per ciò che verrà? Ci renderanno pronti?”
“Perché, tu pensi esista un modo per essere preparati a quello che ci succede, qualunque esso sia?”
James era rimasto in silenzio a guardare le stelle; aveva soffiato il filo d’erba dalle labbra di Sirius, prendendolo in bocca per masticarlo a sua volta come un passaggio di calumet.
“Vorrei passare il resto della mia vita con Evans”, aveva esordito appena emozionato.
“E tu provaci.”
James l’aveva guardato obliquamente. “E’ la prima volta che non m’insulti quando ne parlo, quanto ti stai trattenendo?”
“Soffro come un maiale sgozzato, se ci tieni a saperlo.”
James aveva ridacchiato, si era voltato verso di lui. “Non so neanche come andrà la partita di Quidditch dopodomani e sto qui a preoccuparmi per un futuro lontano, devo essere rimbecillito, eh?”
“Credo che dirò ad Hagrid di aizzarti contro i cani” aveva commentato lui come un dato di fatto.
“Come sei sommamente idiota, Padfoot!”
“E tu come sei incommensurabilmente cretino, Prongs!” Sirius si era sollevato su un gomito, sostenendosi la testa. “A che serve farsi tutte queste noie ora? Tu pensa a dare il tuo meglio in ogni momento, pensa a non sprecare mai nemmeno un istante su qualcosa che non vuoi davvero perché non sappiamo quanto ancora staremo qui! Hai le corna, Ramoso: usale! Sfonda quelle maledette barriere e portati via Lily Evans su un cavallo bianco, siete fatti per questo!”
Era seguito un minuto buono di silenzio in cui James si era chiesto se dovesse ridere o rimanere serio; Sirius si era spazientito ed era tornato giù a guardare le stelle, l’umido dell’erba a solleticargli la pelle.
“Sirius, noi... qualunque cosa succeda, saremo sempre noi, vero? Voglio dire--”
“Sei proprio uno stupido cornuto! Nemmeno se bussasse alla porta Voldemort potrebbe cambiare qualcosa!”


* * *


Bugiardo.
James, Sirius, mi mancate.

Perché se n’erano andati? Perché Sirius le aveva promesso di proteggerla e poi l’aveva lasciata sola?
Maledetto Sirius, perché?!
Aveva sentito la rabbia contro Sirius montarle dentro, aveva ripensato al momento della sua morte senza riuscire a scacciare quell’immagine della sua mente. Le sue mani si erano strette a pugno, accartocciando quella fotografia senza rendersene conto, e Bessie si era piegata su se stessa trattenendo un ringhio sordo. Aveva stracciato a pezzettini minuscoli le partecipazioni di nozze di Lily e James, che ancora conservava.
Te ne sei andato, non avresti dovuto! Non avresti dovuto Sirius, non dopo tutto quello che avevamo detto!
Sei un bugiardo, un bugiardo. Un bugiardo!!!


* * *


Dopo il matrimonio Bessie si era recata a casa Potter per assistere alla classica proiezione di fotografie da viaggio di nozze. Erano stati via pochi giorni, c’era da fare lì per via di Voldemort ed entrambi erano dei pilastri dell’Ordine della Fenice per cui non potevano davvero assentarsi per molto tempo. James era saltato in braccio a Sirius facendogli le feste come un cuccioletto.
“Ci manca solo che scodinzoli”, aveva sussurrato Lupin a Peter con aria divertita. Lily invece era corsa incontro a lei con uguale affetto ma espresso in modo radicalmente diverso, come per una nuova consapevolezza che si diffondeva sul suo volto, sui suoi modi, sull’agitare le mani per sottolineare alcune parti di un discorso.
Appena prima dell’inizio delle proiezioni, dopo la cena, Sirius l’aveva riavvicinata - non si erano visti per una settimana. Le aveva porto un calice di cocktail colorato, sicuro che le sarebbe andato a genio. Colpita, aveva pensato Bessie; la conosceva troppo bene per pensare di poter fingere. Aveva afferrato il calice con attenzione, come se temesse di vederlo scivolare sul pavimento e rompersi in migliaia di frammenti pericolosi.
“Ciao, Sirius” aveva mormorato. Lui aveva saltato di un sol passo i convenevoli.
“Mi spiace” aveva detto con voce decisa “Credo di essere stato scortese al matrimonio, ad incalzarti così.”
Bessie si era voltata a guardarlo, senza dimostrare sorpresa a quelle parole e senza modificare di un millimetro i lineamenti del volto. “Non ti darò una risposta educata solo perché non stiamo più insieme, Sirius... sei stato tremendo.”
Lui era rimasto a fissarla senza aggiungere altro, si era allontanato con un sorriso che a lei era sembrato profondamente triste.
Fai talmente parte della mia vita, dei miei sentimenti Sirius, che non riuscirò mai a trattarti come un estraneo. Nemmeno se mi ferissi più di quanto hai fatto finora.


* * *


Mentre richiudeva la scatola con rabbia, Bessie aveva scorto con la coda dell’occhio un anellino che le aveva donato suo padre poco prima di morire, informandola che si trattava di un anello di fidanzamento da parte sua per lei e rendendola così immensamente felice. Se l’era rigirato tra le dita per giorni, quasi senza dormire per paura di perderlo, e Meg l’aveva canzonata ripetutamente dicendole che era innamorata di suo papà.
Suo padre amava le cose babbane, non a livello specifico come il signor Weasley, però Bessie aveva immaginato speso che sarebbero andati d’accordo, o comunque avrebbero passato ore a discutere dei loro punti di vista su determinati aspetti. La portava molto spesso a fare dei viaggi in auto, lei aveva preso l’abitudine di guardarsi intorno e lo trovava altamente romantico.
“Certo” le spiegava “la polvere o una passaporta sono più comode, però vuoi mettere?”
Bessie pensava che in effetti le si confaceva. In un viaggio su ruote c’era così tanto spazio per i pensieri, per i cambi di natura da ammirare, per persone diversissime tra loro! Era anche pesante, per lei, imparare a non portarsi dietro tutto, riuscire a non modificare il proprio umore in base all’ambiente che mutava in continuazione. Però era bello. Ricco.
E poi stare lì ad aspettare di arrivare, e pensare che c’era qualcuno ad aspettarti senza conoscere il momento esatto in cui vi sareste incontrati, in cui avresti sentito i suoi passi venirti incontro o avresti scorto la sua espressione stupita!
“Vuoi mettere?!” ribadiva con forza suo padre, convincendola completamente.
A viaggiare con la metropolvere, pensava Bessie, rischi di dare ciò che c’è per scontato, di pensare che tutto sia disponibile per sempre, in ogni momento in cui ne avrai bisogno. Non è una scoperta continua come il viaggio. Bisognerebbe che tutti potessero viaggiare davvero.

Aveva riposto la scatola nel grande baule sotto il letto, accanto all’album di fotografie che amava riguardare spesso: quella scatola, invece, non l’aveva mai riaperta.
Spero che la casa in Grimmauld Place rimanga vuota. Spero che il tuo appartamentino, Sirius, non sia stato occupato da nessuno. Mi piace pensarlo come un rifugio in cui quella nostra vita è ancora intatta.
Aveva risistemato le coperte sul letto, nella zona in cui si era seduta poco prima; si era morsa un labbro, giocherellando con i capelli e ciondolando le gambe che non toccavano terra da quell’alto baldacchino.
Spero che tu non porti nessun’altro a casa tua, Remus.
Remus.
Si era chiesta così tanto cos’avrebbe dovuto fare che aveva finito col perdere lucidità. Aveva finito col gettare delle polvere nel camino che illuminava fiocamente la stanza delle necessità, entrando in contatto con una casa non molto grande ma accogliente, decisamente familiare ai suoi sensi. Una donna stava spolverando alacremente il soggiorno, canticchiava per darsi ritmo anche se i suoi movimenti apparivano appena spezzettati, dato che negli ultimi mesi una sottile lamina di costante agitazione aveva contagiato anche il suo modo di spostarsi. Non era più molto giovane, ma data la sua stanza imperiosa la si sarebbe potuta dire di età indefinibile, il che è sempre vantaggioso per una donna.
“Molly” aveva bisbigliato richiamando la sua attenzione.

Poco dopo, Bessie era impegnata in una fitta conversazione con lei e con il figlio Bill; si era sfogata senza sapere bene cosa stava dicendo, senza preoccuparsene davvero. Loro erano una famiglia per lei, non avrebbe dovuto preoccuparsi. La signora Weasley aveva un carattere particolare, ma non si poteva in alcun modo negare che il suo amore fosse puro e disinteressato: nel momento in cui ti donava una parte del suo cuore, non importava cosa avresti potuto dirle, o fare di sbagliato. Era per sempre.
“Se non avessi più bisogno di Remus...” ripeteva ciondolando avanti e indietro sulle ginocchia per sfogare l’imbarazzo “Lui vorrebbe ancora restarmi vicino? È solo per dovere che è così con me?”
La signora Weasley le aveva mormorato brevi parole di consolazione, senza riuscire a convincerla ma era la presenza –lo sapeva- quella di cui lei aveva bisogno; non sarebbero serviti troppi discorsi, in sostituzione ad un abbraccio virtuale.
“E’ cambiato tutto, manca il collante, manca Sirius. Se smetterà di essere per me come la mia famiglia, se vedrà che posso cavarmela da sola, lui... sparirà?”
“Hai parlato con qualcuno, Betsy?”
“Come?”
“A Natale. Hai parlato con qualcuno?”
Bessie aveva scosso la testa, senza però riuscire a guardarli negli occhi; la signora Weasley aveva sospirato. Era stato a quel punto che Bill si era intromesso nel discorso con convinzione, guardando Bessie negli occhi così intensamente che lei non aveva osato sfuggirgli.
“Devi parlarne con lui, Bes.”
“No!”
“Lo sai.”

Quando la ragazza aveva estinto la conversazione, preoccupata ma in qualche modo confortata, Bill aveva cinto con un braccio le spalle della madre, per rassicurarla.
“Riusciranno a risolvere tutto.”



130.
Appena era tornata negli ambienti frequentati dagli altri studenti, la prima cosa che era saltata agli occhi di Bessie era stato un Harry corrucciato che fissava Piton con disgusto; l’aveva raggiunto alle spalle, borbottandogli di smetterla. Lui l’aveva fissata con rancore.
“Non dirmi di... tu non hai passato sei anni tra continui tentativi di umiliazioni ed offese a mio padre!”
Bessie aveva scosso la testa, pacata: “No, infatti. E non sono nemmeno stata salvata da lui.”
“Come?”
“Ti ha salvato la vita, Harry.”
Lui aveva fatto un gesto rabbioso. “E’ perché si sentiva in debito con mio padre!” aveva sbraitato. “Nessun gesto onorevole, non preoccuparti!”
“Anche dopo?” aveva buttato lì lei.
“Dopo? Di cosa stai parlando?”
“So che il primo anno ti ha salvato la vita, Harry” aveva spiegato lei pazientemente. “Ma quando Remus era trasformato, anche lì si è messo davanti a voi per senso del dovere, o per fartela pagare in qualche modo?”
“E tu come--” aveva balbettato lui impallidendo “Non può avertelo detto Lupin...” aveva fatto una seconda pausa, senza riprendere colore. Poi l’aveva osservata con aria sospettosa e preoccupata insieme: “Bessie, usi la legilimanzia?”
Lei gli aveva restituito l’occhiata senza aprire bocca, salda.
“È così, ti sta insegnando? Non farlo, Bessie!” l’aveva supplicata. “La userà contro di te!”
“Basta Harry, basta!” era sbottata infine lei, con un gesto brusco delle braccia sollevate sopra il capo. “Ne ho fin sopra i capelli delle tue manie di manicheismo! Non ti ho mai chiesto di essere il mio eroe, d’accordo? Non l’ho mai chiesto a nessuno!”
Se n’era andata lasciandolo lì, ancora un po’ pallido e sconvolto.


* * *


Hermione si era avvicinata all’amico con il maggior tatto possibile, l’aveva preso a braccetto guidandolo verso una poltrona.
“E’ fatta così, non ti starà a sentire... ma non perché non si fidi di te, Harry.”
Lui però guardava il fuoco senza dare segno di averla ascoltata.
“Non... hai la mania dell’eroe, Harry. Lo sa anche lei. Cerchi solo di fare del tuo meglio in ogni occasione.”
Quando si era voltato a guardarla, Hermione gli sorrideva, il volto illuminato dal fuoco.

* * *



Severus Piton era entrato nel suo ufficio, dedicando un’occhiata rapida ad uno strano riflesso vicino alla finestra. Si era tolto il mantello dalle spalle, andando a posarlo sullo schienale di una sedia. Aveva dato sollievo alla gola con un bicchiere d’acqua versatosi precedentemente.
“Non dovresti stare qui troppo spesso.”
Era andato a spalancare per metà una delle finestre, poi era tornato verso la porta per chiuderla bene; infine si era seduto alla scrivania per leggere alcuni fogli che teneva in mano.
“Mi manca” era stata la risposta di Bessie, il viso rivolto all’esterno.
“Black?”
“Lily.” Aveva alzato lo sguardo verso di lui, girando all’indietro il collo: “Tu mi capisci.”
“Non dire stronzate, Elizabeth!”
Bessie non aveva dato molto peso al suo tono brusco, limitandosi a sospirare in direzione dei vetri.
“Lui... non è sua madre.” aveva commentato senza attendersi una risposta; sarebbe stata superflua, lo sapeva. Si era massaggiata le spalle come se fosse stata tutta indolenzita in quel punto, aveva sfogliato distrattamente un libro gettato su una cassapanca di fianco a lei. Aveva provato a sorridere.
“Harry è preoccupato per me.”
“Potter è sempre felice quando può preoccuparsi per qualcuno. Lo fa sentire eroico.”
Bessie l’aveva guardato storto, allora Piton aveva lasciato uscire a sua volta un sospiro arreso. “Perché?” aveva domandato, sapendo che era quello che lei si aspettava.
“Tu.”
L’uomo si era alzato, aveva chiuso un po’ di più i balconi previamente aperti, era andato a frugare una tasca interna del suo mantello alla ricerca di qualcosa che aveva poi stretto nella mano senza che lei lo potesse vedere. “Potter non distinguerebbe una mosca da un elefante, e lo stesso pretende di infilarci il naso in mezzo.”
Bessie aveva ridacchiato. “A me piace.”
“Non ne dubitavo, Elizabeth.”
Il silenzio era calato nella stanza per alcuni istanti, prima che la ragazza riprendesse la parola, con tono vagamente imbronciato come per il capriccio di una bambina.
“Non dico stronzate!”
“Qualche volta.”
“Non fare quella faccia come per mostrare che il tuo qualche volta in realtà significa spesso!”, gli aveva rinfacciato senza che lui ne venisse colpito; la sua massima reazione era stato un leggero scuotere il capo.
“Perché hai sempre avuto tanta pazienza con me, Severus?” gli aveva domandato d’improvviso.
“Perché gli asini volano se guardi il cielo abbastanza a lungo?”
Bessie era rimasta in silenzio. “Sono davvero io?”
Lui l’aveva guardata.
“Sono davvero io, o era Lily?”

Piton era in silenzio, le labbra chiuse e tirate. Dev’essersi arrabbiato, aveva pensato Bessie.
Aveva fatto il giro della scrivania per piazzarglisi davanti e guardarlo fisso negli occhi: “Una volta ho sognato te da piccolo.”
“Un altro dei tuoi straordinari film?” aveva commentato lui sarcastico. Bessie aveva proseguito imperturbabile.
“Eri molto piccolo. E creavi farfalle di fuoco.”
Piton era sbiancato leggermente all’ultima frase, mentre Bessie aveva fatto spallucce. “Magari era qualcosa che volevi dirmi.”
“Cosa, che da piccolo creavo farfalle di fuoco?” aveva tentato lui, tagliente.
“Allora lo facevi!” aveva risposto Bessie con un sorrisetto di vittoria ad animarle il volto.
In fondo non ho il diritto di giocare con te. Non dopo tutto quanto c’è stato.
Quanto sangue perdono ancora ogni notte i tuoi pensieri? Con quali parole prese in prestito da mezzi ricordi riesci a stordire il tuo dolore? Tutto questo non è giusto.
Non lo è mai stato.
“Sai Severus... a volte Harry non sa distinguere una mosca da un elefante!”




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Capitolo 48
*** Hogwarts, 48. ***


Arieccomi... pronta per voi!
eloise, vada per la sfida allora! così non dovrò, almeno per il momento, cercare di spiegarti le intenzioni diverse per particolari che hai percepito tu nella storia... in fondo trovo bello il fatto che qualcuno leggendo possa intendere qualcosa più vicino a sé rispetto a quello che magari scrivi tu... ok, mixky e manny non lo fanno, ma loro sono le mie due telepati >_> riguardo la velocità, beh, in questi giorni ero a casa perché ammalata e sinceramente non mi restava molto da fare ç_ç e poi devo dire che gran parte della storia è già scritta, così a volte devo solo fare copia incolla del testo e poi aggiungerci l'html (rigorosamente a mano, che sbobba...)
manny, anima mia, mi hai fatta sentire decrepita! ebbene sì, faccio l'università ed ho 23 anni, quest'anno saranno 24 ç_ç° e nonostante questo perdo ancora tempo dietro a ste storielle... sigh. cmq sai, prima o poi doveva finire la storia :p anche perché se è ambientata nel 5° e nel 6° libro... cmq la fine ce l'ho pronta dall'inizio (oh oh oh oh che simpaticona sono! la fine... dall'inizio!) girerò la domanda anche a te anziché risponderti: secondo te come andrà a finire? e invece come vorresti che finisse?
mixky, la mia stella gemella, bentornata! :p sono contenta per Mirzam, ora tocca a te però eh... sai cosa penso? potremmo mettere su internet le varie foto che abbiamo trovato, un po' come avevo fatto io per le dolls, ricordi? sarebbe carino! e grazie anche a te per il supporto, mi ha fatta morire il decalogo punto per punto sul perché Bessie non è una MS XDDD
ah, giochino: chi di voi riconosce una cosa che tra il capitolo scorso e questo si ripete per tre volte in modi sottilmente ma significativamente diversi? dà un indizio sullo stato ATTUALE delle cose (il che non significa futuro :p)



Hogwarts, 48.



131.
Bessie stava scegliendo con cura gli ingredienti per una pozione che Lumacorno aveva chiesto di preparare, e manteneva gli occhi fissi sulle provette per non rischiare di distrarsi per l’ennesima volta. Quando però Piton era entrato nell’aula con la scusa di parlare con il professore, appartandosi con lui in un angolo, non era riuscita a resistere e si era messa ad ammirare il paesaggio dalle finestre che aveva di fianco.
All’improvviso l’aveva colpita un pensiero del tutto nuovo: aveva riflettuto spesso su Remus e su se stessa, senza pensare che in fondo lei non era l’altra protagonista della situazione, questa volta. Insomma, lui era innamorato, ma... di chi? Chi poteva essere...?

Dora.

Quel pensiero era stata una sferzata lungo la schiena. Tonks, certo: chi altro? Conosceva bene Lupin, negli ultimi mesi l’aveva visto ogni santo giorno che era trascorso, e Tonks era l’unica ragazza che lui vedeva abbastanza spesso da potersene innamorare.
Dunque è lei che me lo sta portando via?
Bessie si era colpita le nocche con il manico del coltellino che stava usando per tagliuzzare le erbe, guadagnandosi un’occhiata stralunata da parte di Kim.
“Prurito”, aveva spiegato con noncuranza.
Dunque è a lei che lo sto portando via?, si era corretta. Proprio a Tonks? Stava impedendo la felicità degli amici più cari che le fossero rimasti al mondo solo con la sua esistenza?
Non è l’esistenza, le aveva rivelato la solita, fastidiosa vocina dentro la testa. È il tuo egoismo.
Le punte delle erbe si erano piegate come per indicare il loro assenso a quella visione delle cose. Sono capricciosa?, si era domandata Bessie. Bizzarramente, sembrava che le erbe avessero annuito per la seconda volta. Bessie aveva iniziato a tagliare le radici con un vigore che nulla aveva a che fare con il suo impegno della materia, dato che non vedeva nemmeno quello che faceva. Tonks e Remus, seguitava a ripetersi. Remus e Tonks. Dovrebbe essere una notizia bellissima.
Allora perché mi sento da schifo?
Era ancora immersa in queste tristi considerazioni sul sentirsi tagliata fuori dall’unico presente, dall’unico passato che sentiva suo e sul suo personale egoismo quando aveva iniziato a distribuire le erbe prive di radici lungo la superficie della miscela che riempiva il calderone; in particolare aveva seguitato anche aggiungendovi alcune delle ampolle che aveva disordinatamente raggruppato davanti a sé, cosicché probabilmente aveva versato qualcosa di poco adatto: per questo si era riscossa dai suoi pensieri a causa di un persistente e minaccioso bollore violaceo sotto il suo naso.
Era riuscita ad allontanare Kim con uno spintone appena in tempo, senza potersi spostare anche lei: l’esplosione l’aveva presa in pieno, mentre cercava di ripararsi con le braccia.
Nella confusione di grida, fumo e spostamenti improvvisi che ne era seguita, Piton e Lumacorno avevano interrotto bruscamente il loro dialogo: in particolare il primo era corso verso la zona del disastro, saltando con agilità una sedia rovesciata nel momento di caos ed urlando senza rendersene conto il suo nome.
Elizabeth!!!”
Si era precipitato a vedere come stesse, ordinando di chiamare Madama Chips, e forse non si era nemmeno accorto della gaffe; qualcuno però pareva averla notata, bisbigliando frasi sorprese sull’origine del nome con cui l’aveva appellata, decisamente diverso da quello che loro conoscevano. Anche Kim l’aveva sentito, ma al momento aveva trovato più urgente controllare le condizioni dell’amica.
Fortunatamente, queste si erano rivelate poco preoccupanti: Bessie aveva le braccia ustionate in superficie sul lato che era stato maggiormente esposto all’esplosione ma il volto, riparato in gran parte dagli arti, non aveva che un graffio. Piton si era asciugato il sudore dalla fronte con un avambraccio.
“Maledetti studenti!” aveva borbottato tra i denti, lamentandosi della presunta incapacità della ragazza.
“Ehm, allora” era intervenuto Lumacorno “nulla di grave, no?” si torceva le mani con ansia. “Non ci sono problemi, l’accompagni in infermeria, Severus?”
Piton aveva lanciato un’ultima occhiata apparentemente distratta verso Bessie, per controllare che non avesse ferite nascoste. “Questa non è la mia ora”, aveva mormorato poi allontanandosi dall’aula.
Un mormorio di disapprovazione si era diffuso tra gli studenti, ormai dimentichi del curioso episodio di poco prima, alla vista di quel comportamento. Lumacorno aveva dovuto faticare per sovrastare le loro voci, mentre insieme a Kim aiutava Bessie a rialzarsi.
“Tutto bene, cara?” le aveva bisbigliato. E poi: “Allora, chi di voi si offre per accompagnarla in infermeria mentre io sistemo questa baraonda?”
Prima che qualcuno potesse parlare si era alzato in piedi un ragazzo dalle file centrali.
“Ci vado io”, aveva risposto con decisione. Si era avvicinato a Bessie sotto il sorriso compiaciuto di Lumacorno, l’aveva cinta intorno alla vita. “Ti fa male se tengo qui?”
“N-no” aveva risposto lei, confusa dallo stupore.

Si erano allontanati lungo il corridoio, con il ragazzo che la sosteneva con decisione ma anche con delicatezza, attento a non camminare troppo veloce; non l’aveva mai guardata in viso, apparentemente concentrato sulla strada da percorrere. Eppure la sua mano sui fianchi le dava una sensazione strana, di calore; la metteva in uno strano imbarazzo. Gli aveva studiato il profilo, chiedendosi che cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
“David”, aveva pronunciato alla fine.
Avevano compiuto ancora qualche passo prima che le rispondesse e senza che Bessie si decidesse a continuare; alla fine lui le aveva chiesto gentilmente come si sentisse, se poteva fare qualcosa per lei. Bessie aveva risposto incerta, a parole smozzicate, sempe cercando di guardarlo per comprendere il motivo del suo comportamento.
“Io... sentivo di dovermi scusare”, aveva esordito lui alla fine con tono secco. Continuava a guardare dritto davanti a sé, e Bessie aveva strabuzzato gli occhi.
“Tu... scusarti? E perché?”
“Temo di essere stato scortese con te l’altra notte” aveva spiegato senza un cedimento di voce. “Dopo che abbiamo parlato a quel modo me ne sono andato via lasciandoti lì.”
Lei aveva tentato un sorriso, seppure tirato. “Non devi scusarti David, non è il caso.”
“Io lo dico davvero!” Si era voltato a guardarla per la prima volta, e quell’urgenza nello sguardo aveva contribuito a rilassarla e a farle dimenticare il dolore per pochi istanti.
“Credo di essere stata io, quella da biasimare.”


* * *


Madama Chips l’aveva curata con un unguento particolare e delle bende che l’avrebbero liberata dal rischio di una anche minima cicatrice.
“Però dovrai tenerle finché non sarò io a toglierle, e soprattutto non portare pesi con le braccia, nei prossimi giorni!” l’aveva ammonita. Era stato così che da quel giorno David l’aveva accompagnata spesso a lezione, portando al suo posto i libri ed altri materiali di cui poteva aver bisogno. In effetti per i pettegolezzi di corridoio la cosa era stata interpretata come un ritorno insieme dopo un breve litigio, ed anche Lupin, i cui rapporti con Bessie si erano ridotti al normale dialogo professore-studente se per caso capitava loro d’incontrarsi, aveva pensato si trattasse di una situazione simile. Non che la cosa gli facesse piacere. Non gli sembrava un granché, quel ragazzo.
Una volta l’aveva incontrato fuori dall’ufficio di Lumacorno, dopo che Bessie gli aveva chiesto di poter ripetere la preparazione e lui glie l’aveva concesso privatamente; la stava aspettando.
“E tu che ci fai qui?”
David aveva sollevato il mento, scrollandosi un poco le spalle. “Sto aspettando Isabel Shacklebolt, signore.”
Stai buono, Remus Lupin. Non ha fatto apposta a calcare così sull’ultima parola. Non sta affatto cercando di provocarti.
“Lei è dal professor Lumacorno?”
“Sì, per un compito.”
“E tu stai qui fuori?”
“Sì. L’ho accompagnata ed ora attendo che esca.”
Lupin l’aveva superato, estraendo dalla tasca un grande mazzo di chiavi per aprire la porta del suo studio. “Sei al settimo anno. Non dovresti impiegare il tuo tempo in modo costruttivo?” aveva buttato là senza guardarlo, come se fosse stata una frase innocua. David aveva sorriso fra sé.
“Oh, ma questo è utile, signore!”
Lupin, innervosito, aveva spalancato la porta con un colpo secco. David aveva appena fatto in tempo a sbirciare all’interno una grande quantità di frammenti piccolissimi di quella che era stata una lastra di vetro evidentemente colpita a ripetizione fino a coprire l’intero pavimento, prima che se la richiudesse alle spalle senza nemmeno un cenno.



132.
“Sono quei fogli lì” le aveva indicato Gazza senza tante cerimonie. “Il plico accanto al primo cassetto.”
“Ma è... una montagna!” aveva commentato Bessie alla vista di tutta quella carta, sgomenta. Gazza aveva sghignazzato.
“E non ne userà che uno o due, ragazza!”
“Ma io non posso, cioè...”
“Poche storie! Il professor Lupin ha chiesto che uno studente gliele porti, e tu non mi sembri menomata, perciò spicciati!”
Rimasta sola nell’aula, Bessie si era studiata gli avambracci fasciati con un sospiro. Le rimbombava nella testa la voce di Madama Chips che le intimava di non portare pesi, però David stava allenandosi a Quidditch ed era sicura che Gazza si fosse appostato da qualche parte per controllare che non cedesse l’incombenza ad un’altra persona.
“Questa si chiama vendetta, maledetto magonò!”, aveva mormorato a denti stretti.
Era tornata a misurare con lo sguardo l’enorme pila di fogli: da quanto aveva capito doveva trattarsi di una questione importante.
“Uff”, aveva borbottato accingendosi a trasportare il materiale.

Quand’era entrata nell’uffico, Lupin stava bevendo qualcosa che gli era andato di traverso in un attimo. Aveva posato la tazza sul tavolo con violenza, portandosi le mani alla bocca.
“El... Isabel!” aveva bofonchiato.
“Professore, mi manda Gazza. Ha detto che lei ne aveva bisogno” aveva aggiunto indicando i fogli con il mento, perché era l’unica parte del corpo rimasta libera ed in grado di farlo.
“Uhm, sì certo” aveva replicato lui con tono professionale. “Appoggiali pure lì.”
Bessie aveva seguito le indicazioni e stava apprestandosi ad andarsene, quando la voce dell’uomo l’aveva raggiunta un’altra volta.
“Fuori sta nevicando, per caso?”
“Come?”
“Ho chiesto se nevica.”
Bessie aveva lanciato un’occhiata costernata alla finestra, irrimediabilmente chiusa con il catenaccio.
“Professore, ma... siamo in primavera inoltrata...”
“Allora magari un’acquazzone”, aveva replicato lui con tranquillità. Lei aveva sollevato un sopracciglio.
“Dove vuole arrivare?”
“Sei da sola.”
Bessie era rimasta ferma. Incredula. Aveva sentito uno strano solletico salirle lungo le gambe, come se il sangue avesse ripreso a circolarle nelle vene risvegliandole dopo molto tempo e provocandole un piacevole formicolio.
Irresistibilmente, aveva sentito la risata raggiungerle la gola.
“Dunque era... per questo?” si era espressa a fatica, le mani premute contro la pancia per fermare l’ilarità.
“Che cosa, come...” si era stupito lui.
“Remus” aveva pronunciato chiaramente lei con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, tornandolo a chiamare per nome mentre lo fissava negli occhi. “Il fatto che David mi accompagni quando sono in giro... è per questo!” aveva terminato sollevandosi le maniche della veste fino a scoprirsi le fasciature degli avambracci.
“Per la barba di Merlino, si può sapere che ti è successo?!”


* * *


Dopo che Bessie aveva raccontato della sua disavventura, omettendo con cura le cause della sua momentanea disattenzione, Lupin non aveva voluto sentir parlare di permetterle di riportare indietro i fogli da sola.
“Remus, guarda che ce la faccio.”
“Potrebbe non cicatrizzarsi.”
“Non scherzare, sono solo dei graffi!”
“Hai portato tutti questi fogli fin qui... da sola” aveva commentato lui a bassa voce, quasi riferendolo a se stesso. Poi aveva afferrato il mucchio, accompagnandola lungo i corridoi.
Dopo alcuni passi, senza guardarla, le aveva rivolto la parola.
“Senti, io... volevo scusarmi, allora.”
“Perché?”
“Ho paura di essere stato alquanto scortese con te in questi giorni, senza che ci fosse un motivo. Non che esista comunque una giustificazione alla scortesia, in genere” aveva aggiunto mortificato. Bessie aveva sorriso.
“Te l’ho detto, Remus, sei una bestia. Almeno con me sei stato una bestia, ed ho intenzione di fartelo scontare da qui all’eternità... senza che tu ti aspetti clemenza solo perché ora sei un mio professore!”
Aveva ridacchiato, Bessie, finalmente sollevata, e anche lui si era lasciato scappare un ghigno divertito. Quand’erano giunti in prossimità dell’aula lei si era voltata verso di lui, fermandosi ad un passo dalla porta.
“Bene, allora io...” aveva fatto per afferrare i fogli di carta, ma Lupin con un Locomotor li aveva posati nel punto esatto in cui avrebbero dovuto trovarsi.
“Grazie” aveva replicato la ragazza, tormentandosi una ciocca di capelli ed arricciandosela intorno all’indice.
“Scherzi? Se non ti fossi mossa tu per venire a trovarmi saremmo ancora fermi sulle nostre vecchie posizioni... sulle mie stupide posizioni!” aveva aggiunto con una smorfia. Lei aveva fatto un gesto con la mano per dirgli di lasciar stare, gli aveva sistemato il colletto consunto della giacca che portava. Sembrava che nessuno dei due fosse sicuro di come comportarsi in quel momento, dopo che d’improvviso erano passati dall’ennesima incomprensione e perdita di contatti al chiarimento più piacevole. Bessie aveva spostato il peso del corpo da un piede all’altro.
“Allora... ciao” l’aveva salutato con tono fioco. Quando aveva alzato gli occhi a guardarlo però, aveva visto in lui uno sguardo così intenso e colmo di sentimenti che istintivamente era scattata all’indietro, allontanandosi di mezzo passo. Era rimasta istupidita a fissarlo, mentre lui le dedicava una specie di sorriso diffuso in tutti i lineamenti del volto.
Cosa stai... cosa stanno dicendo i tuoi occhi, Remus?
Era ancora immobile, agganciata da quello sguardo forte come una rivelazione e senza sapere quale reazione adottare alla cosa, quando Lupin con un piccolo cenno del capo si era congedato, allontanandosi.



133.
Era stato allora che la voce viscida e spiacevole di Malfoy l’aveva raggiunta per l’ennesima volta, mentre il suo proprietario si appoggiava con le spalle su una colonna lì accanto, squadrandola con derisione.
“Che succede Shacklebolt, te la fai col professore squattrinato?”
Bessie non l’aveva degnato neppure di uno sguardo. “Sta zitto Malfoy, piantala di ridere!”
“Credevo non ti fermassi così in basso, anche se in effetti avrei dovuto aspettarmelo per...” aveva fatto un gesto pittoresco in aria “Potter. Ma in fondo sei bellina, sei capace… ora capisco che decisamente non potresti stare fra i Serpeverde. Se scegli un poveraccio…”
Si era voltata a guardarlo, assolutamente fiammeggiante. “Ti ho detto” aveva cercato di mantenere la voce più tranquilla possibile “di stare zitto, Malfoy.”
“Ma è la verità!” aveva protestato lui con finta aria ingenua “Che valore può avere uno straccione?”
Bessie l’aveva squadrato da capo a piedi con disgusto, respirando a fondo prima di rispondere, mentre le pupille le si restringevano sempre più per la rabbia. “Tu… semplicemente non potrai mai capirlo, Malfoy.” Si era stretta nelle spalle.
“Già. Probabilmente non sono abbastanza bestiale…”
Questa volta non gli aveva lasciato il tempo di aggiungere altro, spingendolo con un colpo rabbioso contro il muro. “Adesso stammi bene a sentire” gli aveva scandito, la voce tremante per la rabbia. “Il nome Malfoy era già abbastanza inviso nella mia vita prima che ti conoscessi, se poi ti metti ad offendere persone cui tengo--” aveva terminato bruscamente, mentre poco distante Neville, Dean e Seamus la sostenevano con un tifo da stadio.

“Che sta succedendo qui?”
L’arrivo di Piton aveva congelato l’esultanza dei Grifondoro presenti, mentre Bessie si staccava da Malfoy con la netta sensazione che fosse rimasto ad ascoltare tutto, e si fosse mostrato solo al suo pronunciare quella frase avventata. Non era nemmeno riuscita a controllare la reazione di Malfoy, ma Piton le sembrava arrabbiato, anche se cercava di mostrarsi beffardo come al solito.
“Me lo spieghi lei, professore.” l’aveva interpellato, cercando di sbollire sufficientemente “Insultare un insegnante è un altro dei privilegi concessi ai Serpeverde?”
“Cosa? Io… temo che esageri, Shacklebolt. Il professor Lupin non è più un vostro insegnante, dopotutto, e sono sicuro…” aveva lanciato un’occhiata all’espressione spavalda e strafottente di Malfoy “che Draco non ha detto nulla con intenzioni poco educate.” Non la guardava in viso per non montare la situazione, sapendo che la sua rabbia stava montando di nuovo. In effetti Bessie, nonostante sapesse perché lui era lì, non poteva perdonarlo per quello che stava facendo: sembrava sul punto di esplodere.
“Si dev’essere trattato di uno scherzo fatto con simpatia, ecco tutto!” aveva concluso asciutto.
“Davvero?”
“Certamente.” Pareva impassibile.
“Lei davvero pensa questo, professore?”
“Shacklebolt, te l’ho appena detto. Perché devi costringermi a ripetermi? È noioso!” il tono era secco.
“Bene. Bene!” aveva ripetuto pestando un piede a terra. “Allora” gli si era avvicinata “in simpatia… si lavi i capelli un po’ più spesso, professore!!!” era sbottata, voltandogli poi le spalle ed andandosene con aria furiosa, mentre Dean si precipitava dietro la schiena di Seamus per cercare di nascondere la risata che gli era scoppiata fra le labbra.



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Capitolo 49
*** Extra - Ritorni, 49. ***


Orbene eccomi qui, sono stanchina ma pubblico, domani forse ci riuscirò ma sarò di corsissima perché ho miliardi di cose da fare e poi non tornerò a casa per dormire, credo. indi... mixky, nuuu! Remus non sarà mai come gli altri, e neanche Sirius! Loro SEMBRANO, perché... perché... beh, se no non potrebbero far fronte all'enorme carica femminile in cerca di qualcuno da impalmare, capito. così li tengo tutti per me :p gh, il paragone con l'olio cuore mi ha fatta morire, in effetti m'immaginavo piton col mantello svolazzante come al solito, troppo svolazzante, tanto che c'inciampava su e rotolava rotolava... avvolgendocisi come uno spiedino! e adoro Bessie quand'è arrabbiata, è così infantile ed ingenua, completamente trasparente! la cosa sui capelli nno vedevo l'ora di fargliela dire, in fondo a parte la mega litigat all'inizio, lei e piton sono sempre stati così noiosamente corretti fra di loro... e Bessie a dire la verità è troppo spontanea e sincera per riuscire ad essere una persona completamente corretta, almeno nel senso di diplomatica!
manny, erano tre situazioni in cui qualcuno chiede scusa a Bessie e lei ogni volta risponde in un modo diverso a seconda della persona... in effetti ho lasciato la frase di scuse pressoché identica, è la risposta che varia. non sempre. nemmeno io cmq amo gli stravolgimenti, oltretutto se avessi voluto farlo avrei per prima cosa salvato sirius, e mixky ne sa qualcosa :p anche se in fondo la ffic si basa sul superare il senso di perdita senza scappare... nn so, probabilmente era a questo che mi riferivo quando dicevo di temere che risultasse pesante, per questo quando potevo ho cercato di descriverla con leggerezza,, con comicità, anche (ovviamente non sempre si può), però in fondo non credo avrei potuto farla agire e reagire altrimenti, non sarebbe stato logico né per il personaggio né per quello che le capita. così come trovo logico che ad una pasticciona ma sincera come lei e che ne ha passate tante gli altri stiano molto intorno, istintivamente. mica è colpa mia se la Row ha creato tanti personaggi di buon cuore, orsù! :p se Lupin è così ligio al dovere perché ha paura dei sentimenti che non gli siano arcinoti, se Bessie invece ci si tuffa come se in lei non ci fosse spazio per altro! oltretutto non potevo inventare molti 'fatti' proprio per essere legata alla storia originale, così mi sono basata più che altro sull'evoluzione personale, interna. ma ti dirò una verità, non sono per niente una fan della coppia Tonks/Remus, non mi piace >_< riguardo l'età ci ho giocato su, in fondo nno lo trovo grave specie conoscendomi =_= in realtà credo basti nno farselo bastare, sia in termini di letture (adoro le cose cervellotiche e tremende *_*) che di vita, nel senso di non rinchiudersi in una ffic come unica risorsa possibile per vivere. poi io ho la testa fra le nvole, quindi tendo ad assimilare tutto in fantasia e mi vengono spontanee ste cose ç_ç°
basta, basta, basta! papirissimo!!!


Extra - Ritorni, 49.


134.
È una bella giornata, aveva pensato Bessie. Buona per raccogliere tulipani in campagna, e correre a perdifiato e rotolarsi per terra senza preoccuparsi del fango. Potrei fermarmi accanto ad un fiore di melo ed aspettare per ore di vederlo muoversi.
Invece era seduta ad un tavolo sul molo, un vecchio pontile di legno su cui stava un elegante tavolino bianco. Con lei, un uomo che avrebbe potuto volerla uccidere prima che il sole fosse scomparso.
Forse scenderà la sera ed io sarò morta, aveva pensato.

“Ernie”, aveva pronunciato infine. “Credevo fossi morto.”

* * *


Tonks si era rimboccata le maniche, in cucina tutto era pronto per il tentativo: con dei buffi occhialetti sistemati sulla punta del naso solo per darsi fiducia aveva letto da un libro tenendolo con una mano, mentra l’altra impugnava orgogliosamente un mestolo.
Per non lasciare nulla al caso, addosso aveva un grembiule bianco; aveva smesso di leggere, soffermandosi un momento sul pensiero di un’altra persona in grembiule –con Bessie che gli scattava una fotografia malefica- ed aveva sorriso.

* * *


“Sono stata sola per così tanto tempo che adesso ho un po’ perso l’abitudine di parlare con persone che non conosco”, l’aveva informato con educazione guardinga.
“Ma tu mi conosci, siamo stati insieme!”
Bessie aveva scosso la testa. “Credevo fossi morto.”
“Anch’io”, aveva replicato lui. Lei l’aveva guardato.

* * *


Tonks aveva una macchia di cioccolato sul naso, o forse era senape dalla sfumatura incerta; non se n’era preoccupata, continuando a seguire quello che sembrava un impasto dall’aria poco rassicurante: se si fosse data da fare senza fermarsi anche nei momenti liberi avrebbe smesso di pensare troppo, di chiedersi troppo.
Un rumore strano l’aveva interrotta proprio sull’orlo di aggiungere un ingrediente spezzettato e violaceo: qualcuno la chiamava dal caminetto. Era Lupin, che aveva discusso con lei di un problema tecnico; avevano usato un linguaggio segreto, un codice sperimentato nei mesi precedenti. Lei gli aveva chiesto di Bessie e lui aveva risposto vago; Tonks, nervosa, gli aveva intimato di fare qualcosa.
“Sei andato a Hogwarts per questo, no?”
“Tonks...”
“Non voglio sentire Tonks, non ne ho voglia. Fai quello che devi fare.”
Lui aveva chiuso la comunicazione con aria mesta mentre lei si era pulita distrattamente le mani sul grembiule, decorandolo con vistose striature rossastre. Si era seduta al tavolo della cucina, borbottando qualcosa che aveva a che fare con il non capire e con i sentimenti.


* * *


“Credevo che Sirius ti avesse ucciso”, aveva insistito lei. Lui l’aveva indicata.
“Beh, più o meno anch’io.”
Bessie aveva allontanato l’idea con un gesto. “Perché siamo qui?”
“Sta per cominciare tutto.”
“Buffo, io credevo che stesse per finire.”

“Non voglio che ti uccidano.”
La voce, la frase rivelata senza mezzi termini aveva rotto in un sol colpo la bolla di sapone in cui avevano rinchiuso quel dialogo, separandosi dalla realtà. Le parole di Ernie erano state uno strappo alla coscienza di Bessie, l’avevano costretta a guardare in faccia il senso di colpa dell’uomo -o qualunque altra cosa fosse- senza riuscire a trovare una risposta.
Lei ed Ernie erano diventati amici ai tempi di Hogwarts, perché lui era l’unico che aveva capito l’importanza di una situazione: Bessie non si era presentata al funerale di suo nonno, una cerimonia ufficiale con tanto di invitati del governo, per andare invece a quello di un gatto. Sua madre non le voleva più parlare. Non poteva capire.
Ernie invece aveva capito. Bessie amava suo nonno, l’amava più di quanto avrebbe potuto sopportare, probabilmente, l’amava da non riuscire a reggere tutte quelle persone, tutte quelle formalità, tutta quella pompa per un dolore che sentiva solo suo. Ed amava quel gatto, la sua discrezione, i suoi movimenti ammaliatori ed il silenzio che la natura gli aveva accordato per andarsene.
“Sei come mia sorella!”, le aveva sbraitato contro la madre ritenendola un’offesa sufficiente.
Così erano diventati amici, però poco dopo erano tornati a casa per le vacanze e Bessie pensava che il loro rapporto si sarebbe inevitabilmente sciolto in quei mesi di lontananza; invece era successo che Meg doveva sposarsi e all’ultimo momento non se l’era più sentita, così il giorno prima erano scappate loro due, accampandosi a pochi chilometri di distanza. Ricordava quei due giorni come dei momenti tra i più felici, più rilassati della sua vita. Meg era pazza di gioia per lo scampato pericolo, ed avevano trascorso il loro tempo pescando e chiacchierando ed addormentandosi sfinite nella stessa tenda.
Ernie era stato il primo a trovarla. Prima di Lily. Lo ricordava bene perché quando lui l’aveva raggiunta lei addosso aveva soltanto la maglietta leggera che usava per dormire e che le copriva a stento le cosce, così quando era sobbalzata per l’emozione ed aveva calpestato una pietra scivolosa, andando a finire in acqua e necessitando di un pronto salvataggio, non era stata una scena molto piacevole per il suo imbarazzo.

“Devo andare”, aveva mormorato Bessie alzandosi dal tavolo. Ernie sembrava triste.
“Quando ci rivedremo sarà tutto diverso.”
Lei aveva ricordato i momenti trascorsi insieme, come si era preso cura di lei per due anni e la complicità che li aveva uniti, ed una punta di malinconia si era impossessata della sua mente, impregnandola di quel passato come di qualcosa da rivedere con nostalgia; poi però il suo pensiero era andato a Sirius, a Lily, a James... ai loro modi di chiamarla quando l’incontravano, di guardarla, di muoversi intorno a lei; al modo che avevano di correrle incontro, di litigare. Alla fine che avevano fatto per colpa sua, e per chi stava insieme a lui.

“No”, gli aveva risposto. “Sarà com’era anche prima.”
E se n’era andata senza più voltarsi.





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Capitolo 50
*** Hogwarts, 50. ***


tornata, dopo aver dormito circa quattro ore... yawn. mixky, manny, pure io ho fatto il classico! :p che trittico!!! manny, il tuo capitoletto è ormai pronto, lo inserirò fra breve... prima c'è una parte importante, non particolarmente allegra ma una sorta di momento-sfogo di cui questo capitolo è l'introduzione, la reazione di bessie a cui tendeva tutta la storia dalla morte di sirius in poi. mixky, Ernie è stato nominato un paio di volte fino ad ora: la prima volta nel capitolo 7, quando parlando dell'ex di Bessie passato con i mangiamorte (quello del casino di balthazar), la seconda è nella fotografia 37 (Ritorni) del capitolo 18, nel confronto con sirius. mi pare non ci sia in altri momenti. quanto alla gelosia di sirius, sono perfettamente d'accordo con te... ed in fondo è quello che ho cercato di esprimere nel capitolo... uhm, 9? quello in cui sirius si confronta con se stesso e le sue difficoltà nei confronti proprio di bessie, e di chi la circonda... quindi come vedi in tutto e per tutto identica visione!



Hogwarts, 50.



135.
Bessie aveva smesso tanto tempo prima di affidarsi a sua madre, e c’era qualcosa di terribile in quel suo nuovo bisogno di vedersela comparire davanti per farsi abbracciare senza domande. Dopo una vita passata a soffrire nel sentirsi costantemente giudicata da lei, dopo anni almeno, proprio ora che aveva fatto le sue scelte, che se n’era andata di casa, era entrata nell’Ordine della Fenice, era andata a vivere con Sirius, era quasi morta e tornata... ora aveva questo incommensurabile bisogno di bambina.
Aveva ripensato al momento in cui Silente le aveva offerto di entrare a far parte dell’Ordine, e sotto sotto la sua espressione aveva qualche cosa di spaventato, di arreso alla necessità, come se non avesse voluto davvero che lei rispondesse di sì, ed è angosciante scoprire che qualcuno cui davvero ti affidi senza riserve non riesce a darti il sostegno che pretendi. È una cosa da bambini, ma è sempre duro accettare l’idea della debolezza in uno come Silente, aveva dovuto imparare a convivere con l’umanità di chi le stava accanto molto più che con la morte. Non le sembrava che lui avesse avuto lo stesso sguardo nel chiederlo a James o Sirius, e nemmeno a Lily; la sottovalutava? Si preoccupava per lei perché la considerava solo una ragazzina? Aveva voluto dimostrargli che non era così, Bessie, si era rimboccata le maniche così tanto che non aveva più avuto tempo di pensare alla paura.
Ora, riflettendoci a mente fredda, aveva capito che era stato soltanto un alibi per non sprofondare nel terrore.
Forse avrebbe dovuto chiedere scusa a Silente, o ringraziarlo. Cose così, insomma, non che lei fosse mai stata granché in questo genere di situazioni. Forse glieli avrebbe detti entrambi di tutta fretta senza guardarlo, e lui avrebbe capito comunque a cosa lei si riferiva. Forse sarebbe passata a trovarlo. Non ne era certa.

È ingiusto. Quante cose erano state ingiuste, fin dall’inizio. Tanto per fare un esempio, Lily che era così precisa e coraggiosa e adatta ad ogni tipo di situazione, non doveva essere una mezzosangue. Non che la cosa facesse differenza per lei, anzi magari le aveva donato proprio quella ricchezza in più di chi sa che non esiste solo tutto questo che – hanno. Ad ogni modo, non sarebbe dovuta essere una mezzosangue per gli altri. Era solo un modo di sottovalutarla.
Poi c’era la storia dei suoi genitori che erano morti e dei genitori di James che erano morti e un po’ erano anche i genitori di Sirius, ed erano morti tutti quanti e invece con uno strano senso dell’umorismo sua madre era ancora viva anche se una madre per lei non lo era mai stata, in fondo. Be’, forse sì. Solo non la madre che si sarebbe aspettata.
Comunque lei c’era, e invece persone di cui i suoi amici avrebbero avuto bisogno non c’erano state più. Non che avesse augurato la morte a sua madre, intendiamoci, però, insomma... non era solo la questione di tanti morti e tanto orrore, in quella guerra... c’era qualcosa di bizzarro, nel modo che le cose avevano scelto per succedere. Qualcosa di grottesco.

Un po’ le veniva da ridere, al pensiero delle cose che aveva detto a Piton, e in fondo non era nulla e proprio per questo sapeva che anche lui aveva capito di cosa si trattava al di sotto. Non le importava davvero che lui potesse prendere le parti di Draco Malfoy, non così tanto almeno. Il punto di rinfacciargli il suo modo di essere...
Era stato per Lily e James.
Quando parlava con lui, quando lo guardava, non si riferiva mai a lui come ex Mangiamorte, nemmeno fra sé. Era Severus Piton, e quel che c’era stato c’era stato. Però sapeva, e lo sapeva anche lui, che un giorno qualcosa nel suo cuore si sarebbe sentito pronto per uscire, e allora lei sarebbe sbottata di punto in bianco, e non era detto che sarebbe c’entrato necessariamente con l’argomento principale che li univa e divideva da anni; sarebbe sbottata per se stessa, per lui, per la salvezza del loro rapporto –per non covare quel rancore che non c’era mai stato.
È tutto talmente complicato, ad ogni passo!

Il fatto di aver rivisto Ernie il giorno prima, cosa significava?
Perché non era mai riuscita a lasciarsi dietro qualcosa con una scrollata di spalle? Non aveva mai avuto qualcosa di facile davvero, non suo padre, non sua madre, non lo stare con Sirius, l’Ordine.
Quando Ernie le aveva detto quella frase su Sirius, lei aveva provato l’impulso di ucciderlo. Di usare la bacchetta contro di lui senza preoccuparsi delle conseguenze o misurare la forza. Quando aveva detto che pensava che Sirius l’avesse uccisa, sapeva cosa intendeva, e sapeva anche che in qualche disperato modo era vero. Per questo voleva difendere Sirius, voleva fare del male ad Ernie più di quanto avrebbe voluto per tutto quanto il resto, per gli attentati alla sua vita, per essersi ripresentato lì dopo diciassette anni cercando di rimescolare le carte.
Gli altri non avrebbero mai potuto capire. Non avrebbero capito lei, non avrebbero capito Sirius.
Non voleva che capissero. Voleva solo che la lasciassero in pace.

A proposito di capire, forse era giunto il momento di parlare con Remus.



136.
Quand’era tornata di là però, per chissà quale motivo era stata organizzata una sorta di festicciola a cui tutti avevano deciso di partecipare. Tartine di tutti i tipi s’immolavano volontariamente nella sala grande, e quando Silente si era diretto verso di lei aveva immediatamente capito di chi fosse stata l’idea.
Lui sapeva?

Silente le aveva sorriso amabilmente: "Signorina Isabel, ho saputo che lei possiede doti canore non indifferenti; non vorrebbe deliziarcene? Non servirà nulla di troppo... importante" aveva concluso con tranquillità.
Bessie in realtà non sentiva nessun desiderio di esibirsi, non l’avrebbe sentito comunque ed in particolar modo non dopo gli ultimi avvenimenti, ma i modi tanto gentili di Silente le avevano strappato un sorriso d'assenso prima che se ne rendesse conto.
Cosa stai cercando di spiegarmi?
Senza scomporsi si era diretta verso il pianoforte di vetro che Vitious aveva cortesemente fatto apparire poco distante da lei, completamente trasparente in ogni sua parte, ed aveva premuto alcuni tasti lasciando che proseguisse da solo una volta individuata la canzone. Aveva inclinato la testa da un lato: sapeva che le ultime parole del mago indicavano che non era necessario né consigliabile che lei esponesse agli altri studenti le sue capacità di emagus. Una voce cristallina e pura sarebbe bastata; probabilmente la sua prima intenzione era stata di darle del sollievo, permettendole di sfogarsi in una certa misura.
Si era schiarita la voce, intonando una canzone tristissima su due amanti separati ma fiduciosi di reincontrarsi... e un paio di espressioni poco distante erano diventate molto serie nell'ascoltarla.

Cerco incessantemente di ritrovarti fra milioni di onde, ed ancora una volta sto qui a sperare che un giorno rivedrò il tuo viso.



* * *


Il mattino seguente tuttavia Bessie non era presente al tavolo dei Grifondoro per colazione. Hermione l'aveva notato, indicando il posto vuoto anche a Ron ed Harry.
"Scusami, Kim" aveva domandato alla compagna di banco "non c'è Belle questa mattina?"
"Oh Dio no, quando mi sono alzata lei non era già più nel letto. Quella ragazza mi dà sempre un sacco di grattacapi e ultimamente sparisce in continuazione, chissà dov'è andata a ficcarsi oggi... non mi avvisa mai di nulla, mi spiace, non posso aiutarti!"
Hermione aveva fatto ritorno dagli altri due accennando di no con la testa, e improvvisamente Harry era balzato in piedi: "So dov'è!"
Senza fornire altre spiegazioni si era catapultato a raggiungerla: ricordava bene di come lei gli avesse raccontato di suo padre, della prima volta che lui era capitato lì mentre lei cantava. Quando aveva frequentato Hogwarts Bessie si era nascosta spesso lassù per cantare, dove nessuno poteva sentirla; il fatto era che tutti erano prontissimi a farla esibire per sentirsi meglio, ma erano molto superstiziosi sul sentirle esprimere sentimenti tristi o di rabbia, era una situazione comune per quel che riguardava gli emagus: tanto abili ad estrarre i sentimenti più reconditi, che nessuno desiderava vederli maneggiare quelli negativi. Si diceva, stupidamente, che potessero provocare una guerra con una canzone errata. Così lei evitava di sfogarsi per non vedersi attorniata da sguardi terrorizzati. Era sempre stato così.
Un giorno si era recata alla torre con più frustrazione del solito, non era riuscita a contenersi nemmeno lungo le scale... l'ennesimo litigio con Sirius che sembrava non volerla in nessun caso prendere sul serio l'aveva ferita una volta in più, ed aveva espresso tutti quei sentimenti senza pudori tramite il canto. Non si era accorta di James che stava lì ad ascoltarla finché non era entrato cantando insieme a lei, accompagnandola con la voce e sorridendole. Era la prima volta che qualcuno che fino a poco tempo prima non conosceva la accettava per quello che era, per una persona con delle debolezze, senza pretendere da lei che fosse un idolo infrangibile, senza nemmeno provare a difendere l’amico. Era la prima volta, e la spontaneità di James Potter di quel mattino era stato ciò che da allora li aveva legati per sempre. Da quel giorno lui non era mai, mai mancato una sola volta, quando lei si rifugiava lassù perché stava male. Non le aveva mai fatto mancare il suo supporto, uno sguardo amico. Nemmeno Lily l'aveva mai saputo per un bel pezzo, era stato qualcosa che aveva naturalmente legato i loro cuori, e Bessie si era chiesta per un bel pezzo come facesse lui ad intuire quando lei era lì, quando aveva bisogno della sua spalla.
"Lo sento", le aveva spiegato lui con semplicità. "Ti sento cantare nel mio cuore."

A questo pensava Harry, mentre percorreva a due a due i gradini che lo separavano dalla guferia.
E un momento dopo l'aveva raggiunta e lei stava lì, inginocchiata al suolo mentre cercava di portare a termine una melodia fissando il vuoto, in preda ad una totale crisi di panico. Harry era corso ad abbracciarla, cercando di sollevarla da terra, ma lei l'aveva respinto con violenza, mandandolo a sbattere contro la parete. Mentre lui si rimetteva in piedi indolenzito, tra ansimi e rantoli aveva concluso la canzone, mormorando poi in un soffio quasi indistinguibile una frase che gli aveva rammentato la cerimonia funebre per Sirius. "Mai... interrompere un emagus... lascerebbe troppi sentimenti scoperti. E' come... prendere una bacchetta dalla parte dell'incantesimo."
Un attimo dopo la sua crisi si era ingigantita, se ne stava lì ciondolando con il corpo avanti ed indietro, con ringhi che erano grida non espresse, come se cercasse disperatamente di piangere ed ancora una volta non ci riuscisse.
"C'è sempre... stato, Harry..." ed Harry aveva compreso che parlava di suo padre. "Di tutti i momenti... in cui stavo qui a cantare, in cui ne avevo bisogno, non c'è mai stata una volta che James Potter non sia arrivato da me... non... una maledettissima volta!!!" aveva concluso quasi con astio, in un rantolo più doloroso degli altri.


* * *


Nel frattempo erano iniziate le lezioni del mattino, ed un timoroso Ron aveva fissato il posto vuoto fra lui ed Hermione durante l'ora di Piton. Non erano trascorsi due secondi che aveva percepito un altro sguardo, astioso, su di sé. Subito dopo una bacchetta l'aveva colpito all'orecchio, per attirare la sua attenzione. "Bene bene" aveva mormorato Piton, tra lo sghignazzare di Malfoy e la sua combriccola "cos'abbiamo qui? Potter... assente? Esigo delle spiegazioni. Non sarà mica morto? Troppa grazia, immagino."
Ron aveva deglutito sonoramente, non riuscendo a trovare una sola fase utile e immaginando l'amico grandemente nei guai, ma Hermione con aria sicura e fissando Piton dritto negli occhi con un'espressione inequivocabile aveva risposto: "E' con Belle, professore, perché... non si è sentita molto bene... uhm, mandando una lettera? Credo avesse bisogno d'aiuto."
Piton aveva sollevato un sopracciglio, fissandola come se volesse trapassarla, mentre lei sosteneva il suo sguardo con decisione. Poi aveva commentato, aspro: "Non so di chi lei stia parlando, signorina Granger."
"Ma..." aveva boccheggiato Hermione "di Belle... Isabel..."
"Isabel?"
"Sì, Shacklebolt."
"Oh, intendeva Isabel Shacklebolt?" il tono era ruvido e provocatorio, ed Hermione aveva intuito l'ennesima ripicca.
"Sì, professore, mi scusi. Intendevo Isabel Shacklebolt."
"Bene, in questo caso inizi ad usare i nomi appropriati, signorina Granger. Non vorrà che la prossima volta per sbaglio Madama Chips le somministri una Pozione Foruncolata anziché una Femuncolata, per toglierle i baffi dalla faccia!" e con aria sprezzante era uscito dall'aula.
"Non sarebbe una cattiva idea, eh, Granger?" le aveva urlato dietro Malfoy non appena erano rimasti incustoditi. "Se non ti si vedesse più la faccia ci guadagneresti!"
Visto che Hermione non sembrava volergli concedere soddisfazione, si era voltato verso Tiger e Goyle confabulando ostentatamente sulla punizione che stava per raggiungere Harry Potter, ed ottenendo molto più successo di pubblico da quel lato.
"Idiota!" aveva commentato Ron, osservandolo di striscio. "E anche Piton... la cattedra di Arti Oscure non ha fatto che peggiorare la sua acidità, miseriaccia!"
"Non essere sciocco, Ron" gli aveva ribattuto Hermione, composta. "E' ovvio perché si è comportato così, no?"
Allo sguardo completamente ottuso di Ron aveva alzato gli occhi al cielo, avvicinandosi all'amico e mormorandogli: "Per l'amor del cielo Ron, era un trucco per sviare l'attenzione degli altri! Altrimenti avrebbe dovuto chiedermi di Bessie, e gli altri avrebbero collegato la sua uscita a lei anziché ad Harry...”
“Ma... come li raggiungerà? Voglio dire, non gli abbiamo specificato dove--”
“Gli ho accennato ad una lettera, no?” Aveva aperto il suo libro con fare tranquillo. “Lui probabilmente sa già cosa deve fare!"


* * *


In effetti pochi istanti dopo Piton era piombato nella torre della guferia, trovando un Harry agitatissimo che cercava vanamente di calmare Bessie e di farla sollevare dal pavimento.
Harry era appena riuscito ad accorgersi del suo mantello che svolazzava nella stanza per la corsa che doveva aver fatto fin lassù, quando lei, al vederlo, si era staccata da lui e con sua enorme sorpresa gli si era precipitata fra le braccia, singhiozzando malamente il suo nome ed aggrappandosi alle sue spalle come un naufrago ad un salvagente. Non avrebbe mai capito come due persone tanto diverse e tanto gravemente separate dai momenti vissuti e dalle scelte fatte potessero continuare con ostinazione e disperazione a cercarsi, come potessero fornirsi a volte quel sostegno che sembrava nessun’altro sarebbe riuscito a dare. Piton non aveva modificato di un millimetro l'espressione accigliata, ma Harry aveva notato che, nonostante la corporatura esile ed ossuta, nel sorreggere Bessie non aveva vacillato un attimo. Era rimasto così, immobile, in silenzio, lasciando solo che lei si sfogasse, ed Harry non avrebbe saputo dire per quanto.

"Potter, fuori di qui."
La voce di Piton improvvisamente era risuonata bassa, ma così tagliente che Harry se n'era andato senza discutere, solo voltandosi continuamente indietro, incredulo; fissava Bessie che, sconvolta, si affidava completamente a lui.
“Scusami, Severus” aveva mormorato debolmente la ragazza.
Non aveva mai compreso perché Bessie insistesse nel fidarsi ciecamente di lui, ma ora per la prima volta gli era sembrato di poter capire come lei lo vedesse. Per alcuni istanti ne era rimasto turbato, percorrendo a ritroso le scale, poi aveva scrollato la testa per scacciare quel pensiero.

No. Aveva mandato a morire Sirius, ed i suoi genitori. Non avrebbe dato una possibilità a Severus Piton.



137.
Alcune ore più tardi, Piton era nella sua stanza, e fissava dalla finestra aperta la notte. Avrebbe voluto un bicchiere d’acqua, ma si sentiva troppo incatenato al letto per alzarsi e prenderlo; si sentiva le ginocchia deboli come dopo una corsa spossante. Il viso era agrottato, una profonda ruga verticale gli separava gli occhi, sintomo di pensieri cui sarebbe sfuggito volentieri.

Un giovane Piton arrancava sulle scale che portavano alla guferia per stare dietro a Lily Evans che, furiosa, l'aveva raggiunta in pochi, agili, passi. In fondo le aveva suggerito lui di andarci, certo però non immaginava una reazione tanto spropositata: tutta quella furia per una storiella?Ad ogni modo, Potter avrebbe ricevuto ciò che si meritava fin dall'inizio.
Quando aveva spalancato la porta della guferia Lily vi aveva trovato la sua migliore amica, Elizabeth Lovelace, insieme al suo ragazzo, James Potter. Lui le cingeva la spalle con un braccio, protettivo. Al suo arrivo erano balzati entrambi in piedi, confusi per lo stupore, e James, ritirando prontamente il braccio, aveva azzardato un "Lily! Cosa- fai qui?"
Tentava di sorridere, ma la smorfia che ne era risultata non aveva fatto altro che aumentare la rabbia della ragazza. "Che cosa ci faccio IO qui, James?! E' meglio se stai zitto! Oh Dio, non avrei mai... potuto credere che voi..."
"No, aspetta! A cosa stai pensando, Lily? Non è--"
"Stai zitta Bessie, che è meglio! Stai solo zitta... non voglio più nemmeno vedere la tua faccia!"
"Ehi Lily, aspetta, calmati! Non hai capito un bel niente... devi ragionare!" James aveva cercato di afferrarla per un braccio, ma lei si era prontamente divincolata con uno schiaffo.
"...Vai al diavolo, Potter."
Lily si era precipitata per le scale con James alle calagna, e passando davanti a Piton che era rimasto lì fuori ad assistere basito alla scena, gli aveva urlato, gli occhi colmi di lacrime: "E tu, ora sarai soddisfatto!"
Poco dopo anche Bessie era uscita dalla guferia, sola e così pallida che lui aveva temuto che potesse sentirsi male. Il suo sguardo, ferito e colmo di delusione più che di rancore, era stato ciò che maggiormente aveva colpito lo stomaco di Severus Piton, peggio che se avesse ricevuto un pugno o fosse stato appeso di nuovo per le gambe.
"Hai... fatto la spia... per vederci litigare?" gli aveva domandato, un dolore di bambina che le sgorgava dagli occhi. "Senza nemmeno preoccuparti di sapere... la verità."
"Lovelace..." aveva tentato lui, senza troppo convincimento. Certo non era tipo da scusarsi con una Grifondoro, eppure non riusciva a sentirsi completamente insensibile all'unica persona tra loro che avesse mai guardato a lui con simpatia e fiducia. Non mentre lei gli si avvicinava con gli occhi colmi di lacrime perché lui aveva fatto questo, quasi più che per ciò che aveva fatto.
"Allora avevano davvero ragione tutti gli altri... tu sei... cattivo, Severus." E con un singhiozzo l'aveva lasciato lì, impalato, con quelle braccia troppo lunghe a scendergli per i fianchi.

Sì. Doveva per forza essere stato da quel momento che Severus Piton non era riuscito più ad opporsi al terrore di rivedere in quegli occhi uno sguardo simile rivolto a lui: non era affetto, non era un’inaspettata bontà d’animo che gli scavava le code più interne; quella scoperta non aveva niente a che fare con l’altruismo o i sentimenti più ovvi, o con scelte praticabili che non fossero cadute da un disegno più ampio, venuto dall’alto.
Era stato allora che aveva compreso come non sarebbe mai riuscito a ferire quel modo di essere senza esserne completamente stravolto... Eppure l'aveva fatto ancora, oh quante volte, pavido e cieco! Ed ogni volta aveva sentito un pezzetto di speranza staccarsi irrimediabilmente da lui e perdersi. Speranza di essere qualcuno di cui non doversi vergognare, speranza di non dover più camminare lungo gli angoli. Certo, aveva provveduto a nasconderlo a tutti, per primo a se stesso, sempre più compreso nel suo mantello d'indifferenza. L'aveva ferita, l'aveva distutta. E ne era uscito distrutto.
Sapeva cosa li legava.
È un segreto, aveva pensato.
Li legava un segreto... non uno di quelli da rivelare e poi da non dire mai più a voce alta, no. È che loro sapevano, avevano sempre saputo. Chissà come, chissà perché, c’era questo segreto che li legava, questo andare in profondità senza averlo chiesto, senza nemmeno averci provato: capire che c’era dell’altro, che lui non era solo brusco o vendicativo, che lei non era solo una ragazza socievole. Si erano entrati dentro senza poter fare nulla per evitarlo, ed avevano intuito gli abissi riuscendo ad aggrapparsi all’ultimo momento ad uno spuntone di roccia. Che fosse una salvezza, che fosse una maledizione? Che Bessie fosse solo una maledetta trappola? Unico punto debole nell'oscurità che da sempre imperversava nel suo animo, oscurità più o meno manifesta, oscurità indirizzata in modi differenti, ma a cui non sarebbe mai riuscito a scappare, lo sapeva.
Alcuni avrebbero parlato d'amore. Ma lui no, lui sapeva. Non era in grado di amare Elizaeth Lovelace come un uomo, era troppo impegnato a cercare disperatamente di proteggerla. Da se stesso. Da se stessa. Doveva proteggere qualcosa senza sapere bene di cosa si trattasse, solo un’altra buia intuizione da cui non avrebbe trovato scampo.
Piton si era rannicchiato contro la finestra, le braccia a cingere le ginocchia come aveva fatto lei proprio in quel punto, tempo prima.
“Finirà mai, tutto questo passato?”
Perché doveva sempre trovarsi incatenato a scelte obbligate, a sacrifici da compiere in nome di qualcosa che non fosse lui? Perché ancora una volta...
D’improvviso, un altro pensiero più forte del primo l’aveva colpito proprio in mezzo agli occhi, facendoglieli serrare con forza.
Non voglio.




< I left last night
I reached the shore
Trying to find everything I lost
In a thousand waves
A million waves
Still, somewhere I am sure

That I will see your face
I will see you there. >

Elisa – The Waves





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Capitolo 51
*** Crisi, 51. ***


Scusate il ritardo, ma ci siamo arrivati. Questa non è la fine, ma è un po' il punto a cui tendeva tutta la storia, quello di cui parlavo nel capitolo precedente, che ne era una sorta di prefazione. spero di essere riuscita a rendere l'intensità senza per questo farlo diventare pesante... è il momento di "riconoscimento", quello in cui finalmente Bessie riesce a fare ciò che doveva fin dall'inizio, ma che aveva paura di fare. Accettare.
Un bacione al mio trio perfetto, a Mixky che ringrazio per i commenti su Piton e sul capitolo (ancora una volta, capisco bene cosa vuoi dire sul tradimento... purtroppo), e a Manny altrettanto (beata te, io non ce l'ho un fratellino piccolo anche se mi sarebbe piaciuto... il mio di anni ne ha 36! gosh!)
Pronte?



Crisi, 51.



138.
Quella notte Bessie si era coricata con una sensazione strana alla bocca dello stomaco; aveva cercato di rilassarsi per non ripensare alla giornata trascorsa, al momento di crisi su in guferia con Harry e Piton ed una straordinaria quantità di assenze. Aveva fatto appello a dei ricordi particolarmente piacevoli per riuscirci e alla fine, dopo essersi rigirata per una decina di volte, aveva sentito la stanchezza impossessarsi del suo cervello. Un attimo prima di abbassare le palpebre, mentre sentiva una ciocca di capelli scivolarle lungo il collo, era riuscita a formulare la speranza di un bel sogno.


* * *


Si trovava ad Hogwarts, già invaghita di un Sirius Black che non sembrava volerla calcolare in quel senso, nonostante non si conoscessero ancora troppo bene.
Chissà che giorno era... nella sala comune di Grifondoro il caos regnava sovrano: forse un compleanno, forse una festa. Forse nulla di tutto questo. Fatto sta che tra gli schiamazzi ad un tratto aveva preso piede la guerra dei chicchi d'uva, e poi del cibo in generale, ed ovviamente Bessie non si era fatta pregare per parteciparvi. Ad un tratto aveva afferrato una ciotola di marmellata dal tavolo per rincorrere Tonks, e contemporaneamente James e Sirius erano usciti dagli spogliatoi, molto concentrati, per recarsi agli allenamenti serali di Quidditch: lei si era imbarazzata ed esaltata, e per celare tutto questo aveva preso a rincorrere con foga ancora maggiore l'amica, la quale però per schivarla aveva erroneamente spento la luce della sala. Bessie non aveva capito nulla del caos più completo che era seguito all'azione di Tonks; si era sentita inciampare in un tappeto e volare per aria con ancora la ciotola in mano e mentre intorno qualcuno strillava era piombata su qualcosa di morbido. Oddio, anche sopra aveva qualcosa di morbido... e appiccicoso. Oddio... marmellata!
Quando finalmente la luce era stata riaccesa, Bessie aveva riaperto gli occhi... per richiuderli con decisione un istante dopo.

Non è così, aveva pensato. E' solo uno stupido scherzo che le luci hanno giocato ai miei occhi. Un giorno, quando sarò vecchia e stanca, ripenserò ad Hogwarts e di questi anni ricorderò i fantastici panini allo zenzero di Lily, le sue sfuriate, e i bagni di nascosto nelle vasche dei prefetti; ricorderò le confidenze e i capelli di Tonks e i vestiti di Silente e tantissimi momenti belli e piacevoli... e NON tutto questo.

In effetti, c'era da dire che inciampando era rovinata addosso a Sirius Black dopo avergli riempito la faccia ed i vestiti di marmellata, e chissà come poi la testa di lui era finita SOTTO la sua maglietta, e insomma erano franati l'uno sull'altro e quella scena era ciò che si era presentato agli occhi di tutti quando avevano riacceso la luce.
"Sai..." la voce di Sirius l'aveva distolta dai suoi propositi per la vecchiaia "Penso che dovresti scendere dal mio stomaco."


* * *


Il mattino seguente Harry si era svegliato spalancando gli occhi per la sorpresa, ancora disteso sul letto: non aveva sognato Sirius, non aveva rivissuto la sua morte tramite Bessie. Per la prima volta in tutti quei mesi, Sirius non c'era stato.
Quand'era sceso per la colazione l'aveva subito cercata cogli occhi, e quando aveva incrociato la sua espressione atterrita gli era stato subito chiaro che lei per prima non l'aveva visto. Le si era avvicinato, notando che tremava impercettibilmente, mentre cercava di darsi un contegno stirandosi con una mano le pieghe della divisa.
"Va... va tutto bene?"
"Io... non l'ho visto, Harry."
Erano rimasti in silenzio a fissarsi, entrambi consci di quel vuoto e sgomento che li raggiungeva, sorpassando anche il sollievo di non aver rivisto per l’ennesima volta quella morte senza averla potuta impedire in nessun modo.
"Beh, ma è normale, no?" era intervenuta Hermione masticando un biscotto. "Ieri sera Silente non aveva detto che non era sano per te, Bessie? Che non gli piaceva che tu continuassi a sognare quel momento all'infinito? Avrà reciso il legame!"
Bessie si era voltata a guardarla, allarmata. "...Reciso? Ma... io non me l'aspettavo... senza dirmelo, all'improvviso... è stato come se me l'avessero tolto due volte..." aveva concluso con un fil di voce.
"Ehi Belle, tutto a posto? Faremo tardi!" Kim si era intromessa nella discussione con aria vagamente sospettosa, e questo sembrava aver scosso Bessie quel tanto che bastava per permetterle di rispondere.
"Sì, certo... andiamo."
Si erano allontanate insieme, l'una perplessa e l'altra fragile come vetro.

"Non mi piace. Non mi piace per niente, miseriaccia!" Ron le aveva osservate andarsene.
"Ron, tu credi... che dovremmo avvisare qualcuno?"
"Probabilmente già lo sanno, se è stato Silente, no?" il tono di Harry mostrava una punta di rancore, ed entrambi gli amici si erano voltati verso di lui.
"Tu sei sicuro di sentirti bene, Harry?"
Aveva colto bene la sfumatura d'ansia in Hermione, così l'aveva tranquillizzata con un breve sorriso. "Andiamo a lezione."



139.
Era stato poco dopo. Due ore, al più tardi.
A lezione di Difesa contro le Arti Oscure qualcuno aveva chiesto a Piton se era vero che Sirius Black era un animagus. Una domanda come un'altra, ma Bessie aveva sussultato come se l'avessero punta con uno spillo.
"Ehi, ma stai bene? Mi sembri strana, stamattina... ti farai dare una punizione!" le aveva bisbigliato Kim, guardandola di traverso.
Piton era rimasto impassibile come il ghiaccio. "A quanto mi risulta sì, lo era. Dunque, dicevamo..."
Nel frattempo però nella classe si era levato un brusio insistente, fatto di... ma allora non era malvagio, quel tipo? Mia madre dice di sì. Ma immagini se invece non lo fosse stato, poveretto?
Dato il clima di paura che si respirava, tutto ciò che aveva a che fare con Voldemort suscitava l'interesse degli studenti. Alla fine il ragazzo che aveva posto la prima domanda era tornato ad alzare la mano.
"Dimmi, Owen." aveva sospirato Piton.
"Lei sa anche se fosse malvagio oppure no?"
Piton era riuscito a lanciare un'occhiata distratta a Bessie, e trovandola pallida come la morte stessa aveva provato a stornare seccamente il discorso. "Non sono argomenti adatti a questa lezione mi pare, no? Le informazioni che il Ministero fornisce vi saranno più che sufficienti."
Bessie aveva apprezzato profondamente il fatto che Piton non gongolasse di fronte a colui che aveva sempre considerato un avversario, ma anzi facesse di tutto per deviare la questione in rispetto suo... ma proprio mentre lo pensava si era resa conto che ciò non riusciva assolutamente a consolarla. Sentiva il vuoto, sentiva il terrore di perderlo del tutto in quel momento come forse mai prima... Sirius, dov'era Sirius, non sarebbe tornato mai più da lei, nemmeno la notte? Aveva percepito per la prima volta senza filtri la reale intensità del proprio dolore, e non era riuscita a fingere.
"Belle... ehi Belle!" la voce di Kim non era altro che una parte di tutto ciò che la circondava e non riusciva a raggiungerla, mentre chinava la testa sul proprio banco, singhiozzando sommessamente. Tutti si erano voltati verso di lei e sull'aula era calato il silenzio, mentre gli altri studenti attendevano che Piton si districasse anche con quella faccenda.

"Shacklebolt." La voce di Piton era pacata ma ferma, priva di intonazioni dolci.

"Shacklebolt", aveva ripetuto.

La terza volta si era avvicinato al suo banco, spostandole delicatamente ma con decisione le mani dal volto, mentre il singhiozzo di Bessie si faceva sempre più sonoro.
"Esci, Shacklebolt."
Le aveva indicato una porta laterale dell'aula che portava al giardino esterno e lei, senza una parola, solo in preda ai singulti, si era alzata ed aveva raggiunto il punto indicatole. Un mormorio di protesta si era sollevato da parte degli altri per l'insensibilità che Piton aveva dimostrato una volta in più, ma lui, febbrilmente, aveva urlato che facessero silenzio con voce davvero poco ferma.
Si erano zittiti di botto, non riuscendo a capire.
"Owen, va' a chiamare il professor Silente, chiedigli di raggiungermi immediatamente. Digli che è per la Shackebolt, che è il momento. Ah..." era tornato sui propri passi a metà strada "Avvisa anche Lupin." Poi si era affrettato alle spalle di Bessie.


* * *


Lupin stava facendo un'ora di supplenza al sesto anno quando tutti gli oggetti presenti sul banco di Harry avevano preso a girargli intorno vorticosamente, senza lasciargli la possibilità di reagire. Nulla di pericoloso, ma era come una tempesta, ed era chiaro che qualcosa non andava. Lupin aveva alzato appena la testa, inarcando un sopracciglio.
"Eliza", aveva mormorato poi senza che nessuno lo sentisse.

Senza attendere un istante aveva scavalcato la cattedra, correndo verso la porta ed urlando ai ragazzi di rimanere lì mentre usciva. Il consiglio ovviamente era stato seguito da tutti meno che da Harry, che si era precipitato alle sue calcagna. Evidentemente il loro legame funzionava ancora.
Quando aveva spalancato la porta, Lupin non si era curato dello sconcerto degli altri studenti per tutti quei fatti che non riuscivano a spiegarsi: aveva domandato di Bessie, uscendo di fretta e trovandola seduta su di uno scalino, con Piton che le stringeva una mano per confortarla. Lei, nel vederlo, si era lanciata verso di lui con impeto, lasciando finalmente sfogare tutti quei mesi di dolore tra le braccia dell'uomo di cui si fidava più al mondo; finalmente le lacrime erano sgorgate dai suoi occhi, disperate come grida di dolore, di un dolore troppo alto da sostenere. Hermione aveva raggiunto discretamente Harry, osservando ora i compagni di Bessie che la fissavano dalle finestre costernati, ora Piton che si manteneva in disparte con un'espressione in un certo senso mansueta che non gli avevano mai visto, ma anche triste.
"E' che non può avere un ruolo che aiuti Bessie, non si sente presente nella sua vita..." aveva mormorato lei. Piton si era voltato bruscamente verso di loro, ed Hermione aveva fatto un passo indietro temendo che l'avesse sentita. Il suo sguardo pareva freddo e penetrante come al solito, ma inaspettatamente, mentre fissava Harry, aveva fatto qualcosa che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato. Con un tocco sbrigativo della bacchetta aveva fatto cessare il caos di oggetti intorno a lui; poi, avvolgendosi il mantello intorno al corpo, se n'era andato.
Bessie nel frattempo era completamente preda di singulti che sembravano scuoterle tutto il corpo fino a romperlo.
"Remus, Dio... ma perché?"
Urlava e piangeva da far cavare il cuore, squassata da quei lamenti da bestia ferita. Lamenti che toglievano le forze, da lasciare stremati, impotenti fino a consumarsi. Lupin la stringeva a sé, e per la prima volta aveva percepito davvero quanto il suo corpo fosse leggero; era incredibilmente sottile, anche, e sentendola contorcersi fra le sue braccia aveva temuto che si spezzasse.
Bessie si divincolava, cercava di colpirlo e di abbracciarlo allo stesso tempo, senza riuscire a smettere di piangere. Alla fine, non si sa come, una finestra si era rotta. Quasi come se l’intensità del dolore della ragazza avesse avuto la stessa consistenza di un acuto a tutta forza, il vetro di una lastra e poi in seguito di tutte la altre aveva finito per frantumarsi in migliaia di pezzettini, provocando un inferno di rumori sottili e penetranti e grida spaventate da parte di chi vi stava spiando attraverso gli accadimenti.
Era stato con lei in quello stato che Owen era tornato in aula, seguito da un Silente molto serio che velocemente si era diretto verso il gruppetto.
"Io... non ho trovato Lupin... ma dov'è Piton?" aveva mormorato, stranito.
"Se n'è andato" gli aveva risposto Kim, perplessa quanto lui. "Non ci capisco nulla... Lupin è piombato qui come una furia... ma se non l'hai avvisato tu... chi diavolo è stato?"

Quando finalmente, dopo quelle che ad Harry erano sembrate ore, Silente li aveva raggiunti, Bessie aveva smesso di piangere, calmandosi poco a poco, sebbene ancora profondamente scossa da profondissimi singhiozzi. Pareva quasi che avesse atteso che lei si sfogasse, prima di mostrarsi. Le si era avvicinato, staccandola con dolcezza da Lupin e mormorandole qualcosa all'orecchio a cui lei aveva risposto annuendo.
"Su, andiamo ora." le aveva suggerito poi, aiutandola ad alzarsi. Bessie si era voltata verso Harry.
"Harry, tu... quello che hai visto quel giorno al Ministero... quello è Sirius Black, è lui che devi ricordare. So" il tono era affranto, spezzato "che hai pensato che lui e tuo padre fossero dei bulletti, e certo non hanno agito sempre in modi di cui vantarsi..." con lo sguardo aveva cercato ansiosamente Piton, e non trovandolo si era rabbuiata un poco prima di tornare su Harry "ma erano così, potevano combattere selvaggiamente per un ideale o per la loro stessa vita e però non mancavano mai di esserci, capisci? Sirius... non mancava mai di badare a chi amava, di salvare loro nel contempo, anche... a discapito di se stesso..." Harry aveva ripensato a quel giorno al Ministero, e l'immagine nitida di Sirius che sbucava dal nulla e con una spallata lo liberava di un Mangiamorte gli si era ripresentata alla mente. "...Capito? La persona che hai visto lì... era lui. Ecco perché... soffriva così tanto a starsene chiuso lì dentro per tutto il tempo, non era solo... uno scervellato." aveva scosso il capo, desolata. "Ha salvato me, ha salvato te, quella notte. E' morto per salvare noi, ma soprattutto perché era nella sua natura, era lui e basta... capisci?"
Lupin l'aveva presa delicatamente per un braccio. "Ora basta Eliza, andiamo via..."
Bessie si era lasciata guidare dai due uomini senza opporre resistenza, troppo sfinita per poter anche solo pensare.



140.
Alcune ore dopo, nel bel mezzo della notte, Severus Piton stava cercando vanamente di chiudere occhio quando aveva sentito bussare alla porta della sua camera. Immediatamente era balzato in piedi, temendo che potesse essere successo qualcosa, e con voce roca aveva esclamato "Arrivo!", senza curarsi del suo aspetto. Quando aveva aperto la porta di fronte si era trovato, apparentemente ancora più piccola del solito, Bessie.
"Scusami se ti ho svegliato, Severus... posso-posso entrare?"
Piton, che era rimasto imbambolato a fissarla, si era scosso tutto d'un colpo: "Oh, sì, certo!" Scostandosi dall'ingresso l'aveva lasciata passare.
Bessie si muoveva come se temesse di precipitare in un burrone da un momento all'altro, ma senza riflettere aveva raggiunto la solita finestra. "Non ho potuto aspettare domani mattina, mi porteranno al San Mungo e forse non avrei avuto il tempo di ringraziarti."
"Al... San Mungo?" aveva balbettato lui, cercando di tirarsi giù il più possibile la vecchia camicia da notte ingiallita, di raddrizzarsi il berretto da notte.
"Sì. Silente preferisce che mi faccia controllare. Dice che sarà questione di una notte" aveva provato a sorridere. "E' stato molto caro con me, Silente... guarda!" Gli aveva indicato la pietra che portava al collo, identica alla solita ma in qualche modo diversa, più intensa. "Ho dovuto rompere la precedente per questa. Non è stato semplice. D'altra parte, me lo stava chiedendo Silente... come avrei potuto non fidarmi di lui? E' stato... un regalo. Questa.. questa pietra è più potente. Solo..." si era seduta, circondandosi le ginocchia con le braccia nella posa che lui conosceva bene. Ed ogni volta che lei era stata di fronte a lui così fragile e così assolutamente fiduciosa nei suoi confronti, lui si era sentito vecchio ed inadeguato, ed aveva buttato un'occhio ai calzini arrotolati, al letto disfatto. Si era tirato un po' più giù la camicia.
"Solo non potrò tenerla per sempre. Silente dice che un giorno, quando capirò di poter andare avanti da sola, dovrò essere io stessa a... a lasciarla. Dovrò... vivere senza il mio passato, capisci? Senza Sirius. Senza appoggi." aveva stretto gli occhi a fissura, concentrandosi sul buio esterno. Tutta quella situazione pareva talmente irreale, loro due nella sua stanza nel bel mezzo della notte, a parlare di ciò che li aveva sempre divisi ed uniti da quando si conoscevano. "Dice che sarà presto. Mi ha... preso la mano che teneva quella di Remus, e ha detto che devo smettere di aggrapparmi a lui. Io non so..." si era presa il capo fra le mani "se sarò in grado di affrontare tutto questo, Severus!"
Piton si era schiarito la voce. Avrebbe voluto disperatamente di essere una di quelle persone sensibili che trovano sempre la cosa giusta da dire, un Remus Lupin che l'accogliesse fra le sue braccia e la confortasse... invece era il solito, viscido Severus Piton, l'uomo dal naso adunco che striscia lungo i muri ed invidia gli altri ed è legato al male da un passato che brucia come una ferita aperta; l’uomo che lei sorprendeva sempre nei momenti più ridicoli, nel cuore della notte. E tutto questo gli pesava addosso ora più che un macigno.
"Non volevo disturbarti, io... volevo solo ringraziarti."
Tu non mi disturbi.
"Ri-ringraziarmi?"
"Sì, Severus." Bessie aveva sorriso, e per la prima volta gli era sembrato che l'avesse fatto davvero. "Per ieri. Per come sei stato con me. Kim mi ha detto anche che hai parlato loro, gli hai detto di non farmi domande, di non bisbigliare, di non sorridere alle mie spalle. Che chiunque avesse mancato di rispetto a me e a ciò che mi era capitato ed avevo provato avrebbe dovuto vedersela con la tua rabbia... io... grazie."
"Non devi ringraziare me." aveva replicato lui, brusco. "Lupin e Silente hanno fatto qualcosa, io mi sono limitato a..."
"...Esserci."
Patetico, inadeguato Piton, cosa pensavi di fronte a quel sorriso che ti si apriva davanti senza difese?
"Domattina verrò a salutarti, Severus. Buonanotte."


* * *


La mattina seguente Bessie era entrata nella sua classe con aria spaurita, avvolta in un cappotto più grande di lei come se ci si stesse difendendo dentro; come se avesse paura di tutti loro ma anche, in un modo distorto, fosse più rilassata ormai che il dado era tratto.
Alea iacta est, aveva rimuginato tra sé, ricavandone un singolare conforto. Forse era lo stesso significato del sorriso di Silente: stava tornando. Senza più nascondersi nel guscio di una nuvola soffice di bambagia che le impediva di guardare in faccia i sentimenti che provava, anche quelli distruttivi.
"Isabel!" aveva escalmato Kim alla sua comparsa. Bessie le aveva sorriso, dirigendosi verso la cattedra di Piton.
"Volevo... salutarla, professore."
E lui aveva annuito, trovando che faticava molto di più ad incontrare e reggere i suoi occhi alla luce del giorno, quella luce che lo proiettava a tutto il mondo per quello che era, senza potersi nascondere dietro una momentanea intimità, senza che la fiducia di qualcuno potesse superare il disgusto di molti. Lupin era entrato di corsa, prima che potessero proseguire il dialogo.
"Kingsley è arrivato. Sei pronta?"
Bessie l'aveva raggiunto con una cortesia che la faceva apparire molto più adulta. "Sì Remus, grazie."
"Isabel!" aveva esclamato nuovamente Kim, vedendola andarsene. "Dove stai andando?" le aveva chiesto con foga e preoccupazione.
Bessie le aveva sorriso, rassicurante. "Appena torno ti racconto tutto, Kim" le aveva bisbigliato, appena prima di scomparire dalla loro vista lasciandoli tutti più o meno sconcertati.



141.
"Si tratta di notizie personali, solitamente non le divulgherei, ma con il permesso dell'interessata voglio che capiate il perché di quanto è accaduto nella vostra l'aula, che ne intendiate il valore. Siete al settimo anno, e forse presto dovrete affrontare cose più grandi di quanto abbiate potuto immaginate finora; bisogna che comprendiate cosa questo significhi."
Silente si era aggiustato gli occhiali sul naso, l'aria solitamente bonaria aveva lasciato del tutto il posto ad una molto grave. "Ovviamente mi riferisco ad Isabel Shacklebolt... ma forse dovrei dire Elizabeth Lovelace."
"Come?!" l'intero settimo anno aveva lasciato esplodere il suo stupore. Una ragazza aveva dato di gomito a Kim, che pareva più scossa degli altri.
"Ricordi? La volta dell'incidente con la pozione Piton la chiamò Elizabeth..."
"Aspettate, aspettate..." Silente aveva fatto cessare il brusio con un gesto della mano. "Lasciatemi spiegare e comprenderete tutto. Elizabeth Lovelace ha frequentato Hogwarts anni fa... poco prima che voi nasceste, direi. Per la precisione, negli anni in cui la frequentarono anche il professor Lupin, il professor Piton, James e Lily Potter... e Sirius Black."
Un nuovo mormorio insistente si era sollevato; questa volta Silente aveva atteso che scemasse spontaneamente.

"...Tredici anni, capite?" Ormai aveva spiegato loro chi fosse in realtà. "E ha dovuto sapere dei suoi migliori amici, e ritrovare sirius Black senza sapere se facesse ancora parte della sua vita, o quale fosse la sua vita. E nonostante tutto questo è tornata nell'Ordine della Fenice, ha dato il suo contributo come Isabel Shacklebolt, nipote di Kingsley Shacklebolt, qualcuno l'avrà già sentito nominare... Ha dato tutto fino in fondo, quando ancora è stato pagato un prezzo altissimo: gli amici, la vita. L'amore di una vita. E' tornata qui, forse per riacquistare un minimo di serenità, o riprendere da dove aveva lasciato... ho creduto meglio non dire la verità sul suo conto, glie l'ho chiesto io finché non fosse stata pronta ad affrontarla lei stessa per prima. Per questo vi chiedo... di starle accanto, non come ad un fenomeno che v'incuriosisce, ma come ad una persona... ammirevole e ferita. Siete suoi amici, siatele vicini."





I can't run anymore
I fall before you
Here I am,
I have nothing left
Though I've tried to forget
You're all that I am
Take me home,
I'm through fighting it
Broken,
Lifeless,
I give up
You're my only strength,
Without you
I can't go on
Anymore,
Ever again.

My only hope
(All the times I've tried)
My only peace
(To walk away from you)
My only joy
My only strength
(I fall into your abounding grace)
My only power
My only life
(And love is where I am)
My only love.


Evanescence – October (acoustic)



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Capitolo 52
*** Bellatrix, 52. ***


Bellatrix, 52.



142.
La sera sta risalendo le colline; lenta ma inesorabile come chi sa che la preda non ha vie di fuga, veste la vita d’angoscia ancora una volta. In una stanza buia, che nell’ombra sembra trovarsi completamente a suo agio, una nenia lamentosa è cantata sottovoce. La casa non ha luce: non una finestra appare illuminata ad un occhio esterno, come se non ne avesse affatto bisogno.
Bellatrix è seduta su un antico tavolo intarsiato, guarda una bambola dentro una scatola bianca: è priva delle orbite.

Chiudo gli occhi, e prego il sonno perché venga a sorprendermi; solo un attimo, per catapultarmi nei sogni ingenui di bambina... ma poi il momento è passato e torno me stessa, e tutti i ricordi sfilano davanti ai miei occhi come polvere che mi finisca addosso a causa del vento.
È solo la stessa vecchia canzone che sento da anni ovunque io vada, è la goccia d’acqua che cade in mare senza lasciare tracce. Tutto quello che facciamo è franare a terra, anche se ci rifiutiamo di ammetterlo.
Non vorresti raggiungermi, e bere da questo bicchiere il mio stesso veleno? Non m’invidi, mentre posso farlo?
Come una lama sottile che s’insinua tra le carni, hai scelto anche per me.

Ha l’aria stanca, Bellatrix, di una stanchezza cosmica: le occhiaie le contagiano la faccia, le tirano i lineamenti bellissimi e fieri affaticandoli ed invecchiandoli ogni volta che sposta lo sguardo su un particolare diverso. Sta pensando. I capelli bagnati gocciolano sul volto della bambola di porcellana, e allora si scosta un po’.

Sei stato tu a scegliere... anche stanotte vuoi prenderti gioco di me? Come hai sempre fatto. Con quella specie di latrato odioso, ogni volta che pensavi di saper scegliere meglio di me. Odioso, odioso sorriso.
Vuoi distruggermi?
Non voglio più combatterti, è tardi ormai ed ogni parola è un livido sulla mia pelle, molto più dei segni lasciati dalle lotte, dalla prigionia. Molto più di tutto.
È tardi: oltre questo temporale notturno, oltre queste poche parole, sparirai.
“Sorridi” mi dicevi, per prenderti gioco di me. Era la tenerezza a farci paura.

È finita così, a morsi, e adesso non basterà scavalcare le ombre per ritrovarti intatto e beffardo.


Eppure Bellatrix è un’anima guerriera, è un’anima fatta di vento, e una volta in più questa notte dovrà preparare la spada. Maledicendo il proprio modo di essere ed il suo modo di essere, il suo modo di divincolarsi e sparire davanti ai suoi occhi. Maledicendo quello che c’è stato e quello che ora non c’è, che è un po’ come dire quello che sapevano non ci sarebbe mai potuto essere.
Le persone deboli parlerebbero d’amore. Con una smorfia disgustata, pensa che non ce n’è mai stato nemmeno il sospetto: era ben altro. Bellatrix non si riassume in un sentimento umano, lei prepara la spada.
Perché i guerrieri non possono fermarsi a pensare, non possono piangere senza sapere nemmeno il perché.

Ricordo la mia curiosità bambina davanti a quel fuoco, appoggiavo la faccia sul ferro battuto del cancello e rimanevo lì come se avessi scoperto il segreto del mondo. “Sorridi” dicevi, per prendere in giro il mio piglio.
Ma quel giorno, di fronte all’emozione, tu ti sei avvicinato e mi hai detto che ero fatta per qualcosa di grande. “Sceglierai una stella, Bellatrix, ed è quello che sarai.”
Poi ti sei fatto serio. “Fuori di qui non c’è posto, non c’è nessun posto per tutti e due.”
Hai detto che ero come quell’incendio grandioso.


Bellatrix si china verso quella vecchia bambola impolverata, le scosta una ciocca di capelli dal viso bianco come il latte. Entra qualcuno nella stanza, e lei si rialza: ora siede ritta come un fuso, come il suo orgoglio perennemente all’erta.
Narcissa le domanda cosa stia facendo, le si avvicina sfiorando con due dita i suoi capelli bagnati, il vestito da ragazza che porta. Guarda la bambola senza parlare.

Un giorno io e Narcissa abbiamo smesso di parlare, siamo rimaste in silenzio per ore, semplicemente. Lo ricordo come se fosse ieri. È stato quando le ho riferito quello che tu mi avevi detto. Poi è successo ancora, quando lei soffriva per Lucius, è successo poco tempo fa quando ha saputo del compito che era stato affidato a Draco.
Le sue mani sono vicine alle mie, e guardandoci scopro che la nostra pelle è molto simile; è lo sguardo che non si somiglia. Sembra quasi che non sia vera, Narcissa, con i suoi movimenti che profumano, e guardarla è come appoggiarsi ad un seno per piangere. Ma io non piangerò, perchè sono vento e sono la furia del mondo, sono l’incendio grandioso che vedevi in me.
Ti penso, quando mi guardavi da dietro un bicchiere durante le cene di famiglia perché tra noi doveva sempre esserci qualche filtro. Forse non ci siamo mai avvicinati più di così perché sapevamo che quando sarebbe stato, sarebbe stato per sempre.
Forse l’abbiamo sempre saputo, che prima o poi uno dei due avrebbe ucciso l’altro.


Bellatrix sfiora i capelli della sorella, li accarezza come qualcosa di prezioso.
“Sono belli”, le dice.
Lei mi guarda, si aggiusta i capelli con un tocco delicato, ed è un momento di seta.

Siamo vive sorella mia, è questo che conta?
La radio accesa in qualche stanza che non è questa continua a parlare, e noi per tutta la gente lì fuori siamo solo le assassine, la cattiveria. Non capiscono. Non potranno mai capire.
Nemmeno tu, Sirius, hai mai capito.
Anche quando mi hai detto quelle parole, sei stato tu a scegliere.
Siamo vive, Narcissa: per questo piangi e ridi insieme, tutto in silenzio?
Quante scommesse audaci sui nostri sogni spalancati di bambini, Sirius!


E forse Bellatrix in fondo è solo stanca di essere invulnerabile, ma poi l’alba la troverà ancora una volta invincibile. Come un incendio grandioso.
Sei una guerriera, Bellatrix Black, vincerai quei sentimenti.
Li terrai negli occhi.

“Sorridi”, dicevi beffardo, come un’offesa.
Non mi avevi avvisata, che avrebbe potuto finire tutto qui.
Non ero mai sazia di vederti ansimare di rabbia, di combatterti. Di cercare di ucciderti, di desiderare che provassi ad uccidermi, solo perché la lotta arrivasse più in su. Solo per questo mi sentivo nata; a questo, eravamo destinati. Senza scegliere, solo obbedendo alle nostre intrinseche nature di odio vicendevole - ed imperfetto senza l’odio dell’altro.
Quando pensavo a te, sentivo una corsa dentro che non avrei saputo decifrare. Tu eri l’altro lato da combattere fino all’ultima goccia di sangue, eri la mia lotta fatta di carne e di fiato grosso, di fianco contro fianco. Pensavo che ci saresti stato fino alla fine; che l’avremmo costruita noi, in un modo o nell’altro.
Ed ora invece ti lascio alle spalle, come un fermo immagine sbiadito dal tempo.


“Che cos’è quella?” Narcissa rompe il silenzio, indica la bambola che Bellatrix tiene con sé.
Un giorno, lei e Sirius avevano litigato per via di quella bambola. Lui la indicava ridendo, ed i suoi occhi mandavano fiamme: “Tu non hai mai giocato con le bambole, Bellatrix!”
Lei aveva alzato il mento a mo’ di sfida. “E se volessi?”
“Prova a dirlo a tua madre”, l’aveva apostrofata lui con aria di vittoria.
“Sirius, ci sono tante cose di me che non conosci.”
“Lo so.”

Mi stai uccidendo, Sirius, e rido perchè tutto questo è inutile. Invidio Narcissa, perché sa amare e forse con questo spiega la vita e la morte. Dicono che il prezzo di amare sia lasciare, ma non è peggiore non aver mai avuto qualcosa? Non sono stata in grado di amare, e per questo non sono nemmeno giustificata ad arrabbiarmi con te se manchi al mio modo di essere.
Ti ho sognato, ed eri una goccia. Mi sono chiesta il significato della parola “credere”.
È come se questo ti rendesse comunque più reale di me, eppure non sei più vivo.
È una notte piena di vento sotto ai miei piedi. Mi manca la nostra lotta di stelle, di Titani da far tremare il cielo. Ti ho ucciso, allora perché mi sembra di aver perso?
Tutto intorno brucia forte, e non lascia spazio al respiro. Ma dove te ne sei andato, perché hai cambiato strada? Loro non avrebbero potuto capirti, non ti avrebbero visto mai. Quella ragazzina che ti teneva stretto e non sa far altro che piangere, quei mocciosi imbranati, hanno mai visto che nei tuoi occhi si nascondevano le stelle? Hanno mai visto quella fiamma ardere senza che io fossi lì per alimentarla? Perché hai scelto loro? Me lo sono domandata tante di quelle volte.
Continuerai a far parte della dinastia Black più di quando eri vivo, Sirius. Non puoi farne a meno.
Per quanto tu possa odiarlo, non puoi sfuggire a te stesso. Non è il cognome, è il fuoco che riesce a tenere vivo in te solo chi lo possiede in ugual misura al suo interno. Ero io. Siamo noi, la tua famiglia. Sirius Black, Bellatrix Black, le due facce della stessa medaglia.
“Sorridi” mi apostrofavi perché sembravo sempre dura contro il mondo.
“Sorridi” dicevi, ma sei rimasto senza parole.

Ti ho cercato io lo so, però vattene adesso. Ora dopo ora, lasciami in pace per sempre.
Spegni la luce e vattene, Sirius, questo non è il tuo posto. Non lo è mai stato. Lasciami in pace, lasciami solo questo silenzio spalancato come una voragine.


“Che cos’è quella?” ripete Narcissa, indicando la bambola mentre studia i capelli gocciolanti della sorella. Ma lei è Bellatrix, e per quanto stanca sarà pronta per quando scenderà la notte, sarà pronta per oscurare la gioia.
Affilerà la spada e luciderà l’armatura, e come una stella guerriera diventerà furia dei mari e splendida sirena a tagliare la gola alla speranza.
“Non è... nulla”, dice infine. “Non è proprio nulla.”






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Capitolo 53
*** San Mungo, 53. ***


Ringrazio chi ha avuto la pazienza di aspettare in questi mesi. Sono tornata, credo.
Ormai non manca molto davvero.
Qualcosa è cambiato, in questa storia, non so se si percepirà... le cose che mi sono successe quest'anno mi hanno riportato prepotentemente addosso l'idea di gravità, quella vera, quella dolorosa ed insopportabile. La parte strana, o forse non è strana, sono io e basta... è che l'unico modo che ho trovato io per sopportare tutto questo è stata la leggerezza. E' stato il sorriso a salvarmi la vita.
Così, non credo che diventerà all'improvviso una commedia hwy, però che per i prossimi capitoli non ci saranno appesantimenti come invece c'erano in alcuni precedenti. Così l'ho vissuta io, e così in qualche modo credo si rifletta su quello che scrivo; in ogni momento, anche il più terribile, c'è sempre la possibilità di venirne fuori con un mezzo sorriso.
Manny, grazie per il supporto. Credo che la prossima volta avrai la tua ricompensa :p per prossima volta intendo uno dei prossimissimi capitoli
Michela, se sono qui è per te. Quindi questa parte finale è tutta un gigante pensiero per te =) Grazie.



San Mungo, 53.


Fotografia 143.

“Una lista dei difetti? Si può sapere cosa diavolo ti passava per la testa?”
“Bessie, dai...”
“Stanne fuori, Lily! Allora Tonks, mi dirai perché l’hai fatto?”
“Bes, io...” Tonks appare incredibilmente nervosa. Incrocia le caviglie in una direzione e poi in un’altra, oscillando il peso del corpo a destra e a sinistra.
“Stavi preparandoti in anticipo una qualche scenata da farmi? Volevi essere sicura di rispondermi con osservazioni argute o che mi ferissero? Che cos’è questa roba, Dora?!” ribadisce sventolandole il foglietto davanti agli occhi. Tonks è stata incauta; non l’ha nascosto, e Bessie l’ha trovato per sbaglio.
“Datti una calmata, Bes!” riprova Lily, al suo fianco.
“Una calmata, Lily? Tu saresti calma?” la domanda è semplice, e posta in modo relativamente pacato; Bessie la sta guardando negli occhi tuttavia, e Lily vi riconosce la sua stessa fiamma. Sa che non lo sarebbe, ed è lei la prima ad abbassare lo sguardo in silenzio.
“Com’è, con Lily non ce n’era bisogno? Oppure l’avresti preparata una volta finita la mia?”
“Non è... come pensi, Bes.”
“Bene! Geniale!!!” replica indispettita scaraventando le braccia al cielo. Tonks continua a fissare il pavimento fino a desiderare di farne parte.
“Io... non volevo ferirti.”
“Parola mia, ragazza!” esclama puntandole contro il dito come un’arma affilata. “Tu...”
Si ferma, tuttavia. Questo è sleale. Sa cosa la ferirebbe. In ogni caso, non userà le sue doti di emagus per vendicarsi. Rimane con il braccio sospeso ancora per qualche secondo, incerta sul da farsi; poi torna in posizione eretta con una scrollata di spalle, e se ne va.

Lily abbraccia con forza le spalle di una Tonks sconsolata.
“Si può sapere che cavolo ti è saltato in mente?”



* * *



Fotografia 144.

La stazione è talmente affollata che Bessie faticherebbe a trovare un orso, figuriamoci i suoi genitori! La parte strana è che lei in effetti non sta cercando i suoi genitori... oh, nemmeno un orso, intendiamoci! Anche se forse nel secondo caso il paragone sarebbe più calzante.
Si è ritirata in una zona dove di solito non è mai, non vuole che la trovino subito. Il suo sguardo sta vagando in cerca di altro, e diventa più ansioso ad ogni occhiata infruttuosa.
Poco distante, un Sirius Black imbronciato tiene le mani ben ficcate nelle tasche ostentando un’aria ancor più spavalda del solito.
“Ti prego, fa che lo siano venuti a prendere!” scandisce mentalmente Bessie. Tiene lo sguardo alto, a livello umano; cerca di scongiurare in ogni modo la presenza di un elfo domestico a sostituzione dei suoi genitori. “Non quell’elfo, poi!”
I suoi occhi s’infilano tra la folla, nei pertugi tra gli abbracci, cercano una qualunque spiegazione plausibile di ritardo per chi in ritardo non è mai. Poi incrociano qualcosa.
Qualcuno. Stesse emozioni nei suoi occhi.
La signora Potter lascia che sia il marito ad occuparsi del figlio, anche per gli abbracci oltre a quelli già elargiti ci sarà tempo a casa. Come una madre, lascia vagare il suo sguardo preoccupato da Sirius alle altre persone, sperando e mentendo a se stessa. Il tempo di vedersi, e le due donne si riconoscono. Riconoscono gli stessi sentimenti ad animarle, e Bessie timidamente la saluta con un cenno della mano.
Prima di andarsene, il saluto della signora Potter ha una qualità diversa: sorride, come a volerle dire che si sente più tranquilla. Loro non ci sono, ma ora so che ci sei tu, dice quel saluto. Bessie vorrebbe ringraziarla. Vorrei portarlo via con me, pensa.
Si avvicina a Sirius, stringendogli il braccio.
“Hai le mani fredde” osserva il ragazzo senza guardarla. Lei vorrebbe gridargli che la signora Potter gli vuole bene come se fosse figlio suo, che se potesse anche lei lo porterebbe via di lì.
“Le ho tenute fuori dal finestrino, prima di arrivare”.
Sirius, suo malgrado, ridacchia.
“Mi piacerebbe che la signora Potter fosse mia madre”, dice lei. Sirius ha un piccolo sussulto.
“Perché?”
“Sarei la sorella di James, e tu non potresti mai stancarti di me, perché sono sicura che non ti stancheresti mai di James, ed io sarei sempre sua sorella e in un modo o nell’altro non uscirei mai dalla tua vita!” spiega con impeto.
Sirius si volta a guardarla, le prende il viso tra le mani e non sa se baciarla o mettersi a ridere. “Tu sei... incredibile! Vorresti essere cresciuta sotto i miliardi di dispetti che ti avrebbe fatto James?”
“Beh, non era quello il punto” borbotta lei arrossendo un poco.
“Perché?”
“Te l’ho dett...”
“Perché?” insiste lui, quasi sussurrando con una strana gioia negli occhi.
“A volte... guardi lontano, Sirius. E non riesco a capire che cosa.”
Vorrei portarti via con me.
Lui le lascia il viso, scivola in un sorriso brevissimo che Bessie riesce a cogliere solo grazie all’estenuante allenamento sui tratti del suo volto. “Anche tu lo stavi facendo, poco fa.”
Bessie lo guarda. “Lo sai. Il mio era solo un altro modo per guardare te.”
Lui si ficca una mano in tasca, con allegria. “Lo so.” Con l’altra la prende per mano e la conduce dai suoi genitori, che la stanno cercando ormai da un pezzo. I coniugi Lovelace lo salutano con affetto, strapazzandosi a turno la figlia. Poi si occupano dei bagagli.
“Immagino di non poterti baciare a meno di non voler rischiare la vita ora, giusto?” bisbiglia lui divertito, indicando il padre di lei con una breve occhiata. Bessie sorride socchiudendo le palpebre, come un gatto.
“Giusto.”
Lui le cinge i fianchi con un abbraccio. “Continua a cercarmi.”
“Sirius, io...”
Ma lui le pone un dito davanti alle labbra per zittirla delicatamente. “Grazie, Elizabeth.”
I suoi occhi dicono che quello non è un ringraziamento educato; i ringraziamenti educati la spaventano sempre, perché escludono i sentimenti. Allora Bessie sorride. Anche se lui non le ha detto che cosa stesse guardando.
È solo dopo che lei gli ha già voltato le spalle, che sta uscendo dalla stazione insieme ai suoi genitori, che Sirius la raggiunge correndo e la ferma tenendole una spalla. Ha il fiatone, e si piega un momento sullo stomaco per recuperare.

“Quello che cercavo... era un modo per portarti via con me.”



* * *



Fotografia 145.

“Sei un’asina, Bessie!”
“Cosa? Ora sarebbe colpa mia? Ma non lo sai quanto...”
“ Lo so come ti sei sentita. Lo so che ha fatto male. Ma, Bes, credi davvero che Tonks vorrebbe fartene?”
“Io non...” Bessie china il capo, confusa.
“E’ stato un brutto gesto. Ma non ti serve la tua sensibilità di emagus per capire quanto lei ti voglia bene.”
“E allora... cos’è stato?” domanda lei con voce di bambina; si attorciglia il lenzuolo attorno al dito, seduta a gambe incrociate sul letto. Lily le infila una mano tra i capelli.
“Tu ti lanci nei sentimenti senza mai pensare se farà male. Non tutti hanno la tua stessa fiducia, la tua capacità di lasciarsi andare senza mai dosarsi.”
Bessie la guarda, e Lily scrolla le spalle.
“Non so fino a dove arrivi il tuo carattere e dove inizi l’emagus, in questo; non l’ho mai capito. Però Bes, tu ti sei sempre gettata nelle persone, nei rapporti. Con Sirius, con me, non importa quanto male faccia, tu ci sei. E, ti dirò la verità, il fatto che Tonks non sia esattamente così mi solleva. Meno cerotti da tenere pronti.”
“Vuoi dire... che Dora ha paura di me?”
“Tu non hai mai avuto paura di Sirius?” la voce di Lily è calma e rassicurante, come una carezza, come la sua presenza calda.
“Beh, sì” ammette lei. “Perché lui è così strano, e perché sentivo che nonostante tutto quanto i miei sentimenti per lui erano così forti... che non sapevo dove mi avrebbero portata.”
“Esatto!” esclama lei vittoriosa, strattonandole appena la ciocca di capelli con cui stava giocando e senza curarsi dello sguardo accusatorio di Bessie. Poi le dà un buffetto sulla guancia, lasciandola lì a riflettere su quella nuova scoperta.



* * *


Bessie aveva aperto gli occhi; dopo quel lungo sogno, si era ritrovata a fissare un soffitto bianco, così bianco che aveva finito per ferirle le pupille. Aveva dovuto tornare a chiuderle per qualche secondo per impedire loro di mettersi a lacrimare.
“Sembra che la nostra Bella Addormentata sia di nuovo fra noi!” aveva commentato una voce proveniente dal suo fianco.
“Chi...? Harry, ciao!!! Ci siete anche voi, ragazzi!” aveva commentato allegra in direzione di Ron ed Hermione.
“Ginny è andata a prendere un tè per tutti” aveva annunciato la ragazza, sorridendo.
Non si erano fermati molto. Hermione doveva studiare ed aveva trascinato con sé un Ron recalcitrante, mentre Ginny li aveva seguiti pacificamente. Era rimasta sola con Harry.
“Allora, come vanno le cose a scuola?”
“La solita follia, lo sai; ormai ci avviamo alla fine dell’anno.”
“Già.”
“Non essere triste, Bes.”
“Non lo sono; sono stanca di esserlo” l’aveva rassicurato lei. Harry aveva sorriso.
“Poco fa stavi sognando, vero?”
Questa volta era stato il turno di Bessie di sghignazzare. “Lo sai, Harry... una sera ad Hogwarts noi ragazze siamo state assieme; tutte, anche Narcissa. Era una serata strana, ed ero riuscita a coinvolgerle con cibi vari e cavolate delle mie... è stato buffo.”
“Buffo?”
“Beh, io lo ero. Però ci siamo divertite!”
“Davvero?”
“Sì. Non avevo mai visto Narcissa ridere. Ho pensato che fosse ancora più bella di quello che voleva o poteva mostrare.”
“Ma... quando dici tutte, Bessie, intendi...”
“...Anche Bellatrix, sì.”
“Rideva anche lei?” aveva fatto il raagzzo spalancando gli occhi. Era difficile pensare che Bellatrix fosse stata in qualche modo... umana.
“Oh, non essere sciocco” l’aveva rimproverato lei con un buffetto sul capo. “Ci ha guardate tutto il tempo con profonda aria di disapprovazione, e credo che abbia dato una lavata di capo a sua sorella di quelle memorabili, dopo. Però non se n’è andata.”
“Mai?”
“Mai.”
“Povere voi!”
“Lo sai, in realtà mi piaceva. Ha sempre avuto un non so che di profondamente affascinante. La guardavo e pensavo che era e sarebbe sempre stata molto più simile a Sirius di quanto non sarei mai potuta essere io. Forse ne ero anche gelosa, chi lo sa” aveva continuato stringendosi nelle spalle. “Loro avevano il sangue ad unirli. Qualunque cosa fosse successa nella vita, niente avrebbe potuto recidere il loro legame. Niente.”
“Beh” aveva replicato Harry cercando di controllare il tremolio della voce “ora lei c’è riuscita.”
Bessie, però, aveva scosso la testa. “Era questo il loro destino. Due facce della stessa medaglia. Se si guardano in faccia, la medaglia muore. Tutta quanta.”
“Vuoi dire che...”
“L’anima.” Aveva concluso bruscamente lei. “Allora, stavo sognando hai detto?” aveva proposto poi allegramente. “Oh, non mi sarò tradita facendo qualche nome, vero?”
“Veramente hai detto... mamma” aveva spiegato lui, incerto.
Bessie aveva ridacchiato. Chissà a quale madre mi stavo riferendo. “Lo sai Harry? È strano. Quando mi capita di sognare mia madre, ogni volta, il suo viso non c’è.”
“Non c’è?”
“No. è una specie di nebulosa indistinta.”
Lui l’aveva guardata.
“Quand’ero piccola una volta lei è venuta ad un mio saggio, uno dei primi. L’ho scorta subito tra la folla, ma non riuscivo a vedere mio padre, così ho pensato che fosse in ritardo, ci sono rimasta male; dopo un po’, però, l’ho scorto alcuni posti più in là.”
“Meno male!”
Lei aveva scosso la tesa. “Invece di sentirmi sollevata mi sono intristita perché ho capito che avevano litigato... è dura doverti rendere conto che i tuoi genitori non sono perfetti e non sono onnipotenti, no? Però” aveva aggiunto, meditabonda “mi sono sempre salvata dando la colpa di tutto quanto a lei. Immagino che il fatto che mio padre sia morto troppo presto abbia aiutato.”
Il silenzio era calato per alcuni secondi sulla stanza, e per rallegrare l’atmosfera Bessie aveva quasi urlato: “Ho sognato anche tua madre, sai? E come al solito mi sgridava!”
“Davvero?” aveva chiesto lui con un sorriso.
“Harry, ti hanno mai raccontato la vera storia della tua nascita?”
“La vera... storia?”
“Oh, sì. Ognuno di noi ha una storia ufficiale, fatta di tanto amore e bambini bellissimi e corse in ospedale di padri provetti, no? Poi c’è la realtà. Per esempio, la prima volta che mia madre mi ha presa in braccio stava per farmi ruzzolare a terra!”
Harry si era appoggiato con i gomiti al letto, l’aria divertita. “Su, raccontami questo mio pesante segreto!”
“Oh, è stato uno spasso! Lily era talmente nervosa, la donna di ferro era terrorizzata dal dolore, poi eravamo state da un sensale per gioco poco prima che scoprisse di essere incinta, e lui le aveva raccontato delle cose stranissime su di te, su quello che saresti stato, e ti assicuro, non l’ho mai vista così agitata in tutta la mia vita!” aveva ridacchiato. “...Ha tirato uno sgabello contro tuo padre.”
“Uno... sgabello?” aveva deglutito lui.
“Sì! Oh, è stato fantastico! Un lancio da olimpiadi diretto alle sue ginocchia, non so come abbia fatto a non rompergliele! Sono rimasta solo io in sala parto con lei, e per fortuna ero un’infermiera molto più efficiente di James... è andato tutto bene. Sono rimasta con lei tutto il tempo, ed eravamo completamente comprese nella nascita di questo bambino, che poi eri tu, che non era rimasto più spazio per nient’altro!!! Poi sei nato, ed io finalmente sono potuta uscire. Ricordo di essermi guardata allo spechio e di essermi spaventata” aveva sghignazzato. “Ero in uno stato pietoso, con i capelli sconvolti, le occhiaie e le guance arrossate, e le emozioni che uscivano a singhiozzi!”
“Ma...”
“In quel momento ho visto James” l’aveva rassicurato, intuendo i suoi dubbi. “Se ne stava seduto su una poltroncina tenendosi la testa fra le mani ed era entusiasta e sgomento, felice ed incerto, padre e vedovo. Oh, faceva così tenerezza! Non poteva alzarsi in piedi ma le sue gambe non riuscivano a stare ferme, te lo giuro Harry, mi è nato dentro qualcosa nel vederlo! Avrei voluto ridere di lui ed abbracciarlo e consolarlo e prenderlo a cuscinate!”
“E... e poi?”
“Sono andata da lui, e forse mi aspettavo chissà quale conversazione memorabile. Sai, sempre la storia ufficiale delle nascite che ti condiziona.”
“E invece?”
“James mi ha guardata... e mi ha borbottato Vai da lui. Io lo fissavo, non riuscivo a capire come questo potesse c’entrare. L’ho mandato via, mi agitava troppo, ha spiegato lui. Allora ho pensato alla scena dello sgabello e mi sono immaginata di dover rabbonire e consolare Sirius, poveretto. Perché ovviamente era di lui che stava parlando. Cercavo d’immaginare come potesse essersi sentito... e anche con lui mi è venuta voglia di abbracciarlo e di ridere allo stesso tempo. La tua nascita ci aveva reso tutti pazzi” aveva concluso con un sorrisetto malizioso. Harry aveva allargato il suo.
Vado, gli ho detto. Ma non mi sono mossa. E poi: Vorrei una sigaretta, ho sospirato. Lui non mi ha neanche guardata. Anch’io, ha risposto con tono disperato.”
Bessie aveva riso ancora.


Fotografia 146.

“Tu... stai crescendo” annuncia l’uomo nell’atmosfera pesante di buio e giochi di candele. “Stai crescendo qualcosa di grande e terribile, di dolce e forte.”
“Oddio... non sarò malata?!” strilla Lily; Bessie le stringe il braccio, la guarda storto come per dirle non crederai mica a queste panzane, vero?
Il sensale sorride. “La tua amica dubita di me. Lei, che dovrebbe credere più di tutti. Ma qualcosa la farà credere. Sarà tra molto tempo e tra poco tempo. Molto tempo e poco tempo”, ripete. “Quando l’infinito ci raggiunge, in fondo basta fare un nodo perché tornino ad esistere due capi, un inizio ed una fine, e si riuniscano in un unico saltello di tempo. E tu conoscerai un certo tipo di infinito, e forse potrai riannodarlo, o qualcuno lo farà per te.”
Bessie sbuffa. “Ma non stava parlando con lei?”
L’uomo torna a rivolgersi a Lily con la consueta pacatezza. “Non è una malattia. Non per te. Ringrazio il cielo per quello che sei, bambina” pronuncia sinceramente ed appassionatamente baciandole la mano, lasciando alle due ragazze una sensazione di stranezza che non riescono a togliersi di dosso, come se fosse impossibile ora pretendere indifferenza. Poi le indica il ventre, grave. “Ci sarà dolore. Devi riuscire ad accettarlo, e allora quello che sei salverà qualcosa.”

“Senti Bes... non diciamolo a nessuno, va bene?” domanda Lily mentre escono dalla tenda senza guardarla in faccia.
“Hai paura?”
“Un po’.”
“Ehi, ci sono io , va bene?” le stringe la mano nel punto in cui il sensale l’aveva baciata, come per cancellarne le tracce. “Hai sentito cos’ha detto: avrai bisogno di tutti noi, in modi che non credevi possibili. Ha detto che sarà tremendo, ma che quello che ha trovato in te è bellissimo.”
“E’ stata come... una responsabilità. Insomma, di questi tempi... lo sai come va il mondo là fuori adesso... questa storia di Voldemort, e... e tutto il resto...”
“Sì. Per questo gli sono grata per aver detto che la tua presenza potrà salvarci. Ne sono sicura, è l’unica cosa che ho creduto; se ci sarà un infinito per me, Lily, quello saremo noi due. Noi due e gli altri.”
La ragazza la guarda in silenzio, i capelli ad incorniciarle il viso come il fuoco di una battaglia. Bessie sa per certo che, al momento giusto, lei sarà pronta.




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Capitolo 54
*** San Mungo, 54 ***




San Mungo, 54.



147.
“Oh, suvvia” scongiurava Bessie “non vede come sono stanca?”
“Veramente fino ad un secondo fa ci supplicavi di lasciarti uscire in giardino” aveva replicato l’infermiera con aria di rimprovero.
“In giardino? Con questo freddo?” era giunta una voce dalla porta.
“Remus!!!” aveva strillato la ragazza. “Non fa freddo, non fa per niente freddo, e sono sicura che ti piacerebbe portarmi a fare una passeggiata, non è vero?” aveva aggiunto con occhi straordinariamente simili a quelli di un cucciolo.
“Certo. Oppure quella vacanza come da progettino...”
“Vacanza? Era un viaggio, Lunatico, ed ho una valigia pronta nascosta nel doppio fondo dell’armadio!”
“Veramente questo non sarebbe orario di visite...” aveva obiettato incerta la donna. Sia Bessie sia Lupin si erano voltati a guardarla, ed in particolare la ragazza con sguardo talmente supplichevole (aveva addirittura intensificato lo sguardo cucciolesco più di quanto non avesse fatto prima) che alla fine la donna aveva allargato le braccia. Bessie era saltata a sedere sul letto.
“Solo dieci minuti però!” aveva tentato l’infermiera mentre Bessie buttava le braccia al collo dell’amico.
“Ehi, qualcuno qui è contento di vedermi?” aveva accennato lui, appena imbarazzato da quell’entusiasmo.
“Io sono sempre felice di vederti Remus, lo sai” aveva replicato lei beata.
“Sì. Stavolta troppo.”
Bessie aveva fischiettato, sistemandosi i capelli passandosi le dita a mo’ di pettine.
“Mi stai usando come pretesto per toglierti d’impaccio da che cosa, Eliza, di preciso?” aveva domandato con una smorfia indulgente. La signora Mallow aveva sorriso in silenzio uscendo dalla stanza e portando con sé gli strumenti per le analisi rimandate.
“Lei è la migliore infermiera del mondo!!!” le aveva gridato dietro Bessie.
“Allora, come sono andate queste due giornate, Eliza?”
“Un inferno! Oh Remus, perché non sei venuto a trovarmi prima?” aveva piagnucolato. “Qui non fanno che controllarmi e tenermi buona!”
“Un vero supplizio” aveva commentato lui sfilando un taccuino dalla tasca “Dovrei farmi dare qualche numero di telefono, se davvero qui ci riescono!”
Bessie aveva mirato al suo naso con il cuscino.
“Su, su, non prendertela con me: ti ho portato un po’ di paradiso.” Aveva infatti estratto da una sacca che aveva portato con sé una piccola scatola di cartoncino, di quelle che si usano per trasportare i dolci.
Bessie si era istantaneamente illuminata in viso. “Oh Molly, luce dei miei occhi!” aveva stretto le mani davanti al viso con aria commossa. “Un dolce tutto per me?”
“Dalle sue amorevoli manine materne.”

“Allora” aveva cominciato lei poco dopo, masticando un enorme boccone di torta paradiso e rendendo la comprensione delle sue parole un difficile, difficile esercizio “cos’hai fatto ultimamente? Come mai non sei mai passato a trovarmi?”
“Veramente sono venuto una volta, ma tu dormivi sotto sedativi, e poi... ho avuto da fare” aveva spiegato con una punta di nervosismo.
“Da fare? Caverne e cose simili?” (in realtà: Dhh fhhr? Caffhhne e cghss ghomholhi?)
“Beh io... veramente... senti, Eliza” aveva iniziato togliendole la fetta di torta dalle mani e guadagnandosi così un’occhiata di acuto rimprovero “oggi non sono venuto solo. Ho pensato che fosse ora, per te, di vedere una persona...”
“Una persona?”
“Sì, io.. ehm...” aveva tossicchiato.
“Ma di che parli, Remus?”
“Suppongo stia parlando di me.”
Mamma!”



* * *



“Mamma!” aveva commentato lei, quasi senza fiato.
“Ciao, Elizabeth. È tanto che non ti vedo, ti... trovo bene...” aveva continuato cercando di tenere a bada una certa commozione mentre con lo sguardo registrava la stanza, il letto d’ospedale, le condizioni della figlia.
“Cosa... cosa ci fai qui?”
“Che domande. Sono venuta a trovarti.”
Bessie aveva abbassato il capo. “Lo vedo. Io ti stavo chiedendo il perché.”
Lupin era intervenuto allungando una mano verso di lei per provare a fermare la diga prima che cedesse. “Eliza...”
“Quale straordinaria lezione di vita stai per donarmi a partire dai miei grandiosi errori? Quale, mamma? Questa volta hai la prova che sognavi da sempre sul fatto che Sirius Black fosse un cattivo soggetto, eh? Ha avuto quel che si meritava, vero? La mia vita stramba... guarda a cosa mi ha portato!” aveva proseguito indicando il letto sul quale si trovava, gli occhi colmi di lacrime e di astio.
“Eliza...” aveva riprovato lui.
“Meno male che sei tornata per farmelo notare!”
“Eliza.”
“No. Remus. Niente Eliza” aveva obiettato lei allontanandolo con un cenno deciso del braccio. “Cosa credevi di fare?”
“Eliza, io ho pensato che fosse tempo.”
“Certo, perché tu li conosci a perfezione, i miei tempi! Sei davvero bravo, sai, dal momento che non li conosco più nemmeno io!”
“Non fare così, in fondo io...”
“In fondo tu che cosa? Hai solo portato qui mia madre?”
“Elizabeth, non sottolineare in quel modo la parola portato, è offensivo!” aveva protestato la donna.
“Certo, ti chiedo perdono! La prossima volta proverò ad essere convincente quando dirò madre, va bene?!”
“Tutto questo è stupido!”
“Grazie, anche tu mi eri mancata!” aveva sbraitato Bessie.
“Senti Eliza, prova a calmarti...” aveva mormorato Lupin sedendosi sul suo letto. “Ho solo provato a fare qualcosa di buono per te!”
“Oh già, siamo tornati ai tempi della campana di vetro, esatto? La piccola ha dato fuori di matto, ora tocca a noi prendere le decisioni per lei! Remus, fammi il piacere!”
“Non fare la vittima in questo modo, ora! Nessuno sta cercando di ferirti qui dentro, d’accordo? Ho sbagliato, va bene? Quando l’ho fatto, pensavo che fosse giusto!”
“Che fosse giusto? Che fosse giusto?!” aveva ripetuto lei, ansimando appena e senza nemmeno guardare sua madre. “Ieri è stato qui Harry, mentre tu eri troppo preso dal tuo prezioso progetto di recupero per venirmi a trovare, Remus, e per la prima volta parlando con lui mi sono resa conto di poter essere serena! Ho dovuto mettere in discussione tutto, perdere quasi tutto, va bene? E poi ho sentito la capacità di ricominciare al di là della tragedia, e glielo dicevo... io stavo bene... stavo bene, stronzo di un lupo! Prima di questo!!!” l’aveva accusato schiaffeggiandogli una spalla in una specie di punto esclamativo mentre lui non si era mosso di un millimetro, accusando quel colpo come una solida roccia. Non aveva mai avuto l’aria robusta come Sirius, Lupin, eppure aveva dalla sua la reale forza di un lupo. A rendersene conto, c’era di che far tremare le gambe al pensiero di trovarselo contro. “Sei sempre talmente impegnato a fare la cosa giusta che certe volte non ti preoccupi nemmeno del fatto che qualcuno può aver semplicemente bisogno che tu ci sia, anzichè faccia qualcosa per loro! Maledizione Remus, per una volta smetti di pensare a te stesso e al tuo prezioso ruolo! Smetti di fare il santo solo perché ti fa sentire a posto con te stesso, d’accordo? Sporcati le mani anche tu! Tutto quello che ti sto chiedendo non è che tu agisca per me, ma che tu tenga a me!”
Si erano fronteggiati così per qualche secondo, Bessie con una strana luce disperata a brillarle negli occhi, come di animale braccato. Era tornata la signora Mallow.
“Ehi, che succede in questa stanza? La signorina Lovelace non può agitarsi così... il suo sistema nervoso e quello immunitario sono altamente stressati.”
“Mi dispiace Eliza, io...”
“Signori, devo chiedervi di andarvene” aveva intimato con fermezza, indicando loro la porta mentre Bessie nascondeva la faccia nel cuscino.
Un attimo dopo aver varcato la soglia la signora Lovelace era tornata dentro piantando le mani contro i fianchi mentre fissava a lungo la figlia. Solo un istante.
“Esattamente, Elizabeth... tutto questo con chi ha a che fare: con lui o con me?”



* * *



Era uscito anche Remus senza aggiungere altro, e mentre soffocava i singhiozzi nel cuscino e lasciava che l’infermiera le scoprisse un braccio per iniettarle del calmante, Bessie pensava di non essersi mai sentita così stupida e così sola.



148.
Ho guardato molti film sin da piccola, pensava Bessie. Ed ogni volta c’erano queste grandi scene dopo i litigi in cui uno dei due di solito capiva qualcosa, forse di aver sbagliato, o forse semplicemente che l’altra persona era troppo importante per lasciarla andare solo a causa di uno stupido litigio, anche pensando di avere ragione.
Ho, sperato, ed ho tentato tante di quelle volte.
Non c’è mai stata una sola volta in cui tu abbia capito, mamma. Non una volta in cui tu ci abbia provato.
Era andata a controllare la piantina in vaso che teneva sul davanzale della finestra, togliendo con delicatezza una foglia secca.
Siamo madre e figlia, ma c’è mai stato un momento in cui ci siamo somigliate davvero?

Ricordava una volta, avevano litigato per un giro che Bessie aveva voglia di fare e che sua madre non aveva tempo di fare. Due giorni dopo la signora Lovelace era andata a noleggiare un camper, era stata l’unica volta in cui aveva tentato di rimediare, ma così impacciata e fuori fase con lei com’era, non poteva andare bene; non avevano familiarità, non sapevano come muoversi senza urtarsi.
Durante una manovra per parcheggiarlo nel vialetto di casa era andata a sbattere contro un muro portante, fracassandone la parte posteriore. E questa era stata la fine della loro gita.
Sei venuta a sventolarmi davanti al viso i danni da pagare, strillando che è così che finiscono gli stupidi sogni come i miei. Che se io avevo tempo da perdere, tu invece non ne avevi.
Ti è sempre riuscito così bene mortificare le cose che per gli altri erano importanti, mamma!
Hai sempre pensato che nulla fosse importante quanto ciò che lo era per te? O era il tuo modo di difenderti, di non vedere che in realtà quello che tu avevi non era poi così importante come preferivi credere, che forse avevi sbagliato qualcosa anche tu?



149.
Il mattino dopo Bessie si era svegliata di soprassalto a causa di un’infernale pestilenza che aveva invaso la sua stanza e l’intero ospedale.
“Che cos’è questa puzza immonda?” aveva domandato turandosi il naso con aria sorpresa e schifata.
“Esplosione di una tubatura” aveva commentato Mrs Mallow, laconica per risparmiare fiato. “Distraiti!” aveva aggiunto poi lanciandole una saponetta al mirtillo che l’aveva quasi colpita nel bel mezzo della fronte, lenta di riflessi com’era a causa del sonno.
“Neanche mi piacciono, i mirtilli” aveva commentato sconsolata rigirandosela tra le mani.
“Se preferisci ne ho qui una alla cioccomenta”, aveva proposto una voce profonda all’improvviso al suo fianco.
Kings!!! Sei passato, sei passato davvero!”
“Oh, signorina Lovelace, sono ferito!” aveva commentato lui portandosi teatralmente la mano al petto. “Come hai potuto dubitarne?”



* * *



“Volevo chiederti Kings” aveva cominciato Bessie dopo un po’ “usate ancora la casa di Grimmauld Place come base operativa?”
“Non molto sai, questioni di localizzazione...”
“Capisco” aveva annuito pensosa. “D’altronde, è di Harry ora.”
“C’è qualche problema, Bessie?”
“No, oh no! Solo è un peccato che rimanga vuota... in balìa di Kreacher poi! Sai, io... mi dovrò trovare un posto ora. Però non credo proprio che me la sentirei di stare lì, nemmeno nel frattempo” aveva sorriso un po’ triste.
“Intendevo se c’è qualcosa che non va con te.”
“Mi piacerebbe tornare nel vecchio appartamento di Sirius” aveva replicato lei dopo un istante di silenzio, tutto d’un fiato.
“Quello che usava da ragazzo? Ma...”
“Non m’importa se è sporco. Lo sistemerò un poco, non molto.”
“Ne sei sicura?”
“Vorrei che restasse per sempre vuoto, ma forse non sarà possibile. Allora preferisco essere io a viverci, camminerò in punta di piedi per non interferire con i ricordi che ancora vivono lì dentro e si fanno grandi scorpacciate dei sentimenti rimasti.”
“Sicura che questo sia un bene per te?”
“Non fraintendermi zio” aveva replicato lei, chiamandolo come ancora ogni tanto faceva per scherzare con lui “non sto per rinchiudermi in modo insano nei ricordi o cose di questo genere; il momento è passato. Solo, voglio che il passato mantenga la sua dignità e la sua forza perché credo che ricordare ciò che siamo riusciti a fare, quello per cui abbiamo lottato ed il modo in cui l’abbiamo fatto sia la strada giusta per salvare il futuro.”
Kingsley allora aveva sorriso, dandole un buffetto sulla testa.
“Attento Kings, se ti scoprono penseranno che tu sia diventato umano!”
“Sciocca!”

“Sai Kings, io... una volta ho tradito Sirius” aveva ripreso lei dopo un po’, inaspettatamente.
“Tu? Ma... credevo fosse stato lui che...”
“Oh sì, è stato lui. Una tizia con i capelli selvaggi. Ci siamo lasciati subito dopo, ricordi?” gli aveva rammentato con noncuranza.
“Ricordo.”
“Bene. Ma non era questo. In realtà sono stata io.”
“Non capisco, Bessie.”
“Un giorno stavo parlando con Remus dopo che avevo litigato con Sirius per l’ennesima volta... e gli ho detto che avrei voluto essermi innamorata di lui.” Aveva deglutito. “Sapevo quanto queste mie parole l’avrebbero ferito, e... sapevo anche che ci stava ascoltando.”
“Uhm...”
“L’altro giorno ho raccontato ad Harry di una volta in cui mia madre e mio padre avevano litigato, e non so... ho trattato l’argomento con tanta leggerezza, forse cercavo solo di non pensarci; solo che poi sono stata costretta a farlo, perché lei è stata qui.”
“Sì, l’ho sentito.”
“Quando i miei genitori litigavano non era come quando lo facevamo Sirius ed io, l’ho sempre pensato... ma forse ero solo io che avevo bisogno di sapere che fosse differente. Quella volta l’ho tradito molto più di quanto abbia fatto lui con me. Non trovi?”
“Bessie, a cosa ti sta portando questo discorso?”
“Non lo so. Kings, secondo te sogno troppo?”
“Tu? Beh, a volte bisogna tirarti giù a forza da quelle nuvole, ma questo che...”
“Voglio dire, è qualcosa che mi fa sbagliare?”
Kingsley era tornato serio. “Bessie, non riuscirai ad imparare a non sbagliare mai.”
“Sì ma... ho sempre sognato di avere una di quelle storie di cui poter raccontare agli altri: ecco, ho sempre saputo, fin dalla prima volta in cui l’ho visto, che sarebbe andata a finire così... che saremmo finiti insieme; ma con Sirius non era così, non lo è mai stato. E non lo era con mia madre.”
“Tua madre? È per questo che sei preoccupata?”
“Quando stavo con Sirius non ero mai sicura di niente. Non ero mai sicura di lui.”
“No. Eri sicura di te. Sono stati i tuoi sentimenti a portarti avanti. Vi siete lasciati, lo so, ma poi... non si può mai essere sicuri di una persona, Bessie, e se è questo che stai cercando pensa che non sarebbe giusto chiederlo. Non tornare indietro, lo so che ci sono stati dei problemi, ma tu non hai mai chiesto a Sirius di esserci; lui c’era, questo era il punto. In fondo siete sempre stati voi due nonostante tutto.”
“E’ quel nonostante tutto che mi frega!” aveva concluso lei ridacchiando. “La vita somiglia così poco ad un grande romanzo, Kings!” aveva sospirato.
“Se è di letteratura che vuoi parlare, forse faresti meglio a chiamare Remus.”
Bessie aveva abbassato lo sguardo verso le proprie mani, apparentemente ignorando quel commento. “L’amore non è mai come uno se lo immagina. Non ho mai potuto allontanarmi davvero da Sirius... perchè l’amavo.”
“Per quanto sia dura, per quanto ferisca, lo sai che ne vale la pena Elizabeth. Tu lo sai più di tutti, non mollare proprio ora!”
Lei aveva annuito. “Già.” E poi: “Stiamo parlando di Sirius, di mia madre o della mia vita?” aveva ridacchiato. “Stare con Sirius era nonostante tutto una cosa grande, così grande! Più grande di me e di noi... forse troppo, per due ragazzi. Non è facile sopportare un amore così. Tutto sommato non ce la siamo cavata male, viste le premesse!” aveva sospirato con un sorriso. “Lo sai che ho litigato con Remus, Kings?”
“Lo so” aveva risposto lui senza stupirsi, come se l’argomento fosse rimasto semplicemente lo stesso.
“Tu sai sempre tutto” aveva sorriso. “Sei la grande roccia sapiente. E stare con Remus non è così grande... non nel senso che potevo dare a questa parola pensando a Sirius. Non è per niente la stessa cosa, e non dico che debba esserlo. Però ecco... quando sono con lui mi sembra tutto così maledettamente giusto!!!”
Kingsley si era alzato, scostando il fazzoletto con cui si proteggeva il naso dai miasmi e parlando finalmente con tono meno nasale. “Forse dovresti dirglielo.”
“Dirglielo?”
Dirglielo” aveva assicurato Lupin entrando in quell’istante dalla porta.
“Che dia... state cospirando, per questi colpi di scena?”



150.
Quando Lupin era entrato, Bessie per la sorpesa aveva lasciato cadere la saponetta al mirtillo. Lupin si era chinato per raccoglierla ma lei, svelta, si era sporta a sua volta.
“Lascia stare Remus, faccio io!” aveva assicurato, forse tentando di nascondere l’imbarazzo.
“Questa è soltanto un’altra delle tue brillanti scuse, Eliza.”
Lei l’aveva guardato. “Sono qui da più di tre giorni. Anche raccogliere una saponetta è un buon diversivo. Ho disperatamente bisogno di fare qualcosa!!!”
Lupin aveva sorriso, rialzandosi e lasciando che fosse lei a recuperare la saponetta. Bessie, però, non si rialzava.
“Ehi...?”
“Non si sente!” aveva esclamato lei con il naso ad un centimetro dal pavimento.
“...Prego?”
“La puzza! Qui si sente pochissimo!”
“Davvero?”
“Davvero!” aveva ripetuto convinta, sbucando dalle coperte prima che lui potesse avere il tempo di fermarla ed andandosi a sdraiare sulle fredde piastrelle della stanza. Lupin aveva scosso il capo, incerto su come convincerla a tornare nel suo letto. Poi si era arreso con un sospiro ed era andato a sdraiarsi al suo fianco. Aveva incrociato le mani dietro la testa.
“Sai Remus...” aveva inziato lei dopo un po’, fissando il soffitto con particolare attenzione “quella valigia è ancora pronta.”
“La valigia, davvero?”
“Sì” aveva insistito Bessie sitemando più comodamente la nuca contro la superficie rigida e fredda. Erano rimasti così, ognuno a rincorrere il filo dei propri pensieri.

“Non deve essere lo stesso, Bes” l’aveva rassicurata Lupin senza che lei dicesse nulla.
Lei era rimasta in silenzio per un momento. “Come potrebbe?”

“Io non... non capisco quello che ti passa per la testa, Remus.”
“Se è per questo, nemmeno io ultimamente!”
“Sì, ma per me è la prima volta! E mi spaventa. Stai facendo tutto questo per me o per allontanarti da me?”
Lupin si era voltato su un fianco, per guardarla. “Non disfare quella valigia, Eliza. Ti chiedo solo questo.”
Lei aveva sorriso rivolta al soffitto con aria più serena. “Un giorno partiremo senza prevedere prima quando sarà, d’accordo? E ti vorrò sempre sempre con me, sempre vicino a parte quando avrai da fare qualcosa per te. Non controlleremo mai che ore sono, o dove staremo andando. Non ce lo chiederemo neppure. Compreremo al supermercato -sempre che ce ne sia uno dove andremo- tutto quello che ci passerà per la testa, e poi faremo una cena talmente assurda che a mezzanotte dovremo per forza andare in qualche locale per mangiare qualcosa!” si era grattata la punta del naso con due dita, concentrata ed appassionata. “Non avremo mai sonno, Remus, e prenderemo delle cose in prestito senza che tu, per una stramaledetta volta, ti senta in dovere di resituirle... e in ogni esatto momento di quel viaggio, che sia in una città o davanti ad un tramonto –e ti prometto che se tu sei uno di quelli che piangono davanti ad un tramonto non ti canzonerò- in ogni momento, te lo giuro Remus, ci sentiremo perfettamente lì, e reali. Sarà tutto così giusto e così vero che capiremo di esistere!”

Era trascorso qualche attimo di silenzio.
Whoa. Quello era un modo grandioso per chiedere scusa.”
Bessie era arrossita.
“Scusami, Eliza. Mi sei mancata anche tu.”
Lei, senza guardarlo, aveva risposto al suo nuovo sorriso. “Tu sì che sai fare economia di parole!”
“Faremo quel viaggio, Eliza.”
“Quando?”
“Quando non servirà per scappare.”



* * *


Non essere arrabbiata.
Non stare male.

Lascia che ti porti in un posto dove potrai amare tutto. Vedrai che riuscirò a trovarlo.


* * *



Tutti gli inizi sono magici.
Ma alla fine, quando non restano più maschere da percorrere, iniziamo a scavarci l’un l’altro con le unghie. È sempre stato così.
Noi siamo stati alla fine fin dall’inizio, Remus; non c’è altro modo per noi. Ci spezzeremo il cuore a vicenda?
Aveva pensato a Tonks.
Sono qui a chiamarti con un bisogno ruvido, e forse in fondo non so quanto questo sia giusto. Forse per questo tu non sei al sicuro con me.
Non mi è mai importato da dove tornassi, finché tornavi da me. Forse, però, dovrebbe importarmi. Quanto ti costa ogni volta quello che lasci?
Tonks.
Quel giorno, mentre credevi che dormissi...
...quanto ti costa?

Tutta questa situazione, tutto questo cercare solo per non guardarci in faccia, Remus, mi spaventa.
A volte penso: se il mondo finisse questa notte?
Quello che so è che mi piacerebbe trovarmi con te, sederci per terra accanto al fuoco con una bottiglia di vino, e nel calore della stanza scovare dei ricordi ad occhieggiare ed a sorriderci mentre diciamo stramberie per l’effetto del vino; lo sai, sarebbero tutti con noi ancora una volta. Poi chiameremmo un brindisi a tutto quello che la vita sta ancora per portarci, e allora non importerebbe se stai con me per senso del dovere, per rispetto verso il passato che ci lega o per affetto, allora forse pensare che il mondo finirà in mezzo a tutto questo sarà per noi una specie di consolazione.
Ti mancano?
Ti mancano quanto mancano a me? Forse ho solo bisogno che tu lo dimostri.
Se mi dicessi qualcosa, Remus, se scavassi per trovare le parole, ti lascerei in pace?




< You're never with me
you're never near me
What time is it?
What time?
Whose time is this?
Give yourself a chance to breathe
I'll give you the room you need

You're never here
You're never near here
What day is this?
What day?
Whose day is this?
Put me in your supermarket list
I'm here, I'm real, it's true, I do exist

Today you may feel a little sleepy
Maybe the morning is too soon
I guess I'll have to borrow
One of your sunny afternoons
But afternoons they never come
There's nothing left for me to borrow

I guess I'll try again tomorrow…>



4 Silence - Borrow

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Capitolo 55
*** Extra - Note, 55 ***


g

Extra, 55.

Dal registro di classe: note dalle lezioni.

- Sirius Black gioca a fare il giocoliere con della frutta ammuffita sottratta alle cucine mentre James Potter cerca di centrarla con degli incantesimi per farla incendiare e creare il cerchio di fuoco nel quale dovrà saltare Peter Minus.

- Ad Erbologia, Elizabeth Lovelace chiacchiera con i passerotti.

- Lily Evans urla così forte contro James Potter da far incrinare una finestra.

- Quando entro in aula, l’alunno Severus Piton è sospeso a mezz’aria in posizione orizzontale, sotto l’evidente incanto di solletico che lo costringe a dimenamenti continui. Sirius Black gli tiene ferma la testa con aria professionale mentre James Potter gli gira intorno gesticolando e bisbigliando con in mano una copia di Storia di Hogwarts. Mi spiega affranto che si tratta di esorcismo.

- Peter Minus si crea una dispensa personale in bagno.

- Peter Minus, sequestrata la dispensa, vaga per la scuola come uno spirito perduto per cercare merendine altrui scordate negli angoli.

- Ninfadora Tonks cerca di convincere Pix a svitare un lampadario in testa a Bellatrix Black quando passa.

- James Potter e Sirius Black, nonostante un tentativo di Remus Lupin di fermarli, incollano sul viso di Peter Minus una maschera da topo con su scritto a pennarello: "Finalmente uomo!"

- Elizabeth Lovelace s’incatena alla cattedra per protesta contro i maltrattamenti degli elfi domestici.

- Ninfadora Tonks incatena un pupazzo di elfo domestico alla cattedra per manifestare il suo supporto.

- James Potter incatena Severus Piton alla finestra per manifestare il suo.

- James Potter è assente alla prima ora di ogni giornata seguente ad un allenamento di Quidditch.

- Remus Lupin trascina per una manica Sirius Black, che cercava di recuperare qualcosa cadutogli dalla finestra lanciandosi dalla torre di astronomia!

- Elizabeth Lovelace si nasconde da una Lily Evans furibonda durante la mia lezione, rifugiandosi sotto la cattedra.

- Approfittando del fatto che gli incanti silenziosi non sono ancora stati insegnati, James Potter e Sirius Black provano ad eludere la mia sorveglianza sporgendosi e trasfigurando il cestino della carta in una bibita gassata gigante, che mi saluta augurandomi una lieta giornata.

- Bellatrix Black cerca di lanciare il suo banco in testa ad Elizabeth Lovelace, Sirius Black interviene a sua difesa ed allora la Lovelace gli ringhia contro graffiandogli la schiena. Mentre lui la fissa basito Bellatrix Black lancia il banco sulla testa di lui. Dietro, Ninfadora Tonks le fa lo sgambetto quando prova ad allontanarsi, facendola finire con una mano nel calderone acceso.

- Potter spruzza spray anti-cimici contro Severus Piton, sostenendo che si era confuso nel vederlo così verde.

- Minus si porta la pasta e cerca di cuocerla nel calderone con la scusa che le cucine sono state danneggiate dall’inondazione e lui teme di non ricevere il pranzo.

- Trovo nel cassetto della cattedra un capo di biancheria intima femminile; Lily Evans avvampa, Lucius Malfoy sghignazza e allora James Potter gli si scaglia addosso, facendolo rotolare fino al muro.

- Elizabeth Lovelace bisbiglia in continuazione chiedendo ai compagni una caramella.

- Potter e Black improvvisano un duello con gli scopini del water come arma.

- Remus Lupin durante un’interrogazione si volta in fretta, molto in fretta. Troppo in fretta: mi toglie il parrucchino!

- Sirius Black prova a spiegare ad uno studente del primo anno che per farsi fare il caffé bisogna accarezzare ripetutamente la moka sul manico, dandole un soprannome da usare nell’intimità per rabbonirla.

- Ninfadora Tonks spiega ad uno studente del primo anno che per infilarsi il cappello parlante bisogna prima rasarsi a zero, per evitare il rischio di un contagio di massa di pidocchi.

- Peter Minus cerca evidentemente di eliminarmi, salutandomi all’improvviso da dietro con effetto-megafono.

- James Potter prova a convincere uno studente del primo anno che il modo corretto per leggere la mente è quello fisico, riconoscendo i segni celati tra le rughe della fronte. Suggerisce di fare pratica con Silente, che ne è abbondantemente provvisto. Cos’è, una gara con tema il primo anno?

- Severus Piton entra a lezione in ritardo. Quando gliene chiedo il motivo lancia un maleficio contro Potter.

- Elizabeth Lovelace disegna baffi su James Potter che dorme sul suo banco, mentre Ninfadora Tonks cerca di convincere Lily Evans a non fare la spia.

- Dal pubblico Lucius Malfoy s’impossessa del boccino per impedire a James Potter di afferrarlo e vincere la partita contro Tassorosso.

- Vengono ritrovati Elizabeth Lovelace e James Potter in un tunnel dei sotterranei conducente alle fognature. Non oso chiedermi cosa stessero cercando o facendo. Potter presenta un grosso bernoccolo sul capo.

- Scoperto un progetto di James Potter, Sirius Black, Peter Minus e Remus Lupin per creare una pista per le biglie che attraversi l’intero castello.

- Sirius Black e James Potter gironzolano coperti solo dei loro mantelli e, sotto, di foglie di fico, spaventando gli studenti più piccoli.

- Lily Evans, incappata in James Potter in tale stato, arrossisce clamorosamente di rabbia e poi con un incanto mirato gli strappa di dosso la foglia, lasciandolo esposto alla curiosità dei passanti. Si segnalano pacche sulle spalle di Black che desidera complimentarsi e fischi acuti di Lucius Malfoy e Rodolphus Lestrange.

- Severus Piton avvelena un quaderno di Peter Minus, confidando nel fatto che per fame l’avrebbe assaggiato.

- A cura delle creature magiche Elizabeth Lovelace si rifiuta di patecipare e sbraita contro le condizioni, a suo parere invivibili, cui sottoporrei alcuni degli animali.

- Ninfadora Tonks si fa pizzicare il braccio dalla Lovelace sopportando stoicamente il dolore perché, a suo dire, non è mai stata in campagna e vorrebbe conoscere l’aspetto di un campo di pomodori!

- James Potter disegna per terra una sagoma umana che secondo il suo volere dovrebbe corrispondere alla posizione del cadavere di Severus Piton dopo che gli avrà messo la bacchetta addosso, facendolo finire in quell’esatto punto.

- James Potter e Sirius Black trasformano il libro di Incantesimi di Severus Piton in uno Schiopodo, lasciando intatta la copertina per celare l’inganno.

- Sirius Black finge di brandire un’arma, quando chiedo spiegazioni m’informa che si tratta di una fiamma ossidrica. Domando ulteriori delucidazioni, e cortesemente mi dice che sta saldando un debito.

- Dopo aver ricevuto una battuta su sua madre, James Potter inchioda Severus Piton al muro mentre Black gl’incolla il seguente cartello sulla schiena: Licenza di uccidere.

- Durante il compito sui lupi mannari Black continua a ridacchiare e mandare biglietti a Remus Lupin.

- Sirius Black usa Piton come Mocio.

- Elizabeth Lovelace, giocando con una lente per creare l’effetto-arcobaleno, appicca il fuoco al suo banco.

- Remus Lupin fa dell’alpinismo sull’armadietto degli ingredienti. Alla mia richiesa di spiegazioni m’informa di stare cercando il suo quaderno, sottratto da un compagno. A quel punto sbuca Sirius Black che urla si tratti di un rapimento, sventolandomi sotto il naso la presunta richiesta di riscatto.

- Sirius Black giunge a lezione di pozioni in ritardo. Asserisce che per strada l’ha investito un pullmann.

- Bellatrix Black rincorre Sirius Black brandendo una sedia sopra la testa.

- Severus Piton lancia un aereoplanino con punta di ferro contro James Potter, che cerca di usare Peter Minus come scudo..

- Sirius Black lancia lo stesso aereoplanino contro Severus Piton, sfidandolo a schivarlo. Il tutto dopo averlo legato e bendato.

- Ninfadora Tonks crea un castello con i gessetti.

- Sirius Black fa sparire Lily Evans e Narcissa Black facendo loro credere che siano tutti gli altri ad essere scomparsi dalla scuola.

- James Potter cerca di ottenere il fuoco strofinando due mattie.

- Lucius Malfoy inveisce contro un elfo addetto alle pulizie dandogli una botta in testa. Elizabeth Lovelace gli si avventa contro afferrandolo per i capelli.

- James Potter rinchiude Severus Piton in bagno urlando: E’ quello il tuo posto, cesso!

- Sirius Black chiede di andare in bagno. Essendogli stato negato il permesso, minaccia di usare la forza. Dopo che gli ho risposto mostrandogli come una tenda diventi un’efficace camicia di forza, minaccia il suicidio. Ignorato, minaccia l’omicidio di Peter Minus spingendolo verso la finestra.

- Sirius Black, chiamato fuori per interrogazione, cerca di convincere Remus Lupin ad uscire al posto suo asserendo che era un’identità segreta, lui è il vero discendente dei Black ma per amicizia aveva permesso di godere dei suoi privilegi al ragazzo per tutti questi anni.

- Elizabeth Lovelace prova ad accecare Bellatrix Black manipolando con uno specchietto la luce proveniente dalla finestra. Lo stesso specchietto.

- James Potter ruba la porta dell’aula al mio arrivo spiegando che, semanticamente, in assenza di un ingresso non c’è modo per entrare e fare lezione.

- Trovo per i corridoi Elizabeth Lovelace a cavalcioni di Ninfadora Tonks combattere contro James Potter a cavallo di Sirius Black: è la guerra a chi resiste di più contro le spinte esterne, mentre una discreta presenza di compagni tifa e scommette. I due prefetti Evans e Lupin li ignorano.

- Sirius Black, avendo notato che il compito ricevuto dal compagno Peter Minus ha un voto molto basso, cerca di convincerlo a convincere quel compito a fare bungee jumping dalla finestra, con un elastico appeso al nulla.

- Sento il compito di Peter Minus strillare. Non oso controllare il perché.

- Ninfadora Tonks durante il cambio dell’ora accende un registratore con la voce di Lovelace durante un’esibizione, e di lancia in un duetto colmo di curiosi gorgheggi.

- Elizabeth Lovelace giunge a lezione in ritardo e con aria abbattuta perché, a suo dire, Bellatrix Black l’avrebbe incastrata sotto alla macchina per fare il caffè; Sirius Black, dal suo banco, sghignazza.

- Quando invito James Potter a prendere la porta ed uscire, questi tenta di convincere la porta a seguirlo con le buone.

- Tonks, Lovelace ed Evans durante il cambio dell’ora e nei minuti successivi chiacchierano come vecchie signore banchettando intorno ad un vaso gigante di nutella; a loro insaputa Potter e Black stanno preparando uno striscione con scritto: sagra del cioccolatino.

- Chiedo a Sirius Black di vedere i suoi genitori e lui, come risposta, mi porta la fotografia di un elfo con su scritto: "mamma Kreacher". L’elfo in questione mi guarda con aperto disgusto.

- James Potter urla maledizioni dalla finestra per terrorizzare i bambini delle prime classi che si trovano nel cortile.

- Peter Minus per diciotto interminabili minuti fissa a bocca aperta la vernice asciugarsi dopo lo stucco apportato al soffitto per riparare ad un suo danno.

- Elizabeth Lovelace porta in classe un cestino pieno di cuccioli di diverse specie: suggerisce che possano essere un buon collante per la classe.

- Quando Lucius Malfoy prova, credo, a maltrattare una delle bestiole, la Lovelace lo morsica.

- Ninadora Tonks è assente alla lezione di divinazione perché, dice, i pianeti le sono sfavorevoli.

- Sirius Black e James Potter non seguono la lezione, picchiando Severus Piton con aria abbattuta; alla mia richiesta di spiegazioni rispondono con un sospiro che si tratta di mancanza di stimoli.

- Lovelace e Tonks arrivano in ritardo per essersi fermate a raccogliere le prime fragole della stagione.

- Peter Minus arriva a lezione in forte ritardo perché qualcuno gli ha fatto perdere le coordinate spazio-temporali con un incanto di terzo livello.

- James Potter dal suo banco si agita come in preda di convulsioni e lancia incanti contro Severus Piton e Lucius Malfoy. Black cortesemente mi spiega che da tre giorni l’alunno soffre di incubi notturni in cui qualcosa di verde tenta di sodomizzarlo.

- Lucius Malfoy tenta di farlo esplodere per vendetta.

- Peter Minus è sprovvisto di libri, quindi decido di controllare perché la sua borsa appaia rigonfia. L’elenco di oggetti contenuti è il seguente: dolciumi assortiti, un panino, un tramezzino, un tubetto di salsa, uno di latte condensato, una palla rossa.

- Sirius Black è decisamente un animale, quindi seguirà la prossima lezione accucciato di fianco alla cattedra.

- Alla mia lettura della precedente nota Potter, Lupin e Minus esplodono in risate sguaiate fino alle lacrime. Ingiustificati.

ecco a te manny ^__^

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Capitolo 56
*** San Mungo, 56. ***


San Mungo, 56.



151.
“Ho qualcosa tra i denti, non potresti controllare?
“Sirius, ma sei pazzo? Tutto questo è così carentemente romantico!!!
“Sì, ma è a te che diranno che ti sei trovata un ragazzo che va in giro con del prezzemolo tra i denti!
“Veramente dicono che ho un fidanzato tremendamente bello. Ma io non te lo rivelerò mai perché diventeresti ancora più insopportabilmente vanitoso di quanto non sia già.
“Quindi sono condannato ad una vita nell’ignoranza, donna fortunata?
“Oh, quello lo saresti comunque!
“Elizabeth?
“Dimmi, Sirius. Questo è un biglietto, non mi devi chiamare!
“Sei stata brava.
“A fare cosa?
“A tenermi con te. Ti ringrazio.

e poi, più sotto:
Scusa solo se non te lo dico sorridendo, ma temo che rovinerebbe tutto l’effetto, date le mie attuali condizioni orali.”



Bessie aveva ripiegato il bigliettino che teneva fra le mani, avendo cura di non spiegazzare il braccialettino di fiori di campo che vi si trovava all’interno. Sorrideva, affacciata alla finestra della sua stanza d’ospedale.
“Ho finito gli esami, sai Sirius? Questa mattina c’è stato l’ultimo. Non so perché siano stati così puntigliosi, neanche avessi chissà quale malattia!”




* * *




Bessie si sveglia con la luce del sole che filtra dalla finestra semiaperta. Le piace che i balconi esterni rimangano socchiusi; le piace svegliarsi con un raggio di luce ad accarezzarle il viso.
Si stiracchia senza fretta, oggi è giorno di vacanza.
Stranamente, quando allunga un braccio alla propria destra sente che Sirius non è più lì.
Raggiunge la cucina con gli occhi ancora confusi dal sonno, ed è per questo che ci mette qualche secondo a realizzare che la tavola è preparata e la colazione è già pronta, mentre Sirius ha addosso soltanto uno sciocco grembiule a fiocchetti rosa che le ha regalato una volta Tonks per scherzo e che lei non si è mai sognata di portare.
“Che significa questo?” domanda sbalordita. Sirius le si avvicina con un sorriso smagliante ed un mestolo in mano.
“Buongiorno anche a te, cara!” Le dà un bacio sulla fronte, e Bessie ne approfitta per sbirciare un po’ più giù della sua schiena, lì dove il grembiule non c’è.
“Allora” pronuncia infine, dirigendosi verso il tavolo “Dimmi Sirius, esattamente che cos’hai da farti perdonare?”
“Oh, diavolo! Tu sì che sai come mantenere un clima da sogno, Elizabeth!”
“Forse è perché parti domani per quella missione pericolosissima? O hai combinato qualcosa nel frattempo?” prosegue meditabonda.
“Guarda che se continui a sbirciare le mie chiappe mentre fingi di essere seria non ci fai una figura molto dignitosa!” borbotta lui. “E poi che vuol dire perché... ti ho chiesto di sposarmi l’altra notte. Ho pensato sarebbe stato carino coccolarti un po’!”
“Oh, quello!” lo liquida lei sedendo al tavolo ed addentando una focaccina. “Non era nemmeno una domanda!”
“Ah no?” si perplime lui, inclinando il capo.
“Stavi solo riflettendo a voce alta, Sirius... mi passeresti lo zucchero?”
“Sapevo di non averne messo abbastanza, maledizione!”
“No. Sapevi che io ne avrei voluto di più, il che è diverso, ed anche adorabile visto che avevi già preparato il barattolo pronto” specifica succhiandosi un dito coperto di zucchero.
Sirius siede al tavolo con lei, un po’ rincuorato. “Riflettevo a voce alta?”
“Sì, perché ti manca il filtro, qui nella testa!” spiega sporgendosi pericolosamente sopra il tavolo e toccandogli la fronte con un dito fino a formargli delle piccole rughe. Sirius osserva deliziato le sue forme sbucare dal completino leggero di cotone, la pelle rosea ed i capelli appena scarmigliati; i suoi occhi sono incredibilmente blu, sono già così incredibilmente blu!, pensa. Pensa che vorrebbe prenderla tra le braccia e riportarla su quel letto rimanendo con lei senza pensare al tempo che passa, all’ennesima separazione imminente; vorrebbe contare tutte le pieghe che le si formano sulla pelle quando si muove, ed accarezzarla e tenerla stretta a sé e ricordarle che è sua, che non importa se lui ha oppure no un filtro nella testa, perché lei è sua. Pensa anche che è incredibile come sia carina coi capelli scarmigliati e le occhiaie ed un completino chiaro di cotone che la fa sembrare un po’ una bambina, e che lui dev’essere diventato terribilmente stupido a perdersi in questo modo per un completino, ma non gli dispiace nemmeno un po’. Perché è sua. Vorrebbe dirglielo.
“Ah, è così eh?” risponde piccato. “Tu non mi prendi sul serio!”
“Perdonami Sirius” sghignazza lei solleticandogli un polpaccio con i piedi nudi. “Non prenderla sul personale, ma mi riesce un po’ difficile!”



Il mattino dopo quando si sveglia Bessie sente uno strano profumo deliziarle le narici. Apre gli occhi e la stanza è inondata di fiori, ci sono fiori di tutti i tipi, di tutti i colori. Fiori di campo, fiori di chissà quale incommensurabile campo! Si alza a sedere sul letto e per un po’ rimane a contemplarli, giocando a contarne una parte. Poi scuote la testa.
“E’ impossibile,” mormora. Raggiunge la cucina senza preoccuparsi di cercare le ciabatte e lì, ancora, è una distesa di fiori ancora più grande. “Sei andato a devastare i campi Elisi, Sirius?” domanda senza riuscire a vederlo. Lui sbuca da sotto il tavolo.
“Questa è la mia piccola vendetta prima di partire!”
“Tu... tu sei un pazzo! Perché fai questo?”
“Perché tu mi prenda sempre meno sul serio, ovviamente” si pavoneggia lui guidandola verso il tavolo. Bessie continua a guardarlo in silenzio, come aspettando qualcosa.
“Niente da fare” la canzona lui. “Non ho la minima intenzione di chiedertelo sol perché partirò stanotte!”
Lei ride, vede che sotto il bicchiere c’è qualcosa e allora lo solleva: prende delicatamente fra le mani un braccialettino di fiori di campo intrecciati. Lo rimira commossa, lasciando che lui glielo infili al polso.
“Sarà meglio per te che torni presto e tutto intero, Sirius Black!” intima appoggiandosi alla sua spalla e lasciando che lui l’avvolga con un braccio. “E nel frattempo vedi di mantenerti a distanza da quella tua collega dai capelli selvaggi!!!”




* * *




“Buongiorno, signorina” è il saluto del vecchio signore che un’ora prima avevano portato nella sua stanza. L’aveva già notato, Bessie, perché prima si trovava nella stanza accanto. Aveva dormito fino, evidentemente, a quel momento.
“Buongiorno a lei. È stato un bel risveglio?”
“Mi sono trovato davanti tanta bellezza e gioventù in un ospedale... quale risveglio migliore?” aveva risposto lui, galante. Bessie aveva sorriso.
“Che facevi di bello? Ti ho disturbata?”
“No, oh no” spiega Bessie. “Ho preso un uccellino, sa.”
“Un uccellino?”
“Sì, un fringuello. Si chiama Bitorzolo.”
Bitorzolo?”
“Mi rendo conto che non è proprio... uhm, sembrava gli piacesse” arrossisce lei.
“E così ora dov’è?”
“Lo stavo giusto aspettando. Viene spesso a trovarmi, posandosi su questo ramo di fronte.”
“Lo aspetti? Ma... non avevi detto che era tuo?”
“Forse è più esatto dire che è lui ad avere preso me!” aveva riso Bessie.
“Allora adesso so come passi il tempo qui. Ma perché sei qui?”
“Per cibare il mio uccellino, naturalmente.”
“Uhm...”
Bessie gli aveva sorriso.
“E tu, tu non mi chiedi perché sono qui?”
“Ci si perde, a cercare sempre i motivi per tutto. Si finisce per trovare solo delle buone scuse” aveva alzato le spalle lei.
“Allora non ti faccio pena?”
“E perché dovrebbe? Io non la conosco” aveva replicato, garbata.
“Sono vecchio e malato. Questo lo vedi da te.”
“Anch’io sono più vecchia di quello che pensa”, aveva sorriso lei.
“Significa che non sei malata.”
“No. Sono qui perché devo continuare a combattere.” Bessie aveva lasciato perdere la finestra, tornando verso il letto.
“E al tuo fidanzato va bene se lo fai?”
“Fidanzato?” era arrossita.
Lui aveva indicato la tasca in cui aveva riposto il vecchio biglietto. “Sì. Quella non era una sua lettera?”
“Beh, sì.”

In quel momento era entrata Mrs Mallow con una pila di libri tra le braccia. Li aveva appoggiati con un tonfo sordo accanto al letto del vecchio signore. “Ecco qui i suoi libri!”
“Oh, grazie... li lasci pure lì” aveva replicato lui con noncuranza.
“Non vuole che glieli sistemi nell’armadio?”
“No, no, non importa.”
“Ma...”
Grazie, infermiera Mallow.”
“Ha molti libri” aveva osservato Bessie.
“Già, ma così si rovineranno” aveva replicato a malincuore la signora Mallow.
“Cosa vuole che me ne importi, su!”
“Beh, dovrebbe.”
“L’unica cosa che mi importa, mia cara” aveva cominciato allora lui perdendo del tutto il sorriso bonario di poco prima “è morire. Ma questo non volete darmelo.”
“Non possiamo, signor Forster. Non possiamo.”
Bessie era rimasta immobile a fissargli i lineamenti, improvvisamente fattisi più duri e più pesanti. Non sembrava lo stesso, simpatico vecchietto di poco prima, completamente immerso nella sua personale sofferenza. Quell’uomo voleva morire.
“Allora mi lasci in pace!” aveva brontolato ruvidamente.
“Davvero non vuole che glieli sistemi?”
“Ho detto che non m’importa! Può anche bruciarli, se le pare! Tanto, se non lo farà lei ci penserà qualcun altro!”
“Non dovrebbe parlare così” aveva obiettato l’infermiera, rassettandogli le coperte. “Come farà a tornare ad insegnare, senza i suoi libri?”
“Sono in pensione, infermiera Mallow.”

Dopo un po’ che se n’era andata Bessie gli aveva rivolto la parola, turbata.
“Non vuole vivere?”
“Ho smesso da un pezzo, bambina. Allora com’è?” aveva improvvisamente stornato argomento indicando di nuovo il foglietto che teneva nella tasca. “E’ bello?”
Bessie non aveva dovuto pensarci. “Sì, è bello.”
“Come vi siete conosciuti?”
“A scuola. Io lo odiavo perché si comportava da bulletto, e lui non poteva soffrirmi perché ero la migliore amica della fidanzata del suo migliore amico.”
“Oooh, che complicato!” si era lamentato lui prendendosi la testa fra le mani. “Ma è un brvo ragazzo? Dovresti scegliere un bravo ragazzo, sai!”
Bessie gli aveva sorriso.
“Beh, deve esserlo per forza, guardandoti.”
“E’ pazzo, ma lo è.”
“Ti lascia anche combattere.”
“Perché lui combatte di più.”
“Una coppia agguerrita! Dove lo farai, ragazza mia?”
“Ovunque ce ne sia bisogno” aveva spiegato lei con tranquillità, lasciando scivolare le mani in grembo.
“E non hai paura?” aveva domandato lui fissandola con occhi penetranti.
“Sempre.”
“Di morire?”
“Che muoiano le persone cui voglio bene”, l’aveva corretto lei con un triste sorriso.
“Ma ti capiterà.”
“Già.”
Forse lui aveva percepito un tono strano, in quella risposta. Aveva alzato lo sguardo ad osservarla, e quando aveva parlato il suo tono era risultato un po’ tremolante. “Figliola, quella lettera...”
“Già”, aveva sorriso lei.


Non m’importa di tutto il resto. Non m’importa di quello che di buono ho guadagnato in questi mesi.
Non sei tu.
Non lo sarai mai.


“Cosa ti manca di là fuori?” aveva domandato il vecchio Forster mentre pranzavano. Bessie infatti era rimasta in camera, anche se poteva muoversi dove voleva, per fargli compagnia. Se n’era un po’ pentita quando aveva scoperto quanto poco stabile fosse il vassoio per il suo scarso senso dell’equilibrio, ma aveva cercato di non darlo a vedere e, soprattutto, di non rovesciarsi nulla addosso.
“Tante cose. I fiori, i miei amici. Le piccole abitudini quotidiane.”
“Ah, ma tu ci tornerai presto!” aveva commentato con decisione. “Vedrai che le ritroverai tutte.”
“E a lei signore, cosa manca?”
“A me? Niente.”
“Nemmeno l’insegnare?”
“Ho imparato una cosa in questi anni, ragazza” aveva replicato lui tossendo “non puoi davvero insegnare. Puoi condividere, e sperare che gli altri lo accettino.”
“Significa che lei ha trascorso la sua vita a condividere quello che sapeva. Non è altrettanto importante?”
Lui aveva scosso la testa. “Non so insegnare. Non so condividere. La malattia mi ha spiegato l’umilità che prima non vedevo, e adesso lo so.”
“Non dica così!” aveva protestato Bessie. “Chissà quanti ragazzi le sono grati dei suoi insegnamenti!”
Lui si era alzato faticosamente a sedere, tossendo a più non posso come se gli stessero scavando i polmoni. “Dì un po’ ragazzina, tu quanti ne hai visti in questi giorni che siano venuti a trovarmi?”



152.
“Bentornati in stanza. Avete avuto una piacevole passeggiata?” aveva domandato l’infermiera al ritorno di Bessie e del signor Forster nella stanza. Sembrava cortese.
“Dov’è l’infermiera Mallow?” aveva protestato il vecchio.
“In questo momento ha del lavoro da fare, la sostituisco io.”
Bessie, però, aveva studiato con attenzione la fisionomia di quella nuova assistente. Le era girata intorno senza parere, fino a quando non le si era aggrappata improvvisamente alla schiena. Il signor Forster le aveva fissate chiedendosi se la sua compagna fosse improvvisamente impazzita.
“Betsy, brutto animale che non sei altro! Scendi subito dalla mia schiena!” aveva strillato Tonks cercando di liberarsi dalla sua micidiale stretta sui capelli.
“E così credevi di farmela, eh? Credevi di potercela fare davvero?”

“Ma come... come hai...” aveva domandato più tardi la ragazza, dopo essersi ricomposta e presentata al secondo ospite; era tornata ad assumere le sue sembianze, e sedeva a gambe incrociate sul letto come la sua amica. Bessie aveva ridacchiato.
“Vuoi che ti sveli i miei trucchi?”
“E dai!”
“E va bene Dora. Hai un neo proprio qui, vedi? Tra la mano ed il polso... quello non se n’è mai andato, in nessuna tua trasformazione. Lo conosco troppo bene quel neo, con tutte le volte che mi sono svegliata trovandomelo sulla faccia!”
“Ehm ehm!” aveva tossicchiato Forster.
“Oh, mi scusi signore! Non pensi male!” aveva sorriso prontamente lei.
“La prossima volta metterò i guanti!” aveva invece borbottato Tonks.
“Come no, così ti riconoscerei perché li porti!”
“Allora lo nasconderò con del trucco!” aveva deciso, di cattivo umore.
“Dora, lo sai che ti riconoscerei lo stesso...” aveva spiegato Bessie socchiudendo le palpebre con affetto. Un attimo dopo, però, si era sentita a disagio proprio a causa di quell’affetto.
È come se dovessi operare una scelta. Tonks in questo momento è il mio ostacolo.
Come posso decidere quali sentimenti valgono di più?
“Ehi Bes, sei ancora tra noi?”
“Come?”
“Tutto a posto?”
“Oh... sì, certo!” si era riavuta lei.
Vorrei, nella mia vita, qualcosa di semplice.
“Bene! Sai com... ops!” aveva esclamato mentre lasciava cadere, con gran fracasso, tutta una serie di oggetti che aveva spostato dal letto. Si era chinata per raccoglierli, facendone precipitare anche un paio dal comodino con il secondo movimento. Forster la guardava costernato.
“Non dovrà combattere anche lei, vero?” aveva tentato sottovoce verso Bessie.
“Allora” aveva proseguito invece lei con nonchalance “ti stavo dicendo che sono venuta qui perché dovevo assolutamente annunciarti una cosa... e cioè COMPLIMENTI!!! Questa è l’ultima notte che passerai qui!!! Contenta, eh? Contenta???”
“Oh, wow!”
“Eh?” aveva strabuzzato gli occhi Tonks.
“Che cosa c’è?”
“Beh, sono io che te lo chiedo. Non sei contenta?”
“Ma certo che lo sono!”
“Davvero? Perché non sembrava proprio!”
“Ma smettila!” aveva replicato bruscamente Bessie. Il gesto della mano con cui aveva accompagnato quell’esclamazione era andato involontariamente a graffiare una guancia dell’amica. Tonks si era bloccata per un momento a fissarla, stupefatta da quella reazione.
“Oddio, scusami! Ti ho fatto male!”
“Lascia stare Bes.”
“Ma no aspetta, ho qui dei fazzolettini...”
“Ho detto lascia stare. Si può sapere cosa cavolo ti prende?”
“Ma niente, sei sempre così sospettosa!”
“Come sarebbe a dire? Sei tu che sei strana! Ti dico che puoi tornare a casa e invece di fare i salti di gioia incurvi le spalle! È successo qualcosa?”
“Ti dico di no!”
“Perché non vuoi dirmelo? Lo so che non...” il mento le era tremato leggermente, e così la voce “non sono brava come Lily, in queste cose. Però magari posso darti una mano. Lo vedo che non stai bene, sai.”
“Insomma Dora, piantala!!!” aveva esclamato Bessie. “Non... non sopporto questi tuoi continui tentativi di entrare nella mia testa, solo perché Lily ci riusciva!!!”
Non l’aveva guardata mentre si alzava senza dire una parola. Non ne aveva avuto il coraggio. Tonks era rimasta in piedi per qualche secondo, solo osservando Bessie con uno sguardo che l’avrebbe fatta sentire terribilmente sporca, molto più di quello che già si sentiva; poi aveva rivolto un cenno di saluto al vecchio signore ed era uscita dalla stanza. Sempre senza dire nulla.



“E così la combattente ha paura di tornare a casa perché dovrebbe affrontare quel piccolo spazio che troverà tra la sicurezza di questo posto e la sicurezza dell’azione che verrà poi.”
“...”
“Piccolo spazio che consiste nei suoi sentimenti e in quelli delle altre persone. Delle cose come stanno, perché sai che stanno diversamente.”
Bessie si era spostata verso la finestra, come per cercare la presenza confortante di Bitorzolo nel buio che sembrava contagiare pian piano la stanza.
“C’entra lei?”
“Anche.”
“Dovresti dirglielo.”
“...La ferirei.”
“Senti ragazzina, non conosco te e non conosco la situazione, ma mi sembra chiaro che questo l’hai già fatto. Anche se fossi tanto rimbambito da non essermene accorto, mi basterebbe guardare nei tuoi occhi per capirlo. Tu non sei abituata a ferire le persone, vero? Non a volerlo fare. Ma sei troppo onesta per mentire a te stessa su ciò che hai fatto ora.”
“Io... ferirei tutti.”
Forster nel tentativo di rispondere prontamente aveva tossito, non riuscendo a parlare per qualche minuto. Bessie gli aveva porto un bicchiere d’acqua, grazie al quale si era un po’ calmato. Aveva poi provato a scendere dal letto, ma l’alzarsi gli aveva procurato un secondo attacco, ancora più micidiale del primo. Gli ci era voluto del tempo per riaversi, ormai faticava anche nel pronunciare le parole slegate l’una dall’altra. Lo stesso respiro a volte somigliava ad una specie di rantolo.
“La prossima volta che mi guardi, ragazzina, non chiedermi perché non voglio più vivere” aveva commentato con una luce straordinariamente cupa negli occhi mentre con la mano cercava di premere lì dove si trovavano i polmoni. Bessie gli aveva stretto l’altra, non sapendo che dire.
“E’ tua amica” aveva ripreso poi. “Se non riesci a darle il tuo amore, non merita almeno la tua onestà?”



153.
“Non dovresti stare qui.”
Bessie, dal terrazzo ventoso nel quale si trovava, si era voltata a guardare Silente come se la sua presenza lì fosse stata perfettamente naturale. “E così... dove ci si aspetta che io stia?”
Lui ci aveva pensato. “Questo non ha semplicemente a che fare con l’ospedale, vero?”
Lei l’aveva guardato tristemente. “Ho ferito una persona. Continuerò a ferirne.”
Silente si era sporto a sua volta dal grande terrazzo, mentre l’aria gli scompigliava i lunghi capelli sotto il berretto da mago; solo la barba, stranamente, restava pressoché ferma al suo posto. Bessie lo guardava, e più gli studiava la schiena appoggiata alla ringhiera più doveva resistere all’istinto di abbracciarlo, di sentirsi rassicurata dal suo contatto.
Ti stai pentendo di avermi dato fiducia?
Continuerai a tremare, sapendomi là fuori?
Silente non rispondeva, lasciandola alle prese con se stessa. Si limitava ad esserci.
E come sempre, sai limitarti maledettamente bene!, si era riscoperta a pensare lei. Non sapeva perché. In fondo non aveva fatto nulla, ma lei si sentiva infinitamente grata della sua presenza lì.
“Il signor Forster, il mio compagno di stanza... dice che gli piaccio perché, a differenza delle altre persone, non voglio aiutarlo.”
“Sembra un tipo in gamba” aveva replicato lui con tranquillità.
“Ma io” aveva continuato Bessie, avvicinandoglisi un po’ sgomenta “l’ho sempre fatto, è quello che sono... Senza questo... non ho più niente.”
“Sei spaventata, Elizabeth?”
“Se ti dico la verità opporrai resistenza al mio voler partecipare?”
“Se mentirai pensi che potrò non scoprirlo?”
Bessie aveva sospirato.
“Il coraggio nasce dalla paura, Elizabeth. Ti fa bene averne. Limita l’incoscienza.”
Istintivamente lei gli si era affiancata, cercando cogli occhi il punto che lui doveva aver fissato fino a quel momento. Desiderava davvero aggrapparsi al suo braccio, ma qualcosa nel loro rapporto le aveva sempre impedito di farlo. Voleva bene a Silente come ad un padre, ma lo rispettava profondamente. Non avrebbe saputo andare oltre a questo.
Eppure, quando aveva parlato, Silente aveva saputo avvolgerla in un caldo abbraccio senza nemmeno sfiorarla.
“C’è una storia che ho incontrato nel mondo dei babbani, non so se tu la conosca... la protagonista è una bambina un po’ speciale, il suo nome è Anna, o qualcosa di simile. Lei... rende felici le persone.”
“Una sorta di potere magico?”
“Se vogliamo chiamarlo così” aveva sorriso lui. “Ma non serve una scuola di magia per imparare ad usarlo. Lei semplicemente riusciva a prestare il suo sorriso senza nemmeno rendersene conto. Aveva un gioco, il gioco della felicità lo chiamava, che insegnava alla gente. Funzionava perché non ci pensava. Non voleva davvero aiutare qualcuno, era semplicemente lei.”
Bessie lo guardava, attendendo ed intascandosi ogni parola, ogni virgola, ogni inflessione di voce.
“Ti conosco abbastanza. Tu non vuoi aiutare, tu aiuti. È per questo che funziona”




* * *




“Devo andare. Si sta facendo tardi. E si sta facendo freddo… per un povero vecchio come me.”
“D’accordo.”
“Tornerai nella tua stanza?”
“Fra un momento, te lo prometto.”
“Va bene allora. Ci vediamo domani.” Silente si era avviato verso l’interno dell’edificio, appoggiandosi un po’ faticosamente al suo bastone. Bessie gli aveva intravisto sotto la manica la mano ferita, nera.
“Albus... non sentirti in colpa.”
Il vecchio si era fermato a quelle parole, voltandosi a guardarla con degli occhi assolutamente indecifrabili, che sembravano raccoglierla e poi andare più in là, molto più in là.
“Non è stata colpa tua. James, Lily. Sirius. Quello che sto passando io. Il fatto che crediamo in te non è colpa tua.”
“Vedrò di ricordarmelo, signorina. Ti ringrazio” E, con grande sgomento di Bessie, le era sembrato che lui l’avesse pensato sinceramente.
“Tu ci hai salvati. Il fatto che siano morti non gli ha impedito di essere salvati da te.”
“Elizabeth... hai così paura di una mia debolezza?”
Lei aveva scosso il capo. “Non è per me.”
“No? E allora perché?”
Bessie aveva continuato a guardarlo: non gli aveva risposto. Dopo un po’ il mago era tornato a voltarsi sorridendo, per poi scomparire oltre l’uscio.
“Perché ti voglio bene”, aveva sussurrato lei.



154.
“E così te ne vai” aveva osservato il vecchio Forster mentre Bessie ficcava le sue cose nella borsa.
“Sì, tra poco passeranno a prendermi.”
“Salutiamoci adesso, allora. Così non sembrerà uno di quegli addii strappalacrime e senza senso.”
Lei l’aveva studiato per un momento, poi aveva sorriso e gli si era avvicinata.
“No eh, niente abbracci. Senti ragazzina... lo so che non sei una ragazzina: ti si vede dagli occhi. Però continua a non cercare mai scuse, d’accordo?”
“D’accordo.”
“Bene. Solo… cerca di capire in tempo.”
“Voglio smettere di capire. Voglio esserci.”
“Attenta, sa essere un alibi anche questo. Ho sentito quello che ti diceva quell’uomo che chiamavi zio... penso che una volta ci riuscissi.”
“Già, penso di sì.”
“E così ora non sai più avere i tuoi significati da sola soltanto perché hai cambiato uomo da amare?”
“Io non...” era arrossita “ho cambiato uomo da amare.”
“No? allora si vede che è ancora lo stesso.”
“Niente è lo stesso. È cambiato tutto. Ma c’è... ancora lui.”
“In qualche modo.”
“In qualche modo.”
“Forse dovrebbe lasciarti andare.”
“Perché, lei che vuole morire, mi spinge a vivere signore? È solo una mera questione di età?”
Lui aveva sistemato delle pieghe invisibili sul suo lenzuolo. “E’ questione di poter ancora dare qualcosa. Tu puoi... farlo.”
“Io non... non lo so...”
“Sì invece! Lo sai! Tu puoi! Devi!” aveva quasi urlato le ultime parole, con una luce disperata negli occhi. Bessie gli si era fatta vicino, preoccupata, e lui le aveva afferrato una mano prendendola tra le sue.
“Tu puoi... aiutarmi...” aveva mormorato con tono sofocato, ma gli occhi sempre straordinariamente penetranti. Bessie si era ritirata spaventata nel momento in cui aveva compreso cosa quegli occhi le stessero domandando.
“Io non... non posso!”
“Ti sto implorando, ragazza! Aiutami!”
“Mi... mi dispiace signor Forster” aveva replicato lei con un filo di voce mentre abbassava lo sguardo. Lui allora le aveva lasciato andare la mano.
“Sta bene”, aveva detto soltanto. E quelle erano state le ultime parole che si erano scambiati prima che lei uscisse dall’ospedale.





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Capitolo 57
*** Hogwarts, 57 ***


Un capitolo scritto in fretta... vogliate perdonarmi, ma temevo che se non avessi finito questo nno sarei più riuscita ad andare avanti, e ad essere sincera in questi giorni non avevo né l'ispirazione né il tempo per finirlo (Miky ne sa qualcosa ^__^"). Non mi convince molto, a dire la verità... così mi riservo di modificarlo più avanti, in base al vostro giudizio; sappiatemi dire in tante, eh?

Hogwarts, 57.

155.

Bessie aveva allungato le gambe verso il fuoco, dalla comoda poltrona nella quale si trovava; la sera faceva ancora abbastanza freddo, così aveva approfittato della sala stranamente semivuota per andare ad occupare proprio il sedile di fronte al caminetto. In ogni caso sembrava che gli altri facessero a gara per lasciarla stare dove preferiva, come se temessero di vederla frantumarsi in mille pezzi davani ai loro occhi.

Metà preoccupati, metà timorosi di avvicinarsi a lei come a qualcosa di strano.

“Com’è sommamente stupido!”, aveva pensato lei innervosendosi. Per distrarsi si era immersa a fissare il fuoco, e ad un certo punto le era anche sembrato di vedere qualcosa, come un guizzo simile ad un volto.

Quante volte aveva usato il fuoco per comunicare... con Tonks e Lily durante l’estate, e con Meg, quand’era a scuola... proprio da quello stesso caminetto! Una volta Gazza l’aveva anche sorpesa piombando su di lei in piena notte, ma quando aveva visto che si trattava di Meg aveva lasciato correre; Bessie aveva sempre sospettato che Gazza avesse un debole per lei.

Meg, dove sei?

Le sarebbe piaciuto parlarle. Guardarla. Chiederle consiglio.

Ridere con lei, come la volta in cui erano capitate a casa di Sirius e c’erano lui e Tonks ipnotizzati davanti al televisore, pieni di confezioni di cibo cinese e crackers e birre ai lati, fermi lì da chissà quanto come due vecchi ubriaconi.

“E adesso si può sapere perché diamine state guardando un film in giapponese con i sottotitoli in turco?!” aveva domandato lei con disperazione di fronte al loro sguardo fisso, come se davvero avessero cercato di seguirlo prima di arrendersi nel totale nulla. Tonks aveva grugnito.

“Non riesco a trovare il telecomando”, era stata la risposta.

Era stato strano vederli così amici, quel giorno. C’erano stati ogni volta dei modi un po’ strani per tutti loro di legare l’uno con l’altro... anche se erano sempre arrivati. Beh, Peter sembrava non apprezzarle in ogni caso; forse temeva più degli altri che delle ragazze potessero distogliere Sirius e James dal loro gruppo, perché più degli altri ne aveva bisogno. Nel bene e nel male, non aveva altro.

Il fuoco scoppiettava allegramente, ignaro dei pensieri che le affollavano la testa sovrapponendosi l’uno all’altro quando non trovavano spazio. Bessie aveva sospirato stiracchiandosi.

* * *

Lily era disperata, doveva lavorare con Sirius per un progetto da consegnare entro due settimane... di tutti quelli che le potevano capitare, proprio Sirius! Da quando aveva iniziato a vedere James non aveva fatto che trovare nuovi buoni motivi per non riuscire a sopportarlo, e per cercare di convincere Bessie a lasciarlo perdere. Bessie con Sirius... brr, il solo pensiero le provocava terrore.

A proposito di Bessie, aveva pensato al sorteggio per cui l’amica avrebbe dovuto lavorare proprio con James. Il mondo era ingiusto.

* * *

Bessie ricordava bene, bene come se fossero accaduti soltanto poche ore prima, gli schiamazzi che ne erano seguiti. Sirius e Lily non facevano che discutere e litigare su ogni minimo particolare. Ogni volta lei e James dovevano intervenire per separarli, per farli ragionare. Alcune volte era Sirius a stuzzicarla fino a farla scoppiare, altre invece era lei a tormentarlo fino allo sfinimento per le sue presunte colpe, mentre Sirius per amor di pace evitava di replicare. In realtà erano uno spasso, e molte volte sia lei sia James avevano avuto la tentazione di rimanere semplicemente lì a godersi lo spettacolo.

Quella collaborazione forzata, tuttavia, era stata la molla che aveva fatto scattare una possibilità di amicizia, che poi era andata crescendo col tempo: ma tutto era nato proprio da lì. Da un bisticcio.

Lily era furibonda perché Sirius aveva scordato di assolvere un compito riguardante il loro progetto scolastico ed era forse troppo tardi per rimediare. Sirius allora aveva proposto di recarsi lui stesso in un tale negozio con la moto, e lei gli aveva strillato dietro se era impazzito a voler rischiare di farsi scoprire. Erano andati avanti così per un po’ finché Sirius aveva annunciato che ci sarebbe andato lo stesso, e Lily gli aveva domandato se davvero credeva che lei l’avrebbe lasciato andarci da solo, a combinare qualche altro pasticcio!

Aveva strillato tutto il tempo.

Durante il viaggio, cioè. Sirius correva come un pazzo e lei gli chiedeva perché avesse tutta questa fretta di eliminarla prima che venisse la sua ora... quand’erano scesi Lily aveva i capelli scarmigliati come se avesse dovuto lottare con uno Spinato per tre giorni, e l’aveva colpito così tante volte sulle spalle che ad un certo punto si era dovuta sedere.

Sirius rideva, e l’aveva fatta talmente arrabbiare che durante il ritorno lei aveva lasciato la presa sui suoi fianchi, decisa a scendere in qualche modo. Era stato il qualche a fare la differenza, però, dal momento che tutto quell’agitarsi l’aveva portata a far sbilanciare la moto ed avevano rischiato seriamente un brutto incidente... Sirius aveva dovuto sterzare di colpo, facendo da contrappeso con il proprio corpo; la sterzata però li avrebbe portati dritti nelle fauci di un altro mezzo che veniva in senso opposto se con straordinaria prontezza di riflessi lui non si fosse buttato oltre la strada, lasciando che la moto si graffiasse tutta la fiancata perché cadesse in modo che fosse lui stesso ad attutire la caduta con il proprio corpo, impedendo così che lei si ferisse. Fortunatamente era davvero bravo a guidare la moto.

Si erano fermati in una nuvola di polvere, tossendo come dannati e cercando di farsi strada in mezzo alla terra sollevata. Lily si era alzata spaventata, controllando subito che Sirius non si fosse fatto male; lui, però, aveva già visto che lei stava bene, e senza dire una parola aveva rialzato la moto con un colpo di reni. Era salito in groppa, attendendo che lei facesse altrettanto. Sembrava arrabbiato.

“Non ti sei... fatto male?” aveva provato timidamente Lily. Lui le aveva porto la mano, che lei aveva afferrato per aiutarsi a salire. Mentre ripartiva per tornare verso Hogwarts lei si teneva un po’ staccata, quasi timorosa, sapendo di aver combinato un guaio forse per nulla. Sirius teneva a quella moto come si poteva tenere a una sorella.

Era stato allora che lui, afferrandole con decisione le mani, se le era portate attorno alla vita in modo che lo stringesse bene. Lily aveva sorriso, affondando il volto nella schiena e nel collo di Sirius, che profumava di dopobarba.

“Scusami, Sirius. Lo so che posso fidarmi di te” aveva sussurrato mentre i capelli del ragazzo le solleticavano il volto e lui rallentava per tornare a scuola.

Fortunatamente lei a James non avevano di questi problemi. Qualche litigio, qualche urlataccia, nulla di particolarmente catastrofico da quando avevano smesso di snobbarsi; anzi, avevano legato abbastanza bene: lui la trattava come una sorta di sorellina minore, proteggendola a tutti i costi anche quando non c’era nulla da cui proteggerla. In realtà Bessie era molto felice di quell’opportunità: trovava James immensamente più simpatico quando non c’era Lily di mezzo a renderlo un pesce bollito con la sua sola presenza... forse poteva capire il dispiacere di Sirius per quella storia, dopotutto. Povero ragazzo!

“Moderati, Lovelace, se sogni così forte sveglierai tutti quanti con il battito del tuo cuoricino innamorato!”

“Come?”

“Ti sta uscendo la scritta Sirius sulla fronte, Bessie!” aveva ghignato James passandole l’indice sulle rughe causate dalla perplessità. Bessie era arrossita, spostandogli bruscamente la mano.

Si era tastata la fronte per sicurezza; per controllare.

Lui però aveva tentato per tutto il tempo di scoprire cosa provasse lei per Sirius, continuando ad insinuare che lui in realtà le piacesse. E come si divertiva, quell’uomo malvagio!

Ritiro tutto. Dovrò ucciderlo.

Mi spiace, Lily.

Aveva insistito e insistito, e un giorno aveva scovato chissà come un biglietto che si erano scritte lei e Tonks quella mattina durante una lezione: avendo notato di sfuggita la parola Sirius aveva subito tentato di leggerlo per saperne di più, mentre Bessie essendosene accorta faceva di tutto per impedirglielo.

Era finita che lui aveva tentato di scappare con il bigliettino in mano e lei si era lanciata a volo d’angelo dal divano, piombandogli in testa come una scimmietta abbarbicata; il pericoloso spostamento di peso li aveva sbilanciati entrambi, facendoli oscillare per qualche ottimistico secondo prima che ruzzolassero giù dalle scale con gran fracasso.

In quell’esatto momento erano rientrati Sirius e Lily.

“E poi eravamo Sirius ed io quelli che rischiavano di farsi male!” aveva borbottato Lily riempendo l’amica di bende e cerotti senza molta grazia mentre Tonks se la rideva a più non posso.

156.

A pensarci bene quando James ed io eravamo insieme si finiva sempre con qualcosa di molto ridicolo e molto bisognoso di cerotti!

Bessie ridacchiava tra sé quando l’avevano raggiunta Harry, Ron ed Hermione.

“Ehi, qui si festeggia?”

“Ciao ragazzi! Finalmente arriva qualcuno… questa stanza sembrava un mortorio!”

“In effetti... sapete cosa?” aveva aggiunto Ron. “Bisognerebbe davvero festeggiare il tuo ritorno, Bes!” aveva esclamato, evidentemente sollevato dal poterla chiamare per nome. Non era davvero il suo forte dover costantemente prestare attenzione alla finzione, ed Hermione lo sapeva; per questo aveva sorriso con indulgenza in sua direzione.

“Oh, ho una voglia di cioccolato da far schifo, sapete! Dovremmo proprio combinare qualcosa una sera di queste!”

“Allora è deciso!” aveva concluso Harry andandosi a sedere sul suo bracciolo. “Domani sera si festeggia? Solo noi quattro?”

“Beh, c’è anche Ginny...”

“Hai ragione Hermione! Noi cinque!”

“Uhm, Harry... tu credi che Neville... ci rimarrà male?”

“Forse dovremmo chiamare anche lui.”

“A questo punto forse potremmo organizzarci con tutta la Casa” aveva riflettuto Hermione, pratica, mentre succhiava l’estremità di un bastonicino di liquirizia.

“Sentite ragazzi, non è per fare la guastafeste...” aveva iniziato Bessie, incerta. “Ma forse non tutti sono felici di avermi intorno, adesso che sanno... voglio dire...”

“Scherzi?!” l’aveva prontamente interrotta Ron. “Non hanno fatto altro che chiederci di te tutto il tempo! Sei diventata una specie di eroina!”

“Davvero, Bessie” l’aveva rassicurata Harry con dolcezza “non devi preoccuparti.”

Lei aveva sorriso. “Mi affido a voi, allora!”

Hermione, però, la stava scrutando con attenzione. “Bessie, c’è qualche problema per caso?”

“Come?”

“Voglio dire... hai avuto qualche problema con gli altri ragazzi?”

Bessie aveva pregato di non arrossire. “No, oh no, tranquilla! Niente di niente!” aveva ribadito enfatizzando l’assicurazione con un braccio. E subito dopo, per stornare il discorso: “Ma voi non avevate quel compito terribile per domani...?”

“Quello di Piton, accidenti!” si era battuta un palmo sulla fronte Hermione.

“Dobbiamo già andare?” aveva piagnucolato Ron.

“Certo! Guarda che questo è un anno importante, sai!” l’aveva bacchettato l’amica.

“Forse dovrei farli anch’io” aveva sospirato Bessie. “Ho un sacco di roba da recuperare.”

“Come se ne avessi bisogno!” l’aveva canzonata Harry.

“Guarda che la mia memoria va sempre a salti, signorino...”

“Sì, però sei comunque avvantaggiata rispetto agli altri” aveva osservato Hermione, alzandosi in piedi di scatto. “Arriverai molto più preparata agli esami, e poi c’è da dire che hai già fatto un sacco di esperienza, caspita!” Aveva sospirato a sua volta. “Oh, vorrei anch’io poter lavorare su una base così solida! Ti invidio sai Bessie, perché-”

Una gomitata di Harry l’aveva bloccata improvvisamente, prima che andasse ancora più in là; rendendosi conto della stupidaggine che aveva appena pronunciato si era coperta la bocca con le mani, lasciandosi scappare solo un flebile “Oh!” ad occhi sbarrati. I ragazzi guardavano Bessie e si guardavano tra di loro, smarriti. Erano rimasti in silenzio.

Poi, finalmente, Bessie era scoppiata a ridere, sciogliendo istantaneamente ogni traccia di tensione; rideva di cuore, con le mani a tenersi la pancia, e fortunatamente gli altri avevano finito per l’imitarla –Ron per primo- cogliendo la comicità di quel momento.

“Oh, Hermione!” aveva esclamato quasi senza fiato dal ridere “Sei favolosa!!!”

Quando se n’erano andati Harry si era attardato mezzo secondo di più. L’aveva guardata negli occhi mentre le stringeva il braccio per salutarla; Bessie aveva sorriso.

“Buonasera” l’aveva salutata Ginny sedendosi al suo fianco poco dopo. “Come stai?”

“Non c’è male, grazie” aveva replicato lei annuendo mentre guardava la danza del fuoco. Le luci erano basse, e tutto intorno aveva acquistato una sfumatura rossastra, molto calda. Bessie aveva pensato che, per quanto fosse la più piccola del gruppo, davvero non riusciva a pensare di essere in grado di mentire a Ginny. Molto probabilmente risaliva tutto alla sua straordinaria somiglianza con Lily, una somiglianza di colori, di carattere, di fuoco negli occhi e nei modi.

Però in effetti in quel momento, lì con lei, si sentiva assolutamente serena. Come se fosse nel posto e nel momento cui apparteneva di più. Come se si trovasse a Hogwarts con Lily.

“Sei stata spesso sola ultimamente”, aveva osservato lei.

“Non ti preoccupare”, le aveva risposto rilassata. Dopo poco, però, aveva preso a sghignazzare. “Mi sarebbe piaciuto da matti essere a scuola con Fred e George!”

“Non invidiarmi... ci sarebbe stato da perderci la testa, te lo garantisco!” aveva annunciato lei scuotendo la testa con aria sconsolata.

“Anche per chi ha trascorso metà della sua vita con i Malandrini?” l’aveva guardata di sottecchi, furbescamente. Ginny era rimasta interdetta per mezzo secondo.

“...Oh, già; non ci avevo pensato, scusami. Allora mi sa che tu abbia fatto un ottimo allenamento!”

“Vero?” aveva riso lei.

Erano rimaste in silenzio pe qualche istante, entrambe intente a seguire cogli occhi i movimenti eleganti delle fiamme che guizzavano davanti a loro.

“Mi fa tanto piacere per te ed Harry”, aveva poi osservato Bessie con pacatezza.

Ginny aveva sorriso con la stessa pacatezza continuando a fissare il fuoco, senza arrossire, e Bessie aveva pensato che era cresciuta.

Era davvero tempo che lo facessi anch’io.

Quando era tornata a guardare la compagna di silenzi, alcuni minuti più tardi, Bessie si era accorta che si era addormentata. Aveva provato una strana sensazione di trovarsi di fronte al suo passato ed al suo presente, a qualcosa di molto forte ma ancora terribilmente fragile, da proteggere. Si era alzata per coprirla, poi era rimasta ad osservarla pensando che non voleva le succedesse niente di male. Niente!

Aveva stretto i pugni senza rendersene conto.

* * *

Una volta Remus le aveva disegnato un ritratto. Tonks l’aveva trovato ed era corsa a mostrarglielo con estrema soddisfazione per quella prodezza, con la stessa faccia che avrebbero potuto avere Sirius o James quando... quando... beh, un milione di volte.

Bessie l’aveva rimirato felice, quasi commossa, e l’aveva ringraziato con tanto ardore che Lupin, già arrossito dal primo momento, aveva fissato il pavimento sotto i suoi piedi con l’evidente desiderio di vederlo aprirsi per inghiottirlo. Le aveva sorriso con le labbra tutte storte e contratte, il caro vecchio Remus tremendamente intimidito da quel tipo di situazioni! Bessie l’aveva ringraziato dal cuore, e lui aveva sorriso.

Poi però non aveva più rivolto la parola a Tonks per tre settimane.

“Lo sai che è così... lui tiene alla sua privacy!” aveva spiegato lei pazientemente all’amica che si era resa resposabile del misfatto.

“Lui tiene a te!” aveva replicato Tonks, sgranocchiando una patatina.

* * *

“Lo sai, vero, che per quanto tu continui a guardarla in quel modo non le spunterà un bel paio di alucce bianche! Non c’è speranza!”

“Severus!” aveva esclamato Bessie in direzione dell’uomo che l’aveva sorpresa mentre ancora rimirava la ragazzina di fronte a sé. “Da quanto sei qui?”

“Abbastanza perché tu faccia di tutto per non guardarmi in viso, suppongo” aveva replicato lui stancamente. Bessie l’aveva fissato apertamente, senza schermi, con aria di sfida.

“Oh, va bene. Non hai paura dei tuoi sentimenti. Allora abbastanza perché io finga di non notare il tuo viso, ok?” aveva riprovato con flemma.

“Tu... sei fantastico, Severus!” aveva ridacchiato la ragazza.

“La recente assenza ti ha messa di buonumore? Mi fa piacere per te.”

“Intendo dire che mi piaci perché non t’importa, quando sei con una persona, chi sia o cosa faccia...”

“Ti piaccio per la mia indifferenza. Capisco.”

“Non si tratta di questo. Per quanto tu lo sappia mascherare bene, io vedo solo giustizia.”

“Mi fai apparire migliore di quanto non sia, Elizabeth. È un altro dei tuoi bisogni?”

“Nah”, aveva commentato lei con un cenno della mano.

“Non mi piace che tu abbia compassione per me” aveva allora replicato lui con freddezza, mettendosi sulla difensiva mentre il fuoco gli si rifletteva sinistro sul viso, creando dei paurosi giochi di ombre.

“Non ne ho avuta per un vecchio morente in ospedale, perché dovrei averne per te?” aveva obiettato lei.

“E’ quello che mi domando anch’io.”

Bessie era rimasta in silenzio per un momento, guardando ancora Ginny. “Puoi renderti odioso in tutti i modi che preferisci, Severus, ma non puoi impedirti di piacere a qualcuno... se quel qualcuno è abbastanza masochista!” aveva riso.

“Oh beh, per la quantità mi sa che ci siamo, con te. Si vede perché scegli sempre chi non è destinato a vivere a lungo.”

Il silenzio, questa volta, era stato prolungato.

Poi Bessie aveva sospirato.

“Lo so che ti sei sentito meglio quando Harry è arrivato in questa scuola, Severus” aveva sussurrato. “Tu non hai mai voluto, con tutto l’odio che provavi per lui, che James morisse. Lui era il tuo rivale; volevi solo continuare a combatterlo.”

Lui era stato svelto a cambiare discorso.

"Elizabeth, da quando sei tornata dal San Mungo non ti ho più vista insieme alla tua amica o sbaglio?" Lo sguardo era perforante come sempre, forse anche per riprendersi dall’ultima osservazione di lei, e Bessie non aveva potuto fare a meno di arrossire lievemente, pregando che la luce rossastra del fuoco riuscisse a mascherarlo.

“Qui c’è troppa gente che mi osserva.”

“Era un sì?”

"Beh, lei non... vuole più parlarmi."

"Prego?" il tono gli era uscito ancora più glaciale del solito.

"Dice che le ho mentito per tutto questo tempo, che non è un comportamento da amica, e probabilmente nei suoi confronti non lo sono mai stata. Beh, come darle torto!" Si era stretta nelle spalle, fingendo noncuranza, ma Piton era scattto prima che lei avesse il tempo di fermarlo. Con la prontezza che Bessie era abituata a scovare solo nei romanzi, Kim stava passando di lì per recarsi ai dormitori, e Piton l’aveva afferrata per il bavero.

“Ehi, che succede?” si era spaventata lei.

“Severus, ti prego, lascia correre...”

"Razza di mocciosa” aveva iniziato lui, sordo sia alle proteste che alle preghiere “ma tu hai idea di cosa significhi quello che ti hanno raccontato? Ne hai una vaga, vaghissima idea?”

“Ma di cosa... sta parlando, prof?”

“Ti sei mai chiesta... non credi che tornare dopo tredici anni per riprendere in mano la tua vita ma trovare tutti morti o lontani, così lontani che non hai idea di come fare a riavvicinarti a loro, che la tua vita non c'è più e non sai nemmeno quale sia... non credi che qualcuno come minimo non abbia voglia di pensarci?" L'aveva strattonata per il bavero mentre la ragazza lo fissava atterrita. Bessie era intervenuta di nuovo.

"Severus, ti prego... non serve."

Piton l'aveva lasciata andare, fissandola sempre in modo glaciale. "Secondo te cosa si prova ad essere pronti comunque a rimettere in gioco tutto, a dover riaffrontare tutto, e poi quando ritrovi l'unica persona importante per te... perderla di nuovo, vederla morire davanti a te?"

"Severus..." nella voce di Bessie ora c'era una nota di pianto, implorante.

"Non credi, sciocca ragazza, che avesse voglia di essere amica di qualcuno per ciò che era, non per la storia che si portava alle spalle, sulle spalle? Non credi" aveva sottolineato, furioso "che se tu fossi stata un'amica le avresti dato un minimo di sostegno?!"

Kim era rimasta a fissarlo senza osare muoversi o rispondere, quando lui le aveva voltato le spalle.

“Con questa siamo pari”, aveva spiegato bruscamente, con un modo così distorto di scusarsi che a Bessie era quasi scappato da ridere. “Adesso pensa a smettere di evitare Lupin!”

Se n'era andato piantandole lì, irato quasi si fosse trattato di un affronto personale.

"Isa... Elizabeth, io..."

"Non importa, Kim. Non importa."

Bessie, rabbuiata, se n'era andata a sua volta.

157.

Una della tante volte in cui lei e Sirius avevano litigato, una delle prime fra l’altro, lei aveva finito con l’uscire con Tonks per distrarsi: avevano bevuto un po’, lei per ripicca aveva mandato un piccione molto affettuoso a Lupin, un piccione evidentemente troppo affettuoso dal momento che quando Sirius l’aveva letto era andato su tutte le furie.

Lupin intanto era andato a cercarla per parlarle, lei vedendolo si era probabilmente resa conto di quello che aveva fatto ed era tremendamente arrossita, si era confusa e cercando di allontanarsi era inciampata, così che Lupin aveva dovuto afferrarla perché nno cadesse; per la più classica delle situazioni Sirius li aveva sorpresi proprio in quella posizione, fraintendendola completamente.

Avevano litigato di nuovo di brutto, finché Bessie, esasperata, aveva finito per strillare: “Oh santo cielo, vorrei proprio sapere perché quel giorno sulla rupe mi sono lasciata convincere!”

Lui l’aveva fissata stringendo le palpebre, le pupille ridotte a due capocchie di spillo. “A questo punto puoi pure cambiare idea!”, aveva replicato freddamente. “Quanto pensi mi ci voglia per trovarne un’altra non così difficile e drammatica e impicciona?”

Era stata la prima volta che lui la feriva davvero; ancora non sapeva che quello era lui, era così tremendamente lui che non avrebbe mai potuto lasciarlo da solo con se stesso... così non aveva più voluto vederlo.

“Sei proprio un coglione!” l’aveva insultato James, dandogli un pugno sulla testa. “Come cavolo hai fatto a pensare male di Lunatico e Bessie, eh Sirius?”

Non gli aveva dato tregua finché l’aveva convinto a rimediare in qualche modo; la situazione, però, non era delle più semplici. Sirius l’aveva pedinata lungo tutti i corridoi per tre giorni, per convincerla a guardarlo. Si era arrampicato all’esterno della mura di Hogwarts mentre diluviava, rischiando una ventina di volte di spezzarsi l’osso del collo e piombando nella sua stanza zuppo come un pulcino, con la faccia e le ginocchia piene di graffi e di sbucciature. Quando lei si era chiusa nel bagno delle ragazze per sfuggirgli lui si era accampato dall’altro lato della porta a tempestarla di pugni finché non era sopraggiunta Lily a cacciarlo fuori a pedate, con gran divertimento delle ragazze che avevano assistito a tutta la scena, ed anche qualche romantico sospiro di chi l’aveva trovato tremendamente eroico a rischiare la vita per lei.

“Dai Bessie, è stato come in un film! Perché non lo perdoni?”

“Zitte, voi!” aveva gracchiato Lily.

Sirius le aveva provate tutte. Un giorno si era introdotto in cucina ed aveva scritto “I’m sorry” su tutti i biscotti che sapeva lei avrebbe preso per colazione. Bessie era rimasta basita a fissarli.

“E’ una specie di magia o qualcosa del genere?” aveva domandato.

“Oh sì” aveva ridacchiato James, “qualcosa del genere. Li ha cucinati lui.”

“Ok, l’hai fatta piangere, cretino!” l’aveva rimproverato Lily un istante dopo.

Dal momento che l’espediente non aveva funzionato ma aveva comunque provocato una reazione, Sirius aveva provato a scrivere la stessa frase su qualunque cosa; alla fine era stato messo in castigo perché sorpreso troppe volte nelle cucine.

Allora aveva iniziato a lanciarle dei bigliettini durante le lezioni... ed era stato messo in castigo quando la McGrannitt l’aveva sorpreso in un lancio particolarmente acrobatico.

L’estremo tentativo era stato il ricominciare a pedinarla... finendo con il cadere nel laghetto in una giornata particolarmente fredda; il problema, però, era che nella caduta si era impigliato in qualcosa di strano conenuto negli abissi di quello specchio d’acqua, così quando Bessie si era resa conto dell’effettiva gravità della sitazione si era dovuta buttare in acqua a sua volta per salvarlo.

Avevano raggiunto la riva tossendo a più non posso, fradici ed infreddoliti, coperti di fango dalla testa ai piedi per via della melma che si era venuta a formare tutt’intorno.

“Elizabeth... dammi una possibilità” aveva detto lui tra un colpo di tosse ed un tremito.

“No.”

“...No? Ho fatto tutto questo…” aveva protestato lui, incredulo, allargando le braccia “E... e...”

“Già. Hai fatto anche troppo.”

“Purtroppo amarla non significa conoscerla” l’aveva ammonito Silente più tardi, mentre gli dava una strigliata per il guaio combinato e lo metteva in castigo. “Però tu vuoi conoscerla, no? Ed è da lì che devi partire. Non meravigliarti, Sirius... non meravigliarti mai che qualcuno sia differente da te.”

“Io.. credo che forse dovrei arrendermi. Non c’è verso..” aveva borbottato amaramente il ragazzo, scuotendo la testa ed allagando mezza stanza con gli zampilli che aveva provocato.

“Tu che ti arrendi? Davvero?”

“Io...”

“C’è sempre un modo, Sirius. Devi solo trovarlo.”

Quando Lupin l’aveva raggiunto, poco più tardi, l’aveva trovato immerso in quelli che sembravano pensieri molto profondi.

“Che succede?”

Sirius aveva alzato la testa verso di lui: “Che ne dici di un collana di biscotti con scritto Sorry?”

Lupin non aveva aspettato nemmeno un istante per colpirlo alla testa come aveva fatto James.

* * *

“Puoi venire con me?”

Sirius le stava davanti... con uno sguardo diverso, questa volta. Non tentava di bloccarla o di convincerla, non sembrava né arrabbiato né insistente, la guardava serio ma con dolcezza, come pronto a farsi da parte in caso di bisogno.

“Puoi venire con me?”, aveva chiesto. “Solo questa volta... mi ascolterai una volta e poi mai più, se sarà quello che vorrai.”

Erano finiti sulla rupe, quella in cui lei si era fidata di lui per la prima volta. Quella in cui lui l’aveva guardata così seriamente e le aveva chiesto di fidarsi di lui, e si erano baciati ed era cominciato tutto. Erano finiti sulla rupe del loro primo bacio.

“Come...?” aveva domandato lei, guardando spaventata il vuoto sotto di loro. “Non è possibile! Come diavolo hai fatto a portarci qui?” aveva gridato per cercare di superare il rumore del vento.

“Non gradisci l’ambientazione? Va bene allora” aveva commentato tranquillamente lui mutandola con un tocco in una distesa di bellissimi fiori. Era solo un gioco, una magia o qualcosa del genere. Bessie aveva respirato. Un attimo dopo Sirius aveva mutato di nuovo l’ambiente, circondandoli di stelle come in un planisfero notturno.

“Oh”, aveva commentato lei, meravigliata. “E’... bellissimo!” aveva insistito fissando le stelle a bocca aperta, totalmente dimentica del perché si trovassero lì. Se n’era ricordata vedendo con la coda dell’occhio che lui la stava guardando senza toglierle gli occhi di dosso, allora era tornata composta, soltanto un po’ imbarazzata.

“Oppure nulla”, aveva allora annunciato lui togliendo qualsiasi ambientazione posticcia. “A dire la verità, non ho fatto tutto questo per te.”

“No?”

“No. L’ho fatto per me, perché sono egoista e voglio che tu stia con me, perché è di te che ho bisogno. Così in realtà tutto questo daffare e non ho nemmeno un regalo per te... buffo, uh? Le altre volte era troppo e adesso nulla. C’è solo... questo” aveva terminato indicandosi. “ Ci sono solo io.”

* * *

“C’è sempre un modo!” aveva esclamato Bessie illuminandosi improvvisamente. “Aveva ragione Silente... adesso so cosa devo fare!”

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Capitolo 58
*** Hogwarts, 58 ***


Hogwarts, 58.



158.
Bessie aveva sentito un brivido di freddo, rientrando al San Mungo. Si era abbracciata le spalle per provare un minimo di sicurezza; forse avrebbe dovuto chiedere a Tonks di accompagnarla.
Già... Tonks. Che sciocca: non si erano ancora rappacificate da quel giorno, proprio lì, in quel luogo!
Ma non doveva distrarsi; non ancora. Forse dopotutto era meglio che lei andasse lì da sola, si sarebbe concentrata meglio.
“C’è un modo in cui posso aiutarlo”, si era ripetuta. “C’è il mio modo!”



* * *



Era entrata nella stanza che aveva occupato fino a pochissimo tempo prima frugando negli angoli con lo sguardo, appena un po’ tesa. Forster era lì che la squadava, colmo di sorpresa.
Bessie aveva cercato di sorridergli, amichevole e rassicurante.
“Sono venuta a farle visita”, aveva annunciato.
“Perché?”
“Perché” aveva replicato con semplicità, stringendosi nelle spalle “lei mi ha insegnato qualcosa.”
In un attimo il vecchio aveva preso a ridere e piangere, e non si capiva quale delle due cose facesse maggiormente, in ogni caso questa volta nessun colpo di tosse era impietosamente sopraggiunto ad interromperlo. Aveva sporto le braccia verso di lei e allora Bessie si era chinata, ma lui non aveva potuto raggiungerla lo stesso perché gli eano mancate le forze e per questo aveva afferrato la pietra che le pendeva dal collo, baciandola.
Bessie stava notando che le sembrava che avesse istantaneamente assunto una sfumatura più scura quando i tremiti del vecchio si erano fatti più insistenti: sembrava che faticasse a respirare.
“Signor Forster!”, aveva provato a chiamarlo. “Signor Forster!!!”
Era sopraggiunta Mrs Mallow e con lei una grande quantità di medici e di infermieri che gridavano istruzioni strane e portavano attrezzi che emettevano suoni acuti, e poi qualcuno l’aveva spinta fuori in tutta fretta mentre cercava di capire cosa stesse succedendo. Aveva ancora davanti agli occhi l’immagine di quell’uomo che rideva e piangeva e le baciava la pietra che portava al collo perché non aveva più nemmeno il fiato per ringraziarla.

Aveva davanti agli occhi l’immagine della gratitudine di quel vecchio alla sua unica alunna, l’unica che era tornata a trovarlo per ringraziarlo di averle insegnato qualcosa.

Era stato dopo un po’ di tempo che Mrs Mallow era uscita: Bessie non avrebbe saputo dire quanto... forse erano stati pochi minuti che a lei erano sembrato ore, oppure si trovava in quel corridoio da un giorno intero ma i pensieri erano corsi così veloci che le sembrava che la data non fosse mai cambiata. Mrs Mallow, però, era uscita, e dal suo sguardo mesto aveva capito tutto.
“Se n’è andato”, aveva sussurrato prima ancora che la donna glielo annunciasse.
L’altra aveva annuito con un sospiro. “Forse è stato meglio così.”
A Bessie, stranamente, era venuto da sorridere. “E così ce l’hai fatta!”, aveva commentato con un lampo di furbizia negli occhi.
“Credo... credo che tu l’abbia reso felice”, aveva accennato l’altra, e allora Bessie l’aveva salutata con un cenno e si era allontanata, prima che la commozione prendesse il posto di quel sorriso e l’infermiera vedesse la tristezza gonfiarle il petto.



159.
Voleva tornare a casa, ma d’improvviso si era ritrovata nel reparto maternità chissà come, percorrendo chissà quali strade.
“Devo aver sbagliato”, aveva mormorato fra sé. Poi aveva visto una ragazza ed aveva capito che non era così.
La ragazza era minuta, con dei lunghi capelli scuri, e portava addosso una vestaglia turchese ed un’aria indefinibilmente felice. In braccio teneva un bambino molto piccolo, presumibilmente appena nato, con dei capelli già scurissimi e dei pugnetti perfetti, che stringeva convulsamente. Erano tondi, aveva pensato Bessie, e soffici. Le ragazza li guardava come se tenesse in mano la cosa più preziosa ed incredibile che esistesse sulla faccia della terra.

Una volta ho sognato di avere un bambino.
Credo sia stato poco dopo la nascita di Harry; era piccolo ed aveva i capelli nerissimi e dei pugnetti tondi e perfetti, così morbidi che veniva voglia di morderli con delicatezza, solo per sentirli tuoi.
In realtà non era un bambino, era una bambina bella come una piccola stella. Adesso avrebbe i capelli lunghi e correrebbe verso di me con un sorriso fiducioso che hanno solo i bambini fino ad una certa età, ed io la prenderei in braccio e la farei roteare con me, stringendola forte. Nel sogno scrivevo delle poesie per lei, delle storie, delle canzoni, solo perché non si spaventasse. Le raccontavo che il tuono era la voce del tempo, che annunciava a tutti che lei era nata e che quella era stata la prima volta che il mondo aveva sentito un tuono come quello. Che il tuono è solo la voce del cielo che racconta agli uomini quando un bambino nasce, ed è una notizia così bella che deve gridarlo forte perchè tutti lo sentano. Le avevo anche confidato che lei era una bambina talmente bella che in realtà, tra una nascita e l’altra, qualche volta il cielo parlava anche solo per raccontare a tutti che lei stava bene e cresceva nell’amore. Perché tutti si erano affezionati a lei e volevano sapere come stava.
A volte mi chiedeva perché non riuscisse a capirlo. Le rispondevo che bisogna imparare a capirlo, che ci vuole tanto tempo e tanta vita, e che il tuono non raccontava queste cose a quelli che le sapevano già, quindi quando lei lo sentiva era per raccontare di altri bambini dall’altra parte della terra.
Le cantavo che le stelle erano la prima risata di un bambino che era stata così bella che, anziché cadere giù, era caduta verso l’altro e si era frantumata nel cielo. Che i cespugli sono alberi accovacciati, che qualche volta le piante ed i fiori cantano, se sono proprio felici, ma per non farsi scoprire da noi cantano con voci di pettirosso, oppure di qualche altro animale.
Sembrava un angelo.

E così Forster se n’era andato.
Bessie si era di nuovo avvolta nel cappottino troppo leggero per la stagione, era rimasta a guardare quella ragazza dai lunghi capelli castani con il suo incredibile tesoro. Li aveva raggiunti un ragazzo molto bello, con i capelli neri e lunghi fino alle spalle, sempre un po’ selvaggi; l’aveva abbracciata dalle spalle, portando con sé un biberon pieno, evidentemente, di latte materno.
Prima di darlo al piccolo l’aveva assaggiato scherzosamente versandosene una goccia sul polso, e la ragazza l’aveva colpito con delicatezza mentre lui rideva e la stringeva più forte, facendo di quei due i suoi amatissimi prigionieri.
Bessie li guardava e sorrideva e pensava a Forster, al suo sogno, al suo passato e al futuro che ci sarebbe dovuto essere, e mentre sorrideva due grosse lacrime le riscaldavano il viso scendendo lentamente ad incorniciare tutti quei sentimenti lasciati liberi di esistere; per un attimo, il bimbo aveva smesso di piangere, come rimanendo in ascolto.

Sirius, non sarebbe dovuta andare così. Vorrei che fossi sopravvissuto. Vorrei averti salvato la vita.

E un attimo dopo, tra le lacrime ed i vagiti e tutto quell’amore, Remus era lì, il suo caro, gentile Remus, Remus caldo e presente era lì, era accanto a lei in quello stesso ospedale, di fronte a quella stessa scena e la stava stringendo con tutte le sue forze. La stringeva forte eppure sempre con una certa dolcezza, come una promessa di non farle mai del male. Bessie aveva sorriso di nuovo, lasciando che quelle braccia la cullassero verso la tranquillità.


Voglio solo dire... l’ho fatto, sai? Da quella notte, ogni notte.
Ad ogni minuto, ad ogni istante, ogni volta che ho rivisto quel momento... io ti ho salvato, Sirius.

Kim la stava fissando, fissava l’albero di Hogwarts su cui Bessie si trovava, fantasticando o ricordando chissà quali momenti. Aveva il viso rivolto verso un punto lontano, così lontano che lei non poteva nemmeno provare ad immaginarlo. Si era mossa di un passo verso quell’albero, obbedendo a chissà quale impulso. Poi era tornata indietro.








She looks as if expecting a surprise
Maybe an encounter that will change her life
Not knowing hot from cold or good for bad
If life is just a joke or if it makes her sad

Crazy love is all around me
Love is crazy love is kind
But I know somehow you'll find me
Love is crazy love is blind

Crazy Love – Marianne Faithful




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Capitolo 59
*** Extra - Un sogno, un bacio, un lupo, 59. ***


Ringrazio chi mi segue sempre e da sempre, come Mixky e Manny, ringrazio chi lo fa anche silenziosamente perché, anche se mi piacerebbe ricevere qualche commentino in più, fa sempre piacere ed è sempre una bella sorpresa andare a vedere il numero di pagine lette... un giorno di questi mi prenderò la briga di contare tutte le pageviews, così, tanto per sentirmi bene! :D
Ringrazio un sacco anche Lady of Lorien, che si è appena aggiunta (e a cui ritornerò il favore al più presto ^__*).
Questo è un capitolo importante, si va a grandi passi verso la fine ormai e da quando l'ho creato nella mia testa non vedevo l'ora di leggerlo qui... sono molti mesi ormai, e spero solo che sia all'altezza delle mie e vostre aspettative. Attenzione però: anche se è fondamentale può non essere proprio come sembra... rcordatevi che le mie situazioni sono spesso sul filo, mai definite completamente, e così i sentimenti che vengono espressi...
Aspetto commenti, eh? ^_^




Extra - Un sogno, un bacio, un lupo, 59.



159. The dark side of the moon.

Forse dovrei camminare per schiarirmi le idee, mi sento la testa pesante. Ma è una cosa da uomo, e stanotte non posso.
È come se guardassi il mondo passarmi davanti agli occhi mentre io me ne sto disteso ed immobile, senz’altra scelta da percorrere. Ci sono la strada e la notte, ma io le vedo solo di lontano. Non posso correre. Chissà come stai, Eliza, cosa stai facendo: sei preoccupata, questa notte senza di me? Sei sollevata, non avendomi intorno?
Potrei bussare a questa porta tutta la notte, senza avere risposta.
Potrei bussare a questa porta tutta la notte, solo per avere qualcuno da stringere.
Ricordo bene la prima volta che ti ho vista - la testa a fare capolino da una porta; ricordo anche la prima volta che ti ho vista piangere, come una specie di grosso pugno nel petto. È come se da quei momenti per me fosse iniziata una feroce rincorsa. Una dolce, feroce rincorsa.
Ricordo come correvi per le scale come una bambina, e James temeva sempre per la tua incolumità ma non voleva fartelo vedere, allora si limitava a seguirti con lo sguardo ansioso e stringeva forte i pugni, e Lily gli dava un buffetto pieno d’amore sulla nuca. Ricordo quando baciavi Sirius senza che nient’altro intorno avesse più significato, e non importava che avessi i capelli bagnati o che vi trovaste entrambi sotto la pioggia.
Ricordo, soprattutto, come mi salutavi: quel tuo modo di venirmi incontro che poteva raddrizzare una giornata e portarla più in alto.
Tutto quello che abbiamo perso mi torna addosso, e colpisce, colpisce ancora senza che io possa trovare delle ragioni, o anche soltanto un modo per reagire... e mi vergogno di me stesso, Eliza, perché stanotte tra le mani non ho altro che un guaito, o un ringhio più forte degli altri. Che Dio mi perdoni, perché stanotte vorrei gettare la vita che lui mi ha donato e restare lupo per scordare tutto il resto, perché non troverò mai nulla che possa sostituirlo. Che tu mi perdoni.
Che Dio mi perdoni, perché io non posso perdonarlo.

Cerca di sanguinare di nascosto, Remus Lupin. Sembra più vecchio.
Ancora una volta, si sente colpevole.
A sort of poison.
Cerca di sanguinare in un modo per cui nessuno possa vederlo, perché nessuno lo racconti. Lo nasconde dietro un’espressione gentile, ché il vento non si accorga di quel proiettile conficcato nella spalla - quel proiettile come una scatola di ricordi.
E non è un eroe con un proiettile, è solo un lupo.
È solo quasi un lupo.
Sono stato in questo posto così tante volte, e non mi è mai sembrato tanto vuoto.

Eliza, tu mi tieni ancorato al mio essere un uomo.
Ho sempre saputo di dover essere qualcosa per te, non mi è mai importato davvero di tutto il dolore, di quello che poteva succedermi, finché sapevo che saresti stata mia amica. Che saresti stata al mio fianco fino alla fine.
Se impazzisco, continuerai a vedermi come il tuo eroe?
Sono sempre stato per te quello forte, il tuo cuore di bambina ha avuto una fiducia incrollabile nel mio tenderti la mano in tutti questi anni, e anche se un giorno starò troppo male per rimanere in piedi, piccola, manterrò le mie promesse verso di te; anche quelle che non ti ho fatto.
Custodirò i tuoi segreti, puoi sentirti sicura perché non ti lascerò andare. Tutte le volte in cui ti ho salvato dallo sbattere la testa... lo farò ancora.
Ad ogni costo.
Scusami se ti disturbo, piccola, scusa se mi approfitto di te. Rigiro una tua vecchia foto tra le mani, cercando di non lasciare il passo alla paura. Tu mi mantieni umano.
Spero ci sia qualcuno. Mi sono sempre dovuto nascondere, ci sarà qualcuno fuori per prendersi cura di me? I fantasmi mi riempiono l’orizzonte quando vado a dormire, come posso addormentarmi, riposare i pensieri? Sono terrorizzato da ciò che sono, a metà tra il lupo e l’uomo – non voglio che sia così!
Ridammi la mia testa, non sono stato bravo? Quando sarà abbastanza?
Dovrà fermarsi, prima o poi. Dovrà acquietarsi giù.
Mentre arriva, penso che ho lasciato il cuscino fra le braccia di certi ricordi. Perché tutto questo? Qual è lo scopo di tanto dolore?
Non sono invincibile. Ho sognato che il lupo uccideva la Gioia... e non posso dormire, se tutto in me piange.
È come se avessi sempre guardato il mondo passarmi davanti agli occhi, perché per me è il lato sbagliato della luna.



160. Full Moon.

Rimarrò quieto nel mio angolo; resterò solo, perché è così che deve essere.
Fuori i rumori della vita - ma li riconoscerò ancora per poco: il lupo mi ruberà gli occhi ed i pensieri, come ogni volta resterò lì a pensare che non può succedere, non è possibile che stia succedendo!
Ti chiamerei da qui, ma sembra che sia passato talmente tanto tempo! È come se l’ultima volta che ti ho visto tu avessi avuto le guance più rosa e gli occhi più giovani, come se fossimo stati tutti quanti, e quel “noi” fosse stato tutto ciò che ognuno possedeva. Mi sento tanto più vecchio ormai, potrò mai sorriderti ancora senza sentirmi sporco?

Fuori i rumori della vita - ma io ne sono estraneo. Devo nascondermi, non posso allungare la mano per chiedere qualcosa.

Fermo nell’angolo in cui si trova, lancia verso la porta uno sguardo che proviene dal fondo della sua anima, mentre guarda la notte che si fa largo dalla finestra.
Il buio collassa su se stesso, la luna piena mi raggiunge di nuovo.
In ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, lei è qui per me.
Insana come una sofferenza senza nome.
Lupin si accuccia, riparandosi il volto con le braccia come faceva da bambino quando qualcosa lo spaventava. Mugola terrorizzato, mentre il lupo allunga le distanze tra lui ed il mondo.
“Padre, stringimi tra le tue braccia forti, aiutami” piange l’uomo.
Come quand’era bambino, l’immagine di sua madre si affaccia a consolarlo. Un bacio. Don’t cry my baby, don’t cry sussurra, mantenendolo legato ad un filo di speranza.

Prega, Remus. il tuo momento di gloria non è altro che un baratro.
Questa volta sono solo, loro non arriveranno, non c’è più nessuno.
Dovrei correre via da qui, forse nella foresta sarei salvo.
Ma è da te stesso che stai scappando, e in nessun luogo potresti sentirti al sicuro; ancora una volta la luna sta per splendere nel cielo.
Non uccidermi, mugola l’uomo come se non avesse più difese. “Ti prego, non uccidermi.” Don’t murder me.
Devo correre via, mettere tutti in salvo.
Prova a dormire Remus, perché non puoi più nasconderti.



161. Hide & seek.

Qualcuno è alla porta, qualcuno che alla mia vita ha sempre domandato troppo.
Come può tutto questo essere così sbagliato?
Bussano ancora. Allora l’amore non finisce con le mie trasformazioni, allora è così? Come con James e Sirius, è davvero così? Lei non sta scappando.
Lupin prova ad alzarsi in piedi; ricade pesantemente a terra come una bestia ferita, e già nel suo sforzo guaisce anziché urlare. Vorrebbe raggiungerla, ma sa che non può.
Non deve aprire quella porta. La sente armeggiare dal di fuori, ma quella porta deve rimanere chiusa.

Run away, run away, run away.

Vattene, Eliza. Vattene via da qui. Non puoi chiedermi questo. Sai che c’è quella luna in cielo, tra poco non sarò più uomo – anche se tu non vuoi che vada così.
Remus riprova ad alzarsi, e ancora una volta cade. Il dolore gli penetra fin nelle ossa, come una spada che lo trapassi da parte a parte. È impossibile da sopportare.
Vattene, Eliza. Vattene via.
Vorrebbe urlare, e le sue fauci si spalancano, ringhiando disperatamente. Dolore. Non sento più le mani. I pensieri si annebbiano, già vede il buio con occhi diversi. Lei è lì, lo sa, lo sente dall’odore.
Non puoi stare qui. Tutte queste bugie non stanno bene addosso a te. Quando ti sveglierai dai tuoi sogni, cos’avrò io da darti?
Piccola Eliza, aspetterò per sempre che qualcuno possa stringerti abbastanza stretta. Siamo rimasti soli ad aggrapparci l’uno all’altra, ma il mio cuore è una casa dove nessuno può dormire, come posso portarti con me?
Poi, di nuovo, il dolore. E l’ululato sale al cielo, monito all’incoscienza dei mortali.






Fuori i rumori non smettono, febbrili come un raspare.
Lasciatemi solo, lasciatemi nella stamberga. Non voglio...
Vattene, Eliza.
Un’altra voce, altri passi. Piton l’afferra per le spalle, lei prova a divincolarsi, piange. “Lasciami andare”, lo supplica.
Dentro, Remus ringhia. Non capisce il linguaggio umano, non sa cosa stia succedendo ma forse qualcuno sta facendo del male alla ragazza.
Piton si frappone tra lei e la porta, le impedisce di raggiungerlo mentre cerca di calmarla.
“Lasciami andare Severus, ha bisogno di me!”
“Ti ucciderà!”
“Per favore...” mugola lei senza più forze, e piange. Remus si lancia contro la porta. Con tutte le sue forze prova a distruggerla, guaendo per il dolore.
Bessie piange ancora, lo sente: “Si sta ammazzando!”
“Lui sa quello che deve fare.”
Ancora una volta, un’altra volta Remus si lancia come se dovesse con quella stessa forza abbattere il mondo; non sa bene perché, ma c’è qualcosa che deve fare a costo della sua stessa vita. Urta contro un’asse piena di chiodi, allora prova a raspare la porta con le unghie in un ultimo, disperato tentativo.
Bessie si ribella, vuole disperatamente vederlo, parlargli. Ma non può aiutarlo, non può aiutarlo in nessun modo. Piton la trascina via, e Remus ricade a terra tra la polvere, i calcinacci ed il suo stesso sangue.



* * *



“L’hanno fatto apposta?! L’hanno fatto apposta?! Cioè, fin dall’inizio avevano programmato... Bellatrix, lei...” Sirius boccheggia di fronte ad un’inaspettata rivelazione, cerca di aggrapparsi al tavolo che ha davanti per mantenere un punto di riferimento solido nella stanza.
“Per essere precisi all’inizio volevano colpire te” spiega Moody preservando il sangue freddo. “Ritenevano che tu fossi l’obiettivo più dimostrativo, un Black che passa dalla parte sbagliata e viene punito per questo; poi però hanno pensato che con Bessie avrebbero colpito te di sicuro, ed anche un po’ tutti gli altri. Un Emagus è altrettanto spettacolare, ed un duro colpo per la fisionomia del gruppo di cui fa parte.”
Sirius si passa una mano sul volto, improvvisamente appare più vecchio di quanto non fosse pochi minuti prima; più segnato, anche, da una nuova consapevolezza che gl’imperla la fronte. “Come... lo sapete?” mormora poi, le poche forze rimastegli testardamente rivolte alla verità.
“Uno di loro... ha parlato prima di morire.”



Lupin trova Sirius solo nella sua stanza, al buio. È seduto sul letto, la testa disperatamente tra le mani. Gli si avvicina istintivamente, e rimane al suo fianco per un po’ senza parlare, solo cercando di trasmettergli sostegno con il calore del suo corpo. È Sirius il primo a rompere quello strano, confortevole silenzio.
“Eravamo appena tornati insieme... dopo tutti i casini...”
Lupin imposta la voce in modo che risulti il più calma e convincente possibile: “Si risolverà bene, vedrai.”
Sirius scuote la testa. “Non attacca, Moony... le ho sempre creato problemi.”
“...E questo non ha mai messo in discussione nemmeno per un attimo il fatto di amarvi.”
Sirius si alza, va verso il balcone da cui filtra il minimo spiraglio di luce che è loro concesso. Lupin pensa che devono vivere così, nascosti nell’ombra... ma in fondo a lui va bene; ha passato tutta la vita a nascondersi, il buio è più congeniale ad un lupo mannaro.
Sirius parla di nuovo, la voce sembra provenire da un pianeta lontano: “Quando ci siamo lasciati... lei mi guardava con due occhi, come se il suo mondo stesse crollando.”
“E’ sempre stata così”, sorride Lupin. “Perché lei ti dà tutto, tutto quello che ha, e allora rimane un vuoto intorno che devi essere tu a riempire.”
“Le ho detto che mi sarei comunque preso cura di lei, ma...” la voce si spezza. “Lei ha risposto... Tu, Sirius, non sai prenderti cura proprio di nessuno! Ha detto... nemmeno di te stesso.”
E rimangono in silenzio.



Moody è al centro della stanza, si guarda intorno con una serietà consapevole. “Allora ragazzi” spiega “ho parlato con Silente, abbiamo un piano: qualcuno entrerà nel palazzo di Louis Fahn, ci serve un’esca... e Tonks è d’accordo.”
Lily si volta verso Tonks con un’aria terrorizzata che non le si addice e che spaventa a morte il suo compagno molto più di una qualsiasi, terribile minaccia; l’amica prova a mostrarsi disinvolta, evitando di guardarla negli occhi.
“Fingerò di essere cieca dalla rabbia, di volermi vendicare da sola per quanto hanno fatto a Betsy. Non che serva fingere molto.”
“Voi non dovrete destare sospetti” continua Moody, fermo. “Uscirete presto, prima di lei, poi da quando partirà rimarrete in contatto costante da ogni lato, pronti ad intervenire immediatamente. Tonks, questa è la disposizione delle guardie nel palazzo, tieni la mappa. James, Lily, voi due uscirete fingendo di avere da fare in quanto coppia, Sirius verrà con me, Remus con Kingsley; più tardi ci raggiungeranno i Prewett.”
Tutti annuiscono, solo Sirius rimane in silenzio, pensieroso. “Perché?” domanda poi.
Moody lo squadra con calma. “Cosa mi stai chiedendo?”
“...Lo stiamo facendo” continua. “È un uomo solo, perché tutto questo?”
“Possiamo ottenere... informazioni.”
“Di che genere?”
“Tutto a suo tempo, Black” lo ferma secco. James però interviene a difesa dell’amico.
“Io credo che non sia giusto nasconderglielo.”
“Nascondermelo?” ripete Sirius, incerto.
Taci, Potter.”
“Nascondermi cosa, Malocchio?” Sirius è livido, e Moody guardandolo comprende che non può più evitargli la verità.
“Lui... è stato il braccio destro di Bellatrix per la questione di Bessie. È lui che le ha suggerito la possibilità di... prendere lei.”
Sirius rimane immobile per qualche istante, soggetto ai movimenti dell’aria. Non parla, fissa Moody come ghiacciato da quella rivelazione. Poi esce senza dire una parola, e Lupin gli va dietro.
“Dove vai, Sirius?”
“Non sono affari tuoi!”
“Non ci è permesso di uscire da soli, lo sai.”
“Chi se ne frega!!!”
Sirius!!!”
Sirius si volta verso Lily che ha appena urlato, poi senza degnarla di attenzione guarda Lupin con un dolore sordo che gli batte contro i timpani. “Dovevamo anche non avere segreti tra i membri dell’Ordine, no?”
Lupin annaspa. “Sirius, reagire così non servirà a nulla!”
“Servirà a me, d’accordo?!”
“Non fare l’idiota” interviene Lily.
“Non ficcare il naso, ragazzina!”
“Credi d’intimidirmi, Sirius?” si avvicina lei, i capelli rossi a fluttuare nell’aria. “Credi che si adatti bene alla tua parte di uomo schiacciato? Perché se è così non vorrei davvero interferire!”
“Che è esattamente quello che stai facendo” borbotta lui. Lupin si tiene prudentemente indietro.
“Senti Sirius, credevo avessi superato il periodo della pubertà. Dovresti.
“A sentirti parlare, sembra quasi che per te non significhi nulla. Che vuoi, Evans?” risponde sgarbato lui, desideroso di andarsene.
“Voglio che non usi Bessie per sentirti come hai bisogno di sentirti” lo ghiaccia lei.
“Che cosa? Ma tu... che diavolo ne sai, eh ragazzina?”
Lei rimane muta a fissarlo in segno di sfida.
“Sei la sua migliore amica. Non fare la psicologa, non hai nulla a che vedere con me.”
Senza più badarle torna ad avviarsi a grandi passi verso l’uscita; Lupin prova a tenergli dietro, ora che è doppiamente furioso per via delle provocazioni di Lily.
James li raggiunge, è in cima alla tromba delle scale e li guarda rimanendo lì sopra. “Ma bene!” urla a Sirius. “Bravo! Vai così, fai pure l’eroe o il disperato o il solitario! Ti sta riuscendo particolarmente bene, specie nel prendertela con le ragazze!” aggiunge con una fugace occhiata in direzione di Lily. Sirius sbuffa. “Sappi però che questo non aiuterà in alcun modo Bessie! Quindi tu fai quello che vuoi, Sirius, esci pure a farti ammazzare se ti va, soffri disperatamente, ma io domani andrò in quel palazzo a prendere Louis Fahn per gli orecchi e a spaccargli la faccia finché non canterà, perché voglio bene a quella ragazza, e per lei farei qualunque cosa potesse rivelarsi utile!!!”
Sirius rimane zitto, non ha alzato gli occhi per tutto il tempo. È rimasto fermo. James lo fissa ancora dall’alto delle scale mentre nessuno osa muoversi. “Sei il mio migliore amico, Sirius, ma certe volte sei proprio una testa di cazzo!” E se ne va, piantandolo lì.



È notte, Sirius attende il giorno dopo perché dovrà partecipare all’operazione Louis Fahn. Tra poche ore sarà l’alba.
Vorrebbe andare al San Mungo, Sirius, vedere il viso di Elizabeth, chiederle se è quello che vuole; se questo è il meglio per lei. Ma non può, gli è proibito, non possono far capire a loro che lei è lì.
Quella frase di Elizabeth gli rimbomba ancora negli orecchi come un martello, forse è vero che lui non è in grado di prendersi cura di qualcuno, di scegliere per il suo bene, in fondo l’ha sempre pensato. Era James quello che gli gridava di non fare lo stupido quando lo vedeva preda di quel concetto.
Cammina, raggiunge la porta e poi torna indietro, non sa stare fermo. Non riesce ad aspettare. Alla fine stringe i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, in un attimo si smaterializza dalla stanza e ricompare ai bordi di un enorme ghiacciaio immerso nel gelo della notte.
Conosce bene quel posto... quante altre volte c’è stato? Per suo padre, per la sua famiglia, quante volte? Cammina attento, la minima vibrazione può far crollare tutto; rimane in silenzio, nemmeno il respiro può permettersi di rendersi riconoscibile. Deve raggiungere il centro del lago: ci sono metri di ghiaccio, qui, un uomo si sfracellerebbe volendo scagliarsi contro di esso, eppure basterebbe un suono, un fischio sommesso, per mandarlo in frantumi.
Quando raggiunge il centro si ferma e si guarda intorno, cerca l’orizzonte finché la vista ci arriva.
Che stai aspettando, Sirius Black? Non arriverà Elizabeth d’improvviso, anche se continui a cercare non la vedrai.
Allora urla, urla con quanto fiato, con quanta rabbia il suo corpo gli permette, un urlo che minaccia il cielo; colpisce con i pugni il punto che rappresenta esattamente il centro del ghiacciaio e in quell’istante la massa si spacca, si frantuma in miliardi di schegge e Sirius è di nuovo nella sua stanza, con le mani insanguinate e preda del suo stesso silenzio.
Lupin spalanca la porta concitato: "Sirius, dove diavolo eri? Ti stavamo cercando!"
Sirius lo fissa, provando a capire. Lupin gli restituisce lo sguardo, serio. "E’ ora."

Quando raggiungono gli altri Lily lo guarda preoccupata. "Sirius, cos’hai fatto alle mani?"
"Niente", risponde lui senza guardarla. Prova ad essere brusco. Lei, però, gli si avvicina.
"Aspetta", mormora prendendogliele delicatamente fra le sue. Chiude gli occhi per concentrarsi, curandogli le ferite con dolcezza infinita.
"Allora, siamo pronti?" interviene Moody. "Per primi i Potter."
Sirius raggiunge Lupin alla finestra. "Remus, tra poco ci sarà la luna piena."
"Lo so."
"Abbiamo poco tempo."
"Lo so."
"Tu... sei il più coraggioso di tutti noi, Remus Lupin."
Lui lo guarda, non dice nulla.
"...E per questo ti toccheranno sempre i pesi più grandi."
"Lily, James, andate" intima Moody con una specie di sibilo roco.
Lily si avvicina a Tonks con cautela, lei la guarda e sorride; l’assicura che andrà tutto bene, poi si abbracciano. Esce insieme al marito, e Lupin guardandoli andare non riesce a fare a meno di pensare che l’oscurità ha inghiottito anche loro.

Lupin è immerso nel buio, prova ad orientarsi mentre sussurra: "Kingsley... dove sei, maledizione!" Crede di essersi perso, ma non osa muoversi troppo per non farsi scoprire... si trova in un’ala vuota del palazzo, o almeno così sembra; cammina mantenendo la schiena curva, si muove con cautela, annusando l’aria... buffo, si sente Sirius. È lui il vero animale del gruppo, e deve imparare certi istinti da Sirius.
Quanto altro darai alla mia vita?
Poi lo raggiungono dei rumori come di lotta, una donna grida da qualche parte poco lontano.
Lily, pensa Lupin. Corre verso la direzione da cui proviene la voce, Lily è in una stanza cieca e sembra ferita, ma sta tenendo testa a due Mangiamorte egregiamente. Lupin le si affianca nel tentativo, le chiede dove sia James nella furia della lotta.
"E’ andato di là!" riesce a urlare lei, indicando uno stretto corridoio. "Ha visto Louis Fahn!"
Quando finalmente riescono ad atterrare i due Mangiamorte Lupin e Lily si affrettano verso il corridoio, percorrendolo a testa bassa; s’inoltrano in un cunicolo strettissimo, devono procedere sulle ginocchia, strisciando con i gomiti su uno strano fango appiccicoso.
"Speriamo bene..." commenta lei non senza apprensione nei riguardi di quella sostanza. Lupin prova a ridere.
"In caso, morirei con una bella ragazza!"
"In caso" sorride Lily nel buio "morirei con un amico."
Lui rimane in silenzio. Respira forte. "Dobbiamo prenderlo, Remus" ringhia lei. Lui sente il suo tono serio come non è mai stato. È per via di Eliza, dice il suo cervello.
"Sì", le risponde.
"E dobbiamo prendere Sirius prima che riesca a mettergli le mani addosso" aggiunge preoccupata.
Finalmente il tunnel termina, si rialzano acciaccati e corrono lungo un secondo corridoio fino ad una stanza: non è vuota, i Prewett sono entrambi a terra e per un momento Lily smette di respirare inorridita, ma c’è Kingsley con loro e prova a rassicurarli: "Si riprenderanno, credo. Moody è andato da quella parte con James, dovete aiutarli!"
Lupin e Lily li raggiungono in un attimo, Louis Fahn è tra loro, lotta rabbiosamente per non farsi catturare: alla fine, però, atterrano anche i due Mangiamorte che lo aiutavano, e superandolo numericamente riescono ad accerchiarlo, sebbene feriti. Gli si avvicinano con cautela, un passo alla volta, tesi al pensiero di chi per primo spezzerà la fase di stallo.
James rompe le righe senza preavviso. Avvicinandosi a grandi passi lo colpisce ripetutamente, prima con incanti violenti e poi a mani nude, sfogandosi contro di lui, esprimendo il suo disgusto, la sua rabbia. Lo fa per Bessie, lo fa per i suoi genitori, lo fa per tutti gli amici che ha visto morire o impazzire dal dolore; lo fa anche perché sa che se ci fosse Lily al suo posto, forse non si fermerebbe.
Moody interviene per bloccarlo, esclama "Basta così!" con il suo tono secco, e lui e Lupin lo afferrano per le braccia; Fahn è a terra, respira a fatica, probabilmente ogni volta che l’aria entra nei polmoni per lui è un dolore indicibile, peggio della morte. Lupin lo guarda e sente di provare pietà per lui, però allo stesso tempo anche odio purissimo; ne è spaventato, ma non può fare a meno di gioire della sua sofferenza. Si guarda intorno: anche gli altri hanno il fiatone, come se la lotta reale che devono sostenere fosse quella con loro stessi per non cedere ad istinti bassi di vendetta. Non sei un Mangiamorte, Remus Lupin, si ammonisce. Ricordatelo.

Poi Fahn riapre gli occhi, li osserva uno per uno. Il volto è sformato dal dolore, eppure gli si dipinge addosso un sorriso come un ghigno di vittoria. Li ha colpiti, li ha quasi distrutti, ha ottenuto quello che voleva.
Non parlerà, si trova di colpo a pensare Lupin. Non ci dirà nulla.
E in quel momento sente che l’aria si modifica intorno, come uno spostamento troppo veloce, troppo rapace per essere percepito, che congela l’ambiente. Fahn è sospeso, galleggia per una frazione di secondo nel nulla, poi va a sbattere contro il muro alle sue spalle con una furia inimmaginabile; lo frantuma con l’urto del suo corpo e tra il caos il rumore delle ossa che si spezzano è sinistro da far accapponare la pelle per l’orrore.
Moody corre verso di lui per sincerarsi delle sue condizioni, ma Louis Fahn non respira più.
Allora Lupin si volta: Sirius è lì, alle loro spalle, la bacchetta ancora puntata come un’arma da cui non si vuole separare; respira a fondo, e gli occhi sono cerchiati dalla notte insonne, da tutto il suo dolore.
James gli si avventa contro, lo afferra per il bavero: "Perchè?! Sirius, perché?! Dovevamo prenderlo vivo, perché l’hai fatto?!"
Sirius respira forte, sembra che non lo veda; poi però lo guarda ed i suoi occhi terrorizzano Lupin - si ritrova a pensare che forse, se uno di loro o anche tutti quanti si fossero ritrovati nella scia del suo incanto, lui non avrebbe esitato a tirarli in mezzo per portare a termine la sua missione. Quando Sirius parla la sua voce è roca, gutturale, non è nemmeno Felpato. Come un licantropo, pensa Lupin.
"Era... ferito. Sarebbe finito in ospedale, dove c’è anche lei. Non potevo permetterlo."
James lo guarda ancora, poi però lo lascia andare; non può non capire.



I membri dell’Ordine sono tornati al quartier generale e Sirius siede in un angolo da solo, non parla con nessuno e non si muove. Guarda fisso davanti a sé, Lupin vorrebbe trovare qualcosa da dirgli ma non sa che cosa, ancora una volta si sente terribilmente fuori posto. Tonks lo raggiunge, gli propone di preparare del té e lui accetta, seguendola dall’altra parte della stanza. La guarda: ha l’aria stanca.
“Hai rischiato molto”, l’informa.
“È Bessie”, replica lei stringendosi nelle spalle. E Lupin sente che non c’è altro da dire.
Silente intanto va a sedersi accanto a Sirius, rimane lì per alcuni minuti come se non ci fosse e poi parla con voce educata e carezzevole: “Potremmo eliminarli tutti. Potremmo ucciderli uno per uno, come cercano di fare con noi, vendicarci per tutta questa sofferenza. E poi, una volta finiti, avremmo eliminato il male da questa terra? Non gli avremmo permesso di mettere radici nelle zone più profonde dei nostri cuori?” domanda. Noi non siamo Mangiamorte, Sirius. Non agiamo come loro.”
Il tono è pacato, ma Sirius sa bene quanto serio sia il mago mentre si rivolge a lui; per questo attende prima di rispondergli.
“Forse io non sono come voi...”
“Questo non è altro che un alibi” l’interrompe lui, e la sua voce ora è più severa; tuttavia è proprio in momenti come quello che Silente è più vicino, si comporta così perché non ti abbandona. Mai. A nessun costo. Sirius lo sa, e sente suo malgrado le lacrime pungergli gli occhi. Chissà cosa pensa lui, quanto soffre per via di Elizabeth.
“Io... avrei dovuto prendermi cura di lei.”
“Non è una bambina, Sirius: ha fatto le sue scelte, conscia delle conseguenze.”
Lui allora rimane in silenzio. Poi crolla, curvando le spalle sotto il peso delle responsabilità.
“Ho ucciso un uomo a sangue freddo. Sono come loro.”
“Non sei come loro, hai ceduto ad una debolezza. Ogni uomo forte deve passare per le proprie debolezze per diventarlo, ora hai toccato il fondo e devi rialzarti di lì.”
“Mi guardano tutti come un appestato, non si avvicinano neanche!”
Silente scuote la testa. “Non scappare, Sirius. Non cedere alla tentazione.”
In quel momento Lily si avvicina ai due uomini, piange in silenzio e Sirius nota chiaramente le lacrime che le rigano le guance; s’inginocchia di fronte a Sirius e lui deve stringere le palpebre per l’intensità del dolore che percepisce. Vorrebbe chiederle perdono, a lei più che a chiunque altro. Lily rimane inginocchiata, prende le mani tra le sue bagnandole di lacrime; gli bacia con delicatezza quelle stesse mani sporche di sangue, tenendole con sé.



* * *



162. Without you I’m nothing.

È mattina, e Remus Lupin ha smesso di combattere. Il sogno è finito, il lupo è morto.
Anche se il mondo lasciasse tornare la luna, anche migliaia, è finita adesso. Se bussano non dovrà più tremare.
Ma nessuno bussa, e Lupin è solo su quel pavimento di cui conosce a memoria l’odore; nudo, ferito.
Mi è caduta della polvere negli occhi. Dove sono?
Prova a spostare una gamba, una spalla. Fa male.
Questa spalla... è come se avessi cercato di sostenere il peso della terra.
Remus tossisce; ogni colpo è un affondo al suo petto.
Vorrebbe piangere. Forse fuori ci saranno migliaia di lune ad attenderlo, dovrà sempre nascondersi. Forse i suoi sogni non termineranno mai.



Bessie spalanca la porta, in un attimo occupa interamente il suo spazio visivo ed i suoi pensieri; la luce, gli odori, la mente, tutto è completamente intriso di lei. È nudo, cerca di nascondersi, di non sembrare soltanto un verme che striscia su un pavimento sconnesso e guaisce come un cane. Si rannicchia.
Vai via, pensa. Non guardarmi. Non vedermi così.
Prova a coprirsi con le mani.
Tu non vuoi che sia così.
Bessie sembra non badargli, accorre al suo fianco, lo abbraccia: lo stringe così tanto che a Remus tornano a bruciare le ferite. “Non m’importa”, mormora piano, le lacrime a bagnare il viso di lui. “Non m’importa.”
È il lupo solitario, lo leggi nei suoi occhi se appena lo guardi; nel modo in cui tiene con sé il suo cuore, per timore di offrirti qualcosa di guasto.
“Basta bugie”, intima lei con dolcezza mentre piange. “Sei tu.”
Lo vedi nel modo in cui si rinchiude in una stanza, in cui a volte sta nella veranda a respirare il buio. Da solo.
Eppure è sempre lui, lui che cerca di proteggerla ogni volta che è con lui.
I cacciatori mi stanno restituendo i ricordi.
Sei bagnata, i tuoi capelli gocciolano ed anche ogni singola ciglia - come se stillasse pietre preziose. Sei corsa fin qui sotto la pioggia? Guardati... hai il fiatone, sei zuppa. Piton ti ha lasciata andare?
Eliza, sei scarmigliata e sfinita... sei qui per me?
Non avrei voluto incontrarti in questo luogo sporco, le tende sono vecchie, le assalgono le muffe. Tutto intorno porta i segni della distruzione, di ciò che io ho provocato.
Non riuscirò mai a fermarlo, Eliza. Non puoi chiedermi di restare.
Bessie lo stringe a sé contro il suo dolore, istintivamente pone il proprio corpo fra Remus e la sua sofferenza, lo riporta alla vita; lo riporta all’uomo. Ferito, pesto, sanguinante; uomo stanco di quelle notti terribili e solitarie, notti prive di speranza. Gli accarezza i graffi, gli stringe le mani. Come con sua madre, ha chiamato ed è arrivata a lenire il suo dolore, a farlo suo.
Tu... hai sempre avuto paura della mia debolezza.
Remus, sbalordito, prova a scostarla un poco con la mano. Lei si china su di lui, gli sfiora le labbra inaridite da quella notte, ed è un bacio che Remus ha provato molte altre volte, un bacio che sa d’infanzia e di promesse; solo uno sfiorarlo veloce per non sommergerlo di sentimenti, ora che non potrebbe sopportarli. È il bacio di sua madre, ed allo stesso tempo un bacio mai provato prima. Chiude gli occhi, e un soffio di vento fa chiudere la porta alle loro spalle, più forte che se qualcuno l’avesse serrata con la chiave.
Fuori sta iniziando il giorno, e mentre a Hogwarts si dorme ancora la pioggia scende e picchia sul tetto della Stamberga; ruba i cattivi ricordi, portandosi via il lupo.







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Capitolo 60
*** Rivelazioni, 60. ***


Grazie a tutte quelle che continuano a leggermi, vedo i numeri aumentare e così mi consolo un po' per le recensioni, che sono pure diminuite.. mi chiedo come mai é__è Grazie a Miky, che mi fa da supervisiore commentando i capitoli in anteprima! :D Manny, sei ancora tra noi? o.o


Rivelazioni, 60.



163.
“Lily! Lily, svegliati!” Bessie sussurrava nel buio, dopo essere rotolata verso il materassino dell’amica. Faceva caldo dentro quella tenda, e lei non riusciva proprio ad addormentarsi. In più doveva anche andare al bagno.
Lily aveva grugnito qualcosa di poco chiaro, voltandosi dall’altra parte con aria definitiva. Bessie allora si era voltata verso Tonks, che dormiva della grossa russando come un treno. Aveva scosso il capo, abbandonando l’idea in partenza.
Quando aveva aperto con cautela la zip della tenda aveva sporto il viso fuori alla ricerca di un po’ di fresco, ma invano. L’aria sembrava immobile come acqua stagnante, e si appiccicava sulla pelle rallentando i movimenti ed i pensieri. Istintivamente, Bessie si era data un piccolo schiaffo ad un braccio, per essere sicura che non ci si trovasse l’ennesima zanzara. Di chi diavolo era stata l’idea di quel campeggio?
Ricordava l’ultima volta che era stata in campeggio.
Meg, aveva pensato volgendo lo sguardo verso il cielo come sperando di poterla vedere, e rimanendo sorpresa dall’infinità di stelle presenti. Non sarebbe mai riuscita a vederne così tante, se fosse stata in città.
Mi manchi.
Il silenzio intorno sembrava assoluto come il caldo, per questo aveva socchiuso le palpebre infinitamente grata, quando una leggerissima brezza l’aveva raggiunta, avvolgendosi attorno alle sue spalle ed accarezzandole la pelle del viso. In quel momento l’avevano raggiunta anche delle voci basse, poco distanti. Una era più grave, scontrosa, mentre l’altra di una morbidezza gentile ma roca.

“Manca poco.”
“A cosa, Moony?”
“A Moony, appunto. Sta per arrivare la luna piena, e con lei il mio lato peloso.”
Sirius si era voltato a guardarlo sopra la spalla cui aveva appoggiato il viso, dalla posizione a pancia in giù su cui stava sdraiato. “Preoccupato?”
“Come sempre.”
“Noi siamo con te, Moony.”
Lupin aveva sorriso. “Come sempre.”
Erano rimasti per un po’ in silenzio, Sirius tuffando la faccia tra i fili d’erba e starnutendo quando gli s’infilavano nel naso e Lupin provando a contare le stelle sopra di lui. Sirius si era grattato la testa.
“Pads, sei grande ormai” l’aveva canzonato l’amico, serio nel fondo del discorso. “Dovresti andarci con la tua ragazza, in vacanza.”
“Non dire cazzate, Moony. Voi sarete sempre i miei amici.”
Lupin l’aveva squadrato per un istante mentre si grattava la testa come un cucciolo imbranato, sfilandogli un filo d’erba che era andato ad incastrarsi tra i capelli e la fronte.
“Sei nostalgico, Sirius?”
“Forse.”
“Di cosa?”
Lui era rimasto in silenzio, giocherellando con quello stesso filo d’erba prima di lanciarlo lontano. “Di noi.”




* * *


“Se le cicale stanno in silenzio, cosa significa?”
Bessie si era riscossa dai ricordi che l’avevano animata fino a quel momento, socchiudendo gli occhi per meglio ritornare a focalizzare il presente. Aveva fissato Harry un po’ sorpresa per quella domanda infantile. Le sembrava di avere davanti un bambino quando inizia a domandarsi il perché delle cose, e questa specie di sovrapposizione le aveva dato una forte responsabilità. Voleva essere come suo padre, che le spiegava la vita e le scioglieva i perché inventando storie meravigliose. Lo voleva così fortemente che nel momento in cui aveva realizzato che non le veniva in mente nulla aveva provato puro terrore.
Harry continuava a guardarla con occhi limpidi pieni di fiducia, e a lei non veniva in mente nulla.
Mia madre era così. Diceva che non era importante, per lei erano tutte sciocchezze.
Non aveva mai capito, sua madre.

“Avanti Bes, datti una mossa!” l’aveva spronata Lily agitando intorno al volto la grande massa di capelli rossi come una danza del fuoco, mentre indicava Sirius Black – di cui Bessie era assolutamente cotta. “Vai lì e glielo dici. Qual è la peggior cosa che può succedere?”
“...Che lui mi senta?” aveva azzardato lei.

Bessie aveva sorriso a quel ricordo, respirando a fondo. Si era sentita più leggera, tornando a guardare Harry negli occhi, quegli occhi verdi che conosceva così bene da prima che lui nascesse.
Mentre si schiariva la voce, i pensieri e le parole l’avevano raggiunta senza difficoltà, uscendo dalle labbra come un’armonia di quelle che l’accompagnavano da sempre, a cavalcioni di una nota.
“Forse è la nostalgia. Qualcosa sta per succedere ed è brutto, e loro si sentono malinconiche per quello che non ci sarà più e per questo non hanno voglia di cantare. Capita anche a chi canta tutto il tempo.”
“Ma le cicale non pensano mai al futuro!” aveva protestato lui, arrampicandosi sul bracciolo. Bessie gli aveva dato un buffetto.
“Non dare per scontato che quello che si vede sia la parte più reale, Harry....”
“Ma...”
“Tu una volta non vedevi la magia, giusto?”
“Giusto.”
“E a volte, quando le cicale stanno in silenzio, sono gli alberi a parlare e piangere.”
“E come?” aveva domandato lui. Bessie si era alzata in piedi, accostandosi alla finestra. L’aveva spalancata con tocco agile, lasciando che una folata penetrasse nella stanza andando a sconvolgere il tranquillo crepitio del fuoco, che era apparso così molto più forte e spaventoso.
“Il vento”, aveva sussurrato.
Poco distante, Kim stava ad ascoltare in silenzio quella conversazione. Harry aveva riflettuto su quell’ultima rivelazione, soppesandola per decidere quanto dovesse prenderla per buona, quanto per una specie di oracolo sibillino e quanto per una bella favola.
“Allora sta per succedere qualcosa?” aveva chiesto infine.
“Allora le cicale pensano che stia per succedere qualcosa.”
"E che cosa c’è di diverso?”
Tutto”, l’aveva preceduta Kim. Bessie aveva sorriso tristemente, annuendo una volta con il capo. Era rimasta in silenzio e questo significava che era d’accordo con lei.



164.
Tutto. Quella parola le rimbombava nella testa come l’ultimo sorriso che Silente le aveva dedicato. Poteva un sorriso rimbombare? Bessie aveva appena scoperto di sì.
Da quando, pochi istanti prima, Harry aveva pronunciato quelle parole. Silente.
Morto.
Silente era morto.
Morto. Come poteva Silente morire? Come poteva?
Quel sorriso, e le sue parole carezzevoli, la sua presenza dolce e sicura come una torre gentile, come potevano non esistere più? Aveva dovuto affrontare a viso aperto la morte tante volte, Bessie. Ma ogni volta non riusciva ad abituarcisi anche solo un’unghia di più. Non era possibile. Come posso rassegnarmi a non vederti più? Come posso, senza graffiarmi tutta la faccia per non crederci?
Non aveva voluto crederci. Aveva sbottato contro Harry dandogli del visionario, quando lui l’aveva spiegato. Harry aveva avuto il suo bel daffare per convincere tutti i presenti che lo fissavano increduli, mentre madama Chips era scoppiata a piangere in men che non si dica; quando era stata lei a parlare, però, si era fermato, avvicinandosi con uno sguardo colmo di rabbia. Proprio lei non gli aveva creduto quando forse avrebbero potuto impedire che questo accadesse; aveva avvicinato il viso al suo e Bessie aveva notato che ormai lui la sovrastava in altezza. Si era fatto grande.
Credimi”, le aveva detto soltanto, stringendole un braccio.
E in quel momento, come un fulmine a squarciare i suoi pensieri, Bessie si era ritrovata dentro ad un grande lampo verde, un lampo cattivo e così verde, come quello che aveva investito Sirius appena prima che lui scomparisse dietro il velo; non un filo più verde, non un filo meno verde. Era lo stesso. E poi Silente era volato in alto, leggero, fragile, e vederlo a quel modo era più duro dell’accettare che fosse stato colpito.
Non c’era stato rumore. Non c’erano stati nemmeno altri respiri.
Silente si era sollevato, il suo corpo si era inarcato con grazia, come una danza; quel movimento, aveva pensato Bessie, era come il canto di Fanny. Poi era scomparso oltre le mura del castello, mentre il mondo intorno tornava a muoversi.
La scena, come in un film, era tornata su Piton. Si muoveva in fretta, ma con una strana luce fissa negli occhi. Bessie aveva deglutito per lo spavento nel ritrovarselo davanti, nel doverlo guardare in faccia e dover ammettere che era proprio quello, che aveva appena visto. Aveva trascinato via Malfoy, muovendosi con sicurezza e decisione, come se fosse perfettamente a suo agio in quel ruolo. Bessie nel guardarlo si era distratta in un pensiero stupido: non aveva mai visto Piton perfettamente a suo agio in niente.

Silente a terra, Silente con un rivolo di sangue dalla bocca, Silente ed un medaglione aperto come una bandiera bianca.
Piton che corre via, con il mantello nero svolazzante come il giorno in cui l’aveva abbracciata nella torre dei gufi.

Si era liberata da quella visione con uno strattone, obbligando Harry a lasciarle il braccio; anche lui aveva gli occhi spalancati, come se non si aspettasse di nuovo quel collegamento fra loro. Tutto quello che aveva pensato era che voleva disperatamente farle capire.
Ma Bessie non capiva, Bessie non voleva assolutamente capire. A dire la verità, in quel momento il suo cervello sembrava così completamente andato che non avrebbe nemmeno saputo dire quale fosse, la cosa che doveva capire.
Proprio mentre cercava le parole per definire i propri silenzi, tra il chiasso ed i corpi ancora a terra, Bill che veniva trascinato via ed i ragazzi, ed Harry che gridava qualcosa e Molly che gridava qualcos’altro, Remus si era accasciato su una sedia. Remus, ed il resto si era fermato. Anche Harry aveva smesso di gridare, ipnotizzato da quella vista come da un terrore aggiuntivo.
Non Remus; non lui. Non poteva cedere adesso, non poteva cedere proprio lui dopo che ce l’avevano fatta fino a quel momento. Non poteva lasciarli tutti molto più scoperti di quanto non fossero già. Harry aveva fatto un passo verso di lui, fermandosi subito dopo per una specie di pudore che gli aveva impedito di avvicinarsi. Non era abituato a considerare Lupin un uomo, non un uomo con le sue fragilità. Non c’era abituato nemmeno con Silente, e forse scoprirli entrambi nel giro di così poco tempo sarebbe stato troppo per lui.
Ci dev’essere una ragione. Non mi basterà distrarmi, non mi basterà smettere di respirare l’aria, o cambiare la mia faccia a forza di graffi. Non servirà a nulla.
Silente non c’è più. Tutto questo ormai è nelle mie ossa.

Remus, tu sei nella mia vita.
Era stata lei a sedersi al suo fianco, discreta tra gli schiamazzi dei presenti. Non l’aveva sfiorato se non con i propri sentimenti, senza ragionare, senza pensarci. Si era seduta al suo fianco, le mani raccolte in grembo come una scolara timida. Senza una ragione, solo per restargli vicina, solo per dare un sostegno a quel nodo che sentiva in gola, a quella specie di grosso buco che aveva nella testa, che le impediva di pensare.
Lupin, senza scostare la mano che ancora gli copriva il volto, l’aveva cercata con l’altra, finendo per raggiungere una delle sue e stringendogliele con tutta la forza della disperazione e dei sentimenti che provava.
Era stato in quel momento che lei aveva capito.
Aveva capito tutti quei sentimenti lasciati a spargersi intorno a loro per tanto tempo, aveva capito il senso di quel suo cercarle la mano, di quel capire che lei era lì pur senza averla vista. Di quell’esserci per tutti quegli anni, anche. Aveva davanti agli occhi il suo sguardo strano il giorno in cui l’aveva aiutata a riportare dei fogli per via degli avambracci feriti, e quello del giorno in cui l’aveva ritrovata, come sempre, alla capanna di Hagrid. Mentre, nell’angoscia, si sentiva rinfrancata da quella stretta calda e comunque ferma, mentre pensava che lui non l’avrebbe mai lasciata andare, o cadere, aveva capito Remus.

In quell’esatto istante i suoi occhi avevano incrociato quelli di Tonks, spalancati sulle loro mani intrecciate in uno sguardo svuotato di tutto. Mentre una decisa consapevolezza si faceva strada in lei a spodestare la prima, aveva sentito il terrore invaderla completamente.






All around me are familiar faces
Worn out places
Worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere
Going nowhere
Their tears are filling up their glasses
No expression
No expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow
No tomorrow
And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I’m dying
Are the best I’ve ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take

When people run in circles
It’s a very very
Mad world
Mad world

Gary Jules – Mad World




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Capitolo 61
*** Extra – San Mungo di molti anni prima, 61. ***


Questo è un capitolo che, a differenza di altri, ho deciso solo recentemente. Stavo ascoltando una canzone e d'improvviso mi sono trovata davanti questa scena in una stanza buia del San Mungo, con lui che siede su una sedia con la testa fra le mani... ho pensato che glielo dovevo.
Anche questo capitolo è stato letto e commentato in anteprima da Miky, mia insostituibile... sapevo che le sarebbe piaciuto :p in realtà ci sono particolarmente affezionata pure io... ma in ogni caso devo ringraziarla, perché mi ha lasciato uno dei commenti più belli in assoluto su questa storia! Mi piace, leggere i commenti; mi dà la sensazione che i miei pensieri abbiano davvero raggiunto qualcuno, il che ha sempre qualcosa di magico. Per questo sapere quello che lei sente mentre legge mi piace molto, e mi piace pensare come una storia abbia avvicinato in questo modo due persone che non si conoscevano prima. Miky mi consola per la scarsità di recensioni che ricevo, che devo dire la verità, mi lascia sempre un po' perplessa: perché se vado a vedere il numero di pagine lette ce ne sono sempre parecchie... allora non capisco perché nessuno abbia voglia di lasciare due righe ç__ç servirebbe anche a me per assestare la storia...
Va bene, mi sto dilungando e forse è solo perché sento che stiamo arrivando alla fine. Manca davvero poco, ormai. Grazie comunque a chi mi segue, a chi lo fa dall'inizio (manny mia! *__*), a chi lo fa da poco e me lo scrive.




Extra – San Mungo di molti anni prima, 61.



164.
Sirius entra nella stanza buia ed apparentemente vuota, guardandosi intorno come un ladro di sensi di colpa. Respira piano nella stanza, come se temesse di disturbare. Da fuori, una pallida luce non riesce ad illuminargli la faccia.

Forse è meglio così.

Tocca alcuni oggetti a caso, fa dei passi in direzioni diverse prima di avere il coraggio di avvicinarsi a lei. Il letto è una pesante sagoma nel lato sinistro, immobile come una forza spaventosa che lascia Sirius completamente impotente. Vorrebbe gridare, vorrebbe scrollarla per le spalle e trascinarla via con sé, ma sa che non dovrebbe essere lì e allora si siede in silenzio al suo fianco.

Ciao.

La guarda, Sirius, guarda le sue ciglia lunghe come rondini, i capelli sempre morbidi ad incorniciarle il viso, preda della più totale innocenza del sonno. Potrebbe ucciderla, e lei non lo saprebbe.

Scusami se piombo qui di notte. Non che per te faccia differenza.

È per lui che la fa, adesso. Si guarda intorno nervoso, e allo stesso tempo rassegnato come chi non ha più nulla da perdere. L’odore acre dell’ospedale lo colpisce agli occhi, gli sale per il naso facendolo lacrimare. Ha sempre odiato l’odore dell’ospedale, di disinfettanti e sofferenza ed infelicità. Si alza, e va a chiudere la porta. Vuole preservare quella stanza da tutto questo.
Quella stanza, lei è un’oasi di pace. Non è malattia, non è morte. È pura bellezza agli occhi dei mortali.

Volevo solo dirti... che sei sempre tu la mia nostalgia. Volevo descriverti tutto quello che hai dato alla mia vita perché so che non te ne rendi conto. La tua allegria, la tua disponibilità senza fine.
Volevo solo dirti che mi manchi.
È un po’ che non ci vediamo; mi chiedevo adesso cosa sogni tutto il tempo.


Sirius si scosta i capelli dagli occhi, quel ciuffo ribelle che da sempre accompagna il suo carattere e che lei amava tanto. Sbuffa per spostarli un altro po’.

Passano i giorni nel frattempo, e mi ritrovo a ridere all’improvviso per qualcosa che fai nei miei ricordi, per qualcosa che dici. Dimmi Elizabeth, anche tu ti senti sola?
Ci sono ancora io nei tuoi sogni?
Scusami per tutte queste domande, non è una buona giornata. Per questo sono qui, lo so che non dovrei esserci.
Forse mi troveranno.
Non m’importa se mi prendono, vorrei solo riuscire a passare questa notte con te.

Sirius si alza di nuovo, non riesce a stare fermo per troppo tempo e le ginocchia gli tremano quando si muove. Va verso la finestra, che spalanca con un colpo deciso lasciando entrare l’aria pungente della notte. Il vento gli si incolla addosso come tante punture di spilli, cerca di scuoterlo; sposta i capelli di Bessie, che le finiscono sugli occhi, e lui, amorevolmente, torna a sistemarglieli.
Ti diranno che sono un bastardo.
Ti diranno che sono stato io, Elizabeth. Gli crederai?
Un giorno, risvegliandoti, maledirai l’avermi incontrato contro il cielo?
Scusa se la sto tirando lunga, ma come posso spiegarti questa bugia? Non ne ho neppure il diritto, e allora forse è più facile che la pensi così, come tutti, perché sai, avevi ragione. Non so prendermi cura di nessuno. Non di te, piccola, che ti sei addormentata fra le mie braccia. Non di loro.
Arriverà l’alba e mi prenderanno. Scusa se sono qui, ma dovevo essere io a dirtelo.

James e Lily... loro sono morti.

Scusami.
Ti diranno che sono stato io. Per favore, credigli. Non fidarti più di me.
Dalla finestra entra un refolo di vento più freddo degli altri, gli schiaffeggia il volto dopo quelle parole.
Il vento è freddo; ne ho bisogno, questa notte, per mantenermi vivo.
Sai Elizabeth, dopo il tuo incidente ho visto Lily come non credevo di poterla vedere: mi ha spaventato. Un giorno l’ho presa con me e l’ho portata via in moto, perché pensavo ne avesse bisogno. O forse ero io ad avere bisogno di fare qualcosa per lei, non so. Come per combattere l’impotenza che mi schiacciava nei tuoi confronti dopo quanto era successo.
Ho guidato per tanto, finché non abbiamo raggiunto la neve; i fiocchi cadevano leggeri sulle nostre teste, mi sono fermato ed abbiamo allargato le braccia, spalancato le bocche guardando in su.


* * *



Lily teneva le braccia spalancate come se, più che accogliere la neve, chiedesse a quella stessa neve di abbracciarla, di accoglierla e proteggerla e darle qualcosa da stringere, perché quello che stava succedendo era troppo. Sirius la guardava.
“Non sarà mai troppo”, aveva sussurrato; Lily lo guardava.
“Non sarà mai troppo. Scoprirai in te tutta quella forza che non credi di avere, e che possiedi in misura tanto maggiore di tutti noi insieme.”
Avevano raggiunto un cottage poco distante, ed era così strano trovare della neve lì intorno dove non nevicava mai.
“Pensi che il cielo pianga a suo modo? Della pioggia in questa zona non si noterebbe poi molto”, aveva osservato Lily.
“Forse sì. Lei era sempre in sintonia con la natura, no?”
“Già.”
Era stato mentre guardavano la neve, sempre più fitta, dalla finestra, che Lily si era addormentata. Sirius era rimasto ad osservarla come si fa con un piccolo quadro, poi l’aveva coperta con cura mentre la notte scendeva.

James, solo con un fagottino in braccio, aveva pianto alcune lacrime silenziose chiedendosi cosa doveva fare. Non voleva restare solo. Aveva guardato il piccolo che stringeva, beatamente addormentato e completamente fiducioso. Quando avevano bussato alla porta nel cuore della notte, era stato con enorme sollievo che era andato ad aprire a Peter Minus.
Di tutti quelli che avrebbero dovuto essere con lui in quel momento, soltanto lui c’era. Lui, a cui non aveva nemmeno pensato. Si era sentito colmo di rancore verso Lily, Lily che chissà dov’era invece che a casa, e Sirius, e anche Remus. Non aveva mai pensato che potesse essere successo qualcosa: sapeva che non era così.
Peter aveva tossicchiato, imbarazzato per quella sua momentanea assenza, e allora James l’aveva pregato di entrare, togliendosi dalla porta per farlo passare; l’aveva invitato a mettersi comodo, squadrandolo con insospettata gratitudine. Forse avrebbe dovuto scusarsi, per averlo sempre sottovalutato così tanto.
“Sono così felice di vederti, Pete.”

Tonks aveva socchiuso gli occhi, stropicciandosi le palpebre per la prima luce che entrava a ferirla dalla finestra. Si era raggomitolata per un momento, cercando di rifiutare l’inevitabile, poi aveva disteso gli arti per renderli da subito efficienti. Accanto a lei, Lupin teneva gli occhi aperti come chi non li ha ancora chiusi.
“Non sei riuscito a dormire?” gli aveva domandato in un soffio. Lui l’aveva guardata senza rispondere, incredibilmente nervoso.

“Non posso crederci! Non posso crederci!!! Mi sono addormentata?”
“Mi spiace Lily, io non…”
“Oh, stai zitto brutto stupido! Si può sapere perché non mi hai svegliata?” aveva strillato infilandosi le calze. “Riuscirò mai a non dover stare perennemente all’erta, quando sono con te?”
Sirius aveva ritirato la mano che le porgeva, forse ferito dalle sue parole, ma Lily sembrava non avere tempo di prestargli attenzione in quel preciso momento.
“E’ una follia, una follia! Dovrei essere a casa ora, con la mia famiglia! Non in qualche strambo casolare sperduto per lo stato! Ma cosa mi è saltato in mente?”
Sirius restava seduto sul divano, i gomiti alzati sulla spalliera, guardandola rassegnato. Dopo le ultime parole aveva mormorato di sbieco un: “Forse dovresti farti un bagno, Lily. Entrare nella vasca per calmarti un po’.”
Lei si era fermata all’istante, fissandolo. “La sai una cosa?” aveva esclamato dopo un po’, puntandogli il dito contro. “Forse, di tutte le tue stramaledette iniziative delle ultime ventiquattr’ore, o anche degli ultimi ventiquattro anni, questa è l’unica con un minimo di buon senso!”
Un attimo dopo si era sonoramente chiusa la porta del bagno alle spalle, girando la chiave a doppia mandata per sicurezza. “Stupido!” era giunto dall’altra parte, mitigato dal suono dell’acqua che scrosciava creando il regno delle mille bolle di sapone, come lo chiamava Bessie.
Dopo alcuni minuti Sirius era andato ad accucciarsi davanti alla porta. Si era seduto per terra, appoggiando una tempia contro il legno dell’uscio.
“Ehi, Wonder Woman incazzata, sei ancora lì dentro o ti sei smaterializzata per lasciarmi qui ad aspettare solo come un cane?” aveva provato. Dall’interno, però, nessuna risposta.
“Dai Lily... non farmi così!”
Lei aveva aumentato il getto d’acqua, rendendosi non rintracciabile. Sirius, per reazione, aveva sbattuto la tempia contro la porta.
Era rimasto in silenzio per qualche minuto, grattandosi la testa in quel suo modo buffo, un po’ da cane.
“Sai” aveva iniziato senza più gridare per sovrastare il rumore dell’acqua, con voce anzi bassa e resa un po’ roca forse dall’emozione “ti ho sentita talmente vicina ieri sera, e poi questa notte mentre ti guardavo dormire! Voglio dire, io e te abbiamo sempre avuto questo rapporto strano, conflittuale direi... prima non ci sopportavamo, poi anche se abbiamo iniziato ad esserci simpatici...”
“E chi ti ha mai detto di essermi stato simpatico?” era giunto uno strillo da dentro. Sirius aveva scosso la testa, continuando pazientemente.
“Anche se abbiamo iniziato ad andare d’accordo ci accapigliavamo per un niente, no? Pensavo spesso che forse se non ci fossero più stati James ed Elizabeth io e te non ci saremmo nemmeno rivolti la parola, insomma...” si era imbarazzato grattandosi la nuca “Non prenderla come un’offesa, eh? In ogni caso oltre a tutto questo abbiamo passato dei bei momenti, il campeggio e la gita in moto in cui ci siamo quasi ammazzati, e poi altri... però non mi sono mai sentito vicino a te come stanotte. Insomma, abbiamo mangiato la neve insieme, ti ho vista addormentata e ti ho coperta perché non prendessi freddo... e poi, invece di controllare l’ora” aveva ridacchiato, nervoso “mi sono addormentato anch’io come uno scemo! E questa volta non c’erano James o Elizabeth a farci da parafulmine.”
“Esattamente, stai parlando così tanto perché ti senti solo o perché mi immagini nuda nel regno delle bolle di sapone, Sirius?”
Lui aveva sorriso della provocazione di quella zazzeretta rossa furibonda, tornando ad appoggiarsi con la testa alla porta in un sonoro tock.
“Il punto è, Lily, che sono stato bene con te; sono felice di questo, davvero! Anche se tu ora mi strapperesti i capelli” aveva ridacchiato; subito dopo, però, si era fatto serio, e scuro in volto. “Però nonostante questo non esiterei un istante a buttare via tutto solo per riavere Elizabeth con me.”
Aveva concluso la frase in fretta, come per non lasciare troppo spazio a quell’improvvisa rivelazione di fragilità. Dall’altra parte, per la prima volta, non era giunta risposta; nemmeno il prepotente scrosciare dell’acqua si sentiva più. Sirius aveva sorriso di nuovo mentre senza che lo sapessero Lily, specularmente alla sua posizione, andava a sedersi sulle piastrelle del pavimento del bagno, la schiena appoggiata alla porta chiusa. E aveva sorriso ancora, per uno strano tipo di conforto che derivava dal loro comune dolore, dalla sensazione di essersi confusi le anime, quando qualche piccolo singhiozzo era venuto dall’altra stanza.
Lily combatteva le lacrime come una bambina testarda, ma era stato tra i singulti che aveva parlato di nuovo.
“Se non fossi così terribilmente adirata con te, Sirius, ti abbraccerei.”
“Se non fossi così schifosamente orgogliosa, vorrai dire.” Lily aveva tirato un pugno alla porta.
“Senti” aveva aggiunto lei dopo una pausa “Io... devo tornare a casa, ora.”
“Lo so.”
“Devo tornare da James, e da Harry.”
“Lo so.”
“Mi dispiace Sirius, non volevo ferirti con questo. Tu hai noi. Lo sai che hai noi.”
Sirius, dall’altra parte, non aveva risposto. Lily si era mordicchiata un’unghia, sentendosi in colpa per avergli appena ricordato tutto il peso della sua attuale solitudine. Aveva sentito il bisogno di giustificarsi, di spiegargli.
“Io... riesco a sopravvivere a tutto questo terrore, a questo dolore solo aspettanto il giorno in cui Harry mi guarderà e mi chiamerà mamma, lo sai...”
Lui si era alzato in piedi, buttandosi allegramente il giubbotto sulla schiena. L’aveva accolta con un gran sorriso quando lei aveva aperto la porta, mettendole un braccio attorno alle spalle con fare fraterno.
“Lo so”, aveva detto.


* * *



Alla fine, non è riuscita a sentirglielo dire. Ed io le ho tolto qualche ora che avrebbe potuto passare con Harry. Avrei dovuto sentirmi in colpa?Dimmi Elizabeth, dov’eri in quei momenti?
Quando chiamavo il tuo nome fino a restare senza più voce, dov’eri? Quando cercavo il mare che portavi negli occhi.
Tutta quell’eternità ormai non è che sabbia sotto le palpebre. È unghie lanciate dal vento contro le braccia. Non posso più stringerti.
Sirius sbircia oltre la finestra per controllare a che punto è la notte; ha già smesso alcuni veli.
Non voglio che mi ricordi. Arriverà l’alba e sarà tutto finito. Già il cielo si fa meno scuro, fuori di qui.
Mi spiace se sono qui. Volevo dirti che ti amo.



165.
Ti ho amata e ti amerò fino alla fine delle ossa, e non so se questo possa avere un significato ormai.
Non credo di essere stato un buon compagno. Remus sarebbe stato senz’altro migliore di me, lui ti avrebbe trattata con dolcezza e rispetto. Però, Elizabeth, io ti amo. Come una specie di uragano che squassa la mia mente e non lascia più nulla, e forse è per questo che non riesco a dirti addio.
Si alza, muovendo alcuni passi e tornando nervosamente al punto di partenza. Appoggia una mano sulla sua spalla.
Devo dirti una cosa sai... io non volevo che fossi un Emagus. Non l’ho mai voluto. Ti volevo solo per me, mentre tu ti preoccupavi perché se non lo fossi stata, dicevi, non mi saresti piaciuta! Ma non era l’Emagus, sciocca, eri tu. Avrei dovuto dirtelo; sapevo che ti faceva paura.
Volevo proteggerti dal tuo essere un Emagus... per te e per me. In fondo tutte le mie azioni si riducono ogni volta a qualcosa di egoistico, uh? Ricordi quando ti ho detto che non eri realmente buona, che recitavi soltanto una parte per sentirti compresa nel tuo ruolo? Sai, quella volta James mi ha dato un pugno. E io l’ho ringraziato.
Volevo solo ferirti perché tu avessi bisogno di me, della mia protezione dal mondo. Non ho mai saputo amarti nel modo giusto piccola Elizabeth, ammesso che ne esista uno.

Sono morti, Elizabeth! Scusami!
Esclama alla fine con la voce che s’incrina, si rompe in minuscoli frammenti che vanno ad infilarsi sotto la pelle, la testa fra le mani per fermare un pianto disperato. Per provare a non lasciare il passo all’angoscia per quel troppo tardi che gli rimbomba nel cervello.
E sono qui che piango mentre nessuno, nessuno può sentirmi.
È così freddo qui dentro, e non è la finestra aperta; è che non c’è nessuno con me. Sto solo qui ad aspettarti, e in realtà nulla fermerà ciò che deve succedere, solo fra qualche istante. Lo sapevo, non importa, è solo un po’ d’infelicità che ha superato i controlli. Non sono spaventato. Guardo le stelle qui fuori che vanno affievolendosi, e intanto so che il mio mondo si è rotto stanotte. Che succede, se tutto il mondo che ricordo la fuorì è solo un’invenzione della mia testa?
I vivi sono morti, gli angeli sono demoni, ci sei tu sola.

Sirius si passa una mano sul viso, cerca di riprendersi perché sa che gli resta poco tempo ormai.
Sono stato nella mia vita così tante volte, e non mi è mai sembrata così vuota. Ho bisogno di quella finestra aperta, mi capisci vero? Non ti dà fastidio il freddo?
Ridacchia tra sé, senza fermarsi. Sono uscito lasciando la casa in disordine. Dovresti sgridarmi.
È passato un po’ da quando mi hai sgridato l’ultima volta; anche da quando ti ho vista per la prima volta, ed eri così diversa eppure così uguale ad adesso! Da quando potevo girare a testa alta e stare in piedi tutto il tempo senza sentire le ginocchia che mi tremavano.
E tutto quello che ricordo, e che non ricordo più, è andato a puttane proprio come sembra. Non c’è un cazzo di via d’uscita, stavolta.
Eri tu la mia via d’uscita.
Adesso tutto quello che ho è un pugno di conseguenze forti come il ferro, che colpiscono tutti i miei significati a tradimento.
Perché, perché devo essere solo io a sentirmi in questo modo?
Hai sempre saputo farmi stare meglio, perché non fai andare via tutto questo? Basta combattere, non voglio più combattere, non voglio più che faccia parte di me! Voglio solo poter stare qui tranquillamente a guardarti, a chiedermi quando riaprirai gli occhi. A pensare a quant’eri bella, nuda alla luce delle candele, e che in fondo la tua anima era nuda tutto il tempo e per questo probabilmente tu sei sempre stata tanto più forte di me!
Non ho nemmeno nessuno da biasimare, a parte me stesso.

Dimmi Elizabeth, perché a me?


La guarda ancora una volta, stringendo i pugni attorno alle coperte per impedire alle lacrime di offuscargli la vista. Questa è l’ultima volta che la vede, non vuole zone d’ombra.
Elizabeth, sussurra, sei mai stata così innamorata da rovinarti la vita solo per guardare qualcuno un’ultimo istante?
Ma lei, dal suo sonno immenso e perduto, non gli può rispondere. Ed è con voce più bassa, più roca che lui parla ancora, lasciando che la testa ciondoli tra le spalle contratte.

Sei mai stata così disperata da passare tutta la notte a parlare con una persona in coma solo per dirle tutte le cose che non le avevi ancora detto prima che sia troppo tardi, non per lei ma per te?

Alla fine si alza di scatto, voltandosi verso la porta mentre il chiarore si fa più intenso.
Chiudi gli occhi adesso, smetti di ascoltare. E perdonami se puoi.
Quando il sole entrerà da quella finestra ti bacerò per l’ultima volta. Arriverà un’infermiera, o una donna delle pulizie; entreranno un medico o una visita per te, una di quelle nascoste.
Io non ho mai potuto vederti.
Non lo so come ti sei sentita mentre ti colpivano, ma almeno adesso non potrai sentirti sola come mi sento io. Non ho più niente, non ho più nessuno. Quando il sole entrerà, inizierò la mia vita senza di te. Nessuno starà più a sentirmi. Finirà tutto, tranne quello che provo per te e che mi incatena qui anche se so che mi troveranno.

Alla fine, il sole arriva.
Dimenticati di me Elizabeth, ti prego.
E quando ti racconteranno cos’ho fatto, per favore, credigli.






…I’m so tired but I can’t sleep
Standin’ on the edge of something much too deep
It’s funny how we feel so much but we cannot say a word
We are screaming inside, but we can’t be heard

But I will remember you
Will you remember me?
Don’t let your life pass you by
Weep not for the memories

I’m so afraid to love you, but more afraid to loose
Clinging to a past that doesn’t let me choose
Once there was a darkness, deep and endless night
You gave me everything you had, oh you gave me light

And I will remember you
Will you remember me?
Don’t let your life pass you by
Weep not for the memories.

Sarah McLachlan – I will remember you




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Capitolo 62
*** Grimmauld Place, 62. ***


Graaaazie a tutti i commenti! Troppo buoni! Grazie a Michela, a Lady of Lorien e grazie a Creme, che ha appena iniziato a leggermi e mi sta riempiendo di commenti per tutti i capitoli! o.o risponderò con calma a tutte le tue domande, eh? ^__^"
Nel frattempo, davvero, grazie.



Grimmauld Place, 62.



166.
Bessie correva e correva a perdifiato, correva così forte che le sembrava di potersi sollevare da terra, e di tanto in tanto portava la mano al suo ciondolo, sempre più blu, solo per controllare ancora di esistere. Quelle immagini di Harry sbattevano da una parete all’altra del suo cranio con fitte continue e inattese. Il lampo che aveva visto era talmente verde...
Harry le aveva chiesto Credimi.
Era verde come quello che aveva colpito Sirius nella Stanza dei Misteri quella notte di un anno prima, e solo per questo aveva pensato che, a dispetto di tutto quello che pensava, il giorno in cui si sarebbe ritrovata faccia a faccia con Piton avrebbe dovuto ucciderlo.

Eppure, qualcosa ancora non la convinceva.
Cos’altro vuoi per capirlo?!” aveva gridato Harry con tutte le sue forze, tra lacrime di rabbia che gli inondavano la faccia mentre Kingsley lo teneva fermo. Bessie l’aveva guardato con l’aria più desolata del mondo, allargando le braccia.
“Non lo so, Harry... non lo so.” Ed era sincera. Si era voltata verso Kingsley quasi supplicandolo, con la voce che le tremava un poco. “Kings... io continuo ad avere fiducia in Silente.”
Il signor Weasley si era intromesso in quel momento: “Bessie, per l’amor del cielo, Piton lo ha uciso! Cosa significa che ti fidi?”
Era stato Kingsley, benedetto Kingsley, a rispondergli; per quanto probabilmente non sapesse cosa pensare lui stesso, aveva colto quella disperata richiesta di aiuto e ne aveva fatto spada. Bessie non era pronta per guardare in faccia un diverso tipo di realtà: se quello che Harry predicava fosse stato vero, lei ne sarebbe uscita dilaniata.
“Arthur, tu davvero credi che Albus non sapesse... non potesse immaginare...?”

Eppure, non era giusto. Perché ogni volta doveva difendere le sue scelte così alacremente? Perché qualcuno finiva sempre per trovarci una falla, qualcosa di sbagliato? È come se, in questo modo, dessi ragione a chi pensa che non posso cavarmela da sola. Ed è tutto quello che ho sempre combattuto.
Non “quello che”
, aveva precisato una voce nella sua testa. “Chi”.
Mia madre.
In più... era davvero importante, in quel momento, o era soltanto un alibi per non riflettere su ciò che era successo? Perché era così sconvolta, esattamente? Era il fatto di Silente, era Piton che l’aveva ucciso, Harry, Remus, Tonks...? Forse tutti loro?
O magari tutto questo è semplicemente un riportarmi addosso Sirius, la perdita, l’abbandono? Allora... si tratta solo di me?
Aveva stretto nuovamente la pietra, fino ad imprimersi i suoi spigoli nel palmo della mano sinistra. Ultimamente non l’avevo usata; avevo accettato che Remus fosse un essere umano con le sue debolezze e non il mio supereroe personale, le cose andavano meglio. Ero stata brava... allora perché?
Aveva rivisto davanti agli occhi la profonda cicatrice con cui Piton le appariva sempre in sogno; non c’era mai stata una volta, da quando era tornata, in cui non l’avesse sognato con quella orribile cicatrice colma di dolore che pulsava a fior di pelle. Ricordava il suo dolore, la sua aria spaurita a volte, anche se odiava che qualcuno potesse vederla.
Piton l’aveva sempre combattuta perché temeva che lei s’inoltrasse troppo nella sua verità, una verità meno scostante ed indifferente di quanto sembrava, che lo rendeva vulnerabile. Ma allora perché?
Continuava a correre, senza più nemmeno sentire se il fiato le sarebbe bastato.
Questa storia della metropolvere e del materializzarsi... noi maghi siamo fortunati. Nessun momento è troppo lontano, se voglio esserci adesso; anche dall’altra parte del mondo. Eppure, nemmeno noi possiamo tornare indietro.
Credo che Silente avesse ancora un giratempo. L’aveva nascosto. Sapeva che se l’avessi avuto io, forse l’avrei usato, a costo di cambiare il corso dell’esistenza?

Questa storia della metropolvere e del materializzarsi... il bello è che puoi non usarli del tutto, quando hai solo bisogno di correre. Di sentire la strada che fai.
I ricordi di Silente l’avevano colpita come tanti brevi colpi di luce mentre ancora correva, cercando di sfuggirgli.


* * *


Quando lei e Sirius si erano messi insieme, all’inizio quasi nessuno sapeva. Silente però, all’epoca loro preside, la prima volta che si erano incrociati in un corridoio altrimenti vuoto aveva sorriso in modo strano sotto i baffi (aveva questo modo particolare di sorridere sotto i baffi, come aveva visto fare solo a suo padre, e forse era per questo che l’aveva amato fin dal primo istante).
“Lo sai vero, la McGrannitt piangerà per la disperazione!” aveva commentato dal nulla con quel ghignetto.
Lei l’aveva fissato sbalordita.

Subito dopo lui aveva sorriso davvero, donandole un fiore che teneva, chissà come, nascosto tra le pieghe della veste. Era un fiore molto bello, grande, con i petali sfumati dal turchese ad un blu profondissimo: Bessie non aveva mai saputo di quale fiore si trattasse; forse era stato meglio così, in fondo: sarebbe rimasto per sempre “il fiore di Silente”, o di quel momento, senza acquisire significati esterni a quello che per lei l’aveva reso tanto prezioso!
La cosa che l’aveva intenerita di più era stato il fatto che quel giorno, senza che il povero ragazzo ci capisse un accidente, era stato molto severo con Sirius, e quando l’aveva incontrato a pranzo gli aveva dato un buffetto di avvertimento sulla nuca. Sirius, povero, si lamentava che Silente doveva essere stato posseduto.



Il primo giorno in cui si era ferita in azione, durante la guerra contro Voldemort, era stata colpa sua. Distrazione, incoscienza, ed aveva seriamente rischiato di farsi male; per fortuna non era niente di grave.
Dovevano perlustrare un vecchio edificio abbandonato che poteva essere una sede operativa di una piccola cellula di mangiamorte, lo ricordava bene, e lei era in squadra con Kinsgey e Tonks. Generalmente preferiva non lavorare con Sirius: lui tendeva a preoccuparsi troppo e a voler sempre fare il lavoro sporco al posto suo, così con altri si sentiva più libera di muoversi, e poi bisognava dire che lui e James erano un team perfetto, tanto che era un peccato separarli! Kingsley stava spesso con lei, essendo poi il suo tutor durante l’addestramento da Auror... anche i gemelli Prewett erano stati spesso suoi compagni di missioni, ed erano assolutamente incomparabili! Riuscivano a passare dal divertimento più puro all’efficienza più completa nel giro di un secondo: non la stupiva il fatto che in molti li volessero morti, poi, con il fatto che si conoscevano così bene da rendersi quasi infallibili in coppia, come se potessero contare su un solo cervello ad animare le due bacchette all’unisono!
Quel giorno, comunque, Kingsley era avanzato per controllare alcuni movimenti sospetti, lasciandosele come copertura alle spalle, ed era stato allora che anche lei si era accorta di un movimento sospetto, poco distante dalla direzione verso cui si era diretto l’uomo. Tonks aveva tentato in tutti i modi di dissuaderla dal muoversi senza un preciso ordine del caposquadra, soprattutto non da sola e non in quella situazione, ma Bessie, assolutamente convinta del suo intuito, era corsa in avanti, alle calcagna di quell’ombra che sembrava sgusciare tra i calcinacci e le pareti sventrate. Aveva paura che potesse attaccarlo alle spalle.
L’aveva inseguito per parecchi minuti, sicura di non essere stata vista; ad un certo punto, però, si era ritrovata ad affacciarsi su una vecchia finestra scrostata che dava su un cortile interno. Doveva per forza essere passato di lì.
Aveva cercato di spiare i dintorni più precisamente che poteva, infine era salita sul davanzale, da lì lanciandosi contro una rete a poca distanza, alla quale si era aggrappata sostenenendosi con la forza delle braccia. Si era mossa verso la propria destra di qualche metro, andando poi a lasciare la presa per attaccarsi ad un groviglio di fili elettrici che potevano condurla dall’altra parte del cortile, dall’altezza cui si trovava.
Speriamo bene, aveva sussurrato mentre si apprestava a cambiare sostegno. I fili, ad ogni modo, sembravano tenere. Era avanzata per un po’, maledicendosi per non avere più fatto addominali insieme a Lily per via dello sforzo nel sostenersi.
Era atterrata su un muretto che si era sgretolato paurosamente al contatto con i suoi piedi; Bessie era scivolata verso il basso, andando a sbattere con il mento e tenendosi aggrappata con le unghie, praticamente, con tutte le sue forze. “Augh!”, aveva esclamato. Stava cercando di tornare su senza pensare alla caviglia che doveva essersi slogata, e teneva la bacchetta fra i denti quando l’ombra che inseguiva, per nulla inconsapevole del pedinamento, era tornata.

Alla fine, Kingsley era arrivato in tempo, dandole il tempo necessario per rimettersi in piedi e riuscire a fronteggiare l’offensiva. Non si era ferita poi molto, a parte la storta alla caviglia, un taglio profondo al braccio provocato dal mangiamorte che l’aveva attirata in trappola ed uno al fianco. Silente, però, era rimasto con le labbra sigillate e severe, e non le aveva mai rivolto la parola.
Era stata lei ad andare nel suo ufficio a fine giornata, ancora indolenzita e zoppicante, con qualche benda che occhieggiava da sotto i vestiti.
“Mi... dispiace.”
“Lo so” aveva replicato lui, sorridendo benevolmente.



C’erano così tanti momenti della sua vita colmi di Silente! Le prime tristezze, il primo anniversario della morte di suo padre trascorso a Hogwarts (una giornata intera ad ascoltare delle storie da bambini raccontate da lui, ad addormentarsi beata nel suo studio sotto il suo sguardo vigile ed affettuoso), il sostegno fortissimo la prima volta che aveva cantato e la prima volta che si era rifiutata di compiacere il Ministro diventando una specie di bandierina personale da esibire per lustrare la sua immagine.
Il giorno in cui erano morti i genitori di James e lui, a differenza degli altri, non aveva provato a consolarlo, era semplicemente rimasto lì. Era anche andato da Sirius perché aveva intuito che lui, in qualche misura, era rimasto ancora più sperduto per via di quella perdita. Si era avvicinato a lei poco dopo, le aveva sussurrato “Hai un bel daffare ora!”

“Ci sono delle persone che nascono con la consapevolezza di dover morire presto. Troppo presto. Poi ci sono i soldati. Quali credi siano i più sereni, Elizabeth?” le aveva domandato una volta.
“Forse per i primi si tratta semplicemente di fronteggiare l’inevitabile. Nascendoci, imparano a farci i conti. I secondi invece, beh...” aveva alzato le spalle “loro però hanno un compito; forse non resta loro nemmeno il tempo per pensarci.”
“Tu credi che i soldati siano solo pedine nelle mani di qualcuno più potente?” l’aveva scrutata, curioso.
“No, credo che anche qualcuno più potente lo sia.”
“Una specie di scala allora...” aveva commentato incrociando le dita sopra il pomo del suo bastone. “Fino a dove?”
Bessie aveva sorriso. “Fino ad un bambino capriccioso.”
“Ehe”, aveva ridacchiato Silente. “Ehe.”
Si erano guardati per un po’, entrambi di buonumore.
“Ci sono dei guerrieri fra i babbani,” aveva iniziato il vecchio mago “lontano da qui. Loro sono sempre pronti alla morte... lo sai cosa significa?”
“Che combattono per qualcosa più grande di loro?”
Il mago aveva afferrato una manciata di liquirizie, portandosele alla bocca; aveva invitato la ragazza a servirsi con un cenno. “Forse ne hai sentito parlare, sono guerrieri orientali.”
“Per salvare l’onore” aveva aggiunto allora lei, decisa. “Per salvarlo sono pronti a morire; forse il loro è un modo di dare significato alla vita?”
“In molti la pensano così; tu, Elizabeth, sei davvero convinta che dei guerrieri così saggi onorerebbero la vita... sprecandola?”
Lei l’aveva fissato, le guance colme di liquirizie; aspettava la spiegazione, che sapeva sarebbe arrivata.
“Il punto non è vivere o morire, Elizabeth. È vivere
e morire. Il punto è essere pronti. Se sai che dovrai morire, se sei pronto a questo in ogni istante che vivi, allora ognuno di quegli istanti sarà tuo con la massima intensità che puoi chiedere. Allora sarà vivere e morire, morire per vivere... e potrai dire di vivere, e non di esistere soltanto.”



Lo sai, Harry?
Aveva sussurrato fra sé la ragazza, ripensando a quelle parole.
Pronti a morire, per questo, significa pronti a vivere. Così non sarà l’arma che porti in mano a colpire, ma tu, tu attraverso l’arma. È profondamente diverso. È ciò che fa di noi degli esseri umani, e di qualcuno di noi dei giusti, degli eroi.
Quando ti troverai di fronte a Voldemort, riuscirai a sapere tutto questo?



Il giorno in cui, per Halloween, si era travestito da McGrannitt. Il giorno in cui le aveva chiesto di entrare a far parte dell’Ordine della Fenice.. Il giorno in cui aveva preso in braccio Harry. Il giorno in cui non l’aveva punita per quella storia della fotografia. Il giorno in cui era andato a parlare con sua madre. Il giorno in cui aveva salvato Balthazar e Spiffero dall’incanto di Ernie, dopo che lei aveva rischiato di morire per riprenderli con sé. Il giorno in cui le aveva parlato l’ultima volta, all’ospedale. Il modo in cui le aveva parlato tutte le volte, tutte le volte in cui era stato con lei. Il giorno in cui lei era tornata, il modo in cui la guardava.
Tutti i giorni, sia prima che dopo il suo sonno, in cui l’aveva perdonata.



167.
Grimmauld Place sembrava immersa in un sonno profondo durato decenni; secoli, forse. Tutta la via, anche quella parte che nulla sapeva degli ultimi avvenimenti, aveva un’aria così vecchia e fragile... così vuota, anche! Bessie la rimirava ancora con il fiatone, dopo che la sua corsa pazzesca l’aveva condotta, chissà come, fino a lì; si era frugata in tasca trovandovi qualcosa di metallico, dalla forma rettangolare.
Aveva estratto con grazia lo spegnino di Silente, quasi temendo di toccarlo; l’aveva rimirato per alcuni secondi, sfiorando con un dito le iniziali del vecchio mago incise sulla superficie lucida. Aveva sorriso come chi ritrova la foto di un vecchio amico, e l’aveva stretto forte nella mano.
Non le era servito usarlo. Come la luce nel suo cuore, appena l’aveva alzato davanti a sé il lampione che aveva di fronte aveva iniziato spontaneamente a traballare; aveva danzato per un po’, in agonia, come una falena pochi istanti prima di raggiungere il fuoco, e poi si era fermato. Uno dopo l’altro, tutti i lampioni della via avevano seguito lo stesso destino, spegnendosi come per una scelta rispettosa nei confronti di chi non c’era più.
Ok, aveva pensato lei per darsi coraggio. La maniglia della porta si trovava proprio lì, pronta per essere aperta. Il paragone con la luce dei nostri cuori potevo risparmiarmelo.
Aveva guardato in alto, il cielo sopra la sua testa: portando con sé grosse nuvole, si era alzato il vento. Improvviso come se fosse nient’altro che l’aria che aveva tentato di raggiungerla per tutto il tempo della sua corsa. Probabilmente stava per arrivare un bel tifone, e Bessie aveva sorriso all’idea.
“Sarà meglio procurarsi un ombrello, per il ritorno!”
Aveva varcato la soglia con un salto, tanto per essere sicura di non potersi fermare a metà, domandandosi distrattamente dove potesse essere finito Kreacher. Aveva sentito che lui non si trovava lì.
Non che m’importi, in fondo. Anzi. Di sicuro non piangerò la sua assenza, e poi lo so dove si trova... piccolo sporco bastardo!, aveva ringhiato fra i denti.
Aveva vagato per le stanze senza una meta precisa, dalla cucina in cui ogni mattina si riunivano tutti ai tempi in cui l’Ordine della Fenice si era appena ricostituito al corridoio in cui il ritratto della signora Black aveva smesso di gridare; dal salottino in cui si rifugiava a suonare il pianoforte al terrazzo in cui si accoccolava contro Tonks quando volevano scambiarsi qualche confidenza, o semplicemente stare un po’ fra di loro. Al piano di sopra c’erano anche le camere da letto, e se Bessie aveva spiato con affetto quelle dei ragazzi, con ancora qualche foto di Quidditch appesa ai muri, e quella che lei stessa aveva occupato (in un angolo stava, mestamente, una brutta copia della sua lista di regali di Natale), non era però riuscita nemmeno a sfiorare la porta della stanza di Sirius. Non si era avvicinata a quelle pareti che avevano respirato la sua stessa aria, a quel letto ancora pieno di voci e di amore e di mani avvinghiate contro la pelle. Tutte quelle lotte, non sarebbe riuscita a riviverle.
Aveva finito per sedersi sulle fredde piastrelle del bagno, e questo le aveva ricordato qualcosa.
Non avrebbe saputo dire che cosa, di preciso. Era come se in quel momento che non riusciva a focalizzare lei non fosse stata davvero presente, ma ci fosse stata, in qualche modo. Qualcuno un giorno si era seduto proprio come lei, le spalle appoggiate alla porta e la testa abbandonata languidamente.
Aveva scrollato il capo per liberarsi di quell’immagine confusa, sostituendola con Remus che si adattava a sdraiarsi sul pavimento dell’ospedale solo per sfuggire a quella terribile puzza, o forse solo per stare con lei. Era sempre stato talmente paziente con lei, Remus!
Ma ormai non poteva più dire nemmeno questo. Un’ora prima, anche se qualcosa era successo subito dopo, strappandola via dalla sua mano, era entrata nel cuore di Remus.
Non era solo pazienza. Non poteva più tornare indietro.

Era tornata ad alzarsi, e si era tolta le scarpe per sentire in modo più fisico quella casa cui, nonostante tutto, sapeva di appartenere. La odiava per tutto quello che aveva simboleggiato, per il dolore ed i lutti che aveva portato nella sua vita, eppure sapeva che il suo cuore si sarebbe sempre trovato lì più che in qualunque altro posto tranne Hogwarts. Dopo la scuola, tristemente più dell’appartamento in cui aveva vissuto insieme a Sirius, quella era la sua casa. Era stato in quel posto che aveva sempre dovuto confrontarsi con se stessa. Quel posto riusciva a parlarle. Sgarbato, magari, tentando di ferirla ogni qualvolta poteva, ma la metteva sempre faccia a faccia con la verità. Il piccolo appartamento con Sirius era la felicità, la casa dei suoi genitori era l’infanzia e Hogwarts, beh... era Hogwarts. Ma quel posto così scomodo, così scarno e poco rassicurante, era la verità.
Non potrò raccontarlo a nessuno, probabilmente. È buffo a pensarci, perché è la verità ma non posso parlare a nessuno della verità. Penserebbero che avanzo pretese verso un luogo che è di Harry.
Non m’importa che sia mia, in fondo. Sono io ad essere sua. Molto più di quanto desideri, e di quanto sia stata disposta ad ammettere in tutti questi anni.
Credevo di appartenere ad Hogwarts. Volevo appartenervi. Invece quel posto sarà sempre dentro di me come solo l’appartamento di Sirius, ma io appartengo a questa verità. A questa silenziosa, terribile verità.
Mi fa sentire sola.
Non voleva pensare a Remus. Non voleva pensare allo sguardo di Tonks, che l’aveva spinta a correre via senza guardare in faccia nessuno. Si era alzata in piedi di scatto, come per lasciarsi quell’angoscia alle spalle, ma un movimento troppo brusco aveva spezzato la catenina con cui teneva al collo la sua pietra. Il ciondolo era volato verso il pavimento a velocità rallentata, andando a colpirlo con un rumore, come se si fossero frantumati tutti i vetri della casa. Lei era rimasta immobile a fissarlo mentre rotolava un po’ più in là, ogni volta producendo un rumore come una crepa nel vetro, o nel cuore.
La pietra aveva finito con l’infilarsi nel pertugio sotto la porta di Sirius, che era rimasta chiusa, imprigionandolo con sé.



168.
Che cos’avrebbe fatto? Non voleva entrare, non voleva!
Ma, proprio ora, non poteva restare senza quella pietra. Chissà perché era successo; non riusciva a convincersi che fosse stata soltanto una coincidenza, ed in fondo era proprio questo a spaventarla maggiormente. Sarebbe entrata, l’avrebbe lasciata lì?
Aveva percorso il corridoio così tante volte che aveva pensato di lasciare un solco come nei fumetti, prima di decidere. Poi, con un colpo deciso, aveva spalancato la porta. E quello che si era trovata davanti agli occhi era completamente, assurdamente inaspettato.





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Capitolo 63
*** Grimmauld Place, 63. ***


Di nuovo grazie a chi continua a seguirmi, a incoraggiarmi. Ormai mancheranno 3,4 capitoli oltre a questo, a meno di cambiamenti. Magari dei capitoli un po' lunghi. Però ci avviamo velocemente alla fine... beh, forse era ora. Questa storia per me è stata una specie di esorcismo, e visto che è stata così gentile nei miei confronti pensavo, una volta terminata, di dare una sistemata ai primi capitoli. Che dite?


Grimmauld Place, 63.



169.
La prima volta in cui aveva cantato era andata bene, a parte per quel fattaccio con il Ministro della Magia. Insomma, alla fine si era rifugiata nella sala deserta di Grifondoro a singhiozzare, ma questo non toglieva che avesse cantato bene. Fin dal primo giorno, Bessie non aveva mai sbagliato una nota. Non si trattava di tecnica. Un Emagus esprime l’anima.
Questo pensava, essendosi improvvisamente trovata catapultata, tramite un lampo bluastro di luce proveniente dalla pietra che stava a terra, di nuovo in quello stesso giorno. Quella sera, pardon. E quella sera, stranamente, era venuto Remus a consolarla: lo ricordava bene. Bessie, ancora un po’ sconvolta per la luce che l’aveva investita improvvisamente, rovesciando in un attimo tutte le sue certezze, si era guardata intorno con fare ansioso: nonostante fossero passati così tanti anni da quel momento, sentiva la stessa identica oppressione nel petto, la stessa rabbia, la stessa irrefrenabile voglia di piangere e di essere rassicurata da qualcuno. Si era domandata dove diamine fosse Lily: voleva vederla. Avrebbe potuto rivederla?
Allo stesso modo, però, non se la sentiva; non voleva che lei la vedesse così. La persona che voleva fosse con lei in quel momento, quella di cui aveva davvero bisogno era...
Remus!” aveva pronunciato Bessie vedendolo varcare la soglia della sala comune.
Non si conoscevano che per un paio di scambi di parole, lei era rimasta basita dal suo arrivo e forse in effetti quello che l’aveva distratta era l’espressione spaurita del ragazzo, come se lui si chiedesse ancora più forte di lei che diamine ci facesse lì. Alla fine era scoppiata a ridere guardandolo, così inadeguato e nervoso; e non erano serviti gran discorsi: si era sentita meglio.
Da quel giorno aveva inciampato spesso in Lupin durante i suoi momenti tristi: lui non chiedeva mai perché piangesse, ma era sempre lì. In quegli anni avevano trascorso ore intere senza parlare, e quel loro silenzio aveva pian piano raccontato tante di quelle cose! In effetti aveva avuto sempre modi strani di stare coi suoi amici, Lily e James e Dora e gli altri... ma quello che importava era che, semplicemente, ci fossero.
La sera del concerto appena si era ripresa era tornata in mezzo alla cagnara perché, orgogliosa com’era, non sopportava l’idea che qualcuno notasse la sua prolungata assenza dopo che era scappata a quel modo; aveva finto di nulla nei modi che le erano stati possibili, e per questo si era arrabbiata parecchio quando le si era avvicinato Sirius Black (che voleva poi da lei, quello?) con la sua solita aria strafottente; l’aveva stuzzicata un po’ come chi non ha di meglio da fare, concludendo con una serie di battute sui suoi occhi rossi che avevano finito per svergognarla davanti a tutti gli altri, che così avevano capito.
Oh, se l’aveva odiato in quei momenti!
Non era scoppiata a piangere nuovamente, ma era sicura che nel fissarlo, un attimo prima di voltargli le spalle, gli occhi le si fossero fatti seri e lucidi. Lui doveva averlo notato per forza, come quel tremolio quasi impercettibile del mento; non sapeva perché, ma era certa che se ne fosse reso conto.

Una settimana dopo Sirius l’aveva mandata a chiamare.
All’epoca si occupava di prendere certe firme tra gli studenti, quindi era probabile che si trattasse di un motivo più che plausibile, ma Bessie si era sentita nervosa lo stesso, non sapeva quanto desiderasse e quanto invece temesse quell’incontro, e per un po’ aveva anche pensato di non andarci. Era ancora arrabbiata con lui, anche se gli studenti avevano esaurito quel fattaccio dell’esibizione come argomento di pettegolezzo, però era anche curiosa. Non voleva parlargli, imbronciata com’era, però in un certo senso voleva vedere la sua faccia.
Alla fine si era recata nell’aula F. “Voglio proprio vedere come ha il coraggio di comportarsi con me!”, si era giustificata.
Sirius se ne stava seduto con le gambe appoggiate al banco ed una sigaretta spenta in bocca. Ogni virgola di quella posizione le gridava dentro rabbia contro la sua vanità e tutte quelle scene, eppure non aveva potuto reprimere un piccolo brivido dovuto alla sua bellezza. Peccato sia insopportabile, si era detta. Le altre ragazze hanno ragione quando dicono che è così bello!
Era affascinante davvero. La sigaretta gli pendeva con noncuranza dalle labbra carnose, andando a toccare un ciuffo ribelle di capelli che gli scivolava davanti al viso coprendogli in parte gli occhi, mentre guardava dalla finestra gli allenamenti di Quidditch. Li ammirava furiosamente, con invidia, e lei senza volerlo aveva ridacchiato all’idea di quel ragazzo alto che ancora aveva bisogno di muoversi e giocare come un bambino.
Lui allora si era accorto della sua presenza, e con tranquillità aveva estratto da sotto il banco un quaderno rosso fuoco.
“Ma quello è mio! Si può sapere perché l’hai tu?!” aveva esclamato lei, avvicinandoglisi di botto. Sirius aveva allontanato il quaderno dalla sua portata con fare divertito.
“L’avevi dimenticato in aula”, aveva spiegato spingendo la sigaretta all’angolo destro della bocca. “E’ questo il modo di ringraziare chi si è premurato di fartelo riavere?”
“Ma... avresti potuto darlo a qualcuna delle ragazze, me l’avrebbero consegnato...” aveva boccheggiato lei, confusa. Sirius aveva appoggiato il mento al davanzale della finestra, l’aria mesta come quella di un cucciolo.
“Sono in punizione per tutta la prossima ora, non posso nemmeno allenarmi. Perché perdere l’occasione di ricevere visite?” aveva concluso, improvvisamente trionfante. Bessie aveva sbuffato.
“D’accordo, sono qui. Ora vuoi ridarmelo, per piacere?”
Sirius si era divertito con lei per qualche altro minuto come il gatto con il topo; solo quando le aveva finalmente porto quel benedetto quaderno, ricordandole per l’ennesima volta di ringraziarlo, Bessie aveva rammentato che Nelly Preston un’ora prima le aveva riferito di averlo visto aggirarsi sospettosamente tra i loro banchi.
Non poteva crederci! Lui le aveva rubato quel quaderno... solo per poterglielo restituire? Insomma, si trattava di un quaderno di pozioni... nulla che valesse la pena di spiare, perciò! Se avesse voluto scoprire qualche segreto avrebbe potuto scegliere di meglio.
In quella Sirius, spostando la sedia per uscire, le aveva colpito una gamba. Non che le avesse fatto male.
“Scusa”, aveva domandato guardando in basso. Lei l’aveva fissato sorpresa.
Non stava parlando della gamba. Davvero, non stava proprio parlando della gamba!

Nei giorni seguenti lui aveva finto di nulla, ed in ogni caso non aveva mai ammesso apertamente che quelle scuse si riferissero al fattaccio del concerto anziché alla gamba, ma lei l’aveva capito lo stesso. Aveva sorriso, ripensandoci, anche se lui si era portato in giro la solita faccia da schiaffi ed aveva combinato guai tutto il tempo.
Aveva sorriso ogni volta che l’aveva visto, anche quando lui non si accorgeva di lei; più che altro, esclusivamente se lui non si accorgeva di lei.
Poi un pomeriggio era ritornata di corsa in un’aula a prendere un libro che sì, questa volta doveva aver veramente scordato, quando l’aveva visto lì dentro: unica presenza nella stanza, aveva le braccia conserte sul banco e il viso affondato tra di esse. Dormiva della grossa.
Bessie gli si era avvicinata senza fare rumore, l’aveva rimirato per un po’ con quei suoi capelli lunghi e lucidi come cavalli imbizzarriti, le braccia forti anche se ossute – non erano ossute come quelle di James Potter, comunque. Un po’ le spiaceva non potergli vedere gli occhi, ma tutto sommato nel cambio preferiva così, piuttosto che lui si accorgesse che lei era lì. Gli si era avvicinata ancora di mezzo passo prima di andarsene, con la punta del piede che si appoggiava incerta sul pavimento, pronta a scattare.
“Grazie per l’altra volta” aveva sussurrato.
“Ma figurati, prego!” aveva replicato una voce insolente mentre Sirius si stiracchiava, completamente sveglio. La fissava allegro, soddisfatto per averla sorpresa in quel momento, e lei era arrossita in un lampo, scaraventandogli contro il libro ed uscendo precipitosamente dalla stanza molto, molto arrabbiata con lui. Va bene, per quanto potesse essere carino, per quanto avesse organizzato tutta una finta scena di quaderni perduti solo per domandarle scusa per una battuta, non voleva più avere niente a che fare con Sirius Black! L’avrebbe depennato dalla sua lista di persone di cui notare l’esistenza quando le si incrociano!
Oh, fortunatamente Lily non si era accorta di come si era quasi lasciata raggirare!



Avevano organizzato una festa. Nulla di speciale, ma era il compleanno di Nelly Preston e le ragazze si erano ritrovate nei dormitori a mangiare schifezze e fare giochi del terrore e della verità, e Tonks come al solito avrebbe finito con l’ubriacarsi e dare un nome a tutti i lavandini dei bagni, e lei avrebbe bevuto ed avrebbe parlato troppo, e si sarebbero confidate un sacco di cose scabrose e magari di segreti completamente inventati. Però si sarebbero divertite, ridendo e schiamazzando finché Gazza non fosse piombato lì a minacciarle di rispedirle tutte a casa, ritirandosi imbarazzato subito dopo per averle viste in camicia da notte. Bessie odiava le camicie da notte. Con l’umidità di quei posti, aveva sempre freddo quando ne portava una, non importa quanto fosse coperta.
Le piaceva addormentarsi verso mattina sulle ginocchia di Lily, e svegliarsi il mattino dopo desiderando ardentemente di potersi incollare alla faccia un paio di occhiali da sole; condividere la tortura del doversi concentrare dopo un paio d’ore scarse di sonno con le altre, e scoprire i commenti curiosi dei ragazzi.
Quella sera lei aveva portato una specie di burrobirra alla fragola e ai mirtilli, Tonks le patatine che ti saltavano in braccio dal sacchetto e tentavano il più delle volte di addentarti la lingua. Fortunatamente c’era anche gente noiosa che, come Lily, avrebbe portato qualcosa di decente da bere e con cui ubriacarsi senza nausearsi a morte; Lily era davvero uno spasso quando beveva... se solo James l’avesse vista in certi momenti! Tonks, invece, era uno spasso in ogni caso. Loro due ne avevano combinate tante da perdere il conto, insieme!
Quella sera ad ogni modo non era andata proprio come al solito: c’era questa Annabelle che sembrava tanto più giovane ma era incredibilmente carina, con dei boccoli castani da bambola e gli occhi grandi; vedendola immobile avresti pensato che non fosse vera. Aveva scoperto che da piccola era stata sostanzialmente una vicina di casa dei Black, e nonostante l’arrabbiatura non aveva potuto evitare di chiederle qualche cosa per soddisfare la propria curiosità: chissà com’era quel teppista da bambino!
“Oh, era sempre bello!” l’aveva rassicurata lei con un sorriso. “Tutte le bambine erano innamorate di lui. Ma lui dopo i primi anni in cui era molto gentile con noi si è allontanato, badava solo a litigare con sua cugina Bellatrix.”
“Oh...”
“Mi faceva una tristezza... perché mi piaceva un sacco ovviamente, e avrei voluto andare da lui ma i miei genitori non me lo permettevano; non stava bene, capisci” aveva sbuffato. “In ogni caso non credo che mi avrebbe badato poi molto... davvero, se ne stava appoggiato a quel cancello di ferro per ore, soltanto aspettando che la cugina tornasse a casa. Allora si riprendeva, era come se una scarica elettrica gli attraversasse il corpo e fingeva di aver fatto chissà quante cose per tutto il tempo, e poi la stuzzicava e prendeva a litigare con lei!”
“Ma... sempre?”
“Beh, spesso. Bellatrix se ne stava sempre in giro, e lui aveva molti doveri come futuro capofamiglia Black, sai... così a volte sua madre lo obbligava a fare certe cose noiose... e lui, quand’era più piccolo, ricordo che obbediva sempre senza protestare, ma anzi in un modo così grazioso! Loro venivano educati inflessibilmente quindi credo che all’epoca non sarebbe riuscito a comportarsi in modo sgarbato in ogni caso, ma davvero... gli leggevi una gentilezza d’animo... ascoltava sua madre con una luce così colma di fiducia negli occhi! Ricordo che lo invidiavo, perchè non ho mai amato così mia madre, non mi sono mai affidata a lei così completamente... mi è dispiaciuto quando negli anni in quella stessa gentilezza ha cominciato ad insinuarsi una specie di tristezza sorda, una tristezza così poco da bambino! In realtà crescendo ho iniziato a capire come stavano le cose... era così gentile, ma credo si sentisse molto solo.” Si era chinata per parlare un po’ più piano: “Dicono che ora non vadano molto d’accordo, mi chiedo cosa sia successo perché cambiasse in questo modo la sua fiducia...”
Non aveva continuato la frase. Bessie non la vedeva più, teneva gli occhi fissi davanti a sé senza guardare nulla di preciso, mentre due grosse lacrime le solcavano le guance.



Era durata poco. Il mattino dopo si erano ritrovati a lezione di erbologia, James aveva tampinato Lily in ogni modo possibile e concepibile dalla mente umana, lei alla fine gli aveva fatto lo sgambetto, facendolo spiaccicare proprio contro l’esperimento della prof. Grasse risate si erano levate dall’angolo Malfoy per questo smacco, ed i Serpeverde l’avevano canzonato per tutto il pomeriggio per via della persistente puzza di succo rancido, per quando se n’era involontariamente spalmato un bel po’ sulla faccia cadendo sulla bolla di una pianta che gli era scoppiata addosso. Per questo Sirius si era innervosito, e appena era riuscito ad avvicinare una di loro senza farsi notare ne aveva approfittato. Quello che Bessie non riusciva in alcun modo a capire era perché quell’essere terribile avesse dovuto prendersela proprio con lei, che non c’entrava nulla! Va bene, era con Lily e va bene, aveva riso anche lei - come la maggior parte degli studenti, fra l’altro. Ma non aveva fatto nulla a James, proprio nulla.
Quel bulletto di un Sirius Black, ma come si permette? Si può sapere perché deve sempre prendersela con me, mannaggia?! Un giorno di questi gliela farò pagare davvero!, aveva borbottato fra sé mentre si allontanava lungo i corridoi, pestando i piedi a terra con violenza e sbuffando come una ciminiera. Questa volta aveva esagerato. Non se la sarebbe fatta passare facilmente.

“Si può sapere perché non riuscite a passare due minuti senza litigare?” aveva commentato Lily, esasperata. Lei l’aveva guardata storta.
“Proprio tu parli? Dopo quella fantastica scena con Potter?”
Lily aveva risposto con un sorrisetto malizioso. “Oh, ma lui non ce l’ha con me. Non ne è in grado.”
“Lily, non ci posso credere: sei una sadica!” aveva esclamato Tonks, lanciandole un cuscino sulla faccia. La ragazza era scoppiata a ridere allegramente. Troppo allegramente, aveva pensato Bessie. Sembrava che quella situazione la rendesse felice.



Stava disegnando una serie di modi terribili per uccidere Sirius Black, china sul foglio nella sala grande. Era così concentrata a scegliere i metodi più lenti e doloroso, e ad arricchirli con particolari splatter, che non si era accorta dell’approssimarsi di una persona. Proprio mentre rendeva più acuminata la punta della tredicesima freccia che gli avrebbe trafitto il braccio mentre non poteva difendersi perché aveva le braccia legate con la gomma da masticare un’ombra scura le si era parata davanti.
“Lovelace, ti stai divertendo?”
Bessie aveva alzato lo sguardo come una bambina sorpresa con le mani nella marmellata. “Io, er...”
“Se vuoi posso suggerirti giusto un paio di modi che ho ideato io stesso. Non che tu abbia l’aria di averne bisogno”, aveva ghignato il ragazzo avvicinandosi alla sua faccia fino ad imbarazzarla. Sembrava si divertisse.
“Grazie Severus, io... immagino che tu abbia dei buoni suggerimenti” aveva risposto cortesemente, scostandosi un poco. “Tuttavia dà... più soddisfazione... fare da soli.”
“Oh sì” aveva replicato lui continuando a sogghignare, posando un piede sul divanetto ed appoggiando un gomito al ginocchio “almeno fino alla prossima volta in cui lo perdonerai con occhi adoranti, no?”
Non aveva potuto rispondergli a tono, perché di lontano Lucius Malfoy, che li aveva scorti, si era avvicinato di buon passo gridando “Occhio! Potrebbe contagiarti!”
“Con che cosa Malfoy, di grazia?” aveva replicato lei, gelida, nel momento in cui li aveva raggiunti; aveva però avuto cura di nascondere i suoi schizzi sotto l’astuccio di legno. Lui l’aveva fissata sorridendole con quel suo modo disarmante, sfiorandole i capelli con due dita.
“Con il coraggio, no, chérie?” aveva sghignazzato con fare vittorioso. Subito dopo aveva trascinato con sé Piton che, a dire la verità, aveva lanciato un ultimo sguardo in direzione della ragazza che le era sembrato più che altro... scocciato.

Non ci aveva più pensato, indispettita dal comportamento di entrambi; a dire la verità sembrava che ultimamente tutti facessero a gara per prenderla in giro il più possibile. Non che si aspettasse qualcosa di diverso da dei Serpeverde, aveva riflettuto pochi giorni dopo, e Malfoy in particolare... Piton invece non la infastidiva, generalmente.
“Ah! Che razza di giornata!” era sbottata, senza riuscire a concentrarsi sul libro su cui era china.
“Da mare, direi” aveva aggiunto una voce di fronte a lei.
“Cos...?”
“Con questa giornata, mi piacerebbe andare al mare.”
Piton era di nuovo di fronte a lei, e la fissava con quel solito ghigno nella faccia. Confrontato a quello di Malfoy però, ora che ci pensava, non sembrava esattamente un ghigno malvagio. Era semplicemente... storto! In un modo tutto suo, bisognava dire. Non gli avrebbe dato soddisfazione, in ogni caso.
“Che vuoi, Severus?” aveva sbuffato, facendo ticchettare nervosamente la matita contro le pagine.
Lui non le aveva risposto. Fermo dove si trovava, aveva estratto una mela dalla tasca della veste e glie l’aveva lanciata; Bessie l’aveva afferrata al volo: era una mela sorridente, ad essere precisi.
“Ci vediamo!” aveva esclamato lui allontanandosi lungo il corridoio con un cenno del capo.



* * *



Bessie era rimasta ferma, la luce azzurrognola della pietra ancora a mitigare i confini degli oggetti presenti nella stanza fino a confonderli. Il ricordo sembrava essersi assopito improvvisamente a causa di un foglietto che un filo di vento entrato da chissà dove le aveva portato davanti agli occhi.
Aveva cercato con tutte le sue forze di concentrarsi sul suo percorso, per poterlo afferrare e soprattutto non guardarsi intorno, ora che anche il limite che le impediva di entrare in camera di Sirius era stato valicato. Non avrebbe guardato. No, non avrebbe guardato nulla.
Ancora non riusciva a capire come potesse essere successo. Perché, d’improvviso, la pietra le aveva mostrato qualcosa? Era successo solo un’altra volta, con Harry; ma era Harry.
Bessie aveva interrotto quelle riflessioni con una smorfia di dolore. “Ahi!”, aveva esclamato. Da una tasca della veste aveva estratto delle pillole verdi; il mal di testa in quei giorni la stava uccidendo, e la cosa l’innervosiva anche perché odiava dover prendere medicine.
Non avrebbe guardato.



* * *



Lily si era incavolata parecchio. Insomma, tutta quella storia di James e Bessie che s’incontravano da soli, di nascosto... con lui che le teneva un braccio attorno alle spalle! Davvero, quella scoperta nella guferia l’aveva resa furiosa, e non sapeva di preciso se fosse più il fatto che le tenevano nascosto qualcosa o che aveva dovuto saperlo da... da Piton!
Probabilmente i Serpeverde se la stavano godendo parecchio, quella storia per cui James Potter era appena stato piantato. Bessie in compenso era sparita, non si trovava più da nessuna parte. Tonks aveva cercato in ogni modo di convincere Lily che in realtà era tremendamente preoccupata per lei, nonostante l’arrabbiatura... e bisognava dire la verità, c’era quasi riuscita. Quasi.

Oh, al diavolo! Era preoccupata, quella testa calda chissà che poteva combinare! Però sia lei che James se l’erano cercata, dopotutto. Non sarebbe andata a cercarla.
L’avevano ferita così tanto... ed ora doveva anche preoccuparsene? Che si arrangiassero loro! In fondo James non sembrava aver perso troppo tempo a rincorrerla e a pregarla di parlargli ancora; era partito anche lui nella spedizione per cercarla prima che succedesse qualche casino. Razza di idiota!
Era Sirius quello di cui Bessie si era presa una cotta, no? E allora perché non ci andava lui, a cercarla?
Idiota, idiota, idiota!, aveva urlato la sua mente mentre piccole lacrime di rabbia sbucavano dagli occhi a punteggiarle il volto come le lentiggini, fattesi più visibili.
Di rabbia, aveva precisato lei. Di rabbia.



James, alla fine, era riuscito a trovarla. Si era trascinato dietro Sirius, correndo all’impazzata di qua e di là, e ad un certo punto aveva avuto una specie di illuminazione ed era corso avanti fino ad una radura nel giardino di Hogwarts, trovandola rannichiata accanto ad un grosso masso da cui sbucava un minuscolo fiorellino viola, chissà come.
“Bessie, piccola!” aveva provato a consolarla.
Lei, però, tra le lacrime di frustrazione gli aveva assestato un sonoro pugno nello stomaco.
“Ooooff!!! Ma che...”
“Brutto stupido! Si può sapere che ci fai qui?” aveva gridato.
“Ti stavo... cercando, ovviamente. Tutta la scuola lo fa.”
“Non m’importa della scuola” aveva scosso la testa. “Dovresti stare con Lily, razza di cretino! Starle appiccicato alle gonne finché non si decide a guardarti in faccia e notare tutto quel pesce bollito che ti affiora negli occhi ogni volta che la vedi!”
Lui aveva allargato le braccia, desolato. “Così... qualunque cosa io faccia, è sbagliata?”
Bessie aveva mitigato lo sguardo, intenerita dall’accento disperato della voce. Si era calmata, mentre Sirius fissava l’amico con una sorta di pietà per chi sta perdendo completamente la propria dignità. Era tornata indietro.
“Mi dispiace”, aveva sussurrato. “Non è con te che dovevo prendermela.”
James le aveva posato una mano sulla testa, per consolarla davvero, stavolta. Era stato Sirius a parlare.
“Avreste dovuto dirlo”, aveva commentato, e la voce gli era uscita bassa e stranamente roca.
“Voleva solo proteggermi!” aveva replicato Bessie in sua direzione, con foga. “Non c’era niente da nascondere, voleva solo che gli altri non mi vedessero così!”
Sirius era rimasto quieto. La voce sempre pacata, mentre guardava in basso, gli si era incrinata appena verso la fine. “Avreste dovuto dirlo. Saperlo in questo modo ferisce.”
Bessie si era morsa un labbro, pensando a come doveva essersi sentita Lily nell’assistere a quella scena. Non sapeva cosa dire. Quando James aveva risposto, però, le aveva fatto sgranare gli occhi per lo stupore.
“Scusami, Sirius.”

Sirius?!
Bessie aveva fissato ora l’uno, ora l’altro, con tanto d’occhi. Che c’entrava ora Sirius? Stavano parlando... di fraintendere, no? Di lei e James! Il ragazzo si era stretto nelle spalle, le mani ben ficcate in tasca.
“Scusa, vecchio mio” aveva ribadito James.


Nel frattempo Lupin stava cercando Bessie assieme a Tonks, e cercava anche un modo per convincere Lily che quello che aveva visto non era quello che sembrava.
“Non credo ci sia davvero bisogno di convincerla” aveva commentato lei con semplicità, masticando una gomma. “Si fida di loro. È solo ferita.”


Bessie si era arrampicata per i merli del castello, uscendo da una finestra dei corridoi del secondo piano ed aggrappandosi a tutti i mattoni che sporgevano, graffiandosi e scivolando e rischiando l’osso del collo per poter raggiungere le finestrelle dello sgabuzzino al terzo piano, in cui Lily si era chiusa per non avere niente a che fare con lei.
“Dai Lily, parlami!” aveva gridato lei dalla poco sicura posizione in cui si trovava, facendola sobbalzare per la sorpresa. Lily, però, non si era mossa.
“Lily! Lo sai che non è come sembra... tu lo sai!”
Ancora niente, anche se da sotto qualcuno doveva averla notata perché veniva un certo brusio. Lei, però, non osava guardare di sotto.
“Mi dispiace, d’accordo? Avremmo... avrei dovuto dirtelo! Mi vergognavo di non essere sempre forte come te! Non volevo che ti sentissi sempre in dovere di... prenderti cura di me! Io pensavo, temevo... di non piacerti più!”
Da sotto, qualcuno aveva iniziato a gridare a Bessie di scendere. Forse erano andati a chiamare i professori.
“Non m’importa se non vuoi più parlarmi, Lily! Non m’importa se non mi guarderai più in faccia! Però devi ascoltarmi: io... ti voglio bene, d’accordo? Forse tu non vuoi più avere a che fare con me, ma io ti voglio bene come non ne ho mai voluto a nessuno, e dovevo proprio dirtelo ora che ho combinato questo casino! Dovevo dirtelo e basta!” aveva gridato con tutte le forze che le rimanevano.
La finestra si era spalancata di colpo: ne era uscita una Lily con l’espressione a metà tra il broncio e la commozione.
“Tu... stupida idiota!” le aveva gridato tendendole un braccio per aiutarla ad entrare.
Era rimasto negli annali come Lily, nel tentativo di sfogare o mascherare la commozione, le avesse dato subito dopo uno spintone che era bastato a farle perdere l’equilibrio e a ruzzolare giù per un tratto, riempiendola di graffi e di bernoccoli fino a quando la McGrannitt era riuscita ad attutire la sua rovinosa caduta. Tonks si era occupata di renderla una specie di mummia vivente a suon di bende e cerotti durante la sua ora di punizione per tutto il chiasso che aveva combinato.
“Non è che tu sia meno forte, Bes” le aveva spiegato pazientemente. “La tua forza sta proprio nel non aver paura di mostrare i tuoi sentimenti e le tue debolezze così come sono. Ti sembra una cosa facile?”



Una settimana più tardi, Lily era assolutamente terrorizzata. Gridava con quanto fiato aveva in gola e forse anche qualcosina di più, fissando il vuoto avvicinarsi a lei a velocità vertiginosa.
“Ma perché? Perché perché perché?” strillava, aggrappandosi con tutte le sue forze alla sbarra di ferro che aveva davanti, unico appiglio prima della fine.
“Perché, non ti stai divertendo?” aveva domandato un pacioso James, di fianco a lei sulle montagne russe.
“Ooohh, ti ucciderò, James Potter!”
“Guarda che sei una ragazza. Dovresti abbracciarmi ora, se sei spaventata.”
Lei non se l’era fatto ripetere due volte. Gli aveva assestato un preciso pugno a livello dello stomaco, già provato per via del colpo di Bessie pochi giorni prima. Poi, mentre lui si accartocciava su se stesso per il dolore, gli si era aggrappata addosso, improvvisamente tranquilla fra le sue braccia.
Lupin e Sirius, l’uno di fianco all’altro, avevano osservato il ritorno della coppietta appena ricucita con due espressioni molto diverse sul viso.
“Wah, tutti questi cuoricini... è disgustoso!”
“Sirius, perché non vai anche tu al luna park con qualcuno?”
“E rendermi ridicolo in quel modo?” aveva protestato lui, indicando i piccioncini.
“Beh, hanno l’aria felice.”
“Certo, e poi a lei cadranno alcuni libri e lui l’aiuterà a raccoglierli e poi quando si chineranno entrambi saranno così vicini, uno di fronte all’altra, che non potranno fare a meno di scambiasi un lungo, romantico bacio!” aveva commentato con una smorfia. Lupin l’osservava basito.
“Sirius... te la sei addirittura studiata!”
Erano sopraggiunte in quel momento Tonks e Bessie alle loro spalle, domandando ai due ragazzi di che cosa stessero chiacchierando. Sirius, istantaneamente, era arrossito.
Sirius arrossito? Bessie se n’era accorta... ma Sirius non arrossiva mai! Probabilmente aveva qualche tipo di pigmento nella pelle che glielo impediva, non era possibile che capitasse anche a lui come ai comuni mortali! Si era imbarazzata lei nel vederlo, talmente surreale le era sembrata la cosa, tanto che il silenzio era divenuto generale e nessuno sembrava rispondere alla domanda.
“Io, er... funghi” aveva provato Lupin.
Funghi?”
“Beh, sì” si era ripreso, improvvisando in modo meritevole di oscar verso Tonks. “Potremmo far mangiare a Piton del veleno... i funghi ne coprono molto bene il sapore.”
Nel frattempo Bessie si era avvicinata a Sirius; ne aveva seguito lo sguardo verso i due ragazzi.
“Li stai guardando?” aveva domandato, le mani incrociate dietro alla schiena mentre spiava la scena al di sopra della sua spalla, alzandosi in punta di piedi.
Lui si era voltato bruscamente, punto nel vivo. “E perché dovrei?” aveva esclamato.
Bessie aveva sorriso, dandogli una spintarella contro la spalla. “Non essere arrabbiato, Sirius. Lui è felice!”
“Non lo conosci neanche!” aveva borbottato lui, nervoso. Bessie aveva respirato a fondo, pazientemente.
“Beh, hanno l’aria felice” aveva replicato con semplicità. Lui aveva strabuzzato gli occhi a quella replica esatta dell’osservazione dell’amico di pochissimi minuti prima.
“Ok, tu e Remus siete i due mostri nella mia vita o qualcosa del genere, giusto?”
Lei non gli aveva risposto direttamente, continuando a guardare la coppia che passeggiava per Hogwarts, dimentica di tutto. “Così sono nella tua vita...” aveva commentato con un sorrisetto malizioso.
Lui si era voltato confuso. “Ehi!!! Io non...” aveva provato. Si era bloccato però, incerto su cosa dire. Era tornato a guardare gli altri due come per prendere tempo. Alla fine, dopo un lungo sospiro, aveva ripreso. “Magari potremmo andare al luna park qualche volta.”
Bessie aveva sorriso. “Magari.”


Non era sempre andato tutto bene.


Sirius le aveva chiesto degli appunti di una lezione che si era perso pochi giorni prima; Bessie aveva finto di storcere il naso perché aveva marinato Incantesimi per qualche prodezza delle sue in compagnia di Minus, però glieli aveva promessi. Le cose andavano meglio, fra di loro: ancora non erano andati al Luna Park, ma insomma sembrava che quantomeno riuscissero a stare nella stessa stanza senza creare il caos.
“Ti piace, ti piace, ti piace!” la canzonava Tonks, inseguendola per tutto il dormitorio mentre cercava contemporaneamente di sfilarsi il pigiama dalla testa; portava una tutona intera e felpata, con degli animali strani disegnati addosso, per cui la procedura risultava in realtà un tantino difficoltosa.
“Sai che novità”, aveva sbuffato Lily.
“Senti bene tu” l’aveva allora interpellata Bessie, rinunciando a rivolgersi ad una Tonks completamente dispersa all’interno di un mondo felposamente colorato; forse non l’avrebbero rivista mai più. “Non credi di avere altri problemi di cui occuparti?”
“Che intendi dire?”
“Datti una mossa con quel povero ragazzo, Lily! Lo stai facendo crepare!”
“Secondo te non... lo tratto bene?” aveva fatto lei, perplessa.
“State insieme, ma continui a tenerlo sulla corda... questo non è carino.”
“Ma che dovrei... voglio dire, lui è sempre Potter, no?”
Bessie aveva sorriso dell’insicurezza dell’amica. Con affetto le aveva posato una mano sulla spalla. “No che non lo è.”

“Uhm... credi che dovremmo recuperarla?” aveva biascicato Lily poco più tardi mentre si lavava i denti, riferendosi a Tonks ancora preda del suo personalissimo mondo pigiamoso.
“E non sputacchiarmi addosso!” aveva protestato Bessie. “Se la caverà da sola... non vuole anche lei diventare un Auror?”
“Già” aveva commentato l’altra con una smorfia, indicandola con lo spazzolino con aria da professoressa severa. “Voi due mi farete ammalare!”
“Saremo una buona pratica per una guatitrice”, aveva replicato l’altra con un sorriso a trentadue denti. Lily aveva scosso la testa, infilando la faccia sotto il getto dell’acqua fredda.
“James è innamorato di te”, l’aveva rassicurata Bessie quando era riemersa; Lily non aveva potuto fare a meno di notare che, per la prima volta, l’aveva chiamato per nome.
“E’ senza speranza”, aveva continuato la ragazza. “L’altra sera, quando ti sei ubriacata, è rimasto lì per un pezzo solo a guardarti dormire, e ti assicuro che non eri un bello spettacolo!” aveva aggiunto sghignazzando, e schivando l’asciugamano che l’altra aveva lanciato a mo’ di proiettile. “E quando se n’è andato ha preso un cestino e te l’ha messo lì di fianco, nel caso ti svegliassi e ti venisse da vomitare. Lasciatelo dire Lily, è schifosamente premuroso! Quasi quasi volevo usarlo io, quel cestino, vista la scena.”
“TI PIACE!!!” aveva annunciato Tonks, irrompendo trionfante nel bagno dopo essere riuscita a liberarsi. Approfittando del diversivo, Lily era arrivata alle spalle di Bessie e le aveva mollato un pizzicotto memorabile al fondoschiena non più protetto dalla stoffa del pigiama.

Bessie, dopo aver perso più tempo del solito per prepararsi (ovviamente solo perché il tempo era incerto e bisognava avere cura di essere pronti per ogni evenienza, aveva pensato dando le spalle alla finestra da cui entrava un sole splendente), si era recata canticchiando all’appuntamento. Aveva con sé i quaderni che doveva prestare a Sirius per quella lezione; magari l’avrebbe invitata a bere qualcosa il seguente fine settimana a Hogsmeade, per ringraziarla. In fondo le aveva già chiesto qualcosa del genere, no?
Aveva raggiunto l’angolo di cortile in cui doveva aspettarlo, rabrividendo appena per il filo d’aria che si era alzato; aveva ammirato il sole che iniziava a calare, sedendo accanto ad un masso dalla forma strana.
Sirius, intanto, stava chiacchierando amabilmente con Rosie Doll. La ragazza scrollava a più riprese i boccoli rossicci, raccontandogli alcuni episodi che entrambi trovavano piuttosto buffi.
“Ehi, ho della burrobirra da me”, aveva proposto lui ad un certo punto. “Ti va un goccio?”

Più tardi, Sirius era entrato in un’aula grattandosi la punta del naso con aria sorridente. Tonks gli si era avvicinata quatta quatta, sorprendendolo alle spalle.
“Tonks!” aveva esclamato lui scorbutico, cercando di scrollarsela dalle spalle.
“Hai un’aria troppo soddisfatta perché non desiderassi spettinarti, Black! Dove hai lasciato la mia ragazza?”
“La tua... ma di che blateri, ora?” aveva replicato spazientito. “Senti, non ho tempo da perdere, stavo cercando Elizabeth: sai dirmi dov’è?”
“Stavi cer...” aveva balbettato lei confusa. “Avete cambiato l’ora dell’appuntamento? Credevo doveste trovarvi alle quattro e trenta” aveva concluso gettando un occhio al grande orologio che, dalla parete, la salutava segnando le sei meno un quarto.
Sirius l’aveva guardata, sbarrando gli occhi. Tonks gli aveva restituito lo sguardo. Un secondo prima che lei intuisse (e, probabilmente, lo facesse fuori sul posto), aveva capito ed era scattato verso l’uscita. Non aveva nemmeno pensato ad una delle sue solite scorciatoie; si era limitato a correre più rapido che poteva, saltando gli scalini tre a tre e facendosi largo con malagrazia tra la gente che si trovava davanti. Si era fermato solo una volta arrivato alla radura, piegandosi sulle ginocchia con il fiatone. Lei era lì.
Seduta con le gambe raccolte tra le braccia, appariva un po’ infreddolita e gli sorrideva. Sirius aveva sentito un sollievo incredibile crescergli dentro e, allo stesso tempo, una specie di sgomento.
“Mi spieghi perché cavolo sei ancora qui?” l’aveva apostrofata, e la voce gli era uscita un po’ più tagliente di quanto avesse inteso. Bessie aveva modificato istantaneamente espressione. “Per farmi sentire ancora più colpevole?” aveva continuato, arrabbiato.
“Che cosa?!” aveva esclamato lei alzandosi in piedi stupefatta. “Tu sei arrabbiato con me?!”
“Non farmi la scena, ora!”
“Oh, Sirius Black... di tutte le tue stramberie, di tutte le cose stronze che puoi avere fatto, questa è la più... la più... oh, al diavolo!” aveva concluso, facendo per andarsene. Lui aveva provato a fermarla.
“No, aspetta!” aveva gridato, standole dietro. “Non di nuovo Elizabeth... per favore...”
“Potevi pensarci prima.”
“No senti, davvero... non buttare via tutto adesso, noi... andavamo d’accordo, no?”
“Ah, quindi sarei io la cattiva?” aveva risposto lei guardandolo dritto negli occhi, aspra; Sirius aveva abbassato lo sguardo. Bessie aveva scosso il capo, tornando indietro di qualche passo ed appoggiandosi alla roccia su cui era stata per così tanto tempo che non sentiva più le gambe. “Dovremo parlarne, prima o poi.”
Sirius l’aveva guardata stupito. “Di cosa?”
“Beh... di questo, no?” aveva spiegato allargando le braccia. “Voglio dire, del fatto che noi... sì, non noi, io... c’è il fatto che io ho questi, questi...” aveva esitato “sentimenti, per te, e tu sembri... ecco, non... non averli...”
Sirius l’aveva studiata con attenzione, rimanendo in silenzio per pochi istanti. “Io, ah... forse hai bisogno di un corso.”
“Un corso?”
“Sì. Di grammatica” aveva concluso con un sorriso dei suoi.
“Va bene, senti” aveva risposto lei arrendendosi, mentre si apprestava ad andarsene “non importa. Io ci ho provato. Devo andare ora.”
“Nonononono, scusa. Scusami” l’aveva interrotta lui, serio. “E’ che tu sei nervosa, accidenti! E questo mi rende nervoso. Cioè, non sei neanche nervosa...”
“Ah no?”
“No!” aveva protestato puntando un dito verso di lei, la voce più su di un’ottava in un modo detestabilmente poco virile. “Tu... quando sei nervosa parli, e straparli, e sei così... così veloce che nessuno riesce a starti dietro, e dici tante di quelle cose.. a volte ho il sospetto che di tutte le parole che usi ne inventi anche qualcuna, va bene? E insomma, adesso invece fai tutte... tutte queste pause ed esitazioni e, ah... io non... non so come prenderti, e... e...” si era interrotto, ridacchiando. “E forse a questo punto ho bisogno di un corso anch’io.”
Bessie aveva sorriso. “Devo proprio andare ora, Tonks mi sta aspettando. Non fa niente, dai...” aveva spiegato con gentilezza.
Sirius però, senza più riflettere, senza più pensare a cosa stava facendo, solo cercando un altro modo per trattenerla, per non lasciarla andare ora che erano scoperti perché sapeva che in quel caso forse non sarebbero più riusciti a mettere a posto le cose, era corso verso di lei.
E l’aveva abbracciata, tenendola così stretta che a lei era sembrato di morire.


Naturalmente, aveva finto di nulla di nuovo. Per settimane si era comportato come se niente fosse, come se tutte quelle parole, quell’abbraccio, non ci fossero mai stati. Bessie era esasperata.
“Dai, non te la prendere” aveva cercato di consolarla Lily, sedendo sul letto in cui Bessie era confinata per qualche giorno per via di un’influenza che si era presa. “Ti.. ti porterò gli appunti delle lezioni che ti sei persa, va bene?”
“Grazie, Lily” l’aveva ringaziata lei con un sorriso.
Il mattino dopo, quando si era svegliata, una sedia stava di fianco al suo letto, come se qualcuno ci avesse trascorso tutta la notte. Aveva sorriso di nuovo, trovando sul comodino un quaderno rosso di pozioni, chiedendosi come avrebbe potuto ringraziare l’amica di tanta gentilezza. Quando l’aveva aperto per sfogliarlo, però, aveva notato una grafia a lei sconosciuta, fortemente inclinata verso destra e spigolosa. Non era assolutamente di Lily.
“Ma allora chi...?” si era chiesta, sbalordita. Poi, per la quarta volta, aveva sorriso stringendo quel quaderno al cuore.


“E dai Sirius, non brontolare continuamente!” aveva protestato debolmente Peter Minus un paio di giorni dopo, investito in pieno dalle invettive dell’amico.
“Pete ha ragione, Sirius” l’aveva ammonito Lupin, squadrando severamente la situazione abbastanza comica dell’amico che, costretto a letto, se ne stava lì a lamentarsi della retta via che non porta mai niente di buono. “Non ho ancora capito come diavolo hai fatto ad ammalarti, ma questa è solo colpa tua che te ne vai a scorrazzare di notte con James, quindi perché non la pianti di dare la responsabilità a chissà chi e te ne stai buono? Ti porterò del latte caldo!” aveva concluso, uscendo rapidamente dalla porta.


Davvero, non era sempre andato tutto bene.



Sirius era furioso. “Ti ho detto di non impicciarti!!!”
“Ma io pensavo...”
“Non avevi nessun diritto di provare a farmi fare pace con la mia famiglia, Elizabeth!”
Bessie si era fatta più piccola, spaventata da quell’eccesso d’ira rivolto verso di lei. “Scusa Sirius, mi spiace! Volevo solo...”
“Non puoi volere solo, Elizabeth!” l’aveva interrotta con un gesto spazientito. “Non puoi!!! Tu... chi sei tu? Voglio dire... in fondo, chi sei tu nella mia vita?!”



Lupin aveva incrociato le gambe, sedendosi per terra accanto a Bessie.
“Lo sai, Sirius non è una persona cortese.”
“Lo so.”
“Ma tu non conoscevi la situazione con la sua famiglia.”
Bessie aveva sospirato, tirando su col naso. “Sbaglio così tanto, eh Remus?”
“Lo sai” aveva iniziato lui, grattandosi la cicatrice che gli attraversava il volto. Quand’era nervoso, a volte, gli prudeva da matti “Se fossi Sirius vorrei ringraziarti.”
“Rin... graziarmi?”
“Beh, trovo adorabile che qualcuno possa fare questo errori per me... c’è così tanto amore, dentro!”
Bessie era arrossita, nascondendo la faccia tra le ginocchia senza sapere cosa dire.
“Coraggio” aveva continuato lui, alzandosi in piedi e porgendole la mano. “Andiamo a comprarci qualcosa di buono da mangiare!”




* * *



Bessie si era fermata, annusando l’aria come quando sentiva in anticipo l’arrivo della neve. Strane forme crepitavano nel caminetto, creando giochi di luci ed ombre alle pareti.
“Balthazar” aveva pronunciato piano, socchiudendo gli occhi. “Sei tornato.”
“Non proprio” aveva replicato il grosso animale, mostrandosi con un balzo elegante. “Volevo vedere se ti eri persa.”
Bessie aveva ridacchiato piano. “Non fare lo kneazle, ora!”
Lui aveva mosso la coda a scatti un paio di volte.
“Mi sei mancato” aveva spiegato lei. “I miei capelli si sono sentiti molto vuoti, ultimamente.”
“Ma ne hai avute di cose da fare”, aveva osservato lui andando a posare una zampa nel suo grembo.
“Balthazar, il fatto che tu sia qui... lo sai?”
Lui aveva abbassato gli occhi. “Lo so.”
“Come faremo ora?”
“Forse dovresti riposarti ancora un poco.”
Bessie l’aveva guardato sbalordita. “Tutto questo...” aveva balbettato, indicando la pietra a poca distanza da lei “Sei stato tu?”
“Quello... ti servirà, fra poco” aveva spiegato senza rispondere, indicando con il muso la tasca in cui teneva lo spegnino. “Conservalo con cura.”
“Io non... va bene, ma tu che stai facendo? Che significa questo? Sparirai di nuovo, adesso?” aveva domandato, una strana luce negli occhi.
“Tornerò” aveva annunciato il grosso gatto scomparendo dietro un angolo buio, e già Bessie sentiva le palpebre farsi pesanti come i pensieri che le accompagnavano.




* * *



“E’ inutile” aveva esclamato Tonks, grattando con il cucchiaino il fondo del suo vasetto di yoghurt “non ne sei fuori, non ne sei fuori per nulla.”
“Ma no, non è possibile!”
“Allora hai delle questioni irrisolte con tuo padre” aveva commentato alzando le spalle e ficcando la faccia direttamente nel vasetto. L’altra l’aveva guardata storto. Fuori dalla finestra il sole era pallido: stava iniziando ad abituarsi a quelle finestre piccole, Bessie: ormai era un po’ che abusava dell’ospitalità dell’amica, da quando si era lasciata con Sirius.


“Le manchi!!!” aveva annunciato James, trionfante, alla notizia che Bessie aveva chiamato Sirius per vederlo. “Lo so che le manchi!”
“Cerchiamo di tenere la testa sulle spalle, eh?” aveva brontolato Lupin, fissando ora l’uno ora l’altro “E uno sposino novello non mi sembra il personaggio più adatto al riguardo.”
“Oh, e va bene!” aveva brontolato lui, voltandosi seccato a controllare l’alluce che iniziava pericolosamente ad occhieggiare da uno dei suoi calzini. Doveva ricordarsi di farlo notare a Lily. “A me mancheresti, Pads!”
“Sì” aveva sghignazzato Peter “ma tu non hai due grandi e languidi occhioni blu come il cielo!”
“Ehi! Piano, d’accordo?!” aveva esclamato Sirius, tirando un buffetto piuttosto forte sulla testa del ragazzo; sembrava arrabbiato, e Peter aveva mugolato qualche parola che suonava come una scusa.
“Pensi di andare, Sirius?”
Lui aveva guardato Remus negli occhi per alcuni istanti, come cercando la risposta giusta dentro di loro. Poi aveva alzato le spalle con un sospiro, provando a suonare noncurante. “Sì.”


“Proprio non capisco” continuava Bessie. “Voglio dire, Louis è così carino, giusto?”
“Giusto” aveva assolutamente concordato Tonks, lanciando di lato il vasetto ormai vuoto.
“Insomma, c’è questo ragazzo fantastico che mi ha chiesto di uscire con lui, ed è intelligente e premuroso, e...”
“Oh, se lo è! Quando ti ha presa in braccio per via del dolore al ginocchio l’altro giorno, lì davanti a tutti, ho pensato che se non te lo sposi tu lo faccio io! Te lo giuro!”
“Grazie per l’aiuto, Dora” aveva commentato lei, senza nascondere il sarcasmo. L’altra aveva alzato le spalle.
“Quando vuoi.”
“Allora perché diamine io penso ancora a Sirius? Sirius che mi ha ferita e ferita e ferita, e non ha fatto altro che ferirmi tutto il tempo? Io... c’è qualcosa di sbagliato in me?!” aveva domandato, annaspando sull’orlo di una momentanea disperazione.
Tonks aveva addentato una mela. “Assolutamente”, era convenuta.

“Senti... parlagli, ok?”
“A Sirius? Non esiste!!!”
“Ma non gli avevi già chiesto di farlo? Insomma Bes, devi fare qualcosa, mettitelo in testa!”
“Beh, forse io potrei... potrei...”
“Oh” aveva crollato il capo Tonks, arrendendosi. “Almeno con Louis.”
“Con Louis? Oh, ma lui è così gentile!”
“Ecco perché gli parlerai bene della tua amica Tonks.”
Bessie l’aveva guardata storto.
“Ecco perché devi parlargli”, si era allora corretta lei, tornando seria. “Dai, Bes” l’aveva incoraggiata dolcemente.


Sirius li aveva visti proprio mentre Louis usciva dalla casa in cui Bessie si trovava, dopo aver passato tutta la notte a parlare. Lei l’aveva accompagnato all’uscita, rimanendo a guardarlo per qualche istante senza sapere bene che dire, poi lui con un sorriso gentile si era avvicinato e le aveva dato un bacio su una guancia, prima di sparire.
Sirius li guardava, pietrificato. James al suo fianco fissava la scena con altrettanta sorpresa, mentre la sua testa andava per conto suo.
Fa’ che mi lasci colpirlo, fa’ che mi lasci colpirlo!, diceva. Si era schiarito la voce, cercando di mantenere un certo contegno.
“Ehm... esiste una qualsiasi possibilità che la nebbia mattutina ti abbia impedito di vederli?”



* * *



Questa volta Bessie si era riscossa del tutto.
“Balthazar?”, aveva chiamato. Un rumore come di qualcosa che cadeva aveva interrotto i suoi ricordi e lei aveva lanciato un’ultima occhiata nostalgica alla pietra ora spenta, abbandonata sulle preziose piastrelle nere del pavimento. Si era alzata in piedi con cautela, avvicinandosi alla porta per scoprire da cosa fosse stato provocato quel suono. Veniva dalla cucina, aveva pensato cercando di mantenere la calma. Ed ora chi...?








< I once knew a girl
In the years of my youth
With eyes like the summer
All beauty and truth
In the morning I fled
Left a note and it read
Someday you will be loved.

You'll be loved you'll be loved
Like you never have known
The memories of me
Will seem more like bad dreams
Just a series of blurs
Like I never occurred
Someday you will be loved…>

Someday you will be loved – Death Cab For Cutie





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Capitolo 64
*** Grimmauld Place, 64. ***


Ho fatto il conto; avevo detto quattro capitoli ma poi sono diventati cinque, questo che state leggendo compreso, perché ne ho diviso uno in due piccoli. però questa è la cifra definitiva, perché anche se continuo a limare e apportare piccole modifiche (infatti pubblico per dare un taglio a queste continue piccole rivoluzioni), la storia è davvero finita. Almeno quella che racconto qui. Chi non ne poteva più sarà sollevato, immagino (o almeno lo sarà fra 5 capitoli)... per gli altri sappiate che però ho in serbo ancora un paio di sorpresine: per esempio dopo l'ultimo capitolo pubblicherò una Timeline per chi volesse orientarsi nel groviglio dei ricordi riguardanti gli anni dei Marauders a Hogwarts... è stato un lavoraccio per sistemarli!!! Ma eccoci sotto col quintultimo capitolo...



Grimmauld Place, 63.


169.
Dopo che hai pianto tutta la notte le lacrime sembrano pioggia sul tuo viso, e forse - se sarai fortunata - si accorderanno al tempo che c’è fuori permettendoti di non accorgertene. Poi però la luce arriva, e devi tornare efficiente nei tuoi panni laceri di essere umano. Anche se non hai più dubbi sul mondo come luogo freddo e crudele. Anche se in te qualcosa muore, porterai la gioia.



In the early mornin’ rain
With a dollar in my hand
With an achin’ in my heart
And my pockets full of sand
I’m a long way from home
And I missed my loved on so
In the early mornin’ rain
And no place to go.

In the early mornin’ rain – Bob Dylan



E se qualcun’altro, là fuori, ora si sentisse come te?



170.
Quando era uscita nel corridoio Bessie si era mossa con la massima cautela possibile, pronta ad affrontare qualunque nemico potesse pararlesi davanti. Cercava di mantenersi lucida, riflettendo su chi potesse essere senza mettere un piede in fallo, ma niente aveva impedito lo sbalordimento che l’aveva investita in pieno quando si era trovata di fronte Remus Lupin.
Remus!, aveva pensato, sentendo che soltanto il suo nome bastava a crearle dentro una straordinaria lotta tra il sollievo che le aveva istantaneamente riscaldato gl’incubi e lo sgomento che cresceva ramificandosi in tutti gli arti del suo corpo, paralizzandoli e seccandole la lingua. Non osava muoversi, fare un passo né verso di lui né per allontanarsi da lui, e guardandolo si era accorta che era fradicio dalla testa ai piedi. Solo allora si era resa conto di esserlo anche lei. Quell’aria stanca, Remus, è la mia che si specchia nei tuoi occhi? Non ti sei materializzato fino a qui, vero? Tu hai corso.
Aveva freddo.
Ancora una volta, mi hai trovata.
Lui la guardava, con quello sguardo infinitamente dolce e paziente, e Bessie aveva dovuto lottare con tutte le sue forze contro il desiderio di abbracciarlo, di farsi abbracciare; si era dovuta aggrappare alla maniglia della porta fino a farsi sbiancare le nocche.
Remus continuava a guardarla soltanto, lasciandola su spine terribili: non sapeva che fare, Bessie, rimanendo schiacciata contro la parete e tormentandosi una ciocca di capelli come se sperasse di vederci sbucare Spiffero come ottimo diversivo. Spiffero però non c’era, e lei lo sapeva.
Quando Remus aveva parlato la sua voce era profonda e gentile come sempre, ma diversa. Era Remus, era sempre Remus, ma era anche un Remus nuovo, che le stava domandando qualcosa che andava oltre le parole pronunciate.
“Andiamo a casa, Eliza.”

Come puoi chiedermi questo? Come puoi non capire? Tonks è mia amica!
Lui solo la guardava. Aspettava, gli occhi velati di uno sconforto da cavare il cuore.
“Ti prego” aveva mormorato, le mani ficcate nelle tasche dell’impermeabile. Era un impermeabile logoro e sciupato, sfinito come chi lo portava addosso; come un cappotto che ha solo bisogno di una mano da stringere, per riposarsi da tutta quella sofferenza.
Ma... è la mano sbagliata...
Bessie era indietreggiata di un passo, facendo segno di no con la testa. Lupin aveva spalancato gli occhi nel seguire il suo movimento, sempre senza parlare. Non serviva. I suoi sentimenti erano una lama dritta nel petto dell’Emagus, lo trapassavano con ferocia, costringendola a portare le mani a coprire lì dove faceva più male, per timore che lo squarcio si vedesse.

E poi all’improvviso Tonks era lì, non sapeva se ci fosse sempre stata o se fosse arrivata soltanto in quel momento, ma era arrabbiata ed era corsa verso di lei, e senza uno straccio di spiegazione le aveva assestato un sonoro schiaffo sulla guancia.
Così, di colpo.
“Bes, idiota, piantala!!!” aveva sbraitato. “Ci sono stati tutti questi anni di mezzo, e... e Voldemort, e tu ancora pensi che basti un bisticcio a separarci?!”
Bessie l’aveva squadrata con sopresa, ripensando alla discussione dell’ospedale dopo la quale non si erano praticamente più parlate. “Non è per il bisticcio, lo sai” aveva replicato seria, spostando istintivamente lo sguardo dalla sua mano a quella di Lupin. Tonks, inaspettatamente, era scoppiata a ridere. Era una risata strana, nervosa, ma in qualche modo era anche - aveva sentito Bessie - straordinariamente sincera.
“Tu... non hai mai capito! A volte mi chiedevo come fosse possibile...” aveva continuato incrociando le braccia. “Voglio dire, eri tu l’emagus della situazione, no? E allora perché Lily sentiva certe cose che tu non sei mai riuscita a vedere?”
Bessie aveva inclinato lateralmente il capo, confusa. “Che dici?”
Tonks aveva scosso la testa. “Non c’è niente che possa allontanarmi da te, Bes. Niente.”
Parlava con voce quasi sussurrata, le palpebre abbassate a ridurre gli occhi ad una fessura, e Bessie la guardava senza capire. “Dora, io non voglio che tu-”
“Ascoltami, Bes” l’aveva interrotta l’amica posandole le mani sulle spalle. Poi ci aveva ripensato, allontanandosi di mezzo passo. “Oh senti, non voglio che questa cosa diventi un affare di stato!” si era spazientita. “E’ solo che tengo a te più che a chiunque altro.”
Bessie era basita. La fissava, incerta su quello che credeva finalmente di vedere, cercando di riconoscere in lei l’amica che l’aveva accompagnata per tutti quegli anni. Aveva seguito il profilo del suo naso un po’ a patata, un naso imperfetto ma così socievole, con quel nuovo orecchino a forma di fiore! Aveva seguito i ciuffetti indisciplinati che Tonks si allontanava dagli occhi con uno sbuffo un po’ comico, e improvvisamente non ci aveva trovato niente di comico. “Più che...” aveva boccheggiato lentamente.
“A chiunque altro” aveva completato lei, tranquilla. “Tieni!” aveva aggiunto lanciandole il suo portafogli, nel quale teneva delle foto: Tonks e Bessie che facevano le boccacce, Bessie e Lily che le pettinava amorevolmente i capelli una domenica mattina, Tonks e Bessie ancora, prese alla sprovvista, poi soltanto Bessie che non si era accorta di essere fotografata e sedeva pensosa come una Madonna; un’altra con loro sei tutti insieme, ed un’altra di Bessie che rideva, appena sveglia ancora sotto le coperte. “Non è Remus,” aveva commentato con voce roca “non lo è mai stato.”
Bessie non sapeva che dire. Guardava le fotografie e poi l’amica come se la vedesse per la prima volta. Era arrossita violentemente. “Io...”
Tonks aveva sorriso per rassicurarla. “Non m’importa il modo che scegli per essere felice, Bes. Mi basta che tu lo sia.”
“Tonks, io, ah...”
“Lascia stare, lascia stare!” aveva concluso con un cenno allegro. “Sono abituata a guardarti da lontano, in un certo senso.”
Si era allontanata di pochi passi per raccogliere la pietra e lasciare che lei potesse tornare a confrontarsi con Lupin senza qualcuno in mezzo. Bessie allora si era voltata verso di lui che la guardava, se possibile, in modo ancora più dolce. Le aveva teso la mano.
“Vieni”, la invitava.
Lei, però, sentiva che il discorso non era ancora chiuso; tentando di non palesare il turbamento era tornata a cercare con lo sguardo l’amica di sempre.
“Sai Dora, io... una volta mia madre voleva assistere alla prima di una mia esecuzione, anni fa. Però mi sentivo nervosa, così l’ho pregata di non venire proprio il primo giorno, perché la sua presenza mi avrebbe fatta sentire ancora più insicura. Lei non capiva, non... capiva perché. Allora le ho chiesto” aveva ridacchiato “Se non puoi mancare, almeno con me fingi di non esserci! Non me lo dire se vieni!”
“Tipico di te!” aveva aveva asserito lei scrollando la chioma bluastra, molto corta.
“Di me? Di me? Tonks, miseriaccia! È che lei ha questo modo tutto suo di esaminarti, e... e tu non capisci più niente di quello che vuoi, dopo! Una volta abbiamo litigato perché lei voleva farmi confessare che avevo mangiato io i sottaceti che aveva lasciato in cucina, e dopo quello sguardo, be’... ci è quasi riuscita!”
La ragazza aveva sollevato un sopracciglio. “A te non piacciono i sottaceti” aveva obiettato.
Infatti!” aveva protestato lei, sbattendo il dorso della mano destra contro l’altro palmo. “E’ lei che mi confonde.”
Tonks aveva sghignazzato in modo un po’ strozzato.
“Te lo ricordi... un anno fa abbiamo litigato a causa sua... quella storia del saper fare gli incanti casalinghi, con mia madre che disapprovava il mio non essere una ragazza perbene che rimane in casa per l’uomo che ama e tutto il resto... te lo ricordi” aveva ripetuto, e non era una domanda; Tonks si era appoggiata alla parete, attendendo il resto.
Si era guardata intorno, cercando Lupin con lo sguardo come a volersi rincuorare. “Mi spiace per quella volta, Dora. Io... non volevo nasconderti qualcosa di me. Ma lo sai com’è sempre stato il rapporto con lei... capisci cos’ha significato per me svegliarmi con quel ricordo? La sua prima visita in ospedale all’unica figlia che aveva e che forse non avrebbe mai più riaperto gli occhi, e lei diceva... che finalmente, alla fine, mi ero sacrificata per un uomo?”
Erano rimaste in silenzio per diversi minuti. Poi Tonks si era staccata dal muro con un leggero colpo di reni. “E’ venuta spesso a trovarti.”
Amabile da parte sua, no?” aveva replicato, senza nascondere il sarcasmo nella voce.
Tonks aveva raccolto la pietra da terra. “È ora”, aveva annunciato. Aveva lanciato uno sguardo agli oggetti sparsi confusamente per terra lì accanto.
“Ho provato... a fare un bagaglium, prima” aveva spiegato Bessie a quell’occhiata. “Volevo portare con me alcuni oggetti che avevo lasciato qui. Ma poi non ce l’ho fatta. Era un incanto così semplice, e non mi è riuscito!”
L’amica le aveva sorriso con indulgenza. “Significa che è davvero ora, Bes.”
“C’erano... anche quei fazzolettini alla mela che abbiamo finito col mangiarci la volta in cui siamo rimasti con Sirius e Remus chiusi per ore nel ripostiglio delle scope perché non volevamo interrompere Lily e James che litigavano, ricordi?”
Lei aveva annuito. “Ci chiedevamo preoccupati se sarebbero rimasti insieme, e dopo un’ora io l’avevo proposto ma tutti mi guardavate come una pazza... invece dopo altre tre ci sono sembrati talmente buoni!”
“Dio, quante volte mi sono capitate scene simili... una volta Lily stava spiegando una lezione a Peter, io sono piombata lì per aiutarli e chissà come ci ho chiusi dentro l’aula per cercare di riparare un cardine della porta, e non siamo riusciti a liberarci finché non è arrivato Lumacorno! Peter era talmente spaventato!” aveva concluso con una smorfia.
“Beh, poi c’è la volta in cui tu e James vi siete persi nelle tubature... non era proprio un rinchiudervi, ma sta di fatto che non riuscivate più ad uscire!”
“Una volta io e te abbiamo chiuso Sirius e James nelle cucine... ricordi? Eravamo così soddisfatte... almeno finché non abbiamo iniziato a chiederci quale delle due coppie fosse effettivamente dal lato fortunato della porta!” aveva sghignazzato. Tonks era tornata ad avvicinarsi a lei, aveva sussurrato ad un centimetro dal suo viso.
“Bes... coraggio!”
Bessie aveva guardato un’ultima volta gli oggetti sparsi.
“Non ci sono riuscita” aveva commentato, lasciando vagare lo sguardo per tutta la porzione di casa che riusciva a comprendere.
Sono tuoi, ora.
Era tornata al presente, e Tonks era scomparsa mentre Remus era ancora lì che la guardava, la mano tesa nell’identica posizione di prima. Avrebbe voluto ridere. Lui era come quella canzone... John Wesley Harding. He trav’led with a gun in ev’ry hand. But he was never known to hurt an honest man. Era davvero così - e lei sentiva, guardandolo negli occhi, guardandogli con tenerezza infinita la mano che le porgeva, che tutte le preoccupazioni scemavano dal suo cuore sconfitto.
Mi aspetterai per sempre?
Bessie aveva mosso alcuni passi, arrivando infine a lasciare che lui prendesse la sua.



171.
Si erano materializzati oltre i cancelli della scuola, varcandoli per raggiungere il cortile. Bessie aveva strizzato gli occhi per abituarsi all’improvviso buio, rischiarato solo dalle finestre illuminate poco più in fondo. Lupin le stringeva ancora la mano, la contemplava con una strana gioia negli occhi; grave, ma soffusa in tutto il volto. Lei, forse imbarazzata, si era avvicinata ad una pozza d’acqua cercando di specchiarcisi; aveva fatto un movimento con il piede come per spruzzarlo.
“Sei sempre stata così” le aveva detto, sorridendo gentile. “Te ne vai in giro per il mondo con quest’aria perplessa, con una specie di fragile incertezza, e poi giri l’angolo e ti metti a calpestare le foglie secche lungo la strada come se non avessi aspettato altro che giocare tutto il tempo!”
Scuoteva la testa con infinito affetto mentre parlava. Bessie si era aggrappata al suo braccio, per un attimo spaventata all’idea di rispondergli. Avrebbe voluto che lui le dicesse cosa fare.
Ogni volta che ti allontani da me, è come pioggia che torna. È come se semplicemente non sapessi più muovermi. È sempre stato così, allora perché adesso è diverso?
Riuscirò a lasciarlo? Potresti dirmi cosa fare per favore, ancora una volta? Solo un’altra volta. Ho bisogno della tua sicurezza qui per me, della tua forza così ben nascosta se non ai miei occhi. Perché io proprio non lo so, riuscirò ad andare avanti lasciandomi il resto alle spalle?
Riuscirò ad andare avanti, portando il passato con me?

Eppure sapeva di dover restare sola.
“Senti... tu vai avanti, eh?”
“Non vuoi entrare?”
“Tra un momento. Ho bisogno di parlare con loro” aveva spiegato indicando le piante del cortile e quel velo nero che era sceso assieme all’ora tarda. Aveva smesso di piovere. Intorno, solo un morbido odore di bagnato.
Lupin l’aveva stretta a sé come obbedendo ad un impulso inatteso a lui per primo. Solo il braccio le circondava i fianchi, e forse tutti gli orrori e le solitudini di quegli anni, tutte le lotte contro il suo sentirsi sbagliato, erano riaffiorate in quell’istante, in quell’unico gesto. A quel contatto sulla sua schiena Bessie era rabbrividita appena; poi lui l’aveva lasciata andare, salutandola con un sorriso incerto.
Per tutte le volte in cui ti sei fatta male. Per quando volevi parlare con Sirius e non ne avevi il coraggio. Per quando litigavi con lui, ed io ti consolavo, e Tonks ti ruzzolava addosso. Per quando uscivi in cortile a controllare che gli uccellini più piccoli non venissero derubati del cibo da quelli più grandi. Per ogni volta che tu e James vi siete persi da qualche parte. Per tutte le volte, Eliza, in cui mi hai guardato.
Non sono preoccupato.
Non hai mai mancato di dirmi dov’eri, o di lasciarti trovare.
Puoi dirmi che non t’importa, se serve a lenire il tuo dolore. Ho provato ad andarmene. Ho tentato, e poi ogni volta mi sono ritrovato a correre per cercare la tua mano. Ho provato ad andarmene.
Ti prego, lascia che io resti.


Lupin era entrato nella scuola. Quando aveva raggiunto la sala grande alcune paia di occhi lo scrutavano senza nascondere la loro perplessità.
“Bessie?” aveva domandato Molly Weasley, di ritorno dal capezzale del figlio.
“Ora entra”, l’aveva rassicurata lui accarezzandole una spalla.
“Non... sei con lei?” Harry lo guardava da sotto le lenti.
“Ora entra”, aveva ripetuto con un sorriso un po’ stentato.
Era intervenuta Tonks. “Adesso è solo con se stessa che deve lottare”, aveva sussurrato.

Sono sola. Nessuna stella brillerà nel cielo all’improvviso per farmi capire cosa devo fare, come succede nei film. Nemmeno tu.
Continuerò a respirare, senza sentirmi spaventata da quello che provo. Da tutto quello che provo, dall’inizio. Sono qui a guardarmi intorno... e in fondo Hogwarts è solo un altro modo per guardarmi dentro.


“La sentite?”, aveva chiesto Hermione.

Per quanto a lungo io viva, per quanto in alto io voli...

“Sta cantando.”

...Ci saranno sorrisi, ci saranno lacrime. È tutto quello che la mia vita sarà. E quando mi sembrerà di aver finito, penserò che è ora di ricominciare.

Per l’ultimo anno avevano preparato un campionario grandioso di striscioni. Volevano vincere la coppa di Quidditch come non avevano mai voluto nient’altro prima. Quanti pomeriggi passati sui progetti, sulle bozze, sui primi tentativi! Quanti sabotaggi tra Grifondoro e Serpeverde, quell’anno! Avevano dovuto rifarli quasi tutti, ad un certo punto della competizione.

Il modo in cui Lily l’aveva guardata il giorno in cui era arrivata in ritardo solo per guardare i fiori sbocciare, perché era primavera.
Il modo in cui James si perdeva a fissare Lily che raccoglieva quei fiori per farne una ghirlanda.

Anche se questo non è un film mi piacerebbe che in qualche modo annuissi, se mi puoi sentire.
Quanto lontano puoi essere andato?


Una volta Lily e James avevano affidato Harry a Remus. Con lui c’era Bessie che ci aveva giocato tutto il tempo, finendo per scrivergli delle formule magiche sul pannolino. Remus aveva allargato le braccia disperato.
Eppure sapevano di potersi fidare; Bessie non era mai semplicemente troppo istintiva, il mantenere certe naturali misure faceva parte della sua essenza di armonia. Una volta aveva domandato a James se fosse troppo emagus. Quello era stato uno dei “no” più caldi che avesse mai sentito in tutta la sua vita.
Alla fine Remus le aveva accarezzato la testa, e lei era arrossita.
Sirius invece ci si era dovuto abituare. Non era uso ad avere contatti con i bambini, a non poter avere filtri in questo modo con qualcuno, ed il piccolo Harry era stato per lui una grande palestra, una scoperta continua. Quand’era nato era andato in crisi più lui di Lily perché la sua fragilità lo terrorizzava, non aveva la più pallida idea di come si proteggesse un esserino tanto delicato da tutto quello che c’era nel mondo. Poi era talmente entrato nella situazione che, quando un giorno si era trovato a dover passare del tempo con una ragazzina di tredici anni, aveva finito col chiederle se aveva bisogno di aiuto per andare al bagno. Bessie aveva riso; pensava che avrebbe adorato vederlo diventare padre.

Quanto dovrò correre per raggiungerti, solo per lasciarti andare?

Quando Sirius si era arrabbiato perché James e Lily andavano in vacanza assieme, si era sentito abbandonato.
“Così è la fine di tutto? I Marauders, il resto... è semplicemente passato?”
“Guarda che anche tu hai una ragazza, Pads. Ho solo voglia di trascorrere del tempo con lei, non è che non torneremo mai più da Dublino fino alla fine dei tempi.”
Sirius, però, quando si trattava di Lily era particolarmente testardo. Così James era sbottato.
“Qual è il problema, Pads? Che quando saremo vecchi e decrepiti non sarà con te che litigherò per il telecomando?!”
Alla fine Sirius aveva annunciato con sussiego che se ne sarebbe andato, e poi l’aveva sorpreso alle spalle con un abbraccio soffocato. James aveva tentato di ridere senza esaurire il poco ossigeno che l’altro gli aveva lasciato a disposizione.
“Quando torno ce ne andiamo in campeggio tutti quanti, eh Sirius?”

È questo ciò che voglio?

La volta in cui Tonks aveva improvvisato delle doti recitative in mezzo alla strada perché credeva che i babbani scritturassero così gli attori per i film e lei voleva provare.

Quella in cui una ex di Sirius l’aveva lasciato per vendetta in boxer nei corridoi e a lui, maledetto, non era neanche dispiaciuto troppo che le ragazzine lo potessero rimirare al naturale.

Quella in cui Tonks aveva spinto in acqua James, che aveva trascinato Peter con sé.

Da qualche parte i labirinti hanno echi che mi raggiungono, mi portano una manciata di sabbia dal mare e lo sguardo di uno straniero che cammina lungo la mia stessa strada, qui nella nebbia.
Nessuno mi sta chiamando, nessuno mi sta facendo fretta. Nessuno mi sta obbligando a parlare.


Aveva litigato con James mentre lui l’accompagnava alle lezioni sostenendola per il braccio a causa di una benda agli occhi che doveva tenere per poche ore (la pozione di Peter, in coppia con lei, non era andata molto bene). Si era arrabbiata perché il ragazzo camminava lentamente, facendola sentire handicappata. James aveva reagito come un ragazzino, sedendosi a terra con la schiena appoggiata alla ringhiera; si era rifiutato di continuare e le aveva gridato dietro che tanto era troppo impedita per arrangiarsi.
Aveva sceso alcuni scalini senza troppi problemi, in verità; se non fosse che senza quella mano si sentiva sola. Poi aveva pensato a quando James, pochi minuti prima, l’aveva tirata bruscamente di lato per evitarle i commenti velenosi di Bellatrix. Di come, per una volta, avesse evitato lo scontro anziché cercarlo come l’aria. Aveva ripensato alla sua esclamazione improvvisa, a come avesse fatto un movimento che, dal buio, lei aveva giudicato innaturale per la sua gamba destra.
Aveva ridacchiato. “James Potter, quanto sei sommamente stupido!”
Ed anche tu, si era rimproverata. Non ti sei accorta che si è storto una caviglia?
Aveva ripercorso a ritroso quegli stessi, pochi scalini. Quando James l’aveva vista arrivare aveva sbuffato, facendola sorridere.
“Allora sei imbranata davvero!”
“Già”, aveva replicato lei andandosi a sedere al suo fianco.

Nessuno mi canta ninnananne perché chiuda gli occhi. Nessuno mi ha mai insegnato a non aver paura del buio. È solo da quando vi conosco che ho smesso di chiedermi se il mondo sparirà con il sonno, perché ho iniziato a sapere cos’avrei trovato al mio fianco quando avrei riaperto gli occhi.
Ero così sicura di noi!

Tonks che descriveva a James e Sirius il ragazzo con cui Bessie usciva dopo che si era lasciata con lui, gustandosi ogni loro espressione.
“Non è molto alto, vero?” provava lui.
“Non tanto alto, dici? Fammici pensare... beh, rispetto al monte Everest sì, hai ragione!”

Lily che aveva provato a cantare, e la sua voce incerta era così pura e cristallina che Bessie aveva pensato che non serviva essere Emagus, per mostrare il cuore.

Tutto quello che abbiamo sentito. Tutto quello che abbiamo toccato. Tutto quello che abbiamo assaggiato, provato ad ogni costo.
Tutte le volte che abbiamo pianto. Che abbiamo zoppicato. Tutte le volte che abbiamo sbattuto una porta.
Tutte le volte in cui non mi sono vergognata che mi vedeste cogli occhi rossi.
Sono per voi.
Tutto quello che dico, da quel giorno in poi. Come posso riempire i posti vuoti? Com’è possibile che mi sia svegliata, oggi, e per l’ennesima volta fossì tanto diversa da ora? Quando viene la notte guardo sempre la stessa stella.

Le volte in cui Sirius doveva lavorare e non poteva stare con lei.
Le volte in cui Remus arrivava con un nuovo sfregio dopo il plenilunio, e lei glielo fasciava.
Le espressioni di Sirius quando Lily si arrabbiava con lui.
Sirius che cucinava nella sua nuova casa.
Sirius che a sorpresa la andava a prendere in moto facendo lo sbruffone.
Remus che si stava vestendo quando lei entrava nella stanza, e restava a fissarla paralizzato ed imbarazzatissimo.

Tutto questo è surreale.
Se dico il tuo nome, è un’altra catena che stringo. È l’ennesima catena che stringo.
M’impedirai di andarmene?

Sirius che litigava con sua madre dopo che erano andati da lei, ed usciva di corsa sbattendo la porta. Lei lo rincorreva fino al parchetto in cui giocava da piccolo, restava a guardarlo lì fermo all’aria fredda, dimentico di tutto –anche della sua presenza. Non voleva disturbarlo, non sapeva a cosa stesse pensando, ma si era spaventata perché non parlava. Poi dopo un po’ lui si era voltato verso di lei, guardandola con quegli occhi grigi e indefinibili. “Hai freddo?”, le aveva chiesto con un mezzo sorriso.
Remus che allo specchio si guardava la cicatrice, sfiorandola attentamente con i polpastrelli che gli tremavano quando pensava di non essere visto da nessuno.
Sirius che in campeggio si tuffava nel lago con ancora metà vestiti addosso, felice di quell’animalesca libertà.
Remus che correva a cercarla subito dopo il plenilunio, ancora prima di dormire, ancora prima di lavarsi, solo per dirle che stava bene.
Sirius che salvava Alice Paciock durante una missione contro alcuni Mangiamorte.

Se vuoi dire qualcosa prima di andartene, io sono qui che ti ascolto.
È come se fosse passata una vita intera.
Forse ti arrabbierai con me. Lo farai, o sarai felice? Ci siamo detti addio così poco tempo dopo il nostro primo ciao! Ci siamo detti addio. Non dovrebbe importarmi così tanto.
M’importerà per sempre.

Non una singola parola cambierà tutto questo, e quello che provo per te. Vorrei sapere cosa pensi, ora. Se mi puoi vedere.
Sirius, riesci a perdonarmi?

Remus che le faceva un regalo un giorno in cui era abbattuta gridandole buon compleanno, e lei lo informava che non era il suo compleanno. “Lo so”, aveva risposto lui. “Ma non ci conoscevamo il tuo scorso compleanno, e forse ti serve di più averne uno adesso.”
Sirius che la guardava al matrimonio di Lily e James, così maledettamente attraente con quella camicia sbottonata, così intenso con quei capelli sugli occhi e l’aria di chi si è perso e ti sta chiedendo aiuto.
Remus che si scusava per quel regalo, diceva che sapeva che era terribile e non riusciva a finire la frase perché lei lo abbracciava così stretto da togliergli il respiro.
Sirius quando la baciava.
Sirius quando l’aveva baciata saltando dal terrazzo, il Natale precedente.
Remus che la salvava dai Mangiamorte rischiando tutto, l’estate in cui era tornata.

A volte sorridevi, e lo cerco così tanto ancora adesso! Ma è notte, e quando il domani arriverà, qualcosa sarà diverso. Rimarrai ad aiutarmi fino alla fine di oggi?
Mi piacerebbe brindare con te, stappare una bottiglia di vino. Di nuovo al tuo fianco, solo per un momento. Siamo stati a scuola insieme, siamo cresciuti, ed ora... siamo diventati adulti? Dove sono quei ragazzi ora?

Te ne sei andato troppo presto.

Remus che soffriva nella stamberga, e lei che accorreva lavando via il dolore con le lacrime, prima del bacio.
Sirius quando le aveva confessato di amarla, su quel divano frusto e sbrindellato.
Sirius quando le aveva dato quei fiori, impacciatissimo al loro primo appuntamento.
Remus quando si era fatto punire per scusarsi con degli striscioni che lei non aveva neanche visto.
Sirius quando imitava la McGrannitt.
Remus quando si preoccupava.
Remus quando la stringeva forte... dopo che Sirius era morto.

Guarderai dentro di me stanotte? Vuoi il mio sangue, le mie lacrime per te?
Dovrei cantare finché non mi resterà più voce?
Le immagini si fanno confuse, i volti si sovrappongono e si rovesciano, e Silente non è più qui a darmi un consiglio. Fatico a distinguere quale sia uno e quale sia l’altro.
Vorrei che fossi qui. Come un eroe, come l’amore. Tu. Ma adesso buonanotte. Sei felice per me?
Sirius, sei sereno adesso?

Arrivederci, arrivederci. Goodbye to you, my love.



172.
Erano riusciti a vedere anche loro, da dentro Hogwarts. Il canto di Bessie si era fatto sempre più alto, sempre più simile a quello che i babbani chiamano angelo. Avevano visto l’esibizione di Bessie l’ultimo giorno di scuola, nel suo primo settimo anno. Avevano rivissuto insieme a lei quella canzone, quelle parole che raccontavano gli anni migliori di tutta la loro vita, le lotte che sarebbero arrivate, il loro bisogno di restare vicini per superare la notte - anche se sembrava non dover finire mai. Avevano cantato con lei come alcuni di loro si sarebbero trovati, stupiti e pesti, di colpo adulti come guerrieri sopravvissuti ad una battaglia. Avevano, infine, pianto con lei nel momento in cui spiegava che quel giorno, per quanto lontani, avrebbero scoperto che in realtà non si erano mai perduti davvero.
Poi, quando si era fatto insostenibile, quando le immagini si erano confuse in un’unica, scintillante stella, di colpo era finita. Bessie si era accasciata con grazia, quasi come se anziché cadere sulla terra fosse stata un velo finito per sbaglio sul pelo dell’acqua.

“Hai bisogno di aiuto?” aveva domandato Moody a Lupin che si apprestava a raggiungerla. Lui si era fermato con la mano sulla maniglia del portone, guardandolo, e probabilmente a quel punto non sarebbe più servito nemmeno che parlasse.
“Ci sono persone” aveva bisbigliato con la sua voce roca e gentile “che vuoi portare con le tue mani.”





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Capitolo 65
*** Profezie, 65. ***


Rieccomi. Ci ho messo un po', questa volta, ma nel frattempo ho anche cominciato a ritoccare l'inizio come avevo detto... non so se qualcuno se ne sia accorto, ma le modifiche sono state fatte ai primi quattro (modifica del 26/12, prima erano 2, NdA) capitoli per il momento. Cosa vi sembra? Beh, a tutti voi un bellissimo e caldo Natale. Conosco fin troppa gente che avrà un brutto Natale, quest'anno, allora tutto quello che posso fare per renderlo di un millimetro più carino per chi mi legge è... scrivere, no? Un bacio! Novella.

Profezie, 65.


173.
Aveva fatto un sogno, mentre era svenuta. Breve. Harry era il suo bambino, il suo preziosissimo bambino, e cercava di arrampicarsi sul lettone nel quale lei si trovava, per raggiungerla. Rideva con quella voce cristallina che solo i bambini molto piccoli riescono ad avere, una voce che le faceva piacevolmente il solletico. Lei, chissà perché, non lo aiutava; restava sdraiata a guardare il soffitto, emozionata come di fronte ad un nuovo gioco, così ad un certo punto Harry aveva iniziato a piagnucolare perché lei lo prendesse in braccio per farlo salire.
Quando si era voltata a guardarlo era Sirius che le chiedeva aiuto, cercando di salire su quel letto.
Lei aveva sentito le lacrime pungerle gli occhi, perché sapeva che non poteva aiutarlo in alcun modo. No. Avrebbe dovuto ucciderlo.

Si era ripresa senza sollevare le palpebre, percependo sabbia ovunque: tra i vestiti, a strisciare la pelle, perfino nelle mutande; in altre occasioni l’avrebbe trovato divertente, era il tipo di cose che a Hogwarts faceva disperare Lily. Era il tipo di cose che a Hogwarts aveva fatto innamorare Sirius – oltre, chiaramente, al suo saper dimostrare apertamente i sentimenti e blah blah. Davvero, l’avrebbe trovato spassoso se non si fosse sentita nel contempo così ammaccata: non l’avrebbe saputo definire di preciso, ma sentiva dolori dappertutto, come dopo un pestaggio, e la situazione non aveva proprio niente di avventuroso o eccitante o glorioso.
Dovrei alzarmi, aveva pensato. Quantomeno aprire gli occhi.
Aveva provato a stiracchiare silenziosamente le dita dei piedi, ma qualcosa non andava. Ow.
Dovrei alzarmi
, si era ripetuta. Ha l’aria di essere tardi. Le sue gambe, però, erano bloccate. Aveva provato a concentrarsi: forse qualcuno l’aveva catturata? Era svenuta... poteva essersi trattato di uno Stupeficium o qualcosa del genere? Sarà più saggio non lasciare che intuiscano che sono sveglia.
Aveva mantenuto gli occhi ben serrati. Dopo un altro minuto, però, si era spazientita, non riuscendo a non muoversi un poco. James, stava per dire, toglimi questa maledetta sabbia di dosso! Poi aveva ricordato. Harry. Sogno. Bambino. Sirius.
Morti.

La parte comica è che questa è forse la mia prima frase ragionevole.
In quel momento aveva sentito che qualcuno le accarezzava la testa, intuendo così che le sue gambe erano bloccate perché qualcuno ci si era seduto sopra; poi una piccola goccia salata era piombata dall’alto sul suo naso, scivolando verso il collo. L’immagine di una mano che si ritraeva precipitosamente era apparsa sfocata ai suoi occhi, mentre li riapriva confusa. Una donna sorrideva commossa di fronte a lei; probabilmente era stata al suo capezzale finché non si era ripresa. Bessie era riuscita a formulare nebulosamente un “...Remus?” col pensiero. L’aveva vista, l’aveva sentita ed avrebbe voluto tornare a letto: c’era ancora, in effetti, ma in un modo ormai irreparabilmente distinto. Avrebbe voluto infilarsi sotto il lenzuolo e tirarlo su fino al mento.
No. Meglio al naso.
Lei però era ancora lì. Devo essere fuori di testa, aveva riflettuto, provando a richiudere gli occhi. Niente. Nel momento in cui li aveva riaperti, lei era ancora crudelmente lì.
Vorrei gettarti verso qualcosa, aveva pensato. Non per farti male; solo perché anche tu ti prenda uno spavento terribile. C’era, nella stanza, una specie di odore di sangue; gentile in qualche modo, e forse era ciò che ti faceva sentire peggio nel percepirlo. C’era odore di sangue e di lago e di piume, e di una certa urgenza di affrontare le cose. Bessie aveva fatto un suono come uno schiocco; come se il fiato emesso e lo spazio che aveva a disposizione per farlo uscire si trovassero in disaccordo. Stupidamente, aveva provato ad annuire.
E va bene, si era incoraggiata. Se non è crollato fino adesso, non sarà questa la fine del mondo, no?
Si era interrotta quando la donna le aveva mormorato soltanto “Dai.”
Bessie, in un secondo, si era sentita preda di un’impotenza grandiosa. Aveva provato per intero la terrificante condanna che è amare una persona, quando l’amore non basta.
Mamma”, aveva detto. E per la prima volta quella parola aveva avuto fra le sue labbra soltanto il significato originario. Nient’altro.
“Devi alzarti Betsy” l’aveva incoraggiata indicando il resto del castello, e tutto quello che idealmente c’era fuori. “Hai molto da fare ora.”
Lei si era tirata su con la schiena, puntandosi sui gomiti. “Ma allora... tu capisci?”
Sua madre aveva provato a posarle di nuovo quella mano sulla testa; ci aveva ripensato, esitando a mezz’aria prima di riporla in grembo. “L’ho sempre fatto. Forse non come ti aspettavi tu, forse non come avresti preferito, ma l’ho sempre fatto. Sono tua madre. Sei tu che eri sempre così impegnata a sfuggirmi che non ti sei mai chiesta chi fossi veramente.”
Bessie, incoerentemente con la situazione, aveva considerato che in fondo era stata fortunata. Non è che avesse dovuto sopportare molti annunci orribili come, per esempio, era toccato a Remus. Non per le persone più importanti. Se n’era andata prima di loro.
Sono sempre spaventosamente stupidi, i momenti della vita reale. Se fossi stata sveglia, di sicuro sarebbero venuti ad informarmi durante una battaglia a cuscinate o mentre provavo a truccare Sirius per Halloween, o magari mentre facevamo il bagno insieme nel regno delle bolle di sapone.
C’è qualcosa di crudele nella vita, nel modo che ha di farti sapere le cose. Nel tuo modo stupido e sguaiato di chiedere “Come va?” a chi arriva, e per qualche strano motivo sei più amichevole del solito, da pacca sulle spalle e “perdonami, ho i capelli sgocciolanti”, per capirci... e poi loro ti guardano come se dietro di te si aprisse il vuoto e stessero per spingerti giù, e quando te lo dicono è come se ti avessero appena sorpreso in mutande.
“E adesso... cosa c’è di diverso?”
Parlava piano, Bessie; come se con la sua voce temesse di risvegliare qualcosa.
“Ho smesso di provare a tenere il tuo passo quando ho capito che non era per me che ti comportavi così, Betsy: era per te. Allora ho capito che ne avevi bisogno, per trovarti in qualche modo.”
“Che cosa c’è di diverso?” aveva insistito, piano ma testardamente.
“Voglio farti vedere una cosa” aveva risposto lei, ed il tono morbido della voce si era confuso con il frusciare di un foglietto che aveva estratto dalla tasca. Aveva lasciato che lei lo prendesse, dopo averlo lisciato un po’ nervosamente coi palmi delle mani contro le ginocchia. Bessie era rimasta alcuni minuti a fissare quelle poche righe scritte di fretta. Alcuni lunghi, interminabili minuti.
Trovava ingiusto come per l’ennesima volta, senza poter scegliere, senza potersi preparare, avesse l’impressione di non andare più bene per lo spazio in cui era sempre stata. Come se gli angoli fossero diversi e le linee fossero diventate tratteggi; certe proporzioni potevano cambiare di colpo, e il soffitto che pareva lontanissimo era ora basso da far paura.
Gnickle”, aveva detto, e le era sembrato di sentire qualcuno bussare. Si era voltata verso la porta, ma nessuno la stava cercando. I miei vestiti, aveva pensato. I miei vestiti mi stanno stretti.
“Che cos’è?” aveva domandato poi, secca, senza alzare gli occhi verso di lei.
“Quella è la tua profezia, Elizabeth”. Sua madre continuava a lisciare un inesistente foglietto di carta contro le gambe mentre parlava, e ancora la sua voce ed il frusciare della carta sembravano confondersi. Aveva i capelli tirati indietro; la facevano più elegante e un po’ più pallida. “Diceva... che avresti chiuso gli occhi contro i desideri di tua madre, e non li avresti più visti. Mi dispiace di aver tenuto così tanto a che tu mi seguissi”, aveva continuato in un soffio; si era poi bloccata, incapace di proseguire. Aveva lasciato vagare lo sguardo per la stanza di quella scuola che in fondo conosceva così poco; tra le foglie di una pianta fresca. “Avevo il terrore di perderti, Elizabeth. Ti vedevo così... testarda sulle tue posizioni, io... temevo che ti allontanassi... che non fossi più al sicuro... a causa di questa.”
Era calato il silenzio tra le due donne. Bessie non sembrava avere nessuna intenzione di parlare o di guardarla, rannicchiata su quel letto troppo grande come una bambola senz’occhi lasciata da sola al buio.
“All’inizio, ti giuro che era solo questo” aveva spiegato con tono accorato. “Poi non so... man mano che si andava avanti gli eventi mi trascinavano, c’era questo mondo che andava sempre più allo sfascio e in me aumentava il bisogno di tenerlo sotto controllo perché non sapevo dove ti avevo fatta nascere... e avevo solo te al mondo, e non accettavo che volessi così tanto distinguerti da me, come se dovessi vergognarmi per quello che ero!” La voce le si era sollevata di qualche ottava. “Ce l’avevi con me in un modo completamente distruttivo, e anche se poi ho capito che erano le tue paure per te stessa a parlare ed agire, anche se ero io la madre ed avrei dovuto avere pazienza, proprio non ce la facevo! Non era giusto, Elizabeth... so di non essere perfetta come tuo padre, voi due siete sempre stati in sintonia e io restavo lì a guardarvi e a cercare di mantenere un po’ di ordine nella nostra vita--” si era interrotta con un rapido singulto. Bessie aveva aperto e richiuso la bocca senza decidersi a parlare, mentre lei scuoteva il capo.
“Mi spiace per quel giorno all’ospedale” aveva ripreso con un filo di voce. “Ero... oh cielo, non lo so. È terribile quello che ho detto, non cerco di cambiare le cose sai... ma mi ero sentita come se alla fine, dopo essermi sentita lasciata in disparte per tutto quel tempo, avessi dovuto farti ammettere che avevo ragione. Era come se quello che ti era successo mi avesse rassicurato che non ero stata una madre così terribile come volevi farmi credere.... Dio,” aveva sospirato soffiandosi il naso “mi sentivo come se la mia vita fosse stata legittimata dalla disgrazia capitata alla mia unica figlia!” aveva annunciato quasi con terrore, sbarrando gli occhi a quella verità.
La cosa bella era che in tutte quelle parole non le aveva mai, mai chiesto come si sentisse. Bessie aveva bisogno che nessuno le chiedesse come si sentiva. O che la guardassero preoccupati. Le era straordinariamente grata per non averla guardata preoccupata. Un’altra cosa bella era che non si era scusata, non aveva in nessun modo preso le distanze, comportandosi da madre. Tutte quelle debolezze erano così poco da madre e questo, straordinariamente, la riappacificava con lei; Bessie sentiva che piano piano stava ricucendo qualcosa. È tutto a posto, aveva pensato.
Non è tutto a posto, non lo è davvero. Vorrei che ci fosse qualcosa da poter fare.
Tonks anni prima le diceva che lei e Lily certe volte parlavano di più con quello che omettevano che con quello che lasciavano ai discorsi; versi, balbettii, un sopracciglio che si muoveva così. Le faceva strano ora sentire qualcosa di simile proprio con sua madre, dopo Lily sua madre. È buffo.
Sentiva, però, che in qualche fantastico modo non serviva. Non serve che io glielo dica.
Quando, molti silenzi dopo, Bessie aveva risposto alzando gli occhi verso di lei, non era stato per parlare dello stesso argomento. Non direttamente almeno, ma sua madre aveva capito; aveva capito quella richiesta di sostegno come può comprenderla solo una madre dagli occhi di sua figlia, dalla luce d’attesa e di inconsapevole fiducia. Aveva capito quel ritorno.
“...Credi veramente che sia stato lui, mamma?”
Due lacrime le minacciavano gli occhi, già arrossati dalla commozione. Sua madre aveva sospirato.
“La vita non è solo profezie, Betsy. Tu hai fatto le tue scelte, è questo che ti ha portato ad essere la persona che sei. Allo stesso modo la vita non è soltanto quello che si può vedere; tu non sei quello che gli altri pensano tu sia, o sarai.” Le aveva passato due dita sotto il mento. Bessie non ricordava che lei l’avesse mai chiamata Betsy. “Tieniti la tua fiducia, Elizabeth.”
Bessie restava a guardarla, in silenzio. Aveva scosso il capo con desolazione.
“Ma anche se gli credo, mamma, anche se gli voglio bene... se lo incontrassi lo ucciderei. Questo lo so.”
Si tormentava nervosamente le dita, mentre i capelli si striavano inconsciamente d’argento.
“Betsy... forse è ora di usare quella cosa di Silente.”



174.
Quando era tornata di là si appoggiava al braccio della madre come una convalescente. Il sorriso con cui aveva accolto gli sguardi stanchi o preoccupati dei presenti era grave, ma in qualche modo consapevole, più adulto. Si era avvicinata al signor Weasley.
“Arthur” aveva mormorato. “Bill...?”
Lui le aveva indicato un corridoio che si snodava al centro della scuola. “Quarta porta a destra.”
Si era mossa verso la stanza del ferito senza altre parole, con la leggerezza di una farfalla.

Aveva mosso due passi incerta nella penombra della stanza, che aveva raggiunto con passo molto meno leggiadro appena si era sottratta agli sguardi dei presenti. Soltanto un piede era calzato da ciabatta, così zoppicava leggermente, come una bambina piccola ancora assonnata ed ancora intenta a restare dritta su due piedi; guardava verso l’interno, mordendosi un labbro nel controluce della porta prima di avvicinarsi al letto su cui stava adagiato il ragazzo.
“Credo che la pianta nella mia stanza abbia cercato di uccidermi”, aveva annunciato. Non si era soffermata a pensare quanto quell’affermazione potesse suonare eccentrica, da un punto di vista appena ragionevole. In effetti, Silente era morto, quindi non faticava ad aspettarsi che l’ordine naturale delle cose venisse stravolto. Bill, però, non rispondeva.
“Una pianta feroce” aveva specificato, rendendosi conto un po’ troppo tardi della gaffe. Aveva tossicchiato per disperdere l’effetto di quelle parole.
Lì accanto, sopra una cassapanca con le zampe di leone, stava uno dei ridicoli, storici cappelli di Silente: era enorme, di velluto rosso porpora con una specie di banana in centro del colore dell’oro. Bessie aveva vagamente notato che la cassapanca aveva anche le zanne. Uno strampalato cappello di Silente su una cassapanca sbucata dalla giungla: la situazione, vista da un di fuori appena razionale, doveva apparire grottesca.
Non aveva resistito, comunque, provandosi il copricapo la cui falda anteriore le era finita davanti agli occhi; si era pavoneggiata come se si stesse ammirando allo specchio, civettuola aveva domandato: “Come sto?”
Bill, però, non rispondeva.
In effetti, non la stava vedendo.
“Non fa niente. Magari hai voglia di un po’ di budino?” aveva aggiunto d’un tratto, dopo che con la coda dell’occhio aveva notato il piattino accanto ad un bicchiere di pillole e tutta una serie di fasce, lì sul comodino di fianco al letto. “Sembra bello fresco.”
Dal camino sul lato destro della stanza era crollato il ceppo che stava sopra agli altri, sbriciolandosi in una serie di scintille sfolgoranti come tante piccole farfalle rosse. Le piaceva, il rumore del caminetto, anche se l’inverno era passato da un pezzo. “È confortante che tu non possa chiedermi di che diavolo sto parlando, o come posso pensare al budino in un momento come questo!”, aveva asserito sicura. “Sono così stanca di pensare!”
Aveva finito col sedersi sulla sedia lasciata libera al suo capezzale; lì accanto c’era anche una poltrona di pelle rossa dall’aria invitante, ma Bessie non voleva stare comoda. Preferiva ricordarsi quello che era successo tutto il tempo. Gli aveva sistemato le lenzuola amorevolmente. “La pianta. Quella in camera. Penso dovrei darle un nome.” Aveva scrollato la chioma scura. “Cioè, non un nome vero e proprio... o forse sì. Si è conquistata il mio affetto. Non fare così”, aveva aggiunto improvvisamente. “Non credo volesse uccidermi davvero. Si fanno cose strane, quando ci si sente soli.”
Aveva fatto una smorfia, una specie di sorrisetto mal riuscito. “Tipo affezionarsi ad una pianta, dici?”
Si era alzata in piedi, muovendo qualche passo incerto su quella ciabatta sola; era tornata verso il cappello, poi aveva preferito lasciarlo perdere. Forse avrebbe dovuto ficcarlo in qualche armadio... o forse no. Era tornata a sedersi.
“Ti è mai capitato di non avere la più pallida idea di cosa aspettarti da... da...?” si era arresa, infilando l’indice nel budino che aveva ceduto alla pressione con un adorabile plonf. Era rimasta per molto tempo a guardarlo, seduta accanto a lui come una madre che legge le favole della buonanotte al suo bambino.
“Dovresti svegliarti. Mi manchi.”
Gli aveva stretto forte una mano tra le sue, chiedendosi se potesse sentirla, se l’avrebbe mai più sentita allo stesso modo.
“Dovresti promettermi che sarai sempre tu”, aveva aggiunto con un leggero tremito della voce che indicava come la piccola, deliziosa recita stesse ormai iniziando a scricchiolare in favore della realtà. Caro, forte Bill! Quante volte l’aveva presa in giro, coccolata, sostenuta. Quante volte avevano giocato, e quante altre si erano spalleggiati testardamente.
“O almeno che, se non lo sarai, ti lascerai amare lo stesso.”
Aveva tossicchiato, cercando di nuovo di guadagnare tempo mentre si guardava intorno come se solo in quel momento si fosse accorta di trovarsi in quella stanza.
“Sono preoccupata, sai Bill? Non so, esattamente... mi è capitato spesso di dover attraversare momenti difficili, nella vita, ma mai come oggi di trovarmi di fronte a... a una specie di nebbia, con... una specie... di abisso spalancato di fronte a me. Era Silente. Lui c’era sempre a trattenerti per una spalla dal precipitare. Credo fosse lui. Io... non so davvero cosa fare ora, con tutto quello che riguarda questa guerra, e quello che devo decidere, ci sono Remus e Sirius, e Silente che non c’è più, e tutto questo... è semplicemente troppo, capisci? Chi si prenderà cura di Harry ora? Mio Dio!” aveva esclamato, prendendosi il capo tra le mani. “Non ci sono proprio abituata, a questo tipo di abisso! La mia vita è sempre stata a-abissale... come si dice a-abissale? Insomma, dovevo proprio fare strike?”
Fleur era rimasta fino a quel momento un poco scostata, in silenzio; le aveva lasciato rispettosamente il suo spazio, e Bessie le aveva parlato senza voltarsi.
“Mi sa che ho detto ‘abisso’ troppe volte” aveva ridacchiato, piano. “Ho anche inventato una nuova parola. Sirius me lo rimproverava, anche se credo gli piacesse.” E poi: “È strano come uno stesso posto dopo così poche ore possa sembrarti tanto diverso, uh?” aveva commentato guardandosi intorno. Fleur aveva fatto un passo in avanti, con il suo strascicato accento francese.
“Credo in onglese si chiami prospettiva.”
Bessie, alzandosi, le aveva sorriso amichevolmente.
“Sai... se fossi stata ad Hogwarts, saresti stata sicuramente una Grifondoro!” aveva annunciato, e Fleur aveva compreso l’importanza di quell’assicurazione. Aveva sorriso.



175.
Era tornata di nuovo dagli altri, ma questa volta il caos regnava sovrano nella stanza. All’inizio, mentre si avvicinava alla porta, si era preoccupata perché temeva che stesse succedendo qualcosa di brutto: aveva anche estratto la bacchetta, camminando con circospezione rasente ai muri. Magari un’altra pianta...?, aveva tentato, senza risultarsi convincente neppure per un istante. Appena raggiunta la porta, però, la scena a cui aveva assistito era Remus mezzo affogato tra un’enorme massa di capelli castano-rossicci che lo stringevano come se non si vedessero da una vita.
In effetti, non si vedevano da una vita.
“Lloyd”, aveva mormorato tra le labbra.



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